Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento lavoro
Altri Autori: Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: Disposizioni in materia di lavoro e IVA - D.L. 76/2013 - A.C. 1458 - Schede di lettura
Riferimenti:
DL N. 76 DEL 28-GIU-13   AC N. 1458/XVII
Serie: Progetti di legge    Numero: 59
Data: 01/08/2013
Descrittori:
DECRETO LEGGE 2013 0076   IVA
LAVORO     
Organi della Camera: VI-Finanze

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Disposizioni in materia di lavoro e IVA

D.L. 76 – A.C. 1458

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 59

 

 

 

1° agosto 2013

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Lavoro

( 066760-4974 / 066760-4884 – * st_lavoro@camera.it

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

§        La nota di sintesi e le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi.

§        Le parti relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea e alle procedure di contenzioso sono state curate dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea.

 

 

La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

File: D13076


INDICE

Schede di lettura

§     Articolo 1 (Incentivi per nuove assunzioni a tempo indeterminato di lavoratori giovani) 3

§     Articolo 2, commi da 1 a 8 (Misure relative all’apprendistato professionalizzante, ai tirocini formativi e di orientamento) 12

§     Articolo 2, comma 9 (Periodo di utilizzo del credito d’imposta per nuove assunzioni) 24

§     Articolo 2, commi 10-14 (Promozione alternanza studio-lavoro per gli studenti universitari e tirocini formativi per gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado) 26

§     Articolo 3, comma 1 (Misure urgenti per l’occupazione giovanile e contro la povertà nel Mezzogiorno – Carta per l’inclusione) 31

§     Articolo 3, commi da 2 a 5 (Carta per l’inclusione) 35

§     Articolo 4 (Misure per la velocizzazione delle procedure in materia di riprogrammazione dei programmi nazionali cofinanziari dai Fondi strutturali e di rimodulazione del Piano di Azione Coesione) 40

§     Articolo 5 (Misure per l’attuazione della “Garanzia per i Giovani” e la ricollocazione dei lavoratori destinatari dei cosiddetti “ammortizzatori sociali in deroga”) 47

§     Articolo 6 (Raccordi fra istituti professionali e sistema di istruzione e formazione professionale - Soppresso) 57

§     Articolo 7 (Modifiche alla disciplina introdotta dalla L. 28 giugno 2012, n. 92) 58

§     Articolo 7-bis (Stabilizzazione degli associati in partecipazione con apporto di lavoro) 77

§     Articolo 8 (Banca dati delle politiche attive e passive) 80

§     Articolo 9, comma 1 (Responsabilità solidale negli appalti ) 84

§     Articolo 9 comma 2 (Sanzioni in materia di sicurezza sul lavoro) 85

§     Articolo 9, comma 3 (Apprendistato) 86

§     Articolo 9, comma 4 (Contrattazione collettiva- Soppresso) 87

§     Articolo 9 commi 4-bis e 4-ter (Fondo per il diritto al lavoro dei disabili e parità di trattamento) 88

§     Articolo 9 comma 5 (Comunicazioni obbligatorie in materia di lavoro) 91

§     Articolo 9 comma 6 (Somministrazione di lavoro) 92

§     Articolo 9, commi da 7 a 10-ter (Disposizioni in materia di lavoratori extracomunitari) 93

§     Articolo 9 comma11 (Norme relative ad assunzioni congiunte di lavoratori nelle imprese agricole) 103

§     Articolo 9 comma 12 (Spese enti locali per lavoro accessorio) 105

§     Articolo 9, commi da 13 a 15-ter (Disciplina della s.r.l. semplificata e a capitale ridotto ) 109

§     Articolo 9, commi 16 e 16-bis (Disciplina delle start-up innovative) 112

§     Articolo 9, comma 16-ter (Proroga al 2016 degli incentivi all’investimento in start-up innovative) 114

§     Articolo 9, comma 16-quater (Versamenti della Cassa conguaglio per il settore elettrico) 115

§     Articolo 9 comma 16-quinquies (Personale a tempo determinato degli enti di ricerca) 117

§     Articolo 9, comma 16-sexies (Lavoratori cooperative piccola pesca) 118

§     Articolo 10 commi 1 e 2 (Disposizioni in materia di previdenza complementare) 119

§     Articolo 10, commi 3 e 4 (Trasferimento delle funzioni amministrative per i lavoratori marittimi dall’INAIL all’INPS) 121

§     Articolo 10, commi 5 e 6 (Pensione di inabilità) 122

§     Articolo 10, comma 7 (Esclusioni dal taglio dei trasferimenti alle Regioni per mancata riduzione dei costi della politica) 124

§     Articolo 10, comma 7-bis (Fondo lavoratori detenuti) 126

§     Articolo 10-bis (Risparmi di gestione degli enti previdenziali privatizzati) 127

§     Articolo 11, comma 1 (Rinvio dell’incremento dell’aliquota IVA) 130

§     Articolo 11, commi 2-4 (Redditi dei titoli di Stato greci nel portafoglio Securities Markets Programme attribuiti all’Italia) 133

§     Articolo 11, comma 5 (Contributo in favore del Chernobyl Shelter Fund) 138

§     Articolo 11, comma 6 (Contributo italiano alle risorse del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (IFAD)) 139

§     Articolo 11, comma 6-bis (Fondo nazionale per il servizio civile) 140

§     Articolo 11, commi 7 e 8 (Agevolazioni in favore dei soggetti danneggiati dagli eventi sismici del maggio 2012) 142

§     Articolo 11, comma 8-bis (Ripristino degli edifici pubblici danneggiati dagli eventi sismici del maggio 2012) 145

§     Articolo 11 commi 9-11 (Rimozione dei materiali contenenti amianto in talune zone colpite da calamità naturali) 147

§     Articolo 11, comma 11-bis (Pagamento degli stati di avanzamento dei lavori nella ricostruzione privata degli edifici) 152

§     Articolo 11, comma 11-ter (Programma di bonifiche ambientali nei comuni della Valle del Belice) 154

§     Articolo 11, comma 11-quater (Finanziamenti bancari agevolati per la ricostruzione in Emilia) 155

§     Articolo 11, comma 11-quinques (Recupero del borgo storico di Spina del Comune di Marsciano) 156

§     Articolo 11, comma 12 (Addizionale regionale all’IRPEF nelle Regioni a statuto speciale) 159

§     Articolo 11, comma 12-bis (Pagamento dei debiti sanitari) 162

§     Articolo 11, commi 12-ter-12-septies (Garanzia statale sui debiti certificati di parte corrente delle amministrazioni pubbliche) 164

§     Articolo 11, commi 13-16 (Finanziamento del piano di rientro dal disavanzo nel settore del trasporto pubblico locale ferroviario nella regione Campania) 171

§     Articolo 11, comma 17 (Finanziamento fondazioni lirico-sinfoniche) 175

§     Articolo 11, commi 18-20 (Incremento dell’acconto IRPEF e IRES) 177

§     Articolo 11, comma 21 (Incremento dell’acconto sugli interessi maturati su conti correnti e depositi) 179

§     Articolo 11, comma 22 (Imposta di consumo sui prodotti succedanei dei prodotti da fumo) 180

§     Articolo 11 comma 23 (Imposta di consumo sui prodotti succedanei dei prodotti da fumo) 183

§     Articolo 11-bis (Limite di indebitamento enti locali e Fondo svalutazione crediti) 184

§     Articolo 12 (Copertura finanziaria) 187

Appendice

§     Il ritardo nell’utilizzo dei fondi comunitari e lo stato di attuazione al 31 aprile 2013  195

§     Il Piano di Azione Coesione  202

 

 


Schede di lettura

 


Articolo 1
(Incentivi per nuove assunzioni a tempo indeterminato di lavoratori giovani)

L’articolo 1 introduce, in via sperimentale, un incentivo per i datori di lavoro che entro il 30 giugno 2015 assumano, con contratto di lavoro a tempo indeterminato, lavoratori di età compresa tra i 18 ed i 29 anni, che rientrino in una delle seguenti condizioni:

a) siano privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi;

b) siano privi di un diploma di scuola media superiore o professionale.

Nel corso dell’esame al Senato è stata soppressa la condizione che i soggetti vivessero soli con una o più persone a carico.

 

L’incentivo è pari a un terzo della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, copre un periodo di 18 mesi e non può comunque superare l’importo di 650 euro per ogni lavoratore assunto. Le assunzioni devono comportare un incremento occupazionale netto.

Il medesimo incentivo è riconosciuto, per un periodo di 12 mesi, nel caso di trasformazione con contratto a tempo indeterminato. Alla trasformazione deve corrispondere l’assunzione, entro un mese, di un ulteriore lavoratore.

Per il finanziamento dell’incentivo sono previste risorse statali pari a 500 milioni per le regioni del Mezzogiorno e a 294 milioni per le restanti regioni, nonché eventuali ulteriori finanziamenti a carico delle singole Regioni.

 

I commi 1 e 2 definiscono le finalità dell’intervento e la platea dei beneficiari.

Il beneficio, di carattere sperimentale, è volto alla promozione di occupazione stabile di giovani fino a 29, in attesa dell’adozione di ulteriori misure da realizzare anche attraverso il ricorso alle risorse della nuova programmazione comunitaria 2014-2020.

Il beneficio riguarda datori di lavoro che assumano, con contratto a tempo indeterminato, lavoratori (non domestici) che siano privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi o siano privi di un diploma di scuola media superiore o professionale, nel rispetto dell’articolo 40 del Regolamento (CE) n.800/2008.

 

Il Regolamento (CE) n. 800/2008, della Commissione, del 9 agosto 2008 individua alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato comune in applicazione degli attuali articoli 107 e 108 del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea del 2009). In particolare, il regolamento ha introdotto sostanziali innovazioni per diverse fattispecie di aiuti, quali gli aiuti a finalità regionale, gli aiuti agli investimenti e all'occupazione a favore delle PMI, gli aiuti alla costituzione di imprese a partecipazione femminile, gli aiuti per la tutela dell'ambiente, gli aiuti alle PMI per servizi di consulenza e partecipazione a fiere commerciali, nonché gli aiuti sotto forma di capitale di rischio, alla ricerca, sviluppo e innovazione, alla formazione e a favore di lavoratori svantaggiati e disabili.

Gli aiuti esentati non possono essere cumulati con altri aiuti esentati o con gli aiuti d'importanza minore (de minimis) che soddisfino le condizioni di cui al regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione, ovvero con altri finanziamenti della Comunità relativi agli stessi costi - coincidenti in parte o integralmente - ammissibili, ove tale cumulo porti al superamento dell'intensità di aiuto o dell'importo di aiuto più elevati applicabili all'aiuto in questione in base al presente regolamento.

L’articolo 40, in particolare, prevede che regimi di aiuti nazionali per l'assunzione di lavoratori svantaggiati sotto forma di integrazioni salariali sono compatibili con il mercato comune (ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 3, del trattato) e sono esenti dall'obbligo di notifica (di cui all'articolo 88, paragrafo 3, del trattato), purché siano soddisfatte alcune condizioni. In primo luogo l'intensità di aiuto non deve superare il 50% dei costi ammissibili. I costi ammissibili corrispondono ai costi salariali durante un periodo massimo di 12 mesi successivi all'assunzione; tuttavia, nel caso in cui il lavoratore interessato è un lavoratore molto svantaggiato, i costi ammissibili corrispondono ai costi salariali su un periodo massimo di 24 mesi successivi all'assunzione. Nei casi in cui l'assunzione non rappresenti un aumento netto del numero di dipendenti dell'impresa interessata rispetto alla media dei dodici mesi precedenti, il posto o i posti occupati devono essere resi vacanti in seguito a dimissioni volontarie, invalidità, pensionamento per raggiunti limiti d'età, riduzione volontaria dell'orario di lavoro o licenziamento per giusta causa, e non in seguito a licenziamenti per riduzione del personale.

 

Secondo quanto previsto dai commi 4 e 5, l’incentivo viene riconosciuto, per un periodo di 18 mesi, nella misura di un terzo della retribuzione mensile lorda complessiva ai fini previdenziali, e in ogni caso entro l’importo massimo di 650 euro mensili per ciascun lavoratore assunto. Il medesimo incentivo può essere riconosciuto, per un periodo di 12 mesi, entro l’importo massimo di 650 euro mensili per ciascun lavoratore anche nel caso di trasformazione di un precedente rapporto di lavoro in un contratto a tempo indeterminato, ma a condizione che alla trasformazione del rapporto corrisponda l’assunzione, come specificato nel corso dell’esame al Senato, entro un mese, di un ulteriore lavoratore (con contratti di lavoro dipendente).

 

Il comma 3 precisa che per essere ammesse all’incentivo, le assunzioni dovranno determinare un incremento netto della base occupazionale e devono essere effettuate a decorrere dalla data di approvazione (di cui il Ministero del lavoro e l’INPS informano ai sensi dei commi 10 e 11) degli atti di riprogrammazione delle risorse del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie, e comunque non oltre il 30 giugno 2015 (o il 30 giugno 2014, nel caso di ulteriori finanziamenti regionali).

 

I commi 6 e 7 chiariscono che l’incremento occupazionale è calcolato sulla base della differenza tra il numero dei lavoratori rilevato in ciascun mese e il numero dei lavoratori mediamente occupati nei dodici mesi precedenti all’assunzione e che si deve tener conto anche delle diminuzioni occupazionali verificatesi in società controllate o collegate o facenti comunque capo allo stesso soggetto.

 

Il comma 8 precisa che al nuovo incentivo si applicano le disposizioni in materia di incentivi all’assunzione previste ai commi 12, 13 e 15 dell’articolo 4 della legge 28 giugno 2012, n. 92.

 

L’articolo 4, commi 12, 13 e 15 dell’articolo 4 della legge n. 92/2012, definisce i principi generali concernenti gli incentivi alle assunzioni.

Il comma 12 prevede che:

-      gli incentivi non spettano se l’assunzione costituisce attuazione di un obbligo preesistente, stabilito da norme di legge o della contrattazione collettiva; gli incentivi sono esclusi anche nel caso in cui il lavoratore avente diritto all’assunzione viene utilizzato mediante contratto di somministrazione (lettera a));

-      gli incentivi non spettano se l'assunzione viola il diritto di precedenza, stabilito dalla legge o dal contratto collettivo, alla riassunzione di un altro lavoratore licenziato da un rapporto a tempo indeterminato o cessato da un rapporto a termine; gli incentivi sono esclusi anche nel caso in cui, prima dell'utilizzo di un lavoratore mediante contratto di somministrazione, l'utilizzatore non abbia preventivamente offerto la riassunzione al lavoratore titolare di un diritto di precedenza per essere stato precedentemente licenziato da un rapporto a tempo indeterminato o cessato da un rapporto a termine (lettera b);

-      gli incentivi non spettano se il datore di lavoro o l’utilizzatore con contratto di somministrazione abbiano in atto sospensioni dal lavoro connesse ad una crisi o riorganizzazione aziendale, salvi i casi in cui l’assunzione, la trasformazione o la somministrazione siano finalizzate all’acquisizione di professionalità sostanzialmente diverse da quelle dei lavoratori sospesi oppure sia effettuata presso una diversa unità produttiva (lettera c));

-      gli incentivi non spettano con riferimento a quei lavoratori che siano stati licenziati, nei sei mesi precedenti, da parte di un datore di lavoro che, al momento del licenziamento, presenti assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli del datore di lavoro che assume ovvero risulti con quest’ultimo in rapporto di collegamento o controllo; in caso di somministrazione tale condizione si applica anche all’utilizzatore (lettera d)).

Il comma 13 dispone che ai fini della determinazione del diritto agli incentivi e della loro durata, si cumulano i periodi in cui il lavoratore ha prestato l’attività in favore dello stesso soggetto, a titolo di lavoro subordinato o somministrato.

Il comma 15 prevede che l’inoltro tardivo delle comunicazioni telematiche obbligatorie inerenti l’instaurazione e la modifica di un rapporto di lavoro o di somministrazione producono la perdita di quella parte dell’incentivo relativa al periodo compreso tra la decorrenza del rapporto agevolato e la data della tardiva comunicazione

 

Il comma 9 prevede che l’INPS, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, disciplini, con propria circolare, le modalità attuative di fruizione degli incentivi e ponga in essere tutte le azioni necessarie per consentire la fruizione dell’incentivo.

 

Il comma 12, modificato nel corso dell’esame al Senato, determina lentità delle risorse destinate al finanziamento dell’incentivo disposto dal comma 1 in favore di nuove assunzioni di lavoratori giovani, nell’importo complessivo di 794 milioni di euro per il periodo 2013-2016, di cui 500 milioni di euro per le regioni Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia e 294 milioni di euro per le restanti regioni.

 

In particolare, tali risorse sono così ripartite:

a)   100 milioni di euro per il 2013, 150 milioni per ciascuno degli anni 2014 e 2015 e 100 milioni per il 2016 in favore delle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia.

     Nel testo originario e attualmente vigente della norma le predette risorse sono destinate alle “regioni del Mezzogiorno”. Nel corso dell’esame al Senato, la locuzione regioni del Mezzogiorno è stata sostituita con l’indicazione specifica delle regioni suddette, destinatarie del beneficio di cui alla lettera a) in esame.

     Tali risorse sono reperite a valere sulla corrispondente riprogrammazione delle risorse del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie, di cui all’articolo 13 della legge n. 183/1987, già destinate ai Programmi operativi 2007-2013, nonché sulla rimodulazione delle risorse del medesimo Fondo già destinate agli interventi del Piano di Azione Coesione, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 23, comma 4, della legge 12 novembre 2011, n. 183 (legge di stabilità 2012), previo consenso, per quanto occorra, della Commissione europea.

     Si rinvia sul punto alla scheda di lettura del successivo articolo 4, che definisce le procedure necessarie a rendere disponibili le suddette risorse derivanti dalla riprogrammazione dei Programmi Nazionali cofinanziati e dalla rimodulazione del Piano di Azione Coesione, ai fini della loro destinazione al finanziamento della misura in esame.

     Si ricorda che per recuperare il ritardo accumulato nell’utilizzo dei fondi strutturali 2007-2013, nel corso del 2011 è stata avviata, d’intesa con la Commissione Europea, l’azione per accelerare l’attuazione dei programmi operativi, specie nelle Regioni dell’Obiettivo Convergenza, che ha portato all’adozione, alla fine del 2011, del Piano di Azione Coesione. Con il Piano è stata definita un’azione strategica di rilancio del Mezzogiorno, che ha impegnato le amministrazioni centrali e locali a rilanciare i programmi operativi in grave ritardo, consentendo, al tempo stesso, la possibilità di concentrare le risorse recuperate attraverso una riduzione della quota complessiva del cofinanziamento nazionale dei fondi strutturali nell’ambito dei programmi operativi regionali del Mezzogiorno, su alcune priorità.

     Con il citato articolo 24, comma 3, della legge di stabilità 2012 è stata stabilita la possibilità che le risorse provenienti da una riduzione del cofinanziamento nazionale di programmi relativi al periodo 2007-2013, iscritte sul Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie, possano essere destinate alla realizzazione di interventi di sviluppo socio-economico concordati tra le Autorità italiane e quelle europee

     La norma specifica, inoltre, che le predette risorse – derivanti dalla riprogrammazione e rimodulazione delle risorse del cofinanziamento nazionale dei Fondi strutturali disposta ai sensi dell’articolo 4 del provvedimento - sono versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate – ai sensi di quanto disposto dal successivo comma 13 - al Fondo sociale per l’occupazione e la formazione, per le finalità di cui all’articolo in esame e sopra descritte.

b)   48 milioni di euro per l’anno 2013, 98 milioni di euro per l’anno 2014, 98 milioni di euro per l’anno 2015 e 50 milioni di euro per l’anno 2016 per le restanti regioni, ripartiti tra le stesse Regioni sulla base dei criteri di riparto dei Fondi strutturali.

     Si ricorda che, in base all’Allegato al QSN 2007-2013[1], approvato con la delibera CIPE n. 174 del 22 dicembre 2006, il riparto in termini percentuali tra le singole regioni della quota dei fondi strutturali assegnata al Mezzogiorno e al Centro-Nord è effettuato sulla base di una specifica “chiave di riparto”.

     La copertura di tale onere è disposta dall’articolo 12 del decreto legge, alla cui scheda di lettura si rinvia.

     Si osserva che, nel corso dell’esame al Senato è stato soppresso l’ultimo periodo della lettera b), il quale dispone che la regione interessata all’attivazione dell’incentivo finanziato dalle risorse di cui alla medesima lettera b) è tenuta a farne espressa dichiarazione entro il 30 novembre 2013 al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Ministro per la coesione territoriale.

 

Il comma 13 dispone che l’importo complessivo delle risorse finalizzate al finanziamento dell’incentivo per l’occupazione di giovani lavoratori (794 milioni nel periodo 2013-2016) sono destinate al Fondo sociale per l’occupazione e la formazione, di cui all’articolo 18, comma 1, lettera a), del D.L. n. 185/2008, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze con indicazione degli importi destinati a ogni singola Regione.

Si segnala che il comma 13 non reca l’indicazione dei criteri in base ai quali definire la destinazione per singola Regione delle risorse assegnate al Fondo sociale per l’occupazione.

In merito, si evidenzia che il precedente comma 12, alla lettera b), indica espressamente, per le Regioni diverse da quelle del Mezzogiorno, che l’importo dell’incentivo vada ripartito tra le stesse beneficiarie sulla base dei “criteri di riparto dei Fondi strutturali”.

Andrebbe chiarito se tale criterio, basato sulla chiave di riparto dei Fondi strutturali, vada applicato anche con riferimento alle risorse destinate alle Regioni del Mezzogiorno - nello specifico Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia - di cui alla lettera a) del comma 12, ovvero se, per esse, debba rispettarsi il principio di territorialità per il riutilizzo delle risorse derivanti dalla rimodulazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali, in applicazione dell’Accordo del 3 novembre 2011, siglato in occasione dell’adozione del Piano di Azione Coesione[2].

 

Il Fondo sociale per l’occupazione e la formazione è istituito nello stato di previsione del Ministero del lavoro dal citato articolo 18 comma 1, lettera a), del D.L. n. 185/2008 (legge n. 2/2009), con quota parte delle risorse nazionali disponibili sul Fondo aree sottoutilizzate (ora Fondo sviluppo e coesione), le quali sono state destinate alle attività di apprendimento, nonché di sostegno al reddito.

In tale Fondo confluiscono ora le risorse del Fondo per l'occupazione nonché le risorse comunque destinate al finanziamento degli ammortizzatori sociali concessi in deroga alla normativa vigente e quelle destinate in via ordinaria dal CIPE alla formazione.

 

Il comma 14 prevede che gli incentivi sono attribuiti, su domanda, da parte dell'INPS, in base all’ordine cronologico, relativo alla data di assunzione più risalente; nel caso di raggiungimento del limite di risorse (limite concernente la singola regione) non sono prese in considerazione ulteriori domande, con riferimento alla regione interessata. In ogni caso l’INPS provvede al monitoraggio della spesa, inviando relazioni periodiche ai Ministeri del lavoro e delle politiche sociali e dell’economia e delle finanze.

 

Ai sensi del successivo comma 15 le regioni e le province autonome

possono prevedere l’ulteriore finanziamento dell’incentivo straordinario a favore dell’occupazione giovanile di cui al comma 1, mediante la riprogrammazione delle risorse relative ai Programmi operativi regionali 2007-2013.

Si ricorda che al Senato è stato soppresso l’ultimo periodo del comma del testo originario, il quale prevede che, nel caso in cui i citati soggetti prevedano l’ulteriore finanziamento dell’incentivo di cui sopra, lo stesso trova applicazione alle assunzioni intervenute dal giorno successivo alla data di pubblicazione del provvedimento di attivazione dell’incentivo, e comunque intervenute non oltre il 30 giugno 2014.

 

La norma in esame consente, dunque, a tutte le regioni, comprese le Province autonome di Trento e di Bolzano, di poter disporre un "ulteriore  finanziamento” dell’incentivo straordinario destinato al Fondo sociale per l’occupazione e la formazione, attraverso la riprogrammazione dei Fondi strutturali relativi al periodo 2007-2013, di cui tutte le regioni e le province autonome, in diversa misura, sono destinatarie.

Si segnala a riguardo la necessità di un coordinamento formale, dal momento che le province autonome di Trento e di Bolzano non sono invece esplicitamente  incluse tra i soggetti destinatari dei contributi di cui al comma 12. Alla lettera b) infatti viene utilizzata la dicitura generica "le restanti regioni" al fine di individuare i soggetti destinatari dei finanziamenti diversi da quelli attribuiti – dalla lettera a) - alle regioni considerate in ritardo di sviluppo ai fini della programmazione dei Fondi strutturali.

Benché non dovrebbero esserci dubbi sulla sostanza della norma, sarebbe comunque opportuno inserire la medesima dicitura "Regioni e Province autonome" utilizzata al comma 15 anche al comma 12 lettera b).

 

Il comma 16 dispone che la decisione regionale di attivare l’incentivo deve indicare l’ammontare massimo di risorse che sono ad esso dedicate.

La decisione deve inoltre essere comunicata al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al Ministero dell’economia e delle finanze e all’INPS.

Si osserva che il comma in esame utilizza l’avverbio “prontamente” per l’invio della decisione regionale, senza indicare un termine entro il quale provvedere a tale invio.

 

Sulla base delle predette comunicazioni, il Ministero dell’economia e delle finanze versa all’entrata del bilancio dello Stato le risorse individuate nell’ambito dei POR, provvedendo ad imputarle, nelle more della rendicontazione comunitaria, alle disponibilità di tesoreria del Fondo di rotazione per le politiche comunitarie.

Le risorse sono riassegnate, per le predette finalità di spesa, al pertinente capitolo dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con indicazione degli importi destinati per singola Regione, anche ai fini dell’attuazione della procedura e del monitoraggio previsto dal comma 14.

Non risulta chiaro se anche tali risorse confluiscono nel Fondo per l’occupazione e la formazione.

 

Si segnala che nel corso dell’esame al Senato è stato soppresso il comma 17 il quale dispone che la decisione regionale di cui al comma 15 non può prevedere requisiti aggiuntivi rispetto a quanto già previsto nel presente articolo.

 

Il comma 18 prevede che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l’Inps provvedono a dare diffusione dell’avvenuta approvazione degli atti di cui al comma 15.

 

Il comma 19 prevede che entro un giorno dalla ricezione della comunicazione di cui al comma 16, relativa alla decisione regionale di attivare l’incentivo, l’Inps ne dà apposita diffusione.

 

Il comma 20 prevede che l’Inps fornisca alle Regioni le informazioni dettagliate necessarie alla certificazione alla Commissione europea delle spese connesse all’attuazione dell’incentivo.

 

Il comma 21 prevede che entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali provveda ad effettuare la comunicazione di cui all’art. 9 del Regolamento (CE) n. 800/2008.

 

Il comma 22 prevede che in vista della prossima scadenza del Regolamento (CE) n. 800/2008, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali provveda a verificare la compatibilità delle disposizioni di cui al presente articolo alle nuove norme europee di esenzione della notifica in corso di adozione e propone le misure necessarie all’eventuale adeguamento.

 

Il comma 22-bis prevede che gli interventi di cui al presente articolo costituiscono oggetto di monitoraggio ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 28 giugno 2012, n. 92. A tal fine, entro il 31 dicembre 2015, si provvede ad effettuare una specifica valutazione ai sensi di cui al comma 3, terzo periodo del medesimo articolo 1.

 

L’articolo 1, commi 2-6, della legge n. 92/2012 (Riforma del mercato del lavoro) prevede l’istituzione di un sistema permanente di monitoraggio e valutazione della legge, basato su dati forniti dall'Istituto nazionale di statistica (Istat) e da altri soggetti del Sistema statistico nazionale (Sistan), volto a verificare lo stato di attuazione degli interventi e a valutarne gli effetti sull’efficienza del mercato del lavoro, sull’occupabilità dei cittadini e sulle modalità di entrata e di uscita nell’impiego. Al sistema di monitoraggio e valutazione, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali in collaborazione con le altre Istituzioni competenti, concorrono le parti sociali (attraverso le organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale dei lavoratori e dei datori di lavoro), nonché l’INPS e l’ISTAT, chiamati ad organizzare una banche dati informatizzate anonime (contenente i dati individuali anonimi, relativi ad età, genere, area di residenza, periodi di fruizione degli ammortizzatori sociali con relativa durata ed importi corrisposti, periodi lavorativi e retribuzione spettante, stato di disoccupazione, politiche attive e di attivazione ricevute), aperta ad enti di ricerca e università. Il sistema permanente di monitoraggio e valutazione è chiamato a produrre rapporti annuali sullo stato di attuazione delle singole misure.

L’ultimo periodo del comma 3, in particolare, prevede che dagli esiti del monitoraggio e della valutazione sono desunti elementi per l'implementazione ovvero per eventuali correzioni delle misure e degli interventi introdotti dalla presente legge, anche alla luce dell'evoluzione del quadro macroeconomico, degli andamenti produttivi, delle dinamiche del mercato del lavoro e, più in generale, di quelle sociali.


 

Articolo 2, commi da 1 a 8
(Misure relative all’apprendistato professionalizzante, ai tirocini formativi e di orientamento)

I commi da 1 a 8 introducono disposizioni a regime in materia di apprendistato professionalizzante e tirocini formativi e di orientamento, volte a fronteggiare (comma 1) la grave situazione occupazionale, che coinvolge in particolare i giovani.

Si segnala che nel corso dell’esame al Senato è stato soppresso il riferimento al carattere di straordinarietà e temporaneità (con applicazione fino al 31 dicembre 2015) delle richiamate misure.

 

Apprendistato

I commi 2 e 3 recano disposizioni in materia di apprendistato.

In particolare, si prevede che entro il 30 settembre 2013 la Conferenza Stato-Regioni debba adottare linee guida volte a disciplinare il contratto di apprendistato professionalizzante, anche in vista di una disciplina maggiormente uniforme sull’intero territorio nazionale dell’offerta formativa pubblica di cui all’articolo 4, comma 3, del D.Lgs. 167/2011[3].

Si segnala che nel corso dell’esame al Senato è stata soppressa la precisazione che la disciplina sull’apprendistato professionalizzante trovasse applicazione per le assunzioni effettuate entro il 31 dicembre 2015 dalle microimprese, piccole e medie imprese, così come definite dalla raccomandazione 2003/361/CE della Commissione Europea del 6 maggio 2003[4].

 

Nell’ambito delle linee guida possono essere previste le seguenti deroghe al D.Lgs. 167/2011. In particolare:

§     il piano formativo individuale è obbligatorio esclusivamente in relazione alla formazione per l’acquisizione delle competenze tecnico-professionali e specialistiche (lettera a));

§     la registrazione della formazione e della qualifica professionale a fini contrattuali eventualmente acquisita è effettuata in uno specifico documento avente i contenuti minimi del libretto formativo del cittadino, così come definito dall’articolo 2, comma 1, lettera i), del D.Lgs. 276/2003[5] (lettera b));

§     in caso di imprese multilocalizzate, la formazione avviene nel rispetto della disciplina della regione ove l’impresa ha la propria sede legale (lettera c)).

 

In mancanza di adozione delle linee guida entro il termine previsto, la disciplina derogatoria si considera operativa fino al 31 dicembre 2015 (comma 3), e nel caso in cui tali linee guida non siano adottate, trovano direttamente applicazione le norme di deroga richiamate in precedenza, con riguardo ai contratti di apprendistato professionalizzante.

 

Si segnala che nel corso dell’esame al Senato è stata soppressa la limitazione della richiamata disciplina alle assunzioni effettuate nel periodo compreso tra l'entrata in vigore del provvedimento in esame ed il 31 dicembre 2015.

 

In tali ipotesi (come precisato nel corso dell’esame al Senato), resta comunque salva la possibilità di una successiva diversa disciplina, da parte delle richiamate linee guida ovvero da parte delle singole regioni.

Si ricorda che ulteriori disposizioni in materia di apprendistato sono contenute anche nell’articolo 9, comma 3 (alla cui scheda si rinvia).

 

Con il D.Lgs. 167/2011 è stato approvato il Testo unico dell’apprendistato.

Il provvedimento (come modificato dalla L. 92/2012 di riforma del mercato del lavoro) definisce l’apprendistato come un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e all’occupazione dei giovani, articolato in tre diverse tipologie contrattuali: apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale; apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere e apprendistato di alta formazione e ricerca.

Il provvedimento, inoltre, unifica all’interno di una sola disposizione (articolo 2) la regolamentazione normativa, economica e previdenziale del contratto, garantendo la semplificazione dell’istituto e l’uniformità di disciplina a livello nazionale.

In particolare, la disciplina del contratto è rimessa totalmente alle parti sociali, attraverso il rinvio alla disciplina attuativa recata da appositi accordi interconfederali o da contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale dai sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale, nel rispetto di una serie di principi:

§     forma scritta del contratto, del patto di prova e del relativo piano formativo individuale da definire, anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali, entro 30 giorni dalla stipulazione del contratto;

§     previsione (secondo quanto disposto dall’articolo 1, comma 16, della L. 92/2012) di una durata minima del rapporto di apprendistato non inferiore a sei mesi (fatte salve le attività stagionali);

§     divieto di retribuzione a cottimo;

§     possibilità di inquadrare il lavoratore fino a 2 livelli inferiori rispetto alla categoria spettante, in applicazione del CCNL, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al conseguimento delle quali è finalizzato il contratto ovvero, in alternativa, di stabilire la retribuzione dell'apprendista in misura percentuale e in modo graduale all'anzianità di servizio;

§     presenza di un tutore o referente aziendale;

§     possibilità di finanziare i percorsi formativi aziendali degli apprendisti per il tramite dei fondi paritetici interprofessionali (articolo 118 della L. 388/2000 e articolo 12 del D.Lgs. 276/2003) anche attraverso accordi con le Regioni;

§     possibilità del riconoscimento della qualifica professionale ai fini contrattuali e delle competenze acquisite ai fini del proseguimento degli studi nonché nei percorsi di istruzione degli adulti;

§     registrazione della formazione effettuata e della qualifica professionale a fini contrattuali;

§     possibilità di prolungare il periodo di apprendistato in caso di malattia, infortunio o altra causa di sospensione involontaria del rapporto, superiore a trenta giorni, secondo quanto previsto dai contratti collettivi;

§     possibilità di conferma in servizio, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, al termine del percorso formativo, al fine di ulteriori assunzioni in apprendistato;

§     divieto per le parti di recedere dal contratto durante il periodo di formazione in assenza di una giusta causa o di un giustificato motivo. In caso di licenziamento privo di giustificazione trovano applicazione le sanzioni previste dalla normativa vigente;

§     possibilità per le parti di recedere dal contratto con preavviso decorrente dal termine del periodo di formazione (ai sensi di quanto disposto dall'articolo 2118 c.c.).  Nel periodo di preavviso (secondo quanto disposto dall’articolo 1, comma 16, della L. 92/2012) continua a trovare applicazione la disciplina del contratto di apprendistato. Se nessuna delle parti esercita la facoltà di recesso al termine del periodo di formazione, il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Per gli apprendisti è prevista l’estensione delle norme sulla previdenza e assistenza sociale obbligatoria (comma 2). Si segnala, al riguardo, che l’articolo 2, comma 36, della L. 92/2012, con effetto sui periodi contributivi a decorrere dal 1° gennaio 2013, ha disposto un contributo addizionale per il finanziamento dell'ASPI pari all'1,31% della retribuzione imponibile, posto a carico dei datori di lavoro per gli apprendisti artigiani e non artigiani.

Infine, si conferma che il numero complessivo di apprendisti che un datore di lavoro può assumere con contratto di apprendistato, direttamente o indirettamente per il tramite di agenzie di somministrazione, non possa superare rapporto di 3 a 2 (come specificato dall’articolo 1, comma 16, della L. 92/2012) in luogo del precedente rapporto di 1 a 1 (100%), delle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il datore di lavoro stesso. Tale rapporto si applica esclusivamente ai datori di lavoro che occupano fino a 10 dipendenti. Specifiche disposizioni inoltre sono previste per i datori alle cui dipendenze non ci siano lavoratori qualificati o specializzati, e per le imprese artigiane (comma 3).

Inoltre, è in ogni caso esclusa la possibilità di assumere in somministrazione apprendisti con contratto di somministrazione a tempo determinato. Infine, una particolare clausola prevede che nel caso in cui il datore di lavoro non abbia alle proprie dipendenze lavoratori qualificati o specializzati, o che comunque ne abbia in numero inferiore a 3, possa assumere apprendisti in numero non superiore a 3. Le richiamate disposizioni non si applicano alle imprese artigiane (per le quali trovano applicazione le disposizioni di cui all'articolo 4 della legge 443/1985).

E’ stata inoltre introdotta (nuovo comma 3-bis dell’articolo 2, aggiunto dall’articolo 1, comma 16, della L. 92/2012) la previsione che, per i datori di lavoro che occupino almeno 10 dipendenti, l'assunzione di nuovi apprendisti sia subordinata alla prosecuzione del rapporto di lavoro, al termine del periodo di apprendistato, nei 36 mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il 50% degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro (la percentuale è tuttavia stabilita al 30 % nei primi 36 mesi successivi all'entrata in vigore della legge). Dal computo della percentuale sono esclusi i rapporti cessati per recesso durante il periodo di prova, per dimissioni o per licenziamento per giusta causa. Qualora non sia rispettata la predetta percentuale, è consentita l’assunzione di un ulteriore apprendista rispetto a quelli già confermati, ovvero di un apprendista in caso di totale mancata conferma degli apprendisti pregressi. Gli apprendisti assunti in violazione dei suddetti limiti sono considerati lavoratori subordinati a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione del rapporto. Tali disposizioni non si applicano nei confronti dei datori di lavoro che occupano alle loro dipendenze un numero di lavoratori inferiore a 10 unità (comma 3-ter).

L’articolo 3 disciplina l’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale. Tale contratto è inteso alla stregua di un titolo di studio del secondo ciclo di istruzione e formazione (così come definito dal D.Lgs. 226/2005), la cui regolamentazione dei profili formativi è rimessa alle Regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, previo accordo in Conferenza Stato-Regioni (comma 2). Possono essere assunti con tale contratto i soggetti con un età compresa tra 15 e 25 anni. La durata massima del contratto è di 3 anni, elevabili a 4 nel caso di diploma quadriennale regionale (comma 1).

La regolamentazione dei profili formativi di tale istituto è rimessa alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, previo accordo in Conferenza Stato-Regioni secondo specifici criteri e principi direttivi (definizione della qualifica o diploma professionale; previsione di un monte ore di formazione, esterna od interna alla azienda, congruo al conseguimento della qualifica o del diploma professionale; rinvio ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale per la determinazione delle modalità di erogazione della formazione aziendale nel rispetto degli standard generali fissati dalle regioni). Con l’Accordo Stato-Regioni del 15 marzo 2012, sono state attuate le richiamate disposizioni.

L’articolo 4 disciplina l’apprendistato professionalizzante (o contratto di mestiere). Tale istituto si applica ai settori di attività pubblici e privati (comma 1). Possono essere assunti con tale contratto i soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni (a partire dai 17 anni per i soggetti in possesso di una qualifica professionale). La durata e le modalità di erogazione della formazione per l'acquisizione delle competenze tecnico-professionali e specialistiche sono stabiliti dagli accordi interconfederali e i contratti collettivi, in ragione dell'età dell'apprendista e del tipo di qualificazione contrattuale da conseguire, nonché in funzione dei profili professionali stabiliti nei sistemi di classificazione e inquadramento del personale. Agli stessi accordi e contratti è rimandata la durata, anche minima, del contratto che, per la sua componente formativa, non può comunque essere superiore a 3 anni (5 anni per le figure professionali dell'artigianato individuate dalla contrattazione collettiva di riferimento) (comma 2). E’ inoltre prevista l’integrazione della formazione di tipo professionalizzante e di mestiere, svolta sotto la responsabilità della azienda, da parte della offerta formativa pubblica (comma 3), nonché la possibilità, per le Regioni e i sindacati dei datori di lavoro, di definire le modalità per il riconoscimento della qualifica di maestro artigiano o di mestiere (comma 4). Infine, sono previste specifiche modalità di svolgimento dell’apprendistato per le lavorazioni in cicli stagionali (comma 5).

L’articolo 5 disciplina l’apprendistato di alta formazione e ricerca. Possono essere assunti (comma 1) in tutti i settori di attività, pubblici o privati, con tale contratto (compresi i dottorati di ricerca, per la specializzazione tecnica superiore di cui all'articolo 69 della L. 144/1999, con particolare riferimento ai diplomi relativi ai percorsi di specializzazione tecnologica degli istituti tecnici superiori di nonché il praticantato per l'accesso alle professioni ordinistiche o per esperienze professionali) i soggetti di età compresa tra i 18 ed i 29 anni (a partire dai 17 anni per i soggetti in possesso di una qualifica professionale). La regolamentazione e la durata dell’istituto sono rimesse alle Regioni e, per i soli profili che attengono alla formazione, in accordo anche con altre istituzioni di ricerca (comma 2). In assenza di regolamentazioni regionali l'attivazione dell'istituto è rimessa ad apposite convenzioni stipulate dai singoli datori di lavoro o dalle loro associazioni con le Università, gli istituti tecnici e professionali e le istituzioni formative o di ricerca, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (comma 3).

L’articolo 6 disciplina le procedure di definizione degli standard formativi e professionali. In particolare, tali standard sono definiti mediante un apposito decreto interministeriale da emanare entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento, nel rispetto delle competenze delle Regioni e delle Province autonome e di quanto stabilito nella richiamata intesa Stato-regioni del 17 febbraio 2010. Gli standard professionali sono definiti nei contratti collettivi nazionali di categoria o, in mancanza, attraverso intese specifiche da sottoscrivere a livello nazionale o interconfederale. Viene altresì specificato che ai fini della verifica dei percorsi formativi in apprendistato professionalizzante e in apprendistato di ricerca, i profili di riferimento debbano essere legati a quelli definiti nei contratti collettivi (commi 1 e 2). Al fine di armonizzare le diverse qualifiche professionali acquisite, inoltre, si prevede che il repertorio delle professioni (già istituito) presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sia predisposto sulla base dei sistemi di classificazione del personale previsti nei contratti collettivi di lavoro e (in coerenza con quanto previsto nella richiamata intesa del 17 febbraio 2010) da un apposito organismo tecnico, composto dal MIUR, dai sindacati comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dai rappresentanti della Conferenza Stato-Regioni (comma 3). Infine, si stabilisce che la certificazione delle competenze acquisite dall’apprendista venga effettuata secondo specifiche modalità definite dalle Regioni e dalle Province autonome (comma 4). Con l’ Accordo della Conferenza Stato-Regioni del 19 aprile 2012, recepito con il D.M. 26 settembre 2012, è stato definito un sistema nazionale di certificazione delle competenze acquisite in apprendistato.

L’articolo 7 detta una serie di disposizioni finali.

In primo luogo, è presente un apposito apparato ispettivo e sanzionatorio (commi 1 e 2), operante in caso di inadempimento nella erogazione della formazione di cui sia esclusivamente responsabile il datore di lavoro e che sia tale da impedire la realizzazione delle finalità di cui ai precedenti articoli 3, 4 e 5. In tali casi il datore di lavoro è tenuto a versare la differenza tra la contribuzione versata e quella dovuta con riferimento al livello di inquadramento contrattuale superiore che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100%, con esclusione di qualsiasi altra sanzione per omessa contribuzione. Ulteriori disposizioni concernono gli inadempimenti nella erogazione della formazione prevista nel piano formativo individuale e le violazioni delle disposizioni contrattuali collettive attuative di determinati principi di cui all'articolo 2, comma 1.

Tranne specifiche eccezioni, i lavoratori assunti con contratto di apprendistato sono esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l'applicazione di particolari normative e istituti (comma 3).

Si dispone inoltre la possibilità di assumere come apprendisti i lavoratori in mobilità (comma 4). Per tali soggetti trovano applicazione le disposizioni in materia di licenziamenti individuali (di cui alla L. 604/1966), nonché il regime contributivo agevolato di cui all’articolo 25, comma 9, della L. 223/1991 (aliquota contributiva agevolata del 10% per i primi 18 mesi) e l’incentivo di cui all’articolo 8, comma 4, della stessa L. 223/1991 (concessione di un contributo mensile, a favore del datore di lavoro che assume a tempo pieno e indeterminato i lavoratori iscritti nella lista di mobilità, pari al 50% dell’indennità di mobilità che sarebbe stata corrisposta al lavoratore).

 

Tirocini formativi e di orientamento

I commi da 5-bis a 7 riguardano i tirocini formativi e di orientamento.

Il comma 5-bis dell’articolo 2, introdotto durante l’esame presso il Senato, dispone l’istituzione di un Fondo straordinario, limitato all’anno finanziario 2014, con una dotazione pari ad 1 milione di euro, nello stato di previsione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.

Il Fondo, denominato “Fondo mille giovani per la cultura”, è destinato alla promozione di tirocini formativi e di orientamento nei settori delle attività e dei servizi per la cultura, rivolti a soggetti fino a 29 anni di età.

La finalità dell’istituzione del Fondo è individuata nel sostegno al settore dei beni culturali.

I criteri e le modalità per l’accesso al Fondo sono definiti con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro della pubblica amministrazione e semplificazione, da emanare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto.

Più ampiamente sui tirocini formativi e di orientamento, con specifico riferimento a quelli curriculari, si veda la scheda di commento ai commi 10-14 dell’art. 2.

Il comma 5-ter stabilisce che per i tirocini formativi e di orientamento di cui alle linee guida definite con l’Accordo del 24 gennaio 2013 in sede di Conferenza Stato-Regioni, i datori di lavoro pubblici e privati con sedi in più Regioni possano fare riferimento alla sola normativa della Regione dove è ubicata la sede legale e possono altresì accentrare le comunicazioni di cui all'articolo 1, commi 1180-1185, della L. 296/2006, nel servizio informatico dove è ubicata la sede legale.

 

Con l’Accordo del 24 gennaio 2013 sono state approvate le linee guida in materia di tirocini, in attuazione del'articolo 1, commi 34-36 della legge di riforma del mercato del lavoro (L. 92/2012). In particolare, l’Accordo ha lo scopo di fornire standard minimi di riferimento, uniformando così l’accesso all'istituto su tutto il territorio nazionale, a prescindere dalle peculiarità dei contesti regionali. Sostanzialmente le linee guida intervengono su alcuni parametri caratteristici dei tirocini, quali la durata, l'indennità da corrispondere al tirocinante (stabilita in un minimo di 300 euro mensili), il regime sanzionatorio in caso di abuso dello strumento o inadempienza da parte dei soggetti ospitanti. L’Accordo dispone altresì l’obbligo per le Regioni, entro 6 mesi dalla sua approvazione, del recepimento nelle rispettive normative, dei principi e degli standard minimi individuati nelle Linee guida.

 

I commi 1180-1185 dell’articolo 1 della L. 296/2006 hanno recato modifiche ad alcuni aspetti della disciplina relativa alle comunicazioni agli uffici competenti relative al rapporto di lavoro. Tra gli elementi principali, si ricorda in primo luogo, l’estensione a tutti i datori di lavoro dell’obbligo della comunicazione preventiva dell’assunzione dei lavoratori, introdotta precedentemente per il solo settore dell’edilizia, previsione volta evidentemente a contrastare pratiche elusive da parte delle imprese, rafforzando i poteri degli organi accertativi sul piano probatorio. Inoltre, per quanto attiene alle comunicazioni da inviare da parte del datore di lavoro ai servizi competenti nel caso di variazione del rapporto di lavoro, è stato disposto che tali comunicazioni siano obbligatorie anche nel caso di trasferimento o distacco del lavoratore, modifica della ragione sociale, trasferimento d’azienda. Infine, sono stati semplificati gli adempimenti del datore di lavoro connessi alle comunicazioni relative all’instaurazione, trasformazione e cessazione del rapporto di lavoro.

 

Il comma 6 prevede, in via sperimentale per il triennio 2013-2015, l’erogazione dell’indennità di partecipazione prevista dall’Accordo[6] del 24 gennaio 2013 ai tirocinanti che effettuino tirocini formativi e di orientamento nelle Pubbliche Amministrazioni, allo scopo istituendo un apposito fondo presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con dotazione di 2 milioni di euro annui per ciascuno degli anni in precedenza individuati. Tale fondo comunque opera per le ipotesi in cui si possa, per comprovate ragioni, far fronte al relativo onere attingendo ai fondi già destinati alle esigenze formative delle amministrazioni interessate.

Le modalità attuative delle disposizioni richiamate sono adottate con uno specifico D.P.C.M., su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione in esame (comma 7).

 

Gli interventi straordinari previsti dai precedenti commi, ai sensi del comma 8 sono oggetto di monitoraggio ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della L. 92/2012. A tal fine, entro il 31 dicembre 2015, si provvede ad effettuare una specifica valutazione ai sensi di cui al comma 3, terzo periodo del medesimo articolo 1.

Il richiamato articolo 1, comma 2, della L. 92/2012 ha istituito (senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica) un sistema permanente di monitoraggio e valutazione, basato su dati forniti dall'ISTAT e da altri soggetti del Sistema statistico nazionale (Sistan), volto a verificare lo stato di attuazione degli interventi e a valutarne gli effetti sull’efficienza del mercato del lavoro, sull’occupabilità dei cittadini e sulle modalità di entrata e di uscita nell’impiego. Al sistema concorrono altresì le parti sociali attraverso la partecipazione delle organizzazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale dei datori di lavoro e dei lavoratori.

Dagli esiti del monitoraggio e valutazione ai sensi dell’articolo 1, comma 3, terzo periodo, della stessa L. 92, vengono desunti elementi per l'implementazione ovvero per eventuali correzioni delle misure e degli interventi introdotti dalla presente legge, anche alla luce dell'evoluzione del quadro macroeconomico, degli andamenti produttivi, delle dinamiche del mercato del lavoro e, più in generale, di quelle sociali.

 

Nel corso dell’esame al Senato sono stati soppressi i commi 4 e 5.

Più precisamente, con il comma 4 si individuava il quadro normativo di riferimento (articolo 18 della L. 196/1997 ed il D.M. 25 marzo 1998, n. 142) per l’applicazione, fino al 31 dicembre 2015, dei tirocini formativi e di orientamento nelle regioni e province autonome che non abbiano adottato specifiche regolamentazioni in materia, con una durata massima pari a quella stabilita dall’articolo 7 del D.M. 142/1998, prorogabile di un mese[7]. Tale disciplina trovava applicazione, sempre per lo stesso periodo transitorio, anche per i tirocini nelle Pubbliche Amministrazioni (comma 5), le quali dovevano provvedere alla corresponsione dei rimborsi spese ivi previsti, all’uopo riducendo gli stanziamenti di bilancio destinati alle spese per incarichi e consulenze come determinati ai sensi delle vigenti disposizioni in materia di contenimento della spesa[8].

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Come risulta dai dati statistici, nei Paesi che dispongono di efficaci sistemi di istruzione e formazione professionale (IFP) quali la Germania, la Danimarca, i Paesi Bassi e l'Austria (sistema di formazione duale - istruzione/imprese), il tasso di disoccupazione giovanile è spesso più basso. Ciò è confermato dalla Commissione nell’ultimo esame trimestrale sull'occupazione e sulla situazione sociale nell'UE[9] da cui emerge che l’apprendistato e i tirocini sono spesso propedeutici alla conclusione di un contratto a tempo indeterminato.

In particolare, in Paesi come la Germania e l’Austria, l’alto numero di contratti temporanei di giovani, legato al circuito di istruzione e formazione, riflette la solidità dei rispettivi sistemi di apprendistato. Al contrario, in Paesi caratterizzati da un alto tasso di disoccupazione giovanile, come Polonia e Spagna, i contratti di lavoro dei giovani sono temporanei ma non perché inseriti in un percorso formativo, ma perché tale tipologia di contratto è l’unica offerta dalle imprese; inoltre, la durata dei contratti è, in media, più breve di quella dei contratti temporanei inseriti in un percorso formativo. Ad avviso della Commissione, ciò suggerisce che il ruolo dei contratti a tempo determinato sul mercato del lavoro potrebbe essere cruciale per le probabilità di transizione dei giovani verso un lavoro più sicuro.

La tabella che segue evidenzia l’andamento del PIL in Germania e in Spagna nel periodo 2000-2012 e l’andamento dell’occupazione dei soggetti tra i 15 e i 24 anni di età nel medesimo periodo di riferimento:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Fonte: Eurostat

La tabella successiva mostra le differenti cause alla base dei contratti temporanei stipulati da soggetti tra i 15 e i 24 anni di età in Germania e in Spagna nel 2007e nel 2012:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Fonte: Eurostat

 

L’esame dell’andamento del mercato del lavoro giovanile in altri Paesi dell’UE (tra cui, Austria, Danimarca, Francia e Italia) conferma l’importanza del ruolo dei contratti a tempo determinato nell’ambito di uno schema di istruzione/formazione, quale passaggio verso un rapporto di lavoro stabile. In particolare, l’Italia, insieme alla Polonia, ha mostrato una stretta connessione tra l’inasprirsi della crisi economica e l’accentuazione della elasticità del tasso di occupazione giovanile.

La tabella che segue evidenzia per l’Italia, nel periodo 2000-2012, l’andamento del PIL e quello dell’occupazione dei soggetti tra i 15 e i 24 anni e dei soggetti tra i 15 e i 64 anni:

 

 

 

 

 

 

 

 


Fonte: Eurostat

 

 

La tabella che segue mostra la composizione delle ragioni sottostanti la conclusione di contratti a tempo determinato per i giovani di fascia 15-24 anni, con riferimento a Danimarca, Francia, Italia, Austria, Polonia, Gran Bretagna e Svizzera nel 2007:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Fonte: Eurostat

Da tali premesse emerge che i Paesi caratterizzati da sistemi di formazione duale, dove sono in apprendistato alte percentuali di giovani (Austria, Danimarca, Germania e Svizzera), tendono ad avere risultati più favorevoli per i giovani in termini di occupazione stabile. Tale transizione dalla scuola al lavoro invece non si riscontra in Paesi, come l’Italia e la Spagna, nei quali il sistema di formazione è debole. Ciò è particolarmente importante, in quanto le esperienze lunghe di disoccupazione al momento dell'ingresso della forza lavoro possono avere effetti negativi persistenti sulle probabilità di occupazione e sul livello dei salari.

 

Uno degli strumenti per contrastare il fenomeno della disoccupazione giovanile è stato identificato dalla Commissione europea nell’apprendistato. Infatti, lo scorso 2 luglio 2013, ha inaugurato l’Alleanza europea per l’apprendistato, inserito nel quadro della iniziativa “Ripensare l’istruzione (COM(2012)669), su cui il Consiglio dell’Unione europea ha adottato conclusioni il 16 maggio 2013 (2013/C 168/02) e del Pacchetto sull’occupazione giovanile[10]. Si ricorda che, nelle sue conclusioni del 27-28 giugno 2013, il Consiglio europeo ha fatto riferimento proprio alla promozione di apprendistati di alta qualità e dell’apprendimento basato sul lavoro grazie, segnatamente, all’Alleanza europea per l’apprendistato quale fattore chiave a sostegno dell’occupazione giovanile.

Ad avviso della Commissione, l’Alleanza costituisce uno strumento per contrastare la disoccupazione giovanile, migliorando la qualità della formazione professionale e l'offerta di contratti di apprendistato in tutta l’UE, grazie al partenariato tra i principali attori del mondo del lavoro e del settore dell'istruzione.

L’Alleanza sosterrà riforme nazionali volte a sviluppare e rafforzare i programmi di apprendistato. I soggetti coinvolti, oltre alla Commissione, sono autorità pubbliche, imprese, sindacati, camere di commercio, centri di istruzione e formazione professionale, rappresentanti delle organizzazioni giovanili e servizi per l’occupazione.

Per favorire il dispiegamento pieno degli effetti dell’Alleanza, la Commissione si è impegnata a:

-    a promuovere l’apprendimento/la valutazione tra pari per sostenere le riforme politiche negli Stati membri, in particolare quelle che prevedono raccomandazioni specifiche per paese connesse con l'IFP;

-    a garantire un utilizzo ottimale dei fondi dell’Unione europea per conseguire gli obiettivi dell’Alleanza (sostegno alla formazione a livello di sistema, definizione dei contenuti didattici e mobilità di apprendisti e personale). In particolare, le misure promosse dall’Alleanza saranno finanziate dal Fondo sociale europeo, dall'iniziativa a favore dell’occupazione giovanile (COM(2013)144), discusso dal Consiglio il 20 giugno 2013, e dal programma Erasmus+, il nuovo programma dell’UE per l’istruzione, la formazione e la gioventù;

-    a considerare l’inclusione dell'apprendistato nella rete EURES, in stretta cooperazione con le parti interessate;

-    a invitare Eurochambres e altre parti interessate ad impegnarsi per misure che contribuiscano al conseguimento dei previsti risultati dell’Alleanza.

 

Con riferimento ai tirocini, altro aspetto della formazione lavorativa dei giovani, la Commissione ha presentato, nell’ambito del Pacchetto per fronteggiare la disoccupazione giovanile, la comunicazioneVerso un quadro di qualità per i tirocini” (COM(2012)728), la cui adozione entro il 2014 è auspicata dal Consiglio del 27 e 28 giugno 2013.

La Commissione europea aveva già avviato una consultazione sulle principali problematiche connesse ai tirocini nell’ambito delle iniziative avviate con la presentazione del pacchetto per l’occupazione del 18 aprile 2012. Con questa ulteriore consultazione la Commissione intende acquisire l’avviso delle parti sociali sulla possibilità di sottoporre una eventuale proposta di raccomandazione del Consiglio agli Stati membri dell’UE volta ad instaurare una cornice di qualità per i tirocini in Europa che dovrebbe contenere i seguenti elementi: il contratto di tirocinio; trasparenza ed informazione; durata, contenuto ed obiettivi del tirocinio; disposizioni per la protezione sociale (assicurazione malattia ed incidenti sul luogo di lavoro); remunerazione ed altre forme di compensazione. Opzioni ulteriori ed alternative rispetto alla raccomandazione del Consiglio potrebbero essere la creazione di un marchio di qualità per i tirocini oppure un sito internet per l’informazione sui differenti tirocini disponibili negli Stati membri dell’UE.

 

Si ricorda, infine, che il potenziamento dell’istruzione professionalizzante e della formazione professionale è tra le raccomandazioni del Consiglio formulate il 29 maggio 2013 sul programma nazionale di riforma 2013 dell’Italia e sul programma di stabilità dell’Italia 2012-2017 (COM(2013)362).


 

Articolo 2, comma 9
(Periodo di utilizzo del credito d’imposta per nuove assunzioni)

Il comma 9 amplia il periodo di utilizzo del credito d'imposta maturato in base al pregresso istituto del credito d'imposta per nuove assunzioni a tempo indeterminato nel Mezzogiorno (di cui all'articolo 2 del D.L. 70/2011). Più specificamente, il credito è utilizzabile (sempre secondo il regime della compensazione, di cui all'articolo 17 del D.Lgs. 241/1997) entro il 15 maggio 2015, anziché entro il periodo di due anni dalla data di assunzione.

 

L’articolo 2 del D.L. n. 70 del 2011 ha previsto un credito d’imposta in favore del datore di lavoro per ogni lavoratore, "svantaggiato" o "molto svantaggiato", assunto nelle regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Molise, Sardegna e Sicilia), con contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato e ad incremento dell'organico, nei dodici mesi successivi all’entrata in vigore del decreto.

Ai sensi dei numeri 18 e 19 dell'articolo 2 del Regolamento (CE) n. 800 del 2008 della Commissione del 6 agosto 2008, per lavoratori svantaggiati si intendono lavoratori privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, ovvero privi di un diploma di scuola media superiore o professionale, ovvero che abbiano superato i 50 anni di età, ovvero che vivano soli con una o più persone a carico, ovvero occupati in professioni o settori con elevato tasso di disparità uomo-donna - ivi definito - ovvero membri di una minoranza nazionale con caratteristiche ivi definite; per lavoratori molto svantaggiati, si intendono i lavoratori privi di lavoro da almeno 24 mesi.

Successivamente l’articolo 59 del D.L. n. 5 del 2012 ha prorogato al 14 maggio 2013 il termine per effettuare l’assunzione e beneficiare dell’agevolazione fiscale del credito d’imposta per nuovo lavoro stabile nel Mezzogiorno. Lo stesso articolo 59 ha disposto la riduzione da tre a due anni – rispetto alla data di assunzione – del periodo entro cui l’imprenditore può portare in compensazione il credito nella dichiarazione dei redditi.

In attuazione dell’articolo 2 del D.L. n. 70 del 2011 è stato emanato il D.M. del 24 maggio 2012, nonché la circolare dell’Agenzia delle entrate del 14 settembre 2012.

 

Per fruire del credito d'imposta, i soggetti interessati sono tenuti a inoltrare apposita istanza alle Regioni interessate secondo le modalità, i criteri e i termini specificati nel decreto attuativo. In particolare l’articolo 9 del decreto ministeriale indica le risorse finanziarie (142 milioni) destinate, nell'ambito dei Programmi Operativi Regionali del Fondo sociale europeo (FSE) 2007-2013, al credito di imposta nella seguente misura:


 

Abruzzo

4

Molise

1

Basilicata

2

Campania

20

Calabria

20

Puglia

10

Sicilia

65

Sardegna

20

TOTALE

142

 

Come disposto dall’articolo 2, comma 9, del D.L. n. 70 del 2011 le risorse per il finanziamento degli interventi sarebbero state individuate nell’ambito delle risorse dei fondi strutturali, sia comunitari che di cofinanziamento nazionale.

 

Con l’adozione del Piano di Azione Coesione (PAC) sono stati destinati inizialmente 142 milioni al credito di imposta per assunzioni, cui si sono aggiunti, con la terza riprogrammazione del PAC alla fine del 2012, ulteriori 165 milioni, che sono stati così destinati:

 

Regione

Con riduzione tasso di cofinanziamento nazionale

Con riprogrammazione nei programmi operativi

Totale

Calabria

25

15

40

Campania

50

50

100

Puglia

0

15

15

Sicilia

10

0

10

TOTALE

85

80

165

 


 

Articolo 2, commi 10-14
(Promozione alternanza studio-lavoro per gli studenti universitari e tirocini formativi per gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado)

I commi da 10 a 13 dell’art. 2 dispongono in materia di sostegno dei tirocini curriculari svolti da studenti iscritti ai corsi di laurea di università statali nell’a.a. 2013-2014, a tal fine disponendo un’autorizzazione di spesa di 3 milioni di euro per il 2013 e di 7,6 milioni di euro per il 2014. Lo scopo è quello di promuovere l’alternanza fra studio e lavoro.

 

In particolare, il comma 10 reca l’autorizzazione di spesa, nei termini sopra indicati, per il sostegno delle attività di tirocinio curriculare da parte degli studenti iscritti ai corsi di laurea (delle sole università statali, come chiarito dal comma 11) nell’a.a. 2013-2014.

 

E’ opportuno rilevare, preliminarmente, che, a fronte del riferimento agli “studenti iscritti ai corsi di laurea”, previsto dal comma 10, sia la relazione illustrativa che la relazione tecnica all’A.S. 890 fanno riferimento agli “studenti universitari”.

 

Al riguardo si ricorda che, a seguito dell'art. 17, co. 95, della L. 127/1997, con DM 509/1999 è stato introdotto nell’ordinamento il c.d. “modello 3+2”, in base al quale le università rilasciano titoli di primo e di secondo livello, ossia laurea e laurea specialistica. In seguito, il DM 270/2004 ha sostituito la denominazione di laurea specialistica con quella di laurea magistrale e, all’art. 6, co. 3, ha previsto la possibilità di ammissione (diretta) ad un corso di laurea magistrale (a ciclo unico) con il possesso del diploma di scuola secondaria superiore, per i corsi regolati da normative dell'UE che non prevedano, per i medesimi, titoli universitari di primo livello, ovvero per i corsi di studio finalizzati all'accesso alle professioni legali.

 

Appare pertanto opportuno chiarire se si intenda effettivamente limitare il sostegno ai soli tirocini svolti dagli studenti dei corsi di laurea, e non anche a quelli effettuati dagli studenti dei corsi di laurea magistrale o dei corsi di laurea magistrale a ciclo unico, nonché dagli studenti iscritti a master e a corsi di dottorato, ai quali ultimi, come si vedrà infra, fanno riferimento alcune note del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

 

Relativamente alla disciplina dei tirocini, si ricorda preliminarmente, che, come evidenziato nella sentenza della Corte costituzionale n. 50 del 2005, tale ambito appartiene alla competenza normativa delle regioni e che, pertanto, la normativa nazionale trova applicazione solo in assenza di una specifica disciplina a livello regionale (cfr. direttiva del Ministro per la funzione pubblica n. 2 del 1° agosto 2005).

 

I cosiddetti “tirocini curricolari costituiscono una delle tipologie di tirocini formativi e di orientamento disciplinati dall’art. 18 della L. 196/1997 e dal D.I. 25 marzo 1998, n. 142, i quali sono finalizzati alla realizzazione di momenti di alternanza tra studio e lavoro e ad agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro, a favore di soggetti che abbiano già assolto l'obbligo scolastico.

In particolare, a seguito dell’art. 11 del D.L. 138/2011 (L. 148/2011) – che aveva disposto in materia di tirocini formativi e di orientamento "non curriculari" e che poi è stato dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale con sentenza n. 287/2012 – , il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con circolare n. 24 del 12 settembre 2011, richiamando la nota prot. n. 13/Segr./0004746 del 14 febbraio 2007 (in materia di comunicazioni obbligatorie nella instaurazione, trasformazione e cessazione dei rapporti di lavoro), ha fatto presente che “per tirocini curriculari devono intendersi i tirocini formativi e di orientamento inclusi nei piani di studio delle Università e degli istituti scolastici sulla base di norme regolamentari ovvero altre esperienze previste all’interno di un percorso formale di istruzione o di formazione, la cui finalità non sia direttamente quella di favorire l’inserimento lavorativo, bensì quella di affinare il processo di apprendimento e di formazione con una modalità di cosiddetta alternanza”. Ciò si sostanzia allorché si verifichino le seguenti condizioni:

1.   promozione di un tirocinio da parte di una università abilitata al rilascio di titoli accademici, di una istituzione scolastica che rilasci titoli di studio aventi valore legale, di un centro di formazione professionale operante in regime di convenzione con la Regione o la Provincia o accreditato;

2.   destinatari della iniziativa siano studenti universitari (compresi gli iscritti ai master universitari e ai corsi di dottorato), studenti di scuola secondaria superiore, allievi di istituti professionali e di corsi di formazione iscritti al corso di studio e di formazione nel cui ambito il tirocinio è promosso;

3.   svolgimento del tirocinio all’interno del periodo di frequenza del corso di studi o del corso di formazione anche se non direttamente in funzione del riconoscimento di crediti formativi.

 

I tirocini curriculari sono disciplinati dai regolamenti di Ateneo o degli Istituti di formazione, che regolano gli aspetti relativi alle convenzioni con le aziende, alla promozione dei tirocini e al loro riconoscimento formativo. Laddove i regolamenti non contengono una disciplina esaustiva, ovvero operano richiami espressi, ci si riferisce alla normativa regionale e statale, fermo restando, in ogni caso, il rispetto dei principi, del quadro generale e delle specifiche tutele inderogabili del tirocinante previsti dalle suddette norme (convenzione di tirocinio, progetto formativo, tutor del soggetto ospitante, tutor del soggetto promotore, assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e per la responsabilità civile verso terzi) (cfr. Ministero del lavoro e delle politiche sociali, portale Cliclavoro, voce Tirocini formativi e di orientamento).

 

Il comma 11 dispone che con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentita la Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI), - che doveva essere adottato entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto - sono stabiliti criteri e modalità per la ripartizione “su base premiale” delle risorse tra le (sole) università statali che attivano tirocini di durata minima pari a 3 mesi con enti pubblici o privati.

La relazione illustrativa all’A.S. 890, inoltre, fa riferimento alla firma di un accordo specifico con il MIUR, al quale non si fa cenno nel testo del comma.

 

Si tratta di un aspetto da chiarire. Occorre, altresì, valutare l’opportunità di chiarire già nella norma primaria il riferimento alla ripartizione delle risorse “su base premiale”.

 

Relativamente al termine indicato per l’emanazione del decreto ministeriale di ripartizione delle risorse – comunque antecedente alla data di conversione in legge del decreto-legge – si segnala che lo stesso è già spirato.

 

Con riferimento alla citazione della CRUI, si ricorda che la lettera circolare dei Presidenti di Camera e Senato e del Presidente del Consiglio del 20 aprile 2001 sulle regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi, raccomanda che la prima citazione di un ente o di un organo in un testo legislativo sia fatta per esteso, indicando la sigla fra parentesi.

 

I commi 12 e 13 dispongono che le università attribuiscono le risorse loro assegnate, fino ad esaurimento delle stesse, agli studenti, per un importo massimo mensile destinato a ciascuno studente di 200 euro, quale cofinanziamento, nella misura del 50%, in aggiunta al rimborso spese corrisposto dal soggetto, pubblico o privato, presso il quale il tirocinio si svolge. In base alla modifica al comma 13 apportata dal Senato, limitatamente ai tirocini svolti all’estero presso soggetti pubblici, l’importo può essere corrisposto in forma di benefici o facilitazioni non monetari.

La relazione tecnica all’A.S. 890 evidenzia, al riguardo, che l’obiettivo dell’intervento non è l’attribuzione obbligatoria di un riconoscimento economico alle attività di tirocinio curriculare, il cui onere è definito insostenibile, bensì quello di incentivare tali attività, e stima che la somma stanziata può consentire il cofinanziamento di tirocini per circa 10.000 studenti, numero che, tuttavia, può variare in funzione dell’entità del cofinanziamento stesso e della durata del tirocinio.

 

Le risorse sono assegnate sulla base di graduatorie formate secondo criteri inerenti la “regolarità del percorso di studi”, la votazione media degli esami sostenuti, le condizioni economiche dello studente, da individuare sulla base dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE). E’, inoltre, accordata priorità agli studenti che hanno concluso gli esami del corso di laurea.

 

Con riferimento alla “regolarità del percorso di studi”, si ricorda che l’art. 8 del D.M. 270/2004 stabilisce che per ogni corso di studio è definita “di norma” una durata in anni proporzionale al numero di crediti formativi universitari, tenendo conto che ad un anno corrispondono 60 crediti.

Il co. 2 del medesimo articolo fissa la durata normale dei corsi di laurea in tre anni (180 crediti) e la durata normale dei corsi di laurea magistrale in ulteriori due anni dopo la laurea (ulteriori 120 crediti).

Con riferimento ai corsi di laurea magistrale a ciclo unico, il D.M. 16 marzo 2007 ricorda che essi hanno durata normale di 5 o 6 anni (art. 4, co. 3).

Si segnala che il comma 11 fa riferimento ad “enti pubblici o privati” (lasciando, dunque, intendere che ci si riferisca, anche nel caso dei privati, ad enti, dunque a persone giuridiche), mentre il comma 13 prevede che il rimborso spese possa essere corrisposto da un “soggetto pubblico o privato” (lasciando, dunque, intendere che ci si possa riferire anche a persone fisiche). Si valuti l’opportunità di un chiarimento.

 

La copertura degli oneri derivanti dalle disposizioni di cui ai commi da 10 a 13 è recata dall’art. 12. In particolare, quanto a 7,6 milioni di euro per l’anno 2014, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO) (art. 12, co. 1, lett. f)) (impropriamente definito, nell’art. 12, “Fondo per il funzionamento ordinario delle università”).

 

Il comma 14 dispone in materia di tirocini formativi da destinare agli studenti delle quarte classi delle scuole secondarie di secondo grado, con priorità per quelli degli istituti tecnici e degli istituti professionali, da realizzarsi, in orario extracurricolare, presso imprese, altre strutture produttive di beni e servizi o enti pubblici.

In particolare, il comma dispone in merito a piani di intervento, di durata triennale, finalizzati alla realizzazione dei suddetti tirocini formativi.

 

Le norme generali relative all’alternanza scuola-lavoro sono state definite dal d.lgs. 77/2005, in attuazione dell’art. 4 della L. 53/2003.

In particolare, l’alternanza scuola-lavoro è qualificata nel d.lgs. citato come modalità di realizzazione dei corsi del secondo ciclo, sia nel sistema dei licei, sia nel sistema dell'istruzione e della formazione professionale, per assicurare ai giovani l'acquisizione di competenze spendibili nel mercato del lavoro. Gli studenti che hanno compiuto il quindicesimo anno di età possono chiedere di realizzare gli studi anche alternando periodi di studio e di lavoro. Nell’ambito dell’orario complessivo annuale dei piani di studio, i periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro possono essere svolti anche in periodi diversi da quelli fissati dal calendario delle lezioni.

Le competenze così acquisite costituiscono crediti, sia ai fini della prosecuzione del percorso scolastico o formativo per il conseguimento del diploma o della qualifica, sia per gli eventuali passaggi tra i sistemi, compresa l’eventuale transizione nei percorsi di apprendistato.

I percorsi in alternanza sono progettati, attuati, verificati e valutati sotto la responsabilità dell’istituzione scolastica e formativa, sulla base di convenzioni – a titolo gratuito – con imprese, camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, o con enti pubblici e privati, inclusi quelli del terzo settore.

Si ricorda, inoltre, che anche i recenti regolamenti di riorganizzazione del secondo ciclo di istruzione e formazione fanno riferimento all’alternanza scuola-lavoro, agli stage e ai tirocini (si vedano, in particolare: l’art. 5, co. 2, lett. e), del DPR 88/2010, relativo agli istituti tecnici; l’art. 5, co. 2, lett. d), del DPR 87/2010, relativo agli istituti professionali; l’art. 2, co. 7, del DPR 89/2010, relativo ai licei).

I criteri e le modalità di definizione dei piani di intervento, i requisiti per l’accesso ai suddetti tirocini da parte degli studenti – che devono fare riferimento a criteri che ne premino l’impegno e il merito – nonché i criteri per l’attribuzione agli stessi studenti di crediti formativi, sono fissati con decreto MIUR-MEF, da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge.

Si dispone, infine, che dall’attuazione di tali disposizioni non devono derivare nuovi o maggior oneri per la finanza pubblica.

 

In relazione alla competenza normativa delle regioni in materia di tirocini (v. ante), occorre valutare l’opportunità di un coinvolgimento della Conferenza Stato-regioni ai fini dell’adozione del decreto.

In tal senso, si è espressa anche la 1a Commissione del Senato nel parere reso alle Commissioni 6a e 11a riunite il 9 luglio 2013.

 

Inoltre, con riferimento ai termini previsti, si evidenzia che il decreto interministeriale potrebbe risultare emanato prima della conversione in legge del decreto-legge e, dunque, senza tener conto delle modifiche eventualmente apportate nel corso dell’esame parlamentare.


 

Articolo 3, comma 1
(Misure urgenti per l’occupazione giovanile e contro la povertà nel Mezzogiorno – Carta per l’inclusione)

L’articolo 3, al comma 1, reca il finanziamento complessivo per 108 milioni nel 2013, 68 milioni nel 2014 e per 152 milioni nel 2015 di interventi nei territori del Mezzogiorno relativi all'autoimprenditorialità e all'autoimpiego, a progetti relativi all’infrastrutturazione sociale e alla valorizzazione di beni pubblici e a borse di tirocinio formativo, relativamente ai giovani residenti e/o domiciliati in tali regioni.

Le risorse complessive sono stanziate a valere sulla riprogrammazione delle risorse del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie, già destinate ai Programmi operativi 2007-2013 cioè della quota di cofinanziamento nazionale dei fondi strutturali), nonché sulla rimodulazione delle risorse del medesimo Fondo di rotazione già destinate agli interventi del Piano di Azione Coesione. L'attivazione di tali risorse - subordinata, qualora occorra, al consenso della Commissione europea - si consegue mediante le procedure di cui al successivo articolo 4 cfr relativa scheda di lettura).

 

In particolare, sono destinate risorse:

a)  nel limite di 26 milioni per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e di 28 milioni per il 2015, per le misure relative all'autoimprenditorialità e all'autoimpiego disciplinate dal D.Lgs. 21 aprile 2000, n. 185, da destinare ai giovani dei territori del Mezzogiorno.

Gli interventi normativi in materia di agevolazioni all’imprenditorialità giovanile sono stati riordinati in un quadro unitario e sistematico con il D.Lgs. 21 aprile 2000, n. 185. In particolare, con il citato decreto legislativo sono stati disciplinati i nuovi incentivi all’autoimprenditorialità e all’autoimpiego, che hanno sostituito, rispettivamente, le diverse forme di agevolazione all’imprenditorialità giovanile, disciplinate dal D.L. n. 26/1995, ed il prestito d’onore, disciplinato dal D.L. n. 510/1996.

Con il D.M. Tesoro 28 maggio 2001, n. 295 è stato adottato il regolamento di attuazione della disciplina in favore dell’autoimpiego con delibera CIPE n. 27 del 2003 sono stati aggiornati i criteri e le modalità di attuazione delle misure di autoimpiego), mentre le disposizioni relative ai criteri e alle modalità di concessione degli incentivi a favore dell’autoimprenditorialità sono state emanate con D.M. Economia 16 luglio 2004, n. 250.

Le misure dell'autoimprenditorialità costituiscono un complesso di incentivi, destinati prevalentemente ai giovani, ai fini della costituzione di imprese di piccola dimensione o ai fini di ampliamenti aziendali. Le misure relative all'autoimpiego rappresentano un complesso di incentivi, destinati prevalentemente ai soggetti privi di occupazione, ai fini della creazione di attività di lavoro autonomo o della costituzione di microimprese o della creazione di nuove iniziative di autoimpiego in forma di franchising.

Per quanto concerne l’ambito territoriale di applicazione delle misure, il D.Lgs. n. 185 del 2000 indica i territori ricompresi negli obiettivi 1 e 2 dei fondi strutturali comunitari periodo di programmazione 2000-2006). Con il ciclo di programmazione 2007-2013 l’operatività riguarda l’intero il territorio nazionale, in quanto i fondi strutturali interessano ora l’obiettivo Convergenza Calabria, Campania, Puglia e Sicilia e Basilicata, quest’ultima in regime di phasing out) e l’obiettivo Competitività restanti regioni, con la Sardegna in regime di phasing-in).

Per quanto riguarda il quadro finanziario le risorse per l'autoimprenditorialità e l'autoimpiego sono state finanziate dal CIPE in sede di ripartizione del Fondo per le aree sottoutilizzate, ora Fondo per lo sviluppo e la coesione. L’ultima assegnazione è stata disposta con la delibera n. 36 del 2012 nella misura di 60 milioni.

Si segnala che il secondo aggiornamento del Piano di Azione Coesione ha destinato 50 milioni in favore dell’autoimpiego e l’autoimprenditorialità.

b)  nel limite di 26 milioni per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e di 28 milioni per il 2015 per l’azione del Piano di Azione Coesione rivolta alla promozione e realizzazione di progetti promossi da giovani e da soggetti delle categorie svantaggiate e, come inserito dal Senato, molto svantaggiate[11] per l’infrastrutturazione sociale e la valorizzazione di beni pubblici nel Mezzogiorno, con particolare riferimento, come specificato dal Senato, ai beni immobili confiscati ai sensi della legislazione antimafia, indicati all'articolo 48, comma 3, del D.Lgs. n. 159 del 2011;

Si tratta dell’azione ricompresa nel secondo aggiornamento del Piano di Azione Coesione, nell’ambito degli interventi per i giovani scheda 2.2), che prevede l’attuazione di progetti, di enti ed organizzazioni del privato sociale per l’infrastrutturazione e l’inclusione sociale, anche in forma di servizi collettivi, finalizzate alla diffusione della cultura e delle condizioni di legalità, al rispetto dell’obbligo scolastico, al sostegno ed all’assistenza alle fasce deboli, alla valorizzazione ed alla fruizione dei beni pubblici, in particolare di quello del patrimonio culturale, nelle Regioni dell’obiettivo Convergenza. L’intervento sarà attuato attraverso un bando di gara per la promozione, il sostegno e il finanziamento di iniziative promosse e attuate da enti e organizzazioni del Terzo Settore associazioni, cooperative sociali, organizzazioni di volontariato, enti senza scopo di lucro che prevedano una adeguata partecipazione di giovani fino a 35 anni e/o di soggetti svantaggiati) per la realizzazione di progetti volti all’infrastrutturazione sociale, all’offerta di servizi collettivi e alla valorizzazione di beni pubblici nelle Regioni Convergenza, prioritariamente nei settori della diffusione della cultura e di condizioni di legalità, del rispetto dell’obbligo scolastico, della inclusione sociale, del sostegno e assistenza alle fasce deboli, della valorizzazione e della fruizione dei beni pubblici, in particolare del patrimonio culturale. Le risorse programmate per l’attuazione dell’intervento nel quadro degli obiettivi del secondo aggiornamento del Piano di Azione ammontano a 37,4 milioni.

Il riferimento della lett. b) all’art. 48, co. 3 del D.Lgs. 159/2011 cd. Codice antimafia) è ai beni immobili confiscati alla mafia:

a)  mantenuti al patrimonio dello Stato per finalità di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile e, ove idonei, anche per altri usi governativi o pubblici connessi allo svolgimento delle attività istituzionali di amministrazioni statali, agenzie fiscali, università statali, enti pubblici e istituzioni culturali di rilevante interesse;

b)  mantenuti al patrimonio dello Stato e, previa autorizzazione del Ministro dell'interno, utilizzati dall'Agenzia del demanio per finalità economiche;

c)  trasferiti per finalità istituzionali o sociali, in via prioritaria, al patrimonio del comune ove l'immobile è sito, ovvero al patrimonio della provincia o della regione;

d)  trasferiti al patrimonio del comune ove l'immobile è sito, se confiscati per il reato di cui all'articolo 74 TU stupefacenti associazione a delinquere finalizzata allo spaccio).

 

Nel corso dell’esame al Senato, è stato introdotto un nuovo comma 1-bis, il quale prevede che per gli interventi e le misure di cui alle precedenti lettere a) e b), dovranno essere finanziati, in via prioritaria, i bandi che prevedano il sostegno di nuovi progetti o imprese in grado di contare su un'azione di accompagnamento e tutoraggio per l'avvio e il consolidamento dell'attività imprenditoriale da parte di altra impresa già operante da tempo, con successo, in altro luogo e nella medesima attività. La remunerazione dell'impresa che svolge attività di tutoraggio, nell'ambito delle risorse di cui alle predette lettere a) e b), è definita con apposito decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con i Ministri dello sviluppo economico e del lavoro e delle politiche sociali, da emanarsi entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge. La remunerazione è corrisposta solo a fronte di successo dell'impresa oggetto del tutoraggio. L'impresa che svolge attività di tutoraggio non deve vantare alcuna forma di partecipazione o controllo societario nei confronti dell'impresa oggetto del tutoraggio.

c)  nel limite di 56 milioni nel 2013, di 16 milioni nel 2014 e di 96 milioni nel 2015[12], per le borse di tirocinio formativo in favore di giovani che non lavorino, non studino e non partecipino ad alcuna attività di formazione, di età compresa fra i 18 e i 29 anni, residenti e/o domiciliati nelle regioni del Mezzogiorno Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia). Tali tirocini comportano la percezione di un'indennità di partecipazione, in conformità alle normative statali e regionali.

Anche in questo caso si tratta di una azione ricompresa nel secondo aggiornamento del Piano di Azione Coesione, nell’ambito degli interventi per i giovani scheda 2.3) volta a favorire l’uscita dalla condizione giovanile “né allo studio, né al lavoro” o NEET neither in employment nor in education and training), che riguarda quei giovani, dai 15 anni ai 29 anni, che non lavorano, non studiano e non partecipano ad alcuna attività di formazione. Si tratta di un intervento in linea con l’azione intrapresa dalla Commissione Europea già alla fine del 2011 attraverso la Youth Opportunities Iniziative, con cui il Ministero del lavoro e delle politiche sociali intende dare impulso ad azioni di promozione dell’occupazione giovanile all’interno del quadro di priorità costituito dal Piano Azione Coesione. L’azione si svilupperà attraverso interventi per la promozione di esperienze lavorative/professionalizzanti in favore dei giovani oltre i 18 anni, appartenenti al segmento di coloro che non sono occupati né inseriti in percorsi di istruzione e formazione, e interventi di promozione dell’apprendistato e mestieri a vocazione artigianale.

Il quadro complessivo delle risorse già considerate dal secondo aggiornamento del PAC è pari a circa 50 milioni di euro, di cui circa 40 milioni destinati all’apprendistato e circa 10 milioni per gli interventi NEET.

Si segnala che la SVIMEZ Anticipazione del “Rapporto 2013 sull’economia del Mezzogiorno”) indica in 1.850.000 il numero dei giovani NEET nel Mezzogiorno nel 2012 3.327.000 su base nazionale).

Si ricorda, infine, che l'Accordo tra lo Stato, le regioni e le province autonome, recante “Linee-guida in materia di tirocini", sancito dalla relativa Conferenza permanente il 24 gennaio 2013, stabilisce, in via generale, per i tirocini formativi e di orientamento, un'indennità di importo non inferiore a 300 euro lordi mensili, in attuazione del principio di cui all'art. 1, comma 34, lettera d), della legge n. 92 del 2012. Dall'ambito dell'Accordo sono esclusi:

a)    i tirocini curriculari promossi da università, istituzioni scolastiche, centri di formazione professionale, ovvero tutte le fattispecie non soggette alle comunicazioni obbligatorie, in quanto esperienze previste all'interno di un percorso formale di istruzione o di formazione;

b) i periodi di pratica professionale, nonché i tirocini previsti per l'accesso alle professioni ordinistiche;

c)  i tirocini transnazionali, ad esempio, quelli realizzati nell'ambito dei programmi comunitari per l'istruzione e per la formazione, quali il Lifelong Learning Programme;

d)  i tirocini per soggetti extracomunitari promossi all'interno delle quote di ingresso;

e)  i tirocini estivi.

 

Non appare chiaro quali siano i criteri e le modalità per la concreta assegnazione delle risorse relative ai tirocini; inoltre, potrebbe essere ritenuto opportuno chiarire se il tirocinio possa svolgersi, ai fini in oggetto, anche in regioni diverse da quelle del Mezzogiorno, dal momento che la norma fa riferimento a soggetti residenti e/o domiciliati nelle regioni del Mezzogiorno.


 

Articolo 3, commi da 2 a 5
(Carta per l’inclusione)

I commi da 2 a 5 dell’articolo 3 introducono l’ulteriore estensione della Nuova social card, quale misura di contrasto alla povertà assoluta, nei territori del Mezzogiorno.

Si ricorda che la Nuova social card, di cui all’articolo 60 del decreto legge n. 5/2012[13], ha stabilito la sperimentazione della Carta acquisti quale strumento di sostegno per le famiglie in stato di maggior bisogno residenti nelle dodici città italiane con più di 250.000 abitanti (nell’elenco delle dodici città fanno parte anche le città meridionali di Napoli, Bari, Palermo e Catania).

 

La Carta acquisti, o social card, è stata istituita dall’articolo 81, comma 29, del decreto legge 112/2008[14] che ha disposto la creazione di un Fondo speciale destinato al soddisfacimento delle esigenze prioritariamente di natura alimentare e successivamente anche energetiche e sanitarie dei cittadini meno abbienti. Il Decreto interdipartimentale 16 settembre 2008[15] ha individuato i titolari e l'ammontare del beneficio unitario nonché le modalità di fruizione dello stesso, prevedendo la stipula di convenzioni tra i ministeri interessati ed il settore privato. In base a tali criteri, la Carta acquisti viene concessa, con onere a carico dello Stato, ai richiedenti residenti con cittadinanza italiana che versano in condizione di maggior disagio economico, ovvero ai cittadini nella fascia di bisogno assoluto, di età uguale o superiore ai 65 anni o con bambini di età inferiore ai tre anni. La Carta, utilizzabile per il sostegno della spesa alimentare e sanitaria e per il pagamento delle spese energetiche, vale 40 euro al mese e viene caricata ogni due mesi con 80 euro, sulla base degli stanziamenti disponibili. L’articolo 60 del decreto-legge 5/2012 ha stabilito l’avvio di una fase di sperimentazione della Carta, della durata non superiore ai dodici mesi nei comuni con più di 250.000 abitanti, sottolineando l’obiettivo di utilizzare la carta acquisti come strumento di contrasto alla povertà assoluta tra le fasce della popolazione in condizione di maggiore bisogno. Per le risorse necessarie alla sperimentazione si è provveduto, nel limite massimo di 50 milioni di euro. I comuni destinatari della sperimentazione, Milano, Torino, Firenze, Roma, Napoli, Venezia, Verona, Genova, Bologna, Bari, Catania e Palermo, possono integrare le risorse loro assegnate vincolando l’utilizzo dei propri contributi a usi specifici, da definire con apposito protocollo d’intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Anche i soggetti privati che effettuerano versamenti a titolo spontaneo e solidale sul Fondo possono vincolare l’utilizzo dei propri contributi a specifici utilizzi anche a supporto della Sperimentazione. La nuova Carta acquisti sperimentale, rispetto alla Carta ordinaria, che continua comunque ad essere erogata, è pensata e rimodellata per le famiglie numerose con una situazione economica estremamente difficile (ISEE in corso di validità inferiore o uguale a 3.000 euro, conclamato disagio lavorativo e minori a carico).

 

In particolare il comma 2 estende la sperimentazione della nuova social card, già prevista, ai sensi dell’articolo 60 del D.L. n. 5 del 2012, per le città di Napoli, Bari, Palermo e Catania, ai restanti territori delle regioni del Mezzogiorno, nel limite di 140 milioni per il 2014 e di 27 milioni per il 2015[16].

Tali risorse sono stanziate a valere sulla riprogrammazione delle risorse del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie, già destinate ai Programmi operativi 2007-2013 (cioè della quota di cofinanziamento nazionale dei fondi strutturali), nonché mediante la rimodulazione delle risorse del medesimo Fondo di rotazione già destinate agli interventi del Piano di Azione Coesione. L'attivazione di tali risorse - subordinata, qualora occorra, al consenso della Commissione europea - si consegue mediante le procedure di cui al successivo articolo 4 (cfr relativa scheda di lettura).

Tale sperimentazione costituisce l’avvio del programma «Promozione dell’inclusione sociale».

 

Si ricorda che la terza riprogrammazione del Piano di Azione Coesione del dicembre 2012 ha previsto, nell’ambito delle c.d. “misure anticicliche”, la destinazione di 143,7 milioni, di cui 85 milioni provenienti dalla riduzione del cofinanziamento nazionale dei fondi comunitari e 58,7 milioni dalla riprogrammazione dei programmi operativi, ad interventi in favore delle persone con elevato disagio sociale. Tali risorse interesseranno la Calabria per 28,7 milioni, la Campania per 60 milioni, la Puglia per 35 milioni e la Sicilia per 20 milioni.

Come riportato nel documento relativo alla terza riprogrammazione[17], “nonostante la validità ed il contenuto innovativo della proposta di estendere, con opportuni adattamenti, all’intero territorio delle Regioni Convergenza la sperimentazione della nuova Social card, dal confronto con le Regioni è emersa la scelta di sostenere gli obiettivi con proprie specifiche misure. Solo la Regione Siciliana ha deciso di utilizzare questo strumento. La Calabria rifinanzierà i bandi per case accessibili, centri antiviolenza, centri accoglienza immigrati; la Campania e la Puglia invece sosterranno le persone con elevato disagio sociale attraverso l’erogazione di voucher per l’acquisto di servizi di conciliazione vita-lavoro (prima infanzia e non autosufficienze)”.

 

Il comma 3 specifica che entro trenta giorni dall’entrata in vigore del decreto legge 76/2013, le Regioni interessate al programma Promozione dell’inclusione sociale, devono comunicare al Ministero del lavoro e delle politiche sociali l’articolazione degli ambiti territoriali di competenza.

 

Gli ambiti territoriali sono individuati dalle regioni quali titolari delle funzioni di programmazione, coordinamento e indirizzo degli interventi sociali . Ai sensi dell’articolo 8 della legge n. 328/2000, le regioni prevedono incentivi a favore dell'esercizio associato delle funzioni sociali in ambiti territoriali di norma coincidenti con i distretti sanitari. L’ambito territoriale è definito da ogni Regione e può essere coincidente o multiplo rispetto al distretto sanitario. La fase attuativa della Nuova Carta acquisti nei territori delle regioni del Mezzogiorno dovrà pertanto essere coerente con le programmazioni regionali di riferimento.

 

Le risorse disponibili, pari a 100 milioni per il 2014 e a 67 milioni di euro per il 2015,  sono versate dal Ministero dell’economia e delle finanze sul Fondo speciale destinato al soddisfacimento delle esigenze prioritariamente di natura alimentare e successivamente anche energetiche e sanitarie dei cittadini meno abbienti (di seguito Fondo Carta acquisti), di cui all’articolo 81, comma 29,  del decreto legge n. 112/2008. Le disponibilità del Fondo affluiscono in un apposito conto corrente infruttifero presso la Tesoreria centrale dello Stato.

 

Ai sensi dell’articolo 81, comma 30, del decreto legge 112/2008, il Fondo è alimentato:

a)  dalle somme riscosse in eccesso dagli agenti della riscossione, ovvero dalla restituzione dei pagamenti effettuati in eccesso dai debitori dell’obbligazione tributaria iscritti a ruolo;

b)  dalle somme conseguenti al recupero dell’aiuto di Stato dichiarato incompatibile dalla decisione C(2008)869 def. dell’11 marzo 2008 della Commissione che riguarda gli incentivi fiscali a favore di taluni istituti di credito oggetto di riorganizzazione societaria;

c)  dal 5 per cento dell'utile netto annuale delle cooperative a mutualità prevalente;

d)  con trasferimenti dal bilancio dello Stato;

e)  con versamenti a titolo spontaneo e solidale effettuati da chiunque, ivi inclusi in particolare le società e gli enti che operano nel comparto energetico.

Ulteriori disposizioni normative hanno incrementato la dotazione del Fondo. In particolare:

§      l’articolo 1, comma 345-bis, della legge finanziaria 2006 (legge 266/2005) destina al Fondo Carta Acquisti una quota parte del Fondo alimentato dall'importo dei conti correnti e dei rapporti bancari definiti dormienti all'interno del sistema bancario nonché del comparto assicurativo e finanziario;

§      l’articolo 1, comma 345-undecies, legge finanziaria 2006 versa nel Fondo Carta acquisti le somme derivanti dal recupero degli aiuti di Stato di cui alla decisione della Commissione europea del 16 luglio 2008, relativa all'aiuto di Stato C42/2006 concernente benefici a favore delle attività bancarie di Poste Italiane Spa;

§      l’articolo 24, comma 29, della legge 88/2009, ridetermina il Fondo, integrandolo di 6 milioni di euro per l’anno 2009 e di 15 milioni di euro a decorrere dall’anno 2010;

§      l’articolo 24, comma 1, della legge 99/2009, integra le risorse del Fondo Carta acquisti con le risorse non impegnate al termine dell'esercizio finanziario 2008 e mantenute per l’anno 2009 nella disponibilità del Fondo finalizzato ad iniziative a vantaggio dei consumatori, a sua volta costituito con le somme delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, ex articolo 148 della legge 388/2000;

§      l’articolo 60 del D.L. 5/2012 ha avviato la sperimentazione della Nuova Carta Acquisti, provvedendo, per le risorse necessarie, nel limite massimo di 50 milioni di euro.

 

Le risorse sono ripartite tra gli ambiti territoriali con provvedimento del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, d’intesa con il Ministero dell’economia e delle finanze e il Ministro per la coesione territoriale, in maniera che ai residenti di ciascun ambito territoriale destinatario della sperimentazione, siano attribuiti contributi per un valore complessivo di risorse proporzionale alla stima della popolazione in condizione di maggior bisogno residente in ciascun ambito.

Al riguardo, andrebbe valutata l’opportunità di prevedere opportune forme di coordinamento fra le regioni e gli enti locali relativamente all’identificazione della popolazione in condizione di maggior bisogno, destinataria dell’intervento.

 

L’estensione della sperimentazione della Nuova social card è realizzata nelle forme e secondo le modalità stabilite, ai sensi  dell’articolo 60, comma 2, del decreto legge n. 5 del 2012, dal decreto interministeriale 10 gennaio 2013 che definisce i criteri di identificazione, per il tramite dei Comuni, dei beneficiari della social card con riferimento ai cittadini italiani e di altri Stati dell'Unione europea ovvero ai cittadini di Stati esteri in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo nonché l'ammontare, in funzione del nucleo familiare, della disponibilità sulle singole carte acquisto.

 

Il decreto interministeriale 10 gennaio 2013, di attuazione delle disposizioni relative all’avvio della sperimentazione di cui all’articolo 60 del decreto legge 5/2012, dopo aver ribadito i criteri di identificazione, per il tramite dei Comuni, dei beneficiari della social card, stabilisce che gli stessi comuni, responsabili della selezione dei beneficiari dovranno stilare a tal fine, entro 120 giorni dall’entrata in vigore del decreto, una graduatoria. Gli enti locali, responsabili della selezione dei beneficiari, potranno utilizzare la nuova social card integrandola con gli interventi e i servizi sociali ordinariamente erogati, coordinandola in rete con i servizi per l’impiego, i servizi sanitari e la scuola. In attesa della riforma dell’indicatore ISEE, i requisiti concernenti la condizione economica dei nuclei familiari beneficiari prevedono fra l’altro: un ISEE, in corso di validità, inferiore o uguale a euro 3.000; per i nuclei familiari residenti in abitazione di proprietà, valore ai fini ICI della abitazione di residenza inferiore a euro 30.000; patrimonio mobiliare, come definito ai fini ISEE, inferiore a euro 8.000; valore complessivo di altri trattamenti economici, anche fiscalmente esenti, di natura previdenziale, indennitaria e assistenziale, a qualunque titolo concessi dallo Stato o da altre pubbliche amministrazioni a componenti il nucleo familiare, inferiore a 600 euro mensili. Nessun componente il nucleo familiare deve inoltre risultare in possesso di autoveicoli immatricolati nei 12 mesi antecedenti la richiesta, ovvero in possesso di autoveicoli di cilindrata superiore a 1.300 cc, nonché motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati nei tre anni antecedenti. Le famiglie beneficiarie dovranno contare almeno un componente di età minore di 18 anni e la precedenza per l'accesso al beneficio sarà assegnata, a parità di condizioni, ai nuclei in condizioni di disagio abitativo, accertato dai competenti servizi del Comune nonché alle famiglie costituite esclusivamente da genitore solo e figli minorenni, con tre o più figli minorenni o con uno o più figli minorenni con disabilità. Per quanto riguarda i requisiti concernenti la condizione lavorativa, la Carta sperimentale viene assegnata in assenza di lavoro per i componenti in età attiva del nucleo familiare o per avvenuta cessazione di un rapporto di lavoro dipendente o autonomo. Ulteriori requisiti possono essere definiti dai comuni d’intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il MEF. La carta è modulata sulla base della numerosità del nucleo familiare. Il beneficio parte da un valore minimo di 231 euro al mese per nuclei con due persone, sale a 281 euro per quelli con tre persone, a 331 euro per quattro persone e a 404 euro se la famiglia ha cinque o più componenti.

Il decreto impegna i comuni a predisporre, per almeno metà e non oltre i due terzi dei nuclei familiari beneficiari, un progetto personalizzato di presa in carico, finalizzato al superamento della condizione di povertà, al reinserimento lavorativo e all’inclusione sociale. I comuni provvedono alla realizzazione dei progetti personalizzati con risorse proprie, nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziare disponibili a legislazione vigente e nell'ambito degli equilibri di finanza pubblica programmati. Il progetto di presa in carico è predisposto mediante la partecipazione dei componenti del nucleo familiare che lo sottoscrivono per adesione. La mancata sottoscrizione del progetto è motivo di esclusione dal beneficio.

 

Le Regioni interessate possono, d’intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il MEF, introdurre ulteriori requisiti con riferimento agli ambiti territoriali di competenza (comma 4).

Il comma 5 specifica che le regioni (comprese quelle non rientranti nel territorio del Mezzogiorno) e le province autonome possono disporre ulteriori finanziamenti per la sperimentazione della carta acquisti o ampliamenti dell’àmbito territoriale di applicazione.

 


 

Articolo 4
(Misure per la velocizzazione delle procedure in materia di riprogrammazione dei programmi nazionali cofinanziari dai Fondi strutturali e di rimodulazione del Piano di Azione Coesione)

L'articolo 4 reca, ai commi 1 e 2, misure dirette ad accelerare le procedure per la riprogrammazione dei programmi nazionali cofinanziati dai Fondi strutturali europei 2007-2013 e per la rimodulazione del Piano di Azione Coesione, al fine di rendere disponibili le risorse necessarie per il finanziamento degli interventi a favore dell'occupazione giovanile e dell'inclusione sociale nel Mezzogiorno, disposti, rispettivamente, dall'articolo 1, comma 12, lett. a), e dall'articolo 3, commi 1 e 2, del presente decreto.

Poiché il finanziamento degli interventi richiamati è posto, per la parte destinata al Mezzogiorno (complessivi 995 milioni di euro negli anni 2013-2016) a valere sulla quota di cofinanziamento nazionale dei Fondi strutturali (di cui al Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie) destinata ai Programmi operativi nazionali 2007-2013 o al Piano di Azione Coesione, il comma 4 precisa che l’operatività delle suddette misure incentivanti decorre soltanto dalla data di perfezionamento dei rispettivi atti di riprogrammazione.

 

In particolare, il comma 1 dispone, al fine di rendere disponibili le risorse derivanti dalla riprogrammazione dei programmi nazionali cofinanziati dai Fondi strutturali 2007-2013, che le Amministrazioni titolari dei programmi operativi interessati (PON e POIN) devono avviare entro il 28 luglio 2013 (30 giorni dal 28 giugno 2013, data di pubblicazione del decreto-legge in esame) le necessarie procedure atte a modificare i pertinenti programmi, sulla base della vigente normativa europea.

Al riguardo, si ricorda che il Ministro per la coesione territoriale, nel corso dell’audizione del 12 giugno 2013 (tenutasi presso le Commissioni riunite V e XIV della Camera) sullo stato di attuazione dei Fondi strutturali comunitari 2007-2013, ha messo in rilievo la necessità di una ricognizione dettagliata dei programmi operativi attuativi dei Fondi, al fine di stimare la quota di risorse che, senza una ulteriore riprogrammazione, rischia di incorrere nelle sanzioni previste per il mancato conseguimento degli obiettivi che comporta, secondo i Regolamenti comunitari[18], una riduzione delle risorse per il Fondo e per il Programma operativo interessato[19].

Secondo le informazioni fornite dal Ministro, l’area ad alto rischio di disimpegno riguarda soprattutto alcuni Programmi nazionali e Programmi regionali dell'obiettivo Convergenza. Secondo una prima stima effettuata dal Ministero, il rischio di disimpegno delle risorse, per i programmi dell'obiettivo Convergenza afferenti al FESR, sarebbe di almeno 3,6 miliardi e riguarderebbe i POR Campania, Sicilia, Calabria, e i PON "Reti e Mobilità", "Energie rinnovabili", "Attrattori culturali" e "Sicurezza"; le risorse a rischio per i Programmi afferenti al FSE sarebbe di 0,5 miliardi di euro complessivi.

Il Ministro ha sottolineato, dunque, la necessità di una azione di riprogrammazione delle risorse a rischio, volta a concentrare i fondi resi disponibili su poche misure con effetto anticiclico, volte, innanzitutto, a favorire l’occupazione giovanile e a contrastare il progressivo impoverimento delle famiglie, soprattutto al Sud, nonché a sostenere il sistema delle imprese e promuovere investimenti in grado di stimolare le economie locali. Tale riprogrammazione dovrebbe attuarsi in più fasi.

L’intervento della prima fase sarà prioritariamente concentrato su un insieme di misure dirette a promuovere l’occupazione giovanile e a contrastare la povertà nel Mezzogiorno. In tale fase, la riprogrammazione riguarda solo i programmi nazionali e si basa sulla riduzione del cofinanziamento nazionale, da modulare caso per caso in relazione alle effettive possibilità e necessità, tenendo a tal fine conto, non solo dei livelli di rischio, ma anche della opportunità di utilizzare le risorse che si rendono così disponibili per iniziative non cofinanziabili dai programmi operativi (in particolare le misure per contrastare la povertà delle famiglie). Secondo i dati forniti dal Ministro, i programmi nazionali della Convergenza che possono essere interessati da questa riduzione sono: il PON Reti e Mobilità per 734 milioni di euro; il PON Sicurezza per 206 milioni; il POIN Energia 32 milioni. Ad essi si aggiungono ulteriori risorse del PON "Ricerca e Competitività" che verrebbero riallocate sulla misura di sostegno alle imprese attraverso il rifinanziamento della legge n. 185/1990.

Nell’audizione, il Ministro indicava, dunque, una prima manovra di riprogrammazione dei Programmi nazionali cofinanziati dai Fondi strutturali 2007-2013 per circa 1 miliardo di euro, che viene attuata attraverso l’articolo 4 del D.L. n. 76/2013 in esame.

 

Nella tavola che segue sono riportati i dati forniti dalla Ragioneria generale dello Stato, Ispettorato generale rapporti con l’Unione europea – IGRUE, sullo stato di attuazione al 30 aprile 2013 dei Programmi Operativi Nazionali 2007-2013:

Milioni di euro                  

 

Contributo 2007/2013

Pagamenti

% pagamenti/ contributo

POIN Attrattori culturali, e turismo

681,73

162,08

23,77%

POIN Energie rinnovabili

1.103,79

468,53

42,45%

PON Governance e AT FESR

226,19

114,37

50,56%

PON Istruzione

510,78

237,35

46,47%

PON reti e mobilità

2.576,61

626,60

24,32%

PON Ricerca e competitività

4.424,39

1.898,19

42,90%

PON Sicurezza per lo Sviluppo

978,08

453,89

46,41%

PON Governance e Azioni di Sistema

427,98

210,06

49,08%

PON Competenze per lo Sviluppo

1.485,93

915,11

61,59%

 

Per un approfondimento sullo stato di attuazione dei fondi strutturali 2007-2013 al 31 aprile 2013 e sulle misure finora adottate per recuperare il ritardo accumulato nell’utilizzo dei fondi medesimi, si rinvia alla apposita scheda riportata nella sezione APPENDICE del presente dossier.

 

Analogamente, per la parte riguardante le risorse derivanti dalla rimodulazione del Piano di Azione Coesione, il comma 2 dispone che, entro il medesimo termine del 28 luglio 2013, il Gruppo di Azione Coesione - istituito con il decreto del Ministro per la coesione territoriale del 1° agosto 2012 - provvede a determinare le rimodulazioni delle risorse destinate alle misure del Piano di Azione Coesione, anche sulla base degli esiti del monitoraggio sull’attuazione delle misure medesime.

Poiché il Piano di Azione Coesione è stato già oggetto di tre aggiornamenti, le disposizione recati dai commi 1 e 2 dovrebbero comportare un quarto aggiornamento.

Per una dettagliata analisi dei contenuti del Piano di Azione Coesione si rinvia alla apposita scheda riportata nella sezione APPENDICE del presente dossier.

 

Per quanto concerne il Gruppo di Azione Coesione, si ricorda che la sua costituzione è prevista nel documento[20] originario del Piano (del 15 novembre 2011), al fine di definire e promuovere la riprogrammazione e/o rimodulazione dei programmi cofinanziati necessaria per assicurare il perseguimento degli obiettivi del Piano di Azione Coesione sulla base dei fabbisogni accertati in prima approssimazione dalle amministrazioni centrali di riferimento e con riserva di verifica del Gruppo Azione medesima.

Il Piano di Azione Coesione prevede la istituzione del Gruppo di Azione a Roma, presso il Dipartimento politiche di sviluppo del Ministero dello sviluppo economico. Il Gruppo è presieduto dal Direttore Generale pro-tempore della DG PRUC del DPS. La funzione di Vicepresidenza del Gruppo è attribuita alla Commissione europea - DG REGIO. Il Gruppo è composto, inoltre, da un rappresentante del DPS e da un rappresentante della Commissione europea (DG REGIO).

Con decreto del 1° agosto 2012, il Ministro per la coesione territoriale ha definito le competenze del Gruppo di Azione Coesione. Il Gruppo di Azione svolge i compiti di indirizzo, monitoraggio e sorveglianza delle azioni di qualificazione e accelerazione della politica di coesione comunitaria e nazionale 2007-2013 ricomprese nel Piano di Azione Coesione anche in continuità con il nuovo periodo di programmazione 2014-2020. Il Gruppo provvede all'identificazione degli interventi in attuazione del Piano con definizione dei loro risultati espressi in termini di indicatori e target; all'accertamento della sussistenza delle pre-condizioni di efficacia; all'individuazione di responsabilità, modalità attuative e tempi di attuazione; all'analisi e monitoraggio dei progressi del percorso di attuazione del Piano Azione Coesione stesso.

Il D.M. ha provveduto altresì alla nomina dei membri del Gruppo, relativamente alla componente nazionale.

 

Ai fini della rimodulazione del Piano di Azione Coesione, il comma 2 richiama il punto 3 della delibera del CIPE n. 96 del 2012 – con cui è stato approvato il Piano di azione coesione (c.d. Presa d’atto) - che disciplina le modalità di aggiornamento del Piano medesimo.

La delibera n. 96 del 2012 stabilisce (punto 1) che il Ministro per la coesione territoriale presenti al CIPE una relazione informativa periodica sull'avanzamento degli interventi individuati nel Piano di azione coesione, sull'utilizzazione delle risorse ivi allocate, sul rispetto dei relativi cronoprogrammi e sulle eventuali modifiche ed integrazioni necessarie per garantirne la più efficace attuazione; che le Amministrazioni responsabili dell'attuazione degli interventi del Piano di azione e coesione non riconducibili alle priorità declinate nei Programmi operativi 2007-2013, individuate dal Piano stesso o con provvedimento del Ministro per la coesione territoriale, adottino tempestivamente tutti gli atti occorrenti per l'esecuzione del Piano relativamente all'azione ad esse affidata (punto 2).

Il citato punto 3 dispone, in particolare, che ulteriori aggiornamenti del Piano di Azione Coesione che comportino integrazioni e sviluppi del Piano stesso, comprese modifiche del relativo quadro finanziario e variazioni delle regole di attuazione al fine di migliorarne l'efficacia, siano definiti e stabiliti con le stesse modalità previste nella delibera e rese oggetto di tempestiva informativa al Comitato.

 

Il comma 2 precisa, inoltre, che delle rimodulazioni del Piano – che di fatto interessano il periodo 2013-2016 - si terrà conto ai fini della definizione della programmazione delle risorse per il successivo periodo di programmazione 2014-2020.

 

Al fine di assicurare il pieno e tempestivo utilizzo delle risorse allocate sul Piano di Azione Coesione secondo i cronoprogrammi approvati, il comma 3 stabilisce che il Gruppo di Azione Coesione provveda, in accordo con le Amministrazioni interessate, alla verifica periodica dello stato di avanzamento dei singoli interventi e alle conseguenti eventuali rimodulazioni del Piano che si rendessero necessarie anche a seguito dell'attività di monitoraggio medesima.

 

Appare opportuno rammentare che il problema della velocizzazione delle procedure di impiego delle risorse per i programmi cofinanziati dai Fondi strutturali è stato già oggetto, in tempi recenti, di diversi interventi.

Con il primo di essi, operato in accordo con le istituzioni europee, (ai sensi dell’articolo 33 del regolamento CE n. 1083/2006), è stata disposta una riprogrammazione delle risorse dei fondi strutturali, con una diversa percentuale della quota di cofinanziamento comunitario che è stato elevato dall’originario 50 al 75 per cento (limite massimo di partecipazione), con corrispondente riduzione della quota di cofinanziamento nazionale.

In sostanza, la quota di finanziamento comunitario dei programmi operativi in ritardo di attuazione, che rischiano il disimpegno automatico delle risorse, resta invariata, in valori assoluti, pur assumendo un peso percentuale maggiore (da 50 al 75 per cento), mentre si riduce la quota di risorse di cofinanziamento nazionale (dal 50 al 25 per cento)[21]. Le risorse nazionali, che fuoriescono dai programmi attuativi dei fondi strutturali, vengono utilizzate per gli obiettivi prioritari del Piano di Azione Coesione.

Su tale ultimo aspetto si è contestualmente intervenuti anche a livello normativo, inserendo il medesimo principio nella legge di stabilità 2012: con l’articolo 23, comma 4, legge n. 183/2011, si è infatti disposto che le risorse provenienti da una riduzione del cofinanziamento nazionale di programmi relativi al periodo 2007-2013, iscritte sul Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie previsto dall’articolo 5 della legge n. 183 del 1987, possano essere destinate alla realizzazione di interventi di sviluppo socio-economico concordati tra lo Stato italiano e la Commissione europea nell’ambito della revisione dei programmi stessi[22].

Va, da ultimo, segnalato che ulteriori norme finalizzate ad evitare il rischio di ulteriori ritardi nell’utilizzo delle risorse comunitarie e la conseguente attivazione delle sanzioni comunitarie, che comporterebbero il definanziamento delle risorse medesime, sono state introdotte dall’articolo 9, commi 1-3, del D.L. n. 69/2013, in corso di conversione[23]. E’ stato, a tal fine, introdotto l’obbligo per le amministrazioni pubbliche di trattazione prioritaria dei procedimenti, provvedimenti e atti relativi alle attività in qualsiasi modo connesse all’utilizzazione dei fondi strutturali europei. In particolare, per accelerare l’utilizzo dei fondi strutturali, si dà facoltà al Governo, in caso di inerzia o inadempimento delle amministrazioni pubbliche responsabili degli interventi, di sostituirsi all’amministrazione inerte o inadempiente.

 

Il comma 4 prevede, infine, come già accennato, che l’operatività degli incentivi concernenti l'occupazione giovanile e la lotta alla povertà nel Mezzogiorno (art. 1, co. 12, lett. a) e art. 3, co. 1 e 2) - in quanto finanziati con la quota di cofinanziamento nazionale dei Fondi strutturali (di cui al Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie) destinata ai Programmi operativi nazionali 2007-2013 o al Piano di Azione Coesione - decorra dalla data di perfezionamento degli atti di riprogrammazione dei Programmi operativi dei fondi strutturali (ai sensi del comma 1) e del Piano di Azione Coesione (ai sensi del comma 2).

Pertanto, fino a quando le Amministrazioni titolari dei Programmi operativi attuativi dei Fondi strutturali comunitari o titolari degli interventi definiti nel Piano di Azione Coesione non provvederanno ai ridefinire i Programmi operativi o a rimodulare – nell’ambito del Gruppo di Azione Coesione - gli interventi del Piano stesso, le risorse destinate dal presente decreto legge agli interventi per l'occupazione giovanile nel Mezzogiorno e per la lotta alla povertà nel Mezzogiorno non potranno essere utilizzate.

 

Nella Tabella che segue è indicato l’ammontare delle risorse destinate al finanziamento delle misure previste dall’articolo 1, comma 12, lettera a), e dall’articolo 3, commi 1 e 2, del presente decreto-legge:

(milioni di euro)

Norma

Oggetto

Risorse

Art. 1, co. 12, lettera a)

Nuove assunzioni a tempo indeterminato di lavoratori giovani nel Mezzogiorno.

500 mln.
100 nel 2013
150 nel 2014
150 nel 2015
100 nel 2016

Art. 3, co. 1, lett. a)

Autoimpiego e autoimprenditorialità nel Mezzogiorno.

80 mln.
26 nel 2013
26 nel 2014
28 nel 2015

Art. 3, co. 1, lett. b)

Progetti promossi da giovani e da categorie svantaggiate per infrastrutturazione sociale e la valorizzazione di beni pubblici nel Mezzogiorno.

80 mln.
26 nel 2013
26 nel 2014
28 nel 2015

Art. 3, co. 1, lett. c)

Borse di tirocinio formativo per giovani che non lavorano, non studiano e non partecipano ad attività di formazione (NEET) residenti o domiciliati nelle regioni del Mezzogiorno.

168 mln.
56 nel 2013
16 nel 2014
96 nel 2015

Art. 3, co. 2

Lotta alla povertà – Avvio del programma “Promozione dell’inclusione sociale” nei territori delle regioni del Mezzogiorno che non ne siano già coperti.

167 mln.
140 nel 2014
27 nel 2015

 

TOTALE

995 mln.
208 nel 2013
358 nel 2014
329 nel 2015
100 nel 2016

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il Consiglio europeo del 28 giugno 2013 ha constatato che il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione hanno raggiunto un accordo sul quadro finanziario pluriennale 2014-2020.

Nell’ambito dell’accordo, gli stanziamenti complessivi per la politica di coesione ammontano, complessivamente, a 325,14 miliardi di euro, così ripartiti nell’arco dei sette anni di programmazione finanziaria:

 

2014

2015

2016

2017

2018

2019

2020

44,67

45,40

46,04

46,54

47,03

47,51

47,92

 

Le risorse destinate all'obiettivo "Investimenti in favore della crescita e dell'occupazione" ammonterebbero complessivamente a 313,19 miliardi di euro,così ripartiti:

Le risorse residue sarebbero destinate alla cooperazione transnazionale, interregionale e transfrontaliera (8,94 miliardi), alle regioni ultraperiferiche (1,38 miliardi) e allo sviluppo urbano sostenibile (330 milioni di euro).

Secondo i dati forniti dal Governo, l’Italia dovrebbero ricevere 29,6 miliardi di euro (a fronte dei 29,4 miliardi stanziati per 2007-2013), così ripartiti:

·     regioni meno sviluppate (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia): 20,5 miliardi;

·     regioni in transizione (Abruzzo, Molise e Sardegna): 1 miliardo;

·     regioni più sviluppate: 7 miliardi;

·     cooperazione territoriale 1 miliardo.

 


 

Articolo 5
(Misure per l’attuazione della “Garanzia per i Giovani” e la ricollocazione dei lavoratori destinatari dei cosiddetti “ammortizzatori sociali in deroga”)

L'articolo 5, comma 1, istituisce una struttura di missione, con compiti prepositivi ed istruttori, come precisato nel corso dell’esame al Senato, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, avente compiti di promozione, indirizzo, coordinamento, definizione di linee guida, predisposizione di rapporti, per l’attuazione sia, dal 1° gennaio 2014, del programma comunitario "Garanzia per i Giovani" (Youth Guarantee), sia della ricollocazione dei lavoratori beneficiari di interventi di integrazione salariale (in particolare, degli ammortizzatori sociali cd. in deroga).

Tale struttura opera in via sperimentale, in attesa della definizione del processo di riordino sul territorio nazionale dei servizi per l’impiego e comunque non oltre il 31 dicembre 2015.

 

Il comma in esame, quindi, ha lo scopo di tradurre in via normativa quanto  messo in evidenza in sede comunitaria. Al riguardo, si ricorda che la Raccomandazione europea del Consiglio del 22 aprile 2013 al punto 2 ha invitato gli Stati membri ad identificare “un’autorità pubblica pertinente incaricata di istituire e gestire il sistema di garanzia per i giovani e di coordinare la partnership a tutti i livelli e in tutti i settori”.

 

Si ricorda altresì, che in molti Stati membri il percorso seguito è stato quello di una riorganizzazione dei servizi per l’impiego, che quasi ovunque, ha condotto alla costituzione di un’unica agenzia nazionale per l’impiego, preposta sia alla gestione delle politiche passive.

Ad esempio, nel Regno Unito, primo Paese a strutturarsi secondo questo modello, tale compito è affidato alla Job Center Plus, struttura centralizzata che si sviluppa in articolazioni territoriali, nata dalla fusione dell’agenzia che gestiva i servizi pubblici per il lavoro e l’ente deputato all’erogazione dei contributi per la sicurezza sociale.

In Francia è stato costituito il Pole Emploi, al cui interno sono confluiti l’ente dei servizi pubblici per l’impiego e quello preposto all’erogazione delle politiche passive.

In Germania In Germania, la preesistente agenzia federale per l’occupazione (Bundes Agentur für Arbeit – BAA) è stata organizzata secondo i principi della condizionalità e della sussidiarietà operativa, sostanzialmente erogando le prestazioni di disoccupazione e promuovendo l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, anche in partnership con i soggetti privati e le municipalità.

 

Il comma 2 definisce i compiti della struttura:

·     interagire, nel rispetto dei principi di leale collaborazione, con i diversi livelli di Governo preposti alla realizzazione delle relative politiche occupazionali, raccogliendo altresì (come precisato nel corso dell’esame al Senato) dati sulla situazione dei servizi all'impiego delle regioni che sono tenute a comunicarli almeno ogni 2 mesi (lettera a));

·     definire le linee-guida nazionali, da adottarsi anche a livello locale, per la programmazione degli interventi di politica attiva mirati alle finalità richiamate i precedenza, nonché i criteri per l'utilizzo delle relative risorse economiche (lettera b));

·     promuovere, indirizzare e coordinare gli interventi di competenza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di Italia Lavoro S.p.A. e dell’ISFOL (lettera d));

·     individuare le migliori prassi, promuovendone la diffusione e l’adozione fra i diversi soggetti operanti per realizzazione dei medesimi obiettivi (lettera e));

·     promuovere la stipula di convenzioni e accordi con istituzioni pubbliche, enti e associazioni privati per implementare e rafforzare, in una logica sinergica ed integrata, le diverse azioni (lettera f));

·     valutare gli interventi e le attività espletate in termini di efficacia ed efficienza e di impatto e definisce meccanismi premiali in funzione dei risultati conseguiti dai vari soggetti (lettera g));

·     proporre ogni iniziativa di integrazione dei diversi sistemi informativi ai fini del miglior utilizzo dei dati in funzione degli obiettivi di cui al comma 1, definendo a tal fine linee-guida per la banca dati di cui al successivo articolo 8 (vedi infra) (lettera h));

·     predisporre periodicamente, in esito al monitoraggio[24] degli interventi, rapporti per il Ministro del lavoro e delle politiche sociali con proposte di miglioramento dell’azione amministrativa (lettera i));

·     avviare l'organizzazione della rilevazione sistematica e la pubblicazione in rete, per la formazione professionale finanziata in tutto o in parte con risorse pubbliche del tasso di coerenza tra formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi, anche utilizzando, mediante distacco, personale dei Centri per l'impiego, di Italia Lavoro o dell'ISFOL, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (lettera i-bis), introdotta nel corso dell’esame al Senato).

·     promuovere l'accessibilità, da parte di ogni persona interessata, nonché da parte del mandatario della persona stessa, alle banche dati, da chiunque detenute e gestite, contenenti informazioni sugli studi dalla persona stessa compiuti o sulle sue esperienze lavorative o formative (lettera i-ter), introdotta nel corso dell’esame al Senato);

Nel corso dell’esame al Senato è stata soppressa la lettera c), che prevedeva l’individuazione dei criteri per l’utilizzo delle relative risorse economiche.

 

Ai sensi del successivo comma 3, la richiamata struttura è coordinata dal Segretario Generale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (o da un Dirigente Generale a tal fine designato) ed è composta:

·     dal Presidente dell'ISFOL,

·     dal Presidente di Italia Lavoro S.p.A.,

·     dal Direttore Generale dell'INPS, dai Dirigenti delle Direzioni Generali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero dell'istruzione, dell'università e delle ricerca (come precisato nel corso dell’esame al Senato) aventi competenza nelle materie citate,

·     da tre rappresentanti designati dalla Conferenza Stato-Regioni,

·     da due rappresentanti designati dall'Unione Province Italiane

·     da un rappresentante designato dall'Unione italiana delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura.

La partecipazione alla struttura di missione non dà luogo alla corresponsione di compensi, emolumenti o indennità di alcun tipo, ma soltanto al rimborso di eventuali e documentate spese di missione.

 

Inoltre, il comma 4, modificato nel corso dell’esame al Senato, dispone la copertura degli oneri finanziari derivanti dal funzionamento della struttura di missione, i quali sono posti a carico di un apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali con una dotazione pari ad euro 20.000 (in luogo di 40.000) per il 2013 e ad euro 70.000 (in luogo di 100.000) per ciascuno degli anni 2014 e 2015, cui si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo sociale per l'occupazione e la formazione di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del D.L. 185/2008.

Lo stesso comma prevede altresì che gli oneri per il funzionamento dei Comitati scientifico e tecnico per l'indirizzo dei metodi e delle procedure per il monitoraggio della riforma del mercato del lavoro, costituiti per le finalità di cui all'articolo 1, comma 2, della L. 92/2012 con il D.M. 8 luglio 2013 ed operanti presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali siano posti a carico di un apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero stesso, con una dotazione di euro 20.000 per il 2013, ed euro 30.000 per ciascuno degli anni 2014 e 2015, cui si provvede, anche in questo caso, mediante corrispondente riduzione del Fondo sociale per occupazione e formazione.

 

Nel corso dell’esame al Senato sono stati introdotti i commi 4-ter e 4-quater.

In nuovo comma 4-bis destina 6 milioni per le attività poste in essere dall’ISFOL, sia con riferimento alle disposizioni dell’articolo in esame e di supporto alla “Garanzia per i giovani”, nonché delle attività connesse al monitoraggio di cui all'articolo 1, commi 2-6, della L. 92/2012 (vedi supra).

Tale importo è utilizzato per la proroga dei contratti di lavoro stipulati dall'ISFOL ai sensi dell'articolo 118, comma 14, della L. 388/2000, che consente che gli enti pubblici di ricerca - nell'esecuzione di programmi o di attività di assistenza tecnica finanziati da fondi comunitari - effettuino assunzioni o impieghino comunque personale a tempo determinato (per la durata dei medesimi).

Gli oneri derivanti dalla misura contenuta nel comma in esame sono indicati in 6 milioni per l'anno 2014.

Alla copertura degli oneri si provvede mediante riduzione per 10 milioni di euro per il 2014 anche al fine di garantire la compensazione in termini di indebitamento netto e fabbisogno, mediante riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 7, del D.L. 20 maggio 1993, n. 148 (legge n. 236/1993), confluita nel Fondo sociale per occupazione e formazione, di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del D.L. n. 185/2008 (legge n. 2/2009)[25].

 

Il Fondo sociale per l’occupazione e la formazione è istituito nello stato di previsione del Ministero del lavoro dal citato articolo 18 comma 1, lettera a), del D.L. n. 185/2008 (legge n. 2/2009), con quota parte delle risorse nazionali disponibili sul Fondo aree sottoutilizzate (ora Fondo sviluppo e coesione), le quali sono state destinate alle attività di apprendimento, nonché di sostegno al reddito.

In tale Fondo confluiscono le risorse del Fondo per l'occupazione, di cui all’articolo 1, comma 7, del D.L. n. 148/1993, nonché le risorse comunque destinate al finanziamento degli ammortizzatori sociali concessi in deroga alla normativa vigente e quelle destinate in via ordinaria dal CIPE alla formazione.

 

Il successivo comma 4-ter dispone che a decorrere dal 1º gennaio 2012, per il personale dell'ISFOL proveniente dal soppresso Istituto per gli affari sociali (IAS), il trattamento fondamentale e accessorio in godimento presso il soppresso Istituto deve intendersi a tutti gli effetti equiparato a quello riconosciuto al personale dell'ISFOL, fermo restando che il medesimo personale conserva sino al 31 dicembre 2011 il richiamato trattamento in godimento presso lo IAS.

 

L’articolo 7, comma 15, del D.L. 78/2010 ha soppresso l'Istituto per gli affari sociali (IAS), trasferendo le relative funzioni all’ISFOL dal 30 luglio 2010.

Lo IAS, già Istituto Italiano di Medicina Sociale (IIMS), rinominato dal Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 23 novembre 2007, si configurava quale ente pubblico, vigilato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, svolgente attività di ricerca, di consulenza, di assistenza tecnica e di formazione in materia di politiche sociali.

Con decreti di natura non regolamentare del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sono trasferite le risorse umane, strumentali e finanziarie dell’IAS all'ISFOL, che incrementa la sua dotazione organica per un numero pari alle unità di personale di ruolo in servizio presso l'Istituto soppresso alla data di entrata in vigore del presente provvedimento. In materia è stato emanato il Decreto ministeriale 18 maggio 2012.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

La “Garanzia per i giovani” (COM(2013)729) è una proposta di raccomandazione della Commissione europea, fatta propria dal Consiglio il 22 aprile 2013 (2013/C 120/01), per assicurare ai giovani fino a 25 anni di età – entro quattro mesi dal termine di un ciclo di istruzione formale o dall’inizio di un periodo di disoccupazione – un’offerta di lavoro, di prosecuzione dell’istruzione scolastica, di apprendistato o di un tirocinio di qualità elevata.

In particolare, la raccomandazione invita gli Stati membri a: promuovere con le parti interessate l’istituzione dello strumento “Garanzia per i giovani”; promuovere il tempestivo coinvolgimento dei servizi di collocamento e altri partner interessati; utilizzare il Fondo sociale europeo e altri fondi strutturali; valutare e migliorare costantemente lo strumento della Garanzia per i giovani e attuarne rapidamente i vari elementi. La definizione del quadro istituzionale entro il quale dovrà essere istituita la Garanzia per i giovani è lasciato ai singoli Stati membri, nel rispetto dei rispettivi ordinamenti nazionali. La Commissione ritiene che i costi di tale iniziativa saranno compensati dai risparmi ottenibili a lungo termine sulle spese di disoccupazione, inattività e perdita di produttività.

Si tratta di una delle iniziative delle istituzioni europee per fronteggiare il fenomeno della disoccupazione giovanile che, con la crisi economica in atto, è diventato particolarmente grave.

Dai dati forniti da Eurostat (2 luglio 2013), risulta che, nel maggio 2013, nell’area EU27 sono privi di occupazione circa 5,5 milioni di giovani al di sotto dei 25 anni (con una riduzione, rispetto al maggio 2012, di 53.000 unità), dei quali 3,5 milioni nell’area euro (con un aumento, rispetto al maggio 2012, di 84.000 unità). In termini percentuali, il tasso di disoccupazione giovanile nell’area EU27 è passato dal 22,8 per cento del maggio 2012 al 23,1 per cento del maggio 2013; nell’area euro, il tasso di disoccupazione giovanile è passato, nello stesso periodo di riferimento, dal 23,0 per cento al 23,9 per cento.

 

La tabella che segue espone i dati destagionalizzati della disoccupazione giovanile (soggetti con meno di 25 anni) nel periodo maggio 2012-maggio 2013:

 

tasso (%)

Numero di soggetti (in migliaia)

Maggio 2012

Maggio 2013

Maggio 2012

Maggio 2013

 

 

 

 

 

EA17

23,0

23,8

3.471

3.531

EU27

22,8

23,0

5.578

5.501

EU28

22,9

23,2

5.636

5.579

BE

20,1

22,7

85

95

BG

28,5

26,2

69

62

CZ

20,1

18,7

76

69

DK

14,6

11,6

67

51

DE

8,1

7,6

368

344

EE

22,4

-

16

-

IE

31,4

26,3

71

55

EL

54,0

-

169

-

ES

52,7

56,5

952

946

FR

23,9

24,6

683

690

HR

39,7

-

59

:

IT

35,6

38,5

614

647

CY

26,4

-

11

-

LV

29,3

-

30

-

LT

26,4

21,1

31

27

LU

18,7

19,4

3

3

HU

28,4

-

85

-

MT

15,3

12,1

4

3

NL

9,2

10,6

129

152

AT

8,5

8,7

51

51

PL

26,0

27,5

413

408

PT

37,6

42,1

163

171

RO

23,1

-

194

-

SI

20,2

-

15

-

SK

33,8

34,6

75

79

FI

18,5

20,9

61

70

SE

25,4

23,4

165

153

UK

21,1

-

975

-

Fonte: Eurostat, luglio 2013

 

Per potere meglio rappresentare dal punto di vista statistico il fenomeno della disoccupazione giovanile, Eurostat ha esplicitato, con un’ulteriore metodologia di calcolo, due indicatori, il tasso di disoccupazione giovanile (rate) e il rapporto (ratio): il primo è il rapporto tra il numero dei non occupati nella fascia di età 15-24 anni e il numero della forza lavoro riferita alla medesima fascia di età; il secondo è il rapporto tra i non occupati nella fascia di età 15-24 anni e la popolazione della medesima fascia di età, che comprende anche i giovani economicamente inattivi, cioè non solo non occupati ma anche economicamente inattivi. La differenza tra i due indicatori dipende interamente dal fatto che non tutti i giovani tra i 15 e i 24 anni costituiscono forza lavoro, in quanto un gran numero di essi è ancora nel percorso di istruzione. Le due condizioni (fare parte della forza lavoro e non farne parte) non sono esclusive, ma possono esserci delle sovrapposizioni che, tuttavia, in tale fascia di età sono particolarmente significative e dovute soprattutto al passaggio dall’istruzione al mondo del lavoro, con particolare riferimento agli strumenti dell’apprendistato e dei tirocini. Pertanto, sono considerati forza lavoro gli apprendisti, ma anche gli studenti con un piccolo lavoro; è considerato disoccupato uno studente che non lavora ma che è in cerca di lavoro; infine, è considerato economicamente inattivo uno studente che non cerca lavoro.

Applicando tali indicatori alla fascia di popolazione 15-24 anni, risulta che, su 57,5 milioni di giovani, 18,8 milioni sono occupati, 5,6 milioni sono disoccupati e i restanti 33 milioni sono economicamente inattivi. In termini percentuali, il tasso di disoccupazione (rate) giovanile nel 2012 è stato pari al 23 per cento, mentre il rapporto (ratio) della disoccupazione giovanile è stato pari al 9,7 per cento.

Più in particolare, nel 2012, la popolazione tra i 15 e i 24 anni dell’area EU28 può essere divisa nelle seguenti categorie:

·     18,8 milioni occupati, di cui 6,7 milioni impegnati in un percorso di istruzione, compreso l’apprendistato e piccoli lavori;

·     5,6 milioni disoccupati, di cui 1,3 milioni impegnati in un percorso di istruzione;

·     33 milioni economicamente inattivi, di cui 29 milioni impegnati in percorsi di istruzione e i restanti 4 milioni no.

La tabella che segue mostra la distribuzione della popolazione della fascia di età 15-24 anni nell’area EU28 nel 2012:

 

popolazione

Forza lavoro (in migliaia)

Inattivi

tasso di disoccupazione (%)

ratio di disoccupazione (%)

(in migliaia)

occupati

non occupati

(in migliaia)

EU28

57.471

18.838

5.589

33.044

23,00

9,07

EU27

56.951

18.750

5.523

32.678

22,08

9,07

Belgio

1.326

335

82

909

19,08

6,02

Bulgaria

815

178

70

567

28,01

8,05

Repubblica ceca

1.194

301

73

820

19,05

6,01

Danimarca

700

385

63

252

14,01

9,01

Germania

8.962

4.178

370

4.415

8,01

4,01

Estonia

168

55

15

98

20,09

8,07

Irlanda

553

156

68

329

30,04

12,03

Grecia

1.076

141

174

762

55,03

16,01

Spagna

4.576

833

945

2.799

53,02

20,06

Francia

7.409

2.136

668

4.606

24,06

9,00

Croazia

520

88

66

366

43,00

12,07

Italia

6.041

1.121

611

4.309

35,03

10,01

Cipro

107

30

12

65

27,08

10,08

Lettonia

255

73

29

153

28,04

11,04

Lituania

411

89

32

291

26,04

7,07

Lussemburgo

61

13

3

45

18,00

5,00

Ungaria

1.161

216

85

861

28,01

7,03

Malta

57

25

4

28

14,02

7,02

Paesi Bassi

2.023

1.281

134

608

9,05

6,06

Austria

991

541

52

398

8,07

5,02

Polonia

4.659

1.150

415

3.094

26,05

8,09

Portogallo

1.128

266

161

701

37,07

14,03

Romania

2.703

645

189

1.869

22,07

7,00

Slovenia

223

61

16

147

20,06

7,01

Slovacchia

728

146

76

506

34,00

10,04

Finlandia

641

268

63

310

19,00

9,08

Svezia

1.239

498

154

588

23,07

12,04

Regno Unito

7.743

3.629

963

3.152

21,00

12,04

Fonte: Eurostat, luglio 2013

 

A fronte di tali dati, numerosi sono gli strumenti messi in campo dalle istituzioni europee per fronteggiare il fenomeno della disoccupazione giovanile.

In primo luogo, si ricorda che il Consiglio europeo dello scorso 27-28 giugno ha affrontato, tra gli altri temi, proprio il problema della disoccupazione giovanile, il cui livello è giudicato inaccettabile. Il Consiglio richiede un’azione determinata e immediata sia a livello dei singoli Stati membri sia a livello dell’Unione europea, fondata sulle seguenti misure concrete:

·     utilizzo dei fondi strutturali, in particolare del Fondo sociale europeo, anche riprogrammando le risorse non spese;

·     piena operatività dal gennaio 2014 dell’Iniziativa Occupazione Giovanile (Youth Employment InitiativeYEI) (COM(2013)144), con l’erogazione dei primi finanziamenti nelle regioni il cui tasso di disoccupazione giovanile è superiore al 25 per cento nel 2013[26].

Per permettere la piena operatività della YEI, i finanziamenti previsti, pari a 6 miliardi di euro, saranno attribuiti nei primi due anni del prossimo quadro finanziario pluriennale (QFP), ovvero nel 2014 e nel 2015. Inoltre, le risorse non spese per gli anni 2014-2016 del QFP, destinati ad altre finalità, potrebbero essere utilizzate come stanziamento aggiuntivo per il finanziamento di misure per combattere la disoccupazione giovanile;

·     rapida messa in opera delle iniziative già elaborate dalla BEIJobs for Europe” (che prevede un più facile accesso delle PMI ai prestiti) e “Investment in skills” (che prevede finanziamenti per la formazione e l’apprendistato dei giovani nelle imprese);

·     rafforzamento del programma “Your First EURES Job” per promuovere la mobilità dei giovani in cerca di lavoro;

·     promozione dell’apprendistato e dei tirocini di alta qualità;

·     coinvolgimento delle parti sociali.

 

La Commissione europea, a sua volta, ha elaborato, fin dallo scorso anno, una serie di iniziative espressamente dedicate ai giovani privi di occupazione. Nel pacchetto di misure per promuovere l’occupazione giovanile, presentato dalla Commissione europea nel dicembre 2012, figura la citata proposta di raccomandazione sull’introduzione di una “Garanzia per i giovani”.

Al fine di dare concreta attuazione alla raccomandazione, in concomitanza con il Consiglio europeo espressamente dedicato alle misure per contrastare la disoccupazione del 27-28 giugno 2013, la Commissione ha presentato la comunicazioneLavorare insieme per i giovani d'Europa - Invito ad agire contro la disoccupazione giovanile” (COM(2013)449), in cui sono elencate le azioni proposte dalla Commissione per combattere la disoccupazione giovanile.

La comunicazione contiene, in sostanza, una rassegna di iniziative già presentate che la Commissione ritiene concrete, agevolmente attuabili e con effetti immediati. Alcune di esse, tuttavia, devono ancora essere approvate a livello di UE, in particolare quelle connesse al quadro finanziario pluriennale.

Il pacchetto presentato dalla Commissione prevede, inoltre, una comunicazione sulla promozione dell’occupazione dei giovani (COM(2012)727), nella quale si esamina lo stato dell’occupazione giovanile in Europa e una comunicazione relativa all’avvio di una consultazione su un quadro di qualità per tirocini (COM(2012)728).

Si ricorda, infine, che tra gli obiettivi prioritari della Strategia Europa 2020 vi è l’occupazione. In particolare, per quanto riguarda la lotta alla disoccupazione giovanile, la Strategia Europa 2020 prevede alcune iniziative prioritarie:

·     "Youth on the move", che mira ad aumentare le opportunità di lavoro dei giovani, aiutando studenti e apprendisti ad acquisire un'esperienza professionale in altri paesi e migliorando qualità e attrattiva dell'istruzione e della formazione in Europa;

·     Youth Opportunities Initiative” volta a promuovere l’apprendistato e i tirocini per i giovani e ad aiutare coloro che hanno abbandonato la scuola o un percorso formativo senza aver conseguito un diploma di istruzione secondaria superiore a riprendere gli studi o una formazione professionale, per acquisire le competenze necessarie a trovare un lavoro.


 

Articolo 6
(Raccordi fra istituti professionali e sistema di istruzione e formazione professionale
- Soppresso)

Il Senato ha soppresso l’articolo 6 che disponeva la possibilità, per il primo biennio e il primo anno del secondo biennio degli istituti professionali, di utilizzare spazi di flessibilità entro il 25 per cento dell’orario annuale delle lezioni, al fine di consentire lo svolgimento di percorsi di istruzione e formazione professionale in regime di sussidiarietà integrativa rispetto ai percorsi di durata triennale di competenza delle regioni.

 


 

Articolo 7
(Modifiche alla disciplina introdotta dalla L. 28 giugno 2012, n. 92)

L’articolo 7 reca norme in materia di contratti di lavoro a termine (comma 1),  distacco (comma 2, lettera 0a) contratti di lavoro intermittente (comma 2, lettere a) e b), comma 3 e comma 5, lettera a), numero 2)), lavoro a progetto (comma 2, lettere c) e d)), lavoro accessorio (comma 2, lettere e) ed f)), tentativo obbligatorio di conciliazione nei licenziamenti individuali (comma 4), intervenendo, in particolare, sulle modifiche alla normativa di settore apportate, da ultimo, dalla legge n. 92/2012.

La disposizione, inoltre, modifica direttamente la legge n. 92/2012 (comma 5), con particolare riguardo all’attività di monitoraggio, all’associazione in partecipazione, all’assunzione di lavoratori che beneficiano dell’ASpI, ai fondi di solidarietà bilaterali per i settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale, alle dimissioni e risoluzioni consensuali dei rapporti di lavoro di collaborazione.

Ulteriori misure riguardano ammortizzatori sociali di settore (comma 6) e i criteri per la definizione dello stato di disoccupazione (comma 7 e comma 5, lettera d), numero 2)).

 

Contratti di lavoro a termine (comma 1)

Le modifiche alla disciplina del contratto a termine, recata dal decreto legislativo n. 368/2001, prevedono:

·     per quanto concerne il contratto a termine acausale[27], che possa essere stipulato anche nei casi previsti dai contratti collettivi di livello aziendale, (sempre che siano stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali più rappresentative sul piano nazionale) e, ferma restando la durata massima complessiva di 12 mesi, che possa essere prorogato;

·     la soppressione dell'obbligo, a carico del datore di lavoro, di comunicare al centro per l'impiego territorialmente competente, entro il termine inizialmente fissato per la conclusione del rapporto di lavoro, la prosecuzione del rapporto di lavoro (dalla soppressione consegue che ritrovi applicazione il termine generale relativo alle comunicazioni obbligatorie in materia di variazioni del rapporto di lavoro, pari a 5 giorni dall'evento, ai sensi dell'art. 4-bis del D.Lgs. 21 aprile 2000, n. 181);

·     la riduzione dei periodi di sospensione tra successivi contratti a termine (riduzione da 60 a 10 girni per contratti di durata fino a 6 mesi e da 90 a 20 giorni per contratti di durata superiore a 6 mesi);

 

·     l’esclusione dalla disciplina  generale dei contratto a termine (di cui al d.lgs. n. 368/2001) dei contratti a termine stipulati dai lavoratori in mobilità.

 

La disciplina del lavoro a termine

Il contratto di lavoro a tempo determinato è disciplinato dal D.Lgs. 368/2001, adottato in attuazione della direttiva 1999/70/CE 28 giugno 1999 (relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato) che ha riformato interamente la disciplina dell'apposizione del termine al contratto di lavoro, abrogando la precedente normativa in materia (L. 230/1962, articolo 8-bis del D.L. 17/1983, articolo 23 della L. 56/1987.

Con tale provvedimento è stata modificata profondamente la precedente impostazione normativa (in base alla quale il rapporto di lavoro a termine era vietato, tranne nei casi tassativi indicati dalla legge e dai contratti collettivi) ammettendo di regola il contratto a tempo determinato, salvo i casi in cui è espressamente vietato.

Su tale impianto normativo è successivamente intervenuta la L. 247/2007, che ha modificato il D.Lgs. 368/2001 stabilendo, in primo luogo, che il contratto di lavoro subordinato sia stipulato normalmente a tempo indeterminato, nonché un limite massimo di durata (pari a 36 mesi, comprensivo di proroghe e rinnovi), nell'ipotesi di successione di contratti a termine, oltre il quale il contratto si considera a tempo indeterminato.

Da ultimo, la L. 92/2012, intervenendo nuovamente sul D.Lgs. 368/2001, ha precisato che il contratto a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro, apportando profonde modifiche alla disciplina del contratto a termine.

Occorre ricordare che non sono soggetti all'applicazione del D.Lgs. 368/2001, in quanto regolamentati da una disciplina specifica e in quanto preordinati al conseguimento della formazione e all'inserimento al lavoro (ai sensi della circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 42 del 2002) i contratti di lavoro temporaneo, i contratti di formazione e lavoro, i rapporti di apprendistato, nonché le tipologie contrattuali legate alla formazione attraverso il lavoro (come ad esempio i tirocini e gli stage) i quali, se pur caratterizzati dall'apposizione di un termine, non costituiscono, ai sensi dell’articolo 10, comma 1, del D.Lgs. 368/2001, rapporti di lavoro subordinato.

L’articolo 1 del D.Lgs. 368/2001 consente l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro. L'apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni.

L’articolo 1, comma 9, della L. 92/2012 ha apportato una serie di modifiche alla disciplina del lavoro a termine. In primo luogo si segnala l’esclusione del requisito della sussistenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo (riferibili anche all'ordinaria attività del datore di lavoro) (c.d. acausalità) ai fini della stipulazione di un primo contratto di lavoro a termine, purché esso sia di durata non superiore a 1 anno. In tali casi il contratto non può comunque essere oggetto di proroga.

Una ulteriore ipotesi di esclusione del requisito della sussistenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, opera nei casi, previsti dalla contrattazione collettiva, in cui l’assunzione avvenga nell’ambito di particolari processi produttivi (determinati dall’avvio di una nuova attività, dal lancio di un prodotto o di un servizio innovativo; dall’implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico; dalla fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo; dal rinnovo o dalla proroga di una commessa consistente).

E’ stato inoltre escluso il requisito della sussistenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo (riferibili anche all'ordinaria attività del datore di lavoro), ai fini della prima missione di un lavoratore nell'ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato.

L'articolo 3 del D.Lgs. 368/2001 prevede che l’apposizione del termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato sia vietata per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato, salvo che tale contratto sia concluso per provvedere a sostituzione di lavoratori assenti; presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell'orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a termine; da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.

L’articolo 4 del D.Lgs. 368/2001  prevede che il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni. In questi casi la proroga è ammessa una sola volta e a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. Con esclusivo riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del rapporto a termine non potrà essere superiore ai tre anni.

L’articolo 5 del D.Lgs. 368/2001, modificato sostanzialmente dall’articolo 1, comma 9, della L. 92/2012, prevede che nel caso in cui il rapporto di lavoro continui dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato ai sensi dell'articolo 4, il datore di lavoro sia tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20% fino al decimo giorno successivo, al 40% per ciascun giorno ulteriore. Se il rapporto di lavoro continua oltre il trentesimo giorno (in luogo dei precedenti 20) in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi ovvero oltre il cinquantesimo giorno (in luogo dei precedenti 30) negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini. Oltre a ciò, è stato introdotto l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare al Centro per l'impiego territorialmente competente, entro la scadenza della durata del rapporto prevista dal contratto, che il rapporto continuerà, indicando anche la durata della prosecuzione.

Per quanto concerne l’ipotesi della stipula di successivi contratti a termine con il medesimo lavoratore, nel caso in cui il lavoratore venga riassunto entro 60 giorni (in luogo dei precedenti 10) dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero entro 90 giorni (in luogo dei precedenti 20) dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato. Peraltro, nell’ambito di particolari processi produttivi (determinati dall’avvio di una nuova attività, dal lancio di un prodotto o di un servizio innovativo; dall’implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico; dalla fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo; dal rinnovo o dalla proroga di una commessa consistente), i contratti collettivi possono prevedere, stabilendone le condizioni, la riduzione di tali intervalli di tempo (fino a 20 giorni in caso di contratti di durata inferiore a 6 mesi; fino a 30 giorni in caso di contratti di durata superiore).

Quando si tratta di due assunzioni successive a termine, intendendosi per tali quelle effettuate senza alcuna soluzione di continuità, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto.

 Il comma 4-bis dell’articolo 5 del D.Lgs. 368/2001 prevede poi che, ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti e fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato. In deroga a quanto disposto dalla sopracitata disposizione, tuttavia, un ulteriore successivo contratto a termine fra gli stessi soggetti può essere stipulato per una sola volta, a condizione che la stipula avvenga presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio e con l’assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. Le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale stabiliscono con avvisi comuni la durata del predetto ulteriore contratto. In caso di mancato rispetto della descritta procedura, nonché nel caso di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, il nuovo contratto si considera a tempo indeterminato. Secondo quanto disposto dalla L. 92/2012, ai fini del calcolo del limite complessivo di 36 mesi (superato il quale, anche per effetto di proroghe o rinnovi di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti, il rapporto a termine si considera comunque a tempo indeterminato) si deve tenere conto anche dei periodi di missione nell'ambito di contratti di somministrazione (a tempo determinato o indeterminato) aventi ad oggetto mansioni equivalenti e svolti tra gli stessi soggetti.

Il comma 4-quater dell’articolo 5 del D.Lgs. 368/2001 dispone che lavoratore il quale, nell’esecuzione di uno o più contratti a termine presso la stessa azienda, abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi ha (fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale) diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine.

 

Il rapporto di lavoro a tempo determinato si estingue con lo scadere del termine previsto; la cessazione del rapporto deve essere comunicata al Centro per l'impiego entro i 5 giorni successivi solo se avviene in data diversa da quella comunicata all'atto dell'assunzione In ogni caso, il rapporto di lavoro a termine può cessare prima della scadenza del termine per comune volontà delle parti oppure per recesso per giusta causa.

L’articolo 32, commi 3 e 4, della L. 183/2010 (c.d. Collegato lavoro) ha previsto l’applicazione dell’articolo 6 della L. 604/1966 (relativo ai termini di impugnazione dei licenziamenti) ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto e all'azione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro, nonché alcune specifiche disposizioni per i contratti in corso di esecuzione o già conclusi al 24 novembre 2010.

Successivamente, l’articolo 1, commi 11-12 della L. 92/2012 è intervenuto in materia, ampliando i termini per l'impugnazione (anche extragiudiziale) e per il successivo ricorso giudiziale (o per la comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato), nel contenzioso relativo alla nullità del termine apposto al contratto di lavoro. Il primo termine è stato elevato da 60 a 120 giorni (decorrenti dalla cessazione del contratto), mentre il secondo termine è stato ridotto da 270 a 180 giorni (decorrenti dalla precedente impugnazione). I nuovi termini si applicano con riferimento alle cessazioni di contratti a tempo determinato verificatesi a decorrere dal 1° gennaio 2013.

Infine, si segnala che l’articolo 1, comma 13, della L. 92/2012 ha fornito una norma di interpretazione autentica dell’articolo 32, comma 5, della L. 183/2010, relativamente al risarcimento del danno subìto dal lavoratore nelle ipotesi di conversione del contratto a termine in rapporto a tempo indeterminato.

La norma di interpretazione autentica (avente, quindi, effetto retroattivo) è volta a chiarire che l'indennità onnicomprensiva costituisce l'unico risarcimento spettante al lavoratore, anche in relazione alle conseguenze retributive e contributive, concernenti il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento giudiziale di conversione del rapporto di lavoro.

La norma di interpretazione autentica si pone in linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 303/2011, con la quale si ritiene, in primo luogo, che “in termini generali, la norma scrutinata non si limita a forfetizzare il risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine, ma, innanzitutto, assicura a quest’ultimo l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Difatti, l’indennità prevista dall’art. 32, commi 5 e 6, della L. 183/2010 va chiaramente ad integrare la garanzia della conversione del contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato. E la stabilizzazione del rapporto è la protezione più intensa che possa essere riconosciuta ad un lavoratore precario”. La Corte prosegue, poi, affermando che “l’indennità onnicomprensiva prevista dall’art. 32, commi 5 e 6, della L. 183/2010, non è ipotizzabile come “aggiuntiva al risarcimento dovuto secondo le regole di diritto comune” e pertanto “assorbe l’intero pregiudizio subìto dal lavoratore a causa dell’illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro, dal giorno dell’interruzione del rapporto fino al momento dell’effettiva riammissione in servizio.

 

Distacco (comma 2, lettera 0a))

La disciplina del distacco (recata dall’articolo 30 del decreto legislativo n.276/2003) viene integrata al fine di prevedere che qualora il distacco di personale avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa (che abbia validità ai sensi del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5), l'interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell'operare della rete (fatte salve le norme in materia di mobilità dei lavoratori previste dall'articolo 2103 del codice civile). Inoltre per le stesse imprese è ammessa la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso.

 

Ai sensi dell’articolo 30 del d.lgs. n.276/2003, il distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa. Il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore. Il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato. Quando comporti un trasferimento a una unità produttiva sita a più di 50 km da quella in cui il lavoratore è adibito, il distacco può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive. Quando il distacco avvenga in violazione della disciplina normativa, il lavoratore interessato può chiedere (mediante ricorso giudiziale a norma dell'articolo 414 del codice di procedura civile) la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del soggetto che ne ha utilizzato la prestazione

La disciplina del contratto di rete risulta contenuta principalmente nell’articolo 3, commi 4-ter-4-quinques del decreto-legge 5/2009, che detta alcune caratteristiche fondamentali che il contratto di rete deve assumere per essere riconosciuto come tale all'interno dell'ordinamento giuridico:

·     esso deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per atto firmato digitalmente trasmesso ai competenti uffici del registro delle imprese;

·     è, inoltre, soggetto a iscrizione nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante e la sua efficacia inizia a decorrere da quando è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte.

·     deve possedere le seguenti caratteristiche principali:

·     lo scopo del contratto deve essere quello di accrescere la capacità innovativa e la competitività sul mercato;

·     gli obblighi di collaborazione devono concretizzarsi in forme e in ambiti predeterminati come lo scambio di informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero l'esercizio in comune di una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa;

·     deve essere previsto un fondo patrimoniale e un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso;

·     può essere prevista la possibilità di acquisire soggettività giuridica.

 

Contratti di lavoro intermittente (comma 2, lettera a), comma 3 e comma 5, lettera a), numero 2))

Le disposizioni in materia di lavoro intermittente modificano gli articoli 34 e 35 del decreto legislativo n.276/2003, che reca la disciplina dell’istituto.

In particolare:

·     si introduce (fermi restando i presupposti previsti dalla legge per l’instaurazione del rapporto di lavoro) un limite di 400 giornate annue di lavoro effettivo nell’arco di 3 anni solari, riferito a ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, superato il quale il rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato (ai sensi del comma 3 si computano solo le giornate prestate successivamente all’entrata in vigore del decreto-legge); restano esclusi da tale limite i settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo;

·     si proroga al 1° gennaio 2014 (dal 13 luglio 2013) il termine a partire dal quale cessano di produrre effetti i contratti di lavoro intermittente già sottoscritti alla data di entrata in vigore della legge 28 giugno 2012, n. 92, che non siano compatibili con le modifiche introdotte dalla stessa legge alla disciplina dell'istituto. 

 

La disciplina del lavoro intermittente

L'art. 1, comma 21, della L. n. 92/2012 ha modificato il campo di applicazione del lavoro intermittente eliminando la possibilità - prima ammessa - di ricorrervi nei c.d. periodi predeterminati di cui all'art. 37 del D.Lgs. n. 276/2003 (ovvero durante il fine settimana, nei periodi estivi, o di vacanze natalizie e pasquali) e in relazione alle prestazioni rese da soggetti con meno di 25 anni di età ovvero da lavoratori con più di 45 anni di età, anche pensionati. Il contratto di lavoro intermittente può essere oggi concluso:

-   per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo e saltuario secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero per periodi predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno (art. 34, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003);

-   con soggetti con più di 55 anni di età e con soggetti con meno di 24 anni di età, fermo restando che le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro il venticinquesimo anno di età (art. 34, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003).

In relazione alla causale di cui all'art. 34, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003, il Ministero del lavoro con la circolare n. 20/2012, ritiene demandata alla contrattazione collettiva anche l'individuazione dei c.d. "periodi predeterminati". Tali periodi si devono collocare nel cd. contenitore/anno, pertanto, non risulta possibile prevedere che il periodo predeterminato sia riferito all'intero anno, ma occorre una precisa delimitazione temporale. Diversamente, i rapporti instaurati si intendono a tempo indeterminato (ML lett. circ. n. 7258/2013).

Invece, per la causale ex art. 34, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003, la L. n. 92/2012 ha delimitato diversamente, rispetto alla previgente disciplina, anche la causale soggettiva che consente il ricorso al lavoro intermittente. Infatti ora è previsto, ai fini della stipulazione del contratto, che il lavoratore:

-   non abbia compiuto i 24 anni (quindi abbia al massimo 23 anni e 364 giorni);

-   oppure abbia più di 55 anni (quindi almeno 55 anni e quindi possono essere anche pensionati).

La modifica al campo di applicazione del lavoro intermittente ha suggerito anche l'introduzione di una disciplina transitoria, ai sensi della quale i contratti di lavoro intermittente già sottoscritti alla data di entrata in vigore della L. n. 92/2012 (18 luglio 2012), che non siano compatibili con le nuove disposizioni cessano di produrre effetti decorsi 12 mesi dalla sua entrata in vigore (pertanto dal 18 luglio 2013).

Va in ogni caso ricordato che, ai sensi dell'art. 40 del D.Lgs. n. 276/2003, in assenza di una regolamentazione da parte della contrattazione collettiva, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali individua in via provvisoria e con proprio decreto i casi in cui è ammissibile il ricorso al lavoro intermittente (INAIL circ. n. 64/2012).

Il Ministro del lavoro con il D.M. 23 ottobre 2004 ha indicato nelle occupazioni che richiedono un lavoro discontinuo elencate nella tabella approvata con R.D. n. 2657/1923 le ipotesi oggettive per le quali in via provvisoriamente sostitutiva della contrattazione collettiva è possibile stipulare i contratti di lavoro intermittente.

L'art. 34, c. 3, D.Lgs. n. 276/2003 elenca tassativamente i casi nei quali non è possibile la stipulazione del contratto a chiamata.

In particolare è vietato il ricorso al lavoro intermittente:

-   per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;

-   salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a chiamata ovvero presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell'orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a chiamata;

-   da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.

In caso di assenza delle condizioni legittimanti la stipulazione del contratto (v. supra), nonché in caso di violazione dei divieti indicati dall'art. 34, comma 3, del D.Lgs. n. 276/2003, i rapporti di lavoro saranno considerati a tempo pieno e indeterminato (ML circ. n. 20/2012; INAIL circ. n. 64/2012).

Ai fini della applicazione di normative di legge, il prestatore di lavoro intermittente è computato nell'organico dell'impresa in proporzione all'orario di lavoro effettivamente svolto nell'arco di ciascun semestre (art. 39, D.Lgs. n. 276/2003).

Si ricorda che non è previsto alcun divieto per quanto riguarda la stipulazione di più contratti di lavoro intermittente con datori di lavoro differenti.

Nulla vieta, inoltre, l'ammissibilità di porre in essere un contratto intermittente e altre differenti tipologie contrattuali a patto che siano tra loro compatibili e che non risultino di ostacolo con i vari impegni negoziali assunti dalle parti (ML circ. n. 4/2005).

 

Lavoro a progetto (comma 2, lettere c) e d) e comma 2-bis)

Le disposizioni in materia di lavoro a progetto modificano gli articoli 61 e 62 del decreto legislativo n. 276/2003, che reca la disciplina dell’istituto.

In particolare:

·     con riferimento alle ipotesi in cui è vietato stipulare contratti a progetto, si modifica la norma che esclude il ricorso all'istituto del lavoro a progetto per lo svolgimento di "compiti meramente esecutivi o ripetitivi", riformulando la locuzione in forma congiuntiva "compiti meramente esecutivi e ripetitivi" (con l’effetto di restringere l’ampiezza del divieto);

·     si prevede che se l'attività di ricerca scientifica, oggetto del contratto, viene ampliata per temi connessi e/o prorogata nel tempo, il progetto prosegue automaticamente;

·     si prevede che la definizione per iscritto degli elementi contrattuali obbligatori è sempre richiesta (e non soltanto ai fini della prova);

·     con riferimento alle attività realizzate dai call-center “outbound” (escluse dall’ambito applicativo del lavoro a progetto ai sensi dell’articolo 61 del D.Lgs. n. 276/2003 e disciplinate dai contratti collettivi nazionali di riferimento), con una norma di interpretazione autentica si prevede che l'espressione ''vendita diretta di beni e di servizi'' si interpreta nel senso di ricomprendere sia le attività di vendita diretta di beni, sia le attività di servizi

 

La disciplina del lavoro a progetto

L’articolo 1, commi 23-25, della L. 92/2012 (di riforma del mercato del lavoro) ha apportato importanti modifiche alla disciplina del lavoro a progetto.

In particolare, il nuovo testo dell’articolo 61 del D. Lgs. 276/2003 (ferma restando la disciplina degli agenti e rappresentanti di commercio, nonché le attività di vendita diretta di beni e servizi realizzate attraverso call center "outbound", per le quali il ricorso ai contratti di collaborazione a progetto è consentito sulla base del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all'articolo 409, n. 3, c.p.c.) consente che il contratto di lavoro a progetto sia riconducibile unicamente a progetti specifici (e non più anche a “programmi di lavoro o a fasi di questi ultimi”, come previsto dalla normativa previgente), escludendo che il progetto possa consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente o nello svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi (questi ultimi possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l'individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto.

Da tale previsione sono escluse le prestazioni meramente occasionali , cioè i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare ovvero, nell’ambito dei servizi di cura e assistenza alla persona, non superiore a 240 ore, con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare sia superiore a 5.000 euro (articolo 61, comma 2), i quali sono regolamentati dall’apposita disciplina contenuta nello stesso provvedimento. Pertanto vengono fissati due criteri alternativi, uno correlato alla durata della prestazione nei confronti dello stesso committente, l’altro correlato all’ammontare del corrispettivo, che servono a distinguere le prestazioni meramente occasionali dalle collaborazioni coordinate e continuative vere e proprie, che vengono disciplinate dalle disposizioni sul lavoro a progetto.

Sono altresì escluse dal campo di applicazione della disciplina del lavoro a progetto anche le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi.

Tra gli elementi essenziali da indicare in forma scritta debba esservi anche il risultato finale che si intende conseguire attraverso il contratto di lavoro a progetto.

Il corrispettivo, secondo quanto disposto dall’articolo 63 del D.Lgs. 276/2003 (come modificato dalla L. 92/2012) non può essere inferiore ai minimi stabiliti per ciascun settore di attività (eventualmente articolati per i relativi profili professionali tipici e in ogni caso sulla base dei minimi salariali applicati nel settore medesimo alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati), dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale a livello interconfederale o di categoria (ovvero, su loro delega, ai livelli decentrati). In assenza di contrattazione collettiva specifica, il compenso non può essere inferiore, a parità di estensione temporale dell'attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto (la formulazione previgente si limitava a richiedere che il compenso corrisposto ai collaboratori a progetto dovesse essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito, e deve tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto).

Ai sensi del successivo articolo 67 (anch’esso modificato dalla L. 92/2012), il lavoro a progetto si risolve al momento della realizzazione del progetto che ne costituisce l'oggetto. Le parti possono recedere prima della scadenza del termine per giusta causa, ed il committente può altresì recedere prima della scadenza del termine qualora siano emersi oggettivi profili di inidoneità professionale del collaboratore tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto. Il collaboratore può recedere prima della scadenza del termine, dandone preavviso, nel caso in cui tale facoltà sia prevista nel contratto individuale di lavoro.

L’articolo 69 del D.Lgs. 276/2003 disciplina la trasformazione del contratto a progetto, prevedendo che nel caso in cui i rapporti di lavoro siano instaurati senza individuare uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, siano considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato fin dalla data di costituzione del rapporto (comma 1). Al riguardo, l’articolo 1, comma 24, della L. 92/2012, dettando una norma di interpretazione autentica (con effetto, quindi, retroattivo) dell’articolo 69, comma 1, ha chiarito che tale disposizione si interpreta nel senso che l’individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

In seguito alle modificazione recate dalla L. 92/2012, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, vengono considerati rapporti di lavoro subordinato, sin dalla data di costituzione del rapporto, nel caso in cui l’attività del collaboratore sia svolta con modalità analoghe rispetto a quella svolta dai lavoratori dipendenti dell’impresa committente (articolo 69, comma 2), fatte salve la prova contraria a carico del committente, nonché le prestazioni di elevata professionalità (le quali possono essere individuate dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale).

Qualora nel corso di un rapporto venga invece accertato dal giudice che il rapporto instaurato si configuri come un contratto di lavoro subordinato per difetto del requisito dell'autonomia, esso si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti.

Ulteriori disposizioni sull’istituto riguardano la possibilità, per il collaboratore a progetto, di svolgere l’attività nei riguardi di più committenti, anche se lo stesso non può svolgere attività concorrenziale nei confronti dei committenti stessi né può venire meno all’obbligo di riservatezza (articolo 64).

Lo stesso D.Lgs. 276/2003 ha individuato (articoli 65 e 66) alcuni diritti del collaboratore a progetto. In particolare (articolo 65), il collaboratore ha il diritto ad essere riconosciuto autore dell’invenzione eventualmente fatta nello svolgimento del rapporto. In ogni caso, i diritti e gli obblighi delle parti sono regolati da leggi speciali, comprese le disposizioni di cui all’articolo 12-bis della L. 633/1941. Il successivo articolo 66 disciplina ulteriori diritti del collaboratore a progetto. In particolare, si stabilisce che la gravidanza, malattia ed infortunio non comportino estinzione del rapporto contrattuale, che rimane sospeso, senza erogazione del corrispettivo. In caso di gravidanza, inoltre, la durata del rapporto è prorogata di 180 giorni, salvo previsione contrattuale più favorevole. Inoltre, in caso di infortunio o malattia, salva diversa previsione contrattuale, la sospensione del rapporto non comporta una proroga della durata del contratto, che si estingue alla scadenza. Il contratto si intende comunque risolto se la sospensione si protrae per un periodo superiore ad un sesto della durata stabilita nel contratto, se determinata, ovvero superiore a 30 giorni per i contratti a durata determinabile. Infine, ai rapporti che rientrano nel campo di applicazione del capo in esame si applicano specifiche norme, tra le quali si ricordano quelle sul processo del lavoro , quelle sulla tutela della maternità per le lavoratrici iscritte alla gestione separata INPS, le norme sulla sicurezza e igiene del lavoro, (di cui al D.Lgs. 81/2008), nonché le norme di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e le norme di cui all’articolo 51, comma 1, della L. 488/1999 (finanziaria 2002) .

E’ stato previsto, poi, che nella riconduzione a un progetto, programma di lavoro o fase di esso delle collaborazioni coordinate e continuative, i diritti derivanti da un rapporto di lavoro già in essere possono essere oggetto di rinunzie o transazioni (articolo 68, così come modificato dal richiamato D.Lgs. 251/2004) tra le parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro anche in deroga alle disposizioni sulle rinunce e transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti le controversie individuali di lavoro, di cui all’articolo 2113 del codice civile.

Merita infine ricordare che l’articolo 2, commi 51-56, della L. 92/2012, disciplina, a decorrere dal 2013, una specifica indennità una tantum per i collaboratori coordinati e continuativi in regime di monocomittenza, iscritti in via esclusiva alla gestione pensionistica INPS separata e non titolari anche di reddito di lavoro autonomo, in quanto esclusi dall’ambito di applicazione della ASPI

 

Lavoro accessorio (comma 2, lettere e) ed f))

Le disposizioni in materia di lavoro accessorio modificano gli articoli 61 e 62 del decreto legislativo n.276/2003, che reca la disciplina dell’istituto.

In particolare:

·     si amplia l’ambito applicativo dell’istituto, escludendo che le prestazioni debbano avere “natura meramente occasionale”;

·     si sopprime la previsione che, nell'àmbito dell'impresa familiare (di cui all’articolo 230-bis del codice civile), trovi applicazione la normale disciplina contributiva del lavoro subordinato;

·     si prevede che il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con decreto, possa stabilire specifiche condizioni, modalità e importi dei buoni orari, in "considerazione delle particolari e oggettive condizioni sociali di specifiche categorie di soggetti correlate allo stato di disabilità, di detenzione, di tossicodipendenza o di fruizione di ammortizzatori sociali per i quali è prevista una contribuzione figurativa, utilizzati nell’ambito di progetti promossi da amministrazioni pubbliche".

 

Si fa presente che la norma non individua un termine entro il quale il decreto ministeriale deve essere adottato.

 

 

La disciplina del lavoro accessorio

Il lavoro accessorio è disciplinato dagli articoli da 70 a 74 del D.Lgs. 276/2003 (come ripetutamente modificati, nel corso della XVI Legislatura, dal D.L. 112/2008, dal D.L. 5/2009, dal D.L. 78/2009, dalla L. 191/2009, dal D.L. 83/2012 e dalla L. 92/2012).

Ai sensi dell’articolo 70, comma 1, primo periodo, del D.Lgs. 276/2003,  per prestazioni di lavoro accessorio si intendono le attività lavorative di natura occasionale nel caso in cui diano complessivamente luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi non superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare (annualmente rivalutati sulla base della variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell'anno precedente).

Le prestazioni possono rese  in tutti i settori, da parte di qualsiasi committente, con qualsiasi lavoratore (salvo alcuni limiti nel settore agricolo), mentre per quanto concerne le  prestazioni rese nei confronti di imprenditori commerciali o professionisti (fermo restando il limite dei compensi fissato in linea generale a 5.000 euro annui), si prevede che le attività svolte a favore di ciascun committente non possono comunque superare i 2.000 euro annui.

Prima dell’intervento in senso restrittivo della L. 92/2012 il lavoro accessorio si configurava nelle prestazioni occasionali che dessero complessivamente luogo, in riferimento ad ogni committente, un compenso non superiore a 5.000 euro annui per attività svolte nei seguenti settori: lavori domestici; lavori di giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici, strade, parchi e monumenti; insegnamento privato supplementare; manifestazioni sportive, culturali, fieristiche o caritatevoli e di lavori di emergenza o di solidarietà anche in caso di committente pubblico; attività svolte in qualsiasi settore produttivo, compresi gli enti locali, le scuole e le università, il sabato e la domenica e durante i periodi di vacanza da parte di giovani con meno di venticinque anni di età se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici, ovvero in qualunque periodo dell’anno se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l’università; attività agricole di carattere stagionale effettuate da pensionati, da casalinghe e da giovani, ovvero delle attività agricole svolte a favore dei produttori agricoli con volume d’affari annuo non superiore a 7.000 euro; impresa familiare di cui all'articolo 230-bis c.c.; consegna porta a porta e della vendita ambulante di stampa quotidiana e periodica; qualsiasi settore produttivo, compresi gli enti locali da parte di pensionati; attività di lavoro svolte nei maneggi e nelle scuderie. Le imprese familiari potevano infine utilizzare prestazioni di lavoro accessorio per un importo complessivo non superiore, nel corso di ciascun anno fiscale, a 10.000 euro.

Inoltre, la stessa L. 92/2012 ha soppresso le discipline sperimentali (previste dalla normativa previgente fino al 31 dicembre 2012) che consentivano prestazioni di lavoro accessorio da parte di titolari di contratti di lavoro a tempo parziale nonché di percettori di prestazioni integrative del salario o sostegno al reddito, a condizione che fosse rispettato un limite massimo degli emolumenti ricevuti, pari a 3.000 euro per anno solare e che tali prestazioni fossero comunque compatibili con quanto disposto dall’articolo 19, comma 10, del D.L. 185/2008, il quale subordina il diritto a percepire qualsiasi trattamento di sostegno al reddito previsto dalla legislazione vigente in materia di ammortizzatori sociali, alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro o a un percorso di riqualificazione professionale.

Mutuando in parte quanto previsto in precedenza come disciplina sperimentale, per il 2013 le prestazioni di lavoro accessorio possono essere altresì rese, in tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali, fermo restando il rispetto dei vincoli previsti dalla normativa vigente in materia di contenimento delle spese di personale e, ove previsto, dal patto di stabilità interno, nel limite massimo di 3.000 euro di corrispettivo per anno solare, da soggetti titolari di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito.

Riguardo alla possibilità di prestazioni rese da dipendenti pubblici, occorre ricordare che la circolare INPS n. 88 del 9 luglio 2009 precisa che per questi si applichi l’articolo 53 del D.Lgs. 165/2001, in tema di incumulabilità, cumulo di impieghi e incarichi, che prevede la richiesta di autorizzazione, da parte di soggetti sia pubblici che privati, all’amministrazione di appartenenza per lo svolgimento di tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e nei doveri d’ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso. La stessa norma peraltro esclude dalla richiesta di autorizzazione i dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento, i docenti universitari a tempo definito e le altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali.

Per quanto concerne le attività agricole, sono state escluse le casalinghe dal novero dei soggetti abilitati mentre sono stati confermati i pensionati e giovani con meno di venticinque anni di età, se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici (ovvero in qualunque periodo dell’anno se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l’università). Inoltre, si specifica che le attività agricole svolte a favore dei soggetti di cui all’articolo 34, comma 6, del decreto del D.P.R. 633/1972 (ossia produttori agricoli con volume d’affari annuo non superiore a 7.000) non possono comunque essere svolte da soggetti iscritti l’anno precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli.

Al riguardo, con la circolare n. 18 del 18 luglio 2012 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha ritenuto che, proprio in ragione della specialità del settore agricolo, non trovi applicazione l'ulteriore limite di euro 2.000 previsto in relazione alle prestazioni rese nei confronti degli imprenditori e professionisti.

L’articolo 72 disciplina le modalità di assolvimento dell’obbligo retributivo e contributivo connesso alle prestazioni, prevedendo che esso avviene attraverso l’acquisto presso le rivendite autorizzate, da parte dei datori di lavoro, di uno o più carnet di buoni per prestazioni di lavoro accessorio (cd. voucher), che garantiscono la retribuzione nonché la copertura previdenziale ed assicurativa, da consegnare al prestatore di lavoro accessorio. Il valore nominale dei buoni è fissato con specifico decreto, con il quale vengono anche stabiliti gli aggiornamenti periodi del valore stesso, ed è stabilito tenendo conto della media delle retribuzioni rilevate per le attività lavorative affini a quelle richiamate in precedenza, nonché del costo di gestione del servizio.

Inoltre, i buoni devono essere orari, numerati progressivamente e datati; si prevede, quindi, che in sede di adozione del decreto ministeriale chiamato ad aggiornare periodicamente il valore nominale dei buoni, si dovrà tener conto delle “risultanze istruttorie del confronto con le parti sociali”.

Attualmente il valore nominale del buono, fissato con D.M. 30 settembre 2005, è pari a 10 euro e non è ricollegato ad una retribuzione minima oraria (nota INAIL n. 6464/2010).

I compensi percepiti dal lavoratore sono computati ai fini della determinazione del reddito necessario per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno. Al riguardo, si segnala che la circolare n. 4 del 2013 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha sottolineato che ai sensi dell’articolo 26, comma 3, del D.Lgs. 286/1998 “il lavoratore non appartenente all’Unione europea deve comunque dimostrare di disporre di idonea sistemazione alloggiativa e di un reddito annuo, proveniente da fonti lecite, di importo superiore al livello minimo previsto dalla legge per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria”. Inoltre, ai sensi dell’articolo 13 del D.P.R. 394/1999 “ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno (…) la documentazione attestante la disponibilità di un reddito da lavoro o da altra fonte lecita, sufficiente al sostentamento proprio e dei familiari conviventi a carico può essere accertata d’ufficio sulla base di una dichiarazione temporaneamente sostitutiva resa dall’interessato con la richiesta di rinnovo”.

Sempre riguardo alle caratteristiche dei buoni, la circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 4/2013 ha sottolineato che, “considerata la natura preventiva della comunicazione sull’utilizzo del lavoro accessorio, al fine di consentire la massima flessibilità sia del voucher telematico, sia di quello cartaceo, il riferimento alla data non può che implicare che la stessa vada intesa come un arco temporale di utilizzo del voucher non superiore ai 30 giorni decorrenti dal suo acquisto”.

E’ stata infine dettata una disciplina transitoria per l’utilizzo (articolo 1, comma 33, della legge 92/2012), secondo la previgente disciplina, dei buoni per prestazioni di lavoro accessorio già richiesti alla data di entrata in vigore della stessa L. 92/2012 (e cioè il 18 luglio 2012) e comunque non oltre il 31 maggio 2013. In sostanza, i buoni già acquistati possono essere utilizzati entro il 31 maggio 2013 rispettando la precedente disciplina “anche e soprattutto in relazione al campo di applicazione del lavoro accessorio” (come specificato dalla circolare n 4/2013).

Il monitoraggio sui dati relativi ai voucher riscossi, venduti e sul numero dei lavoratori così retribuiti è effettuato dall’INPS.

Il prestatore di lavoro accessorio percepisce il proprio compenso presso il concessionario (individuato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali con apposito decreto, con il quale sono anche regolamentati i criteri e le modalità per il versamento dei contributi e delle relative coperture assicurative e previdenziali), all'atto della restituzione dei buoni ricevuti dal beneficiario della prestazione di lavoro accessorio. Tale compenso è esente da qualsiasi imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato del prestatore di lavoro accessorio.

Spetta al concessionario provvedere al pagamento delle spettanze alla persona che presenta i buoni, registrandone i dati anagrafici e il codice fiscale, nonché effettuare il versamento per suo conto dei contributi per fini previdenziali alla Gestione separata INPS (in misura pari al 13% del valore nominale del buono, e per fini assicurativi contro gli infortuni all'INAIL (in misura pari al 7% del valore nominale del buono), trattenendo l'importo autorizzato dal decreto a titolo di rimborso spese.

L’articolo 72, comma 4, dispone l’adeguamento delle aliquote dei contributi previdenziali rispetto a quelle previste per gli iscritti alla Gestione separata dell’INPS, da rideterminare con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

Si ricorda che (nota del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 5425 del 2011) al lavoro accessorio non è applicabile il criterio generale di ripartizione del carico previdenziale tra committente e prestatore di lavoro, previsto dall'articolo 2, comma 30, della L. 335/1995, con la conseguenza che i contributi previdenziali, compresi nel valore nominale del voucher, sono a totale carico del committente.

Per l'impresa familiare trova applicazione la normale disciplina contributiva e assicurativa del lavoro subordinato (art. 72, comma 4-bis, del D.Lgs. 276/2003).

Come specificato nella circolare INPS n. 88/2009 e successivamente confermato dalla circolare INPS n. 17/2010 e dalla circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 4 del 18 gennaio 2013, le prestazioni accessorie devono essere svolte direttamente a favore dell'utilizzatore della prestazione, senza il tramite di intermediari. Pertanto, è da ritenersi escluso che un'impresa possa utilizzare lavoratori per svolgere prestazioni a favore di terzi, come nel caso dell'appalto o della somministrazione di lavoro.

 

Tentativo obbligatorio di conciliazione nei licenziamenti individuali (comma 4)

Il comma 4 modifica la disciplina del tentativo obbligatorio di conciliazione (presso la commissione provinciale di conciliazione, di cui all'articolo 410 del codice di procedura civile), previsto per i casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo da parte dei datori di lavoro aventi i requisiti dimensionali di cui all'articolo 18 ottavo comma, della L. 20 maggio 1970, n. 300 (ossia oltre 15 lavoratori). In particolare, si prevede:

·     l’esclusione dall'àmbito di applicazione del tentativo obbligatorio di conciliazione dei casi di licenziamento per il superamento del periodo di comporto di cui all'art. 2110 del codice civile (cioè, per il superamento dei limiti massimi di assenza dal lavoro per i casi di infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio); dei casi di licenziamenti conseguenti a cambi di appalto, ai quali siano succedute assunzioni presso altri datori di lavoro (in attuazione di clausole sociali che garantiscano la continuità occupazionale prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale); delle interruzioni di rapporto di lavoro a tempo indeterminato, nel settore delle costruzioni edili, per completamento delle attività e chiusura del cantiere.

·     che la mancata presentazione di una o di entrambe le parti al tentativo di conciliazione è valutata dal giudice ai sensi dell’art. 116 del codice di procedura civile[28].

 

Modifica alla legge n.92/2012 (comma 5)

Il comma 5 reca alcune modifiche alla legge n.92/2012, con particolare riguardo all’attività di monitoraggio, l’associazione in partecipazione, all’assunzione di lavoratori che beneficiano dell’ASpI, ai fondi di solidarietà bilaterali per i settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale, alle dimissioni e risoluzioni consensuali dei rapporti di lavoro di collaborazione.

 

In particolare:

·     per quanto riguarda l’attività di monitoraggio sullo stato di attuazione della legge, si specifica che nell’attività di valutazione si deve tener conto anche degli “effetti determinati dalle diverse misure sulle dinamiche intergenerazionali”[29];

·     per quanto riguarda l’associazione in partecipazione[30], si integra l’articolo 2549 del codice civile, al fine di escludere dall’ambito applicativo della sanzione (consistente nella trasformazione del rapporto in contratto a tempo indeterminato) per violazione del numero massimo di associati (tre) in una medesima attività, gli associati nell’ambito di imprese mutualistiche  individuati mediante elezione dell’assemblea (il cui contratto sia comunque certificato dagli appositi organismi di certificazione), nonché i rapporti tra produttori e artisti, interpreti ed esecutori, volto alla realizzazione di registrazioni (sonore, audiovisive o di sequenze di immagini in movimento).

·     si introduce un beneficio in favore dei datori di lavoro che, senza esservi tenuti, assumano a tempo pieno e indeterminato lavoratori che fruiscano dell’Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI). Il beneficio consiste, per ogni mensilità di retribuzione corrisposta al lavoratore, in un contributo mensile pari al cinquanta per cento dell’indennità mensile residua che sarebbe stata corrisposta al lavoratore. Il beneficio è escluso con riferimento ai lavoratori che siano stati licenziati, nei sei mesi precedenti, da parte di impresa che, al momento del licenziamento, presenta assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli dell’impresa che assume, ovvero risulta con quest’ultima in rapporto di collegamento o controllo;

·     si modificano i termini temporali e la procedura relativi all'istituzione di fondi di solidarietà bilaterali per i settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale (ordinaria o straordinaria). In particolare, si proroga al 31 ottobre 2013 il termine per la costituzione dei fondi, prevedendo che decorso inutilmente tale termine, si provvede mediante l'attivazione dell'apposito fondo di solidarietà residuale (di cui ai commi 19 e seguenti dell'articolo 3 della stessa L. n. 92/2012) a decorrere dal 1° gennaio 2014. Inoltre, si prevede che i decreti attuativi (del Ministero del lavoro e delle politiche sociali) abbiano natura non regolamentare.

Si ricorda che l’articolo 4, commi 4-13, della legge n. 92/2012, al fine di assicurare la definizione, entro l’anno 2013, di un sistema inteso ad assicurare adeguate forme di sostegno per i lavoratori dei diversi comparti, prevede l’obbligo, per le organizzazioni sindacali e imprenditoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di stipulare, entro dodici mesi[31] dalla data di entrata in vigore della legge (ossia entro il 13 luglio 2013), accordi collettivi e contratti collettivi, anche intersettoriali, aventi ad oggetto la costituzione di fondi di solidarietà bilaterali (di seguito fondi) per i settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale. Tali fondi hanno lo scopo di assicurare ai lavoratori una tutela, in costanza di rapporto di lavoro, nei casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa per cause previste dalla normativa in materia di integrazione salariale ordinaria o straordinaria.

Tali fondi devono essere costituiti presso l’INPS, con apposito decreto ministeriale, ai sensi del comma 5, entro i successivi tre mesi. Ai sensi del successivo comma 8, i fondi non hanno personalità giuridica e costituiscono gestioni dell’INPS, inoltre (comma 9) gli oneri di amministrazione di ciascun fondo sono determinati secondo i criteri definiti dal regolamento di contabilità dell’INPS.

L’istituzione dei fondi è obbligatoria (comma 10) per tutti i settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale in relazione alle imprese che occupino mediamente più di 15 dipendenti. Le prestazioni e i relativi obblighi contributivi non si applicano al personale dirigente se non espressamente previsto.

 

·     si estendono le tutele introdotte dall’articolo 4, commi da 16 a 23, della legge n. 92 del 2012 in materia di contrasto del fenomeno delle cosiddette “dimissioni in bianco” ai lavoratori e alle lavoratrici con contratto di contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, ovvero con contratti di associazione in partecipazione (di cui all’articolo 2549, secondo comma, del codice civile).

 

L’articolo 4, comma 16, della legge n.92/2012, ha introdotto una disciplina più garantistica delle dimissioni volontarie. In particolare, ha esteso (da uno) ai primi tre anni di vita del bambino la durata del periodo in cui opera l’obbligo di convalida delle dimissioni volontarie e ha previsto che l’obbligo di convalida (che costituisce condizione sospensiva per l'efficacia della cessazione del rapporto di lavoro) valga anche nel caso di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. I commi 17 e 18 prevedono modalità alternative di convalida (rispetto a quelle di cui al comma 1), al rispetto delle quali viene subordinata l’efficacia delle dimissioni o della risoluzione consensuale del rapporto: fuori dalle ipotesi descritte al comma 16, l’efficacia delle dimissioni o della risoluzione consensuale del rapporto è sospensivamente condizionata alla convalida effettuata presso la Direzione territoriale del lavoro o il Centro per l’impiego territorialmente competenti, ovvero presso le sedi individuate dalla contrattazione collettiva (comma 17); in alternativa alla procedura di cui al comma 17, l’efficacia delle dimissioni o della risoluzione consensuale del rapporto è sospensivamente condizionata alla sottoscrizione di apposita dichiarazione apposta in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro (di cui all’articolo 21 della legge 264/1949). Si rinvia, quindi, a un decreto ministeriale di natura non regolamentare per l’individuazione di ulteriori modalità semplificate di accertamento della veridicità della data e della autenticità della dichiarazione del lavoratore, in funzione dello sviluppo dei sistemi informatici e della evoluzione della disciplina in materia di comunicazioni obbligatorie (comma 18). Il comma 19 prevede che, laddove non si proceda alla convalida di cui al comma 17 o alla sottoscrizione di cui al comma 18, il rapporto di lavoro si intende risolto, per il verificarsi della condizione sospensiva, qualora la lavoratrice o il lavoratore non aderiscano, entro il termine di sette giorni dalla ricezione, all’invito a presentarsi presso la Direzione territoriale del lavoro o il Centro per l’impiego territorialmente competenti, ovvero presso le sedi individuate dalla contrattazione collettiva; all’invito ad apporre la predetta sottoscrizione, trasmesso dal datore di lavoro tramite comunicazione scritta, all’effettuazione della revoca di cui al successivo comma 21. Il comma 21 prevede nel termine dei sette giorni dalla ricezione (di cui al comma 19), sovrapponibili al periodo di preavviso lavorato, la lavoratrice o il lavoratore hanno facoltà di revocare le dimissioni e la risoluzione consensuale, offrendo le proprie prestazioni al datore di lavoro. La revoca può essere comunicata in forma scritta. Il contratto di lavoro, se interrotto per effetto del recesso, torna ad avere corso normale dal giorno successivo alla comunicazione della revoca. Il comma 22 prevede l’inefficacia delle dimissioni qualora, in mancanza della convalida ovvero della sottoscrizione di cui al comma 18, il datore di lavoro non trasmette alla lavoratrice o al lavoratore la comunicazione contenente l’invito entro il termine di trenta giorni dalla data delle dimissioni e della risoluzione consensuale. Infine, il comma 23 reca una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 ad euro 30.000 nelle ipotesi in cui il datore di lavoro abusi del foglio firmato in bianco dalla lavoratrice o dal lavoratore al fine di simularne le dimissioni o la risoluzione consensuale del rapporto, salvo che il fatto costituisca reato. L’accertamento e l’irrogazione della sanzione sono di competenza delle Direzioni territoriali del lavoro, con applicazione, in quanto compatibili, le disposizioni della legge 689/1981.

 

Ammortizzatori sociali di settore (comma 6)

Si proroga al 31 dicembre 2013 dei decreti interministeriali, di natura non regolamentare, di proroga e modifica dei fondi di solidarietà di settore, già istituiti ai sensi dell’articolo 2, comma 28, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nelle more dell’adeguamento dei fondi medesimi alle disposizioni della legge n. 92 del 2012. Al fine del predetto adeguamento, è prevista una proroga al 31 dicembre 2013 del termine per la stipula degli accordi finalizzati all’adeguamento dei fondi, con la garanzia della vigenza dei fondi già istituti fino all’emanazione dei decreti interministeriali successivi alla stipula dei predetti accordi.

 

Criteri per la definizione dello stato di disoccupazione (comma 7 e comma 5, lettera d), numero 2)).

Si ripristina la norma (articolo 4, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 181 del 2000, abrogata dall’articolo 4, comma 33, lett.c), della legge n.92/2012) in base alla quale per i servizi pubblici per l'impiego restano in stato di disoccupazione i soggetti che svolgano un'attività lavorativa tale da determinare un reddito annuale non superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione, nonché, in ogni caso, i soggetti che svolgano i lavori socialmente utili.


 

Articolo 7-bis
(Stabilizzazione degli associati in partecipazione con apporto di lavoro)

L’articolo 7-bis (introdotto al Senato) detta norme per la stabilizzazione degli associati in partecipazione con apporto di lavoro.

 

Il contratto di associazione in partecipazione, regolato dagli articoli 2549 – 2554 del codice civile, è il contratto in base al quale l’associante (imprenditore) attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa (o di uno o più affari), verso il corrispettivo di un determinato apporto che può consistere nel versamento di capitale o nell’esecuzione di un’attività lavorativa.

L’articolo 1, commi da 28-31, della legge n. 92/2012, ha introdotto alcune modifiche al contratto di associazione in partecipazione qualora l'apporto dell'associato preveda anche una prestazione di lavoro (solo lavoro o capitale e lavoro).

Il numero degli associati non può essere superiore a tre, indipendentemente dal numero degli associanti (salvo si tratti di soggetti legati all'associante da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo). La violazione di tale limite comporta che il rapporto associativo viene considerato rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Le caratteristiche fondamentali del contratto di associazione in partecipazione si possono riassumere:

Nel contratto di associazione in partecipazione con apporto di lavoro, la prestazione lavorativa dell’associato si realizza secondo i canoni del lavoro autonomo, per cui è l’apporto lavorativo dell’associato si attua in assenza di vincolo di subordinazione nei confronti dell’associante, al quale competerà solo un potere generico di coordinamento dell’attività dell’associato (e non già il potere gerarchico e disciplinare tipico del rapporto di lavoro subordinato)

Secondo la previsione di cui all'articolo 1, comma 30, della legge 92/2012, si presumono, salvo prova contraria, rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato i contratti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro realizzati senza che:

Al fine di prevenire contenziosi è prevista la possibilità di certificare il contratto di associazione in partecipazione secondo la procedura volontaria indicata negli articoli 76 – 81 del Decreto Legislativo 276/2003.

I contratti di associazione in partecipazione in essere alla data del 18 luglio 2012 (data di entrata in vigore della legge n. 92/2012) e certificati mantengono validità fino alla loro cessazione.

 

La stabilizzazione avviene sulla base di contratti collettivi stipulati dai datori di lavoro (anche assistiti dalla propria organizzazione di categoria) con le organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale e si attua mediante la stipula, tra il 1° giugno e il 30 settembre 2013, di contratti di lavoro a tempo indeterminato (anche di apprendistato) con i soggetti in precedenza associati in partecipazione.

A fronte dell’assunzione, il lavoratore è tenuto a sottoscrivere un atto di conciliazione[32] riguardante la pregressa associazione in partecipazione (che vale come sanatoria di tutti i contenziosi eventualmente in atto), mentre il datore di lavoro deve versare (alla gestione separata INPS di cui all’articolo 2, comma 26, della legge n.335/1995) un contributo straordinario integrativo pari al 5% della quota di contribuzione a carico degli associati, per un periodo massimo di 6 mesi.

I nuovi contratti, gli atti di conciliazione e l’attestazione dell’avvenuto versamento del contributo straordinario, devono essere depositati dai datori di lavoro, entro il 31 gennaio 2014, presso le sedi competenti dell’INPS, il quale trasmette alle Direzioni territoriali del lavoro gli esiti delle conseguenti verifiche.

Il buon esito delle verifiche comporta l’estinzione degli illeciti relativi ai pregressi rapporti di associazione in partecipazione e tirocinio.

Infine, si prevede che per le nuove assunzioni sono applicabili i benefici previsti dalla legge per i rapporti a tempo indeterminato.

 

Si fa presente che sull’associazione in partecipazione interviene anche l’articolo 7, comma 5, del decreto legge in esame, che:

·     estende a tale forma contrattuale le tutele (introdotte dall’articolo 4, commi da 16 a 23, della legge n. 92 del 2012) in materia di contrasto del fenomeno delle cosiddette “dimissioni in bianco”;

·     esclude dall’ambito applicativo della sanzione (consistente nella trasformazione del rapporto in contratto a tempo indeterminato) per violazione del numero massimo di associati (tre) in una medesima attività, gli associati nell’ambito di imprese mutualistiche  individuati mediante elezione dell’assemblea (il cui contratto sia comunque certificato dagli appositi organismi di certificazione), nonché i rapporti tra produttori e artisti, interpreti ed esecutori, volto alla realizzazione di registrazioni (sonore, audiovisive o di sequenze di immagini in movimento).

 

Si osserva che l’ambito applicativo della norma non appare definito in termini univoci, in quanto mentre i commi 1-4 fanno riferimento unicamente ai rapporti di associazione in partecipazione, il comma 7 richiama anche (non meglio precisate) “forme di tirocinio”.

Appare utile valutare, inoltre, se l’automatismo tra assunzione e atto di conciliazione possa determinare un affievolimento del diritto di agire in giudizio (art. 24 Cost.).


 

Articolo 8
(Banca dati delle politiche attive e passive)

L'articolo 8, comma 1, istituisce, nell'ambito delle strutture del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la Banca dati delle politiche attive e passive (di seguito: “Banca dati”), al fine di razionalizzare gli interventi di politica attiva di tutti gli organismi centrali e territoriali coinvolti, nonché di garantire l’attivazione del programma di Garanzia per i Giovani (di cui al precedente articolo 5).

La Banca dati ha il compito di raccogliere le informazioni concernenti i soggetti da collocare nel mercato del lavoro, i servizi erogati per una loro migliore collocazione nel mercato stesso e le opportunità di impiego (comma 2).

 

Il comma 3 individua i soggetti (Regioni, Province autonome e Province, come precisato nel corso dell’esame al Senato), I.N.P.S., Italia Lavoro s.p.a. (e l’ISFOL, come precisato nel corso dell’esame al Senato) Ministero dell'istruzione, università e ricerca scientifica (nonché i Ministeri dell'interno e dello sviluppo economico, come evidenziato nel corso dell’esame al Senato), Università pubbliche e private e C.C.I.A.A.) che concorrono alla Banca dati, che costituisce altresì una componente del sistema informativo lavoro di cui all'articolo 11 del D.Lgs. 469/1997 e della borsa continua nazionale del lavoro di cui all'articolo 15 del D.Lgs. 276/2003, reso disponibile attraverso Cliclavoro.

 

Il Sistema Informativo Lavoro (S.I.L.), introdotto dall’articolo 11 del D.Lgs. 469/1997, si configura come l'insieme delle strutture organizzative, delle risorse hardware, software e di rete disponibili presso lo Stato, le Regioni, le Province e gli Enti locali, al fine della rilevazione, l'elaborazione e la diffusione dei dati in materia di collocamento e di politiche attive del lavoro. Obiettivo del SIL è la costruzione di una rete integrata di servizi al lavoro, finalizzata anche al monitoraggio delle dinamiche occupazionali nonché alla rilevazione dell'incontro tra domanda - offerta di lavoro su tutto il territorio nazionale.

La Borsa continua nazionale del lavoro (B.C.N.L.), istituita dall’articolo 15 del D.Lgs. 276/2003, si configura come un sistema aperto e trasparente di incontro tra domanda e offerta di lavoro basato su una rete di nodi regionali, alimentato da tutte le informazioni utili a tale scopo immesse liberamente nel sistema stesso sia dagli operatori pubblici e privati, autorizzati o accreditati, sia direttamente dai lavoratori e dalle imprese. Sostanzialmente si configura come un portale internet attraverso il quale si dovrebbe raggiungere un efficace incrocio domanda/offerta di lavoro, e finalizzato, in coerenza con gli indirizzi comunitari, a favorire la maggior efficienza e trasparenza del mercato del lavoro.

La B.C.N.L. è liberamente accessibile da parte dei lavoratori e delle imprese e deve essere consultabile da un qualunque punto della rete. E’ altresì previsto l’obbligo, per gli operatori pubblici e privati, accreditati o autorizzati, di conferire alla B.C.N.L. i dati acquisiti, in base alle indicazioni rese dai lavoratori e dalle imprese riguardo l'ambito temporale e territoriale prescelto.

Più specificamente, sono previste 2 articolazioni dei servizi, uno a livello nazionale (finalizzato alla definizione degli standard tecnici nazionali e dei flussi informativi di scambio; alla interoperabilità dei sistemi regionali; alla definizione, alla raccolta, alla comunicazione e alla diffusione dei dati che permettono la massima efficienza e trasparenza del processo di incontro tra domanda e offerta di lavoro, assicurando anche gli strumenti tecnologici necessari per la raccolta e la diffusione delle informazioni presenti nei siti internet ai fini dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro) e uno a livello regionale (che nel quadro delle competenze regionali realizza l'integrazione dei sistemi pubblici e privati presenti sul territorio; definisce e realizza il modello di servizi al lavoro e coopera alla definizione degli standard nazionali di intercomunicazione).

Il coordinamento tra il livello nazionale e il livello regionale deve in ogni caso garantire la piena operatività della B.C.N.L. in ambito nazionale e comunitario. A tal fine il Ministero del lavoro e delle politiche sociali rende disponibile l'offerta degli strumenti tecnici alle regioni e alle province autonome che ne facciano richiesta nell'ambito dell'esercizio delle loro competenze.

 

Nella Banca dati, secondo le regole tecniche in materia di interoperabilità e scambio dati definite dal D.Lgs. 82/2005 (cioè l’insieme delle regole che devono garantire la possibilità di interagire tra le pubbliche amministrazioni e i cittadini, ad es. dando la possibilità ai cittadini di accedere a specifici dati senza doversi necessariamente recare presso gli uffici amministrativi), confluiscono la banca dati percettori (di cui all'articolo 19, comma 4, del D.L. 185/2008), l'Anagrafe nazionale degli studenti e dei laureati delle università (di cui all'articolo 1-bis del D.L. 105/2003) e la dorsale informativa di cui all'articolo 4, comma 51, della L. 92/2012 (comma 4).

 

L’articolo 19, comma 4, del D.L. 185/2008 dispone l’obbligo, per l'INPS, di stipulare specifiche convenzioni con gli enti bilaterali per la gestione dei trattamenti e lo scambio di informazioni, anche tramite la costituzione di una apposita banca dati, nella quale confluiscono tutti i dati disponibili relativi ai percettori di trattamenti di sostegno al reddito e ogni altra informazione utile per la gestione dei relativi trattamenti, e alla quale possono accedere determinati soggetti istituzionali. L’INPS ha altresì l’obbligo di provvedere al monitoraggio dei provvedimenti autorizzativi dei benefici previsti dal medesimo articolo 19, consentendo l'erogazione dei medesimi nei limiti dei complessivi oneri indicati in precedenza, ovvero, se determinati, nei limiti di spesa specifici stabiliti con il decreto applicativo degli stessi benefici previsti dall’articolo 19.

 

L’Anagrafe nazionale degli studenti e dei laureati delle università è stata istituita presso il MIUR sulla base della previsione disposta dallart. 1-bis del D.L. 105/2003 (L. 170/2003). Gli obiettivi che fanno capo ad essa, come ridefiniti dall’articolo 27 della L. 240/2010, sono:

§     valutare l'efficacia e l'efficienza dei processi formativi attraverso il monitoraggio tempestivo delle carriere degli iscritti ai vari corsi di studio;

§     promuovere la mobilità nazionale e internazionale degli studenti agevolando le procedure connesse ai riconoscimenti dei crediti formativi acquisiti;

§     fornire elementi di orientamento alle scelte attraverso un quadro informativo sugli esiti occupazionali dei laureati e sui fabbisogni formativi del sistema produttivo e dei servizi;

§     individuare idonei interventi di incentivazione per sollecitare la domanda e lo sviluppo di servizi agli studenti;

§     supportare i processi di accreditamento dell'offerta formativa del sistema nazionale delle istituzioni universitarie;

§     monitorare e sostenere le esperienze formative in ambito lavorativo degli studenti iscritti, anche ai fini del riconoscimento dei periodi di alternanza studio-lavoro come crediti formativi.

Con DM n. 9 del 30 aprile 2004 il MIUR ha individuato i dati che devono essere presenti nei sistemi informativi delle università e che devono essere trasmessi periodicamente all’Anagrafe.

Per completezza, si ricorda che l’articolo 3 del D.Lgs. n. 76/2005 ha previsto l’istituzione, presso il MIUR, anche di un’Anagrafe nazionale degli studenti - oggi riferita, a seguito dell’art. 10, co. 8, del D.L. 179/2012 (L. 221/2012), anche agli iscritti alla scuola dell’infanzia e fino al completamento del secondo ciclo di istruzione -, finalizzata, tra l’altro, alla prevenzione e al contrasto della dispersione scolastica.

 

L’articolo 4, comma 51, della L. 92/2012 definisce l’apprendimento permanente, in linea con le indicazioni dell’Unione europea, come qualsiasi attività di apprendimento intrapresa dalle persone in modo formale, non formale e informale, nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze, in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale.

Le relative politiche sono determinate a livello nazionale, con intesa in Conferenza unificata, su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Ministro dello sviluppo economico e sentite le parti sociali, a partire dalla individuazione e riconoscimento del patrimonio culturale e professionale comunque accumulato dai cittadini e dai lavoratori nella loro storia personale e professionale, da documentare attraverso la realizzazione di una “dorsale informativa unica”, mediante l’interoperabilità delle banche dati centrali e territoriali esistenti.

 

Il comma 5, infine, modificato nel corso dell’esame al Senato, autorizza il Ministero del lavoro e delle politiche sociali a stipulare convenzioni con soggetti pubblici e privati, in particolare per far confluire i dati in loro possesso nella Banca dati richiamata, ed eventualmente in altre banche dati costituite con la stessa finalità, nonché per determinare le modalità più opportune di raccolta ed elaborazione dei dati su domanda e offerta di lavoro secondo le migliori tecniche ed esperienze.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Con riferimento al ruolo degli organismi pubblici nella promozione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro (tema toccato dall’articolo in esame, che prevede la creazione di una banca dati delle politiche attive e passive cui partecipano gli organismi centrali e territoriali con competenze in materia di impiego), si segnala la presentazione, nel giugno 2013, da parte della Commissione europea di una proposta di decisione (COM(2013)430) su una cooperazione rafforzata tra i servizi pubblici per l'impiego (SPI), considerati strumenti essenziali sia per l'attuazione pratica, da parte degli Stati membri, delle politiche in materia di occupazione, come l'iniziativa "Garanzia per i giovani", sia per permettere un più facile incontro fra persone con competenze specifiche e datori di lavoro in cerca di tali competenze. In particolare, la proposta di decisione è volta a istituire una piattaforma che metta a confronto le prestazioni dei servizi pubblici per l'impiego sulla base di valori di riferimento pertinenti, a individuare migliori pratiche e a promuovere l'apprendimento reciproco.

La proposta di decisione è motivata dalla constatata diversità di risultati ottenuti dai servizi SPI degli Stati membri, dovuta alle differenze a livello nazionale in termini di modelli aziendali, strumenti, condizioni del mercato del lavoro e quadro giuridico. Per limitare tale disomogeneità, si ricorda che fin dal 1997 la Commissione ha promosso la collaborazione tra SPI, attraverso la istituzione di un gruppo consultivo informale composto da rappresentanti di questi servizi per promuovere la cooperazione, lo scambio di informazioni e l'apprendimento reciproco tra le organizzazioni partecipanti e per raccogliere informazioni specialistiche sulle iniziative da prendere nel settore dell'occupazione. Ma il fatto che la partecipazione a tale gruppo è su base volontaria non ha permesso il conseguimento di risultati apprezzabili.

In vista della riforma in esame, gli obiettivi individuati dalla rete degli SPI sono: i) una maggiore attenzione alla domanda; ii) adozione di un ruolo guida mediante attività di cooperazione/partnership; iii) elaborazione di azioni incentrate sulle competenze; iv) perseguimento di una politica di attivazione che dia risultati sostenibili; v) miglioramento delle carriere.

Si ricorda che la proposta della Commissione di un quadro finanziario pluriennale include una proposta di 958,19 milioni di EUR a favore di un programma dell'Unione europea per il cambiamento e l'innovazione sociale (PSCI) per il periodo 2014-2020. I finanziamenti per la cooperazione rafforzata tra SPI proverranno dalla sezione occupazione del programma PSCI/ PROGRESS.

Si segnala che la costituzione di partnership tra servizi per l’impiego pubblici e privati, datori di lavoro, parti sociali ed organizzazioni giovanili è stata richiesta anche dal Consiglio dei ministri del lavoro e degli affari sociali - EPSCO - del 28 febbraio 2013, nell’ambito della discussione sull’erogazione di sistemi di garanzia per i giovani.

 


 

Articolo 9, comma 1
(Responsabilità solidale negli appalti )

Il comma 1 dell’articolo 9 reca disposizioni in materia di responsabilità solidale nei contratti di appalto.

 

Più specificamente, la norma:

o    estende l’ambito di applicazione della responsabilità solidale, di cui all'articolo 29, comma 2, del D.Lgs. 276/2003, in relazione ai compensi e agli obblighi di natura previdenziale ed assicurativa, nei confronti dei lavoratori titolari di contratto di lavoro autonomo;

L’articolo 29, comma 2, del D.Lgs. 276/2003 attualmente prevede, facendo salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi nazionali sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative del settore (che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti), l’obbligazione solidale, in caso di appalto di opere o di servizi, tra il committente imprenditore o datore di lavoro e l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori, entro il limite di 2 anni dalla cessazione dell'appalto. La responsabilità solidale si traduce nell’obbligo, per ciascuno dei soggetti sopraindicati, di corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprensivi delle quote di T.F.R. i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto. L’obbligazione solidale non si estende, invece, alle sanzioni civili (di cui risponde solo il responsabile dell'inadempimento).

Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all'appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori, e può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell'appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l'azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l'infruttuosa escussione del patrimonio dell'appaltatore e degli eventuali subappaltatori. Il committente che ha eseguito il pagamento può esercitare l'azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali.

o    esclude dall'ambito della disciplina richiamata i contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni;

o    specifica che le eventuali clausole derogatorie contenute nei contratti collettivi abbiano effetto esclusivamente in relazione ai trattamenti retributivi dovuti ai lavoratori impiegati nell'appalto (o nel subappalto), con esclusione di qualsiasi effetto sul regime di responsabilità solidale relativo ai contributi previdenziali ed assicurativi.

Concretamente, quindi, la norma tende a limitare l'ambito di applicazione della facoltà derogatoria riconosciuta alla contrattazione collettiva.


 

Articolo 9 comma 2
(Sanzioni in materia di sicurezza sul lavoro)

Il comma 2, attraverso una modifica al comma 4-bis dell’articolo 306 del D.Lgs. 81/2008, che prevede un sistema di rivalutazione quinquennale degli importi delle ammende (relative alle contravvenzioni penali) e delle sanzioni amministrative pecuniarie in materia di sicurezza sul lavoro, definisce modalità di adozione e contenuti del provvedimento di rivalutazione periodica ed introduce una prima rivalutazione ex lege a decorrere dal 1° luglio 2013.

 

Si ricorda che l’articolo 4-bis dell’articolo 306 del D.Lgs. 81/2008, introdotto dall’articolo 147 del D.Lgs. 106/2009[33], si limitava a stabilire che l’importo delle ammende e delle sanzioni amministrative pecuniarie in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro venisse rivalutato ogni cinque anni in misura pari all’indice ISTAT dei prezzi al consumo per il corrispondente periodo, previo arrotondamento delle cifre al decimale superiore.

 

Più precisamente, si prevede che l’importo delle suddette sanzioni venga incrementato con decreto del direttore generale della Direzione generale per l’attività ispettiva del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ogni quinquennio, tenendo conto dell’aumento degli indice Istat dei prezzi al consumo. In sede di prima applicazione, a decorrere dal 1° luglio 2013, è introdotta una rivalutazione ex lege nella misura del 9,6% che si applica, così come stabilito nel corso dell’esame al Senato, esclusivamente alle sanzioni irrogate per le violazioni commesse successivamente alla suddetta data.

Si prevede, poi, che la metà dell’ammontare delle maggiorazioni derivanti dall’applicazione del comma in oggetto è destinata al finanziamento di iniziative di vigilanza e di prevenzione e promozione in materia di salute e sicurezza del lavoro effettuate dalle Direzioni territoriali del lavoro.

 


 

Articolo 9, comma 3
(Apprendistato)

Il comma 3, aggiungendo il comma 2-bis all’articolo 3 del D.Lgs. 167/2011, concernente l’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, prevede la possibile trasformazione del contratto, successivamente al conseguimento della qualifica o diploma professionale ai sensi del D.Lgs. 226/2005, in apprendistato professionalizzante (o contratto di mestiere), allo scopo di conseguire la qualifica professionale ai fini contrattuali. In tal caso la durata massima complessiva dei due periodi di apprendistato non può eccedere quella individuata dalla contrattazione collettiva.

 

Si ricorda che ulteriori disposizioni in materia di apprendistato sono contenute all’articolo 2, commi 2 e 3, alla cui scheda si rimanda.

 

Il D.Lgs. 167/2011 (come modificato dalla L. 92/2012 di riforma del mercato del lavoro) definisce l’apprendistato come un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e all’occupazione dei giovani, articolato in tre diverse tipologie contrattuali: apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale; apprendistato professionalizzante (o contratto di mestiere) e apprendistato di alta formazione e ricerca. In particolare l’articolo 4 dispone che i soggetti di età compresa tra i diciotto anni e i ventinove anni possono essere assunti in tutti i settori di attività, pubblici o privati, con contratto di apprendistato professionalizzante o di mestiere per il conseguimento di una qualifica professionale a fini contrattuali. Per i soggetti in possesso di una qualifica professionale, conseguita ai sensi del D.Lgs. 226/2005 il contratto di apprendistato professionalizzante o di mestiere può essere stipulato a partire dal diciassettesimo anno di età.

Si ricorda, inoltre, che, in base all'accordo della Conferenza Stato-Regioni del 27 luglio 2011 recepito con D.M. 11 novembre 2011, a partire dall'anno scolastico e formativo 2011-2012, è stato sancito il passaggio a nuovo ordinamento dei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) previsti dal Capo III D.Lgs. 226/2005. Le regioni pertanto sono tenute ad assicurare percorsi di durata triennale e quadriennale che si concludono con il conseguimento, rispettivamente, di un titolo di qualifica professionale che consente l'accesso al quarto anno del sistema IeFP e di un titolo di diploma professionale che consente l’accesso all’istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS). Tali percorsi rappresentano una delle componenti del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione e sono di competenza legislativa esclusiva delle regioni, spettando allo Stato la garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni.

 


 

Articolo 9, comma 4
(Contrattazione collettiva-
Soppresso)

L’articolo 9, comma 4, è stato soppresso nel corso dell’esame al Senato.

 

Il comma 4 integrava l’articolo 8, comma 2-bis, del D.L. 138/2011, che consente, entro determinati limiti e nel rispetto di alcune condizioni, ai contratti collettivi di secondo livello di derogare alle disposizioni di legge ed alle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro.

Più specificamente, la norma disponeva che le intese realizzate dai contratti collettivi sottoscritti a livello aziendale o territoriale potessero derogare, così come disposto dall’articolo 8, comma 2-bis, del D.L. 138/2011, alle disposizioni di legge ed alle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro (fermo restando il rispetto di quanto previsto dalla Costituzione e a livello comunitario ed internazionale), purché preventivamente depositate presso la Direzione territoriale del lavoro competente per territorio.


 

Articolo 9 commi 4-bis e 4-ter
(Fondo per il diritto al lavoro dei disabili e parità di trattamento)

I commi 4-bis e 4-ter, introdotti nel corso dell’esame al Senato, prevedono disposizioni a favore dei disabili, in particolare disponendo un incremento della dotazione del Fondo per il diritto al lavoro dei disabili per gli anni 2013 e 2014, nonché prescrivendo l’obbligo, per i datori di lavoro pubblici e privati, di adottare accomodamenti ragionevoli nei luoghi di lavoro, al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità.

 

Più precisamente, il comma 4-bis incrementa la dotazione del Fondo per il diritto al lavoro dei disabili, stabilita dall’articolo 13, comma 4, della L. 68/1999, di 10 milioni di euro per l'anno 2013 e di 20 milioni di euro per l'anno 2014.

 

Si ricorda che il citato comma 4 dell’articolo 13 della L. 68/1999, per il finanziamento del Fondo, autorizza la spesa di 40 miliardi di lire per l’anno 1999 e seguenti, di 37 milioni di euro per l’anno 2007 e di 42 milioni di euro a decorrere dall’anno 2008, annualmente ripartito fra le regioni e le province autonome proporzionalmente alle richieste presentate e ritenute ammissibili.

 

Agli oneri derivanti dalla richiamata disposizione si provvede, anche al fine di garantire la compensazione in termini di indebitamento netto e fabbisogno, mediante la riduzione dell'autorizzazione di spesa per il Fondo per l’occupazione (articolo 1, comma 7, del D.L. 148/1993), confluita nel Fondo sociale per l'occupazione e la formazione, per 16,7 milioni di euro per il 2013, e per 33,3 milioni di euro per il 2014.

 

Il Fondo sociale per l’occupazione e la formazione è istituito nello stato di previsione del Ministero del lavoro dall’articolo 18 comma 1, lettera a), del D.L. 185/2008, con quota parte delle risorse nazionali disponibili sul Fondo aree sottoutilizzate (ora Fondo sviluppo e coesione), le quali sono state destinate alle attività di apprendimento, nonché di sostegno al reddito.

 

Il comma 4-ter aggiunge il comma 3-bis all’articolo 3 del D.Lgs. 216/2003 e prescrive ai datori di lavoro pubblici e privati, al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, l’adozione di accomodamenti ragionevoli[34] nei luoghi di lavoro, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata in Italia dalla L. 18/2009, per assicurare alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori.

 

Si ricorda che il D.Lgs. 216/2003 recepisce la direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000[35], che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

Il decreto, attenendosi alle disposizioni della direttiva, è volto a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento.

A tale scopo, dopo aver fornito una precisa definizione di discriminazione diretta e indiretta, viene delimitato il campo di applicazione, prevedendo tra l’altro l’accesso a idonee procedure giurisdizionali al fine di tutelare i diritti e porre rimedio alle discriminazioni.

 

La Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, unitamente al suo Protocollo Opzionale è stata adottata il 13 dicembre 2006 durante la 61a sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ed è stata aperta per la firma il 30 marzo 2007. La Convenzione è uno strumento per la tutela dei diritti umani che si pone esplicitamente nella dimensione dello sviluppo umano; fornisce un’ampia categorizzazione di persone diversamente abili e riafferma che tutte le persone, quale che sia la loro disabilità, debbono poter godere dei diritti umani e delle libertà fondamentali; chiarisce che tutte le categorie di diritti si applicano alle persone con disabilità e identifica le aree nelle quali può essere necessario intervenire per rendere possibile ed effettiva la fruizione di tali diritti;  identifica inoltre le aree nelle quali i diritti sono stati violati e quelle nelle quali la protezione di essi va rafforzata. Scopo della Convenzione non è dunque quello di affermare nuovi diritti umani, ma di stabilire con molta fermezza gli obblighi a carico delle Parti volti a promuovere, tutelare e assicurare i diritti delle persone con disabilità. Al riguardo, la Convenzione, oltre a vietare qualsiasi discriminazione nei confronti delle persone disabili, enumera le molte misure che gli Stati devono adottare per creare un ambiente all’interno del quale esse possano godere di un’effettiva eguaglianza sociale. In Italia essa è stata ratificata dalla citata legge 18/2009. La Convenzione si compone di un Preambolo e di cinquanta articoli. In tema di diritto al lavoro va citato l’articolo 27 , diretto alla realizzazione di un mercato del lavoro che abbia le caratteristiche necessarie a garantire l’inclusione e l’accessibilità delle persone con disabilità, vietando ogni discriminazione in tema condizioni di assunzione, entità della retribuzione, percorsi di carriera, accomodamenti ragionevoli nei luoghi di lavoro (lettera i).

 

Va osservato che la legge di ratifica della Convenzione è la n. 18 del 2009 e non già del 1999.

 

Viene poi precisato che i datori di lavori pubblici devono provvedere all’attuazione delle disposizioni illustrate senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

Procedure di contenzioso

Con riferimento al comma 4-ter, introdotto nel corso dell’esame presso il Senato (che riguarda il diritto al lavoro dei disabili), si ricorda che il 4 luglio 2013 la Corte di giustizia dell’Unione europea, accogliendo uno specifico ricorso della Commissione europea nei confronti dell’Italia (causa C-312/11), ha dichiarato che l’Italia, non avendo imposto a tutti i datori di lavoro di prevedere, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, soluzioni ragionevoli applicabili a tutti i disabili, è venuta meno al suo obbligo di recepire correttamente e completamente l’articolo 5 della direttiva 2000/78/CE.

Tale articolo, infatti, per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili sul lavoro, prevede un vero e proprio obbligo a carico dei datori di lavoro di adottare i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. L’ordinamento italiano, al contrario, fonda l’effettività del diritto al lavoro dei disabili su un sistema di incentivi, agevolazioni e iniziative a carico dell’autorità pubbliche e si basa solo in minima parte su obblighi imposti ai datori di lavoro.

Ad avviso della Corte, gli Stati membri devono stabilire un obbligo per tutti i datori di lavoro di adottare provvedimenti efficaci e pratici in funzione delle esigenze delle situazioni concrete e non è sufficiente che gli Stati membri prevedano misure di incentivo e di sostegno.


 

Articolo 9 comma 5
(Comunicazioni obbligatorie in materia di lavoro)

Il comma 5 fornisce un’interpretazione autentica, quindi con effetto retroattivo, dell’articolo 4-bis, comma 6, del D. Lgs. 181/2000, in materia di pluriefficacia delle comunicazioni obbligatorie nei confronti dei lavoratori.

Il comma in esame, infatti, specifica che le comunicazioni obbligatorie aventi ad oggetto le vicende dei rapporti di lavoro autonomo, subordinato, associato, dei tirocini e delle altre esperienze professionali (assunzione, cessazione, trasformazione e proroga) sono valide ai fini dell’adempimento di tutti gli obblighi di comunicazione che, a qualsiasi fine, sono posti a carico dei lavoratori nei confronti delle Direzioni regionali e territoriali del lavoro, dell’INPS, dell’INAIL o di altri enti, gestori di forme previdenziali sostitutive o esclusive, nonché nei confronti della Prefettura-Ufficio territoriale del Governo e delle Province.

Si ricorda che l’articolo 4-bis del D. Lgs. 181/2000, recante disposizioni per agevolare l'incontro fra domanda ed offerta di lavoro, in attuazione dell'articolo 45, comma 1, lettera a), della L. 144/1999, riguarda le modalità di assunzione e gli adempimenti successivi a questa. In particolare, il comma 5 del citato articolo 4-bis dispone che i datori di lavoro privati e gli enti pubblici economici sono tenuti, per quanto di competenza, a comunicare, entro cinque giorni, al servizio competente nel cui ambito territoriale si trova la sede di lavoro, le seguenti variazioni del rapporto di lavoro:

o     proroga del termine inizialmente fissato;

o     trasformazione da tempo determinato a tempo indeterminato;

o     trasformazione da tempo parziale a tempo pieno;

o     trasformazione da contratto di apprendistato a contratto a tempo indeterminato;

o     trasformazione da contratto di formazione e lavoro a contratto a tempo indeterminato;

o     trasferimento del lavoratore;

o     distacco del lavoratore;

o     modifica della ragione sociale del datore di lavoro;

o     trasferimento d'azienda o di ramo di essa.

 

 


 

Articolo 9 comma 6
(Somministrazione di lavoro)

Il comma 6 dispone l’integrale applicabilità alla somministrazione di lavoro delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Più precisamente, il citato comma 6 reca un’integrazione dell’articolo 23, comma 1, primo periodo, del D.Lgs. 276/2003 al fine di prevedere che ai lavoratori dipendenti dal somministratore si applichino integralmente le disposizioni del D.Lgs. 81/2008 (in materia di salute e sicurezza sul lavoro), per l’intero periodo di missione del lavoratore presso il soggetto utilizzatore.

 

Si ricorda che il contratto di somministrazione di lavoro è stato introdotto dal D.Lgs. 276/2003 (c.d. decreto-Biagi), (articoli 20 e ss.). Tale contratto può essere concluso da ogni soggetto (utilizzatore) che si rivolga ad altro soggetto (somministratore) a ciò autorizzato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Il contratto in oggetto sostituisce dunque il contratto di fornitura di lavoro interinale (la cui disciplina è stata abrogata contestualmente all’entrata in vigore del D. Lgs. 276/2003), pertanto le agenzie di somministrazione hanno preso il posto delle vecchie agenzie di lavoro temporaneo.

Sulla base della normativa vigente, la somministrazione può essere sia a tempo indeterminato, sia a tempo determinato. Nel primo caso si applica la disciplina civilistica, nel secondo la normativa prevista in materia dal D. Lgs. 368/2001.

L’articolo 23 del D.Lgs. 276/2003 prevede alcune tutele per i lavoratori dal punto di vista economico e retributivo, della sicurezza sul lavoro e dell’esercizio del potere disciplinare riservato al somministratore. In particolare, per quanto interessa maggiormente in questa sede, si ricorda che esso introduce:

§      il principio di parità di trattamento tra lavoratori dipendenti dal somministratore e lavoratori di pari livello dell’utilizzatore: a parità di mansioni svolte, i primi hanno diritto a condizioni di base di lavoro e d'occupazione complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore (comma 1, così come novellato dall’articolo 7, comma 1, lett. a), del D.Lgs. 24/2012);

§      un obbligo in solido tra somministratore ed utilizzatore per quanto riguarda la corresponsione ai lavoratori dei trattamenti retributivi e dei contributi previdenziali (comma 3);

§      l’obbligo, da parte del somministratore, di informare i lavoratori sui rischi per la sicurezza e la salute connessi alle attività produttive in generale e li addestra all'uso delle attrezzature di lavoro necessarie allo svolgimento della attività lavorativa (comma 5);

§      l’obbligo per l'utilizzatore, ai fini dell'esercizio del potere disciplinare, riservato al somministratore, di comunicare al somministratore gli elementi che formeranno oggetto della contestazione ai sensi dell'articolo 7 della L. 300/1970 (comma 7);

§      la nullità di qualsiasi clausola diretta a limitare la facoltà del soggetto utilizzatore di procedere all’assunzione del lavoratore al termine del contratto di somministrazione a tempo determinato (comma 8).

 

 


 

Articolo 9, commi da 7 a 10-ter
(Disposizioni in materia di lavoratori extracomunitari)

I commi da 7 a 10-ter dell’articolo 9 recano diverse disposizioni concernenti i lavoratori extracomunitari. 

 

Più specificamente:

§     si modifica la procedura per la richiesta di nulla osta al lavoro degli stranieri (comma 7);

§     si modifica la procedura per l’ammissione di cittadini stranieri alla frequenza in Italia di corsi di formazione (comma 8);

§     si prevede che il cittadino straniero non comunitario che abbia conseguito in Italia un dottorato o un master universitario di secondo livello, possa chiedere un permesso di soggiorno per attesa occupazione (comma 8-bis);.

§     vengono destinate specifiche risorse in favore del Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati (comma 9);

§     si snelliscono i procedimenti volti all’emersione del lavoro nero (comma 10);

§     si semplifica la procedura per la dichiarazione di alloggio del lavoratore straniero da parte del datore di lavoro (commi 10-bis e 10-ter).

 

Richiesta di nulla osta al lavoro degli stranieri

L’articolo 9, comma 7, modifica la procedura per l'instaurazione di un rapporto di lavoro dipendente, a tempo determinato o indeterminato, con un lavoratore non comunitario residente all'estero, prevedendo che la verifica, presso il centro per l'impiego competente, dell'indisponibilità di un lavoratore presente sul territorio nazionale sia svolta precedentemente alla presentazione della richiesta di nulla osta (da parte del datore) presso lo sportello unico per l'immigrazione - mentre, in base alla disciplina fino ad ora vigente, la fase di verifica era successiva alla richiesta e veniva attivata, presso il centro per l'impiego, da parte dello sportello unico per l'immigrazione.

Come si legge nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione la disposizione e finalizzata a rendere più efficace e stringente la verifica della salvaguardia dei soggetti – italiani o stranieri – in cerca di lavoro già presenti sul territorio.

 

La disciplina fino ad ora vigente prevede che il datore di lavoro presenta allo sportello unico per l’immigrazione provinciale la richiesta di nulla osta al lavoro accompagnata dalla documentazione relativa alla sistemazione alloggiativa per il lavoratore straniero, dalla proposta di contratto di soggiorno e dalla dichiarazione di impegno a comunicare ogni variazione concernente il rapporto di lavoro (Testo unico immigrazione, D.Lgs. 286/1998, art. 22, comma 2).

Successivamente si instaura una procedura interna per la verifica dell’indisponibilità di un lavoratore già presente in Italia per quel posto di lavoro (art. 22, comma 4 testo unico) che prevede i seguenti passaggi:

§      lo sportello unico per l'immigrazione comunica le richieste al centro per l'impiego competente;

§      il centro per l'impiego provvede a diffondere le offerte per via telematica agli altri centri ed a renderle disponibili su sito INTERNET o con ogni altro mezzo possibile;

§      decorsi 20 giorni senza che sia stata presentata alcuna domanda da parte di lavoratore nazionale o comunitario, anche per via telematica, il centro trasmette allo sportello unico richiedente una certificazione negativa;

§      se sono state presentate domande, il centro comunica le domande acquisite al datore di lavoro;

§      qualora il termine di 20 giorni sia decorso senza che il centro per l'impiego abbia fornito riscontro, lo sportello unico procede ugualmente al rilascio del nulla osta.

 

Questa procedura viene eliminata con l’abrogazione del comma 4 e sostituita con una novella al comma 2, dove, appunto si prevede che la richiesta di nulla osta è presentata “previa” verifica presso il centro dell’impiego dell’indisponibilità di un lavoratore già presente.

 

Si osserva che non appare chiaro a chi competa la verifica e con quale procedura, stante l’abrogazione di quella indicata dal comma 4. Inoltre, non appare evidente la natura della verifica: nel sistema previgente essa è finalizzata ad accertare la mancanza di lavoratori disponibili per i posti di lavoro richiesti, ma tale verifica può ovviamente avvenire solo successivamente alla richiesta di posti di lavoro, mentre la disposizione in esame ne prevede l’anticipazione ad un momento precedente.

Inoltre, si nota che la verifica di disponibilità di cui al comma 4 riguarda lavoratori italiani e comunitari, mentre la nuova formulazione riguarda anche lavoratori stranieri di Paesi terzi.

 

Modifiche della procedura per l’ammissione di cittadini stranieri alla frequenza in Italia di corsi di formazione

Il comma 8 interviene sulle procedure relative all’ingresso nel territorio nazionale di cittadini stranieri, in possesso dei requisiti per l’ottenimento del visto a scopo di studio, ammessi per la frequenza di corsi di formazione professionale o tirocini formativi, prevedendo essenzialmente la definizione di un contingente triennale per questa categoria di stranieri, al posto di quello annuale stabilito dalla normativa vigente.

Attualmente infatti (D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394[36], articolo 44-bis, commi 5 e 6) il contingente annuale degli stranieri ammessi a frequentare corsi di formazione professionale o tirocini formativi è determinato con Decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri dell’interno e degli affari esteri, sentita la Conferenza permanente Stato-regioni, da emanarsi entro il 30 giugno di ciascun anno.

Il comma 8 in commento, ferme restando la necessità e le modalità di attuazione del Decreto del Ministro del lavoro delle politiche sociali, prevede l’emanazione di tale Decreto ogni tre anni, entro il 30 giugno dell’anno successivo a ciascun triennio. Il comma 8 prevede inoltre, nelle more della emanazione del provvedimento di carattere triennale, e comunque non oltre il 30 giugno di ciascun anno ancora non coperto dal Decreto triennale medesimo, che le rappresentanze diplomatiche e consolari rilascino i visti di cui all’articolo 44-bis, comma 5, del citato D.P.R. 394 del 1999, previa verifica dei requisiti ivi previsti. Il numero dei visti rilasciati in tal guisa viene portato in detrazione del contingente indicato nel decreto triennale successivamente adottato. In carenza di adozione del decreto triennale il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, in via transitoria, può provvedere con proprio Decreto annuale nel limite delle quote stabilite dall’ultimo Decreto emanato in materia. L’attuazione del comma 8 in commento non deve determinare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

Si ricorda che la materia dei visti di ingresso per motivi di studio, borse di studio e ricerca è disciplinata dall’articolo 44-bis del citato DPR 394 del 1999: qui infatti si prevede la possibilità dell’ingresso in Italia per motivi di studio per cittadini stranieri che intendano seguire corsi universitari, come anche corsi di studio superiori o di istruzione tecnico- professionale, ovvero ancora per minori stranieri i cui genitori o tutori residenti all’estero intendano far loro seguire corsi di studio in Italia nell’ambito di scambi e iniziative culturali approvati dal nostro Paese: in nessun caso potranno essere interessati da detta  normativa i minori di anni quattordici. È inoltre consentito l’ingresso a cittadini stranieri assegnatari di borse di studio accordate da Pubbliche Amministrazioni o istituzioni culturali italiane, o anche da governi stranieri. È infine consentito l’ingresso in Italia per attività scientifica a stranieri la cui opera è ritenuta di preminente interesse per il Paese, in ragione della elevata qualità delle attività di studio e ricerca da questi programmate.

 

Soggiorno per attesa occupazione per stranieri laureati)

L’articolo 9, comma 8-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, apporta una modifica all’articolo 22, comma 11-bis, del Testo unico sull’immigrazione (D.Lgs. 286/1998), ai sensi del quale il cittadino straniero non comunitario che ha conseguito in Italia un dottorato o un master universitario di secondo livello, alla scadenza del permesso di soggiorno per motivi di studio, può essere iscritto nell'elenco anagrafico dei lavoratori previsto dall'articolo 4 del D.P.R. 7 luglio 2000, n. 442, e chiedere un permesso di soggiorno per attesa occupazione. In questo caso, l’iscrizione nell’elenco avrà una durata non superiore a dodici mesi.

Resta salva la possibilità per lo studente straniero, in presenza dei requisiti previsti dal Testo Unico, di chiedere la conversione del permesso di soggiorno per studio (prima della scadenza dello stesso) in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

Stante la formulazione della disposizione, la possibilità di richiedere il permesso per attesa occupazione è riservato agli immigrati con permesso di soggiorno per studio che, alla scadenza di questo, abbiano conseguito in Italia il dottorato o il master di secondo livello. La disposizione in esame estende tale possibilità anche a chi abbia conseguito solo la laurea, triennale o specialistica.

 

Si ricorda che, a seguito della previsione contenuta all'articolo 17, comma 95, della L. 127/1997, con DM 509/1999 è stato introdotto nell’ordinamento il c.d. “modello 3+2”, in base al quale le università rilasciano titoli di primo e di secondo livello, denominati, rispettivamente, laurea e laurea specialistica. In seguito, l’art. 3 del DM 270/2004 ha sostituito la denominazione di laurea specialistica con quella di laurea magistrale.

Inoltre, ai sensi del medesimo art. 3, le università possono attivare, disciplinandoli nei regolamenti didattici di ateneo, corsi di perfezionamento scientifico e di alta formazione permanente e ricorrente, successivi al conseguimento della laurea o della laurea magistrale, alla conclusione dei quali sono rilasciati, rispettivamente, i master universitari di primo e di secondo livello.

Con la circolare n. 6786 del 5 settembre 2011, il Ministero dell’interno aveva confermato, in risposta ad un quesito, che l’articolo 22-bis esclude possibilità di rilasciare un permesso di un soggiorno per attesa occupazione anche in favore di quegli studenti stranieri che abbiano proficuamente concluso gli studi universitari e non accedano a dottorati o master universitari di secondo livello e che per procedere a tale conversione fosse preliminarmente necessario uno specifico intervento di modifica legislativa.

 

Appare opportuno un chiarimento circa l’esclusione del riferimento al master di primo livello, considerato che a tale corso si accede con la laurea, titolo che viene contemplato per le finalità delle disposizioni in esame.

In merito alla formulazione del testo, appare necessario sostituire le denominazioni di “laurea triennale” e “laurea specialistica” rispettivamente con “laurea” e “laurea magistrale”.

 

Fondo per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati

L’articolo 9, comma 9, destina in favore del Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati alcune disponibilità residue del contributo statale ai comuni che hanno sostenuto o autorizzato spese per l'accoglienza di extracomunitari minorenni non accompagnati.

Si tratta delle risorse che residuano dall’articolo 5 dell’ordinanza del Presidente del Consiglio 13 aprile 2011, n. 3933, adottata a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza umanitaria in conseguenza del grande afflusso di profughi dall’Africa nel 2011.

 

Nel 2011 si è registrato un forte aumento degli sbarchi di cittadini stranieri sulle coste italiane in conseguenza della crisi che attraversavano i Paesi del Nord Africa. Sono stati oltre 60.000, in gran parte profughi, gli stranieri sbarcati sulle coste italiane nel 2011 (Camera dei deputati, Intervento del Governo in risposta all’interpellanza urgente n. 2-01434, seduta del 10 maggio 2012).

In relazione a tale afflusso massiccio è stato dichiarato lo stato di emergenza umanitaria in tutto il territorio nazionale fino al 31 dicembre 2011 (D.P.C.M. 12 febbraio 2011), poi prorogato al 31 dicembre 2012 (D.P.C.M. 6 ottobre 2011).

La dichiarazione dello stato di emergenza ha consentito l’adozione dell’ordinanza di protezione civile del Presidente del consiglio del 18 febbraio 2011, n. 3924, che ha adottato i primi provvedimenti di urgenza per fronteggiare la situazione tra cui la nomina del Capo della protezione civile quale Commissario delegato per la realizzazione degli interventi necessari in materia. Ad essa sono seguite numerose altre ordinanze, oltre alla citata ordinanza del 13 aprile 2011, n. 3933, si ricordano le ordinanze 21 aprile 2011, n. 3934, 21 aprile 2011, n. 3935, 16 giugno 2011, n. 3947, 26 luglio 2011, n. 3955, 10 agosto 2011, n. 3958, 6 settembre 2011, n. 3962, 21 settembre 2011, n. 3965, 30 settembre 2011, n. 3966, 21 ottobre 2011, n. 3970, 30 settembre 2011, n. 3966, 21 ottobre 2011, n. 3970, 30 dicembre 2011, n. 3991, 10 settembre 2012, n. 19, 9 novembre 2012, n. 24, 23 novembre 2012, n. 26.

Ai cittadini provenienti dei Paesi nordafricani sbarcati in Italia è stato concesso un permesso di soggiorno temporaneo per protezione umanitaria, per consentire la loro libera circolazione nei Paesi dell'area Schengen (D.P.C.M. 5 aprile 2011). La durata del permesso di soggiorno, inizialmente fissata a 6 mesi, è stata poi prorogata di altri 6 mesi dal D.P.C.M. 6 ottobre 2011 e di ulteriori 6 mesi dal D.P.C.M. 15 maggio 2012.

L’articolo 23, comma 11 e 12, del decreto-legge 95/2012 ha disposto in ordine al completamento degli interventi relativi all’emergenza umanitaria legata all’afflusso di immigrati dal Nord Africa, nonché al superamento dell’emergenza entro il 2012.

Il comma 11 è volto ad assicurare la prosecuzione degli interventi connessi al superamento dell'emergenza umanitaria nel territorio nazionale, ivi comprese le operazioni per la salvaguardia della vita umana in mare, in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa, autorizzando, a tal fine, la spesa massima di 495 milioni di euro per l’anno 2012.

La suddetta autorizzazione di spesa è stata iscritta su di un apposito fondo dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, anche all’ulteriore scopo di far fronte a attività volte a definire interventi urgenti già posti in essere.

Il comma 12 ha previsto la chiusura dello stato di emergenza ed il rientro nella gestione ordinaria degli interventi concernenti l’afflusso di immigrati sul territorio nazionale.

Il 31 dicembre 2012 è stata dichiarata la cessazione dello stato di emergenza e il rientro nella gestione ordinaria, da parte del Ministero dell’interno e delle altre amministrazioni competenti, degli interventi concernenti l’afflusso di cittadini stranieri sul territorio nazionale (Ordinanza del Capo Dipartimento della protezione civile 28 dicembre 2012, n. 33).

 

In particolare, l’art. 5 della citata O.P.C.M. 3933/2011, ha stanziato la somma di 9,8 milioni di euro per corrispondere un contributo ai comuni che hanno sostenuto o autorizzato spese per l'accoglienza di minori stranieri non accompagnati fino al 31 dicembre 2011 (termine poi prorogato al 31 dicembre 2012).

A seguito della chiusura dello stato di emergenza e il rientro nella gestione ordinaria, le somme residue sono trasferite con la disposizione in esame al Fondo per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.

La disposizione non quantifica l’importo di tali residui, mentre la relazione tecnica dichiara che il Fondo risulta per l’anno corrente privo di disponibilità finanziarie.

 

L’articolo 23, comma 11 del citato decreto-legge 95/2012 ha istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, con una dotazione di 5 milioni di euro per l'anno 2013, al fine di assicurare la prosecuzione degli interventi a favore dei minori stranieri non accompagnati connessi al superamento dell'emergenza umanitaria e consentire una gestione ordinaria dell'accoglienza.

Con il decreto 12 ottobre 2012, il Ministro del lavoro ha provveduto a ripartire i 5 milioni disponibili per il 2012 tra gli enti locali.

La circolare congiunta Ministero dell’interno e Ministero del lavoro del 24 aprile 2013 aveva previsto che la disponibilità dei fondi avrebbe potuto consentire il finanziamento degli interventi fino al 30 giugno 2013.

 

Nel nostro ordinamento le disposizioni in materia di minori stranieri non accompagnati sono contenute principalmente nel testo unico sull’immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998 (articoli 32 e 33) e nel regolamento del Comitato minori stranieri (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 535 del 1999).

Specifiche disposizioni sul diritto di asilo dei minori non accompagnati sono previste dal decreto legislativo 251 del 2007 (art. 28), dal decreto legislativo n. 25 del 2008 (art. 19) e dalla direttiva del Ministero dell’interno del 7 dicembre 2006.

Per minore non accompagnato si intende il minorenne senza cittadinanza italiana (o di altro Paese dell’Unione Europea) che non ha presentato domanda di asilo politico e che si trova nel territorio dello Stato privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili.

In base all’articolo 6 del DPCM n. 535/99, al minore non accompagnato sono garantiti i diritti relativi al soggiorno temporaneo, alle cure sanitarie, all'avviamento scolastico e alle altre provvidenze disposte dalla legislazione vigente. Alla tutela dell’effettivo esercizio di tali diritti era preposto il Comitato per i minori stranieri, organismo statale operante presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Il Comitato per i minori stranieri, in quanto organismo collegiale in proroga, ha cessato in data 2 agosto 2012 le proprie attività ai sensi del sopracitato art. 12, comma 20, del DL 95/2012 (conv. L. 135/2012) con conseguente trasferimento delle medesime alla Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Ai minori stranieri non accompagnati, una volta che raggiunta la maggiore età, può essere concesso il permesso di soggiorno sempre ché non sia stata attivata nel frattempo la procedura di rimpatrio assistito. Il rilascio del permesso di soggiorno è subordinato al rispetto di una serie di condizioni; esso è rilasciato a coloro che:

-      risultano affidati ad una famiglia o sottoposti a tutela;

-      sono presenti in Italia da almeno 3 anni;

-      hanno partecipato ad un progetto di integrazione della durata di almeno 2 anni;

-      hanno disponibilità di un alloggio:

-      frequentano corsi di studio o svolgono attività lavorativa regolare oppure sono in possesso di un contratto di lavoro anche se non ancora iniziato.

La legge italiana non consente l'espulsione, a meno che non ci siano gravi motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, nei confronti degli stranieri minori di anni 18, salvo il diritto a seguire il genitore o l'affidatario espulsi.

E’ prevista, tuttavia, la possibilità di adottare, nei confronti del minore straniero non accompagnato, un provvedimento di rimpatrio assistito.

Tale provvedimento è adottato dal Ministero del lavoro al fine del ricongiungimento del minore coi propri familiari o al riaffidamento alle autorità responsabili del Paese d'origine, in conformità alle convenzioni internazionali, alla legge e alle disposizioni dell'autorità giudiziaria. Il rimpatrio assistito deve essere finalizzato a garantire il diritto all'unità familiare del minore.

 

Emersione lavoro nero

Il comma 10, al fine di snellire i procedimenti volti all’emersione del lavoro nero, reca alcune integrazioni all’articolo 5 del D.Lgs. 109/2012, che disciplina sanzioni e provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

 

Si ricorda che l’articolo 5 del D.Lgs. 109/2012 ha introdotto una disciplina transitoria secondo cui i datori di lavoro italiani, o cittadini di uno Stato membro dell'Unione europea, o stranieri in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (articolo 9 del D.Lgs. 286/1998) che alla data di entrata in vigore del citato decreto legislativo occupavano irregolarmente da almeno 3 mesi, e continuavano ad occuparli alla data di presentazione della dichiarazione di cui alla disposizione in oggetto, lavoratori stranieri presenti nel territorio nazionale in modo ininterrotto almeno dalla data del 31 dicembre 2011, attestata da documentazione proveniente da organismi pubblici, o precedentemente, avrebbero potuto dichiarare, dal 15 settembre al 15 ottobre 2012, la sussistenza del rapporto di lavoro allo sportello unico per l'immigrazione, previo pagamento di un contributo forfettario di 1.000 euro per ciascun lavoratore, così come stabilito dal DM 29 agosto 2012 che disciplina le modalità di presentazione della dichiarazione.

 

Il comma 10 introduce 3 nuovi commi all’articolo 5 del D.Lgs. 109/2012.

Il comma 11-bis dispone che, nei casi in cui la dichiarazione di emersione sia rigettata per cause imputabili esclusivamente al datore di lavoro, previa verifica da parte dello sportello unico per l’immigrazione della sussistenza del rapporto di lavoro, al lavoratore venga rilasciato un permesso di soggiorno per attesa occupazione. Nei confronti del lavoratore sono archiviati i procedimenti penali ed amministrativi a suo carico previsti dal comma 6 dell’articolo 5 del D.Lgs. 109/2012, mentre nei confronti del datore di lavoro si applica il comma 10 del medesimo decreto.

Il citato comma 6 dispone che i procedimenti penali e amministrativi nei confronti del datore di lavoro e del lavoratore sono sospesi fino alla conclusione della procedura di emersione. I procedimenti penali ed amministrativi ai quali il comma 6 si riferisce sono quelli instaurati per violazione delle norme relative:

§      all'ingresso e al soggiorno nel territorio nazionale, con esclusione di quelle derivanti da attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno[37];

§      al D.Lgs. 109/2012 e comunque all'impiego di lavoratori anche se rivestano carattere finanziario, fiscale, previdenziale o assistenziale.

Secondo il comma 10 dell’articolo 5 del D.Lgs. 109/2012, nei casi in cui non venga presentata la dichiarazione di emersione, oppure si proceda all'archiviazione del procedimento o al rigetto della dichiarazione, la sospensione di cui al comma 6 cessa, rispettivamente, alla data di scadenza del termine per la presentazione, o alla data di archiviazione del procedimento o di rigetto della dichiarazione medesima. Si procede comunque all'archiviazione dei procedimenti penali e amministrativi a carico del datore di lavoro nel caso in cui l'esito negativo del procedimento derivi da motivo indipendente dalla sua volontà o dal suo comportamento.

 

Secondo il comma 11-ter nei casi di cessazione del rapporto di lavoro oggetto di una dichiarazione di emersione non ancora definita, se il lavoratore è presente sul territorio nazionale in modo ininterrotto almeno dalla data del 31 dicembre 2011, la procedura di emersione si considera conclusa e al lavoratore è rilasciato un permesso di attesa occupazione o, se vi è una richiesta di assunzione da parte di un nuovo datore di lavoro, un permesso di soggiorno per lavoro subordinato, con contestuale estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi relativi alle violazioni di cui all’articolo 5, comma 6, del D.Lgs. 109/2012 (vedi infra). In questi casi, come previsto dal successivo comma 11-quater, il datore di lavoro che ha presentato la dichiarazione di emersione resta responsabile per il pagamento di un contributo forfettario pari a 1.000 euro per ciascun lavoratore sino alla data di comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro; gli uffici procedono comunque alla verifica dei requisiti prescritti per legge in capo al datore di lavoro che ha presentato la dichiarazione di emersione, ai fini dell’applicazione del citato comma 10 (vedi infra).

 

Dichiarazione di alloggio del lavoratore straniero da parte del datore di lavoro

I commi 10-bis e 10-ter dell’articolo 9 riguardano la dichiarazione che il datore di lavoro rende alla questura relativa all’alloggio del lavoratore straniero non comunitario, qualora sia il datore di lavoro stesso a mettere a disposizione del lavoratore un alloggio, prevedendo che essa è assolta con la dichiarazione che il datore di lavoro è tenuto a presentare presso il Servizio competente per territorio (solitamente le Direzioni provinciali del lavoro) in caso di instaurazione di un rapporto di lavoro (sia con un lavoratore straniero, sia italiano) prevista dal comma 2 dell'articolo 9-bis del decreto legge 10 ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 1996, n. 608.

 

Si ricorda che ai sensi del’art. 7 del Testo unico immigrazione (D.Lgs. 286/1998)[38] chiunque alloggia uno straniero (anche mediante cessione della proprietà o del godimento di immobili, rustici o urbani) è tenuto a darne comunicazione scritta, entro quarantotto ore, all'autorità locale di pubblica sicurezza. Nella comunicazione deve essere specificato, oltre alle generalità del denunciante, quelle dello straniero, gli estremi del passaporto o del documento di identificazione che lo riguardano, l'esatta ubicazione dell'immobile ceduto o in cui la persona è alloggiata, ospita o presta servizio ed il titolo per il quale la comunicazione è dovuta. In caso di violazione di tale obbligo è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 160 a 1.100 euro.

Inoltre, l’art. 22 del Testo unico prevede che il datore di lavoro presenta allo sportello unico per l’immigrazione provinciale la richiesta di nulla osta al lavoro accompagnata dalla documentazione relativa alla sistemazione alloggiativa per il lavoratore straniero (non necessariamente messa a disposizione dal datore di lavoro medesimo), oltre che dalla proposta di contratto di soggiorno e dalla dichiarazione di impegno a comunicare ogni variazione concernente il rapporto di lavoro.

 

Il comma 10-bis in commento, pertanto, semplifica gli obblighi del datore di lavoro che, qualora alloggi od ospiti il lavoratore, con una unica dichiarazione assolve due prescrizioni di legge (quella della dichiarazione al servizio competente e quella alla questura).

 

Si osserva che andrebbe valutata l’opportunità di chiarire se la dichiarazione assolva anche l’obbligo generale (relativo, cioè, non solo agli stranieri) di comunicazione all'autorità locale di pubblica sicurezza, in caso di cessione della proprietà o del godimento o comunque dell'uso a qualunque titolo di un fabbricato (o di parte di esso), per un tempo superiore a un mese (art. 12 del D.L. 59/1978, n. 59).

 

Ai sensi del citato art. 9-bis, comma 2, del D.L. 510/1996, in caso di instaurazione del rapporto di lavoro subordinato e di lavoro autonomo in forma coordinata e continuativa, i datori di lavoro sono tenuti a darne comunicazione al Servizio competente nel cui ambito territoriale è ubicata la sede di lavoro entro il giorno antecedente a quello di instaurazione dei relativi rapporti, mediante documentazione avente data certa di trasmissione. La comunicazione deve indicare i dati anagrafici del lavoratore, la data di assunzione, la data di cessazione qualora il rapporto non sia a tempo indeterminato, la tipologia contrattuale, la qualifica professionale e il trattamento economico e normativo applicato. Con la modifica in esame la comunicazione dovrà comprendere anche l’ubicazione dell’immobile del lavoratore (se straniero).

A tal fine, il comma 10-ter, prevede la definizione delle modifiche necessarie al decreto interministeriale 30 ottobre 2007 che disciplina i moduli per la presentazione delle dichiarazioni inerenti al rapporto di lavoro tra cui il modello Unificato LAV per le comunicazioni di cui al’art. 9-bis sopra citato.

Le modifiche sono adottate con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'interno e il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica Amministrazione entro 90 giorni dall'entrata in vigore della presente legge.

 

Si osserva che andrebbe valutata l’opportunità di inserire la disposizione di cui al comma 10-bis in forma di novella all’art. 7 del  testo unico immigrazione.


 

Articolo 9 comma11
(Norme relative ad assunzioni congiunte di lavoratori
nelle imprese agricole)

Il comma 11 introduce (integrando l’articolo 31 del D.Lgs. n.276/2003) la facoltà per le imprese agricole appartenenti allo stesso gruppo (ai sensi dell’articolo 2359 c.c., o riconducibili allo stesso proprietario o a soggetti legati da un vincolo di parentela o affinità entro il terzo grado) di procedere ad assunzioni congiunte di lavoratori dipendenti (ai fini dello svolgimento di prestazioni lavorative presso le relative aziende), prevedendo, al riguardo, una responsabilità solidale per le obbligazioni contrattuali, previdenziali e di legge conseguenti ai diversi rapporti di lavoro così costituiti. L’assunzione congiunta può essere effettuata anche qualora le imprese siano legate da un contratto di rete, purché le imprese agricole rappresentino almeno il 50% del totale. La definizione delle modalità delle assunzioni congiunte è demandata ad un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

 

Ai sensi dell’articolo 2359 c.c. sono considerate società controllate le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria; le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria; le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa. Si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi. Sono considerate collegate le società sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole. L'influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati.

 

La disciplina del contratto di rete risulta contenuta principalmente nell’articolo 3, commi 4-ter-4-quinques del decreto-legge 5/2009, che detta alcune caratteristiche fondamentali che il contratto di rete deve assumere per essere riconosciuto come tale all'interno dell'ordinamento giuridico:

§      esso deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per atto firmato digitalmente trasmesso ai competenti uffici del registro delle imprese;

§      è, inoltre, soggetto a iscrizione nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante e la sua efficacia inizia a decorrere da quando è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte.

§      deve possedere le seguenti caratteristiche principali:

1.      lo scopo del contratto deve essere quello di accrescere la capacità innovativa e la competitività sul mercato;

2.      gli obblighi di collaborazione devono concretizzarsi in forme e in ambiti predeterminati come lo scambio di informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero l'esercizio in comune di una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa;

3.      deve essere previsto un fondo patrimoniale e un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso;

4.      può essere prevista la possibilità di acquisire soggettività giuridica.


 

Articolo 9 comma 12
(Spese enti locali per lavoro accessorio)

L’articolo 9 comma 12 apporta modifiche all’articolo 9, comma 28, quarto periodo, del D.L. n. 78/2010 (legge n. 122/2010), al fine di escludere la spesa sostenuta dagli enti locali per lo svolgimento di attività sociali mediante forme di lavoro accessorio dai vincoli alla spesa di personale previsti nel medesimo comma.

Dunque, la tipologia di spesa suddetta viene sottratta, a decorrere dall’anno 2013, dal limite del 50 percento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2011.

 

Più specificamente l’articolo 9 comma 28 del D.L. n. 78/2010 – come modificato dal comma 12 in esame - prevede che, a decorrere dall’anno 2013, gli enti locali, per le assunzioni necessarie a garantire l'esercizio delle funzioni di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore sociale – nonché ora anche per lo svolgimento di attività sociali mediante forme di lavoro accessorio - possano derogare al limite di spesa del 50 per cento di quella sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009.

L’articolo 9, comma 28, primo e secondo periodo, dispone che, a decorrere dal 2011, le spese per il personale a tempo determinato, o con convenzioni, o con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, e quelle relative a contratti di formazione-lavoro, ad altri rapporti formativi, alla somministrazione di lavoro, nonché al lavoro accessorio sostenute dalle amministrazioni dello Stato, dalle agenzie, dagli enti pubblici non economici, dalle università e dagli enti pubblici di cui all'articolo 70, comma 4, del D.Lgs. 165/2001[39], dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (fermo quanto previsto dagli articoli 7, comma 6[40], e 36 del D.Lgs. 165/2001[41]), non possono superare il 50% della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009. Il terzo periodo del comma 28 prevede che le norme di cui al medesimo comma 28 costituiscono principi generali ai fini del coordinamento della finanza pubblica ai quali si adeguano le regioni, le province autonome, gli enti locali e gli enti del Servizio sanitario nazionale.

 

Il lavoro accessorio è disciplinato dagli articoli da 70 a 74 del D.Lgs. 276/2003

Ai sensi dell’articolo 70, comma 1, per prestazioni di lavoro accessorio si intendono le attività lavorative di natura occasionale nel caso in cui diano complessivamente luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi non superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare (annualmente rivalutati sulla base della variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell'anno precedente). Le prestazioni possono essere rese in tutti i settori, da parte di qualsiasi committente, con qualsiasi lavoratore (salvo alcuni limiti nel settore agricolo), mentre per quanto concerne le prestazioni rese nei confronti di imprenditori commerciali o professionisti (fermo restando il limite dei compensi fissato in linea generale a 5.000 euro annui), si prevede che le attività svolte a favore di ciascun committente non possono comunque superare i 2.000 euro annui.

La L. 92/2012 ha soppresso le discipline sperimentali (previste dalla normativa previgente fino al 31 dicembre 2012) che consentivano prestazioni di lavoro accessorio da parte di titolari di contratti di lavoro a tempo parziale nonché di percettori di prestazioni integrative del salario o sostegno al reddito, a condizione che fosse rispettato un limite massimo degli emolumenti ricevuti, pari a 3.000 euro per anno solare e che tali prestazioni fossero comunque compatibili con quanto disposto dall’articolo 19, comma 10, del D.L. 185/2008, il quale subordina il diritto a percepire qualsiasi trattamento di sostegno al reddito previsto dalla legislazione vigente in materia di ammortizzatori sociali, alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro o a un percorso di riqualificazione professionale.

Per il 2013 le prestazioni di lavoro accessorio possono essere altresì rese, in tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali, fermo restando il rispetto dei vincoli previsti dalla normativa vigente in materia di contenimento delle spese di personale e, ove previsto, dal patto di stabilità interno, nel limite massimo di 3.000 euro di corrispettivo per anno solare, da soggetti titolari di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito.

L’articolo 72 disciplina le modalità di assolvimento dell’obbligo retributivo e contributivo connesso alle prestazioni, prevedendo che esso avviene attraverso l’acquisto presso le rivendite autorizzate, da parte dei datori di lavoro, di uno o più carnet di buoni per prestazioni di lavoro accessorio (cd. voucher), che garantiscono la retribuzione nonché la copertura previdenziale ed assicurativa, da consegnare al prestatore di lavoro accessorio. Il valore nominale dei buoni è fissato con specifico decreto, con il quale vengono anche stabiliti gli aggiornamenti periodi del valore stesso, ed è stabilito tenendo conto della media delle retribuzioni rilevate per le attività lavorative affini a quelle richiamate in precedenza, nonché del costo di gestione del servizio. Inoltre, i buoni devono essere orari, numerati progressivamente e datati; si prevede, quindi, che in sede di adozione del decreto ministeriale chiamato ad aggiornare periodicamente il valore nominale dei buoni, si dovrà tener conto delle “risultanze istruttorie del confronto con le parti sociali”.

 

Attualmente il valore nominale del buono, fissato con D.M. 30 settembre 2005, è pari a 10 euro e non è ricollegato ad una retribuzione minima oraria (nota INAIL n. 6464/2010).

I compensi percepiti dal lavoratore sono computati ai fini della determinazione del reddito necessario per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno. Al riguardo, si segnala che la circolare n. 4 del 2013 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha sottolineato che ai sensi dell’articolo 26, comma 3, del D.Lgs. 286/1998 “il lavoratore non appartenente all’Unione europea deve comunque dimostrare di disporre di idonea sistemazione alloggiativa e di un reddito annuo, proveniente da fonti lecite, di importo superiore al livello minimo previsto dalla legge per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria”. Inoltre, ai sensi dell’articolo 13 del D.P.R. 394/1999 “ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno (…) la documentazione attestante la disponibilità di un reddito da lavoro o da altra fonte lecita, sufficiente al sostentamento proprio e dei familiari conviventi a carico può essere accertata d’ufficio sulla base di una dichiarazione temporaneamente sostitutiva resa dall’interessato con la richiesta di rinnovo”.

Sempre riguardo alle caratteristiche dei buoni, la circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 4/2013 ha sottolineato che, “considerata la natura preventiva della comunicazione sull’utilizzo del lavoro accessorio, al fine di consentire la massima flessibilità sia del voucher telematico, sia di quello cartaceo, il riferimento alla data non può che implicare che la stessa vada intesa come un arco temporale di utilizzo del voucher non superiore ai 30 giorni decorrenti dal suo acquisto”.

E’ stata infine dettata una disciplina transitoria per l’utilizzo (articolo 1, comma 33, della legge 92/2012), secondo la previgente disciplina, dei buoni per prestazioni di lavoro accessorio già richiesti alla data di entrata in vigore della stessa L. 92/2012 (e cioè il 18 luglio 2012) e comunque non oltre il 31 maggio 2013. In sostanza, i buoni già acquistati possono essere utilizzati entro il 31 maggio 2013 rispettando la precedente disciplina “anche e soprattutto in relazione al campo di applicazione del lavoro accessorio” (come specificato dalla circolare n 4/2013).

Il monitoraggio sui dati relativi ai voucher riscossi, venduti e sul numero dei lavoratori così retribuiti è effettuato dall’INPS.

Il prestatore di lavoro accessorio percepisce il proprio compenso presso il concessionario (individuato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali con apposito decreto, con il quale sono anche regolamentati i criteri e le modalità per il versamento dei contributi e delle relative coperture assicurative e previdenziali), all'atto della restituzione dei buoni ricevuti dal beneficiario della prestazione di lavoro accessorio. Tale compenso è esente da qualsiasi imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato del prestatore di lavoro accessorio.

Spetta al concessionario provvedere al pagamento delle spettanze alla persona che presenta i buoni, registrandone i dati anagrafici e il codice fiscale, nonché effettuare il versamento per suo conto dei contributi per fini previdenziali alla Gestione separata INPS (in misura pari al 13% del valore nominale del buono, e per fini assicurativi contro gli infortuni all'INAIL (in misura pari al 7% del valore nominale del buono), trattenendo l'importo autorizzato dal decreto a titolo di rimborso spese.

L’articolo 72, comma 4, dispone l’adeguamento delle aliquote dei contributi previdenziali rispetto a quelle previste per gli iscritti alla Gestione separata dell’INPS, da rideterminare con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

Si ricorda che (nota del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 5425 del 2011) al lavoro accessorio non è applicabile il criterio generale di ripartizione del carico previdenziale tra committente e prestatore di lavoro, previsto dall'articolo 2, comma 30, della L. 335/1995, con la conseguenza che i contributi previdenziali, compresi nel valore nominale del voucher, sono a totale carico del committente.

Per l'impresa familiare trova applicazione la normale disciplina contributiva e assicurativa del lavoro subordinato (art. 72, comma 4-bis, del D.Lgs. 276/2003).

Come specificato nella circolare INPS n. 88/2009 e successivamente confermato dalla circolare INPS n. 17/2010 e dalla circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 4 del 18 gennaio 2013, le prestazioni accessorie devono essere svolte direttamente a favore dell'utilizzatore della prestazione, senza il tramite di intermediari. Pertanto, è da ritenersi escluso che un'impresa possa utilizzare lavoratori per svolgere prestazioni a favore di terzi, come nel caso dell'appalto o della somministrazione di lavoro.


 

Articolo 9, commi da 13 a 15-ter
(Disciplina della s.r.l. semplificata e a capitale ridotto )

I commi dal 13 al 15 modificano la disciplina della società a responsabilità limitata semplificata, eliminando per i soci il limite dei trentacinque anni di età e prevedendo che gli amministratori della società non debbano necessariamente essere soci; contestualmente è soppressa la figura della società a responsabilità limitata a capitale ridotto. I commi 15-bis e 15-ter, introdotti nel corso dell’esame in sede referente, modificano la disciplina della società a responsabilità limitata, prevedendo in particolare che il capitale sociale possa essere determinato in misura inferiore a diecimila euro e pari almeno ad un euro.

 

In particolare, il comma 13 apporta alcune modifiche all'art. 2463-bis del codice civile, che disciplina le società a responsabilità limitata semplificata.

In particolare la norma:

§      elimina il requisito dell'età inferiore ai 35 anni dei soci fondatori;

§      elimina - conseguentemente - il divieto di cessione delle quote a soci ultra trentacinquenni e la sanzione della nullità in caso di cessione nonostante il divieto;

§      elimina l'obbligo di scegliere l'amministratore tra i soli soci.

 

La società a responsabilità limitata semplificata (articolo 2463-bis c.c.) è stata introdotta nel nostro ordinamento dall’articolo 3 del D.L. n. 1 del 2012. La disposizione, modellata sullo schema dell'articolo 2463, prevedeva, al primo comma, che la società semplificata a responsabilità limitata poteva essere costituita con contratto o atto unilaterale da persone fisiche che non avessero compiuto i trentacinque anni di età alla data della costituzione.

La società a responsabilità limitata (art. 2463 c.c.) può essere costituita con contratto o con atto unilaterale e l'atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico; l’ammontare del capitale sociale non può essere inferiore a diecimila euro.

Con la società a responsabilità limitata semplificata si è inteso favorire l’ingresso dei giovani nel mondo dei lavoro, prevedendo il requisito dell’età fino ai trentacinque anni in coerenza con l’articolo 27 del decreto legge n. 98 del 2011 (circa il regime fiscale di vantaggio per l'imprenditoria giovanile) mediante la loro partecipazione a strutture associative prive dei rigorosi limiti previsti per le società di capitali anche di natura economica (10.000 euro di capitale) imposti ordinariamente dall’art. 2463 c.c., così da favorire la partecipazione dei giovani a strutture associate attraverso la semplificazione dei requisiti per l’istituzione e il funzionamento della società.

L'atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico secondo un modello standard definito con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico.

Il capitale sociale deve essere pari almeno ad 1 euro e inferiore a 10.000 euro, e deve essere sottoscritto e interamente versato alla data della costituzione.

L'atto costitutivo e l'iscrizione nel registro delle imprese sono esenti da diritti di bollo e di segreteria e non sono dovuti onorari notarili.

 

Nel corso dell’esame in sede referente è stato aggiunto all’articolo 2463-bis il nuovo comma 3 secondo il quale le clausole del modello standard tipizzato sono inderogabili.

 

Il comma 14 sopprime la disciplina recata dall'articolo 44 del D.L. n. 83 del 2012 relativa alle società a responsabilità limitata a capitale ridotto, che potevano essere costituite da soci di età superiore ai trentacinque anni.

Residua, ma è ora riferita alla s.r.l. semplificata - l'unica rimasta tra le varianti delle s.r.l. la cui costituzione è aperta a prescindere da limiti di età - la disposizione che prevede la promozione di un accordo tra il Ministro dell'economia e delle finanze e l'Associazione bancaria italiana, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, per fornire credito a condizioni agevolate ai giovani di età inferiore a trentacinque anni, che avviano un'impresa in questa forma.

La società a responsabilità limitata a capitale ridotto era stata prevista dall’articolo 44 del D.L. n. 83 del 2012 al fine di ridurre i costi per l’avvio di un’impresa anche a coloro che hanno già compiuto 35 anni, consentendo di costituire una società a responsabilità limitata con un capitale sociale anche di un solo euro. La s.r.l. a capitale ridotto affiancava la tradizionale s.r.l., disciplinata dall’art. 2463 del codice civile, e la suddetta società semplificata a responsabilità limitata, disciplinata dall’articolo 2463-bis. Il relativo atto costitutivo doveva essere redatto per atto pubblico. Gli amministratori, diversamente dalla previgente disciplina della s.r.l. semplificata, potevano anche essere scelti tra persone diverse dai soci.

 

Il comma 15 riversa nella forma giuridica della società a responsabilità limitata semplificata le esistenti società a responsabilità limitata a capitale ridotto, prevedendo che la loro iscrizione al registro delle imprese muti di qualificazione, definendosi ora "società a responsabilità limitata semplificata": a queste ultime verranno quindi totalmente uniformate nella disciplina delle vicende successive all'atto costitutivo, pur permanendo la differenziazione iniziale.

Si rammenta, infatti, che l’articolo 3, comma 3, del D.L. n. 1 del 2012, con riferimento alla s.r.l. semplificata, prevede che l'atto costitutivo e l'iscrizione nel registro delle imprese sono esenti da diritto di bollo e di segreteria e non sono dovuti onorari notarili.

 

Il comma 15-bis, inserito nel corso dell’esame in sede referente, modifica l'articolo 2464, comma quarto, del codice civile, relativo ai conferimenti nelle società a responsabilità limitata.

In particolare la lettera a) prevede che il versamento dei conferimenti (il venticinque per cento dei conferimenti in danaro e l'intero soprapprezzo o, nel caso di costituzione con atto unilaterale, il loro intero ammontare) sia effettuato non più presso una banca (come previsto dalla norma vigente), ma all'organo amministrativo nominato nell'atto costitutivo.

La lettera b) aggiunge inoltre che i mezzi di pagamento sono indicati nell'atto costitutivo.

 

Il comma 15-ter integra l'articolo 2463 del codice civile, relativo alla costituzione della s.r.l..

In particolare si prevede che l'ammontare del capitale possa essere determinato in misura inferiore a diecimila euro, pari almeno a un euro. In tal caso i conferimenti devono farsi in denaro e devono essere versati per intero alle persone cui è affidata l'amministrazione.

Per formare la riserva legale, prevista dall'articolo 2430 c.c., la somma da dedurre dagli utili netti risultanti dal bilancio regolarmente approvato deve essere almeno pari a un quinto degli stessi, fino a che la riserva non abbia raggiunto, unitamente al capitale, l'ammontare di diecimila euro.

La riserva così formata può essere utilizzata solo per imputazione a capitale e per copertura di eventuali perdite e deve essere reintegrata se viene diminuita per qualsiasi ragione.

 


 

Articolo 9, commi 16 e 16-bis
(Disciplina delle start-up innovative)

I commi 16 e 16-bis apportano modifiche specifiche all’articolo 25, commi 2 e 3, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, relativo ai requisiti della start-up innovativa.

Più in particolare, il comma 16 prevede:

·       la soppressione  della lettera a) dell’articolo 25, comma 2.

Si ricorda che la disposizione in vigore prima del 28 giugno 2013 prevedeva, tra i requisiti, che i soci fossero persone fisiche e che detenessero al momento della costituzione e per i successivi ventiquattro mesi, la maggioranza delle quote o azioni rappresentative del capitale sociale e dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria dei soci.

 

·     la modifica del comma 2 la lettera h) punto 1). La disposizione diminuisce dal 20 al 15 per cento la percentuale della spesa che deve essere destinata all’attività di ricerca e sviluppo;

 

·     la modifica del comma 2 lettera h) punto 2). La disposizione estende il vigente requisito opzionale per la qualifica di start-up innovativa alle imprese con almeno 2/3 della forza lavoro complessiva costituita da dipendenti e collaboratori che siano in possesso di una laurea magistrale.

Si ricorda che la disposizione in vigore prima del 28 giugno 2013 prevedeva come requisito solo l’impiego di almeno un terzo della forza lavoro costituito da personale in possesso di dottorato di ricerca, o dottorandi o laureati con attività almeno triennale di ricerca.

 

·     la modifica del comma 2 lettera h punto 3). La disposizione estende il requisito relativo al possesso di brevetti, marchi, modelli, oltre che in relazione a invenzioni industriali, biotecnologiche, nuove varietà vegetali, anche a programmi per elaboratore (software).

 

Si ricorda che il comma 2 dell'articolo 25, del decreto legge 179/2012, prevede che per "start-up innovativa" si intenda una società di capitali non quotata, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano, ovvero una Societas Europaea residente in Italia ai sensi dell'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, cioè soggetta a tassazione in Italia,  e che sia in possesso di determinati requisiti tra cui,sia in attività da non più di 48 mesi;abbia sede principale dei propri affari e interessi in Italia; abbia un fatturato non superiore a 5 milioni di euro;non distribuisca utili; abbia per oggetto sociale lo sviluppo di prodotti o servizi innovativi, ad alto valore tecnologico; non sia costituita da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda.

 

Il comma 16-bis, introdotto durante l’esame al Senato, elimina il termine, per le società che erano già costituite alla data di entrata in vigore del decreto legge 179/2012, di depositare entro 60 giorni la dichiarazione del possesso dei requisiti all’Ufficio del registro delle imprese.

 


 

Articolo 9, comma 16-ter
(Proroga al 2016 degli incentivi all’investimento in start-up innovative)

Il comma 16-ter, novellando i commi 1 e 4 dell’articolo 29 del D.L. n. 179 del 2012, estende anche al 2016 le agevolazioni fiscali previste per le annualità 2013-2015, in favore di persone fisiche e persone giuridiche che intendono investire nel capitale sociale di imprese “start-up innovative”.

Il richiamato articolo 29, al comma 1, dispone che, per gli anni 2013, 2014 e 2015, i soggetti passivi IRPEF possono fruire di una detrazione d’imposta pari al 19 per cento delle somme investite nel capitale sociale di una o più start-up innovative. Tale percentuale si innalza al 25 per cento per le start-up a vocazione sociale o operanti in ambito energetico (ai sensi del successivo comma 7).

Ai fini dell'agevolazione, le somme possono essere investite sia direttamente sia per il tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) che investano prevalentemente in start-up innovative.

L’investimento massimo detraibile non può eccedere l'importo di 500.000 euro per ciascun periodo d’imposta, con il vincolo che deve essere mantenuto per almeno 2 anni. Qualora l'investimento venga ceduto, anche parzialmente, prima del decorso di tale termine, il contribuente decade dal beneficio con l’obbligo di restituire l’importo detratto, unitamente agli interessi legali (comma 3)

I commi 4 e 5 introducono incentivi in favore delle persone giuridiche soggetti IRES. In particolare il comma 4 prevede che, per i periodi d’imposta 2013, 2014 e 2015, il 20 per cento della somma investita nel capitale sociale di una o più imprese start-up innovative, direttamente ovvero per il tramite di OICR o altre società che investano prevalentemente in imprese start-up innovative, non concorra alla formazione del reddito dei soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società (IRES) diversi da imprese start-up innovative.

La suddetta deduzione sale al 27 per cento per le start-up a vocazione sociale o operanti in ambito energetico, ai sensi del successivo comma 7.

Analogamente a quanto previsto per le persone fisiche, per poter fruire dell'agevolazione l'investimento deve essere mantenuto per almeno due anni e in caso di cessione, anche parziale, dell’investimento prima di tale termine il beneficio decade e va recuperato a tassazione l’importo dedotto, maggiorato degli interessi legali. In ogni caso l'importo massimo deducibile non può superare, in ciascun periodo d’imposta, 1.800.000 euro (comma 5).

Il comma 8 affida a un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto col Ministero dello sviluppo economico, l’individuazione delle modalità attuative delle predette agevolazioni. Il provvedimento deve essere emanato entro 60 giorni dall'entrata in vigore del provvedimento in esame (20 ottobre 2012), ovvero entro il 19 dicembre 2012. Il comma 9 subordina infine l’efficacia delle disposizioni recate dall'articolo in commento all’autorizzazione della Commissione europea ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), richiesta dal Ministero dello sviluppo economico.

L’autorizzazione non risulta ancora concessa e, conseguentemente, il decreto ministeriale non è stato emanato.


 

Articolo 9, comma 16-quater
(Versamenti della Cassa conguaglio per il settore elettrico)

La norma in esame interviene rideterminando le risorse a decorrere dall’anno 2017 fissandole in 66,87 milioni per l’anno 2017, 970.000 euro per l’anno 2018 e 29,37 milioni a decorrere dal 2019.

 

In particolare, la norma richiamata, alla lettera d) provvedeva a coprire parte degli oneri mediante l’utilizzo delle risorse del fondo istituito presso la Cassa conguaglio per il settore elettrico, di cui all'articolo 32 del decreto legislativo del 3 marzo 2011, n. 28, giacenti sul conto corrente bancario intestato allo stesso Fondo, per importi pari a 145,02 milioni di euro per l'anno 2013, 145,92 milioni di euro per l'anno 2014, 137,02 milioni di euro per l'anno 2015, 76,87 milioni di euro per l'anno 2016, 970.000 euro per l'anno 2017 e 29,37 milioni di euro a decorrere dal 2018.

A tal fine, la Cassa conguaglio per il settore elettrico è tenuta a versare trimestralmente all'entrata del bilancio dello Stato le risorse disponibili sul proprio conto corrente, fino al raggiungimento degli importi annuali predetti.

 

Si ricorda, al riguardo, che l'articolo 32 del decreto legislativo n. 28 del 2011[42] ha istituito un fondo presso la Cassa conguaglio per il settore elettrico alimentato dal gettito delle tariffe elettriche e del gas naturale in misura pari, rispettivamente, a 0,02 ceuro/kWh e a 0,08 ceuro/Sm3.

Secondo la Relazione tecnica, nel conto corrente bancario intestato alla Cassa Conguaglio per il settore elettrico affluirebbero risorse per circa 100 milioni di euro annui; attualmente vi sarebbe una giacenza di circa 85 milioni, che alla fine del 2012 dovrebbe raggiungere l’importo complessivo di 129 milioni di euro.

In merito all'utilizzo del predetto fondo, la Relazione tecnica precisa che si tratterebbe di risorse già destinate dalla legge ad una finalità (il sostegno e la promozione dell’innovazione in campo industriale, applicata ai settori delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica) molto simile a quella del provvedimento in esame che, in un’ottica di accorpamento e razionalizzazione, il Governo ritiene utile far confluire con particolare riguardo alle misura previste per le start-up innovative. La Relazione precisa altresì che, trattandosi di una copertura proveniente da risorse già previste e in parte già accantonate, non comporterà un aggravio delle tariffe dell’energia elettrica e del gas.

 

Si segnala, peraltro, che, in merito all’utilizzo delle rimanenti risorse del fondo istituito presso la Cassa conguaglio per il settore elettrico, il comma 4 dell’articolo in esame stabilisce che, soltanto a partire dall’anno 2017, le rimanenti risorse del fondo - al netto dei versamenti all’entrata del bilancio dello Stato necessari per la copertura del provvedimento in esame - potranno tornare ad essere destinate al finanziamento delle attività di cui all’articolo 32, comma 1, lettera b), numeri ii) e iv), del predetto decreto legislativo n. 28 del 2011, vale a dire, rispettivamente:

§      al sostegno ai progetti di innovazione dei processi e dell'organizzazione nei servizi energetici,

§      al sostegno ai fondi per la progettualità degli interventi di installazione delle fonti rinnovabili e del risparmio energetico a favore di enti pubblici.


 

Articolo 9 comma 16-quinquies
(Personale a tempo determinato degli enti di ricerca)

Il comma 16-quinquies, introdotto nel corso dell’esame al Senato, modificando l’articolo 1, comma 188, della L. 266/2005, recante la disciplina derogatoria alla normativa generale per il personale a tempo determinato o con contratti di collaborazione coordinata e continuativa degli enti di ricerca (nonché di altri istituti), prevede che tale deroga sia ammissibile per l’attuazione di progetti di ricerca e di innovazione tecnologica, anche finanziati con le risorse premiali sovvenzionate con una quota non inferiore al 7% del Fondo ordinario per gli enti di ricerca, nonché di progetti finalizzati al miglioramento di servizi anche didattici per gli studenti.

 

L’articolo 1, comma 188, della L. 266/2005 ha disposto una deroga, per gli enti di ricerca ed altri istituti, alla disciplina concernente le assunzioni a tempo determinato. La deroga opera a condizione che gli oneri derivanti da tali assunzioni non risultino a carico dei bilanci di funzionamento degli enti stessi o del Fondo di finanziamento degli enti o del Fondo di finanziamento ordinario delle Università.

Gli enti esplicitamente elencati nel comma sono:

§     gli enti di ricerca;

§     l'Istituto superiore di sanità (ISS);

§     l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL);

§     l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGE.NA.S.);

§     l'Agenzia italiana del farmaco (AIFA);

§     l'Agenzia spaziale italiana (ASI);

§     l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA);

§     l'Agenzia per l'Italia digitale (AgID);

§     le università e le scuole superiori ad ordinamento speciale;

§     gli istituti zooprofilattici sperimentali.

 


 

Articolo 9, comma 16-sexies
(Lavoratori cooperative piccola pesca)

Il comma 16-sexies dell’articolo 9, introdotto nel corso dell’esame al Senato, reca disposizioni in materia di trattamento economico dei soci lavoratori delle cooperative di piccola pesca.

In particolare, aggiungendo il comma 2-ter all’articolo 3 della L. 3 aprile 2001, n. 142[43], si dispone la non applicazione delle disposizioni di cui comma 2-bis del medesimo articolo 3 (corresponsione ai propri soci lavoratori di un compenso proporzionato all'entità del pescato, secondo criteri e parametri stabiliti da uno specifico regolamento interno) ai soci lavoratori delle cooperative della piccola pesca di cui alla L. 250/1958, in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, di cui all'articolo 7, comma 4, D.L. 31 dicembre 2007, n. 248[44].

Tale comma infatti prevede l’obbligo - in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria - per le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell'ambito di applicazione di quei contratti di categoria, di applicare ai propri soci lavoratori i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria.

 

Per quanto attiene il trattamento economico del socio lavoratore, l’articolo 3 della L. 142/2001 ha stabilito l’obbligo, per le società cooperative, di a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine, ovvero, per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato, in assenza di contratti o accordi collettivi specifici, ai compensi medi in uso per prestazioni analoghe rese in forma di lavoro autonomo. Ulteriori trattamenti economici possono essere deliberati dall'assemblea e possono essere erogati in specifiche situazioni.

Il comma 2-bis, in particolare, dispone che in deroga alle disposizioni richiamate, le cooperative della piccola pesca di cui alla legge 13 marzo 1958, n. 250[45], possano corrispondere ai propri soci lavoratori un compenso proporzionato all'entità del pescato, secondo criteri e parametri stabiliti dal regolamento interno sulla tipologia dei rapporti che si intendono attuare (in forma alternativa) con i soci lavoratori, di cui all'articolo 6 della L. 142/2001.


 

Articolo 10 commi 1 e 2
(Disposizioni in materia di previdenza complementare)

L’articolo 10, commi 1 e 2, reca disposizioni in materia di previdenza complementare.

 

Il comma 1, in merito alla composizione ed al funzionamento della Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP), prevede che fino alla nomina degli altri componenti, il componente in carica alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame debba continuare a garantire lo svolgimento di tutte le funzioni demandate ad essa da norme di legge e di regolamento.

 

Si evidenzia che il numero dei nuovi componenti nominati è da riferire alla composizione ridotta dell’Autorità, disposta ai sensi dall’articolo 23, comma 1, lettera g), del D.L.201/2011.

 

Si ricorda che l’articolo 23, comma 1, del D.L. 201/2011 ha disposto la riduzione dei componenti delle autorità amministrative indipendenti.

Come è noto, la composizione delle autorità indipendenti è stabilita dalle singole leggi istitutive insieme con i criteri e le modalità di nomina. Tutte le autorità presentano strutture collegiali, ma con difformità quanto al numero di componenti.

Al riguardo, si oscilla dai quattro membri dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali ai nove membri dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e della Commissione di garanzia sull’esercizio del diritto di sciopero. Il modello legislativo che sembra prevalere prevede una struttura composta dal Presidente e da quattro membri (così, Autorità per l’energia elettrica e il gas, Autorità garante della concorrenza e del mercato, CONSOB, COVIP, Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche).

Per quanto di interesse, il richiamato comma 1 ha ridotto a tre membri il numero dei componenti delle autorità composte cinque membri, tra le quali rientra anche la COVIP.

 

Il successivo comma 2, aggiungendo il comma 2-bis all’articolo 7-bis del D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252 (Disciplina delle forme pensionistiche complementari), prevede una rideterminazione del finanziamento e delle prestazioni di specifici fondi pensione.

 

Si ricorda che il comma 1 del richiamato articolo 7-bis ha stabilito, per i fondi pensione che intendano coprire i rischi biometrici[46] (ossia i rischi legati alla vita: longevità, invalidità, speranza di vita, ecc.), o che garantiscono un rendimento degli investimenti o un determinato livello di prestazioni, l’obbligo di dotarsi, nel rispetto di specifici criteri, di mezzi patrimoniali adeguati in relazione al complesso degli impegni finanziari esistenti, salvo che detti impegni finanziari siano assunti da soggetti gestori già sottoposti a vigilanza prudenziale a ciò abilitati, i quali operano in conformità alle norme che li disciplinano. Quest’eccezione sembra riguardare specificamente i soggetti autorizzati a svolgere attività assicurativa nei rami vita. Il successivo D.M. 7 dicembre 2012, n. 259 ha definito i principi per la determinazione dei mezzi patrimoniali adeguati.

Si ricorda, inoltre, che nel caso in cui i Fondi pensione procedano all’erogazione diretta delle rendite, l’articolo 6, comma 3, del D.Lgs. 252/2005 ha disposto un’autorizzazione della COVIP, tenuto conto dell'adeguatezza dei mezzi patrimoniali costituiti e della dimensione del fondo per numero di iscritti.

 

Più specificamente, il comma dispone che nel caso in cui i fondi pensione che coprano i rischi biometrici o che garantiscano un rendimento degli investimenti o un determinato livello di prestazioni e che procedano all’erogazione diretta delle rendite, non dispongano di mezzi patrimoniali adeguati (in relazione al complesso degli impegni finanziari esistenti), le fonti istitutive possano rideterminare la disciplina, oltre che del finanziamento, anche delle prestazioni (nel caso in cui non dispongano di un adeguato patrimonio), con riferimento alle rendite in corso di pagamento e a quelle future[47].

 

Le determinazioni vengono inviate alla COVIP per le valutazioni di competenza. Resta comunque ferma la possibilità che gli ordinamenti dei fondi attribuiscano agli organi interni specifiche competenze in materia di riequilibrio delle gestioni.


 

Articolo 10, commi 3 e 4
(Trasferimento delle funzioni amministrative per i lavoratori marittimi dall’INAIL all’INPS)

Il comma 3 trasferisce, a decorrere dal 1° gennaio 2014, dall'I.N.A.I.L. all'I.N.P.S. le funzioni amministrative in materia di assicurazioni per malattia e maternità dei lavoratori marittimi.

In materia, si ricorda che l’articolo 1, ultimo comma, del D.L. 663/1979 aveva disposto che, fino alla data di entrata in vigore della legge di riordinamento della materia concernente le prestazioni economiche per maternità, malattia ed infortunio, l'accertamento, la riscossione dei contributi sociali di malattia per i marittimi, nonché il pagamento delle prestazioni economiche di malattia e maternità per gli iscritti alle casse marittime per gli infortuni sul lavoro e le malattie, restassero affidati alle gestioni previdenziali delle casse stesse (e quindi all’I.P.S.E.M.A.) mediante convenzione con l'I.N.P.S.. Successivamente, in seguito alla soppressione dell’I.P.S.E.M.A., stabilita dall’articolo 7, comma 1, del D.L. 78/2010, con contestuale passaggio di funzioni all’I.N.A.I.L., tali prestazioni sono gestite da quest’ultimo istituto.

Al riguardo, la relazione tecnica evidenzia che le funzioni in oggetto sono state trasferite all’INPS per omogeneità di materia (mentre restano in capo all'INAIL le funzioni relative all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali).

 

Ai sensi del comma 4, l’INPS provvede alle attività richiamate con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

 


 

Articolo 10, commi 5 e 6
(Pensione di inabilità)

I commi 5 e 6 apportano alcune modifiche all’articolo 14-septies del D.L. 663/1979, inerente all’individuazione dei soggetti e dei livelli di reddito ai fini dell’erogazione di specifiche provvidenze economiche a soggetti disabili.

 

In particolare, il comma 5 chiarisce (a seguito di recenti incertezze amministrative e giurisprudenziali) che i requisiti reddituali ai fini della fruizione della pensione di inabilità in favore dei mutilati e degli invalidi civili (di cui all’articolo 12 della L. 118/1971), debbano essere computati soltanto con riferimento al reddito imponibile I.R.P.E.F. del medesimo soggetto, con esclusione del reddito percepito dagli altri componenti del nucleo familiare.

 

La pensione di inabilità è stata istituita dall'articolo 12 della L. 30 marzo 1971, n. 118, e spetta agli invalidi civili nei confronti dei quali si stata accertata una totale inabilità al lavoro e che si trovino in stato di bisogno economico. Per questa seconda condizione vengono annualmente fissati dei limiti di reddito personale che non devono essere superati dal titolare della pensione di inabilità. La pensione di inabilità è reversibile ai superstiti.

Le condizioni per la fruibilità della pensione sono: età compresa fra i 18 e i 65 anni; essere cittadino italiano o UE residente in Italia (o essere cittadino extracomunitario in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo); avere il riconoscimento di un'invalidità pari al 100%; disporre di un reddito annuo personale non superiore a Euro 16.127,30. L’importo per il 2013 è pari a 275,87 euro per 13 mensilità (430,84 euro per 13 mensilità nella Provincia autonoma di Bolzano). La pensione di invalidità è compatibile con l'indennità di accompagnamento riconosciuta agli invalidi civili non deambulanti o non i grado di compiere gli atti quotidiani della vita. Al compimento dei 65 anni di età, la pensione viene trasformata in assegno sociale.

 

La disposizione del comma 5 trae origine, come accennato, da alcune pronunce giurisprudenziali ed amministrative. In particolare, con la sentenza n. 4677 del 2011, la Corte di cassazione, ha ritenuto che, in seguito all’introduzione dell’articolo 14-septies del D.L. 663/1979, a differenza di specifiche pronunce[48] che avevano affermato che, dopo la introduzione dell’articolo 14-septies citato, anche per la pensione di inabilità dovesse farsi esclusivo riferimento al reddito personale dell’assistito, ma dovesse, invece, condividersi il principio, espresso in pronunce precedenti[49] secondo cui “ai fini dell’accertamento del requisito reddituale previsto per l’attribuzione della pensione di inabilità prevista dalla L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 12, deve tenersi conto anche della posizione reddituale del coniuge dell’invalido, secondo quanto stabilito dalla L. 29 febbraio 1980, n. 33, art. 14-septies, comma 4, in conformità con i generali criteri del sistema di sicurezza sociale, che riconoscono alla solidarietà familiare una funzione integrativa dell’intervento assistenziale pubblico, non potendo invece trovare applicazione la regola – stabilita dal successivo comma 5 dello stesso art. 14-septies solo per l’assegno mensile di cui alla L. n. 118 del 1971 citata – della esclusione dal computo dei redditi percepiti da altri componenti del nucleo familiare dell’interessato”.

 

Successivamente, l’INPS, con la circolare n. 149 del 2012 (provvedimento annuale che fissa gli importi per le provvidenze quali pensioni, assegni, indennità) e i limiti reddituali, aveva introdotto per via amministrativa una novità rilevante: nel reddito considerato (per gli invalidi civili al 100%) per valutare il superamento o meno della soglia ai fini dell’erogazione della pensione rientrava non solo il reddito personale ma anche quello del coniuge. Tale decisione si basava fondamentalmente sulla richiamata sentenza della Cassazione. Da ultimo, anche in seguito alle forti perplessità generate da tale decisione amministrativa, l’Istituto, con la nota n. 717 del 2013, la quale testualmente ha affermato che “in attesa della preannunziata nota ministeriale a chiarimento della complessa materia dei limiti reddituali delle pensioni di inabilità civile ed in considerazione di una interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 12 e 13 della legge n. 118/1971, si ritiene di non modificare l’orientamento amministrativo assunto a suo tempo dal Ministero dell’Interno (circ. Ministero dell’Interno n. 5 del 20.6.1980) e successivamente confermato nel tempo da questo Istituto all’atto del subentro nella funzione di erogazione delle provvidenze economiche per le minorazioni civili. Pertanto, sia nella liquidazione dell’assegno ordinario mensile di invalidità civile parziale, sia per la pensione di inabilità civile si continuerà a far riferimento al reddito personale dell’invalido”.

 

Il successivo comma 6 prevede che la disposizione sopra richiamata trovi applicazione anche per le domande di pensione già presentate (alla data di entrata in vigore della legge di conversione al provvedimento in esame), senza, tuttavia, il riconoscimento di importi arretrati (e limitatamente al riconoscimento del diritto a pensione a decorrere dalla medesima data), sempreché sulle domande non sia intervenuto un provvedimento definitivo o i procedimenti giurisdizionali non si siano già conclusi con sentenza definitiva (alla data di entrata in vigore della legge di conversione al provvedimento in esame). Non si fa comunque luogo al recupero degli importi erogati prima della data di entrata in vigore della disposizione in esame, laddove conformi con i criteri introdotti dal precedente comma 5.

Tale norma sembrerebbe, dunque, far salvi anche i provvedimenti amministrativi non impugnati nei termini, ferma restando, in tale ipotesi, la possibilità che il soggetto presenti una nuova domanda (con decorrenza della pensione dalla data di quest'ultima).In sostanza, la disposizione transitoria del comma 6 avrebbe lo scopo di salvaguardare le persone che si erano viste rigettare la domanda di pensione di inabilità, tutelandole allo stesso modo dei soggetti che inoltreranno la domanda sulla base delle nuove disposizioni di cui al comma 5.

 

 


 

Articolo 10, comma 7
(Esclusioni dal taglio dei trasferimenti alle Regioni per mancata riduzione dei costi della politica)

Il comma 7 esclude i trasferimenti erariali in favore delle regioni relativi alle politiche sociali e alle non autosufficienze, da quelli che sono assoggettati a riduzione nel caso di mancata adozione - da parte della regione - delle misure di "riduzione dei costi della politica" di cui all'art. 2 del decreto legge 174/2012.

 

L'articolo 2 del citato decreto legge 174, a decorrere dal 2013, condiziona infatti l'erogazione di una quota pari all'80% dei trasferimenti erariali alle regioni, all'adozione da parte delle regioni stesse delle misure di contenimento dei costi della politica disposte dal medesimo articolo 2.

 

Le misure di riduzione della spesa – che le regioni sono tenute ad attuare "con le modalità previste dal proprio ordinamento", incidono principalmente sulle spese per gli organi regionali. Tra le principali, si segnalano:

§      la conferma della riduzione del numero dei consiglieri ed assessori regionali;

§      la riduzione dell’indennità di consiglieri ed assessori;

§      la riduzione dell’assegno di fine mandato;

§      il divieto di cumulo di indennità e emolumenti;

§      l’introduzione dell’anagrafe patrimoniale degli amministratori regionali;

§      la riduzione dei contributi ai gruppi consiliari;

§      istituzione di un sistema informativo dei finanziamenti dei gruppi politici;

§      l’applicazione delle misure di riduzione di spesa (partecipazioni ad organi collegiali, personale dipendente, società, enti, ecc.) previste per la p.a. dal D.L. 78/2010, D.L. 201/2011; D.L. 95/2012;

§      l’introduzione di limiti ai vitalizi dei consiglieri.

 

Sono già esclusi dalla eventuale riduzione i trasferimenti erariali destinati al finanziamento del servizio sanitario nazionale e del trasporto pubblico locale.

La norma in esame inserisce nel testo dell'articolo 2, primo comma, del D.L. 174/2012, l'ulteriore esclusione – dall'eventuale riduzione - dei finanziamenti destinati alle regioni per il finanziamento del politiche sociali e per le non autosufficienze.

 

Si tratta, come sottolineato nella relazione illustrativa che accompagna il disegno di legge di conversione, delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali e del Fondo per le non autosufficienze, entrambi destinati a finanziare servizi essenziali per i cittadini, al pari delle risorse destinate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale e del trasporto pubblico locale.

Il comma in esame, introducendo fra le eccezioni, i fondi previsti per il finanziamento delle politiche sociali e per le non autosufficienze, consente alle Regioni di ripartire gli stanziamenti dei Fondi nazionali dedicati, finora irricevibili da alcune regioni. Al proposito, si ricorda che nella seduta del 24 gennaio 2013, la Conferenza Unificata ha approvato i decreti di riparto del Fondo nazionale per le politiche sociali (FNPS) e del Fondo nazionale per le non autosufficienze, per i quali la legge di stabilità 2013 (legge 228/2012) ha stanziato risorse pari, rispettivamente a 300 milioni e 275 milioni di euro per il 2013. Per quanto riguarda l’Intesa sul FNPS[50] è stato previsto il riparto fra le regioni di 344,178 milioni di euro per il 2013, correlati alla spesa per i macro obiettivi di servizio con l’obiettivo di finalizzare le risorse ai bisogni essenziali. L’Intesa sul Fondo per le non autosufficienze[51] ha invece previsto il riparto fra le regioni di 275 milioni per il 2013: il 30% delle risorse sarà impegnato per interventi in favore di persone con disabilità gravissime, inclusa la SLA; le restanti risorse sono destinate alla realizzazione di prestazioni, interventi e servizi assistenziali nell'ambito  dell'offerta integrata di servizi socio-sanitari in favore di persone non  autosufficienti. Il decreto 20 marzo 2013, pubblicato sulla G.U. del 25 luglio 2013, ha infine ripartito le risorse finanziarie affluenti al Fondo per le non autosufficienze[52].


 

Articolo 10, comma 7-bis
(Fondo lavoratori detenuti)

Il comma 7-bis dell’articolo 10, introdotto nel corso dell’esame al Senato, rifinanzia la cd. legge Smuraglia (L. 193/2000).

La legge ha introdotto una serie di misure volte a favorire l’impiego di detenuti in attività lavorative, sostanzialmente estendendo benefici fiscali e sgravi contributivi alle imprese che assumono detenuti o svolgono attività formative nei loro confronti.

L’autorizzazione di spesa di cui all'articolo 6, comma 1, della legge 193/2000 è aumentata di 5,5 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014.

All’onere derivante dal rifinanziamento si provvede mediante corrispondente utilizzo di quota parte delle maggiori entrate derivanti dall’aumento del contributo unificato per spese di giustizia previsto dagli artt. 13 e 14 del D.P.R. 115/2012 (TU spese di giustizia) determinato dall'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 28, comma 2, della legge di stabilità 2012 (L. 183/2011).

Il citato art. 28, co. 2 ha previsto che le maggiori risorse derivante dall’aumento del contributo unificato dovessero assicurare il funzionamento degli uffici giudiziari, con particolare riferimento ai servizi informatici e con esclusione delle spese di personale.

La quota volta al rifinanziamento è iscritta all’entrata del bilancio dello Stato e nello stato di previsione del Ministero della giustizia.

Il Ministro dell'economia e delle finanze e autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Al contenuto del comma 7-bis si affiancano quelle previste dall’art. 3-bis D.L. 78/2013, che reca nuove disposizioni in materia di esecuzione della pena, attualmente in corso di conversione alla Camera (AC 1417).

L'art. 3-bis, inserito nel decreto-legge dal Senato, novella la L.. 381 del 1991 sulle cooperative sociali, e la citata legge Smuraglia, n. 193 del 2000 con la finalità di sostenere il reinserimento lavorativo degli ex detenuti. In particolare, il comma 1 dell’art. 3-bis modifica l'articolo 4 della legge n. 381 del 1991 in tema di sgravi contributivi per l'inserimento lavorativo di persone svantaggiate impiegate in cooperative sociali. La disposizione amplia la durata del periodo successivo allo stato di detenzione nel quale sono concessi gli sgravi contributivi. Il comma 2 novella la legge Smuraglia inserendovi un articolo 3-bis, che concede alle imprese che assumono detenuti un credito d'imposta. Tali crediti sono utilizzabili esclusivamente in compensazione e sono riconosciuti (in coordinamento con la previsione della legge n. 381/1991) anche successivamente all'uscita dal carcere, per 18 o 24 mesi, a seconda che il lavoratore abbia o meno avuto accesso alle misure alternative alla detenzione (comma 3).


 

Articolo 10-bis
(Risparmi di gestione degli enti previdenziali privatizzati)

L’articolo 10-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, dispone ulteriori risparmi di gestione per gli enti previdenziali privatizzati.

 

Più specificamente, il comma 1 prevede l’obbligo, per i richiamati enti, di realizzare ulteriori e aggiuntivi risparmi di gestione (ferme restando le misure di contenimento della spesa già previste dalla legislazione vigente), allo scopo di destinare risorse aggiuntive per favorire l'ingresso dei giovani professionisti nel mercato del lavoro delle professioni, nonché di sostenere i redditi dei professionisti nelle fasi di crisi economica.

I risparmi vengono realizzati attraverso specifiche forme associative, destinando le ulteriori economie e i risparmi agli interventi di welfare in favore dei propri iscritti, nonché per le finalità di assistenza di cui al comma 3 dell'articolo 8 del D.Lgs. 103/1996.

 

Con la L. 12 luglio 2011, n. 133, è stato modificato l’articolo 8, comma 3, del D.Lgs. 103/1996, al fine di prevedere che il contributo integrativo a carico degli iscritti alle Casse professionali (attualmente fissato da tale disposizione al 2% del fatturato lordo), sia autonomamente stabilito con apposite delibere di ciascuna Cassa, approvate dai Ministeri vigilanti. La misura del contributo integrativo deve essere comunque compresa tra il 2% ed il 5% del fatturato lordo.

Al fine di migliorare il trattamento pensionistico degli iscritti che adottano il sistema di calcolo contributivo (compresi gli iscritti alle casse di privatizzate ai sensi del D.Lgs. 509/1994, vedi infra), è inoltre riconosciuta la facoltà, - senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e garantendo comunque l’equilibrio economico, patrimoniale e finanziario delle Casse - di destinare parte del contributo integrativo all’incremento dei montanti individuali, previa delibera degli organismi competenti, approvata dai Ministeri vigilanti che valutano la sostenibilità della gestione complessiva e le implicazioni in termini di adeguatezza delle prestazioni.

 

Il successivo comma 2, prevede la facoltà, per i richiamati enti, di destinare i risparmi ottenuti (aggiuntivi rispetto a quelli di cui all'articolo 8, comma 3, del D.L. 95/2012, derivanti dagli interventi di razionalizzazione per la riduzione della spesa sostenuta per consumi intermedi), ad interventi di promozione e sostegno al reddito dei professionisti e agli interventi di assistenza in favore degli iscritti  nel rispetto dell'equilibrio finanziario di ciascun ente.

 

Il richiamato articolo 8, comma 3, del D.L. 95/2012 ha appunto assicurato il contenimento della spesa per consumi intermedi degli enti e organismi pubblici, costituiti anche in forma societaria, in misura pari al 5% per il 2012 e al 10% dal 2013 della spesa sostenuta per consumi intermedi nel 2010. A tale riduzione sono sottoposti, in particolare, gli enti pubblici inseriti nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione , quale ne sia la forma giuridica, nonché le autorità indipendenti.

 

Infine, è previsto (comma 3) un ulteriore obbligo per gli enti previdenziali privatizzati (singolarmente oppure attraverso l’AdEPP, associazione degli enti previdenziali privati), al fine di anticipare l'ingresso dei giovani professionisti nel mercato del lavoro, e consistente nello svolgimento, attraverso ulteriori risparmi, di funzioni di promozione e sostegno dell'attività professionale anche nelle forme societarie previste dall'ordinamento vigente.

 

La privatizzazione delle Casse professionali

Per quanto concerne gli enti gestori di forme di previdenza per i liberi professionisti, occorre ricordare che le Casse di previdenza cui sono iscritti coloro che esercitano attività professionali sono state privatizzate, dal 1° gennaio 1995, nell’ambito del riordino generale degli enti previdenziali disposto con l’articolo 1, commi da 32 a 38, della legge 24 dicembre 1993, n. 537.

In attuazione della delega è stato emanato il D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, che ha disposto la trasformazione in associazione o fondazione, con decorrenza dal 1° gennaio 1995, dei seguenti enti[53]:

-      Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense;

-      Cassa di previdenza tra dottori commercialisti;

-      Cassa nazionale previdenza e assistenza geometri;

-      Cassa nazionale previdenza e assistenza architetti ed ingegneri liberi professionisti;

-      Cassa nazionale del notariato;

-      Cassa nazionale previdenza e assistenza ragionieri e periti commerciali;

-      Ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio (ENASARCO);

-      Ente nazionale di previdenza e assistenza consulenti del lavoro (ENPACL);

-      Ente nazionale di previdenza e assistenza medici (ENPAM);

-      Ente nazionale di previdenza e assistenza farmacisti (ENPAF);

-      Ente nazionale di previdenza e assistenza veterinari (ENPAV);

-      Ente nazionale di previdenza e assistenza per gli impiegati dell'agricoltura (ENPAIA);

-      Fondo di previdenza per gli impiegati delle imprese di spedizione e agenzie marittime (FASC);

-      Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (INPGI);

-      Opera nazionale assistenza orfani sanitari italiani (ONAOSI).

 

Successivamente, il comma 25 dell’articolo 2 della L. 8 agosto 1995, n. 335 (“Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), ha delegato il Governo ad emanare norme volte ad assicurare la tutela previdenziale in favore dei soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione, senza vincolo di subordinazione, il cui esercizio è subordinato all'iscrizione ad appositi albi o elenchi. In attuazione di tale norma è stato emanato il D.Lgs. 10 febbraio 1996, n. 103, che ha assicurato, a decorrere dal 1° gennaio 1996, la tutela previdenziale per i richiamati soggetti.

In attuazione del D.Lgs. 103/1996 sono stati istituiti i seguenti enti privatizzati:

-      Ente nazionale di previdenza e assistenza psicologi (ENPAP);

-      Ente nazionale di previdenza e assistenza periti industriali (EPPI);

-      Ente nazionale di previdenza e assistenza infermieri professionali, assistenti sanitari e vigilatrici d’infanzia (IPASVI);

-      Ente nazionale di previdenza e assistenza biologi (ENPAB);

-      Ente nazionale di previdenza e assistenza pluricategoriale per agronomi forestali, attuari, chimici e geologi (EPAB).

Ai sensi dell’articolo 2, comma 1, del D.Lgs. 509/1994, le associazioni o le fondazioni hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei princìpi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell'attività svolta.

L’articolo 2, comma 2, del D.Lgs. 103/1996 ha disposto l’applicazione, per tali enti, indipendentemente dalla forma gestoria prescelta, del sistema di calcolo contributivo, con aliquota di finanziamento non inferiore a quella di computo, e secondo specifiche modalità attuative.

Si ricorda, infine, che gli iscritti alle Casse professionali, in virtù dei singoli Regolamenti di gestione dei contributi, sono tenuti al versamento di specifici contributi. In particolare, i richiamati Regolamenti stabiliscono:

-      la misura del contributo soggettivo, legato principalmente al reddito dell’iscritto;

-      la misura del volume d’affari annuale su cui calcolare il contributo integrativo del 2% (ai sensi dell’articolo 8, comma 3, del D.Lgs. 103/1996).


 

Articolo 11, comma 1
(Rinvio dell’incremento dell’aliquota IVA)

L'articolo 11, al comma 1, posticipa dal 1° luglio 2013 al 1° ottobre 2013 il termine di applicazione dell’aumento dell’aliquota ordinaria dell’IVA dal 21 al 22 per cento previsto dall'articolo 40, comma 1-ter, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98; viene altresì abrogata la disposizione, contenuta nel successivo comma 1-quater dello stesso decreto-legge, secondo la quale l’aumento dell’aliquota non si applica in caso di introduzione, entro il 30 giugno 2013, di misure di riordino della spesa sociale o di eliminazione di regimi di agevolazione con effetti sull’indebitamento netto non inferiori a 6.560 milioni di euro annui.

 

Si ricorda preliminarmente che in Italia le aliquote IVA sono disciplinate dall’articolo 16 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, recante l’istituzione e la disciplina dell’imposta sul valore aggiunto.

Attualmente, accanto all’aliquota ordinaria (incrementata dal 20 al 21 per cento dai commi da 2-bis a 2-quater dell'articolo 2 del decreto-legge n. 138 del 2011) si prevede un’aliquota ridotta del 10 per cento e un’aliquota “super-ridotta” del 4 per cento per le operazioni aventi per oggetto i beni e i servizi elencati nella Tabella A allegata al citato D.P.R. n. 633 del 1972.

 

Più in dettaglio, la disposizione in esame alla lettera a) novella il comma 1-ter dell’articolo 40 del decreto-legge n. 98 del 2011, al fine di posticipare, dal 1° luglio 2013 al 1° ottobre 2013, la decorrenza dell’aumento dell’aliquota ordinaria dell’IVA.

 

Si ricorda che nella formulazione originaria del decreto-legge n. 98 del 2011, il comma 1-ter dell’articolo 40 disponeva la riduzione del 5 per cento nel 2013 e del 20 per cento a decorrere dal 2014 dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale riportati nell’allegato C-bis al decreto-legge medesimo.

Il successivo comma 1-quater prevedeva la non applicazione di tale riduzione ove, entro il 30 settembre 2013, fossero stati adottati provvedimenti legislativi in materia fiscale ed assistenziale aventi ad oggetto il riordino della spesa in materia sociale, nonché la eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione e agevolazione fiscale sovrapposti alle prestazioni assistenziali, tali da determinare effetti positivi (cioè riduzioni), ai fini dell’indebitamento netto, non inferiori a 4 miliardi di euro per il 2013 ed a 20 miliardi di euro annui a decorrere dal 2014.

In seguito l’articolo 1, comma 6 del decreto-legge n. 138 del 2011 ha modificato i richiamati commi 1-ter e 1-quater anticipando, rispettivamente, al 30 settembre 2012 e a decorrere dal 2013 gli effetti finanziari ivi previsti, al fine di determinare un ulteriore effetto positivo, in termini di gettito, pari a 4 miliardi nel 2012 e a 16 miliardi nel 2013.

 

Con l’articolo 18 del decreto-legge n. 201 del 2011 il legislatore ha inteso “sterilizzare” le suddette riduzioni delle agevolazioni fiscali. Sostituendo il comma 1-ter del citato articolo 40 si prevedeva, al posto delle riduzioni percentuali delle agevolazioni, l’incremento di 2 punti percentuali delle aliquote IVA del 10 e del 21 per cento (che sarebbero passate al 12 e al 23 per cento) a decorrere dal 1° ottobre 2012. Inoltre, la medesima norma disponeva che, a decorrere dal 1° gennaio 2014, le predette aliquote aumentassero ulteriormente di 0,5 punti percentuali. Il comma 1, lettera b), dell’articolo 18 citato, ha recato alcune modifiche al comma 1-quater, prevedendo che i provvedimenti legislativi in materia fiscale ed assistenziale aventi ad oggetto il riordino della spesa in materia sociale, nonché la eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione e agevolazione fiscale dovessero effettivamente entrare in vigore (e non solo essere adottati) alla data del 30 settembre 2012 ai fini della non applicazione della disposizione sull’aumento dell’IVA. L’articolo 18 ha altresì modificato gli effetti positivi attesi, ai fini dell'indebitamento netto, derivanti dall’articolo 40 del D.L. 98/2011, rideterminandoli in 13.119 milioni di euro per l’anno 2013 e 16.400 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2014.

 

Successivamente, l'articolo 21 del decreto-legge n. 95 del 2012:

§      ha posticipato (comma 1) l’incremento delle aliquote IVA del 2 per cento disposto dal D.L. 201 del 2011, fissandone la decorrenza al 1° luglio 2013 e fino al 31 dicembre 2013 (in luogo del periodo 1° ottobre 2012 - 31 dicembre 2012). Di conseguenza, le norme hanno previsto che nel periodo 1° luglio-31 dicembre 2013 le aliquote IVA del 10 e del 21 per cento aumentino, rispettivamente, al 12 e al 23 per cento;

§      ha previsto la rideterminazione, dal 1° gennaio 2014, di dette aliquote, con un incremento dell'1 per cento, anziché del 2,5 per cento come previsto dal testo previgente. Di conseguenza, dal 1° gennaio 2014 le aliquote IVA del 10 e del 21 per cento sono state rideterminate, rispettivamente, nella misura dell’11 e del 22 per cento;

§      ha demandato alla legge di stabilità 2013 l’indicazione delle misure di attuazione del programma di razionalizzazione della spesa pubblica (previsto dall'articolo 1, comma 1-bis, del decreto legge n. 52 del 2012) e le disposizioni di eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale (previste dall'articolo 40, comma 1-quater, del decreto legge n. 98 del 2011), prevedendo che i risparmi e le maggiori entrate così ottenuti, assieme ai risparmi derivanti dal riordino di enti ed organismi statali disposti dall'articolo 12 del citato decreto-legge n. 95 del 2012, concorrano ad evitare il previsto aumento dal 1° luglio 2013 delle aliquote IVA.

 

Da ultimo, l'articolo 1, comma 480, della legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità 2013) è intervenuto sostituendo integralmente il richiamato articolo 40, comma 1-ter.

Nello specifico, rispetto al testo previgente, con la legge di stabilità 2013:

§      è stato espunto il riferimento al termine finale del 31 dicembre 2013. Pertanto, dal 1° luglio 2013 l’aliquota IVA del 21 per cento viene rideterminata al 22 per cento (e non al 23 per cento);

§      l’aliquota ridotta è rimasta fissata al 10% (e non aumentata all’11 per cento);

§      non si è disposto un ulteriore innalzamento delle aliquote a decorrere dal 1° gennaio 2014.

In sostanza per effetto della legge di stabilità 2013, dal 1° luglio 2013 le aliquote IVA sarebbero state le seguenti: 22 per cento (ordinaria), 10 per cento (ridotta) e 4 per cento (super-ridotta).

 

Su tale quadro, come detto, interviene la norma in esame, posticipando di tre mesi (dal 1° luglio 2013 al 1° ottobre 2013) l'incremento dell'aliquota IVA ordinaria al 22 per cento.

 

La lettera b) del comma 1 abroga il comma 1-quater del citato articolo 40 del decreto-legge n. 98 del 2011.

 

Tale disposizione, più volte modificata durante i recenti interventi di riordino (sopra illustrati), nella sua ultima formulazione prevede che la disposizione recata dal comma precedente (ovvero l'aumento dell'aliquota IVA) non si applica qualora entro il 30 giugno 2013 siano entrati in vigore provvedimenti legislativi in materia fiscale ed assistenziale aventi ad oggetto il riordino della spesa in materia sociale, nonché la eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale, tali da determinare effetti positivi in termini di indebitamento netto, non inferiori a 6.560 milioni di euro annui a decorrere dal 2013.

 

Si ricorda al riguardo che le proposte di legge di iniziativa parlamentare recanti disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita (C. 282, C. 950, C. 1122) all’esame della Commissione Finanze della Camera prevedono una delega al governo per ridurre, eliminare o riformare le spese fiscali che appaiono ingiustificate o superate, fermo restando determinate priorità socioeconomiche.


 

Articolo 11, commi 2-4
(Redditi dei titoli di Stato greci nel portafoglio Securities Markets Programme attribuiti all’Italia)

L'articolo 11 ai commi 2-4 prevede che la Banca d’Italia comunichi annualmente al Ministero dell’economia e delle finanze la quota degli utili di gestione riferibile ai redditi derivanti dai titoli di Stato greci presenti nel portafoglio Securities Markets Programme attribuibili all’Italia, quantificando altresì in 4,1 milioni di euro per il periodo 2012-2014, la quota di detti utili riferibile ai redditi provenienti dai bond greci detenuti come investimento di portafoglio dalla Banca d’Italia, ai sensi dell’accordo dell’Eurogruppo del 21 febbraio 2012.

Si dispone che le predette quote vengano riassegnate con decreto del MEF ad apposito capitolo di spesa per far fronte agli impegni previsti dall’accordo dell’Eurogruppo del 27 novembre 2012.

Va rammentato che, con l’accordo del 27 novembre 2012[54], i Ministri dell’Eurogruppo, insieme al Presidente della Banca centrale europea (BCE) e al direttore del Fondo monetario internazionale (FMI), hanno integrato ed implementato le regole già presenti nel secondo programma di aiuti, intervenuto il 21 febbraio 2012.

Si ricorda che in tale data era stato deliberato un programma di aiuti alla Grecia (ulteriore rispetto a quello deliberato il 7 maggio 2010) per un importo complessivo di 130 miliardi di euro fino al 2014 (compresivi di 28 miliardi di euro provenienti dal Fondo monetario internazionale)[55], al fine di evitare l'insolvenza del debito pubblico del paese (si veda più diffusamente sul punto, infra la ricostruzione del sostegno finanziario alla Grecia).

Nell’ambito dell’accordo del 21 febbraio 2012, nel delineare un quadro di misure volte a rafforzare la tenuta e la sostenibilità del debito pubblico della Grecia, si è disciplinato, tra l'altro, anche l'utilizzo dei rendimenti dei titoli del debito pubblico greco sottoscritti, in forza dell'accordo medesimo, anche da parte dalle banche centrali nazionali.

L’accordo prevede che gli Stati membri dell’area dell’euro trasferiscano alla Grecia un ammontare equivalente ai profitti derivanti dai titoli di Stato greci nel portafoglio Securities Markets Programme (SMP)[56] dell’Eurosistema[57], nonché dei profitti rinvenienti dai titoli greci detenuti da alcune banche centrali nazionali – tra le quali la Banca d’Italia – come investimento di portafoglio (c.d.“ANFA holdings”).

La dichiarazione ha in fatti previsto, tra l'altro, che la BCE trasferisse i profitti sui bond greci - acquistati negli ultimi due anni nell’ambito del Securities Markets Programme - alle banche centrali nazionali (secondo le regole per la distribuzione dei profitti della BCE) che a loro volta le avrebbero trasferiti ai rispettivi Governi, secondo le rispettive regole. Nell'accordo, i Paesi dell’Eurozona si impegnavano altresì ad utilizzare i profitti derivanti dai titoli di debito greci, ad essi trasferiti dalla rispettive banche centrali, per migliorare ulteriormente la sostenibilità del debito greco, attraverso, in particolare, un’ulteriore riduzione retroattiva dei tassi di interesse del prestito alla Grecia, previsto dal programma di sostegno già in vigore e a trasferire, sino al 2020, al Governo greco, i futuri profitti derivanti dagli incrementi del rendimento dei titoli di stato greci detenuti dalle rispettive Banche nazionali.

Le risorse per il trasferimento di tali profitti provengono dunque dalla retrocessione degli utili da parte delle rispettive Banche centrali nazionali (BCN) ai Governi dei paesi membri dell’area dell’euro, posto che i redditi derivanti dal portafoglio SMP delle BCN vengono redistribuiti tra le stesse in base allo schema di capitale nell’ambito del processo di ripartizione del reddito monetario.

La relazione illustrativa precisa che il trasferimento deve avvenire tramite un conto intermedio aperto e gestito presso il European Stability Mechanism (ESM), sulla base di un’autorizzazione individuale da parte dei singoli Paesi.

Sulla base di dati forniti dalla BCE, i redditi spettanti alla Banca d’Italia sono pari a circa 1,8 miliardi nel periodo 2013-2038 (circa 396 milioni nel 2013). La relazione illustrativa afferma che l’esposizione della Banca d’Italia è piuttosto limitata, pari a 3,8 milioni (valore nominale 9 milioni), a seguito dei rimborsi relativi ai titoli giunti a scadenza nel 2012.

Dalle stime effettuate nell’ambito dell’Eurosistema e riportate nella Tabella contenuta nella comunicazione del Presidente dell’Eurogruppo Working Group, l’ammontare di redditi da trasferire (corrispondenti agli utili provenienti dai titoli greci detenuti come investimento di portafoglio dalla Banca d’Italia) è pari a 4,1 milioni nel periodo 2012-2014. L’intera somma di 4,1 milioni – afferma la relazione - dovrebbe essere erogata entro il 1 luglio 2013.

 

Nel dettaglio, il comma 2 dell’articolo 11 in esame stabilisce che, in attuazione dell’Accordo dell’Eurogruppo del 27 novembre 2012 la Banca d’Italia, all’atto del versamento al bilancio dello Stato degli utili di gestione, comunica annualmente al Ministero dell’economia e delle finanze-Dipartimento del tesoro la quota di tali utili riferibile ai redditi derivanti dai titoli di Stato greci presenti nel portafoglio Securities Markets Programme attribuibili all’Italia.

La quota degli utili di cui al periodo precedente, relativa ai redditi provenienti dai titoli greci detenuti come investimento di portafoglio (cd. “HANFA holdings”) ai sensi dell’Accordo dell’Eurogruppo del 21 febbraio 2012 per il periodo 2012-2014, è individuata in 4,1 milioni di euro.

Il successivo comma 3 dell’articolo in esame stabilisce che le predette quote siano riversate al bilancio dello Stato italiano per essere riassegnate, in conto spesa, ad apposito capitolo del bilancio statale per far fronte agli impegni previsti dall’Accordo di cui al comma 2.

Pertanto, in sede di distribuzione degli utili che - ai sensi della normativa che regola i rapporti tra Tesoro e Banca d’Italia – quest’ultima versa annualmente al bilancio dello Stato[58], l’importo riconducibile alle retrocessione dei profitti derivanti dai titoli di Stato greci in questione sarà enucleato dall’importo complessivo riversato, posto che essi confluiscono necessariamente nel risultato d’esercizio dell’Istituto.

Il suddetto importo verrà indi riassegnato alla spesa, in modo da consentirne la destinazione agli impegni presi nell’accordo nei confronti della Grecia. Le norme descritte rispondono alla necessità di dare attuazione alle decisioni dell’Eurogruppo, predisponendo, a tal fine, un appropriato assetto normativo e contabile autorizzatorio per regolare la retrocessione degli utili da parte della Banca d’Italia e il successivo trasferimento alla Grecia entro il 1° luglio 2013.

Il comma 4 afferma che nelle more della procedura di cui al comma 3, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze può essere autorizzato il ricorso ad anticipazioni di tesoreria, da regolarizzare con emissione di ordini di pagamento sul pertinente capitolo di spesa entro il termine di novanta giorni dal pagamento.

Va in proposito considerato che, secondo quanto precisato dalla relazione illustrativa, il trasferimento delle somme alla Grecia deve avvenire entro il 1° luglio 2013, mentre il versamento dei 4,1 milioni di euro in conto entrata del bilancio, da parte della Banca d’Italia, avviene nel corso del mese di luglio.

La Relazione tecnica precisa che le disposizioni in commento non determinano effetti negativi sui saldi di finanza pubblica, trattandosi di un mero giro contabile con cui si provvede alla restituzione dei maggiori introiti che sono derivati alla Banca d’Italia in conseguenza della detenzione dei titoli greci.

 

Il sostegno finanziario alla Grecia (a cura dell’Ufficio Rapporti con l’unione europea)

 

Il primo intervento di sostegno alla Grecia è stato concordato, il 7 maggio 2010, dai Capi di Stato e di Governo della zona euro, e ha contemplato un pacchetto di aiuti pari a 80 miliardi di euro nell’ambito di un programma congiunto con il Fondo monetario internazionale (FMI), di ammontare complessivo pari a 110 miliardi di euro.

Ciascuno Stato si e’ impegnato a partecipare al prestito in base alle rispettive quote nel capitale della BCE (per l’Italia, pari al 12,4% del totale).

Nel corso dell’attuazione del programma di aiuti sono state apportate delle significative modifiche.

In particolare, nella riunione straordinaria del 21 luglio 2011 i Capi di stato e di governo dell’eurozona hanno concordato:

§      una proroga dei prestiti già erogati, dagli attuali 7,5 anni a un minimo di 15 anni e fino a un massimo di 30 anni;

§      l’avvio di un nuovo programma di sostegno, di ammontare totale pari a 109 miliardi di euro finanziato, su base volontaria, anche dal settore privato;

§      la riduzione del tasso di interesse applicato al prestito, equiparandolo a quello del meccanismo di sostegno alla bilancia dei pagamenti (attualmente, il 3,5% circa).

 

Successivamente, nella riunione del 21 febbraio 2012, l’Eurogruppo ha raggiunto un accordo di massima concessione di un nuovo prestito pari a 130 miliardi di euro (compresi 28 miliardi di euro provenienti dal Fondo monetario internazionale), che prevede il coinvolgimento sia del settore pubblico sia del settore privato. In particolare:

§      la Banca centrale europea ha accettato di versare alle banche centrali nazionali dei Paesi dell'euro i profitti registrati su bond greci negli ultimi due anni. A loro volta, le banche centrali nazionali trasferiranno i profitti ai rispettivi governi, che li gireranno alla Grecia per garantire ulteriormente la sostenibilità delle debito pubblico ellenico (come è stato illustrato più dettagliatamente in precedenza);

§      gli investitori del settore privato hanno accettato uno scambio di titoli su base volontaria con uno sconto nominale del 53,5% (haircut) sul debito greco detenuto dai medesimi investitori.

Successivamente, il 14 marzo 2012, l’Eurogruppo ha concordato, adottando un'apposita dichiarazione, un nuovo programma di aiuti alla Grecia per un importo complessivo di 164,5 miliardi di euro fino al 2014 - di cui 144,7 a carico del Fondo europeo di stabilizzazione dell’eurozona (European Financial stability facility – EFSF), e 19,8 miliardi a carico del Fondo monetario internazionale (FMI) – che di fatto si fonda sull'utilizzo di risorse già stanziate per la Grecia e non ancora erogate.

Tale importo di 164,5 miliardi risulta infatti dalla somma degli aiuti non ancora erogati (circa 30 miliardi) relativi al primo programma di sostegno – deliberato nel maggio 2010 – e dei 130 miliardi stanziati dall’Eurogruppo il 21 febbraio 2012.

Per far fronte all’inasprirsi della crisi greca, il 27 novembre 2012 i ministri dell’Eurogruppo hanno concordato, ad integrazione dell’accordo del 14 marzo 2012, le seguenti misure,:

§      rinuncia, da parte degli Stati membri, ai loro profitti sui bond greci, che verranno versati direttamente ad Atene in un conto bloccato e vincolato alla riduzione del debito;

§      taglio di 100 punti base degli interessi sui prestiti bilaterali;

§      riduzione di 10 punti base del costo delle garanzie che la Grecia paga all’EFSF;

§      moratoria di 10 anni sui tassi dei prestiti concessi dall’EFSF;

§      estensione di 15 anni delle scadenze dei prestiti;

§      slittamento di 10 anni dei pagamenti degli interessi.

I Ministri hanno poi deciso, in quella stessa sede di erogare - a valere sulla somma predetta di 164,5 miliardi - una prima tranche di finanziamento paria 43,7 miliardi di euro.

Il nuovo programma mira a concorrere all’obiettivo della riduzione del debito greco al 124% nel 2020 (per poi scendere drasticamente al 110% nel 2022). L’erogazione del contributo finanziario è condizionata al rispetto dei criteri quantitativi e alla valutazione dei progressi compiuti sulla base della decisione 2011/734/UE (come modificata a novembre 2011, a marzo e a dicembre 2012) e sulla base del memorandum d’intesa stipulato con il Governo greco.

 


 

Articolo 11, comma 5
(Contributo in favore del Chernobyl Shelter Fund)

Il comma 5 autorizza un contributo complessivo di 25,1 milioni di euro a favore del Chernobyl Shelter Fund fa istituito presso la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS/EBRD): l’erogazione del contributo è prevista in cinque rate annuali pari a 2 milioni per il 2013 e a 5.775.000 euro per ciascuno degli anni 2014-2017.

 

Il Chernobyl Shelter Fund vede impegnata dal 1997 la BERS allo scopo anzitutto di stabilizzare il cosiddetto sarcofago, ovvero la struttura che racchiude i resti dell’Unità 4 della centrale nucleare di Chernobyl interessata dal tragico incidente del 1986.

Il Chernobyl Shelter Fund ha tra i principali donatori i paesi del G8 e la Commissione europea, con l’Italia sempre presente sin dall’inizio, e poi nelle varie ricostituzioni finanziarie succedutesi nel tempo. Le difficoltà finanziarie del nostro paese negli ultimi anni hanno fatto sì che l’Italia in un primo momento venisse meno all’impegno di contribuire allo stanziamento di 740 milioni di euro stimato come necessario per il completamento del progetto: già il mese successivo tuttavia, al vertice G8 di Deauville del maggio 2011, l’Italia dichiarava che avrebbe corrisposto un contributo di 26,1 milioni - che in realtà viene con il provvedimento in esame ridotto di un milione, in quanto sarebbe stata appurata la possibilità di  utilizzare appunto tale somma di un milione riveniente da un accordo di contribuzione stipulato in passato tra italia e BERS.

La relazione introduttiva al ddl A.S. 890 mette in evidenza l’importanza della corresponsione del contributo dell’Italia al fine di non pregiudicare i contributi aggiuntivi promessi dalla BERS e da alcuni donatori, a condizione che tutti gli altri donatori rispettino pienamente i loro impegni.


 

Articolo 11, comma 6
(Contributo italiano alle risorse del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (IFAD))

L'articolo 11, comma 6, modifica la legge di stabilità 2013, al fine di indicare in maniera esatta l’importo dovuto come contributo italiano per la IX ricostituzione delle risorse del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (IFAD). Secondo quanto riportato nella relazione governativa, si tratta di una rettifica diretta a sanare un mero errore materiale, in quanto il contributo effettivamente da versare ammonterebbe, appunto, a 58.017.000 euro e non a 58.000.000 euro come erroneamente indicato all’articolo 1, comma 171, lettera e), della legge 24 dicembre 2012 n. 228 ( legge di stabilità 2013),

 

Si ricorda che commi 170 e 171 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2013 riguardano la partecipazione italiana alla ricostituzione delle risorse finanziarie di alcuni fondi multilaterali di sviluppo, tra cui è ricompreso appunto l’IFAD.

 

L’IFAD è un'istituzione finanziaria con finalità di credito nei progetti di sviluppo agricolo a condizioni agevolate e si basa su risorse fornite da donatori bilaterali e multilaterali, ma anche in parte dagli stessi paesi beneficiari. Attualmente, sono membri dell’IFAD 168 Paesi, suddivisi in tre “liste” a seconda che siano membri dell’OCSE, dell’OPEC o Paesi in via di sviluppo.


 

Articolo 11, comma 6-bis
(Fondo nazionale per il servizio civile)

Il comma 6-bis prevede un finanziamento di 1,5 milioni di euro per l'anno 2013 e 10 milioni di euro per l’anno 2014 del Fondo nazionale per il servizio civile di cui all’art. 19 della legge 8 luglio 1998, n. 230.

 

Si ricorda che il suddetto Fondo è stato istituito, presso la Presidenza del Consiglio, dall’art. 19 della legge 8 luglio 1998, n. 230 (Nuove norme in materia di obiezione di coscienza), per l'assolvimento dei compiti previsti dalla medesima legge in ordine al servizio civile degli obiettori di coscienza le cui spese sono finanziate nell'ambito e nei limiti delle disponibilità del Fondo.

La dotazione iniziale del Fondo è stata determinata in lire 120 miliardi di lire a decorrere dal 1998.

Il fondo è stato rifinanziato da ultimo con il decreto-legge 20 giugno 2012, n. 79 che all’art. 5 ha previsto la riassegnazione di somme disponibili presso il Fondo per la solidarietà alle vittime di reati mafiosi, estorsivi e usura in favore del Fondo interventi urgenti e indifferibili. Una ulteriore somma non superiore a 30 milioni di euro è assegnata la Fondo nazionale per il Servizio civile.

 

Dopo che la L. 772/1972 ha riconosciuto per la prima volta l’obiezione di coscienza e il servizio civile sostitutivo del servizio militare, la L. 230/1998 (ora in gran parte confluita nel codice dell’ordinamento militare, art. 2097 e seguenti, D.Lgs. 66/2010) ha riformato la disciplina in materia. La legge 230 istituisce, tra l’altro, il Fondo nazionale per il Servizio Civile, collocato presso l'Ufficio nazionale per il servizio civile, che ne cura l'amministrazione e la programmazione annuale delle risorse, nel quale confluiscono i fondi prima gestiti dal Ministero della difesa e nel quale possono essere versate donazioni pubbliche e private finalizzate alle attività che si intendono sostenere.

Con la promulgazione della L. 331/2000 che stabilisce la sospensione della leva obbligatoria a partire dal 2007 (poi anticipata al 1° gennaio 2005 dalla L. 226/ 2004), si apre la strada per la costituzione di un servizio civile volontario parallelo al servizio militare professionale.

La L. 64/2001 istituisce di conseguenza il Servizio civile nazionale, un servizio volontario aperto ai giovani dai 18 ai 26 anni (uomini e donne) che intendono fra l’altro “promuovere la solidarietà e la cooperazione, a livello nazionale ed internazionale, con particolare riguardo alla tutela dei diritti sociali, ai servizi alla persona ed alla educazione alla pace fra i popoli” nonché partecipare alla salvaguardia e tutela del patrimonio nazionale, con particolare riguardo ai settori ambientale. Le aree di intervento nelle quali è possibile prestare il Servizio civile nazionale sono riconducibili ai settori: assistenza, protezione civile, ambiente, patrimonio artistico e culturale, educazione e promozione culturale, servizio civile all'estero.

Il D.Lgs. 77/2002, dando attuazione alla delega recata dalla L. 64/2001, disciplina il Servizio civile nazionale, innalzando tra l’altro il limite di età a 28 anni (art. 3, comma 1).

La disposizione definisce in particolare:

-     gli organi competenti in materia;

-     i requisiti e le modalità di accesso e di svolgimento del servizio;

-     la programmazione e gestione delle risorse finanziarie;

-     la natura del rapporto di servizio civile ed il relativo trattamento economico e giuridico;

-     la formazione dei giovani assegnati al servizio civile;

-     la valorizzazione del servizio prestato ai fini dello sviluppo formativo e dell’inserimento nel mondo del lavoro;

-     la disciplina del periodo transitorio.

In particolare, l'Ufficio nazionale per il servizio civile cura l'amministrazione e la programmazione annuale delle risorse, formulando annualmente, entro il 31 gennaio dell'anno di riferimento, un apposito piano di intervento, sentita la Conferenza Stato-regioni.

E’ in corso di elaborazione il Documento di programmazione finanziaria sul servizio civile per il 2013, sulla quale ha espresso parere favorevole la Conferenza Stato – Regioni il 25 luglio 2013. Nel parere la Conferenza ha denunciato il progressivo depauperamento delle risorse disponibili che rendono difficoltoso mantenere i livelli quantitativi di giovani coinvolti nel servizio civile.

 


 

Articolo 11, commi 7 e 8
(Agevolazioni in favore dei soggetti danneggiati dagli eventi sismici del maggio 2012)

I commi 7 e 8 provvedono ad inglobare in un’unica disposizione sia l’agevolazione concernente la detassazione di plusvalenze e sopravvenienze derivanti da indennizzi o risarcimenti in favore delle imprese danneggiate dal sisma del maggio 2012, sia l'agevolazione concernente la detassazione dei contributi di cui all’articolo 3-bis del D.L. n. 95 del 2012; pertanto tutte le forme di contributi, indennizzi o risarcimenti, di qualsiasi natura, ricevuti in relazione a danni causati dal sisma del maggio 2012 non concorrono alla formazione del reddito imponibile ai fini delle imposte sul reddito e dell’IRAP.

 

Più in dettaglio, il comma 7 abroga l’articolo 12-bis del D.L. n. 74 del 2012 con il quale si è stabilito che per le imprese ubicate nei territori interessati dagli eventi sismici del maggio 2012 e per le imprese ubicate al di fuori dell'area delimitata che abbiano subito danni, verificati con perizia giurata, le plusvalenze e le sopravvenienze derivanti da indennizzi o risarcimenti per danni connessi agli eventi sismici non concorrono alla formazione del reddito imponibile ai fini delle imposte sul reddito e dell'IRAP.

 

Il comma 8 riformula l’articolo 6-novies del D.L. n. 43 del 2013.

Si ricorda che il testo previgente dell’articolo 6-novies prevede la detassazione dei contributi di cui all'articolo 3-bis del D.L. n. 95 del 2012 destinati ad interventi di riparazione, ripristino o ricostruzione di immobili di edilizia abitativa e ad uso produttivo, nei limiti stabiliti dai Presidenti delle regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, alternativamente concessi, su apposita domanda del soggetto interessato, con le modalità del finanziamento agevolato. La norma prevede che i predetti contributi sono esclusi dalla formazione del reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito e dell’IRAP.

La nuova formulazione dell’articolo 6-novies stabilisce, al comma 1, che per i soggetti che hanno sede o unità locali nel territorio dei comuni interessati dal sisma del maggio 2012, che abbiano subito danni, verificati con perizia giurata, per effetto degli eventi sismici del maggio 2012, i relativi contributi, gli indennizzi e i risarcimenti connessi agli eventi sismici non concorrono alla formazione del reddito imponibile ai fini delle imposte sul reddito e dell’IRAP.

Il trattamento suddetto riguarda tutti i contributi, indennizzi e risarcimenti connessi agli eventi sismici, qualunque sia la loro natura e indipendentemente dalle modalità di fruizione e contabilizzazione.

Si sottolinea che la norma fa riferimento sia all'articolo 1 del D.L. n. 74 del 2012 (territori dei comuni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo) sia all'articolo 67-septies del D.L. n. 83 del 2012 (territori dei comuni di Ferrara, Mantova, nonché, ove risulti l'esistenza del nesso causale tra i danni e gli indicati eventi sismici, dei comuni di Castel d'Ario, Commessaggio, Dosolo, Pomponesco, Viadana, Adria, Bergantino, Castelnovo Bariano, Fiesso Umbertiano, Casalmaggiore, Casteldidone, Corte dè Frati, Piadena, San Daniele Po, Robecco d'Oglio, Argenta; imprese, ove risulti l'esistenza del nesso causale tra i danni e gli eventi sismici del 20 e 29 maggio 2012, ricadenti nei comuni di Argelato, Bastiglia, Campegine, Campogalliano, Castelfranco Emilia, Modena, Minerbio, Nonantola, Reggio Emilia e Castelvetro Piacentino).

La norma in esame, pertanto, rispetto al combinato disposto del previgente articolo 6-novies del D.L. n. 43 del 2013 e dell'articolo 12-bis del D.L. n. 74 del 2012 (abrogato dal comma 7), dispone che il trattamento agevolativo si applichi a tutte le forme di contributi, indennizzi e risarcimenti, di qualunque natura e comunque siano stati fruiti e contabilizzati, in relazione ai danni causati dal sisma del maggio 2012.

La previgente formulazione dell’articolo 6-novies, invece, facendo esclusivo riferimento ai contributi di cui all’articolo 3-bis del D.L. n. 95 del 2012, di fatto ricomprende nella detassazione solo i contributi concessi per la riparazione, il ripristino o la ricostruzione degli immobili di edilizia abitativa o ad uso produttivo (di cui all’articolo 3, comma 1, lett. a) del decreto legge n. 74 del 2012).

Si evidenzia altresì che, rispetto alla previgente formulazione delle norme sopra citate, il testo in esame fa riferimento ai “soggetti” che hanno sede o unità locali nel territorio dei comuni colpiti dagli eventi calamitosi, mentre il menzionato articolo 12-bis fa riferimento alle “imprese”. Ciò consentirebbe, pertanto, di ricomprendere nell’agevolazione anche altri soggetti non titolari di reddito di impresa, quali i lavoratori autonomi, che ricevano gli stessi contributi per i danni causati dal sisma.

Il nuovo comma 2 dell’articolo 6-novies del D.L. n. 43 del 2013 attribuisce ai presidenti delle regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, nella loro qualità di commissari delegati, il compito di controllare la totalità dei contributi ricevuti dal beneficiari, al fine di evitare sovracompensazioni dei danni subiti, tenendo conto anche degli eventuali indennizzi assicurativi.

A tal fine si ribadisce l'istituzione da parte delle regioni del registro degli aiuti concessi a ciascun soggetto che eserciti attività economica per la compensazione dei danni causati dal medesimo sisma, già previsto dall’articolo 1, comma 373, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013).

Viene infine specificato che l’agevolazione è concessa nei limiti e alle condizioni previste dalle decisioni della Commissione europea C(2012) 9853 final (Aiuti destinati a compensare i danni arrecati dagli eventi sismici verificatisi nel maggio 2012 in Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto (per tutti i settori tranne l'agricoltura, la pesca e l'acquacoltura) e C (2012) 9471 final (Interventi urgenti a favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 20 e 29 maggio 2012, che hanno interessato il territorio delle Province di Bologna, Ferrara, Modena, Reggio Emilia, Mantova, Cremona e Rovigo) del 19 dicembre 2012.

Con le citate decisioni, adottate ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, la Commissione ha valutato la compatibilità con la disciplina sugli aiuti di Stato degli interventi disposti in seguito al sisma del 20 e del 29 maggio (D.L. 74 del 2012, D.L. 83 del 2012 e D.L. 95 del 2012; non sono stati valutati, in quanto adottati successivamente il D.L. n. 174 del 2012 e la legge n. 228 del 2012).


 

Articolo 11, comma 8-bis
(Ripristino degli edifici pubblici danneggiati dagli eventi sismici del maggio 2012)

Il comma 8-bis dell’articolo 11, introdotto durante l’esame al Senato, novella l’articolo 4 del decreto legge 74 del 2012, che reca disposizioni concernenti la riparazione, il ripristino o la ricostruzione degli immobili pubblici nei territori delle Regioni Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto colpiti dal sisma del 20 e 29 maggio 2012.

In particolare, la prima novella integra il comma 2 dell’articolo 4 del decreto-legge 74/2012 includendo gli Enti Ecclesiastici civilmente riconosciuti[59] tra i soggetti di cui i presidenti delle predette regioni possono avvalersi nella realizzazione degli interventi di ripristino degli edifici pubblici danneggiati dagli eventi sismici del maggio 2012.

 

L’art. 4, comma 1, lettera a), del D.L. 74/2012, infatti, prevede che i presidenti delle regioni Lombardia, Emilia – Romagna e Veneto preparino un piano di interventi urgenti di ripristino degli edifici danneggiati con priorità per quelli adibiti all'uso scolastico o educativo per la prima infanzia, e delle strutture edilizie universitarie, nonché degli edifici municipali, delle caserme in uso all'amministrazione della difesa e degli immobili demaniali o di proprietà di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, formalmente dichiarati di interesse storico-artistico ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio[60]. Sono altresì compresi nel piano le opere di difesa del suolo e le infrastrutture e gli impianti pubblici di bonifica per la difesa idraulica e per l'irrigazione.

L’articolo 4, comma 2, del D.L. 74/2012, su cui incide la norma in commento, prevede che alla realizzazione degli interventi di cui al comma 1, lettera a), del citato articolo 4 provvedono i presidenti delle regioni anche avvalendosi del competente provveditorato interregionale alle opere pubbliche nonché degli altri soggetti pubblici competenti, con le risorse umane e strumentali disponibili a legislazione vigente.

 

In secondo luogo, con l’aggiunta del comma 5-ter all’art. 4 del  D.L. 74/2012, si consente ai soggetti attuatori, per la riparazione, il ripristino o la ricostruzione delle opere pubbliche e dei beni culturali danneggiati, di affidare gli appalti dei servizi tecnici riguardanti la progettazione, il coordinamento della sicurezza dei lavori, la direzione dei lavori, di importo compreso tra euro 100.000,00 e la soglia comunitaria prevista per gli appalti di servizi, avvalendosi della procedura negoziata senza pubblicità del bando disciplinata dal comma 6 dell’articolo 57 del decreto legislativo n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici), che deve svolgersi fra almeno 10 concorrenti scelti da un elenco di professionisti e sulla base del principio di rotazione degli incarichi. La norma configura una disciplina derogatoria rispetto a quanto disposto dall’articolo 91, comma 1, del medesimo Codice dei contratti pubblici (v. infra).

 

L'articolo 57 del decreto legislativo n. 163 del 2006 disciplina i casi in cui le stazioni appaltanti possono aggiudicare contratti pubblici relativi a lavori, forniture, servizi, mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara. In particolare, Il comma 6 dell’articolo 57 prevede, nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza, rotazione, la selezione di almeno tre concorrenti, che vengono contemporaneamente invitati a presentare le offerte oggetto della negoziazione, con lettera contenente gli elementi essenziali della prestazione richiesta. La stazione appaltante sceglie l'operatore economico che ha offerto le condizioni più vantaggiose, secondo il criterio del prezzo più basso o dell'offerta economicamente più vantaggiosa, previa verifica del possesso dei requisiti di qualificazione previsti per l'affidamento di contratti di uguale importo mediante procedura aperta, ristretta, o negoziata previo bando.

Gli importi delle soglie dei contratti pubblici di rilevanza comunitaria per forniture e servizi, al netto dell'imposta sul valore aggiunto (IVA), sono stabiliti all’art. 28, comma 1, lett. a) e b) del Codice dei contratti pubblici, e sono pari a 130.000 euro per i committenti delle amministrazioni centrali dello Stato (sostanzialmente i ministeri) e a 200.000 euro per gli altri soggetti[61].

L'articolo 91 del decreto legislativo 163/2006 prevede, al comma 1, che gli incarichi di progettazione, di coordinamento della  sicurezza in fase di progettazione ed in fase di esecuzione, di direzione  lavori e di collaudo con importo pari o superiore a 100.000 euro, sono affidati secondo le disposizioni della parte II, titoli I (relative ai contratti di rilevanza comunitaria) e II del Codice (relative ai contratti sotto soglia comunitaria) per quanto concerne i termini, i bandi, gli avvisi di gara e la pubblicità, mentre al comma 2, per i contratti pubblici sotto tale soglia, si applicano le disposizioni recate dall’art. 57, comma 6 (procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di  gara), invitando almeno cinque soggetti, nel rispetto dei principi di  non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza.

Si segnala, da ultimo, che il comma 15-ter dell’articolo 10 del D.L. 83/2012 dispone che, al fine di operare l'opportuno raccordo con le ulteriori amministrazioni interessate, i Presidenti delle regioni interessate dagli eventi sismici del maggio 2012 possono, inoltre, avvalersi, nel rispetto della normativa vigente e nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di soggetti attuatori all'uopo nominati, cui affidare specifici settori di intervento sulla base di specifiche direttive e indicazioni appositamente impartite.

 


 

Articolo 11 commi 9-11
(Rimozione dei materiali contenenti amianto in talune zone colpite da calamità naturali)

I commi da 9 a 11 disciplinano la procedura per accelerare l’individuazione e la rimozione delle macerie a terra miste ad amianto, nei comuni dell’Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, colpiti dagli eventi sismici del 20 e 29 maggio 2012 e individuati dall'articolo 1, comma 1, del D.L. 74/2012[62], e dell’Emilia-Romagna, interessati dalla tromba d’aria del 3 maggio 2013.

In particolare, il comma 9 stabilisce che i gestori dei servizi pubblici identificano e quantificano la presenza di macerie a terra miste ad amianto e pianificano le attività di rimozione in raccordo con i comuni interessati dai predetti sismici. Si tratta, in particolare, dei comuni  individuati dall’allegato 1 del D.M. 1° giugno 2012 richiamato dal citato comma 1 dell’articolo 1 del D.L. 74/2012[63].

La norma fa generico riferimento ai “gestori di servizi pubblici” analogamente a quanto previsto dall’articolo 17, comma 6, del D.L. 74/2012 relativamente all’attività di trattamento e trasporto del materiale derivante dal crollo parziale o totale degli edifici.

 

L’attività di individuazione e rimozione riguarda:

-    le aree colpite dagli effetti della tromba d’aria del 3 maggio 2013, già interessate dagli eventi sismici del 20 e del 29 maggio 2012, per le conseguenze derivanti dalla medesima tromba d’aria: si tratta di alcuni comuni delle province di Modena e Bologna come rilevato nelle premesse della delibera 9 maggio 2013 del Consiglio dei ministri;

La delibera 9 maggio 2013 del Consiglio dei Ministri ha dichiarato fino al 7 agosto  2013 lo stato d'emergenza, in conseguenza delle eccezionali avversità atmosferiche dei mesi marzo-aprile 2013 e del 3 maggio 2013 nei comuni della regione Emilia-Romagna, stanziando 14 milioni di euro, come previsto anche nell’ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile 83/2013, che all’articolo 6, inoltre, in relazione  alla presenza di ingenti quantitativi di rifiuti costituiti da lastre o materiale da coibentazione contenente amianto a terra, anche  frantumato, non riconducibile al sito di origine e sparso in aree vaste, ha disposto l’intervento degli enti locali per la riduzione del rischio nei territori interessati sia pubblici o di uso pubblico sia privati, con rimozione dei rifiuti, avvalendosi  anche dei gestori del servizio rifiuti.

-    le restanti aree:

-    per i materiali contenenti amianto derivanti dal crollo totale o parziale degli edifici pubblici e privati causato dagli eventi sismici;

-    per quelli derivanti dalle attività di demolizione e abbattimento degli edifici pericolanti disposti dai comuni interessati, nonché da altri soggetti competenti, o comunque svolti sui incarico dei medesimi comuni.

 

Le delibere del Consiglio dei Ministri del 22 maggio 2012 e del 30 maggio 2012 hanno dichiarato, fino al 31 luglio 2012, lo stato di emergenza in ordine agli eventi sismici dei giorni 20 e 29 maggio 2012 che hanno colpito il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Reggio Emilia, Mantova e Rovigo. L’art. 1, comma 3, del decreto-legge 74/2012 , e da ultimo, l’articolo 6, comma 1, del decreto-legge 43/2013 hanno differito ulteriormente il termine finale dello stato di emergenza fino al 31 dicembre 2014.

L’articolo 17 del decreto-legge 74/2012 disciplina, al comma 2, la gestione dei manufatti contenenti amianto nel rispetto delle procedure del D.M. 6 settembre 1994[64] e la fase della bonifica, prevedendo che le ditte autorizzate, prima di asportare e smaltire correttamente tutto il materiale, provvedono alla presentazione all'organo di vigilanza competente per territorio idoneo piano di lavoro ai sensi dell'art. 256 del decreto legislativo 81/2008.

Per quanto attiene alla legislazione sull'amianto[65], gli artt. 12, comma 2, e 6, comma 3, della legge 257 /1992 recano norme riguardanti la pianificazione e la programmazione delle attività di rimozione e di fissaggio dell’amianto e gli interventi per rendere innocuo l'amianto, rispettivamente disciplinate con il D.M. 6 settembre 1994 e con il D.M. 29 luglio 2004, n. 248[66], recante quest’ultimo i disciplinari tecnici sulle modalità per la classificazione, il trasporto ed il deposito dei rifiuti di amianto nonché sul trattamento, l'imballaggio e la ricopertura dei rifiuti medesimi nelle discariche autorizzate, approvato dalla Commissione per la valutazione dei problemi ambientali e dei rischi sanitari connessi all'impiego dell'amianto, di cui all'articolo 4, comma 1, della citata legge n. 257 del 1992.

In Italia, il decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36[67] classifica le discariche secondo le seguenti categorie: discarica per rifiuti inerti, discarica per rifiuti non pericolosi, discarica per rifiuti pericolosi; in particolare, l'art. 7, comma 5, demanda ad un apposito decreto la definizione dei criteri di ammissibilità in discarica dei rifiuti. Il decreto ministeriale 27 settembre 2010 elenca i rifiuti inerti per i quali è consentito lo smaltimento nell’apposita discarica (per rifiuti inerti) senza preventiva caratterizzazione; tuttavia, qualora si sospetti una contaminazione (da un esame visivo oppure perché se ne conosce l’origine), anche tali rifiuti devono essere sottoposti ad analisi o semplicemente respinti da parte del gestore della discarica stessa. Se contengono amianto in quantità tale da aumentare il rischio ambientale e da giustificare il loro smaltimento in una discarica appartenente a una categoria diversa (per rifiuti non pericolosi o per rifiuti pericolosi), i rifiuti inerti non possono essere ammessi in una discarica per rifiuti inerti. Il decreto ministeriale 27 settembre 2010 stabilisce in particolare che i rifiuti di amianto o contenenti amianto possono essere conferiti nelle seguenti tipologie di discarica:

-        discarica per rifiuti pericolosi, dedicata o dotata di cella dedicata;

-        discarica:

·        per rifiuti non pericolosi, dedicata o dotata di cella monodedicata per i rifiuti individuati dal codice dell’elenco europeo dei rifiuti 17.06.05 (materiali da costruzione contenenti amianto);

·        per le altre tipologie di rifiuti contenenti amianto, purché sottoposti a processi di trattamento ai sensi di quanto previsto dal D.M. 29 luglio 2004, n. 248, e con specifici valori, verificati con periodicità stabilita dall’autorità competente presso l’impianto di trattamento.

 

Il comma 10 prevede che, sulla base della quantificazione delle macerie contenenti amianto generate dagli eventi di cui al comma 9, il Presidente della Regione Emilia Romagna, in qualità di Commissario delegato, per ragioni di economia procedimentale, provveda allo svolgimento delle procedure di gara di aggiudicazione dei contratti aventi ad oggetto:

-    l’elaborazione del piano di lavoro contenente le misure per la sicurezza e la salute dei lavoratori e la protezione dell'ambiente, previsto dall’articolo 256 del decreto legislativo 81/2008, la rimozione dei materiali ed il trasporto ai siti di smaltimento;

L’art. 256 del D.Lgs. 81/2008[68], stabilisce che i lavori di demolizione o di rimozione dell'amianto possano essere effettuati solo da imprese iscritte all’Albo nazionale gestori ambientali[69]. Il datore di lavoro, prima dell'inizio di lavori di demolizione o di rimozione dell'amianto o di materiali contenenti amianto da edifici, strutture, apparecchi e impianti, nonché dai mezzi di trasporto, predispone un piano di lavoro contenente le misure necessarie per garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori sul luogo di lavoro e la protezione dell'ambiente esterno. Il comma 5 dispone in particolare sulle procedure amministrative, e prevede che, nelle situazioni ordinarie, copia del piano di lavoro è inviata all'organo di vigilanza, almeno 30 giorni prima dell'inizio dei lavori. Se entro il periodo previsto, l’organo di vigilanza[70] non formula motivata richiesta di integrazione o modifica del piano di lavoro e non rilascia prescrizione operativa, il datore di lavoro può eseguire i lavori. L’obbligo del preavviso di trenta giorni prima dell’inizio dei lavori non si applica nei casi di urgenza.

-    lo smaltimento dei materiali, con l'impegno dell’aggiudicatario dell’appalto di applicare gli stessi prezzi alle attività di smaltimento di materiale contenente amianto commissionate da privati, in conseguenza degli eventi calamitosi di cui al comma 9.

 

La norma provvede ad attribuire specifiche funzioni al Presidente della regione Emilia Romagna relativamente allo svolgimento di attività nel territorio di cui al comma 9 che dovrebbe ricomprendere anche i comuni delle altre regioni interessate dagli eventi sismici del 20 e del 29 maggio 2012.

 

Il comma 11 dispone che agli oneri per l’attuazione degli interventi previsti ai commi 9 e 10 provvede il Presidente della Regione Emilia Romagna in qualità di Commissario delegato, nei limiti delle risorse disponibili del Fondo per la ricostruzione delle aree colpite dal sisma del 20-29 maggio 2012, di cui all’articolo 2 del decreto-legge n. 74 del 2012, e dell'ordinanza di protezione civile 83/2013, per le conseguenze degli eventi atmosferici del 3 maggio 2013.

 

L’articolo 2 del decreto-legge n. 74 del 2012 ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze il Fondo per la ricostruzione delle aree colpite dal sisma, da assegnare alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Il riparto del Fondo tra le regioni interessate è effettuato con D.P.C.M., su proposta dei Presidenti delle Regioni interessate[71].

Per quanto concerne le risorse del Fondo, il comma 3 dispone, innanzitutto, che esso sia alimentato, per un ammontare pari a 500 milioni di euro, mediante le risorse derivanti dal temporaneo aumento (fino al 31 dicembre 2012, nella misura di 2 centesimi al litro) dell'aliquota dell'accisa sulla benzina e sul gasolio.

In aggiunta, il comma 5 dispone che il Fondo sia altresì alimentato:

-   con le risorse eventualmente rivenienti dal Fondo di solidarietà dell’Unione europea, istituito dal Regolamento (CE) n. 2012/2002;

-   con quota parte delle risorse di cui all’articolo 16, comma 1, della legge 6 luglio 2012, n. 96, da ripartire con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri[72], riguardante le somme derivanti dalla riduzione dei contributi pubblici in favore dei partiti politici e dei movimenti politici.

A tali risorse si aggiungono i 550 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014 previsti dall’art. 7, comma 21 del D.L. 95/2012 mediante quota parte delle riduzioni di spesa previste dal decreto.

Si ricorda che l’articolo 3-bis, comma 1, del D.L. 95/2012 ha disposto dei finanziamenti bancari agevolati assistiti da garanzia statale nel limite di 6 miliardi di euro per la ricostruzione delle zone colpite dal sisma del 20 e 29 maggio 2012, autorizzando, a tal fine, la spesa di 450 milioni annui a decorrere dal 2013.

L’ordinanza di protezione civile 83/2013 prevede per le conseguenze degli eventi atmosferici del 3 maggio 2013 risorse pari a 14 milioni di euro.

 


 

Articolo 11, comma 11-bis
(Pagamento degli stati di avanzamento dei lavori nella ricostruzione privata degli edifici)

Il comma 11-bis dell’articolo 11, inserito durante l’esame al Senato, introduce, quale condizione per il pagamento dei SAL (stati di avanzamento lavori) successivi al primo, emessi dal direttore dei lavori e concernenti gli edifici della “ricostruzione privata”, la presentazione di apposita autocertificazione (ai sensi del D.P.R. 445/2000) rilasciata dall’impresa affidataria dei lavori, che attesti l’avvenuto pagamento di tutte le fatture scadute degli appaltatori fornitori e subappaltatori relative ai lavori effettuati nel precedente SAL.

 

I pagamenti degli stati di avanzamento dei lavori sono effettuati dal presidente del consorzio, dall’amministratore di condominio o dal proprietario beneficiario nel caso in cui l'unità immobiliare non sia ricompresa in un consorzio o in un condominio

 

L'autocertificazione non si applica alla rata finale del pagamento.

 

Si segnala che la norma non specifica il suo ambito di applicazione né  interviene a novellare alcun provvedimento vigente; per tale ragione, sembrerebbe avere portata generale. Si segnala, inoltre, che la norma andrebbe coordinata con il comma 6-septies dell’art. 7 del D.L. 43/2013 (inserito nel corso della conversione in legge del medesimo decreto, v. infra), che ha recentemente introdotto una disciplina delle condizioni per il pagamento dei SAL, per gli edifici della ricostruzione privata nelle aree dell’Abruzzo colpite dagli eventi sismici del 2009, che la disposizione in commento provvederebbe a modificare.

 

Si rammenta che il comma 6-septies dell’articolo 7 del D.L. 43/2013, inserito durante l’esame al Senato, introduce - nell’ambito del predetto articolo 7 che reca disposizioni concernenti la ricostruzione nei territori colpiti dagli eventi sismici del 6 aprile 2009 nella regione Abruzzo - quale condizione per il pagamento dei SAL (stati di avanzamento lavori) degli edifici della “ricostruzione privata” successivi al primo SAL, la presentazione di apposita autocertificazione (ai sensi del D.P.R. 445/2000) che attesti l’avvenuto pagamento di tutte le fatture degli appaltatori fornitori e subappaltatori relative ai lavori effettuati:

o     sia nel precedente SAL;

o     sia nel SAL oggetto del pagamento.

La citata autocertificazione deve essere rilasciata dal direttore dei lavori e da uno dei seguenti soggetti: il presidente del consorzio; l’amministratore di condominio; il proprietario beneficiario nel caso in cui l'unità immobiliare non sia ricompresa in un consorzio o in un condominio. L'autocertificazione non si applica alla rata finale del pagamento.

Si segnala che, nel corso dell’esame del decreto legge n. 43 del 2013 presso l’Assemblea della Camera dei deputati, nella seduta del 21 giugno 2013, era stato accolto l’ordine del giorno n. 11, che impegnava il Governo a valutare gli effetti derivanti dall'articolo 7 comma 6-septies del decreto-legge n.43 del 2013 e da ogni altra norma di analogo contenuto e a valutare la possibilità di introdurre disposizioni a garanzia sia del pagamento dei SAL senza imporre onerose anticipazioni ai beneficiari sia la garanzia di pagamenti certi e in tempi brevi a favore dei loro fornitori e dei sub-appaltatori.


 

Articolo 11, comma 11-ter
(Programma di bonifiche ambientali nei comuni della Valle del Belice)

Il comma 11-ter dell’articolo 11, inserito nel corso dell’esame al Senato, affida al Ministero dell'ambiente il compito di definire un programma di interventi finalizzato a provvedere alle bonifiche ambientali connesse allo smaltimento dell'amianto e dell'eternit[73] derivanti dalla dismissione dei baraccamenti costruiti nei comuni della Valle del Belice colpiti dal sisma del 1968 e individuati dall’art. 26 della L. 21/1970.

L’art. 26 della L. 21/1970 elenca i seguenti 16 comuni, i cui abitati sono stati dichiarati da trasferire totalmente o parzialmente ai sensi del D.L. 79/1968:

Camporeale, Contessa Entellina, Roccamena e la frazione Grisí del comune di Monreale, in provincia di Palermo; Gibellina, Salaparuta, Santa Ninfa, Salemi, Partanna, Vita, Poggioreale, Calatafimi, in provincia di Trapani; Montevago, Santa Margherita Belice, Menfi, Sambuca di Sicilia, in provincia di Agrigento.

Si fa notare che la disposizione non sembra far riferimento a tutti i comuni interessati dagli interventi di ricostruzione in quanto non tiene conto di quelli indicati dall’art. 11 della L. 178/1976.

 

Alla realizzazione del programma si provvede nel limite di 10 milioni di euro per l'anno 2013, nell'ambito delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) assegnate alla Regione Sicilia di cui alla delibera CIPE 1/2009, anche rimodulando gli interventi e le relative risorse.

Viene altresì previsto che il riparto delle somme relative è stabilito nel rispetto delle quote percentuali fissate dal D.M. infrastrutture e trasporti 2 agosto 2007.

Relativamente alla delibera CIPE n. 1/2009 si ricorda che con essa si è provveduto all’aggiornamento della dotazione del Fondo aree sottoutilizzate (FAS, ridenominato come FSC dall’art. 4 del D.Lgs. 88/2011) e, tra l’altro, all’assegnazione di risorse ai programmi strategici regionali. Con riferimento alla Regione Sicilia, tale assegnazione è stata determinata in 4.093,784 milioni di euro.

Con il D.M. n. 16370 del 2 agosto 2007 il Ministero delle infrastrutture ha indicato le quote percentuali in base alle quali effettuare il riparto, tra i 21 Comuni della Valle del Belice colpiti dal sisma del 1968 , delle somme stanziate all’art. 1, comma 1010 della L. 296/2006 (100 milioni di euro per il triennio 2007-2009[74]).


 

Articolo 11, comma 11-quater
(Finanziamenti bancari agevolati per la ricostruzione in Emilia)

L’articolo 11, comma 11-quater, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, modifica il comma 1 dell’articolo 3-bis del D.L. n. 95 del 2012 in materia di interventi agevolativi per le zone colpite dal sisma del 20 e 29 maggio 2012 al fine di precisare che sono assistiti da garanzia statale non solo i finanziamenti contratti dalle banche per acquisire le risorse, ma anche i finanziamenti da esse concessi ai soggetti danneggiati dagli eventi sismici per la ricostruzione. Si chiarisce, inoltre, che il limite massimo di 6 miliardi è riferito ai finanziamenti concessi ai soggetti danneggiati, e non a quelli contratti dalle banche.

 

L’articolo 3-bis del D.L. n. 95 del 2012 reca interventi agevolativi per le zone colpite dal sisma del 20 e 29 maggio 2012. In particolare si prevede che i contributi per la ricostruzione degli immobili ubicati nelle zone colpite dal sisma possono essere concessi anche mediante finanziamenti agevolati della durata massima di venticinque anni, nei limiti stabiliti dai Presidenti delle Regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto. I beneficiari dei finanziamenti agevolati usufruiscono di un credito di imposta pari, per ciascuna scadenza di rimborso, all’importo ottenuto sommando alla sorte capitale gli interessi dovuti.

 


 

Articolo 11, comma 11-quinques
(Recupero del borgo storico di Spina del Comune di Marsciano)

Il comma 11- quinques dell’articolo 11, inserito durante l’esame al Senato, reca una deroga alla normativa vigente in materia di contratti pubblici per gli interventi di ricostruzione, riparazione e miglioramento sismico di immobili compresi all'interno del piano integrato di recupero del borgo storico di Spina del Comune di Marsciano, danneggiati dal sisma del 15 dicembre 2009 verificatosi nella Regione Umbria. La disposizione, infatti, nel prevedere l’applicazione di quanto disposto dal comma 1-bis dell’articolo 3 del D.L. 74/2012 per i comuni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo colpiti dagli eventi sismici del 20 e del 29 maggio 2012, consente ai soggetti privati, per l’esecuzione degli interventi di ricostruzione con contributi pubblici, di non ricorrere alle procedure di gara secondo quanto prevede il decreto legislativo n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture).

 

L’art. 3, comma 1-bis, del D.L. 74/2012, inserito dall'art. 11, comma 1, lett. a), n. 2), del D.L. 174/2012, esclude i contratti stipulati dai privati beneficiari di contributi pubblici, per l’esecuzione di lavori o l’acquisizione di beni o servizi connessi agli interventi di ricostruzione e riparazione delle abitazioni private e di immobili ad uso non abitativo, previsti dall’art. 3, comma 1, lett. a)[75], dall’applicazione di talune disposizioni riguardanti i contratti pubblici. La disposizione, infatti, non ricomprende i contratti stipulati dai privati in attuazione degli interventi di ricostruzione tra quelli di cui alle lettere d) ed e) del comma 1 dell’art. 32 del D.Lgs. n. 163/2006[76], che assoggettano rispettivamente i lavori e i servizi affidati da privati, per i quali sia previsto un contributo pubblico in misura prevalente, all’applicazione, seppur parziale, della normativa pubblicistica sui contratti pubblici. Restano fermi i criteri di controllo, di economicità e trasparenza nell'utilizzo delle risorse pubbliche e i controlli antimafia previsti dall’articolo 5-bis del decreto legge 74/2012 da effettuarsi secondo le linee guida del Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere[77].

Una disposizione analoga era stata prevista per gli interventi di ricostruzione a seguito degli eventi sismici del 6 aprile 2009 in Abruzzo laddove l’articolo 3-ter del decreto legge n. 125 del 2010[78] ha precisato che i contributi a fondo perduto previsti e destinati alla ricostruzione, riparazione o acquisto di immobili (di cui all’articolo 3, comma 1, lett. a), e) ed e-bis) del decreto legge n. 39 del 2009), sono concessi ai privati o ai condomini costituiti da privati ai sensi degli artt. 1117 e seguenti del codice civile, a titolo di indennizzo per il ristoro, in tutto o in parte, dei danni causati dal sisma del 6 aprile 2009 e, conseguentemente, i contratti stipulati dai beneficiari per la esecuzione di lavori e per l'acquisizione di beni e servizi connessi non si intendono ricompresi tra quelli previsti dall'art. 32, comma 1, lettere d) ed e), del D.Lgs. 163/2006.

Per quanto riguarda i gravi eventi sismici che hanno colpito parte del territorio della regione Umbria il giorno 15 dicembre 2009, lo stato di emergenza è stato dichiarato con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22 dicembre 2009, successivamente prorogato dal D.P.C.M. del 17 dicembre 2010 fino al 31 dicembre 2011 e dal D.P.C.M. 13 dicembre 2011 fino al 31 dicembre 2012, ed è cessato a seguito dell’ordinanza di protezione civile del 29 marzo 2013 n. 70.

L’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri del 3 marzo 2010, n. 3853, ha previsto interventi urgenti conseguenti ai gravi eventi sismici che hanno colpito parte del territorio della regione Umbria il giorno 15 dicembre 2009, a favore del comune di Marsciano (Perugia), maggiormente colpito dagli eventi sismici (art. 1, comma 2)[79], e la nomina del presidente della regione Umbria a Commissario delegato (art. 1, comma 1).

L’art. 1, comma 3, dell’ordinanza stabilisce che il Commissario delegato adotta, entro 30 giorni dalla data di pubblicazione dell’ordinanza medesima, un piano di interventi straordinari per il ripristino degli edifici pubblici e privati destinati ad abitazione principale o all'esercizio di impresa o professione e delle infrastrutture danneggiate, e per la ricostruzione degli immobili distrutti o gravemente danneggiati dal sisma. Nel borgo storico di Spina gli interventi sono attuati attraverso un programma integrato di recupero.

I programmi integrati di recupero, definiti dall’art. 3 del D.L. 6/1998[80], prevedono:

a) la ricostruzione, o il recupero di edifici pubblici o di uso pubblico, e degli immobili utilizzati dalle attività produttive previste;

b) il ripristino e la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria connesse agli interventi da realizzare nell'area.

Nei programmi sono indicati i danni subiti dalle opere, la sintesi degli interventi proposti, una prima valutazione dei costi, le volumetrie, superfici e destinazioni d'uso delle opere e i soggetti realizzatori degli interventi.

L’art. 67 – sexies, comma 3, del D.L. 83/2012 ha previsto, con priorità per gli edifici comprendenti abitazioni dei residenti e attività produttive oggetto di ordinanza di sgombero, nonché per il Piano integrato di recupero della frazione di Spina del comune di Marsciano, l’assegnazione di 20 milioni di  euro per il 2012 e 15 milioni  per il 2013, derivanti dalle risorse previste dall'articolo 16, comma 1, della legge 6 luglio 2012, n. 96, di riduzione dei contributi pubblici in favore dei partiti politici e dei movimenti politici. Il D.P.C.M. 16 ottobre 2012 ha ripartito complessivi 91,2 milioni di cui 20 milioni assegnati all’Umbria per le citate esigenze.

Si ricorda, infine, che l'art. 8 del D.L. 74/2012, ai commi da 3.1 a 3.3 inseriti dall’articolo 1, comma 556 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), ha esteso talune esenzioni fiscali previste per i territori di Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, colpiti dagli eventi sismici del 20 e del 29 maggio 2012, al comune di Marsciano, a partire dal 1° gennaio 2013.


 

Articolo 11, comma 12
(Addizionale regionale all’IRPEF nelle Regioni a statuto speciale)

La disposizione introdotta dal comma 12 dell'articolo 11 consente alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e Bolzano, a decorrere dal 2014, di ricorrere alla leva fiscale ai fini della copertura degli oneri derivanti dal rimborso delle anticipazioni di liquidità erogate dallo Stato per far fronte ai pagamenti dei debiti delle regioni e degli enti del servizio sanitario nazionale secondo quanto disposto agli articoli 2 e 3 del decreto legge n. 35 del 2013 (Debiti PA).

 

La norma in esame inserisce a tal fine un nuovo articolo nel citato decreto-legge 35/2013. Il nuovo articolo 3-ter, prevede che le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano possano maggiorare, a decorrere dall’anno 2014, l’aliquota base dell’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche fino ad un massimo di 1 punto percentuale, al fine di predisporre le misure di copertura finanziaria degli oneri derivanti dal rimborso delle anticipazioni di liquidità erogate dallo Stato secondo quanto disposto dallo stesso decreto-legge n. 35 del 2013, all'articolo 2, comma 3, lettera a), per quanto concerne i debiti delle regioni e all'articolo 3, comma 5, lettera a), per quanto concerne i debiti degli enti del Servizio sanitario nazionale.

Una modifica apportata nel corso dell'esame del provvedimento al Senato, inserisce nella norma l'esclusività del fine, nel senso che l'aumento dell'addizionale regionale all'IRPEF è consentito al solo fine della copertura degli oneri derivanti dal rimborso del prestito dello Stato per il pagamento dei debiti della regione o degli enti del servizio sanitario.

 

Entrambe le norme citate del decreto legge n. 35 del 2013, dispongono, infatti, che ai fini dell'erogazione da parte dello Stato delle anticipazioni di liquidità, la regione che ne ha fatto richiesta - per il pagamento dei debiti propri o per il pagamento dei debiti degli enti del Servizio sanitario nazionale - è tenuta a predisporre misure, anche legislative, idonee e congrue di copertura annuale del rimborso dell'anticipazione di liquidità, maggiorata degli interessi.

Tra le regioni a statuto speciale e le province autonome solo le regioni Sicilia e Sardegna (quest'ultima solo in relazione al pagamento dei debiti sanitari) hanno fatto richiesta per ottenere anticipazioni di liquidità.

 

Si ricorda che, secondo quanto disposto dall'articolo 2 del decreto legge 35/2013, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono chiedere una anticipazione di somme destinata al pagamento dei debiti - certi liquidi ed esigibili alla data del 31 dicembre 2012 - per i quali la regione non è in grado di far fronte per carenza di liquidità. Come disposto dalla norma, il complesso delle risorse disponibili è stato ripartito tra le regioni che ne hanno fatto richiesta (Calabria, Campania, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Piemonte, Toscana e Sicilia) con decreto 14 maggio 2013[81], a seguito dell'accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni del 9 maggio 2013.

Analogamente ha disposto l'articolo 3 del decreto legge 35/2013 per quanto concerne i debiti sanitari cumulati al 31 dicembre 2012. Le anticipazioni di liquidità, per un importo complessivo di 14 miliardi di euro, di cui 5 miliardi per il 2013 e 9 miliardi per il 2014, sono concesse su richiesta della regione interessata e sono destinate al . Si ricorda che la quota di anticipazioni relativa al 2013 è stata già ripartita tra le regioni e le province autonome (nella misura massima prevista di 5 miliardi) con il decreto direttoriale del 16 aprile 2013[82]. La Tabella 1 allegata al decreto reca il riparto fra le regioni. Come stabilito, entro il 31 maggio, le regioni dovevano inoltrare l’istanza di accesso per accedere all’erogazione delle risorse. Non hanno presentato istanza di accesso le regioni a statuto speciale, fatta eccezione per la Sicilia e la Sardegna, le due Province autonome di Trento e Bolzano e le regioni Lombardia, Marche e Basilicata. Sul riparto recato dal decreto direttoriale del 16 aprile 2013 sono pertanto residuate risorse pari a 278.828.000 euro, che lo stesso articolo 3, al comma 4, dà la possibilità di riassegnare, in occasione del secondo riparto definitivo di 9 miliardi, alle regioni che ne facciano richiesta.

 

La norma in esame, come detto, consente alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano di maggiorare fino ad un massimo di 1 punto percentuale l’aliquota base dell’addizionale regionale IRPEF, stabilita nella misura dell’1,23 per cento dall’articolo 28 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201.

 

Al riguardo, si ricorda che il comma 1 dell'articolo 28 citato ha disposto l'aumento dell'aliquota base dell'addizionale regionale all'IRPEF sino allo 1,23 per cento, a decorrere dall'anno di imposta 2011, modificando a tal fine il comma 1 dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 68 del 2011; il comma 2 ha esteso il predetto aumento anche alle regioni ad autonomia speciale.

Il citato articolo 6 del decreto legislativo n. 68 del 2011 consente peraltro a ciascuna regione a statuto ordinario di maggiorare l’aliquota dell’addizionale regionale all’IRPEF fino a 1,1 punti percentuali per l'anno 2014 e fino a 2,1 punti percentuali a decorrere dall'anno 2015.

Poiché la predetta disposizione non si applica alle regioni a statuto speciale, con la norma in esame si consente a queste ultime, a decorrere dal 2014, di incrementare l'aliquota base dell'addizionale IRPEF sino ad 1 punto percentuale.

 

La norma si rende necessaria in relazione al diverso ordinamento finanziario delle regioni a statuto speciale. Le norme che consentono alle regioni a statuto ordinario di aumentare l'aliquota dell’addizionale regionale all’IRPEF, recate dal D.Lgs. 68/2011, attuativo della delega sul federalismo fiscale recata dalla legge 42/2009, infatti, non si applicano direttamente alle autonomie speciali. Per esse, l'attuazione dei principi del federalismo fiscale richiede la predisposizione di norme di attuazione dello statuto speciale.

Secondo quanto riportato nella relazione illustrativa al disegno di legge di conversione, la norma in esame consentirebbe in tal modo anche alle regioni a statuto speciale, un maggior margine di manovra sulla leva fiscale, particolarmente utile nel caso in cui la regione sia sottoposta al piano di rientro dal deficit sanitario e perciò abbia già innalzato al livello massimo consentito le aliquote dell'addizionale IRPEF e dell'IRAP, come previsto dalla normativa vigente in materia.

A tale proposito si segnala che la Regione Sicilia è a tutt'oggi sottoposta al piano di rientro (siglato il 31 luglio 2007) mentre per la Regione Sardegna il piano di rientro si è concluso positivamente il 31 dicembre 2010.

 

La norma, infine, viene specificato nel testo, opera in deroga alle disposizioni che fissano l'aliquota di compartecipazione dell'addizionale regionale IRPEF allo 0,50 per cento (articolo 50, comma 3, D.Lgs. 446/1997) ed alla disposizione che ha innalzato l'aliquota allo 0,9 per cento (articolo 3, comma 1, D.Lgs. n. 56 del 2000).


 

Articolo 11, comma 12-bis
(Pagamento dei debiti sanitari)

Il comma 12-bis, inserito nel corso dell’esame presso il Senato, aggiunge un comma 1-bis all’articolo 6 del D.L. 35/2013, recante Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 64/2013, riguardante i criteri per l’effettuazione delle anticipazioni di liquidità in favore delle regioni e delle province autonome, per il pagamento dei debiti sanitari cumulati al 31 dicembre 201, nei casi di regioni sottoposte ai piani di rientro (di cui all’articolo 1, comma 180, della legge 311/2004) e commissariate alla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame.

 

Va ricordato che l’articolo 3 del D.L. 35/2013 concede anticipazioni di liquidità in favore delle regioni e delle province autonome, per il pagamento dei debiti sanitari cumulati al 31 dicembre 2012. Le anticipazioni sono ammesse per un importo massimo di 14 miliardi di euro, di cui 5 miliardi per il 2013 e 9 miliardi per il 201410. I criteri per il riparto delle risorse tra le regioni e le province autonome sono costituiti dall'ammontare degli ammortamenti non sterilizzati e dall'importo delle mancate erogazioni - per competenza e/o per cassa - delle somme dovute dalle regioni ai rispettivi Servizi sanitari.

Le anticipazioni in oggetto sono restituite, insieme con gli interessi, in un periodo non superiore a 30 anni (ai sensi del comma 5, lettera c)).

L’articolo 6, comma 1, sancisce un criterio di priorità nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni di cui al Capo I, qualificando le disposizioni in esso contenute come norme volte ad assicurare l'unità giuridica ed economica dell'ordinamento.

Essi devono essere effettuati dando la precedenza ai crediti non oggetto di cessione pro soluto, e, tra essi, al credito più antico, come risultante dalla fattura o dalla richiesta equivalente di pagamento, ovvero da contratti o da accordi transattivi eventualmente intervenuti dalle parti.

Si ricorda, al riguardo che, secondo i principi del diritto civile, la cessione pro soluto esonera il cedente dal rispondere dell'eventuale solvibilità del debitore, mentre la cessione pro solvendo, implica invece per il cedente l’obbligo di rispondere dell'eventuale inadempienza del debitore.

La disciplina sulla certificazione dei crediti consente la cessione del credito a banche o intermediari finanziari sia pro soluto, sia pro-solvendo, nonché l’anticipazione del credito, senza cessione dello stesso (cfr. supra, ricostruzione normativa).

 

 

Viene quindi stabilito che nelle regioni sottoposte ai piani di rientro e commissariate i pagamenti dei debiti sanitari, oltre che in applicazione dei criteri indicati dall’articolo 6, comma 1., del D.L. 35/2013, possono essere effettuati anche dando precedenza ai crediti fondati su titoli esecutivi per i quali non sono più esperibili rimedi giurisdizionali diretti ad ottenere la sospensione dell’esecutività .

Restano comunque fermi i piani di rientro nonché gli eventuali piani di pagamento dei debiti accertati in attuazione di essi.


 

Articolo 11, commi 12-ter-12-septies
(Garanzia statale sui debiti certificati di parte corrente delle amministrazioni pubbliche)

I commi da 12-ter a 12-septies dell’articolo 11, introdotti nel corso dell’esame al Senato, prevedono la concessione della garanzia statale sui debiti di parte corrente - certi liquidi ed esigibili, maturati alla data del 31 dicembre 2012 per somministrazioni forniture e appalti nonché per prestazioni professionali - delle amministrazioni pubbliche diverse dallo Stato - quali regioni, enti locali, enti del SSN ed enti pubblici nazionali - certificati tramite comunicazione alla piattaforma elettronica, secondo le disposizioni di cui al comma 6 dell'articolo 7 del medesimo D.L. n. 35. La garanzia dello Stato acquista efficacia all'atto dell'individuazione delle risorse da destinare all’apposito Fondo istituito per la copertura degli oneri determinati dal rilascio della garanzia dello Stato. I crediti di parte corrente, come sopra definiti, garantiti dallo Stato, possono essere ceduti a ad una banca o ad un intermediario finanziario, anche sulla base di apposite convenzioni quadro, e successivamente, essere oggetto di ristrutturazione.

In caso di escussione della garanzia, è attribuito allo Stato il diritto di rivalsa sugli enti debitori.

 

In particolare, il comma 12-ter dispone la concessione dalla garanzia dello Stato sui debiti di parte corrente delle pubbliche amministrazioni diverse dallo Stato tenute a registrarsi sulla apposita piattaforma elettronica predisposta dal Ministero dell’economia e finanze, ai fini della certificazione dei propri debiti relativi a somministrazioni, forniture e appalti, nonché a prestazioni professionali tramite apposita comunicazione, ai sensi del comma 1 dell'articolo 7 del D.L. n. 35/2013[83].

La garanzia statale è concessa, dunque, limitatamente ai debiti di parte corrente certificati secondo le disposizioni di cui al comma 6 dell'articolo 7 del medesimo D.L. n. 35, cioè tramite apposita comunicazione alla piattaforma elettronica, da effettuarsi a partire dal 1° giugno 2013 ed entro il termine del 15 settembre 2013,.

Le amministrazioni pubbliche destinatarie della disposizione in commento, a norma dell’articolo 7, comma 1 del D.L. n. 35, con esplicita esclusione dello Stato, sono dunque:

§      le amministrazioni territoriali, regioni ed enti locali, esclusi gli enti locali commissariati e gli enti del servizio sanitario nazionale delle regioni sottoposte a piani di rientro;

§      gli enti pubblici nazionali.

 

Si ricorda che il citato comma 1 dell’articolo 7, del D.L. 8 aprile 2013, n. 35 (legge n. 64/2013) prevede che le amministrazioni pubbliche provvedano, entro il 29 aprile 2013 (20 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legge), a registrarsi sulla piattaforma elettronica per la gestione telematica del rilascio delle certificazioni, predisposta dal Ministero dell’economia e finanze – RGS, ai fini della certificazione delle somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti e per obbligazioni relative a prestazioni professionali.

Ai sensi della normativa vigente in materia, richiamata dal medesimo comma 1 (cfr. articolo 9, commi 3-bis e comma 3-ter del D.L. n. 185/2008, e successive modificazioni, e articolo 12, comma 11-quinquies, D.L. n. 16/2012), la certificazione del credito verso la P.A. per somministrazioni, forniture e appalti e per prestazioni professionali è rilasciata anche al fine di consentirne la cessione del credito pro soluto o pro solvendo a banche o intermediari finanziari riconosciuti dalla legislazione vigente. Le pubbliche amministrazioni tenute, in base alla normativa vigente, a rilasciare certificazione sono:

§      le regioni e gli enti locali, ad eccezione degli enti locali commissariati e degli enti del servizio sanitario nazionale delle regioni sottoposte a piano di rientro ovvero a programmi operativi di prosecuzione degli stessi, i quali non possono rilasciare certificazione a pena di nullità (articolo 9, comma 3-bis e 3-ter del D.L. n. 185/2008);

§      Stato e gli enti pubblici nazionali (articolo 12, comma 11-quinquies, D.L. n. 16/2012).

Il comma 4 dell’articolo 7 del D.L. n. 35 prevede che le pubbliche amministrazioni debitrici di cui al comma 1 sono tenute a comunicare, a partire dal 1° giugno 2013 ed entro il termine del 15 settembre 2013, utilizzando la piattaforma elettronica per la gestione telematica del rilascio delle certificazioni, l’elenco completo dei debiti certi liquidi ed esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2012, che non risultano estinti ovvero ceduti alla data della comunicazione, con l’identificazione dei dati identificativi del creditore. Tale comunicazione - per i crediti che non siano stati già oggetto di certificazione o cessione - equivale a certificazione del credito, ai sensi del comma 6 dell’articolo 7[84].

A decorrere dal 1° gennaio 2014, le amministrazioni in questione sono altresì obbligate a redigere annualmente l’elenco dei propri debiti maturati al 31 dicembre dell’anno precedente, da comunicarsi entro il 30 aprile dell’anno successivo (articolo 7, comma 4-bis). In tal modo, la comunicazione/certficazione del credito avverrebbe con cadenza annuale.

Inoltre, ai meri fini di una ricognizione dei debiti dell’intero comparto della pubblica amministrazione maturati alla data del 31 dicembre 2012, anche le altre amministrazioni pubbliche non tenute alla certificazione elettronica hanno comunque l’obbligo di comunicare l’elenco dei propri debiti maturati a tale data tramite la piattaforma elettronica.

 

Per quanto concerne l’ambito oggettivo di applicazione della norma, l’articolo 12-bis limita la concessione di garanzia dello Stato soltanto ai debiti di parte corrente della pubblica amministrazionecertificati secondo le disposizioni di cui al comma 6 dell'articolo 7 del medesimo decreto-legge n. 35”, vale a dire -come sopra illustrato - a quei debiti per somministrazioni, forniture e appalti, nonché per prestazioni professionali, certi liquidi ed esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2012, soggetti a certificazione per effetto di apposita comunicazione alla piattaforma elettronica effettuata, ai sensi del comma 4 dell’articolo 7 del D.L. n. 35, a partire dal 1° giugno 2013 ed entro il termine del 15 settembre 2013.

La garanzia non sembra pertanto interessare i debiti di parte corrente già oggetto di cessione o certificazione secondo le procedure ordinarie[85], in quanto tali debiti sono esplicitamente esclusi dall’ambito di applicazione dell’articolo 7, comma 6 del D.L. 35.

In merito, va rammentato che il D.L. n. 35/2012 reca una disposizione in materia di garanzia dello Stato, laddove esso dispone, all’articolo 5-bis, che per consentire l'integrale pagamento dei debiti della pubblica amministrazione maturati alla data del 31 dicembre 2012, nonché per motivate esigenze economico-finanziarie, il Ministero dell'economia e delle finanze può autorizzare la cessione di garanzia dello Stato a favore di istituzioni finanziarie nazionali, dell'Unione europea e internazionali. Mentre peraltro la garanzia prevista dal comma 12-bis in commento ha carattere obbligatorio ed automatico e si riferisce, come detto, ai debiti di parte corrente certificati ai sensi dell’articolo 7 del D.L. 35 citato, quella prevista dall’articolo 5-bis, oltre a far riferimento in via generale ai debiti maturati al 31 dicembre 2012, ha natura facoltativa.

 Stante la diversità tra le due disposizioni, che tuttavia fanno entrambe riferimento ad una garanzia statale sui debiti, risulterebbe  opportuno un chiarimento al riguardo.

 

Il comma 12-quater dispone che per i debiti in conto capitale delle pubbliche amministrazioni di cui al comma 12-bis continuano ad applicarsi le disposizioni contenute nel D.L. n. 35/2013.

Si ricorda che il D.L. n. 35/2013 ha definito un insieme di regole e procedure volte ad accelerare il pagamento da parte delle pubbliche amministrazioni dei debiti già maturati verso imprese e professionisti, mettendo a disposizione un importo complessivo di 40 miliardi di euro, da ripartirsi per 20 miliardi nell’anno 2013 e 20 miliardi nell’anno 2014, parte dei quali destinati al pagamento dei debiti in conto capitale.

Per quanto concerne in particolare i debiti di conto capitale - certi, liquidi ed esigibili degli enti locali maturati alla data del 31 dicembre 2012, ovvero di quelli per i quali alla medesima data sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento - l’articolo 1 prevede:

§      un allentamento dei vincoli del patto di stabilità interno per gli enti locali per l’anno 2013, per un importo complessivo di 5 miliardi di euro, al fine di consentire agli enti l’utilizzo nel corso del 2013 di risorse proprie disponibili (avanzi di amministrazione) per il pagamento dei debiti di conto capitale esigibili alla data del 31 dicembre 2012;

§      un analogo allentamento dei vincoli del patto di stabilità interno per le regioni per il pagamento dei debiti di conto capitale, con priorità per il pagamento di residui di parte capitale in favore degli enti locali, nel limite di 1,4 miliardi di euro;

 

Si ricorda, inoltre, che per tutti gli enti territoriali e gli enti sanitari locali è inoltre prevista l’istituzione nel bilancio dello Stato di un apposito Fondo con obbligo di restituzione in un arco temporale certo e sostenibile, dotato di 9,3 miliardi di euro nel 2013 e 14,5 miliardi nel 2014, finalizzato ad assicurare anticipazioni di liquidità agli enti che non possono far fronte, con disponibilità proprie, al pagamento dei debiti, sia di parte corrente che in conto capitale, maturati alla data del 31 dicembre 2012.

Per l’estinzione dei debiti fuori bilancio dei Ministeri per somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali, maturati alla data del 31 dicembre 2012, l’articolo 5 del D.L. n. 35 rifinanzia di 500 milioni di euro per il 2013 il Fondo per l’estinzione dei debiti pregressi delle amministrazioni centrali. La norma prevede, inoltre, al comma 7, la riprogrammazione delle restituzioni e dei rimborsi delle imposte, al fine di determinare un incremento delle corrispondenti erogazioni per un importo complessivo non superiore a 2.500 milioni per il 2013 e a 4.000 milioni per il 2014.

Per quanto concerne l’entità dei debiti della pubblica amministrazione, alla cui riduzione è finalizzato il D.L. n. 35/2013, si ricorda che , secondo le informazioni diffuse dalla Banca d'Italia, nel corso dell’audizione svoltasi presso le Commissioni speciali riunite della Camera e del Senato il 28 marzo 2013 e, successivamente, nella Relazione Annuale del 31 maggio 2013, -il totale dei debiti commerciali (inclusi quelli riguardanti la spesa in conto capitale) delle P.A. verso le imprese ammonterebbe, a fine 2012 a circa 90 miliardi di euro (5,8 per cento del PIL). Quanto alla distribuzione, circa la metà dei debiti sarebbe attribuibile a Regioni e ASL, mentre tra i creditori la quota maggiore sarebbe vantata da imprese di grandi dimensioni e da quelle che forniscono servizi privati, anche se in rapporto al fatturato a soffrire maggiormente per i ritardi dei pagamenti risultano essere le imprese di costruzioni.

 

Inoltre, il comma 12-quater dispone che resta ferma la validità delle operazioni di pagamento per i debiti di parte corrente effettuate ai sensi del citato decreto legge n. 35 e già avviate alla data di entrata in vigore del presente decreto.

Sarebbe opportuno riformulare la norma sostituendo il riferimento della data di entrata in vigore del decreto legge in esame, con la data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge in esame.

 

Il comma 12-quinques consente ai creditori la cessione del credito certificato e assistito dalla garanzia dello Stato ai sensi del comma 12-ter ad una banca o ad un intermediario finanziario, anche sulla base di apposite convenzioni quadro.

Il comma dispone, inoltre, che per i crediti assistiti dalla garanzia dello Stato non possono essere richiesti sconti superiori al 2 per cento dell'ammontare del credito.

 

Una volta avvenuta la cessione del credito, l'amministrazione debitrice diversa dallo Stato può richiedere nel confronti del soggetto cessionario la ristrutturazione del debito, con un piano di ammortamento.

Il piano deve essere comprensivo di quota capitale e quota interessi, di durata fino a un massimo di 5 anni, rilasciando delegazione di pagamento o altra simile garanzia a valere sulle entrate di bilancio.

 

Il comma dispone che la garanzia dello Stato di cui al comma 12-ter cessa al momento della ristrutturazione del debito.

Infine, si consente all’amministrazione debitrice di contrattare con una banca o un intermediario finanziario la ristrutturazione del debito, a condizioni più vantaggiose, previo contestuale rimborso del primo cessionario.

Si osserva che, dal punto di vista logico e temporale, l’avverbio previo sembra escludere l’ulteriore avverbio “contestuale”. La ristrutturazione del debito con un secondo soggetto cessionario sembra infatti presupporre l’estinzione del primo rapporto di cessione del debito.

 

Il comma 12-sexies prevede che - per le finalità di cui al comma 12-ter -  è costituito, presso il Ministero dell'economia e delle finanze, di un apposito Fondo per la copertura degli oneri determinati dal rilascio della garanzia dello Stato, nell'ambito di quanto previsto dal comma 9-bis dell'articolo 7 del D.L. n. n. 35/2013.

Il richiamo al comma 9-bis dell'articolo 7 del D.L. n. n. 35/2013 sembrerebbe determinare l’effetto di rinviare alla legge di stabilità per il 2014 la quantificazione delle risorse destinate al Fondo in oggetto e la relativa copertura finanziaria.

Si ricorda che l’articolo 7, comma 9-bis, del D.L. n. 35, prevede che nella relazione da allegarsi alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2013 che dà conto dello stato di attuazione delle misure contenute nel medesimo decreto, sia anche dato conto delle iniziative da assumere anche con la legge di stabilità per il 2014, al fine di completare il pagamento dei debiti delle amministrazioni pubbliche maturati al 31 dicembre 2012, ivi inclusi i debiti per obbligazioni giuridicamente perfezionate relativi a somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali a fronte dei quali non sussistono nei bilanci residui passivi anche perenti, anche mediante la concessione nell'anno 2014 della garanzia dello Stato al fine di agevolare la cessione dei relativi crediti a banche e ad altri intermediari finanziari, nel rispetto dei saldi programmati di finanza pubblica.

 

Il comma demanda ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanarsi entro e non oltre 60 giorni dalla entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in commento, la definizione del termini e delle modalità di attuazione della presente disposizione, e in particolare, la definizione della misura massima dei tassi di interesse praticabili sui crediti garantiti dallo Stato e ceduti ai sensi del presente comma, nonché le modalità di escussione della garanzia, a decorrere dal 1° gennaio 2014.

 

Il comma dispone, infine, che la garanzia dello Stato di cui al comma 12-ter e seguenti acquista efficacia all'atto dell'individuazione delle risorse da destinare al Fondo di cui al presente comma.

L’operatività della garanzia a decorrere dal 1° gennaio 2014, nonché il richiamo al comma 9-bis dell’articolo 7 del D.L. n. 35/2013, sembra far presupporre, come sopra già sopra detto, che la determinazione della dotazione del Fondo venga rimandata alla legge di stabilità per il 2014, sulla base delle necessità risultanti dalla relazione che il Governo dovrà presentare in allegato alla Nota di aggiornamento al DEF per il 2013, per misure da realizzarsi nel 2014.

Tale interpretazione sembra trovare conferma nella ovvia considerazione che il decreto ministeriale di cui sopra, in quanto atto secondario, non sarebbe di per sé idoneo – ai sensi della disciplina contabile - a quantificare l’onere del Fondo - e la sua copertura[86].

 

In merito al Fondo che il comma 12-quinquies istituisce per la copertura degli oneri determinati dal rilascio della garanzia dello Stato, si rammenta come, in base all’articolo 31 della legge n. 196/2009, le garanzie (principali e sussidiarie) prestate dallo Stato a favore di enti od altri soggetti pubblici sono contenute in un elenco allegato allo stato di previsione del MEF, cap. 7407, rubricato come “Oneri derivanti dalle garanzie assunte dallo Stato in dipendenza di varie disposizioni legislative” e la cui dotazione per l’anno 2013 reca uno stanziamento di bilancio pari a circa 79 milioni di euro. Poiché tali oneri hanno natura obbligatoria, qualora se ne presenti la necessità – vale a dire in caso di ricorso alla garanzia statale – è anche consentito il prelevamento di ulteriori risorse dal Fondo di riserva per le spese obbligatorie, previsto in bilancio ai sensi dell’articolo 26 della medesima legge n. 196/2009.

Sarebbe opportuno chiarire al riguardo in che termini il Fondo di cui al comma in esame opera rispetto al Fondo di garanzia previsto dalla disciplina contabile[87].

 

Il comma 12-septies dispone che – in caso di escussione della garanzia - è attribuito allo Stato il diritto di rivalsa sugli enti debitori.

La rivalsa è esercitata sulle somme a qualsiasi titolo spettanti all'ente debitore e il decreto ministeriale di cui al comma 12-sexies disciplina le modalità per l'esercizio del diritto di rivalsa stesso.

 

Con riguardo alla formulazione del testo va osservato come i commi da 12-ter a 12-septies illustrati introducano disposizioni che incidono sui contenuti dell’articolo 7 del D.L. n. 35/2013 senza tuttavia modificarlo espressamente, come invece sarebbe risultato opportuno, atteso che il contenuto normativo di tale articolo risulta sostanzialmente integrato dai commi in esame.


 

Articolo 11, commi 13-16
(Finanziamento del piano di rientro dal disavanzo nel settore del trasporto pubblico locale ferroviario nella regione Campania)

Il comma 13 consente alla regione Campania di utilizzare le risorse, pari a 1.452,6 milioni di euro, ricevute come anticipazione per il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione e non utilizzate a tal fine, per la copertura del piano di rientro dal disavanzo nel settore del trasporto pubblico locale di cui all'art. 16, comma 5 del D.L. 83/2012.

Si ricorda che i commi da 5 a 10 dell’art. 16 richiamato sono intervenuti in materia di trasporto ferroviario regionale campano, delineando una procedura di accertamento dei disavanzi e una conseguente procedura di definizione dei piani di rientro, da realizzarsi nel termine di 5 anni, per  riorganizzare e riqualificare il sistema di mobilità regionale su ferro della Regione Campania.

In particolare, il comma 5 ha previsto che il Commissario ad acta effettui, nel termine di 30 giorni dall'entrata in vigore del decreto, una ricognizione della consistenza dei debiti e dei crediti delle società esercenti il trasporto regionale ferroviario e che nei successivi 60 giorni, sulla base delle risultanze dello stato dei debiti e dei crediti, elabori un piano di rientro dal disavanzo accertato e un piano dei pagamenti, alimentato dalle risorse regionali disponibili in bilancio e dalle entrate conseguenti all'applicazione delle disposizioni di cui al successivo comma 9. Il piano della durata massima di 60 mesi, dopo l'approvazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dell'economia e delle finanze, dovrà individuare gli interventi necessari al perseguimento delle finalità indicate e all'equilibrio economico delle società, nonché le necessarie azioni di riorganizzazione, riqualificazione o potenziamento del sistema di mobilità regionale su ferro. Si ricorda altresì che il Commissario ad acta è stato nominato ai sensi dell'articolo 14, comma 22, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78[88], per l'attuazione delle misure relative alla razionalizzazione e al riordino delle società partecipate regionali, recate dal piano di stabilizzazione finanziaria della Regione Campania approvato con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 20 marzo 2012, al fine di consentire l'efficace realizzazione del processo di separazione tra l'esercizio del trasporto ferroviario regionale e la proprietà, gestione e manutenzione della rete, anche in applicazione dell'articolo 4 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138[89], salvaguardando i livelli essenziali delle prestazioni e la tutela dell'occupazione.

 

La quota di 1.452,6 milioni di euro indicata nella norma costituisce l'anticipazione erogata alla regione Campania per il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione per i quali la regione non è in grado di far fronte per carenza di liquidità, secondo quanto disposto dall'articolo 2 del D.L. 35/2013.

 

Si ricorda che, secondo quanto disposto dall'articolo 2 del decreto legge 35/2013, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono chiedere una anticipazione di somme (nel limite complessivo stabilito dall'art. 1, comma 10, dello stesso D.L. 35/2013) destinata al pagamento dei debiti - certi liquidi ed esigibili alla data del 31 dicembre 2012 - per i quali la regione non è in grado di far fronte per carenza di liquidità. Le modalità di ripartizione tra le regioni della disponibilità complessiva sono stabilite al comma 2, in attuazione del quale è stato emanato il Decreto 14 maggio 2013[90], citato dalla norma in esame. Il Decreto, a seguito dell'accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni del 9 maggio 2013, reca la ripartizione, per ciascuno degli anni 2013 e 2014 delle somme disponibili tra le regioni che ne hanno fatto richiesta: Calabria, Campania, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Piemonte, Toscana, e Sicilia.

 

La regione può quindi utilizzare le risorse non impiegate per il pagamento dei debiti, per la copertura del piano di rientro dal disavanzo nel settore dei trasporti, per quella parte di oneri non finanziati da:

§      le risorse di cui al primo periodo del comma 9 dell’articolo 16 del medesimo decreto legge n. 83 del 2012, cioè le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione.

A tale proposito si ricorda che il richiamato comma 9 dell’art. 16 del D.L. n. 83 reca il meccanismo per la copertura finanziaria dei debiti del sistema di trasporto regionale su ferro. In particolare si prevede che la Regione Campania possa utilizzare, per gli anni 2012 e 2013, le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione, di cui alla delibera CIPE n. 1/2009 del 6 marzo 2009[91], entro il limite complessivo di 200 milioni di euro. La disposizione è applicabile nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica e subordinatamente all’approvazione dei piani di rientro.

 

§      le risorse del “Fondo di rotazione per la concessione di anticipazioni alle regioni in situazione di squilibrio finanziario”, istituito dal comma 9-bis dell’articolo 1 D.L. 174/2012, per la parte destinata alla regione Campania. Il Fondo, dotato di 50 milioni di euro, è finalizzato a concedere anticipazioni di cassa per il graduale ammortamento dei disavanzi e dei debiti fuori bilancio accertati, nonché per il concorso al sostegno degli oneri derivanti dall'attuazione del piano di stabilizzazione finanziaria. Una modifica recata dal comma 16 in esame, include nelle finalizzazione del Fondo il finanziamento del piano di rientro.

Si ricorda che i commi da 9-bis a 9-septies del citato D.L. 174/2012, recano una serie di disposizioni indirizzate alle regioni sottoposte al piano di stabilizzazione finanziaria previsto all'articolo 14, comma 22, del D.L. 78/2010, per le regioni in cui sia stato certificato il mancato rispetto del patto di stabilità per il 2009; benché formulata in termini generali, la norma è applicabile alla sola regione Campania, in quanto unica regione in cui sia stato approvato il piano di stabilizzazione finanziaria a seguito del mancato rispetto del patto di stabilità per il 2009. La dotazione del Fondo, per tale motivo, potrebbe essere interamente disponibile.

 

Il comma 14 dispone sull'utilizzo da parte della Regione Campania delle risorse non impiegate per il pagamento dei debiti (di cui al comma 13 in esame). Il prestito verrà erogato alla Regione Campania, solo a seguito dell'approvazione del piano di rientro da parte del Ministero delle infrastrutture e trasporti

 

Il comma 15 dispone infine, per la Regione Campania, la maggiorazione delle aliquote di IRAP e IRPEF, a decorrere dal 2014, al pari delle regioni sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari ai sensi dell’articolo 2, comma 86, della legge n. 191/2009 (legge di stabilità 2010).

 

In particolare la norma richiamata dispone, per le regioni in cui sia stato certificato un disavanzo sanitario e secondo quanto disposto dalla normativa vigente in materia di piano di rientro dai disavanzi sanitari l’ulteriore incremento nelle misure fisse di 0,15 punti percentuali dell’aliquota dell’IRAP e di 0,30 punti percentuali dell’addizionale all’IRPEF rispetto al livello massimo delle aliquote vigenti (vale a dire, per l’addizionale IRPEF, 0,5 punti percentuali per gli anni 2012 e 2013 e 1,1 punti percentuali a decorrere dall’anno 2014[92] e, per l’IRAP, un punto percentuale[93])

 

Il conseguente maggiore gettito fiscale dovrà essere finalizzato prioritariamente all'ammortamento dei prestiti erogati per il pagamento dei debiti della regione e degli enti del Servizio sanitario regionale della Campania (erogati ai sensi degli articoli 2 e 3 del D.L. 35/2012) e in via residuale all'ammortamento del prestito finalizzato al piano di rientro dai disavanzi nel settore dei trasporti, erogato ai sensi delle norme in esame (commi 13 e 14).

 

Al riguardo si segnala che il comma 9 dell’articolo 16 del decreto legge n. 83/2012 già prevede, per la copertura dei debiti del sistema di trasporto regionale, a decorrere dal 2013, l’aumento massimo dell’addizionale IRPEF e dell’aliquota IRAP anche in assenza del verificarsi dei presupposti previsti dall’articolo 2, comma 86, della legge n. 191/2009 (disavanzo sanitario), ovvero, in presenza di tali presupposti, un aumento doppio[94]. 


 

Articolo 11, comma 17
(Finanziamento fondazioni lirico-sinfoniche)

Il comma 17 dell’articolo 11 autorizza il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, per l’anno 2013, ad erogare tutte le somme residue a valere sul Fondo unico dello spettacolo (FUS), a favore delle fondazioni lirico-sinfoniche, allo scopo di fronteggiare lo stato di crisi del settore e di salvaguardare i lavoratori delle medesime.

La relazione tecnica all’A.S. 890 chiarisce che si tratta di risorse già destinate alle fondazioni lirico-sinfoniche e che, pertanto, la disposizione ha carattere meramente gestionale.

A fronte della formulazione della disposizione – che potrebbe far pensare a tutte le risorse riconducibili al FUS, destinate a vari settori (cinema, musica, teatro, danza, circhi e spettacolo viaggiante) – il concetto presente nella relazione tecnica è stato espresso anche dal rappresentante del Governo durante la seduta della 7a Commissione del Senato del 16 luglio 2013.

 

La norma sembra, dunque, essere rivolta a consentire l’erogazione immediata delle risorse del FUS da destinare alle fondazioni lirico-sinfoniche per il 2013 - pari ad € 181.984.000 - senza dover attendere l’emanazione del decreto ministeriale di riparto.

 

Al riguardo si ricorda che, ai sensi dell'art. 2 della L. 163/1985, che ha istituito il FUS, lo stesso è ripartito tra i diversi settori in ragione di quote che, per le attività musicali e di danza, non devono essere inferiori al 45%.

I criteri per l’assegnazione dei contributi alle fondazioni lirico-sinfoniche sono stati determinati, da ultimo, previa intesa con la Conferenza unificata, con DM 29 ottobre 2007. Esso stabilisce, all’art. 5, che le fondazioni devono comunicare, entro il 1° settembre dell’anno precedente quello cui afferisce la ripartizione, il valore dei minimi tabellari dell’organico funzionale approvato, i valori della produzione, la sintesi dell’attività con indicazione dei generi della produzione e delle singole rappresentazioni ed esecuzioni. Entro il 1° novembre esse devono inviare i programmi analitici dell’attività. Il contributo è erogato, per ogni anno, in due rate, salvo diversa disposizione di legge. La prima rata, pari all’80% della quota del fondo spettante alla fondazione, è erogata entro il 28 febbraio dell’anno di riferimento. La seconda rata è erogata entro il 31 ottobre del medesimo anno. L’erogazione della prima rata è subordinata alla presentazione del bilancio di previsione dell’anno di riferimento e di una dichiarazione relativa all’attività effettivamente realizzata nell’anno precedente. Entro il 30 giugno le fondazioni presentano il bilancio consuntivo dell’anno precedente e una relazione analitica sull’attività svolta. L’accertamento di attività annuali inferiori a quelle valutate in sede di riparto comporta la riduzione della quota relativa alla prima rata in misura doppia rispetto alla percentuale di flessione dell’attività.

Sull’argomento si ricorda, peraltro, che l’art. 4 del D.L. 64/2010 (L. 100/2010) ha disposto che dal 2010 il Ministero può liquidare anticipazioni sui contributi ancora da erogare, fino all'80% dell'ultimo contributo assegnato, secondo i criteri e le modalità previsti dai decreti ministeriali vigenti[95].

Per il 2012, il DM 23 febbraio 2012, recante il riparto del FUS per il medesimo anno, ha stabilito che alle Fondazioni lirico-sinfoniche fosse assegnata una quota pari al 47%, pari ad € 193.388.080, iscritti al cap. 6621 in conto competenza nel bilancio di previsione per il 2012.

 

In materia, si ricorda che il già citato D.L. 64/2010 ha previsto l’intervento di uno o più regolamenti di delegificazione ai fini della revisione dell’assetto ordinamentale e organizzativo delle fondazioni lirico-sinfoniche. La relazione illustrativa al disegno di legge di conversione (A.S. 2150) sottolineava la profonda crisi del settore e chiariva che l’intervento era finalizzato a razionalizzare le spese degli enti lirici e nel contempo implementare, oltre alla produttività del settore, i livelli di qualità delle produzioni offerte. In particolare, in attesa della riforma organica, è stata indicata un’apposita procedura di contrattazione collettiva ed è stato previsto che i contratti integrativi aziendali vigenti alla data di entrata in vigore del D.L. 64/2010 possono essere rinnovati solo successivamente alla stipula del nuovo CCNL; sono state inoltre dettate specifiche disposizioni in materia di personale dipendente presso tali fondazioni, tra cui la definizione del carattere di esclusività del rapporto di lavoro e la previsione che, decorsi due anni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. e fino alla stipula del CCNL, il trattamento economico aggiuntivo è ridotto del 25%.

Uno schema di regolamento di delegificazione è stato esaminato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 22 dicembre 2012, ma esso non è ancora pervenuto alle Camere.

 


 

Articolo 11, commi 18-20
(Incremento dell’acconto IRPEF e IRES)

L'articolo 11 al comma 18 incrementa dal 99 al 100 per cento la misura dell'acconto IRPEF dovuto a decorrere dall’anno 2013; il comma 19 prevede che per l’anno 2013 gli effetti di tale incremento si producano esclusivamente in sede di versamento della seconda o unica rata di acconto di imposta; il comma 20 incrementa dal 100 al 101 per cento, per il solo periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013, la misura dell’acconto IRES.

 

Si ricorda che la disciplina relativa ai termini e alle modalità di versamento in due rate degli acconti IRPEF ed IRES è contenuta nel comma 3 dell’articolo 17 del D.P.R. n. 435 del 2001.

La norma prevede che i versamenti di acconto dell'IRPEF e dell'IRES, nonché quelli relativi all'IRAP, sono effettuati in due rate salvo che il versamento da effettuare alla scadenza della prima rata non superi euro 103. Il quaranta per cento dell'acconto dovuto è versato alla scadenza della prima rata e il residuo importo alla scadenza della seconda. Il versamento dell'acconto è effettuato, rispettivamente:

a)   per la prima rata, nel termine previsto per il versamento del saldo dovuto in base alla dichiarazione relativa all'anno d'imposta precedente;

b)   per la seconda rata, nel mese di novembre, ad eccezione di quella dovuta dai soggetti IRES e IRAP il cui periodo d'imposta non coincide con l'anno solare, che effettuano il versamento di tale rata entro l'ultimo giorno dell'undicesimo mese dello stesso periodo d'imposta.

 

Quanto alla misura dell'acconto, questa è individuata dal comma 301 dell'articolo 1 della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria 2005).

Il comma 301 stabilisce infatti che, a decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2006, la misura dell'acconto IRPEF è fissata al 99 per cento e quella dell'acconto IRES è fissata al 100 per cento.

 

Più in dettaglio, il comma 18 incrementa dal 99 al 100 per cento la misura dell'acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche a decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013.

 

In relazione a tale incremento (introdotto a regime dal 2013), il comma 19 prevede che i suoi effetti per l'anno 2013 si producono esclusivamente in sede di versamento della seconda o unica rata di acconto IRPEF, quando andrà effettuato il versamento in misura corrispondente alla differenza fra l’acconto complessivamente dovuto e l’importo dell’eventuale prima rata di acconto.

Quanto sopra si applica anche ai soggetti che si avvalgono dell’assistenza fiscale, per i quali è espressamente previsto che i sostituti d’imposta trattengano la seconda o unica rata di acconto tenendo conto delle predette disposizioni.

 

Il comma 20 aumenta dal 100 al 101 per cento la misura dell'acconto dell’imposta sul reddito delle società per il solo periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013.

Analogamente a quanto previsto per l'incremento dell'acconto IRPEF per l'anno 2013, viene peraltro specificato che gli effetti della disposizione si producono esclusivamente sulla seconda o unica rata di acconto, effettuando il versamento in misura corrispondente alla differenza fra l’acconto complessivamente dovuto e l’importo dell’eventuale prima rata di acconto.

 

Si evidenzia che gli incrementi delle percentuali di acconto previsti per le imposte sui redditi hanno effetto anche ai fini dell’imposta sul reddito delle attività produttive (IRAP). Infatti, ai fini IRAP, per esplicita previsione dell’articolo 30, comma 3, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 , gli acconti devono essere versati con le modalità e nei termini stabiliti per le imposte sui redditi.

Ciò comporta che:

§      ai sensi del comma 18, a decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013, la misura dell’acconto IRAP per le persone fisiche e le società di persone è incrementata dal 99 al 100 per cento;

§      ai sensi del comma 20, per il solo periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013, la misura dell’acconto IRAP per i soggetti IRES è incrementata dal 100 al 101 per cento.

 

Si evidenzia che le disposizioni in esame, ed in particolare il comma 18 che introduce un incremento dell'acconto IRPEF a regime, non incidono sulle norme vigenti operando pertanto una modifica non testuale alla disciplina degli acconti, in contrasto con quanto previsto dall’articolo 13-bis della legge n. 400 del 1988 in materia di chiarezza dei testi normativi nonché con l’articolo 2 dello Statuto del contribuente (legge n. 212 del 2000).

 

Riguardo al contenuto della norma, si segnala che la norma introduce un anticipo d’imposta superiore al totale complessivo dell’imposta stessa, configurando una sorta di prestito obbligatorio a carico del contribuente.


 

Articolo 11, comma 21
(Incremento dell’acconto sugli interessi maturati
su conti correnti e depositi)

L'articolo 11 al comma 21 fissa al 110 per cento, per gli anni 2013 e 2014, la misura dell’acconto delle ritenute sugli interessi maturati su conti correnti e depositi al cui versamento sono tenuti gli istituti di credito.

 

Più in dettaglio, la norma in esame fissa nella misura del 110 per cento la misura dell'acconto dovuto ai sensi dell’articolo 35, comma 1, del decreto-legge 18 marzo 1976, n. 46, per il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013 e per quello successivo.

 

Si ricorda che il citato articolo 35 del decreto-legge n. 46 del 1976 stabilisce che le aziende e gli istituti di credito devono versare annualmente alla sezione di tesoreria provinciale dello Stato in acconto dei versamenti, un importo pari ai nove decimi delle ritenute previste dall'articolo 26, secondo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973, complessivamente versate per il periodo di imposta precedente. Il versamento deve essere eseguito in parti uguali entro il 16 giugno e il 16 ottobre.

 

A sua volta il secondo comma dell'articolo 26 del D.P.R. n. 600 del 1973 stabilisce che l''Ente poste italiane e le banche operano una ritenuta del 20 per cento (ai sensi dell'articolo 2, comma 6, del D.L. n. 138 del 2011) con obbligo di rivalsa, sugli interessi ed altri proventi corrisposti ai titolari di conti correnti e di depositi, anche se rappresentati da certificati. La predetta ritenuta è operata dalle banche anche sui buoni fruttiferi da esse emessi.

 

Per il solo periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013, essendo già scaduto il primo termine di versamento, la disposizione in esame produce effetti esclusivamente sulla seconda scadenza di acconto, quando andrà effettuato il versamento in misura corrispondente alla differenza fra l’acconto complessivamente dovuto e l’importo versato alla prima scadenza.

 

Per il periodo di imposta successivo l’acconto, nella misura maggiorata, sarà invece versato in due parti di uguale importo come ordinariamente previsto.

 


 

Articolo 11, comma 22
(Imposta di consumo sui prodotti succedanei dei prodotti da fumo)

Il comma 22 assoggetta, a decorrere dal 1° gennaio 2014, i prodotti succedanei dei tabacchi lavorati nonché i dispostivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo (c.d. sigarette elettroniche) ad un'imposta di consumo del 58,5 per cento. La commercializzazione di tali prodotti viene sottoposta alla preventiva autorizzazione da parte dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli; la definizione delle norme applicabili alla distribuzione e vendita dei prodotti in esame e ai relativi adempimenti amministrativi e contabili è demandata ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, in analogia, per quanto applicabili, a quelle vigenti per i tabacchi lavorati. La vendita delle c.d. sigarette elettroniche è consentita alle tabaccherie.

 

In particolare, il comma 22 inserisce nel D.lgs. n. 504 del 1995 (c.d. Testo unico delle accise) un nuovo articolo 62-quater, dedicato all'imposta di consumo sui prodotti succedanei dei prodotti da fumo.

Il comma 1 dell'articolo 62-quater assoggetta, a decorrere dal 1° gennaio 2014, ad un'imposta di consumo del 58,5 per cento del prezzo di vendita al pubblico:

§      i prodotti contenenti nicotina o altre sostanze idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati;

§      i dispostivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo.

La relazione del Governo afferma che la norma è finalizzata alla salvaguardia delle entrate erariali derivanti dal consumo dei tabacchi lavorati, in particolare delle sigarette, che subiscono l’effetto sostituivo del consumo dei predetti succedanei in notevole espansione.

 

Il comma 2 dell'articolo 62-quater assoggetta la commercializzazione dei prodotti di cui al comma 1 alla preventiva autorizzazione da parte dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli nei confronti di soggetti in possesso dei medesimi requisiti stabiliti, per la gestione dei depositi fiscali di tabacchi lavorati, per il legale rappresentante del depositario.

Detti soggetti, ai sensi del comma 3, devono prestare cauzione preventiva, nei modi stabiliti dalla legge n. 348 del 1982 (Costituzione di cauzioni con polizze fidejussorie a garanzia di obbligazioni verso lo Stato ed altri enti pubblici), a garanzia dell’imposta dovuta per ciascun periodo di imposta.

 

Si ricorda che l’articolo 3 del decreto ministeriale 22 febbraio 1999, n. 67 prevede il possesso dei seguenti requisiti soggettivi per il legale rappresentante del depositario autorizzato e le persone eventualmente delegate alla gestione del deposito fiscale:

§      non aver subìto provvedimenti restrittivi della libertà personale per procedimenti penali in corso per reati finanziari;

§      non essere stati rinviati a giudizio per reati finanziari in processi ancora da celebrarsi;

§      non aver riportato condanne per reati di cui alla lettera b);

§      non aver commesso violazioni gravi e ripetute, per loro natura od entità, alle disposizioni che disciplinano l'accisa e l'imposta sul valore aggiunto;

§      non essere sottoposti a procedure fallimentari, di concordato preventivo, di amministrazione controllata, né trovarsi in stato di liquidazione;

§      non aver riportato sanzioni definite in via amministrativa per reati di contrabbando;

§      non trovarsi in una delle fattispecie previste dall'articolo 15, comma 1, della legge n. 55 del 1990 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso).

 

Il comma 4 dell'articolo 62-quater rinvia ad un successivo decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro il 31 ottobre 2013, per individuare:

§      il contenuto e le modalità di presentazione dell’istanza autorizzatoria (di cui al comma 2);

§      le procedure per la variazione dei prezzi di vendita al pubblico dei prodotti;

§      le modalità di prestazione della cauzione, di tenuta dei registri e documenti contabili, di liquidazione e versamento dell’imposta di consumo, anche in caso di vendita a distanza, di comunicazione degli esercizi che effettuano la vendita al pubblico (in conformità, per quanto applicabili, a quelle vigenti per i tabacchi lavorati).

Secondo quanto specificato dalla relazione, il sistema delineato dalla norma si articolerebbe nelle seguenti fasi:

§      autorizzazione alla istituzione e gestione di un deposito per la produzione, ricevimento, detenzione, spedizione e immissione in consumo di prodotti succedanei del tabacco;

§      iscrizione in apposita tariffa di vendita dei prodotti che si intendono immettere in consumo per il tramite del deposito (con individuazione della base imponibile);

§      pagamento delle imposte dovute in relazione ai prodotti che, sulla base delle scritture contabili, risultano immessi in consumo (ceduti cioè ai punti che ne effettuano la vendita al pubblico) in ciascun periodo di imposta.

L’imposta sarebbe infine versata dal soggetto autorizzato alla istituzione e gestione del deposito su apposito capitolo (da istituire) dello stato di previsione dell’entrata del bilancio dello Stato.

 

Il comma 5 dell'articolo 62-quater consente - nelle more di una disciplina organica della produzione e del commercio dei prodotti succedanei dei prodotti da fumo - la vendita di tali prodotti anche tramite le rivendite di generi di monopolio (articolo 16 della legge 22 dicembre 1957, n. 1293), in deroga all’articolo 74 del D.P.R. n. 1074 del 1958, che vieta nelle rivendite la vendita di prodotti o sostanze atte a surrogare i generi di monopolio o a danneggiare lo smercio, fermo restando le disposizioni in materia di distribuzione e vendita al pubblico dei prodotti da fumo, contenute nel decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 21 febbraio 2013, n. 38, attuativo dell'articolo 24, comma 42, del D.L. n. 98 del 2011 (così specificato nel corso dell’esame al Senato).

 

Il comma 6 assoggetta la commercializzazione dei prodotti succedanei dei prodotti da fumo alla vigilanza dell’Amministrazione finanziaria, prevedendo altresì l'applicazione delle disposizioni recate dall’articolo 50 dello stesso decreto legislativo n. 504 del 1995.

L'articolo 50 citato prevede, tra l'altro, l'applicazione di una sanzione amministrativa (da 500 euro a 3.000 euro) per le infrazioni alla disciplina delle accise stabilita dal testo unico e dalle relative norme di esecuzione, comprese la irregolare tenuta della contabilità o dei registri prescritti e la omessa o tardiva presentazione delle dichiarazioni e denunce prescritte.

La stessa sanzione si applica anche a chiunque esercita le attività senza la prescritta licenza fiscale, ovvero ostacola, ai militari della Guardia di finanza ed ai funzionari dell'amministrazione finanziaria, l'accesso nei locali in cui sono lavorati o custoditi prodotti soggetti ad accisa.

 

Il comma 7 dell'articolo 62-quater prevede infine la decadenza del soggetto autorizzato ai sensi del comma 2:

§      in caso di perdita di uno o più dei requisiti soggettivi richiesti;

§      qualora venga meno la garanzia prestata.

L’autorizzazione è altresì revocata in caso di violazione delle disposizioni in materia di liquidazione e versamento dell’imposta di consumo e in materia di IVA.


 

Articolo 11 comma 23
(Imposta di consumo sui prodotti succedanei dei prodotti da fumo)

Il comma 23 dell’articolo in esame, mediante l’aggiunta di un comma 10-bis all'articolo 51 della legge 16 gennaio 2003, n. 3, stabilisce, in primo luogo - per effetto di una modifica approvata al Senato – che ai prodotti succedanei dei prodotti da fumo si applichino le disposizioni vigenti per i tabacchi lavorati in tema di divieto pubblicitario e promozionale, nonché di tutela della salute dei non fumatori.

Viene poi attribuito al Ministero della salute il compito di effettuare il monitoraggio sugli effetti dei prodotti succedanei dei prodotti da fumo, al fine di promuovere le necessarie iniziative anche normative a tutela della salute.

 

Va ricordato che l’articolo 51 della citata legge n. 3/2003 (Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione), attiene alla tutela della salute dei non fumatori, sancendo il divieto di fumo nei locali chiusi, salvo alcune eccezioni, e stabilendo alcune regole a tutela dei non fumatori relative ai luoghi di lavoro ed agli esercizi di ristorazione. Sono anche definite, mediante rinvio (cfr. articolo 7 della legge 11 novembre 1975, n. 584), le sanzioni amministrative da applicarsi per la violazione del divieto.   

Va inoltre ricordato che in tema di “sigarette elettroniche” è stata recentemente emanata l’ordinanza del Ministro della salute del 2 aprile 2013 che reca e disciplina il Divieto di vendita sigarette elettroniche con nicotina ai minori di anni 18., analogamente a quanto previsto in tema di divieto di vendita ai minorenni di prodotti del tabacco dall’articolo 7, commi 1 e 3, del D.L. n. 158/2012 (c.d. Decreto Balduzzi), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189/2012.

 


 

Articolo 11-bis
(Limite di indebitamento enti locali e Fondo svalutazione crediti)

Il comma 1 interviene sui limiti all’indebitamento degli enti locali, contenuti nell’articolo 204, comma 1, del D.Lgs. n. 267/2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali – TUEL), rendendoli meno stringenti a decorrere dall’anno 2013.

 

Si ricorda che l’articolo 204 del TUEL, che viene novellato dal comma 1 in esame, stabilisce il livello massimo di indebitamento degli enti, che viene rappresentato in termini di incidenza percentuale del costo degli interessi del debito sulle entrate correnti degli enti locali.

In particolare, l’articolo 204 prevede che l'ente locale può assumere nuovi mutui e accedere ad altre forme di finanziamento[96] reperibili sul mercato solo se l'importo annuale dei correlati interessi, sommati agli oneri già in essere (mutui precedentemente contratti, prestiti obbligazionari precedentemente emessi, aperture di credito stipulate e garanzie prestate[97], al netto dei contributi statali e regionali in conto interessi) non sia superiore ad una determinata percentuale delle entrate correnti (relative ai primi tre titoli delle entrate del rendiconto del penultimo anno precedente quello in cui viene prevista l'assunzione dei mutui).

Tale percentuale di riferimento è stata gradualmente ridotta nel corso degli anni rispetto ai limiti originariamente indicati dal TUEL, e da ultimo, la legge finanziaria per il 2012 (articolo 8, legge n. 183/2011), nel recare nuove disposizioni per favorire il raggiungimento dell’obiettivo di riduzione del debito degli enti territoriali a decorrere dal 2012, ha ridotto la percentuale medesima all’8 per cento nel 2012, al 6 per cento nel 2013 e al 4 per cento a partire dal 2014.

Come chiarito dalla norma interpretativa contenuta nell’articolo 16, comma 11, del D.L. 3 marzo 2012, n. 16, i suddetti limiti devono essere rispettati nell’anno di assunzione del nuovo indebitamento.

 

La novella introdotta dal presente comma amplia i limiti attualmente fissati dal TUEL, portando dal 6 all’8 per cento nel 2013 e dal 4 al 6 per cento a decorrere dal 2014 il valore del rapporto tra costo degli interessi del debito e spese correnti dell’ente, che costituisce il limite per l’assunzione di nuovi mutui e di altre forme di finanziamento da parte dell’ente locale.

 

Con riferimento ai limiti massimi di indebitamento degli enti locali, si ricorda, infine che l’articolo 1, comma 13, del D.L. n. 35/2013, ha disposto una deroga con riferimento esclusivo alla richiesta di anticipazione di liquidità che gli enti locali, a causa di carenza di propria liquidità, possono avanzare per il pagamento dei propri debiti commerciali, certi liquidi ed esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2013, a valere sulle risorse statali del Fondo anticipazioni liquidità – Sezione enti locali (gestita da Cassa depositi) all’uopo costituito dall’articolo 1, comma 10 del medesimo D.L. n. 35/2013.

 

Il comma 2 dell’articolo 11-bis apporta modifiche al comma 17 dell’articolo 1 del D.L. n. 35/2013 (legge n. 64/2013), relativo all’entità del Fondo svalutazione crediti per gli enti locali beneficiari delle anticipazioni di liquidità concesse a valere sulla “Sezione enti locali” del Fondo statale di cui all’articolo 1, comma 10 del medesimo decreto, per il pagamento dei debiti certi liquidi ed esigibili maturati da tali enti alla data del 31 dicembre 2013.

 

In particolare, il comma 17 dell’articolo 1 del D.L. n. 35/2013 dispone - per gli enti locali che beneficiano della suddetta anticipazione - un aumento dell’entità del Fondo di svalutazione crediti[98], di cui al comma 17, dell’articolo 6, del D.L. n. 95/2012, per i 5 esercizi finanziari successivi a quello in cui è stata concessa l’anticipazione: tale fondo deve essere pari almeno al 50 per cento (e non già al 25 per cento, come in via ordinaria) dei residui attivi (Titoli primo e terzo dell'entrata), aventi anzianità superiore a 5 anni.

Il comma 17 dispone inoltre che - previo parere motivato dell'organo di revisione - possono essere esclusi dalla base di calcolo i residui attivi per i quali i responsabili dei servizi abbiano certificato la perdurante sussistenza delle ragioni del credito e l'elevata riscuotibilità.

La norma è volta ad evitare che – negli esercizi finanziari successivi a quello in cui si è ottenuta l’anticipazione di liquidità – la sussistenza in bilancio di residui attivi per i quali i responsabili dei servizi competenti non hanno certificato analiticamente la perdurante sussistenza del titolo giuridico di credito e l’elevato tasso di riscuotibilità, determini nuovi impegni coperti fittiziamente e dunque, future sofferenze di liquidità che potrebbero compromettere nuovamente la capacità di pagamento dell’ente[99].

 

La modifica in esame riduce l’entità del Fondo svalutazione crediti per gli enti locali beneficiari delle suddette anticipazioni, il quale deve essere pari, per i cinque esercizi finanziari successivi a quello in cui è stata concessa l’anticipazione, non più almeno al 50 per cento, bensì almeno al 30 per cento dei residui attivi del bilancio degli enti stessi, aventi anzianità superiore a cinque anni.

Inoltre, viene aggiunta la previsione che tale entità del Fondo opera comunque nelle more dell'entrata in vigore dell'armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio degli enti territoriali, di cui al D.Lgs. n. 118/2011.

 

Si ricorda che il D.Lgs. 23 giugno 2011, n. 118 reca la disciplina dell’armonizzazione contabile e degli schemi di bilancio per le amministrazioni pubbliche territoriali, quali regioni, enti locali, loro enti ed organismi strumentali (Titolo I) ed enti del Servizio sanitario nazionale (Titolo II), in attuazione della delega contenuta nell’articolo 2 della legge n. 42/2009 sul federalismo fiscale.

Il Decreto dispone che le norme di armonizzazione sancite nel Titolo I relativamente a regioni ed enti locali e loro organismi trovino applicazione a decorrere dall’anno 2014 (articolo 38), dopo una fase sperimentale, della durata di due anni (articolo 36).

L’avvio della fase sperimentale è avvenuto con il Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 dicembre 2011, e, l’individuazione amministrazioni coinvolte nella sperimentazione [100] è avvenuta con D.P.C.M. 25 maggio 2012, come integrato dal D.P.C.M. 29 marzo 2013.


 

Articolo 12
(Copertura finanziaria)

L'articolo 12, modificato nel corso dell’esame al Senato, reca la copertura finanziaria degli oneri recati da talune norme del provvedimento in esame, quantificati complessivamente in 1.122,15 milioni di euro per l’anno 2013; 576,525 milioni di euro per l’anno 2014; 321,925 milioni di euro per l’anno 2015; 62,925 milioni di euro per l’anno 2016; 12,925 milioni di euro per l’anno 2017; 7 milioni di euro a decorrere dall’anno 2018.

 

Tali oneri sono determinati dalle seguenti disposizioni:

§      articolo 1, comma 12, lettera b), recante l’incentivo a favore dell’occupazione giovanile nelle regioni diverse da Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia[101];

§      articolo 2, commi 6 e 10, che recano misure di sostegno alle attività di tirocinio formativo e orientamento dei giovani, prevedendo, in particolare, la costituzione di un Fondo statale volto a consentire alle amministrazioni dello Stato di corrispondere le indennità per la partecipazione ai tirocini formativi e di orientamento (comma 6), e il finanziamento delle attività di tirocinio curriculare da parte degli studenti iscritti ai corsi di laurea nell’anno accademico 2013-2014 (comma 10);

§      articolo 2, comma 5-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, che prevede l’istituzione del Fondo “Mille giovani per la cultura” di 1 milione di euro per l’anno 2014;

§      articolo 7, comma 7, il quale ripristina la norma (in precedenza abrogata dalla legge n. 92/2012), che dispone il mantenimento dello stato di disoccupazione per i soggetti che svolgono un'attività lavorativa tale da determinare un reddito annuale non superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione, nonché, in ogni caso, per i soggetti che svolgono i lavori socialmente utili (di cui all’articolo 8, commi 2-3, D.Lgs. 468/1997);

§      articolo 7-bis, introdotto al Senato, il quale reca detta norme per la stabilizzazione degli associati in partecipazione con apporto di lavoro;

§      articolo 11, comma 1, che posticipa dal 1° luglio 2013 al 1° ottobre 2013 il termine di applicazione dell’aumento dell’aliquota ordinaria dell’IVA dal 21 al 22 per cento previsto dall'articolo 40, comma 1-ter, del D.L. n. 98/2011;

§      articolo 11, comma 5, che autorizza un contributo in favore del Chernobyl Shelter Fund istituito presso la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, dell’importo complessivo 25,1 milioni di euro per il periodo 2013-2017;

§      articolo 11, comma 6-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, che incrementa lo stanziamento del Fondo nazionale per il servizio civile di 1,5 milioni di euro per l'anno 2013 e 10 milioni di euro per l’anno 2014;

§      articolo 11, comma 20, che innalza dal 100 al 101% la misura dell'acconto dell’imposta sul reddito delle società per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013.

§      articolo 11, comma 21, che fissa al 110 per cento, per gli anni 2013-2014, la misura dell’acconto delle ritenute sugli interessi maturati su conti correnti e depositi al cui versamento sono tenuti gli istituti di credito.

 

Agli indicati oneri si provvede nel modo seguente:

a)     quanto a 65 milioni di euro per l’anno 2013, a 77 milioni di euro per l’anno dal 2014 e a 78 milioni di euro per l’anno 2015, mediante riduzione della dotazione del fondo per il federalismo amministrativo di parte corrente di cui alla legge n. 59 del 1997[102];

Il Fondo relativo alle risorse finanziarie occorrenti per l'attuazione del federalismo amministrativo è iscritto, per la parte corrente, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e finanze (cap. 2856/Economia). Nel bilancio per il 2013-2015, il fondo presenta una dotazione di 169,7 milioni per ciascuno degli anni 2013-2015.

b)     quanto a 98 milioni di euro per l’anno 2013, mediante riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica (ISPE) di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge n. 282 del 2004[103].

Si ricorda che il Fondo per gli interventi strutturali di politica economica è stato istituito dall'articolo 10, comma 5, del D.L. n. 282 del 2004 al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante interventi volti alla riduzione della pressione fiscale. Il Fondo, iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'economia e finanze (cap. 3075) viene utilizzato in modo flessibile ai fini del reperimento delle risorse occorrenti a copertura di interventi legislativi recanti oneri finanziari. Per quanto concerne le risorse finanziarie, si ricorda che nella legge di bilancio 2013-2015 (Legge n. 229/2012 e relativo D.M. Economia 31 dicembre 2012 di riparto in capitoli dei programmi di spesa) il Fondo presentava una dotazione pari a 16,9 milioni per il 2013, 14,4 milioni per il 2014 e a 29,7 milioni per il 2015.

La dotazione per l’anno 2013 è stata via via ridotta di 16,9 milioni di euro, a copertura di una serie di disposizioni legislative intercorse successivamente all'approvazione della legge di bilancio, e di recente incrementata di 98,6 milioni di euro dall’articolo 7-bis, comma 4, del D.L. n. 43/2013.

Alla data attuale, considerando il taglio determinato dalla lettera b) in esame, sul capitolo di bilancio residua una disponibilità di circa 600.000 euro

c)     quanto a 864,6 milioni di euro per l’anno 2013, 117 milioni di euro per l’anno 2014, 112 milioni di euro per l’anno 2015, 51 milioni di euro per l’anno 2016 e 1 milione di euro a decorrere dall’anno 2017 mediante utilizzo di quota parte delle maggiori entrate derivanti dall’articolo 11, commi da 18 a 22 (incremento della misura degli acconti e nuova imposta sui prodotti succedanei dei prodotti da fumo);

d)     quanto a 91,05 milioni di euro per l’anno 2013, a 209,15 milioni per l’anno 2014, a 6,15 milioni di euro per gli anni dal 2015 al 2017 e a 6 milioni a decorrere dall’anno 2018 mediante riduzione del Fondo per il pagamento dei canoni di locazione degli immobili conferiti dallo Stato ad uno o più fondi immobiliari, di cui all’articolo 1, comma 139, della legge n. 228 del 2012.

Il Fondo, istituto a decorrere dall'anno 2013 nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze (cap. 3074) presenta una dotazione di 249 milioni di euro per l'anno 2013, di 846,5 milioni per l'anno 2014, di 590 milioni per l'anno 2015 e di 640 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016. Si segnala che il D.L. n. 69 del 2013, all’articolo 12, dispone una riduzione del Fondo di 6 milioni nel 2013.

e)     quanto a 150 milioni di euro per l’anno 2014 e 120 milioni di euro per l’anno 2015 mediante riduzione della dotazione del Fondo IRAP di cui all’articolo 1, comma 515, della legge n. 228 del 2012.

Si ricorda che il comma 515 ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze un Fondo con dotazione di 188 milioni per il 2014, di 252 milioni per il 2015 e di 242 milioni a decorrere dal 2016, volto a esentare dall’IRAP, a decorrere dal 2014, le persone fisiche esercenti attività commerciali, arti e professioni, che non si avvalgono di lavoratori dipendenti o assimilati e che impiegano anche in locazione beni strumentali di ammontare massimo determinato con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.

Si segnala che il D.L. 4 giugno 2013, n. 63 (approvato in seconda lettura dalla Camera) dispone, all’articolo 21, comma 3, lettera e-bis), a parziale copertura degli oneri da esso recati, una riduzione di 15 milioni nel 2014 e di 35 milioni a decorrere dal 2015 del Fondo IRAP in questione.

f)       7,6 milioni di euro per l’anno 2014 mediante riduzione del Fondo per il funzionamento ordinario delle Università.

Si segnala che la denominazione corretta è “Fondo per il finanziamento ordinario delle università”.

Per una ricostruzione del Fondo in oggetto, si rinvia alla scheda di lettura relativa all’articolo 2, commi 10-14.

g)     quanto a 2 milioni di euro per l’anno 2013 e 5,775 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2014 al 2017 mediante corrispondente riduzione, per il medesimo anno, dello stanziamento del fondo speciale di conto capitale iscritto nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2013, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.

g-bis)   quanto a 1,5 milioni di euro per l'anno 2013 e a 10 milioni di euro per l'anno 2014 mediante corrispondente riduzione della quota di pertinenza statale dell’otto per mille IRPEF, di cui all’articolo 47, secondo comma, della legge 20 maggio 1985, n. 222.

Si ricorda che ai sensi dell'art. 47, commi 2 e 3, della legge n. 222/1985, una quota pari all'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali, è destinata, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica[104].

In merito alle risorse dell’otto per mille IRPEF di competenza statale, si ricorda che nella legge di bilancio 2013-2015 (Legge n. 229/2012 e relativo D.M. Economia 31 dicembre 2012 di riparto in capitoli dei programmi di spesa), la quota dell’otto per mille IRPEF di pertinenza statale, iscritta sul cap. 2780 dello stato di previsione del Ministero dell’economia, risulta pari a 13,8 milioni di euro nel 2013, 86,1 milioni nel 2014 e a 95,7 milioni nel 2015.

Si segnala che le risorse dell’otto per mille IRPEF dello Stato per gli anni 2013-2015 sono state, di recente, oggetto di riduzioni, ai sensi dell’articolo 61, comma 1, lettera d), del D.L. n. 69/2013 (10 milioni di euro per l’anno 2013), dell’articolo 12, comma 3, lettera c-sexies) del D.L. n. 35/2013 (riduzione di 2,1 milioni di euro per l'anno 2014 e di 35,8 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2015) e dell’articolo 21, comma 3, lettera d), del D.L. n. 63/2013 (riduzione di 35 milioni di euro per l’anno 2015).

Si segnala, infine, che sullo stanziamento del capitolo di bilancio per l’anno 2013 hanno inciso, in corso di esercizio, tagli lineari determinati dell’operare di due clausole di salvaguardia finanziaria – rispettivamente contenute nell’articolo 2, comma 1 del D.L. n. 78/2010 e nell’articolo 16, comma 3 del D.L. n. 98/2011 - per una riduzione di ulteriori 1,1 milioni di euro.

Pertanto, al 15 luglio 2013, il capitolo presentava disponibilità per 2,7 milioni di euro nel 2013; a 84,0 milioni nel 2014 e 24,9 milioni nel 2015.

Infine, si rileva che, rispetto a tale disponibilità, il disegno di legge di assestamento per il 2013 (A.S. 889), attualmente all’esame del Senato, propone una ulteriore riduzione delle risorse dell’otto per mille di competenza statale relative all’esercizio finanziario 2013, per 0,786 milioni di euro, e che l’articolo 13 del disegno di legge europea 2013 (A.C. 1327) attualmente all’esame della Camera, dispone, a copertura parziale delle misure in esso previste, la riduzione di 12 milioni di euro a decorrere dal 2014.

 

Il comma 2 autorizza infine il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare con propri decreti le necessarie variazioni di bilancio.

 

La Tabella che segue indica gli oneri complessivi e le risorse utilizzate a copertura ai sensi dell’articolo in esame, come modificato dal Senato:

 

(milioni di euro)

Art./comma

 

2013

2014

2015

2016

2017

2018

 

ONERI

1.122,150

576,525

321,925

62,925

12,925

7,000

1, co. 1, lett b)

Incentivi disoccupazione giovanile regioni diverse da quelle del Mezzogiorno

48,0

98,0

98,0

50,0

-

-

2, co. 5-bis

Fondo “Mille giovani per la cultura”

-

1,0

-

-

-

-

2, co. 6

Fondo indennità tirocini formativi

2,0

2,0

2,0

-

-

-

2, co. 10

Sostegno delle attività di tirocinio curriculare

3,0

7,6

-

-

-

-

7, co. 7

Stato disoccupazione con reddito minimo

0,5

1,0

1,0

1,0

1,0

1,0

7-bis

Assunzione a tempo indeterminato di sogetti con contratti di associazione in partecipazione

6,15

6,15

6,15

6,15

6,15

6,00

11, co. 1

Posticipo dell’aumento dell’aliquota ordinaria dell’IVA

1.059,0

-

-

-

-

-

11, co. 5

Contributo in favore del Chernobyl Shelter Fund

2,0

5,775

5,775

5,775

5,775

-

11, co. 6-bis

Fondo nazionale per il servizio civile

1,5

10,0

-

-

-

-

11, co. 20

Acconto imposta sul reddito delle società

-

445,0

-

-

-

-

11, co. 21

Acconto ritenute interessi maturati su conti correnti e depositi

-

-

209,0

-

-

-

 

COPERTURE

1.122,150

576,525

321,925

62,925

12,925

7,000

a)

Fondo federalismo amministrativo

65,0

77,0

78,0

-

-

-

b)

Fondo ISPE

98,0

-

-

-

-

-

c)

Maggiori entrate

864,6

117,0

112,0

51,0

1,0

1,0

d)

Fondo canoni di locazione

91.05

209,15

6,15

6,15

6,15

6,0

e)

Fondo IRAP

-

150,0

120,0

-

-

-

f)

Fondo università

-

7,6

-

-

-

-

g)

Fondo speciale in conto capitale, Ministero Ambiente

2,0

5,775

5,775

5,775

5,775

-

g-bis)

Otto per mille Irpef Stato

1,5

10,0

-

-

-

-

 


Appendice

 


Il ritardo nell’utilizzo dei fondi comunitari
e lo stato di attuazione al 31 aprile 2013

Nell’ambito delle risorse finanziarie UE complessivamente stanziate per il periodo di programmazione 2007-2013 (circa 308 miliardi di euro), la quota assegnata all’Italia ammonta a 28,8 miliardi a valere su due fondi comunitari (Fondo europeo di sviluppo regionale – FESR e Fondo sociale europeo - FSE). Tali risorse comunitarie sono state programmate con il Quadro strategico nazionale 2007-2013, approvato dalla Commissione europea con decisione del 13 luglio 2007, i cui interventi sono attuati attraverso 52 Programmi Operativi nazionali, regionali e interregionali, che definiscono le priorità strategiche per settori e territori.

Le risorse programmate nel QSN 2007-2013 ammontano a oltre 60 miliardi di euro, di cui circa 28,8 miliardi di fondi strutturali provenienti dalla UE e circa 31,6 miliardi di risorse di cofinanziamento nazionale (iscritti sul Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie previsto dalla legge n. 183/1987, c.d. principio di addizionalità), destinati a finanziare tre Obiettivi prioritari di sviluppo..

La gran parte di tali risorse, 43,6 miliardi, all’incirca il 75% del totale, risultano destinate all’Obiettivo “Convergenza”, che interessa le Regioni Calabria Campania, Puglia, Sicilia, cui si aggiunge la Basilicata (considerata in regime di phasing-out dall’obiettivo Convergenza). All’Obiettivo “Competitività”, che interessa tutto il Centro-Nord, l’Abruzzo e il Molise, nonché la Sardegna (in regime di phasing-in) sono assegnati 15,8 miliardi di euro (circa il 22% delle risorse complessivamente destinate all’Italia). La quota residua, 0,8 milioni di euro, interessa i programmi dell’Obiettivo “Cooperazione territoriale”.

In merito allo stato di attuazione degli interventi strutturali 2007-2013, si ricorda che le amministrazioni centrali e regionali hanno incontrato rilevanti difficoltà nell’utilizzare le risorse comunitarie secondo la tempistica definita dalle norme comunitarie, con il rischio costante di disimpegno delle stesse, atteso che le regole europee prevedono il definanziamento (che comporta altresì la parallela riduzione della quota di cofinanziamento nazionale) delle risorse non spese entro il biennio successivo all'annualità di riferimento.

Al 31 dicembre 2010, dopo 4 anni di operatività dei fondi strutturali 2007-2013, lo stato di utilizzo dei fondi comunitari era molto preoccupante, l’Italia risultava essere penultima tra gli Stati membri, con una percentuale di impegni sulle risorse complessivamente disponibili del 22 per cento e di pagamenti intorno al 12 per cento.

 

L’azione per l’accelerazione dell’attuazione dei programmi cofinanziati

Per recuperare il ritardo accumulato nell’utilizzo dei fondi strutturali 2007-2013, nel corso del 2011 è stata avviata, di intesa con la Commissione Europea, l’azione per accelerare l’attuazione dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013, sulla base di quanto stabilito dalla delibera CIPE 11 gennaio 2011, n. 1 e puntualmente concordato nel Comitato Nazionale del Quadro Strategico Nazionale (riunione del 30 marzo 2011) da tutte le Regioni, dalle Amministrazioni centrali interessate e dal partenariato economico e sociale.

Con la delibera CIPE n. 1/2011, in particolare, è stato individuato un percorso per l’accelerazione e la riprogrammazione delle risorse destinate alle aree sottoutilizzate, vale a dire sia quelle di carattere aggiuntivo previste dal Fondo per lo sviluppo e la coesione (ex Fondo per le aree sottoutilizzate) sia quelle definite dai fondi strutturali dell’Unione europea, mediante la fissazione di target di impegno e di spesa certificata alla Commissione europea.

 

Alla fine del 2011, è stato adottato il Piano di Azione Coesione, quale risposta del Governo italiano ai ritardi nell’attuazione dei programmi dei Fondi strutturali 2007-2013 – specie nelle Regioni dell’Obiettivo Convergenza – e alle richieste di intervento dell’Unione Europea.

Contestualmente, a livello normativo, nell’ambito della legge di stabilità per il 2012 (legge n. 183 del 2011), con l'articolo 24, comma 3, è stata prevista la possibilità che le risorse provenienti da una riduzione del cofinanziamento nazionale di programmi relativi al periodo 2007-2013, iscritte sul Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie, possano essere destinate alla realizzazione di interventi di sviluppo socio-economico concordati tra le Autorità italiane e quelle europee[105].

Il Piano di Azione Coesione, nell’impegnare le amministrazioni centrali e locali a rilanciare i programmi in grave ritardo, ha mirato ad una concentrazione degli investimenti in quattro ambiti prioritari di interesse strategico nazionale (Istruzione, Agenda digitale, Occupazione e Infrastrutture ferroviarie), reperendo i necessari stanziamenti attraverso una riduzione della quota complessiva del cofinanziamento nazionale dei fondi strutturali nell’ambito dei programmi operativi regionali del Mezzogiorno, che è stato portato dal 50 al 25%, con conseguente riutilizzo delle risorse per il finanziamento, nelle medesime Regioni, delle azioni e degli interventi previsti nel Piano stesso.

Il Piano, articolato in tre fasi di riprogrammazione, ha determinato, nel suo complesso, una rimodulazione di risorse comunitarie per circa 12,1 miliardi di euro complessivi, di cui 9,9 miliardi quale riduzione delle risorse di cofinanziamento nazionale e 2,2 miliardi quale revisione interna dei programmi.

Al fine di agevolare il raggiungimento degli obiettivi di spesa previsti dai programmi regionali cofinanziati dall’Unione europea per il periodo 2007-2013, con il D.L. n. 201/2011 si è inoltre intervenuti ad escludere dai vincoli del patto di stabilità interno delle Regioni le spese effettuate a valere sulle risorse dei cofinanziamenti nazionali dei fondi strutturali comunitari. Ciò ha permesso di “non computare” nei saldi del patto di stabilità le spese sostenute dalle Regioni a valere sulle proprie risorse, nonché su quelle statali loro trasferite dal Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie. La deroga al patto di stabilità ha consentito una accelerazione della capacità di spesa ed evitato il disimpegno automatico delle risorse comunitarie. L’esclusione di tali spese dai vincoli del patto, inizialmente prevista nel limite di 1.000 milioni di euro per gli anni 2012, 2013 e 2014, è stata aumentata di ulteriori 800 milioni di euro per l’anno 2013 dall’articolo 2, comma 7, del D.L. n. 35 del 2013, per consentire alle amministrazioni titolari dei programmi comunitari 2007-2013 di conseguire gli obiettivi posti dai target di spesa al 31 dicembre 2013 al fine di evitare la perdita delle risorse non utilizzate, secondo la regola del disimpegno automatico delle risorse.

Da ultimo, ulteriori norme finalizzate ad evitare il rischio di ulteriori ritardi nell’utilizzo delle risorse comunitarie e la conseguente attivazione delle sanzioni comunitarie, che comporterebbero il definanziamento delle risorse medesime[106], sono state introdotte dall’articolo 9, commi 1-3, del D.L. n. 69/2013. E’ stato, a tal fine, introdotto l’obbligo per le amministrazioni pubbliche di trattazione prioritaria dei procedimenti, provvedimenti e atti relativi alle attività in qualsiasi modo connesse all’utilizzazione dei fondi strutturali europei. In particolare, per accelerare l’utilizzo dei fondi strutturali, si  facoltà al Governo, in caso di inerzia o inadempimento delle amministrazioni pubbliche responsabili degli interventi, di sostituirsi all’amministrazione inerte o inadempiente.

Per una più dettagliata esposizione del Piano di Azione Coesione si rinvia alla successiva scheda analitica.

 

Le risorse ancora da spendere

Il Ministro per la coesione territoriale, nel corso dell’audizione del 12 giugno 2013 (Commissioni riunite V e XIV della Camera), ha messo in rilievo come, a sei mesi dalla chiusura del ciclo e a due anni e mezzo dalla scadenza finale per la certificazione delle spese alla Commissione UE, il totale della spesa effettuata sia pari a oltre 19 miliardi di euro. Più in dettaglio, al 31 maggio 2013, data dell'ultima verifica dei target intermedi nazionali di spesa, la spesa certificata cumulata per il complesso dell'Italia (19,8 miliardi di euro) ha superato (di 1,2 punti percentuali) l'obiettivo di spesa complessiva, raggiungendo un livello pari al 40% degli importi da considerare[107]. Determinante, al fine di conseguimento del risultato di spesa sopra indicato, che ha consentito di evitare una perdita di risorse derivanti dal bilancio comunitario a fine 2012, è stata – ricorda il Ministro - la riduzione del cofinanziamento nazionale, attuata attraverso il Piano di Azione Coesione, che ha ridotto l'ammontare complessivo delle spese da certificare a Bruxelles[108].

Nel complesso, le risorse ancora da spendere - come riprogrammate a seguito dei 3 aggiornamenti del Piano di Azione Coesione (che, come sopra detto, ha ridotto le risorse del QSN 2007-2013 da oltre 60 a circa 49,5 miliardi) - entro il 31 dicembre 2015 (termine ultimo per effettuare pagamenti) ammontano, quindi, a circa 30 miliardi di euro, la maggior parte dei quali nell'area della Convergenza.

Molto differenziato è, peraltro, il risultato fra le due macro-aree del Paese: a fronte di un livello di spesa del 49 per cento circa nelle Regioni del Centro Nord, nell'area della Convergenza delle Regioni del Sud la spesa si ferma al 36 per cento.

Secondo le informazioni fornite dal Ministro, l'area ad alto rischio di disimpegno riguarda soprattutto alcuni Programmi nazionali e Programmi regionali dell'obiettivo Convergenza: in particolare il PON 'Reti e mobilità' e i POR di Campania, Calabria e Sicilia. Secondo una prima stima effettuata dal Ministero, il rischio di disimpegno delle risorse, per i programmi dell'obiettivo Convergenza afferenti al FESR, sarebbe di almeno 3,6 miliardi e riguarderebbe il POR Campania, Sicilia, Calabria, e i PON "Reti e Mobilità", "Energie rinnovabili", "Attrattori culturali" e "Sicurezza"; le risorse a rischio per i Programmi afferenti al FSE sarebbe di 0,5 miliardi di euro complessivi.

Il Ministro ha sottolineato, dunque, la necessità di una azione di riprogrammazione delle risorse a rischio, volta a concentrare i fondi resi disponibili su poche misure con effetto anticiclico. Le misure saranno costruite in modo da rispondere, per un verso, al crescente peggioramento della occupazione giovanile e al progressivo impoverimento delle famiglie, soprattutto al Sud. Per altro verso, saranno rivolte a sostenere il sistema delle imprese e promuovere investimenti in grado di stimolare le economie locali.

Tale riprogrammazione dovrebbe attuarsi in due fasi:

§      una prima fase riguarderà solo programmi nazionali e sarà basata sulla riduzione del cofinanziamento nazionale, da modulare caso per caso in relazione alle effettive possibilità e necessità, tenendo a tal fine conto, non solo dei livelli di rischio, ma anche della opportunità di utilizzare le risorse che si rendono così disponibili per iniziative non cofinanziabili dai programmi operativi (in particolare, misure per contrastare la povertà delle famiglie). I programmi nazionali della convergenza che possono essere interessati da questa riduzione sono: il PON Reti e Mobilità per 734 MEURO; il PON Sicurezza per 206 MEURO; il POIN Energia 32 MEURO. Ad essi si aggiungono ulteriori risorse del PON "Ricerca e Competitività" che verrebbero riallocate sulla misura di sostegno alle imprese attraverso il rifinanziamento della legge n. 185/1990. In totale, si tratterebbe, quindi, di una prima manovra per circa 1 miliardo di euro che viene attuata attraverso il D.L. n. 76/2013 in esame.

§      l'intervento della seconda fase riguarderà invece i POR Campania, Sicilia e Calabria e sarà incentrato sul sostegno al sistema delle imprese e sulla promozione di investimenti maggiormente in grado di stimolare le economie locali. Tra le misure allo studio si segnalano: il finanziamento di progetti, immediatamente cantierabili, da concludersi entro dicembre 2015, presentati dai Comuni all'interno del Piano città, il finanziamento per completare opere pubbliche già avviate e sospese per mancanza di fondi, previa attenta selezione degli interventi più strategici; il finanziamento di interventi di efficientamento energetico degli edifici pubblici (scuole, ospedali, carceri ed edifici pubblici) e il rifinanziamento del Fondo di Garanzia e la ricapitalizzazione dei Confidi per rafforzare la capacità di accesso al credito delle piccole e medie imprese; la promozione di reti tra imprese, Università e centri di ricerca.

 

Lo stato di attuazione al 30 aprile 2013

Le successive tavole sullo stato di utilizzo dei fondi strutturali (quota comunitaria + cofinanziamento nazionale), fornite dalla Ragioneria generale dello Stato, Ispettorato generale rapporti con l’Unione europea – IGRUE, riportano le informazioni al 30 aprile 2013 riferite ad un ammontare complessivo di risorse disponibili pari a 53,6 miliardi di euro (39,1 FESR e 14,5 FSE), che considerano, rispetto ai 60 miliardi originari, soltanto gli effetti dei primi due aggiornamenti del Piano di Azione Coesione.

Gli effetti della terza riprogrammazione del Piano saranno contabilizzati dall’IGRUE - soggetto certificatore finale sull’utilizzo delle risorse - dopo che gli organi comunitari avranno formalmente approvato e trasmesso le modifiche ai singoli programmi operativi. Conseguentemente, la riduzione complessiva del cofinanziamento nazionale disposta dai tre aggiornamenti del PAC (per complessivi 9,9 miliardi, che vengono destinati al finanziamento del PAC stesso) determinerà l’ammontare delle risorse disponibili dei fondi strutturali in circa 49,5 miliardi.

Fondo europeo di sviluppo regionale - FESR

Stato di attuazione al 30 aprile 2013

Milioni di euro                                

Programmi FESR

Contributo 2007/2013

Pagamenti

% pagamenti/ contributo

Obiettivo Convergenza

30.595,55

9.236,43

30,19%

POIN Attrattori culturali, e turismo

681,73

162,08

23,77%

POIN Energie rinnovabili

1.103,79

468,53

42,45%

PON Governance e AT FESR

226,19

114,37

50,56%

PON Istruzione

510,78

237,35

46,47%

PON reti e mobilità

2.576,61

626,60

24,32%

PON Ricerca e competitività

4.424,39

1.898,19

42,90%

PON Sicurezza per lo Sviluppo 

978,08

453,89

46,41%

Calabria

2.545,06

654,84

25,73%

Campania

6.264,80

1.144,94

18,28%

Puglia

4.492,32

1.987,58

44,24%

Sicilia 

6.039,61

1.135,26

18,80%

Basilicata 

752,19

352,80

46,90%

Obiettivo Competitività

7.810,67

3.747,68

47,98%

Abruzzo

345,37

180,29

52,20%

Emilia Romagna

346,92

176,85

50,98%

Friuli Venezia Giulia

300,75

124,70

41,46%

Lazio

743,51

328,10

44,13%

Liguria

525,88

245,98

46,77%

Lombardia

531,75

254,66

47,89%

Marche

285,83

143,32

50,14%

Molise

192,52

82,07

42,63%

PA di Bolzano

73,94

37,22

50,34%

P.A. Trento

62,48

34,65

55,46%

Piemonte  

1.068,75

531,44

49,73%

Toscana

1.126,65

546,00

48,46%

Umbria

343,77

153,90

44,77%

Valle d'Aosta

48,52

26,66

54,95%

Veneto

452,69

212,38

46,92%

Sardegna

1.361,34

669,46

49,18%

Obiettivo Cooperazione

705,59

275,52

39,05%

TOTALE FESR

39.111,81

13.259,63

33,90%


Fondo sociale europeo - FSE

Stato di attuazione al 30 aprile 2013

Milioni di euro                                

Programmi FSE

Contributo 2007/2013

Pagamenti

% pagamenti
/contributo

Obiettivo Convergenza

6.916,28

3.149,11

45,53%

Campania

968,00

283,11

29,25%

Calabria

800,49

400,43

50,02%

Sicilia

1.632,31

652,02

39,94%

Basilicata

322,37

176,93

54,88%

Puglia

1.279,20

511,45

39,98%

PON Governance e Azioni di Sistema

427,98

210,06

49,08%

PON Competenze per lo Sviluppo

1.485,93

915,11

61,59%

Obiettivo Competitività

7.621,44

4.440,20

58,26%

Abruzzo

316,56

143,26

45,26%

Emilia Romagna

847,20

577,69

68,19%

Friuli Venezia Giulia

316,64

200,95

63,46%

Lazio

730,50

330,25

45,21%

Liguria

391,65

192,11

49,05%

Lombardia

796,23

490,60

61,62%

Marche

278,74

162,30

58,23%

Molise

102,90

49,07

47,69%

PA di Bolzano

158,51

83,24

52,51%

P.A. Trento

217,27

173,36

79,79%

Piemonte  

1.001,10

606,83

60,62%

Toscana

659,60

386,40

58,58%

Umbria

227,38

105,27

46,30%

Valle d'Aosta

64,28

34,18

53,17%

Veneto

711,59

383,04

53,83%

Sardegna

729,29

478,49

65,61%

Azioni di Sistema

72,00

43,16

59,94%

TOTALE FSE

14.537,72

7.589,31

52,20%

 

Con riferimento ai target di spesa e, si ricorda, infine, che nella riunione del 18 aprile 2013 il Comitato nazionale per il coordinamento e la sorveglianza della politica regionale ha concordato la revisione al rialzo dei target di spesa delle risorse europee della programmazione 2007-2013, al fine di ridurre l’accentramento della spesa residua relativa ai programmi operativi regionali (POR) e a quelli nazionali (PON) nel 2015, ultimo anno utile per la rendicontazione a Bruxelles delle spese finanziate con risorse comunitarie, e per consentirne l’accelerazione già da quest’anno.

Con la revisione, il target di spesa complessiva (obiettivo) a fine 2013 passa dai 24,2 a 25,5 miliardi e per il 2014 da 33,3 a 36 miliardi, rimanendo invariato a 49,5 miliardi l’obiettivo finale nel 2015.

L’accordo raggiunto dal Comitato nazionale per il coordinamento e la sorveglianza della politica regionale è stato reso possibile dall’innalzamento da 1 ad 1,8 miliardi per il 2013 del tetto di cofinanziamento dei progetti europei che è possibile escludere ai fini dello sforamento del patto di stabilità (decreto legge n. 35/2013, articolo 2, commi 7-9).

 

Il Ministro per la coesione territoriale, nel corso dell’audizione del 12 giugno 2013, ha reso noto che al 31 maggio 2013 - data dell'ultima verifica dei target intermedi nazionali di spesa - la spesa certificata cumulata per il complesso dell'Italia (19,8 miliardi di euro) ha raggiunto un livello pari al 40% della dotazione totale[109], superando (di 1,2 punti percentuali) il target nazionale di spesa complessiva prefissato

.

Nuovi target di spesa certificata 2013 e 2014

Milioni di euro

 

Target 2013

Target 2014

 

Vecchi

Nuovi

Incremento

Vecchi

Nuovi

Incremento

Abruzzo

384,0

391,5

7,4

497,2

514,6

17,4

Basilicata

677,2

698,7

21,5

815,4

866,5

51,1

Calabria

1.285,6

1.421,6

135,9

2.101,9

2.333,5

231,6

Campania

1.469,8

1.792,2

322,5

2.183,4

3.020,6

837,2

Emilia R.

680,

691,9

11,3

866,3

896,6

30,3

Friuli V.G.

334,

340,8

6,6

433,1

448,6

15,5

Lazio

858,

875,1

16,6

1.111,3

1.150,2

38,8

Liguria

536,

547,2

10,4

695,0

719,3

24,3

Lombardia

771,

786,6

15,0

999,0

1.034,0

34,9

Marche

330,9

337,3

6,4

428,4

443,4

15,0

Molise

171,4

174,7

3,3

221,9

229,6

7,8

PA Bolzano

136,4

139,1

2,6

176,6

182,8

6,2

PA Trento

166,7

169,5

2,8

212,5

219,9

7,4

Piemonte

1.209,5

1.233,0

23,5

1.565,9

1.620,6

54,7

Puglia

3.091,6

3.195,8

103,5

4.154,5

4.369,2

214,7

Sardegna

1.278,7

1.312,8

34,1

1.537,9

1.618,9

81,0

Sicilia

2.215,4

2.470,5

255,1

3.759,2

4.172,8

413,6

Toscana

1.013,8

1.037,8

24,0

1.314,6

1.372,4

57,8

Umbria

335,6

342,2

6,5

434,5

449,7

15,2

Valle d’Aosta

66,5

67,8

1,3

86,1

89,1

3,0

Veneto

678,4

691,6

13,2

878,3

909,0

30,7

Totale POR

17.693,4

18.716,8

1.023,4

24.473,0

26.661,1

2.188,1

Totale POIN

905,8

938,0

32,2

1.293,0

1.340,2

47,2

Totale PON

5.602,3

5.814,5

212,2

7.544,6

7.999,2

454,7

Totale

24.201,4

25.469,2

1.267,8

33.310,6

36.000,5

2.689,9

 

 


Il Piano di Azione Coesione

Il Piano di Azione Coesione – adottato nel novembre 2011 - ha l’obiettivo di colmare i ritardi ancora rilevanti nell’attuazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali comunitari 2007-2013 e, al contempo, rafforzare l’efficacia degli interventi, in attuazione degli impegni assunti con la lettera del Presidente del Consiglio al Presidente della Commissione europea e al Presidente del Consiglio europeo del 26 ottobre 2011 e in conformità alle Conclusioni del Vertice dei Paesi Euro dello stesso 26 ottobre 2011.

Come sottolineato dal Piano medesimo, l'azione si inserisce nell’ambito del percorso di accelerazione già intrapreso, di intesa con le Regioni e la Commissione europea, sulla base della Delibera CIPE 1/2011 (recante Obiettivi, criteri e modalità di programmazione delle risorse per le aree sottoutilizzate e selezione ed attuazione degli investimenti per i periodi 2000-2006 e 2007-2013), che ha definito un percorso per la velocizzazione e la riprogrammazione delle risorse dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali mediante la fissazione di target di impegno e di spesa certificata alla Commissione europea.

 

Con il Piano di Azione Coesione è stata definita un’azione strategica di rilancio del Mezzogiorno.

Il Piano impegna quindi le amministrazioni centrali e locali a rilanciare i programmi in grave ritardo, garantendo una forte concentrazione delle risorse su alcune priorità. Per ogni priorità individuata dal Piano vengono definiti i risultati attesi (target) dalla realizzazione degli interventi pianificati.

L’intervento, definito tenendo conto degli esiti del confronto con il partenariato istituzionale ed economico-sociale, si attua sulla base di quattro principi:

·        concentrazione su tematiche di interesse strategico nazionale, declinate regione per regione secondo le esigenze dei diversi contesti, attraverso un confronto tecnico fra Governo e Regioni;

·        definizione di risultati obiettivo in termini di miglioramento della qualità di vita dei cittadini;

·        “cooperazione rafforzata” con la Commissione europea;

·        azione di supporto e affiancamento da parte di centri di competenza nazionale.

 

Il Piano, frutto di una azione di cooperazione rafforzata tra le autorità europee, il Governo nazionale e le amministrazioni centrali e, soprattutto, regionali, fissa principi, regole e interventi per la revisione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali 2007-2013, al fine di accelerarne l’attuazione e migliorarne l’efficacia.

Esso è attuato attraverso la rimodulazione strategica delle risorse dei singoli programmi operativi, con la riprogrammazione di alcuni programmi regionali maggiormente in ritardo con spostamento di risorse dei fondi strutturali verso quelli maggiormente performanti, e la riduzione della quota di cofinanziamento nazionale, che viene trasferita al di fuori dei programmi operativi stessi, a favore degli interventi considerati prioritari dal Piano di azione coesione.

Come è noto, infatti, i regolamenti comunitari impongono, per poter usufruire dei fondi strutturali, che ciascuno Stato membro stanzi una quota nazionale di “cofinanziamento”, che testimonia l’impegno di quel Paese per il riequilibrio dei divari di sviluppo. I livelli di cofinanziamento sono differenziati in base al livello di prosperità dei vari Stati. Secondo il Regolamento Generale dei Fondi strutturali (Reg. CE n. 1083/2006), l’Italia deve garantire, nelle Regioni in ritardo (cioè nelle 4 regioni meridionali interessate dall’Obiettivo convergenza più la Basilicata in sostegno transitorio), un livello di cofinanziamento pari ad almeno il 25% del valore del programma (a fronte del 75% massimo di cofinanziamento comunitario). Nelle altre regioni, l’Italia deve invece garantire un cofinanziamento pari almeno al 50%. L’Italia ha scelto, per aumentare le risorse a disposizione per gli investimenti, di adottare un tasso di cofinanziamento più alto, pari nel Mezzogiorno, al 50% del valore del programma.

 

A tal fine, è stato disposto, in accordo con la Commissione (ai sensi dell’articolo 33 del regolamento CE n. 1083/2006), una riprogrammazione delle risorse dei fondi strutturali, con una diversa percentuale della quota di cofinanziamento comunitario che è stato elevato dall’originario 50 al 75 per cento (limite massimo di partecipazione), con corrispondente riduzione della quota di cofinanziamento nazionale.

In sostanza, in accordo con le Istituzioni europee, la quota di finanziamento comunitario dei programmi operativi in ritardo di attuazione, che rischiano il disimpegno automatico delle risorse, resta invariata, in valori assoluti, pur assumendo un peso percentuale maggiore (da 50 al 75 per cento), mentre si riduce la quota di risorse di cofinanziamento nazionale (dal 50 al 25 per cento). Le risorse nazionali, che fuoriescono dai programmi attuativi dei fondi strutturali, vengono utilizzate per gli obiettivi prioritari del Piano di Azione Coesione.

Contestualmente, a livello normativo, tale principio è stato inserito nella legge di stabilità 2012 (articolo 23, comma 4, legge n. 183/2011), prevedendosi che le risorse provenienti da una riduzione del cofinanziamento nazionale di programmi relativi al periodo 2007-2013, iscritte sul Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie previsto dall’articolo 5 della legge n. 183 del 1987, possano essere destinate alla realizzazione di interventi di sviluppo socio-economico concordati tra lo Stato italiano e la Commissione europea nell’ambito della revisione dei programmi stessi[110].

 

Il 3 novembre 2011 è stato siglato l’Accordo tra il Governo italiano e le Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia sulla rimodulazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali, con il quale il riutilizzo delle risultanti risorse nazionali viene vincolato al principio di territorialità.

Il disegno programmatico del Piano di Azione Coesione e la sua attuazione anticipano per molti aspetti la riforma della politica di coesione in via di approvazione da parte della Commissione europea, nella direzione di:

    orientare ogni azione agli obiettivi di miglioramento della qualità della vita dei cittadini,

    concentrare gli investimenti su priorità di intervento di interesse nazionale declinate, Regione per Regione, secondo le esigenze dei diversi contesti,

    rafforzare il presidio degli interventi da parte dei centri di competenza nazionale,

    affidare il governo dell’intervento del Piano d’Azione Coesione a un Gruppo di Azione a direzione nazionale, nel quadro di una rafforzata cooperazione con la Commissione Europea.

 

Il Piano di Azione Coesione (PAC) – che è stato oggetto di tre aggiornamenti a febbraio 2012, a maggio 2012 e a dicembre 2012 - ha determinato a tutt’oggi, nel suo complesso, una rimodulazione delle risorse comunitarie e una riduzione delle risorse di cofinanziamento nazionale, per complessivi 12,1 miliardi, di cui 9,9 miliardi dalla riduzione della quota di cofinanziamento nazionale:

§      La prima fase, varata il 15 dicembre 2011 e aggiornata a febbraio 2012, a seguito di un Accordo condiviso tra Governo e le Regioni Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia per accelerare e riqualificare l’utilizzo dei Fondi strutturali comunitari, al quale hanno aderito anche Abruzzo e Molise (regioni dell’Obiettivo Competitività), ha riguardato i programmi operativi regionali per oltre 3 miliardi di riprogrammazione, che sono stati destinati a favore di istruzione, ferrovie, formazione riformata, agenda digitale e credito di imposta per lavoratori svantaggiati. E’ stata inoltre prevista la costituzione di un Fondo da 1,6 miliardi di euro a favore di investimenti su reti e nodi ferroviari.

§      La seconda fase, varata il 15 maggio 2012 ha riguardato i fondi gestiti da Amministrazioni centrali (Programmi operativi nazionali o interregionali), riprogrammati a favore della cura per l’infanzia e per gli anziani non autosufficienti, dei giovani, della competitività e innovazione delle imprese e delle aree di attrazione culturale. Per 1,9 miliardi si tratta di fondi assegnati al Piano di Azione Coesione; per il resto di riprogrammazioni all’interno dei programmi.

§      La terza fase di riprogrammazione, varata nel dicembre 2012 d’intesa con le Regioni (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia, Friuli Venezia Giulia, Sardegna e Valle D’Aosta) e con i ministeri interessati, ha riguardato un importo di 5,7 miliardi, di cui 4,9 miliardi quale riduzione del cofinanziamento nazionale dei fondi strutturali e 0,8 miliardi di rimodulazione all’interno dei programmi operativi, ed è stata riprogrammata a favore di misure anticicliche (2,5 miliardi), la salvaguardia di progetti validi già avviati (1,9 miliardi) e nuove azioni regionali (1,3 miliardi). Con la delibera n. 96 del 3 agosto 2012 il CIPE ha preso atto dell’aggiornamento del Piano di Azione Coesione, mentre con la delibera n. 113 del 26 ottobre 2012 sono state individuate le amministrazioni responsabili della gestione e dell’attuazione dei programmi e degli interventi finanziati nell’ambito del Piano e definite le relative modalità di attuazione.

Riassumendo, le prime due fasi (dicembre 2011 e poi maggio 2012) hanno riallocato un totale di risorse pari a 6,4 miliardi di euro, attraverso sia la riduzione del cofinanziamento nazionale (circa 5 miliardi), sia la revisione interna dei programmi.

Tali fasi hanno riguardato in misura prevalente (4,9 miliardi) le regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia e in misura più contenuta le altre regioni del Sud e alcune del Centro Nord.

Sommando ad esse le risorse considerate nella terza fase (5,7 miliardi), la PAC complessivamente ha movimentato circa 12 miliardi, di cui 9,9 miliardi provenienti della riduzione del cofinanziamento nazionale dei fondi comunitari.

 

 

Nel corso dell’audizione del 12 giugno 2013 presso le Commissioni riunite V e XIV della Camera dei deputati, il Ministro per la coesione economica ha diffuso i dati aggiornati relativi alle risorse destinate, complessivamente, dai vari aggiornamenti del Piano di Azione Coesione alle varie azioni del PAC (dati in milioni di euro).

 

Istruzione

1.057,0

Agenda digitale

347,8

Occupazione

142,0

Ferrovie

1.502,6

TOTALE Primo aggiornamento

3.049,4

Ricerca e innovazione

701,5

Energia

124,0

Beni culturali

130,0

Giovani

672,1

Giustizia

4,4

Anziani non autosufficienti e infanzia

765,0

Risorse confermate sugli stessi interventi

1.025,0

TOTALE Secondo aggiornamento

3.422,0

Misure anticicliche e rafforzamento imprese

 

Agevolazione fiscale de minimis per micro e piccole aziende delle aree a disagio socioeconomico

377,0

Rifinanziamento credito d’imposta occupati svantaggiati

165,0

Misure innovative e sperimentali di tutela dell'occupazione e politiche attive del lavoro collegate ad ammortizzatori sociali in deroga

410,0

Promozione della nuova imprenditorialità

204,8

Potenziamento istruzione tecnica e professionale di qualità

106,0

Promozione sviluppo turistico e commerciale

358,9

Interventi di rilancio di aree colpite da crisi industriali

282,0

Strumenti di incentivazione per il rinnovamento di macchinari e attrezzature da parte delle imprese

327,0

Aiuto alle persone con elevato disagio sociale

143,7

Totale  Misure anticicliche e rafforzamento imprese

2.374,4

Salvaguardia interventi significativi originariamente previsti nei Programmi operativi

1.863,0

Nuove azioni

1.160,9

TOTALE Terzo aggiornamento

5.398,3

TOTALE

11.869,7

di cui derivanti da rimodulazioni dei Programmi operativi

1.977,6

di cui derivanti da riduzione del cofinanziamento nazionale

9.892,1

 

 

La riprogrammazione dei programmi operativi attraverso la riduzione del cofinanziamento nazionale

 

Con la delibera n. 113 del 26 ottobre 2012 il CIPE ha individuato le amministrazioni responsabili della gestione e dell’attuazione dei programmi finanziati nell’ambito del Piano di Azione Coesione (PAC) comprensivo del secondo aggiornamento, nonché le relative modalità di attuazione.

La delibera considera risorse rivenienti dalla riduzione del cofinanziamento nazionale dei programmi operativi dei fondi comunitari per poco più di 5 miliardi (TAB. 1), che vengono riassegnate - sempre nell’ambito del Fondo di rotazione ex art. 5, legge n. 183/1987 - in favore dei singoli programmi e interventi del PAC di cui alla I e II fase di programmazione, con imputazione alle annualità 2012 e 2013 dei predetti programmi operativi (TAB. 2).

TAB. 1

Riduzioni del cofinanziamento nazionale
(Delibera CIPE n. 113/2012)

 

Programmi operativi regionali - POR

FESR

FSE

Totale

Calabria

-80,0

 

-80,0

Campania

-600,0

 

-600,0

Puglia

-100,0

 

-100,0

Sicilia

-500,0

-452,0

-952,0

Sardegna

-340,3

 

-340,3

TOTALE

-1.620,3

-452,0

-2.072,3

Programmi operativi nazionali - PON

 

 

 

Ricerca e competitività

-1.781,0

 

-1.781,0

Sicurezza per lo sviluppo

-180,0

 

-180,0

Governance e assistenza tecnica

-50,0

 

-50,0

Attrattori culturali, naturali e turismo

-330,0

 

-330,0

Energie rinnovabili e risparmio energetico

-504,0

 

-504,0

Governance e azioni di sistema

 

-90,0

-90,0

TOTALE

-2.845,0

-90,0

-2.935,0

TOTALE GENERALE

-4.465,3

-542,0

-5.007,3

 

TAB. 2

Assegnazione delle risorse derivanti dalla riduzione del cofinanziamento nazionale agli interventi del PAC (I e II aggiornamento)
(Delibera CIPE n. 113/2012)

 

Programmi/Interventi

Responsabile gestione

Responsabile attuazione

Importi

Ferrovie

Min. Infrastrutture

RFI

1.502,6

Servizi di cura all’infanzia

Min. Interno

Enti locali

400,0

Servizi di cura anziani non autosufficienti

Min. Interno

Enti locali

330,0

Interventi legalità in aree a elevata dispersione scolastica

Min. Interno

Enti locali

77,0

Giovani del non profit per lo sviluppo del Mezzogiorno

PCM

Dip. Gioventù

37,6

Autoimpiego e autoimprenditorialità

MISE

MISE

50,0

Apprendistato e uscita da “né allo studio né al lavoro”

Min. Lavoro

Min. Lavoro

50,0

Messaggeri della conoscenza nelle Università meridionali

MIUR

MIUR

5,3

Ricerca e innovazione

MIUR

MIUR

115,5

Promozione sviluppo e innovazione imprese

MISE

MISE

436,2

Promozione innovazione via domanda pubblica

MISE

MISE

50,0

Promozione innovazione via domanda pubblica

MIUR

MIUR

100,0

Valutazione aree di attrazione culturale

MIBAC

MIBAC

130,0

Riduzione tempi giustizia civile

Min. Giustizia

Min. Giustizia

4,4

Interventi efficienza energetica aree urbane e naturali

MISE

MISE

124,0

Piano giovani Sicilia

Regione Siciliana

Regione Siciliana

452,0

TOTALE

 

 

3.864,6

Interventi già individuati nei PO la cui attuazione proseguirà fuori dal programma originario

 

Ricerca

MIUR

MIUR

546,0

Sicurezza

Min. Interno

Min. Interno

103,0

Imprese

MISE

MISE

178,0

Energia

MISE

MISE

198,0

Altri interventi P.A.C.

Regione Sardegna

Regione Sardegna

117,7

TOTALE

 

 

1.142,7

TOTALE P.A.C.

 

 

5.007,3

 

La tavola che segue indica la assegnazione complessiva di risorse al PAC provenienti dalla riduzione del cofinanziamento nazionale, comprensiva anche degli effetti del terzo aggiornamento del PAC di dicembre 2012 (ulteriori 4,9 miliardi, che si sono aggiunti ai precedenti 5 miliardi). Pertanto, la riduzione del cofinanziamento nazionale dei fondi strutturali (quota trasferita a PAC) viene indicata in 9,9 miliardi.

 

Le risorse di cofinanziamento nazionale dei programmi operativi trasferite al Piano di Azione Coesione dopo la terza riprogrammazione

(milioni di euro)

 

Dotazione iniziale

Contributo
dopo 3° PAC

Quota trasferita a PAC

Programmi Operativi Regionali - POR

 

 

 

CALABRIA

3.858,6

3.345,2

513,5

di cui Calabria Fse

860,4

800,5

60,0

di cui Calabria Fesr

2.998,2

2.544,7

453,5

CAMPANIA

7.982,8

5.544,8

2.438,0

di cui Campania Fse

1.118,0

968,0

150,0

di cui Campania Fesr

6.864,8

4.576,8

2.288,0

PUGLIA

5.238,0

4.492,3

745,7

SARDEGNA

2.431,0

2.036,8

394,2

di cui Sardegna Fse

729,3

675,1

54,2

di cui Sardegna Fesr

1.701,7

1.361,7

340,0

SICILIA

8.624,0

5.992,9

2.631,0

di cui Sicilia Fse

2.084,4

1.632,3

452,0

di cui Sicilia Fesr

6.539,6

4.360,6

2.179,0

VALLE D'AOSTA

82,3

65,8

16,5

FRIULI-VENEZIA GIULIA

303,0

258,8

44,2

Totale regioni

28.519, 7

21.736,6

6.783,1

 

 

 

 

Programmi nazionali e interregionali - PON e POIN

 

 

 

GOVERNANCE

794,0

654,1

140,0

di cui Governance Fse

517,8

427,9

90,0

di cui Governance Fesr

276,2

226,2

50,0

RETI E MOBILITÀ

2.749,4

2.576,6

172,9

RICERCA E COMPETITIVIÀ

6.205,4

4.425,4

1.780,0

SICUREZZA

1.158,0

968,1

189,9

ATTRATTORI CULTURALI

1.015,6

685,7

329,9

ENERGIA RINNOVABILE

1.607,8

1.103,8

504,0

Totale PON e POIN

13.530,2

10.413,7

3.116,7

TOTALE COMPLESSIVO

42.049,9

32.150,3

9.899,7

Fonte: Elaborazioni su dati della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Ministro per la coesione territoriale[111]

 

Complessivamente, come si evince dalla tabella, le regioni vedono ridotte le risorse di cofinanziamento nazionale per 6,8 miliardi. In particolare, Sicilia e Campania, i cui programmi operativi manifestano i maggiori ritardi attuativi, vedono ridotte le risorse dei loro POR, rispettivamente, di 2.631 e 2.438 milioni, destinate ad altri interventi del PAC sul medesimo territorio.

Le altre regioni che hanno proceduto ad una rimodulazione delle risorse dei propri programmi operativi sono la Puglia (746 milioni), la Calabria (513 milioni), la Sardegna (394 milioni), nonché il Friuli Venezia Giulia (44 milioni) e la Valle d’Aosta (16 milioni).

Per i programmi nazionali e interregionali (PON e POIN) la riduzione del cofinanziamento ammonta complessivamente a 3,1 miliardi.

La rimodulazione delle risorse ha riguardato i programmi nazionali o interregionali Ricerca e competitività (1.780 milioni), Energia rinnovabile e risparmio energetico (504 milioni), Attrattori culturali, naturali e turismo (330 milioni), Sicurezza (190 milioni), Reti e mobilità (173 milioni) e Governance (50 milioni).

 



[1]     Quadro Strategico Nazionale 2007-2013, approvato dalla Commissione europea con decisione del 13 luglio 2007.

[2]     Il 3 novembre 2011 è stato siglato l’Accordo tra il Governo italiano e le Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia sulla rimodulazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali, con il quale il riutilizzo delle risultanti risorse nazionali viene vincolato al principio di territorialità.

[3]     Ai sensi del comma 3 dell’articolo 4, la formazione di tipo professionalizzante e di mestiere, svolta sotto la responsabilità della azienda, è integrata, nei limiti delle risorse annualmente disponibili, dalla offerta formativa pubblica, interna o esterna alla azienda, finalizzata alla acquisizione di competenze di base e trasversali per un monte complessivo non superiore a 120 ore per la durata del triennio e disciplinata dalle Regioni sentite le parti sociali e tenuto conto dell'età, del titolo di studio e delle competenze dell'apprendista.

[4]     Ai sensi dell’allegato 2 alla richiamata raccomandazione, la categoria delle microimprese delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è costituita da imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro. Inoltre, nella categoria delle PMI si definisce piccola impresa un'impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di euro. Infine, nella categoria delle PMI si definisce microimpresa un'impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di EUR.

[5]     E’ il libretto personale del lavoratore in cui vengono registrate le competenze acquisite durante la formazione in apprendistato, la formazione in contratto di inserimento, la formazione specialistica e la formazione continua svolta durante l'arco della vita lavorativa ed effettuata da soggetti accreditati dalle regioni, nonché le competenze acquisite in modo non formale e informale secondo gli indirizzi della Unione europea in materia di apprendimento permanente, purché riconosciute e certificate. Con il D.M. 10 ottobre 2005 è stato approvato il modello per il libretto formativo del cittadino.

[6]     Si ricorda che nell’Accordo l'indennità è già stata riconosciuta anche ai tirocinanti presso pubbliche amministrazioni e che, per tale motivo, subordinava la possibilità di ricorso ai tirocini, da parte di queste ultime, alla sussistenza di determinate risorse finanziarie.

[7]     Ai sensi del richiamato comma 7, i tirocini hanno durata massima:

   non superiore a 4 mesi nel caso in cui i soggetti beneficiari siano studenti che frequentano la scuola secondaria;

   non superiore a 6 mesi nel caso in cui i soggetti beneficiari siano lavoratori inoccupati o disoccupati ivi compresi quelli iscritti alle liste di mobilità oppure siano allievi degli istituti professionali di Stato, di corsi di formazione professionale, studenti frequentanti attività formative post-diploma o post-laurea, anche nei 18 mesi successivi al completamento della formazione;

   non superiore a 12 mesi per gli studenti universitari (compresi coloro che frequentino corsi di diploma universitario, dottorati di ricerca e scuole o corsi di perfezionamento e specializzazione nonché di scuole o corsi di perfezionamento e specializzazione post-secondari anche non universitari, anche nei 18 mesi successivi al termine degli studi);

   non superiore a 12 mesi nel caso in cui i soggetti beneficiari siano persone svantaggiate ai sensi del comma 1 dell'articolo 4 della L. 381/1991, con l'esclusione dei soggetti portatori di handicap;

   non superiore a 24 mesi nel caso di soggetti portatori di handicap.

[8]     Al riguardo, si ricorda che il riconoscimento di una congrua indennità per i tirocini è stato previsto dall'articolo 1, commi 34-35, della L. 92/2012, che ha rinviato la disciplina della materia alle citate Linee guida Stato-regioni.

L’Accordo del 24 gennaio 2013  ha rimesso la definizione delle indennità a ciascuna regione, fissando comunque il limite minimo di 300 euro al mese.

[9] EU Employment and Social Situation Quarterly Review – June 2013.

[10] Si tratta di un pacchetto di proposte composto da una comunicazione sulla promozione dell’occupazione dei giovani (COM(2012)727), una proposta di raccomandazione sull’introduzione di una “Garanzia per i giovani” (adottata formalmente dal Consiglio il 22 aprile 2013); una comunicazione relativa all’avvio di una consultazione su un quadro di qualità per tirocini (COM(2012) 728).

[11]   Ai sensi dei numeri 18 e 19 dell'articolo 2 del Regolamento (CE) n. 800 del 2008 della Commissione del 6 agosto 2008, per lavoratori svantaggiati si intendono lavoratori privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, ovvero privi di un diploma di scuola media superiore o professionale, ovvero che abbiano superato i 50 anni di età, ovvero che vivano soli con una o più persone a carico, ovvero occupati in professioni o settori con elevato tasso di disparità uomo-donna - ivi definito - ovvero membri di una minoranza nazionale con caratteristiche ivi definite; per lavoratori molto svantaggiati, si intendono i lavoratori privi di lavoro da almeno 24 mesi.

[12]   Il testo originario indica finanziamenti di 56 milioni per ciascuna annualità del triennio.

[13]   Decreto Legge 9 febbraio 2012, n. 5, Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo,  convertito con modificazioni dalla L. 4 aprile 2012, n. 35.

[14]   Decreto-Legge 25 giugno 2008, n. 112, Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria, convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2008, n. 133.

[15]   Decreto 16 settembre 2008, Criteri e modalità di individuazione dei titolari della Carta Acquisti, dell'ammontare del beneficio unitario e modalità di utilizzo del Fondo di cui all'articolo 81, comma 29 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 113.

[16]   Il testo originario indica un finanziamento di 100 milioni nel 2014 e di 67 milioni nel 2015.

[17]   http://www.coesioneterritoriale.gov.it/wp-content/uploads/2012/12/PAC-III-Riprogrammazione-Ministro-Dicembre-202.pdf

[18]   Regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio dell’11 luglio 2006, recante le disposizioni generali sui Fondi strutturali.

[19]   Infatti, in base alla c.d. "regola dell'n+2", per ogni annualità contabile delle risorse impegnate – per ciascun fondo (FSE, FESR) e programma operativo (PO) sul bilancio comunitario - la parte che non risulta effettivamente spesa e certificata alla Commissione entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello dell’impegno di bilancio viene disimpegnata automaticamente. Il disimpegno delle risorse comunitarie comporta anche la parallela riduzione di disponibilità delle relative risorse di cofinanziamento nazionale.

[20]   http://www.coesioneterritoriale.gov.it/wp-content/uploads/2012/05/Obiettivi-Azione-Coesione-15-novembre-2011.pdf, pag. 8

[21]   Ciò ha determinato una riduzione dell’ammontare complessivo delle risorse da certificare in sede europea, ferme restando le risorse comunitarie attribuite e quindi rimborsabili, riducendosi così la pressione temporale sulla spesa (ed i correlati rischi di disimpegno per i programmi maggiormente in ritardo).

[22]   Si ricorda, peraltro, che il D.Lgs. 31 maggio 2011, n. 88, all’articolo 3, comma 3, già prevede che il Ministro delegato per la politica di coesione adotti, ove necessario e nel rispetto delle disposizioni dei regolamenti dell'Unione europea, le opportune misure di accelerazione degli interventi anche relativamente alle amministrazioni che risultano non in linea con la programmazione temporale degli interventi medesimi.

[23]   Recante “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”, approvato dalla Camera ed in corso d’esame presso il Senato (A.S. 974).

[24]   L’articolo 1, commi 2-6, della legge n.92/2012 (Riforma del mercato del lavoro) prevede l’istituzione di un sistema permanente di monitoraggio e valutazione della legge, basato su dati forniti dall'Istituto nazionale di statistica (Istat) e da altri soggetti del Sistema statistico nazionale (Sistan), volto a verificare lo stato di attuazione degli interventi e a valutarne gli effetti sull’efficienza del mercato del lavoro, sull’occupabilità dei cittadini e sulle modalità di entrata e di uscita nell’impiego. Al sistema di monitoraggio e valutazione, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali in collaborazione con le altre Istituzioni competenti, concorrono le parti sociali (attraverso le organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale dei lavoratori e dei datori di lavoro), nonché l’INPS e l’ISTAT, chiamati ad organizzare una banche dati informatizzate anonime (contenente i dati individuali anonimi, relativi ad età, genere, area di residenza, periodi di fruizione degli ammortizzatori sociali con relativa durata ed importi corrisposti, periodi lavorativi e retribuzione spettante, stato di disoccupazione, politiche attive e di attivazione ricevute), aperta ad enti di ricerca e università. Il sistema permanente di monitoraggio e valutazione è chiamato a produrre rapporti annuali sullo stato di attuazione delle singole misure. Dagli esiti del monitoraggio e della valutazione sono desunti elementi per l'implementazione ovvero per eventuali correzioni delle misure e degli interventi introdotti dalla presente legge, anche alla luce dell'evoluzione del quadro macroeconomico, degli andamenti produttivi, delle dinamiche del mercato del lavoro e, più in generale, di quelle sociali

[25]   Secondo la relazione tecnica allegata all’emendamento (5.800), “all’onere di 6 milioni si provvede mediante riduzione delle risorse del Fondo sociale per l’occupazione e la formazione relative ad ammortizzatori sociali in deroga, con riferimento, in particolare, alle c.d. deroghe nazionali plurilocalizzate, preso della relativa disponibilità in base a specifica comunicazione del Ministero del lavoro. Tenuto conto che tali risorse, inglobando gli stanziamento per contribuzione figurativa, hanno impatto in termini di indebitamento (netto) e fabbisogno per circa il 60%, la riduzione delle medesime, al fine di garantire la compensazione della disposizione sui predetti saldi, è pari a 10 milioni di euro per l’anno 2014”. Per ulteriori informazioni in merito si rinvia a quanto riportato nel Dossier del Servizio Bilancio sulla norma in esame.  

[26] Si ricorda che a giugno 2013 il tasso di disoccupazione giovanile in Italia ha superato il 38 per cento.

[27]   Ossia senza indicazione delle “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività del datore di lavoro”, normalmente richieste.

[28]   Il quale prevede che il giudice può desumere argomenti di prova, in generale, “dal contegno delle parti stesse nel processo”.

[29]   L’articolo 1, commi 2-6, della legge n. 92/2012 (Riforma del mercato del lavoro) prevede l’istituzione di un sistema permanente di monitoraggio e valutazione della legge, basato su dati forniti dall'Istituto nazionale di statistica (Istat) e da altri soggetti del Sistema statistico nazionale (Sistan), volto a verificare lo stato di attuazione degli interventi e a valutarne gli effetti sull’efficienza del mercato del lavoro, sull’occupabilità dei cittadini e sulle modalità di entrata e di uscita nell’impiego. Al sistema di monitoraggio e valutazione, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali in collaborazione con le altre Istituzioni competenti, concorrono le parti sociali (attraverso le organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale dei lavoratori e dei datori di lavoro), nonché l’INPS e l’ISTAT, chiamati ad organizzare una banche dati informatizzate anonime (contenente i dati individuali anonimi, relativi ad età, genere, area di residenza, periodi di fruizione degli ammortizzatori sociali con relativa durata ed importi corrisposti, periodi lavorativi e retribuzione spettante, stato di disoccupazione, politiche attive e di attivazione ricevute), aperta ad enti di ricerca e università. Il sistema permanente di monitoraggio e valutazione è chiamato a produrre rapporti annuali sullo stato di attuazione delle singole misure. Dagli esiti del monitoraggio e della valutazione sono desunti elementi per l'implementazione ovvero per eventuali correzioni delle misure e degli interventi introdotti dalla presente legge, anche alla luce dell'evoluzione del quadro macroeconomico, degli andamenti produttivi, delle dinamiche del mercato del lavoro e, più in generale, di quelle sociali.

[30]   Ulteriori disposizioni in materia di associazione in partecipazione sono recata all’articolo 7-bis. Alla relativa scheda si rinvia per la descrizione dell’istituto in base alla normativa vigente.

[31]   Termine elevato dall’articolo 1, comma 251, lettera a), della L. 228/2012. Il termine originario era pari a 6 mesi.

[32]   Gli atti di conciliazione devono essere adottati nelle sedi e secondo le procedure di cui agli articoli 410 e seguenti del Codice di procedura civile, i quali (come modificati dalla legge n. 183/2010 - cd. collegato lavoro), hanno introdotto significative modifiche alla disciplina su conciliazione e arbitrato del lavoro. In particolare, sono state abrogate le norme che stabilivano, sia nel settore privato che in quello pubblico, l’obbligo di esperire la procedura di conciliazione; quest’ultima da obbligatoria è stata resa facoltativa; al contempo la novella legislativa, recependo le indicazioni della giurisprudenza, anche costituzionale, ha stabilito con maggiore precisione rispetto alla previgente normativa le caratteristiche della fase conciliativa. Sono poi previsti diversi modelli di arbitrato: il primo, previsto dall’art. 412 c.p.c., prevede che in qualunque fase del tentativo di conciliazione, anche al termine in caso di mancata riuscita, le parti possano accordarsi per risolvere in via arbitrale la controversia, affidando alla commissione di conciliazione il relativo mandato. Il secondo modello di arbitrato (art. 412-ter) prevede che l’arbitrato nelle controversie di lavoro possa svolgersi altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative. ll terzo modello di arbitrato, che come il primo presuppone la lite insorta (ma non anche l’avvio del tentativo di conciliazione o la sua mancata riuscita), è disciplinato dall’art. 412 quater c.p.c., e consente alle parti - ferma la facoltà di adire il giudice ordinario, ovvero di avvalersi delle procedure di conciliazione e di arbitrato previste dalla legge - di trasformare la controversia in un arbitrato irrituale, fortemente processualizzato. Un ultimo modello di arbitrato è invece direttamente previsto dalla legge 183/2010 (art. 31, co. 10) e sancisce la possibilità che lavoratore e datore di lavoro pattuiscano contrattualmente clausole compromissorie che rinviano alle modalità di espletamento dell’arbitrato di cui agli artt. 412 e 412 quater, quindi al primo e terzo modello sopra esaminati, ossia un arbitrato irrituale che potrà essere, qualora le parti lo prevedano, di equità.

 

[33]                          Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

[34] Per accomodamento ragionevole si intendono le modifiche adottate per garantire alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali sulla base dell'eguaglianza con gli altri.

[35]            La direttiva ha come obiettivo quello di stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l'occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento.

[36]   Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’articolo 1, comma 6, del Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

[37] Articolo 12 del D.Lgs. 286/1988.

[38]   L’art. 5 del decreto-legge 10/2007 aveva abrogato tale disposizione, che però è stata ripristinata con nuova formulazione a seguito del’esame parlamentare.

[39]   EUR; enti autonomi lirici ed istituzioni concertistiche assimilate; Agenzia spaziale italiana; Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato; Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura; Comitato nazionale per la ricerca e lo sviluppo dell'energia nucleare e delle energie alternative (ENEA); Azienda autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo generale e Registro aeronautico italiano (RAI); CONI; Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL); Ente nazionale per l'aviazione civile (E.N.A.C.).

[40]   Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità:

§      l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente;

§      l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;

§      la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico; (31)

§      devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

[41]   Per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, tuttavia ma per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali le amministrazioni pubbliche possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, nel rispetto delle procedure di reclutamento vigenti.

[42]   Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE.

[43]   “Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore”.

[44]   “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria”.

[45]   “Previdenze a favore dei pescatori della piccola pesca marittima e delle acque interne”

[46]   Si ricorda che la legge non fornisce nessuna definizione di “rischio biometrico”. Al riguardo, la direttiva 2003/41/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (recepita con il D.Lgs. 28/2007), relativa alle attività e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali, si definiscono tali quei rischi di morte, invalidità e longevità. Con il D.M. 7 dicembre 2012, n. 259, sono stati individuati i principi per la determinazione dei mezzi patrimoniali di cui debbono dotarsi i fondi pensione che coprono rischi biometrici, che garantiscono un rendimento degli investimenti o un determinato livello di prestazione.

[47]   Sostanzialmente, la norma va a regolamentare i casi in cui i richiamati Fondi pensione, nonostante la richiamata autorizzazione, si trovino impossibilitati, in carenza di mezzi patrimoniali adeguati, a fronteggiare gli impegni finanziari in precedenza assunti con i soggetti iscritti, devolvendo alle fonti istitutive la rideterminazione della disciplina (non trattandosi di soggetti gestori abilitati i quali sono sottoposti a vigilanza prudenziale ed operano in conformità alle norme che li disciplinano).

[48]   In particolare, sentenze 18825/2008, 7259/2009 e 20426/2010.

[49]   In particolare, sentenze 16363/2002, 16311/2002, 12266/2003, 14126/2006, 13261/2007.

[50]   Conferenza Unificata del 24 gennaio 2013: Intesa, ai sensi dell’articolo 46, comma 2, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, sullo schema di decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, concernente il riparto del Fondo nazionale per le politiche sociali per l’anno 2013. Repertorio Atti n.: 16/CU del 24/01/2013.

[51]   Conferenza Unificata del 24 gennaio 2013: Intesa, ai sensi dell’articolo 1, comma 1265, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sullo schema di decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro della salute, il Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione con delega alle politiche per la famiglia, concernente il riparto delle risorse assegnate al Fondo per le non autosufficienze per l’anno 2013. Repertorio Atti n.: 17/CU del 24/01/2013

[52]   Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Decreto 20 marzo 2013, Ripartizione delle risorse finanziarie affluenti al Fondo per le non autosufficienze, per l'anno 2013.

[53]   Gli enti, una volta privatizzati, hanno continuato a sussistere come enti senza scopo di lucro, assumendo la personalità giuridica di diritto privato (artt. 12 e seguenti del Codice civile) e subentrando in tutti i rapporti attivi e passivi dei corrispondenti enti previdenziali: in particolare ne hanno mantenuto la funzione previdenziale, continuando a svolgere le corrispondenti attività nei confronti delle categorie per le quali gli enti medesimi sono stati istituiti, e fermo restando l'obbligo, da parte dei destinatari, della iscrizione e della contribuzione. Il decreto ha stabilito, poi, le regole che devono presiedere all'equilibrio gestionale dei nuovi enti privatizzati (introducendo accanto alle riserve tecniche una "riserva legale" pari ad almeno cinque annualità dell'importo delle pensioni in pagamento e prevedendo l'obbligo della redazione almeno triennale di un "bilancio tecnico"), i criteri di trasparenza che devono presiedere ai rapporti con gli iscritti, nonché i poteri di vigilanza affidati al Ministero del lavoro (il quale, oltre ad approvare gli statuti istitutivi ed i regolamenti, verifica l'andamento gestionale e formula, se necessario, gli opportuni rilievi. Benché con consistenti ritardi rispetto al termine inizialmente stabilito (1° gennaio 1995), tutti gli enti elencati hanno proceduto alla trasformazione in associazione o fondazione di diritto privato.

[54]   La dichiarazione dell’Eurogruppo del 27 novembre 2012 è disponibile al seguente indirizzo: http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/en/ecofin/133857.pdf

[55]   La dichiarazione dell’Eurogruppo del 21 febbraio 2012 è disponibile sito http://consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/en/ecofin/128075.pdf

[56]   Tale programma, introdotto nel maggio 2010, prevede l’acquisto, sui mercati secondari, di titoli di Stato, denominati in euro, emessi dagli Stati membri dell’area. La misura ha la finalità di evitare che tensioni su alcuni segmenti del mercato dei titoli di Stato, indotte dall’avversione al rischio da parte degli investitori, impediscano il trasferimento degli orientamenti della politica monetaria all’economia reale dell’area euro, impattando sull’accesso ai finanziamenti e minacciando la stabilità dei prezzi.

[57]   La relazione illustrativa ricorda che i titoli greci nel portafoglio SMP sono stati esclusi dall’accordo di ristrutturazione del debito greco (cd. Private Sector Involvement – PSI) di fine 2011. Infatti, i titoli greci detenuti dalle BCN e dalla BCE sono stati oggetto di un accordo di scambio con il governo greco e sostituiti con titoli contraddistinti da un nuovo codice ISIN ma con caratteristiche identiche; i nuovi titoli sono stati esclusi dal PSI e dall’applicazione delle Collective Action Clauses (CAC) e dai conseguenti haircut.

[58]   Va in proposito richiamato l’articolo 39 dello Statuto della Banca d’Italia, ai sensi del quale l’Istituto è tenuto a corrispondere agli azionisti partecipanti (istituti di credito) non più del 20 per cento degli utili netti complessivi, eventualmente integrati da un ulteriore importo non eccedente il 4 per cento del capitale complessivo. La restante somma viene devoluta allo Stato.

[59]   Nella legge 20 maggio 1985, n. 222 è prevista la disciplina degli enti e dei beni ecclesiastici in Italia e le norme a favore del sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi. In particolare, il Titolo I detta disposizioni concernenti gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti.

[60]   Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

[61]   Tali soglie valgono a partire dal 1° gennaio 2012.

[62]   Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, il 20 e il 29 maggio 2012.

[63]   Il comma 1-quater dell’articolo 11 del decreto-legge n. 174 del 2012 e l’articolo 67-septies, comma 1, del decreto legge n. 83 del 2012, hanno esteso l’applicabilità delle disposizioni in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 20 e del 29 maggio 2012, recate dal decreto-legge n. 74 del 2012,anche ad altri comuni.

[64]   Normative e metodologie tecniche di applicazione dell'art. 6, comma 3, e dell'art. 12, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n. 257, relativa alla cessazione dell'impiego dell'amianto. In particolare il citato comma 2 stabilisce, tra l’altro, che: in caso anche di solo sospetto di lesione alle strutture, queste devono essere delimitate e confinate, e l'accessibilità deve poi essere valutata dai vigili del fuoco per verificarne l'agibilità e provvedere all'eventuale messa in sicurezza; in caso di capannoni lesionati con presenza di amianto compatto, occorre evitare di movimentare le coperture crollate nelle aree non interessate da attrezzature da recuperare e mettere in atto tutti gli accorgimenti per evitare la dispersione di fibre.

[65]   Per approfondire la tematica sull’amianto si rinvia ai seguenti link: 1) Piano nazionale amianto  approvato dal Governo il 21 marzo 2013; 2) ISPRA il Rapporto rifiuti speciali Edizione 2012 che tra l'altro analizza anche i flussi relativi a particolari categorie di rifiuti (rifiuti di amianto), con dati statistici e analisi normative.

[66]   L’art. 227 del D.Lgs 152/2006 ha precisato che restano ferme, sul recupero dei rifiuti dei beni e prodotti contenenti amianto, le norme del decreto ministeriale 29 luglio 2004, n. 248.

[67]   Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti.

[68]   Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

[69]   Previsto dall’art. 212 del D.Lgs. 152/2006 (Codice Ambiente).

[70]   L’organo di vigilanza è il Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro (S.Pre.S.A.L.) dell’Azienda USL territorialmente competente.

[71]   Il D.P.C.M., emanato in data 4 luglio 2012, ha disposto la seguente ripartizione delle risorse del Fondo sulla base dei livelli di danneggiamento finora riscontrati: 95% in favore della Regione Emilia-Romagna; 4 % in favore della Regione Lombardia; 1 % in favore della Regione Veneto. La ripartizione per gli anni successivi al 2012 verrà rideterminata all'esito della definitiva e asseverata valutazione dei danni da parte dalle Regioni interessate, ivi inclusi eventuali conguagli relativi all'anno 2012.

[72]   Con il D.P.C.M. 16 ottobre 2012, su complessivi 91,2 milioni a disposizione, sono stati assegnati 61,2 milioni per il 2012, a Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, ripartiti secondo le quote stabilite dal citato D.P.C.M. 4 luglio 2012.

[73]   Si ricorda che con il termine Eternit (dal nome del principale prodotto commerciale) si fa riferimento al c.d. fibrocemento, mistura di cemento e amianto.

[74]   Tale stanziamento si è aggiunto a quello recato dall’art. 39-undecies del D.L. 273/2005 che, per il completamento degli interventi di ricostruzione, ha stanziato 15 milioni di euro nel triennio 2006-2008. Sull’utilizzo dei finanziamenti disposti dal D.L. 273/2005 e dal’art. 1, comma 1010, della L. 296/2006, si veda la Relazione sullo stato di attuazione degli interventi nelle zone della Sicilia colpite dal sisma del gennaio 1968 per gli anni 2008-2010 (Doc. CXLV, n. 1 della XVI legislatura). Le citate risorse sono state successivamente integrate dall’art. 2, comma 258, della L. 244/2007 (50 milioni di euro). L’art. 1, commi 224-225, della legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità 2013) ha destinato (anche) ai programmi di ricostruzione ulteriori 35 milioni nell’ambito delle risorse del FSC assegnate alla Regione Sicilia di cui alla delibera CIPE n. 1 del 6 marzo 2009.

[75]   Il comma 1, lett. a), dell’art. 3 prevede la concessione di contributi per la ricostruzione, il ripristino o la riparazione degli immobili di edilizia abitativa, ad uso produttivo e per servizi pubblici e privati, nonché di infrastrutture, dotazioni territoriali e attrezzature pubbliche distrutti o danneggiati in relazione al danno effettivamente riportato.

[76]   L’art. 32 del decreto legislativo n. 163 del 2006 delimita l’ambito di efficacia delle normativa comunitaria in materia di appalti pubblici nei settori ordinari. Per quanto concerne i privati che aggiudicano i contratti sovvenzionati, rileva il carattere degli interventi in quanto attuati prevalentemente con finanziamenti pubblici, e precisamente:

-         lavori, affidati da soggetti privati, nonché lavori di edilizia relativi ad ospedali, impianti sportivi, ricreativi e per il tempo libero, edifici scolastici e universitari, edifici destinati a funzioni pubbliche amministrative, di importo superiore a un milione di euro, per la cui realizzazione sia previsto, da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, un contributo diretto e specifico, in conto interessi o in conto capitale che, attualizzato, superi il 50 per cento dell'importo dei lavori (comma 1, lettera d);

-         appalti di servizi, affidati da soggetti privati, relativamente ai servizi il cui valore stimato, al netto dell’IVA, sia pari o superiore a 200.000 euro, allorché tali appalti sono connessi ad un appalto di lavori di cui alla lettera d) e per i quali sia previsto, da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, un contributo diretto e specifico, in conto interessi o in conto capitale che, attualizzato, superi il 50 per cento dell'importo dei servizi (comma 1, lettera e).

Agli interventi di cui alle lettere d) ed e) non si estende tutta la disciplina codicistica in materia di contratti pubblici in quanto specifiche eccezioni sono previste nel comma 2 dell’articolo 32 in ragione della specifica natura di tali interventi (ad esempio in relazione alla fase di esecuzione del contratto si applicano solo le norme che disciplinano il collaudo).

[77]   Istituito dal decreto interministeriale 14 marzo 2003, pubblicato nella G.U. 5 marzo 2004, n. 54.

[78]   D.L. 5 agosto 2010, n. 125, Misure urgenti per il settore dei trasporti e disposizioni in materia finanziaria, convertito con modificazioni dalla legge n. 163 del 2010.

[79]   Gli interventi riguardano anche i comuni della provincia di Perugia Collazzone, Corciano, Deruta, Fratta Todina, Magione, Monte Castello di Vibio, Panicale, Perugia, Piegaro, San Venazio e Torgiano il cui territorio, in tutto od in parte, ha risentito dei medesimi eventi.

[80]   Ulteriori interventi urgenti in favore delle zone terremotate delle regioni Marche e Umbria e di altre zone colpite da eventi calamitosi.

[81]   Decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 14 maggio 2013, Riparto delle somme di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, sulla base dell'Accordo sancito in Conferenza Stato-Regioni il 9 maggio 2013, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35 (Pubblicato nella Gazz. Uff. 16 maggio 2013, n. 113).

[82]   Decreto direttoriale del 17 aprile 2013, di riparto dell’importo di 5.000 milioni di euro, a titolo di anticipazione di liquidità per il pagamento dei debiti del Servizio sanitario nazionale, pubblicato nel sito del MEF, http://www.mef.gov.it/primo-piano/.

[83]   Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali (legge n. 64/2013).

[84]      Si ricorda che per i debiti, per la cui estinzione le amministrazioni di cui al comma 1 utilizzano gli spazi finanziari derivanti dalle esclusioni dai vincoli del patto di stabilità interno disposti dall’articolo 1 del D.L. n. 35 e le anticipazioni di liquidità concesse agli enti territoriali a valere sull’apposito Fondo di cui all’articolo 10 del medesimo D.L. n. 35, l’apposizione della data di pagamento dell’intero debito o di parte di esso, è condizione per la sua certificazione, la quale si intende rilasciata anche ai fini della compensazione ai sensi dell’articolo 28-quater e 28-quinquies del D.P.R. 602/73.

[85]   Si ricorda che ai sensi dell’articolo 9, comma 3-bis del D.L. n. 185/2008, la pubblica amministrazione procede - soltanto su apposita istanza del soggetto creditore – alla certificazione del credito per somministrazioni, forniture e appalti – nonché in virtù della novella apportata dal D.L. n. 35/2013, di somme dovute per prestazioni professionali.

In particolare, ai sensi del comma 3-bis, le regioni e gli enti locali e gli enti del Servizio sanitario nazionale -  nonché ai sensi del D.L. n. 16/2012, come già detto, lo Stato e agli enti pubblici nazionali – devono certificare, entro trenta giorni dalla data di ricezione dell'istanza del creditore, se il relativo credito sia certo, liquido ed esigibile, anche al fine di consentire al creditore la cessione pro soluto o pro solvendo a favore di banche o intermediari finanziari. Scaduto il termine, su nuova istanza del creditore, è nominato un Commissario ad acta.

Ai sensi della disciplina attuativa delle citate norme (D.M. 25 giugno 2012, come modificato dal D.M. 19 ottobre 2012 e D.M. 22 maggio 2012, come modificato dal D.M. 24 settembre 2012, anch’essi richiamati nel comma 1 dell’articolo 7), la forma ordinaria/cartacea di certificazione è stata sostituita a fine ottobre 2012 dalla piattaforma elettronica per la gestione telematica del rilascio delle certificazioni.

Ora, ai sensi dell’articolo 7 del D.L. n. 35 - che comunque mantiene ferma la possibilità di acquisire la certificazione di somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti e per prestazioni professionali secondo le procedure ordinarie di cui ai citati D.M. – è però comunque previsto l’obbligo di comunicazione annuale - esclusivamente tramite piattaforma elettronica- dell’elenco dei debiti per somministrazioni, forniture e appalti nonché per prestazioni professionali, comunicazione che, ai sensi di quanto previsto dal comma 6 dell’articolo 7, equivale a certificazione (per i crediti che non sono stati già oggetto di cessione o certificazione). L’articolo 7, al comma 3, esplicita peraltro che la certificazione dei crediti per somministrazioni, forniture e appalti e per prestazioni professionali è effettuata comunque solo tramite la piattaforma elettronica.

[86]   Inoltre, trova conferma nell’intervento nella seduta del 31 luglio 2013 nell’ Aula Senato del Presidente della Commissione V, Azzollini, il quale ha sottolineato che per l'operatività delle norme in esame “è necessario l'espletamento di tutta quella procedura che parte dalla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, per arrivare poi a tutte le iniziative, sia di carattere politico sia di carattere tecnico, concordate anche con l'Unione europea per poter consentire lo sblocco dei fondi di cui alle disposizioni in esame”.

[87]   Inoltre, posto che il Fondo in oggetto è finalizzato a garantire gli oneri che si determinano in ragione del rilascio della garanzia statale su una certa entità di debiti della P.A, si ricorda che tali garanzie potrebbero concorrere a formare le cosiddette contingent liabilities (ovvero operazioni che potrebbero dare luogo a passività se si avverassero specifiche condizioni).

[88]   Decreto convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, che contiene una serie di disposizioni speciali per la regione Campania per il mancato rispetto del patto di stabilità interno per il 2009, tra cui in particolare il comma 22 dell’art. 14 che prevede che il Presidente della Regione, nella qualità di commissario ad acta, predisponga un piano di stabilizzazione finanziaria sottoposto all’approvazione del Ministero dell’economia e delle finanze, che, d’intesa con la regione interessata, nomini uno o più commissari ad acta di qualificate e comprovate professionalità ed esperienza per l’adozione e l’attuazione degli atti indicati nel piano.

[89]   Decreto convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148. Si tratta della norma che per adeguare la disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare del 12 e 13 giugno 2011, sulla modalità di affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e sulla determinazione della tariffa idrica, e alla normativa dell’Unione europea, ha disegnato la procedura attraverso la quale gli enti locali distinguono – all’interno dei servizi pubblici locali di rilevanza economica- quelli da liberalizzare e quelli da concedere in esclusiva.

[90]   Decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 14 maggio 2013, Riparto delle somme di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, sulla base dell'Accordo sancito in Conferenza Stato-Regioni il 9 maggio 2013, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35 (Pubblicato nella Gazz. Uff. 16 maggio 2013, n. 113 e non n. 133 come erroneamente indicato nella disposizione).

[91]   Delibera pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 137 del 16 giugno 2009.

[92] Art. 6 decreto legislativo n. 68/2011

[93] Art. 16 decreto legislativo n. 446/1997

[94] In proposito si segnala anche che la regione Campania non risulta aver adottato nel 2013 l’aumento dell’addizionale IRPEF e dell’aliquota IRAP ai sensi dell’articolo 2, comma 86, della legge n. 191/2009.

[95]   La relazione illustrativa al DDL di conversione evidenziava che l’intento perseguito era quello di superare il problema delle assegnazioni deliberate su mero preventivo, spesso ridotte o anche revocate all’atto della verifica della effettiva attività prodotta, con ricorrente pericolo di insuccesso delle procedure di ripetizione delle somme non dovute. La disposizione, “rende facoltativa la concessione da parte dell’Amministrazione delle suddette anticipazioni, che verranno, pertanto, accordate in ragione di precise garanzie rese da parte dell’operatore sia in termini di capacità realizzativa del progetto presentato, sia in termini di capacità finanziaria; quest’ultima potrà essere dimostrata anche attraverso il ricorso ad apposita polizza fideiussoria”.

[96]   Si ricorda che l’articolo 202 del TUEL, in conformità con quanto previsto dall’articolo 119 Cost., stabilisce, stabilisce che il ricorso all'indebitamento da parte degli enti locali è ammesso esclusivamente nelle forme previste dalle leggi vigenti in materia e per la realizzazione degli investimenti. L’articolo 203, che disciplina le condizioni per il ricorso all’indebitamento da parte degli enti locali, prevede, inoltre, che tale ricorso è possibile soltanto per il finanziamento di spese di investimento, se sussistono le seguenti condizioni: avvenuta approvazione del rendiconto dell'esercizio del penultimo anno precedente quello in cui si intende deliberare il ricorso all’indebitamento; avvenuta deliberazione del bilancio annuale nel quale sono incluse le relative previsioni.

Si ricorda, infine, che a seguito del’introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Costituzione (cfr. legge costituzionale 20 aprile 2012, n.1), la legge n. 243/2012 all’articolo 10, nel ribadire che l’indebitamento delle autonomie territoriali è consentito solo per finanziare spese di investimento, introduce due ulteriori condizioni rispetto a quelli già vigenti per l'indebitamento degli enti locali, disponendo che le operazioni di indebitamento possano effettuarsi solo contestualmente all’adozione di piani di ammortamento per il rimborso del debito ed a condizione che l'equilibrio di bilancio sia rispettato per il complesso degli enti di ciascuna Regione. Tali disposizioni entreranno in vigore il 1° gennaio 2016.

[97]   Si tratta delle garanzie fideiussorie , disciplinate dall’articolo 207 del TUEL, per l'assunzione di mutui destinati ad investimenti e per altre operazioni di indebitamento da parte di aziende dipendenti dall’ente locale, da consorzi cui l’ente partecipa, dalle comunità montane di cui l’ente fa parte, nonché da società di capitali partecipate dall’ente stesso affidatarie di servizi pubblici locali per la realizzazione di opere necessarie al corretto svolgimento del servizio.

[98]   Si ricorda che il citato articolo 6, comma 17 del D.L. n. 95/2012 (legge n. 135/2012) prevede che, a decorrere dall’anno 2012 - nelle more dell’entrata in vigore della disciplina sull’armonizzazione dei bilanci e dei sistemi contabili degli enti territoriali di cui al D.Lgs. n. 118 del 2011-, gli enti locali devono iscrivere nei propri bilanci un Fondo svalutazione crediti costituito in misura non inferiore al 25 percento dei residui attivi (Titolo I e III – entrata) con anzianità superiore a 5 anni.

[99]   Cfr. Ragioneria generale dello Stato, Documento depositato presso la V Commissione bilancio in data 15 aprile 2013.

[100]  In un primo tempo, con D.P.C.M. del 28 dicembre 2011 si è proceduto all’individuazione delle amministrazioni territoriali coinvolte (5 Regioni, di 12 province e 54 Comuni), scelti sulla base del criterio dimensionale e della collocazione geografica. Tale individuazione è stata poi integrata e modificata con i sopra citati D.P.C.M., in ragione di una specifica richiesta del Segretario generale dell'ANCI, dopo intesa sancita in Conferenza Unificata il 19 gennaio 2012 e 22 novembre 2012.

[101]  Si ricorda che gli oneri relativi agli interventi a favore dell'occupazione giovanile e dell'inclusione sociale disposti in favore delle regioni del Mezzogiorno, disposti, rispettivamente, dall'articolo 1, comma 12, lett. a), e dall'articolo 3, commi 1 e 2, del presente decreto, sono finanziati attraverso le risorse che deriveranno dalla riprogrammazione dei programmi nazionali cofinanziati dai Fondi strutturali europei 2007-2013 e dalla rimodulazione del Piano di Azione Coesione di cui all’articolo 4 del decreto legge (cfr. relativa scheda di lettura).

[102]  Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa

[103]  Disposizioni urgenti in materia fiscale e di finanza pubblica.

[104]  Tali destinazioni vengono stabilite sulla base delle scelte espresse dai contribuenti in sede di dichiarazione annuale dei redditi. In caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti, la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse. Il successivo articolo 48 della legge n. 222/1985 dispone che le quote dell’8 per mille sono utilizzate: dallo Stato, per interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali; e dalla Chiesa cattolica per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo. Successive disposizioni legislative hanno previsto che la scelta sulla destinazione dell’otto per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche possa essere effettuata anche a favore di altre confessioni religiose. I criteri e le procedure per l’utilizzazione della quota dell’otto per mille dell’IRPEF devoluta alla diretta gestione statale sono disciplinati dal D.P.R. 10 marzo 1998, n. 76, come successivamente modificato dal D.P.R. 23 settembre 2002, n. 250.

[105] Si ricorda, peraltro, che il D.Lgs. 31 maggio 2011, n. 88, all’articolo 3, comma 3, prevede che il Ministro delegato per la politica di coesione adotti, ove necessario e nel rispetto delle disposizioni dei regolamenti dell'Unione europea, le opportune misure di accelerazione degli interventi anche relativamente alle amministrazioni che risultano non in linea con la programmazione temporale degli interventi medesimi.

[106] Infatti, in base alla c.d. "regola dell'n+2", per ogni annualità contabile delle risorse impegnate – per ciascun fondo (FSE, FESR) e programma operativo (PO) sul bilancio comunitario - la parte che non risulta effettivamente spesa e certificata alla Commissione entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello dell’impegno di bilancio viene disimpegnata automaticamente.  Il disimpegno delle risorse comunitarie comporta anche la parallela riduzione di disponibilità delle relative risorse di cofinanziamento nazionale.

[107]  http://www.coesioneterritoriale.gov.it/monitoraggio-spesa-certificata-31-maggio-2013-italia-40/

[108]  Con questa riduzione, consentita da un livello medio di cofinanziamento nazionale in Italia assai superiore rispetto a quello fissato dai regolamenti comunitari, si è infatti, corrispondentemente, ridotto l'ammontare complessivo delle spese da certificare a Bruxelles, ferme restando le risorse comunitarie attribuite e quindi rimborsabili, riducendo così la pressione temporale sulla spesa (e i correlati rischi di disimpegno per i Programmi maggiormente in ritardo).

[109]  http://www.coesioneterritoriale.gov.it/monitoraggio-spesa-certificata-31-maggio-2013-italia-40/

 

[110] Si ricorda, peraltro, che il D.Lgs. 31 maggio 2011, n. 88, all’articolo 3, comma 3, prevede che il Ministro delegato per la politica di coesione adotti, ove necessario e nel rispetto delle disposizioni dei regolamenti dell'Unione europea, le opportune misure di accelerazione degli interventi anche relativamente alle amministrazioni che risultano non in linea con la programmazione temporale degli interventi medesimi.

[111] http://www.coesioneterritoriale.gov.it/wp-content/uploads/2013/06/Tavola-3-Dotazioni-programmi-operativi-con-fondi-strutturali-2007-2013-e-PAC.png