Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento ambiente
Titolo: Norme per il contenimento dell'uso di suolo e la rigenerazione urbana - A.C. 70
Riferimenti:
AC N. 70/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 16
Data: 29/05/2013
Descrittori:
RISANAMENTO URBANO     
Organi della Camera: VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Norme per il contenimento dell'uso di suolo e la rigenerazione urbana

A.C. 70

 

 

 

 

 

 

 

n. 16

 

 

 

29 maggio 2013

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Ambiente

( 066760-4548 / 066760-9253 – * st_ambiente@camera.it

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

 

 

La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

File: Am0017

 


INDICE

Schede di lettura

§      Premessa  3

§      Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE (a cura del Servizio Rapporti con l’Unione europea) 4

§      Art. 1 (Tutela e contenimento del consumo del suolo) 9

§      Art. 2 (Contributo per la tutela del suolo e la rigenerazione urbana) 13

§      Art. 3 (Ambiti di rigenerazione urbana) 16

§      Art. 4 (Perequazione urbanistica e perequazione territoriale) 21

§      Art. 5 (Comparto edificatorio) 24

§      Art. 6  (Compensazione e incentivazione urbanistiche) 26

§      Art. 7 (Diritti edificatori) 28

§      Art. 8 (Fiscalità urbanistica comunale). 29

 


Schede di lettura


Premessa

Il consumo di suolo. La situazione italiana

Secondo i dati comunicati dall’ISTAT[1], la quota di territorio con copertura artificiale in Italia è pari al 7,3% del totale, contro il 4,3% della media dell’UE e contro il 6,4% del dato atteso in relazione alla densità demografica dell’Italia. Quanto al trend del fenomeno, tra il 2001 e il 2011, il suolo consumato e` cresciuto dell’8,8%.

I dati diffusi nel febbraio scorso dall'ISPRA evidenziano come il consumo di suolo, in forte crescita dagli anni '50 ad oggi, proceda alla velocità di 8mq al secondo[2].

L’analisi regionale condotta dall’ISPRA evidenzia poi che, tra le regioni italiane, quella con la percentuale maggiore di suolo urbanizzato è la Lombardia (con circa il 10%). Tassi superiori all’8% si registrano in Veneto, Puglia, Campania, Lazio ed Emilia-Romagna. In tutte le altre regioni si hanno comunque valori al di sopra del 5%. Tali dati sono sintetizzati nel seguente grafico:


 

Consumo di suolo negli anni 1956 e 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: ISPRA, 2013

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE (a cura del Servizio Rapporti con l’Unione europea)

La strategia tematica europea sul suolo

Nell’ambito della Strategia tematica sul suolo (COM(2006)231), la Commissione europea ha evidenziato, tra l’altro, la necessità di sviluppare delle buone pratiche per mitigare gli effetti negativi dell’impermeabilizzazione sulle funzioni del suolo.

Sull’attuazione della strategia la Commissione, nel febbraio del 2012, ha presentato una relazione (COM(2012)46) che dà conto: della creazione della rete europea per la consapevolezza dei suoli (ENSA); del finanziamento di 25 progetti di ricerca, nell’ambito del settimo programma quadro di ricerca, tra cui RAMSOIL (per le metodologie di valutazione), LUCAS (un’inchiesta sulla copertura del suolo, l’uso del territorio e gli indicatori agro ambientali) e BIOSOIL (sulle foreste europee); dell’integrazione della politica di protezione del suolo nell’ambito delle altre politiche dell’UE (PAC, installazioni industriali, politiche di coesione, aiuti di Stato per il risanamento dei suoli contaminati).

Precedentemente, la “Tabella di marcia per un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse” (COM(2011)571) ha stabilito che entro il 2020 le politiche della UE dovranno tenere conto degli impatti derivanti dall’occupazione del suolo con l’obiettivo di raggiungere un consumo netto di suolo pari a zero per il 2050.

 

Nel quadro della politica di coesione 2007-2013, sono stati stanziati circa 21,1 miliardi di euro, di cui 9,8 miliardi sono stati destinati ai progetti di riqualificazione urbana e rurale e 917 milioni all’edilizia abitativa. Tra i progetti finanziati nell’ambito dell’iniziativa comunitaria URBAN, si ricordano il progetto Sistema di Metropolitana regionale della Campania, la riqualificazione ambientale di Piazza Livio Bianco a Torino e la riqualificazione dei quartieri più degradati di Bari.

Gli strumenti e le iniziative di coesione che hanno riguardato le città europee nel periodo 2007-2013 sono:

·      URBACT II programme per favorire lo scambio delle migliori pratiche e la creazione di reti tra urbanisti e altri esperti locali;

·      JESSICA (Joint European Support for Sustainable Investment in City Areas - Sostegno europeo comune per investimenti sostenibili nelle aree urbane), una iniziativa della Commissione europea, in collaborazione con la Banca europea per gli investimenti e la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa per la promozione dell'ingegneria finanziaria per gli investimenti sostenibili, la crescita economica e l'occupazione nelle aree urbane dell'UE;

·      Urban Audit che fornisce dati statistici e informazioni sulle condizioni di vita in 357 città europee dei 27 Stati membri dell'UE e di Norvegia, Svizzera e Turchia.

 

Per il periodo 2014-2020 e con riferimento allo sviluppo e alla riqualificazione urbana, la Commissione, ad ottobre 2011, ha presentato i suoi orientamenti nel quadro della politica di coesione 2014-2020, con il fine ultimo di promuovere uno sviluppo urbano integrato con misure volte a promuovere l’istruzione, lo sviluppo economico, l’inclusione sociale e la protezione ambientale, rafforzando nel contempo il ruolo delle città nel quadro della politica di coesione.

Gli obiettivi della Commissione sono:

-     l’individuazione di specifiche strategie di investimento integrate a valere sul FESR e sul FSE;

-     la individuazione di soglie minime di finanziamento (almeno il 5 per cento delle risorse assegnate) che i singoli Stati devono destinare ad investimenti in azioni integrate per lo sviluppo urbano sostenibile;

-     l’istituzione di una piattaforma per lo sviluppo urbano comprendente 300 città europee, al fine di stimolare un dialogo sullo sviluppo urbano tra le città a livello europeo e la Commissione stessa che sia più orientato alle politiche;

-     azioni innovative consistenti in progetti pilota urbani, progetti dimostrativi e i relativi studi aventi rilevanza a livello europeo;

-     contratti di partenariato che, sulla base degli orientamenti del quadro strategico comune (QSC), stabiliscano le modalità per garantire un approccio integrato all’utilizzo dei fondi nell’ambito del QSC per lo sviluppo sostenibile delle aree urbane;

-     investimenti territoriali integrati (ITI), quale nuova modalità di assegnazione di risorse finalizzata ad accorpare fondi di diversi assi prioritari di uno o più programmi operativi per interventi pluridimensionali o tra più settori;

-     priorità di investimento specifiche per le aree urbane comprese tra gli obiettivi tematici supportati dai fondi compresi nel QSC, con l’intento di contribuire alla strategia Europa 2020 per la crescita intelligente;

-     maggiore ricorso da parte degli Stati membri agli strumenti finanziari esistenti e, infine, collaborazione in rete nell’ambito dell’obiettivo Cooperazione territoriale europea.

Si ricorda che dal 2005 è operativo URBAN, un intergruppo in seno al Parlamento europeo che affronta in maniera integrata le questioni connesse alle problematiche urbane.

Infine, con riferimento specifico a procedure legislative attualmente in corso, si segnala la proposta di revisione della direttiva concernente la valutazione di impatto ambientale (COM(2012)628), attualmente all’esame del Parlamento europeo (il voto in plenaria è previsto per l’ottobre 2013) e discussa dal Consiglio, da ultimo, nel marzo 2013.

 

L’attività parlamentare nel corso della XVI legislatura

Nel corso della XVI legislatura il Parlamento ha nuovamente discusso dell’opportunità di adottare una legge quadro sull'urbanistica volta a definire i principi fondamentali in materia di governo del territorio, nel rispetto delle competenze regionali, esaminando le proposte di legge abbinate nn. 438 - che riproduceva il testo dell’A.C. 3860 approvato dalla Camera nel corso della XIV legislatura ed il cui esame non era stato concluso presso l’altro ramo del Parlamento (A.S. 3519) -, 329, 1794, 3379 e 3543.

L’iter delle citate proposte non è però andato oltre l’esame in sede referente presso la Commissione di merito.

Nel corso delle audizioni informali svolte dalla Commissione VIII (Ambiente) nell’ambito dell’esame delle citate proposte di legge, è comunque emersa la necessità di chiarire il quadro delle competenze e delle responsabilità di Stato, regioni ed enti locali e una preferenza per gli atti negoziali rispetto agli atti autoritativi previsti nel campo della pianificazione urbanistica. Alcuni soggettii[3] hanno inoltre sottolineato l’importanza della tematica del consumo di suolo, peraltro contemplata tra i principi generali di alcune delle proposte di legge citate.

Importanti principi in materia di risparmio di suolo sono stati introdotti nella legislazione nazionale dall’art. 6, commi 2 e 3, della legge 14 gennaio 2013, n. 10 recante “Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani”.

Il comma 2 citato, ai fini del risparmio del suolo e della salvaguardia delle aree comunali non urbanizzate, consente ai comuni di prevedere particolari misure di vantaggio volte a favorire il riuso e la riorganizzazione degli insediamenti residenziali e produttivi esistenti, rispetto alla concessione di aree non urbanizzate ai fini dei suddetti insediamenti; nonché di prevedere opportuni strumenti e interventi per la conservazione e il ripristino del paesaggio rurale o forestale non urbanizzato di competenza dell'amministrazione comunale.

L’individuazione delle modalità di attuazione di tali disposizioni è demandata (ai sensi del successivo comma 3) ad una specifica intesa in sede di Conferenza unificata.

L’importanza della tematica della riduzione del consumo di suolo è stata sottolineata dal Parlamento, con la risoluzione n. 7-00274, approvata dal Senato in data 11 luglio 2012 (Doc. XXIV, n. 40, della XVI legislatura), che ha impegnato il Governo, tra l’altro, “ad attivarsi, in collegamento con il Parlamento e con le regioni, per la predisposizione di nuove norme di indirizzo in materia urbanistica, che assumano pienamente l’obiettivo di limitare il consumo di suolo libero anche attraverso l’individuazione di obiettivi quantitativi da perseguire nel corso del tempo e l’introduzione di un sistema bilanciato di incentivi e disincentivi fiscali”.

Il 4 ottobre 2012 l'Intergruppo Parlamentare per l'Agenda Urbana ha presentato un documento contenente le proposte per i punti fondamentali dell'Agenda urbana italiana, il primo dei quali è proprio il contenimento del consumo del suolo e la riqualificazione urbana.

Alla fine della scorsa legislatura, il 14 settembre 2012, è stato approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri uno specifico disegno di legge per il contenimento del consumo del suolo che è stato trasmesso alla Conferenza unificata ai fini dell’espressione del parere. Sulla base delle deliberazioni della Conferenza il disegno di legge è stato modificato ed è stato presentato al Parlamento, nel mese di dicembre 2012 (A.S. 3601/XVI), ma l’esame parlamentare non è stato avviato.

Nello stesso periodo alla Camera è stata presentata la proposta di legge C. 5658/XVI, recante “Norme per il contenimento del consumo del suolo e la rigenerazione urbana” (identico disegno di legge è stato presentato al Senato, A. S. 3624/XVI), le cui disposizioni vengono riprese dalla proposta di legge in commento.

Il governo del territorio e la legislazione regionale

In seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione operata dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, è stato introdotta, tra le materie di legislazione concorrente, il “governo del territorio” che comprende la materia dell’urbanistica, come è stato ripetutamente chiarito dalla Corte costituzionale con le sentenze nn. 303 e 307 del 2003.

All’interno della sentenza n. 303 del 2003, seppur incidentalmente, viene chiarito che “La parola «urbanistica» non compare nel nuovo testo dell'art. 117, ma ciò non autorizza a ritenere che la relativa materia non sia più ricompresa nell'elenco del terzo comma: essa fa parte del «governo del territorio». Se si considera che altre materie o funzioni di competenza concorrente, quali porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, sono specificamente individuati nello stesso terzo comma dell'art. 117 Cost. e non rientrano quindi nel «governo del territorio», appare del tutto implausibile che dalla competenza statale di principio su questa materia siano stati estromessi aspetti così rilevanti, quali quelli connessi all'urbanistica, e che il «governo del territorio» sia stato ridotto a poco più di un guscio vuoto”.

Con la sentenza n. 307 del 2003, la Corte costituzionale ha chiarito anche che il "governo del territorio" comprende, in linea di principio, tutto ciò che attiene all'uso del territorio e alla localizzazione di impianti o attività: tutti ambiti rientranti nella sfera della potestà legislativa "concorrente" delle Regioni a statuto ordinario, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione, e pertanto caratterizzati dal vincolo al rispetto dei (soli) principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato.

In conseguenza della riforma del Titolo V, è stata adottata una nuova generazione di leggi regionali in materia di urbanistica[4], caratterizzate dall’introduzione di modelli (in primis quello perequativo) non contemplati dalla legislazione nazionale.


Art. 1
(Tutela e contenimento del consumo del suolo)

Definizione di suolo

Il comma 1 dell'articolo 1 provvede a definire il suolo come strato superiore della crosta terrestre, costituito da componenti minerali, organici, acqua, aria e organismi viventi, che rappresenta l'interfaccia tra terra, aria e acqua e ospita gran parte della biosfera.

Con il termine biosfera si indica la parte della Terra nella quale si riscontrano le condizioni indispensabili alla vita animale e vegetale, vale a dire la parte inferiore dell’atmosfera, tutta l’idrosfera (acque marine, lacustri e fluviali) e la parte superficiale della litosfera (suolo e parte del sottosuolo), fino a 2 km di profondità.

Nella normativa nazionale esistono diverse definizioni di suolo a seconda dell’ambito di riferimento (a titolo di esempio, si rammenta che in materia di terre e rocce da scavo l’art. 1 del D.M. 161/2012 reca una definizione di suolo). La definizione che appare più in linea con quella in commento è quella desumibile dalla definizione di “difesa del suolo” prevista dalla lettera u) del comma 1 dell’art. 54 del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente). Secondo tale lettera, la difesa del suolo è “il complesso delle azioni ed attività riferibili alla tutela e salvaguardia del territorio, dei fiumi, dei canali e collettori, degli specchi lacuali, delle lagune, della fascia costiera, delle acque sotterranee, nonché del territorio a questi connessi, aventi le finalità di ridurre il rischio idraulico, stabilizzare i fenomeni di dissesto geologico, ottimizzare l'uso e la gestione del patrimonio idrico, valorizzare le caratteristiche ambientali e paesaggistiche collegate”.

Finalità della proposta di legge

Le finalità della proposta di legge sono enunciate nei commi 1, 2 e 3 dell'articolo 1.

Ai sensi del comma 1 la Repubblica tutela la risorsa suolo e le funzioni che essa svolge in quanto elemento essenziale per la vita degli ecosistemi e del genere umano.

Si rammenta che la finalità del conseguimento del razionale sfruttamento del suolo è, tra l’altro, alla base del disposto dell’articolo 44 della Costituzione laddove si prevede che “la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre …”.

Il comma 2 evidenzia che il consumo di suolo non edificato comporta oneri diretti e indiretti a carico della collettività. Per tale motivo la trasformazione dello stato del suolo causata dall'espansione delle aree urbane è suscettibile di contribuzione in ragione dell'impatto che determina sulla risorsa suolo, ferma restando la disciplina abilitativa applicabile ai sensi delle leggi e dei regolamenti vigenti. Quanto affermato in linea di principio dal comma 2 è connesso alla disciplina del contributo per la tutela del suolo disciplinato dall’articolo 2.

La disciplina abilitativa è quella che fa riferimento alla regolazione dei titoli abilitativi[5] all’attività edilizia, che sono previsti dal Titolo II della Parte I - artt. 6-23 - del D.P.R. 380/2001 (T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) e sono rappresentati dal permesso di costruire, dalla denuncia di inizio attività (DIA) e dalla c.d. superDIA, nonché dalla Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA). Il T.U. edilizia prevede altresì alcune fattispecie di attività edilizia libera.

 

La proposta di legge detta principi fondamentali in materia di pianificazione del territorio che, ai sensi del comma 3, perseguono le seguenti finalità:

§         contenimento del consumo del suolo;

§         mitigazione e compensazione degli impatti ambientali provocati;

§         orientamento degli interventi edilizi prioritariamente verso le aree già urbanizzate degradate e le aree ad uso produttivo dismesse da riqualificare;

§         promuovere e tutelare l'attività agricola, il paesaggio e l'ambiente.

 

L’attenzione verso la riqualificazione delle aree urbane, con specifico riferimento a quelle degradate, è stata posta con l’attuazione del cosiddetto Piano casa e dell’articolo 5, commi da 9 a 14, del decreto legge n. 70 del 2011 e successivamente con l’articolo 12 del decreto legge n. 83 del 2012, che ha disciplinato il Piano nazionale per le città e il relativo contratto di valorizzazione urbana[6].

Informazioni sul consumo di suolo

Il comma 4 prevede l’istituzione, presso l'ISTAT, del Registro nazionale del consumo del suolo, quale sistema informativo statistico e geografico integrato.

 

Al riguardo, si valuti l’opportunità di introdurre un’apposita clausola di invarianza finanziaria nel caso in cui dall’istituzione del Registro non derivino nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.

 

Lo stesso comma precisa che tale Registro si avvale delle informazioni disponibili e dei risultati metodologici e classificatori prodotti nell'ambito degli studi a livello nazionale e internazionale, nonché dei risultati cui sono pervenuti gli enti pubblici e privati che dispongono di informazioni e di strumenti utili a tale scopo.

La ratio di tale disposizione appare giustificata dalla frammentarietà dell’offerta di dati geografici pubblici (e non) sul consumo di suolo.

Si segnala altresì che attualmente è in corso un progetto (LUCAS - Land Use and Cover Area frame Survey), promosso da Eurostat e coordinato a livello nazionale dall’ISTAT, per addivenire ad un coordinamento ed integrazione dei dati disponibili in materia di consumo del suolo.

Si fa notare che la disposizione in esame accoglie quanto sollecitato nella risoluzione n. 7-00274, approvata dal Senato in data 11 luglio 2012 (Doc. XXIV, n. 40, della XVI legislatura), che ha impegnato il Governo ad avviare “la realizzazione di un sistema informativo, statistico e geografico integrato per la lettura del consumo del suolo, che deve avvalersi di tutte informazioni disponibili e dei risultati metodologici e classificatori prodotti nell’ambito di studi in sede internazionale, nazionale ed accademica”. La risoluzione sottolinea, inoltre, che “a questo scopo appare opportuno promuovere, attraverso una disposizione legislativa dotata di relativa copertura finanziaria, un organismo nazionale che, con un ruolo di coordinamento dell’ISTAT e dell’ISPRA, abbia il compito di predisporre tale sistema e di coordinare, sia sul piano della produzione dei dati che su quello statistico-metodologico, tutti gli enti pubblici e privati che, a vario titolo, dispongono di informazioni e strumenti utili e si sono impegnati sul tema”.

Tale sistema dovrebbe costituire il punto di partenza per l’attività di rendicontazione alle Camere e di pianificazione prevista dal successivo comma 5, che prevede infatti la presentazione alle Camere, da parte del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM), di un rapporto annuale sul consumo del suolo e sui processi di più rilevante trasformazione ambientale dovuti alla crescita dell'urbanizzazione.

Pianificazione territoriale ed urbanistica

Il comma 5 dispone che, nell'ambito del rapporto annuale alle Camere, sono individuati gli obiettivi di contenimento quantitativo del consumo di suolo da perseguire su scala pluriennale nella pianificazione territoriale e urbanistica.

Sulla base di questi obiettivi si procede (ai sensi del comma 6) all'intesa, in sede di Conferenza Stato-Regioni, volta ad individuare gli obiettivi che ciascuna regione e provincia autonoma si impegna a recepire nei propri strumenti di programmazione urbanistica.

Tale intesa deve essere aggiornata almeno ogni tre anni.

Qualora l'intesa non sia raggiunta entro 90 giorni dalla prima seduta della Conferenza Stato-Regioni in cui l'oggetto è posto all'ordine del giorno, il Consiglio dei ministri approva un atto di natura legislativa da sottoporre al Parlamento con una relazione nella quale sono indicate le specifiche motivazioni per cui l'intesa non è stata raggiunta.

Con riguardo alla natura dell’atto, sembrerebbe opportuno fare riferimento a un disegno di legge da sottoporre al Parlamento.

 

Relativamente all’opportunità di introdurre una definizione di “consumo di suolo”, in considerazione del fatto che tale espressione ricorre più volte nell’articolato, si rammenta che l’A.S. 3601 della XVI legislatura recava una definizione, introdotta su esplicita richiesta della Conferenza Unificata, di consumo di suolo come “la riduzione di superficie agricola per effetto di interventi di impermeabilizzazione, urbanizzazione ed edificazione non connessi all’attività agricola”, che era strettamente connessa a quella di «superficie agricola» in ragione delle specifiche finalità del citato disegno di legge.

 

Da ultimo, si segnala che la proposta di legge andrebbe coordinata con le disposizioni di cui ai commi da 2 a 4 dell’articolo 6 della legge n. 10 del 2013, recante norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani, che consentono ai comuni di adottare misure di vantaggio ed interventi finalizzati al risparmio del suolo e alla salvaguardia delle aree comunali non urbanizzate.


Art. 2
(Contributo per la tutela del suolo e la rigenerazione urbana)

Il comma 1 dell'articolo 2 prevede un contributo per la tutela del suolo e la rigenerazione urbana in capo alle attività di trasformazione urbanistica ed edilizia che determina un nuovo consumo di suolo.

Il contributo, connesso alla perdita di valore ecologico, ambientale e paesaggistico determinato dal consumo di suolo, si aggiunge agli obblighi di pagamento connessi con gli oneri di urbanizzazione e con il costo di costruzione, che sono determinati dai comuni ai sensi delle leggi statali e regionali vigenti.

 

Si ricorda che il rilascio del permesso di costruire da parte di una amministrazione comunale comporta per il privato "la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione" (art. 16, comma 1, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380).

Ai sensi dell'art. 10 del T.U. Edilizia, sono soggetti a permesso di costruire:

-      gli interventi di nuova costruzione;

-      gli interventi di ristrutturazione urbanistica;

-      gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso.

 

Come sostenuto dalla giurisprudenza, gli oneri di urbanizzazione sono dovuti "in ragione dell'obbligo del privato di partecipare ai costi delle opere di trasformazione del territorio" (Cons. Stato, Sez. V, 23 gennaio 2006, n. 159).

Tali oneri si distinguono in:

-      oneri di urbanizzazione primaria, ovvero relativi a realizzazione di strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell'energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione, spazi di verde attrezzato, cavedi multiservizi e cavidotti per il passaggio di reti di telecomunicazioni;

-      oneri di urbanizzazione secondaria, finalizzati alla realizzazione di  asili nido e scuole, mercati di quartiere, delegazioni comunali, edifici religiosi, impianti sportivi di quartiere, aree verdi di quartiere, centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie.

 

Ai sensi del citato art. 16 del D.P.R. 380/2001 la quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del rilascio, è corrisposta in corso d'opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, e sulla base degli importi definiti periodicamente dalle regioni con riferimento ai costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata.

L'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni in relazione ai parametri definiti dal comma 4 del citato articolo 16.

 

La determinazione del contributo viene disciplinata nel successivo comma 2, che ne prevede l’applicazione su tutto il territorio nazionale – a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge - con riferimento a ogni attività di trasformazione urbanistica ed edilizia che determina un nuovo consumo di suolo.

La misura del contributo dipende dalla tipologia dell’area su cui interviene la trasformazione, come evidenziato dalla tabella seguente:

 

Tipologia dell’area

Misura del contributo

area coperta da superfici naturali o seminaturali

3 volte la somma di oneri di urbanizzazione e costo di costruzione

area coperta da superfici agricole in uso o dismesse

2 volte la somma di oneri di urbanizzazione e costo di costruzione

aree edificate o comunque utilizzate ad usi urbani e da riqualificare

contributo non dovuto

casi in cui non sono dovuti oneri di urbanizzazione e costo di costruzione

 

Ai sensi del comma 3, il contributo per il consumo di suolo può essere sostituito, previo accordo con i comuni, da una cessione compensativa di aree (con il corrispondente vincolo a finalità di uso pubblico e di dimensione complessiva almeno pari alla superficie territoriale oggetto dell'intervento previsto) per la realizzazione di:

§         nuovi sistemi naturali permanenti, quali siepi, filari, prati, boschi, aree umide;

§         opere per la fruizione ecologica e ambientale, quali percorsi pedonali e ciclabili.

 

Con riguardo alla formulazione del testo, e specificamente al pronome “sua”, andrebbe esplicitato se, come sembra, sia da porre in connessione con la fruizione delle aree.

 

Il comma 4 individua i soggetti obbligati al pagamento del contributo per il consumo di suolo, ossia i soggetti tenuti al pagamento degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione, secondo le stesse modalità e gli stessi termini.

Lo stesso comma prevede la destinazione dei proventi del contributo ad un fondo per la realizzazione dei seguenti interventi:

§         bonifica dei suoli;

§         recupero e riqualificazione del patrimonio edilizio esistente;

§         demolizione e ricostruzione di edifici posti in aree a rischio idrogeologico;

§         acquisizione e realizzazione di aree verdi.


Art. 3
(Ambiti di rigenerazione urbana)

Il comma 1 prevede la possibilità per i comuni di individuare, attraverso i loro strumenti urbanistici, ambiti caratterizzati da degrado delle aree e dei tessuti urbani da assoggettare a interventi di rigenerazione urbana, ambientale e sociale i cui obiettivi sono individuati dai medesimi strumenti urbanistici.

 

Al concetto di “rigenerazione urbana” viene fornita una definizione normativa dal successivo comma 2 come “insieme organico di interventi che riguarda edifici pubblici e privati e spazi pubblici, attraverso iniziative di demolizione e ricostruzione, ristrutturazione e nuova costruzione, finalizzate a perseguire i seguenti obiettivi ed interventi:

§         significativa riduzione dei consumi idrici ed energetici, agendo sulle prestazioni degli edifici, sul risparmio e sulla produzione di energia da fonti rinnovabili;

§         messa in sicurezza degli edifici da un punto di vista statico;

§         bonifica delle aree e sulla qualificazione naturalistica degli spazi pubblici;

§         riduzione delle aree impermeabili;

§         miglioramento della gestione e della raccolta differenziata dei rifiuti;

§         miglioramento della mobilità sostenibile, agendo sugli spostamenti pedonali e ciclabili e sul trasporto pubblico.

 

In base al comma 3, per favorire gli investimenti negli ambiti di rigenerazione urbana, viene prevista la facoltà per i comuni di disporre, per un periodo massimo di 10 anni, un regime agevolato, consistente:

§         nella riduzione del contributo di costruzione relativamente a tutte le sue componenti;

§         nell'applicazione di un'aliquota IMU ridotta.

Si segnala, in proposito che l’art. 1, comma 1, del D.L. 21 maggio 2013, n. 54, nelle more di una complessiva riforma della disciplina dell'imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare, ha sospeso i versamenti a fini IMU per le abitazioni principali, le unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite  ad  abitazione  principale, gli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari (IACP) o da altri enti di edilizia residenziale pubblica, comunque denominati”.

 

Si ricorda inoltre che la disciplina IMU (art. 13 D.L. 201 del 2011) già prevede misure di aliquota ridotta per legge (oltre che per l’abitazione principale, per i fabbricati rurali ad uso strumentale, con misura di base pari a 0,2) e misure di aliquote che i comuni hanno la facoltà di ridurre: in particolare, i comuni, con deliberazione del consiglio comunale, possono

-              modificare, in aumento o in diminuzione, l'aliquota di base sino a 0,3 punti percentuali nonché l'aliquota per l'abitazione principale e per le relative pertinenze, in aumento o in diminuzione, sino a 0,2 punti percentuali;

-              ridurre ulteriormente l'aliquota (già ridotta allo 0,2 per cento) per i fabbricati rurali ad uso strumentale fino allo 0,1 per cento;

-              ridurre l'aliquota di base fino allo 0,4 per cento nel caso di immobili non produttivi di reddito fondiario, ovvero nel caso di immobili posseduti dai soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle società, ovvero nel caso di immobili locati.

-              ridurre l'aliquota di base fino allo 0,38 per cento per i fabbricati costruiti e destinati dall'impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati, e comunque per un periodo non superiore a tre anni dall'ultimazione dei lavori;

-              disporre l’elevazione dell’importo della detrazione per l’abitazione principale, fino a concorrenza dell'imposta dovuta, nel rispetto dell'equilibrio di bilancio. In tal caso il comune che ha adottato detta deliberazione non può stabilire un'aliquota superiore a quella ordinaria per le unità immobiliari tenute a disposizione;

-              considerare adibita ad abitazione principale l'unità immobiliare posseduta a titolo di proprietà o di usufrutto da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, a condizione che la stessa non risulti locata, nonché l'unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata; .

 

Alla luce delle facoltà già attribuite ai comuni per la riduzione delle aliquote IMU sopra citate, occorrerebbe definire i nuovi poteri che si intendono attribuire ai comuni in tema di manovrabilità dell’aliquota.

 

Viene altresì consentito ai comuni di:

§         prevedere, in base alle leggi regionali, compensazioni e incentivazioni attraverso l'attribuzione di diritti edificatori alle proprietà immobiliari pubbliche e private;

Una efficace definizione di diritto edificatorio è quella secondo cui tale diritto “esprime in termini quantitativi, volumetrici o di superficie, la capacità edificatoria, ovvero la misura della trasformazione realizzabile e che ha la caratteristica di nascere per effetto della scissione tra la titolarità del fondo e l’esercizio dello jus aedificandi, (tradizionalmente afferente al fondo medesimo). Il diritto edificatorio, infatti, ha la peculiarità di essere sganciato dalla titolarità di un area e di circolare indipendentemente da questa, potendo essere utilizzato anche tra Comparti o aree discontinue e distanti tra loro (c.d. dematerializzazione dello jus aedificandi)”[7].

L’articolo 5, comma 3, del decreto legge n. 70/2011 ha introdotto nell’articolo 2643, primo comma, del Codice civile il numero 2-bis, che assoggetta all’obbligo di trascrizione i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale. Nel citato decreto si sottolinea che la norma è finalizzata a garantire la certezza dei diritti edificatori.

La norma sostanzialmente dà copertura legislativa alla perequazione urbanistica (vedi infra). Al riguardo, nel ricordare che su tale materia si sono registrati nel tempo successivi e talvolta contrastanti decisioni della giurisprudenza amministrativa, si segnala che la sentenza del Consiglio di Stato n. 4545 del 13 luglio 2010, riguardante il Piano regolatore di Roma, ha tra l’altro evidenziato “l’opportunità che lo Stato intervenga a disciplinare in maniera chiara ed esaustiva la perequazione urbanistica, nell’ambito di una legge generale sul governo del territorio la cui adozione appare quanto mai auspicabile alla luce dell’inadeguatezza della normativa pregressa a fronte delle profonde innovazioni conosciute negli ultimi decenni dal diritto amministrativo e da quello urbanistico”.

 

§         promuovere interventi di riqualificazione del sistema delle infrastrutture e delle attrezzature pubbliche anche utilizzando i proventi del contributo per il consumo di suolo introdotto dall’art. 2 della proposta di legge.

 

Il comma 4 estende ai trasferimenti immobiliari effettuati negli ambiti di rigenerazione urbana le agevolazioni fiscali previste dall’art. 5 della L. 168/1982, vale a dire l’applicazione dell'imposta di registro, catastale e ipotecaria in misura fissa.

 

L'articolo 5 della legge 22 aprile 1982, n. 168, prevede, appunto, l’applicazione dell’imposta di registro, catastale e ipotecaria in misura fissa, e, nei casi di permuta, anche l’esenzione dall'imposta sull'incremento del valore sugli immobili, relativamente ai piani di recupero ad iniziativa pubblica o privata di cui agli articoli 27 e seguenti della legge 5 agosto 1978, n. 457. Quest’ultima norma disciplina l’individuazione - da parte dei comuni nell'ambito degli strumenti urbanistici generali - delle zone ove, per le condizioni di degrado, si rende opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente mediante interventi rivolti alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso. Dette zone, secondo il medesimo articolo, possono comprendere singoli immobili, complessi edilizi, isolati ed aree, nonché edifici da destinare ad attrezzature.

 

L'imposta di registro, regolata dal Testo unico dell'imposta di registro (D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131) è dovuta al momento della registrazione di determinati atti giuridici presso l'Agenzia delle Entrate. L’imposta ipotecaria e l’imposta catastale sono regolate dal Testo unico delle disposizioni concernenti le imposte ipotecaria e catastale (D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347) e hanno per oggetto i trasferimenti immobiliari, sia a titolo gratuito sia a titolo oneroso.

Si ricorda che l’agevolazione in commento è già prevista per l’acquisto della ”prima casa”: nel caso che il venditore dell'immobile sia un privato non soggetto ad IVA, si applica l'imposta di registro del 3% (invece che del 7% sul valore dichiarato), mentre l’imposta ipotecaria e catastale è determinata nella misura fissa di 168 euro ciascuna. Nel caso di acquisto da impresa "costruttrice" o "ristrutturatrice" entro 4 anni dalla data di ultimazione dei lavori, si dovrà pagare l'IVA ridotta al 4% (invece che del 10%) e le imposte di registro, ipotecaria e catastale, in misura fissa pari a 168 euro ciascuna. Qualora l’acquisto avvenga dopo 4 anni dalla ultimazione dei lavori l’IVA ridotta ammonta al 3%.

 

Lo stesso comma 4 prevede che la notifica al comune dei contratti relativi ai trasferimenti immobiliari citati.

Entro i 60 giorni successivi il comune può esercitare il diritto di prelazione.

 

Il comma 5 prevede l’istituzione di uno strumento finanziario da parte della Cassa depositi e prestiti S.p.A., anche garantito da beni demaniali, per favorire l'accesso al credito dei proprietari di immobili ricompresi negli ambiti di rigenerazione urbana che intendono investire per la sicurezza antisismica ed il risparmio idrico-energetico degli edifici.

Tale strumento finanziario prevede, ai sensi del medesimo comma, condizioni finanziarie e tassi d'interesse vantaggiosi per l'investimento dei privati nella sicurezza e nella sostenibilità ambientale. Il finanziamento è commisurato agli obiettivi di miglioramento della sicurezza e delle prestazioni degli immobili definiti con apposito regolamento della Cassa depositi e prestiti.

 

Per ciò che attiene l’attività di Cassa depositi e prestiti S.p.A., l’articolo 5, comma 7 del D.L. n. 269/2003 prevede che essa consista nel finanziamento:

§       sotto qualsiasi forma, di Stato, Regioni, enti locali, enti pubblici e organismi di diritto pubblico, precipuamente mediante l’utilizzo dei fondi provenienti dalla raccolta del risparmio postale, assistiti dalla garanzia dello Stato e in regime di gestione separata. Il finanziamento avviene anche mediante fondi provenienti dall'emissione di titoli, dall'assunzione di finanziamenti e da altre operazioni finanziarie, che possono essere assistiti dalla garanzia dello Stato.

L’utilizzo dei fondi provenienti dalla raccolta postale è peraltro consentito – ai sensi della norma in oggetto - per il compimento di ogni altra operazione di interesse pubblico prevista dallo statuto sociale della CDP S.p.A., nei confronti dei soggetti istituzionali pubblici o promossa dai medesimi soggetti. Quest’ultima previsione consente a CDP di estendere l’ambito delle attività compiute attraverso l’utilizzo dei fondi della raccolta postale;

§       nel finanziamento, in qualsiasi forma, di opere, impianti, reti e dotazioni destinati alla fornitura di servizi pubblici ed alle bonifiche, attraverso l’utilizzo di fondi provenienti dall'emissione di titoli, dall'assunzione di finanziamenti e da altre operazioni finanziarie, senza garanzia dello Stato e con raccolta esclusivamente presso investitori istituzionali.

Il decreto legge n. 5 del 2009, all’articolo 3, comma 4-bis, ha permesso l’utilizzo dei fondi della raccolta postale anche per finanziare, attraverso l’intermediazione degli enti creditizi, le piccole e medie imprese, attraverso la concessione di finanziamenti, il rilascio di garanzie, l’assunzione di capitale di rischio o di debito. Dette operazioni possono essere effettuate direttamente dalla Cassa medesima o mediante l’intermediazione di soggetti autorizzati all’esercizio del credito. Tuttavia, per le operazioni a favore delle piccole e medie imprese per finalità di sostegno all’economia è ammesso esclusivamente il finanziamento attraverso l’intermediazione di soggetti autorizzati all’esercizio del credito.

 

L’articolo 2, comma 235 della legge n. 191 del 2009 (legge finanziaria 2010) ha poi previsto che le operazioni a favore delle piccole e medie imprese possano svolgersi - oltre che tramite l’intermediazione di soggetti autorizzati all’esercizio del credito - anche attraverso la sottoscrizione di fondi comuni di investimento gestiti da una società di gestione del risparmio, il cui oggetto sociale realizza uno o più fini istituzionali della stessa CDP.

 

Infine, ai sensi dell’articolo 8 del decreto legge n. 78/2009, Cassa depositi e prestiti partecipa con la SACE al sistema integrato di sostegno finanziario all’internazionalizzazione, cd. “Export-banca”. Le operazioni di internazionalizzazione assistite da garanzia o assicurazione SACE possono essere finanziate da CDP con le risorse provenienti dalla raccolta del risparmio postale, dall’emissione di titoli, dall’assunzione di finanziamenti o da altre operazioni finanziarie.

 

L'articolo 7 del decreto-legge n. 34 del 2011 ha ulteriormente ampliato l’ambito di operatività della Cassa depositi e prestiti S.p.a. (CDP). A tal fine, all’articolo 5 del decreto legge n. 269/2003 è aggiunto un nuovo comma 8-bis che - ferme restando le modalità di gestione delle partecipazioni previste dal comma 8 del medesimo articolo 5 - consente alla CDP di assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale in termini di strategicità del settore di operatività, livelli occupazionali, entità di fatturato e di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese. Le predette società devono risultare in una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico ed essere caratterizzate da adeguate prospettive di redditività.

Il terzo periodo del nuovo comma 8-bis, specifica che le predette partecipazioni in società di interesse nazionale possono essere acquisite dalla CDP anche attraverso veicoli societari, fondi di investimento partecipati dalla Società ed eventualmente da società private o controllate dallo Stato o enti pubblici. Qualora l’acquisizione delle partecipazioni da parte della CDP avvenga utilizzando risorse provenienti dalla raccolta postale, esse devono essere contabilizzate nella “gestione separata” della Società.

 

La relazione finanziaria per l’anno 2012 di CDP (http://www.cassaddpp.it/static/upload/rel/relazione-finanziaria-annuale-2012-italiano.pdf) dà conto dell’attività a favore delle imprese.

 

Si osserva che andrebbe valutata l’opportunità di modificare la disposizione al fine di definirne l’operatività, per un verso, nella parte in cui fa riferimento all’utilizzo dei risparmi prodotti dagli interventi edilizi sui costi energetici e di manutenzione nonché degli incentivi fiscali e, per l’altro, laddove si individuano i beni demaniali sui quali porre la garanzia.

 


Art. 4
(Perequazione urbanistica e perequazione territoriale)

Il comma dell'articolo 4 introduce la definizione di perequazione urbanistica nella legislazione nazionale.

Si ricorda, in proposito, che lo strumento della perequazione, “sebbene non contemplato a livello di legislazione nazionale, è stato progressivamente introdotto dalle legislazioni regionali cui è affidata la disciplina del territorio e persegue l’obiettivo di eliminare le disuguaglianze create dalla funzione pianificatoria, in particolare dalla zonizzazione e dalla localizzazione diretta degli standard, quanto meno all’interno di ambiti di trasformazione, creando le condizioni necessarie per agevolare l’accordo fra i privati proprietari delle aree incluse in essi e promuovere l’iniziativa privata” (TAR Veneto, Venezia, sez. I, 19 maggio 2009, n. 1504; 10 gennaio 2011, n. 11).

Nelle normative regionali si rinvengono numerose definizioni di perequazione urbanistica[8]; si cita ad esempio quella recata dall’art. 35, comma 1, della L.R. Veneto n. 11 del 2004, secondo cui “la perequazione urbanistica persegue l'equa distribuzione, tra i proprietari degli immobili interessati dagli interventi, dei diritti edificatori riconosciuti dalla pianificazione urbanistica e degli oneri derivanti dalla realizzazione delle dotazioni territoriali.”

 

Ai sensi del comma 1, infatti, gli strumenti urbanistici possono perseguire la perequazione urbanistica, ovvero il pari trattamento delle proprietà di beni immobili che si trovano in analoghe condizioni di fatto e di diritto, da realizzare attraverso l'equa distribuzione, tra le proprietà immobiliari, dei diritti edificatori che essi attribuiscono e degli oneri derivanti dalla realizzazione delle dotazioni territoriali, compresa la cessione gratuita delle aree necessarie all'attuazione degli obiettivi di piano.

 

Il comma 2 prevede che la perequazione si applichi attraverso l'impiego di appositi parametri tecnici alle aree di trasformazione individuate dagli strumenti urbanistici. Tale disposizione riveste particolare rilevanza in quanto il ricorso a tali parametri dovrebbe rappresentare il supporto tecnico per una valutazione delle operazioni immobiliari.

Si osserva che la norma è formulata in modo generico laddove non specifica l’ente deputato alla definizione di tali parametri.

La perequazione è resa operativa attraverso l'istituto del comparto edificatorio di cui all'art. 5 fatta eccezione per i casi in cui sia associata alle compensazioni o alle incentivazioni di cui all'art. 6.

 

Esistono vari modelli di perequazione previsti dai piani regolatori. Tra i più noti si segnala la  perequazione urbanistica di comparto, che permette ai proprietari di immobili riuniti in un comparto edificatorio (cioè un ambito territoriale entro cui l'intervento edilizio deve essere realizzato in modo unitario da più aventi titolo) di pervenire ad un accordo in modo da ripartire i vantaggi e gli svantaggi.

 

Il comma 3 prevede le seguenti destinazioni delle aree cedute gratuitamente attraverso la perequazione urbanistica:

§         attuazione degli standard urbanistici e delle dotazioni territoriali definiti dalle leggi regionali;

Con il termine “standard urbanistici” si intende la determinazione delle quantità minime di spazi pubblici o di uso pubblico, espresse in metri quadrati per abitante, che devono essere riservate nei piani, sia generali che attuativi. In tutti i comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi. Tali limiti e rapporti sono definiti, dal D.M. 1444/1968, per zone territoriali omogenee. Ai fini della verifica del rispetto degli standard, il territorio comunale è infatti diviso in sei zone omogenee: zona A (centro storico); zona B (zona di completamento); zona C (zona di espansione); zona D (zona per insediamenti produttivi); zona E (zona agricola) e zona F (zona per impianti e attrezzature collettive).

§         realizzazione di interventi di edilizia residenziale sociale.

In proposito merita ricordare le norme introdotte dai commi 258-259 dell'art. 1 della L. 244/2007 (finanziaria 2008).

Il comma 258, fino alla definizione della riforma organica del governo del territorio, ha previsto che, in aggiunta agli standard di cui al D.M. 1444/1968 e alle relative leggi regionali, negli strumenti urbanistici sono definiti ambiti la cui trasformazione è subordinata alla cessione gratuita da parte dei proprietari, singoli o in forma consortile, di aree o immobili da destinare a edilizia residenziale sociale, in rapporto al fabbisogno locale e in relazione all’entità e al valore della trasformazione. In tali ambiti è possibile prevedere, inoltre, l’eventuale fornitura di alloggi a canone calmierato, concordato e sociale.

Il successivo comma ha disposto che, ai fini dell’attuazione di interventi finalizzati alla realizzazione di edilizia residenziale sociale, di rinnovo urbanistico ed edilizio, di riqualificazione e miglioramento della qualità ambientale degli insediamenti, il comune può, nell’ambito delle previsioni degli strumenti urbanistici, consentire un aumento di volumetria premiale nei limiti di incremento massimi della capacità edificatoria prevista per gli ambiti di cui al comma 258.

Alle disposizioni citate si affiancano quelle recate dalla legge 8 febbraio 2007, n. 9 recante “Interventi per la riduzione del disagio abitativo per particolari categorie sociali”, che ha affidato al Ministro delle Infrastrutture la definizione di “alloggio sociale”, cui si è pervenuti con il decreto attuativo del 22 aprile 2008.

L'art. 1, comma 2, del D.M. 22 aprile 2008 definisce «alloggio sociale» l'unità immobiliare adibita ad uso residenziale in locazione permanente che svolge la funzione di interesse generale, nella salvaguardia della coesione sociale, di ridurre il disagio abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati, che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato. L'alloggio sociale si configura come elemento essenziale del sistema di edilizia residenziale sociale costituito dall'insieme dei servizi abitativi finalizzati al soddisfacimento delle esigenze primarie.

Ai sensi del successivo comma rientrano nella citata definizione gli alloggi realizzati o recuperati da operatori pubblici e privati, con il ricorso a contributi o agevolazioni pubbliche - quali esenzioni fiscali, assegnazione di aree od immobili, fondi di garanzia, agevolazioni di tipo urbanistico - destinati alla locazione temporanea per almeno otto anni ed anche alla proprietà.

Il comma 4 dispone che il servizio di edilizia residenziale sociale viene erogato da operatori pubblici e privati prioritariamente tramite l'offerta di alloggi in locazione alla quale va destinata la prevalenza delle risorse disponibili, nonché il sostegno all'accesso alla proprietà della casa, perseguendo l'integrazione di diverse fasce sociali e concorrendo al miglioramento delle condizioni di vita dei destinatari, mentre il comma 5 stabilisce che l'alloggio sociale, in quanto servizio di interesse economico generale, costituisce standard urbanistico aggiuntivo da assicurare mediante cessione gratuita di aree o di alloggi, sulla base e con le modalità stabilite dalle normative regionali.

Nel quadro normativo tracciato dai commi 258-259 dell’art. 1 della L. 244/2007 e dal D.M. 22 aprile 2008, l’«edilizia residenziale sociale» è quindi presentata come una dotazione territoriale destinata a rispondere alla domanda di abitazione sociale.

 

Il comma 4 prevede le condizioni per applicare la perequazione territoriale al fine di garantire un'equa ripartizione dei vantaggi e degli oneri tra i diversi comuni interessati da ambiti di trasformazione di rilevanza sovracomunale.

La disciplina della perequazione territoriale viene demandata alle leggi regionali, le quali devono garantire, per gli ambiti di trasformazione di rilevanza sovracomunale, la ripartizione tra i comuni interessati degli oneri di urbanizzazione, del contributo sul costo di costruzione e dell'eventuale contributo per il consumo di suolo previsto dall’art. 2, in misura differenziata in ragione degli impatti ambientali e delle diverse implicazioni per i bilanci comunali.

 

Il comma 5 prevede che le leggi regionali dettino disposizioni relative alla perequazione urbanistica nel rispetto dei princìpi di cui al presente articolo.


Art. 5
(Comparto edificatorio)

Il comma 1 dell'articolo 5 introduce la definizione di comparto edificatorio, inteso come l’insieme delle proprietà immobiliari per le quali gli strumenti urbanistici prevedono una trasformazione unitaria individuando gli obiettivi di riqualificazione urbanistica e ambientale. Esso può riunire beni immobili contigui e beni immobili non contigui; il comparto, infatti, può essere continuo o discontinuo, a seconda che le aree che ne fanno parte siano contigue o meno.

Lo stesso comma prevede che, anche su invito del comune, i proprietari di beni immobili compresi in un comparto possono riunirsi in consorzio e presentare al comune:

§         il piano urbanistico attuativo riferito all'intero comparto;

§         l'impegno, garantito da fideiussioni, a coprire i costi da sostenere per realizzare le opere di urbanizzazione e quelli eventualmente da sostenere per espropriare gli immobili a ciò funzionali.

 

Per la costituzione del consorzio è sufficiente la partecipazione dei proprietari che detengono la maggioranza assoluta dei beni immobili in base al loro valore imponibile ai fini dell'applicazione dell'IMU.

 

Il comma 2 individua i valori di riferimento per il calcolo delle quote relative ai diversi proprietari.

Ai sensi del comma 2 si considera il valore delle aree fabbricabili:

§         indicato dal contribuente nell'ultima dichiarazione presentata ai fini dell'imposta comunale sugli immobili (ICI) o dell'IMU;

§         oppure quello rettificato dal comune e divenuto definitivo a seguito delle attività di controllo delle medesime imposte.

Viene altresì consentito al proprietario dell'area fabbricabile di dichiarare al comune il valore venale in comune commercio al 1° gennaio dell'anno e il comune può rettificare tale valore con provvedimento motivato entro 60 giorni dalla ricezione della dichiarazione.

 

Ai sensi del comma 3, di norma la trasformazione di comparto è attuata mediante un intervento indiretto, tramite un piano urbanistico attuativo convenzionato.

L'espressione sembra far riferimento ai piani di lottizzazione, per i quali è prevista la stipula di una convenzione, previsti dall'art. 28 della L. 1150/1942. La disciplina di tali piani attuativi comunali è dettagliata nella legislazione regionale. Si veda ad esempio la L.R. Lombardia n. 12/2005 (artt. 12 e 14).

 

Lo strumento urbanistico può prevedere, nei comparti di contenuta dimensione e complessità, che alla trasformazione unitaria sia data attuazione mediante un intervento diretto tramite un permesso di costruire convenzionato.

Ciò che è previsto dal PRG è attuato in alcune zone della città per intervento diretto dei privati tramite il permesso di costruire convenzionato in cui la convenzione disciplina modalità, requisiti e tempi di realizzazione degli interventi per la realizzazione delle opere di urbanizzazione.

 

Il comma 4 fissa un termine di 5 anni, decorrenti dalla data di sottoscrizione della convenzione del piano urbanistico attuativo, per l’adesione al consorzio di cui al comma 1 - con contestuale copertura delle spese di competenza - da parte dei proprietari non aderenti.

Decorso tale termine, il comune promuove una procedura di evidenza pubblica tesa a selezionare un soggetto imprenditoriale che:

§         entri a far parte del consorzio in sostituzione dei proprietari non aderenti;

§         provveda alla realizzazione della parte privata del piano urbanistico attuativo rimasta inattuata;

§         anticipi al comune le spese necessarie all'esecuzione delle espropriazioni dei beni dei proprietari rimasti inerti.

 


Art. 6
(Compensazione e incentivazione urbanistiche)

Ai sensi del comma 1 dell'articolo 6, gli strumenti urbanistici possono definire misure volte a:

§         compensare i proprietari dei beni immobili che il comune intende acquisire gratuitamente per la realizzazione delle dotazioni territoriali e per gli interventi di edilizia residenziale sociale;

§         incentivare i proprietari di manufatti da trasformare, recuperare o demolire in attuazione delle loro previsioni.

 

Il concetto di compensazione è strettamente collegato a quello di perequazione. Il meccanismo di compensazione rappresenta, infatti, un metodo alternativo a quello classico dell’esproprio, che acquisisce terreni privati dietro la corresponsione di un indennizzo ai proprietari. Mediante questo meccanismo, si assegnano dei diritti edificatori privati a tutte le aree sottoposte a trasformazione, in cambio della cessione gratuita dei terreni per il verde e i servizi, in una quota anche superiore alla metà dei suoli in oggetto. Così facendo, si garantiscono gli standard senza ricorrere al meccanismo dell’esproprio (dai tempi lunghissimi e dai costi pubblici molto alti).

 

Le misure consistono nell'attribuzione alle aree interessate di quote di edificabilità:

§         da utilizzare in loco, secondo le disposizioni degli strumenti urbanistici;

§         oppure da trasferire in altre aree edificabili, previo accordo per la cessione delle aree stesse al comune.

 

Ai fini fiscali, fino alla cessione delle aree al comune, le cubature attribuite ai sensi del comma 1 concorrono alla determinazione della capacità edificatoria delle aree stesse.

 

Si ricorda che il suolo, nel momento in cui è considerato edificabile assume rilevanza ai fini fiscali. Il quadro normativo, per i terreni che presentano siffatte peculiarità, prevede, all’atto del trasferimento della proprietà, la tassabilità sia ai fini IRPEF (art. 67 comma 1 lett b) del DPR 917/86, Tuir), gravandone la plusvalenza realizzata,  sia ai fini dell’imposta di registro (art. 52, comma 4, DPR 131/1986, TU imposta di registro), nel momento in cui si realizza l’effetto traslativo.

 

Se il comma 1 è finalizzato a disciplinare l’utilizzo di misure compensative e incentivanti per l'acquisizione di aree in alternativa all'esproprio, il comma 2 prevede comunque la possibilità di acquisire le aree attraverso la procedura di esproprio per pubblica utilità in attuazione dei vincoli ablativi imposti su di esse.

Il comma 2 si riferisce in particolare agli immobili non acquisiti per compensazione, ovvero in applicazione della disciplina perequativa, o in esecuzione delle convenzioni relative all'attuazione dei piani o programmi urbanistici esecutivi.

 

Il comma 3 consente di utilizzare, come misure compensative o incentivanti:

§         la riduzione del contributo relativo agli oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione in una o più delle sue componenti;

§         l'attribuzione di diritti edificatori utilizzabili secondo la disciplina stabilita dallo strumento urbanistico.

 

Si osserva che la disposizione andrebbe coordinata con quella recata dal comma 1 nella parte in cui dispone che le misure di compensazione e incentivazione “consistono nell'attribuzione alle aree interessate di quote di edificabilità“.

 

Ai sensi del comma 4 lo strumento della compensazione può essere utilizzato anche per:

§         l'attuazione degli interventi di rigenerazione urbana;

§         risolvere le criticità derivanti dalla presenza di diritti edificatori pregressi in aree incompatibili con la qualità e sostenibilità degli interventi previsti.

 

Il comma 5, per incentivare l'uso efficiente del patrimonio edilizio e dei terreni, prevede la possibilità da parte dei comuni di elevare l'aliquota dell'IMU per le unità immobiliari mantenute non occupate per un triennio fino al massimo dello 0,2% aggiuntivo, anche in deroga all’incremento limite dello 0,3% previsto dal comma 6 dell'art. 13 del D.L. 201/2011.

Si ricorda che il citato comma 6 dispone che l'aliquota di base dell'imposta è pari allo 0,76%, ma che i comuni, con deliberazione del consiglio comunale, possono modificare, in aumento o in diminuzione, l'aliquota di base sino a 0,3 punti percentuali (per le altre facoltà di manovrabilità dell’aliquota da parte dei comuni, vedi il commento all’articolo 1).

Si segnala altresì che l’art. 1, comma 1, del D.L. 21 maggio 2013, n. 54, nelle more di una complessiva riforma della disciplina dell'imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare, ha sospeso i versamenti a fini IMU per le abitazioni principali, le unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite  ad  abitazione  principale, gli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari (IACP) o da altri enti di edilizia residenziale pubblica, comunque denominati”.

 

Il comma 6 prevede che le leggi regionali dettino disposizioni relative alla compensazione e all'incentivazione urbanistica nel rispetto dei principi di cui all’articolo in commento.


Art. 7
(Diritti edificatori)

Il comma 1 dell'articolo in esame stabilisce che i diritti edificatori di cui all'art. 2643, numero 2-bis), c.c., generati dalla perequazione urbanistica, dalle compensazioni o dalle incentivazioni previste negli strumenti urbanistici dei comuni, afferiscono a proprietà immobiliari catastalmente individuate.

Lo stesso comma dispone che tali diritti possono essere oggetto di libero trasferimento fra proprietà immobiliari, con obbligo di trascrizione e contestuale notifica al comune.

 

Si ricorda che il citato numero 2-bis), aggiunto dal comma 3 dell’art. 5 del D.L. 70/2011, assoggetta all’obbligo di trascrizione i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale.

Si segnala inoltre che alcune leggi regionali prevedono, nell’ambito delle disposizioni sulla perequazione, l’istituzione di registri delle cessioni dei diritti edificatori. E’ il caso ad esempio dell’art. 11, comma 4, della L.R. Lombardia n. 12/2005.

 

Viene altresì disposto che il trasferimento è efficace nei confronti del comune solo è coerente con le previsioni degli strumenti urbanistici, nonché degli strumenti e delle norme di pianificazione sovraordinati.

Al contratto di trasferimento deve essere allegato il certificato di destinazione urbanistica.

 

Il comma 2 disciplina l’efficacia dei diritti edificatori nel caso in cui le leggi regionali fissino un limite temporale alla conformazione edificatoria operata dagli strumenti urbanistici.

In tali casi, allo scadere del termine perdono di efficacia i diritti edificatori non ancora utilizzati, salvo che la loro originaria attribuzione da parte del comune non sia stata frutto di una compensazione.


Art. 8
(Fiscalità urbanistica comunale).

Ai sensi del comma 1, ai fini dell'applicazione delle disposizioni di legge in materia di fiscalità comunale relativa agli immobili e in particolare dell'IMU, sono da considerare aree edificabili quelle oggetto di conformazione edificatoria da parte degli strumenti urbanistici, a esclusione delle aree interessate dalle previsioni programmatiche della pianificazione strutturale definita ai sensi della normativa regionale.

Il principio della separazione di un piano strutturale – recante norme non direttamente vincolistiche per la proprietà immobiliare – da un piano operativo recante le disposizioni attuative – ha ormai trovato attuazione in numerose leggi regionali[9].

 

Il comma 2 disciplina l’utilizzo dei proventi degli oneri relativi all'urbanizzazione primaria e secondaria e al costo di costruzione previsti dall'art. 16 del D.P.R. 380/2001 (T.U. edilizia), prevedendo che siano:

§         versati in un conto corrente vincolato presso la tesoreria del comune;

§         destinati esclusivamente a:

-     realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria;

-     risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici e in altri tessuti urbani da tutelare;

-     acquisizione delle aree da espropriare;

-     nonché, nel limite massimo del 30%, a spese di manutenzione ordinaria e straordinaria del patrimonio comunale.

 

La norma riprende il contenuto dell’art. 12 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, - che era stato abrogato dall’art. 136 del D.lgs 6 giugno 2001 n. 378  (Disposizioni legislative in materia edilizia) e dall’art. 136 del D.P.R. n. 380 del 2001 - in base al quale i proventi degli oneri di urbanizzazione erano considerati quali risorse vincolate a destinazione specifica, in quanto erano versati su conti correnti speciali presso le tesorerie comunali ed erano destinati alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici, all'acquisizione delle aree da espropriare per la realizzazione dei programmi pluriennali di cui all'articolo 13, nonché, nel limite massimo del 30 per cento, a spese di manutenzione ordinaria del patrimonio comunale.

 

Nel corso degli anni sono state adottate alcune norme volte a disciplinare l’utilizzo dei predetti proventi al fine di destinarli, tra l’altro, in misura prevalente alle spese correnti.  

 

L’articolo 1, comma 43, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005) aveva stabilito la possibilità di destinare i proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni previste dal testo unico n. 380 del 2001 al finanziamento di spese correnti entro il limite del 75 per cento per il 2005 e del 50 per cento per il 2006.

L’articolo 2, comma 8, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008)[10], successivamente modificato dall’articolo 2, comma 41, del D.L. 225/2010[11], ha consentito, dal 2008 fino al 2012, di utilizzare i proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni, previste dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, per una quota non superiore al 50 per cento per il finanziamento di spese correnti e per una quota non superiore ad un ulteriore 25 per cento esclusivamente per spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del patrimonio comunale.

 

Da ultimo, l’articolo 4, comma 3, della legge 14 gennaio 2013, n. 10, recante norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani, ha introdotto una norma a regime in base alla quale “le maggiori entrate derivanti dai contributi per il rilascio dei permessi di costruire e dalle sanzioni previste dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia sono destinate alla realizzazione di opere pubbliche di urbanizzazione, di recupero urbanistico e di manutenzione del patrimonio comunale in misura non inferiore al 50 per cento del totale annuo”.

 

Appare, pertanto, opportuno un coordinamento tra la norma in commento e l’articolo 4, comma 3, della legge n. 10 del 2013, che reca una disciplina a regime in ordine alla destinazione dei proventi derivanti dagli oneri di urbanizzazione.

 

Il comma 3 - fermo restando quanto stabilito dalla legislazione vigente in materia tributaria e di autonomia fiscale concernente le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni, nell'ambito del governo del territorio – consente l’applicazione della fiscalità di scopo negli interventi relativi a politiche, programmi e progetti nei settori dei trasporti, delle infrastrutture, delle problematiche abitative, dell'ambiente, dell'efficienza energetica e dei servizi pubblici.

 

L’imposta di scopo è stata regolata dall’articolo 1, commi 145-151, della legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007), che prevede la possibilità per i comuni di istituire, con regolamento, un’imposta di scopo per finanziare la realizzazione di opere pubbliche. In particolare, la norma rimette ad un regolamento comunale, emanato ai sensi dell’articolo 52 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, l’istituzione dell’imposta (comma 145), che deve essere destinata esclusivamente alla parziale copertura delle spese per la realizzazione di specifiche opere pubbliche. Soggetto passivo dell’imposta è il proprietario di fabbricati, aree fabbricabili, terreni agricoli, situati nel territorio del Comune, o titolare di diritto di usufrutto, uso, abitazione, superficie, enfiteusi. Per gli immobili concessi in locazione finanziaria, soggetto passivo è il locatario. Nel caso di concessione su aree demaniali, soggetto passivo è il concessionario.

Su tale disciplina è intervenuto l’articolo 6 del D.Lgs. 23 del 2011 sul federalismo municipale in modo tale da prevedere: a) l’individuazione di opere pubbliche ulteriori rispetto alle tipologie definite dalla normativa vigente; b)  l’aumento sino a dieci anni della durata massima di applicazione dell’imposta; c) la possibilità che il gettito dell’imposta finanzi l’intero ammontare della spesa dell’opera pubblica da realizzare. Il comma 1 prevede quindi che la revisione dell’imposta di scopo – nei termini sopra richiamati – sia effettuata con regolamento governativo da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, d’intesa con la Conferenza Stato-città autonomie locali entro il 31 ottobre 2011, mentre il comma 2 fa salvo l’obbligo di restituzione nel caso di mancato inizio dell’opera entro due anni dalla data prevista dal progetto esecutivo.

Il comma 1-quater dell’articolo 4 del decreto-legge n. 16 del 2012 ha quindi modificato ulteriormente la disciplina dell’imposta, consentendo ai comuni di disciplinare con regolamento l’imposta di scopo, in luogo della revisione dell’imposta da effettuarsi con regolamento governativo (D.P.R.) e disponendo che, a decorrere dall’entrata in vigore dell’IMU sperimentale (e cioè dal 2012), l’imposta di scopo si applichi o, se istituita, continui ad applicarsi con riferimento alla base imponibile e secondo la disciplina vigente. Il comune è quindi autorizzato ad adottare i provvedimenti correttivi eventualmente necessari per assicurare il rispetto delle disposizioni sopra descritte.

 

Il comma 4 disciplina il versamento del contributo di tutela del suolo e di rigenerazione urbana, di cui all’art. 2, per interventi relativi a insediamenti che producono esternalità sovracomunali, definiti tali da leggi regionali o da piani intercomunali o da piani delle province e delle città metropolitane.

 

In tali casi il contributo deve essere versato in fondi intercomunali da utilizzare ai fini della realizzazione degli interventi previsti dal comma 4 del medesimo articolo 2.

 

Ai sensi del comma 5, i trasferimenti di beni immobili che intervengono in forza di modalità perequative e compensative sono soggetti:

§         all'imposta di registro nella misura ridotta dell'1%;

§         alle imposte ipotecarie e catastali, se dovute, in misura fissa.

 

L'imposta di registro, regolata dal Testo unico dell'imposta di registro (D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131) è dovuta al momento della registrazione di determinati atti giuridici presso l'Agenzia delle Entrate. L’imposta ipotecaria e l’imposta catastale sono regolate dal Testo unico delle disposizioni concernenti le imposte ipotecaria e catastale (D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347) e hanno per oggetto i trasferimenti immobiliari, sia a titolo gratuito sia a titolo oneroso.

Si ricorda che l’agevolazione in commento è già prevista per l’acquisto della ”prima casa”: nel caso che il venditore dell'immobile sia un privato non soggetto ad IVA, si applica l'imposta di registro del 3% (invece che del 7% sul valore dichiarato), mentre le imposte ipotecaria e catastale è determinata nella misura fissa di 168 euro ciascuna. Nel caso di acquisto da impresa "costruttrice" o "ristrutturatrice" entro 4 anni dalla data di ultimazione dei lavori, si dovrà pagare l'IVA ridotta al 4% (invece che del 10%) e le imposte di registro, ipotecaria e catastale, in misura fissa pari a 168 euro ciascuna. Qualora l’acquisto avvenga dopo 4 anni dalla ultimazione dei lavori l’IVA ridotta ammonta al 3%



[1]     www.istat.it/it/archivio/51331

[2] http://www.isprambiente.gov.it/files/comunicati-stampa/comunicato_stampa_consumo_suolo.pdf

[3]     In particolare si ricorda quanto sollecitato dalla Conferenza delle Regioni circa la riduzione del consumo della “risorsa” territorio, la tutela delle aree non urbanizzate e la promozione di processi di riqualificazione di quelle edificate, favorendo interventi di sostenibilità ambientale nella realizzazione degli edifici.

[4]     Per una rassegna delle generazioni delle leggi regionali in materia di urbanistica si veda G. De Luca, Generazioni di leggi urbanistiche regionali (www.urba.unifi.it/docprog/deluca/didattica/glossario/termini/G/Generazioni leggi regionali.html).

[5]     In proposito, si veda la scheda di approfondimento sui titoli abilitativi all’attività edilizia – compresa nella documentazione di inizio legislatura - consultabile al seguente link http://leg16.camera.it/561?appro=39.

[6]     Per una disamina di tali disposizioni si rinvia alla scheda di approfondimento consultabile al seguente link http://leg16.camera.it/561?appro=671&I+%22piani+casa%22+e+i+%22piani+città%22.

 

[7]     F. Gualandi, La circolazione dei diritti edificatori e altre questioni di giurisdizione in materia di edilizia e di urbanistica (www.inu.it/wp-content/uploads/Articolo_Gualandi_26_febbraio_2013.pdf).

[8]     Si segnalano le leggi delle seguenti regioni: Basilicata (art. 33, L.R. 11 agosto 1999, n. 23), Calabria (art. 54, L.R. 16 aprile 2002, n. 19), Friuli-Venezia Giulia (art. 31, L.R. 23 febbraio 2007, n. 5), Emilia Romagna (art. 7, L.R. 24 marzo 2000, n. 20), Lombardia (art. 11, L.R. 11 marzo 2005, n. 12), Puglia (art. 7, L.R. 13 dicembre 2004, n. 24), Toscana (art. 60, L.R. 3 gennaio 2005, n. 1), Umbria (art. 29, L.R. 22 febbraio 2005, n. 11), Veneto (art. 35, L.R. 21 ottobre 2004, n. 20). Si segnala altresì la legge 4 marzo 2008, n. 1 della Provincia autonoma di Trento (art. 53).

 

[9]     Tra le più recenti si cita l’articolo 29 della legge 25 marzo 2013, n. 3, della regione Piemonte.

[10] La norma riproduceva di fatto, per il triennio 2008-2010, quanto disposto per il solo 2007 dal comma 713 dell’art. 1 della legge finanziaria 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296).

 

[11] Che ha prorogato gli effetti di tale norma fino al 2012.