Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento bilancio | ||
Titolo: | Adozione della nota metodologica e dei coefficienti di riparto dei fabbisogni standard delle province e delle città metropolitane - Atti del Governo n. 398 | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Appunti del Comitato per la legislazione Numero: 393 | ||
Data: | 15/03/2017 | ||
Organi della Camera: | V-Bilancio, Tesoro e programmazione | ||
Altri riferimenti: |
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Adozione della nota metodologica e dei coefficienti di riparto dei fabbisogni standard delle province e delle città metropolitane
15 marzo 2017
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Lo schema di D.P.C.M. in esame prevede l'adozione della nota metodologica e dei coefficienti di riparto dei fabbisogni standard delle funzioni fondamentali delle province e delle città metropolitane.
1. Il contenuto dello schemaCon l'articolo 1 del D.P.C.M. è disposta l'adozione della nota metodologica per la determinazione dei fabbisogni standard e dei coefficienti di riparto dei fabbisogni per ciascuna provincia e città metropolitana per le funzioni fondamentali, anche sulla base anche di quanto stabilito dalla legge n. 56 del 2014 (c.d. legge Delrio), che ha modificato il ruolo e l'organizzazione delle province. Il D.P.C.M. considera le seguenti funzioni:
L'articolo 2 del D.P.C.M. dispone che province e città metropolitane diano adeguata pubblicità al decreto sul proprio sito, nonché attraverso le ulteriori forme di comunicazione del proprio bilancio.   Per quel che concerne la Nota metodologia, la Commissione tecnica per i fabbisogni standard il 3 maggio 2016 ha approvato la Determinazione dei fabbisogni standard per le province e le città metropolitane. La nota metodologica, redatta da SOSE, riporta le procedure di calcolo e i risultati relativi alla revisione dei fabbisogni standard delle province e delle città metropolitane. Nel processo di revisione, oltre a seguire le norme del D.Lgs. 216/2010, si è tenuto conto – illustra la Nota - delle disposizioni introdotte dalla legge n. 56 del 2014 in merito al nuovo assetto istituzionale delle province e delle città metropolitane. Tale "revisione" è stata effettuata sulla base dell'articolo 7 del D.Lgs. n. 216 del 2010, il quale prevede che i fabbisogni standard sono sottoposti a monitoraggio e rideterminati, non oltre il terzo anno successivo alla loro precedente adozione, al fine di garantire continuità ed efficacia al processo di efficientamento dei servizi locali. Si ricorda tuttavia, che lo schema di D.P.C.M. che aveva pressoché ultimato l'adozione delle prime note metodologiche di alcune funzioni fondamentali delle province non è stato mai pubblicato. Per tali ultime funzioni, pertanto, sembrerebbe trattarsi della prima adozione dei fabbisogni standard per le province e le città metropolitane.  Lo schema di D.P.C.M. in esame prevede l'adozione della metodologia di determinazione dei fabbisogni standard, nonché la conseguente definizione dei coefficienti di riparto dei fabbisogni standard delle funzioni fondamentali delle province e città metropolitane. In particolare, per ogni provincia e città metropolitana, il coefficiente di riparto complessivo è stato ottenuto dalla media ponderata dei coefficienti di riparto di ogni singolo servizio. I pesi corrispondono all'incidenza del fabbisogno standard teorico totale di ogni servizio, ottenuto dal valore atteso totale aggiornato di ogni servizio, rispetto alla somma dei valori attesi totali di tutti i servizi. Oltre alle funzioni fondamentali sopra richiamate (relative a istruzione, territorio, ambiente, trasporti e funzioni generali parte fondamentale), il comma 44 e il comma 86 dell'articolo 1 della L. 56/2014 assegnano alle città metropolitane e alle province montane ulteriori funzioni fondamentali, prevalentemente di pianificazione e coordinamento: la nota metodologica ha tenuto conto di tali funzioni nel calcolo del fabbisogno standard relativo alle funzioni generali.  La nota metodologica mostra come, attraverso una stima basata sulla funzione di costo, assumendo a parametro la spesa storica corrente impegnata in ogni funzione per l'anno 2012, si è calcolato un coefficiente di riparto per ogni funzione fondamentale da cui si è poi ottenuto il fabbisogno standard relativo di ogni ente.
Si segnala che nell'ultima appendice (B) della nota è riportata l'analisi dei servizi svolti nei settori della formazione professionale, del mercato del lavoro, della polizia provinciale e del trasporto pubblico locale: si tratta di servizi che non sono considerati fondamentali dalla legge n. 56/2014, ma che, tuttavia, rientravano nel novero delle funzioni fondamentali ai sensi del D.Lgs. 216/2010. Anche per questi servizi sono fornite delle indicazioni circa i costi standard efficienti e il livello di spesa benchmark.  La Conferenza Stato-città ed autonomie locali nella seduta del 9 febbraio 2017 ha espresso un parere favorevole sullo schema in esame. In esso è evidenziato che l'ANCI ha osservato che è necessario procedere ad una valutazione più adeguata delle nuove funzioni attribuite alle città metropolitane. L'UPI ha inoltre osservato che lo schema di DPCM non è pienamente coerente con l'attuale situazione istituzionale e finanziaria delle province. In particolare ha sollecitato una riflessione sui costi standard per le funzioni fondamentali delle province dopo il processo di riordino istituzionale, svincolato dalla logica della spesa storica, al fine di dare indicazioni precise sulle effettive necessità finanziarie delle province per l'esercizio delle c.d. funzioni fondamentali delle province, anche alla luce dei profondi cambiamenti intervenuti nell'assetto finanziario delle province per effetto delle manovre di finanza pubblica, che hanno determinato una forte riduzione delle risorse a disposizione delle amministrazioni provinciali, con conseguente sostanziale azzeramento del Fondo sperimentale di riequilibrio. In merito a tali osservazioni, con la nota del 2 marzo 2017, la Ragioneria Generale dello Stato ha evidenziato che nel considerare come punto di riferimento per il calcolo dei costi e dei fabbisogni standard la spesa storica del 2012, di fatto, si considera la situazione finanziaria delle province e delle città metropolitane prima delle riduzioni di risorse introdotte con la L.190 del 2014. In ogni caso, è precisato che i fabbisogni standard definiscono, in primo luogo, un criterio di riparto che prescinde dall'ammontare di risorse a cui viene successivamente applicato. Inoltre, la Ragioneria segnala che nell'attuale revisione della stima dei fabbisogni standard si è proceduto alla rimodulazione del perimetro delle funzioni fondamentali in relazione a quanto previsto dalla legge n. 56 del 2014 ma che, a legislazione vigente, non è stato possibile svincolare il calcolo del fabbisogno dal vincolo di bilancio della spesa storica, in quanto il D.Lgs 216 del 2010 all'articolo 1 prevede espressamente che dall'applicazione dei fabbisogni standard "non devono derivare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato oltre a quelli stabiliti dalla legislazione vigente". Da ultimo, la Ragioneria precisa che per il fabbisogno standard relativo alle nuove funzioni delle città metropolitane e delle province montane, posto che non poteva essere stimato in relazione ad una spesa storica già esistente, si è proceduto ad attribuire a questi enti un fabbisogno standard delle funzioni generali superiore a quello stimato per gli alti enti in prospettiva dell'attivazione delle nuove funzioni. In particolare alle città metropolitane e alle province montane, per i servizi della funzione generale, è stato attribuito un fabbisogno standard pari a 11,15 euro per abitante, contro i 7,27 euro attribuito alle altre province.
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2. La funzione e la procedura di determinazione dei fabbisogni standardI fabbisogni standard sono stati introdotti nell'ordinamento con il decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, emanato in attuazione della delega in materia di federalismo fiscale disposta con la legge n. 42 del 2009. Essi costituiscono i nuovi parametri cui ancorare il finanziamento delle spese fondamentali di comuni, città metropolitane e province, al fine di assicurare un graduale e definitivo superamento del criterio della spesa storica. La metodologia per la determinazione dei fabbisogni costituisce una operazione tecnicamente complessa, per la cui effettuazione il decreto definisce una serie di elementi da utilizzare e ne affida l'attuazione alla Società per gli studi di settore, ora Soluzioni per il Sistema Economico – Sose S.p.A.. I fabbisogni standard costituiscono i parametri cui correlare il finanziamento delle spese degli enti locali che attengono ai diritti fondamentali di cittadinanza, mentre per le altre occorrenze di spesa la copertura dei fabbisogni finanziari viene affidata in misura maggiore al finanziamento con gli strumenti propri della autonomia tributaria, per le quali si prevede una perequazione delle capacità fiscali, ossia un finanziamento delle funzioni che tiene conto dei livelli di ricchezza differenziati dei territori. Introducendo un doppio canale perequativo nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, la legge n. 42 del 2009 ha in sostanza previsto che l'assegnazione delle risorse dovesse coprire integralmente i costi derivanti dall'esercizio delle funzioni fondamentali. I costi riconosciuti dovevano essere determinati sulla base di criteri standardizzati, in modo da superare le distorsioni insite nella distribuzione delle risorse storiche. I fabbisogni di spesa standardizzati relativi alle funzioni fondamentali hanno assunto, così, un ruolo centrale nell'attribuzione delle risorse agli enti locali. Per il quadriennio 2011-2014, in attesa che andasse a regime il fondo perequativo definitivo, è stato istituito, distintamente per comuni e province, un Fondo sperimentale di riequilibrio, che non ha obiettivi perequativi, ma consente di "fiscalizzare" i trasferimenti statali preesistenti e realizzare in forma progressiva e territorialmente equilibrata l'attribuzione alle province e ai comuni dell'autonomia di entrata, alimentato, per i comuni, dalla quota parte del gettito relativo ai tributi sugli immobili ubicati nel loro territorio, per le province, dal gettito della compartecipazione provinciale all'IRPEF. Per quanto riguarda i comuni, si ricorda che la legge di stabilità per l'anno 2013, modificando l'impianto della fiscalità municipale rispetto a quanto previsto dal D.Lgs. n. 23/2011, attuativo della legge delega n. 42/2009, ha istituito il Fondo di solidarietà comunale (FSC) in sostituzione del Fondo sperimentale di riequilibrio, stabilendo che il suo riparto debba tener conto dei costi e fabbisogni standard (criteri perequativi), della variazione di gettito e delle variazioni nelle risorse disponibili comunali in seguito alla soppressione del precedente fondo (criteri compensativi). Sia nel 2013 che nel 2014, tuttavia, il riparto è avvenuto in base ai soli criteri compensativi rispetto all'allocazione storica delle risorse. L'applicazione di criteri perequativi è stata avviata solo nel 2015 con l'Accordo del 31 marzo 2015 in Conferenza Stato-Città che, in attuazione della legge di stabilità , definisce la ripartizione del Fondo di Solidarietà Comunale (FSC), per una quota pari al 20 per cento, secondo i fabbisogni e le capacità fiscali standard: la componente perequativa entra pertanto nella determinazione dei trasferimenti dal FSC a ciascun Comune. La necessità di non incidere negativamente sulle gestioni ha spinto a prevedere un percorso graduale per la transizione al nuovo sistema, con un peso diverso delle componenti del meccanismo di determinazione dei trasferimenti via via che il sistema si avvicinava alla situazione a regime. La quota del Fondo da ripartire su base perequativa, fissata al 20 per cento nel 2015,al 30 per cento nel 2016 e poi al 40 per cento per il 2017, è poi stata configurata a regime dall'articolo 1, comma 449, della legge n. 232/2016 (legge di bilancio per il 2017), con la quale è delineato un percorso di progressivo rafforzamento della componente perequativa: questa viene stabilita al 55 per cento per il 2018, al 70 per cento nel 2019, all'85 per cento nel 2020 ed infine al 100 per cento a partire dal 2021. La restante quota è, invece, distribuita sulla base della componente di spesa storica. Ai fini dell'applicazione del criterio perequativo della capacità fiscale, la capacità fiscale perequabile dei comuni delle regioni a statuto ordinario è stata da ultimo fissata nella misura del 50 per cento dell'ammontare complessivo della capacità fiscale da perequare (in luogo del 45,8 per cento applicato negli scorsi due anni). Per le province è tuttora operante, in attesa del sopracitato fondo perequativo, il relativo Fondo sperimentale di riequilibrio provinciale istituito dall'articolo 21 del D.Lg. n. 68/2011, ripartito secondo specifici criteri ivi indicati. I criteri di riparto sono quelli a tutt'oggi, indicati dal D.M. 4 maggio 2012:
Il procedimento di determinazione dei fabbisogni standard (delineato dagli articoli 5-7 del D.Lgs. n. 216 del 2010) è stato recentemente modificato dalla legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016) e dalla legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio 2017). Con tali norme si prevede che le metodologie risultanti dall'attività della SO.S.E. sono sottoposte alla Commissione tecnica per i fabbisogni standard (articolo 1, comma 29, della legge 28 dicembre 2015, n. 208) per l'approvazione. Sono quindi trasmesse al Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato e al Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze. La nota metodologica relativa alla procedura di calcolo dei fabbisogni ed il fabbisogno standard per ciascun comune e provincia possono essere adottati con D.P.C.M. anche separatamente tra loro. Qualora lo schema di decreto concerna la sola adozione dei fabbisogni standard, sul medesimo deve essere sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali e, decorsi quindici giorni dalla sua trasmissione alla stessa, il decreto può essere comunque adottato e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, senza che sul medesimo debba essere più espresso il parere parlamentare da parte della Commissione parlamentare per il federalismo fiscale e delle commissioni bilancio di ciascuna Camera. Qualora invece si tratti dell'adozione della nota metodologica, permane l'obbligo dei pareri parlamentari, cui il Governo è tenuto a conformarsi, salvo trasmissione alle Camere di una apposita relazione in cui siano indicate le ragioni per le quali non si conforma ai pareri medesimi.
 Il procedimento in esame prevede inoltre una fase di aggiornamento dei dati con conseguente rideterminazione dei fabbisogni non oltre il terzo anno successivo alla loro adozione (articolo 7 del D.Lgs. n. 216 del 2010).
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3. Il quadro delle funzioni di città metropolitane e province nella legge n. 56/2014Com'è noto, la legge 7 aprile 2014, n. 56 (cd. ‘legge Delrio') ha dettato un'ampia riforma in materia di enti locali, prevedendo, nelle more dell'approvazione della riforma costituzionale del Titolo V – poi non più intervenuta - l'istituzione e la disciplina delle città metropolitane e la ridefinizione del sistema delle province. Le città metropolitane sostituiscono le province in dieci aree urbane del paese; il loro territorio corrisponde a quello delle province. Per quanto riguarda il riordino delle province, per esse è previsto un assetto ordinamentale analogo a quello della città metropolitana. La legge definisce altresì le funzioni fondamentali, rispettivamente, di città metropolitane e province, riconoscendo un contenuto più ampio alle prime, e delinea, con riferimento alle sole province, la procedura per il trasferimento delle funzioni non fondamentali ai comuni o alle regioni.  In particolare, alle città metropolitane sono attribuite:
L'effettivo passaggio dalla provincia alla città metropolitana è avvenuto nella gran parte dei casi il 1° gennaio 2015, data a partire dalla quale la città metropolitana è succeduta alla provincia in tutti i rapporti attivi e passivi e ne esercita le funzioni, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica e degli obiettivi del patto di stabilità interna. Da tale data il sindaco del comune capoluogo assume le funzioni di sindaco metropolitano e la città metropolitana opera con il proprio statuto e i propri organi, assumendo anche le funzioni proprie. Spettano alla città metropolitana il patrimonio, il personale e le risorse della provincia, comprese le entrate provinciali.  Per quanto riguarda le province, punto qualificante del nuovo ordinamento delle stesse è la ridefinizione delle funzioni a queste spettanti. In particolare, l'impianto riformatore distingue tra funzioni fondamentali, ossia quelle demandate alle province dalla stessa legge n. 56, e funzioni non fondamentali, ossia quelle eventualmente riattribuite alle province all'esito dell'attuazione del processo riformatore. Nello specifico, le funzioni fondamentali sono:
 In relazione a tal ultima funzione, risulterebbe opportuno un chiarimento da parte del Governo circa i motivi che ne hanno determinato la mancata considerazione nell'ambito della metodologia di determinazione dei fabbisogni standard oggetto dello schema di decreto in esame. Quanto, infine, alle funzioni non fondamentali, già esercitate dalle province, le stesse sono oggetto di un riordino complessivo mediante accordo in sede di Conferenza unificata, con il quale Stato e Regioni devono individuare in modo puntuale tali funzioni e stabilirne le relative competenze sulla base dei seguenti principi: individuazione per ogni funzione dell'ambito territoriale ottimale di esercizio; efficacia nello svolgimento delle funzioni fondamentali da parte dei comuni; sussistenza di riconosciute esigenze unitarie; adozione di forme di avvalimento e deleghe di esercizio mediante intesa o convenzione. |
4. Il trasferimento delle funzioni provincialiLo Stato provvede al riordino delle funzioni di sua competenza con apposito D.P.C.M. e le Regioni con proprie leggi. Come previsto dalla legge n. 56, le funzioni che nell'ambito del processo di riordino sono trasferite dalle province ad altri enti territoriali continuano ad essere da esse esercitate fino alla data dell'effettivo avvio di esercizio da parte dell'ente subentrante; tale data è determinata nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per le funzioni di competenza statale ovvero è stabilita dalla regione per le funzioni di competenza regionale (art.1, comma 92 e seguenti, della legge n. 56/2014). In attuazione di tale norma in data 11 settembre 2014, è stato sancito in sede di Conferenza unificata l'accordo per l'individuazione delle funzioni non fondamentali delle province, oggetto di riordino. Tale accordo individua, quali funzioni amministrative oggetto di riordino di competenza statale, unicamente funzioni relative alla materia della tutela delle minoranze linguistiche. Le regioni si impegnano ad adottare le iniziative legislative di loro competenza entro il 31 dicembre 2014. Con D.P.C.M. del 26 settembre 2014 sono stati dettati i criteri per l'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse con l'esercizio delle funzioni provinciali, in attuazione del comma 92. Con l'inizio del 2016 tutte le Regioni a statuto ordinario hanno adottato la normativa sul riordino delle funzioni delle Province in attuazione della legge n. 56 del 2014 e dell'accordo Stato-Regioni dell'11 settembre 2014. In particolare, vi hanno provveduto, con i menzionati provvedimenti: la Toscana (legge regionale 3 marzo 2015, n. 22), l'Umbria (legge regionale 2 aprile 2015, n. 10), le Marche (legge regionale 31 marzo 2015, n.13), la Liguria (legge regionale 10 aprile 2015, n. 15), la Calabria (legge regionale 22 giugno 2015, n. 14), la Lombardia (legge regionale 8 luglio 2015, n. 19), l'Emilia Romagna (legge regionale 30 luglio 2015, n. 13), l'Abruzzo (legge regionale 20 ottobre 2015, n. 32), il Veneto (legge regionale 29 ottobre 2015, n. 19), il Piemonte (legge regionale 29 ottobre 2015, n. 23), la Basilicata (legge regionale 6 novembre 2015, n. 49), la Campania (legge regionale 9 novembre 2015, n. 14), il Molise (legge regionale 10 dicembre 2015, n. 18), la Puglia (legge regionale 30 ottobre 2015, n. 31). La regione Lazio ha dettato disposizioni sulla materia con gli artt. 7-9 della legge di stabilità regionale 31 dicembre 2015, n. 17. Alcune leggi regionali prevedono peraltro, in misura più o meno ampia, il mantenimento in capo alle province di funzioni non fondamentali (così, ad esempio, art. 2, comma 1, L.R. Lombardia n. 19/2015; art. 6, comma 1, e titolo II; L.R. Emilia Romagna n. 13/2015; art. 2, comma 1, L.R. Veneto n. 19/2015; art. 2 L.R. Piemonte n. 23/2015). |