Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: Audizione del Ministro dell'ambiente sullo stato e sulle conseguenze delle procedure di infrazione dell'UE in materia ambientale
Serie: Documentazione per le Commissioni - Audizioni e incontri con rappresentanti dell'UE    Numero: 33
Data: 29/02/2016


Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

 

 

 

 

Documentazione per le Commissioni

audizioni e incontri in ambito ue

 

 

 

 

 

 

Audizione del Ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, sullo stato e sulle conseguenze delle procedure di infrazione dell’UE in materia ambientale

 

 

Roma, 1° marzo 2016

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 33

 

29 febbraio 2016


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il dossier è stato curato dall’Ufficio rapporti con l’Unione europea
(' 066760.2145 - * cdrue@camera.it) ), in collaborazione, per le parti specificamente indicate, con il Servizio Studi, dipartimento ambiente (' 06 6760.9253 - * st_ambiente@camera.it) della Camera dei deputati.

 

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I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.


 

I N D I C E

 

Scheda di lettura   1

Le procedure di infrazione in materia ambientale  3

1.Le fasi dei procedimenti d'infrazione  3

2.Il controllo parlamentare sulle procedure di infrazione: la legge n. 234 del 2012  6

3.Le procedure di infrazione in corso in materia ambientale  7

4.Le procedure di infrazione in dettaglio  11

-        Rifiuti 11

-        Risanamento aree industriali 18

-        Trattamento acque reflue  19

-        Qualità dell’aria  21

-        Conservazione habitat naturali 22

-        Commercializzazione sacchetti di plastica  23

-        Gestione del rumore ambientale  23

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Scheda di lettura



Le procedure di infrazione in materia ambientale

1.    Le fasi dei procedimenti d'infrazione

Come stabilito dall’articolo 17 del Trattato sull’Unione europea, la Commissione controlla l'applicazione del diritto dell'Unione e ne garantisce il rispetto da parte degli Stati membri. A tal fine, la Commissione controlla i testi delle misure nazionali di recepimento che riceve dagli Stati membri e avvia indagini d'ufficio. Essa, inoltre, esamina e tratta le denunce presentate da singoli cittadini, imprese, ONG e altri soggetti interessati e le petizioni del Parlamento europeo che segnalano potenziali violazioni delle norme.

Ogni anno la Commissione pubblica una relazione sull’applicazione del diritto dell’Unione europea, in cui riesamina i risultati ottenuti dagli Stati membri in ordine ai principali aspetti dell'applicazione del diritto dell'UE ed evidenzia i principali sviluppi registrati nell’anno per quanto riguarda la politica di applicazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come evidenziato puntualmente nel paragrafo successivo, si segnala che, alla data del 26 febbraio 2016, risultano aperte nei contronti dell’Italia 83 procedure di infrazione.

 

A partire dal 2008, qualora rilevi una possibile infrazione, la Commissione lavora in collaborazione con gli Stati membri per risolvere i problemi in maniera efficiente e in conformità del diritto dell'Unione, attraverso un processo di dialogo strutturato, con un calendario ben definito, denominato EU Pilot.

Qualora tale dialogo non dia esito positivo, la Commissione può decidere di avviare una procedura d'infrazione formale a norma dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

Esistono tre principali tipi di infrazione al diritto UE:

·        

Diverse tipologie di infrazione

 
mancato recepimento/mancata notifica: lo Stato membro non ha recepito o non ha notificato tempestivamente alla Commissione le misure di attuazione di una direttiva;

·         mancata conformità/mancata osservanza: la Commissione ritiene che la legislazione di uno Stato membro non rispetti i requisiti delle norme UE;

·         applicazione non corretta/inadeguata: il diritto dell'Unione è applicato in maniera non corretta o non è affatto applicato dalle autorità nazionali.

Messa in mora

 
Nella fase precontenziosa di una procedura d'infrazione, dapprima la Commissione invia allo Stato membro una lettera di messa in mora, chiedendo di fornire spiegazioni entro un determinato termine. Successivamente, qualora lo Stato membro non risponda o qualora la sua risposta non sia soddisfacente, la Commissione invia un parere motivato chiedendo allo Stato membro di conformarsi entro un determinato termine.

Corte di giustizia

 
Nel caso in cui lo Stato membro non si conformi al parere motivato, la Commissione avvia un procedimento contenzioso deferendo il caso alla Corte di giustizia.

Condanna pecuniaria

 
Qualora lo Stato membro non adotti i provvedimenti necessari per conformarsi alla sentenza con la quale la Corte rileva una violazione di obblighi derivanti dal diritto dell'Unione, la Commissione può proseguire il procedimento d'infrazione ai sensi dell'articolo 260, paragrafo 2, del TFUE e deferire nuovamente lo Stato membro alla Corte dopo avere inviato una lettera di messa in mora. In tal caso la Commissione può proporre, e la Corte può comminare, il pagamento di sanzioni pecuniarie (somma forfettaria e/o penalità giornaliere). Nel caso di mancato recepimento di una direttiva la Commissione può adire direttamente la Corte di giustizia, ai sensi dell’art. 260, per chiedere la condanna pecuniaria.

Le sanzioni – si veda la comunicazione (SEC(2005)1658) del 2005 - sono fissate in base a tre criteri generali:

·         la gravità dell’infrazione;

·         la durata dell’infrazione;

·         la necessità di garantire l’efficacia dissuasiva della sanzione.

Per applicare tali criteri sono previsti specifici coefficienti che tengono conto, caso per caso, della natura della violazione, della sua durata e della capacità dello Stato membro e sono aggiornati periodicamente, per tenere conto dell’anda­mento dell’inflazione e del prodotto interno lordo di ciascuno Stato membro.

Sanzione forfettaria per l’Italia

 
Applicando i coefficienti aggiornati nel 2015, per l'Italia la sanzione forfettaria minima è pari a 8.916.000 euro, cui può aggiungersi una penalità di mora pari ad un minimo di 10.753,5 ed ad un massimo di circa 645.210 euro per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione della sentenza, a seconda della gravità dell'infrazione.

 Non è quindi possibile determinare a priori l'ammontare esatto delle sanzioni pecuniarie che la Corte di giustizia può infliggere all'Italia.

L'Italia ha subito sinora quattro condanne pecuniarie, di cui due violazioni in materia ambientale:

·         una relativa alle discariche abusive, in cui è stato seguito un criterio complesso: una somma forfetaria di 40 milioni di euro più una penalità decrescente su base semestrale di 42,8 milioni dalla quale però devono essere detratti 400.000 euro per ciascuna discarica contenenti rifiuti pericolosi messa a norma e 200.000 euro per le altre discariche regolarizzate (vedi infra);

·         la seconda determinata dall’inesatta applicazione nella regione Campania degli articoli 4 e 5 della direttiva 2006/12/CE, relativa ai rifiuti (vedi infra). L’Italia è tenuta al pagamento di:

-       una penalità di 120.000 euro per ciascun giorno di ritardo nell’attuazione della precedente sentenza del 2010; tale cifra è calcolata moltiplicando un importo giornaliero di 40.000 euro per le tre categoria di impianti (discariche, termovalorizzatori e impianti di trattamento dei rifiuti organici) per cui si è rilevata l’inesatta applicazione della direttiva;

-       una somma forfettaria di 20 milioni di euro.

 

2.    Il controllo parlamentare sulle procedure di infrazione: la legge n. 234 del 2012

La legge n. 234/2012 recante “Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea”, in vigore dal 19 gennaio 2013, ha rafforzato il controllo parlamentare sulle procedure di infrazione avviate dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia, imponendo al Governo nuovi obblighi di informazione e comunicazione nei confronti del Parlamento.

In particolare, la legge prevede che il Governo:

·       trasmetta alle Camere, ogni tre mesi: gli elenchi delle sentenze della Corte di giustizia e degli altri organi giurisdizionali dell’UE, relative all’Italia; dei rinvii pregiudiziali disposti da organi giurisdizionali italiani; delle procedure d’infrazione nei confronti dell’Italia e dei procedimenti di indagine formale sugli aiuti di Stato, avviati dalla Commissione europea; ogni sei mesi; informazioni sulle eventuali conseguenze di carattere finanziario di tali atti (articolo 14);

·      comunichi alle Camere le decisioni della Commissione europea concernenti l’avvio di una procedura di infrazione, contestualmente alla ricezione della relativa notifica da parte della Commissione europea (articolo 15, comma 1);

·       trasmetta, entro 20 giorni dalla comunicazione alle Camere dell’avvio di una procedura di infrazione, una relazione che illustri le ragioni che hanno determinato l’avvio della procedura e indichi le attività che si intende assumere per la sua positiva risoluzione (articolo 15, comma 2);

·       informi le Camere di ogni sviluppo significativo delle procedure di infrazione, avviate per la mancata esecuzione di una sentenza della Corte di giustizia che possono condurre a una ulteriore sentenza di condanna dello Stato al pagamento di una somma forfettaria o a una penalità (articolo 15, comma 3);

·       informi ogni sei mesi le Camere sullo stato di recepimento delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome nelle materie di loro competenza (articolo 39);

·       nel caso in cui il provvedimento di recepimento di una direttiva dell'UE non sia stato adottato alla scadenza del termine da essa previsto, trasmetta alle Camere una relazione che dà conto dei motivi addotti a giustificazione del ritardo nel recepimento (articolo 39).

La legge n. 234/2012, inoltre, prevede specifici strumenti per sanare le infrazioni del diritto europeo.

In particolare, agli articoli 29 e successivi, la legge individua il contenuto proprio della legge di delegazione europea e della legge europea e stabilisce che:

·      il disegno di legge di delegazione europea è corredato da una relazione illustrativa, aggiornata al 31 dicembre dell’anno precedente, in cui il Governo riferisce sullo stato di conformità dell'ordinamento interno al diritto dell'Unione europea e sullo stato delle eventuali procedure d'infrazione e fornisce l'elenco dei provvedimenti con i quali nelle singole regioni e province autonome si è provveduto a recepire le direttive dell'Unione europea nelle materie di loro competenza;

·      il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei ogni sei mesi informa le Camere sullo stato di recepimento delle direttive europee da parte delle regioni e delle province autonome nelle materie di loro competenza (articolo 40, comma 5);

·      nel caso di inerzia, è previsto il potere sostitutivo del Governo da esercitarsi con l’adozione di provvedimenti di attuazione degli atti dell'Unione europea non tempestivamente recepiti dalle regioni e dalle province autonome (articolo 41).

 

3.    Le procedure di infrazione in corso in materia ambientale

Come risulta dal sito del Dipartimento per le politiche europee, le procedure di infrazione in corso al 26 febbraio 2016 in materia ambientale sono 18, su un totale di 83, confermando la tendenza già evidenziata negli anni precedenti per cui l’ambiente è il settore in cui l’Italia presenta il più alto tasso di violazioni del diritto dell’UE. Come evidenziato in precedenza è nel settore ambientale che è stato aperto nel 2014 il maggior numero di procedure di infrazione. Il seguente grafico mostra tuttavia un andamento decrescente a partire dal 2007:

http://ec.europa.eu/environment/legal/law/images/statistics_clip_image002.png

La tabella che segue presenta il quadro delle procedure in essere e il loro stadio, come risultante dai dati del Dipartimento per le politiche dell’UE aggiornati al 26 febbraio 2016.

Si ricorda che alcune delle procedure investono la competenza di regioni e province autonome.

 

Riferimento

Argomento

Stadio

2015_2165

piani regionali di gestione dei rifiuti. Violazione della direttiva 2008/98/CE

messa in mora art. 258 TFUE

2015_2163

mancata designazione delle Zone Speciali di Conservazione (ZSC) e mancata adozione delle misure di conservazione. Violazione direttiva habitat    

messa in mora art. 258 TFUE

2015_2043

applicazione della direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell’aria ambiente ed in particolare obbligo di rispettare i livelli di biossido di azoto(NO2)          

messa in mora art. 258 TFUE

2015_0439           

mancato recepimento della direttiva 2013/56/UE del 20 novembre 2013, che modifica la direttiva 2006/66/CE relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori per quanto riguarda l’immissione sul mercato di batterie portatili e di accumulatori contenenti cadmio destinati a essere utilizzati negli utensili elettrici senza fili e di pile a bottone con un basso tenore di mercurio, e che abroga la decisione 2009/603/CE della Commissione

messa in mora art. 258 TFUE

2015_0307

mancato recepimento della direttiva 2014/77/UE della Commissione, del 10 giugno 2014, recante modifica degli allegati I e II della direttiva 98/70/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel (Testo rilevante ai fini del SEE)

parere motivato art. 258 TFUE

 

2014_2147

cattiva applicazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria - superamento dei valori limite di PM10 in Italia

messa in mora art. 258 TFUE

2014_2059

attuazione della direttiva 1991/271/CEE relativa al trattamento delle acque reflue urbane

parere motivato art. 258 TFUE

2014_2006

normativa italiana in materia di cattura di uccelli da utilizzare a scopo di richiami vivi – Violazione della direttiva 2009/147/CE

parere motivato art. 258 TFUE

2013_2177

stabilimento siderurgico ILVA di Taranto

parere motivato art. 258 TFUE

2013_2022

non corretta attuazione della direttiva 2002/49/CE relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale. Mappe acustiche strategiche

messa in mora art. 258 TFUE

2011_4030

commercializzazione dei sacchetti di plastica

messa in mora complementare art. 258 TFUE

2011_4021

non conformità della discarica di Malagrotta (Regione Lazio) con la direttiva discariche (dir. 1999/31/CE)

Sentenza art. 258 TFUE

 

2011_2215

violazione dell'articolo 14 della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti in Italia

parere motivato complementare art. 258 TFUE

2009_4426

valutazione d'impatto ambientale di progetti pubblici e privati. Progetto di bonifica di un sito industriale nel Comune di Cengio (Savona)

parere motivato complementare art. 258 TFUE

2009_2034

cattiva applicazione della Direttiva 1991/271/CE relativa al trattamento delle acque reflue urbane

 

 

Sentenza art. 258 TFUE

2007_2195

emergenza rifiuti in Campania

sentenza Corte di giustizia art. 260 TFUE

2004_2034

Cattiva applicazione degli articoli 3 e 4 della direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane

messa in mora art. 260 TFUE

2003_2077

non corretta applicazione delle direttive 75/442/CE e 91/689/CEE sui rifiuti. Misure di controllo sulle discariche abusive

sentenza Corte di giustizia art. 260 TFUE

                                                                                                    

 

L’approvazione della legge europea 2014 (legge 29 luglio 2015, n. 115 - Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea) ha posto le premesse per il superamento della procedura di infrazione n. 2014/2006 in materia di cattura di uccelli da utilizzare a scopo di richiami vivi.

Qualità della benzina e del diesel

 
Le disposizioni per la piena attuazione della direttiva 2014/77/UE relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel (procedura di infrazione 2015/0307) sono invece contenute all’articolo 43 della legge 28 dicembre 2015, n. 221 (cd. “collegato ambientale”). Tuttavia, la procedura di infrazione n. 2015/0307 risulta ancora in corso, ed anzi in data 25 febbraio 2016 la Commissione europea ha inviato un parere motivato con il quale rileva che l'Italia è l'unico Stato membro a non aver comunicato alla Commissione le misure nazionali adottate per conformarsi alla direttiva citata.

EU-pilot

 
Per quanto riguarda le procedure EU-pilot, i casi avviati dalla Direzione ambiente della Commissione europea sono 33 su un totale di 104. Occorre comunque far presente che la maggior parte dei casi ambientali riguardano violazioni imputabili alle amministrazione regionali. Inoltre un caso, sia pure aperto dalla Direzione Ambiente della Commissione, è di competenza del Ministero della Salute.

I 33 casi sono così suddivisi per settore:

Il disegno di legge europea 2015 (il cui esame è iniziato al Senato il 24 febbraio 2016) affronta due casi EU Pilot in materia ambientale:

·         il primo (articolo 17 del ddl) sulla non corretta applicazione di alcune disposizioni della direttiva 2009/147/UE concernente la conservazione degli uccelli selvatici (caso EU Pilot 6955/14/ENVI). In particolare, le attività venatorie praticate in diverse regioni italiane non sarebbero compatibili con la normativa dell’UE dal momento che alcune specie di uccelli selvatici sarebbero cacciate in fase di migrazione pre-nuziale e diverse specie di uccelli in cattivo stato di conservazione sarebbero cacciate in assenza di piani di gestione o di conservazione;

·         il secondo (articolo 18 del ddl) in merito al recepimento di alcune disposizioni della direttiva 2009/31/CE relativa allo stoccaggio geologico del biossido di carbonio (caso EU-Pilot 7334/15/CLIM).

 

4.    Le procedure di infrazione in dettaglio

Rifiuti

Piani di gestione dei rifiuti

 
Il 22 ottobre 2015 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora ex art. 258 del TFUE (procedura di infrazione 2015/2165) per aver violato gli articoli 28, 30 e 33 della direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti, con riferimento ai piani di gestione dei rifiuti delle province autonome di Trento e Bolzano e di 13 regioni (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Molise, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Valle d’Aosta, Veneto) .

Sulla base delle citate disposizioni della direttiva, gli Stati membri provvedono affinché le autorità competenti predispongano uno o più piani di gestione dei rifiuti e procedano alla loro valutazione – e, se opportuno al loro riesame - almeno ogni sei anni. Gli Stati membri sono inoltre tenuti a informare la Commissione dell’adozione di tali piani e delle eventuali revisioni sostanziali apportate.

La Commissione ha rilevato che i piani di gestione delle suddette regioni e province autonome risultavano datati (vale a dire adottati nel 2008 o ancora prima) e la revisione non era stata ancora avviata o era ancora in corso di attuazione.

 

Discariche abusive

 
Per la mancata adozione di misure di controllo delle discariche abusive, in violazione delle direttive 75/442/CEE (relativa ai rifiuti), 91/689/CEE (relativa ai rifiuti pericolosi) e 1999/31/CE (relativa alle discariche) è in corso la procedura di infrazione 2003/2077.

In relazione a tale procedura, la Corte di giustizia, il 26 aprile 2007 (causa C-135/05), ha dichiarato l’inadempienza dell’Italia per non avere adottato tutti i provvedimenti necessari per assicurare lo smaltimento dei rifiuti senza pericolo per la salute umana e per l’ambiente e per vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti; inoltre, secondo la sentenza l’Italia non ha adempiuto agli obblighi relativi all’obbligo di autorizzazione delle operazioni di smaltimento, alla catalogazione dei rifiuti pericolosi, e all’adozione di piani di riassetto delle discariche esistenti alla data del 16 luglio 2001.

Il 2 dicembre 2014, la Corte di giustizia, nell’ambito della causa C-196/13, promossa dalla Commissione per l’inerzia dell’Italia ad adottare tutte le misure necessarie per conformarsi alla richiamata sentenza del 26 aprile 2007, ha condannato l’Italia al pagamento di sanzioni pecuniarie.

In particolare, secondo la Corte, la mera chiusura di una discarica o la copertura dei rifiuti con terra e detriti non è sufficiente per adempiere agli obblighi derivanti dalla direttiva rifiuti. Inoltre, gli Stati membri sono tenuti a verificare se sia necessario bonificare le vecchie discariche abusive e, all’occorrenza, sono tenuti a bonificarle. Il sequestro della discarica e l’avvio di un procedimento penale contro il gestore non costituiscono misure sufficienti. Per quanto riguarda l’Italia, la Corte rileva che, alla scadenza del termine impartito del 30 settembre 2009, lavori di bonifica erano ancora in corso o non erano stati iniziati in certi siti; mentre per altri siti, non è stato fornito alcun elemento utile a determinare la data in cui tali lavori sarebbero stati eseguiti.

Inoltre, l’Italia non si è assicurata che il regime di autorizzazione istituito fosse effettivamente applicato e rispettato; non ha assicurato la cessazione effettiva delle operazioni realizzate in assenza di autorizzazione; non ha neppure provveduto ad una catalogazione e un’identificazione esaustive di ciascuno dei rifiuti pericolosi sversati nelle discariche. Infine, essa continua a violare l’obbligo di garantire che per determinate discariche sia adottato un piano di riassetto o un provvedimento definitivo di chiusura.

Audizione del Ministro Galletti del 18 dicembre 2014

 
Pertanto, la Corte ha condannato l’Italia al pagamento di una somma forfettaria di 40 milioni di euro e di una penalità decrescente, il cui importo iniziale (pari a 42,8 milioni euro) sarà ridotto progressivamente in ragione del numero di siti che saranno messi a norma conformemente alla sentenza, computando due volte le discariche contenenti rifiuti pericolosi.

 

Si segnala che, nel corso dell’audizione del 18 dicembre 2014 dinanzi alle Commissioni riunite VIII e XIV, il Ministro dell’ambiente, Gian Luca Galletti, ha affermato che il piano straordinario di bonifica delle discariche abusive, approvato il 9 dicembre 2014 e finanziato a valere sul fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente dalla legge di stabilità 2014 (articolo 1, comma 113, della legge n. 147/2013), con una dotazione di 30 milioni di euro per ciascuno degli esercizi 2014 e 2015, individua interventi su complessive 45 discariche in procedura di infrazione, rispetto ai quali sono stati adottati specifici criteri di finanziamento.

In particolare, è stata assegnata la massima priorità agli interventi in aree e discariche pubbliche ritenute più rapidamente cantierabili dalle regioni interessate. In secondo luogo, si è deciso di garantire la copertura delle opere non immediatamente cantierabili. Tali interventi, in totale 29, troveranno copertura finanziaria a valere sulle risorse disponibili del fondo e saranno attuati attraverso gli accordi di programma quadro già stipulati tra il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell'ambiente e le regioni Abruzzo, Puglia, Sicilia e Veneto.

Le risorse stanziate

 
Invece, le ulteriori iniziative individuate, per un totale di 16 discariche, che ricomprendono tra l'altro gli interventi in sostituzione e in danno da effettuare nei confronti dei privati inadempienti nelle discariche interessate dalla presenza di rifiuti pericolosi in Emilia-Romagna, Liguria e Umbria, potranno essere finanziate solo attraverso il reperimento delle risorse necessarie (54 milioni), che vanno sommati ai 7 che risultano già disponibili da parte delle regioni, per un totale di 61 milioni di euro. A tale riguardo, si segnala che la legge di stabilità 2015 (legge n. 190/2014) prevede l’accantonamento presso lo stato di previsione della spesa del Ministero dell’ambiente di 7,7 milioni di euro nel 2015 e 17,4 milioni di euro di conto capitale per ciascuno degli anni 2016 e 2017 finalizzato, tra l’altro, ad interventi di bonifica e ripristino dei siti inquinati. La legge di stabilità 2016 (legge n. 208/2015), al comma 839, ha incrementato di ulteriori 30 milioni di euro (10 milioni per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018), la dotazione del fondo per il finanziamento del piano straordinario di bonifica delle discariche abusive. Lo stesso comma 839 prevede che il Ministero dell'ambiente provveda alla pubblicazione nel sito internet istituzionale di un cronoprogramma degli interventi attuativi previsti nel piano e ad indicare progressivamente quelli effettivamente realizzati.

Ulteriori elementi di informazione sullo stato della procedura di infrazione in corso relativa alle discariche abusive sono stati forniti dal Governo in risposta all'interrogazione 5-07544 presso la Commissione VIII ambiente della Camera. In quell’occasione il rappresentante del Governo ha precisato che a giugno 2015 il Ministero ha trasmesso al Dipartimento per le politiche europee per il successivo inoltro alla Commissione europea la documentazione, ricevuta dalle Regioni, utile a dimostrare la messa a norma di 54 siti. A seguito della disamina della documentazione acquisita, la Commissione europea ha riconosciuto la messa a norma di 14 discariche e di un errore di censimento rispetto alle 54 indicate dal Governo Italiano, escludendole dal pagamento della penalità semestrale, contestualmente ha notificato l'ingiunzione di pagamento della penalità semestrale per le discariche restanti, per un ammontare di 39,8 milioni di euro.

Con specifico riferimento alle sanzioni, il Governo ha precisato che risultavano pagate tanto la sanzione forfettaria di 40 milioni di euro, notificata con la sentenza di condanna, quanto la penalità per il primo semestre di 39,8 milioni di euro. Al 28 gennaio 2016 non risultava ancora notificata la seconda ingiunzione di pagamento posto che la Commissione europea sta istruendo la documentazione trasmessa in data 2 dicembre 2015.

Elementi di informazione sulla procedura di infrazione in questione si trovano altresì contenuti all’interno della “Relazione alle Camere recante l'indicazione dei dati relativi alla gestione dei rifiuti, alla connessa dotazione impiantistica nelle varie aree del territorio nazionale e ai risultati ottenuti nel conseguimento degli obiettivi prescritti dalla normativa nazionale e comunitaria, nonché l'individuazione delle eventuali situazioni di criticità e delle misure atte a fronteggiarle” (Doc. CCXXXIV, n. 1).

Discariche irregolari

 
Il 18 giugno 2015, la Commissione, nell’ambito della procedura di infrazione 2011/2215, ha emesso nei confronti dell’Italia un parere motivato complementare ex art. 258 TFUE per la violazione degli obblighi imposti dall’art. 14 della direttiva 1999/31/CE sulle discariche di rifiuti. In particolare, la Commissione considera irregolari 102 discariche già esistenti o autorizzate al 16 luglio 2001 per le quali, entro il 16 luglio 2009, in base alla normativa europea si sarebbe dovuto prevedere e dare esecuzione ad un adeguato piano di riassetto ovvero procedere alla chiusura, qualora detto piano fosse risultato inadeguato.

Sulla base delle informazioni, risulta alla Commissione che, nonostante i progressi compiuti, sul territorio italiano vi sono ancora 46 discariche con riferimento alle quali non sono stati adempiuti gli obblighi previsti dalla direttiva. Le regioni interessate sono l’Abruzzo (15 discariche), la Basilicata (19 discariche), la Campania (2 discariche), il Friuli Venezia Giulia (4 discariche), la Liguria (1 discarica per rifiuti pericolosi) e la Puglia (5 discariche).

 

Gestione dei rifiuti in Campania

 
Con sentenza del 4 marzo 2010, pronunciata nella causa C-297/08 (in esito alla procedura di infrazione n. 2007/2195), la Corte di Giustizia ha stabilito che l’Italia ha violato gli obblighi comunitari di corretta gestione dei rifiuti nella regione Campania, in particolare per la mancanza di una rete integrata di gestione dei rifiuti nella regione.

Rilevando che il Programma attuativo per la realizzazione degli interventi necessari ad adempiere agli obblighi stabiliti nella citata sentenza, predisposto e approvato dalla regione Campania, non è stato rispettato, il 10 dicembre 2013, la Commissione europea ha nuovamente deferito lo Stato italiano innanzi alla Corte di Giustizia per mancata esecuzione della medesima sentenza.

Il Programma attuativo reca misure destinate a gestire i rifiuti nella regione fino al 2016, quando dovrebbero diventare operativi nuovi impianti di trattamento. Tuttavia, la Commissione contesta che dall'estate 2011 le autorità locali hanno dirottato grandi quantità di rifiuti verso impianti in altre regioni, soluzione questa di natura meramente temporanea. Pur riconoscendo i progressi fatti, ad esempio sotto il profilo della raccolta differenziata, la Commissione sottolinea i ritardi che hanno portato all'arresto della costruzione della maggior parte degli impianti previsti per il recupero dei rifiuti organici, degli inceneritori e delle discariche, con il rischio che molte delle installazioni previste non siano pronte per la fine del 2016. Altri fattori preoccupanti sono, ad avviso della Commissione, i circa sei milioni di tonnellate di rifiuti imballati e stoccati presso vari siti in Campania, in attesa di un inceneritore che deve ancora essere costruito, e il basso tasso di raccolta differenziata nella provincia di Napoli: pur essendo la città della Campania che produce più rifiuti, secondo i dati della Commissione Napoli avrebbe un tasso di raccolta differenziata solo di circa il 20%.

Con sentenza del 16 luglio 2015, pronunciata nella causa C-653/13, la Corte di Giustizia ha condannato l’Italia - ai sensi dell’articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea - per non essersi conformata alla precedente sentenza del 2010, C-297/08.

Sulla base della sentenza, l’Italia è tenuta al pagamento di:

·         una penalità di 120.000 euro per ciascun giorno di ritardo nell’attuazione della precedente sentenza del 2010; tale cifra è calcolata moltiplicando un importo giornaliero di 40.000 euro per le tre categoria di impianti (discariche, termovalorizzatori e impianti di trattamento dei rifiuti organici) per cui si è rilevata l’inesatta applicazione della direttiva;

·         una somma forfettaria di 20 milioni di euro.

La Corte ha convalidato gli argomenti proposti dalla Commissione nel ricorso, in particolare per quanto riguarda il problema dello smaltimento dei rifiuti storici (le cosiddette «ecoballe») e il numero insufficiente di impianti aventi la capacità necessaria per il trattamento dei rifiuti urbani nella regione Campania. La Corte sottolinea inoltre che, tenuto conto delle notevoli carenze nella capacità della regione Campania di smaltire i propri rifiuti, è possibile dedurre che una siffatta grave insufficienza a livello regionale può compromettere la rete nazionale di impianti di smaltimento dei rifiuti, la quale cesserà così di presentare il carattere integrato e adeguato richiesto dalla direttiva. Ciò può compromettere seriamente la capacità dell’Italia di perseguire l’obiettivo dell’autosufficienza nazionale nello smaltimento dei rifiuti.

Sempre con riferimento alla sentenza C-297/08, merita segnalare che il 6 novembre 2014 la Corte di giustizia, con la sentenza C-385/13, ha confermato le decisioni con cui la Commissione ha rifiutato di pagare all’Italia i contributi finanziari per la gestione e lo smaltimento dei rifiuti in Campania.

Nel 2000, nell’ambito degli interventi strutturali dell’Unione in Italia, la Commissione ha approvato il programma operativo Campania (PO Campania) per spese effettuate fra il 1999 e il 2008. Una misura contenuta in tale programma concerneva svariate operazioni relative al sistema regionale di gestione e di smaltimento dei rifiuti. Gli interventi della regione destinati a migliorare e a promuovere la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti hanno dato luogo a esborsi pari a 93.268.731,59 euro, il cui 50% (vale a dire 46.634.365,80 euro) è stato cofinanziato dai Fondi strutturali. A seguito della sentenza di condanna sopra richiamata (causa C-297/08), la Commissione, ritenendo che non vi fossero garanzie sufficienti quanto alla corretta realizzazione delle operazioni cofinanziate dal Fondo europeo di sviluppo regionale, ha rifiutato le richieste di rimborso avanzate dalle autorità italiane e pari a 18.544.968,76 euro.

 

Malagrotta e altre discariche laziali

 
La procedura di infrazione n. 2011/4021 è stata avviata nel maggio 2012 per la non conformità alla normativa europea sulle discariche di rifiuti (direttiva 1999/31/CE in combinato disposto con la direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE) della discarica di Malagrotta e di altre discariche laziali. In esito a tale procedura, lo scorso 15 ottobre, la Corte di giustizia dell’UE ha dichiarato l’Italia inadempiente rispetto agli obblighi ad essa incombenti in forza della normativa europea sulle discariche (sentenza C-323/13). La sentenza di condanna si riferisce alla situazione al primo agosto 2012.

In particolare, la Corte di giustizia ha riconosciuto che l'Italia ha violato le norme in materia di rifiuti relativamente al loro conferimento in sette discariche del Lazio: cinque a Roma (Malagrotta, Colle Fagiolara, Cupinoro, Montecelio-Inviolata e Fosso Crepacuore) e due di Latina situate a Borgo Montello.

L'Italia, ad avviso della Corte, non ha adottato tutte le misure necessarie per evitare che i rifiuti urbani fossero conferiti nelle discariche dei siti in questione senza subire un trattamento adeguato, con la differenziazione delle diverse sezioni e la stabilizzazione della frazione organica. Inoltre secondo la Corte, un'ulteriore violazione da parte dell'Italia sta nella mancata creazione, nella Regione Lazio, di una rete integrata ed adeguata di impianti di gestione dei rifiuti, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili. Sottolinea, inoltre, che la nozione di "trattamento" comprende i processi fisici, termici, chimici o biologici (inclusa la cernita), che modificano le caratteristiche dei rifiuti allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa, di facilitarne il trasporto o favorirne il recupero; la direttiva Ue prevede, tra le altre cose, che il trattamento sia costantemente adeguato al progresso scientifico e tecnico.

 

La gestione dei rifiuti nel Lazio dopo la chiusura della discarica di Malagrotta (a cura del Servizio studi)

Successivamente alla chiusura della discarica di Malagrotta, avvenuta nei primi giorni di ottobre del 2013, e dopo la mancata conversione dei decreti-legge nn. 126/2013 e 151/2013, che contenevano norme per il finanziamento del programma di lavoro triennale "Raccolta differenziata", è stato emanato (e convertito in legge) il D.L. 16/2014. Il comma 5-bis dell'articolo 16 di tale decreto dispone la finalizzazione di risorse iscritte nel bilancio dello Stato, nel limite di 22,5 milioni di euro per il biennio 2014-2015, per assicurare l'attuazione degli interventi previsti dal Protocollo d'intesa del 4 agosto 2012 (c.d. Patto per Roma), previa validazione da parte del Ministero dell'ambiente del programma di lavoro triennale "Raccolta differenziata" ivi previsto e opportunamente rimodulato sulla base delle risorse disponibili. La finalità della norma – secondo quanto in essa esplicitato – è il superamento della crisi nel ciclo di gestione integrata dei rifiuti nel territorio di Roma Capitale.

Ulteriori disposizioni sono state dettate dall’art. 14, comma 1, del D.L. 91/2014, che ha introdotto una speciale disciplina per l'adozione, nella Regione Lazio, di ordinanze contingibili e urgenti in materia di rifiuti, derogatoria della disciplina generale contenuta nell'art. 191 del D.Lgs. 152/2006 (c.d. Codice dell'ambiente). Tale norma dichiara espressamente di essere volta a prevenire procedure d'infrazione ovvero condanne della Corte di giustizia dell'Unione europea. Ulteriori disposizioni, finalizzate a garantire (fino al 31 dicembre 2015) il compostaggio fuori regione dei rifiuti organici prodotti nel Lazio, sono state dettate dal comma 8-ter del medesimo articolo 14.

Riciclaggio pile e accumulatori

 
Il 25 febbraio 2016 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato ex art. 258 del TFUE (procedura d’infrazione n. 2015/0439) con il quale il mancato recepimento della direttiva 2013/56/UE relativa a pile ed accumulatori, che doveva essere recepita entro il 1° luglio 2015.

La direttiva in questione mira a ridurre al minimo l'impatto negativo di pile e accumulatori sull'ambiente, stabilendo norme sulla commercializzazione e l'etichettatura delle pile contenenti sostanze pericolose. Essa prescrive agli Stati membri di fissare obiettivi quantitativi di raccolta e riciclaggio di pile e accumulatori. Poiché l'Italia non ha informato la Commissione in merito alle disposizioni attuative, le è stata inviata una lettera di costituzione in mora in data 23 settembre 2015. L'Italia ha successivamente informato la Commissione delle disposizioni legislative di cui era prevista l'adozione, ma non è mai giunta conferma dell'adozione ufficiale.

 

Risanamento aree industriali

Stabilimento ILVA

 
La Commissione europea ha emesso il 16 ottobre 2014 un parere motivato nei confronti dell’Italia nell’ambito della procedura di infrazione n. 2177/2013, avviata il 26 settembre 2013, contestando, in relazione allo stabilimento ILVA di Taranto, la violazione della direttiva 2008/1/CE (cd. Direttiva IPPC) sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento fino al 7 gennaio 2014, e della direttiva 2010/75/UE, relativa alle emissioni industriali, a decorrere da tale data. Nel parere motivato, la Commissione, pur riconoscendo i progressi conseguiti dalla data di costituzione in mora, contesta la violazione delle direttive sopra richiamate con riferimento ai seguenti ambiti:

·         la mancata copertura dei siti di stoccaggio dei minerali e dei materiali polverulenti;

·         la mancata adozione di provvedimenti volti alla minimizzazione delle emissioni gassose dagli impianti di trattamento dei gas;

·         la mancata adozione di misure per il controllo dell’emissione di particolato con il flusso di vapore acqueo in uscita dalle torri di spegnimento e per la riduzione delle emissioni di polveri dalle acciaierie.

La Commissione contesta altresì il mancato aggiornamento dell’Autorizzazione integrata ambientale (AIA) nel 2013 e la mancanza di misure relative all’arresto definitivo dell’impianto nonché di disposizioni per la protezione del suolo e delle acque sotterranee.

 

A cura del Servizio studi

Nel corso della legislatura sono state adottate numerose disposizioni finalizzate alla gestione dell’emergenza ambientale e industriale in atto nello stabilimento ILVA di Taranto, che hanno integrato le prime norme dettate nel corso della XVI legislatura.

Le principali disposizioni emanate nel corso della legislatura sono contenute nel D.L. 4 giugno 2013, n. 61, che ha previsto il commissariamento dell’ILVA e l’elaborazione del Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria, adottato con il D.P.C.M. 14 marzo 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 105 dell'8 maggio 2014 nonché quelle, più recenti, contenute nel D.L. 4 dicembre 2015, n. 191, convertito dalla legge 1 febbraio 2016, n. 13, che ha dettato norme per la cessione a terzi dei complessi aziendali del Gruppo ILVA.

Per una ricostruzione completa di tutte le norme emanate nel corso della legislatura in corso relativamente all’emergenza in questione, si rinvia alla scheda web intitolata “Emergenza ambientale nell'area dell'ILVA di Taranto”.

 

 

Risanamento ex area industriale Cengio

 
Il 26 marzo 2015 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato complementare, ex art. 258 de TFUE (procedura d’infrazione 2009/4426), con il quale chiede all'Italia di rispettare la normativa ambientale europea per garantire che il progetto di risanamento di uno stabilimento chimico dismesso, in Liguria, non ponga rischi per la salute umana o per l'ambiente.

Il caso riguarda il risanamento di un'ex area industriale sita a Cengio sulla quale si trova una discarica per terreni inquinati e rifiuti pericolosi. Ai sensi della direttiva 85/337/CE (direttiva sulla valutazione dell'impatto ambientale) i progetti per i quali si prevede un impatto ambientale rilevante, per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione, devono essere sottoposti a una valutazione dell'impatto prima che venga concessa l'autorizzazione. Una valutazione dell'impatto ambientale è obbligatoria per gli impianti di smaltimento destinati a discarica di rifiuti pericolosi. Tuttavia, le autorità italiane hanno autorizzato il progetto di risanamento senza effettuare tale valutazione.

Poiché il sito non è riconosciuto come discarica o discarica risanata, è possibile altresì che non siano stati rispettati nemmeno i requisiti previsti dalla direttiva 1999/31/CE (direttiva sulle discariche) a tutela della salute umana e dell'ambiente.

 

Trattamento acque reflue

Trattamento acque reflue urbane

 
Il 10 aprile 2014 la Corte di giustizia europea ha dichiarato l’inadempienza dell’Italia per il mancato rispetto della normativa comunitaria relativa al trattamento delle acque reflue urbane (direttiva 91/271/CEE), condannandola al pagamento delle spese (Causa C-85/13).

La sentenza è stata pronunciata in seguito al ricorso presentato dalla Commissione europea nell’ambito della procedura di infrazione 2009/2034.

L’articolo 3 della direttiva obbliga gli Stati membri a provvedere affinché tutti gli agglomerati urbani siano provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane. In particolare, per quelli con più di 10.000 abitanti e le cui acque reflue si immettono in acque recipienti considerate, ai sensi del successivo articolo 5, aree sensibili, il termine a provvedere è fissato al 31 dicembre 1998. L’articolo 4 dispone l’obbligo per gli Stati membri di provvedere affinché le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente. L’articolo 5 dispone che gli Stati membri individuano le aree sensibili e provvedano affinché le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico in aree sensibili, ad un trattamento più spinto di quello secondario. L’articolo 10, infine, dispone che gli Stati membri provvedano affinché la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane garantiscano prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali e, nella progettazione, si tenga conto delle variazioni stagionali di carico.

In relazione a tali disposizioni, la Corte di giustizia ha accertato l’incompletezza dei dati presentati dalle autorità italiane sul numero dei comuni i cui impianti di trattamento delle acque reflue non risultavano conformi a quanto disposto dalla normativa europea e l’esistenza di agglomerati in cui persistevano situazioni di non conformità alla direttiva.

Nel corso della procedura di infrazione che ha portato alla sentenza di condanna della Corte di giustizia, la Commissione ha progressivamente ridotto il numero dei comuni giudicati non conformi (dai 159 iniziali a 41) mentre il Governo italiano ha ammesso l’inadempimento limitatamente a 36 agglomerati e, rispetto ai rimanenti agglomerati, ha fatto riferimento ad analisi di controllo successive alla scadenza del termine previsto dal parere motivato (due mesi a decorrere dal 20 marzo 2011).

Tale sentenza segue quella del 19 luglio 2012 (causa C-565/10) relativa alla procedura di infrazione 2004/2034, con la quale la Corte europea ha dichiarato l’inadempimento dell’Italia per non avere predisposto adeguati sistemi per il convogliamento e il trattamento delle acque reflue in numerosi centri urbani con oltre 15.000 abitanti entro il termine previsto del 31 dicembre 2010, come previsto dalla direttiva 91/271/CE. Il 10 dicembre 2015 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora, ex art. 260 del TFUE, con la quale chiede formalmente all’Italia di conformarsi alla sentenza.

 

Con riferimento ad ulteriori agglomerati urbani (tra cui Roma, Firenze, Napoli, Bari e Pisa) risultanti, sulla base dei dati in suo possesso, non conformi alla direttiva 91/271/CEE, è in corso un’altra procedura di infrazione (2014/2059), nell’ambito della quale la Commissione europea ha inviato il 26 marzo 2015 un parere motivato ex art. 258 TFUE.

La procedura di infrazione segue l’espletamento della fase precontenziosa (EU-Pilot 1976/11/ENVI) in cui la Commissione ha chiesto alle autorità italiane di fornire informazioni sulla situazione di 1.007 agglomerati urbani, nonché su tutti i comuni con più di 2.000 abitanti che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva e, infine, su ulteriori 107 agglomerati per i quali è stato comunicato l’impiego di sistemi individuali o altri sistemi adeguati. Le risposte fornite, in data 16 settembre 2011, 23 gennaio 2012, 29 maggio 2012 e 11 luglio 2013, non sono state giudicate sufficienti dalla Commissione che, pertanto, ha deciso l’apertura della procedura di infrazione.

Sistema di depurazione delle acque reflue

 
I rilievi della Commissione riguardano la conformità del sistema di depurazione delle acque reflue nei comuni indicati. In particolare:

·         articolo 3: la non conformità riguarda la non dimostrata esistenza di un sistema di raccolta delle acque reflue, l’inadeguatezza dei sistemi individuali o di altri sistemi adeguati (IAS), l’insufficienza delle informazioni fornite, la mancata giustificazione della riduzione dei carichi attribuiti ad alcuni agglomerati;

·         articolo 4: la mancanza o l’insufficienza delle informazioni fornite dall’Italia inducono la Commissione a concludere che gli impianti esistenti non garantiscono il trattamento adeguato delle acque reflue;

·         articolo 5: la Commissione contesta la mancanza o l’insufficienza di informazioni relative agli impianti serventi aree sensibili e bacini drenanti di aree sensibili.

La Commissione ritiene che tale situazione sia estremamente preoccupante considerando che per alcuni di tali agglomerati la violazione era già stata accertata dalle sopra citate sentenze della Corte di giustizia europea, relative alle procedure di infrazione n. 2004/2034 e 2009/2034.

 

Qualità dell’aria

Valori limite di biossido di azoto

 
Il 28 maggio 2015 la Commissione europea ha invato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura di infrazione n. 2015/2043) per non aver ottemnperato agli obblighi prevsiti dalla direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria, con riferimento al mancato rispetto dei valori limite di biossido di azoto (NO2) in 15 zone e agglomerati localizzati nel territorio delle regioni Lazio, Liguria, Lonmbardia, Molise, Piemonte, Sicilia e Toscana,. La Commissione contesta anche la mancata attuazione di misure appropriate per garantire la conformità ai pertinenti valori limite di NO2 (in particolare, per mantenere il periodo di superamento il più breve possibile).

La Commissione ha infatti rilevato che, benchè la legislazione italiana (decreto legislativo n. 155/2010) abbia recepito integralmente i limiti orari (pari a 200μ/m3) ed annuali (pari a 40μ/m3) relativi al biossido di azoto, in ampie aree del terriortio nazioanlem tali limiti non risultano rispettati.

Valori limite di PM10

 
Per quanto concerne il PM10, una procedura d'infrazione (n. 2014/2147) nei confronti dell'Italia è stata avviata nel luglio 2014, con l’invio di una lettera di messa in mora, per non aver rispettato, tra il 2008 e il 2012, in 19 zone ed agglomerati, i valori limite giornalieri (50μ/m3 da non superare più di 35 volte in un anno civile) e annuali (40 μ/m3) stabiliti nell'allegato XI, della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria.

Peraltro, l'art. 22 della direttiva in questione ammette che – ove sussistano determinate circostanze le quali rendano particolarmente difficoltoso, per alcune zone, il rientro al di sotto del valori limite suindicati - possa richiedersi, alla Commissione, di "derogare" al rispetto di detti parametri. Tale deroga, tuttavia, era stata consentita dalla direttiva non oltre la data dell'11 giugno 2011 e a condizione, peraltro, che lo Stato richiedente la stessa approntasse un "piano di gestione dell'aria", con il quale illustrasse tutti gli accorgimenti che intendeva adottare per mettersi in regola, entro il tempo consentito, rispetto ai parametri stabiliti dal già citato allegato XI.

Si precisa che l'inottemperanza, da parte dell'Italia, alle norme sulle concentrazioni massime di PM10 (e altri inquinanti gassosi) nell'aria ha già costituito oggetto di una procedura di infrazione, precisamente la n. 2008/2194, archiviata il 20 giugno 2013 dietro promessa, da parte italiana, dell'adozione di un cospicuo pacchetto di misure volto a ripristinare il rispetto dei massimali previsti dalla direttiva 2008/50/CE.

 

Conservazione habitat naturali

Il 22 ottobre 2015 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura di infrazione 2015/2163) per aver violato gli obblighi previsti dalla direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche.

Zone speciali di conservazione

 
In particolare la Commissione contesta all’Italia:

·         di non aver designato le Zone speciali di Conservazione (ZSC), contravvenendo alle disposizioni dell’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva.

La Commissione europea, sulla base delle indicazioni fornite da ciascuno Stato membro, ha adottato – tra il 2003 e il 2008 - gli elenchi dei siti di importanza comunitaria. Secondo il citato articolo, gli Stati membri – entro il termine massimo di sei anni dall’adozione del rispettivo elenco - avrebbero dovuto designare come Zone speciali di Conservazione i siti di importanza comunitaria contenuti negli elenchi europei e ricadenti nel proprio territorio.

Alla data di agosto 2015, a termini scaduti, sono state istituite 403 ZSC, di cui 401 contenute nel novero dei 2281 siti italiani di importanza comunitaria.

·         di non aver definito, entro il medesimo termine di sei anni, le misure di conservazione previste dall’articolo 6, paragrafo 1 della direttiva.

In base alla normativa nazionale compete alle regioni e alle province autonome la definizione degli obiettivi di conservazione e delle misure di conservazione per le ZSC, mentre la designazione di tali zone deve essere effettuata con decreto del Ministro dell’ambiente d’intesa con la regione interessata.

Alla data di agosto 2015 risultano adottate misure di conservazione o piani di gestione per 1715 siti su 2281.

Come riportato nella relazione che il Ministro dell’ambiente ha trasmesso alle Camere - ai sensi dell’articolo 15, comma 2, delle legge n. 234/2012 -, le regioni e il ministero hanno concordato un cronogramma degli impegni assunti dalle regioni, che prevede entro i primi mesi del 2017 l’adozione di tutte le misure richieste.

 

 

Commercializzazione sacchetti di plastica

Sacchetti di plastica

 
In materia di utilizzo di sacchetti di plastica, si ricorda che è tuttora in corso la procedura di infrazione n. 2011/4030, giunta alla fase della messa in mora complementare, avviata per la eccepita incompatibilità con il diritto UE del divieto di commercializzazione dei sacchetti di plastica non biodegradabili per asporto di merci, introdotto nell’ordinamento italiano dalla legge n. 296/2006 (legge finanziaria 2007) a decorrere dal 1° gennaio 2011.

In particolare, risulterebbe violato l’articolo 18 della direttiva 94/62/CE, che reca il divieto per gli Stati membri di ostacolare l’immissione sul mercato di imballaggi conformi alle disposizioni della direttiva.

Successivamente le autorità italiane hanno trasmesso il testo dell’articolo 2 del DL n. 2/2012 che prevedeva una sospensione del divieto di commercializzazione limitata ad alcune tipologie, giudicata tuttavia una misura non proporzionata dalla Commissione: la direttiva, infatti, non consente agli Stati membri di condizionare la commerciabilità degli imballaggi né alla conformità a norme autorizzate (come la UNI EN 13432:2002 prevista dal DL n. 2/2012) né a requisiti di spessore minimo né alla presenza di una percentuale minima di plastica riciclata nella composizione degli imballaggi.

 

Gestione del rumore ambientale

Il 25 febbraio 2016 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora complementare ex art. 258 del TFUE (procedura d’infrazione n. 2013/2022) in cui rileva l'inadempimento, da parte dell'Italia, agli obblighi sanciti dagli artt. 7 e 8 della direttiva 2002/49/CE, sulla gestione del rumore ambientale.

In particolare, il paragrafo 1 del suddetto art. 7 imponeva agli Stati membri della UE, entro il 30 giungo 2007, l'elaborazione e, ove opportuno, l'adozione di "mappe acustiche strategiche". Tali mappe devono riferirsi, cronologicamente, alla situazione del precedente anno solare, assumendo ad oggetto tutti "gli assi stradali principali su cui transitano più di 6 milioni di veicoli all'anno ", gli "assi ferroviari principali su cui transitano più di 60.000 convogli all'anno" e gli "aeroporti principali" situati nel territorio dei rispettivi Stati. L'art. 8 della medesima direttiva imponeva agli Stati UE l'ulteriore obbligo di predisporre, entro il 18 luglio 2008, appositi "piani di gestione" dei problemi di rumore nel loro territorio, in relazione alle aree sopra indicate. Gli Stati dovevano altresì predisporre “piani d’azione” indicanti misure d’intervento sulle aree caratterizzate da uno sforamento dei "valori limite pertinenti". Tali "piani d’azione" devono essere aggiornati almeno ogni 5 anni e, comunque, ogni volta che un cambiamento sostanziale della condizione delle aree considerate produca un impatto sulla situazione acustica esistente. Peraltro, l'elaborazione dei "piani d'azione" deve svolgersi secondo una procedura che consenta la partecipazione del pubblico.

Con riferimento alla situazione italiana, la Commissione osserva che:

·        al 23 gennaio 2012 (quindi quasi 5 anni dopo II termine assegnato dalla direttiva per la redazione delle "mappe strategiche"), l'Italia ammetteva di non avere ancora ultimato la predisposizione di tutte le "mappe strategiche" relative alle zone sensibili del Paese;

·      quanto alla compilazione dei "piani di azione", l'Italia non ne avrebbe ancora approntato nessuno, né, di conseguenza, avrebbe inviato le relative "sintesi" alla Commissione.