Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento attività produttive
Altri Autori: Servizio Studi - Dipartimento finanze
Titolo: Interventi urgenti di avvio del piano "Destinazione Italia" - D.L. 23 dicembre 2013, n. 145 - A.C. 1920 - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 1920/XVII   DL N. 145 DEL 23-DIC-13
Serie: Progetti di legge    Numero: 108
Data: 08/01/2014
Organi della Camera: VI-Finanze
X-Attività produttive, commercio e turismo

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia”

D.L. 145/2013 – A.C. 1920

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 108

 

 

 

8 gennaio 2014

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi

Dipartimento Attività Produttive

( 066760-9574 – * st_attprod@camera.it

Dipartimento Finanze

( 066760-9496 – * st_finanze@camera.it

 

Ha partecipato alla redazione del dossier:

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

 

 

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File: D13145.doc


INDICE

Schede di lettura

§      Articolo 1, commi 1-6 (Disposizioni per la riduzione di prezzi dell’energia elettrica) 3

§      Articolo 1, commi 7 e 8 (Attestato di prestazione energetica) 9

§      Articolo 1, comma 9 (Disciplina del condominio) 11

§      Articolo 1, comma 10 (Energia geotermica) 14

§      Articolo 1, commi 11-14 (Centrale a carbone nel Sulcis) 15

§      Articolo 1, comma 15 (Obbligo di immissione di biocarburanti) 19

§      Articolo 1, comma 16 (Gare per la distribuzione del gas) 23

§      Articolo 2, comma 1 (Riforma della disciplina degli incentivi all’autoimprenditorialità) 25

§      Articolo 2, comma 2 (Aree di crisi industriale complessa) 31

§      Articolo 3 (Credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo) 34

§      Articolo 4, commi 1-10 e 14 (Misure volte alla realizzazione delle bonifiche dei siti di interesse nazionale) 41

§      Articolo 4, commi 11-13 (Misure per l’area di crisi complessa del porto di Trieste) 55

§      Articolo 5, commi 1-6 (Sostegno all’internazionalizzazione delle imprese) 60

§      Articolo 5, commi 7-9 (Lavoratori extracomunitari impiegati nelle startup innovative) 66

§      Articolo 6, commi 1-7 e 10-14 (Misure per favorire la digitalizzazione e la connettività delle piccole e medie imprese) 70

§      Articolo 6, commi 8 e 9 (Servizio televisivo digitale terrestre) 76

§      Articolo 7 (Razionalizzazione dell’istituto del ruling di standard internazionale) 78

§      Articolo 8 (Disposizioni in materia di assicurazione r.c. auto) 81

§      Articolo 9 (Misure per favorire la diffusione della lettura) 92

§      Articolo 10 (Tribunale delle società con sede all’estero) 95

§      Articolo 11 (Risoluzione di crisi aziendali e difendere l’occupazione) 98

§      Articolo 12 (Credito alla piccola e media impresa) 100

§      Articolo 13, commi 1-3 (Disposizioni concernenti la realizzazione delle opere per EXPO 2015) 114

§      Articolo13, commi 4-7 (Finanziamento interventi infrastrutturali nei porti ) 118

§      Articolo 13, comma 8 (Modifiche alla disciplina delle revoche delle risorse destinate alle infrastrutture strategiche) 120

§      Articolo 13, comma 9 (Linea 1 della metropolitana di Napoli) 121

§      Articolo 13, commi 10 e 11 (Disposizioni urgenti in materia di lavori pubblici) 122

§      Articolo 13, comma 12 (Esclusione dell’immatricolazione dei carrelli per brevi spostamenti) 125

§      Articolo 13, comma 13 (Modifica alla legge istitutiva delle autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità) 126

§      Articolo 13, commi 14-23 (Settore del trasporto aereo) 127

§      Articolo 13, commi 24-28 (Norme per favorire la dotazione di beni storici, culturali e ambientali e per migliorare l’attrattività turistica) 132

§      Articolo 14 (Misure di contrasto al lavoro sommerso e irregolare) 135

 


Schede di lettura


 

Articolo 1, commi 1-6
(Disposizioni per la riduzione di prezzi dell’energia elettrica)

 

 

L’articolo 1 contiene disposizioni eterogenee riguardanti il settore energetico.

 

Il comma 1 dispone che, entro 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto legge in esame, siano aggiornati da parte dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas (AEEG) i criteri per la determinazione dei prezzi di riferimento dell’energia elettrica per i clienti in regime di maggior tutela, tenendo conto delle mutazioni intervenute nell’effettivo andamento orario dei prezzi dell’energia elettrica sul mercato.

 

La norma stabilisce dunque un termine entro cui l’AEEG deve provvedere alla revisione, e fornisce un chiaro indirizzo sui criteri da seguire, in quanto occorre tenere conto delle mutazioni intervenute nella curva del prezzo giornaliero, basandosi sui costi reali registrati, in ciascuna fascia oraria, sul mercato dell’energia elettrica.

 

La crescita esponenziale della generazione solare fotovoltaica avvenuta negli ultimi anni ha infatti mutato il profilo della curva dei prezzi nelle 24 ore, determinando uno spostamento delle ore di maggior prezzo dalla fascia diurna a quella serale.

 

In particolare, secondo i dati tratti dalla Relazione annuale dell’AEEG:

§      nelle ore in cui la produzione fotovoltaica è assente o ridotta (1-10 e 17-24) i prezzi medi orari nel 2012 sono aumentati rispetto al 2011, rispettivamente del 6% per le ore 1-10 e del 12% per le ore 17-24;

§      nelle ore di maggior produzione fotovoltaica (11-16) i prezzi medi orari si sono ridotti del 7% rispetto al 2011;

§      i picchi di prezzo più elevati si concentrano nelle ore serali. Mentre nel corso del 2011, la forbice fra i prezzi medi nel picco mattutino (ora 10) e i prezzi medi nel picco serale (ora 20) era esigua (84 – 87 €/MWh), nel corso del 2012 tale forbice si è considerevolmente allargata (85 – 103 €/MWh).


Andamento medio orario del PUN, 2011 vs 2012

Pertanto, la tariffa bioraria che era stata introdotta dal luglio 2010 (Delibera ARG/elt 22/10) per i clienti non riforniti sul mercato libero non risulta attualmente conveniente.

 

Il comma 2 parifica, a decorrere dal 1° gennaio 2014, i prezzi minimi garantiti, definiti dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas per il regime di ritiro dedicato (che in pratica è il ritiro a prezzo amministrato dell’energia elettrica prodotta e immessa in rete concesso ad alcune tipologie di impianti) al prezzo zonale orario, per gli impianti che accedono a incentivazioni a carico delle tariffe elettriche sull’energia prodotta.

 

Il regime di ritiro dedicato si pone quale alternativa al normale regime di vendita dell’energia elettrica per alcune tipologie di impianti. Si tratta della cessione dell’energia elettrica immessa in rete dagli impianti che vi possono accedere, su richiesta del produttore e in alternativa al libero mercato, secondo principi di semplicità procedurale e applicando condizioni economiche di mercato. Il ritiro dedicato prevede quindi semplificazioni, non incentivi che sono invece definiti dall’ordinaria attività legislativa. Pertanto i ricavi derivanti ai produttori dalla vendita dell’energia elettrica, anche attraverso il ritiro dedicato, in generale si sommano ai ricavi derivanti dagli eventuali strumenti incentivanti, ad eccezione del caso in cui si applichino prezzi fissi onnicomprensivi, inclusivi dell’incentivo, per il ritiro dell’energia elettrica immessa in rete.

Per quanto riguarda le tipologie di impianti che hanno accesso al regime di ritiro dedicato, si ricorda che, ai sensi dell’articolo 13, commi 3 e 4, del decreto legislativo n. 387/03, e dell’articolo 1, comma 41, della legge n. 239/04, il regime di ritiro dedicato è riservato:

§       all’energia elettrica prodotta dagli impianti di potenza inferiore a 10 MVA, qualunque sia la fonte;

§       all’energia elettrica prodotta dagli impianti, di potenza qualsiasi, alimentati dalle fonti rinnovabili eolica, solare, geotermica, del moto ondoso, maremotrice ed idraulica, limitatamente, per quest’ultima fonte, agli impianti ad acqua fluente;

§       alle eccedenze prodotte dagli impianti alimentati da fonti rinnovabili programmabili di potenza non inferiore a 10 MVA purché nella titolarità di un autoproduttore, ad eccezione di quella ceduta al GSE nell’ambito delle convenzioni in essere stipulate ai sensi dei provvedimenti Cip n. 15/89, n. 34/90, n. 6/92, nonché della deliberazione n. 108/97, limitatamente agli impianti nuovi, potenziati o rifatti, come definiti dagli articoli 1 e 4 della medesima deliberazione n. 108/97, fino alla loro scadenza.

Il prezzo riconosciuto ai produttori nell’ambito del ritiro dedicato è il prezzo che si forma sul mercato elettrico (il cosiddetto prezzo zonale orario), corrisposto sulla base del profilo orario di immissione del singolo produttore. Peraltro l’Autorità, nella definizione delle condizioni economiche di ritiro, ha ritenuto opportuno tener conto delle peculiarità di impianti di particolari ridotte dimensioni caratterizzate da elevati costi di esercizio e manutenzione e limitata produzione annua. Si tratta di impianti di ridottissime dimensioni (con produzioni annue di pochi milioni di kWh) che tipicamente sfruttano risorse rinnovabili diffuse sul territorio non altrimenti sfruttabili con altri mezzi. A tale scopo si applicano i prezzi minimi garantiti per i primi 2 milioni di kWh immessi in rete annualmente da ciascun impianto alimentato da fonti rinnovabili di potenza fino a 1 MW, al fine di assicurare la sopravvivenza economica agli impianti di minori dimensioni anche qualora i prezzi di mercato dovessero scendere significativamente, considerati i benefici in termini ambientali, di tutela del territorio e di sviluppo delle risorse marginali o residuali che detti impianti. I prezzi minimi garantiti non sono incentivi, non sono finalizzati al recupero dei costi di investimento e, come tali, si sommano ad incentivi eventualmente riconosciuti ai singoli impianti.

L’Autorità, con la deliberazione ARG/elt 103/11, ha definito la nuova struttura e i nuovi valori dei prezzi minimi garantiti che si applicano dall’1 gennaio 2012; da tale data, i prezzi minimi garantiti sono differenziati per fonte, aggiornati annualmente secondo gli indici ISTAT e, nel caso delle fonti solare fotovoltaica e idrica, sono definiti per scaglioni progressivi di energia. Per ulteriori approfondimenti, si veda il Testo unico della produzione redatto dall’AEEG (http://www.autorita.energia.it/allegati/elettricita/TUP.pdf, pagg. 188-202). A pag 192 è disponibile la tabella con i prezzi minimi garantiti riconosciuti per impianti alimentati da fonti rinnovabili di potenza fino a 1 MW.

 

Il Governo stima per tale misura una riduzione degli oneri in bolletta di circa 170 ML€/anno.

 

I commi da 3 a 6 mirano a ridurre la componente A3 cercando di agire direttamente sull’incentivazione alle fonti rinnovabili, senza effetti retroattivi su contratti già stipulati.

 

Secondo i dati AEEG[1], gli oneri di sistema rappresentano attualmente circa il 20% della bolletta elettrica di una famiglia-tipo[2] (e ammontano in media a circa 100 euro annui) e la componente A3 (incentivi alle fonti rinnovabili e assimilate) pesa per circa il 93% degli oneri di sistema, ovvero incide per oltre 90 euro annui sulla famiglia media.

In particolare, il comma 3 propone un’alternativa ai produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili titolari di impianti che beneficiano di incentivi sotto la forma di certificati verdi, tariffe omnicomprensive ovvero tariffe premio. Essi possono scegliere tra due opzioni:

a)   continuare a godere del regime incentivante spettante per il periodo di diritto residuo. In tal caso, per un periodo di dieci anni decorrenti dal termine del periodo di diritto al regime incentivante, interventi di qualunque tipo realizzati sullo stesso sito non hanno diritto di accesso ad ulteriori strumenti incentivanti, incluso ritiro dedicato e scambio sul posto, a carico dei prezzi o delle tariffe dell’energia elettrica;

b)   optare per una rimodulazione dell’incentivo spettante, consistente nella fruizione di un incentivo ridotto a fronte di una proroga di 7 anni del periodo di incentivazione.

La percentuale di riduzione, specifica per ciascuna tipologia di impianto, sarà definita con decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, con parere dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, entro 60 giorni dall’entrata in vigore del presente decreto.

La specifica percentuale di riduzione è applicata:

1)    al coefficiente moltiplicativo, per gli impianti a certificati verdi (tabella 2 allegata alla legge n. 244/2007, legge finanziaria per il 2008);

2)    per gli impianti a tariffa onnicomprensiva, al valore della tariffa spettante al netto del prezzo di ritiro dedicato, registrato nell’anno precedente;

3)    per gli impianti a tariffa premio, alla medesima tariffa premio.

 

Ai sensi del comma 4, la riduzione dell’incentivo viene differenziata in ragione

§      del residuo periodo di incentivazione,

§      del tipo di fonte rinnovabile

§      dell’istituto incentivante, ed è determinata tenendo conto dei costi indotti dall’operazione di rimodulazione degli incentivi, incluso un premio adeguatamente maggiorato per gli impianti per i quali non sono previsti, per il periodo successivo a quello di diritto al regime incentivante, incentivi diversi dallo scambio sul posto e dal ritiro dedicato per interventi realizzati sullo stesso sito.

 

In generale, l’energia elettrica prodotta e immessa in rete può essere destinata commercialmente a diversi soggetti che operano sul mercato (Borsa elettrica, cliente finale libero, cliente grossista), sulla base di valutazioni e scelte effettuate dal singolo produttore. In più, il legislatore ha previsto, per alcune tipologie di impianti, la possibilità di scegliere:

§       il ritiro dedicato (si veda sopra)

§       lo scambio sul posto.

Il servizio di scambio sul posto è una particolare forma di autoconsumo in sito che consente di compensare l’energia elettrica prodotta e immessa in rete in un certo momento con quella prelevata e consumata in un momento differente da quello in cui avviene la produzione. Nello scambio sul posto si utilizza quindi il sistema elettrico quale strumento per l’immagazzinamento virtuale dell’energia elettrica prodotta ma non contestualmente autoconsumata. Condizione necessaria per l’erogazione del servizio di scambio sul posto è la presenza di impianti per il consumo e per la produzione di energia elettrica sottesi ad un unico punto di connessione con la rete pubblica. Possono accedere allo scambio sul posto impianti alimentati da fonti rinnovabili di potenza fino a 20 kW e impianti alimentati da fonti rinnovabili di potenza superiore a 20 kW fino a 200 kW entrati in esercizio dopo il 31 dicembre 2007 (articolo 6 del decreto legislativo n. 387/03 e l’articolo 17 del decreto ministeriale 18 dicembre 2008).

 

Il comma 5 prevede che l’opzione debba essere esercitata entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto interministeriale che definisce la percentuale di riduzione, mediante richiesta al Gestore dei servizi energetici (Gse), resa con modalità definite dallo stesso Gse entro 15 giorni dalla medesima data. A decorrere dal primo giorno del mese successivo al termine di scadenza del periodo in cui è possibile esercitare l’opzione, i produttori accedono all’incentivo rimodulato, come disposto dal comma 3.

 

Il comma 6 esclude dall’applicazione delle norme precedenti:

a)   gli impianti incentivati CIP6;

b)   gli impianti incentivati ai sensi del DM 6 luglio 2012 (incentivi a fonti rinnovabili non fotovoltaiche), fatta eccezione per quelli ricadenti nel regime transitorio di cui all’articolo 30 dello stesso decreto.

 

Si ricorda che il DM 6 luglio 2012 stabilisce le nuove modalità di incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti alimentati da fonti rinnovabili, diverse da quella solare fotovoltaica, con potenza non inferiore a 1 kW.

Gli incentivi previsti dal decreto si applicano agli impianti nuovi, integralmente ricostruiti, riattivati, oggetto di intervento di potenziamento o di rifacimento, che entrano in esercizio dal 1°gennaio 2013.

Per tutelare gli investimenti in via di completamento, l’articolo 30 del decreto prevede che gli impianti dotati di titolo autorizzativo antecedente all’11 luglio 2012 (data di entrata in vigore del dm) che entrano in esercizio entro il 30 aprile 2013 e i soli impianti alimentati da rifiuti di cui all’art. 8, comma 4, lettera c) che entrano in esercizio entro il 30 giugno 2013, possono richiedere l’accesso agli incentivi con le modalità e le condizioni stabilite dal precedente DM 18 dicembre 2008. A tali impianti saranno applicate decurtazioni sulla tariffa omnicomprensiva o sui coefficienti moltiplicativi per i certificati verdi.

 

 

Quadro normativo relativo agli incentivi previsti per la produzione
di energia elettrica da fonti rinnovabili
[3]

In Italia convivono molteplici meccanismi di incentivazione per gli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili. In particolare:

§       tariffe incentivanti onnicomprensive (feed in tariff) CIP 6 per l’energia elettrica immessa in rete da impianti alimentati da fonti rinnovabili o assimilate che hanno ottenuto tale diritto;

§       sistema dei certificati verdi (CV) per l’energia elettrica netta prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili entrati in esercizio fino al 31 dicembre 2012 (decreto interministeriale 18 dicembre 2008);

§       tariffe incentivanti onnicomprensive (feed in tariff) per l’energia elettrica immessa in rete da impianti alimentati da fonte rinnovabile, ad esclusione degli impianti alimentati da fonte solare, di potenza fino a 1 MW (200 kW per l’eolico) entrati in esercizio fino al 31 dicembre 2012 (DM 18 dicembre 2008);

§       tariffe incentivanti per l’energia elettrica netta immessa in rete da impianti alimentati da fonte rinnovabile, ad esclusione degli impianti alimentati da fonte solare, entrati in esercizio dall’1 gennaio 2013: tali tariffe incentivanti trovano applicazione in modalità feed in tariff nel caso di impianti di potenza fino a 1 MW e in modalità feed in premium nel caso degli altri impianti (DM 6 luglio 2012);

§       sistema di conto energia (feed in premium) per l’energia elettrica prodotta da impianti fotovoltaici entrati in esercizio fino al 26 agosto 2012 (D.M. 28 luglio 2005, 6 febbraio 2006, 19 febbraio 2007, 6 agosto 2010 e 5 maggio 2011);

§       tariffe incentivanti per l’energia elettrica netta immessa in rete da impianti fotovoltaici entrati in esercizio dal 27 agosto 2012: tali tariffe incentivanti trovano applicazione in modalità feed in tariff nel caso di impianti di potenza fino a 1 MW e in modalità feed in premium nel caso degli altri impianti (DM 5 luglio 2012).;

§       sistema di conto energia (feed in premium) per l’energia elettrica prodotta da impianti solari termodinamici (D.M. 11 aprile 2008).

 

 

Il Governo stima una riduzione degli oneri per l’incentivazione di circa 700 milioni/anno (in caso di adesione al 50% di tutti gli impianti non fotovoltaici e di adesione bassa per il fotovoltaico), su una spesa che ammonta oggi a 11,2 miliardi/anno (6,7 Fotovoltaico + 4,5 altre fonti) ed arriverà nel 2015 a 12,5 miliardi/anno. Tale intervento consente inoltre di distribuire nel tempo una parte degli oneri economici per l’incentivazione delle fonti rinnovabili elettriche e valorizzare l’intera vita tecnica degli impianti, senza penalizzare gli investimenti già effettuati.


 

Articolo 1, commi 7 e 8
(Attestato di prestazione energetica)

 

 

I commi 7 e 8 intervengono in materia di certificazione energetica degli edifici, modificando le nuove norme introdotte con il D.L. 63/2013 sulla necessità di allegare l’attestato di prestazione energetica (APE) agli atti di trasferimento di immobili.

In particolare, il comma 7 sostituisce i commi 3 e 3-bis dell’articolo 6 del D.Lgs. 192/2005[4] con le finalità principali di:

§      eliminare la necessità di valutare la prestazione energetica degli edifici per gli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito;

§      eliminare l’obbligo di allegare l’APE ai nuovi contratti di locazione di singole unità immobiliari;

§      sostituire, quale penalità per non aver allegato l’APE all’atto, la nullità del contratto con una sanzione amministrativa pecuniaria.

 

Si ricorda che l’articolo 6 del D.Lgs. 192/2005 prevedeva l’inserimento di una clausola nei contratti di vendita, negli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito e nei nuovi contratti di locazione di edifici o di singole unità immobiliari con la quale l'acquirente o il conduttore danno atto di aver ricevuto le informazioni e la documentazione, comprensiva dell'attestato, in ordine alla attestazione della prestazione energetica degli edifici (comma 3). L'APE fosse essere allegato al contratto di vendita, agli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito o ai nuovi contratti di locazione, pena la nullità degli stessi contratti (comma 3-bis).

 

Alla sanzione amministrativa pecuniaria introdotta (da 3 a 18 mila euro) , in caso di omessa dichiarazione o allegazione, le parti sono soggette in solido e in eguale misura.

Per i contratti di locazione di singole unità immobiliari (soggetti, in seguito alla modifica normativa intervenuta con il presente decreto, al solo obbligo di dichiarazione), la sanzione è ridotta (da mille a 4 mila euro) e, se la durata della locazione non eccede i tre anni, è ridotta alla metà.

L’accertamento e la contestazione della violazione sono svolti dalla Guardia di Finanza o, all’atto della registrazione di uno dei contratti, dall’Agenzia delle Entrate, che, per l’ulteriore corso del procedimento sanzionatorio, presentano rapporto al Prefetto (ai sensi dell’articolo 17 della legge n. 689/1981).

La legge 27.12.2013 n.147 ( Legge di Stabilità 2014) modifica lo stesso comma 3-bis (integralmente sostituito dal decreto legge in esame) dell’articolo 6 del d.lgs. 192/2005 (attraverso la modifica della legge 90/2013), disponendo che l’obbligo di allegazione agli atti e ai contratti decorre dalla data di entrata in vigore del nuovo decreto ministeriale che adegua le Linee Guida Nazionali per la Certificazione Energetica degli Edifici.

Inoltre nel decreto legge 30 dicembre 2013, n. 151, (Milleproroghe), si interviene ancora sull’attestato di prestazione energetica, al comma 5 dell’articolo 2, nel quale si afferma che nelle operazioni immobiliari l’attestato di prestazione energetica può essere acquisito successivamente agli atti di trasferimento e non si applica quanto disposto dal comma 3-bis dell’articolo 6 del d.lgs. 192/2005.

 

Andrebbe valutata l’opportunità di effettuare un coordinamento tra le disposizioni, contenute nei diversi atti normativi, che incidono sull’attestato di prestazione energetica (APE).

 

Il comma 8 prevede una norma di tutela per i contratti a cui sia stata applicata la normativa precedente, e dunque per i contratti di vendita, agli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito o ai nuovi contratti di locazione a cui non era stato allegato l'APE e soggetti pertanto a nullità.

Per tali contratti, in luogo della nullità anteriormente prevista, si applica la sanzione amministrativa, su richiesta di almeno una delle parti o di un suo avente causa, purché la nullità del contratto non sia già stata dichiarata con sentenza passata in giudicato.


 

Articolo 1, comma 9
(Disciplina del condominio)

 

 

Il comma 9 interviene sul codice civile, e sulle sue disposizioni di attuazione, per quanto concerne la disciplina del condominio degli edifici, recentemente novellata dalla legge n. 220 del 2012.

 

La legge 11 dicembre 2012, n. 220, novellando principalmente il capo del codice civile dedicato al condominio negli edifici (artt. 1117 e ss.), rappresenta l'approdo di un percorso di riforma che ha impegnato il Parlamento per più legislature. I principali profili di novità introdotti dalla riforma sono i seguenti:

§       un'indicazione più completa, anche se non tassativa, delle parti comuni dell'edificio; tra esse, è esplicitamente citato il sottotetto, ove esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all'uso comune o all'esercizio di un servizio di interesse comune;

§       una più aggiornata disciplina dell’ambito di applicazione della disciplina condominiale; in particolare, la novella chiarisce che la normativa del condominio si applica anche al cd. supercondominio, finora istituto d’elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale;

§       la previsione di modificazioni e tutela delle destinazioni d’uso delle parti comuni;

§       la specifica previsione delle condizioni (da tempo individuate dalla giurisprudenza) che giustifichino il distacco del singolo condomino dall'impianto centralizzato di riscaldamento;

§       la possibilità di introdurre particolari innovazioni con una maggioranza meno elevata di quella prevista attualmente dal codice (in generale, sono le innovazioni destinate al miglioramento, alla salubrità o all’uso più comodo delle cose comuni, come l'eliminazione delle barriere architettoniche, l'installazione di impianti di videosorveglianza sulle parti comuni dell'edificio, di impianti per la produzione di energia eolica, solare o comunque da fonte rinnovabile);

§       la nuova ripartizione delle spese per scale ed ascensori;

§       la disciplina relativa all'amministratore del condominio, forse la parte di maggior rilievo della riforma; in particolare, sono dettate in misura più stringente le sue attribuzioni ed i suoi doveri amministrativi e contabili in funzione di una maggior conoscibilità e trasparenza del suo operato da parte dei condomini (ad es., l'assemblea potrà deliberare l'attivazione di un sito Internet del condominio da cui consultare ed estrarre copia in formato digitale dei documenti previsti dalla delibera assembleare);

§       la previsione che i regolamenti condominiali non potranno in alcun modo vietare il possesso o la detenzione di animali domestici da parte di singoli condomini;

§       le nuove regole sulla costituzione dell’assemblea e sulla validità delle deliberazioni, di cui sono abbassati i quorum.

 

Il decreto-legge integra cinque diversi aspetti della disciplina del condominio. In particolare, la lettera a) del comma 9 demanda ad un regolamento del Ministro della giustizia l’individuazione dei requisiti necessari per esercitare l’attività di formazione degli amministratori di condominio, nonché le determinazione dei criteri, dei contenuti e delle modalità di svolgimento dei corsi di formazione iniziale e periodica.

 

Si ricorda che l'articolo 25 della legge n. 220/2012 ha inserito tra le disposizioni di attuazione del codice civile gli articoli da 71-bis a 71-quater. In particolare, l’articolo 71-bis enumera i requisiti per lo svolgimento dell'incarico di amministratore di condominio, richiedendo la frequenza a corsi di formazione, iniziale e periodica, in materia di amministrazione condominiale (comma 1, lett. g)); a quanti hanno svolto attività di amministrazione di condominio per almeno un anno all’entrata in vigore della riforma non è richiesta la formazione iniziale ma è ribadito l’obbligo della formazione periodica (comma 5).

 

La lettera b) novella la disciplina delle maggioranze richieste per l’approvazione delle innovazioni (art. 1120 c.c.). In particolare, il decreto-legge elimina le opere e gli interventi per il contenimento del consumo energetico degli edifici dall’elenco delle innovazioni che possono essere decise dalla maggioranza semplice dell’assemblea condominiale (vale a dire un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio, ex art. 1136, secondo comma, c.c.). Conseguentemente, anche per tali innovazioni sarà necessaria la maggioranza qualificata (ovvero, un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno i due terzi del valore dell’edificio, ex art. 1136, quinto comma, c.c.).

 

La lettera c) novella l’art. 1130 del codice civile, relativo alle attribuzioni dell’amministratore di condominio, con particolare riferimento all’obbligo di tenuta del registro di anagrafe condominiale contenente tutti i dati anagrafici e fiscali dei condomini, la sussistenza di eventuali diritti reali e di godimento nonché i dati catastali delle singole unità immobiliari. Il decreto-legge specifica che le annotazioni relative alle condizioni di sicurezza – cui fa riferimento il comma 1, n. 6) - sono da intendere esclusivamente come inerenti alle parti comuni dell’immobile.

 

Il testo dell’art. 1130, primo comma, c.c., in vigore prima della riforma del 2012, prevedeva che costituisse dovere dell’amministratore di condominio, tra l’altro: «6) curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale contenente le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento, comprensive del codice fiscale e della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare, nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza. Ogni variazione dei dati deve essere comunicata all'amministratore in forma scritta entro sessanta giorni. L'amministratore, in caso di inerzia, mancanza o incompletezza delle comunicazioni, richiede con lettera raccomandata le informazioni necessarie alla tenuta del registro di anagrafe. Decorsi trenta giorni, in caso di omessa o incompleta risposta, l'amministratore acquisisce le informazioni necessarie, addebitandone il costo ai responsabili».

 

La lettera d) interviene sull’art. 1135 del codice civile, in tema di attribuzioni dell’assemblea dei condomini, con particolare riferimento all’obbligo di costituire un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori quando l’assemblea provvede in ordine alle opere di manutenzione straordinaria e alle innovazioni. Il decreto-legge specifica che, se i lavori condominiali devono essere eseguiti in base a un contratto che ne prevede il pagamento graduale in funzione del loro stato di avanzamento, l’importo del fondo speciale può non essere pari all’ammontare complessivo dei lavori, bensì ai singoli importi dovuti per le fasi di avanzamento.

 

Infine, la lettera e) novella l’art. 70 delle disposizioni di attuazione del codice civile, in tema di sanzioni per le infrazioni al regolamento condominiale.

 

La legge n. 220 del 2012 è intervenuta su questa disposizione aggiornando la sanzione prevista, portandola da 0,052 euro (pari a 100 lire) a 200 euro. La novella prevede inoltre una sanzione più elevata in caso di recidiva (fino a 800 euro). L’importo delle sanzioni è versato nel fondo relativo alle spese ordinarie del condominio.

 

Il decreto-legge specifica che all’irrogazione delle sanzioni provvede l’assemblea condominiale a maggioranza semplice (vale a dire con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio, ex art. 1136, secondo comma, c.c.).


 

Articolo 1, comma 10
(Energia geotermica)

 

 

Il comma 10 riguarda le competenze statali sugli impianti per l’estrazione di energia geotermica.

In particolare, la norma integra il decreto di riassetto della normativa sull’energia geotermica (decreto legislativo n. 22/2010) per specificare che nell’ambito della determinazione degli indirizzi della politica energetica nazionale, al fine di sostenere lo sviluppo delle risorse geotermiche, spetta allo Stato individuare gli impianti per l’estrazione dell’energia geotermica.

Si ricorda che l’articolo 1, comma 7, elenca una serie di compiti esercitati dallo Stato in materia di energia. La lettera i) riguarda l'individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti strategici. La Corte costituzionale, con sentenza 11-14 ottobre 2005, n. 383 (Gazz. Uff. 19 ottobre 2005, n. 42 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità della presente lettera, nella parte in cui non prevede che l'individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti strategici da parte dello Stato avvenga d'intesa con le Regioni e le Province autonome interessate.

L’articolo 57 del D.L. 5/2012, come integrato dal D.L. 83/2012, individua come infrastrutture strategiche, tra le altre, anche gli impianti per l'estrazione di energia geotermica.

 

Al riguardo, anche alla luce della giurisprudenza della Corte Costituzionale, andrebbe valutata l’opportunità di inserire l’intesa con le Regioni e le Province autonome interessate.


 

Articolo 1, commi 11-14
(Centrale a carbone nel Sulcis)

 

 

I commi da 11 a 14 riformulano le norme relative al progetto di realizzazione di una centrale termoelettrica a carbone, dotata di apposita sezione di impianto per la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica prodotta (CCS), da realizzare sul territorio del Sulcis Iglesiente. La Regione Sardegna, entro il 30 giugno 2016, potrà bandire una gara per realizzare tale centrale. Al vincitore sarà assicurato il prelievo dell’energia a prezzi incentivati, con copertura degli oneri mediante prelievo sulle tariffe elettriche.

 

In particolare, il comma 11 abroga l’articolo 11, comma 14, del decreto-legge n. 35/2005[5], che prevedeva l’assegnazione tramite gara da parte della Regione Sardegna di una concessione integrata per la gestione della miniera di carbone del Sulcis e la produzione di energia elettrica con la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica prodotta, assicurando al concessionario l'acquisto da parte del Gestore della rete di trasmissione nazionale S.p.a. dell'energia elettrica prodotta ai prezzi e secondo le modalità previste dal decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1994.

Le norme del citato decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1994 (Attuazione del piano di disinquinamento del territorio del Sulcis-Iglesiente) cessano di efficacia relativamente alla concessione integrata per la gestione della miniera di carbone del Sulcis e produzione di energia elettrica e cogenerazione di fluidi caldi mediante gassificazione e ai relativi meccanismi di incentivazione.

 

Si ricorda che l’articolo 1 del D.P.R. 28 gennaio 1994 prevede l’affidamento di una concessione integrata per la gestione della miniera di carbone del Sulcis e produzione di energia elettrica e cogenerazione di fluidi caldi mediante gassificazione, assicurando al concessionario l'acquisto dell'energia elettrica prodotta ai prezzi indicati in allegato B, nonché le agevolazioni finanziarie di cui commi 2 e 3 dell'art. 8. L’articolo 8, tra l’altro, dispone che il prezzo di cessione dell'energia elettrica prodotta dal concessionario con carbone Sulcis mediante gassificazione, riportato nel citato allegato B, sia regolato dalle disposizioni del provvedimento CIP n. 6 del 29 aprile 1992.

 

Si segnala anche che il 2 agosto 2013 è stato firmato un Protocollo d’Intesa per lo sviluppo di un Polo Tecnologico per il Carbone Pulito nell’area del Sulcis Iglesiente, tra il Ministero dello sviluppo economico e la Regione Sardegna. Il Protocollo prevede due fasi. La prima riguarda lo sviluppo di un centro di ricerca con un impianto a tecnologia evoluta di ossicombustione di potenza di circa 50 MWt, da realizzarsi entro 2/3 anni, e di altre tecniche di cattura e confinamento dell’anidride carbonica. La seconda fase prevede la realizzazione di una centrale elettrica con tecnologia CCS (Carbon Capture and Storage).

 

Il comma 12 attribuisce alla Regione Autonoma della Sardegna, entro il 30 giugno 2016, la facoltà di bandire una gara per realizzare una centrale termoelettrica a carbone, dotata di apposita sezione di impianto per la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica prodotta, da realizzare sul territorio del Sulcis Iglesiente, in prossimità del giacimento carbonifero, assicurando la disponibilità delle aree e delle infrastrutture necessarie.

Al vincitore della gara è assicurato l’acquisto da parte del Gestore dei servizi energetici S.p.a. dell’energia elettrica prodotta e immessa in rete dall’impianto, fino al ventesimo anno di esercizio, al prezzo di mercato maggiorato di un incentivo fino a 30 Euro/MWh sulla base della produzione di energia elettrica con funzionamento a piena capacità di cattura della CO2 e del funzionamento del relativo stoccaggio, rivalutato sulla base dell’inflazione calcolata sull’indice Istat, per un massimo di 2100 GWh/anno.

 

La relazione tecnica segnala che l’onere a carico delle tariffe (30€/MWh fino ad un massimo di 2100 GWh/anno) risulta inferiore a quello previsto in precedenza, che era pari a circa 150€/MWh senza limiti di produzione incentivabile.

 

Per assicurare la compatibilità comunitaria dell’intervento, si dispone che:

§      il rapporto tra l’ammontare complessivo di tale incentivo e il costo totale di investimento sostenuto dal vincitore della gara non deve superare le proporzioni consentite dalle norme comunitarie sugli aiuti di Stato[6];

§      nessun incentivo può essere concesso prima dell’approvazione da parte della Commissione europea.

 

Viene poi penalizzata l’eventuale situazione di funzionamento della centrale termoelettrica in assenza di cattura e stoccaggio della CO2 incrementando in tal caso le emissioni di gas serra attribuite all’impianto del 30%.

 

Il comma 13 pone a carico del sistema elettrico italiano gli oneri derivanti dall’attuazione del comma 12, con corrispondente prelievo sulle tariffe elettriche.

Le modalità di esazione della relativa componente tariffaria saranno definite dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas entro novanta giorni e basate su parametri tecnici rappresentanti i punti di connessione alle reti di distribuzione.

 

Il comma 14 rinvia ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la determinazione:

§      degli elementi e dei criteri per la valutazione delle offerte della gara;

§      le modalità dell’audit esterno cui il vincitore della gara è tenuto sottoporsi per evitare sovra compensazioni rispetto ai costi effettivamente sostenuti.

L’Autorità per l’energia elettrica e il gas stabilisce le modalità con cui le risorse prelevate dalle tariffe elettriche sono erogate dalla Cassa conguaglio per il settore elettrico a copertura del fabbisogno derivante dal pagamento dell’incentivo sull’energia acquistata dal Gestore dei servizi energetici S.p.a.

Procedure di contenzioso
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Nel 2008, la Commissione europea ha avviato un’indagine nei confronti dell’Italia volta ad appurare se, nell’ambito del progetto Sulcis in via di approvazione, il previsto sovvenzionamento del funzionamento di una miniera di carbone (la miniera di Nuraxi-Figus in Sardegna) e la produzione di energia elettrica ottenuta da questo carbone attraverso la cessione garantita di energia elettrica al gestore dei servizi elettrici (GSE) a prezzi fissi sovvenzionati potessero configurarsi come aiuti di Stato.

In particolare, ad avviso della Commissione, il prezzo garantito dell’energia elettrica avrebbe potuto fornire un vantaggio concorrenziale indebito a favore del gestore dell'impianto rispetto ai concorrenti, privi di tali sovvenzioni. Inoltre, anche la prevista cessione di tale energia a tariffe concorrenziali alle imprese energivore locali si sarebbe potuta configurare come una violazione delle norme sugli aiuti di Stato.

 

Dopo l'apertura di questa indagine, l'Italia ha ritirato il progetto e, nel 2011, ha notificato un progetto modificato.

Tale progetto non prevede tariffe preferenziali per le imprese locali ad elevato consumo di energia. Tuttavia, reca la previsione della sovvenzione all’operatore dell’impianto mediante la cessione garantita di energia. L'importo dell'aiuto corrisponderebbe alla differenza tra le tariffe garantite e i prezzi di mercato per tutta la durata della centrale.

 

Con riferimento a tale nuovo progetto, nel novembre 2012, la Commissione europea ha avviato due nuove indagini ai sensi delle norme sugli aiuti di Stato sulle misure di sostegno pubblico nella regione del Sulcis-Iglesiente in Sardegna. Per quanto riguarda la prima (SA 20867), la Commissione intende verificare la conformità con le norme sugli aiuti di Stato delle misure di sostegno, pari ad oltre 400 milioni di euro concessi dall’Italia dal 1998 a favore di Carbosulcis, l'azienda che sfrutta la miniera di carbone di Nuraxi-Figus. Con la seconda indagine (SA 33824), la Commissione vuole verificare se le sovvenzioni che l'Italia intende concedere per il “progetto Sulcis”, riguardante la costruzione di una centrale a carbone dotata di un sistema di cattura e stoccaggio del carbone (CCS), sono in linea con le norme UE sugli aiuti di Stato.

A tale proposito, si segnala che, tra il 1998 e il 2010, Carbosulcis SpA ha ricevuto il sostegno pubblico pari ad almeno 405 milioni di euro sotto forma di investimenti e di aiuti al funzionamento, nonché il sostegno volto a fini di tutela ambientale, di R & S e di formazione. Tutte le misure sono state concesse senza notifica preliminare alla Commissione, in violazione delle norme comunitarie sugli aiuti di Stato.


 

Articolo 1, comma 15
(Obbligo di immissione di biocarburanti)

 

 

Con il comma 15 si congela la quota minima di miscelazione dei biocarburanti nella benzina e nel gasolio del settore dei trasporti al 4,5% per il 2014 (evitando così l’aumento previsto di mezzo punto percentuale, con conseguente riverbero sui prezzi dei carburanti). Con modalità successive verranno stabiliti gli incrementi annui per il raggiungimento della quota minima al 2020. A decorrere dall'anno 2014, poi, si potranno utilizzare più biocarburanti prodotti da rifiuti e sottoprodotti.

 

Al fine di sviluppare la filiera e aumentare l’uso dei biocarburanti, in Italia è stato introdotto l’obbligo, per i fornitori di benzina e gasolio (soggetti obbligati), di immettere nel territorio nazionale (“immissione in consumo”) una quota minima di biocarburanti ogni anno. La quota di biocarburanti da immettere in consumo è calcolata sulla base del potere calorifico totale di benzina e gasolio forniti nell’anno precedente. L’attuale quota di immissione in consumo è pari al 4,5%: ciò significa che nel 2013 i fornitori di benzina e gasolio devono immettere in consumo una quantità di biocarburanti avente un potere calorifico pari al 4,5% dell’energia contenuta nella benzina e nel gasolio venduti nel 2012. La quota percentuale era destinata a salire, ai sensi del D.Lgs. 28/2011, fino a raggiungere il 5 % entro il 2014. La norma in esame, come si è detto, evita questo aumento congelando la percentuale al livello attuale del 4,5%. Inoltre, anziché prendere come parametro di riferimento il potere calorifico totale di benzina e gasolio forniti nell’anno precedente, la norma in esame sposta il calcolo sullo stesso anno solare, a decorrere dal 2015.

L’obiettivo della disposizione è quello di evitare un incremento del prezzo dei carburanti in un periodo di congiuntura sfavorevole. La relazione tecnica stima un risparmio per gli utenti di circa 70 milioni di euro, che corrisponde a un risparmio stimabile in quasi 2 millesimi di euro a litro di carburante venduto, in virtù del differenziale tra il prezzo dei biocarburanti (normalmente più alto) e quello dei carburanti.

 

In particolare, la norma interviene sul D.Lgs. 28/2011[7] per

§      ridurre al 4,5% (rispetto al 5%) la quota minima di carburanti liquidi o gassosi per i trasporti ricavati dalla biomassa che i soggetti che immettono in consumo benzina e gasolio, prodotti a partire da fonti primarie non rinnovabili e destinati ad essere impiegati per autotrazione, hanno l'obbligo di immettere in consumo nel territorio nazionale, calcolata sulla base del tenore energetico, da conseguire entro l'anno 2014.

Si ricorda che il decreto del Ministero dello sviluppo economico del 25 gennaio 2010 (Modifica della quota minima di immissione in consumo di biocarburanti ed altri carburanti rinnovabili) aveva fissato tale quota minima per l'anno 2010 nella misura del 3,5 per cento; per l'anno 2011 nella misura del 4 per cento, e per l'anno 2012 nella misura del 4,5 per cento. Il D.Lgs. 28/2011 aveva fissato tale quota nel 5% entro il 2014;

§      prevedere che, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, siano stabiliti gli incrementi annui per il raggiungimento della quota minima al 2020.

 

Si dispone inoltre che, a decorrere dal 1° gennaio 2015, la predetta quota minima sia determinata in una quota percentuale di tutto il carburante, benzina e gasolio, immesso in consumo nello stesso anno solare, calcolata sulla base del tenore energetico.

 

La normativa attuale (articolo 2-quater del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2) la quota minima è determinata sulla base di tutto il carburante, benzina e gasolio, immesso in consumo nell'anno solare precedente, calcolata sulla base del tenore energetico. Dal momento che questo sistema determina grandi difficoltà per gli operatori, soprattutto di dimensioni minori, poiché i volumi esitati variano sensibilmente di anno in anno, il Governo ha ritenuto di utilizzare come anno di riferimento per il calcolo dell’obbligo quello in cui l’obbligo sorge.

 

Entro tre mesi, con decreto di natura non regolamentare del Ministro dello sviluppo economico, sentito il Comitato tecnico consultivo biocarburanti[8], verranno aggiornate le condizioni, i criteri e le modalità di attuazione dell’obbligo, ai sensi dell’articolo 1, comma 368, punto 3 della legge n. 296/2006.

Il richiamato articolo 1, comma 368, punto 3 della legge n. 296/2006 prevede che tali condizioni siano determinate secondo obiettivi di sviluppo di filiere agroenergetiche e in base a criteri che in via prioritaria tengono conto della quantità di prodotto proveniente da intese di filiera, da contratti quadro o contratti ad essi equiparati.

 

Inoltre, viene ampliata la gamma dei residui, qualificati come sottoprodotti, ai fini della possibilità di adempiere all’obbligo di immissione in consumo della predetta quota minima.

Si interviene a tal fine sul comma 5-ter dell’articolo 33 del D.Lgs. 28/2011, che elenca i residui che, limitatamente alla categoria dei sottoprodotti, hanno accesso alla maggiorazione secondo la quale i biocarburanti prodotti a partire da essi contribuiscono, al fine dell’assolvimento dell’obbligo, per una quantità pari a due volte l'immissione in consumo di altri biocarburanti. Tale elenco viene modificato per eliminare alcune limitazioni sull’uso di materie prime da utilizzare nella produzione dei biocarburanti che attenevano soprattutto alla provenienza di alcune tipologie di residui dagli stabilimenti di produzione del biodisel, e per prevedere anche l’estensione dell’utilizzo dei grassi animali di categoria 2.

 

I materiali di categoria 2 comprendono i seguenti sottoprodotti di origine animale:

§       lo stallatico e il contenuto del tubo digerente;

§       tutti i materiali di origine animale diversi da quelli appartenenti alla categoria 1 e raccolti nell'ambito del trattamento delle acque reflue dei macelli;

§       i prodotti di origine animale contenenti residui di farmaci veterinari e di agenti contaminanti se in concentrazione eccedente i limiti comunitari;

§       i prodotti di origine animale diversi dai materiali di categoria 1 che sono importati da paesi terzi e non risultano conformi ai requisiti veterinari comunitari;

§       gli animali che non rientrano nella categoria 1 e che non siano stati macellati per il consumo umano;

§       le miscele di materiali di categoria 2 e 3.

 

Infine, viene elevata al 40%, a decorrere dal 2014, la soglia massima di utilizzo di materia prima rifiuti e sottoprodotti. In questo modo si intende incentivare l’impiego di tale materia prima, che non è in concorrenza con le materie prime utilizzate per la produzione di prodotti alimentari per l’uomo e per gli animali.

Si ricorda che il 5-quinquies dell’articolo 33 del D.Lgs. 28/2011 prevedeva che, a decorrere dal 2013, i soggetti obbligati possono adempiere al proprio obbligo annuale complessivo di immissione in consumo di biocarburanti nella misura massima del 20% con certificati di immissione in consumo di biocarburanti che sono stati prodotti a partire da rifiuti e sottoprodotti.

Con decreto di natura non regolamentare del Ministro dello sviluppo economico, sentito il Comitato tecnico consultivo biocarburanti, si provvede ad aggiornare il valore di tale soglia massima.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Si segnala che è in corso di esame presso le istituzioni europee la proposta di direttiva COM(2012)595 che modifica le direttive sulla qualità dei carburanti e sulle energie rinnovabili per tenere conto delle emissioni associate al cambio d'uso indiretto dei suoli (Indirect land use change, ILUC) dovuto alla domanda europea di biocarburanti.

A tale proposito, si ricorda che, in seguito all’aumento della produzione e del consumo di biocarburanti, si è verificato l'aumento delle emissioni ILUC dovuto all'espansione delle colture destinate a produrre biocarburanti di prima generazione nonché altre ricadute negative (riduzione delle colture alimentari, aumento dei prezzi delle derrate).

Tale proposta prevede, tra l’altro, la promozione dei biocarburanti avanzati, basati su materie prime che non consumano terra, e, di conseguenza, la riduzione della dipendenza UE dalle importazioni.

La proposta, su cui si è già espresso il Parlamento europeo in prima lettura il 19 settembre 2013, è stata oggetto di esame da parte del Consiglio lo scorso 12 dicembre 2013.

Procedure di contenzioso
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Si segnala che il 26 settembre 2013 la Commissione europea ha emesso un parere motivato ai sensi dell’articolo 258 TFUE nell’ambito della procedura di infrazione n. 2011/212, avviata nei confronti dell’Italia per non aver comunicato tutte le misure di attuazione nel diritto interno della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili.

Sulla base della valutazione delle misure fin qui comunicate dalla Repubblica italiana, la Commissione ritiene che non siano stati recepiti alcuni specifici punti.


 

Articolo 1, comma 16
(Gare per la distribuzione del gas)

 

 

Il comma 16 interviene sulle norme che regolano le gare di ambito per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas, e in particolare sul calcolo del valore di riscatto che il distributore subentrante deve versare al gestore uscente.

 

Viene modificato l’articolo 15, comma 5, del D.Lgs. 164/2000[9], che rinviava, per il calcolo del rimborso dovuto dal nuovo gestore ai titolari degli affidamenti e delle concessioni in essere, al regio decreto 15 ottobre 1925, n. 2578[10].

L’articolo 24 del citato R.D. prevede, alle lettere a) e b), che per determinare il valore di riscatto si tenga conto dei seguenti termini:

a)    valore industriale dell'impianto e del relativo materiale mobile ed immobile, tenuto conto del tempo trascorso dall'effettivo cominciamento dell'esercizio e dagli eventuali ripristini avvenuti nell'impianto o nel materiale ed inoltre considerate le clausole che nel contratto di concessione siano contenute circa la proprietà di detto materiale, allo spirare della concessione medesima. Tale valore, ai sensi dell’articolo 13 del D.P.R. 902/1986, è determinato sulla base dello stato di consistenza e del costo che dovrebbe essere sostenuto per la ricostituzione dell'impianto stesso, deducendo dall'importo risultante il valore del degrado fisico degli impianti e il valore degli impianti divenuti obsoleti, al netto dell'eventuale valore di recupero, nonché i costi per la trasformazione degli impianti onde adeguarli alle esigenze del processo produttivo.

b)    anticipazioni o sussidi dati dai comuni, nonché importo delle tasse proporzionali di registro anticipate dai concessionari e premi eventualmente pagati ai comuni concedenti.

 

Secondo la modifica apportata dal decreto-legge in esame, per il calcolo del rimborso si fa riferimento all'articolo 14 comma 8 del D.Lgs. 164/2000. In ogni caso, dal rimborso sono detratti i contributi privati relativi ai cespiti di località (quali i contributi pagati dai privati per i loro allacciamenti alla rete di distribuzione).

Il citato articolo 14, comma 8, il valore di rimborso al gestore uscente è pari al valore delle immobilizzazioni nette di località del servizio di distribuzione e misura, relativo agli impianti la cui proprietà viene trasferita dal distributore uscente al nuovo gestore, incluse le immobilizzazioni in corso di realizzazione, al netto dei contributi pubblici in conto capitale e dei contributi privati relativi ai cespiti di località, calcolato secondo la metodologia della regolazione tariffaria vigente e sulla base della consistenza degli impianti al momento del trasferimento della proprietà

In estrema sintesi, secondo il R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578, il valore di rimborso riconosciuto al gestore uscente è costituito dal VIR (valore industriale residuo), calcolato sulla base valore della rete come se fosse costruita oggi a nuovo, diminuito degli ammortamenti previsti dall’AEEG, e detratti i contributi pubblici ricevuti ma non i contributi privati (D.M. 226/2011[11], articolo 5, comma11).

Inoltre il D.Lgs. 93/2011, di recepimento del “Terzo pacchetto energia” UE, prevede che l'Autorità per l'energia elettrica e il gas, limitatamente al primo periodo di esercizio delle concessioni assegnate per ambiti territoriali minimi, riconosca in tariffa al gestore entrante l'ammortamento della differenza tra il valore di rimborso (ossia il VIR) e il valore delle immobilizzazioni nette (ossia il RAB, acronimo di Regulatory Asset Base), al netto dei contributi pubblici in conto capitale e dei contributi privati relativi ai cespiti di località.

Si segnala che nell’agosto 2013 l’AEEG ha pubblicato un Documento di consultazione (DCO 359/2013/R/GAS) sulla definizione delle regole per la determinazione del costo riconosciuto e delle tariffe dei servizi di distribuzione e misura del gas nel quarto periodo di regolazione, che di recente è sfociato nella delibera 12 dicembre 2013 n. 573/2013/R/gas.

L’AEEG, dunque utilizza la differenza tra VIR e RAB come base per la determinazione del valore su cui si calcoleranno le tariffe di distribuzione per i successivi dodici anni di concessione.

Come si è detto, nel calcolo del VIR non vengono detratti i contributi versati dai privati per gli allacciamenti, che invece vengono decurtati nella regolazione tariffaria. Questo causerebbe un aumento in prospettiva delle tariffe di distribuzione a carico dei clienti finali.

Con l’intervento normativo in esame, dunque, si mira ad allineare il valore del VIR a quello della RAB, che è il valore che è preso a riferimento dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas per la determinazione delle tariffe di distribuzione e che rappresenta il valore effettivo dell’impresa di distribuzione del gas (il valore del capitale investito netto, determinato in base al metodo del costo storico rivalutato).


 

Articolo 2, comma 1
(Riforma della disciplina degli incentivi all’autoimprenditorialità)

La riforma dell’autoimprenditorialità

L’articolo 2, comma 1, riforma la disciplina degli incentivi all’autoimprenditorialità (di cui al Titolo I del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185) con misure volte prevalentemente a sostenere la creazione e lo sviluppo, attraverso migliori condizioni di accesso al credito, di piccole imprese possedute in prevalenza da giovani e da donne. Le disposizioni introdotte vanno a modificare significativamente la disciplina vigente.

All’interno del Titolo I del D.Lgs. 185/2000 (interamente dedicato all’autoimprenditorialità) è infatti inserito un nuovo Capo, rubricato “Misure in favore della nuova imprenditorialità nei settori della produzione e dei servizi”. Sono conseguentemente abrogati i Capi I, II e IV del suddetto Titolo I recanti misure in favore della nuova imprenditorialità nei settori della produzione dei beni e dei servizi alle imprese; misure in favore della nuova imprenditorialità nel settore dei servizi e .misure in favore delle cooperative sociali

Ambito di applicazione degli incentivi

Gli incentivi sono applicabili in tutto il territorio nazionale: viene infatti soppressa la disposizione che ne limitava l’applicazione alle aree svantaggiate del Paese (nuovo articolo 1 inserito nel D.lgs. 185/2000).

L’articolo 2 del D.Lgs. 185 del 2000, integralmente sostituito dal D.L. in esame, prevede che le misure incentivanti siano applicabili nei territori di cui ai nuovi obiettivi 1 e 2 dei programmi comunitari, nelle aree ammesse alla deroga di cui all'articolo 87 (già articolo 92), paragrafo 3, lettera c), del Trattato di Roma, come modificato dal Trattato di Amsterdam, nonché nelle aree svantaggiate di cui al decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 14 marzo 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 15 giugno 1995, n. 138, e successive modificazioni.

Tipologia di incentivi

Per quanto riguarda i benefici (nuovo articolo 2 inserito nel D.lgs. 185/2000), essi consistono nella concessione di mutui agevolati per gli investimenti, a tasso zero, per una durata massima di otto anni e per un importo non superiore al 75 per cento della spesa ammissibile ai sensi della normativa comunitaria. Rispetto alla disciplina previgente, la principale novità consiste nella soppressione dei contributi a fondo perduto. Scompare inoltre dalla tipologia di benefici concedibili il riferimento all’assistenza tecnica in fase di realizzazione degli investimenti e all’attività di formazione funzionale alla realizzazione del progetto.

L’articolo 3 del D.lgs.185 del 2000, integralmente sostituito dal decreto legge in esame, prevede che ai soggetti ammessi alle agevolazioni siano concedibili i seguenti benefìci: a) contributi a fondo perduto e mutui agevolati, per gli investimenti, secondo i limiti fissati dall'Unione europea; b) contributi a fondo perduto in conto gestione, secondo i limiti fissati dall'Unione europea; c) assistenza tecnica in fase di realizzazione degli investimenti e di avvio delle iniziative; d) attività di formazione e qualificazione dei profili imprenditoriali, funzionali alla realizzazione del progetto.

 

E’ invece esplicitato nella disposizione introdotta dall’articolo in esame che l’ammissibilità degli incentivi deve essere valutata nei sensi e nei limiti del Regolamento CE 1998/2006, in materia di aiuti di stato di importanza minore (c.d.<<de minimis>>) nonché di eventuali modifiche successive al regolamento stesso. Tali modifiche sono peraltro intervenute con l’approvazione del nuovo Regolamento n. 1407/2013/UE del 18 dicembre 2013, con effetto dal 1 gennaio 2014.

 

Andrebbe valutata l’opportunità di citare direttamente nel testo il nuovo Regolamento comunitario in materia di aiuti di stato di importanza minore.

 

E' stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea del 24 dicembre 2013 il regolamento 1407/2013 del 18 dicembre sull'applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell'Ue agli aiuti "de minimis", che contiene le regole sulle modalità di erogazione di aiuti minimi alle imprese senza notificazione in via preventiva alla Commissione Ue.

Si ricorda che l’ articolo 3 del Regolamento detta un’articolata disciplina dei limiti di ammissibilità degli aiuti c.d. “de minimis”, ossia gli aiuti che non corrispondono a tutti i criteri dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato e non sono pertanto soggetti all'obbligo di notifica di cui all'articolo 88, paragrafo 3. Il Regolamento si applica solo agli aiuti riguardo ai quali è possibile calcolare con precisione l'equivalente sovvenzione lordo ex ante senza che sia necessario effettuare un'analisi del rischio («aiuti trasparenti»).

 

Per quanto riguarda le garanzie per i mutui agevolati, resta sostanzialmente inalterata la disciplina previgente (ex articolo 4 del D.lgs.185/2000) la quale fa riferimento a quelle previste dal codice civile e da privilegio speciale.

Soggetti beneficiari

I soggetti che possono accedere ai benefici (ai sensi del nuovo articolo 3 inserito nel D.lgs. 185 del 2000) devono possedere una serie di requisiti. Il primo è quello della novità dell’impresa: deve trattarsi di imprese costituite da non più di sei mesi alla data di presentazione della domanda di agevolazione.

Il secondo requisito attiene alla dimensione dell’impresa: deve trattarsi di imprese di micro e piccola dimensione secondo la classificazione comunitaria, ossia un'impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo e/o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di euro (piccola impresa) oppure un'impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo e/o un totale di bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro (microimpresa).

L’articolo 2 dell’Allegato I, al Regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione del 6 Agosto 2008 che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato comune in applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato (regolamento generale di esenzione per categoria) dispone che alla categoria delle microimprese, delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) appartengono le imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro e/o il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro.2. All'interno della categoria delle PMI, si definisce piccola impresa un'impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo e/o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di euro.3. All'interno della categoria delle PMI, si definisce microimpresa un'impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo e/o un totale di bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro.

 

Restano fermi i requisiti della costituzione in forma societaria e quello per cui la compagine societaria sia costituita, per oltre la metà numerica di soci e quote, da soggetti in età compresa tra 18 e 35 anni.

Tra gli elementi di novità rispetto alla disciplina previgente vi è l’estensione dei benefici all’imprenditoria femminile. Scompare inoltre il riferimento alle cooperative di produzione e lavoro.

Tra i beneficiari delle agevolazioni non sono più comprese le cooperative sociali.

L’articolo 5 nell’individuare i soggetti beneficiari indicava le società, ivi comprese le cooperative di produzione e lavoro iscritte nel registro prefettizio di cui all'articolo 13 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, e successive modificazioni, composte prevalentemente da soggetti di età compresa tra i 18 ed i 35 anni che abbiano la maggioranza assoluta numerica e di quote di partecipazione, che presentino progetti per l'avvio di nuove iniziative nei settori di cui all'articolo 6, comma 1. Era inoltre specificato che la disciplina sugli incentivi non si applica alle ditte individuali, alle società di fatto ed alle società aventi un unico socio.

Il Capo IV che includeva tra i beneficiari degli incentivi anche le cooperative sociali è abrogato dal decreto legge in esame.

Progetti finanziabili

Sono finanziabili (ai sensi del nuovo articolo 4 del D.Lgs. 185/2000) le iniziative che prevedono investimenti non superiori a 1.500.000 euro relativi alla produzione di beni nei settori dell’industria, dell’artigianato, della trasformazione dei prodotti agricoli ovvero alla fornitura di servizi alle imprese, nonché iniziative relative ad ulteriori settori individuati dal decreto di attuazione.

La disciplina attuale prevede una distinzione tra i progetti finanziabili nei settori della produzione dei beni e dei servizi alle imprese, per i quali il tetto massimo agli investimenti finanziabili è di 2.500.000 euro (articolo 6 del D.lgs. 185/2000) e i progetti per la fornitura di servizi nei settori della fruizione dei beni culturali, del turismo, della manutenzione di opere civili ed industriali, della innovazione tecnologica, della tutela ambientale, dell'agricoltura e trasformazione e commercializzazione dei prodotti agroindustriali per i quali il massimali è di 500.000 euro (articolo 8).

Nel calcolo di tale massimale occorre però tenere presente i limiti previsti dalla normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato c.d. “de minimis”. Al riguardo occorre ricordare che dal 1 gennaio 2014 è in vigore la nuova disciplina comunitaria sugli aiuti di stato di importanza minore (il citato Reg.1407/2013/UE), in relazione alla quale va valutata l’ammissibilità degli incentivi.

L’articolo 4 del Regolamento 1407/2013/Ue prevede in particolare che gli aiuti concessi sotto forma di prestiti sono trattati come aiuti «de minimis» trasparenti se l'equivalente sovvenzione lordo è stato calcolato sulla base dei tassi di interesse praticati sul mercato al momento della concessione. Gli aiuti concessi sotto forma di prestiti sono considerati aiuti «de minimis» trasparenti se:

a)    il beneficiario non è oggetto di procedura concorsuale per insolvenza o non soddisfa le condizioni previste dal diritto nazionale per l'apertura nei suoi confronti di una tale procedura su richiesta dei suoi creditori.

b)    il prestito è assistito da una garanzia pari ad almeno il 50 % dell'importo preso in prestito e ammonta a 1 000 000 EUR (o 500 000 EUR per le imprese che effettuano trasporto di merci su strada) su un periodo di cinque anni oppure a 500 000 EUR (o 250 000 EUR per le imprese che effettuano trasporto di merci su strada) su un periodo di dieci anni.

Gli aiuti concessi sotto forma di garanzie sono considerati aiuti «de minimis» trasparenti se:

a)    il beneficiario non è oggetto di procedura concorsuale per insolvenza o non soddisfa le condizioni previste dal diritto nazionale per l'apertura nei suoi confronti di una tale procedura su richiesta dei suoi creditori. Nel caso di grandi imprese, il beneficiario si trova in una situazione compara­bile a un rating del credito pari almeno a B-; e

b)    la garanzia non eccede l'80 % del prestito sotteso e ha un importo garantito di 1 500 000 EUR (o 750 000 EUR per le imprese che effettuano trasporto di merci su strada) e una durata di cinque anni o un importo garantito di 750 000 EUR (o 375 000 EUR per le imprese che effettuano trasporto di merci su strada) e una durata di dieci anni.

Nel Regolamento CE 2006/1998 citato nel testo, in vigore fino al 31 dicembre 2013, gli aiuti individuali nel quadro di un regime di garanzia a imprese che non sono imprese in difficoltà erano trattati come aiuti «de minimis» trasparenti se la parte garantita del prestito sotteso concesso nell'ambito di tale regime non superava 1 500.000 EUR per impresa. Gli aiuti individuali nel quadro di un regime di garanzia a imprese attive nel settore del trasporto su strada che non sono imprese in difficoltà erano trattati come aiuti «de minimis» trasparenti se la parte garantita del prestito sotteso concesso nell'ambito di tale regime non supera 750.000 EUR per impresa.

Disposizioni attuative

Le disposizioni attuative delle nuove norme sull’autoimprenditorialità sono rimesse ad uno o più regolamenti adottati con decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanarsi entro novanta giorni dall’entrata in vigore del decreto legge 145/2013.

L’articolo 24 del D.lgs. 185/2000 prevedeva che il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, e, relativamente alle disposizioni di cui al titolo I, capo III, anche con il Ministro delle politiche agricole e forestali, fissa con uno o più regolamenti, criteri e modalità di concessione delle agevolazioni previste dal decreto medesimo. Il regolamento è stato emanato con D.M. 16-7-2004 n. 250 recante “Regolamento recante criteri e modalità di concessione degli incentivi in favore dell'autoimprenditorialità, di cui al Titolo I del D.Lgs. 21 aprile 2000, n. 185”.

Risorse finanziarie

Per quanto riguarda la copertura finanziaria, essa è disposta a valere sulle disponibilità del Fondo rotativo previsto dall'articolo 4 del decreto 30 novembre 2004 che definiva i criteri e le modalità di concessione da parte di Sviluppo Italia S.p.a. degli incentivi a favore dell'autoimprenditorialità e dell'autoimpiego. Si tratta di un fondo rotativo depositato su un apposito conto corrente infruttifero intestato a Sviluppo Italia presso la Tesoreria centrale dello Stato

Le predette disponibilità possono essere incrementate da eventuali ulteriori risorse derivanti dalla programmazione nazionale e comunitaria.

 

Coodinamento normativo

Per adeguare la disciplina attuativa delle misure alle nuove previsioni introdotte, sono infine apportate modifiche al titolo III del decreto legislativo n. 185 del 2000, recante «Disposizioni comuni transitorie e finali».

In particolare sono oggetto di coordinamento le disposizioni relative alle agevolazioni per le imprese agricole, che non sono coinvolte nella riforma introdotta dal decreto legge in esame.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Si segnala che dal 1° gennaio 2014 è in vigore il nuovo regolamento relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti «de minimis» (regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione del 18 dicembre 2013), che sostituisce il precedente regolamento 1998/2006.

La riforma, che semplifica e chiarisce le regole, è parte dell’iniziativa della Commissione sulla modernizzazione degli aiuti di Stato, volta a ridurre gli oneri amministrativi per le imprese e gli Stati membri.

Con il nuovo regolamento, viene mantenuto il massimale di 200.000 euro per gli aiuti «de minimis» - non soggetti a notifica - che un’impresa unica può ricevere nell’arco di tre anni da uno Stato membro (tale massimale è di 100.000 euro per le imprese che effettuano trasporto di merci su strada per conto terzi).

Tra le modifiche introdotte: le imprese che si trovano in difficoltà finanziarie non sono più escluse dallo scopo del regolamento e di conseguenza possono accedere agli aiuti de minimis; è stata semplificata e chiarita la definizione giuridica di impresa; a determinate condizione, è possibile beneficiare - ai sensi del regolamento de minimis - di prestiti assistiti fino ad un milione di euro.

Sempre nel quadro della modernizzazione degli aiuti di Stato, il 18 dicembre 2013 la Commissione ha avviato una consultazione sulla revisione del regolamento generale di esenzione per categoria (regolamento CE n. 800/2008), che dichiara compatibili con il mercato comune gli aiuti agli investimenti e all'occupazione in favore delle PMI e altre forme di aiuto quali gli aiuti alle piccole imprese di nuova costituzione e gli aiuti a piccole imprese di recente costituzione a partecipazione femminile. L’adozione del nuovo regolamento è prevista per luglio 2014.

Il nuovo periodo di programmazione finanziaria dell’UE (2014-2020) prevede per la prima volta un programma (COSME) esclusivamente dedicato al sostegno alle PMI. Tra gli obiettivi il programma inserisce la promozione della cultura imprenditoriale, con particolare riferimento ai giovani imprenditori, ai nuovi e potenziali imprenditori e all'imprenditoria femminile, nonché il miglioramento dell’accesso ai finanziamenti e il sostegno all'internazionalizzazione. Tra gli obiettivi a lungo termine per il 2020 il programma individua l’aumento del 4% all'anno del valore aggiunto lordo delle PMI e la crescita annuale dell'1% del numero di dipendenti delle PMI.

Il 60% del bilancio stimato di COSME, pari a 2,5 miliardi di euro, sarà concentrato su strumenti finanziari per la messa a disposizione di garanzie e di venture capital al fine di incoraggiare i flussi creditizi e gli investimenti nel settore delle PMI. COSME costituirà inoltre un meccanismo di garanzia per i prestiti alle PMI fino a un importo di 150 000 euro, con un'attenzione particolare per le PMI che altrimenti avrebbero difficoltà a ottenere finanziamenti.


 

Articolo 2, comma 2
(Aree di crisi industriale complessa)

Riconversione e riqualificazione produttiva di aree di crisi industriale complessa

Il comma 2 dell’articolo 2 introduce una serie di modifiche alla disciplina sulla riconversione e riqualificazione produttiva di aree di crisi industriale complessa (di cui all’art. 27 del D.L. 83/2012).

Una prima modifica riguarda l’individuazione delle situazioni di crisi industriale complessa. Ai fini del riconoscimento da parte del Ministro dello sviluppo economico di tali situazioni di crisi, l’istanza della regione interessata è possibile, ma non è più indispensabile.

Ai sensi dell’articolo 27 del D.L. 83/2012, le situazioni di crisi industriali complesse si hanno quando specifici territori siano soggetti a recessione economica e perdita occupazionale e riscontrino:

§       la crisi di una o più imprese di media o grande dimensione con effetti sull’indotto;

§       la crisi di uno specifico settore industriale con elevata specializzazione nel territorio.

Il procedimento ai fini del riconoscimento di tale crisi è caratterizzato da un elemento formale: l'istanza di riconoscimento della regione interessata.

I Progetti debbono promuovere:

§       investimenti produttivi, anche di carattere innovativo;

§       la riqualificazione delle aree interessate;

§       la formazione del capitale umano;

§       la riconversione delle aree industriali dismesse;

§       il recupero ambientale;

§       l’efficientamento energetico;

§       la realizzazione di infrastrutture funzionali agli interventi.

Sotto il profilo del finanziamento sono previsti:

§       il cofinanziamento regionale;

§       l’utilizzo di tutti i regimi d’aiuto per cui ricorrano i presupposti;

§       il contributo in conto interessi di cui all’articolo 7 del decreto-legge 120/1989, che viene reso applicabile a tutto il territorio nazionale;

§       il Fondo per la crescita sostenibile.

 

E’ inoltre soppressa la disposizione che escludeva dall’ambito di intervento della disciplina sulla riqualificazione produttiva di aree di crisi industriale complessa, le situazioni di crisi che risultano risolvibili con risorse e strumenti di competenza regionale. Pertanto, in conseguenza di tale modifica, anche in relazione a tali situazioni potrà intervenire il riconoscimento ministeriale.

 

Un’ulteriore modifica estende il regime di finanziamenti agevolati collegato al Piano di promozione industriale (di cui agli articoli 5, 6, e 8 del D.L. n. 120/1989), alle aree o distretti del Paese interessati da fenomeni di crisi industriale, diverse da quelle complesse, ma con impatto significativo sullo sviluppo dei territori e sull'occupazione. La concessione delle agevolazioni, pur restando destinata in via prioritaria ai progetti di riconversione e riqualificazione nei casi di situazioni di crisi industriali complesse, può dunque estendersi ad altre situazioni, la cui individuazione è rimessa ad un decreto, di natura non regolamentare, del Ministro dello sviluppo economico, da emanarsi entro 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto legge, sentita la conferenza Stato-regioni. Il medesimo decreto dovrà stabilire altresì le condizioni e le modalità per l’attuazione degli interventi da effettuare.

 

Si ricorda che l’articolo 27 prevede inoltre che il Piano di promozione industriale di cui agli articoli 5, 6, e 8 del citato decreto-legge 120/1989, venga applicato esclusivamente per i progetti di riconversione e riqualificazione industriale. Il citato decreto legge n. 120 ha disposto misure di sostegno e di reindustrializzazione per le aree di crisi siderurgica, in attuazione del piano di risanamento della siderurgia e, in particolare, con gli articoli 5 e 8, ha affidato alla SPI (Società per la promozione e lo sviluppo industriale, confluita nel 2000 in Sviluppo Italia e quindi nell'Agenzia succedutale) la realizzazione di un Piano di promozione industriale. Tale Piano fu successivamente dichiarato compatibile con il mercato comune dalle competenti sedi comunitarie e con la nota di autorizzazione del 18 settembre 2003 C(2003) 3365 la Commissione europea comunicò altresì di considerare compatibile con il mercato comune l'estensione del sistema agevolativo previsto dalla normativa del 1989 a nuove aree di crisi industriale diverse da quella siderurgica, come previsto dall'art. 73 della legge n. 289 del 2002 (legge finanziaria 2003) e quindi potenzialmente a tutto il territorio nazionale, laddove si verificassero crisi settoriali localizzate. Ulteriori estensioni degli incentivi previsti dal decreto legge n. 120 del 1989, riconducibili all'autorizzazione comunitaria predetta, sono state poi approvate dalle successive leggi finanziarie.

L’articolo 27 prevede inoltre che possano essere attivati accordi di programma al fine dell’adozione dei Progetti in esame, al fine di disciplinare:

§       gli interventi agevolativi;

§       l’attività integrata e coordinata di amministrazioni centrali, regioni, enti locali e dei soggetti pubblici e privati;

§       le modalità di esecuzione degli interventi e la verifica dello stato di attuazione e del rispetto delle condizioni fissate.

Tutte le opere e gli impianti richiamati all’interno dei Progetti sono dichiarati di pubblica utilità, urgenti e indifferibili.

A supporto all’attuazione del progetto, è prevista la costituzione di apposite conferenze di servizi. Il MISE si avvale dell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A., quale soggetto responsabile della definizione ed attuazione dei progetti.

Per quanto riguarda le modalità di individuazione delle situazioni di crisi industriale complessa, i criteri per la definizione e l'attuazione dei Progetti di riconversione e riqualificazione industriale, nonché le direttive all'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa ,in attuazione di quanto previsto dal comma 8 dell'art. 27, il Ministro dello sviluppo economico, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ha emanato il D.M. 31-1-2013.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Nel quadro della strategia per la "Modernizzazione degli aiuti di Stato dell'UE", prospettata in una comunicazione (COM(2012)209) dell'8 maggio 2012, la Commissione ha preannunciato la revisione degli orientamenti comunitari sugli aiuti per il salvataggio e la ristrutturazione per le imprese in difficoltà, approvati nel 2004.

Nell’ambito della suddetta revisione, si è appena conclusa una consultazione pubblica per acquisire l’opinione dei soggetti interessati su un progetto di modifica degli orientamenti. Gli elementi principali del progetto sono:

§       introduzione di un nuovo concetto di "sostegno temporaneo per la ristrutturazione" per semplificare la concessione di aiuti per la ristrutturazione e, al contempo, ridurre le distorsioni della concorrenza;

§       definizione di nuovi criteri per verificare che l'aiuto sia effettivamente concesso nell'interesse pubblico in ogni singolo caso.

§       introduzione della nozione di "condivisione degli oneri", in base alla quale gli azionisti dell’impresa partecipano in maniera equa ai costi della ristrutturazione;

§       nuova e più precisa definizione di impresa in crisi.

Il tema della ristrutturazione e della riconversione delle imprese è stato affrontato dalla Commissione in un apposito Libro verde (COM(2012)7) oggetto di una consultazione svolta ad inizio 2012. Su tali basi il 13 dicembre 2013 la Commissione ha presentato un quadro di riferimento con le migliori pratiche da seguire per favorire questo processo e ridurre l’impatto sociale.

In tale contesto, la Commissione sottolinea il ruolo delle autorità pubbliche nell’incoraggiare una ristrutturazione proattiva e dinamica che, da un lato agevoli il coordinamento tra le imprese e i loro interlocutori esterni, e dall’altro agevoli la riconversione economica e la transizione professionale, evitando disagi sociali e promuovendo nuove competenze e la creazione di nuovi posti di lavoro.


 

Articolo 3
(Credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo)

 

 

L’articolo 3 del provvedimento istituisce un credito di imposta a favore delle imprese che investono in attività di ricerca e sviluppo, nel limite complessivo di 600 milioni di euro per il triennio 2014-2016, a valere sulla proposta nazionale relativa alla prossima programmazione 2014- 2020 dei fondi strutturali comunitari

.In sintesi, la misura prevede un credito d’imposta pari al 50% delle spese incrementali sostenute dalle imprese rispetto all’anno precedente, con un’agevolazione massima di 2,5 milioni di euro per impresa ed una spesa minima di 50.000 euro in ricerca e sviluppo per poter accedere all’agevolazione. Inoltre, la norma definisce le attività di ricerca e sviluppo soggette all’agevolazione e le spese ammissibili.

La fruizione dell’agevolazione avviene tramite piattaforma informatica per consentire la messa in opera di una procedura priva di graduatorie e di eventuali code da parte dei soggetti beneficiari, rendendo disponibile l’ammontare esatto di risorse ancora utilizzabili.

Al fine di evitare dichiarazioni non veritiere in merito all’ammontare effettivo delle spese sostenute è prevista una riduzione della misura di agevolazione concessa in caso di scostamento superiore al 20% tra spese dichiarate e spese sostenute. Qualora il plafond annuale non dovesse essere utilizzato, le relative risorse inutilizzate saranno rese disponibili per l’anno successivo.

 

 

I più recenti interventi fiscali in materia di ricerca e sviluppo

Nel corso delle precedenti legislature alcuni interventi di carattere fiscale hanno incentivato gli investimenti delle imprese in ricerca e sviluppo.

Si ricorda in primo luogo il credito d’imposta in favore delle imprese che hanno sostenuto, nel periodo 2007-2009, costi per l’attività di ricerca industriale e di sviluppo precompetitivo, istituito dalla legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 2006, articolo 1, commi da 280 a 283). Per ovviare ai problemi di copertura finanziaria sorti in applicazione del beneficio in argomento, l’articolo 29 del D.L. n. 185 del 2008 ha introdotto l’obbligo per i contribuenti di presentare una comunicazione relativa agli investimenti agevolabili per consentire il monitoraggio del credito d’imposta in esame.

Il rifinanziamento della misura per gli anni successivi è avvenuto ad opera dell’articolo 2, comma 236, della legge finanziaria per il 2010 (legge n. 191 del 2009), con 200 milioni di euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011 (poi ridotto di 50 milioni per l’anno 2010). Il beneficio era pari al 10% della spesa sostenuta ovvero al 40% della stessa qualora fosse stata riferita a contratti stipulati con università ed enti pubblici di ricerca, non potendo, in ogni caso, superare 50 milioni annui.

Inoltre, l’articolo 1, comma 25 della legge di stabilità 2011 (legge 13 dicembre 2010, n. 220) ha attribuito un credito d’imposta, nel limite di spesa di 100 milioni di euro per l'anno 2011, in favore delle imprese che abbiano affidato attività di ricerca e sviluppo a università o enti pubblici di ricerca.

Tale norma è stata soppressa dall’articolo 1 del D.L. 70/2011, che ha assorbito il predetto credito d’imposta per la ricerca e lo sviluppo, istituendo in sua vece un credito d’imposta, per gli anni 2011 e 2012, in favore delle imprese che finanziano progetti di ricerca in Università o enti pubblici di ricerca, che possono sviluppare i progetti così finanziati anche in associazione, in consorzio, in joint venture ecc. con altre qualificate strutture di ricerca, anche private, di equivalente livello scientifico. L’articolo 2 dello stesso D.L. n. 70 del 2011 ha istituito, inoltre, un credito d’imposta per ogni lavoratore assunto a tempo indeterminato nelle regioni del Mezzogiorno, prorogato dal decreto-legge n. 76 del 2013 al 15 maggio 2015. Si tratta di uno sgravio fiscale del 50% sui costi salariali dei contratti stipulati con personale “svantaggiato” o “molto svantaggiato” nel periodo compreso tra il 14 maggio 2011 e il 13 maggio 2013.

Con il decreto 24 maggio 2012 del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e il Ministro per la coesione territoriale (pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 127 del 1° giugno 2012) è stata attuata tale normativa. Le otto regioni interessate dallo stanziamento dei fondi, che ammontano a 142 milioni di euro, sono Abruzzo (4 milioni di euro), Molise (1 milione di euro), Basilicata (2 milioni di euro), Campania (20 milioni di euro), Calabria (20 milioni di euro), Puglia (10 milioni di euro), Sicilia (65 milioni di euro) e Sardegna (20 milioni di euro).

Successivamente l’articolo 24 del D.L. 83 del 2012 ha istituito un contributo, in forma di credito d'imposta, in favore di tutte le imprese che effettuino nuove assunzioni a tempo indeterminato di soggetti con profili "altamente qualificati". Il credito d'imposta è pari al 35% del costo aziendale sostenuto per l'assunzione; l'importo del credito non può superare i 200.000 euro annui (per impresa). In particolare, il credito d’imposta è riservato alle assunzioni relative a dottori di ricerca con titolo conseguito presso una università italiana o estera se riconosciuta equipollente in base alla legislazione vigente in materia o personale in possesso di una laurea magistrale in discipline di ambito tecnico o scientifico, impiegato in attività di ricerca e sviluppo specificatamente descritte dalle norme stesse. E’ prevista una quota di riserva in favore delle assunzioni in oggetto da parte di imprese che abbiano la sede o unità locali nei territori dei comuni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, interessati dagli eventi sismici dei giorni 20 e 29 maggio 2012.

Da ultimo l’articolo 1, commi da 95 a 97 della legge di stabilità 2013 (legge n. 228 del 2012) ha istituito un fondo per la concessione di un credito d’imposta per la ricerca e lo sviluppo con particolare riferimento alle piccole e medie imprese, nonché per ridurre il cuneo fiscale. Detto fondo è istituito presso la Presidenza del Consiglio ed è finanziato dalla progressiva riduzione degli stanziamenti di bilancio destinati ai trasferimenti e ai contributi alle imprese. Il credito d’imposta è riservato alle imprese e alle reti d’impresa che affidano progetti di ricerca e sviluppo a università ed enti/organismi di ricerca o che realizzano investimenti nel settore.

 

 

Il comma 1 dell’articolo in esame istituisce credito di imposta a favore delle imprese che investono in attività di ricerca e sviluppo, nel limite complessivo di 600 milioni di euro per il triennio 2014-2016.

Le risorse per finanziare il credito d’imposta sono reperite a valere sulla proposta nazionale relativa alla prossima programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali comunitari, previa verifica della coerenza con le linee di intervento in essa previste ed a seguito dell’approvazione della Commissione europea. Le modalità operative e la decorrenza sono definite, nell'ambito del programma operativo di riferimento, mediante norme di rango secondario.

 

La disposizione fa riferimento alla “proposta nazionale” in quanto l’Accordo di partenariato, cioè lo strumento previsto dalla proposta di Regolamento della Commissione Europea COM (2011) 615/2, del 14 marzo 2012, per stabilire la strategia - risultati attesi, priorità e metodi di intervento - di impiego dei fondi comunitari per il ciclo di programmazione 2014-2020 e che ciascuno Stato membro dovrà predisporre ed essere approvato dalla Commissione europea, è stato presentato in forma provvisoria alle autorità comunitarie all’inizio del mese di dicembre 2013.

 

I commi da 2 a 13 ne disciplinano le modalità di attuazione e fruizione.

 

Anzitutto (comma 2) il credito d’imposta è riconosciuto fino ad un importo massimo annuale di euro 2,5 milioni per ciascun beneficiario e già menzionato limite di spesa.

Il credito d’imposta coinvolge tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica, dalle dimensioni aziendali, dal settore economico in cui operano, nonché dal regime contabile adottato.

Esso spetta nella misura del 50 per cento degli incrementi annuali di spesa nelle attività di ricerca e sviluppo, registrati in ciascuno dei periodi d’imposta a decorrere dal periodo successivo a quello in corso al 31 dicembre 2013 e fino alla chiusura del periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2016.

Condizione per la fruizione è che nei periodi di imposta di riferimento siano sostenute spese per attività di ricerca e sviluppo almeno pari a 50.000 euro in ciascuno dei suddetti periodi di imposta.

 

Il comma 3 disciplina le attività di ricerca e sviluppo ammissibili all’agevolazione, che sono le seguenti:

a)   lavori sperimentali o teorici svolti aventi quale principale finalità l’acquisizione di nuove conoscenze sui fondamenti di fenomeni e di fatti osservabili, senza che siano previste applicazioni o utilizzazioni pratiche dirette;

b)   ricerca pianificata o indagini critiche miranti ad acquisire nuove conoscenze, da utilizzare per mettere a punto nuovi prodotti, processi o servizi o permettere un miglioramento dei prodotti, processi o servizi esistenti ovvero la creazione di componenti di sistemi complessi, necessaria per la ricerca industriale, ad esclusione dei prototipi;

c)   acquisizione, combinazione, strutturazione e utilizzo delle conoscenze e capacità esistenti di natura scientifica, tecnologica e commerciale allo scopo di produrre piani, progetti o disegni per prodotti, processi o servizi nuovi, modificati o migliorati. Può trattarsi anche di altre attività destinate alla definizione concettuale, alla pianificazione e alla documentazione concernenti nuovi prodotti, processi e servizi; tali attività possono comprendere l’elaborazione di progetti, disegni, piani e altra documentazione, purché non siano destinati a uso commerciale; realizzazione di prototipi utilizzabili per scopi commerciali e di progetti pilota destinati a esperimenti tecnologici o commerciali, quando il prototipo è necessariamente il prodotto commerciale finale e il suo costo di fabbricazione è troppo elevato per poterlo usare soltanto a fini di dimostrazione e di convalida. Lo sfruttamento di progetti di dimostrazione o di progetti pilota a scopo commerciale comporta la deduzione dei redditi così generati dai costi ammissibili;

d)   produzione e collaudo di prodotti, processi e servizi, a condizione che non siano impiegati o trasformati in vista di applicazioni industriali o per finalità commerciali.

 

Il disposto del comma 3 sostanzialmente riproduce le attività di cui all’articolo 24, comma 3 del citato D.L. n. 83 del 2012, lettere da a) a c); tuttavia il precedente provvedimento non considerava “attività di ricerca e sviluppo” ammissibile al credito d’imposta quella invece recata alla lettera d) del comma 3 in esame, ovvero la produzione e il collaudo di prodotti, processi e servizi, a condizione che non siano impiegati o trasformati in vista di applicazioni industriali o per finalità commerciali.

 

Il comma 4 reca l’indicazione delle attività non qualificabili come attività di ricerca e sviluppo: si tratta in particolare delle modifiche ordinarie o periodiche apportate a prodotti, linee di produzione, processi di fabbricazione, servizi esistenti e altre operazioni in corso, anche quando tali modifiche rappresentino miglioramenti.

 

Il comma 5 reca l’indicazione delle spese ammissibili ai fini della determinazione del credito d’imposta. Si tratta delle spese relative a:

§      personale impiegato nelle attività di ricerca e sviluppo;

§      quote di ammortamento delle spese di acquisizione o utilizzazione di strumenti e attrezzature di laboratorio, nei limiti dell’importo risultante dall’applicazione dei coefficienti stabiliti con decreto del Ministro delle finanze del 31 dicembre 1988, che reca i coefficienti di ammortamento del costo dei beni materiali strumentali impiegati nell’esercizio di attività commerciali, arti e professioni in relazione alla misura e al periodo di utilizzo per l’attività di ricerca e sviluppo e comunque con un costo unitario non inferiore a 2.000 euro al netto di IVA;

§      costi della ricerca svolta in collaborazione con le università e gli organismi di ricerca, quella contrattuale, le competenze tecniche e i brevetti, acquisiti o ottenuti in licenza da fonti esterne.

 

Il credito di imposta (comma 6) deve essere indicato nella relativa dichiarazione dei redditi e non concorre alla formazione della base imponibile ai fini delle imposte sul reddito e dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP). Il credito d’imposta non rileva, inoltre, ai fini della determinazione della percentuale di deducibilità degli interessi passivi, di cui all’articolo 61 del TUIR, né rispetto ai criteri di inerenza per la deducibilità delle spese, di cui all’articolo 109, comma 5, del medesimo TUIR.

L’articolo 61 del TUIR disciplina la percentuale di deducibilità degli interessi passivi dal reddito d’impresa. Tale quota è pari al rapporto tra i ricavi e gli altri proventi che concorrono a formare il reddito e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi. L’articolo 109, comma 5, del TUIR prevede che le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, siano deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi. Se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili e ad attività o beni produttivi di proventi non computabili in quanto esenti nella determinazione del reddito, sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto di cui ai commi 1, 2, e 3 dell'articolo 96.

Il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione, secondo le norme generali in materia di compensazione dei crediti tributari dettate dall'articolo 17 del D.lgs. n. 241 del 1997.

Ai sensi del comma 1 del citato articolo 17 del D.lgs. n. 241 del 1997, i contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche dei redditi. Tale compensazione deve essere effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva.

 

Il comma 7 impone che, per fruire del contributo, le imprese presentino un’istanza telematica mediante le modalità tecniche predisposte dal Ministero dello sviluppo economico (secondo quanto previsto al successivo comma 12).

Si affida la gestione della misura di agevolazione fiscale in esame (comma 8) ad una convenzione stipulata tra il Ministero dello sviluppo economico e società in house ovvero società o enti in possesso dei necessari requisiti tecnici, organizzativi e di terzietà scelti sulla base di un’apposita gara, secondo le modalità e le procedure di cui al Codice appalti (D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163). Agli oneri della convenzione si provvede nel limite massimo dell’uno per cento delle risorse stanziate a copertura.

 

Si segnala che il comma 8 reca, per la copertura finanziaria, un rinvio al comma 14, non presente nell’’articolo in commento. La copertura del provvedimento in esame è indicata dal comma 1 a valere sulla proposta nazionale relativa alla prossima programmazione 2014- 2020 dei fondi strutturali comunitari.

 

La verifica della corretta fruizione del credito d’imposta (comma 9) è affidata al Ministero dello sviluppo economico e all’Agenzia delle entrate, che effettuano controlli nei rispettivi ambiti di competenza secondo le modalità individuate dalle norme attuative (emanate ai sensi del comma 12).

 

Ai sensi del comma 10, i controlli sono svolti sulla base di apposita documentazione contabile certificata dal soggetto incaricato della revisione legale o dal collegio sindacale o da un professionista iscritto nel registro della revisione legale (di cui al decreto legislativo n. 39 del 2010). Tale certificazione va allegata al bilancio. Per le imprese non soggette a revisione legale dei conti e prive di un collegio sindacale, è fatto obbligo di avvalersi comunque della certificazione di un revisore legale dei conti o di una società di revisione legale dei conti iscritti quali attivi nell’apposito registro (di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39).

Il revisore o professionista responsabile della revisione, nell’assunzione dell’incarico, osservano i principi di indipendenza e di obiettività elaborati ai sensi dell’articolo 10 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39; si tratta dei principi di indipendenza e obiettività elaborati da associazioni e ordini professionali e approvati dal Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Consob, ovvero emanati dal Ministro dell’economia e delle finanze sentita la Consob. In attesa della loro emanazione, la norma in commento fa riferimento al codice etico dell’IFAC – ovvero della federazione internazionale dei revisori.

Le spese sostenute per l’attività di certificazione contabile da parte delle imprese di cui al precedente periodo sono ammissibili entro il limite massimo di 5.000 euro.

 

Si specifica (comma 11) che, nel caso di colpa grave nell'esecuzione degli atti di certificazione al revisore si applicano le sanzioni previste dall'articolo 64 del codice di procedura civile: il consulente tecnico che incorre in colpa grave nell'esecuzione degli atti che gli sono richiesti, è punito con l'arresto fino a un anno o con la ammenda fino a euro 10.329. Si applica inoltre la sospensione dall’esercizio della professione (ai sensi dell'articolo 35 del codice penale). In ogni caso è dovuto il risarcimento dei danni causati alle parti.

 

Ai sensi del comma 12 si affida a un successivo decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanarsi entro 30 giorni dall’adozione dell’intervento all’interno del programma operativo nazionale di riferimento, l’adozione delle disposizioni applicative necessarie, ivi comprese:

§       le modalità di iscrizione delle spese in bilancio;

§       le modalità di verifica e controllo dell’effettività delle spese sostenute e della coerenza delle stesse con i requisiti sopra descritti;

§       le cause di decadenza e revoca del beneficio;

§       le modalità di restituzione dell’importo di cui l’impresa ha fruito indebitamente e le eventuali relative maggiorazioni.

Per quanto concerne la procedura telematica per usufruire del credito d’imposta, si prevede che vi sia una verifica ex ante sulla conformità delle spese di ricerca e sviluppo che le imprese sostengono ed una ex post sull’effettiva entità delle spese sostenute. Qualora le spese effettivamente sostenute risultino inferiori di oltre il 20 per cento rispetto a quelle dichiarate, la misura dell’agevolazione sarà ridotta dal 50 per cento al 40 per cento sempre che permanga la spesa incrementale.

 

Il comma 13 reca le modalità di assegnazione delle risorse, disponendo che queste ultime, nei predetti limiti di 200 milioni di euro per ciascun anno dal 2014 al 2016 (di cui al comma 1), reperite nell’ambito del Programma Operativo Nazionale relativo alla Competitività di responsabilità del Ministero dello sviluppo economico per il periodo di programmazione 2014-2020, approvato dalla Commissione europea, sono versate all’entrata del bilancio dello Stato e successivamente riassegnate, per le suddette finalità di spesa, ad apposito programma dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze. A tal fine, il Ministero dello sviluppo economico comunica all’apposito Fondo di rotazione (di cui all’articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183), gli importi comunitari e nazionali riconosciuti a titolo di credito di imposta da versare all’entrata del bilancio dello Stato.


 

Articolo 4, commi 1-10 e 14
(Misure volte alla realizzazione delle bonifiche
dei siti di interesse nazionale)

 

 

I commi da 1 a 10 e 14 dell’articolo 4 recano disposizioni concernenti la realizzazione delle bonifiche dei siti di interesse nazionale

 

In particolare, il comma 1 modifica la disciplina per la riconversione industriale dei siti inquinati nazionali di preminente interesse pubblico dettata dall’art. 252-bis del d.lgs. 152/2006 (cd. Codice dell’ambiente), al fine di consentire la stipula di accordi di programma per l’attuazione di progetti integrati di messa in sicurezza o bonifica, e di riconversione industriale e sviluppo economico produttivo nei siti di interesse nazionale (SIN). Il comma 2 prevede la concessione di un credito d’imposta alle imprese sottoscrittrici degli accordi di programma di cui all’art. 252-bis del d.lgs. 152/2006 a fronte dell’acquisizione di nuovi beni strumentali a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla chiusura del periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2015, alle condizioni definite nella norma. I commi da 3 a 10 dell'articolo 4 disciplinano, nel dettaglio, le modalità di attribuzione del citato credito d’imposta.

Di seguito, si passa all’analisi più dettagliata delle singole disposizioni.

Accordi di programma per l’attuazione di progetti integrati di bonifica e riconversione industriale dei SIN (comma 1)

Il comma 1 dell'articolo 4 riscrive la disciplina per la riconversione industriale dei siti inquinati nazionali di preminente interesse pubblico dettata dall’art. 252-bis del D.Lgs. 152/2006 (recante norme in materia ambientale).

La finalità della norma è quella di consentire la stipula, da parte dei Ministri dell’ambiente e dello sviluppo economico, d’intesa con la regione interessata, di accordi di programma con uno o più proprietari di aree contaminate o altri soggetti interessati ad attuare progetti integrati di messa in sicurezza o bonifica, e di riconversione industriale e sviluppo economico produttivo in siti di interesse nazionale (SIN) individuati entro il 30 aprile 2007 ai sensi della L. 426/1998 (comma 1 del nuovo testo dell’art. 252-bis). La disposizione prevede anche l’intesa, per le materie di competenza, con i Ministri del lavoro e dei beni culturali; più specificamente si richiede l’intesa del Ministro dei beni e delle attività culturali in relazione agli eventuali specifici vincoli di tutela insistenti sulle aree e sugli immobili.

La relazione illustrativa sottolinea che l’individuazione risalente dei siti testimonia la necessità dell’intervento, posto che finora nessuno dei predetti interventi di bonifica ha avuto avvio e tantomeno attuazione.

In proposito, si ricorda che nella Relazione sulle bonifiche (Doc. XXIII, n. 14, della XVI legislatura, pag. 11) approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti – si legge che “un dato emerso in maniera evidente e che sin d’ora può essere sottolineato è quello concernente l’estrema lentezza, se non la stasi, delle procedure attinenti alla bonifica dei siti di interesse nazionale”.

Si ricorda altresì quanto ricordato dalla medesima relazione (a pag. 41) in merito all’attuazione delle disposizioni recate dall’art. 252-bis, cui non è stato dato seguito poiché “le risorse stanziate per gli interventi previsti furono poi destinate alla copertura delle spese per il terremoto dell’Aquila”. Nella medesima relazione viene ricordato che le citate risorse, previste dalla delibera CIPE 61/2008, ammontavano a circa 3 miliardi di euro e che nel mese di novembre 2008 era stato sottoscritto un documento tecnico che individuava 26 siti (indicati nella relazione) in cui applicare le procedure dell’art. 252-bis.

Relativamente al contenuto della citata legge n. 426 del 1998, si ricorda che essa, tra l’altro, ha previsto l’adozione di un programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati volto ad individuare gli interventi di interesse nazionale e le relative risorse. Nelle more dell’emanazione di tale programma l’art. 1, comma 4, della medesima legge ha provveduto ad individuare 15 siti di interesse nazionale (SIN). Con successive novelle (operate dalla L. 388/2000, dalla L. 179/2002, dal D.L. 203/2005 e dalla L. 266/2005) tale elenco è stato integrato fino ad includere 30 siti. A tali SIN si sono aggiunti i 23 siti individuati dal D.M. 468/2001 con cui, in attuazione della L. 426/1998, è stato adottato il “Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale” che ha altresì provveduto a ripartire le risorse stanziate con la citata legge n. 426/1998.

Ulteriori 4 SIN sono stati individuati dal D.Lgs. 152/2006 (Strillaie, in provincia di Grosseto), da decreti del Ministero dell’ambiente (Pianura, in Campania, e Bussi sul Tirino, in Abruzzo) e da un’ordinanza di protezione civile (La Maddalena, in Sardegna).

In attuazione dell'art. 36-bis del D.L. 83/2012, il D.M. 11 gennaio 2013 ha indicato 18 SIN (dei 57 esistenti in precedenza) che, non soddisfando i requisiti previsti dal citato decreto-legge, sono stati trasferiti alla competenza regionale.

Dei residui 39 SIN, il sito di Bussi sul Tirino, poiché individuato dopo il 30 aprile 2007 (con D.M. Ambiente 28 maggio 2008), dovrebbe essere escluso dall’ambito di applicazione del nuovo art. 252-bis.

 

Restano escluse dal campo di applicazione della nuova disciplina (ai sensi dell’ultimo periodo del comma 1 del nuovo testo dell’art. 252-bis), le aree interessate dalle misure di cui al D.L. 61/2013, vale a dire, ad oggi, le aree dello stabilimento ILVA di Taranto

Si ricorda che l’art. 1, comma 1, del D.L. 4 giugno 2013, n. 61 consente al Consiglio dei Ministri di deliberare il commissariamento straordinario dell'impresa che impieghi un numero di lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione guadagni, non inferiore a mille e che gestisca almeno uno “stabilimento industriale di interesse strategico nazionale”, la cui attività produttiva abbia comportato e comporti oggettivamente pericoli gravi e rilevanti per l'integrità dell'ambiente e della salute a causa della inosservanza reiterata dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA).

Sono stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale quelli individuati, ai sensi dell’art. 1 del D.L. 207/2012, con apposito D.P.C.M., a tutt’oggi non emanato.

L’art. 3 del decreto legge n. 207/2012, come modificato dall’articolo 2, comma 2, del medesimo decreto-legge n. 61 del 2013, ha disposto che gli impianti siderurgici della società ILVA s.p.a. costituiscono stabilimenti di interesse strategico nazionale a norma dell'articolo 1.

 

I commi da 2 a 11 del nuovo art. 252-bis del Codice dell’ambiente individuano:

§      le modalità, i criteri ed i contenuti obbligatori degli accordi di programma (commi 2 e 3);

§      i requisiti dei soggetti interessati e gli impegni da essi assunti, con l’individuazione delle rispettive responsabilità (commi da 4 a 7);

§      le modalità di approvazione degli interventi per l’attuazione dei progetti integrati (decreto ministeriale adottato sulla base delle determinazioni assunte in apposita conferenza di servizi) e gli effetti prodotti dai decreti di approvazione, che consentono la costruzione e l’esercizio degli impianti e delle opere connesse (commi 8 e 9);

§      la costituzione di società in house (con oneri posti a carico delle risorse stanziate a legislazione vigente) per l’attuazione dei citati progetti integrati di bonifica, riconversione industriale e sviluppo economico (comma 10);

§      l’adozione di misure volte a favorire la formazione di nuove competenze professionali, anche nell’ambito degli istituti tecnici superiori, in materia di bonifica ambientale, finanziate, nell’ambito delle risorse stanziate a legislazione vigente nonché a valere sulle risorse della programmazione 2014-2020 previamente incluse negli accordi di programma (comma 11).

 

Il seguente testo a fronte evidenzia come la riscrittura dell’art. 252-bis operata dal comma in esame non si limiti ad apportare puntuali ed isolate novelle, ma si configuri come un ridisegno complessivo delle procedure vigenti (che non hanno avuto attuazione, come si è già avuto modo di ricordare), a partire dal campo di applicazione, fino ai contenuti degli accordi di programma e agli strumenti di attuazione (società in house e crediti di imposta).

 

Art. 252-bis (testo previgente)

Art. 252-bis (nuovo testo)

 

 

1. Con uno o più decreti del Ministro per lo sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, sono individuati i siti di interesse pubblico ai fini dell'attuazione di programmi ed interventi di riconversione industriale e di sviluppo economico produttivo, contaminati da eventi antecedenti al 30 aprile 2006, anche non compresi nel Programma Nazionale di bonifica di cui al decreto ministeriale 18 settembre 2001, n. 468 e successive modifiche ed integrazioni, nonché il termine, compreso fra novanta e trecentosessanta giorni, per la conclusione delle conferenze di servizi di cui al comma 5. In tali siti sono attuati progetti di riparazione dei terreni e delle acque contaminate assieme ad interventi mirati allo sviluppo economico produttivo. Nei siti con aree demaniali e acque di falda contaminate tali progetti sono elaborati ed approvati, entro dodici mesi dall'adozione del decreto di cui al presente comma, con appositi accordi di programma stipulati tra i soggetti interessati, i Ministri per lo sviluppo economico, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute e il Presidente della Regione territorialmente competente, sentiti il Presidente della Provincia e il Sindaco del Comune territorialmente competenti.

1. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministro dello sviluppo economico, d’intesa con la regione territorialmente interessata e, per le materie di competenza, con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, nonché con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo per gli aspetti di competenza in relazione agli eventuali specifici vincoli di tutela insistenti sulle aree e sugli immobili, possono stipulare accordi di programma con uno o più proprietari di aree contaminate o altri soggetti interessati ad attuare progetti integrati di messa in sicurezza o bonifica, e di riconversione industriale e sviluppo economico produttivo in siti di interesse nazionale individuati entro il 30 aprile 2007 ai sensi della legge 9 dicembre 1998, n. 426, al fine di promuovere il riutilizzo di tali siti in condizioni di sicurezza sanitaria e ambientale, e di preservare le matrici ambientali non contaminate.

Sono escluse le aree interessate dalle misure di cui al decreto-legge 4 giugno 2013, n. 61, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 89, e successive modificazioni.

Gli interventi di riparazione sono approvati in deroga alle procedure di bonifica di cui alla parte IV del titolo V del presente decreto.

 

2. Gli oneri connessi alla messa in sicurezza e alla bonifica nonché quelli conseguenti all'accertamento di ulteriori danni ambientali sono a carico del soggetto responsabile della contaminazione, qualora sia individuato, esistente e solvibile. Il proprietario del sito contaminato è obbligato in via sussidiaria previa escussione del soggetto responsabile dell'inquinamento.

 

3. Gli accordi di programma assicurano il coordinamento delle azioni per determinarne i tempi, le modalità, il finanziamento ed ogni altro connesso e funzionale adempimento per l'attuazione dei programmi di cui al comma 1 e disciplinano in particolare:

a) gli obiettivi di reindustrializzazione e di sviluppo economico produttivo e il piano economico finanziario degli investimenti da parte di ciascuno dei proprietari delle aree comprese nel sito contaminato al fine di conseguire detti obiettivi;

b) il coordinamento delle risultanze delle caratterizzazioni eseguite e di quelle che si intendono svolgere;

c) gli obiettivi degli interventi di bonifica e riparazione, i relativi obblighi dei responsabili della contaminazione e del proprietario del sito, l'eventuale costituzione di consorzi pubblici o a partecipazione mista per l'attuazione di tali obblighi nonché le iniziative e le azioni che le pubbliche amministrazioni si impegnano ad assumere ed a finanziare;

d) la quantificazione degli effetti temporanei in termini di perdita di risorse e servizi causati dall'inquinamento delle acque;

e) le azioni idonee a compensare le perdite temporanee di risorse e servizi, sulla base dell'Allegato II della direttiva 2004/35/CE; a tal fine sono preferite le misure di miglioramento della sostenibilità ambientale degli impianti esistenti, sotto il profilo del miglioramento tecnologico produttivo e dell'implementazione dell'efficacia dei sistemi di depurazione e abbattimento delle emissioni;

f) la prestazione di idonee garanzie finanziarie da parte dei privati per assicurare l'adempimento degli impegni assunti;

g) l'eventuale finanziamento di attività di ricerca e di sperimentazione di tecniche e metodologie finalizzate al trattamento delle matrici ambientali contaminate e all'abbattimento delle concentrazioni di contaminazione, nonché ai sistemi di misurazione e analisi delle sostanze contaminanti e di monitoraggio della qualità ecologica del sito;

h) le modalità di monitoraggio per il controllo dell'adempimento degli impegni assunti e della realizzazione dei progetti.

2. Gli accordi di programma di cui al comma 1 assicurano il coordinamento delle azioni per determinare i tempi, le modalità, il finanziamento e ogni altro connesso e funzionale adempimento per l’attuazione dei progetti e disciplinano in particolare:

a) l’individuazione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica da attuare, sulla base dei risultati della caratterizzazione validati dalle agenzie regionali per la protezione dell’ambiente;

b) l’individuazione degli interventi di riconversione industriale e di sviluppo economico produttivo anche attraverso studi e ricerche appositamente condotti da università ed enti di ricerca specializzati;

c) il piano economico finanziario dell’investimento e la durata del relativo programma;

d) i tempi di attuazione degli interventi e le relative garanzie;

e) i contributi pubblici e le altre misure di sostegno economico finanziario disponibili e attribuiti;

f) la causa di revoca dei contributi e delle altre misure di sostegno, e di risoluzione dell’accordo;

g) l’individuazione del soggetto attuatore degli interventi di messa in sicurezza e di bonifica, e delle attività di monitoraggio, controllo e gestione degli interventi di messa in sicurezza che restano a carico del soggetto interessato;

h) i tempi di presentazione e approvazione degli interventi di messa in sicurezza e di bonifica;

i) la previsione di interventi di formazione, riqualificazione e aggiornamento delle competenze dei lavoratori degli impianti dismessi da reimpiegare nei lavori di bonifica previsti dai medesimi accordi di programma, mediante il ricorso a fondi preliminarmente individuati a livello nazionale e regionale.

4. La stipula dell'accordo di programma costituisce riconoscimento dell'interesse pubblico generale alla realizzazione degli impianti, delle opere e di ogni altro intervento connesso e funzionale agli obiettivi di risanamento e di sviluppo economico e produttivo.

3. La stipula dell’accordo di programma costituisce riconoscimento dell’interesse pubblico generale alla realizzazione degli impianti, delle opere e di ogni altro intervento connesso e funzionale agli obiettivi di risanamento e di sviluppo economico produttivo e dichiarazione di pubblica utilità.

 

4. Ad eccezione di quanto previsto al comma 5, i soggetti interessati di cui al comma 1 non devono essere responsabili della contaminazione del sito oggetto degli interventi di messa in sicurezza e bonifica, riconversione industriale e di sviluppo economico produttivo, tenuto conto anche dei collegamenti societari e di cariche direttive ricoperte nelle società interessate o ad esse collegate. A tal fine sono soggetti interessati non responsabili i proprietari e i gestori di siti inquinati che non hanno cagionato la contaminazione del sito e hanno assolto gli obblighi imposti dall’articolo 245 comma 2.

 

5. Gli Accordi di Programma di cui al comma 1 possono essere stipulati anche con soggetti che non soddisfano i requisiti di cui al comma 4 alle seguenti ulteriori condizioni: a) i fatti che hanno causato l’inquinamento devono essere antecedenti al 30 aprile 2007; b) oltre alle misure di messa in sicurezza e bonifica, devono essere individuati gli interventi di riparazione del danno ambientale disciplinati dall’allegato 3 alla Parte VI del presente; c) termine finale per il completamento degli interventi di riparazione del danno ambientale è determinato in base ad uno specifico piano finanziario presentato dal soggetto interessato tenendo conto dell’esigenza di non pregiudicare l’avvio e lo sviluppo dell’iniziativa economica e di garantire la sostenibilità economica di detti interventi, comunque in misura non inferiore a dieci anni.

7. In considerazione delle finalità di tutela e ripristino ambientale perseguite dal presente articolo, l'attuazione da parte dei privati degli impegni assunti con l'accordo di programma costituisce anche attuazione degli obblighi di cui alla direttiva 2004/35/CE e delle relative disposizioni di attuazione di cui alla parte VI del presente decreto.

6. L’attuazione da parte dei soggetti interessati degli impegni di messa in sicurezza, bonifica, monitoraggio, controllo e relativa gestione, e di riparazione, individuati dall’accordo di programma esclude per tali soggetti ogni altro obbligo di bonifica e riparazione ambientale e fa venir meno l’onere reale per tutti i fatti antecedenti all’accordo medesimo.

 

7. Al di fuori dei casi che rientrano nel campo di applicazione del comma 5, la pubblica amministrazione può agire autonomamente nei confronti del responsabile della contaminazione per la ripetizione delle spese sostenute per gli interventi di messa in sicurezza e di bonifica individuati dall’accordo nonché per gli ulteriori interventi di bonifica e riparazione del danno ambientale nelle forme e nei modi previsti dalla legge.

5. I provvedimenti relativi agli interventi di cui al comma 3 sono approvati ai sensi del comma 6 previo svolgimento di due conferenze di servizi, aventi ad oggetto rispettivamente l'intervento di bonifica e l'intervento di reindustrializzazione. La conferenza di servizi relativa all'intervento di bonifica è indetta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che costituisce l'amministrazione procedente. La conferenza di servizi relativa all'intervento di reindustrializzazione è indetta dal Ministero dello sviluppo economico, che costituisce l'amministrazione procedente. Le due conferenze di servizi sono indette

8. Gli interventi per l’attuazione del progetto integrato sono autorizzati e approvati con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro dello sviluppo economico sulla base delle determinazioni assunte in Conferenza di Servizi indetta dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.

ai sensi dell'articolo 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 e ad esse partecipano i soggetti pubblici coinvolti nell'accordo di programma di cui al comma 1 e i soggetti privati proponenti le opere e gli interventi nei siti di cui al medesimo comma 1.

ai sensi dell’articolo 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241. Alla Conferenza di Servizi partecipano tutti i soggetti pubblici firmatari dell’accordo di programma o titolari dei procedimenti di approvazione e autorizzazione, comunque denominati, aventi ad oggetto gli interventi, le opere e le attività previste dall’accordo medesimo, nonché i soggetti interessati proponenti.

L'assenso espresso dai rappresentanti degli enti locali, sulla base delle determinazioni a provvedere degli organi competenti, sostituisce ogni atto di pertinenza degli enti medesimi.

Alle conferenze dei servizi sono ammessi gli enti, le associazioni e le organizzazioni sindacali interessati alla realizzazione del programma.

L’assenso espresso dai rappresentanti degli enti locali sulla base delle determinazioni a provvedere degli organi competenti, sostituisce ogni atto di competenza di detti enti.

6. Fatta salva l'applicazione delle norme in materia di valutazione di impatto ambientale e di autorizzazione ambientale integrata, all'esito delle due conferenze di servizi, con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro dello sviluppo economico, d'intesa con la regione interessata, si autorizzano la bonifica e la eventuale messa in sicurezza nonché la costruzione e l'esercizio degli impianti e delle opere annesse.

9. Fatta salva l’applicazione delle norme in materia di valutazione di impatto ambientale e di autorizzazione ambientale integrata, i decreti di cui al comma 8 autorizzano gli interventi di messa in sicurezza e di bonifica nonché la costruzione e l’esercizio degli impianti e delle opere connesse

 

10. All’attuazione dei progetti integrati di bonifica, riconversione industriale e sviluppo economico in siti inquinati di interesse nazionale di cui al comma 1 sono preposte, con oneri posti a carico delle risorse stanziate a legislazione vigente, una o più società “in house” individuate nell’accordo di programma, di intesa tra il Ministero dello sviluppo economico ed il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, che vi provvedono con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

11. Il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca d’intesa con il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, e le Regioni e Province Autonome, adotta misure volte a favorire la formazione di nuove competenze professionali, anche in ambito degli Istituti tecnici superiori, in materia di bonifica ambientale, finanziate, nell’ambito delle risorse stanziate a legislazione vigente nonché a valere sulle risorse della programmazione 2014-2020, previamente incluse negli Accordi di programma di cui al comma 1 del presente articolo.

8. Gli obiettivi di bonifica dei suoli e delle acque sono stabiliti dalla Tabella I dell'Allegato 5 al titolo V del presente decreto. Qualora il progetto preliminare dimostri che tali limiti non possono essere raggiunti nonostante l'applicazione, secondo i principi della normativa comunitaria, delle migliori tecnologie disponibili a costi sopportabili, la Conferenza di Servizi indetta dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare può autorizzare interventi di bonifica e ripristino ambientale con misure di sicurezza che garantiscano, comunque, la tutela ambientale e sanitaria anche se i valori di concentrazione residui previsti nel sito risultano superiori a quelli stabiliti dalla Tabella I dell'Allegato 5 al titolo V del presente decreto. Tali valori di concentrazione residui sono determinati in base ad una metodologia di analisi di rischio riconosciuta a livello internazionale.

9. In caso di mancata partecipazione all'accordo di programma di cui al comma 1 di uno o più responsabili della contaminazione, gli interventi sono progettati ed effettuati d'ufficio dalle amministrazioni che hanno diritto di rivalsa nei confronti dei soggetti che hanno determinato l'inquinamento, ciascuno per la parte di competenza. La presente disposizione si applica anche qualora il responsabile della contaminazione non adempia a tutte le obbligazioni assunte in base all'accordo di programma.

10. Restano ferme la titolarità del procedimento di bonifica e le altre competenze attribuite alle Regioni per i siti contaminati che non rientrano fra quelli di interesse nazionale di cui all'articolo 252.

 

 

Le linee di intervento della nuova disciplina presentano profili che andrebbero chiariti soprattutto in merito:

§      alla compatibilità con il principio comunitario “chi inquina paga”, che andrebbe valutato alla luce del venir meno del previgente comma 2 (che precisava i confini delle responsabilità, diretta e sussidiaria, della contaminazione) e delle norme contenute nel nuovo comma 6, che esclude, nel caso di attuazione da parte dei soggetti interessati degli impegni di messa in sicurezza, bonifica, monitoraggio, controllo e relativa gestione, e di riparazione, individuati dall’accordo di programma, per tali soggetti “ogni altro obbligo di bonifica e riparazione ambientale”, rispetto a quanto previsto dagli accordi di programma, e fa venir meno l’onere reale per tutti i fatti antecedenti all’accordo medesimo;

§      alla portata della cessazione dell’onere reale per tutti i fatti antecedenti all’accordo prevista dal medesimo comma 6;

§      alla compatibilità del comma 10 con i principi comunitari in materia di società in house, chiamate a svolgere servizi di interesse pubblico, pure richiamati dal vigente art. 34 del D.L. 179/2012, in base ai quali: la gestione diretta del servizio da parte dell’ente pubblico è ammessa se lo Stato membro ritiene che l’applicazione delle regole di concorrenza sia un ostacolo, in diritto od in fatto, alla speciale missione del servizio pubblico restando riservato all’ordinamento comunitario il sindacato sull’eventuale “errore manifesto” alla base della decisione dello Stato. In particolare, secondo la giurisprudenza comunitaria, le regole sulla concorrenza non ostano a una disciplina nazionale che consente ad un ente pubblico di affidare un servizio pubblico direttamente ad una società della quale esso detiene l'intero capitale, a condizione che l'ente pubblico eserciti su tale società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente che la detiene;

§      alla portata normativa della “preposizione” delle società del già citato comma 10 all’attuazione dei progetti integrati di bonifica, riconversione industriale e sviluppo economico, chiarendo se essa si traduce nell’attuazione degli stessi; in ogni caso, l’attività di tali società, delle quali la disposizione non specifica il soggetto pubblico detentore del capitale, non avendo natura remunerativa e non rientrando nella fattispecie dei servizi pubblici essenziali a rilevanza economica (espressamente esclusa dalla normativa di seguito citata), espone le stesse società e i soggetti pubblici che ne hanno le partecipazioni, se locali o regionali, agli effetti della disciplina prevista dai commi 551 e ss. della legge di stabilità per il 2014, sostitutiva della previgente disciplina di sottoposizione al patto di stabilità.

Crediti di imposta in favore delle imprese sottoscrittrici degli accordi di programma (commi 2-10 e 14)

Il comma 2 prevede la concessione di un credito d’imposta (nei limiti delle risorse stanziate al comma 14) alle imprese sottoscrittrici degli accordi di programma di cui all’art. 252-bis del D.Lgs. 152/2006 a fronte dell’acquisizione di nuovi beni strumentali a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla chiusura del periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2015.

Lo stesso comma vincola l’attribuzione del credito d’imposta al rispetto delle seguenti condizioni:

a)   le imprese siano di nuova costituzione, cioè costituite a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto;

b)   le imprese abbiano ad oggetto l’esercizio esclusivo delle attività risultanti dall’accordo di programma sottoscritto;

c)   i nuovi beni strumentali siano acquisiti dai soggetti che hanno sottoscritto l’accordo;

d)   i nuovi beni strumentali siano acquisiti nell’ambito di unità produttive comprese in SIN localizzati nelle aree svantaggiate (art. 107, paragrafo 3, lettere a) e c), del TFUE), o nelle restanti aree qualora riferibili a piccole e medie imprese.

In relazione alla lettera d) la relazione illustrativa sottolinea che viene prevista l’ammissibilità alle agevolazioni anche per le imprese localizzate al di fuori delle aree svantaggiate in quanto “non tutti i SIN insistono in tali aree. Nei SIN esterni alle aree comprese nella Carta italiana degli aiuti a finalità regionale, per la gran parte riferite alle zone del Centro-Nord, che in base alla prima formulazione della norma sarebbero stati esclusi dalle agevolazioni, sono comunque applicabili le discipline comunitarie in materia di aiuti di Stato alle piccole e medie imprese e per la tutela dell’ambiente. L’individuazione della potenziale platea dei beneficiari del credito d’imposta trova in ogni caso il suo limite nella dotazione finanziaria prevista in bilancio, essendo l’intervento ad essa parametrato. Pertanto non sussiste l’eventualità che si determini una spesa superiore a quella preventivata”.

Si ricorda, infine, che le lettere a) e c) dell’articolo 107 del TFUE fanno rispettivamente riferimento alla compatibilità con il mercato interno degli:

§       aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione, nonché quello delle regioni di cui all'articolo 349, tenuto conto della loro situazione strutturale, economica e sociale;

§       aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse.

Modalità di attribuzione dei crediti di imposta

I commi da 3 a 10 dell'articolo in esame disciplinano, nel dettaglio, le modalità di attribuzione del citato credito d’imposta.

 

Ai sensi del comma 3, il credito d’imposta è riconosciuto nella misura massima consentita dalla normativa europea in materia di aiuti di Stato e, per le aree ammissibili agli aiuti a finalità regionale, di quelle previste dalla Carta italiana degli aiuti a finalità regionale, subordinatamente all’approvazione della stessa da parte della Commissione europea. Il credito d’imposta non è cumulabile con altri aiuti di Stato che abbiano ad oggetto i medesimi costi ammissibili anche a titolo di « de minimis ».

 

Si segnala che la norma rinvia al Regolamento CE n. 1998/2006 - cd. disciplina de minimis - che aveva effetti fino al 31 dicembre 2013 ed è stato sostituito dal nuovo regolamento n. 1407/2013.

 

Si ricorda che la normativa europea vieta gli aiuti di Stato alle imprese, in quanto distorsivi del principio della libera concorrenza, tranne i casi esplicitamente indicati. Le disposizioni che istituiscono regimi di aiuto devono essere comunicate alla Commissione, che ne valuta la compatibilità. A tale proposito l'articolo 108, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) (ex articolo 88, paragrafo 3, del trattato che istituisce la Comunità europea, TCE) contempla l'obbligo di notificare gli aiuti di Stato alla Commissione europea al fine di stabilirne la compatibilità con il mercato comune sulla base dei criteri dell'articolo 107, par. 1 TFUE (ex articolo 87, paragrafo 1, TCE).

Alcune categorie di aiuti possono tuttavia essere dispensate dall'obbligo di notifica: si tratta degli aiuti concessi su un periodo di tre anni (tre esercizi finanziari) e che non superano la soglia dei 200.000 euro; questi aiuti non vengono considerati aiuti di Stato ai sensi dell'articolo 107, paragrafo 1, del TFUE (c.d. aiuti de minimis).

 

Ai sensi del comma 4, si considerano agevolabili l’acquisto, anche mediante contratti di locazione finanziaria, e, limitatamente alla prima categoria di beni, la realizzazione di:

a)   fabbricati classificabili nell’attivo dello stato patrimoniale, nell’ambito di strutture produttive;

b)   macchinari, impianti ed attrezzature varie destinati a strutture produttive;

c)   programmi informatici commisurati alle esigenze produttive e gestionali dell’impresa e brevetti concernenti nuove tecnologie di prodotti e processi produttivi; per le grandi imprese, come definite ai sensi della normativa comunitaria, gli investimenti in tali beni sono agevolabili nel limite del 50 per cento del complesso degli investimenti agevolati per il medesimo periodo d’imposta.

 

Il credito d’imposta è commisurato alla quota del costo complessivo dei beni eccedente gli ammortamenti dedotti nel periodo d’imposta, relativi alle medesime categorie dei beni d’investimento della stessa struttura produttiva, ad esclusione degli ammortamenti dei beni che formano oggetto dell’investimento agevolato effettuati nel periodo d’imposta della loro entrata in funzione. Per gli investimenti effettuati mediante contratti di locazione finanziaria, si assume il costo sostenuto dal locatore per l’acquisto dei beni (comma 5).

 

Il credito d’imposta è determinato con riferimento ai nuovi investimenti eseguiti in ciascun periodo d’imposta e non concorre alla formazione della base imponibile ai fini delle imposte sul reddito e dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP). Il credito d’imposta non rileva, inoltre, ai fini della determinazione della percentuale di deducibilità degli interessi passivi, di cui all’articolo 61 del TUIR, né rispetto ai criteri di inerenza per la deducibilità delle spese, di cui all’articolo 109, comma 5, del medesimo TUIR.

L’articolo 61 del TUIR disciplina la percentuale di deducibilità degli interessi passivi dal reddito d’impresa. Tale quota è pari al rapporto tra i ricavi e gli altri proventi che concorrono a formare il reddito e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi. L’articolo 109, comma 5, del TUIR prevede che le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, siano deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi. Se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili e ad attività o beni produttivi di proventi non computabili in quanto esenti nella determinazione del reddito, sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto di cui ai commi 1, 2, e 3 dell'articolo 96.

Il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione, secondo le norme generali in materia di compensazione dei crediti tributari dettate dall'articolo 17 del D.Lgs. n. 241 del 1997, con il modello di pagamento F24 da presentare unicamente attraverso i servizi telematici messi a disposizione dell’Agenzia delle Entrate, pena lo scarto della operazione di versamento, secondo modalità e termini definiti con provvedimento della medesima Agenzia.

Ai sensi del comma 1 del citato articolo 17, i contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche dei redditi. Tale compensazione deve essere effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva.

 

Il comma 7 demanda ad uno o più decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, l’individuazione di modalità e termini per la concessione del credito d’imposta a seguito di istanza delle imprese da presentare al Ministero dello sviluppo economico. Il Ministero dello sviluppo economico determina, nel rispetto del limite di spesa rappresentato dalle risorse annue stanziate, l’ammontare dell’agevolazione spettante a ciascun beneficiario e trasmette all’Agenzia delle Entrate, in via telematica, l’elenco dei soggetti beneficiari e l’importo del credito spettante a ciascuno di essi, nonché le eventuali revoche, anche parziali.

 

Ai sensi del comma 8, il Ministero dello sviluppo economico e l’Agenzia delle Entrate effettuano controlli nei rispettivi ambiti di competenza.

 

Il comma 9 reca alcune esclusioni, mentre il comma 10 subordina l’efficacia delle agevolazioni al rispetto delle disposizioni della Commissione europea per l’attuazione di aiuti di stato ad investimenti produttivi.

Copertura degli oneri derivanti dalla concessione dei crediti d’imposta

Il comma 14 prevede le seguenti modalità di copertura degli oneri derivanti dalla concessione dei crediti di imposta di cui trattasi, quantificati complessivamente in 20 milioni di euro per l’anno 2014 e 50 milioni per il 2015:

§      20 milioni di euro per l’anno 2014 e 10 milioni di euro per l'anno 2015 mediante corrispondente riduzione delle proiezioni, per i medesimi anni, dello stanziamento del fondo speciale di conto capitale iscritto, ai fini del bilancio triennale 2013-2015, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2013, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali per 20 milioni di euro per l'anno 2014 e l'accantonamento relativo al Ministero dell'ambiente per 10 milioni di euro per l'anno 2015;

§      40 milioni di euro per l'anno 2015 mediante riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'art. 10, comma 5, del D.L. 282/2004.


 

Articolo 4, commi 11-13
(Misure per l’area di crisi complessa del porto di Trieste)

 

 

I commi da 11 a 13 dell’articolo 4 recano disposizioni volte alla realizzazione degli interventi nell’area di crisi industriale complessa di Trieste.

 

In particolare, il comma 11 prevede la nomina, con D.P.C.M., di un commissario straordinario, individuato nel Presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia, al fine di assicurare:

§      l'attuazione dell'accordo di programma quadro;

Si osserva che la norma non indica chiaramente a quale documento si fa riferimento; se si tratti di un contratto già sottoscritto o di un nuovo documento, atteso che il comma 12 specifica che il Commissario assicura la realizzazione degli interventi urgenti di cui al comma 11 “a decorrere dalla data di sottoscrizione dell’accordo di programma quadro di cui al comma 11”.

Il documento di riferimento sembrerebbe comunque essere l’accordo di programma sottoscritto in data 25 maggio 2012 e relativo agli interventi di riqualificazione ambientale funzionali alla reindustrializzazione e infrastrutturazione delle aree comprese nel SIN di Trieste.

§      la realizzazione degli interventi urgenti nell’area di crisi industriale complessa di Trieste.

In relazione all’area di Trieste, si ricorda che essa è stata riconosciuta come area di crisi industriale complessa ai sensi dell'art. 27 del D.L. 83/2012, dal comma 7-bis dell’articolo 1 del D.L. 43/2013, quindi direttamente con norma primaria, in deroga alla procedura generale di individuazione di tali aree contenuta nel D.M. sviluppo economico 31 gennaio-2013, attuativo delle previsioni dello stesso articolo 27[12].

Lo stesso comma 7-bis specifica che la qualificazione come area industriale complessa è da considerarsi “in relazione alle tematiche della produzione siderurgica, alla riqualificazione delle attività industriali e portuali e al recupero ambientale”.

 

La disposizione fa riferimento al comma 7-ter dell’articolo 1 del D.L. 43/2013, il quale si limita a prevedere che, al fine di predisporre gli interventi necessari alla gestione dell'area di crisi industriale complessa Trieste, si applichino le disposizioni di cui al citato comma 7-bis, che ha riconosciuto l’area di Trieste quale area di crisi industriale complessa .

 

Ai sensi dei commi 11 e 12, il Commissario:

§      non ha diritto ad alcun compenso, rimborso o altro emolumento, in modo da non determinare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica;

§      è autorizzato ad esercitare i poteri previsti dall’art. 13 del D.L. 67/1997 per i c.d. commissari sbloccacantieri;

In estrema sintesi, l’art. 13, per l'attuazione degli interventi affidati a tali commissari, dispone che gli stessi provvedono in deroga ad ogni disposizione vigente e nel rispetto comunque della normativa comunitaria sull'affidamento di appalti di lavori, servizi e forniture, della normativa in materia di tutela ambientale e paesaggistica, di tutela del patrimonio storico, artistico e monumentale, nonché dei princìpi generali dell'ordinamento (comma 4-bis). I medesimi commissari, al fine di consentire il pronto avvio o la pronta ripresa dell'esecuzione dell'opera commissariata, possono altresì essere abilitati ad assumere direttamente determinate funzioni di stazione appaltante, laddove ravvisino specifici impedimenti all'avvio o alla ripresa dei lavori (comma 4-quater).

§      resta in carica per la durata di un anno, prorogabile con apposito D.P.C.M.; Al riguardo, si segnala che la norma non specifica la durata della proroga, né se la carica possa essere prorogata una o più volte.

§      può avvalersi degli uffici e delle strutture di amministrazioni pubbliche, centrali, regionali e locali, nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

L’ultimo periodo del comma 12 fa salve, nelle aree demaniali marittime, non ricomprese nell'accordo di programma quadro di cui al comma 11, ma rientranti nella circoscrizione dell'Autorità portuale, le attribuzioni e le competenze dell’Autorità portuale medesima, individuate dalla legge 84/1994.

 

In virtù del comma 13, che prevede l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 2, commi 2-septies e 2-octies, del D.L. 225/2010, gli atti del commissario sono sottoposti all’obbligo di rendicontazione contabile.

 

Il comma 2-octies prevede che i funzionari e i commissari delegati, commissari di Governo o in qualunque modo denominati, nominati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, autorizzati alla gestione di fondi statali, titolari di contabilità speciali per la realizzazione di interventi, programmi e progetti o per lo svolgimento di particolari attività, rendicontano nei termini e secondo le modalità di cui all’articolo 5, comma 5-bis, della legge 24 febbraio 1992, n. 225. La disposizione prevede, inoltre, che i rendiconti siano trasmessi all’Ufficio centrale del bilancio presso il Ministero dell’economia e delle finanze per il controllo e per il successivo inoltro alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, all’ISTAT e alla competente sezione regionale della Corte dei conti.

Relativamente alle modalità previste dal citato comma 5-bis, si ricorda che esso impone, ai Commissari delegati titolari di contabilità speciali, l’obbligo di rendicontare, entro il quarantesimo giorno dalla chiusura di ciascun esercizio e dal termine della gestione o del loro incarico, tutte le entrate e tutte le spese riguardanti l'intervento delegato, indicando la provenienza dei fondi, i soggetti beneficiari e la tipologia di spesa. Il rendiconto contiene anche una sezione dimostrativa della situazione analitica dei crediti e dei debiti. Nei rendiconti devono essere consolidati, con le stesse modalità, anche i dati relativi agli interventi delegati dal commissario ad uno o più soggetti attuatori. I rendiconti corredati della documentazione giustificativa, nonché degli eventuali rilievi sollevati dalla Corte dei conti, sono trasmessi al Ministero dell'economia e delle finanze-Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato-Ragionerie territoriali competenti, all'Ufficio del bilancio per il riscontro di regolarità amministrativa e contabile presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché, per conoscenza, al Dipartimento della protezione civile, alle competenti Commissioni parlamentari e al Ministero dell'interno. I rendiconti sono altresì pubblicati nel sito internet del Dipartimento della protezione civile. Le ragionerie territoriali inoltrano i rendiconti, anche con modalità telematiche e senza la documentazione a corredo, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, all'ISTAT e alla competente sezione regionale della Corte dei conti.

 

Si osserva che andrebbe valutata l’opportunità di eliminare il riferimento all’art. 2, comma 2-septies del D.L. 225/21010, attinente al procedimento di controllo preventivo di legittimità da parte della Corte di conti sui provvedimenti commissariali attuativi delle ordinanze conseguenti alla dichiarazione dello stato di emergenza, in quanto tale controllo è stato soppresso dall’art. 10, comma 4-ter del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Con riferimento agli aspetti del risanamento ambientale e, in particolare, del suolo, si segnala che nel settembre 2006, la Commissione ha presentato una comunicazione in materia di strategia tematica per la protezione del suolo (COM(2006)231) che, tra gli obiettivi fissati, aveva anche quello di riportare i suoli degradati ad un livello di funzionalità corrispondente almeno all’uso attuale e previsto, considerando anche le implicazioni, in termini di costi, del ripristino del suolo. A questo proposito, la Commissione riconosceva l’opportunità di intervenire a livello regionale o nazionale, piuttosto che attraverso un’azione a livello unionale.


Più in particolare, lo schema proposto era il seguente:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


La Commissione raccomandava agli Stati membri di individuare i siti contaminati presenti sul loro territorio, sulla base di una definizione comune e di un elenco comune di attività potenzialmente inquinanti, e formulare una strategia nazionale di bonifica di tali siti, prevedendo anche un meccanismo per finanziare la bonifica dei cosiddetti “siti orfani”.

 

Nel febbraio del 2012 la Commissione europea ha presentato la relazione (COM(2012)46) sullo stato di attuazione della strategia tematica, proponendo, nel contempo, l’aggiornamento dei principali temi della strategia: sensibilizzazione, ricerca, integrazione con le altre politiche europee.

Al riguardo, la relazione fa il punto sulle azioni di bonifica dei siti contaminati finanziate dagli Stati membri. Infatti, secondo quanto previsto dalla disciplina degli aiuti di Stato per la tutela ambientale, gli Stati membri possono concedere aiuti di Stato finalizzati al risanamento dei suoli contaminati ma solo se il principio “chi inquina paga” è pienamente rispettato, ossia, in questo caso, se il responsabile dell’inquinamento è sconosciuto o se è impossibile imputargli i costi. Nel periodo 2005-2010 la Commissione ha ritenuto che diversi regimi o singole misure di risanamento dei siti contaminati attuati in Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Estonia, Germania, Paesi Bassi, Slovacchia e Regno Unito fossero compatibili con il trattato. La Commissione ha verificato che il principio “chi inquina paga” fosse debitamente applicato, in particolare assicurando che gli oneri ambientali fossero correttamente trasferiti. Sono stati così approvati aiuti totali per oltre 8 miliardi di euro.

 

Si segnala che, nell’aprile 2013, la Corte dei conti europea ha illustrato nella relazione speciale n. 23, l’esito di 27 progetti di riqualificazione (nessuno italiano) ed esaminato gli strumenti usati dagli Stati membri per la riqualificazione dei siti dismessi, strumenti che costituiscono il quadro per gli specifici interventi cofinanziati.

Procedure di contenzioso
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

In materia di responsabilità per danni ambientali e azioni di risarcimento del danno ambientale, il 26 gennaio 2012 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato complementare - ai sensi dell’articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) (procedura di infrazione n. 2007/4679) contestando, in particolare, la non corretta trasposizione nell’ordinamento italiano della direttiva n. 2004/35/CE.

Precedentemente il 20 novembre 2009 la Commissione europea aveva trasmesso un parere motivato, contestando all’Italia varie non conformità del decreto legislativo 152/2006 alla direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale. Le Autorità italiane avevano risposto con note dell’1 e del 2 dicembre 2009 e con nota del 2 febbraio 2010 notificando i provvedimenti legislativi intesi a risolvere alcuni dei problemi sollevati dalla Commissione.

 

Nel parere motivato complementare la Commissione ha affermato di ravvisare nel decreto legislativo n. 152/2006, con cui l’Italia ha recepito la direttiva, i seguenti profili di non conformità alla citata direttiva:

§       il decreto legislativo restringe la responsabilità ambientale ai casi di dolo e colpa, laddove la direttiva prevede la limitazione del dolo e della colpa, e quindi dell’obbligo di ripristino, per i soli casi di danno alle specie e all’habitat naturale causato dall’esercizio di attività professionali non incluse nell’elenco allegato alla direttiva;

§       limitazioni, non previste dalla direttiva, del campo di applicazione delle disposizioni in materia di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente. In particolare, la normativa italiana prevede la non applicazione di tali disposizioni alle “situazioni di inquinamento per le quali siano effettivamente avviate le procedure relative alla bonifica, o sia stata avviata o sia intervenuta bonifica dei siti nel rispetto delle norme vigenti in materia, salvo che ad esito di tale bonifica non permanga un danno ambientale”;

§       previsione della possibilità di sostituire le misure di riparazione con risarcimenti per equivalente pecuniario, laddove la direttiva dispone una gerarchia di misure di riparazione, complementari e compensative, non prevedendo il ricorso al risarcimento pecuniario. Inoltre, le modalità di calcolo dell’ammontare del risarcimento, previste dal decreto legislativo, appaiono svincolate dall’entità del danno ambientale arrecato.


 

Articolo 5, commi 1-6
(Sostegno all’internazionalizzazione delle imprese)

Contributi all’ICE per la promozione degli scambi e l’internazionalizzazione delle imprese

Il comma 1 incrementa di circa 22.594.000 euro per il 2014 le risorse del Fondo per la promozione degli scambi e l’internazionalizzazione delle imprese. A tal fine vengono utilizzate le risorse giacenti presso la Banca del Mezzogiorno-Mediocredito Centrale rivenienti dalla chiusura, disposta dalla Commissione europea, del Programma Operativo Multiregionale “Industria e Servizi” 1989/93-Misura 2.2.

Alla copertura dell’onere si provvede tramite utilizzo, previo versamento all’entrata dello Stato e conseguente riassegnazione all’apposito capitolo di spesa, delle risorse giacenti presso la Banca del Mezzogiorno-Mediocredito centrale, originate dal Programma operativo Multiregionale “Industria e servizi” 1989-93 Misura 2.2. A seguito della chiusura amministrativa del predetto Programma, disposta dalla Commissione europea nel novembre 2000, e del rendiconto finale della misura 2.2, approvato dal Mediocredito Centrale nell’aprile 2003, risultano infatti libere da vincoli di destinazione, in quanto non più soggette a obblighi comunitari di impiego, risorse per oltre 22,594 milioni di euro.

Le risorse sono destinate allo stanziamento annuale del bilancio del Ministero dello Sviluppo Economico per la realizzazione del piano di attività dell’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane – ICE. Si ricorda che il comma 19, articolo 14, del D.L. 98/2011 e successive modifiche, ha previsto che le risorse già destinate all'ICE per il finanziamento dell'attività di promozione e di sviluppo degli scambi commerciali con l'estero, come determinate nella Tabella C della legge 13 dicembre 2010, n. 220, sono trasferite in un apposito Fondo per la promozione degli scambi e l'internazionalizzazione delle imprese, da istituire nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico. Nel 2013 tali risorse, sia per la competenza che la cassa, ammontano a circa 37,5 mln di euro.[(art. 8, comma 1, lettera b) della L. 549/95: Attività promozionale delle esportazioni italiane (4.2 - cap. 2531)]

Orario apertura Agenzia delle dogane e dei monopoli

Il comma 2, aggiungendo un periodo al comma 2 dell’articolo 1 del decreto legislativo 8 novembre 1990, n. 374, consente una più ampia articolazione dell’orario di apertura degli uffici doganali frontalieri, con riferimento a tutte le merci che circolano in regimi diversi dal transito.

Si ricorda in proposito che l’articolo 1 del decreto legislativo 374/1990 disciplina l’orario di apertura degli uffici dell’Agenzia delle Dogane, ora Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

In particolare, il comma 1 prevede che l’orario ordinario di apertura degli uffici doganali sia fissato dalle 8 alle 18 nei giorni dal lunedì al venerdì e dalle 8 alle 14 nella giornata di sabato.

Ai sensi del successivo comma 2 le sedi frontaliere (ossia gli uffici doganali di confine, di mare e aeroportuali), sono aperte 24 ore su 24, quindi oltre l’orario ordinario, ma solo per i controlli e le formalità relative al traffico passeggeri o su mezzi di trasporto che circolano vuoti o che trasportano merci in regime doganale di transito.

Per effetto delle modifiche apportate dalle norme in commento, si affida a una determinazione del Direttore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli l’individuazione degli uffici doganali in cui la predetta operatività di 24 ore su 24 è assicurata anche per l’espletamento dei controlli e delle formalità sulle merci che circolano in regimi diversi dal transito, dunque non per i soli controlli su passeggeri, mezzi di trasporto vuoti e merci in transito.

Tale più ampia operatività è assicurata a condizione che nell’ufficio doganale di riferimento la consistenza del personale in servizio sia superiore a quella dell’anno precedente in misura tale da garantire la copertura dell’orario prolungato.

Partecipazione delle imprese agricole ai Consorzi per l’internazionalizzazione

Il comma 3, attraverso modifiche all’articolo 42 del decreto-legge 22 giugno 2012 n. 83, estende alle imprese agricole la possibilità di far parte dei Consorzi per l’internazionalizzazione e di partecipare ai relativi progetti ammessi a contributo pubblico.

La disciplina dell’attività dei consorzi per l’internazionalizzazione è stata ampiamente riformata con l’articolo 42, del D.L. 83/2012. In tale disposizione si prevede che l’attività abbia ad oggetto:

§       la diffusione internazionale dei prodotti e dei servizi alle piccole e medie imprese;

§       il supporto alla loro presenza nei mercati esteri, anche attraverso la collaborazione con imprese estere.

§       Devono ritenersi attività funzionali al raggiungimento degli scopi dei consorzi le attività riguardanti:

§       l’importazione di materie prime e di prodotti semilavorati;

§       formazione specialistica per l’internazionalizzazione;

§       la qualità, la tutela e l’innovazione dei prodotti, anche attraverso marchi in contitolarità.

§       Sono inoltre ridefinite le modalità di costituzione dei consorzi in esame. Vengono, in particolare, in rilievo gli articoli 2602 e 2612 e seguenti del codice civile.

§       Possono costituire consorzi o cooperative:

§       le piccole e medie imprese industriali, artigiane, turistiche, di servizi e agroalimentari, aventi sede in Italia, nonché le imprese del settore commerciale;

§       gli enti pubblici e privati, le banche e le imprese di grandi dimensioni, purché non fruiscano dei contributi di cui al comma successivo;

La nomina della maggioranza degli amministratori dei consorzi per l’internazionalizzazione spetta in ogni caso alle piccole e medie imprese consorziate, in ragione della destinazione prevalente dei servizi alle stesse.

I consorzi in esame possono ottenere, nei limiti delle risorse di bilancio disponibili a tal fine, un contributo non superiore al 50% per la copertura delle spese sostenute per l’esecuzione dei progetti. Di tali contributi possono beneficiare anche piccole e medie imprese non consorziate ma che abbiano stipulato contratti di rete tra di loro; alla generalità delle stesse imprese si applica la normativa comunitaria riguardante gli aiuti de minimis di cui al reg. (CE) n.1998/2006, salva l’applicazione di regimi più favorevoli. Entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, un decreto di natura non regolamentare del Ministro dello sviluppo economico stabilirà i requisiti soggettivi, i criteri e le modalità per la concessione dei contributi.

Per quanto riguarda il trattamento fiscale dei consorzi per l’internazionalizzazione si ricorda che la vigente disciplina dei consorzi per il commercio estero, contenuta nella legge n. 83 del 1989, vieta a tali soggetti (articolo 2, comma 4) di distribuire avanzi di esercizio di ogni genere e sotto qualsiasi forma alle imprese consorziate o socie; tale previsione deve essere recata dallo statuto. A fini fiscali si prevede inoltre (articolo 3, comma 1) che non concorrano a formare il reddito imponibile dei consorzi e delle società consortili - dunque siano esclusi da imposizione sui redditi - gli avanzi di esercizio destinati a fondi di riserva indivisibili, purché venga esclusa la possibilità di distribuire tali fondi sotto qualsiasi forma, sia durante la vita dell'ente che all'atto del suo scioglimento.

In sostanza, si concede a detti consorzi la possibilità di ampliare la fattispecie di accantonamento in sospensione di imposta degli avanzi di esercizio, mantenendo il regime fiscale di favore se utilizzati per scopi specifici afferenti la vita dell’ente.

A fini IVA, i servizi resi dai consorzi per l’internazionalizzazione nei confronti dei consorziati (piccole e medie imprese) non sono imponibili, in quanto vengono qualificati come costituiscono servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali, ai sensi dell'articolo 9 del decreto Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.

 

Più in particolare è previsto che:

§      anche le piccole e medie imprese agricole possano far parte dei consorzi per l'internazionalizzazione (lettera a);

§      ai contributi per i consorzi si applicano anche le modifiche al regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione, del 15 dicembre 2006, in materia di aiuti de minimis (lettera b);

Tali modifiche sono peraltro intervenute con l’approvazione del nuovo Regolamento n. 1407/UE del 18 dicembre 2013, con effetto dal 1 gennaio 2014.

Andrebbe valutata l’opportunità di citare direttamente nel testo il nuovo Regolamento comunitario in materia di aiuti di stato di importanza minore.

E' stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea del 24 dicembre 2013 il regolamento 1407/2013 del 18 dicembre sull'applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell'Ue agli aiuti "de minimis", che contiene le regole sulle modalità di erogazione di aiuti minimi alle imprese senza notificazione in via preventiva alla Commissione Ue.

§      nel caso in cui al progetto partecipino imprese agricole, a queste ultime ai fini del contributo si applica, nell’ambito del plafond nazionale, il regolamento (CE) n. 1535/2007 e successive modificazioni, che disciplina le sovvenzioni pubbliche che rientrano nella regola de minimis in favore delle imprese nel settore agricolo (lettera c).

Anche il regolamento 1537/2007 è stato sostituito dal nuovo Regolamento 1408/2013 del 18 dicembre 2013,con effetto dal 1 gennaio 2014.

Andrebbe anche in tale caso valutata l’opportunità di citare direttamente nel testo il nuovo Regolamento comunitario in materia di aiuti di stato di importanza minore nel settore agricolo.

Il Regolamento (UE) N. 1408/2013 della Commissione del 18 dicembre 2013 relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti «de minimis» nel settore agricolo, è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea del 24 dicembre 2013.

Certificazioni in lingua inglese da parte delle Camere di commercio-Esenzione da bollo

Il comma 4 esclude dal pagamento dell’imposta di bollo i certificati camerali anche in lingua inglese richiesti dalle imprese per esser utilizzati all’estero.

Certificazioni da parte delle Camere di commercio-Semplificazioni per le imprese

Il comma 5 amplia il quadro delle competenze delle camere di commercio attribuendo alle stesse, nel rispetto delle competenze attribuite dalla legge ad altre pubbliche amministrazioni, la potestà di rilasciare attestazioni di libera vendita e commercializzazione dei prodotti sul territorio italiano o comunitario e di certificazioni dei poteri di firma, su atti e dichiarazioni, a valere all’estero, in conformità alle informazioni contenute nel registro delle imprese.

 

La disposizione interviene sull’articolo 2 comma 2, lettera l) della legge 29 dicembre 1993, n. 580, come modificata dal decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 23, che contiene la disciplina dei compiti e delle funzioni delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura.

Non è ravvisabile nell’ordinamento un’unica norma che definisca specificamente i contenuti delle attestazioni e delle certificazioni (certificazioni di autenticità di firma di rappresentanti aziendali, procure ad agire per conto, attestazioni tecniche di produzione o qualità anche su atti privati tra partner commerciali) e che individui le Camere come istituzioni competenti al rilascio.

Nella prassi le Camere di commercio rilasciano diversi certificati o visti su richiesta dell’impresa esportatrice.

Il certificato di libera vendita è richiesto da alcuni Stati (come la Thailandia, la Corea, il Perù, ecc.), e attesta che la merce esportata dall'impresa italiana è liberamente commercializzata in Italia o in altri Paesi dichiarati dall’impresa. Tale attestazione è richiesta soprattutto quando si tratta di merci sottoposte a controlli specifici in quanto collegate al consumo o all’utilizzo sul genere umano, come ad esempio cosmetici, sanitari, alimentari, medicali. L'attestato di libera vendita non è comunque sostitutivo di certificazioni eventualmente previste da specifiche normative di settore e non assolve di per sé ai relativi obblighi di controllo previsti da legge, in quanto attesta la mera commercializzazione dei prodotti. L'impresa che richiede l'attestato deve avere sede nella provincia, essere regolarmente iscritta al Registro delle imprese ed aver dichiarato l'inizio di attività. Per ottenerlo occorre compilare una richiesta su carta intestata, corredata da un elenco completo o a campione dei propri clienti, comprensivo dei dati identificativi e da copia delle fatture di vendita in Italia dei prodotti per i quali si chiede il certificato; la richiesta va infine presentata all’Ufficio Commercio Estero della Camera competente. L’inoltro può avvenire anche via e-mail o fax, tenendo presente che gli originali di tutti i documenti devono essere consegnati all'ufficio al momento del ritiro dell'attestato.

In alcuni casi la Camera di Commercio - su richiesta dell'impresa esportatrice - appone un visto su vari documenti (ad esempio certificati sanitari, certificati di analisi ed autorizzazioni varie, ecc.) emessi da Enti e Organismi istituzionali quali ASL, Istituti di certificazione, ecc., che comunque non attesta l'esattezza o l'attendibilità del documento presentato. Copia del documento, vistato in calce con la menzione "visto per deposito", viene conservata agli atti d’ufficio.

In alternativa, può essere richiesto il “Visto poteri di firma”, su dichiarazioni rese dall’impresa esportatrice che riguardano stati o caratteristiche del prodotto esportato o dei soggetti coinvolti nell’operazione di esportazione. Tale visto si basa sul controllo di conformità o di legittimità della firma di chi rilascia la dichiarazione, in genere il legale rappresentante dell’impresa o un suo procuratore.

Tali visti, vengono rilasciati in relazione a documenti accompagnatori della merce all’esportazione, solo quando richiesti dalle Autorità estere dei paesi di destinazione delle merci per consentirne l’ingresso.

 

Dalla formulazione della disposizione non appare chiaro se si tratta di una nuova facoltà attribuita ai soggetti camerali o semplicemente della ratifica normativa di una prassi esistente.

Ad un decreto del Ministero dello sviluppo economico è demandata l’approvazione dei modelli dei certificati rilasciati dalle camere di commercio.

All’attuazione di tali disposizioni si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Camere di commercio italo-estere o estere in Italia

Il comma 6 abroga l’articolo 6-decies del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, in materia di Modifiche alla disciplina dell'albo delle camere di commercio italo-estere o estere in Italia prevedendo contestualmente che gli effetti prodotti dal medesimo articolo vengono meno, a far data dall’entrata in vigore del presente decreto, con salvezza degli effetti giuridici degli atti eventualmente adottati dai soggetti titolari di incarichi negli organi statutari dichiarati decaduti ai sensi della predetta disposizione.

 

Si ricorda che la disposizione abrogata prevedeva che i soggetti che alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto risultino iscritti all'albo delle camere di commercio italo-estere o estere in Italia, disciplinato dal regolamento di cui al decreto del Ministro del commercio con l'estero 15 febbraio 2000, n. 96, sono associazioni di diritto privato dotate di autonomia funzionale e patrimoniale. I soggetti titolari di incarichi negli organi statutari sia monocratici che collegiali delle camere di commercio italo-estere o estere in Italia non possono restare in carica per più di due mandati consecutivi, riferiti non solo alla permanenza in una specifica carica, ma alla permanenza nei suddetti organi anche in presenza di variazione di carica. I soggetti che alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto hanno superato il limite temporale di cui al primo periodo sono dichiarati decaduti con decorrenza dalla predetta data, senza necessità di alcun altro atto, e si procede alla loro sostituzione secondo le norme dei rispettivi statuti. Gli statuti delle camere di commercio italo-estere o estere in Italia e le loro eventuali variazioni entrano in vigore a seguito della loro approvazione con decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro degli affari esteri. Gli statuti in vigore alla data del 31 dicembre 2012 si intendono approvati previa verifica da parte dei citati Ministeri.


 

Articolo 5, commi 7-9
(Lavoratori extracomunitari impiegati nelle startup innovative)

Visti di ingresso e permesso di soggiorno per lavoratori extracomunitari nelle startup innovative

Il comma 7 prevede che, nel rispetto della normativa vigente nazionale ed europea, il Ministero degli affari esteri, il Ministero dell’interno e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali individuano forme di agevolazione nella trattazione delle domande di visto di ingresso e di permesso di soggiorno connesse con start-up innovative, con iniziative d’investimento, di ricerca o di mecenatismo, da realizzare anche in partenariato con imprese, enti di ricerca ed altri soggetti pubblici o privati italiani.

 

Si ricorda che per la startup innovativa viene predisposto un quadro di riferimento articolato e organico a livello nazionale che interviene su materie differenti come la semplificazione amministrativa, il mercato del lavoro, le agevolazioni fiscali, il diritto fallimentare (artt. 25-32 del D.L. 179/2012). Nella legislatura in corso, con il D.L. "Lavoro", sono state apportate alcune modifiche significative sui requisiti d'accesso, al fine di rendere la normativa più efficace nell'incoraggiare l'imprenditorialità innovativa.

Modifica alla disciplina concernente i lavoratori extracomunitari

Il comma 8, reca diverse disposizioni concernenti i lavoratori extracomunitari.

Più specificamente:

§      si prevede che il cittadino straniero non comunitario che abbia conseguito in Italia un dottorato o un master universitario di primo livello, possa chiedere un permesso di soggiorno per attesa occupazione (lettera a);

§      viene agevolato l’ingresso e il soggiorno per ricerca scientifica prevedendo che la sussistenza delle risorse mensili messe a disposizione del ricercatore e indicate nella convenzione di accoglienza tra il ricercatore medesimo e l’istituto di ricerca sia dichiarata da parte dell’istituto, anche nel caso in cui la partecipazione del ricercatore al progetto di ricerca benefici del sostegno finanziario di terzi (lettere b);

§      viene escluso per i ricercatori l’obbligo di dimostrare la disponibilità di un alloggio idoneo ai fini del ricongiungimento familiare (lettera c);

§      viene elimina l’obbligo di corrispondenza tra titolo di studio e qualifica professionale per l’ingresso di lavoratori altamente qualificati (lettere d) ed e);

§      viene liberalizzato l’ingresso in Italia degli studenti residenti all’estero che intendano accedere all’istruzione universitaria con la soppressione del contingentamento del numero dei visti per motivi di studio rilasciati ogni anno (lettera f)

 

La lettera a) apporta una modifica all’articolo 22, comma 11-bis, del testo unico sull’immigrazione (D.Lgs. 286/1998), ai sensi del quale il cittadino straniero non comunitario che ha conseguito in Italia un dottorato o un master universitario di secondo livello, ovvero la laurea triennale o laura specialistica alla scadenza del permesso di soggiorno per motivi di studio, può essere iscritto nell'elenco anagrafico dei lavoratori previsto dall'articolo 4 del D.P.R. 7 luglio 2000, n. 442, e chiedere un permesso di soggiorno per attesa occupazione. In questo caso, l’iscrizione nell’elenco avrà una durata non superiore a dodici mesi. Resta salva la possibilità per lo studente straniero, in presenza dei requisiti previsti dal Testo Unico, di chiedere la conversione del permesso di soggiorno per studio (prima della scadenza dello stesso) in permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Stante la formulazione della disposizione, la possibilità di richiedere il permesso per attesa occupazione è riservato agli immigrati con permesso di soggiorno per studio che, alla scadenza di questo, abbiano conseguito in Italia il dottorato o il master di secondo livello ovvero la laurea.

La disposizione in esame estende tale possibilità anche a chi abbia conseguito il master universitario di primo livello.

Si ricorda che il comma 11-bis in oggetto è stato introdotto dalla L. 94/2009 (art. 1, comma 22, lett. q) e poi modificato dal D.L. 76/2013 (art. 9, comma 8-bis). Nella formulazione originaria, si prevedeva l’accesso al permesso di soggiorno di attesa occupazione solamente per coloro che avessero conseguito il master di secondo livello. Con la modifica apportata dal D.L. 76/2013 l’accesso è stato esteso anche ai laureati. Rimanevano esclusi solo coloro che avessero conseguito il master di primo livello, quindi ad un corso cui si accede con la laurea.

 

Si ricorda che, a seguito della previsione contenuta all'articolo 17, comma 95, della L. 127/1997, con D.M. 509/1999 è stato introdotto nell’ordinamento il c.d. “modello 3+2”, in base al quale le università rilasciano titoli di primo e di secondo livello, denominati, rispettivamente, laurea e laurea specialistica. In seguito, l’art. 3 del D.M. 270/2004 ha sostituito la denominazione di laurea specialistica con quella di laurea magistrale.

Inoltre, ai sensi del medesimo art. 3, le università possono attivare, disciplinandoli nei regolamenti didattici di ateneo, corsi di perfezionamento scientifico e di alta formazione permanente e ricorrente, successivi al conseguimento della laurea o della laurea magistrale, alla conclusione dei quali sono rilasciati, rispettivamente, i master universitari di primo e di secondo livello.

Con la circolare n. 6786 del 5 settembre 2011, il Ministero dell’interno aveva confermato, in risposta ad un quesito, che l’articolo 22-bis esclude possibilità di rilasciare un permesso di un soggiorno per attesa occupazione anche in favore di quegli studenti stranieri che abbiano proficuamente concluso gli studi universitari e non accedano a dottorati o master universitari di secondo livello e che per procedere a tale conversione fosse preliminarmente necessario uno specifico intervento di modifica legislativa.

 

In merito alla formulazione del testo, appare necessario sostituire le denominazioni di “laurea triennale” e “laurea specialistica” rispettivamente con “laurea” e “laurea magistrale”.

Le lettere b) e c) modificano l’articolo 27-ter del testo unico sull’immigrazione (D.Lgs. 286/1998) che disciplina l’ingresso e il soggiorno per ricerca scientifica.

Con la prima modifica si specifica che la sussistenza delle risorse mensili messe a disposizione del ricercatore e indicate nella convenzione di accoglienza tra il ricercatore medesimo e l’istituto di ricerca sia dichiarata da parte dell’istituto, anche nel caso in cui la partecipazione del ricercatore al progetto di ricerca benefici del sostegno finanziario dell’Unione Europea, di un’organizzazione internazionale, di altro istituto di ricerca o di un soggetto estero ad esso assimilabile (lettera a).

Con la seconda modifica viene escluso per i ricercatori l’obbligo di dimostrare la disponibilità di un alloggio idoneo ai fini del ricongiungimento familiare (lettera b).

 

Le lettere d) ed e) modificano l’articolo 27-quater del testo unico sull’immigrazione che disciplina l’ingresso e il soggiorno per lavoratori altamente qualificati. Si tratta dei cosiddetti lavoratori fuori quota, ossia dei lavoratori che possono fare ingresso in Italia in sovrannumero rispetto alle quote dei lavoratori ammessi ogni anno determinate con il decreto flussi e che accedono ad un permesso di soggiorno speciale denominato Carta blu UE.

Per poter rientrare in tale categoria di lavoratori gli interessati devono avere una serie di requisiti, tra cui un titolo di istruzione superiore conseguito con un corso di almeno tre anni e la relativa qualifica professionale superiore, ossia una qualifica corrispondente al titolo di studio. La modifica in commento elimina l’obbligo di corrispondenza tra titolo di studio e qualifica, consentendo quindi l’ingresso anche a coloro che hanno una qualifica professionale diversa da quella corrispondete con il titolo di studio.

 

In Italia l’immigrazione dei cittadini stranieri non appartenenti all’Unione europea è regolata secondo il principio della programmazione dei flussi. Ogni anno il Governo, sulla base della necessità di manodopera interna, stabilisce il numero di stranieri che possono entrare nel nostro Paese per motivi di lavoro.

In particolare, con il decreto flussi il Governo stabilisce ogni anno, sulla base delle indicazioni contenute nel documento programmatico triennale e dei dati sull’effettiva richiesta di lavoro da parte delle realtà locali, elaborati da un’anagrafe informatizzata tenuta dal Ministero del lavoro, le quote massime di stranieri da ammettere in Italia per motivi di lavoro. In esso sono previste quote riservate per i cittadini provenienti da Paesi a forte pressione migratoria con i quali l’Italia ha sottoscritto accordi specifici di cooperazione in materia di immigrazione. Il decreto è adottato entro il 30 novembre di ciascun anno, previo parere delle competenti commissioni parlamentari. Una norma di salvaguardia prevede che qualora non sia possibile emanare il decreto (per esempio in assenza del documento programmatico triennale) il Presidente del Consiglio può adottare un decreto transitorio con una procedura più veloce e senza il parere delle Camere. Tale decreto, però, non può superare le quote stabilite nell’ultimo decreto (ordinario o transitorio) emanato (art. 3 del testo unico del 1998). Il decreto flussi2013 ha autorizzato l’ingresso di una quota massima di 17.850 lavoratori (DPCM 25 novembre 2013

 

La lettera f) liberalizza l’ingresso in Italia degli studenti residenti all’estero che intendano accedere all’istruzione universitaria attraverso l’abrogazione dell’articolo 39, comma 4 del testo unico che prevede il contingentamento del numero dei visti per motivi di studio rilasciati ogni anno.

 

L’accesso degli studenti stranieri ai corsi delle università italiane sono disciplinati dall’articolo 39 del testo unico delle leggi sull’immigrazione approvato con il D.Lgs. 286/1998.

Viene sancita in via generale la parità di trattamento degli stranieri con i cittadini italiani per quanto riguarda l’accesso all’istruzione universitaria ed il diritto allo studio.

L’accesso alle università italiane degli studenti stranieri residenti all’estero viene contingentato nei limiti del numero massimo di visti d’ingresso e permessi di soggiorno determinato annualmente, sulla base delle disponibilità comunicate dalle università, con decreto del Ministro degli affari esteri, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e con il Ministro dell’interno; sul relativo schema le competenti Commissioni parlamentari esprimono il proprio parere. Il parere è espresso entro 30 giorni dalla trasmissione (art. 39, co. 4).

L’articolo 46 del regolamento di attuazione del testo unico delle leggi sull’immigrazione (approvato con il D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394 e modificato con il D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334) stabilisce più dettagliatamente le modalità per la determinazione annuale del numero dei posti da destinare alla immatricolazione degli studenti stranieri ai corsi di studio universitari per l’anno successivo e per l’emanazione del decreto sui relativi visti di ingresso e permessi di soggiorno:

§      i singoli atenei fissano, entro il 31 dicembre di ogni anno, il numero di posti che possono essere assegnati agli studenti stranieri nell’anno seguente;

§      sulla base dei dati forniti dalle università, il Ministro degli affari esteri, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e con il Ministro dell’interno, emana il decreto con cui viene stabilito il numero massimo di visti d’ingresso e permessi di soggiorno per motivi di studio;

§      con un provvedimento successivo sono definiti gli adempimenti richiesti agli stranieri per il rilascio del visto di ingresso e del permesso di soggiorno per motivi di studio, anche con riferimento alla dimostrazione di disponibilità di mezzi sufficienti di sostentamento da parte dello studente straniero.

L’ultimo decreto flussi per motivi di studio è stato adottato con il decreto del Ministero degli affari esteri del 9 gennaio 2012 (48.806 ingressi autorizzati).

 

Il comma 9 dispone che dall’attuazione dei commi 7 e 8 non devono derivare oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica.


 

Articolo 6, commi 1-7 e 10-14
(Misure per favorire la digitalizzazione e la connettività
delle piccole e medie imprese)

 

 

Il comma 1 dell’articolo 6 consente l’accesso da parte delle piccole e medie imprese a finanziamenti a fondo perduto, tramite voucher di importo non superiore a 10.000 euro da destinare a:

§      Acquisto di software, hardware o servizi che consentano il miglioramento dell’efficienza aziendale;

§      Sviluppo di soluzioni di e-commerce;

§      Connettività a banda larga e ultralarga;

Si ricorda che l’Agenda digitale europea (in particolare con la comunicazione della Commissione europea COM(2010)472) ha posto l’obiettivo di raggiungere, entro il 2020 una copertura con banda larga veloce (pari o superiore a 30 Megabit per secondo) per il 100% dei cittadini UE e con banda larga ultra veloce (pari o superiore a 100 Megabit per secondo) per il 50% dei cittadini UE.

§      Formazione qualificata, nel campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Information and Communication Technology: ICT) del personale delle piccole e medie imprese;

 

L’erogazione dei finanziamenti deve avvenire, in base al comma 1, nel rispetto del regolamento (CE) n. 1998/2006 che disciplina l’erogazione degli aiuti de minimis. Si tratta cioè di quelle misure di sostegno al sistema produttivo che non violano il divieto di aiuti di Stato previsto dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea perché ritenuti di lieve entità. Il Regolamento (CE) n. 1998/2006 citato nella disposizione è stato però ora sostituito dal Regolamento (UE) n. 1407/2013 del 18 dicembre 2013 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 24 dicembre 2013). Il nuovo regolamento mantiene comunque invariata la definizione degli aiuti de minimis come quegli aiuti che abbiano un massimale di 200 000 Euro calcolato su un periodo di tre anni (100 000 euro per il settore del trasporto di merci su strada per conto terzi).

 

Al riguardo, si rileva l’opportunità di aggiornare il riferimento normativo.

 

In proposito, la relazione illustrativa segnala che “durante il periodo di programmazione corrente (dei fondi comunitari, 2007-2013, ndr) l’Italia ha programmato circa 28 miliardi di euro, allocati 16 miliardi di euro e ne ha speso il 35 per cento. L’Italia ha programmato circa 1,3 miliardi di euro per l’Information and Communication Technology (ICT), dei quali 100 milioni di euro sono previsti per la banda larga. Il rapporto strategico sui fondi strutturali più recente ha rivelato che solo il 47 per cento del totale è stato destinato a progetti e che solo il 5 per cento di quanto destinato è stato effettivamente speso per la banda larga”.

 

I commi 2 e 3 dell’articolo 6 intervengono sulle modalità attuative dell’erogazione del contributo di cui al comma 1. In particolare il comma 2 rimette a un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per la coesione sociale, il Ministro per gli affari regionali e il Ministro dello sviluppo economico, l’ammontare dell’intervento nella misura massima di 100 milioni di euro. Tali risorse sono recuperate dalle risorse complessive della programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali comunitari, previa verifica della coerenza con le linee di intervento previste dalla medesima. Esse saranno inoltre fruibili solo a seguito dell’approvazione da parte della Commissione europea del Programma operativo nazionale (PON) relativo alla competitività di competenza del Ministero dello sviluppo economico. Il CIPE provvederà quindi al riparto della somma così individuata tra le regioni in misura proporzionale al numero delle imprese registrate presso le Camere di commercio di ciascuna regione. Il comma 3 prevede inoltre che con decreto del Ministro dello sviluppo economico siano stabiliti lo schema standard di bando e le modalità di erogazione dei contributi.

 

Al riguardo, si rileva che la norma non precisa il periodo temporale entro il quale sarà possibile usufruire dei contributi. Sembra però potersi desumere che, utilizzandosi risorse riferite all’intero periodo di programmazione 2014/2020, anche il contributo potrà essere erogato lungo tutto questo periodo. Sembra inoltre potersi desumere che il decreto di attuazione previsto dal comma 3 dovrà anche stabilire le modalità di fruizione del contributo e individuare la platea degli aventi diritto in modo tale che sia rispettato il limite di spesa individuato al comma 2 (ad esempio attraverso il meccanismo del c.d. click day).

 

Il comma 4 modifica la misura del contributo annuo dovuto, ai sensi dell’articolo 34 del codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259/2003) , dalle imprese titolari dell’autorizzazione generale per la fornitura di reti pubbliche di comunicazioni e di servizio telefonico accessibile al pubblico.

 

Si ricorda che ai sensi del codice (art. 1) si definisce rete pubblica di comunicazione una rete di comunicazione elettronica utilizzata interamente o prevalentemente per fornire servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico, che supporta il trasferimento di informazioni tra i punti terminali di reti.

 

In particolare, si prevede che per le imprese con un numero di utenti pari o inferiore a 50000 utenti un contributo di:

a)   300 euro ogni mille utenti per le reti pubbliche di comunicazioni, in luogo dei 111.000 euro attualmente previsti;

b)   100 euro ogni mille utenti per i servizi telefonici accessibili al pubblico, in luogo dei 66.500 euro attualmente previsti.

 

Il comma 5 proroga dal 1° gennaio 2013 al 30 giugno 2014 l’entrata in vigore della disposizione (art. 15, co. 2-bis della legge n. 241/1990, introdotto dall’articolo 6 del decreto-legge n. 179/2012) che prevede che gli accordi per l’esercizio in comune di attività di interesse comune da parte di amministrazioni diverse debbano essere sottoscritte in forma elettronica.

 

Analogamente, il comma 6 proroga dal 1° gennaio 2013 al 30 giugno 2014 ovvero al 1° gennaio 2015 l’entrata in vigore della disposizione (art. 11, comma 13 del codice dei contratti pubblici, come sostituito dal decreto-legge n. 179/2012) che prevede che i contratti pubblici siano sottoscritti, a pena di nullità, con atto pubblico notarile informatizzato, ovvero in modalità elettronica, in forma pubblica amministrativa o in forma di scrittura privata. In particolare, la proroga è al 30 giugno 2014 per i contratti stipulati in forma pubblica amministrativa a al 1° gennaio 2015 per i contratti stipulati in forma di scrittura privata.

 

Conseguentemente, il comma 7 fa salvi gli accordi e i contratti non stipulati in modalità elettronica a decorrere dal 1° gennaio 2013 e fino alle date individuate dai commi 5 e 6.

 

In proposito, la relazione illustrativa informa che presso la Presidenza del Consiglio è stato attivato un tavolo tecnico per la risoluzione delle problematiche relative all’introduzione degli obblighi di stipula in forma elettronica sopra richiamati. Tra le problematiche più rilevanti indicate nella relazione si segnalano: 1) le caratteristiche tecniche dell’accordo o del contratto per garantirne l’immodificabilità e la leggibilità nel tempo; 2) le modalità di sottoscrizione anche in relazione agli allegati; 3) la definizione di un formato informatico per collegare in modo univoco l’accordo o il contratto con i relativi allegati; 4) le caratteristiche del sistema informatico di conservazione idonee a garantire nel tempo l’unicità, l’integrità, l’autenticità e la leggibilità dell’atto e dei relativi allegati; 4) le modalità per l’assolvimento dell’imposta di bollo.

 

I commi da 10 a 14 prevedono una detrazione dall’imposta lorda nella percentuale del 65% degli importi rimasti a carico del contribuente, fino a un valore massimo di 20.000 euro per le spese documentate e sostenute da parte di piccole e medie imprese, ovvero da consorzi o da reti di piccole e medie imprese, relativi a interventi di rete fissa e mobile volti a garantire una velocità di connettività con capacità uguale o superiore a 30 Megabit per secondo (comma 10).

 

In particolare, si fa riferimento alle piccole e medie imprese di cui alla Raccomandazione 2003/361/CE. In base alla raccomandazione, la categoria delle microimprese delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è costituita da imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro.

 

Il comma 10 precisa che il credito di imposta è riconosciuto a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto previsto dal comma 11 e fino al 2016, nella misura massima complessiva di 50 milioni di euro a valere sulla proposta nazionale relativa alla programmazione 2014-2020. Il credito di imposta dovrà essere previsto da un apposito programma operativo nazionale nell’ambito dell’utilizzo delle risorse della programmazione 2014-2020 e previa approvazione della Commissione europea.

 

Il comma 11 rimette a un decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con i ministri dell’economia, della coesione territoriale, degli affari regionali, da emanare entro 30 giorni dall’adozione dell’intervento all’interno del programma operativo nazionale, le modalità di fruizione del decreto in modo che siano rispettati i limiti, già sopra richiamati, per l’erogazione di aiuti configurabili come legittimi ai sensi della disciplina dell’Unione europea in materia di aiuti de minimis (regolamento n. 1998/2006; al riguardo cfr. supra commento al comma 1). Il decreto dovrà anche prevedere le modalità di certificazione del prestatore del servizio di connessione digitale e le modalità di comunicazione delle spese effettuate, ai fini della verifica di capienza dei fondi annualmente disponibili, nonché il regime dei controlli delle spese.

 

Anche in questo caso, come già osservato per il contributo di cui ai commi da 1 a 3, sembra potersi desumere che il decreto dovrà stabilire le modalità di fruizione della detrazione in modo che sia rispettato il limite di spesa individuato al comma 2 (ad esempio attraverso il meccanismo del c.d. click day).

 

Il comma 12 prevede la non cumulabilità della detrazione con l’agevolazione prevista dal comma 1.

 

In base al comma 13, il credito di imposta di cui al comma 10:

§      dovrà essere indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel corso del quale è maturato il beneficio;

§      non concorre alla formazione del reddito;

§      non concorre alla formazione della base imponibile ai fini IRAP;

§      non rileva ai fini della determinazione del rapporto tra ricavi e proventi, da un lato, e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi dall’altro lato (rapporto rilevante per individuare la quota di interessi passivi deducibile dal reddito d’impresa ovvero la quota di spese e altri componenti negative deducibile ai sensi degli articoli 61 e 109 del Testo unico delle imposte sui redditi, D.P.R. n. 917/1986);

§      è utilizzabile esclusivamente nell’ambito della compensazione tra debiti e crediti fiscali ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 241/1997

 

Il comma 14 prevede che le risorse da utilizzare per l’erogazione del credito di imposta di cui al comma 10 siano versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate ad apposito programma di spesa del Ministero dell’economia e delle finanze. A tal fine gli importi comunitari e nazionali da versare all’entrata del bilancio dello Stato devono essere comunicati dal Ministero dello sviluppo economico ai responsabili, presso il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell’economia, della gestione del Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie previsto dall’articolo 5 della legge n. 183/1987.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Per quanto riguarda la diffusione della banda larga, l’Agenda digitale europea (COM (2010) 245), una delle sette iniziative faro della strategia Europa 2020, ha fissato i seguenti obiettivi:

§       banda larga di base per tutti entro il 2013 (obiettivo raggiunto);

§       accesso a reti di nuova generazione (velocità pari o superiori a 30Mbps) per tutti i cittadini europei entro il 2020;

§       entro la stessa data almeno il 50% delle famiglie dovrebbe essere abbonata a internet con connessioni al di sopra di 100 Mbps.

Come risulta dall’ultima valutazione della Commissione di giugno 2013 sul raggiungimento degli obiettivi posti dall’Agenda digitale, l’Italia è all’ultimo posto per quanto riguarda la diffusione della banda larga ad alta velocità (considerando il numero di sottoscrizioni tra privati e imprese) e ad uno degli ultimi posti (dopo l’Italia, Romania, Bulgaria e Grecia) per quanto riguarda la percentuale di individui che utilizzano regolarmente internet (poco sopra il 50% a fronte dell’obiettivo europeo del 75% entro il 2015).

Nell’ambito del quadro finanziario pluriennale dell’UE 2014-2020 sono previsti due canali di finanziamento per interventi volti a migliorare la diffusione della banda larga:

1)      il principale è rappresentato dai Fondi strutturali. In particolare, il regolamento generale (regolamento (UE) n. 1303/2013) prevede che Stati membri e regioni disegnino Strategie per la specializzazione intelligente che includano piani per la crescita digitale e la diffusione di reti di accesso di nuova generazione;

2)      il secondo è costituito dal Meccanismo per collegare l'Europa (Connecting Europe Facility – CEF)[13], nel cui ambito è previsto uno stanziamento pari a 1 miliardo di euro all'interno per investimenti in reti a banda larga veloci e ultraveloci.

Si segnala inoltre che in più occasioni (in particolare nelle riunioni di marzo e giugno 2013) il Consiglio europeo ha ricordato le opportunità offerte dalla vigente disciplina del braccio preventivo del Patto di stabilità e crescita, che consente di derogare agli obiettivi della disciplina di bilancio in caso di investimenti pubblici produttivi.

In particolare la disciplina prevede che ciascuno Stato membro abbia un obiettivo di bilancio a medio termine (OMT), che può divergere dal requisito di un saldo prossimo al pareggio o in attivo, offrendo al tempo stesso un margine di sicurezza rispetto al rapporto tra disavanzo/PIL del 3%.

Come è stato chiarito in più occasioni dalla Commissione, saranno valutate, caso per caso, deviazioni temporanee dall’obiettivo a medio termine del pareggio di bilancio determinate da spese per il cofinanziamento di progetti nell'ambito della politica di coesione e per la realizzazione di reti transeuropee nell’ambito del meccanismo per connettere l’Europa (Connecting Europe facility), ovvero le reti per le infrastrutture di trasporto, energia e reti digitali.


 

Articolo 6, commi 8 e 9
(Servizio televisivo digitale terrestre)

 

 

Il comma 8 prevede il rilascio delle frequenze per il servizio digitale terrestre assegnate a operatori di rete televisivi italiani che tuttavia sono riconosciute a livello internazionale come nella titolarità di Paesi confinanti e che diano luogo ad accertate situazioni interferenziali. A tal fine l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni deve avviare le relative procedure entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge; le procedure devono avere luogo entro e non oltre il 31 dicembre 2014. Alla scadenza del termine l’amministrazione può procedere alla disattivazione coattiva degli impianti avvalendosi della polizia postale (come previsto dall’articolo 98, comma 6, del Codice delle comunicazioni elettroniche).

 

In proposito, la relazione illustrativa informa che l’Italia ha attualmente assegnato ai propri operatori la quasi totalità delle frequenze disponibili; tale circostanza ha però determinato accertate situazioni interferenziali verso i paesi confinanti e sia l’Unione internazionale delle telecomunicazioni (ITU) sia l’Unione europea hanno invitato l’Italia ad avviare incontri bi e multilaterali per affrontare la situazione.

 

Il comma 9 prevede l’erogazione di misure compensative per gli operatori interessati dal rilascio volontario delle frequenze di cui al comma 8. Ciò avverrà a valere sulle somme non impiegate previste dal decreto del Ministro delle comunicazioni 30 dicembre 2003 (contributo per la televisione digitale terrestre e per l’accesso a banda larga a Internet ai sensi dell’art. 4, commi 1 e 2, della legge finanziaria 2004, legge n. 350/2003).

Successivamente al 31 dicembre 2014 le somme residue potranno essere utilizzate per eventuali indennizzi per gli operatori, sembra intendersi, interessati dalla disattivazione coattiva prevista dal comma 8.

Procedure di contenzioso
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Si ricorda che il 18 luglio 2007 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato (procedura 2005/5086) ritenendo che, con l’adozione di talune disposizioni di legge in materia di reti e servizi di comunicazione, è venuta meno agli obblighi di cui all’articolo 9 della direttiva 2002/21/CE, (direttiva quadro), agli articoli 3, 5 e 7 della direttiva 2002/20/CE (direttiva autorizzazioni), e agli articoli 2 e 4 della direttiva 2002/77/CE (direttiva concorrenza).

In particolare, la Commissione ritiene che il D.Lgs. 177 del 2005 e la legge n. 112 del 2004 – vale a dire le disposizioni di legge che disciplinano i servizi di trasmissione in tecnica analogica e in tecnica digitale - non siano conformi all’articolo 9 della direttiva quadro e agli articoli 5 e 7 della direttiva autorizzazioni in quanto:

§      non consentirebbero alle aziende che non esercitano l’attività di radiodiffusione l’acquisto o l’utilizzo di frequenze ai fini delle trasmissioni in tecnica digitale;

§      non rispetterebbero il principio di proporzionalità in quanto non limitano il numero delle frequenze che gli operatori già attivi possono acquistare in digitale, sostituendo gli attuali programmi in analogica con un numero eguale di programmi in digitale;

§      le stesse aziende non sono obbligate a restituire le frequenze adesso utilizzate, una volta che si renderanno libere dopo il passaggio al digitale.

Da parte italiana è stata raggiunta l’intesa con la Commissione di chiudere l’infrazione sulla base della riserva dell’accesso alla gara per alcune nuove frequenze digitali solo a nuovi operatori rispetto ai dominanti (RAI, Mediaset e Telecom). L’infrazione sarà chiusa solo con l’effettuazione della gara e l’assegnazione delle nuove frequenze.

Secondo quanto dichiarato dal Viceministro Catricalà in occasione di un’audizione presso la Commissione trasporti della Camera, l’11 giugno 2013 sono stati inviati per il parere ai competenti commissari europei (Commissario alla Concorrenza, Joaquin Almunia, e Commissario all'Agenda digitale, Neelie Kroes) il bando e il disciplinare di gara.


 

Articolo 7
(Razionalizzazione dell’istituto del ruling
di standard internazionale)

 

 

Le disposizioni dell’articolo 7 intendono ampliare l’accesso agli accordi preventivi tra il contribuente e l’Agenzia delle entrate sulla tassazione (cd. Ruling) di standard internazionale, consentendo al contribuente di attivare la procedura di ruling anche con riferimento alla richiesta di accertamento, in via preventiva, circa la sussistenza o meno dei requisiti che configurano una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato, tenuti presenti i criteri previsti dal TUIR e dalle vigenti Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate all’Italia. Viene inoltre estesa la validità giuridica dell’accordo da 3 a 5 anni.

 

Si rammenta che l’articolo 8 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269 ha previsto, per le imprese con attività internazionale, la possibilità di utilizzare una procedura di ruling internazionale, al fine di determinare preventivamente tramite accordo con l’amministrazione finanziaria alcuni elementi rilevanti per la determinazione delle imposte, in particolare con riferimento al regime dei prezzi di trasferimento, degli interessi, dei dividendi e delle royalties.

La procedura in questione si conclude con la sottoscrizione di un accordo tra l’Amministrazione finanziaria e l’impresa con attività internazionale, che vincola entrambe le parti sulle questioni oggetto di accordo per il periodo d’imposta nel corso del quale l’accordo stesso è stato stipulato e per i due periodi d’imposta successivi.

Le disposizioni per consentire alle imprese con attività internazionale di accedere alla suddetta procedura sono state definite con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 23 luglio 2004, che individua i requisiti soggettivi ed oggettivi per l’accesso al ruling e stabilisce le modalità operative per l’avvio della procedura da parte del contribuente.

E’ ammessa al ruling l’impresa con attività internazionale, qualunque impresa residente nel territorio dello Stato, qualificabile come tale ai sensi delle disposizioni vigenti in materia di imposte sui redditi, che, in alternativa o congiuntamente:

§      si trovi, rispetto a società non residenti, in una o più delle condizioni indicate nel comma 7 dell’articolo 110 del TUIR (D.P.R. n. 917 del 1986), ovvero in rapporto di controllo diretto o indiretto;

§      il cui patrimonio, fondo o capitale sia partecipato da soggetti non residenti ovvero partecipi al patrimonio, fondo o capitale di soggetti non residenti;

§      abbia corrisposto a o percepito da soggetti non residenti, dividendi, interessi o royalties;

Sono altresì ammesse le imprese non residenti che esercitano la propria attività nel territorio dello Stato attraverso una stabile organizzazione, qualificabile come tale ai sensi delle disposizioni vigenti in materia di imposte sui redditi.

In particolare il contribuente avvia la procedura mediante la presentazione di una istanza su carta libera (in plico non imbustato e a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento) all’Ufficio Ruling Internazionale, che attualmente ha sede a Roma (per i soggetti aventi il domicilio fiscale nelle regioni Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Sardegna, Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia) e a Milano (per i soggetti aventi il domicilio fiscale nelle regioni Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia).

L’Ufficio Ruling Internazionale, valutata la sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi, entro 30 giorni dal ricevimento dell’istanza ovvero dall’ultimazione dell’ulteriore attività istruttoria necessaria a tal fine, dichiara l’ammissibilità della stessa e invita l’impresa a comparire per l’instaurazione della procedura che si svolge in contraddittorio tra le parti.

 

Per effetto delle modifiche apportate dalla lettera a), che sostituisce il comma 1 del richiamato articolo 8, la procedura di ruling viene estesa - oltre che alle ipotesi già previste dalla disposizioni vigenti - anche alla valutazione preventiva della sussistenza o meno dei requisiti che configurano una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato, tenuti presenti i criteri previsti dall’articolo 162 TUIR e dalle vigenti Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate all’Italia.

 

In estrema sintesi, il richiamato articolo 162 TUIR reca i principi e i criteri per l’individuazione di una “stabile organizzazione” di impresa; essa designa una sede fissa di affari per mezzo della quale l'impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato. In particolare, ai sensi del comma 9 dell’articolo 162, il fatto che un'impresa non residente con o senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato controlli un'impresa residente, ne sia controllata, o che entrambe le imprese siano controllate da un terzo soggetto esercente o no attività d'impresa non costituisce di per sé motivo sufficiente per considerare una qualsiasi di dette imprese una stabile organizzazione dell'altra.

 

La lettera b) estende, da tre a cinque periodi d’imposta (compreso quello in cui lo stesso viene stipulato), la validità giuridica dell’accordo di ruling.

Con la lettera c) si sopprime il riferimento agli uffici di Milano o di Roma per la competenza all’inoltro delle richieste di ruling (articolo 8, comma 5 del D.L. 269 del 2003).

 

La relazione illustrativa spiega che tale modifica è conseguente alla modifica organizzativa interna all’Agenzia delle entrate, che ha sostituito con un unico Ufficio competente alla trattazione delle richieste di ruling, l’Ufficio Ruling Internazionale, articolato nelle due sedi di Roma e Milano, i due precedenti uffici, l’Ufficio Ruling Internazionale Centro-sud e l’Ufficio Ruling Internazionale Nord.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Il 25 novembre la Commissione europea ha presentato una proposta di modifica della direttiva 2011/96/UE concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (COM(2013)814).

La proposta, che è parte integrante del piano d'azione contro l'evasione fiscale presentato nel dicembre 2012, mira a introdurre nella disciplina che regola la tassazione delle società con filiali all'estero una norma anti-abuso, al fine di impedire i fenomeni di elusione ed evasione fiscale.

In particolare, al fine di impedire che i gruppi transfrontalieri di società madri e figlie beneficino di vantaggi non intenzionali rispetto ai gruppi nazionali, la proposta prevede che il beneficio dell’esenzione fiscale sia negato in caso di distribuzioni di utili deducibili nello Stato membro della fonte.

L’obiettivo fondamentale è creare parità di condizioni tra i gruppi di società madri e figlie di Stati membri diversi e i gruppi di società madri e figlie di uno stesso Stato membro. L’aumento di investimenti transfrontalieri ha infatti offerto ai gruppi transfrontalieri la possibilità di avvalersi di strumenti finanziari ibridi traendo vantaggi indebiti dalle incongruenze esistenti tra i diversi trattamenti fiscali nazionali e dalle norme internazionali intese ad evitare la doppia imposizione, e ha determinato, di conseguenza, una distorsione della concorrenza tra gruppi transfrontalieri e gruppi nazionali.

La proposta segue una procedura legislativa speciale che prevede la mera consultazione del Parlamento europeo e l'unanimità in seno al Consiglio dell'UE.

L’esame del PE è atteso per la seduta del 16 aprile 2014.

 

E inoltre ancora all’esame del Consiglio dell’UE la proposta di direttiva concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi (COM(2011)714), presentata dalla Commissione europea l’11 novembre 2011.

La proposta mira a porre su un piano di parità i pagamenti transfrontalieri di interessi e di canoni e i corrispondenti pagamenti nazionali sopprimendo la doppia imposizione giuridica, le formalità amministrative onerose e i problemi di flussi di liquidità per le società interessate. L’obiettivo è di evitare che i pagamenti transfrontalieri di interessi e di canoni siano soggetti a un'imposizione superiore rispetto alle transazioni nazionali, al fine di assicurare l’integrità del mercato interno.

Il Parlamento europeo ha esaminato la proposta l’11 settembre 2012, approvando alcuni emendamenti: tuttavia, trattandosi di una proposta che segue una procedura legislativa speciale (con unanimità in seno al Consiglio), il parere del PE è obbligatorio ma non vincolante.


 

Articolo 8
(Disposizioni in materia di assicurazione r.c. auto)

 

 

L’articolo 8 reca una serie di norme sull’assicurazione RC-auto, attraverso la modifica, tra l’altro, del Codice delle assicurazioni private (CAP).

Le norme, in chiave antifrode, disciplinano in particolare le clausole contrattuali concernenti:

§      la scatola nera;

§      il risarcimento in forma specifica presso carrozzerie convenzionate;

§      il divieto di cessione del diritto al risarcimento;

§      le prestazioni di servizi medico-sanitari resi da professionisti convenzionati con le imprese assicurative.

Le imprese di assicurazione non sono tenute ad offrire detti meccanismi antifrode, ma qualora vengano proposti ed accettati dagli assicurati ad essi sono collegate delle riduzioni dei premi obbligatori. In caso di inosservanza di tale prescrizione, sono previste delle sanzioni pecuniarie irrogate dall’IVASS e la riduzione automatica del premio di assicurazione. È confermato, inoltre, che i costi di istallazione della scatola nera sono a carico dell’impresa di assicurazione.

Al fine del conseguimento della massima trasparenza, le imprese di assicurazione devono pubblicare sul proprio sito internet l’entità della riduzione dei premi che deriva dall’utilizzo delle suddette clausole. Gli stessi dati sono pubblicati anche sui siti del Ministero dello sviluppo economico e dell’IVASS. Nel momento della stipula del contratto, inoltre, le imprese di assicurazione che non propongono le clausole in tema di scatola nera, risarcimento in forma specifica e divieto di cessione del credito devono darne comunicazione all’assicurato con apposita dichiarazione. L’inosservanza di tali obblighi comporta una sanzione amministrativa pecuniaria.

E’ prevista l’istituzione, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di un servizio unico di raccolta dei dati, anche affidato in concessione, per garantire l’interoperabilità dei meccanismi elettronici che registrano l’attività del veicolo.

Sempre in un ottica antifrode è prevista l’inammissibilità in giudizio delle testimonianze prodotte in un momento successivo alla denuncia del sinistro, salva la possibilità per il giudice di disporre l’audizione di testimoni nei casi in cui sia comprovata l’impossibilità della loro tempestiva identificazione. E’ previsto inoltre che nei processi attivati per l’accertamento della responsabilità e la quantificazione dei danni, il giudice verifica l’eventuale ricorrenza degli stessi testimoni già chiamati in altre cause nel settore dell’infortunistica stradale e, ove riscontri, anche avvalendosi della banca dati integrata costituita presso l’IVASS, la ricorrenza degli stessi nominativi in più di tre cause negli ultimi cinque anni, trasmetta l’informativa alla Procura della Repubblica competente per gli ulteriori accertamenti.

Con riferimento al risarcimento del danno alla persona per lesioni di lieve entità è precisato che devono risultare strumentalmente accertate a seguito di riscontro medico legale.

 

 

Si ricorda, preliminarmente, che la Commissione finanze della Camera dei deputati il 12 settembre 2013 ha avviato la discussione delle risoluzioni n. 7-00060 Gutgeld e altri e n. 7-00097 Pesco e altri, relative al meccanismo per il risarcimento dei danni biologici derivanti da sinistri nell'ambito dell'assicurazione RC auto, nonché alle misure in materia di prezzi delle polizze. In particolare con le risoluzioni si intende coniugare l'obiettivo di ridurre complessivamente i costi gravanti sul sistema assicurativo e sulla collettività con l'esigenza imprescindibile di garantire il diritto delle vittime dei sinistri a vedersi pienamente riconosciuto un esaustivo risarcimento per il danno biologico subito. Un altro obiettivo delle risoluzioni è orientare il Governo in ordine all'iter di approvazione del decreto del Presidente della Repubblica avente ad oggetto il regolamento recante le tabelle per il risarcimento del danno biologico (ai sensi degli articoli 138 e 139 del decreto legislativo n. 209 del 2005); si richiede, in particolare, di prevedere che le nuove tabelle siano omogenee rispetto agli orientamenti in materia adottati negli altri Paesi europei più avanzati, anche al fine di ridurre l'anomala sproporzione tra l'ammontare dei costi sopportati in Italia per le lesioni da incidentalità e quelli che si registrano nel resto dell'Europa.

Sull'argomento è stato avviato un ciclo di audizioni informali. Sono intervenuti: l'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (ANIA), le organizzazioni rappresentative dei carrozzieri indipendenti, la Commissione per la responsabilità civile dell’Organismo unitario dell’avvocatura italiana, le Associazioni delle vittime della strada, l'IVASS e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Dalle audizioni, in particolare, è emerso che l’andamento crescente dei premi nel settore RC auto sembrerebbe legato strettamente all’evoluzione dei costi. L’AGCOM ha evidenziato che le compagnie hanno trasferito i propri costi crescenti (di risarcimento e di gestione) sui premi. Ciò è apparso un importante indicatore di scarsa concorrenza in quanto il sistema attualmente in essere non incentiva al controllo e all’abbattimento dei costi (compreso il controllo e la riduzione delle frodi), bensì induce al mero trasferimento di tali incrementi sull’assicurato in termini di polizze più elevate.

 

 

Il comma 1 provvede a modificare il Codice delle assicurazioni private (D.Lgs. n. 209 del 2005), incidendo sugli articoli: 128 (risarcimento del danno), 132 (obbligo a contrarre), 135 (banca dati sinistri e banche dati anagrafe testimoni e anagrafe danneggiati) e inserendo il nuovo articolo 147-bis (Risarcimento in forma specifica).

In particolare la lettera a), introduce una nuova lettera c) al comma 1 dell’articolo 128, volta a elevare i massimali, per i veicoli a motore adibiti al trasporto di persone aventi più di otto posti a sedere, oltre il conducente (tra cui autobus e filoveicoli), ampliando le coperture a garanzia dei danneggiati: in particolare, i contratti devono essere stipulati per importi non inferiori a dieci milioni di euro per sinistro per i danni alla persona, indipendentemente dal numero delle vittime, e a un milione di euro per sinistro per i danni alle cose, indipendentemente dal numero dei danneggiati. La norma entra in vigore dal 1° gennaio 2014 (comma 12).

La norma previgente non prevedeva un massimale specifico per i veicoli destinati al trasporto di persone con più di otto posti a sedere, per i quali si applicava l’attuale valore, generalizzato per tutti i veicoli, di 5 milioni di euro per i danni a persona e di 1 milione di euro per i danni alle cose.

 

La lettera b), modificando il primo comma dell’articolo 132 e inserendo i nuovi commi 1-bis e 1-ter, innova la disciplina relativa all’ispezione del veicolo e, soprattutto, della scatola nera.

Si ricorda che la disciplina dell’ispezione volontaria del veicolo e della scatola nera è stata introdotto dall’articolo 32, comma 1, del D.L. n. 1 del 2012.

E’ confermato, in primo luogo, che le imprese di assicurazione sono tenute ad accettare, secondo le condizioni di polizza e le tariffe che hanno l’obbligo di stabilire preventivamente per ogni rischio derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, le proposte per l’assicurazione obbligatoria che sono loro presentate (c.d. “obbligo a contrarre”).

Le imprese, prima della stipula del contratto di RC auto devono richiedere l’ispezione volontaria del veicolo. Nella precedente formulazione ciò costitutiva una facoltà delle assicurazioni. Come precedentemente stabilito, nel caso in cui l’assicurato accetti l’ispezione, le imprese praticano una riduzione delle tariffe non prestabilita dalla norma.

La norma, quindi, quantifica la riduzione del premio connessa all’istallazione della scatola nera, ovvero il meccanismo elettronico che registra l’attività del veicolo, oppure degli ulteriori dispositivi, individuati con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico del 25 gennaio 2013, n. 5, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 30 del 5 febbraio 2013 (recante Individuazione dei meccanismi elettronici che registrano l'attività del veicolo).

Viene confermata la disposizione secondo cui i costi di installazione, disinstallazione, sostituzione e portabilità sono a carico dell’impresa.

La norma definisce la percentuale della riduzione del premio connessa all’istallazione della scatola nera (la precedente formulazione si limitava a prescrivere una “riduzione significativa”). In particolare, in caso di contratto stipulato con un nuovo assicurato, in sede di prima applicazione, la riduzione del premio non è comunque inferiore al sette per cento dell’importo risultante dalla somma dei premi RC auto incassati nella regione dalla medesima compagnia nell’anno precedente divisa per il numero degli assicurati nella stessa regione.

In caso di scadenza di un contratto e di stipula di un nuovo contratto di assicurazione tra le stesse parti, l’entità della riduzione del premio come sopra determinata, in sede di prima applicazione, non può comunque essere inferiore al sette per cento del premio applicato all’assicurato nell’anno precedente. Resta fermo l’obbligo di rispettare i parametri stabiliti dal contratto di assicurazione (comma 1 dell’articolo 132 del CAP).

Si evidenzia che il mancato rispetto da parte dell’impresa assicuratrice dell’obbligo di riduzione del premio comporta l’applicazione alla medesima impresa, da parte dell’IVASS, di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 40.000 euro e la riduzione automatica del premio di assicurazione relativo al contratto in essere (successivo comma 4).

 

Il nuovo comma 1-bis dell’articolo 132 attribuisce piena prova nei procedimenti civili alle risultanze della scatola nera (conforme alle caratteristiche tecniche e funzionali previste dalla norma in esame e dal citato articolo 32 del D.L. n. 1 del 2012), salvo che la parte contro la quale sono state prodotte dimostri il mancato funzionamento del dispositivo.

 

Il nuovo comma 1-ter dell’articolo 132 prevede che l’interoperabilità dei meccanismi elettronici che registrano l’attività del veicolo sia garantita dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, attraverso un servizio unico di raccolta dei dati, anche affidato in concessione, da costituirsi presso le strutture tecniche del centro di coordinamento delle informazioni sul traffico, sulla viabilità e sulla sicurezza stradale previsto dall’articolo 73 del Regolamento di esecuzione e di attuazione del codice della strada (DPR 16 dicembre 1992, n. 495).

A decorrere dal 1° ottobre 2014, i dati sull’attività del veicolo sono quindi trasmessi direttamente dai meccanismi elettronici di bordo al suddetto centro e successivamente trasmessi dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti alle compagnie di assicurazioni. I dati sono trattati dalle compagnie nel rispetto del Codice della privacy (D.Lgs. n. 196 del 2003), facendo divieto all’assicurato – nel contempo – di disinstallare, manomettere o comunque non rendere funzionante (ad esempio, attraverso l’interruzione temporanea del trattamento dei dati mediante funzione semplice) la rilevazione delle informazioni ad opera del dispositivo, pena la disapplicazione della riduzione del premio per la durata residua del contratto. Con provvedimento del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da emanarsi entro trenta giorni dalla entrata in vigore delle disposizioni in commento, sentito l’IVASS, sono disciplinate le caratteristiche tecniche, le modalità e i contenuti dei trasferimenti delle predette informazioni.

 

La lettera c) del comma 1, con una integrazione all’articolo 135 del CAP, mira ad evitare la prassi volta a far valere testimonianze prodotte in un momento successivo a quello della denuncia del sinistro, attraverso l’identificazione immediata del testimone sul luogo dell’incidente.

In particolare il nuovo comma 3-bis dell’articolo 135 prescrive che l’identificazione di eventuali testimoni sul luogo di accadimento dell’incidente deve risultare dalla denuncia di sinistro prevista dall’articolo 143, nonché dalla richiesta di risarcimento presentata all’impresa di assicurazione ai sensi degli articoli 148 (procedura di risarcimento) e 149 (risarcimento diretto). Fatte salve le risultanze contenute in verbali delle autorità di polizia intervenute sul luogo dell’incidente, l’identificazione dei testimoni avvenuta in un momento successivo comporta l’inefficacia della prova testimoniale addotta.

Il nuovo comma 3-ter dell’articolo 135 prevede l’inammissibilità in giudizio delle testimonianze che non risultino acquisite secondo le modalità indicate dalla legge, salva la possibilità per il giudice di disporre l’audizione di testimoni nei casi in cui sia comprovata l’impossibilità della loro tempestiva identificazione.

Il nuovo comma 3-quater dell’articolo 135 prevede, infine, che nei processi attivati per l’accertamento della responsabilità e la quantificazione dei danni, il giudice verifichi l’eventuale ricorrenza dei medesimi testimoni già chiamati in altre cause nel settore dell’infortunistica stradale e, ove riscontri, anche avvalendosi della banca dati integrata costituita presso l’IVASS, la ricorrenza degli stessi nominativi in più di tre cause negli ultimi cinque anni, trasmetta l’informativa alla Procura della Repubblica competente per gli ulteriori accertamenti. La disposizione non si applica alle testimonianze rese dagli ufficiali e dagli agenti delle autorità di polizia.

 

La lettera d) del comma 1, inserisce il nuovo articolo 147-bis del CAP in tema di risarcimento in forma specifica, con il quale si attribuisce all’impresa di assicurazione la facoltà di risarcire in forma specifica attraverso carrozzerie convenzionate, in tutte le ipotesi di danni a cose ed in assenza di responsabilità concorsuale, fornendo una garanzia di almeno due anni sulle riparazioni effettuate per tutte le parti non soggette a usura ordinaria.

Nei contratti in cui è prevista tale facoltà deve essere prevista una riduzione del premio di almeno il cinque per cento rispetto alla media dei premi incassati su base regionale.

Al fine di controllare che la riduzione dei costi di gestione dei risarcimenti da parte delle imprese si traduca in una contestuale riduzione dei premi di polizza offerti agli assicurati, le compagnie che intendano avvalersi di detta facoltà devono comunicare all’IVASS entro il 20 dicembre di ogni anno (ed, in prima applicazione, entro il 30 gennaio 2014) l’entità delle riduzioni previste. Il nuovo comma 2 dell’articolo 147-bis prevede che in assenza della citata comunicazione entro i predetti termini l’impresa di assicurazione non può esercitare la facoltà di risarcire in forma specifica nell’anno successivo.

Al fine di garantire una maggior tutela in alcune aree del Paese, con decreto del Ministro dello sviluppo economico da adottare entro il 20 gennaio 2014, sentito l’IVASS, in base a specifici criteri e determinate variabili temporali (numero dei sinistri denunciati, entità dei rimborsi, numero dei casi fraudolenti riscontrati dall’autorità giudiziaria), sono individuate le zone territoriali in cui detta riduzione non potrà essere inferiore al dieci per cento del premio medio applicato dalla compagnia l’anno precedente su base regionale. I dati sono desumibili anche dall’archivio integrato informatico gestito dall’IVASS.

Si ricorda che l’articolo 21 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 ha assegnato all’IVASS il compito di curare la prevenzione amministrativa delle frodi nel settore RC auto, con riguardo alle richieste di risarcimento e di indennizzo e all’attivazione di sistemi di allerta preventiva contro i rischi di frode. A tal fine l’IVASS mette in correlazione le banche dati gestite da enti diversi e si avvale di un archivio informatico integrato: i risultati delle analisi svolte sono segnalati alle imprese assicurative e all’autorità giudiziaria. È prevista una relazione annuale sull’attività svolta a fini di prevenzione e contrasto delle frodi.

Si osserva che la norma non chiarisce se la riduzione del dieci per cento si applica alle zone in cui gli elementi individuati con i suddetti criteri ricorrano con maggiore o minore frequenza.

 

Si evidenzia che il mancato rispetto da parte dell’impresa assicuratrice dell’obbligo di riduzione del premio comporta l’applicazione alla medesima impresa, da parte dell’IVASS, di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 40.000 euro e la riduzione automatica del premio di assicurazione relativo al contratto in essere (successivo comma 4 dell’articolo 8 del provvedimento in esame).

 

Il danneggiato, anche se diverso dall’assicurato, può comunque rifiutare il risarcimento in forma specifica, per rivolgersi ad una carrozzeria di propria fiducia. In tal caso il risarcimento non può comunque superare il costo che l’impresa di assicurazione avrebbe sostenuto provvedendo alla riparazione mediante impresa convenzionata. La somma è versata direttamente all’impresa che ha svolto l’attività di autoriparazione, ovvero previa presentazione di fattura.

Resta comunque fermo il diritto del danneggiato al risarcimento per equivalente nell’ipotesi in cui il costo della riparazione sia pari o superiore al valore di mercato del bene e, in tali casi, la somma corrisposta a titolo di risarcimento non può comunque superare il medesimo valore di mercato.


 

Si segnala che nel corso delle citate audizioni presso la Commissione Finanze della Camera i rappresentanti dei carrozzieri indipendenti hanno criticato le misure che prevedono, in alternativa al risarcimento in forma specifica presso un riparatore convenzionato, un risarcimento per equivalente in misura ridotta rispetto al danno patito. In tal modo l’assicuratore avrebbe la facoltà e il potere di decidere le condizioni di mercato dell’autoriparazione, riducendo i già residui margini di impresa, con la conseguenza di un abbassamento degli standard qualitativi e di sicurezza delle riparazioni. In particolare, Federcarrozzieri ha sostenuto che la creazione di un percorso obbligato, o comunque privilegiato, verso le imprese fiduciarie spingerà le imprese indipendenti fuori dal mercato, togliendo capacità contrattuale al sistema. In sostanza l’artigiano carrozziere verrebbe trasformato in terzista, sotto il diretto controllo del sistema assicurativo, con il conseguente impoverimento di tutto il settore della riparazione.

Al contrario l’AGCOM ha auspicato la rapida diffusione di forme di risarcimento dei danni in forma specifica, evidenziando che la disciplina attuale presenta scarsi incentivi per gli assicurati a sottoscrivere contratti con la clausola appena citata. La scontistica offerta dalle compagnie per stimolare la sottoscrizione di tali contratti non ha superato il 5% del premio; ciò ha comportato che il numero di contratti di questa tipologia non sia stato più del 6% del totale.

 

 

La lettera e) del comma 1, al fine di consentire alle imprese di assicurazioni l’utile accertamento della sussistenza e dell’entità del danno, nonché una più attenta valutazione delle determinazioni conclusive da comunicare al danneggiato in merito alla richiesta di risarcimento, aumenta da cinque a dieci i giorni non festivi in cui le cose danneggiate sono messe a disposizione dell’assicuratore per l'ispezione diretta ad accertare l'entità del danno (articolo 148, primo comma).

E’ previsto, inoltre, che la procedura attivabile nei casi in cui vengano evidenziati indizi di frode si applichi anche in presenza di altri indicatori acquisiti dall’archivio integrato informatico gestito dall’IVASS, nonché dalle scatole nere (i dispositivi elettronici di cui all’articolo 132, comma 1), o emersi in sede di perizia dai cui risulti documentata l’incongruenza del danno dichiarato dal richiedente.

Modificando la previsione secondo cui restavano salvi i diritti del danneggiato in merito alla proponibilità dell’azione di risarcimento nei termini previsti dall’articolo 145, nonché il diritto del danneggiato di ottenere l’accesso agli atti ai sensi dell’articolo 146 è previsto, infine, che l’azione in giudizio sia proponibile solo dopo la ricezione delle determinazioni conclusive dell’impresa o, in sua mancanza, allo spirare del termine di novanta giorni di sospensione della procedura (articolo 148, comma 2-bis).

 

La lettera f) del comma 1 inserisce il nuovo articolo 150-ter del CAP in tema di divieto di cessione del diritto al risarcimento. La norma stabilisce che l’impresa di assicurazione ha la facoltà di prevedere, in via contrattuale ed in deroga agli articoli dal 1260 al 1271 del codice civile, il divieto di cessione a terzi del diritto al risarcimento dei danni derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, senza il consenso dell’assicuratore tenuto al risarcimento. Al fine di corrispondere con un immediato vantaggio economico a coloro i quali accettano la limitazione delle proprie facoltà contrattuali, è previsto che l’impresa di assicurazione applichi una significativa riduzione del premio a beneficio dell’assicurato, in misura non inferiore al quattro per cento del premio base applicato su base regionale nell’anno precedente.

 

Si evidenzia che il mancato rispetto da parte dell’impresa assicuratrice dell’obbligo di riduzione del premio comporta l’applicazione alla medesima impresa, da parte dell’IVASS, di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 40.000 euro e la riduzione automatica del premio di assicurazione relativo al contratto in essere (successivo comma 4 dell’articolo 8 del provvedimento in esame).

 

 

Al riguardo l’ANIA, durante le audizioni citate, ha sottolineato che la cessione del diritto al risarcimento dei danni derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti costituisce una pratica diffusa che determina un’alterazione dei rapporti tra creditore della prestazione risarcitoria e debitore responsabile dell’evento dannoso nonché del suo assicuratore. La prassi consiste nell’acquisto da parte di intermediari di tali diritti di credito, senza che vi sia stata alcuna valutazione dei danni in contradditorio con il responsabile, e la successiva ripresentazione della pretesa risarcitoria nei confronti dell’impresa di assicurazione con tentativo di lucrare, aumentandole, sulle somme destinate al ristoro del danno. Ciò determina sia il rischio che il danneggiato si veda anticipare somme non congrue rispetto al danno subito sia una speculazione che conduce ad un incremento del danno oltre la misura che sarebbe necessaria, a esclusivo vantaggio dell’intermediario dei sinistri.

Da un opposto punto di vista l’Organismo unitario dell’avvocatura italiana ha rilevato che la cessione del credito ha assunto nel settore della RC auto un ruolo rilevante per le imprese di autoriparazione, oltre che di indubbio beneficio per i consumatori – danneggiati. Nella pratica infatti si verifica che il danneggiato da sinistro stradale non è più costretto ad anticipare le spese di riparazione del proprio veicolo al riparatore mentre è in attesa di risolvere la pratica assicurativa. Infatti con la cessione di credito sottoscritta dal danneggiato a favore del carrozziere di fiducia, si consente da un lato al soggetto danneggiato di provvedere alla riparazione del veicolo evitando di anticiparne i costi e dall’altro si consente al riparatore, dopo che questo ha anticipato i costi di riparazione (rappresentati per oltre il 70% da ricambi e materiale di consumo) di assumere ogni incombenza burocratica attinente alla liquidazione del danno nei confronti della impresa di assicurazione che provvederà poi a corrispondere il risarcimento in forza della intervenuta cessione di credito direttamente al carrozziere. Lo strumento della cessione di credito rappresenterebbe dunque un ostacolo per il tentativo delle imprese di assicurazione di autodeterminare il livello dei risarcimenti a scapito della libertà nel mercato delle autoriparazioni.

 

Il comma 2 dell’articolo 8 in commento prevede l’obbligo per le imprese assicurative di proporre clausole contrattuali, facoltative per l’assicurato, che prevedono prestazioni di servizi medico-sanitari resi da professionisti convenzionati con le medesime imprese. I nominativi dei professionisti devono essere pubblicati sul sito internet della compagnia. Nel caso in cui l’assicurato acconsente all’inserimento di tali clausole, l’impresa applica, in sede di prima applicazione, una significativa riduzione del premio a beneficio dell’assicurato, in misura comunque non inferiore al sette per cento della media dei premi applicati su base regionale nell’anno precedente.

Si evidenzia che il mancato rispetto da parte dell’impresa assicuratrice dell’obbligo di riduzione del premio comporta l’applicazione alla medesima impresa, da parte dell’IVASS, di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 40.000 euro e la riduzione automatica del premio di assicurazione relativo al contratto in essere (successivo comma 4).

 

Il comma 3, modifica la disciplina concernente il risarcimento del danno alla persona per lesioni di lieve entità, prevista dall’articolo 32, comma 3-quater del D.L. n. 1 del 2012. Si dispone che tale tipo di danno è risarcito solo a seguito di riscontro medico legale da cui risulti strumentalmente accertata l'esistenza della lesione, eliminando il riferimento alla diagnosi di tipo visivo.

Si segnala che in tal modo la disposizione citata è armonizzata rispetto a quanto previsto dall’articolo 139, comma 2, del CAP (inserito dal comma 3-ter dello stesso articolo 32 del D.L. n. 1 del 2012), il quale stabilisce che in ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente.

 

Il comma 4, come anticipato, prevede che l’IVASS irroghi una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 40.000 euro e la riduzione automatica del premio di assicurazione nel caso in cui l’impresa assicuratrice non ottemperi all’obbligo di riduzione del premio nel caso in cui il contraente accetti le clausole contrattuali relative a:

§      scatola nera: riduzione non inferiore al sette per cento (comma 1, lett. b));

§      risarcimento in forma specifica presso carrozzerie convenzionate: riduzione non inferiore al cinque per cento e, per alcuni territori da individuare con decreto ministeriale, non inferiore al dieci per cento (comma 1, lett. d));

§      divieto di cessione del diritto al risarcimento: riduzione non inferiore al quattro per cento (comma 1, lett. f));

§      prestazioni di servizi medico-sanitari resi da professionisti convenzionati con le imprese assicurative: riduzione non inferiore al sette per cento (comma 2).

Occorrerebbe valutare l’opportunità di specificare che le menzionate riduzioni si sommano tra loro.

 

Il comma 5 prevede l’obbligo per le imprese di assicurazione che non propongono le clausole in tema di scatola nera, risarcimento in forma specifica e divieto di cessione del credito (comma 1, lettere b), d) ed f)) di darne comunicazione all’assicurato all’atto della stipulazione del contratto con apposita dichiarazione da allegare al medesimo contratto. In caso di inosservanza del predetto obbligo, l’IVASS commina una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 10.000 euro.

 

Il comma 6 modifica il comma 2 dall’articolo 2947 del Codice civile in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli di ogni specie. Il termine di prescrizione breve è confermato in due anni. A ciò è aggiunto un termine di decadenza di tre mesi dal fatto dannoso per la presentazione della richiesta di risarcimento, fatti salvi i casi di forza maggiore. La norma mira a contrastare il fenomeno delle frodi in assicurazione in fase di accertamento e liquidazione del sinistro.

 

 

L’ANIA si è dichiarata favorevole alla previsione di una decadenza del diritto al risarcimento in caso di richiesta tardiva. I termini per la richiesta di risarcimento (due anni) sono considerati troppo ampi e si presume vengano sfruttati per alterare i mezzi di prova e impedire le verifiche da parte delle compagnie. Il fenomeno interessa in particolare alcuni territori (la Campania e, in particolare, Napoli).

L’Organismo unitario dell’avvocatura italiana ha osservato che il condivisibile fine moralizzatore della norma potrebbe invece essere conseguito, senza necessità di introdurre modifiche in un tema delicato come quello della prescrizione/decadenza, semplicemente rimandando all’assicuratore del responsabile civile il danneggiato che abbia tardato a formulare la richiesta danni all’assicuratore diretto. In tal modo questi verrebbe sanzionato per la propria denuncia tardive non con la “decadenza dal diritto” che appare rimedio drastico e sproporzionato, ma con la perdita del beneficio della speciale procedura del risarcimento diretto.

 

 

Il comma 7 attribuisce all’IVASS poteri di controllo e di monitoraggio in merito all’osservanza delle disposizioni contenute nell’articolo in esame, in specie quelle relative alla riduzione dei premi delle polizze assicurative e al rispetto degli obblighi di pubblicità e di comunicazione di cui ai commi 4, 5 e 8. L’IVASS dà specifico conto dell’esito dell’attività svolta nella relazione annuale al Parlamento (prevista dall’articolo 13, comma 5, del D.L. n. 95 del 2012).

 

Il comma 8 dispone che, al fine del conseguimento della massima trasparenza, le imprese di assicurazione devono pubblicare sul proprio sito internet l’entità della riduzione dei premi che deriva dall’utilizzo delle clausole relative a scatola nera, risarcimento in forma specifica, divieto di cessione del credito e prestazioni di servizi medico-sanitari resi da professionisti convenzionati. L’impresa deve altresì comunicare gli stessi dati al Ministero dello sviluppo economico e all’IVASS, ai fini della loro pubblicazione sui rispettivi siti internet.

 

Il comma 9 prevede che l’inosservanza dei suddetti obblighi di informazione e di comunicazione comporta una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 10.000 euro.

 

Il comma 10 stabilisce che gli introiti delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dai commi 4, 5 e 9 sono destinati ad incrementare il Fondo di garanzia per le vittime della strada.

 

Il comma 11 abroga l’articolo 14 del D.P.R. n. 254 del 2006 (in tema di risarcimento diretto RC auto) il quale subordinava la facoltà per la compagnia di offrire il risarcimento in forma specifica alla sottoscrizione da parte dell’assicurato di clausole che prevedessero espressamente tale possibilità, in cambio dell’applicazione di uno sconto sul premio. Tale questione risulta disciplinata in modo più dettagliato dal nuovo articolo 147-bis del CAP, inserito dal suddetto comma 1, lettera d)).

 

Il comma 12 stabilisce al 1° gennaio 2014 la decorrenza della disposizione che prevede l’elevazione dei massimali per i veicoli destinati al trasporto di persone aventi più di otto posti a sedere (articolo 128 del CAP modificato dal comma 1, lettera a) dell’articolo 8 in esame).

 

Il comma 13 contiene la clausola di invarianza finanziaria, prevedendo che le pubbliche amministrazioni provvedono all’attuazione dell’articolo in esame con le risorse umane, finanziarie e strumentali previste a legislazione vigente.


 

Articolo 9
(Misure per favorire la diffusione della lettura)

 

 

L’articolo 9 prevede la possibilità di attivare un credito di imposta per l’acquisto di libri muniti di codice ISBN per le persone fisiche e le persone giuridiche che non usufruiscono già della detrazione IVA, pari al 19 per cento fino ad una spesa annua di duemila euro, di cui mille per l’acquisto di libri di testo scolastici e universitari. Il finanziamento dell’agevolazione, nella misura massima di 50 milioni di euro, rientra nell’ambito di un apposito Programma Operativo Nazionale (PON) della prossima programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali comunitari. La disposizione ha, pertanto, carattere programmatico.

 

Il sistema ISBN (International Standard Book Number) è un sistema di codifica internazionale della produzione libraria che consente di identificare univocamente ogni singola pubblicazione. Dal 2007 esso corrisponde con il codice a barre ed è composto di 13 cifre divise in cinque gruppi: il primo (978 o 979) identifica il prodotto librario, il secondo la lingua di edizione (0 e 1 per l’inglese, 2 per il francese, 3 per il tedesco, 88 per l’italiano ecc.), il terzo la casa editrice, il quarto il prodotto; il quinto, costituito da una sola cifra, è un codice di controllo calcolato a partire dalle prime 12 cifre.

 

In particolare, il comma 1 stabilisce che l’attivazione dell’agevolazione – la cui durata è prevista fino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2016 - avverrà a seguito della definizione della programmazione 2014/2020 dei fondi strutturali comunitari e previa individuazione di tale misura all’interno del pertinente programma operativo nazionale, a seguito della verifica della coerenza con le linee di intervento in essa previste e dell’approvazione della Commissione europea.

 

Ai sensi del comma 2, il credito di imposta è pari al 19 per cento della spesa effettuata nel corso dell’anno per un importo massimo, per ciascun soggetto, di 2.000 euro, così ripartiti:

§      1.000 euro per i libri di testo scolastici ed universitari;

§      1.000 euro per tutte le altre pubblicazioni.

 

Il comma 3 prevede che l’acquisto sia documentato fiscalmente dal venditore. Sono esclusi gli acquisti di libri in formato digitale nonché quelli già deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formare il reddito complessivo.

 

Sulla base delle risorse effettivamente assegnate dal Programma operativo nazionale di riferimento (PON), con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro trenta giorni dall’adozione dell’intervento all’interno del PON, sono definite le modalità per usufruire del credito d’imposta e per la comunicazione delle spese effettuate, ai fini delle verifica dei fondi annualmente disponibili, la documentazione fiscale che deve essere rilasciata dal venditore, nonché il regime dei controlli sulle spese e la decorrenza dell’agevolazione (comma 4).

Si presume che sarà questo decreto a specificare se l’acquisto di libri di testo scolastici e universitari possa essere effettuato solo dagli studenti e, in ogni caso, ad indicare le modalità di dimostrazione che il libro acquistato sia proprio un libro di testo scolastico o universitario.

Al riguardo si valuti, tuttavia, l’opportunità di un chiarimento già in questa sede.

Si segnala, inoltre, che la norma rinvia al Regolamento CE n. 1998/2006 - cd. disciplina de minimis - che aveva effetti fino al 31 dicembre 2013 ed è stato sostituito dal nuovo regolamento n. 1407/2013.

 

Si ricorda che la normativa europea vieta gli aiuti di Stato alle imprese, in quanto distorsivi del principio della libera concorrenza, tranne i casi esplicitamente indicati. Le disposizioni che istituiscono regimi di aiuto devono essere comunicate alla Commissione, che ne valuta la compatibilità. A tale proposito l'articolo 108, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) (ex articolo 88, paragrafo 3, del trattato che istituisce la Comunità europea, TCE) contempla l'obbligo di notificare gli aiuti di Stato alla Commissione europea al fine di stabilirne la compatibilità con il mercato comune sulla base dei criteri dell'articolo 107, par. 1 TFUE (ex articolo 87, paragrafo 1, TCE).

Alcune categorie di aiuti possono tuttavia essere dispensate dall'obbligo di notifica: si tratta degli aiuti concessi su un periodo di tre anni (tre esercizi finanziari) e che non superano la soglia dei 200.000 euro; questi aiuti non vengono considerati aiuti di Stato ai sensi dell'articolo 107, paragrafo 1, TFUE (c.d. aiuti de minimis).

 

Pertanto, la norma è di carattere programmatico perché è subordinata all’individuazione esatta dell’importo da destinare alla misura nell’ambito del pertinente programma operativo nazionale 2014-2020.

 

Ai sensi del comma 5, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per la coesione territoriale, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie e con il Ministro dello sviluppo economico, è stabilito l’ammontare dell’intervento nella misura massima di 50 milioni di euro a valere sulla proposta nazionale relativa alla prossima programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali comunitari.

 

Il successivo comma 6 definisce la procedura per usufruire dell’agevolazione:

§      il credito d’imposta deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel corso del quale il beneficio è maturato;

§      esso non concorre alla formazione del reddito, né della base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive;

§      non rileva, inoltre, ai fini della determinazione della percentuale di deducibilità degli interessi passivi, di cui all’articolo 61 del TUIR, né rispetto ai criteri di inerenza per la deducibilità delle spese, di cui all’articolo 109, comma 5, del medesimo TUIR;

L’articolo 61 del TUIR disciplina la percentuale di deducibilità degli interessi passivi dal reddito d’impresa. Tale quota è pari al rapporto tra i ricavi e gli altri proventi che concorrono a formare il reddito e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi. L’articolo 109, comma 5, del TUIR prevede che le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, siano deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi. Se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili e ad attività o beni produttivi di proventi non computabili in quanto esenti nella determinazione del reddito, sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto di cui ai commi 1, 2, e 3 dell'articolo 96.

§      è utilizzabile esclusivamente in compensazione, secondo le norme generali in materia di compensazione dei crediti tributari dettate dall'articolo 17 del D.Lgs. n. 241 del 1997.

Ai sensi del comma 1 del citato articolo 17 del D.lgs. n. 241 del 1997, i contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche dei redditi. Tale compensazione deve essere effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva.

 

Il comma 7, infine, prevede che le risorse individuate per il credito d’imposta siano versate all’entrata del bilancio dello Stato e successivamente riassegnate ad un apposito programma dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze. A tal fine, il Ministero dello sviluppo economico comunica al Fondo di rotazione (di cui all’articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183) gli importi comunitari e nazionali riconosciuti a titolo di credito di imposta da versare all’entrata del bilancio dello Stato.


 

Articolo 10
(Tribunale delle società con sede all’estero)

 

 

L’articolo 10 - tra le misure finalizzate a favorire l’attrazione degli investimenti esteri e a promuovere la competitività delle imprese italiane - propone la concentrazione in capo alle sezioni specializzate in materia di impresa di tribunali e corti d’appello di una serie di controversie civili che coinvolgono società con sede all’estero.

 

Il cd. decreto liberalizzazioni (D.L. 1/2012) ha ampliato notevolmente l'ambito di competenza delle vecchie sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale che il decreto legislativo 168/2003 aveva istituito presso i tribunali e le corti d'appello di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia. In particolare, oltre a modificarne la denominazione in “sezioni specializzate in materia di impresa” e a prevederne la composizione con magistrati dotati di specifica competenza, l’art. 2 del D.L. 1/2012 ha istituito nuove sezioni specializzate in tutti i tribunali e corti d’appello con sede nei capoluoghi di regione che fin ad allora ne erano sprovvisti (si tratta delle sedi di Ancona, Cagliari, Campobasso, Catanzaro, L’Aquila, Perugia, Potenza e Trento) nonché, in quanto sede di Corte d’appello, presso il tribunale e la Corte d’appello di Brescia; la competenza per il territorio della Valle d’Aosta è stata attribuita al tribunale e alla Corte d’appello di Torino.

Quanto alle controversie attribuite alla competenza del tribunale delle imprese, la riforma ha ampliato la competenza per materia delle sezioni specializzate. Attualmente, tale competenza (art. 3) riguarda:

§       le controversie in materia di cui all’articolo 134 del D.Lgs. 30/2005 (Codice della proprietà industriale) cioè quelle riguardanti concorrenza sleale e proprietà industriale, invenzioni dei dipendenti e tutela di informazioni segrete, controversie su indennità di espropriazione dei diritti di proprietà industriale ed aventi ad oggetto i provvedimenti del Consiglio dell’ordine dei consulenti in proprietà industriale di cui conosce il giudice ordinario;

§       diritto d’autore;

§       intese, abuso di posizione dominante ed operazioni di concentrazione;

§       violazione della normativa antitrust dell’Unione europea.

In relazione alle società, la cognizione delle sezioni specializzate in materia di impresa riguarda specifiche controversie relative a spa, società in accomandita per azioni società a responsabilità limitata; società per azioni europee (SE) di cui al Reg. (CE) n. 2157 del 2001, società cooperative europee (SCE) di cui al Reg. (CE) n.1435 del 2003, le “stabili organizzazioni nel territorio dello Stato delle società costituite all’estero” nonché le società da queste controllate o che le controllano. Con riferimento a tali tipologie societarie, la competenza sostanziale delle sezioni specializzate in materia di impresa si estende alle cause ed ai procedimenti aventi ad oggetto: rapporti societari ivi compresi quelli concernenti l'accertamento, la costituzione, la modificazione o l'estinzione di un rapporto societario, le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro i componenti degli organi amministrativi o di controllo, il liquidatore, il direttore generale ovvero il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonché contro il soggetto incaricato della revisione contabile per i danni derivanti da propri inadempimenti o da fatti illeciti commessi nei confronti della società che ha conferito l'incarico e nei confronti dei terzi danneggiati, le opposizioni di cui agli articoli 2445, terzo comma, 2482, secondo comma, 2447-quater, secondo comma, 2487-ter, secondo comma, 2503, secondo comma, 2503-bis, primo comma, e 2506-ter del codice civile; il trasferimento delle partecipazioni sociali o ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti; i patti parasociali, anche diversi da quelli regolati dall'art. 2341 bis c.c.; le azioni di responsabilità promosse dai creditori delle società controllate contro le società che le controllano; i rapporti riguardanti le società controllate, le società esercitanti l'attività di direzione e coordinamento in base a contratti o clausole e le società cooperative costituite in gruppo cooperativo paritetico (art. 2545-septies c.c.).

La competenza per materia del tribunale delle imprese comprende, infine, anche rapporti aventi ad oggetto i contratti pubblici di appalto di lavori, servizi o forniture di rilevanza comunitaria dei quali sia parte una delle società sopraindicate ovvero quando una di queste partecipa al consorzio o al raggruppamento temporaneo cui i contratti siano stati affidati, fatto salvo che sussista comunque la giurisdizione del giudice ordinario.

Quanto alla competenza per territorio, l'articolo 4 del D.Lgs. 168/2003 stabilisce che le indicate controversie di cui all’articolo 3 che, secondo gli ordinari criteri di ripartizione della competenza territoriale e nel rispetto delle normative speciali che le disciplinano, dovrebbero essere trattate dagli uffici giudiziari compresi nel territorio della regione (i tribunali circondariali) sono assegnate alla sezione specializzata avente sede nel capoluogo della regione individuato ai sensi dell’articolo 1. Alle sezioni istituite presso tribunali e corti d’appello non capoluoghi regionali sono attribuite le controversie che dovrebbero essere trattate dagli uffici giudiziari compresi nei rispettivi distretti di corti d’appello.

 

Si ricorda che già il D.L. 69/2013 (cd. decreto del fare) aveva previsto una disposizione (art. 80) – poi espunta in sede di conversione - che concentrava in via esclusiva presso 3 sole sedi di uffici giudiziari - i Tribunali e le Corti di appello di Milano, Roma e Napoli - tutte le cause civili in cui erano parti società estere non aventi sedi stabili in Italia.

 

L’art. 10, comma 1, del decreto legge, novellando l’art. 4 del D.Lgs. 168/2003:

§      concentra la competenza per le cause in cui sono parti società estere presso le sezioni specializzate di 9 sedi del Tribunale delle imprese (ovvero Bari, Cagliari, Catania, Genova, Milano, Napoli, Roma, Torino e Venezia) e relative corti d’appello. Come spiega la relazione al provvedimento d’urgenza, è parso opportuno radicare la competenza presso gli uffici giudiziari ritenuti dal Governo principali nella distribuzione geografica nazionale e quindi più agevolmente raggiungibili dall'estero;

§      assegna – sempre con riguardo alle cause in cui sono parti società estere - alle nove sezioni specializzate le controversie già comprese, per materia, nella competenza di queste ultime (il citato art. 80 del Dl 69/2013 faceva, invece, riferimento a tutte le controversie civili, non solo quindi a quelle di cui all’art. 3 del d.lgs. 168/2003);

§      estende la nuova disciplina a tutte le società con sede all’estero, anche quando aventi sede secondaria con rappresentanza stabile in Italia .

 

Il comma 2 dell’art. 10 reca una disposizione transitoria secondo cui la competenza delle 9 sezioni specializzate prevista dall’art. 10 si radicherà per i giudizi civili instaurati a decorrere dal 22 febbraio 2014 (ovvero 60 gg. dopo l’entrata in vigore del decreto).


 

Articolo 11
(Risoluzione di crisi aziendali
e difendere l’occupazione)

 

 

L’articolo 11 introduce alcune modifiche alla legge n. 49 del 1985 (cosiddetta legge Marcora) con la quale è stato introdotto e disciplinato un sistema organico di agevolazioni in favore delle cooperative. In particolare, la modifica di cui al comma 1, lettera a), mira ad estendere l’agevolazione tributaria già prevista in favore dei finanziamenti erogati dal Foncooper anche ai finanziamenti erogati dalle società finanziarie che, pertanto, non concorrono a formare la base imponibile dell’imposta sostitutiva.

La lettera b) del medesimo comma 1 è finalizzata a riconoscere la possibilità di intervento delle società finanziarie anche in favore delle società cooperative con meno di 9 soci.

I commi 2 e 3 introducono un diritto di prelazione in favore delle società cooperative costituite da lavoratori dipendenti che si propongono per l’affitto o l’acquisto di aziende sottoposte a procedure concorsuale.

 

Le società finanziarie disciplinate dalla legge 27 febbraio 1985, n. 49 (cd. legge Marcora) sono società cooperative il cui capitale è detenuto, in larga misura, dal Ministero dello sviluppo economico, che concedono finanziamenti alle società cooperative e svolgono una rilevante funzione di sostegno alle operazioni di workers buy out, supportando l’iniziativa di quei lavoratori che, vedendo messo in discussione il loro lavoro e la loro fonte di reddito, decidono di rilevare l’azienda. L’intervento delle società finanziarie è, inoltre, volto ad assicurare lo sviluppo economico delle società cooperative e la creazione di nuova occupazione, finanziando operazioni di start-up, sviluppo, consolidamento e riposizionamento delle imprese costituite in forma cooperativa.

Al fine di rafforzare gli interventi di sostegno alla cooperazione introdotti dalla legge Marcora, l’articolo 9 della medesima legge stabilisce che i finanziamenti effettuati con fondi somministrati o conferiti dallo Stato o dalle regioni o gestiti per conto degli stessi non concorrono a formare la base imponibile dell’imposta sostitutiva.

 

Più in dettaglio, al fine di favorire – in particolare per le piccole cooperative – l’accesso ai finanziamenti erogati dalle società finanziarie disciplinate dalla citata legge n. 49 del 1985, la lettera a) del comma 1 modifica l’articolo 9 della legge al fine di equiparare il trattamento tributario dei finanziamenti erogati dalle predette società finanziarie a quelli erogati dall’altro strumento finanziario introdotto dalla legge, il Foncooper.

 

Il Foncooper, istituito dall’articolo 1 della citata legge n. 49 del 1985, è un fondo di rotazione per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, che concede finanziamenti finalizzati all'aumento della produttività e/o dell'occupazione della manodopera mediante l'incremento e/o l'ammodernamento dei mezzi di produzione nonché alla ristrutturazione e riconversione degli impianti

 

La lettera b) intende chiarire che le società finanziarie possono sostenere, attraverso interventi di assunzione di partecipazioni al capitale, anche quelle che, ante riforma del 2003, erano denominate piccole cooperative e che, nella formulazione dell’articolo 2522, comma 2, del codice civile post riforma, sono rappresentate dalle società cooperative con almeno 3 e non più di 9 soci.

 

Si ricorda che la nuova formulazione dell’articolo 2522 del codice civile, dopo aver disposto, in linea generale, che per costituire una società cooperativa è necessario che i soci siano almeno nove, al comma 2 ammette la possibilità di costituire una società cooperativa composta da almeno tre soci quando i medesimi sono persone fisiche e la società adotta le norme della società a responsabilità limitata. Si pone pertanto la questione dell’intervento della società finanziaria, la quale non possiede la qualifica di socio persona fisica.

 

Viene quindi introdotto un nuovo periodo all’articolo 17, comma 5, della legge n. 49 del 1985, volto a precisare che , in deroga a quanto previsto dall’articolo 2522 del codice civile, le società finanziarie possono intervenire nelle società cooperative costituite da meno di nove soci.

 

Con la disposizione di cui ai commi 2 e 3 si introduce il diritto di prelazione in favore delle società cooperative costituite da lavoratori dipendenti che si propongano per l’affitto o l’acquisto di aziende o rami d’aziende o complessi di beni e contratti di proprietà di imprese sottoposte a procedure concorsuali.

 

In particolare, ai sensi del comma 2, nel caso di affitto o di vendita di aziende, rami d’azienda o complessi di beni e contratti di imprese sottoposte a fallimento, concordato preventivo o amministrazione straordinaria, hanno diritto di prelazione per l’affitto o per l’acquisto le società cooperative costituite da lavoratori dipendenti dell’impresa sottoposta alla procedura.

 

Il successivo comma 3 stabilisce che l’atto di aggiudicazione dell’affitto o della vendita alle società cooperative costituisce titolo ai fini dell’applicazione dell’articolo 7, comma 5, della legge 23 luglio 1991, n. 223, ai soci lavoratori delle medesime, ferma l’applicazione delle vigenti norme in materia di integrazione del trattamento salariale in favore dei lavoratori che non passano alle dipendenze della società cooperativa.

 

Il citato articolo 7, comma 5 prevede che ai lavoratori in mobilità che ne facciano richiesta per intraprendere un'attività autonoma o per associarsi in cooperativa può essere corrisposta in forma anticipata la relativa indennità.


 

Articolo 12
(Credito alla piccola e media impresa)

 

 

L’articolo 12 del provvedimento in esame reca un insieme di misure volte, nel loro complesso, a immettere liquidità nel sistema imprenditoriale e, in particolare, ad alimentare i canali di finanziamento delle piccole e medie imprese.

 

Tale finalità è anzitutto perseguita (comma 1) mediante una complessiva riforma della disciplina delle cartolarizzazioni, contenuta nella legge n. 130 del 1999. Tra le principali modifiche apportate si segnalano le disposizioni che estendono la disciplina in materia di cartolarizzazione anche alle operazioni aventi ad oggetto obbligazioni e titoli similari sottoscritti dalle cosiddette “società veicolo”; quelle che applicano la regola della segregazione patrimoniale anche all’eventuale fallimento del soggetto incaricato della riscossione dei crediti ceduti e dei servizi di cassa e di pagamento (cd. servicer e subservicer) e della banca sulla quale la società di cartolarizzazione mantiene i propri depositi.

Sono poi apportate semplificazioni alla disciplina della cartolarizzazione dei crediti d’impresa e della cessione di crediti verso la PA. Al fine di incentivare l’investimento di fondi pensione e compagnie assicurative in titoli obbligazionari, si consente di computare tra gli attivi ammessi a copertura delle riserve tecniche delle imprese di assicurazione i titoli emessi nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione realizzate mediante la sottoscrizione e l'acquisto di obbligazioni e titoli similari, anche se non destinati ad essere negoziati in un mercato regolamentato o in sistemi multilaterali di negoziazione e anche privi di rating. Infine, le obbligazioni e i titoli similari ed altre tipologie di attivi creditizi (in particolare i crediti alle PMI) sono qualificati come idonea garanzia di obbligazioni bancarie collateralizzate.

Le disposizioni di cui al comma 2 incidono sulla disciplina degli strumenti finanziari (cd. mini-bond e obbligazioni) contenuta nell’articolo 32 del decreto-legge n. 83 del 2012, in particolare incentivando l’investimento nei predetti strumenti finanziari da parte delle imprese assicurative e dei fondi pensione.

Con il comma 3 si semplificano, nel caso di cessioni di crediti effettuate ai sensi della legge sul factoring, le formalità per l'ottenimento della data certa del pagamento e quindi per l'opponibilità della cessione ai soggetti terzi, rendendo meno onerosi gli adempimenti burocratici per le imprese cedenti.

Il comma 4 ed il comma 5 riformano il regime fiscale applicabile ai finanziamenti a medio e a lungo termine, attualmente sottoposti a imposta sostitutiva delle imposte indirette. In particolare, tra le innovazioni principali si segnala l’estensione dell’imposta sostitutiva anche alle operazioni di finanziamento strutturate.

Il comma 6 estende il privilegio speciale sui beni mobili destinati all'esercizio dell'impresa, previsto a garanzia dei finanziamenti delle banche alle imprese, anche a garanzia dell’emissione di obbligazioni e titoli similari.

Infine, il comma 7 reca la copertura finanziaria dell’articolo in esame.

Le modifiche alla disciplina delle cartolarizzazioni

Più in dettaglio (comma 1) l’articolo anzitutto apporta significative modifiche alla disciplina delle cartolarizzazioni recata dalla legge n. 130 del 1999.

 

Si rammenta che nel corso dell’indagine conoscitiva sugli strumenti fiscali e finanziari a sostegno della crescita, conclusa lo scorso dicembre presso la Commissione VI Finanze della Camera, è stata auspicata - tra gli altri interventi - anche la riapertura del mercato delle cartolarizzazioni. Detta riapertura, drasticamente ridottosi a seguito degli eccessi che sono tra le cause della crisi finanziaria attuale, costituirebbe uno strumento efficace per estendere la disponibilità di credito, soprattutto nei confronti delle PMI, senza incorrere nei vincoli patrimoniali imposti alle banche. La Commissione ha ritenuto prioritario ridurre la diffidenza che il mercato comprensibilmente nutre, sulla scorta delle negative esperienze del recente passato, rispetto a queste operazioni, le quali per tale motivo non risultano al momento convenienti per le banche. A tal fine è stato suggerito di realizzare operazioni di cartolarizzazioni standardizzate, relative a crediti erogati in particolare nei confronti di piccole e medie imprese, emettendo titoli a struttura semplice e facilmente conoscibili dagli investitori.

Si rammenta inoltre che la legge di stabilità 2014 (articolo 1, comma 46 della legge n. 147 del 2013) consente alla Cassa depositi e prestiti S.p.A. di acquistare titoli emessi ai sensi della normativa sulla cartolarizzazione, nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione aventi ad oggetto crediti verso piccole e medie imprese al fine di accrescere il volume del credito alle piccole e medie imprese. Gli acquisti dei predetti titoli possono essere garantiti dallo Stato.

 

In primo luogo, con la modifica di cui al comma 1, lettera a), che introduce il comma 1-bis all’articolo 1 della citata legge n. 130/1999, si estende l’ambito operativo della intera disciplina in materia di cartolarizzazione anche alle operazioni aventi ad oggetto obbligazioni e titoli similari sottoscritti dalle cosiddette “società veicolo” operanti ai sensi della medesima legge, con l’eccezione dei titoli partecipativi, ibridi e convertibili. Scopo della disposizione è quello di far sorgere nuovi veicoli di investimento operanti come sottoscrittori dei suddetti strumenti finanziari.

 

La legge 30 aprile 1999 n. 130 ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico una disciplina generale e organica in materia di operazioni di cartolarizzazione di crediti, consentendone la realizzazione attraverso società di diritto italiano appositamente costituite. Le cartolarizzazioni consistono in operazioni finanziarie complesse caratterizzate dalla presenza di più negozi giuridici tra loro collegati, mediante i quali portafogli di crediti (derivanti, ad esempio, da mutui o altre forme di impiego) vengono selezionati e aggregati al fine di costituire un supporto finanziario a garanzia di titoli (asset backed securities - ABS) collocati nel mercato dei capitali.

In estrema sintesi, nel modello accolto dalla legge n. 130 del 1999 l'operazione si realizza attraverso la cessione di crediti da parte del creditore cedente ad altro soggetto, denominato società veicolo, Special purpose vehicle (S.P.V.), appositamente costituito e avente per oggetto esclusivo la realizzazione di una o più operazioni di cartolarizzazione dei crediti (cfr. art. 3, comma 1, della legge n. 130 del 1999). La società veicolo, a sua volta, provvede all'emissione dei titoli destinati alla circolazione per finanziare l'acquisto dei crediti dal cedente (c.d. originator) e, successivamente, al recupero dei crediti acquistati e al rimborso dei titoli emessi. La società veicolo diventa dunque cessionaria dei crediti ed emette, a fronte di essi, titoli negoziabili. Di conseguenza, la funzione principale dell'SPV è quella di rendere concreta la fuoriuscita di attivi patrimoniali dal bilancio dell'originator e di realizzare l'operazione attraverso la segregazione degli stessi attivi in apposito patrimonio separato. Il flusso di liquidità che l'incasso dei crediti è in grado di generare è dunque funzionale in via esclusiva - insieme alle garanzie collaterali che assistono l'operazione - al rimborso dei titoli emessi, alla corresponsione degli interessi pattuiti ed al pagamento dei costi dell'operazione.

In sostanza dunque lo scopo dell’operazione di securitization è di cedere i flussi di cassa futuri, derivanti dal portafoglio di attività di un’impresa, ad un soggetto specializzato che provvede a presentarli sul mercato: in questo modo si spostano i flussi finanziari dal mercato del credito al mercato dei capitali.

 

Si segnala che in tale ambito è recentemente intervenuto il decreto-legge n. 102 del 2013 che, all’articolo 6, al fine di sostenere l’accesso all’abitazione e il settore immobiliare ha autorizzato Cassa depositi e prestiti ad acquistare obbligazioni bancarie garantite (covered bond) a fronte di portafogli di mutui garantiti da ipoteca su immobili residenziali e/o titoli emessi nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione aventi ad oggetto crediti derivanti da mutui garantiti da ipoteca su immobili residenziali, per favorire la diffusione di tali strumenti presso le banche autorizzate al fine di aumentarne le disponibilità finanziarie per l’erogazione di finanziamenti ipotecari.

 

Con la disposizione di cui alla lettera b) si specifica (introducendo un comma 4-bis all’articolo 2) che nel caso di collocamento di titoli “cartolarizzati” presso investitori qualificati (come definiti dalla Consob con regolamento in base ai criteri fissati dalle disposizioni comunitarie, ai sensi dell’articolo 100, comma 1, lettera a) del D.Lgs. n. 58 del 1998, TUF) essi possono essere sottoscritti anche da un unico investitore.

 

Con le modifiche di cui alla lettera c) si intende integrare la disciplina sulla cartolarizzazione (aggiungendo i commi 2-bis e 2-ter all’articolo 3 della legge n. 130/1999) affinché, accanto al requisito della “segregazione” degli attivi cartolarizzati rispetto al fallimento della società di cartolarizzazione, detta segregazione patrimoniale sia estesa anche all’eventuale fallimento del soggetto incaricato della riscossione dei crediti ceduti e dei servizi di cassa e di pagamento (cd. servicer e subservicer) e della banca sulla quale la società di cartolarizzazione mantiene i propri depositi.

Ai sensi dell'articolo 3, comma 2 della legge n. 130 del 1999, i crediti che formano oggetto di ciascuna operazione di cartolarizzazione costituiscono patrimonio separato ad ogni effetto, rispetto a quello dello S.P.V. e rispetto a quello relativo ad altre operazioni di cartolarizzazione. Si tratta dunque di un patrimonio a destinazione vincolata, in via esclusiva, al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi per finanziare l'acquisto dei crediti e al pagamento dei costi dell’operazione.

Il flusso di liquidità che l'incasso dei crediti è in grado di generare è dunque funzionale in via esclusiva - insieme alle garanzie collaterali che assistono l'operazione - al rimborso dei titoli emessi, alla corresponsione degli interessi pattuiti ed al pagamento dei costi dell'operazione.

 

Più in dettaglio, ai sensi dell’introdotto comma 2-bis, le società veicolo possono aprire conti correnti segregati presso i soggetti incaricati della riscossione dei crediti ceduti, nonché dei servizi di cassa e di pagamento (ad es. istituti di credito), dove sono accreditate le somme corrisposte dai debitori ceduti, nonché ogni altra somma pagata o comunque di spettanza della società ai sensi delle operazioni accessorie condotte nell'ambito di ciascuna operazione di cartolarizzazione o comunque ai sensi dei contratti dell'operazione.

Le somme accreditate su tali conti segregati costituiscono patrimonio separato a tutti gli effetti da quello del depositario e da quello degli altri depositanti. Su tali somme non sono ammesse azioni da parte di soggetti diversi dai portatori dei titoli emessi per finanziare l'acquisto dei crediti stessi; tali somme possono essere utilizzate esclusivamente per il soddisfacimento di crediti vantati dai portatori dei titoli e dalle controparti dei contratti derivati con finalità di copertura dei rischi insiti nei crediti e nei titoli ceduti, nonché per il pagamento degli altri costi dell'operazione. In caso di avvio nei confronti del depositario di procedimenti di crisi bancaria (di cui al titolo IV del testo unico bancario, D.Lgs. n. 385 del 1993) nonché di procedure concorsuali o di accordi di ristrutturazione, le somme accreditate su tali conti non sono considerate come rientranti nel patrimonio del soggetto e non sono soggette a sospensione dei pagamenti.

 

Ai sensi del comma 2-ter, i soggetti che svolgono, anche su delega delle banche o degli intermediari finanziari, i servizi di riscossione dei crediti ceduti e di cassa e di pagamento, nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione dei crediti, possono aprire presso banche conti correnti segregati, dove vengano accreditate le somme incassate per conto della società cessionaria o della società emittente dai debitori ceduti. Sulle somme accreditate sui conti segregati, non sono ammesse azioni da parte dei creditori dei soggetti incaricati dei servizi di riscossione e di cassa / pagamento, se non per l'eccedenza delle somme incassate e dovute alla società cessionaria o emittente.

Inoltre, in caso di avvio di procedimenti concorsuali o di accordi di ristrutturazione, le somme accreditate sui conti segregati, per un importo pari alle somme incassate e dovute alla società cessionaria o emittente, non vengono considerate come rientranti nel patrimonio del soggetto che svolge i servizi di riscossione dei crediti ceduti e di cassa e di pagamento.

La relazione illustrativa considera i predetti interventi come aventi un impatto significativo anche dal punto di vista dell’immissione di nuova liquidità nel sistema, in quanto l’attuale limitazione sostanzialmente impedisce alle banche che operano in Italia di detenere la liquidità derivante dai crediti cartolarizzati.

 

La lettera d) apporta numerose modifiche all’articolo 4 della legge n. 130 del 1999.

Con il numero 1 della lettera d) sono sostituiti i commi 1 e 2 del citato articolo 4.

Resta ferma l’applicazione (articolo 4, novellato comma 1) di alcune disposizioni del Testo Unico Bancario in materia di cessione dei crediti (tra cui l’obbligo di dare notizia dell'avvenuta cessione mediante iscrizione nel registro delle imprese e pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale; il mantenimento a favore del cessionario della validità e del grado di privilegi e garanzie esistenti a favore del cedente, nonché delle trascrizioni nei pubblici registri degli atti di acquisto dei beni oggetto di locazione finanziaria compresi nella cessione).

Per effetto delle norme in esame, alle cessioni aventi ad oggetto crediti di impresa (disciplinate dall'articolo 1 della legge 21 febbraio 1991, n. 52) effettuate nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione, è possibile applicare le formalità per rendere opponibile la cessione dei crediti ai terzi previste dalla legge sul factoring (disciplinate dall’articolo 5, commi 1, 1-bis e 2, della legge 21 febbraio 1991, n. 52) anche se la cessione non avviene in blocco, su espressa volontà delle parti.

La relazione illustrativa chiarisce che tale modifica intende semplificare le operazioni di cartolarizzazione di crediti commerciali, che si caratterizzano per la necessità di effettuare numerose cessioni a breve distanza l'una dall'altra; in precedenza era richiesta la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale di ciascuna cessione, incrementando quindi i costi e diminuendo l'efficienza dell'operazione. Le semplificazioni proposte renderebbero, altresì, economicamente sostenibili cessioni di portafogli di dimensioni ridotte, aumentando notevolmente l'appetibilità delle operazioni di cartolarizzazione per le piccole e medie imprese (PMI) e quindi le possibilità per queste ultime di ottenere liquidità.

 

In sintesi, ai sensi del citato articolo 5, se il cessionario ha pagato in tutto o in parte il corrispettivo della cessione ed il pagamento abbia data certa, la cessione è opponibile agli altri aventi causa del cedente, il cui titolo di acquisto non sia stato reso efficace verso i terzi anteriormente alla data del pagamento; al creditore del cedente, che abbia pignorato il credito dopo la data del pagamento; al fallimento del cedente dichiarato dopo la data del pagamento. Per ottenere la data certa del pagamento è sufficiente l'annotazione del contante sul conto di pertinenza del cedente. Viene fatta salva per il cessionario la facoltà di rendere la cessione opponibile ai terzi nei modi previsti dal codice civile.

 

Ai sensi del novellato comma 2 dell’articolo 4 della legge n. 130/1999, l’opponibilità decorre – come previsto già dalle norme previgenti - dalla data della pubblicazione della notizia dell'avvenuta cessione nella Gazzetta Ufficiale oppure, per effetto delle modifiche apportate con le norme in esame, dalla data certa dell'avvenuto pagamento, anche in parte, del corrispettivo della cessione.

Si precisa inoltre che, in deroga ad ogni altra disposizione, i debitori ceduti non possono esercitare il diritto a compensare i crediti acquistati coi crediti sorti posteriormente a tale data.

Resta fermo l’ambito soggettivo di opponibilità della cessione (dalle predette date essa è opponibile agli altri aventi causa del cedente, il cui titolo di acquisto non sia stato reso efficace verso i terzi in data anteriore; ai creditori del cedente che non abbiano pignorato il credito prima della pubblicazione della cessione).

 

Il comma 1, lettera d), numero 2) modifica il comma 3 dell’articolo 4 della legge n. 130/1999, al fine di disapplicare alcune disposizioni della legge fallimentare (in particolare l’articolo 65) con riferimento ai pagamenti effettuati dai debitori ceduti alla società cessionaria. In particolare, con la modifica in esame sono resi efficaci i pagamenti anticipati a estinzione dei crediti cartolarizzati, anche se effettuati da un soggetto fallito entro i due anni precedenti la dichiarazione di fallimento.

Il comma 1, lettera d), numero 3) introduce il comma 4-bis all’articolo 4, con lo scopo di semplificare le modalità di cessione di crediti verso la pubblica amministrazione, equiparando le stesse alle cessioni di crediti nei confronti di soggetti privati: ciò avviene anzitutto mediante la disapplicazione a tali operazioni delle formalità richieste (ai sensi degli articolo 69 e 70 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440) per la cessione di crediti verso la PA.

Inoltre, alle cessioni effettuate nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione non si applicano le altre disposizioni che richiedano formalità diverse o ulteriori rispetto a quelle di cui alla stessa legge 130/1999.

Si specifica che l'affidamento o il trasferimento delle funzioni della riscossione dei crediti ceduti e dei servizi di cassa e di pagamento a soggetti diversi dalla banca cedente devono essere resi pubblici sulla Gazzetta Ufficiale e mediante comunicazione con lettera raccomandata con avviso di ricevimento alle pubbliche amministrazioni debitrici.

 

La lettera e) del comma 1 modifica l’articolo 5 della legge n. 130/1999, introducendovi il comma 2-bis.

I titoli emessi nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione realizzate mediante la sottoscrizione e l'acquisto di obbligazioni e titoli similari (esclusi comunque titoli rappresentativi del capitale sociale, titoli ibridi e convertibili) anche se non destinati ad essere negoziati in un mercato regolamentato o in sistemi multilaterali di negoziazione e anche privi di valutazione del merito di credito da parte di operatori terzi, costituiscono attivi ammessi a copertura delle riserve tecniche delle imprese di assicurazione ai sensi dell'articolo 38 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private).

Si demanda a un regolamento dell’IVASS, da emanarsi entro il 23 gennaio 2014 (30 giorni dall'entrata in vigore della disposizione) l’emanazione delle misure di dettaglio per la copertura delle riserve tecniche tramite gli attivi sopra menzionati. Si specifica inoltre che l'investimento nei titoli di cui al presente comma è altresì compatibile con le vigenti disposizioni in materia di limiti di investimento di fondi pensione.

 

La relazione illustrativa specifica che tale norma è volta a favorire l'investimento in titoli di cartolarizzazione con obbligazioni e titoli similari come sottostante, da parte delle imprese di assicurazione e dei fondi pensione, anche laddove questi strumenti non siano negoziati su mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione e anche se privi di rating.

Nel corso della già citata indagine conoscitiva sugli strumenti fiscali e finanziari a sostegno della crescita è emerso che le compagnie assicurative non hanno piena libertà di investimento in ordine agli strumenti non quotati, anche in ragione dei requisiti di liquidità e/o di misurabilità dei rischi dell'investimento fissati a monte dal regolatore e sono state altresì sottolineate le problematiche afferenti all'entrata in vigore, dal 2015, della nuova disciplina dei requisiti di capitale delle compagnie assicurative contenuta nel pacchetto «Solvency II», che potrebbe introdurre penalizzazioni consistenti sull'investimento in strumenti diversi dai titoli di Stato. Infatti, a fronte di un assorbimento di capitale pari allo 0 per cento per gli investimenti in titoli di Stato, le compagnie sarebbero costrette a mettere da parte una quota di capitale pari al 15 per cento dell'investimento, ove puntassero su titoli di imprese privi di rating (o su fondi di investimenti che investissero in tali titoli) con durata finanziaria di 5 anni.

 

La lettera f) del comma 1 apporta due modifiche all'articolo 7 della legge n. 130 del 1999, in particolare introducendovi i commi 2-bis e 2-ter.

 

Con il comma 2-bis si specifica che, per il caso di operazioni di cartolarizzazione realizzate mediante cessione a un fondo comune di investimento, il soggetto incaricato del cd. servicing (responsabile della riscossione e dei servizi di cassa e pagamento nonché della verifica sulla regolare gestione dell'operazione) può essere anche la società di gestione del risparmio che gestisce il fondo.

Tale disposizione intende assicurare che l'operazione resti assoggettata alla vigilanza della Banca d'Italia senza incrementare i costi dell'operazione con il coinvolgimento di un servicer terzo.

Si precisa inoltre che la cessione al fondo comune di investimento è soggetta al già richiamato articolo 58 del testo unico bancario; trovano applicazione alcune agevolazioni fiscali previste nell'articolo 15 del DPR n. 601 del 1973, recante la disciplina delle agevolazioni tributarie (come nel caso di cessione dei crediti a una società di cartolarizzazione), ovvero l’esenzione dall'imposta di registro, dall'imposta di bollo, dalle imposte ipotecarie e catastali e dalle tasse sulle concessioni governative.

 

Ai sensi del comma 2-ter, sono computati negli attivi ammessi a copertura delle riserve tecniche delle imprese di assicurazione i titoli emessi nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione realizzate mediante la sottoscrizione e l'acquisto di obbligazioni e titoli similari (anche se non destinati ad essere negoziati in un mercato regolamentato o in sistemi multilaterali di negoziazione e anche privi di rating), anche ai fini dell'investimento in quote di fondi comuni.

Con tale modifica si intende favorire l'investimento da parte delle imprese di assicurazione, dei fondi pensione e degli enti pubblici previdenziali e assicurativi nelle quote dei fondi comuni di investimento che investono prevalentemente in crediti cartolarizzati.

 

Le disposizioni di cui alla lettera g) recano un coordinamento formale con le disposizioni introdotte, con lo scopo di estendere le modifiche apportate all'articolo 3 della legge sulla cartolarizzazione anche alle operazioni di emissione delle obbligazioni bancarie garantite.

 

Infine, la lettera h) del comma 1 include le obbligazioni e i titoli similari e altre tipologie di attivi creditizi (in particolare i crediti alle PMI) tra quelli idonei a essere posti a garanzia di obbligazioni bancarie collateralizzate.

Viene a tal fine inserito nella legge n. 130/1999 un articolo 7-quater, che estende l’applicazione di alcune norme in materia di obbligazioni bancarie garantite (articoli 7-bis, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 7, e 7-ter, comma 1 e le disposizioni ivi richiamate) anche alle operazioni, ivi disciplinate, aventi ad oggetto obbligazioni e titoli similari, crediti garantiti da ipoteca navale, crediti nei confronti di piccole e medie imprese, crediti derivanti da contratti di leasing o di factoring, nonché di titoli emessi nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione aventi ad oggetto crediti della medesima natura. Si demanda alla fonte regolamentare l’attuazione della norma primaria, nonché l’individuazione delle categorie di crediti o titoli cui si applica tale disciplina.

 

Queste tipologie di attivi non sono comprese tra quelle ammissibili a garanzia di emissione di obbligazioni bancarie garantite di cui all'articolo 7-bis della legge n. 130 del 1999 (cosiddetti covered bond). In tal modo, potendo costituire attivi a garanzia di emissioni di raccolta diretta (diversi dai covered bond) si intende incentivare l'investimento delle banche nei suddetti strumenti.

Modifiche alla disciplina dei cd. mini-bond e delle obbligazioni

Le disposizioni di cui al comma 2 incidono sulla disciplina degli strumenti finanziari (cd. mini-bond e obbligazioni) contenuta nell’articolo 32 del decreto-legge n. 83 del 2012. Viene in particolare introdotto un comma 26-bis, le cui disposizioni intendono incentivare l’investimento nei predetti strumenti finanziari da parte delle imprese assicurative e dei fondi pensione.

 

Con l'intento di facilitare l'accesso alla raccolta del capitale di debito per le società non quotate, quale alternativa al canale di finanziamento bancario, il legislatore ha introdotto diversi strumenti volti a ridurre i vincoli normativi, civilistici e fiscali che hanno sinora limitato il ricorso al mercato dei capitali mediante l'emissione di tali strumenti. In particolare, con la riforma delle cambiali finanziarie (mini-bond) e dei titoli obbligazionari emessi dalle imprese si è inteso ridurre la disparità tra società italiane con azioni quotate e società italiane non quotate, rendendo possibile anche per queste ultime l'emissione di strumenti di debito da destinarsi ai mercati domestici ed internazionali.

L’articolo 32 del decreto-legge n. 83 del 2012 (successivamente integrato e modificato dal decreto-legge n.179 del 2012) ha in primo luogo semplificato e aggiornato la disciplina delle cosiddette cambiali finanziarie contenuta nella legge 13 gennaio 1994, n. 43. In particolare, la scadenza dei titoli non può essere inferiore ad un mese e superiore a trentasei mesi dalla data di emissione; le cambiali possono essere emesse da tutte le società di capitali, da società cooperative e mutue assicuratrici (diverse dalle banche e dalle micro-imprese). Tuttavia, le società e gli enti non aventi titoli rappresentativi del capitale negoziati in mercati (regolamentati o non regolamentati) possono emettere i mini-bond subordinatamente alla presenza di determinati requisiti, tra cui l'assistenza di uno sponsor (una banca, un'impresa di investimento, una società di gestione del risparmio, una società di gestione armonizzata, una società di investimento a capitale variabile, purché con succursale costituita nel territorio dello Stato), che assista e supporti la società nella procedura di emissione e nella fase di collocamento dei titoli e mantenga nel proprio portafoglio, sino alla naturale scadenza, una quota dei titoli variabile in funzione dell'ammontare complessivo dell’emissione. È altresì previsto che i mini-bond emessi da società non quotate debbano essere emessi e girati esclusivamente in favore di investitori professionali che non siano, direttamente o indirettamente, soci della società emittente. I mini-bond possono essere altresì emessi in forma dematerializzata. Per le emissioni dei mini-bond è stato creato l'apposito mercato ExtraMOT PRO, gestito dalla Borsa italiana; ad oggi sono classificati come mini-bond e, quindi, quotati all'ExtraMOT PRO, circa 1,5 miliardi di emissioni, concentrati soprattutto in due o tre emissioni.

Il richiamato articolo 32 ha inoltre modificato la disciplina dell'emissione, da parte di società non quotate diverse dalle banche e dalle micro-imprese, di obbligazioni e titoli similari che prevedono clausole di partecipazione agli utili d'impresa e di subordinazione. In particolare, i commi da 19 a 26 dell'articolo 32 hanno introdotto alcune disposizioni specificamente riferite alle emissioni di obbligazioni partecipative e subordinate da parte di società non emittenti strumenti finanziari rappresentativi del capitale quotati in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione (diverse dalle banche e dalle micro-imprese).

Sono anzitutto disciplinate le caratteristiche civilistiche che i suddetti titoli devono possedere ai fini della loro qualificazione come vere e proprie obbligazioni (rientranti, quindi, nell'ambito dell'articolo 2411, primo e secondo comma, del codice civile). E’ prevista la possibilità per le società non quotate di emettere titoli obbligazionari che prevedano clausole di partecipazione agli utili di impresa e di subordinazione, purché presentino alcune caratteristiche relative alla durata (non inferiore a trentasei mesi), alla clausola di postergazione (si deve prevedere il diritto al rimborso subordinatamente agli altri creditori della società, mantenendo la prelazione al rimborso soltanto rispetto agli azionisti) e alla remunerazione (la remunerazione deve essere necessariamente composta da una parte fissa e da una parte variabile, il tasso di interesse riconosciuto al portatore del titolo non può essere inferiore al tasso ufficiale di riferimento pro tempore vigente, mentre la parte variabile del corrispettivo deve essere commisurata al risultato economico dell'impresa emittente).

L'articolo 32 ha poi operato una revisione delle agevolazioni fiscali, in particolare allentando i vincoli normativi in tema di deducibilità degli interessi passivi corrisposti da parte dei soggetti emittenti cambiali finanziarie, obbligazioni e titoli similari. Per quanto concerne il trattamento fiscale degli interessi percepiti dagli investitori, si applica l'imposta sostitutiva nella misura del 20 per cento a:

§       cambiali finanziarie, obbligazioni e titoli similari emessi da banche, società per azioni quotate in mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione comunitari, o di Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo inclusi nella white list;

§       obbligazioni e titoli similari emessi da enti pubblici trasformati in S.p.a. per effetto di disposizioni di legge;

§       cambiali finanziarie, obbligazioni e titoli similari emesse da società di capitali, cooperative e mutue assicuratrici, diverse dalle banche e dalle micro-imprese, non quotate o non ex enti pubblici;

L'imposta sostitutiva si applica agli interessi derivanti da strumenti finanziari emessi a decorrere dal 26 giugno 2012 (data di entrata in vigore del decreto-legge n. 83 del 2012). Restano assoggettati alla ritenuta del 20 per cento (ai sensi dell'articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica n.600 del 1973) gli interessi derivanti da obbligazioni, titoli similari e cambiali finanziarie non quotati emessi da società per azioni non negoziate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione. Tuttavia, per una revisione del regime fiscale dei predetti strumenti si veda il comma 5 dell’articolo in esame.

 

Con lo scopo di favorire l'investimento in obbligazioni e titoli similari da parte delle imprese di assicurazione e dei fondi pensione, si precisa che l'investimento in obbligazioni e titoli similari, titoli finanziari rappresentativi di operazioni di cartolarizzazione aventi ad oggetto i predetti strumenti finanziari e quote di fondi che investono prevalentemente nei predetti strumenti finanziari sia compatibile, anche laddove questi strumenti non siano negoziati su mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione e anche se privi di rating, con le vigenti disposizioni in materia di investimento in attivi a copertura delle riserve tecniche delle imprese di assicurazione.

Si demanda alla normativa secondaria (regolamento IVASS da emanarsi entro il 23 gennaio 2014) il compito di delineare la disciplina di dettaglio.

Si precisa infine che i suddetti investimenti sono altresì compatibili anche con le disposizioni in materia di limiti di investimento dei fondi pensione.

 

Si osserva che la disposizione in commento non fa esplicito riferimento alla necessaria compatibilità della medesima rispetto alla disciplina europea in materia di attivi delle imprese assicuratrici (cd. Pacchetto “Solvency” già menzionato supra). Sebbene la relazione illustrativa specifichi che le disposizioni attuative debbano tenere conto dei limiti dettati in sede europea, occorrerebbe valutare l’opportunità di un richiamo esplicito alla necessità di tenere fermi i vincoli UE in materia di patrimonializzazione delle imprese assicurative.

Modifiche alla disciplina del factoring

Con il comma 3 si semplificano, nel caso di cessioni di crediti effettuate ai sensi della legge sul factoring, le formalità per l'ottenimento della data certa del pagamento e quindi per l'opponibilità della cessione ai soggetti terzi, rendendo meno onerosi gli adempimenti burocratici per le imprese cedenti.

 

In estrema sintesi si ricorda che la legge n. 52 del 1991 reca la disciplina della cessione dei crediti di impresa; in precedenza, tale servizio era svolto con riferimento agli articoli 1260 e seguenti del codice civile, che consentono al creditore di trasferire a titolo oneroso o gratuito il credito anche senza il consenso del debitore. La richiamata legge 52/91 regola tutti i casi in cui il cedente è un imprenditore, i crediti sorgono da contratti stipulati dal cedente nell’esercizio dell’impresa, e il cessionario è una banca o un intermediario finanziario disciplinato dal TUB.

 

In particolare, l’articolo 5 della legge n. 52 del 1991 reca la disciplina dell’opponibilità ai terzi della cessione, che si verifica qualora il cessionario abbia pagato in tutto o in parte il corrispettivo della cessione ed il pagamento abbia data certa. Con la disposizione di cui al comma 3 viene inserito il comma 1-bis al richiamato articolo 5, che consente di ottenere la data certa del pagamento del corrispettivo mediante annotazione del contante sul conto di pertinenza del cedente (in conformità alle disposizioni in materia di garanzia finanziaria dall'articolo 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 170).

Regime fiscale e finanziamenti delle imprese

Il comma 4 ed il comma 5 apportano alcune modifiche al D.P.R. n. 601 del 1973, recante la disciplina delle agevolazioni tributarie, in particolare volte a riformare il regime fiscale applicabile ai finanziamenti a medio e a lungo termine, attualmente sottoposti a imposta sostitutiva delle imposte indirette.

 

In sintesi, per effetto del combinato disposto degli articoli 15 e 17 del DPR n. 601 del 1973, si esentano dall'imposta di registro, dall'imposta di bollo, dalle imposte ipotecarie e catastali e dalle tasse sulle concessioni governative le operazioni relative ai finanziamenti e tutti i provvedimenti, atti, contratti e formalità inerenti alle operazioni medesime, nonché alle relative garanzie (ivi comprese le cessioni di credito stipulate in relazione a tali finanziamenti) purché effettuati da aziende e istituti di credito e da loro sezioni o gestioni che esercitano, il credito a medio e lungo termine, e quelle effettuate dalla Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (ai sensi dell’ articolo 5, comma 7, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269) per finanziare opere, impianti, reti e dotazioni destinati alla fornitura di servizi pubblici ed alle bonifiche, utilizzando fondi provenienti dall'emissione di titoli, dall'assunzione di finanziamenti e da altre operazioni finanziarie, senza garanzia dello Stato e con preclusione della raccolta di fondi a vista (articolo 15); tuttavia, gli enti che effettuano le predette operazioni sono tenuti a corrispondere una imposta sostitutiva in luogo delle imposte di registro, di bollo, ipotecarie e catastali e delle tasse sulle concessioni governative (articolo 17).

L'imposta sostitutiva si applica in ragione dello 0,25 per cento dell'ammontare complessivo dei finanziamenti agevolati erogati in ciascun esercizio. Ove il finanziamento stesso non si riferisca all'acquisto della prima casa di abitazione, e delle relative pertinenze, l'aliquota si applica nella misura del 2 per cento dell'ammontare complessivo dei finanziamenti agevolati erogati in ciascun esercizio (articolo 18).

 

In particolare, con la lettera a) del comma 4 viene integrato l'articolo 15, primo comma, del richiamato D.P.R. n. 601 del 1973; la successiva lettera b) integra invece il primo comma dell’articolo 17.

Per effetto di tali modifiche, il versamento dell’imposta sostitutiva è reso opzionale, anziché obbligatorio. Viene infatti reso possibile optare per iscritto, nell’atto di finanziamento, per il pagamento della predetta imposta sostitutiva; in mancanza di indicazioni nell’atto, verranno invece versate le imposte di registro, di bollo, ipotecarie e catastali e le tasse sulle concessioni governative in relazione alle operazioni di finanziamento.

 

La modifica di cui alla lettera c) inserisce l’articolo 20-bis al citato DPR n. 601 del 1973, col quale la predetta imposta sostitutiva è estesa altresì alle operazioni di finanziamento strutturate.

Più in dettaglio, le disposizioni in materia di imposta sostitutiva si applicano anche alle garanzie di qualunque tipo, da chiunque e in qualsiasi momento prestate in relazione alle operazioni di finanziamento strutturate come emissioni di obbligazioni o titoli similari alle obbligazioni, da chiunque sottoscritte, alle loro eventuali surroghe, sostituzioni, postergazioni, frazionamenti e cancellazioni anche parziali, ivi comprese le cessioni di credito stipulate in relazione alle stesse, nonché ai trasferimenti di garanzie anche conseguenti alla cessione delle predette obbligazioni, nonché alla modificazione o estinzione di tali operazioni.

Per le operazioni di finanziamento strutturate (articolo 20-bis, comma 2) l'opzione per il pagamento di imposta sostitutiva è esercitata nella deliberazione di emissione. Essa è dovuta dagli intermediari finanziari incaricati delle attività di promozione e collocamento delle operazioni strutturate ovvero, nel caso in cui tali intermediari non intervengano, dalle società che emettono le obbligazioni o titoli similari con riferimento ai quali è stata esercitata l'opzione. Il soggetto finanziato risponde in solido con i predetti intermediari per il pagamento dell'imposta (comma 3).

Si specificano gli obblighi dichiarativi (comma 4) degli intermediari finanziari e delle società emittenti tenute al pagamento dell'imposta in relazione all'ammontare delle obbligazioni collocate; si esclude l’applicazione, alle operazioni sottoposte a imposta sostitutiva, dell’obbligo di versare l’acconto per il semestre successivo (ai sensi delle disposizioni di cui all'articolo 3, commi 3 e 3-bis, del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 151).

 

Ai sensi delle richiamate disposizioni, gli enti che effettuano le operazioni di finanziamento sottoposte ad imposta sostitutiva devono versare, contestualmente al pagamento dell'imposta sostitutiva che risulta dovuta sulle operazioni effettuate nel primo semestre di ciascun esercizio, anche una somma pari al 90 per cento dell'ammontare di tale imposta, a titolo di acconto di quella relativa alle operazioni da effettuare nel secondo semestre del medesimo esercizio. Ove l'ammontare del versamento è superiore a quello dell'imposta sostitutiva che risulta dovuta sulle operazioni effettuate nel secondo semestre, gli enti hanno diritto, a loro scelta, di computare l'eccedenza in diminuzione del versamento dell'imposta dovuta, a saldo o in acconto, per i semestri successivi ovvero di chiederne il rimborso nella dichiarazione da presentare per il semestre in relazione al quale si verifica l'eccedenza.

 

Con le disposizioni di cui al comma 5 dell’articolo 12 si modifica il regime fiscale delle obbligazioni, dei titoli similari e delle cambiali finanziarie, di cui al richiamato articolo 32 del D.L. n. 83 del 2012, volta ad agevolare l’investimento dei soggetti qualificati nei predetti strumenti finanziari.

In particolare viene inserito un comma 9-bis al richiamato articolo 32, che esclude l’applicazione della ritenuta del 20 per cento agli interessi e ai proventi delle obbligazioni e titoli similari, e delle cambiali finanziarie, corrisposti a organismi di investimento collettivo in valori mobiliari le cui quote siano detenute esclusivamente da investitori qualificati e il cui patrimonio sia investito prevalentemente in tali obbligazioni, titoli o cambiali finanziarie.

Disposizioni in materia di privilegi

Con la modifica proposta al comma 6, lettera a)che inserisce un nuovo comma 1-bis nell'articolo 46 del testo unico bancario, di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993 – si intende agevolare il reperimento di risorse finanziarie da parte di società, favorendone l'accesso a forme di finanziamento alternative rispetto al canale bancario.

Per effetto della norma in esame il privilegio speciale sui beni mobili destinati all'esercizio dell'impresa, previsto dal citato articolo 46 del testo unico bancario a garanzia dei finanziamenti a medio e lungo termine concessi dalle banche alle imprese, viene esteso anche a garanzia di obbligazioni e titoli similari emessi.

Il primo comma dell’articolo 46 dispone infatti che la concessione di finanziamenti a medio e lungo termine da parte di banche alle imprese può essere garantita da privilegio speciale su beni mobili, comunque destinati all'esercizio dell'impresa, non iscritti nei pubblici registri.

 

La lettera b) del comma 6 modifica il comma 2 dell'articolo 46 del testo unico, al fine di apportare gli opportuni adattamenti alla disciplina ivi prevista in caso di emissione di obbligazioni o titoli similari. In particolare, si chiarisce che:

§      tali strumenti possono essere sottoscritti da un unico soggetto;

§      nell'atto con cui si costituisce il privilegio può essere indicato un rappresentante dei relativi titolari. In tal modo, si intende favorire la circolazione di tali strumenti, consentendo la nomina di un security agent (figura nota alla prassi nelle emissioni di obbligazioni assistite da garanzie reali) per evitare di modificare le informazioni contenute nell'atto trascritto ai sensi dell'articolo 1524, secondo comma, del codice civile a seguito della circolazione degli stessi.

Disposizioni di copertura finanziaria

Ai fini della copertura finanziaria delle misure recate complessivamente dall’articolo 12, il cui onere è quantificato in 4 milioni di euro a decorrere dall'esercizio 2014, in esame si dispone la riduzione del fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dello Sviluppo economico di cui all’articolo 1, comma 616 della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008).

 

Si rammenta che l’articolo 1, comma 615 della predetta legge n. 244 del 2007 ha vietato, a decorrere dall’anno 2008, l’iscrizione negli stati di previsione dei Ministeri delle somme versate all’entrata del bilancio dello Stato autorizzate dai provvedimenti legislativi indicati nell’elenco 1 della legge medesima, fatta eccezione per gli stanziamenti destinati a finanziarie le spese della categoria economica 1 “redditi da lavoro dipendente”. Il comma 616, in relazione a quanto sopra previsto, dispone l’istituzione, negli stati di previsione dei Ministeri interessati al divieto di riassegnazione di cui sopra, di appositi Fondi da ripartire con decreto ministeriale.

 

Secondo la legge di bilancio 2014, Il predetto Fondo di competenza del MISE (capitolo 1749) presenta uno stanziamento de 29.420.248 milioni di euro per il 2014, 8.583.056 milioni per il 2015 e 27.248.304 per il 2016.


 

Articolo 13, commi 1-3
(Disposizioni concernenti la realizzazione delle opere per EXPO 2015)

 

 

I commi da 1 a 3 dell’articolo 13 recano disposizioni concernenti l’Expo 2015. In particolare, il comma 1 prevede la revoca delle risorse assegnate con talune delibere del CIPE, al fine di destinarle alle opere ivi citate connesse, tra l’altro, allo svolgimento dell’evento. I commi 2 e 3 dettano ulteriori disposizioni concernenti la realizzazione delle opere.

 

Passando all’analisi del contenuto delle disposizioni, il comma 1 dispone la revoca delle risorse assegnate con le delibere CIPE n. 146 del 17 novembre 2006 e n. 33 del 13 maggio 2010, in riferimento alle annualità disponibili.

Le risorse revocate dalle suddette assegnazioni disposte dal CIPE nell’ambito del Programma delle infrastrutture strategiche di cui alla legge n. 443/2001 (cd. “legge obiettivo”), non essendo stati avviati i relativi interventi, riguardano:

§      il contributo quindicennale di 6,258 milioni di euro annui per il finanziamento del progetto “Completamento schema idrico Basento-Bradano: attrezzamento settore G” (delibera n. 146/2006), di cui risultano utilizzabili, secondo quanto riportato nella relazione tecnica, dieci annualità, pari a 62,580 milioni di euro;

§      il contributo quindicennale di 8,046 milioni di euro annui per il finanziamento del progetto Potenziamento della linea ferroviaria Rho-Arona, tratta Rho-Gallarate, primo lotto funzionale Rho-Parabiago (delibera n. 33 del 2010), di cui risultano utilizzabili, secondo quanto riportato nella relazione tecnica, undici annualità, per un ammontare di 88,506 milioni di euro e il contributo quindicennale di 24,973 milioni di euro, di cui risultano utilizzabili quattordici annualità, per complessivi 349,628 milioni di euro.

Si segnala che la relazione illustrativa riporta elementi di informazione differenti in ordine alle risorse disponibili in bilancio relative ai predetti contributi quindicennali.

 

Le quote annuali dei contributi revocati, iscritte in bilancio, affluiscono nel cosiddetto Fondo revoche, istituito dall’articolo 32, comma 6, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (capitolo 7685 della relativa tabella di bilancio),

 

Il comma 1 stabilisce altresì che le somme iscritte in conto residui riguardanti i finanziamenti revocati devono essere versate all’entrata del bilancio dello Stato entro il 31 dicembre 2013 e, compatibilmente con gli equilibri di finanza pubblica, è prevista la facoltà di riassegnazione delle medesime risorse al suddetto Fondo revoche.

Con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, le suddette risorse sono destinate:

§      prioritariamente, per l’importo di 53,2 milioni di euro, alla realizzazione dei progetti cantierabili relativi a opere di connessione indispensabili per lo svolgimento dell'Evento Expo 2015, già individuate dal tavolo Lombardia (lettera a), riguardanti:

1)  il parcheggio remoto di stazionamento di Cascina Merlata, nel limite di 31 milioni di euro;

2)  il collegamento Zara- Expo[14] S.S. 11 – S.S. 233, lotto 1-B, nel limite di 17,2 milioni di euro, a cui si sommano 42,8 milioni di euro (per un totale di 60 milioni di euro) assegnati dal successivo comma 2;

3)  le connesse opere di collegamento e accoglienza tra il parcheggio e il sito espositivo, nel limite di 5 milioni di euro;

§      per l’importo di 45 milioni di euro, ad opere necessarie per l’accessibilità ferroviaria dei terminal T1-T2 dell’aeroporto di Malpensa (lettera b);

§      per l’importo di 42,8 milioni di euro, alla linea M4 della metropolitana di Milano, al fine di compensare la rimodulazione delle risorse prevista dal successivo comma 2 (lettera c).

 

Il comma 2 destina ulteriori 42,8 milioni di euro alla realizzazione del collegamento Zara Expo S.S. 11 – S.S. 233, lotto 1-B (previsto alla lettera a), comma 1, del presente articolo). Il predetto importo deriva dalla riduzione di quanto assegnato per l’annualità 2013 dal CIPE nella seduta del 9 settembre 2013, per la realizzazione della linea M4 della metropolitana di Milano.

In particolare, il CIPE nella seduta del 9 settembre 2013 ha approvato il progetto definitivo della Linea M4 della Metropolitana di Milano - prima tratta funzionale Lorenteggio-Sforza Policlinico e le varianti al progetto definitivo della seconda tratta funzionale Sforza Policlinico-Linate della stessa linea ed inoltre ha assegnato in via definitiva alla linea metropolitana M4 di Milano 172,2 milioni di euro, a valere sulle risorse del Fondo, istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dall’articolo 18, comma 1, del D.L. 69/2013, in base a quanto previsto tra l’altro al comma 3 del medesimo articolo 18.

Le risorse complessive assegnate dal comma 1 e dal successivo comma 2 del presente articolo, per la realizzazione delle opere urgenti per l’EXPO 2015 corrispondono di fatto a 96 milioni di euro.

 

Il comma 2 prevede inoltre la revoca del suddetto contributo statale di 172,2 milioni di euro per la linea M4 della metropolitana di Milano, in caso di mancata stipula del contratto di finanziamento entro il 30 giugno 2014. Con delibera del CIPE vengono definiti il cronoprogramma dei lavori e le modalità di monitoraggio.

 

Il comma 3 autorizza, alla data di entrata in vigore del decreto legge, i soggetti attuatori ad avviare le procedure per l’affidamento dei lavori degli interventi precedentemente citati di cui alle lettere a) e b) del comma 1 nei limiti delle risorse autorizzate dalle medesime lettere a) e b) del comma 1 e dal comma 2, nonché a condizione che le erogazioni avvengano compatibilmente con quanto risulta iscritto sull'apposito capitolo di bilancio (7685) del suddetto Fondo revoche.

Il comma 3 attribuisce, inoltre, funzioni di vigilanza sullo stato di attuazione delle opere al Commissario unico dell’Evento Expo 2015 e al Tavolo istituzionale per il governo complessivo degli interventi regionali e sovra regionali. La medesima disposizione, con una formulazione generica, consente, infine, al Commissario Unico l’adozione di deroghe per l'immediato avvio delle opere e per la loro tempestiva realizzazione.

 

L'articolo 5, comma 1, D.L. 43/2013 ha previsto tra l’altro l’istituzione di un Commissario unico delegato del Governo, subentrante al Commissario straordinario e al Commissario generale dell’Expo 2015, dotato di specifici poteri di governo dell’evento e nominato dal D.P.C.M. 6 maggio 2013, che ha ridefinito gli organismi per la gestione delle attività connesse allo svolgimento di EXPO Milano 2015, le relative competenze, e le previste opere essenziali e connesse già indicate nei due allegati presenti nell’abrogato D.P.C.M. 22 ottobre 2008. Tra i poteri assegnati dall’art. 5 del citato D.L., al Commissario unico, già figura la possibilità di usufruire delle specifiche deroghe previste nelle ordinanze di protezione civile richiamate nell’articolo 3, comma 1, lettera a), del D.L. 59/2012[15], l’esercizio di poteri sostitutivi per risolvere situazioni o eventi ostativi alla realizzazione delle opere essenziali e connesse, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento e della normativa europea, degli obblighi internazionali assunti dall'Italia e nei limiti delle risorse stanziate ai sensi della vigente legislazione, e la possibilità di deroga alla legislazione vigente a mezzo di ordinanza, nei limiti indicati con delibera del Consiglio dei ministri sentito il presidente della regione Lombardia.

Il Tavolo istituzionale per il governo complessivo degli interventi regionali e sovra regionali è presieduto ai sensi dell’art. 6 del citato DPCM 6 maggio 2013 dal presidente della regione Lombardia. Al Tavolo partecipano il Commissario unico delegato del Governo per Expo Milano 2015, il Commissario Generale di Sezione per il Padiglione Italia, il comune di Milano, il Ministero dell'economia e delle finanze, la provincia di Milano, i comuni di Rho e Pero, la Camera di commercio di Milano e, per rispettiva competenza, altri Ministeri, enti locali regionali, nonché, se interessate, le altre regioni, enti ed organismi sovranazionali. Il Tavolo cura la programmazione e realizzazione di attività relative all'evento EXPO Milano 2015, nonché interventi e attività relativi alle opere connesse riguardanti aree diverse da quelle concernenti il sito Expo 2015.


 

Articolo13, commi 4-7
(Finanziamento interventi infrastrutturali nei porti )

 

 

Il comma 4 prevede che le risorse revocate ai sensi del comma 1 dell’articolo 13 (cioè quelle delle delibere CIPE n. 146 del 2006 e n. 33/2010, relative rispettivamente al completamento schema idrico Basento-Bradano e alla realizzazione della nuova linea ferroviaria Passo Corese- Rieti) siano destinate, se non utilizzate per le finalità previste dal comma 1 (destinazione al Fondo di cui all’art. 32, comma 6, del decreto-legge n. 98/2011: fondo per interventi infrastrutturali alimentato con “revoche” di finanziamenti per infrastrutture strategiche non avviate[16]) siano finalizzate al miglioramento della competitività dei porti italiani, attraverso il finanziamento di interventi immediatamente cantierabili, da sottoporre al CIPE entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e d’intesa con le Regioni interessate. L’intervento è finalizzato anche a rendere più efficiente il trasferimento ferroviario e modale all’interno dei sistemi portuali, nella fase iniziale per favorire i traffici con i Paesi dell’Unione europea. Alle medesime finalità sono destinate, nel limite di 200 milioni di euro per l’anno 2014, anche le risorse trasferite alle autorità portuali, anche attraverso la stipula di mutui, per la realizzazione di opere infrastrutturali per le quali trascorsi due anni dal trasferimento non sia stato pubblicato il bando di gara. Tali risorse saranno individuate con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto. Il successivo comma 6 prevede la destinazione agli interventi del comma 4 di una quota di 20 milioni di euro (sembra doversi intendere annui) a decorrere dall’anno 2014 delle risorse di cui all’articolo 18-bis della legge n. 84/1994 (introdotto dal decreto-legge n. 83/2012: destinazione al finanziamento delle autorità portuali dell’1 per cento dell’IVA riscossa nei porti nel limite di 90 milioni di euro annui).

 

Il comma 5 prevede una procedura attraverso la quale in caso di revoca, ai sensi del comma 4, di finanziamenti realizzati attraverso mutuo, la parte residua del mutuo le cui rate continuano a essere pagate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti alla banca mutuante, possa essere ceduta ad altra Autorità portuale.

 

Il comma 7 prevede che le risorse di cui ai commi da 4 a 7 siano assegnate dal CIPE entro il 30 giugno 2014 contestualmente all’approvazione dei progetti definitivi degli interventi. In caso di mancata presentazione da parte degli enti interessati dei progetti entro il termine del 30 giugno si procede alla nomina di un Commissario delegato del governo per l’attuazione dell’intervento con D.P.C.M., su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Presidente della Regione interessata.


 

Articolo 13, comma 8
(Modifiche alla disciplina delle revoche delle risorse
destinate alle infrastrutture strategiche)

 

 

Il comma 8 novella i commi 2 e 3 dell’art. 32 del D.L. n. 98/2011 al fine di ampliare la platea dei finanziamenti destinati alle infrastrutture strategiche le cui risorse possono essere revocate e fatte confluire in un apposito Fondo (c.d. Fondo revoche) previsto dal comma 6 del medesimo articolo.

 

Si ricorda che l’art. 32, commi 2-6, del D.L. n. 98/2011 ha previsto la revoca di una serie di finanziamenti assegnati ad opere ricomprese nel Programma delle infrastrutture strategiche (PIS) di cui alla L. n. 443/2001 (c.d. legge obiettivo) e fatto affluire le citate risorse in un Fondo (c.d. Fondo revoche) appositamente istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT).

I commi 2 e 3, in particolare, prevedono la revoca dei seguenti finanziamenti:

§       quelli assegnati dal CIPE entro il 31 dicembre 2008 per la realizzazione di opere del PIS per le quali, alla data di entrata in vigore del D.L. n. 98/2011, non sia stato emanato il decreto interministeriale per l’utilizzo dei contributi pluriennali e non sia stato pubblicato il relativo bando di gara. Restano esclusi dalla revoca i finanziamenti destinati alla tutela e agli interventi a favore dei beni e delle attività culturali approvati mediante decreto interministeriale ai sensi dell'art. 3, comma 2, del D.L. n. 72/2004 (comma 2);

§       quelli assegnati dal CIPE per la realizzazione di opere del PIS i cui soggetti beneficiari, autorizzati al 31 dicembre 2008 all'utilizzo dei limiti di impegno e dei contributi pluriennali con il relativo decreto interministeriale, alla data di entrata in vigore del D.L. 98/2011 non abbiano assunto obbligazioni giuridicamente vincolanti, non abbiano bandito la gara per l'aggiudicazione del relativo contratto di mutuo ovvero, in caso di loro utilizzo mediante erogazione diretta, non abbiano chiesto il pagamento delle relative quote annuali al MIT e non sia stato pubblicato il relativo bando di gara (comma 3).

 

La novella differisce (dal 2008 al 2010) le scadenze testé indicate per l’individuazione dei finanziamenti revocabili, determinando quindi un ampliamento della massa di tali finanziamenti.

 

Il comma 8 dell’articolo 13 reca una disposizione identica a quella di cui al comma 79 dell’articolo unico della legge n. 147/2013 (legge di stabilità 2014).

Andrebbe valutata l’opportunità di un coordinamento tra le due disposizioni.


 

Articolo 13, comma 9
(Linea 1 della metropolitana di Napoli)

 

 

Il comma 9 dell’articolo 13 autorizza il comune di Napoli a contrarre mutui per il perfezionamento dei finanziamenti di propria competenza necessari per la realizzazione della linea 1 della metropolitana di Napoli.

L’autorizzazione disposta avviene in deroga alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale stabilita dagli articoli 243-bis e 243-ter del decreto legislativo 8 agosto 2000, n. 267 (Testo unico degli enti locali, TUEL), per i comuni e le province per i quali sussistano squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario.

In particolare, l’autorizzazione è disposta in deroga al comma 8, lettera g), dell’articolo 243-bis del TUEL in base al quale l’ente, al fine di assicurare il prefissato graduale riequilibrio finanziario, per tutto il periodo di durata del piano, può procedere all'assunzione di mutui per la copertura di debiti fuori bilancio riferiti a spese di investimento in deroga ai limiti di cui all'articolo 204, comma 1, previsti dalla legislazione vigente, nonché accedere al Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali disciplinato dall'articolo 243-ter (cui la norma deroga), a condizione che si sia avvalso della facoltà di deliberare le aliquote o tariffe nella misura massima prevista dalla lettera a), che abbia previsto l'impegno ad alienare i beni patrimoniali disponibili non indispensabili per i fini istituzionali dell'ente e che abbia provveduto alla rideterminazione della dotazione organica ai sensi dell'articolo 259, comma 6, fermo restando che la stessa non può essere variata in aumento per la durata del piano di riequilibrio.

L’autorizzazione è disposta altresì in deroga al comma 9, lettera d), dell’articolo 243-bis del TUEL in base al quale, in caso di accesso al Fondo di rotazione di cui all'articolo 243-ter, l'ente deve adottare entro il termine dell'esercizio finanziario talune misure di riequilibrio della parte corrente del bilancio tra le quali il blocco dell'indebitamento, fatto salvo quanto previsto dal primo periodo del comma 8, lettera g), per i soli mutui connessi alla copertura di debiti fuori bilancio pregressi

La linea 1 della metropolitana di Napoli è compresa nelle opere del Programma delle infrastrutture strategiche di cui alla legge 443/2001 (c.d. legge obiettivo). Nella seduta del 13 dicembre 2013 il CIPE ha approvato, con prescrizioni, il progetto definitivo della Linea 1 della Metropolitana di Napoli, tratta Centro direzionale - Capodichino, per una spesa di 593,1 milioni di euro (IVA esclusa), e ha altresì assegnato definitivamente il contributo a fondo perduto di 113,1 milioni di euro a valere sul fondo per la continuità dei cantieri in corso ovvero il perfezionamento degli atti contrattuali finalizzati all'avvio dei lavori, di cui all’articolo 18, comma 1, del D.L. 69/2013.


 

Articolo 13, commi 10 e 11
(Disposizioni urgenti in materia di lavori pubblici)

 

 

Il comma 10 reca disposizioni finalizzate a garantire, in particolari situazioni, la prosecuzione dei contratti di appalto e subappalto, attraverso due novelle all’art. 118 del D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture). Per la finalità indicata, è consentito alla stazione appaltante:

§      provvedere, per i contratti in corso, anche in deroga alle previsioni del bando di gara, al pagamento diretto al subappaltatore o al cottimista dell’importo dovuto per le prestazioni dagli stessi eseguite. Tale facoltà viene concessa ove ricorrano condizioni di particolare urgenza inerenti al completamento dell’esecuzione del contratto accertate dalla stazione appaltante medesima (nuovo ultimo periodo del comma 3 dell’art. 118);

Si ricorda che l’art. 118, comma 3, primo periodo, del D.Lgs. 163/2006, prevede che nel bando di gara la stazione appaltante indichi che provvederà a corrispondere direttamente al subappaltatore o al cottimista l'importo dovuto per le prestazioni dagli stessi eseguite o, in alternativa, l’obbligo agli affidatari di trasmettere, entro 20 giorni dalla data di ciascun pagamento effettuato nei loro confronti, copia delle fatture quietanzate relative ai pagamenti da essi corrisposti al subappaltatore o cottimista. Il secondo periodo del comma 3 dispone che, qualora gli affidatari non trasmettano le fatture quietanziate del subappaltatore o del cottimista entro il predetto termine, la stazione appaltante sospende il successivo pagamento a favore degli affidatari.

La disposizione aggiuntiva in commento sembra invece consentire alla stazione appaltante di continuare a provvedere ai pagamenti, anche qualora il bando non contempli tale facoltà (ipotesi che la relazione illustrativa sottolinea essere frequente, soprattutto nelle gare meno recenti).

§      provvedere, anche per i contratti di appalto in corso, nella pendenza della procedura di concordato preventivo, ai pagamenti dovuti per le prestazioni eseguite dall’affidatario e dai subappaltatori e cottimisti, presso il tribunale competente per l’ammissione alla predetta procedura (nuovo comma 3-bis dell’art. 118).

La relazione illustrativa sottolinea che nell’ipotesi in cui l’appaltatore fosse soggetto al concordato preventivo, si troverebbe in una situazione di oggettiva impossibilità a far fronte ai pagamenti dovuti nei confronti dei subappaltatori; né sarebbe coerente con la finalità di garantire la continuità aziendale prevista dalla disciplina del concordato (si veda in particolare l’art. 186-bis del R.D. 267/1942, introdotto dal D.L. 83/2012), applicare per tale ipotesi la sospensione dei pagamenti prevista dal secondo periodo del comma 3 dell’art. 118, poiché essa inciderebbe sulla prosecuzione delle attività danneggiando appaltatore, subappaltatori e stazione appaltante.

 

Si osserva che la relazione al decreto motiva l’intervento anche con la necessità di assicurare il rispetto della par condicio tra i creditori dell'appaltatore in crisi aziendale. In proposito, sarebbe opportuno valutare se proprio l’effettuazione dei pagamenti per le prestazioni eseguite non possa invece compromettere la parità, ai danni dei creditori da soddisfare in sede di concordato preventivo.

 

Il comma 11 estende l’applicazione delle norme sullo svincolo delle garanzie di buona esecuzione relative alle opere in esercizio (previste dall’art. 237-bis del D.Lgs. 163/2006), a tutti i contratti aventi ad oggetto opere pubbliche, anche se stipulati prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 163/2006.

L’articolo 33-quater del decreto legge n. 179/2012 ha apportato rilevanti modifiche alla disciplina riguardante le garanzie di buona esecuzione dei lavori pubblici introducendo l’articolo 237-bis nel Codice dei contratti, nel Capo IV-bis nel Titolo I della Parte III del Codice concernente i contratti pubblici nei settori speciali, il quale dispone una nuova e specifica procedura per le opere già in esercizio nei settori speciali. I settori speciali rispetto ai quali si applica l’articolo 237-bis sono: gas, energia termica ed elettrica; acqua; servizi di trasporto; servizi postali; prospezione ed estrazione di petrolio, gas, carbone e altri combustibili solidi; porti e aeroporti.

Il citato art. 237-bis consente lo svincolo automatico dell’80% delle garanzie di buona esecuzione prestate a favore dell'ente aggiudicatore, per le opere realizzate nell'ambito dell'appalto che siano, in tutto o in parte, poste in esercizio prima della relativa collaudazione tecnico-amministrativa, e per le quali l'esercizio si sia protratto per oltre un anno.

Si fa notare che le disposizioni dell’art. 237-bis sono entrate in vigore il 19 dicembre 2012, in quanto tale articolo è stato introdotto nel testo del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 163/2006) dall’art. 33-quater, comma 1, lettera b), del D.L. 179/2012, convertito dalla L. 221/2012, pubblicata nella G.U. 18 dicembre 2012.

L’articolo 33-quater, comma 2, del decreto legge n. 179/2012 ha fissato l’ambito temporale di applicazione delle modifiche introdotte con l’articolo 237-bis. La nuova disciplina si applica, oltre che ai contratti affidati successivamente all’entrata in vigore della suddetta legge di conversione, anche ai contratti già affidati a tale data (19 dicembre 2012) per i quali, alla medesima data, le opere siano già entrate in esercizio da oltre un anno (almeno dal 18 dicembre 2011). Per tali ultimi contratti, tuttavia, lo svincolo automatico della garanzia può avvenire solo decorsi centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, ossia dopo il 17 giugno 2013.

 

Al riguardo, sarebbe opportuno chiarire la ratio della disposizione in commento e la sua applicabilità anche in considerazione di quanto riportato nelle relazioni di accompagnamento, che fanno riferimento all’intendimento di estendere la predetta disciplina ai rapporti contrattuali anteriori all’entrata in vigore del Codice, ivi i compresi i settori cosiddetti “esclusi”.

 

L’ultimo periodo del comma 11, introduce un obbligo di rendicontazione – nei documenti di programmazione pluriennale – dell’ammontare complessivo della liquidità liberata e delle destinazioni della stessa per le società o gli enti comunque denominati di proprietà del Ministero dell’economia e delle finanze e sottoposti alla vigilanza di altri Ministeri, che stipulano con lo Stato contratti di programma che abbiano per oggetto investimenti e manutenzione.


 

Articolo 13, comma 12
(Esclusione dell’immatricolazione dei carrelli per brevi spostamenti)

 

 

Il comma 12 dell’articolo 13 modifica l’art. 114 del codice della strada (D.Lgs. n. 285 del 1992) per escludere dall’obbligo di immatricolazione una particolare tipologia di macchine operatrici, i carrelli, qualora circolino su strada per brevi e saltuari spostamenti a vuoto o carichi.

A tale proposito infatti il comma 2 dell’art. 114 prevede che le macchine operatrici per circolare su strada siano soggette ad immatricolazione presso gli uffici competenti del Dipartimento per i trasporti terrestri, che rilasciano la carta di circolazione a colui che dichiari di essere il proprietario del veicolo.

La relazione illustrativa motiva l’introduzione della disposizione con l’opportunità di ripristinare una possibilità che era prevista dalle norme (legge n. 38 del 1982 e relativo D.M. 28 dicembre 1989) vigenti precedentemente all’entrata in vigore del nuovo Codice della Strada.

La disposizione introduce pertanto un nuovo comma 2-bis all’art. 114, che esclude dall’applicazione dell’obbligo di immatricolazione di cui al comma 2 i carrelli, individuati dall’art. 58. comma 2, lett. c), qualora circolino su strada per brevi e saltuari spostamenti, sia a vuoto che carichi. Si rinvia ad un apposito decreto del Ministro per le infrastrutture e trasporti la definizione delle prescrizioni tecniche per l’immissione in circolazione.

 

Il richiamato art. 58, comma 2 del codice della strada distingue infatti, ai fini della circolazione su strada, le macchine operatrici in:

a)    macchine impiegate per la costruzione e la manutenzione di opere civili o delle infrastrutture stradali o per il ripristino del traffico;

b)    macchine sgombraneve, spartineve o ausiliarie quali spanditrici di sabbia e simili;

c)    carrelli: veicoli destinati alla movimentazione di cose.


 

Articolo 13, comma 13
(Modifica alla legge istitutiva delle autorità di regolazione
dei servizi di pubblica utilità)

 

 

Il comma 13 dell’articolo 13 novella la legge istitutiva delle autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità (legge 481/1995), al fine di precisare l’ambito di competenza dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas includendovi anche le funzioni in materia di sistema idrico, funzioni già attribuite all’Autorità dalla normativa vigente e che l’Autorità sta svolgendo

In particolare, il comma 13 modifica l'articolo 2, comma 1, primo periodo, della legge 14 novembre 1995, n. 481[17], che prevede l’istituzione delle Autorità di regolazione di servizi di pubblica utilità, competenti, rispettivamente, per l'energia elettrica, il gas e per le telecomunicazioni. Ai settori dell’energia elettrica e del gas la novella in commento aggiunge “il sistema idrico”.

L'Autorità per l'energia elettrica e il gas è un organismo indipendente, istituito con la citata legge 14 novembre 1995, n. 481. Oltre alle funzioni di regolazione e di controllo negli ambiti di competenza. l'Autorità svolge una funzione consultiva nei confronti di Parlamento e Governo ai quali può formulare segnalazioni e proposte; presenta annualmente una Relazione Annuale sullo stato dei servizi e sull'attività svolta.

Con il decreto-legge 201/2011[18], all'Autorità sono state attribuite funzioni anche in materia di servizi idrici. Infatti, l'articolo 21, comma 19, prevede il trasferimento delle competenze dell'Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua all'Autorità per l'energia elettrica e il gas, relativamente alle funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici, che vengono esercitate con i medesimi poteri attribuiti all'Autorità stessa dalla legge 14 novembre 1995, n. 481.

Successivamente con il D.P.C.M. 20 luglio 2012 sono state individuate le funzioni dell'Autorità per l'energia elettrica ed il gas attinenti alla regolazione tariffaria e al controllo dei servizi idrici.


 

Articolo 13, commi 14-23
(Settore del trasporto aereo)

 

 

I commi 14 e 15 dell’art. 13 intervengono sulla questione degli accordi stipulati dalle società concessionarie della gestione degli aeroporti con i vettori aerei. Il comma 14 stabilisce innanzitutto, come criterio generale, che per l’erogazione di contributi, sussidi o qualsiasi altra forma di emolumento ai vettori aerei per lo sviluppo di rotte destinate a soddisfare e promuovere la domanda nei rispettivi bacini di utenza, le società di gestione aeroportuali, debbano esperire procedure di scelta del beneficiario concorrenziali e trasparenti, in modo da consentire la più ampia partecipazione dei vettori potenzialmente interessati. A tal fine la norma prevede l’emanazione di apposite Linee guida da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto.

Si ricorda che le società di gestione aeroportuali sono società di capitali cui è affidata la gestione degli aeroporti nell’ambito d apposite concessioni. I rapporti con lo Stato sono affidati a Contratti di programma stipulati con l’ENAC, che si occupa dell'attività propedeutica per l'affidamento alle società di capitale delle concessioni per le gestioni totali degli aeroporti. L'Ente Nazionale per l'Aviazione Civile è un ente pubblico economico dotato di autonomia regolamentare, organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile e finanziaria, ed è posto sotto la vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

Il comma 15 prevede inoltre che i gestori aeroportuali comunichino all’ENAC l’esito di tali procedure ai fini della verifica del rispetto delle suddette condizioni di trasparenza e competitività.

Si segnala che la disposizione sembra attribuire all’ENAC un nuovo compito, di verifica a posteriori dell’effettivo rispetto delle procedure concorrenziali da parte delle società di gestione, controllo che dovrebbe svolgersi in base alle emanande Linee giuda ministeriali, senza peraltro che siano previsti normativamente gli effetti di un eventuale non rispetto dei criteri guida e senza la previsione esplicita di eventuali risorse da destinare all’ENAC per l’espletamento di tale mansione.

 

Si ricorda che le fonti di finanziamento dell’ENAC sono prevalentemente di due tipologie: finanziamenti pubblici (italiani ed europei, generalmente per la realizzazione di interventi infrastrutturali) ed entrate dell’Ente costituite da trasferimenti statali (circa 23 milioni di Euro nel bilancio 2012) nonché da entrate proprie (circa 96,5 milioni di Euro nel bilancio 2012 tra cui rientrano i canoni per le concessioni aeroportuali, le tariffe per la prestazione dei servizi ed il contributo per la compensazione delle minori entrate). Il nuovo Regolamento per le tariffe dell'ENAC è entrato in vigore il 10 dicembre 2013.

 

I commi da 16 a 18 dell’art. 13 intervengono in materia di addizionali comunali sui diritti aeroportuali dovuti dai passeggeri disponendo rispettivamente:

§      il comma 16, l’esenzione dall’addizionale comunale per i passeggeri in transito negli scali aeroportuali nazionali, se provenienti da scali domestici;

L’addizionale comunale sui diritti d’imbarco di passeggeri sugli aeromobili, istituita originariamente nella misura di 1 euro dall’articolo 2, comma 11, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria 2004), inizialmente per il solo anno 2004 e successivamente resa permanente dall’articolo 7-quater del D.L. 29 marzo 2004, n. 80, ammontava fino al 2012, a livello nazionale, a 4,5 euro per passeggero. Successivamente, l’art. 4, comma 75 della legge n. 92 del 2012 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita) ha previsto, a decorrere dal 1° luglio 2013, un ulteriore incremento di 2 euro a passeggero della misura di base dell’addizionale sui diritti di imbarco, che è passata così a 6,5 euro a livello nazionale.

L’addizionale è dovuta dai passeggeri in transito in uno scalo nazionale i quali, secondo quanto indicato nella Relazione governativa, sono altresì soggetti al pagamento del diritto di imbarco e relative addizionali anche nello scalo di origine nazionale, realizzandosi così una duplice tassazione a carico dei passeggeri che non siano in transito c.d. diretto (cioè con seconda tratta del volo in coincidenza con la prima e che erano espressamente esentati in base ad un provvedimento amministrativo del 1991).

§      il comma 17, dispone quindi anche l’esenzione dall’addizionale commissariale per Roma Capitale (pari ad 1 €) per i passeggeri in transito negli aeroporti di Roma Fiumicino e di Roma Ciampino aventi origine e destinazione nazionale, disponendo altresì che l’addizionale continui invece ad applicarsi per tutti gli altri voli originati o in transito a Roma Fiumicino e Roma Ciampino.

Si ricorda infatti che per gli aeroporti della Capitale il D.L. n. 78 del 2010 ha previsto (art. 14, co. 14, lett. a) e co. 14-quater) l’istituzione di un’addizionale commissariale sui diritti di imbarco nella misura massima di 1 euro, da istituirsi previa delibera della giunta comunale di Roma. L’addizionale è stata istituita nella misura di 1 euro con delibera della Giunta comunale del 27 ottobre 2010, n. 36. Pertanto l’addizionale sui diritti di imbarco è pari attualmente a 7,5 euro per gli aeroporti di Roma Capitale.

Si ricorda anche che l’art. 12, comma 4 del D.Lgs. n. 61 del 2012 (Ulteriori disposizioni recanti attuazione dell'articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di ordinamento di Roma Capitale), ha previsto per Roma capitale la facoltà di istituire, per l'esclusivo finanziamento degli investimenti compresi nei programmi pluriennali di sviluppo infrastrutturale e limitatamente al periodo di ammortamento delle opere, un'ulteriore addizionale comunale sui diritti di imbarco dei passeggeri sugli aeromobili in partenza dagli aeroporti della città di Roma, fino ad un massimo di 1 euro per passeggero.

 

 

Il comma 18 reca la copertura finanziaria della norma prevedendo che alle minori entrate stimate in 9 milioni di euro annui si provveda mediante corrispondente riduzione dei trasferimenti correnti dello Stato all’ENAC, di cui all’art. 11-decies della legge n. 248 del 2005.

Il riferimento è al contributo per la compensazione delle minori entrate di cui alla legge n. 248 del 2005, pari a circa 41 milioni di euro nel bilancio 2012 dell’ENAC, che rientra tra le entrate proprie dell’ENAC.

 

Si ricorda infatti che le fonti di finanziamento dell’ENAC sono prevalentemente di due tipologie: finanziamenti pubblici (italiani ed europei, generalmente per la realizzazione di interventi infrastrutturali) ed entrate dell’Ente, costituite da trasferimenti statali (circa 23 milioni di Euro nel bilancio 2012) nonché da entrate proprie, pari complessivamente a circa 96,5 milioni di Euro nel bilancio 2012.

La norma prevede poi che al ristoro di tali minori entrate si provveda con decreto del Ministero delle infrastrutture e trasporti (di concerto con i ministeri dell’interno, del lavoro e dell’economia e finanze) da adottare entro il 30 giugno di ogni anno. Si autorizzano infine le occorrenti variazioni di bilancio.

 

Il comma 19 dispone che per il 2014 le indennità di volo (previste dalla legge o dal contratto collettivo) non concorrono alla formazione del reddito ai fini contributivi e sono pensionabili nella misura del 50% del loro ammontare.

 

Il comma 20 prevede che alla copertura degli oneri, pari a 28 milioni di euro per il 2014, si provvede a valere sulle risorse riscosse dall’ENAV per lo svolgimento dei servizi di navigazione aerea di rotta svolti a favore del traffico civile. Tali risorse sono versate dall’ENAV all’entrata del Bilancio dello Stato per il 2014 ed il Ministro dell’Economia provvederà con apposti decreti, alle occorrenti variazioni di bilancio.

 

Si ricorda che l’ENAV S.p.A., interamente controllata dal Ministero dell’economia e delle finanze e sottoposta alla vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, è la Società a cui lo Stato demanda la gestione e il controllo del traffico aereo civile in Italia. L’ENAV organizza, tra gli altri, i servizi di traffico aereo, consistenti nel servizio di controllo della circolazione aerea e di informazione di volo e nel servizio consultivo e di allarme. L’attività svolta è indirizzata con contratti di programma e di servizio ed è finanziata mediante le tariffe aeree di rotta e di terminale, corrisposte dai Vettori. Il bilancio dell’ENAV per l’anno 2012, approvato il 16 maggio 2013, indica Ricavi di rotta pari a circa 567 milioni di euro.

 

I commi da 21 a 23 sono volti a mantenere, nel suo assetto attuale, il Fondo speciale per il sostegno del reddito e dell’occupazione del settore del trasporto aereo, evitando la sua trasformazione in fondo di solidarietà (altrimenti prevista dal 2014, ai sensi dell’articolo 3, commi 4-21, della legge n.92/2012). A tal fine, con l’obiettivo di assicurare l’equilibrio di bilancio del Fondo fino al 2018, è prolungata di tre anni l’operatività delle norme (articolo 2, commi 47 e 48 della legge n.92/2012) che prevedono la devoluzione al Fondo medesimo delle maggiori entrate derivanti dall’incremento dell’addizionale sui diritti di imbarco dei passeggeri sugli aeromobili.

 

L’articolo 1-ter del decreto-legge n. 249/2004 ha istituito, presso l'INPS, un Fondo speciale per il sostegno del reddito e dell'occupazione e della riconversione e riqualificazione professionale del personale del settore del trasporto aereo (di seguito “Fondo speciale”), avente la finalità di favorire il mutamento e il rinnovamento delle professionalità, nonché di realizzare politiche attive di sostegno del reddito e dell'occupazione dei lavoratori del settore, mediante: il finanziamento di programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionale anche in concorso con gli appositi fondi nazionali, territoriali, regionali o comunitari; l’erogazione di specifici trattamenti a favore dei lavoratori interessati da riduzioni dell'orario di lavoro (ivi compresi i contratti di solidarietà), da sospensioni temporanee dell'attività lavorativa o da processi di mobilità secondo modalità da concordare tra azienda ed organizzazioni sindacali.

Il fondo speciale è alimentato da un contributo sulle retribuzioni a carico dei datori di lavoro di tutto il settore del trasporto aereo pari allo 0,375 per cento e da un contributo a carico dei lavoratori pari allo 0,125 per cento. Il fondo è inoltre alimentato da contributi del sistema aeroportuale che gli operatori stessi converranno direttamente tra di loro per garantire la piena operatività del fondo e la stabilità del sistema stesso. Per quanto concerne le risorse volte ad alimentare il Fondo speciale, si fa presente, inoltre, che l’articolo 6-quater del D.L. n. 7/2005 ha aumentato di un euro l’addizionale comunale sui diritti d’imbarco dei passeggeri, (portandola così a 2 euro), destinando le relative risorse, fino al 31 dicembre 2015, al Fondo speciale. Su tale disposizione sono successivamente intervenuti i commi 47 e 48 dell’articolo 2 della legge n. 92/2012 (sui quali interviene, con una proroga di tre anni, la disposizione in esame), i quali hanno previsto (in relazione al superamento del Fondo speciale e alla sua trasformazione in Fondo di solidarietà, su cui v.oltre) che le maggiori risorse destinate al Fondo speciale ai sensi dell’articolo 6-quater del D.L. n. 7/2005 fossero riversate, a partire dal 1°gennaio 2016, all’INPS.

 

L’articolo 3, commi 4-13, della legge n. 92/2012 (c.d. legge Fornero) ha istituito i fondi di solidarietà bilaterali per i settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale (ordinaria o straordinaria), al fine di assicurare ai lavoratori interessati una tutela nei casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa per le cause previste dalla normativa in materia di integrazione salariale ordinaria o straordinaria. Per i settori in cui non siano stati attivati, entro il 31 ottobre 2013, i fondi di solidarietà bilaterali, i commi 19-21 prevedono, invece, l’istituzione di un fondo di solidarietà residuale. In particolare, si stabilisce l’obbligo, al fine di assicurare la definizione, entro l’anno 2013, di un sistema inteso ad assicurare adeguate forme di sostegno per i lavoratori dei diversi comparti, per le organizzazioni sindacali e imprenditoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di stipulare, specifici accordi collettivi e contratti collettivi, anche intersettoriali, aventi ad oggetto la costituzione di fondi di solidarietà bilaterali per i settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale. Tali fondi hanno lo scopo di assicurare ai lavoratori una tutela, in costanza di rapporto di lavoro, nei casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa per cause previste dalla normativa in materia di integrazione salariale ordinaria o straordinaria. Tali fondi devono essere costituiti presso l’INPS, con apposito decreto ministeriale.

L’articolo 3, comma 47, lettera c), della legge n.92/2012 (di cui la disposizione in esame prevede l’abrogazione) aveva quindi previsto l’abrogazione, a decorrere dal 1° gennaio 2014, dell’articolo 1-ter del D.L. n. 294/2004, in vista della trasformazione del Fondo speciale in Fondo di solidarietà, ai sensi dell’articolo 3, commi 4-21, della legge n.92/2012.


 

Articolo 13, commi 24-28
(Norme per favorire la dotazione di beni storici, culturali e ambientali e per migliorare l’attrattività turistica)

 

 

I commi da 24 a 26, al fine di migliorare la capacità di attivazione della dotazione di beni storici, culturali e ambientali, nonché dei servizi per l’attrattività turistica di specifiche aree territoriali, prevede un finanziamento sino ad un massimo di 500 milioni di euro per i progetti presentati da comuni con una popolazione compresa tra i 5.000 e i 150.000 abitanti. I criteri per l’utilizzo di dette risorse saranno disciplinati da un’apposita convenzione tra il Ministro per gli affari regionali e le autonomie e l’ANCI, da approvare con decreto ministeriale.

Il comma 27 pone la copertura degli oneri del finanziamento a valere sulle risorse derivanti dalla riprogrammazione del Piano di Azione Coesione, nonché sulle risorse derivanti dalla eventuale riprogrammazione, in accordo con le Amministrazioni responsabili della loro attuazione, dei Programmi Operativi della programmazione 2007-2013 della politica regionale comunitaria. Infine, il comma 28 prevede un possibile innalzamento del tetto di 500 milioni, qualora dalle riprogrammazioni di cui sopra dovessero risultare disponibili ulteriori risorse, e nei limiti delle medesime.

 

In particolare, i commi da 24 a 26 dettano norme per migliorare la capacità di attivazione della dotazione di beni storici, culturali e ambientali, nonché dei servizi per l’attrattività turistica di specifiche aree territoriali. A tal fine è previsto un finanziamento sino ad un massimo di 500 milioni di euro per i progetti presentati dai comuni, ivi ricadenti, con una popolazione compresa tra i 5.000 e i 150.000 abitanti.

Più in particolare i progetti finanziati possono individuare uno o più interventi tra loro coordinati e ogni comune interessato potrà presentarne solo uno. La richiesta di finanziamento non potrà essere inferiore a 1 mln e superiore a 5 mln di euro. Inoltre è previsto che, in ordine agli interventi previsti nel progetto, l’impegno sia giuridicamente vincolante entro il 31 maggio 2014 e ne sia possibile la conclusione entro i 15 mesi successivi. Infine, il soggetto interessato dovrà indicare la copertura economica ulteriore, che sarà a proprie spese, quando il costo del progetto sia superiore a 5 mln di euro.

 I criteri per l’utilizzo di queste risorse saranno disciplinati da un’apposita convenzione stipulata tra il Ministro per gli affari regionali e le autonomie e l’ANCI entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto in esame. Successivamente la convezione sarà approvata con decreto del Ministro per gli affari regionali e le autonomie

La relazione illustrativa, allegata al disegno di legge di conversione (A.C. 1920), afferma che le disposizioni hanno lo scopo di valorizzare comuni di medie dimensioni, in specifiche aree delle regioni dell’Obiettivo convergenza, in grado di esprimere progetti che possano convogliare su di essi anche eventuali ulteriori finanziamenti provenienti da fonti diverse.

 

Il comma 27 provvede alla copertura degli oneri previsti dal comma 26 (finanziamenti per un massimo di 500 milioni), che viene posta a valere sulle risorse derivanti dalla riprogrammazione del Piano di Azione Coesione, secondo le procedure di cui all'articolo 4, comma 3, del D.L. n. 76 del 2013, nonché sulle risorse derivanti dalla eventuale riprogrammazione, in accordo con le Amministrazioni responsabili della loro attuazione, dei Programmi Operativi della programmazione 2007-2013 della politica regionale comunitaria.

 

Con il Piano di azione coesione (PAC) il Governo, al fine di evitare il disimpegno automatico dei fondi comunitari, ha operato secondo due direttrici:

§       riduzione della quota di cofinanziamento nazionale, che viene trasferita al di fuori dei programmi operativi stessi, a favore degli interventi considerati prioritari dal Piano di azione coesione;

§       rimodulazione strategica delle risorse dei singoli programmi operativi, con la riprogrammazione di alcuni programmi regionali maggiormente in ritardo con spostamento di risorse dei fondi strutturali verso quelli maggiormente performanti.

Il Piano di Azione Coesione – che è stato oggetto di tre aggiornamenti a febbraio 2012, a maggio 2012 e a dicembre 2012 - ha determinato una rimodulazione delle risorse comunitarie e una riduzione delle risorse di cofinanziamento nazionale, per complessivi 12,1 miliardi, di cui 9,9 miliardi dalla riduzione della quota di cofinanziamento nazionale.

 

Con l’articolo 4, del D.L. n. 76 del 2013, al comma 2, è stato previsto che, entro il 28 luglio 2013, il Gruppo di Azione Coesione - istituito con il decreto del Ministro per la coesione territoriale del 1° agosto 2012 - provveda a determinare le rimodulazioni delle risorse destinate alle misure del Piano di Azione Coesione, anche sulla base degli esiti del monitoraggio sull’attuazione delle misure medesime.

Il successivo comma 3 stabilisce che il Gruppo di Azione Coesione dovrà, in accordo con le Amministrazioni interessate, effettuare verifiche periodiche dello stato di avanzamento dei singoli interventi e alle conseguenti eventuali rimodulazioni del Piano che si rendessero necessarie anche a seguito dell'attività di monitoraggio medesima.

 

Per quanto riguarda le risorse derivanti dalla riprogrammazione dei programmi operativi regionali (POR) della programmazione 2007-2013 dei fondi strutturali, si segnala che il 4 gennaio 2014 l’Ufficio stampa del Ministro per la coesione territoriale ha comunicato che alla data del 31 dicembre 2013 tutti i 52 Programmi Operativi dei fondi strutturali europei hanno superato gli obiettivi (target) di spesa prefissati, evitando la perdita di risorse legata alla scadenza del 31 dicembre 2013. In totale la spesa certificata ha raggiunto il 52,7 per cento delle risorse programmate, a fronte di un obiettivo minimo di spesa per il 2013 pari al 48,5 per cento (alla fine del 2012 la spesa era pari al 37 per cento). In valori assoluti, su una disponibilità complessiva di 47,7 miliardi, la quota da spendere in scadenza al 31dicembre 2013 era indicata in 23,1 miliardi, mentre quella certificata è stata pari a 25,1 miliardi.

 

Il comma 28 prevede che eventuali ulteriori risorse che si dovessero rendere disponibili in conseguenza delle riprogrammazioni delle risorse ai sensi del precedente comma 27 (sia risorse da riprogrammazione PAC, che da riprogrammazione dei fondi comunitari), potranno essere utilizzate per elevare, fino a concorrenza dei relativi importi, il plafond di finanziamenti di 500 milioni previsto al comma 26 destinabili agli interventi indicati al comma 24.


 

Articolo 14
(Misure di contrasto al lavoro sommerso e irregolare)

 

 

L’articolo 14 detta una serie di misure volte, nel loro complesso, al contrasto del lavoro sommerso e irregolare, nonché alla promozione della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

 

La disposizione, in particolare, prevede

§      l’incremento delle sanzioni previste per l’impiego di lavoratori subordinati senza la preventiva comunicazione dell’instaurazione del rapporto di lavoro e per la violazione delle norme sulla durata massima dell’orario settimanale di lavoro (comma 1, lettere a) e b)), destinando le relative risorse al rafforzamento dell’attività di vigilanza e ispettiva (comma 1, lettera c)), anche incentivando l’utilizzo del mezzo proprio da parte del personale ispettivo (comma 1, lettera f));

§      che la programmazione delle verifiche ispettive sia sottoposta all’approvazione delle strutture centrali e territoriali del Ministero del lavoro, con l’obiettivo di incrementarne l’efficacia ed evitare sovrapposizione di interventi (comma 1, lettera d));

§      l’autorizzazione all’assunzione di 250 ispettori da parte del Ministero del lavoro, da destinare alle regioni del centro-nord (comma 1, lettera e)), per una spesa di 5 milioni nel 2014, 7 milioni nel 2015 e 10,2 milioni a decorrere dal 2016, mediante riduzione del Fondo sociale per l’occupazione e la formazione (comma 2).

 

 

La lettera a) prevede che l'importo delle sanzioni previste dall'articolo 3 del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12[19], in caso di impiego di lavoratori subordinati senza la preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro privato, nonché le somme aggiuntive previste, rispetto all'applicazione delle sanzioni penali, civili e amministrative, in caso di violazioni di norme poste a tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, ed in caso di riscontro dell'impiego di personale non risultante dalla documentazione obbligatoria, sia incrementato del 30 per cento. Si prevede inoltre, che nell'ipotesi di impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro privato, non sia applicabile la procedura di diffida, di cui all'articolo 13 del decreto legislativo n. 124 del 2004[20].

 

La lettera b), prevede la decuplicazione delle sanzioni amministrative prescritte in caso di violazione delle norme sulla durata massima settimanale dell'orario di lavoro, fissata, per ogni periodo di sette giorni, in quarantotto ore, comprese le ore di lavoro straordinario, nonché in caso di violazione delle norme relative ai riposi settimanali, escludendo dall'aumento le sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme riguardanti le ferie annuali.

 

La lettera c), prevede che i maggiori importi derivati dall'aumento delle sanzioni di cui alle lettere a) e b) siano destinati al finanziamento di misure, anche organizzative, poste in essere dalle direzioni territoriali del lavoro, finalizzate a rendere più efficaci le attività di vigilanza in materia di lavoro e di legislazione sociale, e le iniziative di contrasto al lavoro sommerso e irregolare, nonché quelle di prevenzione e promozione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Tali importi potranno essere utilizzati anche per finanziare le misure, previste dal decreto di cui alla lettera f), finalizzate a incentivare l'utilizzo del mezzo proprio da parte del personale ispettivo e quindi a migliorare l'efficacia dell'attività di vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale. Per il raggiungimento di tali finalità si prevede che dette risorse siano versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate su apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

 

La lettera d) prevede che, ferme restando le competenze della Commissione centrale di coordinamento dell'attività di vigilanza (istituita con il decreto legislativo n. 124 del 2004, la quale opera quale sede permanente di elaborazione di orientamenti, linee e priorità dell'attività di vigilanza) la programmazione delle verifiche ispettive, sia a livello centrale che territoriale, del personale ispettivo degli enti pubblici che gestiscono forme di assicurazione obbligatoria, sia sottoposta all'approvazione delle rispettive strutture centrali e territoriali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Tale previsione aiuterà, tra l'altro, a superare in maniera pressoché definitiva la nota problematica concernente la cosiddetta sovrapposizione degli interventi.

 

La lettera e) prevede che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sia autorizzato all’incremento della dotazione organica del personale ispettivo di 250 unità, di cui 200 nel profilo di ispettore del lavoro di area III e 50 in quello di ispettore tecnico di area III, da destinare nelle regioni del centro-nord. Ai sensi del comma 2, ai relativi oneri si provvede mediante riduzione del Fondo sociale per l'occupazione e la formazione[21] nella misura di euro 5 milioni per l'anno 2014, 7 milioni per l'anno 2015 e 10,2 milioni a decorrere dall'anno 2016

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Con riferimento alle problematiche toccate dall’articolo 14, si segnala che la Commissione europea, nel corso del 2013, ha avviato due consultazioni pubbliche: la prima, riguardante la sicurezza sul lavoro (maggio-luglio 3013) partiva dai risultati della Strategia europea per la salute e la sicurezza sul lavoro per il periodo 2007-2012, pubblicati nel marzo 2013; la seconda (luglio-settembre 2013) ha riguardato le eventuali future misure dell'UE per prevenire e scoraggiare il lavoro sommerso attraverso una migliorata cooperazione tra le autorità degli Stati membri preposte a far rispettare la normativa del lavoro, come ad esempio gli ispettorati del lavoro, le autorità fiscali e quelle della previdenza sociale.

Procedure di contenzioso
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Si ricorda che, in materia di salute e sicurezza dei lavoratori, è in corso la procedura di infrazione n. 2010/4227, per il non corretto recepimento degli articoli 5 e 9 della direttiva quadro europea 89/391/CEE sulla sicurezza sul lavoro.

La procedura è stata avviata dalla Commissione con una lettera di costituzione in mora dell’Italia, il 21 gennaio 2011, cui ha fatto seguito un parere motivato ex art. 258 TFUE, il 21 novembre 2012. Le autorità italiane, con lettera del 24 gennaio 2013, hanno fornito elementi al fine di rispondere ai rilievi sollevati dalla Commissione nel parere motivato.

La procedura di infrazione fa peraltro seguito ad una procedura di EU Pilot (n. 953/10/EMPL)[22], in relazione alla quale i chiarimenti forniti dalle autorità italiane (in data 2 giugno 2010 e 21 gennaio 2011) hanno contribuito al superamento di alcuni dei rilievi sollevati dalla Commissione.

Nel parere motivato, la Commissione contesta in via preliminare la mancata notifica alle autorità europee del decreto legislativo n. 81/2008 (Testo Unico delle norme in materia di salute e sicurezza dei lavoratori) che, abrogando o modificando le previgenti misure in materia di salute e sicurezza sul lavoro, attualmente costituisce, di fatto, il recepimento nell’ordinamento italiano della direttiva 89/391/CEE. In secondo luogo, la Commissione solleva rilievi in merito ai seguenti punti:

§       la deresponsabilizzazione del datore di lavoro in caso di delega e subdelega, prevista dagli articoli 16 e 30 del TU (violazione dell’articolo 5 della direttiva).

La direttiva sopra richiamata prevede la possibilità di delegare i poteri del datore di lavoro unicamente in caso di circostanze a loro estranee, eccezionali ed imprevedibili, laddove la normativa italiana, non chiarendo il contenuto e il grado di intensità della vigilanza del datore di lavoro, sembra permettere un’interpretazione blanda del contenuto del potere delegato, implicando, di fatto, un’esclusione di responsabilità. L’esclusione dell’obbligo di vigilanza e, quindi, della responsabilità del datore di lavoro, sarebbe, inoltre, esplicitata dalla norma, qualora si sia provveduto all’adozione e all’attuazione del modello di verifica e controllo, previsto dall’articolo 30 del TU. La violazione della direttiva è ravvisata dalla Commissione anche in relazione alla possibilità che il soggetto delegato, d’accordo con il datore di lavoro, subdeleghi ad altro soggetto funzioni specifiche, non escludendosi l’obbligo del delegato (e non del datore di lavoro) di vigilare sull’operato del subdelegato (articolo 16).

Nelle osservazioni inviate l’8 dicembre 2012 e non ritenute esaustive dalla Commissione, l’Italia evidenzia la conformità della normativa italiana a quella europea. In particolare, ad avviso delle autorità italiane, il sistema di responsabilità si articola su quattro livelli, basati su norme di natura legislativa e su pronunce giurisdizionali:

§       una responsabilità civile (disciplinata dal codice civile e, in particolare, dall’articolo 2087);

§       una responsabilità penale (o amministrativa, a seconda dei casi), in caso di violazione di una norma di tipo prevenzionale, sanzionata penalmente;

§       una responsabilità individuale penale, nel caso in cui dalla violazione di una norma di tipo prevenzionale sia disceso un infortunio o una malattia professionale (articoli 589 e 590 del codice penale);

§       una responsabilità amministrativa del datore di lavoro, inteso come ente collettivo o persona giuridica, rispetto ai reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori (articolo 300 del TU).

Tuttavia, ad avviso della Commissione, le norme richiamate dalle autorità italiane farebbero riferimento, più che al datore di lavoro, all’imprenditore e non sempre le due figure coincidono. Inoltre, le pronunce giurisdizionali, seppure indicative di una tendenza ad ampliare le tutele dei lavoratori, non avrebbero forza vincolante nell’ordinamento. Inoltre, sulla base dell’articolo 10 del D.P.R. 1124/1965 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), richiamato dalle autorità italiane, la responsabilità del datore di lavoro risulterebbe sanzionabile solo nel caso in cui sia stato commesso un reato penale. In tutti gli altri casi, per le attività per cui è obbligatoria l’assicurazione previdenziale prevista dal D.P.R. n. 1124/1965, il datore di lavoro non sarebbe soggetto a responsabilità civile in quanto coperto da un regime obbligatorio di assicurazione pubblica. Ciò, ad avviso della Commissione, da un lato, è utile ad assicurare ai lavoratori danneggiati il risarcimento del danno ma, dall’altro, potrebbe indurre il datore di lavoro a non adottare le necessarie misure di prevenzione.

Nella lettera di risposta del 21 gennaio 2013, le autorità italiane, nel ribadire quanto già affermato nella documentazione precedentemente inviata, precisano che il rilascio della delega in modo formalmente corretto non implica affatto l’esclusione di responsabilità in capo al datore di lavoro. Infatti sia il codice civile (art. 2049) sia la costante giurisprudenza considerano la responsabilità del datore di lavoro, in caso di delega, come una responsabilità oggettiva (che sussiste a prescindere dal requisito della colpa in capo al datore di lavoro. Tale responsabilità, nel caso della violazione della normativa antinfortunistica (articoli 10 e 11 del DPR n. 1124/1965, che hanno, come finalità ultima quella di garantire al lavoratore danneggiato il risarcimento del danno), sussiste comunque nella duplice forma della responsabilità penale e della responsabilità civile.

L’esclusione della responsabilità del datore di lavoro, ad avviso della Commissione, risulterebbe anche dalle disposizioni in materia di obbligo del datore di lavoro di adottare un sistema di controllo del modello organizzativo, che preveda il riesame e la modifica del modello medesimo, in caso di manifeste violazioni delle norme di tutela dei lavoratori o in caso di progresso tecnologico. L’assenza di responsabilità è dimostrata dal fatto che l’adozione di un nuovo modello segue (e non precede) il verificarsi di violazioni della normativa che tutela i lavoratori, a cui, tra l’altro, spetta l’onere della prova.

Gli elementi forniti dalle autorità italiane sul contenuto della delega e della subdelega, funzionali agli adempimenti attribuiti dalla legge al datore di lavoro e soggette a condizioni molto rigorose, ad avviso della Commissione, attenuano ma non risolvono i problemi sollevati in merito alla violazione della direttiva, in quanto sembrerebbero confermare l’esclusione della responsabilità del datore di lavoro nel caso in cui la delega sia esercitata nel rispetto di tutte le condizioni di legge. Infatti, l’affermazione che rimane in capo al datore di lavoro delegante l’obbligo di sorveglianza sull’operato del delegato non appare corroborata da informazioni puntuali, tenendo presente soprattutto il fatto che le osservazioni della Commissione non riguardano tanto la conformità o meno al diritto comunitario della delega quanto, piuttosto, la conservazione in capo al datore di lavoro della responsabilità, in mancanza della quale egli potrebbe non avere interesse ad adottare misure per la tutela dei lavoratori.

§       proroga dei termini impartiti per la redazione del documento di valutazione dei rischi per le nuove imprese o per modifiche sostanziali apportate ad imprese esistenti.

Su tale punto, la Commissione rileva che l’ordinamento italiano sembrerebbe permettere ai datori di lavoro di essere dispensati, sia pure per un periodo di tempo limitato (90 o 30 giorni, a seconda dei casi), dall’obbligo di disporre di un documento di valutazione dei rischi (anche se la valutazione è immediata) nonché dell’obbligo di assicurarsi che i lavoratori abbiano accesso al documento stesso (articoli 28 e 29 del TU). Ciò, ad avviso della Commissione, appare contrario alla direttiva 89/391 in quanto questa, in primo luogo, non lascia spazio all’interpretazione degli Stati membri sul momento di formalizzazione della valutazione dei rischi (articolo 9), indipendentemente dalle dimensioni dell’impresa, anche alla luce della giurisprudenza della la Corte di giustizia (condanna della Germania, nella causa 5/00). In secondo luogo, il rinvio della redazione del documento di valutazione dei rischi, ad avviso della Commissione, appare contrario anche alle finalità della direttiva, che consiste nel’introdurre la prevenzione e la programmazione della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro (articolo 6). In particolare, il rinvio della redazione del documento potrebbe comportare per un periodo non trascurabile la mancata o insufficiente valutazione del rischio per i lavoratori e, quindi, un’insufficiente tutela degli stessi. Infatti, ad avviso della Commissione, soltanto la formalizzazione di un documento costituisce una valida certificazione dell’effettiva esecuzione della valutazione dei rischi. Tale mancanza, infine, viola anche l’articolo 10 della direttiva, laddove prevede il diritto dei lavoratori di accedere al documento di valutazione dei rischi.

Le osservazioni delle autorità italiane in risposta alla lettera di costituzione in mora, che pongono l’accento sul fatto che si tratterebbe di una possibilità, più che di un obbligo, per il datore di lavoro di rinviare la formalizzazione della valutazione dei rischi, non sono considerate dalla Commissione idonee al superamento dei rilievi. Le argomentazioni delle autorità italiane sono state ribadite nella sostanza dalla documentazione inviata alla Commissione il 21 gennaio 2013, in cui si contesta, tra l’altro, la pertinenza del richiamo alla causa 5/00, in quanto, in quel caso, la normativa della Germania prevedeva la possibilità di non disporre affatto della documentazione relativa alla valutazione dei rischi, concretizzandosi in un vero e proprio esonero per le imprese con meno di 10 addetti.

 

Su altri punti, in merito ai quali la Commissione aveva formulato rilievi nella lettera di costituzione in mora dell’Italia, il 21 gennaio 2011, i chiarimenti forniti dalle autorità italiane (in data 2 giugno 2010 e 21 gennaio 2011) sono stati giudicati esaustivi dalla Commissione medesima che non li ha pertanto ripresi nel parere motivato. Si trattava, in particolare:

§       violazione dell'obbligo di disporre di una valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro per i datori di lavoro che occupano fino a 10 lavoratori;

§       posticipazione dell'obbligo di valutazione del rischio di stress legato al lavoro;

§       posticipazione dell'applicazione della legislazione in materia di protezione della salute e sicurezza sul lavoro per le persone appartenenti a cooperative sociali e a organizzazioni di volontariato della protezione civile;

§       proroga del termine per completare l'adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi per le strutture ricettive turistico-alberghiere con oltre 25 posti letto esistenti in data 9 aprile 1994.

 



[1]     http://www.autorita.energia.it/it/consumatori/bollettatrasp_ele.htm

[2]     famiglia residente con consumi pari a 2700 kWh/anno e potenza pari a 3 kW, servito in maggior tutela, con una bolletta annua dell’energia elettrica di 514 euro/anno.

[3]     http://www.autorita.energia.it/allegati/elettricita/TUP.pdf

[4]     Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell'edilizia.

[5]     Disposizioni urgenti nell'àmbito del Piano di Azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, e successivamente più volte modificato.

[6]     E' stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea del 24 dicembre 2013 il regolamento 1407/2013 del 18 dicembre sull'applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell'Ue agli aiuti "de minimis", che contiene le regole sulle modalità di erogazione di aiuti minimi alle imprese senza notificazione in via preventiva alla Commissione Ue.

[7]     Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE.

[8]     Si tratta di un comitato tecnico consultivo costituito presso il Ministero dello sviluppo economico ai sensi dell’articolo 33, comma 5-sexies del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, composto da rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico, del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, del Ministero dell'economia e delle finanze, e del Gestore dei servizi energetici S.p.A..

[9]     Attuazione della direttiva 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell'articolo 41 della L. 17 maggio 1999, n. 144.

[10]    Approvazione del testo unico della legge sull'assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni e delle province.

[11]    Regolamento per i criteri di gara e per la valutazione dell'offerta per l'affidamento del servizio della distribuzione del gas naturale, in attuazione dell'articolo 46-bis del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222.

[12]    Tale articolo 27 ha introdotto un nuovo strumento chiamato “Progetto di riconversione e riqualificazione industriale in caso di situazioni di crisi industriali complesse”, prevedendo che possano essere attivati i progetti di riconversione e riqualificazione industriale la cui finalità è quella di agevolare gli investimenti produttivi, anche di carattere innovativo, nonché la riconversione industriale e riqualificazione economico produttiva dei territori interessati. Lo stesso articolo ha demandato ad apposito decreto del Ministro dello sviluppo economico (poi emanato in data 31 gennaio 2013) la definizione delle modalità di individuazione delle situazioni di crisi industriale complessa e la determinazione dei criteri per la definizione e l'attuazione dei Progetti di riconversione e riqualificazione industriale.

[13]    Con uno stanziamento di 33 miliardi di euro per il periodo 2014-2020, il CEF è disegnato specificamente per promuovere crescita, occupazione e competitività attraverso investimenti infrastrutturali a livello europeo.

[14]    Il collegamento stradale è suddiviso in due lotti, di cui il primo è ripartito in due sublotti funzionali 1A e 1B.

[15]    Per quanto concerne le ordinanze richiamate, si segnala che con l’OPCM 18 ottobre 2007, n. 3623, si è provveduto, tra l’altro, alla nomina del sindaco del comune di Milano a Commissario delegato per la predisposizione degli interventi necessari alla migliore presentazione della candidatura della Città di Milano quale sede del grande evento «Expo 2015» e ne sono stati definiti i compiti. Con l’O.P.C.M. 19 gennaio 2010, n. 3840 il Commissario delegato è stato autorizzato ad avvalersi di ulteriori deroghe alla normativa ordinaria finalizzate, in particolare, alla realizzazione del programma delle opere pubbliche programmate dall'amministrazione comunale, nonché del Piano urbano parcheggi. Con l’O.P.C.M. n. 3900/2010 il commissario straordinario delegato è stato autorizzato ad adottare tutti i provvedimenti necessari per assicurare la disponibilità delle aree individuate nel dossier di registrazione nei tempi richiesti dal Bureau International des Expositions (BEI), anche in deroga alla disciplina ordinaria. E’ stato, inoltre, stabilito che le opere necessarie per la realizzazione dell’Expo potranno essere localizzate, approvate e dichiarate di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, anche se non incluse in atti di programmazione del comune di Milano, con facoltà di deroga alla disciplina ordinaria e, nel caso di progetti sottoposti a VIA statale o regionale, i termini vengono ridotti della metà. Con l’O.P.C.M. n. 3901/2010 è stato disposto che il commissario delegato straordinario Sindaco di Milano, per lo svolgimento delle attività per la realizzazione dell’EXPO, provveda nel rispetto della direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22 ottobre 2004, dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e delle procedure di aggiudicazione indicate nell’art. 2 della stessa ordinanza.

[16]    Per le quali in particolare non sia stato pubblicato il bando di gara.

[17]    Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità.

[18]    Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici.

[19]    L’articolo 3 del decreto-legge n.12/2002, nel testo previgente all’entrata in vigore del decreto-legge n.145/2013 in esame, prevedeva che in caso di impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro privato, con la sola esclusione del datore di lavoro domestico, si applicasse la sanzione amministrativa da euro 1.500 a euro 12.000 per ciascun lavoratore irregolare, maggiorata di euro 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo. L’importo della sanzione è da euro 1.000 a euro 8.000 per ciascun lavoratore irregolare, maggiorato di euro 30 per ciascuna giornata di lavoro irregolare, nel caso in cui il lavoratore risulti regolarmente occupato per un periodo lavorativo successivo.

[20]    In base all’articolo 13 del decreto legislativo n.124/2004, nell'ipotesi in cui il personale ispettivo rilevi l'inosservanza delle norme di legge o del contratto collettivo in materia di lavoro e legislazione sociale ovvero inadempimenti dai quali derivino sanzioni amministrative, provvede a diffidare il trasgressore e l'eventuale obbligato in solido, alla regolarizzazione delle inosservanze comunque materialmente sanabili, entro il termine di trenta giorni dalla data di notificazione del verbale di accertamento.

[21]    Di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, n. 2),

[22]    Il sistema EU PILOT (strumento informatico EU pilot - IT application) dal 2008 è lo strumento principale di comunicazione e cooperazione tramite il quale la Commissione, mediante il Punto di contatto nazionale - che in Italia è la struttura di missione presso il Dipartimento Politiche UE della Presidenza del Consiglio -, trasmette le richieste di informazione agli Stati membri (tutti gli Stati membri hanno aderito a questo strumento di pre-contenzioso) al fine di assicurare la corretta applicazione della legislazione UE e prevenire possibili procedure d’infrazione. Il sistema viene utilizzato quando per la Commissione la conoscenza di una situazione di fatto o di diritto all’interno di uno Stato membro è insufficiente e non permette il formarsi di un’opinione chiara sulla corretta applicazione del diritto UE e in tutti i casi che potrebbero essere risolti senza dovere ricorrere all’apertura di una vera e propria procedura di infrazione.