Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari sociali | ||
Titolo: | Codice del Terzo settore - Atto del Governo n. 417 | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Atti del Governo Numero: 417 | ||
Data: | 29/05/2017 | ||
Organi della Camera: | XII-Affari sociali |
Servizio Studi
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Dossier
n. 499
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Affari sociali
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Atti del Governo n. 417
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dei Servizi e degli Uffici del Senato della Repubblica e della Camera dei
deputati è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività
degli organi parlamentari e dei parlamentari. Si declina ogni responsabilità
per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti
dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia
citata la fonte.
INDICE
Schede di lettura
Premessa............................................................................................................ 3
Titolo I Disposizioni
Generali (artt. 1-3)........................................................ 15
Titolo II Degli enti del
Terzo settore in generale (artt. 4-16)...................... 19
Titolo III Del volontariato
e dell’attività di volontariato (artt. 17-19)......... 39
Titolo IV Delle associazioni
e delle fondazioni del Terzo settore (artt. 20-31)............................................................................................................................... 43
§ Capo
I Disposizioni generali (art. 20)......................................................... 44
§ Capo
II Della costituzione (artt.21-22)........................................................ 45
§ Capo
III Dell'ordinamento e dell'amministrazione (artt. 23-31)................. 51
Titolo V Di particolari
categorie di enti del Terzo settore (artt. 32-44)...... 65
§ Capo
I Delle organizzazioni di volontariato (artt. 32-34)........................... 66
§ Capo
II Delle associazioni di promozione sociale (artt. 35-36).................. 70
§ Capo
III Degli enti filantropici (artt. 37-39)................................................ 72
§ Capo
IV Delle imprese sociali (art. 40)....................................................... 74
§ Capo
V Delle reti associative (art. 41)........................................................ 75
§ Capo
VI Delle società di mutuo soccorso (artt. 42-44)............................... 77
Titolo VI Del Registro Unico
Nazionale del Terzo Settore (artt. 45-54).... 79
Titolo VII Dei rapporti con
gli enti pubblici (artt. 55-57).............................. 89
Titolo VIII Della promozione
e del sostegno degli enti del Terzo settore (artt. 58-76)..................................................................................................................... 95
§ Capo
I Del Consiglio nazionale del Terzo settore (artt. 58-60).................. 97
§ Capo
II Dei Centri di servizio per il volontariato(artt. 61-66).................. 101
§ Capo
III Di altre misure specifiche (artt. 67-71)....................................... 119
§ Capo
IV Delle risorse finanziarie (artt. 72-76)......................................... 125
Titolo IX Titoli di
solidarietà degli enti del Terzo settore ed altre forme di finanza sociale
(artt. 77-78)............................................................................... 131
Titolo X Regime fiscale
degli Enti del Terzo settore (artt. 79-89)............. 137
§ Capo
I Disposizioni generali (artt. 79-83)................................................. 139
§ Capo
II Disposizioni sulle organizzazioni di volontariato e sulle associazioni di
promozione sociale (artt. 84-86)........................................................... 154
§ Capo
III Delle scritture contabili (art. 87)................................................. 167
§ Capo
IV Delle disposizioni transitorie e finali (artt. 88-89)..................... 171
Titolo XI Dei controlli e
del coordinamento (artt. 90-97)............................ 179
Titolo XII Disposizioni
transitorie e finali (artt. 98-104)............................. 189
Il Consiglio dei
ministri del 12 maggio 2017, su proposta del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali, ha approvato, in esame preliminare, lo schema di decreto
recante Codice del Terzo settore, di attuazione della legge delega 106/2016 per
la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del
servizio civile universale (qui il comunicato stampa).
In conformità con
quanto disposto dall’articolo 1, co. 5, della legge delega 106/2016, lo schema
di decreto recante Codice del Terzo settore, corredato dalla relazione
illustrativa e dalla relazione tecnica, è stato trasmesso alle Camere il 19
maggio 2017 (ma assegnato alle Commissioni competenti il 22 maggio 2017), entro
il quarantacinquesimo giorno antecedente il termine per l'esercizio della
delega (3 luglio 2017), perché su di esso siano espressi, entro trenta giorni
dalla data di trasmissione, i pareri delle rispettive commissioni competenti
per materia e per i profili finanziari. Decorso il termine previsto per
l'espressione dei pareri (21 giugno 2017), il decreto può essere comunque
adottato.
Circa la consistenza del Terzo settore la rilevazione Istat del settore non profit, ha censito 301.191 organizzazioni non profit attive in Italia al 31 dicembre 2011, con 681mila addetti e 271mila lavoratori esterni (con contratto di collaborazione), 5mila lavoratori temporanei.
Le istituzioni non profit si giovano anche dell’apporto di oltre 4 milioni di volontari.
Rispetto al 2001, il settore risulta in notevole espansione in termini sia di istituzioni sia di addetti (rispettivamente +28% e + 39,3%).
I due terzi delle istituzioni non profit sono rappresentate da associazioni non riconosciute, che impiegano un quarto dei lavoratori. Le cooperative sociali, pur essendo il 4% del totale, danno lavoro al 38% di dipendenti e lavoratori esterni. Quasi due terzi delle istituzioni dichiarano come attività prevalente la “cultura, sport e ricreazione”, ma queste coinvolgono solo il 19% dei lavoratori. I settori «classici» del non profit (istruzione, sanità e assistenza) rappresentano il 17% delle istituzioni e coinvolgono il 64% di dipendenti e lavoratori esterni.
La distribuzione territoriale delle istituzioni non profit mostra una relativa concentrazione nell’Italia settentrionale (157.197 unità pari al 52,1% del totale nazionale) e una minore nel Mezzogiorno (79.317 unità pari al 26,3%).
Secondo i dati di bilancio raccolti con il questionario censuario, le entrate del settore sono state di 64 miliardi di euro e le uscite di 57 miliardi, al lordo dei possibili, ma contenuti, trasferimenti interni al settore. Le entrate del settore non profit provengono per due terzi da fonti private e per il 48% sono rappresentate da ricavi di vendite di beni e servizi sia a soggetti privati che alla PA. Tra le entrate di fonte pubblica prevalgono nettamente i proventi di contratti e convenzioni con enti pubblici nazionali e internazionali (circa il 29% del totale delle entrate), che raggiungono il 65% nel caso delle cooperative sociali. Tra quelle di fonte privata prevalgono nell’ordine i contributi annui degli aderenti e i proventi di vendite di beni e servizi.
Le risorse economiche disponibili vengono impiegate per il 38% delle uscite in acquisti di beni e servizi e per il 35% in spese di personale.
In attuazione della
delega contenuta nell’articolo 1, co. 2, lett. b), della legge 106/2016, lo schema in esame
provvede “al riordino e alla revisione organica della disciplina speciale e
delle altre disposizioni vigenti relative agli enti del Terzo settore, compresa
la disciplina tributaria applicabile a tali enti, mediante la redazione di un
apposito codice del Terzo settore”. Il Codice intende dunque configurarsi come
uno strumento unitario in grado di garantire la “coerenza giuridica, logica e
sistematica” di tutte le componenti del Terzo settore (art. 2, comma 1, lett. d) della
legge delega 106/2016).
I principi e i criteri direttivi per la redazione del Codice del Terzo
settore sono contenuti nell’art. 4 della legge delega.
Il Codice riordina tutta la normativa riguardante gli enti del Terzo
settore al fine di “sostenere l’autonoma iniziativa dei cittadini che
concorrono, anche in forma associata, a perseguire il bene comune, ad elevare i
livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, favorendo la
partecipazione, l’inclusione e il pieno sviluppo della persona e valorizzando
il potenziale di crescita e di occupazione lavorativa, in attuazione dei
principi costituzionali”.
Lo schema di decreto legislativo si compone di 104 articoli suddivisi
in dodici titoli.
Il Titolo I (articoli da 1 a 3) fornisce la definizione normativa
del Terzo settore precisandone le finalità proprie (finalità civiche,
solidaristiche e di utilità sociale) e delimita il campo di applicabilità delle
disposizioni dello stesso Codice, chiarendo che queste si utilizzano, ove non
derogate ed in quanto compatibili, anche per gli enti del Terzo settore regolati
da una disciplina particolare. Inoltre, agli enti del Terzo settore si
applicano, in quanto compatibili, le norme del Codice civile e le relative
disposizioni di attuazione nel caso di lacune di previsione accertate nel
Codice, previa verifica di compatibilità. Infine, si specifica che le
disposizioni del Codice non si applicano alle fondazioni bancarie, alle quali
sono riferibili soltanto le disposizioni raccolte nel Capo II del Titolo VIII,
riferite ai Centri di servizio per il volontariato.
Il Titolo II (articoli da 4 a 16):
•
delimita
il perimetro del Terzo settore, enumerando gli enti che ne fanno parte
individuati in: organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione
sociale, enti filantropici, imprese sociali, incluse le cooperative sociali,
reti associative e società di mutuo soccorso. Viene inserita in tale perimetro la
nozione di ente del terzo settore definito come “ente costituito in forma di
associazione, riconosciuta o non riconosciuta, o di fondazione, per il
perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di
utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse
generale in forma volontaria e di erogazione gratuita di denaro, beni o
servizi, di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi” (art. 4);
•
razionalizza
i settori delle attività di interesse generale attraverso la compilazione di un
elenco unico, con il tentativo di fondere la normativa attualmente prevista ai
fini fiscali con quella prevista ai fini civilistici. Introduce nuovi settori
di attività, fra i quali si segnalano: commercio equo e solidale; comunicazione
a carattere comunitario; alloggio sociale; accoglienza umanitaria ed
integrazione sociale di stranieri; agricoltura sociale; adozioni
internazionali; riqualificazione di beni pubblici inutilizzati o di beni
confiscati alla criminalità organizzata. Viene inoltre prevista la possibilità
di aggiornare l’elenco delle attività di interesse generale con D.P.C.M. da
adottarsi su proposta dei ministri lavoro/MEF, acquisito il parere delle
commissioni parlamentari competenti (art. 5). Le attività di interesse generale
possono essere finanziate anche attraverso la richiesta a terzi di lasciti,
donazioni e contributi di natura non corrispettiva (art. 7);
•
prevede,
accanto all’ esercizio delle attività di interesse generale, l’esercizio di
attività diverse (art. 6) e la possibilità di costituire uno o più patrimoni
destinati ad uno specifico affare (art. 10);
•
integra
la nozione vigente di distribuzione indiretta (art. 8);
•
prescrive
l’obbligo, per gli enti del Terzo settore, di iscriversi nel Registro unico
nazionale del Terzo settore e di indicare gli estremi dell’iscrizione negli
atti, nella corrispondenza e nelle comunicazioni al pubblico;
•
introduce
l’obbligo, per tutti gli enti del Terzo settore, di redazione del bilancio.
Fanno eccezione gli enti con ricavi/entrate/rendite o proventi al di sotto dei
220.000 euro che possono redigere il rendiconto di cassa;
•
prevede
l’adozione, con decreto, di Linee guida in materia di bilancio sociale e di
valutazione di impatto sociale dell’attività svolta dagli enti del Terzo
settore. In base alla loro dimensione (ricavi/rendite/proventi o entrate
superiori ad 1 milione di euro), gli enti del Terzo settore saranno chiamati a
pubblicare sul proprio sito internet il bilancio sociale, redatto secondo le
linee guida, anche ai fini della valutazione dell’impatto sociale delle
attività svolte (art. 14);
•
vincola
gli enti del Terzo settore con entrate o ricavi superiori ai 50mila euro a
pubblicare annualmente ed aggiornare nel proprio sito Internet, o nel sito
Internet della rete associativa cui aderiscono, gli eventuali emolumenti,
compensi o corrispettivi a qualsiasi titolo attribuiti ai componenti degli
organi di amministrazione e controllo, ai dirigenti nonché agli associati (art.
14);
•
opera il
rafforzamento della lotta al dumping contrattuale a danno del settore
cooperativo e garantisce l'assenza degli scopi lucrativi attraverso il
principio di proporzionalità tra i diversi trattamenti economici dei lavoratori
dipendenti in base al quale, in ciascun ente, la differenza retributiva tra
lavoratori non può essere superiore al rapporto di uno a sei, da calcolarsi
sulla base della retribuzione annua lorda (art. 16).
Il Titolo III
(articoli da 17 a 19) reca la definizione dello status del volontario e norme volte a favorire la promozione e il
riconoscimento della cultura del volontariato in ambito scolastico e
lavorativo. Ai fini del Codice, il volontario è una persona che, per sua libera
scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, per il
tramite di un ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo
e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle
comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e
gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di
solidarietà. Le spese sostenute dal volontario possono essere rimborsate anche
a fronte di una autocertificazione, purché non superino l’importo di 10 euro
giornalieri e 150 euro mensili e l’organo sociale competente deliberi sulle
tipologie di spese e le attività di volontariato per le quali è ammessa questa
modalità di rimborso. Gli enti del Terzo settore che si avvalgono di volontari
nello svolgimento delle attività di interesse generale, devono darne conto in
un apposito registro.
Il Titolo IV (artt.20-31), concernente le associazioni e
le fondazioni del Terzo settore, dispone in attuazione della delega di cui
all’articolo 1, comma 2, lettera a)
della legge n. 106/2016, relativa alla "revisione della disciplina del
titolo II del libro primo del codice civile in materia di associazioni,
fondazioni e altre istituzioni di carattere privato senza scopo di lucro,
riconosciute come persone giuridiche o non riconosciute" .
Con riferimento a tale disposizione, l'art. 3 della l. 106/2016 detta
appositi principi e criteri direttivi per la revisione del titolo II del libro
primo del codice civile.
Il Titolo in esame reca:
- disposizioni generali volte a definire l'ambito di applicazione del Titolo medesimo;
- la disciplina della costituzione delle associazioni e fondazioni del Terzo settore che prevede nuove procedure di acquisizione tramite notaio per la verifica dell’esistenza dei requisiti (un patrimonio minimo per associazioni pari a 15.000 euro e per le fondazioni pari a 30.000 euro, anche in beni diversi dal denaro);
- la disciplina del loro ordinamento e della loro amministrazione.
Il Titolo V (artt. 32-44) è dedicato agli enti del Terzo settore
destinatari di una disciplina particolare, ovvero, nell'ordine proposto: alle
Organizzazioni di volontariato (ODV), alle Associazioni di promozione sociale
(APS), agli enti filantropici, alle imprese sociali, alle reti associative ed
infine alle società di mutuo soccorso. L'individuazione delle categorie
corrisponde all'assetto normativo attuale - scompare la specifica categoria del
diritto tributario qualificata come ONLUS - con l’ulteriore riconoscimento
quali enti del Terzo settore di:
-
enti
filantropici costituiti in forma di associazione riconosciuta o di fondazione
con la finalità di erogare denaro, beni o servizi, anche di investimento, a
sostegno di categorie di persone svantaggiate o di attività di interesse
generale;
-
reti
associative costituite in forma di associazione, riconosciuta o non
riconosciuta, che associano, anche indirettamente attraverso gli enti ad esse
aderenti, un numero non inferiore a 500 enti del Terzo settore, o, in
alternativa, almeno 100 fondazioni del Terzo settore, le cui sedi legali o
operative siano presenti in almeno cinque regioni o province autonome. Le reti associative hanno il compito di
svolgere attività di coordinamento, tutela, rappresentanza, promozione o
supporto degli enti del Terzo settore loro associati e delle loro attività di
interesse generale, anche allo scopo di promuoverne ed accrescerne la
rappresentatività presso i soggetti istituzionali. Possono promuovere partenariati
e protocolli di intesa con le pubbliche amministrazioni e con soggetti privati.
Le reti esercitano, tra le altre, anche l’attività di monitoraggio
dell’attività degli enti ad esse associati, anche sotto forma di autocontrollo
e di assistenza tecnica, eventualmente anche con riguardo al loro impatto
sociale, e predispongono una relazione annuale al Consiglio nazionale del Terzo
settore.
-
società
di mutuo soccorso, che continuano ad essere disciplinate dalla legge 3818/1886.
Alle società di mutuo soccorso già esistenti alla data di entrata in vigore del
Codice, viene concesso di trasformarsi, entro i successivi tre anni da tale
data, in associazioni del Terzo settore o in associazioni di promozione sociale
mantenendo il proprio patrimonio.
- Per quanto riguarda le ODV e le APS, vengono posti dei parametri quantitativi per la loro formazione: infatti, devono essere composte da un numero non inferiore a nove volontari/persone fisiche o da cinque organizzazioni/associazioni. Per quanto riguarda le prestazioni lavorative, nelle ODV il numero dei lavoratori impiegati nell’attività non può essere superiore al venti per cento del numero dei volontari; nelle APS il numero dei lavoratori impiegati nell’attività non può essere superiore al venti per cento del numero dei volontari o al cinque per cento del numero degli associati.
- Il commercio equo e solidale e l’agricoltura sociale sono esclusi dai settori di attività delle ODV e delle APS.
Il Titolo VI (artt. da 45-54), attuativo della delega
contenuta all’art. 4, co. 1, lett. m) della legge 106/2016, disciplina
l’istituzione ed il funzionamento a regime, presso il Ministero del lavoro e
delle politiche sociali, del Registro unico nazionale del Terzo settore,
suddiviso in specifiche sezioni, ciascuna delle quali è dedicata ad una delle
categorie di enti definite dal Codice. Il Registro unico nazionale supera la
molteplicità attuale di registri (nazionale e delle regioni e province autonome
per la legge 383/2000 in materia di APS, delle regioni e delle province in materia di ODV, istituiti e disciplinati
rispettivamente da norme nazionali e regionali). Il Ministro del lavoro e delle
politiche sociali può istituire con proprio decreto nuove sezioni o
sottosezioni o modificare le sezioni esistenti. Il Registro è gestito
operativamente e con modalità informatiche su base territoriale, da ciascuna
Regione e Provincia autonoma, che, a tal fine, individua entro centottanta
giorni dalla data di entrata in vigore del Codice, una struttura indicata come
Ufficio del Registro unico nazionale del Terzo settore. L’Ufficio del Registro,
all’atto della registrazione di quegli enti del Terzo settore che devono anche
avvalersi del revisore legale dei conti (associazioni, riconosciute o non
riconosciute, e fondazioni del Terzo settore di grandi dimensioni), deve
acquisire la relativa informazione antimafia. Grazie all’iscrizione, tutti gli
enti possono accedere ai benefici, non solo di carattere tributario, ad essi
riservati. Oltre alle modalità di iscrizione, aggiornamento dei dati,
cancellazione e migrazione in altra sezione degli enti interessati, la
disciplina assoggetta ciascuno degli enti iscritti al Registro ad una revisione
periodica almeno triennale finalizzata alla verifica della permanenza dei
requisiti richiesti. L’attuazione completa del Registro è prevista entro un
anno dall’entrata in vigore del Codice. Entro tale termine, un decreto
ministeriale, previa intesa in Conferenza Stato-regioni, definisce la procedura
per l’iscrizione nel Registro e individua i documenti da presentare e le modalità
di deposito degli atti, unitamente alle regole per la predisposizione, la
tenuta, la conservazione e la gestione del Registro nonché le sue modalità di
comunicazione con il Registro delle Imprese con riferimento alle imprese
sociali e agli altri enti del Terzo settore iscritti in quest’ultimo. Le
Regioni e le Province autonome entro centottanta giorni dalla data di entrata
in vigore del decreto ministeriale disciplinano con proprie leggi i
procedimenti per l'emanazione dei provvedimenti di iscrizione e di
cancellazione degli enti del Terzo settore, e sulla base della struttura
informatica unitaria rendono operativo il Registro unico.
Il Titolo VII (artt. 55-57) dispone dei rapporti degli
enti del Terzo settore con gli enti pubblici.
Fondamentalmente viene confermata la disciplina prevista a normativa
vigente salvo alcuni adattamenti conseguenti alla regolamentazione unitaria del
settore. Il tema viene affrontato nelle diverse fasi in cui si possono
concretizzare forme relazionali tra la pubblica amministrazione e gli enti del
Terzo settore, dalla fase di programmazione, a quella di progettazione fino a
quella di attuazione dell’intervento.
Come evidenziato nella relazione illustrativa il coinvolgimento degli
enti del Terzo settore nelle fasi indicate deve rispondere alla duplice
esigenza di favorire processi e strumenti di partecipazione che possano
accrescere la qualità delle scelte finali, ferme restando le prerogative
proprie dell’Amministrazione procedente in ordine a tali scelte.
Il Titolo in esame quindi:
-
prevede
che le amministrazioni pubbliche, nell’esercizio delle proprie funzioni di
programmazione ed organizzazione a livello territoriale delle attività di
interesse generale, coinvolgano attivamente gli enti del Terzo settore mediante forme di co-programmazione e
co-progettazione;
-
disciplina
la conclusione di convenzioni tra le pubbliche amministrazioni e le
organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale, per lo
svolgimento, in favore di terzi, di attività di interesse generale;
-
disciplina
l’affidamento in convenzione alle organizzazioni di volontariato dei servizi di
trasporto sanitario di emergenza e urgenza.
Il Titolo VIII (artt. 58-76) reca le norme per la promozione ed
il sostegno degli enti del Terzo settore: il Capo I prevede la
disciplina del Consiglio nazionale del Terzo settore di nuova istituzione, (presso
il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e presieduto dal Ministro del
lavoro e delle politiche sociali o da un suo delegato), e a) risorse invariate,
in base al dispositivo di delega previsto all’art. 5, co. 1, lett. g) della L. 106/2016; il Capo II disciplina i
Centri di servizio per il volontariato (CSV), dando attuazione alla revisione
del sistema di tali centri, secondo quanto previsto dal dispositivo di delega
di cui all’art. 5, co. 1, lett. e) e prevedendo per
essi specifiche forme di finanziamento e determinati compiti e funzioni. Viene
inoltre disposto per il sistema dei CSV un nuovo modello di governance, in coerenza con il dispositivo
di delega di cui alla lett. f) del citato comma 1
dell’art. 5, che prevede una revisione dell’attività di programmazione e
controllo di compiti e gestione dei CSV, svolta mediante organismi regionali o
sovraregionali (OTC) tra loro coordinati sul piano nazionale (ONC).
Il Capo III (artt. 67-71) prevede ulteriori specifiche
misure aventi la funzione di sostegno per gli enti del terzo settore.
Il Capo IV (artt. 72-76) dispone in tema di risorse
finanziarie.
Esso è diretto ad attuare le disposizioni di cui all’articolo 9, comma 1,
della legge n. 106/2016, che demanda alla legislazione delegata il compito di
provvedere alla disciplina delle misure di sostegno economico in favore degli
enti del Terzo settore, nonché ad istituire un nuovo strumento finanziario
presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Il Titolo IX (artt. 77-78) disciplina i titoli di solidarietà
degli enti del terzo settore nonché le altre forme di finanza sociale. In
sintesi, il titolo in esame:
- prevede che le banche
italiane, comunitarie ed extracomunitarie autorizzate ad operare in Italia
possano emettere obbligazioni e altri titoli di debito nonché certificati
di deposito con l'obiettivo di sostenere le attività istituzionali degli
enti del Terzo settore.;
- disciplina il regime fiscale del c.d. social lending al fine di favorire la raccolta di capitale
di rischio assoggettando, per il tramite di una ritenuta a titolo d'imposta, la
remunerazione del capitale al medesimo trattamento fiscale previsto per i
titoli di Stato.
Il Titolo X (artt. 79-89) disciplina il regime fiscale degli
enti del Terzo settore, in attuazione della disposizione di delega di cui
all’articolo 9, comma 1, della legge n. 106/1989, allo scopo di operare, una
semplificazione ed armonizzazione, nel rispetto della normativa dell’Unione
europea, del quadro legislativo attuale, caratterizzato da un’estrema
frammentazione, con una pluralità di disposizioni che si sono stratificate nel
tempo.
Esso, tra l’altro:
-
dispone l’applicazione agli enti del Terzo settore,
diversi dalle imprese sociali, del regime fiscale previsto dal Titolo X del
Codice in esame, che reca specifiche misure di sostegno. Agli stessi
enti si applicano inoltre le norme del TUIR relative all’IRES, in quanto
compatibili;
-
fornisce dettagliati criteri per determinare la
natura commerciale o non commerciale degli enti del Terzo settore, tenendo
conto delle attività da essi svolte e delle modalità operative concretamente
impiegate;
-
introduce un regime fiscale opzionale per la
determinazione del reddito d'impresa degli enti non commerciali del
Terzo settore (vale a dire quegli enti che svolgono in via esclusiva o
prevalente attività di interesse generale) basato sui coefficienti di
redditività (una percentuale variabile che si applica al reddito imponibile
su cui viene poi calcolata l’imposta). Il nuovo regime è costruito sulla
falsariga del regime forfetario degli enti non commerciali, disciplinato dall’articolo
145 del Tuir;
-
prevede un credito
d'imposta per coloro che effettuano erogazioni liberali in denaro a favore
degli enti del Terzo settore non commerciali, che abbiano presentato al
Ministero del lavoro e delle politiche sociali un progetto per sostenere il
recupero degli immobili pubblici inutilizzati e dei beni confiscati alla
criminalità organizzata, assegnati ai suddetti enti;
-
reca
disposizioni relative al trattamento fiscale degli enti del Terzo
settore, con l'applicazione di ulteriori benefici non previsti dalle
previgenti norme tributarie. Sono chiariti la misura dell'incentivo, le relative
modalità di fruizione e gli obblighi pubblicitari a carico dei beneficiari; si
affida a un provvedimento di rango secondario (decreto ministeriale) il compito
di individuare le modalità di attuazione delle agevolazioni in esame;
-
introduce una disciplina unitaria per le
deduzioni e detrazioni previste per chi effettua erogazioni liberali a
favore di enti del Terzo settore non commerciali e di cooperative
sociali. Spetta una detrazione IRPEF pari al 30 per cento degli
oneri sostenuti per le erogazioni liberali in danaro o in natura,
per un importo complessivo non superiore a 30.000 euro in ciascun
periodo di imposta. Essa è incrementata al 35 per cento per le
erogazioni a favore delle organizzazioni di volontariato. Analogamente,
si prevede una deduzione nei limiti del 10 per cento del reddito complessivo
dichiarato da enti e società. Sono previste agevolazioni fiscali anche per le
cessioni di derrate alimentari, prodotti farmaceutici ed altri prodotti
a favore degli enti pubblici e degli enti del Terzo settore aventi natura non
commerciale, nonché per le cessioni dei cd. beni difettati;
- disciplina il regime tributario delle associazioni di promozione sociale, iscritte nell’apposita sezione speciale del Registro unico nazionale del Terzo settore, in sostanziale continuità con le vigenti norme (articolo 148 del TUIR e legge 7 dicembre 2000, n. 383), con alcuni interventi di aggiornamento e razionalizzazione. La norma specifica quali attività, ai fini delle imposte sui redditi, sono considerate non commerciali se svolte dalle APS e quali si considerano comunque commerciali;
- esenta dall’IRES i redditi degli immobili destinati esclusivamente allo svolgimento di attività non commerciale da parte delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato;
-
disciplina il regime tributario delle associazioni
di promozione sociale, iscritte nell’apposita sezione speciale del Registro
unico nazionale del Terzo settore, in sostanziale continuità con le vigenti
norme, con alcuni interventi di aggiornamento e razionalizzazione.
-
prevede per le organizzazioni di volontariato
e le associazioni di promozione sociale la possibilità di applicare un regime
forfettario, con contabilità semplificata, per le attività commerciali esercitate,
a condizione di non superare il limite di ricavi di 130.000 euro nel
periodo d’imposta precedente
Il Titolo XI (artt. 90-97), disciplina
la materia dei controlli e del coordinamento. In sintesi il titolo in esame:
- assegna all'Ufficio
del Registro Unico nazionale del Terzo settore il compito di esercitare
controlli e poteri sulle fondazioni del Terzo settore;
-
dispone in tema di sanzioni a carico dei
rappresentanti legali e dei componenti degli organi amministrativi;
- demanda al
Ministero del lavoro e delle politiche sociali lo svolgimento di una serie di
attività di monitoraggio, vigilanza e controllo, miranti a garantire l'uniforme
applicazione della disciplina degli enti del Terzo Settore e l'effettuazione
dei relativi controlli, identificandone e disciplinandone il relativo oggetto;
-
disciplina i controlli di natura fiscale;
- prevede che la funzione
di vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali sul
funzionamento del sistema di registrazione degli enti del Terzo settore e sul
sistema dei controlli è finalizzata ad assicurare uniformità tra i registri
regionali all'interno del Registro unico nazionale nonché la corretta
osservanza delle disposizioni del Codice del Terzo settore;
- prevede l'adozione
di un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto
con il Ministro dell'interno, per attuare alcune delle prescrizioni in materia
di vigilanza, di controlli e di monitoraggio contenute nel presente schema di
decreto legislativo;
- prevede
l’istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, di una Cabina
di regìa, con il compito di coordinare le politiche di governo e le azioni di
promozione e di indirizzo delle attività degli enti del Terzo settore, in
raccordo con i ministeri competenti.
Il Titolo XII (artt. 98-100) detta le
disposizioni transitorie e finali.
In sintesi il Titolo in esame:
- introduce nel codice civile un nuovo
articolo, numerato 42-bis, che
disciplina trasformazioni, fusioni e scissioni concernenti il Terzo settore;
- dispone che l'Associazione Croce Rossa
Italiana, e i relativi comitati territoriali, vengano iscritti nella sezione del
Registro unico nazionale del Terzo settore dedicata alle organizzazioni di
volontariato, e non nella sezione dedicata alle associazioni di promozione
sociale. Pertanto, all’Associazione Croce rossa, e ai relativi comitati
territoriali, non viene più consentita l’utilizzazione delle risorse destinate
alle APS;
- inserisce gli enti del terzo Settore (ETS)
non commerciali nell'elenco dei soggetti della cooperazione allo sviluppo, al
posto delle ONLUS;
- prevede che nelle more dell'adozione dei
decreti che recheranno linee guida e modulistica concernenti rispettivamente la
raccolta dei fondi, le scritture contabili e di bilancio ed i bilanci sociali
degli enti del Terzo settore, si applicano le linee guida già esistenti
elaborate - a suo tempo - dall'Agenzia del Terzo settore;
- detta la disciplina transitoria, dispone
sulle abrogazioni della vigente normativa, sulla copertura finanziaria del
provvedimento, e sull’entrata in vigore modulata diversamente per i diversi
articoli del provvedimento.
Il Titolo I (articoli da 1 a 3) fornisce la definizione normativa
del Terzo settore precisandone le finalità proprie (finalità civiche,
solidaristiche e di utilità sociale) e delimita il campo di applicabilità delle
disposizioni dello stesso Codice, chiarendo che queste si utilizzano, ove non
derogate ed in quanto compatibili, anche agli enti del Terzo settore definiti
da una disciplina particolare. Inoltre, agli enti del Terzo settore si
applicano, in quanto compatibili, le norme del Codice civile e le relative
disposizioni di attuazione nel caso di lacune di previsione accertate nel
Codice, previa verifica di compatibilità.
Infine, si specifica che le disposizioni del Codice non si applicano alle
fondazioni bancarie, alle quali sono riferibili soltanto le disposizioni
raccolte nel Capo II del Titolo VIII, riferite ai Centri di servizio per il
volontariato.
Il Terzo settore è stato finora disciplinato in maniera frammentaria e disorganica dalle norme di carattere generale sulle entità con finalità altruistiche contenute nel Codice civile[1] e dagli interventi legislativi settoriali, anche di natura tributaria e fiscale, succedutesi nel corso del tempo. Attualmente, l’elemento comune al Terzo settore risulta la caratterizzazione in negativo – assenza di fini di lucro – mentre non è rinvenibile, sul piano civilistico, una definizione in positivo delle caratteristiche comuni al Terzo settore e agli organismi che lo compongono.
L’articolo 1 definisce l’oggetto e le finalità del Codice del Terzo settore riprendendo quasi alla lettera i primi periodi dell’art. 1 della legge 106/2016. In tal senso, il riordino e la revisione organica della disciplina vigente in materia di enti del Terzo settore viene operata in attuazione dei principi costituzionali recati dagli art. 2 (diritti della persona e dovere di solidarietà), art. 3 (uguaglianza sostanziale), 4 (diritto/dovere del lavoro), 9 (sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica), 18 (libertà di associazione) e 118, co. 4 (sistema delle attività di interesse generale ispirato a sussidiarietà), a1 fine di sostenere l’autonoma iniziativa dei cittadini che concorrono, anche in forma associata, a perseguire il bene comune, ad elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, favorendo la partecipazione, l’inclusione e il pieno sviluppo della persona, a valorizzare il potenziale di crescita e di occupazione lavorativa.
L’articolo 2 definisce i Principi generali. Si
ribadiscono il valore e la funzione sociale degli enti del Terzo settore,
dell’associazionismo, dell’attività di volontariato e della cultura e della
pratica del dono quali espressioni di partecipazione, solidarietà e pluralismo,
e si sottolinea il dovere della Repubblica, in collaborazione con le Regioni e
Province autonome e gli enti locali, di promuoverne lo sviluppo
salvaguardandone la spontaneità ed autonomia, e favorendone l’apporto originale
per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale
(finalità che l’art. 1 della legge delega definisce come caratterizzanti per
gli enti del Terzo settore).
L’articolo 3 delimita il campo di applicabilità delle disposizioni del Codice, chiarendo che queste si utilizzano, ove non derogate ed in quanto compatibili, anche agli enti del Terzo settore definiti da una disciplina particolare.
Sul punto, la Relazione al provvedimento chiarisce che le disposizioni del Codice si applicano anche agli enti del Terzo settore con una disciplina particolare (come ad esempio le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale), a condizione che esse non siano derogate da norme particolari relative alla specifica figura organizzativa del Terzo settore e siano con queste ultime compatibili. Comunque, la Relazione sottolinea che il Codice assurge al rango di fonte principale del diritto degli enti del Terzo settore globalmente considerato.
Inoltre, agli enti del Terzo settore si applicano, in quanto compatibili, le norme del Codice civile e le relative disposizioni di attuazione nel caso di lacune di previsione accertate nel Codice del Terzo settore, previa verifica di compatibilità. La Relazione chiarisce che il rinvio generico al Codice civile deve intendersi come riferito in particolare alle norme del Codice civile, e alle relative disposizioni di attuazione, che disciplinano i vari tipi organizzativi (associazione, ecc.).
Invece, le disposizioni del Codice del Terzo settore non si applicano alle fondazioni bancarie (enti di cui al D Lgs. 153/1999[2]), ad eccezione delle disposizioni raccolte nel Capo II del Titolo VIII riferite ai Centri di servizio per il volontariato.
Si ricorda che l’art. 1, co. 1, della legge delega specifica che le fondazioni bancarie, pur perseguendo le finalità degli altri enti del Terzo settore, sono escluse dall'applicazione delle disposizioni della delega stessa e da quelle contenute nei decreti attuativi da queste discendenti.
Il Titolo II (articoli da 4 a 16):
- delimita il perimetro del Terzo settore enumerando gli Enti che ne fanno parte (art. 4);
- razionalizza i settori delle attività di interesse generale attraverso la compilazione di un elenco unico, con il tentativo di fondere la normativa attualmente prevista ai fini fiscali con quella prevista ai fini civilistici. Introduce nuovi settori di attività, fra i quali si segnalano: commercio equo e solidale; comunicazione a carattere comunitario; alloggio sociale; accoglienza umanitaria ed integrazione sociale di stranieri; agricoltura sociale; adozioni internazionali; riqualificazione di beni pubblici inutilizzati o di beni confiscati alla criminalità organizzata. Viene inoltre prevista la possibilità di aggiornare l’elenco delle attività di interesse generale con D.P.C.M. da adottarsi su proposta dei ministri lavoro/MEF, acquisito il parere delle commissioni parlamentari competenti (art. 5). Infine, le attività di interesse generale potranno essere finanziate anche attraverso la richiesta a terzi di lasciti, donazioni e contributi di natura non corrispettiva (art. 7);
- prevede, accanto all’ esercizio delle attività di interesse generale, l’esercizio di attività diverse (art. 6) e la possibilità di costituire uno o più patrimoni destinati ad uno specifico affare (art. 10);
- integra la nozione vigente di distribuzione indiretta (art. 8);
- opera il rafforzamento della lotta al dumping contrattuale a danno del settore cooperativo e garantisce l'assenza degli scopi lucrativi attraverso il principio di proporzionalità tra i diversi trattamenti economici dei lavoratori dipendenti (art. art. 16);
- prescrive l’obbligo, per gli enti del Terzo settore, di iscriversi nel Registro unico nazionale del Terzo settore e di indicare gli estremi dell’iscrizione negli atti, nella corrispondenza e nelle comunicazioni al pubblico;
- inserisce obbligatoriamente, nella denominazione sociale, l’indicazione di ente del Terzo settore o dell’acronimo ETS (art. 12);
- prevede l’adozione con decreto di Linee guida in materia di bilancio sociale e di valutazione di impatto sociale dell’attività svolta dagli enti del Terzo settore. Gli enti del Terzo settore con ricavi/rendite/proventi o entrate superiori ad 1 milione di euro dovranno depositare presso il Registro unico nazionale del Terzo settore, e pubblicare nel proprio sito internet, il bilancio sociale redatto secondo le Linee guida (art. 14);
- obbliga gli enti del Terzo settore con ricavi/rendite/proventi o entrate superiori ad 1 milione di euro a depositare presso il Registro unico nazionale del Terzo settore, e pubblicare nel proprio sito internet, il bilancio sociale redatto secondo linee guida, tenendo conto della natura dell’attività esercitata e delle dimensioni dell’ente, anche ai fini della valutazione dell’impatto sociale delle attività svolte (art. 14);
- vincola gli enti del Terzo settore con ricavi/rendite/proventi o entrate superiori a cinquantamila euro a pubblicare annualmente ed aggiornare nel proprio sito Internet, o nel sito Internet della rete associativa cui aderiscono, gli eventuali emolumenti, compensi o corrispettivi a qualsiasi titolo attribuiti ai componenti degli organi di amministrazione e controllo, ai dirigenti nonché agli associati (art. 14).
L’articolo 4 delimita il perimetro del Terzo settore - per sua natura sottoposto alle tensioni e alla pluralità delle forme giuridiche ed organizzative che lo compongono - enumerando e definendo gli Enti che ne fanno parte. Sono enti del Terzo settore:
- le organizzazioni di volontariato;
- le associazioni di promozione sociale;
- gli enti filantropici;
- le imprese sociali, incluse le cooperative sociali;
- le reti associative;
- le società di mutuo soccorso;
- ogni altro ente costituito in forma di associazione, riconosciuta o non riconosciuta, o di fondazione che persegua, senza scopo di lucro, finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma volontaria e di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritto nel registro unico nazionale del Terzo settore.
Tale definizione di carattere generale riprende l’art. 1, co.1, secondo periodo, della legge 106/2016. Sul punto la Relazione al provvedimento, sottolinea che il Codice ammette, accanto agli enti del Terzo settore “tipici” (le particolari categorie di enti del Terzo settore destinatari di una disciplina particolare di cui al Titolo V), enti del Terzo settore “atipici” in forma di associazione o fondazione. In tal modo si ritiene di “non ingessare la libertà organizzativa degli enti, soprattutto quelli di nuova costituzione, consentendo l’emersione di nuove tipologie organizzative degli enti, al momento difficilmente individuabili ma in grado, in futuro, di svilupparsi con caratteristiche originali”.
Non sono enti del Terzo settore:
- tutte le amministrazioni dello Stato ( come definite all’art. 1, co. 2, del D. Lgs. 165/2001), ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al D. Lgs. 300/1999;
- le formazioni e le associazioni politiche;
- i sindacati;
- le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche;
- le associazioni di datori di lavoro;
- gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati dagli enti sopra elencati.
Viene infine introdotta una disciplina differenziata per gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e per gli enti delle confessioni religiose che hanno stipulato patti, accordi o intese con lo Stato. A tali enti infatti, si applicano le norme del Codice del Terzo settore limitatamente allo svolgimento delle attività di interesse generale (di cui all’art. 5), a condizione che per tali attività venga adottato un regolamento - in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata - che recepisca le norme del Codice stesso. Ulteriore condizione è l’iscrizione nel Registro unico nazionale del Terzo settore. Infine, per lo svolgimento delle attività di interesse generale, gli enti confessionali e ed ecclesiastici dovranno costituire un patrimonio destinato (vedi successivo articolo 10) e tenere separate le scritture contabili (vedi successivo articolo 13 dello schema).
Si ricorda che la facoltà di adottare una disciplina differenziata che
tenga conto delle peculiarità della compagine e della struttura associativa
nonché della disciplina relativa agli enti delle confessioni religiose che
hanno stipulato patti o intese con lo Stato è espressamente compresa fra i
criteri di delega, precisamente all’art. 4, comma 1, lettera d) della legge 106/2016.
Gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti sono enti aventi finalità di religione o di culto, appartenenti alla Chiesa cattolica o a confessioni religiose diverse dalla cattolica, cui è riconosciuta la personalità giuridica ai sensi del codice civile.
Per quanto riguarda gli enti delle confessioni religiose che hanno stipulato patti, accordi o intese con lo Stato, si ricorda, che, l’art. 8 della Costituzione stabilisce che i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.
Le intese finora intervenute danno atto della autonomia e della indipendenza degli ordinamenti religiosi diversi da quello cattolico.
Ciascuna intesa reca disposizioni dirette a disciplinare i rapporti tra lo Stato e quella confessione religiosa che ha stipulato l’intesa.
Le confessioni religiose con le quali lo Stato italiano ha stipulato intese ex art. 8 Cost. sono:
- le Chiese rappresentate dalla Tavola valdese (Legge n. 449/1984);
- le Assemblee di Dio in Italia (Legge n. 517/1988);
- l’Unione delle Chiese Cristiane Avventiste del 7° giorno (Legge n. 516/1988);
- l’Unione delle comunità ebraiche italiane (Legge n. 101/1989);
- l’Unione cristiana evangelica battista d’Italia (Legge n. 116/1995);
- la Chiesa evangelica luterana in Italia (Legge n. 520/1995);
- la Sacra Arcidiocesi ortodossa d'Italia ed Esarcato per l'Europa Meridionale (Legge n. 126/2012);
- la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni (Legge n. 127/2012); a Chiesa Apostolica in Italia (Legge n. 128/2012);
- l’Unione Induista italiana, Sanatana Dharma Samgha (Legge n. 246/2012); l’Unione Buddhista Italiana (Legge n. 245/2012);
- l’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai (Legge n. 130/2016).
L’articolo 5 definisce le attività di interesse generale. Attualmente, il perseguimento di attività di interesse generale (come definite in art. 118, co. 4, Cost.) qualifica le organizzazioni di Terzo settore sulla base di elementi sostanziali, ponendo un discrimine nell’utilizzo delle diverse forme giuridiche.
La legge 106/2016 all’art. 4, co.1, lette. b) ha posto i principi e i criteri direttivi utili per l’individuazione delle attività di interesse generale che caratterizzano gli enti del Terzo settore. In primo luogo si specifica che lo svolgimento delle attività generali deve essere coerente con le previsioni statutarie e avvenire attraverso modalità che prevedano le più ampie condizioni di accesso da parte dei soggetti beneficiari. Per quanto riguarda i settori di attività, si propone la loro razionalizzazione attraverso la compilazione di un elenco unico, con il tentativo di unificare la normativa attualmente prevista ai fini fiscali e civilistici, senza però escludere, come disposto dalla successiva lett. c), che settori di attività possano caratterizzarsi come connotanti del lavoro di specifici enti del Terzo settore. Infatti, le attività di interesse generale devono essere individuate secondo criteri che tengono conto delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, nonché dei settori di attività previsti dal D.Lgs. 460/1997[3] e dal D.Lgs. 155/2006[4]. La delega prevede che le attività di interesse generale possano essere aggiornate con D.P.C.M. da adottare su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, acquisito il parere delle Commissioni parlamentari competenti
Attualmente, l’articolo 10 del D.Lgs. 460/1997, che regolamenta il settore del non profit
secondo criteri di unitarietà e coordinamento in materia di normativa
tributaria degli enti non commerciali, ha introdotto nell'ordinamento nazionale
le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS). All’interno dei soggetti del Terzo settore, le ONLUS
costituiscono una categoria rilevante ai soli fini fiscali, alla quale è
destinato un regime tributario di favore in considerazione delle finalità di
solidarietà sociale perseguite. Ne deriva che possono qualificarsi come ONLUS:
le associazioni con o senza personalità giuridica; i comitati; le fondazioni;
le società cooperative e altri enti di carattere privato purché perseguano
finalità meritevoli di tutela. Al contrario, non possono qualificarsi come
ONLUS e sono soggetti esclusi : gli enti pubblici, le società commerciali
diverse dalle cooperative, le fondazioni bancarie, i partiti e i movimenti
politici, le organizzazioni sindacali, le associazioni di datori di lavoro e le
associazioni di categoria La condizione necessaria per acquisire la qualifica
di ONLUS è dunque individuata dalla finalità di solidarietà sociale rivolta ad
apportare benefici a persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche,
sociali, economiche o familiari, oppure a componenti di collettività estere
relativamente agli aiuti umanitari. L’articolo 10 specifica che le finalità di
solidarietà sociale si intendono sempre perseguite per i soggetti del terzo
settore che svolgono attività in uno o più dei settori riferibili a:
· assistenza sociale e
socio-sanitaria;
· assistenza sanitaria;
· beneficenza;
· istruzione;
· formazione;
· sport dilettantistico;
· tutela, promozione e
valorizzazione delle cose d'interesse artistico e storico;
· tutela e valorizzazione
della natura e dell'ambiente;
· promozione della cultura e
dell'arte;
· tutela dei diritti civili;
· ricerca scientifica di
particolare interesse sociale;
· cooperazione allo sviluppo
e solidarietà internazionale;
· esclusivo perseguimento di
finalità di solidarietà sociale.
Per quanto riguarda le imprese sociali, i settori di attività nei quali i beni e servizi
prodotti o scambiati possano essere considerati di utilità sociale, ai sensi
dell’art. 2, co. 1, del D.Lgs. 155/2006, sono invece
i seguenti:
- assistenza sociale;
- assistenza sanitaria;
- assistenza socio-sanitaria;
- educazione, istruzione e formazione;
- tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, con
esclusione dell'attività, esercitata abitualmente, di raccolta e riciclaggio
dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi;
- valorizzazione del patrimonio culturale;
- turismo sociale;
- formazione universitaria e
post-universitaria;
- ricerca ed erogazione di servizi culturali;
-formazione extra-scolastica, finalizzata
alla prevenzione della dispersione scolastica ed al successo scolastico e
formativo;
- servizi strumentali alle imprese sociali,
resi da enti composti in misura superiore al 70 per cento da organizzazioni che
esercitano un'impresa sociale.
Indipendentemente dai propri settori di
attività, possono essere considerate imprese sociali anche quelle che
inseriscono nel loro organico una quota non inferiore al 30 per cento di
lavoratori svantaggiati e disabili.
Per quanto riguarda le cooperative sociali, ne vengono individuate due tipologie a secondo
della prevalenza delle attività:
1. cooperative "di tipo A"
destinate ad occuparsi della gestione dei servizi socio sanitari, assistenziali
ed educativi;
2. cooperative "di tipo B"
destinate allo svolgimento d'attività produttive (agricole, industriali,
commerciali o di servizi) finalizzate all'inserimento lavorativo di persone
svantaggiate (invalidi fisici, psichici e sensoriali, ex degenti di istituti
psichiatrici, soggetti in trattamento psichiatrico, tossicodipendenti,
alcolisti, minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare,
condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione). Le persone
svantaggiate devono costituire almeno il trenta per cento dei lavoratori della
cooperativa e, compatibilmente con il loro stato soggettivo, essere socie della
cooperativa stessa
L’articolo in esame specifica che gli enti del Terzo settore, diversi dalle imprese sociali incluse le cooperative sociali, esercitano in via esclusiva o principale una o più attività di interesse generale, considerate tali se svolte in conformità alle norme particolari che ne disciplinano l’esercizio.
Rispetto alle norme particolari che possono disciplinare l’esercizio di una attività di interesse generale, la Relazione chiarisce che se una normativa settoriale pone una riserva o una condizione (ad esempio, l'iscrizione in appositi albi o registri) per l'esercizio di una determinata attività, tali riserve e condizioni si applicano anche agli enti del Terzo settore.
L’articolo in esame reca l’elenco delle attività generali. Le attività generali hanno ad oggetto:
- sistema integrato di interventi e servizi sociali, dove per servizi sociali si intendono tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario (ai sensi dell’art. 1, co. 1 e 2, della legge 328/2000[5]);
- prestazioni sanitarie riconducibili ai Livelli Essenziali di Assistenza come definiti dal D.p.c.m. 12 gennaio 2017[6]
- prestazioni socio-sanitarie di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 febbraio 2001. Si ricorda, che tali prestazioni sono peraltro indicate anche dal D.p.c.m. 12 gennaio 2017;
- educazione, istruzione e formazione professionale, ai sensi della legge 53/ 2003[7];
- servizi finalizzati alla salvaguardia e al miglioramento delle condizioni dell’ambiente e all’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali con esclusione attività raccolta e riciclaggio rifiuti urbani, speciali e pericolosi;
- interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio, ai sensi del D.Lgs. 42/2004[8];
- formazione universitaria e post-universitaria;
- ricerca scientifica di particolare interesse sociale;
- organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale;
- comunicazione a carattere comunitario, ai sensi dell’art. 16, co. 5, della legge 223/1990[9];
Ai sensi dell’art. 16, co. 5, del D. Lgs.
223/1990, la radiodiffusione sonora a carattere comunitario è caratterizzata
dall'assenza dello scopo di lucro ed è esercitata da fondazioni, associazioni
riconosciute e non riconosciute, che sono espressione di particolari istanze
culturali, etniche, politiche e religiose, nonché società cooperative, che
hanno per oggetto sociale la realizzazione di un servizio di radiodiffusione
sonora a carattere culturale, etnico, politico e religioso. La relativa
concessione è rilasciata senza obbligo di cauzione, sia in ambito nazionale che
locale, ai soggetti predetti, i quali devono trasmettere programmi originali
autoprodotti con contenuti aderenti alle istanze indicate per almeno il 50 per
dell'orario di trasmissione giornaliero, compreso tra le ore 7 e le ore 21. Non sono considerati programmi
originali autoprodotti le trasmissioni di brani musicali intervallate da
messaggi pubblicitari o da brevi commenti del conduttore della stessa
trasmissione. Attualmente la radiofonia
comunitaria in Italia è rappresentata in grande maggioranza di radio
confessionali (cattolica, cristiana evangelica, avventista, valdese, metodista,
spesso associate e consorziate) e da un
numero stretto di emittenti di informazione.
- organizzazione e gestione di attività turistiche di interesse sociale, culturale o religioso;
- formazione extra-scolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica e al successo scolastico e formativo;
- servizi strumentali ad enti del Terzo settore resi da enti composti in misura non inferiore al settanta per cento da enti del Terzo settore;
- cooperazione allo sviluppo, legge 125/2014[10];
- commercio equo e solidale, da intendersi come un rapporto commerciale con un produttore operante in un’area economica svantaggiata situata, di norma, in un Paese in via di sviluppo, sulla base di un accordo di lunga durata finalizzato a consentire, accompagnare e migliorare l’accesso del produttore al mercato, attraverso il dialogo, la trasparenza, il rispetto e la solidarietà, e che preveda il pagamento di un prezzo equo e l’obbligo del produttore di garantire condizioni di lavoro sicure, nel rispetto delle normative stabilite dall’Organizzazione internazionale del lavoro, di remunerare in maniera adeguata i lavoratori, in modo da permettere loro di condurre un’esistenza libera e dignitosa, e di rispettare i diritti sindacali, nonché di impegnarsi per il contrasto del lavoro minorile;
- servizi finalizzati all’inserimento o al reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori molto svantaggiati[11] e delle persone svantaggiate o con disabilità[12], nonché delle persone beneficiarie di protezione internazionale[13], e delle persone senza fissa dimora iscritte nell’Anagrafe della popolazione residente (registro di cui all'art. 2, quarto comma, della legge 1228/1954), le quali versino in una condizione di povertà tale da non poter reperire e mantenere un'abitazione in autonomia (categorie di cui all’art. 2, co. 4, del D.Lgs. recante revisione della disciplina in materia di impresa sociale);
- alloggio sociale, ai sensi del decreto del Ministero delle infrastrutture del 22 aprile 2008[14], nonché ogni altra attività di carattere residenziale temporaneo diretta a soddisfare bisogni sociali, sanitari, culturali, formativi o lavorativi;
- accoglienza umanitaria ed integrazione sociale di stranieri;
- agricoltura sociale, ai sensi dell’articolo 2 della legge 141/2015[15];
- organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche;
- beneficenza, sostegno a distanza, o erogazione di denaro, beni o servizi a sostegno di persone svantaggiate o di attività di interesse generale a norma del presente articolo;
- promozione della pace tra i popoli, della nonviolenza e della difesa non armata;
- promozione e tutela dei diritti umani e dei diritti civili;
- cura di procedure di adozione internazionale ai sensi della legge 184/1983[16];
- protezione civile ai sensi della legge 225/1992[17]. Si ricorda in quest’ambito anche il D.P.R. 194/2001 Regolamento recante norme concernenti la partecipazione delle organizzazioni di volontariato nelle attività di Protezione Civile;
- riqualificazione di beni pubblici inutilizzati o di beni confiscati alla criminalità organizzata.
Innovando rispetto alla disciplina vigente, viene infine prevista la possibilità di aggiornare l’elenco delle attività di interesse generale. L’aggiornamento è operato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da adottarsi su proposta dei ministri lavoro/MEF, acquisito il parere delle commissioni parlamentari competenti, da rendersi entro trenta giorni dalla trasmissione, trascorsi i quali il parere s’intende rilasciato.
Si rileva che l’articolo in esame non fornisce i criteri in base ai
quali operare l’aggiornamento.
L’articolo 6 consente, agli enti del Terzo settore, l’esercizio di attività diverse da quelle di interesse generale, a condizione che l’atto costitutivo o lo statuto lo consentano e siano secondarie e strumentali rispetto alle attività di interesse generale, anche tenendo conto dell’insieme delle risorse impegnate in tali attività in rapporto a quelle impiegate nelle attività di interesse generale. Un decreto lavoro/MEF, sentita la Cabina di regia di coordinamento presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (di cui all’art. 97 del provvedimento in esame), dovrà individuare i criteri e i limiti entro i quali sarà consentito l’esercizio di attività diverse.
La Relazione al provvedimento chiarisce che nel definire quantitativamente il carattere secondario dell'attività rispetto all'attività di interesse generale, si dovrà tenere conto non solo dei ricavi dell'attività secondaria, ma anche, tra l'altro, dei suoi costi, anche figurati, considerato il riferimento "all'insieme delle risorse impegnate in tali attività".
L’articolo 7 definisce la raccolta fondi come il complesso delle attività ed iniziative poste in essere da un ente del Terzo settore al fine di finanziare le proprie attività di interesse generale, anche attraverso la richiesta a terzi di lasciti, donazioni e contributi di natura non corrispettiva[18].
Gli enti del Terzo settore, diversi dalle imprese sociali incluse le cooperative sociali, possono realizzare attività di raccolta fondi anche in forma organizzata e continuativa, mediante sollecitazione al pubblico o attraverso la cessione o erogazione di beni o servizi di modico valore, impiegando risorse proprie e di terzi, inclusi volontari e dipendenti, e ispirandosi a verità, trasparenza e correttezza nei rapporti con i sostenitori e il pubblico, in conformità a linee guida adottate con decreto del Ministro del lavoro, sentiti la Cabina di regia di coordinamento presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (di cui all’art. 97 del provvedimento in esame) e il Consiglio nazionale del Terzo settore.
La disposizione risponde alla delega contenuta nell’art. 9, co. 1, lett. b), della legge 106/2016, nella parte in cui si chiede agli enti del Terzo settore di promuovere, anche attraverso iniziative di raccolta di fondi, i comportamenti donativi delle persone e degli enti.
Si ricorda che il Consiglio dell’Agenzia per le Onlus ha, nel 2010, predisposto le Linee Guida per la Raccolta dei Fondi (si veda anche Linee Guida per le buone prassi e la raccolta dei fondi nei casi di emergenza umanitaria). Il documento, che raccoglie comportamenti, tecniche e strumenti per le buone prassi nella raccolta dei fondi, intende tutelare tutti i soggetti coinvolti dall’attività di raccolta fondi: il donatore (persona fisica o giuridica) che ha l’aspettativa di vedere realizzate le finalità della sua donazione; il destinatario finale della donazione (persona fisica o giuridica) che ha l’aspettativa di ricevere le risorse che il donatore ha inteso destinargli; l’amministrazione pubblica che verifica la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dei benefici fiscali; la stessa organizzazione ricevente che ha interesse a tutelare la propria missione e reputazione.
L’articolo 8, dedicato alla Destinazione del patrimonio ed assenza di scopo di lucro, stabilisce che il patrimonio degli enti del Terzo settore (comprensivo di eventuali ricavi, rendite, proventi, entrate, comunque denominate), è destinato allo svolgimento dell’attività statutaria di interesse generale per l’esclusivo perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale.
Attualmente, l'art. 2 della legge
quadro sul volontariato 266/1991 definisce l’attività di volontariato come
quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro
anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà. Inoltre, la
qualifica di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di
lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di contenuto
patrimoniale con l'organizzazione di cui si fa parte. Al volontario aderente
possono essere soltanto rimborsate, dall'organizzazione di appartenenza, le
spese effettivamente sostenute per l'attività prestata. Lavoratori dipendenti o
prestazioni di lavoro autonomo sono possibili esclusivamente nei limiti
necessari al regolare funzionamento delle associazioni. Il socio può soltanto
farsi rimborsare i costi effettivamente sostenuti, entro limiti quantitativi e
qualitativi in precedenza stabiliti in via generale dal consiglio direttivo o
dall'assemblea con apposita delibera o regolamento.
Per la restante parte degli enti
non profit il divieto non è così totale o netto, anche se deve permanere nella
sostanza dei fatti.
Conseguentemente, e come previsto dai criteri di delega (art. 4, co. 1, lett. e), è vietata la distribuzione, anche indiretta, di utili ed avanzi di gestione, fondi e riserve, comunque denominati, a fondatori, associati, lavoratori e collaboratori, amministratori ed altri componenti degli organi associativi, anche nel caso di recesso o di ogni altra ipotesi di scioglimento individuale del rapporto associativo. L’articolo 8 in esame non specifica, come la delega, che i divieti fanno salvo quanto previsto per l’impresa sociale circa le forme di remunerazione del capitale sociale con prevalente destinazione degli utili al conseguimento dell'oggetto sociale.
Si ricorda che, ai sensi
dell'art. 10 del D. Lgs. 460/1997[19] gli enti
senza finalità di lucro non possono distribuire in via diretta e/o indiretta
utili e avanzi di gestione. Conseguentemente, non possono essere corrisposti in
alcun modo compensi ai componenti degli organi amministrativi e di controllo,
se non per le attività che essi realmente prestano (fanno eccezione le
associazioni di volontariato costituite ai sensi della legge 266/1991 per le
quali è espressamente vietata la possibilità di corrispondere compensi a soci e
amministratori). I compensi devono essere proporzionati all'attività svolta, e
commisurati a quanto stabilito dal comma 6 del citato articolo 10, in base al
quale si considerano in ogni caso distribuzione indiretta di utili o di avanzi
di gestione: le cessioni di beni e le prestazioni di servizi; la corresponsione
ai componenti gli organi amministrativi e di controllo di emolumenti
individuali annui superiori al compenso massimo previsto per il presidente del
collegio sindacale delle società per azioni; la corresponsione a soggetti
diversi dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati, di interessi
passivi, in dipendenza di prestiti di ogni specie, superiori di 4 punti al tasso
ufficiale di sconto; la corresponsione ai lavoratori dipendenti di salari o
stipendi superiori del 20% rispetto a quelli previsti dai contratti collettivi
di lavoro per le medesime qualifiche.
Viene quindi specificato cosa deve essere in ogni caso considerata distribuzione indiretta non consentita; senza escludere, come suggerisce la Relazione al provvedimento, che possano configurarsi altre fattispecie di distribuzione indiretta. In particolare:
a) la corresponsione ad amministratori, sindaci e a chiunque rivesta cariche sociali di compensi individuali non proporzionali all’attività svolta, alle responsabilità assunte e alle specifiche competenze o comunque superiori a quelli previsti in enti che operano nei medesimi o analoghi settori e condizioni, e in ogni caso superiori a ottantamila euro annui;
b) la corresponsione a lavoratori subordinati o autonomi di retribuzioni o compensi superiori del venti per cento rispetto a quelli previsti, per le medesime qualifiche, dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dai contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali (RSA) ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria (RSU) (come definiti dall’art. 51 del D. Lgs. 81/2015[20]), salvo comprovate esigenze attinenti alla necessità di acquisire specifiche competenze ai fini dello svolgimento delle attività di interesse generale aventi come oggetto prestazioni sanitarie, formazione universitaria e post-universitaria e ricerca scientifica di particolare interesse sociale ( di cui all’art. 5, co. 1, lettere b), g) o h);
c) l’acquisto di beni o servizi per corrispettivi che, senza valide ragioni economiche, siano superiori al loro valore normale;
d) le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, a condizioni più favorevoli di mercato, a soci, associati o partecipanti, ai fondatori, ai componenti gli organi amministrativi e di controllo, a coloro che a qualsiasi titolo operino per l’organizzazione o ne facciano parte, ai soggetti che effettuano erogazioni liberali a favore dell’organizzazione, ai loro parenti entro il terzo grado ed ai loro affini entro il secondo grado, nonché alle società da questi direttamente o indirettamente controllate o collegate, esclusivamente in ragione della loro qualità, salvo che tali cessioni o prestazioni non costituiscano l’oggetto dell’attività di interesse generale di cui all’articolo 5.
A proposito della lettera d), la Relazione precisa che tale disposizione non impedisce, ma anzi conferma, la possibilità della cessione o della prestazione gratuite o verso corrispettivi inferiori al loro valore normale di beni o servizi (da intendersi alla luce dell’art. 9 del Testo Unico delle imposte sui redditi - TUIR[21]) qualora esse costituiscano proprio l'oggetto dell'attività di interesse generale e realizzino pertanto le finalità dell'ente del Terzo settore. Conseguentemente, ad esempio, l'organizzazione di volontariato che svolga attività di assistenza sociale o sanitaria potrebbe erogare gratuitamente i propri servizi agli associati, senza che ciò costituisca distribuzione indiretta di utili.
e) la corresponsione a soggetti diversi dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati, di interessi passivi, in dipendenza di prestiti di ogni specie, superiori di quattro punti al tasso annuo di riferimento. Tale limite può essere aggiornato con decreto lavoro/economia.
L’articolo 9 disciplina la devoluzione del patrimonio in caso di scioglimento. Più in particolare, in caso di estinzione o scioglimento, il patrimonio residuo è devoluto, previo parere positivo dell’Ufficio del Registro unico nazionale del Terzo settore (di cui al successivo art. 45), e salva diversa destinazione imposta dalla legge, ad altri enti del Terzo settore secondo le disposizioni statutarie o dell’organo sociale competente o, in mancanza, alla Fondazione Italia Sociale. Il parere è reso entro trenta giorni dalla data di ricezione della richiesta che l'ente interessato è tenuto a inoltrare al predetto Ufficio con raccomandata a/r o posta elettronica certificata, decorsi i 30 giorni il parere si intende reso positivamente. Gli atti di devoluzione del patrimonio residuo che avvengono in assenza o in contrasto con il parere di cui al periodo precedente sono nulli.
In caso di
scioglimento per qualunque causa, l’art. 148
del D.P.R. 917/1986[22] al co.
8, lettera b), prevede l'obbligo, per
gli enti di tipo associativo, di devolvere
il patrimonio ad altra associazione con finalità analoghe o ai fini di pubblica
utilità, sentito l'organismo di
controllo degli enti non commerciali, e salvo diversa destinazione
imposta dalla legge. L'art. 10 del D. Lgs. 460/1997 riferisce le stesse disposizioni per
gli enti associativi nel caso di perdita della qualifica di Onlus.
L’organismo di controllo designato a rendere
parere vincolante sulla devoluzione del patrimonio è stato in seguito
individuato nell’Agenzia per le onlus (poi Agenzia
per il terzo settore). L’attività istituzionale dell’Agenzia, avviata nel 2002
in applicazione del DPCM 329/2001, intendeva promuovere, su tutto il territorio
nazionale, una “uniforme e corretta osservanza della disciplina legislativa e
regolamentare” concernente le Onlus, il Terzo settore
e gli enti non commerciali, attraverso l’esercizio dei poteri di indirizzo,
promozione, vigilanza e controllo. Il DPCM 51/2011 ha rafforzato il ruolo
istituzionale dell’Agenzia, valorizzando e riconoscendo la funzione dei
soggetti del Terzo settore. L’anno successivo, con una scelta molto contestata,
l’Agenzia per il terzo settore è stata soppressa dal comma 23 dell’art. 8 del
decreto legge 16/2012. I compiti e le funzioni dell’Agenzia, sono stati
trasferiti al Ministero del lavoro e delle politiche sociali - Direzione Generale
per il terzo settore e della responsabilità sociale delle imprese.
L’articolo 10 permette, agli enti del Terzo settore dotati di personalità giuridica ed iscritti nel registro delle imprese, di costituire uno o più patrimoni destinati ad uno specifico affare ai sensi e per gli effetti degli articoli 2447-bis e seguenti del Codice civile.
La possibilità, riconosciuta a tutte le società per azioni, di costituire “patrimoni destinati” – dedicati cioè al compimento di uno specifico affare e distinti rispetto al restante patrimonio sociale – è prevista dagli articoli da 2447-bis a 2447-decies del Codice Civile, introdotti nell’ambito della riforma del diritto societario.
Al fine di beneficiare della separazione patrimoniale, il legislatore pone a disposizione delle società per azioni due distinti modelli: a) i patrimoni destinati: la società può costituire “uno o più patrimoni separati, ciascuno dei quali destinato ad uno specifico affare” (art. 2447-bis, comma 1, lett. a); b) i finanziamenti destinati: la società può stipulare, con soggetti terzi, uno o più contratti finalizzati al finanziamento di specifici affari, nei quali si preveda che al rimborso dello stesso siano destinati “i proventi dell’affare stesso o almeno parte di essi” (art. 2447-bis, comma 1, lett. b) e art. 2447-decies), i quali costituiscono essi stessi un patrimonio autonomo.
L’obiettivo è quello di mettere a disposizione degli operatori gli strumenti idonei a consentire la gestione di iniziative specifiche, senza che sia necessaria la costituzione di società apposite, estendendo alle società di diritto comune la possibilità di vincolare risorse patrimoniali alla realizzazione di tale attività.
L’articolo 11 prescrive l’obbligo, per gli enti del Terzo settore, di iscriversi nel Registro unico nazionale del Terzo settore e di indicare gli estremi dell’iscrizione negli atti, nella corrispondenza e nelle comunicazioni al pubblico. Oltre che nel Registro unico nazionale, gli enti del Terzo settore che esercitano la propria attività esclusivamente o principalmente in forma di impresa commerciale sono soggetti all’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese. Per le imprese sociali, l’iscrizione nell’apposita sezione del registro delle imprese soddisfa il requisito dell’iscrizione nel Registro unico nazionale del Terzo settore.
Il successivo articolo 12 inserisce obbligatoriamente, nella denominazione sociale, in qualunque modo formata, l’indicazione di ente del Terzo settore o dell’acronimo ETS. Di tale indicazione deve farsi uso negli atti, nella corrispondenza e nelle comunicazioni al pubblico. Fanno eccezione e non sono soggetti all’ obbligo sopra descritti, gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e gli enti delle confessioni religiose che hanno stipulato patti, accordi o intese con lo Stato. L’indicazione di ente del Terzo settore o dell’acronimo ETS, ovvero di parole o locuzioni equivalenti o ingannevoli, non può essere usata da soggetti diversi dagli enti del Terzo settore.
Gli articoli da 13 a 15 sono dedicati alle scritture contabili e al bilancio.
Si ricorda che l’Agenzia del Terzo settore (v. supra) ha predisposto le Linee Guida e schemi per la redazione del bilancio sociale delle organizzazioni non profit che insieme alle Linee Guida e schemi per la redazione dei bilanci di esercizio degli enti non profit intendono fornire indicazioni per la redazione del Bilancio Sociale l’indicazione di principi, criteri di redazione e informazioni analitiche utili alla compilazione.
Più precisamente, l’articolo 13 stabilisce che il bilancio di esercizio deve essere formato da: stato patrimoniale; rendiconto gestionale con l’indicazione delle entrate, dei proventi, delle uscite e dei costi dell’ente; relazione di missione che illustra le poste di bilancio, l’andamento economico e finanziario dell’ente e le modalità di perseguimento delle finalità statutarie.
Il bilancio degli enti del Terzo settore con ricavi/rendite/proventi o entrate inferiori a 220.000,00 euro può essere redatto nella forma del rendiconto finanziario per cassa.
Inoltre, il bilancio deve essere redatto in conformità alla modulistica definita con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Consiglio nazionale del terzo settore.
Gli enti del Terzo settore che esercitano la propria attività esclusivamente o principalmente in forma di impresa commerciale devono tenere le scritture contabili di cui all’articolo 2214 del codice civile[23]. Inoltre, devono redigere e depositare presso il registro delle imprese il bilancio di esercizio redatto, a seconda dei casi, ai sensi degli articoli 2423 (Redazione del bilancio) e seguenti, 2435-bis (Bilancio in forma abbreviata) o 2435-ter (Bilancio delle micro-imprese) del Codice civile.
L’organo di amministrazione documenta il carattere secondario e strumentale delle attività diverse da quelle di interesse generale nella relazione al bilancio o nella relazione di missione.
Viene poi ribadito che gli enti del Terzo settore non iscritti nel registro delle imprese devono depositare il bilancio presso il Registro unico nazionale del Terzo settore.
L’articolo 14 prevede l’emanazione di Linee guida in materia di bilancio sociale e di valutazione di impatto sociale dell’attività svolta dagli enti del Terzo settore. Le Linee guida, che dovranno fra l’altro tener conto della natura dell’attività esercitata e delle dimensioni dell’ente, devono essere adottate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentiti la Cabina di regia di coordinamento presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (di cui all’art. 97 del provvedimento in esame) e il Consiglio nazionale del Terzo settore, che sulle Linee esprime parere obbligatorio non vincolante.
Si rileva che non viene posto alcun termine per l’emanazione delle
Linee guida.
Gli enti del Terzo settore con ricavi/rendite/proventi o entrate superiori ad 1 milione di euro dovranno depositare presso il Registro unico nazionale del Terzo settore, e pubblicare nel proprio sito internet, il bilancio sociale redatto secondo le Linee guida, anche ai fini della valutazione dell’impatto sociale delle attività svolte.
La legge 106/2016
definisce, all’art. 7, co. 3, l’impatto sociale come “la valutazione
qualitativa e quantitativa, sul breve, medio e lungo periodo, degli effetti
delle attività svolte sulla comunità di riferimento rispetto all'obiettivo
individuato”. L’art. 7 rinvia alla predisposizione delle Linee guida anche in
attuazione del criterio di delega recato dall’art. 4, co. 1, lett. o) in tema
di valorizzazione del ruolo degli enti del Terzo settore nella fase di
programmazione degli interventi territoriali e di individuazione di modalità
per l'affidamento dei servizi d'interesse generale improntate al rispetto di
standard di qualità e impatto sociale del servizio, obiettività, trasparenza e
semplificazione e nel rispetto della disciplina europea e nazionale in materia
di affidamento dei servizi di interesse generale, nonché individuazione dei
criteri e delle modalità per la verifica dei risultati in termini di qualità e
di efficacia delle prestazioni.
La
valutazione e misurazione degli impatti sociali è una metodologia consolidata
nei paesi anglosassoni, dove anche la filantropia è un attore noto e importante
nella cultura imprenditoriale e nei
sistemi giuridici e socio-economici. In Europa, la stessa Commissione Europea ha affidato al sottogruppo GECES (Commission Expert Group on the social business initiative) il mandato di sviluppare una
metodologia per misurare l’impatto sociale delle attività delle imprese sociali[24].
Tale metodologia è necessaria per lo sviluppo dei fondi europei per
l’imprenditoria sociale (FEIS) e nel contesto del programma per l’occupazione e
l’innovazione sociale (EaSI), che stanzia oltre 86
milioni di euro in sovvenzioni, investimenti e garanzie per il periodo 2014-2020
a favore delle imprese sociali che dimostrino di avere un “impatto sociale
misurabile”.
Esistono strumenti e metodologie diversi per la misurazione degli impatti [25],
molti dei quali realizzati su misura per il tipo di organizzazione che le
utilizza, a seconda delle attività, degli obiettivi e degli aspetti
dell’impatto che si intende misurare, pertanto compito delle Linee guida sarà
quello di fornire indicazioni uniformi e applicabili da tutti gli enti del
Terzo settore. A questo proposito si rinvia in prima istanza alla ricerca La misurazione dell'impatto
sociale delle associazioni di promozione sociale e, più in generale, degli enti
che operano nel cosiddetto Terzo settore, del marzo 2016, commissionata dal Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali e dall’ISFOL ad un partenariato composto da
IREF (Capofila) università di Roma Tor Vergata, Università di Napoli Federico
II, Università di Bergamo. In particolare, lo studio si pone come obiettivo
quello di ricostruire un modello di rendicontazione sociale applicabile al
mondo dell’associazionismo di promozione sociale ma utile più in generale anche
per tutto il Terzo settore, basato su: 1) Il bilancio sociale: le modalità di accountability e
rendicontazione nei confronti dei beneficiari e dell’intera comunità di
riferimento; 2) Il valore sociale aggiunto, ossia l’insieme dei tratti
distintivi che caratterizzano i soggetti dell’associazionismo di promozione
sociale, e che consentono di generare nei territori effetti positivi rispetto
alla coesione sociale e allo sviluppo relazionale ed economico del territorio;
3) L’impatto sociale: le ricadute, gli effetti attesi o inattesi nel lungo
periodo di servizi, progetti e azioni svolte dai soggetti APS.
Gli enti del Terzo settore con ricavi/rendite/proventi o entrate superiori a cinquantamila euro devono in ogni caso pubblicare annualmente ed aggiornare nel proprio sito Internet, o nel sito Internet della rete associativa cui aderiscono, gli eventuali emolumenti, compensi o corrispettivi a qualsiasi titolo attribuiti ai componenti degli organi di amministrazione e controllo, ai dirigenti nonché agli associati.
L’articolo 15 enumera o libri sociali obbligatori ma compatibili con la sua forma giuridica.
Oltre le scritture contabili e i bilanci (di cui agli artt. 13 e 14) e il registro dei volontari nello svolgimento delle attività di interesse generale (di cui all’art. 17, co. 1), gli enti del Terzo settore devono tenere:
a) il libro degli associati o aderenti, tenuto dall’organo di amministrazione;
b) il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee, in cui devono essere trascritti anche i verbali redatti per atto pubblico, tenuto dall’organo di amministrazione;
c) il libro delle adunanze e delle deliberazioni dell’organo di amministrazione, dell’organo di controllo, e di eventuali altri organi sociali, tenuti a cura dell’organo cui si riferiscono.
Gli associati o gli aderenti degli enti del Terzo settore, fatta eccezione per gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e per gli enti delle confessioni religiose che hanno stipulato patti, accordi o intese con lo Stato, hanno diritto di esaminare i libri sociali, secondo le modalità previste dall’atto costitutivo o dallo statuto.
L’articolo 16 soddisfa e precisa le deleghe di cui all’articolo 4, co.1, lettere h) e l) della legge 106/2016 ribadendo che i lavoratori degli enti del Terzo settore hanno diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi di cui all’art. 51 del D. Lgs. 81/2015[26]. In ogni caso, in ciascun ente del Terzo settore, la differenza retributiva tra lavoratori dipendenti non può essere superiore al rapporto uno a sei, da calcolarsi sulla base della retribuzione annua lorda. Gli enti del Terzo settore danno conto del rispetto di tale parametro nel proprio bilancio sociale o, in mancanza, nella relazione di missione (di cui all’art. 13, co. 1).
Si ricorda che la disposizione in commento intende
proseguire la lotta al dumping contrattuale a danno del settore cooperativo (in
materia Corte Costituzionale, sentenze 59/2013 e 51/2015)
Il Titolo III
(articoli da 17 a 19) reca la definizione dello status del volontario e norme
volte a favorire la promozione e il riconoscimento della cultura del
volontariato in ambito scolastico e lavorativo.
Si ricorda che l’art. 5 della legge 106/2016 ha indicato i principi ed i criteri direttivi per provvedere al riordino e alla revisione organica della disciplina vigente in materia di attività di volontariato, di promozione sociale e di mutuo soccorso. La prima finalità di ordine generale, contenuta nella lettera a) dell’art. 5, è “l’armonizzazione e il coordinamento delle diverse discipline vigenti in materia di volontariato e di promozione sociale, valorizzando i princìpi di gratuità, democraticità e partecipazione e riconoscendo e favorendo, all'interno del Terzo settore, le tutele dello status di volontario e la specificità delle organizzazioni di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, e di quelle operanti nella protezione civile”.
L’articolo 17 reca la definizione dello status di volontario.
Ai fini del Codice, il volontario è una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, per il tramite di un ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà. Gli enti del Terzo settore che si avvalgono di volontari nello svolgimento delle attività di interesse generale, devono darne conto in un apposito registro.
L’attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo, nemmeno dal beneficiario. Al volontario possono essere rimborsate, dall’ente in cui svolge la propria attività, soltanto le spese effettivamente sostenute e documentate per l’attività prestata, entro limiti massimi e alle condizioni preventivamente stabilite dall’ente del Terzo settore nel quale è attivo; ovvero al singolo volontario non possono erogarsi rimborsi illimitati, ma solo rimborsi contenuti in limiti individuali quantitativi e/o qualitativi (per tipologia di spesa) preventivamente individuati da parte degli organi deliberativi dell’associazione[27]. Sono in ogni caso vietati rimborsi spese di tipo forfetario, ossia senza specifico collegamento con spese, singolarmente individuate, effettivamente sostenute dai percettori.
Le spese sostenute dal volontario possono essere rimborsate anche a fronte di una autocertificazione resa ai sensi dell’art. 46 del D.P.R. 445/2000[28], purché non superino l’importo di 10 euro giornalieri e 150 euro mensili e l’organo sociale competente deliberi sulle tipologie di spese e le attività di volontariato per le quali è ammessa questa modalità di rimborso. Tale modalità di rimborso non si applica alle attività di volontariato aventi ad oggetto la donazione di sangue e di organi.
Sul punto, si ricorda che l’art. 5, co.1, lett. b) della legge delega ha indicato quale principio e criterio direttivo “l’introduzione di criteri e limiti relativi al rimborso spese per le attività dei volontari, preservandone il carattere di gratuità e di estraneità alla prestazione lavorativa”. In seguito, nel corso dell’esame parlamentare, il Governo ha accolto l'ordine del giorno G5.210/8 che lo ha impegnato a valutare la possibilità di riconoscere, ai fini di semplificazione degli adempimenti, rimborsi forfettari su base annua di modica entità, e in ogni caso proporzionale all'impegno, costante o saltuario, del volontario, nonché frazioni di anno in cui l'attività di volontariato si svolge.
La norma in esame stabilisce inoltre che la qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività volontaria.
Non si considera volontario l’associato che esercita gratuitamente una carica sociale o che occasionalmente coadiuvi gli organi sociali nello svolgimento delle loro funzioni.
Le disposizioni del Titolo III (Del volontario e dell’attività di volontariato) non si applicano agli operatori volontari del servizio civile universale e al personale impiegato all’estero a titolo volontario nelle attività di cooperazione internazionale allo sviluppo.
Attualmente, la legge quadro 266/1991 definisce il volontariato come “un'attività prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l'organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà. L'attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario. Al volontario possono essere soltanto rimborsate dall'organizzazione di appartenenza le spese effettivamente sostenute per l'attività prestata, entro limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse. La qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di contenuto patrimoniale con l'organizzazione di cui fa parte.”
L’articolo 18 pone in capo agli enti del Terzo settore che si avvolgono di volontari l’obbligo di assicurarli contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell’attività di volontariato, nonché per la responsabilità civile verso i terzi.
Un decreto sviluppo economico/lavoro, da emanarsi entro sei mesi dall’entrata in vigore del provvedimento in esame, dovrà individuare i meccanismi assicurativi semplificati, con polizze anche numeriche, e disciplinare i relativi controlli. La copertura assicurativa è elemento essenziale delle convenzioni tra gli enti del Terzo settore e le amministrazioni pubbliche, e i relativi oneri sono a carico dell’amministrazione pubblica con la quale viene stipulata la convenzione.
Ai sensi dell'art.4 della legge 266/1991, tutte le organizzazioni di volontariato hanno l'obbligo di assicurare tutti gli aderenti contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell'attività di volontariato, nonché per la responsabilità civile verso terzi. Ai sensi del successivo art. 7, co. 3, la copertura assicurativa è elemento essenziale delle convenzioni che lo Stato, le regioni, le province autonome, gli enti locali e gli altri enti pubblici possono stipulare con le organizzazioni di volontariato. Gli oneri assicurativi sono a carico dell'ente con il quale viene stipulata la convenzione medesima. La copertura assicurativa deve avvenire tramite assicurazioni private che possono essere stipulate in forma collettiva o in forma numerica come previsto dall'art. 2 del D.M. 14 febbraio 1992. Gli oneri relativi alla copertura assicurativa, qualora l'organizzazione stipuli delle convenzioni con gli enti pubblici, sono a carico dell'ente pubblico con il quale viene stipulata la convenzione medesima. L’attività prestata dai volontari, nonché quella degli addetti ai lavori di pubblica utilità, ai fini dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, è coperta dall’Inail e l’onere del relativo premio è posto direttamente a carico del Fondo sperimentale istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
L’articolo 19 soddisfa le deleghe di cui all’art. 5, lettere c) e d), della legge 106/2016 volte, rispettivamente alla promozione della cultura del volontariato, in particolare tra i giovani, anche attraverso apposite iniziative da svolgere nell'ambito delle strutture e delle attività scolastiche e alla valorizzazione delle diverse esperienze di volontariato, anche attraverso il coinvolgimento delle organizzazioni di volontariato nelle attività di promozione e di sensibilizzazione, e riconoscimento in ambito scolastico e lavorativo delle competenze acquisite dai volontari.
A tal fine, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni, definisce con decreto i criteri per il riconoscimento in àmbito scolastico e lavorativo delle competenze acquisite nello svolgimento di attività o percorsi di volontariato. Inoltre, ai fini del conseguimento di titoli di studio, le Università hanno la facoltà di riconoscere, nei limiti previsti dalla normativa vigente, crediti formativi a favore degli studenti che abbiano svolto, in organizzazioni di volontariato o in altri enti del Terzo settore, attività di volontariato certificate rilevanti per la crescita professionale e per il curriculum degli studi.
Infine, viene prevista una modifica dell’art. 10, co. 2, della legge 64/2001, istitutiva del Servizio civile nazionale, grazie alla quale le attività di volontariato, per un numero di ore regolarmente certificate, in enti del Terzo settore, iscritti nel Registro unico nazionale, danno accesso a crediti formativi, rilevanti, nell'ambito dell'istruzione o della formazione professionale, ai fini del compimento di periodi obbligatori di pratica professionale o di specializzazione, previsti per l'acquisizione dei titoli necessari all'esercizio di specifiche professioni o mestieri. In tal modo, l’attività di volontariato, per l’acquisizione di crediti formativi, viene posta sullo stesso livello del servizio civile o del servizio militare di leva.
Il Titolo IV (articoli 20-31), concernente
le associazioni e le fondazioni del Terzo settore, dispone in attuazione della
delega di cui all’articolo 1, comma 2, lettera a) della legge n. 106/2016,
relativa alla "revisione della disciplina del titolo II del libro primo
del codice civile in materia di associazioni, fondazioni e altre istituzioni di
carattere privato senza scopo di lucro, riconosciute come persone giuridiche o
non riconosciute" .
Con riferimento a
tale disposizione, l'art. 3 della L. 106/16 detta appositi principi e criteri
direttivi per la revisione del titolo II del libro primo del codice civile.
Esso si articola in
tre Capi:
il Capo I (art. 20),
recante disposizioni generali volte a definire l'ambito di applicazione del
Titolo in esame.
Il Capo II (artt.
21-22), recante la disciplina della costituzione delle associazioni e
fondazioni del Terzo settore. Viene definito, in particolare, il contenuto
dell’atto costitutivo e dello statuto, contenente le norme relative al
funzionamento dell’ente, e la procedura per l’acquisto della personalità
giuridica che, in deroga alle disposizioni vigenti, può avvenire anche mediante
iscrizione nel registro unico nazionale del terzo settore.
Il Capo III (artt.
23-31), recante la disciplina del loro ordinamento e della loro
amministrazione. Tale Capo uniforma l'ordinamento e l'amministrazione delle
associazioni non riconosciute a quelli delle associazioni riconosciute, laddove
la disciplina codicistica demanda agli accordi tra
gli associati la regolazione dell'ordinamento interno e dell'amministrazione
delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche (art. 36 c.c.).
Il Capo I,
costituito dal solo articolo 20, reca disposizioni generali volte a definire
l'ambito di applicazione del Titolo in esame.
L'articolo 20 definisce l'ambito di
applicazione del Titolo IV, prevedendo che le disposizioni in esso contenute si
applichino agli enti del Terzo settore costituiti in forma di associazione,
riconosciuta o non riconosciuta, o di fondazione.
Le associazioni, riconosciute
e non riconosciute, e le fondazioni sono disciplinate dal libro primo, titolo
II, del codice civile (Delle persone giuridiche).
In particolare, le
associazioni e le fondazioni, per le quali sia intervenuto il decreto di
riconoscimento ai sensi dell'art. 12 c.c., sono persone giuridiche private.
In assenza di tale decreto le
associazioni non sono riconosciute come persone giuridiche (art. 36 c.c.).
La legge delega (legge n. 106
del 2016) dispone che i decreti legislativi da adottare in propria attuazione
provvedano, appunto, alla "revisione della disciplina del titolo II del
libro primo del codice civile in materia di associazioni, fondazioni e altre
istituzioni di carattere privato senza scopo di lucro, riconosciute come
persone giuridiche o non riconosciute" (art. 1, comma 2, lett. a), l.
106/2016).
Con riferimento a tale
disposizione, l'art. 3 della l. 106/16 detta appositi principi e criteri
direttivi per la revisione del titolo II del libro primo del codice civile.
Tali principi e criteri
saranno di volta in volta richiamati nella illustrazione delle disposizioni del
Titolo in esame tese a darvi seguito.
L'articolo 21 reca disciplina dell'atto
costitutivo delle associazioni, riconosciute e non riconosciute, e delle
fondazioni del Terzo settore, indicando gli elementi obbligatori dell'atto
costitutivo e disponendo in ordine al rapporto tra atto costitutivo e statuto.
Il comma 1 prevede
che l’atto costitutivo di tali enti contenga i seguenti elementi obbligatori:
- la denominazione dell’ente;
- l’assenza di scopo di lucro e le finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale perseguite;
- l’attività di interesse generale che costituisce l’oggetto sociale;
- la sede legale e le eventuali sedi secondarie;
- l’eventuale patrimonio iniziale;
- le norme sull’ordinamento, l’amministrazione e la rappresentanza dell’ente;
- i diritti e gli obblighi degli associati, ove presenti;
- i requisiti per l’ammissione di nuovi associati, ove presenti, e la procedura di ammissione, che deve ispirarsi a criteri non discriminatori, coerenti con le finalità perseguite e l’attività di interesse generale svolta;
- la nomina dei primi componenti degli organi sociali obbligatori e, quando previsto, del soggetto incaricato della revisione legale dei conti;
- le norme sulla devoluzione del patrimonio residuo in caso di scioglimento o di estinzione;
- la durata dell’ente, se prevista.
Il comma 2 prevede che lo statuto degli enti in questione - sebbene
oggetto di atto separato rispetto all'atto costitutivo - ne costituisca parte
integrante, e che le norme statutarie prevalgano in caso di contrasto con le clausole
dell’atto costitutivo.
Si ricorda, innanzitutto, che tra gli specifici principi e criteri direttivi posti dall'art. 3 della legge n. 106/16 per la revisione del titolo II del libro primo del codice civile ricorre il seguente: "definire le informazioni obbligatorie da inserire negli statuti e negli atti costitutivi".
Con riferimento agli statuti
e atti costitutivi, il titolo II del libro primo del codice civile reca le
seguenti prescrizioni:
ü per le persone giuridiche private (associazioni riconosciute e fondazioni): che esse siano costituite con atto pubblico e che le fondazioni possano anche essere costituite con testamento (art. 14 c.c.); che l'atto costitutivo e lo statuto contengano obbligatoriamente: la denominazione dell'ente, l'indicazione dello scopo, del patrimonio e della sede, nonché le norme sull'ordinamento e sull'amministrazione. In particolare, l'atto costitutivo e lo statuto delle associazioni devono anche determinare i diritti e gli obblighi degli associati e le condizioni della loro ammissione, mentre l'atto costitutivo e lo statuto delle fondazioni devono indicare i criteri e le modalità di erogazione delle rendite. Risultano, invece, elementi facoltativi dell'atto costitutivo e dello statuto delle persone giuridiche private: le norme relative alla estinzione dell'ente e alla devoluzione del patrimonio, e, per le fondazioni, anche quelle relative alla loro trasformazione (art. 16 c.c.);
ü per le associazioni non riconosciute, l'art. 36 c.c. si limita a prescrivere che "l'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati".
Si rileva, dunque, che - ai sensi delle disposizioni in commento - lo statuto e l'atto costitutivo delle associazioni e fondazioni del Terzo settore risultano soggetti ad una disciplina più stringente rispetto alla disciplina generale del codice civile. In particolare:
ü il loro atto costitutivo deve recare obbligatoriamente informazioni aggiuntive o comunque più articolate rispetto a quelle cui sono tenute le persone giuridiche private soggette alla disciplina generale (l’assenza di scopo di lucro e le finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale perseguite; l’attività di interesse generale che costituisce l’oggetto sociale; la nomina dei primi componenti degli organi sociali obbligatori e, quando previsto, del soggetto incaricato della revisione legale dei conti; la durata dell’ente, se prevista; le norme sulla devoluzione del patrimonio residuo in caso di scioglimento o di estinzione, che nella disciplina codicistica costituiscono un contenuto facoltativo dell'atto costitutivo e dello statuto);
ü la procedura di ammissione di nuovi associati deve ispirarsi a criteri non discriminatori, coerenti con le finalità perseguite e l’attività di interesse generale svolta;
ü nel Terzo settore non viene fatta alcuna distinzione tra gli statuti e gli atti costitutivi delle persone giuridiche private e quelli delle associazioni non riconosciute, essendo questi soggetti alle medesime disposizioni. L'ambito di applicazione dell'articolo in commento è infatti definito dal precedente art. 20 come quello degli enti del Terzo settore costituiti in forma di associazione, riconosciuta o non riconosciuta, o di fondazione.
L'articolo 22 reca disciplina
dell'acquisto della personalità giuridica per le associazioni e fondazioni del
Terzo settore. Tale disciplina è derogatoria rispetto alla disciplina generale
recata dal decreto del Presidente della Repubblica n. 361/2000.
Il comma 1 prevede
che le associazioni e le fondazioni del Terzo settore possano, in deroga al D.P.R.
n. 361/2000, acquistare la personalità giuridica mediante l’iscrizione nel
registro unico nazionale del Terzo settore.
Il comma 2 enumera
gli adempimenti cui è tenuto il notaio che abbia ricevuto l’atto costitutivo di
una associazione o di una fondazione del Terzo settore ovvero la pubblicazione
di un testamento con il quale si dispone una fondazione del Terzo settore. Il
notaio deve: accertare la sussistenza delle condizioni previste dalla legge per
la costituzione dell’ente, con particolare riferimento ai requisiti posti dal
provvedimento in esame per gli enti del Terzo settore; verificare la
sussistenza del patrimonio minimo come definito dal successivo comma 4;
depositare l'atto costitutivo ovvero il testamento, con i relativi allegati,
entro venti giorni dal ricevimento, presso il competente ufficio del registro
unico nazionale del Terzo settore, con contestuale richiesta di iscrizione per l’ente
interessato. All’ufficio del registro unico
nazionale del Terzo settore spetta la verifica della regolarità formale della
documentazione depositata e la conseguente iscrizione dell’ente nel registro.
Il comma 3
disciplina l'ipotesi in cui il notaio - all'esito degli accertamenti di cui al precedente
comma 2 - ritenga non sussistenti le condizioni per la costituzione dell’ente o
il patrimonio minimo. In tale caso il notaio è tenuto a darne comunicazione
motivata, tempestivamente e comunque non oltre 30 giorni dal ricevimento
dell'atto costitutivo ovvero del testamento, al fondatore o agli amministratori
dell’ente, i quali, nei 30 giorni successivi al ricevimento della comunicazione
del notaio, possono rivolgersi direttamente all’ufficio del registro competente
per ottenere l’iscrizione nel registro unico nazionale del Terzo settore. In
mancanza degli amministratori dell'associazione, può procedere in tal senso
ciascun associato. Decorsi 30 giorni dalla presentazione dell'istanza senza che
l’ufficio del registro abbia comunicato ai richiedenti il motivato diniego
ovvero richiesto una integrazione della documentazione ovvero non abbia
provvede all’iscrizione, si configura la fattispecie di silenzio-diniego.
Con riferimento all'espressione "questi
ultimi (vale a dire gli amministratori dell'associazione) e, in mancanza,
ciascun associato", si osserva che - in considerazione del fatto che
l'art. 21, comma 1, pone "la nomina dei primi componenti degli organi sociali
obbligatori" tra i contenuti obbligatori dell'atto costitutivo degli enti
del Terzo settore - parrebbe non potersi
verificare l'ipotesi di mancanza degli amministratori dell'associazione dopo
che l'atto costitutivo sia stato consegnato ad un notaio. A meno che con
l'espressione "in mancanza" non si intenda richiamare qualsiasi caso
di assenza; ma in tale ipotesi la facoltà di rivolgersi all'ufficio del
registro competente spetterebbe semplicemente a ciascun associato.
Il comma 4 individua
il patrimonio minimo per il conseguimento della personalità giuridica in una
somma liquida e disponibile non inferiore ad euro 15.000 per le associazioni e
ad euro 30.000 per le fondazioni. Qualora il patrimonio sia costituito da beni
diversi dal denaro, una relazione giurata di un revisore legale o di una
società di revisione legale iscritti nell’apposito registro, da allegare
all’atto costitutivo, deve certificare che il valore di tali beni risulta
corrispondente alle predette somme.
Il comma 5 dispone
che - qualora, nel corso della vita della persona giuridica, in conseguenza di
perdite, il patrimonio diminuisca di oltre un terzo rispetto al valore minimo individuato
dal comma 4 - l'ente è chiamato a deliberare senza indugio la ricostituzione
del patrimonio minimo oppure la trasformazione, la prosecuzione dell’attività
in forma di associazione non riconosciuta, la fusione o lo scioglimento
dell’ente. Tale deliberazione è di competenza:
ü nelle associazioni, dell'assemblea convocata senza indugio dall’organo di amministrazione e, nel caso di sua inerzia, dall’organo di controllo, ove nominato;
ü nelle fondazioni, dell'organo di amministrazione e, nel caso di sua inerzia, dell’organo di controllo.
Si osserva che le disposizioni del comma 5,
in quanto relative a episodi che potrebbero verificarsi nel corso della vita
della persona giuridica ed eventualmente determinarne l'estinzione, esulano dal
contenuto dell'articolo come sintetizzato nella rubrica "Acquisto della
personalità giuridica".
Il comma 6 dispone
che le modificazioni dell’atto costitutivo e dello statuto risultino da atto
pubblico e acquistino efficacia con l’iscrizione nel registro unico nazionale
del Terzo settore, in conformità alle disposizioni dei commi 2 e 3.
Il comma 7 prevede
che, nelle fondazioni e nelle associazioni riconosciute come persone
giuridiche, per le obbligazioni dell’ente sia chiamato a rispondere soltanto
l’ente con il suo patrimonio.
Si ricorda che tra i principi e criteri direttivi posti dall'art. 3 della legge n. 106/16 per la revisione del titolo II del libro primo del codice civile ricorrono i seguenti: "rivedere e semplificare il procedimento per il riconoscimento della personalità giuridica", "prevedere una disciplina per la conservazione del patrimonio degli enti", "disciplinare, nel rispetto del principio di certezza nei rapporti con i terzi e di tutela dei creditori, il regime di responsabilità limitata degli enti riconosciuti come persone giuridiche".
Si ricorda, inoltre, che il
procedimento per il riconoscimento della personalità giuridica è disciplinato
dal D.P.R. n. 361/2000 ("Regolamento recante norme per la semplificazione
dei procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di
approvazione delle modifiche dell'atto costitutivo e dello statuto (n. 17 dell'allegato
1 della L. 15 marzo 1997, n. 59)").
In
particolare:
ü l'art. 1 prevede che le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistino la personalità giuridica mediante il riconoscimento determinato dall'iscrizione nel registro delle persone giuridiche istituito presso le prefetture: la domanda - cui sono allegati copia autentica dell'atto costitutivo e dello statuto - è presentata alla prefettura nella cui provincia è stabilita la sede dell'ente; ai fini del riconoscimento devono essere state soddisfatte le condizioni previste da norme di legge o di regolamento per la costituzione dell'ente, lo scopo deve essere possibile e lecito e il patrimonio adeguato alla realizzazione dello scopo. Il prefetto: provvede all'iscrizione entro 120 giorni dalla data di presentazione della domanda ovvero, qualora ravvisi ragioni ostative all'iscrizione o la necessità di integrare la documentazione, entro il medesimo termine, ne dà motivata comunicazione ai richiedenti che provvedono nei successivi 30 giorni; se, nell'ulteriore termine di trenta giorni, il prefetto non comunica il motivato diniego ovvero non provvede all'iscrizione, questa si intende negata. Inoltre, il riconoscimento delle fondazioni istituite per testamento può essere concesso dal prefetto, d'ufficio, in caso di ingiustificata inerzia del soggetto abilitato alla presentazione della domanda.
ü l'art. 7 disciplina il riconoscimento delle persone giuridiche private che operano nelle materie attribuite alla competenza delle Regioni dall'articolo 14 del D.P.R. n. 616/77, e le cui finalità statutarie si esauriscono nell'àmbito di una sola Regione, mediante iscrizione nel registro delle persone giuridiche istituito presso la Regione.
Con
le disposizioni in commento associazioni e fondazioni del Terzo settore
acquistano la personalità mediante l’iscrizione nel registro unico nazionale
del Terzo settore, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche
sociali ai sensi dell'art. 45 del provvedimento in esame e operativamente gestito
su base territoriale (cfr. Titolo VI).
In
ottemperanza al disposto della legge delega, la semplificazione del procedimento
per il riconoscimento della personalità giuridica è perseguita tramite
l'istituzione di un apposito canale di riconoscimento, al quale in prima
battuta può accedere soltanto il notaio incaricato e in seconda istanza il
fondatore e gli amministratori dell'associazione, con una significativa
riduzione dei tempi rispetto a quelli previsti dal D.P.R. n. 361/2000 (20/30
giorni per il notaio e 30 giorni per l'ufficio del registro, contro i 120
giorni a disposizione del prefetto).
Si evidenzia, fin da subito, che il provvedimento in
esame - nell'ambito del Terzo settore - uniforma l'ordinamento e
l'amministrazione delle associazioni non riconosciute a quelli delle
associazioni riconosciute, laddove la disciplina codicistica
demanda agli accordi tra gli associati la regolazione dell'ordinamento interno
e dell'amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone
giuridiche (art. 36 c.c.). Si ricorda, al riguardo, che l'art. 1, comma 2, lett. a), della legge delega prevede che con decreto
legislativo di attuazione si provveda "alla revisione della disciplina del
titolo II del libro primo del codice civile in materia di associazioni,
fondazioni e altre istituzioni di carattere privato senza scopo di lucro, riconosciute come persone giuridiche
o non riconosciute".
L'articolo 23 reca disposizioni in ordine
alla procedura di ammissione di nuovi membri nelle associazioni, riconosciute e
non riconosciute, e nelle fondazioni del Terzo settore.
Il comma 1, in
ordine alle associazioni, prevede che - qualora l’atto costitutivo o lo statuto
non attribuiscano espressamente il potere decisorio sull'ammissione di nuovi
associati alla competenza dell’assemblea o di un altro organo eletto della
medesima - su detta ammissione decide, su richiesta dell’interessato, l’organo
di amministrazione, con deliberazione che viene comunicata all’interessato ed
annotata nel libro degli associati.
Il comma 2 prevede
che l’organo competente a pronunciarsi sulla domanda di ammissione ai sensi del
comma 1 disponga di un termine di sessanta giorni per formulare la motivazione
del diniego e comunicarla all'interessato.
Con riferimento alla formulazione "deve
entro sessanta giorni motivare la deliberazione di rigetto della domanda di
ammissione", sembrerebbe che il termine di 60 giorni debba riferirsi all'adozione
di una deliberazione motivata di rigetto piuttosto che non all'adozione di un
secondo atto di motivazione del rigetto già intervenuto.
Il comma 3 prevede
che il soggetto richiedente l'ammissione possa - entro sessanta giorni dalla
comunicazione della deliberazione di rigetto - chiedere che sull’istanza non
accolta si pronunci l’assemblea o un altro organo eletto dalla medesima, i
quali, se non appositamente convocati, deliberano in occasione della prima
convocazione successiva alla richiesta.
Si osserva che - qualora, ai sensi del comma
1, l’atto costitutivo o lo statuto abbiano attribuito espressamente il potere
decisorio sull'ammissione di nuovi associati all’assemblea o a un altro organo
eletto della medesima e si verifichi la fattispecie di cui al comma in esame -
l’assemblea o un altro organo eletto della medesima si troverebbero a
deliberare due volte sullo stesso oggetto.
Il comma 4 prevede
che le disposizioni valevoli per le associazioni ai sensi dei commi precedenti
si applichino - in quanto compatibili e sempre che lo statuto non disponga
diversamente - anche alle fondazioni del Terzo settore nelle quali è presente,
ai sensi delle norme statutarie, un organo assembleare o di indirizzo, comunque
denominato.
Non si direbbe inequivoca la limitazione
dell'applicabilità delle disposizioni di cui all'articolo in esame "alle
fondazioni del Terzo settore il cui statuto preveda la costituzione di un
organo assembleare o di indirizzo, comunque denominato".
Più precisamente, se tale limitazione è chiara con riferimento alle
disposizioni di cui al comma 3 (pronunciamento in secondo grado dell'organo
assembleare), non lo è altrettanto con riferimento ai commi 1 e 2, i quali
possono trovare applicazione anche in fondazioni dove sia presente unicamente
l'organo di amministrazione.
Si ricorda che l'art. 16, primo comma, del codice civile, demanda agli statuti la disciplina delle condizioni di ammissione nelle associazioni riconosciute, senza imporre alcun indirizzo né dettare alcuna disposizione al riguardo.
L'articolo 21, comma 1, del provvedimento in esame - ferma restando anche nelle associazioni, riconosciute e non riconosciute, e nelle fondazioni del Terzo settore la disciplina statutaria degli eventuali requisiti di ammissione e della procedura di ammissione - impone, tuttavia, che questa si ispiri "a criteri non discriminatori, coerenti con le finalità perseguite e l’attività di interesse generale svolta".
Le disposizioni dell'articolo in commento vanno dunque ad aggiungersi alla disciplina obbligatoriamente dettata dagli statuti ai sensi del richiamato art. 21, comma 1.
Quanto alla loro applicabilità alle fondazioni, ai sensi del comma 4 dell'articolo in esame, si ricorda che gli statuti delle fondazioni prevedono spesso una composizione personale in linea generale così articolata: i fondatori promotori (talvolta semplicemente fondatori), che hanno sottoscritto l'atto costitutivo (ovvero vi hanno aderito entro un tempo brevissimo successivo alla costituzione ovvero hanno acquisito tale qualifica per aver contribuito considerevolmente al patrimonio dell'ente); i partecipanti fondatori (talvolta semplicemente fondatori o sostenitori), generalmente ammessi in tale qualifica perché contribuiscono ad accrescere il patrimonio dell'ente (Fondo di dotazione) in determinata misura; i partecipanti (o aderenti), che, condividendo le finalità della fondazione, ne sostengono l'attività mediante il versamento di contributi al Fondo di gestione.
Quanto alla presenza dell'organo assembleare o di indirizzo nelle fondazioni, si ricorda che il codice civile (art. 20) prevede che l'assemblea sia organo necessario soltanto nelle associazioni, non nelle fondazioni, per le quali l'unico organo necessario è l'organo di amministrazione.
Gli statuti delle fondazioni prevedono, tuttavia, spesso la presenza dell'organo assembleare ovvero di altro organo di indirizzo altrimenti denominato.
L'articolo 24 reca disposizioni relative
all'attività dell'organo assembleare (voto, rappresentanza e assemblee
separate) nelle associazioni, riconosciute o non riconosciute, del Terzo
settore, disponendo in ordine alla loro applicabilità anche alle fondazioni del
Terzo settore, il cui statuto preveda la presenza di un organo assembleare o di
indirizzo.
Il comma 1 prevede
che nell’assemblea delle associazioni, riconosciute o non riconosciute, del
Terzo settore abbiano diritto di voto tutti coloro che sono iscritti da almeno
tre mesi nel libro degli associati, salvo che l’atto costitutivo o lo statuto
non dispongano diversamente.
Il comma 2 dispone
in ordine all'attribuzione dei voti agli associati. La regola generale è che a
ciascun associato spetti un voto. A tale regola l’atto costitutivo o lo statuto
possono derogare al fine di attribuire agli associati che siano enti del Terzo
settore fino ad un massimo di cinque voti, in proporzione al numero dei loro
associati o aderenti. Dispone, infine, che alle associazioni del Terzo settore
si applichino, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 2373 del
codice civile, che disciplina le ipotesi di conflitto di interesse che possono
verificarsi in sede di deliberazione dell'assemblea delle società per azioni.
In particolare l'art. 2373
c.c. prevede che:
ü la deliberazione approvata con il voto determinante di coloro che abbiano, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società possa essere impugnata a norma dell'articolo 2377, qualora possa recare danno alla società:
ü gli amministratori non possano votare nelle deliberazioni riguardanti la loro responsabilità;
ü i componenti del consiglio di gestione non possano votare nelle deliberazioni riguardanti la nomina, la revoca o la responsabilità dei consiglieri di sorveglianza.
Il comma 3 reca
disposizioni in materia di rappresentanza nell'assemblea. Vi si prevede che:
ü qualora l’atto costitutivo o lo statuto non dispongano diversamente, ciascun associato possa farsi rappresentare nell’assemblea da un altro associato mediante delega scritta, anche in calce all’avviso di convocazione;
ü ciascun associato possa rappresentare fino ad un massimo di tre associati nelle associazioni con un numero di associati inferiore a 500 e di cinque associati in quelle con un numero di associati pari o superiore a 500;
ü gli atti costitutivi o gli statuti delle reti associative di cui all’articolo 41 disciplinino le modalità e i limiti delle deleghe di voto, anche in deroga a quanto precedentemente stabilito;
ü si applichino, in quanto compatibili, i commi quarto e quinto dell’articolo 2372 del codice civile, i quali recano limiti in ordine alla rappresentanza nell'organo assembleare delle società.
- In particolare il comma quarto prevede che, se la rappresentanza è conferita ad una società, associazione, fondazione od altro ente collettivo o istituzione, questi possano delegare soltanto un proprio dipendente o collaboratore. Il comma quinto prevede che la rappresentanza non possa essere conferita né ai membri degli organi amministrativi o di controllo o ai dipendenti della società, né alle società da essa controllate o ai membri degli organi amministrativi o di controllo o ai dipendenti di queste.
Il comma 4 dispone
che l’atto costitutivo o lo statuto delle associazioni del Terzo settore
possano prevedere l’intervento all’assemblea mediante mezzi di
telecomunicazione ovvero l’espressione del voto per corrispondenza o in via
elettronica, purché sia possibile verificare l’identità dell’associato che
partecipa e vota.
Il comma 5 dispone
che l’atto costitutivo o lo statuto delle associazioni con un numero di
associati pari o superiore a 500 possono prevedere e disciplinare la
costituzione e lo svolgimento di assemblee separate, comunque denominate, anche
rispetto a specifiche materie ovvero in presenza di particolari categorie di
associati o di svolgimento dell’attività in più ambiti territoriali. A tali
assemblee si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui ai commi
terzo, quarto, quinto e sesto dell’articolo 2540 del codice civile, in materia
di assemblee separate.
In particolare, i commi
richiamati dell'art. 2540 c.c. prevedono, con riferimento alle società
cooperative, che:
ü l'atto costitutivo stabilisca il luogo, i criteri e le modalità di convocazione e di partecipazione all'assemblea generale dei soci delegati e assicuri in ogni caso la proporzionale rappresentanza delle minoranze espresse dalle assemblee separate (terzo comma);
ü i delegati debbano essere soci e alla assemblea generale possano assistere anche i soci che hanno preso parte alle assemblee separate (quarto comma);
ü le deliberazioni dell'assemblea generale possano essere impugnate ai sensi dell'articolo 2377 anche dai soci assenti e dissenzienti nelle assemblee separate quando, senza i voti espressi dai delegati delle assemblee separate irregolarmente tenute, verrebbe meno la maggioranza richiesta per la validità della deliberazione (quinto comma);
ü le deliberazioni delle assemblee separate non possano essere autonomamente impugnate (quinto comma).
Il comma 6 prevede
che le disposizioni di cui all'articolo in esame si applichino - in quanto
compatibili e salva deroga da parte delle norme statutarie - anche alle
fondazioni del Terzo settore, il cui statuto preveda la presenza di un organo
assembleare o di indirizzo, comunque denominato.
Si ricorda che tra i principi e criteri direttivi posti dall'art. 3 della legge n. 106/16 per la revisione del titolo II del libro primo del codice civile ricorre il seguente: "assicurare il rispetto dei diritti degli associati, con particolare riguardo ai diritti di informazione, partecipazione e impugnazione degli atti deliberativi, e il rispetto delle prerogative dell'assemblea, prevedendo limiti alla raccolta delle deleghe", in attuazione del quale (fatta eccezione per i diritti di informazione) interviene l'articolo in commento.
Si ricorda che il titolo II
del libro primo del codice civile non dispone in ordine al diritto di voto,
attribuzione dei voti, rappresentanza nell'organo assembleare delle
associazioni.
L'articolo 25 enumera le competenze
dell'organo assembleare delle associazioni, riconosciute o non riconosciute,
del Terzo settore, alle quali gli statuti delle medesime associazioni non
possono derogare.
Il comma 1
attribuisce all’assemblea delle associazioni in questione i seguenti compiti: nomina
e revoca dei componenti degli organi sociali; nomina e revoca, quando previsto,
del soggetto incaricato della revisione legale dei conti; approvazione del
bilancio; deliberazione sulla responsabilità dei componenti degli organi
sociali e promozione dell'azione di responsabilità nei loro confronti; deliberazione
sull’esclusione degli associati, se l’atto costitutivo o lo statuto non
attribuiscono la relativa competenza ad altro organo eletto dalla medesima; deliberazione
sulle modificazioni dell’atto costitutivo o dello statuto; approvazione dell’eventuale
regolamento dei lavori assembleari; deliberazione sullo scioglimento, la
trasformazione, la fusione o la scissione dell’associazione; deliberazione
sugli altri oggetti attribuiti dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo
statuto alla sua competenza.
Il comma 2 prevede
che, nelle associazioni, riconosciute o non riconosciute, del Terzo settore che
hanno un numero di associati pari o superiore a 500, l’atto costitutivo o lo
statuto possano attribuire le competenze relative all'approvazione del bilancio
e all'approvazione dell’eventuale regolamento dei lavori assembleari all’organo
amministrativo o ad altro organo, comunque denominato, eletto dall’assemblea
degli associati o dall’assemblea di delegati (assemblea separata) di cui all’articolo
24, comma 5, o da altro organo eletto dalle medesime.
Il medesimo comma 2
prevede che, nelle reti associative di cui all’articolo 41, l’atto costitutivo
o lo statuto possano attribuire all’assemblea di delegati di cui all’articolo
24, comma 5, o ad altro organo eletto dalla medesima le seguenti competenze: di
nomina e revoca dei componenti degli organi sociali; di nomina e revoca, quando
previsto, del soggetto incaricato della revisione legale dei conti; di deliberazione
sulla responsabilità dei componenti degli organi sociali e di promozione dell'azione
di responsabilità nei loro confronti; di deliberazione sulle modificazioni
dell’atto costitutivo o dello statuto.
In merito alla formulazione del testo, con
riferimento all'espressione "assemblea di delegati eletti dalle assemblee
di cui all’articolo 24, comma 5", che ricorre nel primo e nel secondo
periodo del comma in esame, si rileva
che l'art. 24, comma 5, demanda allo statuto o all'atto costitutivo la
disciplina della eventuale costituzione di assemblee separate, senza prevedere
che i loro membri debbano essere "delegati eletti" dalle assemblee
degli associati che soddisfano le condizioni poste dal medesimo art. 24, comma
5. L'espressione utilizzata all'art. 24, comma 5, infatti, è "assemblee
separate" e non "assemblee di delegati".
Si valuti in proposito un coordinamento delle
due disposizioni, eventualmente puntualizzando il riferimento ai delegati
eletti nelle assemblee separate.
Il comma 3 prevede
che - nelle fondazioni del Terzo settore nelle quali lo statuto abbia previsto
la costituzione di un organo assembleare o di indirizzo, comunque denominato - con
disposizione statutaria possa essere attribuita a tale organo la competenza a deliberare su uno o più degli
oggetti di cui al comma 1, nei limiti in cui questo risulti compatibile con la
natura dell’ente quale fondazione e nel rispetto della volontà del fondatore.
Come già si è avuto occasione
di evidenziare, il codice civile (art. 20) prevede che l'assemblea sia organo
necessario soltanto nelle associazioni (riconosciute), non nelle fondazioni,
per le quali l'unico organo necessario è l'organo di amministrazione.
Gli statuti delle fondazioni
prevedono, tuttavia, spesso la presenza dell'organo assembleare ovvero di altro
organo di indirizzo altrimenti denominato.
Il titolo II del libro primo
del codice civile attribuisce all'assemblea delle associazioni riconosciute le
seguenti competenze:
ü approvazione del bilancio (art. 20, primo comma);
ü deliberazione sulle modificazioni dell’atto costitutivo o dello statuto (art. 21, secondo comma);
ü deliberazione sullo scioglimento dell'associazione e sulla devoluzione del patrimonio (art. 21, terzo comma);
ü deliberazione sulle azioni di responsabilità contro gli amministratori delle associazioni per fatti da loro compiuti (art. 22);
ü deliberazione di esclusione di un associato (art. 24, terzo comma).
L'articolo 26 reca disposizioni relative
all'organo di amministrazione delle associazioni, riconosciute o non
riconosciute, e delle fondazioni del Terzo settore.
Ai sensi del comma
1, l'organo di amministrazione è organo necessario nelle associazioni, riconosciute
o non riconosciute, del Terzo settore. Gli amministratori sono nominati dall’assemblea,
fatta eccezione per i primi amministratori che sono nominati nell’atto
costitutivo (in conformità a quanto previsto dall'art. 21, comma 1, che pone
tra i contenuti obbligatori dell'atto costitutivo la "nomina dei primi
componenti degli organi sociali obbligatori").
Il comma 2 dispone
che la maggioranza degli amministratori sia scelta tra le persone fisiche
associate ovvero tra le persone indicate dagli enti giuridici associati. Trova
applicazione l’articolo 2382 del codice civile, relativo alle cause di
ineleggibilità e di decadenza per gli amministratori delle società.
In particolare, l'art. 2382 c.c. dispone che non possa essere nominato amministratore, e se nominato decada dal suo ufficio, l'interdetto, l'inabilitato, il fallito, o chi sia stato condannato ad una pena che importa l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o l'incapacità ad esercitare uffici direttivi.
Il comma 3 prevede
che l’atto costitutivo o lo statuto delle associazioni in argomento possano
subordinare l’assunzione della carica di amministratore al possesso di
specifici requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza, anche con
riferimento ai requisiti previsti da Codici di comportamento adottati da
associazioni di rappresentanza o reti associative del Terzo settore. Il
medesimo comma 3 ribadisce che trova applicazione "in tal caso l’articolo
2382 del Codice civile, relativo alle cause di ineleggibilità e di decadenza".
Si rileva che la posizione da parte dello
statuto o dell'atto costitutivo di requisiti ulteriori rispetto a quelli posti
dal comma 2 per la nomina degli amministratori delle associazioni in questione
non configura un "caso diverso" da quello delineato dal comma 2, ma
semplicemente integra la fattispecie (ovvero "il caso") disciplinata
dal comma 2.
Appare pertanto ripetitivo il richiamo
all'art. 2382 c.c.
Il comma 4 dispone
che l’atto costitutivo o lo statuto possano prevedere che uno o più amministratori
siano scelti tra gli appartenenti alle diverse categorie di associati.
Il comma 5 - fatta
salva la nomina della maggioranza degli amministratori da parte dell’assemblea
- prevede che l’atto costitutivo o lo statuto possano attribuire la nomina di
uno o più amministratori ad enti del Terzo settore di cui all’articolo 4, comma
3, (vale a dire enti ecclesiastici civilmente riconosciuti ed enti delle
confessioni religiose che hanno stipulato patti, accordi o intese con lo Stato
di cui al richiamato art. 4, comma 3), o a lavoratori o utenti dell’ente.
Il comma 6 dispone
che l'organo di amministrazione, entro trenta giorni dalla comunicazione della
nomina, provveda a chiederne l’iscrizione nel Registro unico nazionale del Terzo
settore (cfr. Titolo VI), indicando per ciascun amministratore il nome, il
cognome, il luogo e la data di nascita, il domicilio e la cittadinanza, nonché
a quali di essi è attribuita la rappresentanza dell’ente, specificando se
disgiuntamente o congiuntamente.
Ai sensi del comma
7, il potere di rappresentanza attribuito agli amministratori è generale. Le
limitazioni del potere di rappresentanza non sono opponibili ai terzi se non
sono iscritte nel Registro unico nazionale del Terzo settore o se non si prova
che i terzi ne erano a conoscenza.
Quanto alle limitazioni del
potere di rappresentanza, esse sono già oggetto della disciplina codicistica delle persone giuridiche private: in
particolare l'art. 19 c.c. prevede che le limitazioni del potere di
rappresentanza, che non risultino dal registro provinciale delle persone
giuridiche non possano essere opposte ai terzi, salvo che si provi che essi ne
erano a conoscenza.
Ai sensi del comma 7 dell'articolo in commento, anche le associazioni non riconosciute del Terzo settore risultano soggette alle disposizioni in materia di potere di rappresentanza e sue limitazioni.
Ai sensi del comma
8, l'organo di amministrazione è organo necessario anche per le fondazioni del
Terzo settore.
Anche per la nomina
degli amministratori di tali fondazioni trova applicazione l’articolo 2382 del
codice civile relativo alle cause di ineleggibilità e di decadenza per gli
amministratori delle società.
All'organo di
amministrazione delle fondazioni del Terzo settore si applicano il comma
3 (che conferisce allo statuto o
all'atto costitutivo potestà di stabilire - rispettivamente - requisiti
ulteriori per la nomina degli amministratori), il comma 6 (sull'obbligo di
iscrizione della nomina degli amministratori nel Registro unico nazionale del Terzo
settore) e il comma 7 (relativo al potere di rappresentanza).
Inoltre nelle
fondazioni del Terzo settore il cui statuto preveda la costituzione di un
organo assembleare o di indirizzo, comunque denominato, possono trovare
applicazione, in quanto compatibili, i commi 4 (sulla possibilità di scegliere
tra gli appartenenti alle diverse categorie di associati) e 5 (sulla
possibilità di riservare a determinati soggetti la nomina di alcuni
amministratori).
L'articolo 27,
costituito da un unico comma, dispone che al conflitto di interessi degli
amministratori delle associazioni, riconosciute e non riconosciute, e delle
fondazioni del Terzo settore si applica l’articolo 2475-ter del codice civile, in materia di conflitto di interessi per gli
amministratori delle società a responsabilità limitata.
In particolare l'art. 2475-ter c.c. prevede che i contratti conclusi dagli amministratori che hanno la rappresentanza della società in conflitto di interessi, per conto proprio o di terzi, con la medesima possano essere annullati su domanda della società, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo.
Inoltre, prevede che le
decisioni adottate dal consiglio di amministrazione con il voto determinante di
un amministratore in conflitto di interessi con la società, qualora provochino
un danno patrimoniale alla società, possano essere impugnate entro novanta
giorni dagli amministratori e, ove esistenti, dai soggetti previsti
dall'articolo 2477 (sindaco e revisore legale dei conti). In ogni caso sono
salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in
esecuzione della decisione.
L'articolo 28, costituito da un unico
comma, prevede che gli amministratori, i direttori, i componenti dell’organo di
controllo e il soggetto incaricato della revisione legale dei conti nelle associazioni, riconosciute e non
riconosciute, e nelle fondazioni del Terzo settore rispondano nei
confronti dell’ente, dei creditori sociali, del fondatore, degli associati e
dei terzi, sulla base delle disposizioni codicistiche
che regolano la responsabilità degli amministratori, dei direttori generali e
dei sindaci delle società per azioni, nonché delle disposizioni che regolano la
responsabilità dei revisori legali e delle società di revisione legale ai sensi
dell’articolo 15 del decreto legislativo n. 39/10, in quanto compatibili.
In particolare, sono
richiamati i seguenti articoli del codice civile: 2392 (responsabilità degli
amministratori verso la società), 2393 (azione sociale di responsabilità),
2393-bis (azione sociale di
responsabilità esercitata dai soci), 2394 (responsabilità verso i creditori
sociali), 2394-bis (azioni di
responsabilità nelle procedure concorsuali), 2395 (azione individuale del socio
e del terzo), 2396 (responsabilità dei direttori generali) e 2407 (responsabilità
dei sindaci) del codice civile.
Si ricorda che l'art. 3, comma 1, lett. b), della legge n. 106/16 demanda al decreto legislativo di attuazione di "disciplinare, nel rispetto del principio di certezza nei rapporti con i terzi e di tutela dei creditori, (...) la responsabilità degli amministratori, tenendo anche conto del rapporto tra il patrimonio netto e il complessivo indebitamento degli enti medesimi".
L'articolo 29 reca disciplina della
denuncia dinanzi al tribunale e ai componenti dell’organo di controllo per le associazioni, riconosciute e non
riconosciute, e per le fondazioni del Terzo settore.
Il comma 1 dispone
che possono agire ai sensi dell’articolo 2409 del codice civile (in materia di
denunzia al tribunale per le società per azioni), in quanto compatibile, i
seguenti soggetti: almeno un decimo degli associati; l’organo di controllo; il
soggetto incaricato della revisione legale dei conti; il pubblico ministero.
L'art. 2409 c.c. prevede
l'attivazione della denuncia al tribunale in caso di fondato sospetto che gli
amministratori, in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto gravi
irregolarità nella gestione, che possono arrecare danno alla società o a una o
più società controllate.
Il comma 2 reca disciplina della denuncia
all'organo di controllo, ove nominato, delle associazioni e fondazioni del
Terzo settore, prevedendo che ad esso possano rivolgersi per denunziare i fatti
che ritengono censurabili i seguenti soggetti: ogni associato, ovvero almeno un
decimo degli associati nelle associazioni, riconosciute o non riconosciute, che
hanno più di 500 associati. L'organo di controllo deve tener conto della
denunzia nella relazione all’assemblea. Nel caso in cui la denunzia sia stata
fatta da almeno un ventesimo degli associati dell’ente, l'organo di controllo è
inoltre tenuto: ad indagare senza ritardo sui fatti denunziati e a presentare
le sue conclusioni ed eventuali proposte all'assemblea, nonché a convocare
l'assemblea in caso di omissione
o di ingiustificato ritardo da parte degli amministratori (ai sensi di quanto
previsto dall’articolo 2408, secondo comma, del codice civile per il collegio
sindacale delle società per azioni).
Circa
il controllo sulle fondazioni, si ricorda che l'art. 5 del D.P.R. n. 361/2000
ha disposto un esercizio decentrato delle funzioni di controllo delle
fondazioni già attribuite all'autorità governativa dalle norme del capo II del
titolo II del libro I, c.c.
Il comma 3 esclude dall'applicazione dell'articolo
in esame gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e agli enti delle
confessioni religiose che hanno stipulato patti, accordi o intese con lo Stato di
cui all’articolo 4, comma 3, del provvedimento in esame.
L'articolo 30 reca disposizioni in
materia dell'organo di controllo delle associazioni, riconosciute e non riconosciute, e delle fondazioni del
Terzo settore.
Ai sensi del comma
1, l'organo di controllo, costituito anche in forma monocratica, è organo
necessario nelle fondazioni del Terzo settore.
Ai sensi del comma
2, nelle associazioni, riconosciute o non riconosciute, del Terzo settore, l'organo
di controllo, costituito anche in forma monocratica, è organo necessario quando
siano superati, per due esercizi consecutivi, due dei seguenti limiti:
ü totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 110.000 euro;
ü ricavi, rendite, proventi, entrate, comunque denominate: 220.000 euro;
ü dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 5 unità.
Ai sensi del comma
3, tuttavia, l’obbligo di nominare l'organo di controllo sulla base delle
previsioni di cui al comma 2 viene nuovamente meno se, per due esercizi
consecutivi, i predetti limiti non vengono superati.
Il comma 4 aggiunge
un ulteriore caso di obbligatorietà della nomina dell’organo di controllo nelle
associazioni, riconosciute o non riconosciute, del Terzo settore, che si
verifica quando siano stati costituiti patrimoni destinati ad uno specifico
affare ai sensi dell’articolo 10 del provvedimento in esame.
Il comma 5 detta
norme valevoli per i componenti dell’organo di controllo delle associazioni e
delle fondazioni del Terzo settore:
ü ad essi si applica l’articolo 2399 del codice civile in materia di cause d'ineleggibilità e di decadenza dei sindaci delle società per azioni;
ü devono essere scelti tra le categorie di soggetti di cui all’articolo 2397, secondo comma, del codice civile, vale a dire secondo i criteri di composizione previsti per i collegi sindacali delle società per azioni. In particolare il richiamato secondo comma prevede che almeno un membro effettivo ed uno supplente siano scelti tra i revisori legali iscritti nell'apposito registro e che i restanti membri, se non iscritti in tale registro, siano scelti fra gli iscritti negli albi professionali individuati con decreto del Ministro della giustizia, o fra i professori universitari di ruolo, in materie economiche o giuridiche;
ü nel caso di organo di controllo collegiale, i predetti requisiti siano posseduti da almeno uno dei componenti.
In considerazione della disposizione di cui
all'ultimo periodo del comma in esame relativa agli organi di controllo
costituiti in forma collegiale, al fine di rendere inequivocabile la
formulazione del testo, parrebbe opportuno premettere al secondo periodo la
specificazione "Nel caso di organo di controllo costituito in forma monocratica".
Il comma 6 reca
disposizioni relative alle funzioni dell’organo di controllo. Esso è chiamato a
vigilare sull’osservanza della legge e dello statuto e sul rispetto dei
principi di corretta amministrazione, anche con riferimento alle disposizioni
del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 ("Disciplina della
responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle
associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11
della legge 29 settembre 2000, n. 300"), qualora applicabili, nonché
sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile
dell'ente e sul suo funzionamento. L'organo di controllo esercita altresì il
controllo contabile nelle seguenti ipotesi:
ü qualora non sia nominato un soggetto incaricato della revisione legale dei conti;
ü qualora un componente dell'organo di controllo sia un revisore legale iscritto nell’apposito registro di cui al capo III del decreto legislativo n. 39/10.
Il comma 7
attribuisce all’organo di controllo gli ulteriori seguenti compiti:
ü monitoraggio dell’osservanza delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, avuto particolare riguardo alle disposizioni di cui agli articoli 5 (Attività di interesse generale), 6 (Attività diverse), 7 (Raccolta fondi) e 8 (Destinazione del patrimonio ed assenza di scopo di lucro). Degli esiti di tale attività di monitoraggio deve dare atto il bilancio sociale di cui all'art. 14;
ü attestazione che il bilancio sociale sia stato redatto in conformità alle linee guida adottate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Consiglio nazionale del Terzo settore (in base a quanto disposto dall’articolo 14).
Il comma 8 autorizza
i componenti dell’organo di controllo a procedere, in qualsiasi momento, anche
individualmente, ad atti di ispezione e di controllo, consistenti anche nella
richiesta rivolta agli amministratori di notizie sull’andamento delle
operazioni sociali o su determinati affari.
Si ricorda che per le fondazioni non è presente una disposizione codicistica che preveda l'obbligo di dotarsi di un organo di controllo. Fanno eccezione alcune norme speciali, tra le quali si ricorda l'art. 20-bis del D.P.R. n. 600/73 (inserito dall'art. 25, comma 1, del decreto legislativo n. 460/97) che obbliga le Onlus, costituite anche in forma di fondazione, "qualora i proventi superino per due anni consecutivi l'ammontare di due miliardi di lire, modificato annualmente secondo le modalità previste dall'articolo 1, comma 3, della legge 16 dicembre 1991, n. 398", a corredare il bilancio di una relazione di controllo sottoscritta da uno o più revisori iscritti nel registro dei revisori.
L'articolo 31 reca disposizioni sulla
revisione legale dei conti per le associazioni, riconosciute o non
riconosciute, e le fondazioni del Terzo settore.
Il comma 1 dispone
che - fatto salvo quanto previsto dal comma 6 del precedente articolo 30 (in
materia di funzioni dell'organo di controllo) - le associazioni, riconosciute o
non riconosciute, e le fondazioni del Terzo settore sono tenute a nominare un
revisore legale dei conti o una società di revisione legale iscritti
nell’apposito registro (di cui al capo III del decreto legislativo n. 39/10)
quando superino, per due esercizi consecutivi, due dei seguenti limiti:
ü totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 1.100.000 euro;
ü ricavi, rendite, proventi, entrate, comunque denominate: 2.200.000 euro;
ü dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 12 unità.
Ai sensi del comma
2, tuttavia, l’obbligo di nominare l'organo di revisione legale dei conti sulla
base delle previsioni di cui al comma 1 viene nuovamente meno se, per due
esercizi consecutivi, i predetti limiti non vengono superati.
Il comma 3 aggiunge
un ulteriore caso di obbligatorietà della nomina dell’organo di controllo nelle
associazioni, riconosciute o non riconosciute, del Terzo settore, che si
verifica quando siano stati costituiti patrimoni destinati ad uno specifico
affare ai sensi dell’articolo 10 del provvedimento in esame.
Il Titolo V del Codice è dedicato agli enti del Terzo settore destinatari di una disciplina particolare, ovvero, nell'ordine proposto: alle Organizzazioni di volontariato (ODV), alle Associazioni di promozione sociale (APS), agli enti filantropici, alle imprese sociali, alle reti associative ed infine alle società di mutuo soccorso. L'individuazione delle categorie corrisponde all'assetto normativo attuale con il riconoscimento quali enti del Terzo settore di:
- enti filantropici costituiti in forma di associazione riconosciuta o di fondazione con la finalità di erogare denaro, beni o servizi, anche di investimento, a sostegno di categorie di persone svantaggiate o di attività di interesse generale;
- reti associative costituite in forma di associazione, riconosciuta o non riconosciuta, che associano, anche indirettamente attraverso gli enti ad esse aderenti, un numero non inferiore a 500 enti del Terzo settore, o, in alternativa, almeno 100 fondazioni del Terzo settore, le cui sedi legali o operative siano presenti in almeno cinque regioni o province autonome. Le reti associative hanno il compito di svolgere attività di coordinamento, tutela, rappresentanza, promozione o supporto degli enti del Terzo settore loro associati e delle loro attività di interesse generale, anche allo scopo di promuoverne ed accrescerne la rappresentatività presso i soggetti istituzionali. Possono promuovere partenariati e protocolli di intesa con le pubbliche amministrazioni e con soggetti privati. Le reti esercitano, tra le altre, anche l’attività di monitoraggio dell’attività degli enti ad esse associati, anche sotto forma di autocontrollo e di assistenza tecnica, eventualmente anche con riguardo al loro impatto sociale, e predispongono una relazione annuale al Consiglio nazionale del Terzo settore.
- società di mutuo soccorso, che continuano ad essere disciplinate dalla legge 3818/1886. Alle società di mutuo soccorso già esistenti alla data di entrata in vigore del Codice, viene concesso di trasformarsi, entro i successivi tre anni da tale data, in associazioni del Terzo settore o in associazioni di promozione sociale mantenendo il proprio patrimonio.
Il Capo I (artt. 32-34) reca disposizioni sulle organizzazioni di volontariato, definite quali “enti del Terzo settore costituiti in forma di associazione, riconosciuta o non riconosciuta, per lo svolgimento, prevalentemente, in favore di terzi di una o più attività di interesse generale, ad esclusione dei settori di attività relativi al commercio equo e solidale e all’agricoltura sociale”. A differenza di quanto avviene attualmente, vengono posti dei parametri quantitativi per la loro formazione: infatti, devono essere composte da un numero non inferiore a nove volontari o a cinque organizzazioni di volontariato. Come a legislazione vigente, le organizzazioni di volontariato possono assumere lavoratori dipendenti, o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo ma rispetto alla legge 266/1991 viene specificato che il numero dei lavoratori impiegati nell’attività non può essere superiore al venti per cento del numero dei volontari.
Sono fatte salve, per le organizzazioni di volontariato che operano nella protezione civile, le norme che regolano la materia.
Le disposizioni rispondono al criterio di delega di cui all’art. 5, co. 1, lett. a) che dispone l’armonizzazione e il coordinamento delle diverse discipline vigenti in materia di volontariato e di promozione sociale, valorizzando i princìpi di gratuità, democraticità e partecipazione e riconoscendo e favorendo, all'interno del Terzo settore, le tutele dello status di volontario e la specificità delle organizzazioni di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, e di quelle operanti nella protezione civile.
L’articolo 32 definisce le organizzazioni di volontariato quali enti del Terzo settore costituiti in forma di associazione, riconosciuta o non riconosciuta[29], per lo svolgimento, prevalentemente, in favore di terzi di una o più attività di interesse generale, ad esclusione dei settori di attività relativi al commercio equo e solidale e all’agricoltura sociale. L’attività è svolta avvalendosi in modo prevalente delle prestazioni dei volontari associati. A differenza di quanto avviene a legislazione vigente, vengono posti dei parametri quantitativi per la loro formazione: infatti, devono essere composte da un numero non inferiore a nove volontari o a cinque organizzazioni di volontariato.
Gli atti costitutivi delle organizzazioni di volontariato possono prevedere l’ammissione come associati di altri enti del Terzo settore, diversi dalle organizzazioni di volontariato, a condizione che il loro numero non sia superiore al trenta per cento del numero delle organizzazioni di volontariato associate.
La denominazione sociale deve contenere l’indicazione di organizzazione di volontariato o l’acronimo ODV. L’indicazione di organizzazione di volontariato o l’acronimo ODV, ovvero di parole o locuzioni equivalenti o ingannevoli, non può essere usata da soggetti diversi dalle organizzazioni di volontariato.
L'art
3, co. 2, della legge 266/1991 prevede espressamente che le organizzazioni di
volontariato possano assumere la forma giuridica che ritengono più adeguata al
perseguimento dei propri fini, salvo il limite di compatibilità con lo scopo
solidaristico e con le specifiche previsioni che gli accordi degli aderenti
devono contenere. Tuttavia l'organizzazione di volontariato deve espressamente
prevedere nell'atto costitutivo, accordo o statuto: l'assenza di fini di lucro;
la democraticità della struttura - da intendersi come l'obbligo di osservare e
garantire all'interno dell'organizzazione la parità di trattamento tra gli
aderenti e la loro effettiva partecipazione alla vita associativa -;
l'elettività e la gratuità delle cariche associative; la gratuità delle
prestazioni fornite dagli aderenti; i criteri di ammissione e di esclusione di
questi ultimi, nonché i loro diritti.
Si
ricorda infine, che la legge 266/1991 non individua i settori di attività nei
quali le organizzazioni di volontariato devono operare.
L’articolo in esame fa salve, per le organizzazioni di
volontariato che operano nella protezione civile, le disposizioni che regolano
tale materia, proprio in ragione della peculiarità della stessa. Pertanto alla
disciplina delle organizzazioni di volontariato di protezione civile si
provvede nell’ambito di quanto previsto dall’art. 1, co. 1, lettera d) della legge delega 30/2017 per
il riordino delle disposizioni legislative in materia di sistema nazionale
della protezione civile[30].
Si
ricorda che gli art. 6 e 11 della legge 225/1992[31] hanno individuato il
volontariato come componente del Servizio Nazionale della protezione civile e
compreso le organizzazioni di volontariato tra le strutture operative del
Servizio nazionale. Il successivo articolo 18, interamente dedicato al
volontariato, ha poi stabilito che il Servizio nazionale assicura la più ampia
partecipazione dei cittadini e delle organizzazioni di volontariato di
protezione civile all'attività di previsione, prevenzione e soccorso, in vista
o in occasione di calamità naturali e catastrofi e a tal fine, riconosce e
stimola le iniziative di volontariato civile e ne assicura il coordinamento. Il
D.P.R. 194/2001[32] ha
disciplinato la partecipazione delle organizzazioni di volontariato alle
attività di protezione civile, dall'iscrizione all'elenco nazionale delle
organizzazioni ai benefici previsti per i volontari ad esse iscritti. Le
organizzazioni che intendono partecipare alle attività di previsione,
prevenzione e intervento in vista o in caso di eventi calamitosi e svolgere
attività formative e addestrative nello stesso ambito devono essere iscritte
nell’elenco nazionale delle organizzazioni di volontariato di protezione
civile. Secondo quanto stabilito dalla Direttiva del Presidente del
Consiglio dei Ministri del 9 novembre 2012, l’elenco nazionale è oggi costituito da: l’elenco centrale; gli elenchi territoriali vigenti nelle Regioni e Province
Autonome.
L’articolo 33 reca norme sulle risorse economiche delle organizzazioni di volontariato.
Come a legislazione vigente, le organizzazioni di volontariato possono assumere lavoratori dipendenti, o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo o di altra natura, esclusivamente nei limiti necessari al loro regolare funzionamento oppure occorrenti a qualificare o specializzare l’attività svolta. Rispetto alla legge n. 266 viene specificato che, in ogni caso, il numero dei lavoratori impiegati nell’attività non può essere superiore al venti per cento del numero dei volontari.
Per quanto riguarda le risorse economiche necessarie al funzionamento e allo svolgimento della propria attività, queste provengono da fonti diverse, quali: quote associative; contributi pubblici e privati; donazioni e lasciti testamentari; rendite patrimoniali ed attività di raccolta fondi.
Attualmente, le fonti da cui le organizzazioni di volontariato possono trarre le risorse economiche necessarie al loro funzionamento sono: i contributi degli aderenti, di privati, dello Stato, di organismi internazionali; eventuali donazioni e lasciti testamentari; i rimborsi derivanti da convenzioni e, infine, le entrate derivanti da attività commerciali e produttive marginali. Le organizzazioni di volontariato, prive di personalità giuridica, iscritte nei Registri delle organizzazioni di volontariato istituiti dalle regioni e dalle province, possono acquistare beni mobili registrati e beni immobili occorrenti per lo svolgimento della propria attività. Possono inoltre, accettare donazioni e, con beneficio d'inventario, lasciti testamentari, destinando i beni ricevuti e le loro rendite esclusivamente al conseguimento delle finalità previste dagli accordi, dall'atto costitutivo e dallo statuto.
Resta inteso che le organizzazioni di volontariato possono ricevere dai diretti beneficiari o da terzi, incluse le amministrazioni pubbliche, a titolo di corrispettivo per l’attività di interesse generale prestata, soltanto il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate.
Le attività secondarie e strumentali delle organizzazioni di volontariato sono disciplinate ai sensi dell’articolo 6 del Codice, relativo alle attività diverse.
L’articolo 34 dispone in merito all’ordinamento e all’amministrazione. Tutti gli amministratori delle organizzazioni di volontariato sono scelti tra i volontari associati ovvero tra le persone indicate, tra i propri volontari associati, dalle organizzazioni di volontariato associate. Si applica l’articolo 2382 del Codice civile relativo alle cause di ineleggibilità e decadenza[33].
Anche ai componenti degli organi sociali non può essere attribuito alcun compenso, salvo il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate per l’attività prestata ai fini dello svolgimento della funzione.
La Relazione chiarisce che l’unica deroga prevista riguarda i casi nei quali l'ODV, ricorrendo i presupposti previsti dall'art. 30 è tenuta a costituire un organo di controllo all'interno del quale è prevista obbligatoriamente la presenza di almeno un componente in possesso dei requisiti di professionalità specificamente previsti dall'art. 2397, co. 2, del Codice civile.[34] In questo caso l'articolo in esame consente all'ODV la remunerazione dell'opera prestata dal professionista, in quanto derivante dall' adempimento di una norma imperativa.
L’articolo 35 disciplina le Associazioni di promozione sociale
La legge
383/2000 ha operato il riconoscimento delle associazioni di promozione sociale
(APS) e ne ha disciplinato la costituzione, stabilendo i principi cui
regioni e province autonome devono attenersi nel disciplinare i rapporti tra le
istituzioni pubbliche e le APS. La dottrina appare concorde nel sottolineare
che uno degli obiettivi principali delle leggi 266/1991 e 383/2000 è stato
quello di riconoscere ampia capacità giuridica alle associazioni non
riconosciute (prive di personalità giuridica) dando ad esse la possibilità di
acquistare immobili ed esercitare diritti di proprietà, di promuovere azioni
legali, di stipulare convenzioni con enti pubblici ed accettare lasciti
ereditari, eliminando così il problema legato alla natura concessoria
e discrezionale del procedimento per il riconoscimento della personalità
giuridica (qui Elenco delle associazioni iscritte al Registro nazionale aggiornato al 4 maggio
2017).
Le APS possono essere associazioni
riconosciute e non riconosciute, movimenti e gruppi purché svolgano attività di
utilità sociale a favore di associati o di terzi, senza scopo di lucro e
garantendo il rispetto della libertà degli associati. Si esclude espressamente
che rientrino nella categoria delle APS: i partiti politici, le organizzazioni
sindacali e professionali; sono inoltre esclusi i circoli privati e le
associazioni che pongono limitazioni con riferimento alle condizioni economiche
degli associati o discriminazioni in relazione all'ammissione dei medesimi. Le
APS traggono le risorse economiche per il loro funzionamento e per lo
svolgimento delle loro attività da: quote e contributi degli associati; eredità,
donazioni e legati; contributi dello Stato, delle regioni, di enti locali, di
enti o di istituzioni pubblici, anche finalizzati al sostegno di specifici e
documentati programmi realizzati nell'ambito dei fini statutari; contributi
dell'Unione europea e di organismi internazionali; entrate derivanti da
prestazioni di servizi convenzionati; proventi delle cessioni di beni e servizi
agli associati e a terzi, anche attraverso lo svolgimento di attività
economiche di natura commerciale, artigianale o agricola, svolte in maniera
ausiliaria e sussidiaria e comunque finalizzate al raggiungimento degli
obiettivi istituzionali; erogazioni liberali degli associati e dei terzi;
entrate derivanti da iniziative promozionali.
Nel definire le modalità di costituzione delle
APS, la legge specifica il contenuto necessario minimo dello statuto: di
particolare rilievo, l'espressa dichiarazione di assenza di fini di lucro,
intesa come divieto di distribuzione degli utili tra gli associati, e l'obbligo
di reinvestire l'eventuale avanzo di gestione in attività istituzionali statuariamente previste.
L’articolo in esame definisce le associazioni di promozione sociale quali enti del Terzo settore costituiti in forma di associazione, riconosciuta o non riconosciuta, e composte da un numero non inferiore a nove persone fisiche o a cinque associazioni di promozione sociale per lo svolgimento in favore dei propri associati, di loro familiari o di terzi di una o più attività di interesse generale, ad esclusione di quelle riferibili al commercio equo e solidale e all’agricoltura sociale. Non sono APS i circoli privati e le associazioni comunque denominate che dispongono limitazioni con riferimento alle condizioni economiche e discriminazioni di qualsiasi natura in relazione all’ammissione degli associati o prevedono il diritto di trasferimento, a qualsiasi titolo, della quota associativa o che, infine, collegano, in qualsiasi forma, la partecipazione sociale alla titolarità di azioni o quote di natura patrimoniale.
Gli atti costitutivi delle associazioni di promozione sociale possono prevedere l’ammissione come associati di altri enti del Terzo settore, a condizione che il loro numero non sia superiore al trenta per cento del numero delle associazioni di promozione sociale.
La denominazione sociale deve contenere l’indicazione di associazione di promozione sociale o l’acronimo APS. L’indicazione di associazione di promozione sociale o l’acronimo APS, ovvero di parole o locuzioni equivalenti o ingannevoli, non può essere usata da soggetti diversi dalle associazioni di promozione sociale.
Le APS devono avvalersi in modo prevalente dell’attività di volontariato dei propri associati.
L’articolo 36 in continuità con quanto già previsto dalla legge 383/2000, specifica che le APS possono assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo o di altra natura, anche dei propri associati, - fatto comunque salvo che l’attività di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l’ente (di cui all’art. 17, co. 5, de provvedimento in esame) - solo quando ciò sia strettamente necessario ai fini dello svolgimento dell’attività di interesse generale e al perseguimento delle finalità. In ogni caso, il numero dei lavoratori impiegati nell’attività non può essere superiore al venti per cento del numero dei volontari o al cinque per cento del numero degli associati.
L’articolo 37 individua una nuova tipologia organizzativa nell'ambito degli enti del Terzo settore: quella degli enti filantropici, costituiti in forma di associazione riconosciuta o di fondazione al fine di erogare denaro, beni o servizi, anche di investimento, a sostegno di categorie di persone svantaggiate o di attività di interesse generale. La loro denominazione sociale deve contenere l'indicazione di ente filantropico e tale indicazione, così come di parole o locuzioni equivalenti o ingannevoli, non può essere usata da soggetti diversi dagli enti filantropici.
Gli enti filantropici sono enti erogativi molto diffusi nella prassi. Molti di loro hanno scelto la figura giuridica della fondazione e, in virtù della loro natura di soggetti dotati di un patrimonio cospicuo e di una governance autonoma, hanno dimostrato di essere soggetti particolarmente adatti a promuovere l’innovazione in campi come l’educazione, la sanità, i servizi alla persona, o l’ambiente. Inoltre, le due caratteristiche sopra citate hanno consentito alle fondazioni di assumere rischi di lungo periodo sostenendo modelli di intervento sociale innovativi[35]. Una figura giuridica che merita di essere qui ricordata è la fondazione di comunità, ispirata al modello delle Community Foundations, enti d'erogazione inaugurati negli Stati Uniti all'inizio del secolo scorso quali collettori di donazioni, lasciti testamentari e contribuzioni. Le fondazioni di comunità sono organizzazioni di diritto privato senza finalità di lucro che perseguono le loro finalità erogando contributi, di norma in denaro, ad altre organizzazioni non profit o a singoli individui per la realizzazione di progetti il cui scopo è migliorare la qualità della vita delle comunità residenti in un determinato territorio.
Dal 1998 Fondazione Cariplo
ha dato vita al progetto delle Fondazioni Comunitarie (qui l'elenco), intermediari filantropici finanziari e sociali, presenti nei
capoluoghi di provincia della Lombardia, oltre che a Verbania e a Novara.
Inizialmente, la Fondazione Cariplo ha erogato a ciascuna fondazione un
contributo fino a 10 milioni di euro, a condizione che fossero raccolte
donazioni destinate ad incrementarne il fondo di dotazione, quale prova
concreta del radicamento nel territorio e del consenso suscitato.
La Fondazione CON IL SUD è un ente non profit privato, più precisamente una fondazione di
comunità nata nel novembre 2006 (come Fondazione per il Sud) dall’alleanza tra
le fondazioni di origine bancaria e il mondo del terzo settore e del
volontariato per promuovere l’infrastrutturazione sociale del Mezzogiorno,
ovvero favorire percorsi di coesione sociale per lo sviluppo. La Fondazione
sostiene interventi per l’educazione dei ragazzi alla legalità e per il
contrasto alla dispersione scolastica, per valorizzare i giovani talenti e attrarre
i “cervelli” al Sud, per la tutela e valorizzazione dei beni comuni (patrimonio
storico-artistico e culturale, ambiente, riutilizzo sociale dei beni confiscati
alle mafie), per la qualificazione dei servizi socio-sanitari, per
l’integrazione degli immigrati, per favorire il welfare di comunità. In tal
senso, ha sostenuto oltre 1000 iniziative, tra cui la nascita delle prime 5
Fondazioni di Comunità del Mezzogiorno, coinvolgendo 6.000 organizzazioni e 283
mila cittadini, soprattutto giovani, ed erogando complessivamente 176 milioni
di euro.
L’articolo 38 dispone che gli enti filantropici traggano le risorse economiche necessarie allo svolgimento della propria attività principalmente da contributi pubblici e privati, donazioni e lasciti testamentari, rendite patrimoniali ed attività di raccolta fondi.
Gli atti costitutivi degli enti filantropici devono indicare i principi ai quali attenersi in merito alla gestione del patrimonio, alla raccolta di fondi e risorse in genere, alla destinazione, alle modalità di erogazione di denaro, beni o servizi e alle attività di investimento a sostegno degli enti di terzo settore.
A tutela della trasparenza e per rendicontare ciò che è stato fatto, sviluppando accountability, l’articolo 39 stabilisce che il bilancio sociale degli enti filantropici deve contenere l’elenco e gli importi delle erogazioni deliberate ed effettuate nel corso dell’esercizio.
L’articolo 40 rinvia alla disciplina delle imprese sociali dettata dal decreto legislativo di cui all'art. l, co. 2, lettera c), della legge 106/2016 (il cui schema è ora all’esame delle Camere AG 418) e alla disciplina delle cooperative sociali e dei loro consorzi di cui alla legge 381/1991.
La disposizione di rinvio, come chiarisce la Relazione, è utile a chiarire che le imprese sociali, ancorché oggetto di un atto legislativo autonomo, sono comunque enti del Terzo settore, e dunque nei loro confronti, se costituite in forma di associazione o fondazione, possono trovare applicazione le norme del Codice .
L’articolo 41 definisce le reti associative come enti del Terzo settore costituiti in forma di associazione, riconosciuta o non riconosciuta, che associano, anche indirettamente attraverso gli enti ad esse aderenti, un numero non inferiore a 500 enti del Terzo settore, o, in alternativa, almeno 100 fondazioni del Terzo settore, le cui sedi legali o operative siano presenti in almeno cinque regioni o province autonome.
Le reti associative hanno il compito di svolgere attività di coordinamento, tutela, rappresentanza, promozione o supporto degli enti del Terzo settore loro associati e delle loro attività di interesse generale, anche allo scopo di promuoverne ed accrescerne la rappresentatività presso i soggetti istituzionali. Possono promuovere partenariati e protocolli di intesa con le pubbliche amministrazioni e con soggetti privati.
Le reti esercitano, tra le altre, anche l’attività di monitoraggio dell’attività degli enti ad esse associati, anche sotto forma di autocontrollo e di assistenza tecnica, eventualmente anche con riguardo al loro impatto sociale, e predispongono una relazione annuale al Consiglio nazionale del Terzo settore.
Le reti associative possono accedere alle risorse del Fondo per il finanziamento di progetti e di attività di interesse generale nel Terzo settore (di cui all’art. 72 del provvedimento in esame) a condizione che siano iscritte in un'apposita sezione del Registro unico nazionale del Terzo settore, siano costituite e operative da almeno un anno e che i loro rappresentanti legali e amministratori non abbiano riportato condanne penali passate in giudicato per reati che comportano l’interdizione dai pubblici uffici. In attuazione di quanto disposto dalla norma istitutiva del Fondo (art. 9, co.1, lett. g) della legge 106/2016) tali risorse non potranno essere destinate, direttamente o indirettamente, ad enti diversi dalle organizzazioni di volontariato, dalle associazioni di promozione sociale e dalle fondazioni.
È condizione per l’iscrizione delle reti associative nel Registro unico nazionale del Terzo settore che i rappresentanti legali ed amministratori non abbiano riportato condanne penali, passate in giudicato, per reati che comportano l’interdizione dai pubblici uffici. L’iscrizione, nonché la costituzione e l’operatività da almeno un anno, sono condizioni necessarie per accedere alle risorse del Fondo di cui all’articolo 72 che, in ogni caso, non possono essere destinate, direttamente o indirettamente, ad enti diversi dalle organizzazioni di volontariato, dalle associazioni di promozione sociale e dalle fondazioni del Terzo settore.
Alle reti associative operanti nel settore della protezione civile, in ragione della peculiarità della materia, anche alla luce dell'attuazione della legge delega 30/2017, le disposizioni dell’articolo in esame si applicano nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di protezione civile.
Gli articoli da 42 a 44, sulle società di mutuo soccorso, rispondono al criterio di delega contenuto nell’art. 5, co. 1, lett. i), della legge 106/2016 “previsione di un regime transitorio volto a disciplinare lo status giuridico delle società di mutuo soccorso di cui alla legge 15 aprile 1886, n. 3818, già esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge, nell'eventualità che intendano rinunciare alla natura di società di mutuo soccorso per continuare ad operare quali associazioni senza fini di lucro, con particolare riguardo alle condizioni per mantenere il possesso del proprio patrimonio, che deve essere comunque volto al raggiungimento di finalità solidaristiche”.
L’articolo 42 conferma che le società di mutuo soccorso (SMS) sono disciplinate dalla legge 3818/1886, che le ha istituite.
Si ricorda cha la legge istitutiva è stata
modificata dall’articolo 23 del decreto 179/2012[36] che ha ridefinito il ruolo
di tali enti e gli ambiti di intervento della loro attività (sanità ed
assistenza)[37].
Le SMS sono definite soggetti non lucrativi
con personalità giuridica, che perseguono finalità di interesse generale
erogando prestazioni di natura socio-sanitaria e previdenziale esclusivamente
ai soci e ai loro familiari con l’obiettivo prioritario di rispondere ai loro
bisogni, a fronte di contributi annuali dei soci versati nella maggioranza dei
casi per l’adesione a un piano assistenziale (la contribuzione può essere
effettuata a titolo individuale, o da parte di un datore di lavoro, o da altri
enti mutualistici). Le SMS possono svolgere principalmente due tipi di
attività: quella erogativa di trattamenti,
prestazioni e servizi nel settore socio sanitario e dell’assistenza familiare;
quella erogativa di somme di denaro per il rimborso
di spese sanitarie o per il pagamento di indennità alla famiglia, soprattutto
nell’ipotesi in cui questa si trovi in condizione di gravissimo disagio
economico a seguito dell’improvvisa perdita di fonti reddituali.
Pertanto, le SMS possono istituire e gestire
i fondi sanitari integrativi al Sistema sanitario nazionale (SSN), ai sensi
dell’art. 9 del D.Lgs. 502/1992.
Grazie alla previsione di soci “sostenitori”
può essere favorita la collaborazione tra società di mutuo soccorso di grandi e
piccole dimensioni.
Le SMS, in aggiunta a una o più delle attività
dette possono inoltre promuovere attività di carattere educativo e culturale
dirette a realizzare finalità di prevenzione sanitaria e di diffusione dei
valori mutualistici.
Secondo quanto stabilito dall’art. 23 del
decreto legge 179/2012, le SMS devono essere iscritte nella sezione delle
imprese sociali presso il Registro delle imprese secondo i criteri e le
modalità stabilite dal decreto 6 marzo 2013 che ha istituita un’apposita
sezione dell’Albo delle società cooperative.
In tutta Italia sono state censite 1114 Società di Mutuo Soccorso, di cui solo 509 attive che svolgono attività non occasionali in favore dei soci che versano una quota annuale: il 54,5% delle organizzazioni svolge attività di tipo socio-sanitario, ha stipulato convenzioni con strutture sanitarie, prevede rimborsi per ricoveri ospedalieri, assistenza infermieristica domiciliare e ospedaliera, coperture per cure odontoiatriche. Ma solo il 9% si dedica esclusivamente all’attività socio sanitaria; le altre svolgono anche attività culturali, legate all’istruzione e alla formazione, di sostegno alle famiglie[38].
L’articolo 43 permette alle SMS già esistenti alla data di entrata in vigore del Codice, di trasformarsi, entro i successivi tre anni da tale data, in associazioni del Terzo settore o in associazioni di promozione sociale mantenendo il proprio patrimonio (in deroga all’art. 8, co. 3, della legge 3818/1886 che stabilisce, in caso di liquidazione o di perdita della natura di società di mutuo soccorso, che il patrimonio sia devoluto ad altre società di mutuo soccorso ovvero ad uno dei Fondi mutualistici o al corrispondente capitolo del bilancio dello Stato).
L’articolo 44 esclude, nei confronti delle società di mutuo soccorso, l’obbligo di versamento del contributo del 3% sugli utili netti annuali di cui all’articolo 11 della legge 59/1992[39].
La relazione al provvedimento chiarisce che tale obbligo non è configurabile in capo alle SMS in quanto il relativo modello societario è inidoneo a produrre utili.
Inoltre, in deroga all’art. 23, co. 1, del decreto legge 179/2012 (v. supra) le società di mutuo soccorso che hanno un versamento annuo di contributi associativi non superiore a 50.000 euro e quelle che non gestiscono fondi sanitari integrativi non sono soggette all’obbligo di iscrizione nella sezione delle imprese sociali presso il registro delle imprese.
Gli articoli da 45 a 54, attuativi della delega contenuta all’art. 4, co. 1, lett. m) della L. 106/2016, dispongono la disciplina per l’istituzione ed il funzionamento a regime, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Registro unico nazionale del Terzo settore, suddiviso in specifiche sezioni. Oltre alle modalità di iscrizione, aggiornamento dei dati, cancellazione e migrazione in altra sezione degli enti interessati, la disciplina dispone una revisione periodica delle iscrizioni almeno triennale del Registro, l’efficacia dichiarativa delle informazioni in esso contenute e disposizioni di raccordo per la trasmigrazione dei dati degli enti del Terzo settore attualmente già depositati nei registri esistenti in base alla normativa vigente.
La disposizione, che intende superare l’attuale
molteplicità dei registri degli enti del Terzo settore[40], attua la
delega contenuta all’art. 4, co. 1, lett. m) della
legge 106/2016. Tale norma ha previsto, mediante l’istituzione di un Registro
unico nazionale, la riorganizzazione del sistema di registrazione degli enti
operanti nel Terzo settore e di tutti gli atti di gestione rilevanti, secondo
criteri di semplificazione, tenuto conto delle finalità e delle caratteristiche
di specifici elenchi nazionali di settore; la finalità è di favorire, anche con
modalità telematiche, la piena conoscibilità in tutto il territorio nazionale
degli enti medesimi.
La norma di delega ha peraltro previsto che
l'iscrizione nel Registro, subordinata al possesso di taluni requisiti previsti
alle lettere b)[41], c)[42], d)[43] ed e)[44], dell’art. 4
co. 1, è obbligatoria per tutti quegli enti del Terzo settore che si avvalgono
prevalentemente o stabilmente di finanziamenti pubblici, di fondi privati
raccolti attraverso pubbliche sottoscrizioni o di fondi europei destinati al
sostegno dell'economia sociale oppure che esercitano attività in regime di
convenzione o di accreditamento con enti pubblici o che intendono avvalersi
delle agevolazioni fiscali e di sostegno economico previste all'articolo 9
della L. 106/2016.
Il comma 1 prevede che il registro – nel rispetto del principio dell’autonomia amministrativa delle regioni – è operativamente gestito con modalità informatiche su base territoriale: pertanto, ciascuna regione e provincia autonoma, a tal fine, è chiamata ad individuare, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, una struttura indicata come “Ufficio del Registro unico nazionale del Terzo settore”. Il MLPS, allo scopo, è tenuto ad individuare la propria struttura competente nell’ambito della dotazione organica dirigenziale non generale che risulti disponibile a legislazione vigente.
Il
registro è pubblico ed è reso accessibile a tutti gli interessati in modalità
telematica (comma 2).
La RT sottolinea che
l’Ufficio del registro unico – che concretamente opererà a livello regionale –
vedrà tuttavia assicurato, a livello centrale, la gestione della sezione
relativa alle reti associative ed il coordinamento con le amministrazioni
regionali.
L’articolo 46 dispone circa le sezioni del predetto Registro, indicando le seguenti (comma 1):
- organizzazioni di volontariato (lett. a));
- associazioni di promozione sociale (lett. b));
- enti filantropici (lett. c));
- imprese sociali, incluse le cooperative sociali (lett. d));
- reti associative (lett. e));
- società di mutuo soccorso (lett. f));
- altri enti del Terzo settore (lett. g)).
In quest’ultima voce, come chiarisce la relazione
illustrativa, rientrano residualmente tutti quei
soggetti che, pur in possesso dei requisiti generali previsti per gli enti del
Terzo settore, non presentano caratteristiche univoche che consentono
l’attribuzione in una specifica categoria. In questo modo potrebbe essere
consentita “l’emersione” di nuove tipologie organizzative al momento non
facilmente individuabili (v. in proposito anche il successivo comma 3).
Nessun ente può essere contemporaneamente iscritto in due o più sezioni, eccezion fatta per le reti associative (comma 2).
La disposizione è finalizzata ad evitare, come
sottolineato dalla relazione illustrativa, comportamenti selettivi di
opportunità da parte degli enti. Unica eccezione a questo principio di
incompatibilità è data per le reti associative, le quali, per loro specifica
natura, possono avere composizioni variabili ed aggregare enti del Terzo
settore anche disomogenei tra loro.
Viene data facoltà al Ministro del lavoro e delle politiche sociali di istituire, con decreto di natura non regolamentare, sottosezioni o nuove sezioni del registro o modificare le sezioni esistenti (comma 3).
La disposizione aumenta la flessibilità del nuovo
sistema, anche in considerazione della possibile eterogeneità delle forme in
cui gli enti del Terzo settore possono esercitare la loro attività.
L’articolo 47 definisce la procedura generale per il completamento dell’iscrizione al Registro unico nazionale del Terzo settore[45].
La domanda di iscrizione nel Registro deve essere presentata da parte del rappresentante legale dell’ente o da parte della rete associativa cui eventualmente l’ente appartiene, all’Ufficio del Registro unico nazionale della regione o della provincia autonoma in cui si trova la sede legale dell’ente, fatto salva la disciplina prevista all’articolo 22 (v. infra) in merito all’acquisto della personalità giuridica a seguito dell’iscrizione medesima.
Insieme alla domanda, deve essere depositato l’atto costitutivo, lo statuto ed eventuali allegati, indicando la sezione del registro nella quale l’ente chiede l’iscrizione.
Caso specifico è rappresentato dalla domanda di iscrizione delle reti associative che deve essere presentata presso il MLPS.
Il commi 2 e 3 definiscono i casi che possono presentarsi a seguito della verifica, da parte dell’ufficio del Registro, della sussistenza delle condizioni previste dal presente Codice ai fini della costituzione dell’ente quale ente del Terzo settore, oltre che della verifica dell’iscrizione alla sezione richiesta. Pertanto, entro il termine di 60 giorni dalla presentazione della domanda, l’ufficio del Registro può:
a) iscrivere l’ente;
b) rifiutare l’iscrizione con provvedimento motivato;
In proposito si ritengono
applicabili i termini per la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento
dell’istanza nei procedimenti amministrativi ai sensi dell’art. 10-bis della L.
241/1990 (come integrata dalla L. n. 15/2005)[46].
c) invitare l’ente a completare o rettificare la domanda ovvero ad integrare la documentazione.
La relazione illustrativa chiarisce che, in
quest’ultimo caso, l’Ufficio può assegnare un ulteriore termine per la
presentazione della domanda rettificata o integrata.
In proposito
si valuti l’opportunità di inserire in maniera esplicita nel dispositivo della
norma tale facoltà di assegnazione di nuovi termini per la presentazione di
ulteriore documentazione.
La domanda di iscrizione s’intende accolta[47], ai sensi del comma 4, decorsi i 60 giorni dalla presentazione della domanda o dalla presentazione della domanda completata o rettificata ovvero della documentazione integrativa, se necessaria in base alla precedente lett. c) del comma 3.
Il comma 5 prevede un termine procedimentale
semplificato di iscrizione dell’ente al registro, che viene ridotto a 30
giorni dalla presentazione della domanda, nel caso in cui l’atto costitutivo e
lo statuto dell’ente del Terzo settore vengano redatti in conformità a modelli standard tipizzati, predisposti
da reti associative ed approvati con decreto del MLPS, dopo la verifica di
regolarità formale della documentazione, compiuta da parte dell’Ufficio del registro.
Contro il diniego di iscrizione nel Registro è prevista la possibilità di
ricorrere davanti al tribunale amministrativo competente per territorio (comma 6).
L’articolo 48, al comma 1, definisce il contenuto informativo minimo necessario che deve risultare nel Registro unico nazionale del Terzo settore per ciascun ente:
- la denominazione;
- la forma giuridica;
- la sede legale, con l’indicazione di eventuali sedi secondarie;
- la data di costituzione;
- oggetto dell’attività di interesse generale di cui all’articolo 5 (v. ante), il codice fiscale o la partita IVA;
- l’eventuale patrimonio minimo;
- le generalità dei soggetti che hanno la rappresentanza legale dell’ente;
- le generalità dei soggetti che ricoprono cariche sociali con indicazione di poteri e limitazioni.
Il comma 2 stabilisce inoltre che nel Registro devono essere iscritte, nel caso:
- modifiche dell’atto costitutivo e dello statuto;
- deliberazioni di trasformazione, fusione, scissione, di scioglimento, estinzione, liquidazione e cancellazione;
- provvedimenti che ordinano lo scioglimento, dispongono la cancellazione o accertano l’estinzione dell’ente;
- generalità dei liquidatori;
- tutti gli altri atti e fatti la cui iscrizione è espressamente prevista da norme di legge o di regolamento.
Il comma 3 stabilisce un termine di 30 giorni entro il quale devono essere depositati i rendiconti e i bilanci di cui agli articoli 13 e 14 (v. ante), i rendiconti delle raccolte fondi svolte nell’esercizio precedente e il rendiconto relativo ai contributi pubblici percepiti. Tale termine decorre, dall’approvazione ovvero dal termine del periodo di riferimento dei predetti rendiconti. Lo stesso termine di 30 giorni, a decorrere da ciascuna modifica, è previsto per la pubblicazione delle informazioni aggiornate e per il deposito degli atti relativi ai contenuti di cui ai commi 1 e 2, ivi incluso l’eventuale riconoscimento della personalità giuridica.
E’ prevista la sanzione della cancellazione dal Registro nel caso di mancato deposito, entro il termine di 180 giorni, degli atti previsti e del loro aggiornamento, nonché il deposito degli atti relativi alle suddette informazioni obbligatorie (comma 4).
L’onere del deposito degli atti, della completezza delle informazioni
e dei relativi aggiornamenti è a carico degli amministratori. Al riguardo si
applicano le disposizioni di cui all’articolo 2630 del Codice civile relativo
alle sanzioni amministrative pecuniarie per omessa esecuzione di denunce, comunicazioni o depositi presso il registro
delle imprese (comma 5).
Infine (comma 6), all’atto della registrazione degli enti del Terzo settore che devono anche avvalersi del revisore legale dei conti ai sensi dell’articolo 31 (associazioni, riconosciute o non riconosciute, e fondazioni del Terzo settore di grandi dimensioni), viene acquisita da parte dell’Ufficio del registro la relativa informazione antimafia.
In proposito si sottolinea che tale informazione
deve essere resa ai sensi dell’articolo 91 del D.Lgs.
n. 159/2011 (Codice delle leggi antimafia).
L’articolo 49 individua delle cause di estinzione o scioglimento dell’ente.
Il comma 1 dispone circa i poteri di accertamento dell’Ufficio del Registro unico nazionale che può accertare, anche d’ufficio, l’esistenza di una di tali cause. Lo stesso ufficio è tenuto a darne comunicazione agli amministratori e al presidente del tribunale ove ha sede l’ufficio del Registro presso il quale l’ente è iscritto, allo scopo di provvedere ai sensi dell’articolo 11 e seguenti delle disposizioni di attuazione del codice civile (nomina dei commissari liquidatori ed esercizio delle loro funzioni).
Una volta chiusa la la procedura di liquidazione, il Presidente del tribunale provvede che ne sia data comunicazione all’Ufficio del Registro per la conseguente cancellazione dell’ente oggetto di liquidazione dal Registro (comma 2).
L’articolo 50 definisce le fattispecie che determinano la cancellazione dal Registro unico di un ente o il suo trasferimento in un’altra sezione.
Il comma 1 prevede le cause della cancellazione di un ente dal Registro unico nazionale del Terzo settore:
- a seguito di istanza motivata da parte dell’ente medesimo già iscritto;
- per accertamento d’ufficio, anche a seguito di provvedimenti della competente autorità giudiziaria ovvero tributaria, divenuti definitivi;
- per scioglimento, cessazione, estinzione dell’ente;
- per carenza dei requisiti necessari per la permanenza nel Registro unico.
I commi 2 e 3 prevedono, rispettivamente, i seguenti casi in cui comunque
deve applicarsi il meccanismo di
devoluzione patrimonio ai sensi dell’articolo 9 (v. infra) per la quota di incremento patrimoniale realizzato negli
esercizi in cui l’ente è risultato iscritto nel Registro:
- se l’ente cancellato dal Registro a causa della mancanza dei requisiti intende continuare ad operare ai sensi del codice civile;
- se vengono meno i requisiti per l’iscrizione dell’ente del Terzo settore in una sezione del Registro e permangono quelli per l’iscrizione in altra sezione del Registro stesso; in questo caso l’ente può formulare la relativa richiesta di migrazione che deve essere approvata con le modalità e nei termini previsti per l’iscrizione nel Registro unico nazionale.
In termini di
formulazione del testo, si valuti l’opportunità di inserire un richiamo più puntuale
all’articolo 50 del presente decreto.
Il comma 4 garantisce la possibilità di ricorrere avverso il provvedimento di cancellazione dal Registro: il ricorso è ammesso avanti al tribunale amministrativo competente per territorio.
L’articolo 51 detta un termine a cadenza almeno triennale a decorrere dall’iscrizione di ciascun ente nel Registro unico nazionale del Terzo settore, entro cui gli uffici del Registro unico devono provvedere alla revisione delle iscrizioni, finalizzata alla verifica della permanenza dei requisiti previsti per l’iscrizione al medesimo Registro.
Si sottolinea che, in base alla normativa vigente
dell’articolo 8 della legge 383/2000 e del suo regolamento di attuazione[48],
con riferimento alle associazioni di promozione sociale, viene tuttora prevista
una revisione periodica a cadenza biennale delle iscrizioni al Registro
nazionale.
L’articolo 52 detta il principio di opponibilità ai terzi degli atti depositati presso il Registro unico e pertanto la pubblicazione in tale registro assume efficacia dichiarativa.
Il comma 1, in particolare, prevede che sono opponibili solo gli atti per i quali è previsto l’obbligo di iscrizione, annotazione ovvero di deposito presso il Registro, dopo l’avvenuta pubblicazione nello stesso, salva la prova dell’ente medesimo che i terzi ne erano comunque a conoscenza.
La norma ricalca l’opponibilità a terzi degli atti
iscritti presso il registro delle imprese ai sensi degli articoli 2188 e
seguenti del codice civile.
Tuttavia, si prevede (comma 2) che per le operazioni compiute entro il 15mo giorno dalla pubblicazione di cui al comma precedente, gli atti non sono opponibili ai terzi che provino di essere stati nella impossibilità di averne conoscenza.
L’articolo 53 definisce i tempi per l’attuazione a regime del Registro unico. Il comma 1 prevede che, entro il termine di 1 anno dall’entrata in vigore del decreto legislativo in esame, mediante decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali[49], previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni, venga definita la procedura di iscrizione nel Registro unico nazionale del Terzo settore. In particolare, il predetto decreto dovrà individuare:
- i documenti da presentare ai fini dell’iscrizione;
- le modalità di deposito degli atti di cui all’articolo 48 (v. infra);
- le regole per la predisposizione, la tenuta, la conservazione e la gestione del Registro.
Tale disposizione è finalizzata, in base al dispositivo di delega contenuto all’art. 5, comma 1, lett. h)[50] della L. 106/2016, ad assicurare l’omogenea e piena conoscibilità su tutto il territorio nazionale degli elementi informativi del Registro stesso e le modalità con cui è garantita la comunicazione dei dati tra il Registro delle imprese ed il Registro unico nazionale del Terzo settore con riferimento alle imprese sociali e agli altri enti del Terzo settore iscritti nel registro delle imprese.
Il comma 2 prevede che regioni e le province autonome siano tenute a disciplinare con proprie leggi, entro il termine di 180 giorni dalla data di entrata in vigore del suddetto decreto, i procedimenti amministrativi per l’emanazione dei provvedimenti di iscrizione e di cancellazione degli enti del Terzo settore; inoltre, entro 6 mesi dalla predisposizione della struttura informatica, sono tenute a rendere operativo il Registro.
Infine, il comma 3 quantifica le risorse necessarie a consentire l’avvio e la gestione del Registro unico. Le risorse sono stimate, a decorrere dal 2018, in 14,7 milioni di euro annui, da impiegare per l’infrastruttura informatica e per lo svolgimento delle attività di controllo di cui all’articolo 93, comma 3 (v. infra), anche attraverso accordi con regioni e province autonome volti a disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune ai sensi dell’articolo 15 della L. 241/1990.
Si segnala che la copertura di questa norma è
disposta all’articolo 103, comma 1 (v. infra),
a valere sull’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 187, della
legge di stabilità per il 2015 (L. 190/2014) che prevede risorse per la riforma
del terzo settore, oltre che per l’impresa sociale e per la disciplina del
servizio civile universale, pari a 190 milioni di euro annui a regime dall’anno
2017.
L’articolo 54 prevede le modalità per la trasmigrazione dei dati relativi alle associazioni di promozione sociale già in possesso delle amministrazioni territoriali[51].
Il comma 1 stabilisce che, con il medesimo decreto di cui al precedente articolo 53, sono disciplinate le modalità con cui gli enti pubblici territoriali provvedono a comunicare – e quindi a far confluire - al Registro unico nazionale del Terzo settore i dati in loro possesso relativi agli enti già iscritti nei registri speciali delle organizzazioni di volontariato e delle associazioni di promozione sociale esistenti alla data dell’entrata in vigore del presente decreto legislativo ovvero al giorno antecedente l’operatività del Registro unico nazionale degli enti del Terzo settore.
In
proposito si evidenzia che la necessaria abrogazione delle norme previste a
legislazione vigente con riferimento ai registri speciali è contenuta all’articolo
102 (comma 1 della lett. a)) che, complessivamente,
abroga le disposizioni contenute alla L. 266/1991 (legge-quadro sul
volontariato) e della L. 383/2000 (legge sulle associazioni di promozione
sociale).
Gli uffici del Registro unico nazionale del Terzo settore, ricevute le informazioni contenute nei predetti registri, provvedono entro 180 giorni a richiedere agli enti le eventuali informazioni o documenti mancanti e a verificare la sussistenza dei requisiti per l’iscrizione (comma 2).
Nel caso di omessa trasmissione delle informazioni e dei documenti richiesti da parte degli enti del Terzo settore ai sensi del precedente comma, entro il termine di 60 giorni, si determinerà la mancata iscrizione nel Registro unico (comma 3).
Fino al termine delle verifiche di cui al precedente comma 2, in ogni caso, gli enti iscritti nei registri di cui al comma 1 continueranno a beneficiare dei diritti derivanti dalla rispettiva qualifica (comma 4).
Il Titolo VII (artt. 55-57) dispone dei rapporti degli enti del Terzo settore
con gli enti pubblici.
Fondamentalmente viene confermata la disciplina prevista a normativa vigente salvo alcuni adattamenti conseguenti alla regolamentazione unitaria del settore. Il tema viene affrontato nelle diverse fasi in cui si possono concretizzare forme relazionali tra la pubblica amministrazione e gli enti del Terzo settore, dalla fase di programmazione, a quella di progettazione fino a quella di attuazione dell’intervento.
Come evidenziato nella relazione illustrativa il coinvolgimento degli enti del Terzo settore nelle fasi indicate deve rispondere alla duplice esigenza di favorire processi e strumenti di partecipazione che possano accrescere la qualità delle scelte finali, ferme restando le prerogative proprie dell’Amministrazione procedente in ordine a tali scelte.
Il Titolo in esame quindi:
- prevede che le amministrazioni pubbliche, nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione ed organizzazione a livello territoriale delle attività di interesse generale, coinvolgano attivamente gli enti del Terzo settore mediante forme di co-programmazione e co-progettazione;
- disciplina la conclusione di convenzioni tra le pubbliche amministrazioni e le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale, per lo svolgimento, in favore di terzi, di attività di interesse generale;
- disciplina l’affidamento in convenzione alle organizzazioni di volontariato dei servizi di trasporto sanitario di emergenza e urgenza.
L’articolo 55 prevede che le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2 del D.Lgs. n. 165/2001[52] (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) nell’esercizio delle proprie funzioni di organizzazione a livello territoriale degli interventi nelle attività di interesse generale di cui all’articolo 5[53], assicurano il coinvolgimento degli enti del Terzo settore mediante forme di co-programmazione (finalizzata all’individuazione da parte dell’amministrazione procedente dei bisogni da soddisfare e degli interventi e modalità necessari nonché delle risorse disponibili) e co-progettazione (volta alla definizione e realizzazione di specifici progetti di servizio diretti a soddisfare bisogni definiti) poste in essere nel rispetto dei principi della legge n. 241/1990 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), nonché delle norme che disciplinano specifici procedimenti ed in particolare di quelle relative alla programmazione sociale di zona.
L’individuazione degli enti del Terzo settore con i quali attivare il partenariato avviene nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità, partecipazione e parità di trattamento previa definizione da parte dell’amministrazione degli obiettivi dell’intervento, della durata e delle caratteristiche dello stesso, nonché i criteri per l’individuazione degli enti partner.
Sia i concetti di co-programmazione e co-progettazione che la definizione dei criteri per l’individuazione degli enti del terzo settore da coinvolgere nel partenariato sono mutuati dagli orientamenti espressi dall’ANAC nella delibera n. 32 del 20 gennaio 2016 recante Linee guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali .
L’articolo 56 disciplina la facoltà delle amministrazioni pubbliche sopracitate di sottoscrivere con le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale iscritte da almeno 6 mesi nel Registro unico nazionale del Terzo settore (invece che, come attualmente previsto, negli appositi registri regionali), convenzioni finalizzate allo svolgimento in favore di terzi di attività o servizi di interesse generale.
La convenzione è lo strumento giuridico mediante il
quale il soggetto pubblico riconosce in capo all’ente del Terzo settore
rientrante in una delle tipologie sopra indicate i requisiti necessari per il
perseguimento di obiettivi di interesse pubblico, mette a disposizione di tale
soggetto le risorse necessarie per il perseguimento degli obiettivi, controllo,
valuta e verifica la conformità dell’operato dell’ente alle prescrizioni
convenzionali.
Attualmente, per quanto riguarda gli strumenti giuridici per regolamentare la
forma di collaborazione tra pubbliche amministrazioni e volontariato[54], l'articolo 7 della legge 266/1991
e l'articolo 30 della legge 383/2000
consentono agli enti pubblici (Stato, le regioni, le province autonome di
Trento e di Bolzano, le province, i comuni e gli altri enti pubblici ), di
stipulare convenzioni, rispettivamente, con le organizzazioni di volontariato e con le associazioni di promozione sociale, iscritte da almeno 6 mesi negli
appositi registri regionali,
per lo svolgimento delle attività previste dallo statuto verso terzi.
Le convenzioni devono contenere disposizioni dirette a
garantire l'esistenza delle condizioni necessarie a svolgere con continuità le attività
stabilite dalle stesse convenzioni. Devono, inoltre, prevedere forme di
verifica delle prestazioni e di controllo della loro qualità nonché
ulteriori requisiti di carattere generale (fra gli altri:
attitudine e capacità operativa; rispetto dei diritti e dignità degli utenti;
modalità di rimborso spese; copertura assicurativa).
Le norme ora citate consentono agli enti pubblici
di derogare alla disciplina generale dei contratti della
Pubblica amministrazione e, quindi, di affidare alle associazioni iscritte nei
registri regionali di riferimento l'esecuzione di servizi pubblici, senza dover
passare da gare di appalto o altre procedure (ristrette od allargate) di
affidamento/concorsuali.
Le convenzioni possono prevedere
esclusivamente il rimborso delle spese effettivamente sostenute dalle
organizzazioni di volontariato e dalle associazioni di promozione sociale.
L’individuazione di queste ultime è fatta nel rispetto dei princìpi di
imparzialità, trasparenza, partecipazione e parità di trattamento. In ogni caso
gli enti citati, oltre ad essere in possesso dei requisiti di moralità
professionale, devono dimostrare un’adeguata attitudine a realizzare l’attività
oggetto di convenzione, valutata in base ad una serie di parametri, tra i quali
quelli relativi alla struttura, al numero degli aderenti, alle risorse a
disposizione, alla formazione ed aggiornamento dei volontari.
Viene poi definito il contenuto necessario
delle convenzioni che devono recare
disposizioni dirette a garantire l’esistenza delle condizioni necessarie a
svolgere con continuità le attività oggetto della convenzione, il rispetto
della dignità degli utenti e gli standard organizzativi o strutturali previsti
dalla normativa nazionale o regionale. Inoltre devono prevedere, tra l’altro,
la durata del rapporto convenzionale, il numero e l’eventuale qualifica
professionale delle persone impegnate nelle attività convenzionate, le
coperture assicurative di cui all’articolo 18, le modalità di risoluzione del
rapporto, le forme di verifica e di qualità di controllo delle prestazioni, le
modalità di rimborso delle spese, nel rispetto del principio dell’effettività
delle stesse, con esclusione di qualsiasi attribuzione a titolo di
maggiorazione, accantonamento, ricarico o simili.
L’articolo
57 prevede che i servizi di trasporto
sanitario e di emergenza urgenza possono essere oggetto di affidamento
diretto, in via prioritaria, alle organizzazioni di volontariato, iscritte da
almeno sei mesi nel Registro unico nazionale del terzo settore ed aderenti ad
una rete associativa di cui all’articolo 41, nei casi in cui, per la natura
specifica del servizio, l’affidamento diretto garantisca l’espletamento del
servizio di interesse generale, in un sistema di effettiva contribuzione ad una
finalità sociale e di perseguimento degli obiettivi di solidarietà in
condizioni di efficienza economica ed adeguatezza, nonché nel rispetto dei
principi di trasparenza e non discriminazione. Per la disciplina delle citate
convenzioni vengono richiamate le disposizioni dell’articolo 56.
A seguito dell’emanazione del DPR 27 marzo 1992[55], l’Emergenza
sanitaria sul territorio si è trasformata da “servizio” che prevedeva il
semplice invio dell’ambulanza sul luogo dell’evento ed il successivo trasporto
del paziente al Pronto Soccorso più vicino, ad un vero e proprio “sistema di
soccorso”, che consiste nell’integrazione delle fasi di soccorso con l’invio
del mezzo meglio attrezzato per il così detto trattamento extraospedaliero
“Stay and Play” (“rimani e lavora”), così da incidere sull’intervallo di tempo
in cui la vittima rimane senza adeguata terapia (Therapy
Free Interval) prima del trasporto all’ospedale più
idoneo.
In applicazione alla normativa nazionale, la fase
dell’emergenza extraospedaliera del soccorso
registra, dagli anni novanta ad oggi, una progressiva implementazione
organizzativa fino a giungere all’attuale impianto strutturale del sistema,
costituito dalle 76 Centrali Operative con il numero 118 attivo su tutto il
territorio nazionale.
Il modello organizzativo del sistema dell’Emergenza
sanitaria risulta articolato come segue:
· Sistema di allarme sanitario, dotato di
numero telefonico di accesso breve ed universale “118”, in collegamento con le
Centrali Operative alle quali fanno capo tutte le richieste telefoniche di
emergenza sanitaria. La Centrale Operativa garantisce il coordinamento di tutti
gli interventi nell’ambito territoriale di riferimento ed attiva la risposta
ospedaliera 24 ore su 24.
· Sistema territoriale di soccorso, costituito
dai mezzi di soccorso distribuiti sul territorio: mezzi di soccorso di base
(con soccorritori), mezzi di soccorso avanzati (professionisti medici e/o
infermieri), eliambulanze.
· Rete di servizi e presidi (D.M.
70/02.04.2015: Regolamento recante definizione degli standard qualitativi,
strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera)
rappresentata da:
o
Punti di primo
intervento, fissi o mobili, organizzati per esigenze stagionali in località
turistiche ed in occasioni di manifestazioni di massa, sportive, religiose,
culturali nei quali è possibile:
§ effettuare il primo intervento medico in caso di
problemi minori
§ stabilizzare il paziente in fase critica
§ attivare il trasporto protetto presso l’ospedale più
idoneo
o
Pronto Soccorso Ospedalieri,
che assicurano gli accertamenti diagnostici e gli eventuali interventi
necessari per la soluzione del problema clinico presentato, oppure, nei casi
più complessi, garantiscono gli interventi necessari alla stabilizzazione del
paziente e l’eventuale trasporto ad un ospedale in grado di fornire prestazioni
specializzate, sotto il coordinamento della Centrale Operativa
o
Dipartimenti di
Emergenza-Urgenza Accettazione (DEA) rappresentano un’aggregazione funzionale
di unità operative, adottano un codice comune di comportamento assistenziale,
assicurano una risposta rapida e completa. I DEA afferiscono a due livelli di
complessità, in base alle Unità operative che li compongono: DEA di I livello e
DEA di II livello.
Il Titolo VIII (artt. 58-76) reca le norme
per la promozione ed il sostegno degli
enti del Terzo settore: il Capo I
prevede la disciplina del Consiglio nazionale del Terzo settore, di nuova
istituzione, e a risorse invariate, in base al dispositivo di delega previsto
all’art. 5, co. 1, lett. g) della L. 106/2016; il Capo II disciplina i Centri di servizio
per il volontariato (CSV), dando attuazione alla revisione del sistema di tali
centri, secondo quanto previsto dal dispositivo di delega di cui all’art. 5,
co. 1, lett. e) e prevedendo per essi specifiche
forme di finanziamento e determinati compiti e funzioni. Viene inoltre disposto
per il sistema dei CSV un nuovo modello di governance, in coerenza con il
dispositivo di delega di cui alla lett.
f) del citato comma 1 dell’art. 5, che prevede una revisione dell’attività di programmazione
e controllo di compiti e gestione dei CSV, svolta mediante organismi regionali
o sovraregionali (OTC) tra loro coordinati sul piano nazionale (ONC).
Il Capo III
(artt. 67-71) prevede ulteriori specifiche misure aventi la funzione di
sostegno per gli enti del terzo settore. Sostanzialmente il capo in esame:
- consente alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni di promozione sociale che svolgano attività di interesse generale in convenzione con le pubbliche amministrazioni di beneficiare, senza oneri per lo stato, delle forme di agevolazione creditizia e delle garanzie già previste dalla normativa vigente in favore di cooperative e loro consorzi;
- estende alle organizzazioni di volontariato i privilegi di cui all’articolo 2751-bis del codice civile già previsti per le associazioni di promozione sociale;
- estende a tutti gli enti del Terzo settore la facoltà – precedentemente riconosciuta soltanto alle associazioni di promozione sociale e alle organizzazioni di volontariato - di accedere ai finanziamenti del Fondo sociale europeo o ad altri fondi comunitari per progetti finalizzati al raggiungimento degli obiettivi istituzionali;
- estende a tutti gli enti del terzo settore la facoltà - precedentemente riconosciuta soltanto alle associazioni di promozione sociale e alle organizzazioni di volontariato – di utilizzare gratuitamente, e a titolo temporaneo beni mobili ed immobili dello Stato delle Regioni o degli enti locali in occasioni particolari, nonché, in tali casi, di somministrare al pubblico alimenti e bevande nel rspetto di determinate condizioni;
- estende a tutti gli enti del Terzo settore definiti dalla legge delega di riforma e dal presente decreto attuativo, ad eccezione delle imprese sociali, alcune agevolazioni per lo svolgimento di attività sociali già previste dalla normativa vigente con riferimento all’art. 32 della legge sulle associazioni di promozione sociale (L. 383/2000), alla concessione di immobili demaniali culturali a canone agevolato e alle nuove norme sul partenariato pubblico-privato per la valorizzazione dei beni culturali.
Il Capo
IV (artt. 72-76) dispone in tema
di risorse finanziarie.
Esso è diretto ad attuare le disposizioni di
cui all’articolo 9, comma 1, della legge n. 106/2016, che demanda alla
legislazione delegata il compito di provvedere alla disciplina delle misure di
sostegno economico in favore degli enti del Terzo settore, nonché ad istituire
un nuovo strumento finanziario presso il Ministero del lavoro e delle politiche
sociali.
In tal senso il capo in esame:
-
disciplina
le caratteristiche e le funzioni del Fondo per il finanziamento di progetti ed
attività di interesse generale nel terzo settore ed incrementa di 10 milioni di
euro annui, a decorrere dall’anno 2017, la dotazione della seconda sezione del
Fondo, di carattere non rotativo;
-
dispone
il trasferimento su un apposito capitolo di spesa iscritto nello stato di
previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, delle risorse
finanziarie attualmente destinate al finanziamento degli interventi in materia
di Terzo settore e derivanti dal riparto del Fondo nazionale per le politiche
sociali, relative ad alcune disposizioni di legge specificamente elencate,
determinandone contestualmente le finalità e le modalità di impiego.
L’articolo 58 dispone l’istituzione, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali (MLPS), del Consiglio nazionale del Terzo settore, presieduto dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali o da un suo delegato.
La norma attua, con risorse
invariate a legislazione vigente, il dispositivo di delega previsto all’art. 5,
co. 1, lett. g) della L. 106/2016 che ha previsto il
superamento del sistema degli Osservatori nazionali per il volontariato e per
l'associazionismo di promozione sociale, attraverso l'istituzione del Consiglio
nazionale del Terzo settore. Esso è considerato un organismo di consultazione
degli enti del Terzo settore a livello nazionale; la sua composizione, in base
alla delega, deve valorizzare il ruolo delle reti associative di secondo livello[56].
L’articolo 59 dispone circa la composizione del Consiglio nazionale del Terzo settore come segue (comma 1):
- 6 rappresentanti designati dall’associazione di enti del Terzo settore più rappresentativa sul territorio nazionale, in ragione del numero di enti di enti del Terzo settore ad essa aderenti[57], tra persone che siano espressione delle diverse tipologie organizzative nello stesso ambito (lett. a));
La
relazione illustrativa chiarisce che la designazione dei componenti dovrà
essere effettuata in modo da assicurare il pluralismo, facendo sì che tutte le
diverse componenti del Terzo settore siano adeguatamente rappresentate, tenendo
in particolare conto della divisone delineata in sede di delega tra enti che
realizzano tali attività mediante forme di mutualità ed enti che le realizzano
mediante forme di produzione e scambio di beni e servizi;
- 12 rappresentanti di reti associative (lett. b));
In proposito, si ricorda, che nel Registro unico nazionale del Terzo settore (v. ante) vi è un’apposita sezione nel quale tali reti devono essere iscritte;
- 5 esperti di comprovata esperienza professionale in materia di Terzo settore, che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati o aziende pubbliche e private, ovvero che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e post-universitaria (lett.c));
- 3 rappresentanti delle autonomie regionali e locali, di cui due designati dalla Conferenza Stato-Regioni[58] ed uno designato dall’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) (lett. d)).
Il comma 2 stabilisce che fanno inoltre parte del Consiglio nazionale del Terzo settore, senza diritto di voto:
- 1 rappresentante designato dal presidente dell’ISTAT con comprovata esperienza in materia di Terzo settore (lett.a));
- 1 rappresentante designato dal presidente dell’INAPP (Istituto nazionale per l'Analisi delle Politiche Pubbliche, ex ISFOL) con comprovata esperienza in materia di Terzo settore (lett.b));
- il direttore generale del Terzo settore e della responsabilità sociale delle imprese del MLPS (lett.c)).
La relazione illustrativa sottolinea che tale composizione intende essere la più rappresentativa dei diversi livelli di governo in modo da superare la frammentarietà finora riscontrata in particolare con riferimento all’interazione con i livelli di governance territoriale.
Il comma 3 stabilisce che i componenti del Consiglio nazionale del Terzo settore sono nominati con decreto del MLPS con una durata della carica di 3 anni. Inoltre, per ogni componente effettivo del Consiglio è nominato un supplente.
I componenti del Consiglio con diritto di voto non possono essere nominati per più di 2 mandati consecutivi.
Si prevede la gratuità della partecipazione al Consiglio dei componenti effettivi e supplenti, senza diritto alla corresponsione di alcun compenso, indennità, rimborso od emolumento comunque denominato.
Ciò anche in considerazione
del principio di salvaguardia da nuovi oneri per la finanza pubblica contenuto nel
dispositivo di delega di cui all’art. 5, co. 1, lett.
g) della L. 106/2016. La relazione tecnica aggiunge che la norma in esame è
coerente con la previsione dell’articolo 12, comma 20, del DL. 95/2012 (L.
135/2012) che sancisce, a decorrere dalla sua entrata in vigore e dopo la
scadenza delle nomine in corso a tale data, il principio di gratuità dei
componenti degli organismi collegiali operanti presso le pubbliche
amministrazioni.
L’articolo 60 definisce i compiti del Consiglio (comma 1):
- esprime pareri non vincolanti, ove richiesto, sugli schemi di atti normativi che riguardano il Terzo settore (lett. a)) e sulle modalità di utilizzo delle risorse finanziarie di cui agli articoli 72 (v. infra) e seguenti (lett.b));
- esprime parere obbligatorio non vincolante sulle linee guida in materia di bilancio sociale e di valutazione di impatto sociale dell’attività svolta dagli enti del Terzo settore (lett. c));
- designa un componente nell’organo di governo della Fondazione Italia Sociale (lett. d));
In proposito si ricorda che la Commissione affari sociali ha reso il parere (nella seduta del 26 aprile 2017) sullo schema di DPR che reca l’approvazione dello Statuto della Fondazione Italia sociale[59].
- è coinvolto nelle funzioni di vigilanza, monitoraggio e controllo, con il supporto delle reti associative di cui all’articolo 41 del presente decreto (v. ante) (lett. e));
L’articolo 7, co. 1, ultimo periodo, della L. 106/2016 dispone che il MLPS si avvale, per lo svolgimento delle sue funzioni di vigilanza, monitoraggio e controllo, dell’organismo previsto alla delega di cui all'articolo 5, comma 1, lettera g) (per l’appunto il Consiglio nazionale del Terzo settore), individuando modalità di coinvolgimento e raccordo delle attività.
- designa i rappresentanti degli enti del Terzo settore presso il CNEL ai sensi della L. 936/1986 (lett. f)).
Quest’ultima legge disciplina il funzionamento del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, stabilendo, all’articolo 4, co. 2-bis, che, nell’ambito del Consiglio, i rappresentanti delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato sono designati ai sensi delle norme vigenti[60].
Il comma 2 dispone inoltre che, per lo svolgimento dei compiti indicati al precedente comma 1, il Consiglio nazionale del Terzo settore si avvale delle risorse umane e strumentali del MLPS.
La relazione tecnica, al riguardo, sottolinea che le spese volte ad assicurare il normale funzionamento dell’organo collegiale saranno imputate ai capitoli di bilancio relativi, rispettivamente, al trattamento economico del personale del Ministero e all’acquisto di beni e servizi, nei limiti delle risorse finanziarie annualmente disponibili sui corrispondenti capitoli dello stato di previsione del MLPS (Missione: Diritti sociali, politiche sociali e famiglia; programma: Terzo settore (associazionismo, volontariato, Onlus e formazioni sociali) e responsabilità sociale delle imprese e delle organizzazioni).
Infine, si prevede che le modalità di funzionamento del Consiglio nazionale del Terzo settore sono fissate con regolamento interno da adottarsi a maggioranza assoluta dei componenti (comma 3).
L’articolo 61 prevede la disciplina per l’accreditamento dei centri di servizio per il volontariato (CSV).
Il punto 3) della lett. e), comma 1, art. 5 della L. 106/2016 ha definito,
come criterio direttivo della revisione del sistema dei CSV, anche l’accreditamento
dei medesimi centri.
Si ricorda che la normativa
vigente che prevede l’istituzione dei CSV è dettata dall’art. 15 della L.
266/1991 (Legge-quadro sul volontariato, con attuazione data dal DM 8 ottobre 1997) prevede la destinazione di fondi speciali[61], costituiti con una quota non inferiore ad 1/15 dei proventi delle
fondazioni bancarie[62], al netto delle spese di funzionamento e della quota di accantonamento
per la sottoscrizione di aumenti di capitale, costituiti e gestiti presso le
regioni, per il tramite degli enti locali, per la costituzione di centri di
servizio a disposizione delle organizzazioni di volontariato.
Possono essere accreditati come CSV gli enti del Terzo settore costituiti da organizzazioni di volontariato[63] e da altri enti del Terzo settore, in forma di associazione riconosciuta, con personalità giuridica, ad esclusione delle forme previste al libro V del Codice civile, vale a dire sotto forma societaria[64].
Lo Statuo del CSV deve prevedere:
- lo svolgimento di attività di supporto tecnico, formativo ed informativo volto a promuovere e a rafforzare la presenza ed il ruolo dei volontari negli enti del Terzo settore (lett. a))[65];
La relazione illustrativa precisa che tale attività deve essere rivolta non solo alle organizzazioni di volontariato, ma anche ad altri enti del Terzo settore, pur se non associati al CSV stesso;
-
il divieto
di erogare direttamente in denaro le risorse provenienti dal Fondo unico
nazionale (FUN) - fondo di finanziamento stabile dei CSV - nonché di trasferire
a titolo gratuito beni mobili o immobili acquisiti mediante le medesime risorse
(lett. b)) [66];
- l’obbligo di adottare una contabilità separata per le risorse provenienti da fonte diversa dal FUN (lett. c));
Tra le ulteriori fonti di finanziamento si possono ascrivere i proventi derivanti dall’esercizio di attività d’impresa, che è consentita ai CSV, a patto che non pregiudichi, come sottolinea la relazione illustrativa, l’espletamento dei compiti ad essi demandati e che sia rispettato il requisito dell’assenza di lucro (elemento peraltro necessario dello Statuto);
- l’obbligo di ammettere come associati le organizzazioni di volontariato e gli altri enti del Terzo settore, esclusi quelli costituiti in qualsiasi forma societaria ai sensi del libro V del Codice civile, nel caso in cui ne facciano richiesta, fatta salva la possibilità di subordinare il mantenimento dello status di associato al rispetto dei principi, dei valori e delle norme statutarie (lett. d));
- il diritto di tutti gli associati di votare, direttamente o indirettamente, in assemblea, ed in particolare di eleggere democraticamente i componenti degli organi di amministrazione e di controllo interno dell’ente; tale diritto deve essere stabilito nello Statuto, salvo quanto previsto dalle successive lettere f), g), ed h) (lett.e));
Lo Statuto deve inoltre prevedere l’attribuzione della maggioranza di voti alle organizzazioni di volontariato in ciascuna assemblea (lett. f)), oltre che misure dirette ad evitare il realizzarsi di situazioni di controllo dell’ente da parte di singoli associati o di gruppi minoritari di associati (lett. g)) e misure destinate a favorire, nella gestione del CSV, la partecipazione attiva e l’effettivo coinvolgimento di tutti gli associati, sia di piccola che di grande dimensione (lett. h)).
Ulteriori previsioni sono contemplate con riferimento agli specifici requisiti di onorabilità, professionalità, incompatibilità ed indipendenza per coloro che assumono cariche sociali. In particolare, sono posti alcune incompatibilità per chi è chiamato a ricoprire l’incarico di presidente dell’organo di amministrazione. E’ infatti fatto divieto per quest’ultimo di ricoprire i seguenti incarichi (lett. i)):
a. incarichi di governo nazionale, di giunta e consiglio regionale, di associazioni di comuni e consorzi intercomunali, e incarichi di giunta e consiglio comunale, circoscrizionale, di quartiere e simili, comunque denominati, in Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti;
b. consigliere di amministrazione e il presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all’articolo 114 del D.Lgs. 267/2000, vale a dire gli enti strumentali dell'ente locale che siano dotati di personalità giuridica, di un autonomia imprenditoriale e di un proprio statuto approvato dal consiglio comunale o provinciale;
c. parlamentari nazionali ed europei;
d. ruoli di livello nazionale o locale in organi dirigenti di partiti politici;
Lo Statuto del CSV deve altresì prevedere:
- un numero massimo di mandati consecutivi per coloro che ricoprono la carica di componente dell’organo di amministrazione, nonché il divieto per la stessa persona di ricoprire la carica di presidente dell’organo di amministrazione per più di nove anni (lett. j));
- il diritto dell’organismo territoriale di controllo (OTC, v. infra art. 65) competente di nominare, qualora l’ente fosse accreditato come CSV, un componente dell’organo di controllo interno del CSV con funzioni di presidente e dei componenti di tale organo di assistere alle riunioni dell’organo di amministrazione del medesimo Centro ((lett. k)));
- l’obbligo di redigere e rendere pubblico il bilancio sociale (lett. l));
- misure dirette a favorire la trasparenza e la pubblicità dei propri atti (lett. m)).
Il comma 2 stabilisce che l’Organismo nazionale di controllo (ONC, v. infra art. 64) fissi il numero di enti accreditabili come Centri di servizi per il volontariato nel territorio nazionale: criterio da rispettare è comunque quello di assicurare, entro tale numero, la presenza di almeno un CSV per ogni regione e provincia autonoma, evitando sovrapposizione di competenze territoriali tra i CSV che devono essere accreditati[67].
A tal fine, e fatto salvo quanto previsto dal successivo comma 3, l’ONC deve accreditare:
- 1 CSV per ogni città metropolitana e per ogni provincia con territorio interamente montano e confinante con Paesi stranieri ai sensi della legge 56/2014 che detta la normativa sulle città metropolitane, province, unioni e fusioni di comuni, con specifiche disposizioni (commi da 51 a 57 e da 85 a 97, art. 1) per tali soggetti;
- 1 CSV per ogni milione di abitanti non residenti nell’ambito territoriale delle città metropolitane e delle province con territorio interamente montano e confinante con Paesi stranieri.
Il comma 3 dispone la possibilità di derogare ai predetti criteri – deroghe tuttavia da adottare con atto motivato dell’ONC -, in presenza di specifiche esigenze territoriali del volontariato o di contenimento dei costi. Inoltre, viene stabilito il principio che, in ogni caso, il numero massimo di CSV accreditabili in ciascuna regione o provincia autonoma, non può essere superiore a quello dei CSV istituiti alla data di entrata in vigore del presente decreto sulla base della previgente normativa.
Ai sensi del comma 4, viene stabilita la revocabilità dell’accreditamento nei soli casi previsti dal decreto in esame.
In
termini di formulazione del testo, si valuti l’opportunità di inserire un
riferimento più puntuale alle norme del decreto in esame che prevedono i casi
di revocabilità dell’accreditamento.
L’articolo
62 dispone la disciplina per il finanziamento dei Centri di servizio per il
volontariato, in conformità al dispositivo di delega al punto 3), dell’art. 5,
comma 1, lett. e) della L. 106/2016, che prevede il finanziamento stabile dei medesimi CSV,
attraverso un programma triennale, con le risorse di cui all’articolo 15 della
Legge 266/91. Qualora siano utilizzate risorse diverse, le stesse devono essere
comprese in una contabilità separata.
In base alla normativa vigente dell'articolo 15 della Legge 266/91, le fondazioni bancarie sono tenute a destinare una quota non inferiore ad un quindicesimo dei propri proventi, al netto delle spese di funzionamento e degli ulteriori accantonamenti previsti per legge, ai fondi speciali per il volontariato, costituiti presso le regioni[68]. I fondi sono amministrati dai Comitati di gestione[69] e da questi trasferiti ai CSV[70].
La nuova
disciplina prevista in questo articolo assegna inoltre all’Organismo
nazionale di controllo di cui al successivo articolo 64 il compito di
determinare l’ammontare del finanziamento stabile triennale dei CSV, da
destinare, ai fini della successiva ripartizione, al Fondo unico nazionale,
amministrato dallo stesso Organismo nazionale di controllo e alimentato dalle
Fondazioni di origine bancaria, mediante contributi annuali obbligatori,
integrativi o volontari.
Il comma 1 istituisce il Fondo unico nazionale (FUN) finalizzato ad assicurare il finanziamento stabile dei Centri di servizio per il volontariato. Il Fondo è alimentato da contributi annuali (obbligatori) delle fondazioni di origine bancaria (FOB) di cui al decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, ed amministrato dall’Organismo nazionale di controllo (ONC) conformemente a quanto previsto dal decreto in esame.
Il Fondo unico, ai sensi del comma 2, costituisce ad ogni effetto di legge una tipologia di patrimonio con caratteristiche di autonomia e separazione rispetto a quello delle FOB, dell’ONC, e dei CSV, e deve essere vincolato alla destinazione prevista ai sensi successivo comma 9.
Il comma 3 prevede le modalità di computo della quota che le Fondazioni di origine bancaria (FOB) sono tenute a destinare annualmente al Fondo unico: si tratta di una quota non inferiore alla frazione di 1/15 del risultato dato dalla differenza tra l’avanzo dell’esercizio meno un ammontare dato dall’accantonamento a copertura degli eventuali disavanzi pregressi e da ulteriori due grandezze, vale a dire la quota annuale destinata alla riserva obbligatoria e l’importo minimo da destinare ai settori rilevanti, ai sensi, rispettivamente, delle lettere c) e d), dell’articolo 8, comma 1, del D.Lgs n. 153/1999.
La predetta normativa fa riferimento all’ordine di destinazione del reddito da parte delle fondazioni bancarie che, in particolare, deve essere finalizzato alla riserva obbligatoria (di cui alla lett.c), comma 1, dell’articolo 8 del citato D.Lgs 153) nella misura determinata dall’Autorità di vigilanza e, per almeno il 50% del residuo, ovvero, se maggiore, l’ammontare minimo di reddito stabilito dalla stessa Autorità di vigilanza, ai settori rilevanti (di cui alla lett.d), comma 1, del citato articolo 8).
La quota annuale da versare al FUN da parte delle Fondazioni di origine bancaria è calcolata in sede di approvazione del bilancio di esercizio e versata entro il 31 ottobre dell’anno di approvazione del bilancio, secondo modalità individuate dall’Organismo nazionale (comma 4).
Il comma 5 individua i seguenti versamenti al Fondo unico da parte Fondazioni di origine bancaria:
- i contributi integrativi deliberati dall’Organismo nazionale ai sensi del successivo comma 11 (versamenti obbligatori);
- i contributi volontari (versamenti facoltativi).
La relazione illustrativa chiarisce quali versamenti sono tenute ad effettuare le FOB, proprio per garantire la stabilizzazione della quota obbligatoria determinata dall’ONC in base al fabbisogno, nel caso in cui l’ammontare dei contributi risulti superiore ovvero inferiore a tale quota: il differenziale, se maggiore, dovrà essere accantonato ad una riserva con finalità di stabilizzazione delle assegnazioni fatte ai CSV; se, invece, il versamento risulterà minore alla quota di fabbisogno individuato per i CSV, e non dovesse essere sufficiente l’eventuale riserva accantonata ai fini della stabilizzazione, le FOB procederanno ad un contributo integrativo in misura proporzionale a quanto già versato. Al fine della stabilizzazione delle quota nel programma triennale, peraltro, le FOB possono stabilire contributi volontari da versare oltre la misura prevista per quelli obbligatori.
In relazione ai contributi versati dalle FOB al Fondo unico, indipendentemente dalla loro natura (obbligatoria, integrativa o volontaria) il comma 6 riconosce, a decorrere dall’anno 2018, un credito d’imposta a favore delle stesse Fondazioni: si tratta di un credito d’imposta pari al 100 per cento dei versamenti effettuati, fino ad un massimo di 15 milioni di euro per l’anno 2018 e fino a 10 milioni di euro per gli anni successivi.
Al riguardo, i commi 578-581, art. 1, della legge di bilancio 2017 (L. 232/2016) già hanno previsto la concessione, per il 2017, di un credito di imposta pari al 100 per cento delle risorse aggiuntive che le Fondazioni di origine bancaria vorranno volontariamente destinare a favore del sistema dei Centri di servizio per il volontariato, sino ad un massimo complessivo di 10 milioni di euro.
L’agevolazione fiscale è utilizzabile esclusivamente in compensazione, nei limiti dell’importo riconosciuto (meccanismo ex art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997), presentando il modello F24 esclusivamente mediante servizi telematici resi disponibili dall’Agenzia delle entrate, pena il rifiuto dell’operazione di versamento.
Come disposto dalla
successiva norma di cui all’art. 103, comma 1, il riconoscimento del credito
d’imposta trova copertura attraverso la corrispondente riduzione
dell’autorizzazione di spesa di cui all’art. 1, co. 187, della legge di stabilità
per il 2014 (L. 190/2014) che ha autorizzato risorse paria a 190 milioni annui
a decorrere dal 2017 per la riforma del Terzo settore.
Al credito d’imposta non si applicano i limiti di cui all’articolo 1, comma 53, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e all’articolo 34 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e successive modificazioni.
Si
ricorda in proposito che il comma 53 dell’art. 1 della legge finanziaria per il 2008 (L. 244/2007) ha
stabilito un limite annuale di 250.000 euro, a partire dal 1° gennaio 2008[71], per i crediti d’imposta da indicare in dichiarazione. L’art. 34 della
legge finanziaria 2001 (L. 388/200) aveva previsto, a decorrere dal 2001 un
limite massimo di 1 miliardo di lire per ciascun anno solare, che, a decorrere
dal 1° gennaio 2010, poteva essere elevato per esigenze di bilancio (con
decreto del MEF) fino a 700.000 euro.
Il credito è inoltre cedibile, in esenzione dall’imposta di registro, nel rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 1260 e seguenti del codice civile (in materia di cedibilità dei crediti), a intermediari bancari, finanziari e assicurativi, ed è utilizzabile dal cessionario alle medesime condizioni applicabili al cedente.
Si prevede che con decreto Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono definite le disposizioni applicative necessarie, ivi comprese le procedure per la concessione dell’agevolazione nel rispetto del limite di spesa stabilito.
Si segnala che non viene previsto un termine
(anche solo ordinatorio) per l’emanazione del predetto decreto.
Come sopra anticipato, è attribuito all’Organismo nazionale di controllo, in base al comma 7, la determinazione dell’ammontare del finanziamento stabile triennale dei Centri di servizio, anche sulla base del fabbisogno storico e delle mutate esigenze di promozione del volontariato negli enti del Terzo settore. Inoltre, l’ONC ne stabilisce la ripartizione annuale e territoriale, su base regionale, secondo criteri trasparenti, obiettivi ed equi, definiti anche in relazione alla provenienza delle risorse delle FOB, ad esigenze di perequazione territoriale, nonché all’attribuzione storica delle risorse.
La relazione illustrativa sottolinea
che, in sede di riparto, oltre ai criteri di trasparenza, obiettività ed
equità, sono presi in considerazione sia criteri relativi al fabbisogno
storico, sia il criterio di valutazione delle esigenze di promozione del
volontariato: si dovranno perciò tenere in debito conto sia la provenienza
territoriale delle risorse conferite dalle FOB, sia le esigenze di perequazione
territoriale e di flusso storico dell’attribuzione delle risorse.
Il medesimo comma prevede peraltro che l’Organismo nazionale può destinare all’associazione dei Centri di servizio per il volontariato più rappresentativa sul territorio nazionale, in ragione del numero dei Centri ad essa aderenti, una quota di tale finanziamento per la realizzazione di servizi strumentali ai CSV o di attività di promozione del volontariato che possono più efficacemente realizzarsi su scala nazionale.
L’Organismo nazionale inoltre determina (comma 8), secondo criteri di efficienza, di ottimizzazione e contenimento dei costi e di stretta strumentalità alle funzioni da svolgere ai sensi del decreto in esame, l’ammontare previsto delle proprie spese di organizzazione e funzionamento a valere sul Fondo unico, inclusi i costi relativi alla organizzazione e al funzionamento degli Organismi territoriali di controllo (OTC) e ai componenti degli organi di controllo interno dei CSV nominati ai sensi dell’articolo 64, comma 5, lettera e) (v. infra), in misura comunque non superiore al 5% delle somme versate dalle Fondazioni di origine bancaria, in base alle disposizioni del precedente comma 3.
Vale il principio di gratuità delle prestazioni dei componenti e ai dirigenti dell’Organismi nazionali o territoriali di controllo, conformemente alla delega prevista dall’art. 5, co. 1, lett. f) della L. 106/2016, che prescrive che gli emolumenti a tali soggetti devono essere posti a carico, addizionalmente, alle FOB finanziatrici e pertanto, non possono in ogni caso finanziati con le risorse provenienti dal Fondo unico.
Le somme non spese riducono di un importo equivalente l’ammontare da destinarsi alla medesima finalità nell’anno successivo a quello di approvazione del bilancio di esercizio.
La relazione illustrativa chiarisce in proposito che eventuali economie emergenti dalle spese di organizzazione e funzionamento saranno utilizzate nell’esercizio finanziario successivo a quello di approvazione del relativo bilancio, riducendo corrispondentemente le somme da destinarsi nell’esercizio successivo alle spese di organizzazione e di funzionamento.
Il comma 9 stabilisce che le risorse del Fondo unico sono destinate esclusivamente alla copertura dei costi di cui ai precedenti commi 7 ed 8 (principio della destinazione esclusiva delle risorse del FUN ai costi del sistema dei CSV). L’ONC, secondo individuate modalità dal medesimo Organismo, rende disponibili ogni anno per i Centri servizio, per l’associazione dei Centri di cui al comma 7, e per gli Organismi territoriali di controllo, le somme ad essi assegnate per lo svolgimento delle proprie funzioni.
I commi 10 e 11 individuano, inoltre, alcuni criteri finalizzati alla stabilizzazione delle quote da assegnare ai Centri, nel caso in cui, in ciascun anno, i contributi obbligatori versati dalle Fondazioni di origine bancaria al Fondo, ai sensi del precedente comma 3, risultino, rispettivamente, superiori oppure inferiori ai costi annuali di cui ai precedenti commi 7 e 8:
- se superiori, la differenza è destinata dall’Organismo nazionale di controllo ad una riserva con finalità di stabilizzazione delle assegnazioni future ai Centri;
- se risultano inferiori, ed anche la riserva con finalità di stabilizzazione sia insufficiente per la loro copertura, l’Organismo nazionale pone la differenza a carico delle Fondazioni bancarie, richiedendo a ciascuna di esse il versamento al Fondo unico di un contributo integrativo proporzionale a quello obbligatorio già versato.
Si sottolinea che tale meccanismo di stabilizzazione determina l’analogo meccanismo definito per le FOB al precedente comma 5.
Si prevede infine (comma 12) che i Centri servizio possano avvalersi di risorse diverse da quelle del Fondo unico (ad esempio attraverso lo svolgimento di attività d’impresa, purché in coerenza con le funzioni e i compiti attribuiti dallo Statuto), che possono essere liberamente percepite e gestite dai medesimi Centri, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 61, comma 1, lettera c) (obbligo di adottare una contabilità separata). I Centri non possono comunque accedere alle risorse del Fondo di cui all’articolo 72, vale a dire per i progetti e le attività di interesse generale nel Terzo settore.
Infatti, come rilevato dalla relazione illustrativa, i Centri già usufruiscono di uno specifico finanziamento attraverso le risorse del Fondo medesimo, a cui lo Stato partecipa mediante il riconoscimento del credito d’imposta di cui al comma 6.
L’articolo 63 dispone in merito alle funzioni e ai compiti assegnati ai Centri di servizio per il volontariato, derivanti dal dispositivo di delega contenuto, in particolare, al punto 2) della lett. e), comma 1, dell’art.5 della legge di riforma del Terzo settore.
Il comma 1 stabilisce che detti Centri utilizzano le risorse del Fondo unico loro conferite al fine di organizzare, gestire ed erogare servizi di supporto tecnico, formativo ed informativo per promuovere e rafforzare la presenza ed il ruolo dei volontari negli enti del Terzo settore, senza distinzione tra enti associati ed enti non associati, e con particolare riguardo alle organizzazioni di volontariato, nel rispetto e in coerenza con gli indirizzi strategici generali definiti dall’Organismo nazionale (v. art. 64, comma 5, lettera d)).
Per queste finalità, i CSV possono svolgere attività varie riconducibili alle seguenti tipologie di servizi (comma 2):
- servizi di promozione, orientamento e animazione territoriale, finalizzati a dare visibilità ai valori del volontariato e all’impatto sociale dell’azione volontaria nella comunità locale, a promuovere la crescita della cultura della solidarietà e della cittadinanza attiva in particolare tra i giovani e nelle scuole, istituti di istruzione, di formazione ed università, facilitando l’incontro degli enti di Terzo settore con i cittadini interessati a svolgere attività di volontariato, nonché con gli enti di natura pubblica e privata interessati a promuovere il volontariato (lett. a));
- servizi di formazione, finalizzati a qualificare i volontari o coloro che aspirino ad esserlo, acquisendo maggiore consapevolezza dell’identità e del ruolo del volontario e maggiori competenze trasversali, progettuali, organizzative a fronte dei bisogni della propria organizzazione e della comunità di riferimento (lett. b));
- servizi di consulenza, assistenza qualificata ed accompagnamento, finalizzati a rafforzare competenze e tutele dei volontari negli ambiti giuridico, fiscale, assicurativo, del lavoro, progettuale, gestionale, organizzativo, della rendicontazione economico/sociale, della ricerca fondi, dell’accesso al credito, nonché strumenti per il riconoscimento e la valorizzazione delle competenze acquisite dai volontari medesimi (lett. c));
- servizi di informazione e comunicazione, finalizzati a incrementare la qualità e la quantità di informazioni utili al volontariato, a supportare la promozione delle iniziative di volontariato, a sostenere il lavoro di rete degli enti del Terzo settore tra loro e con gli altri soggetti della comunità locale per la cura dei beni comuni, ad accreditare il volontariato come interlocutore autorevole e competente (lett. d));
- servizi di ricerca e documentazione, finalizzati a mettere a disposizione banche dati e conoscenze sul mondo del volontariato e del Terzo settore in ambito nazionale, comunitario e internazionale (lett. e));
- servizi di supporto tecnico-logistico, finalizzati a facilitare o promuovere l’operatività dei volontari, attraverso la messa a disposizione temporanea di spazi, strumenti ed attrezzature (lett. f));
- servizi relativi al controllo degli enti del Terzo settore, in base al dispositivo di cui all’articolo 7, comma 2, della legge delega per la riforma del Terzo settore[72] (lett. g)).
Il comma 3 definisce i principi in base ai quali sono erogati i servizi organizzati mediante le risorse del Fondo unico:
- principio di qualità: i servizi devono essere della migliore qualità possibile date le risorse disponibili; i CSV applicano sistemi di rilevazione e controllo della qualità, anche attraverso il coinvolgimento dei destinatari dei servizi (lett. a));
- principio di economicità: i servizi devono essere organizzati, gestiti ed erogati al minor costo possibile in relazione al principio di qualità (lett. b));
- principio di territorialità e di prossimità: i servizi devono essere erogati da ciascun Centro servizi prevalentemente in favore di enti aventi sede legale ed operatività principale nel territorio di riferimento, e devono comunque essere organizzati in modo tale da ridurre il più possibile la distanza tra fornitori e destinatari , anche grazie all’uso di tecnologie della comunicazione (lett. c));
- principio di universalità, non discriminazione e pari opportunità di accesso: i servizi devono essere organizzati in modo tale da raggiungere il maggior numero possibile di beneficiari; tutti gli aventi diritto devono essere posti effettivamente in grado di usufruirne, anche in relazione al principio di pubblicità e trasparenza (lett. d));
- principio di integrazione: i CSV, soprattutto quelli che operano nella medesima regione, sono tenuti a cooperare tra loro allo scopo di perseguire virtuose sinergie ed al fine di fornire servizi economicamente vantaggiosi (lett. e)) ;
- principio di pubblicità e trasparenza: i CSV rendono nota l’offerta dei servizi alla platea dei propri destinatari, anche mediante modalità informatiche che ne assicurino la maggiore e migliore diffusione; essi inoltre adottano una carta dei servizi mediante la quale rendono trasparenti le caratteristiche e le modalità di erogazione di ciascun servizio, nonché i criteri di accesso ed eventualmente di selezione dei beneficiari (lett. f)).
Nei casi di scioglimento dell’ente accreditato come Centro di servizio per il volontariato oppure di revoca dell’accreditamento, le risorse del Fondo unico ad esso assegnate ma non ancora utilizzate devono essere versate entro 120 giorni dallo scioglimento o dalla revoca all’Organismo nazionale di controllo, che le destina all’ente accreditato come Centro di servizio in sostituzione del precedente, o in mancanza, ad altri Centri di servizio della medesima regione oppure ancora, in mancanza, alla riserva con finalità di stabilizzazione del Fondo unico (comma 4).
Per i suddetti casi, se sono presenti eventuali beni mobili o immobili acquisiti dall’ente mediante le risorse del Fondo unico, gli stessi devono mantenere il vincolo di destinazione ed essere trasferiti dall’ente secondo le indicazioni previste dall’Organismo nazionale di controllo (comma 5).
L’articolo 64 stabilisce per il sistema
dei CSV un nuovo modello di governance, in coerenza con il dispositivo di delega
di cui alla lett. f) del citato comma 1 dell’art. 5,
che prevede una revisione dell’attività di programmazione e controllo di
compiti e gestione dei CSV, svolta mediante organismi regionali (OTC) o
sovraregionali (ONC) tra loro coordinati sul piano nazionale.
Al comma 1 viene definito l’Organismo nazionale di controllo (ONC) come fondazione con personalità giuridica di diritto privato, costituita con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al fine di svolgere, per finalità di interesse generale, funzioni di indirizzo e di controllo dei Centri servizio per il volontariato. L’Organismo gode di piena autonomia statutaria e gestionale nel rispetto delle norme del decreto in esame, del codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo.
La relazione illustrativa
chiarisce che la fondazione ONC si articola territorialmente (a livello
regionale o sovraregionale) in 10 organismi territoriali di controllo (OTC, v.
art. 65), privi di autonoma soggettività giuridica, cui è demandato il
controllo sui Centri di servizio per il volontariato (CSV).
La disposizione in esame attribuisce inoltre al MLPS l’esercizio delle funzioni di controllo e di vigilanza sull’ONC previste in base alle disposizioni dell’articolo 25 del codice civile (controllo sull’amministrazione delle fondazioni).
Il predetto decreto che costituisce l’ONC provvede inoltre alla nomina dei componenti dell’organo di amministrazione dell’Organismo medesimo, che deve essere formato da (comma 2):
- 6 membri, di cui uno con funzioni di Presidente, designati dall’associazione delle Fondazioni di origine bancaria più rappresentativa sul territorio nazionale in ragione del numero delle stesse Fondazioni ad essa aderenti (lett. a)) ;
- 2 membri designati dall’associazione dei Centri di servizio per il volontariato più rappresentativa sul territorio nazionale in ragione del numero degli stessi Centri ad essa aderenti (lett. b));
- 2 membri, di cui uno espressione delle organizzazioni di volontariato, designati dall’associazione degli enti del Terzo settore più rappresentativa sul territorio nazionale in ragione del numero dei medesimi enti ad essa aderenti (lett. a));
- 1 membro designato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali (lett. d)).
Per ogni componente effettivo, inoltre, la norma prevede che deve essere designato un supplente.
Il comma 3 definisce la nomina dei componenti dell’organo di amministrazione mediante decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali; la durata della carica è di 3 anni e, in ogni caso, la stessa viene mantenuta sino al rinnovo dell’organo medesimo.
I componenti dell’organo di amministrazione, inoltre, non possono essere nominati per più di 3 mandati consecutivi. Per la partecipazione all’Organismo nazionale di controllo non possono essere corrisposti a favore dei componenti emolumenti gravanti sul Fondo unico nazionale oppure sul bilancio dello Stato.
Anche in questo caso vale il principio di delega della gratuità delle prestazioni (art. 5, co. 1, lett. f) della legge delega per la riforma del Terzo settore) e pertanto i conseguenti oneri derivanti dagli emolumenti da corrispondere, come specificato dalla relazione illustrativa, saranno posti a carico delle Fondazioni bancarie finanziatrici.
Il primo atto che l’organo di amministrazione è chiamato ad adottare è lo Statuto dell’Organismo nazionale di controllo. Allo scopo è necessario il voto favorevole di almeno 10 dei suoi componenti. Eventuali modifiche statutarie devono essere deliberate dall’organo di amministrazione con la medesima maggioranza di voti (comma 4).
Il comma 5 definisce le funzioni svolte dall’Organismo nazionale di controllo, che devono essere conformi alle norme, ai principi e agli obiettivi del decreto in esame ed alle disposizioni del proprio Statuto. Di seguito si elencano tali funzioni, facendo rinvio a quanto precedentemente illustrato con riferimento alle specifiche norme richiamate:
- amministra il Fondo unico nazionale e riceve i contributi delle FOB secondo modalità individuate dalla stessa ONC (lett. a));
-
determina i contributi
integrativi dovuti dalle Fondazioni di origine bancaria ai sensi
dell’articolo 62, comma 11 (lett. b));
-
stabilisce il numero di enti accreditabili come CSV nel territorio nazionale nel
rispetto di quanto previsto dall’articolo 61, comma 2 e 3 (lett. c));
- definisce triennalmente, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di autonomia ed indipendenza delle organizzazioni di volontariato e di tutti gli altri enti del terzo settore, gli indirizzi strategici generali che devono essere perseguiti a valere sulle risorse del Fondo unico nazionale (lett. d));
- determina l’ammontare del finanziamento stabile triennale dei Centri di servizio del volontariato e ne stabilisce la ripartizione annuale e territoriale, su base regionale, secondo quanto previsto dall’articolo 62, comma 7 (lett. e));
- versa annualmente le somme assegnate ai Centri di servizio per il volontariato e all’associazione dei medesimi Centri più rappresentativa sul territorio nazionale, in ragione del numero degli stessi ad essa aderenti (lett. f));
- sottopone a verifica la legittimità e la correttezza dell’attività svolta dall’associazione dei Centri di servizio per il volontariato di cui all’articolo 62, comma 7, attraverso le risorse del Fondo unico nazionale ad essa assegnate dall’Organismo nazionale di controllo ai sensi del medesimo articolo medesimo (lett. g));
- determina i costi del suo funzionamento, inclusi i costi di funzionamento degli Organismi territoriali di controllo e i costi relativi ai componenti degli organi di controllo interno dei Centri servizio, nominati ai sensi dell’articolo 65, comma 6, lettera e) (lett. h));
- individua criteri obiettivi ed imparziali e procedure pubbliche e trasparenti di accreditamento dei Centri, tenendo conto, tra l’altro, della rappresentatività degli enti richiedenti, espressa anche dal numero di enti associati, della loro esperienza nello svolgimento dei servizi di cui all’articolo 63, e della competenza delle persone che ricoprono le cariche sociali (lett. i));
- accredita i Centri servizio, di cui tiene un elenco nazionale che rende pubblico con le modalità più appropriate (lett. j));
- definisce gli indirizzi generali, i criteri e le modalità operative cui devono attenersi gli Organismi territoriali di controllo (OTC) nell’esercizio delle proprie funzioni, e ne approva il regolamento di funzionamento (lett. k));
- predispone modelli di previsione e rendicontazione che i Centri servizio sono tenuti ad osservare nella gestione delle risorse del Fondo unico nazionale (lett. l));
- controlla l’operato degli OTC e ne autorizza eventuali spese non preventivate (lett. m));
- assume i provvedimenti sanzionatori nei confronti dei CSV, su propria iniziativa o su iniziativa degli Organismi territoriali di controllo (lett. n));
- promuove l’adozione da parte dei Centri servizio di strumenti di verifica della qualità dei servizi erogati dai medesimi Centri attraverso le risorse del Fondo unico, e ne valuta gli esiti (lett. o));
- predispone una relazione annuale sulla proprie attività e sull’attività e lo stato dei Centri, che invia al MLPS entro il 31 maggio di ogni anno e rende pubblica attraverso modalità telematiche (lett. p)).
La RT precisa che dai predetti compiti non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, in quanto le spese di organizzazione e funzionamento dell’ONC gravano sulle risorse del FUN, alimentato dai contributi delle fondazioni bancarie, come disposto dall’art. 62, comma 8 (v. ante). Inoltre, per le funzioni di controllo e vigilanza sull’ONC, si provvederà con risorse finanziarie annualmente disponibili sui capitoli del MLPS, imputando le spese al trattamento economico del personale e all’acquisto di beni e servizi di cui allo stato di previsione del Ministero (Missione: Diritti sociali, politiche sociali e famiglia; programma: Terzo settore (associazionismo, volontariato, Onlus e formazioni sociali) e responsabilità sociale delle imprese e delle organizzazioni).
Il comma 6 prevede infine che l’Organismo nazionale di controllo non può finanziare iniziative o svolgere attività che non siano direttamente connesse allo svolgimento delle funzioni sopra elencate
L’articolo 65 definisce gli organismi territoriali di controllo (OTC).
Il comma 1 li definisce come uffici territoriali dell’Organismo nazionale di controllo (ONC) privi di autonoma soggettività giuridica, che sono chiamati a svolgere, nell’interesse generale, funzioni di controllo dei Centri servizio nel territorio di riferimento, in conformità alle norme del presente decreto e allo statuto e alle direttive dell’Organismo nazionale di controllo.
Il comma 2 istituisce 10 ambiti territoriali (aventi dimensioni regionali o sovraregionali) nei quali ascrivere i seguenti organismi di controllo:
- Ambito 1: Liguria, Piemonte e Val d’Aosta
- Ambito 2: Lombardia
- Ambito 3: Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trento e Bolzano
- Ambito 4: Emilia-Romagna, Marche
- Ambito 5: Toscana e Umbria
- Ambito 6: Lazio e Abruzzo
- Ambito 7: Puglia, Basilicata e Calabria
- Ambito 8: Campania e Molise
- Ambito 9: Sardegna
- Ambito 10: Sicilia
Ciascun OTC è composto da (comma 3):
a) 5 membri, di cui uno con funzioni di Presidente, designati dalle Fondazioni di origine bancaria con sede legale nel territorio di riferimento;
b) 2 membri, di cui uno espressione delle organizzazioni di volontariato del territorio, designati dall’associazione degli enti del Terzo settore più rappresentativa sul territorio di riferimento in ragione del numero di enti del Terzo settore ad essa aderenti, aventi sede legale o operativa nel territorio di riferimento;
Il calcolo del numero degli enti aderenti, come precisato dalla relazione illustrativa, viene fatto in base alle iscrizioni al Registro unico nazionale (v. ante).
c) 1 membro designato dalla Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI);
d) 1 membro designato dalle regioni e/o dalle province autonome del territorio di riferimento.
Per ogni componente effettivo è designato un supplente.
Come per i componenti dell’ONC, quelli degli OTC sono nominati con decreto del MLPS e durano in carica 3 anni e, in ogni caso, fino al loro rinnovo; non possono essere nominati per più di tre mandati consecutivi. Per la partecipazione all’Organismo non possono essere corrisposti emolumenti a favore dei componenti a carico del Fondo unico o sul bilancio dello Stato (comma 4), in base al sopra descritto principio di gratuità delle prestazioni dei componenti di tali organismi.
Il primo atto di ciascun Organismo territoriali, indicato al comma 5, è l’adozione di un proprio regolamento di funzionamento e l’invio dello stesso all’Organismo nazionale di controllo per la sua approvazione.
Gli Organismi in esame svolgono, ai sensi del comma 6, determinate funzioni in conformità alle norme, ai principi e agli obiettivi del presente decreto e in base alle disposizioni dello Statuto ed alle direttive dell’Organismo nazionale, nonché ai sensi del proprio regolamento che dovrà disciplinarne nel dettaglio le modalità di esercizio. In particolare:
- ricevono le domande e istruiscono le pratiche di accreditamento dei Centri servizio, in particolare verificando la sussistenza dei requisiti di accreditamento (lett. a));
- verificano periodicamente, con cadenza almeno biennale, il mantenimento dei requisiti di accreditamento come Centri servizio; sottopongono altresì a verifica i medesimi Centri quando ne facciano richiesta formale motivata il Presidente dell’organo di controllo interno del Centro o un numero non inferiore al 30% di enti associati o un numero di enti non associati pari ad almeno il 5% del totale degli enti iscritti nelle pertinenti sezioni regionali del Registro unico nazionale del Terzo settore (lett. b));
- ripartiscono tra i Centri istituiti in ciascun regione il finanziamento deliberato dall’Organismo nazionale su base regionale ed ammettono a finanziamento la programmazione dei Centri (lett. c));
- verificano la legittimità e la correttezza dell’attività dei CSV in relazione all’uso delle risorse del Fondo unico, nonché la loro generale adeguatezza organizzativa, amministrativa e contabile, tenendo conto delle disposizioni del presente decreto e degli indirizzi generali strategici fissati dall’Organismo nazionale (lett. d));
- nominano, tra i revisori legali iscritti nell’apposito registro e con specifica competenza in materia di Terzo settore, un componente dell’organo di controllo interno del Centro servizi con funzioni di presidente e diritto di assistere alle riunioni dell’organo di amministrazione dello stesso Centro (lett. e));
- propongono all’Organismo nazionale di controllo l’adozione di provvedimenti sanzionatori nei confronti dei Centri servizio (lett. f));
- predispongono una relazione annuale sulla propria attività, che inviano entro il 30 aprile di ogni anno all’Organismo nazionale e rendono pubblica mediante modalità telematiche (lett. g)).
Ai sensi del comma 7, infine, è previsto che gli organismi territoriali non possono finanziare iniziative o svolgere attività che non siano direttamente connesse allo svolgimento delle funzioni sopra elencate.
L’articolo 66 definisce i casi di sanzioni in caso di mancata osservanza delle presenti norme e gli strumenti di tutela giurisdizionale ammessi.
Il comma 1 stabilisce, in particolare, che, in presenza di irregolarità, gli Organismi territoriali di controllo invitano i Centri servizio ad adottare i provvedimenti e le misure necessarie a sanarle.
In presenza di irregolarità non sanabili o non sanate, gli Organismi territoriali denunciano l’irregolarità all’ONC per l’adozione dei provvedimenti necessari. Il medesimo Organismo nazionale, previo accertamento dei fatti e sentito in contraddittorio il Centro servizio interessato, adotta i seguenti provvedimenti a seconda della gravità del caso (comma 2):
- diffida formale con eventuale sospensione dell’accreditamento nelle more della sanatoria dell’irregolarità (lett. a));
- revoca dell’accreditamento, esperita dopo aver sollecitato, senza ottenere riscontro, il rinnovo dei componenti dell’organo di amministrazione del CSV (lett. b)).
Il comma 3, infine, stabilisce che contro i provvedimenti dell’Organismo nazionale è possibile fare ricorso dinanzi al giudice amministrativo (pertanto, in primo grado dinnanzi al TAR del Lazio e, in secondo grado, dinnanzi al Consiglio di Stato).
L’articolo
67 consente alle associazioni di
promozione sociale e alle organizzazioni di volontariato che svolgano attività
sulla base di progetti o risultino affidatarie di servizi di interesse generale
in regime di convenzioni con le pubbliche amministrazioni (cfr. artr. 56), di beneficiare, senza oneri per lo Stato, delle
forme di agevolazione creditizia o di garanzie già previste dalle norme vigenti
in favore di cooperative e loro consorzi. La norma riproduce il disposto
dell’articolo 24, comma 1 della legge n. 383/2000 (Disciplina delle associazioni di promozione sociale).
La relazione illustrativa sottolinea che la ratio della norma originaria e della sua
riproposizione in questa sede è quella di estendere ad enti che per definizione
svolgono attività e servizi di interesse generale e in particolare in regime
convenzionale con le pubbliche amministrazioni, il favor già riservato dal
legislatore agli enti cooperativi anche in forma consortile.
L’articolo
68 ripropone, estendendola anche alle organizzazioni di volontariato, in
virtù della loro peculiare funzione e del riconoscimento del particolare valore
sociale di tali soggetti, i benefici già previsti in favore delle associazioni
di promozione sociale dall’articolo 24, commi 2 e 3 della citata legge n.
383/2000.
I citati commi 2 e 3 dell’articolo 24, prevedono che i
crediti delle associazioni di promozione sociale per i corrispettivi dei
servizi prestati e per le cessioni di beni hanno privilegio generale sui beni
mobili del debitore ai sensi dell'articolo 2751-bis del codice civile.
I crediti di cui al comma 2 sono collocati,
nell'ordine dei privilegi, subito dopo i crediti di cui alla lettera c)
del secondo comma dell'articolo 2777 del codice civile (vale a dire dopo i
crediti del coltivatore diretto, dell’impresa artigiana e delle società ed enti
cooperativi di produzione e di lavoro.
La relazione illustrativa evidenzia che la ratio della norma risiede nella
“presunzione di meritevolezza” delle attività di
interesse generale delle predette organizzazioni.
L’articolo
69 ripropone pressoché integralmente, estendendola a tutti gli enti del
Terzo settore, in virtù della loro peculiare funzione e del riconoscimento del
particolare valore sociale do tali soggetti, la disposizione di cui
all’articolo 28 della citata legge n. 383/2000 che, nella formulazione
originaria era relativa esclusivamente elle associazioni di promozione sociale
e alle organizzazioni di volontariato.
Il citato articolo 28 prevede che il Governo, d'intesa con le regioni e con le
province autonome di Trento e di Bolzano, promuove ogni iniziativa per favorire
l'accesso delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di
volontariato ai finanziamenti del Fondo sociale europeo per progetti
finalizzati al raggiungimento degli obiettivi istituzionali, nonché, in
collaborazione con la Commissione delle Comunità europee, per facilitare
l'accesso ai finanziamenti comunitari, inclusi i prefinanziamenti da parte
degli Stati membri e i finanziamenti sotto forma di sovvenzioni globali.
La ratio
della norma è quella di promuovere l’accesso degli enti del terzo settore
ai fondi dell’Unione europea, in particolare a quelli del Fondo sociale
europeo, anche alla luce del ruolo riconosciuto a livello comunitario ai
soggetti dell’economia sociale.
L’articolo 70 estende a tutti gli enti del Terzo settore definiti dalla legge delega di riforma e dal presente decreto attuativo, le disposizioni già previste dalla legislazione vigente all’articolo 31, commi 1 e 2 della L. 383/2000, applicabili alle associazioni di promozione sociale e alle organizzazioni di volontariato in materia di strutture e autorizzazioni temporanee per manifestazioni pubbliche.
L’art. 31, commi 1 e 2,
della citata L. 383/2000 che disciplina le associazioni di promozione sociale,
prevede che le amministrazioni statali, con le proprie strutture civili e
miliari, e quelle regionali, provinciali e comunali possono disporre forme e modi
per l'utilizzo gratuito di beni mobili e immobili per manifestazioni e
iniziative temporanee delle associazioni di promozione sociale e delle
organizzazioni di volontariato, disciplinate dalla legge-quadro sul
volontariato (L. 266/1991), nel rispetto dei princìpi di trasparenza, di
pluralismo e di uguaglianza. Inoltre, in occasione di particolari eventi o
manifestazioni, possono essere concesse dal sindaco a tali soggetti autorizzazioni
temporanee anche alla somministrazione di alimenti e bevande, esclusivamente per
il periodo di svolgimento degli eventi e per i locali o gli spazi cui si
riferiscono[73].
Il comma 1 stabilisce che lo Stato, le regioni e le province autonome, nonché gli enti locali, possono, nella loro autonomia, prevedere forme e modi per l’utilizzazione non onerosa di beni mobili e immobili per manifestazioni e iniziative temporanee degli enti del Terzo settore, nel rispetto dei princìpi di trasparenza, pluralismo e uguaglianza.
Inoltre, tali soggetti possono, in occasione di particolari eventi o manifestazioni, e soltanto per il periodo di svolgimento delle predette manifestazioni e per i locali o gli spazi cui si riferiscono, somministrare alimenti e bevande. Tale autorizzazione può essere concessa previa segnalazione certificata di inizio attività e comunicazione ai sensi dell’articolo 6 del Regolamento (CE) n. 852/2004, in deroga al possesso dei requisiti di cui all’articolo 71 del D. lgs. n. 59/2010 che ha attuato la direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno.
Il citato Regolamento comunitario dispone, in particolare, che ogni operatore del settore alimentare è tenuto a notificare all'autorità competente, in base alle modalità prescritte dalla stessa, ciascuno stabilimento posto sotto il suo controllo che esegua una qualsiasi delle fasi di produzione, trasformazione e distribuzione di alimenti, allo scopo di eseguire la registrazione del medesimo stabilimento. La segnalazione cui fa riferimento la norma è la cd. SCIA da presentare al Comune, senza l’obbligo di specifici requisiti professionali. La deroga citata dalla norma in esame di cui all’articolo 71 del citato D.lgs. 59, infatti, si riferisce ai requisiti professionali che deve possedere chi esercita, per quanto qui interessa, un’attività di somministrazione di alimenti e bevande, tra cui aver frequentato con esito positivo uno specifico corso professionale, aver esercitato in proprio per almeno due anni un’attività di impresa nel settore alimentare ed essere in possesso di un titolo di studio di istruzione secondaria o terziaria che comprenda materia attinenti al commercio, alla preparazione o alla somministrazione degli alimenti.
La
relazione illustrativa peraltro precisa che la disposizione in oggetto è in
linea con quanto già previsto all’articolo 41 del DL. 5/2012 (L. 35/2012) di
semplificazione di alcune procedure, in base alla quale l’attività temporanea
di somministrazione di alimenti e bevande in occasione di sagre, fiere,
manifestazioni religiose, tradizionali e culturali o eventi locali
straordinari, è avviata previa SCIA, priva, però, delle dichiarazioni
asseverate da parte di tecnici abilitati ai sensi dell’art. 19 della L.
241/1990.
L’articolo 71 estende a tutti gli enti del Terzo settore definiti dalla legge delega di riforma e dal presente decreto attuativo, ad eccezione delle imprese sociali, alcune agevolazioni per lo svolgimento di attività sociali già previste dalla normativa vigente con riferimento all’art. 32 della legge sulle associazioni di promozione sociale (L. 383/2000), alla concessione di immobili demaniali culturali a canone agevolato e alle nuove norme sul partenariato pubblico-privato per la valorizzazione dei beni culturali.
Il comma 1 dispone, in particolare, che le sedi degli enti
del Terzo settore ed i locali in cui si svolgono le relative attività
istituzionali, a condizione che non siano di tipo produttivo, sono considerate
compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste con decreto
del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 e simili, indipendentemente dalla destinazione
urbanistica.
Tale norma è già applicata, a legislazione vigente, alle associazioni di promozione sociale in base a quanto disposto dall’art. 32, comma 4, della citata legge 383 e pertanto a tali soggetti è consentito di svolgere le proprie attività istituzionali presso sedi e locali a loro disposizione (anche temporaneamente), senza dover cambiare la destinazione d’uso degli stessi.
Inoltre, il comma 2, stabilisce che tutte le amministrazioni pubbliche individuate in base all’art. 1, co. 2, della L. 165/2001[74], lo Stato, le regioni e province autonome, nonché gli enti locali, possono concedere in comodato agli enti del Terzo settore beni mobili ed immobili di loro proprietà, che risultino non utilizzati per fini istituzionali, per lo svolgimento delle loro attività istituzionali.
Si segnala che tale beneficio è già concesso in base alla legislazione vigente dell’art. 32, comma 1, della legge 382/2000, alle associazioni di promozione sociale e alle organizzazioni di volontariato previste dalla Legge-quadro sul volontariato (L. 266/1991) per lo svolgimento delle loro attività istituzionali.
In termini di formulazione del testo, il
riferimento all’ambito delle amministrazioni pubbliche individuate ai sensi
dell’art. 1, co. 2, della L. 165/2001 dovrebbe essere posto come categoria
residuale, considerato che in esso vi rientrano anche lo Stato, le regioni e
province autonome, nonché gli enti locali, soggetti che vengono già indicati in
forma esplicita dalla norma in esame.
Il comma 3,
inoltre, stabilisce un canone agevolato, determinato dalle
amministrazioni interessate, per l’uso di beni culturali immobili di
proprietà dello Stato, delle regioni, degli enti locali e degli altri enti
pubblici, per l'uso dei quali attualmente non è corrisposto alcun canone e che
richiedono interventi di restauro.
Si sottolinea che tali disposizioni sono già vigenti in materia di concessione di immobili demaniali culturali a soggetti privati, in base alla disciplina prevista della legge finanziaria 2005 (L. 311/2004), art. 1, commi da 303 a 305 e dall’art. 3-bis del DL. 315/2001 (L. 410/2001) con riferimento alla valorizzazione ed utilizzo, a fini economici, dei beni immobili tramite concessione o locazione.
Tali beni possono
essere dati in concessione a enti del Terzo settore che svolgono le attività
indicate all'art. 5, comma 1, del presente decreto alle lett. f) (interventi di tutela e valorizzazione del
paesaggio[75]), lett. i)
(organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche e ricreative di
interesse sociale), lett. k)
(organizzazione e gestione di attività turistiche di interesse sociale,
culturale o religioso), o lett. x)
(cura di procedure di adozione internazionale di minori[76]), ai fini della riqualificazione e riconversione
dei medesimi beni tramite interventi di recupero, restauro,
ristrutturazione a spese del concessionario, anche con l'introduzione di
nuove destinazioni d'uso finalizzate allo svolgimento delle attività indicate.
Si specifica che rimangono
ferme le disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 42/2004
(Codice dei beni culturali).
In base a tale Codice (art. 10), i beni culturali immobili di proprietà pubblica, per quanto qui interessa, sono i beni immobili appartenenti allo Stato, alle regioni e ad altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico, che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico. Inoltre, l’articolo 2 del predetto Codice assegna valore di bene culturale alle cose, anche immobili, individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà. I beni culturali immobili rientrano peraltro nel demanio culturale prescritto dall’art. 53 del Codice dei beni culturali che ne rinvia la definizione generale delle tipologie all’art. 822 c.c. e ne fa divieto di alienazione o diritto a favore di terzi, se non nei limiti e con le modalità previste dallo medesimo Codice. Si sottolinea che la demanialità culturale si estende alle pertinenze ed alle servitù costituite a favore dei beni stessi (art. 825 c.c.).
La concessione
d'uso agli enti del Terzo settore deve essere comunque finalizzata alla
realizzazione di un progetto di gestione del bene che ne assicuri la
corretta conservazione, nonché l'apertura alla pubblica fruizione e la migliore
valorizzazione. Dal canone di concessione sono detratte le spese sostenute
dal concessionario per gli interventi indicati nel primo periodo, entro il
limite massimo del medesimo canone.
Il concessionario
deve essere individuato mediante le procedure semplificate di cui
all'articolo 151, comma 3, del D.Lgs n.50/2016 che
reca la disciplina del partenariato pubblico-privato introdotta dal nuovo dei
contratti pubblici.
La predetta norma disciplina le modalità in cui le disposizioni riguardanti i contratti di sponsorizzazione di cui all’articolo 19 del predetto Codice sono altresì estese ai seguenti contratti di sponsorizzazione: a) per lavori, servizi o forniture relativi a beni culturali; b) finalizzati al sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura[77]; c) per le fondazioni lirico-sinfoniche ed i teatri di tradizione. In particolare, il comma 3 del sopra citato art. 151 dispone che per assicurare la fruizione del patrimonio culturale e favorire la ricerca scientifica applicata alla sua tutela, il MiBACT può attivare forme speciali di partenariato con enti e organismi pubblici e con soggetti privati, dirette a consentire il recupero, il restauro, la manutenzione programmata, la gestione, l'apertura alla pubblica fruizione e la valorizzazione di beni culturali immobili, attraverso procedure semplificate di individuazione del partner privato analoghe o ulteriori rispetto a quelle previste con i contratti di sponsorizzazione.
Le concessioni d’uso
in esame devono essere assegnate per un periodo di tempo commisurato al
raggiungimento dell’equilibrio economico-finanziario dell’iniziativa, che comunque
non può superare i 50 anni.
Il comma 4
estende altresì agli enti del Terzo settore la possibilità di usufruire, nei
limiti delle risorse finanziarie disponibili, di tutte le facilitazioni o
agevolazioni previste per i privati, in particolare per quanto attiene
all’accesso al credito agevolato, per concorrere al finanziamento
di programmi di costruzione, di recupero, di restauro, di adattamento, di
adeguamento alle norme di sicurezza e di straordinaria manutenzione di
strutture o edifici da utilizzare per le destinazioni d’uso omogenee (v. ante
comma 1), per la dotazione delle relative attrezzature e per la loro gestione.
Si sottolinea che tale disposizione è attualmente vigente per le sole associazioni di promozione sociale, in base a quanto previsto dall’articolo 32, co. 5 della citata legge 383/2000.
Viene infine sancita una clausola generale di esclusione delle imprese sociali dalle precedenti disposizioni agevolative (comma 5).
L’eccezione è prevista in
ragione delle specificità delle imprese sociali e per evitare situazioni
distorsive della concorrenza con le altre tipologie di imprese.
L’articolo
72, in attuazione delle
disposizioni di cui all’articolo 9, comma 1, lettera g) della legge n. 106/2016, disciplina le caratteristiche e le
funzioni del Fondo per il finanziamento
di progetti ed attività di interesse generale nel terzo settore.
La citata lettera g) del comma 1 dell’articolo 9 prevede l’istituzione, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di un fondo destinato a sostenere lo svolgimento di attività di interesse generale (di cui all’articolo 4, comma 1, lettera b) della legge delega, e di cui all’articolo 5 dello schema di decreto) attraverso il finanziamento di iniziative e progetti promossi da organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale e fondazioni comprese tra gli enti del Terzo settore, e la disciplina delle modalità di funzionamento e di utilizzo delle risorse, anche attraverso forme di consultazione del Consiglio nazionale del Terzo settore.
La norma, riproducendo il contenuto della
citata lettera g) del comma 1 dell’articolo 9, prevede che il Fondo sia
destinato a sostenere, anche attraverso le reti associative di cui all’articolo
41, lo svolgimento di attività di interesse generale di cui all’articolo 5,
costituenti oggetto di iniziative e progetti promossi da organizzazioni di
volontariato, associazioni di promozione sociale e fondazioni del Terzo
settore, iscritti nel Registro unico nazionale del Terzo settore. Le citate
iniziative ed i progetti possono essere finanziati anche in attuazione di
accordi sottoscritti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con le
pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’articolo 15 della legge n. 241/1990,
che disciplina gli accordi fra pubbliche
amministrazioni.
Viene poi stabilito che il Ministro del
lavoro e delle politiche sociali determini annualmente con proprio atto di
indirizzo gli obiettivi generali, le aree prioritarie di intervento e le linee
di attività finanziabili nei limiti delle risorse disponibili sul Fondo
medesimo e che, in attuazione di tale atto di indirizzo, le strutture
amministrative del Ministero del lavoro e delle politiche sociali individuino,
all’esito delle procedure a tal fine necessarie ai sensi della legge n.
241/1990, i soggetti attuatori degli interventi finanziabili attraverso le risorse del Fondo.
Viene infine previsto che a decorrere
dall’anno 2017 la dotazione della seconda sezione del Fondo, di carattere non
rotativo, sia incrementata di 10 milioni di euro annui, la cui copertura è
garantita, secondo quanto previsto dal successivo articolo 102, comma 1, dalla
corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1,
comma 187, della legge n. 190/2014 (legge di stabilità per il 2015), che
prevede risorse per la riforma del terzo settore, dell’impresa sociale e per la
disciplina del servizio civile universale pari a 190 milioni di euro annui a
regime dall’anno 2017.
L’articolo 9, comma 1, lettera g) della legge n. 106/2016, prevede che il Fondo sia articolato, solo per l’anno 2016, in due sezioni: la prima, di carattere rotativo, con una dotazione di 10 milioni di euro, la seconda, di carattere non rotativo, con una dotazione di 7,3 milioni di euro. L’articolo 11 della medesima legge prevede che, per l’attuazione della disposizione in esame, sia autorizzata la spesa di 17,3 milioni di euro per l’anno 2016 e di 20 milioni di euro a decorrere dall’anno 2017.
L’articolo
73, nell’ottica di una migliore gestione e allocazione della spesa, prevede
che, a decorrere dal 2017, gli oneri relativi agli interventi in materia di
Terzo settore di competenza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali,
relativi ad alcune disposizioni di legge
specificamente elencate, cessino di essere finanziati a valere sul Fondo
nazionale per le politiche sociali, di cui all’articolo 20 della legge n.
328/2000, e siano trasferiti, per le medesime finalità, su un apposito capitolo
di spesa iscritto nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle
politiche sociali, nel programma “Terzo
settore (associazionismo, volontariato, Onlus e
formazioni sociali) e responsabilità sociale delle imprese e delle
organizzazioni”, nell’ambito della missione “Diritti sociali, politiche sociali
e famiglia”.
Nel Fondo nazionale per le politiche sociali (FNPS),
istituito dalla legge 449/1997 (legge finanziaria per il 1998),
sono contenute le risorse che lo Stato stanzia annualmente con la legge di
stabilità per la promozione e il raggiungimento degli obiettivi di politica
sociale indicati dalla legge quadro 328/2000. Le risorse del FNPS sono ripartite
annualmente, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, fra le regioni, le
province autonome, i comuni e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali
e sono assegnate con decreto interministeriale (sul sito del Ministero dl
lavoro e delle politiche sociali sono pubblicati i decreti di riparto dal 2005 al 2015). A partire
dal 2010 le somme riferite alle Province Autonome di Trento e Bolzano, pur
essendo calcolate ai fini del riparto, sono rese indisponibili (articolo 2,
comma 109, della legge 191/2009 finanziaria 2010). Gli
interventi finanziati a valere sul FNPS sono stati ridotti nel tempo da alcuni
provvedimenti normativi. Il FNPS è un fondo indistinto, poiché le risorse non
possono essere vincolate ad una specifica destinazione individuata a livello
nazionale, in conseguenza della modifica del Titolo V della Costituzione, che
ha determinato lo spostamento della materia dell'assistenza sociale dall'area
della potestà legislativa concorrente Stato-Regioni a quella della potestà
legislativa esclusiva delle Regioni (Sentenza Corte costituzionale n. 423/2004). Dal
2010 si è assistito a una progressiva contrazione delle risorse assegnate:
il fondo, quasi azzerato dalla Legge di stabilità 2011 e 2012, è
stato parzialmente ricostituito dalla Legge di stabilità 2013 (Legge 228/2012), che gli ha destinato circa 344
milioni di euro. Per il 2014, la legge di stabilità (legge 147/2013) ha destinato al FNPS 317
milioni di euro. Con la legge di stabilità 2015 (legge 190/2014) lo stanziamento del Fondo ha
acquistato carattere strutturale. L'articolo 1, comma 158, della stabilità 2015
ha infatti previsto uno stanziamento a regime di 300 milioni di
euro annui a decorrere dal 2015. La Legge di Stabilità 2016 (legge 208/2015) ha rifinanziato il FNPS con
circa 313 milioni di euro per l'anno 2016 e 2017 e con circa 314 milioni di
euro per l'anno 2018 (Tabella C, "Stanziamenti autorizzati in relazione a
disposizioni di legge la cui quantificazione annua è demandata alla legge di
stabilità"). La legge di bilancio 2017 (legge 232/2016) ha rifinanziato il FNPS con
circa 311 milioni per il 2017, 308 milioni per il 2018 e 313 milioni per il
2019.
Le norme riguardanti gli oneri trasferiti
sono:
- l’articolo 12, comma 2, della legge n. 266/1991 (Legge quadro sul volontariato), per un ammontare di 2 milioni di euro, relativo al Fondo per il volontariato, finalizzato a sostenere finanziariamente il progetti sperimentali elaborati, anche in collaborazione con gli enti locali, da organizzazioni di volontariato iscritte negli specifici registri istituiti dalle regioni e dalle province autonome, per far fronte ad emergenze sociali e per favorire l'applicazione di metodologie di intervento particolarmente avanzate;
- l’articolo 1 della legge n. 438/1998 (contributo statale a favore delle associazioni nazionali di promozione sociale), per un ammontare di 5,16 milioni di euro, relativo al contributo statale ad associazioni ed enti di promozione sociale;
- l’articolo 96, comma 1, della legge n. 342/2000 (Misure in materia fiscale), per un ammontare di 7,75 milioni di euro, relativo alle risorse per l’acquisto da parte delle associazioni di volontariato e organizzazioni non lucrative di utilità sociale, di autombulanze e di beni strumentali utilizzati direttamente ed esclusivamente per attività di utilità sociale che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diverse utilizzazioni senza radicali trasformazioni;
- l’articolo 13 della legge n. 383/2000 (Disciplina delle associazioni di promozione sociale), per un ammontare di 7,05 milioni di euro, riguardante il Fondo per l’associazionismo, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, destinato a sostenere le iniziative di formazione e di aggiornamento per lo svolgimento delle attività associative nonché di progetti di informatizzazione e di banche dati nei settori disciplinati dalla legge, nonché l’approvazione di progetti sperimentali elaborati, anche in collaborazione con gli enti locali, dalle associazioni iscritte nei registri disciplinati dalla legge per fare fronte a particolari emergenze sociali e per favorire l'applicazione di metodologie di intervento particolarmente avanzate.
L’articolo in esame prevede poi che con uno o più atti di indirizzo del Ministro del lavoro e delle politiche sociali siano determinati annualmente, nei limiti delle risorse complessivamente disponibili, gli obiettivi generali, le aree prioritarie di intervento, le linee di attività finanziabili e la destinazione delle risorse sopracitate per le finalità di:
- sostegno alle attività delle organizzazioni di volontariato e delle associazioni di promozione sociale;
- contributi per l’acquisto di autombulanze, autoveicoli per attività sanitarie e beni strumentali.
I soggetti beneficiari delle risorse, che in ogni caso devono essere iscritti nel Registro unico nazionale del terzo settore, vengono individuati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali mediante procedure poste in essere nel rispetto dei principi della legge 241/1990 in tema di provvedimenti attributivi di vantaggi economici. La relazione illustrativa evidenzia che la nuova disciplina consegue il duplice obiettivo di permettere alla P.A. di operare un’efficace programmazione , in virtù dell’immediata disponibilità delle risorse finanziarie acquisita per effetto della legge di bilancio e di disporre di una flessibilità nell’allocazione delle risorse medesime verso i fini stabiliti dalla norma primaria.
I successivi tre articoli specificano le finalità al cui soddisfacimento sono destinate le risorse di cui al precedente articolo 73.
L’articolo 74 prevede che le risorse di cui all’articolo 73, comma 2, lettera a), vale a dire quelle riguardanti il fondo per il volontariato – per un ammontare di 2 milioni di euro – siano finalizzate alla concessione di contributi per la realizzazione di progettualità da parte delle organizzazioni di volontariato per fare fronte ad emergenze sociali e per l’applicazione di metodologie di intervento particolarmente avanzate. Viene previsto che i progetti possono essere realizzati anche attraverso partenariati con altre organizzazioni di volontariato ed in collaborazione con gli enti locali, ai fini della maggiore efficacia degli stessi.
L’articolo 75 detta analoga previsione relativamente alle associazioni di promozione sociale, disponendosi che le risorse di cui all’articolo 73, comma 1, lettera b) – per un ammontare di 5,16 milioni di euro, relativo al contributo statale ad associazioni ed enti di promozione sociale -, siano finalizzate alla concessione di contributi per la realizzazione di progetti elaborati dalle associazioni di promozione sociale , anche in partenariato tra loro e in collaborazione con gli enti locali, per la formazione degli associati, il miglioramento organizzativo e gestionale, l’incremento della trasparenza e della rendicontazione al pubblico delle attività svolte, o per far fronte a particolari emergenze sociali, in particolare attraverso l’applicazione di metodologie avanzate o a carattere sperimentale.
Per le associazioni di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a) della legge n. 476/1987[78], vale a dire per le 5 associazioni c.d. “storiche” (ENS – Ente nazionale sordi, ANMIL- associazione nazionale mutilati e invalidi sul lavoro, UICI – unione italiana ciechi e ipovedenti, UNMS – unione nazionale mutilati per servizio, ANMIC - Associazione nazionale mutilati e invalidi civili, tutte persone giuridiche privatizzate -) viene mantenuto il finanziamento delle attività istituzionali di promozione e integrazione sociale degli aderenti, appartenenti a categorie particolarmente meritevoli di tutela, già previsto dalla disposizione citata, nella misura nella misura indicata all’articolo 1, comma 2, della legge n. 438/1998[79] – si tratta di un finanziamento complessivo di 2.580.000 euro da ripartirsi in parti uguali tra tutti gli enti indicati -. I soggetti citati, entro un anno dall’erogazione del contributo, trasmettono al Ministero del lavoro e delle politiche sociali la rendicontazione sulla sua utilizzazione nell’anno precedente.
L’articolo 76 prevede che le risorse di cui all’articolo 73, comma 1, lettera c) - per un ammontare di 7,75 milioni di euro – siano destinate all’erogazione di contributi alle organizzazioni di volontariato per l’acquisto di autombulanze, autoveicoli per attività sanitarie e di beni strumentali, utilizzati direttamente ed esclusivamente per attività di interesse generale, che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diverse utilizzazioni senza radicali trasformazioni, nonché, per le sole fondazioni, per la donazione dei beni ivi indicati nei confronti delle strutture sanitarie pubbliche.
In alternativa le organizzazioni di volontariato, per l’acquisto di autombulanze e di beni mobili iscritti in pubblici registri destinati ad attività antincendio da parte dei vigili del fuoco volontari, possono conseguire il citato contributo nella misura corrispondente all’aliquota IVA del prezzo complessivo di acquisto, mediante corrispondente riduzione del medesimo prezzo praticata dal venditore. Il venditore recupera le somme corrispondenti alla riduzione praticata mediante compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. n. 241/1997 (Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni).
Per ragioni di economicità procedimentale si prevede che, nel caso di organizzazioni di volontariato aderenti ad una rete associativa, la richiesta e l’erogazione del contributo avvenga attraverso la rete medesima.
La definizione delle modalità attuative dell’articolo in esame vengono rimesse ad un successivo decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
Il Titolo IX disciplina i titoli di solidarietà degli enti del terzo settore nonché le altre forme di finanza sociale. In sintesi, il titolo in esame:
- prevede che le banche italiane, comunitarie ed extracomunitarie autorizzate ad operare in Italia possano emettere obbligazioni e altri titoli di debito nonché certificati di deposito con l'obiettivo di sostenere le attività istituzionali degli enti del Terzo settore.;
- disciplina il regime fiscale del c.d. social lending al fine di favorire la raccolta di capitale di rischio assoggettando, per il tramite di una ritenuta a titolo d'imposta, la remunerazione del capitale al medesimo trattamento fiscale previsto per i titoli di Stato.
L'articolo 77 prevede che le banche italiane, comunitarie ed extracomunitarie autorizzate ad operare in Italia possano emettere obbligazioni e altri titoli di debito nonché certificati di deposito con l'obiettivo di sostenere le attività istituzionali degli enti del Terzo settore.
Su tali titoli le banche emittenti non possono applicare le commissioni di collocamento, con l'obbligo di destinare l'intera raccolta effettuata attraverso l'emissione dei titoli agli enti del Terzo settore. Una quota pari almeno allo 0,6 per cento della raccolta può essere devoluta a titolo di liberalità agli enti del Terzo settore con corrispondente assegnazione di un credito d'imposta pari al 50 per cento della stessa erogazione liberale.
Il sostegno mediante liberalità e devoluzione della raccolta in favore degli enti del Terzo settore comporta alcune agevolazioni finanziarie: tra le altre, l’esenzione per gli emittenti dalla contribuzione di vigilanza alla Consob, l’assoggettamento dei proventi dei titoli al medesimo regime fiscale previsto per i titoli di Stato, la disapplicazione delle norme antielusive che comportano la sterilizzazione dalla base di computo dell'aiuto alla crescita economica. I titoli, inoltre non concorrono alla formazione dell'attivo ereditario soggetto ad imposta di successione e non rilevano ai fini della determinazione dell'imposta di bollo dovuta per le comunicazioni relative ai depositi titoli.
Al riguardo si ricorda che in Francia opera il modello dei cd. fondi "solidaire": si tratta di uno strumento che permette alle imprese sociali di finanziarsi attraverso capitali privati; sono fondi d'investimento aperti, aventi la caratteristica di investire una quota variabile del proprio capitale in titoli di imprese sociali e solidali e il restante in titoli quotati (per questa ragione sono anche conosciuti come fondi 90/10). Una forma alternativa di fondi solidaire è quella di private equity sociale (FCPR), fondi che devono investire almeno il 40% in investimenti sociali.
In particolare, le norme in esame (comma 1) per favorire il finanziamento ed il sostegno delle attività di interesse generale (elencate dall'articolo 5 del provvedimento in esame), svolte dagli enti del Terzo settore qualificati fiscalmente come non commerciali (disciplinati dall’articolo 79, comma 5, vedi infra) ed iscritti all’apposito Registro (di cui all’articolo 45, vedi supra), consentono agli istituti di credito autorizzati ad operare in Italia, in osservanza delle prescrizioni del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia – TUB (D.lgs. n. 385 del 1993) di emettere specifici titoli di solidarietà, su cui non applicano le commissioni di collocamento.
Si tratta (comma 2) di obbligazioni ed altri titoli di debito, non subordinati, non convertibili e non scambiabili e che non conferiscono il diritto di sottoscrivere o acquisire altri tipi di strumenti finanziari e non sono collegati ad uno strumento derivato, nonché certificati di deposito consistenti in titoli individuali non negoziati nel mercato monetario. Si chiarisce (comma 3) che tali strumenti sono soggetti alle disposizioni in materia di strumenti finanziari del Testo Unico Finanziario (decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 – TUF).
Si rammenta che, in attuazione della delega al recepimento della direttiva MiFID II (Direttiva 2014/65/UE) e del regolamento MiFIR (Regolamento UE n. 600/2014) è all’esame delle competenti commissioni parlamentari l’Atto del Governo n. 413, che reca una complessiva revisione del predetto TUF che riguarda, tra l’altro, anche gli strumenti finanziari negoziabili sui mercati regolamentati e sugli altri sistemi multilaterali di negoziazione.
Per quanto attiene ai certificati di deposito consistenti in titoli individuali non negoziati nel mercato monetario, restano ferme le disposizioni in materia di trasparenza bancaria relative alle condizioni contrattuali e ai rapporti con i clienti dettate dal TUB.
Ai sensi del comma 4, le predette obbligazioni e titoli di debito hanno scadenza non inferiore a 36 mesi, possono essere nominativi ovvero al portatore, e corrispondono interessi con periodicità almeno annuale, in misura pari al maggiore tra il tasso rendimento lordo annuo di obbligazioni dell’istituto emittente, aventi analoghe caratteristiche e durata, collocate nel trimestre solare precedente la data di emissione dei titoli, e il tasso di rendimento lordo annuo dei titoli di Stato con vita residua similare a quella dei titoli.
I certificati di deposito hanno scadenza non inferiore a 12 mesi, corrispondono interessi con periodicità almeno annuale, in misura pari al maggiore tra il tasso rendimento lordo annuo di certificati di deposito dell'emittente, aventi analoghe caratteristiche e durata, emessi nel trimestre solare precedente la data di emissione dei titoli e il tasso di rendimento lordo annuo dei titoli di Stato con vita residua similare a quella dei titoli. Gli emittenti possono applicare un tasso inferiore rispetto al maggiore tra i due tassi di rendimento sopra illustrati, a condizione che si riduca corrispondentemente il tasso di interesse applicato sulle correlate operazioni di finanziamento, secondo le modalità indicate nelle norme attuative (di cui al comma 15).
Il comma 5 dispone che gli emittenti possano erogare, a titolo di liberalità, una somma non inferiore allo 0,60% dell'ammontare nominale collocato dei titoli ad uno o più enti del Terzo settore non commerciali iscritti nell’apposito registro, per il sostegno delle attività istituzionali degli enti, ritenute meritevoli sulla base di un progetto predisposto dagli enti richiedenti.
Ai sensi del comma 6 gli emittenti, tenuto conto delle richieste di finanziamento e compatibilmente con le esigenze di rispetto delle regole di sana e prudente gestione bancaria, devono destinare una somma pari all'intera raccolta effettuata attraverso l'emissione dei titoli, al netto dell'eventuale erogazione liberale ora illustrata, ad impieghi a favore dei predetti enti non commerciali del Terzo settore, per il finanziamento di iniziative legate alle attività istituzionali.
Ai sensi del comma 7, per accedere alla speciale disciplina agevolativa di cui ai commi 8-13, gli emittenti devono rispettare le previsioni relative alle erogazioni liberali e di destinazione della raccolta in favore degli enti del Terzo settore. Dette agevolazioni comprendono:
- l’esenzione dall'obbligo di versamento delle contribuzioni dovute alla Consob dai soggetti sottoposti alla vigilanza (comma 8).
- sottoposizione di interessi, premi ed ogni altro provento che costituisce reddito di capitale o reddito diverso (ivi comprese plusvalenze imponibili) al regime fiscale previsto per i titoli di Stato (comma 9).
Il principale testo normativo che disciplina il regime fiscale degli interessi sui titoli di Stato è il decreto legislativo 1° aprile 1996 n. 239 (d.lgs. 239/96), che è stato oggetto di modifiche e integrazioni successive. L’attuale regime fiscale prevede:
- il concorso alla formazione della base imponibile, soggetta alle imposte sui redditi (e, laddove dovuta, all’imposta regionale sulle attività produttive) per gli interessi percepiti nell’esercizio di imprese commerciali;
- una imposta sostitutiva del 12,5%, applicata a titolo definitivo sugli interessi percepiti al di fuori di un’impresa commerciale.
Per ulteriori informazioni si rinvia alla nota esplicativa del MEF.
- riconoscimento agli emittenti di un credito d’imposta, pari al 50 per cento delle erogazioni liberali in danaro effettuate a favore degli enti del Terzo settore (comma 10).
Tale credito d'imposta non è cumulabile con le altre
agevolazioni previste con riferimento alle erogazioni liberali, è utilizzabile
in compensazione e non rileva ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP; ad
esso non si applicano i limiti di utilizzo previsti ex lege;
- agli acquisti dei titoli non si applica la disciplina antielusiva che comporta la sterilizzazione dalla base di computo dell'aiuto alla crescita economica - ACE (comma 11).;
- i titoli non concorrono alla formazione dell'attivo ereditario ai fini delle imposte di successione (comma 12);
- essi non rilevano neppure ai fini della determinazione dell’imposta di bollo sulle comunicazioni relative ai depositi titoli (comma 13).
Infine gli emittenti devono comunicare (comma 14) al Ministero del lavoro e delle politiche sociali entro il 31 marzo di ogni anno il valore delle emissioni di titoli effettuate nell'anno precedente, le erogazioni liberali impegnate a favore degli enti del Terzo settore e gli importi erogati a titolo di liberalità, specificando l'ente beneficiario e le iniziative sostenute e gli importi impiegati per le iniziative oggetto di finanziamento.
Si demanda (comma 15) a un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze il compito di fissare le modalità attuative delle norme in esame.
Con l'articolo 78 si disciplina il regime fiscale del c.d. social lending al fine di favorire la raccolta di capitale di rischio assoggettando, per il tramite di una ritenuta a titolo d'imposta, la remunerazione del capitale al medesimo trattamento fiscale previsto per i titoli di Stato.
Si ricorda che il Provvedimento della Banca d'Italia, emanato 1'8 novembre 2016, recante disposizioni per la raccolta del risparmio dei soggetti diversi dalle banche, definisce - alla sezione IX - il social lending (o lending based crowdfunding) uno strumento attraverso il quale una pluralità di soggetti può richiedere a una pluralità di potenziali finanziatori, tramite piattaforme on-line, fondi rimborsabili per uso personale o per finanziare un progetto.
In particolare si prevede, al comma l, che i soggetti gestori dei portali on-line, che intervengono nel pagamento degli importi percepiti dai soggetti che prestano fondi attraverso tali portali, operano sugli stessi importi una ritenuta alla fonte a titolo di imposta con l'aliquota prevista per i titoli di Stato, ovvero un’imposta sostitutiva del 12,5% per gli interessi cedolari percepiti fuori dall’esercizio di un’attività d’impresa.
Il comma 2 specifica inoltre che, per i soggetti che non svolgono attività d'impresa, gli importi percepiti attraverso i portali costituiscono redditi di capitale.
Il Titolo X (artt. 79-89) disciplina il regime fiscale degli enti del Terzo settore, in attuazione della disposizione di delega di cui all’articolo 9, comma 1, della legge n.106/1989, allo scopo di operare, una semplificazione ed armonizzazione, nel rispetto della normativa dell’Unione europea, del quadro legislativo attuale, caratterizzato da un’estrema frammentazione, con una pluralità di disposizioni che si sono stratificate nel tempo.
Esso si compone di 4 Capi.
Il Capo I (artt. 79-83) reca le disposizioni generali. Sostanzialmente il capo in esame:
- dispone l’applicazione agli enti del Terzo settore, diversi dalle imprese sociali, del regime fiscale previsto dal Titolo X del Codice in esame, che reca specifiche misure di sostegno. Agli stessi enti si applicano inoltre le norme del TUIR relative all’IRES, in quanto compatibili;
- introduce un regime fiscale opzionale per la determinazione del reddito d'impresa degli enti non commerciali del Terzo settore, vale a dire quegli enti che svolgono in via esclusiva o prevalente attività di interesse generale (come specificate all’articolo 5 dello schema in esame, cui si rinvia), basato sui coefficienti di redditività;
- prevede un credito d'imposta per coloro che effettuano erogazioni liberali in denaro a favore degli enti del Terzo settore non commerciali;
- reca disposizioni relative al trattamento fiscale degli enti del Terzo settore, con l'applicazione di ulteriori benefici non previsti dalle previgenti norme tributarie;
- introduce una disciplina unitaria per le deduzioni e detrazioni previste per chi effettua erogazioni liberali a favore di enti del Terzo settore non commerciali e di cooperative sociali.
Il Capo II (artt. 84-86) detta disposizioni sulle organizzazioni di volontariato e sulle associazioni di promozione sociale.
Sostanzialmente il capo in esame:
- elenca una serie di attività che, ai fini delle imposte sui redditi, sono considerate non commerciali se svolte dalle organizzazioni di volontariato senza l’impiego di mezzi organizzati professionalmente per fini di concorrenzialità sul mercato;
- disciplina il regime tributario delle associazioni di promozione sociale, iscritte nell’apposita sezione speciale del Registro unico nazionale del Terzo settore, in sostanziale continuità con le vigenti norme, con alcuni interventi di aggiornamento e razionalizzazione.
- prevede per le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale la possibilità di applicare un regime forfettario, con contabilità semplificata, per le attività commerciali esercitate, a condizione di non superare il limite di ricavi di 130.000 euro nel periodo d’imposta precedente.
Il Capo III (art. 87) introduce una disciplina specifica relativa agli obblighi di tenuta e conservazione delle scritture contabili per le attività degli enti del Terzo settore.
Il Capo IV (artt. 88-89) detta le disposizioni transitorie e finali, disciplinando alcune agevolazioni fiscali e molteplici previsioni di coordinamento, ai fini della 'intersezione' della disciplina del codice del Terzo settore con la normativa vigente
L’articolo 79 dispone l’applicazione agli enti del Terzo settore, diversi dalle imprese sociali, del regime fiscale previsto dal Titolo X del Codice in esame, che reca specifiche misure di sostegno. Agli stessi enti si applicano inoltre le norme del TUIR relative all’IRES, in quanto compatibili.
La norma in commento, inoltre, fornisce dettagliati criteri per determinare la natura commerciale o non commerciale degli enti del Terzo settore, tenendo conto delle attività da essi svolte e delle modalità operative concretamente impiegate.
La vigente disciplina fiscale prevede, accanto a norme di carattere generale e residuale sugli enti non commerciali (articoli 143 e ss. del TUIR), una pluralità di disposizioni relative a particolari tipologie di enti, come ad esempio le organizzazioni di volontariato (L. n. 266 del 1991), le associazioni e società sportive dilettantistiche (L. 16 dicembre 1991, n. 398 e L. 27 dicembre 2002, n. 289), le associazioni di promozione sociale (L. 7 dicembre 2000, n. 383) o le ONLUS (D.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460).
Pertanto sussistono allo stato, molteplici tipologie di enti, assoggettati a regimi pubblicitari variegati, che possono accedere a forme di tassazione forfetaria del reddito. Un altro aspetto di differenziazione è legato ai diversi trattamenti disposti in relazione alle erogazioni liberali.
Nell'intento di riordinare questo settore, la legge delega per la riforma del Terzo settore (legge n. 106 del 2016) ha fornito all'articolo 9 una serie di criteri direttivi per riformare la disciplina tributaria in esame, prevedendone il riordino e l'armonizzazione della relativa disciplina e delle diverse forme di fiscalità di vantaggio. In particolare tra i criteri direttivi si segnalano quelli che prevedono: la revisione complessiva della definizione di ente non commerciale (articolo 9, comma l, lett. a)); la razionalizzazione e semplificazione del regime di deducibilità dal reddito complessivo e detraibilità delle erogazioni liberali (articolo 9, comma l, lett. b)); la razionalizzazione dei regimi fiscali e contabili semplificati previsti per gli enti del Terzo settore (articolo 9, comma l, lett. e)); l’introduzione di agevolazioni per favorire il trasferimento di beni patrimoniali a detti enti (articolo 9, comma l, lett. l)); la revisione dell'attuale disciplina delle ONLUS, con particolare riguardo alla definizione delle attività istituzionali e di quelle connesse, fatte salve le condizioni di maggior favore previste per le attuali ONLUS "di diritto" (articolo 9, comma l, lett. m)). A questo si aggiunge la necessità di un quadro più armonizzato delle discipline vigenti in quei settori ove il perseguimento delle finalità di interesse generale viene attuato grazie all'ausilio del volontariato.
Il regime fiscale degli enti del Terzo settore, disciplinato dal Titolo X del testo in esame, è basato sulla distinzione tra attività commerciali e non commerciali svolte e, dunque, sulla natura dell’ente. Tale distinzione consente di disciplinare in termini differenti la fiscalità degli enti che svolgono l'attività istituzionale di cui all'articolo 5 con modalità commerciali rispetto a quelli che non esercitano (od esercitano solo marginalmente) l'attività di impresa, al fine di rendere l'intervento di riforma compatibile con il diritto dell'Unione europea e di superare le problematiche che, nel sistema attuale, derivano dalla sovrapposizione e difficile coesistenza tra un modello generale di imposta sul reddito delle società (IRES, disciplinato dal Titolo II del TUIR) ed altri derogatori (come, ad esempio, quello previsto per le ONLUS dal D.lgs. n. 460/1997).
Il nuovo regime fiscale degli enti del Terzo settore intende, dunque, per un verso, semplificare, attraverso la sostituzione di diversi micro-regimi oggi esistenti e, per l'altro, armonizzare, in modo da creare sistematicità nell'ordinamento e maggiore certezza applicativa, anche salvaguardando le varie possibilità di scelta degli enti al momento della iscrizione nel Registro del Terzo settore.
In particolare, l’articolo 79 è volto a individuare le attività svolte dagli enti del Terzo settore che si caratterizzano per essere non commerciali, in rapporto alle modalità con le quali sono gestite da parte dell’ente. Tali enti hanno natura non commerciale se svolgono in via esclusiva o prevalente le attività di interesse generale indicate dall’articolo 5 in conformità ai criteri gestionali individuati.
Il nuovo regime prevede alcune misure di sostegno: la non applicazione delle imposte sulle successioni e donazioni per i trasferimenti a favore dell'ente, l'applicazione in misura solo fissa delle imposte di registro, ipotecaria e catastale e 1'esenzione da bollo e altri tributi minori (articolo 82); le deduzioni e le detrazioni per coloro che effettuano liberalità a favore di tali enti (articolo 83) nonché il "social bonus", che assegna crediti d'imposta pari al 65 per cento, per i soggetti IRPEF, e al 50 per cento per i soggetti IRES, in caso di erogazioni liberali a favore degli enti del Terzo settore non commerciali assegnatari di immobili pubblici o beni mobili o immobili confiscati alla mafia (articolo 81). Inoltre, con riferimento alle organizzazioni di volontariato (ODV) ed alle associazioni di promozione sociale (APS), una serie di attività nei confronti dei terzi e degli stessi soci non assumono rilevanza sotto il profilo fiscale (articoli 84 e 85).
Il comma 1 stabilisce che agli enti del Terzo settore, diversi dalle imprese sociali, si applicano le norme del titolo X in esame, nonché le disposizioni del titolo II del TUIR in materia di IRES, relative sia agli enti commerciali che a quelli non commerciali, in quanto compatibili con le prime.
Il comma 2 dispone, in via generale, che le attività di interesse generale di cui all'articolo 5 svolte dagli enti del Terzo settore si considerano di natura non commerciale quando sono svolte a titolo gratuito ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e, comunque, non superiori alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale. Per determinare il costo effettivo si tiene conto anche del valore normale delle attività di volontariato e delle erogazioni gratuite di beni e servizi.
Il comma 3, lett. a), specifica che sono considerate attività non commerciali le prestazioni relative ai seguenti servizi: servizi sociali; prestazioni sanitarie; prestazioni socio-sanitarie; salvaguardia e miglioramento delle condizioni dell'ambiente; inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro dei soggetti svantaggiati o disabili; accoglienza umanitaria ed integrazione sociale di stranieri; beneficenza; protezione civile (articolo 5, comma 1, lettere a), b), c), e), p), r); u) e y)) se:
-
accreditate, contrattualizzate o convenzionate
con amministrazioni pubbliche, Unione europea ed altri organismi pubblici di
diritto internazionale;
l’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001,
dispone che per amministrazioni
pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli
istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende
ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le
Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le
istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di
commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli
enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni,
le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la
rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), le Agenzie
fiscali e il CONI;
-
svolte a titolo gratuito o a fronte di corrispettivi
non eccedenti la metà del valore totale della prestazione a favore
dell'utenza, alle condizioni previste dal diritto dell'Unione europea e
nazionale, salvo eventuali importi di
partecipazione alla spesa previsti dall'ordinamento;
la relazione governativa afferma che sono inclusi i corrispettivi a fronte di
prestazioni di servizi per i quali le P.A. competenti abbiano fornito parametri
di riferimento.
Il comma 3, lett. b), prevede che si considerano attività non commerciali le prestazioni relative ai seguenti servizi: prestazioni sanitarie; prestazioni socio-sanitarie; educazione, istruzione e formazione professionale; formazione universitaria e post-universitaria; formazione extrascolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica e al successo scolastico e formativo (articolo 5, comma l, lettere b), c), d), g) e l) se:
- accreditate, contrattualizzate o convenzionate con le amministrazioni pubbliche, l'Unione europea ed altri organismi pubblici di diritto internazionale,
- complementari o integrative rispetto al servizio pubblico;
- svolte a titolo gratuito o a fronte di un corrispettivo che copre una frazione del costo effettivo del servizio, fatti salvi gli eventuali limiti previsti dalla normativa applicabile.
Si evidenzia che le
prestazioni di cui alle lettere b) e c) (prestazioni sanitarie e prestazioni
socio-sanitarie) sono elencate sia al comma 3 lett.
a) sia al comma 3, lett. b).
Il comma 3, lett. c), dispone che si considerano attività non commerciali le prestazioni relative ai seguenti servizi: tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio; attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale; attività turistiche di interesse sociale, culturale o religioso; attività sportive dilettantistiche; promozione e tutela dei diritti umani e civili (articolo 5, comma l, lettere f), i), k), t) e w )) se:
- sono riconosciuti apporti economici da parte delle amministrazioni pubbliche;
- nel caso in cui le prestazioni di servizi a favore dell'utenza sono svolte gratuitamente ovvero dietro corrispettivi tali da coprire una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto degli apporti economici delle amministrazioni sopra indicate.
Il comma 3, lett. d), dispone che si considerano attività non commerciali le prestazioni relative alla cooperazione allo sviluppo (articolo 5, comma l, lettera n) se:
- l’ente sia statutariamente finalizzato alla cooperazione allo sviluppo e alla solidarietà internazionale;
- le prestazioni di servizi o cessioni di beni all'utenza siano in forma gratuita ovvero a fronte di corrispettivi tali da coprire una frazione del costo effettivo del servizio, tenendo anche conto degli apporti economici da parte di soggetti terzi;
- l'ente risulti iscritto in apposito elenco previsto dall'articolo 26, comma 3, della legge n. 125 del 2014.
Il comma 3, lett. e), prevede che le prestazioni relative alla ricerca scientifica di particolare interesse sociale (articolo 5, comma l, lettera h)), qualora siano svolte direttamente dagli enti del Terzo settore con finalità principale lo svolgimento di attività di ricerca scientifica di particolare interesse sociale, si considerano attività non commerciali se:
- tutti gli utili siano interamente reinvestiti nelle attività di ricerca e nella diffusione gratuita dei loro risultati;
- non sia previsto alcun accesso preferenziale da parte di altri soggetti privati alle capacità di ricerca dell'ente medesimo nonché ai risultati prodotti, al fine di garantire una non esclusività nel raggiungimento dei risultati della ricerca.
Il comma 3, lett. f), prevede che le prestazioni relative alla ricerca scientifica di particolare interesse sociale (articolo 5, comma l, lettera h)), si considerano attività non commerciali qualora siano affidate dagli enti del Terzo settore a Università o altri organismi di ricerca che le svolgono direttamente in ambiti e secondo modalità definite con il D.P.R. n. 135 del 2003 (regolamento che definisce gli àmbiti e le modalità di svolgimento dell'attività di ricerca scientifica, di particolare interesse sociale, da parte di fondazioni senza fini di lucro).
Il comma 4 stabilisce che in ogni caso non concorrono alla formazione del reddito degli enti del Terzo settore non commerciali:
- i fondi pervenuti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione;
- i contributi e gli apporti erogati da parte da parte delle amministrazioni pubbliche, per lo svolgimento delle attività non commerciali indicate dai precedenti commi 2 e 3.
La disposizione riproduce sostanzialmente la norma attualmente contenuta nell’articolo 143, comma 3, del TUIR.
Il comma 5 stabilisce che gli enti del Terzo settore si considerano enti non commerciali se svolgono in via esclusiva o prevalente le attività di interesse generale di cui all'articolo 5 del decreto con le modalità precisate nei precedenti commi 2 e 3. L'ente si configura invece come commerciale qualora, indipendentemente dalle previsioni del proprio statuto, i proventi delle attività istituzionali di cui all'articolo 5, svolte secondo modalità commerciali, risultino superiori nel medesimo periodo di imposta rispetto alle entrate derivanti da attività non commerciali. A tal fine si intendono attività non commerciale i contributi, le sovvenzioni, le liberalità, le quote associative dell'ente e ogni altra entrata assimilabile alle precedenti (ivi compresi i proventi e le entrate considerate non commerciali ai sensi dei precedenti commi 2, 3 e 4), tenuto conto altresì del valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività non commerciali (ivi incluse quelle svolte a titolo gratuito). Il mutamento della qualifica opera a partire dal periodo d'imposta in cui le l’ente assume natura commerciale, ovvero quando le attività commerciali assumono valore prevalente rispetto a quelle di carattere non commerciale secondo i predetti criteri.
Il comma 6 fa riferimento agli enti di natura associativa: la loro attività si considera non commerciale quando è svolta nei confronti dei propri associati in conformità alle finalità istituzionali degli enti. Non concorrono alla formazione del reddito delle associazioni del Terzo settore le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi. Si considerano, invece, di natura commerciale le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti degli associati verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto. In tal caso, i corrispettivi concorrono alla formazione del reddito complessivo come componenti del reddito di impresa o come redditi diversi, a seconda che le relative operazioni abbiano carattere di abitualità o di occasionalità.
La disposizione riproduce l'attuale articolo 148, commi l e 2 del TUIR che viene disapplicato per gli enti in questione dal successivo articolo 89. Tale previsione trova poi, nel successivo articolo 85, una specifica disciplina agevolativa con riferimento a determinate attività svolte dalle associazioni di promozione sociale nei confronti degli associati o altri enti del Te
L'articolo 80 introduce un regime fiscale opzionale per la determinazione del reddito d'impresa degli enti non commerciali del Terzo settore, vale a dire quegli enti che svolgono in via esclusiva o prevalente attività di interesse generale (come specificate all’articolo 5 dello schema in esame, cui si rinvia), basato sui coefficienti di redditività.
Il coefficiente di redditività è una percentuale variabile che si applica al reddito imponibile su cui viene poi calcolata l’imposta.
Il nuovo regime è costruito sulla falsariga del regime forfetario degli enti non commerciali, disciplinato dall’articolo 145 del Tuir.
In sintesi, ai sensi dell’articolo 145 Tuir, gli enti non commerciali ammessi alla contabilità semplificata possono optare per la determinazione forfetaria del reddito d'impresa, applicando all'ammontare dei ricavi conseguiti nell'esercizio di attività commerciali determinati coefficienti di redditività corrispondenti alla classe di appartenenza ed aggiungendo l'ammontare dei componenti positivi del reddito.
Si segnala al riguardo che ai sensi dell’articolo 89, comma 2, dello schema in commento, tale regime continua ad applicarsi agli enti che non possono ottenere l'iscrizione al Registro unico nazionale del Terzo settore (formazioni e associazioni politiche, sindacati, associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, associazioni di datori di lavoro ed enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati dai suddetti enti) nonché agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e agli enti delle confessioni religiose che hanno stipulato patti, accordi o intese con lo Stato che non sono iscritti al citato Registro ovvero, qualora iscritti, alle attività diverse da quelle previste dall'articolo 5 che vengano da questi ultimi esercitate.
Più in dettaglio, il comma l elenca i coefficienti di redditività riferiti alle attività di prestazioni di servizi e ad altre attività, distinguendoli a seconda dell'entità dei ricavi conseguiti. A detti ricavi devono essere sommate le eventuali plusvalenze patrimoniali (articolo 86 del Tuir), le sopravvenienze attive (articolo 88), i dividendi e gli interessi (articolo 89) e i ricavi immobiliari (articolo 90).
Il comma 2 chiarisce che in caso di contemporaneo esercizio di prestazioni di servizi e di altre attività il coefficiente si determina con riferimento all'ammontare dei ricavi relativi all'attività prevalente e che, in mancanza della distinta annotazione dei ricavi, si considerano prevalenti le attività di prestazioni di servizi.
Il comma 3 disciplina le modalità di esercizio dell'opzione per il regime forfetario, che può essere esercitata nella dichiarazione annuale dei redditi, con effetti a partire dall'inizio del periodo d'imposta nel corso del quale l'opzione è esercitata e fino a quando la stessa non è revocata, fermo restando un periodo minimo triennale di applicazione.
L 'eventuale revoca dell'opzione è effettuata nella dichiarazione annuale dei redditi ed ha effetto dall'inizio del periodo d'imposta nel corso del quale la dichiarazione stessa è presentata.
Il comma 4 precisa, per gli enti che intraprendono l'esercizio d'impresa commerciale, che l'opzione può essere esercitata nella dichiarazione di inizio attività da presentare ai sensi dell'articolo 35 del DPR n. 633 del 1972 (decreto IVA).
Si ricorda che ai sensi dell’articolo 35 citato i soggetti che intraprendono l'esercizio di un'impresa, arte o professione nel territorio dello Stato, o vi istituiscono una stabile organizzazione, devono farne dichiarazione entro trenta giorni ad uno degli uffici locali dell'Agenzia delle entrate. L'ufficio attribuisce al contribuente un numero di partita IVA che resterà invariato anche nelle ipotesi di variazioni di domicilio fiscale fino al momento della cessazione dell'attività e che deve essere indicato nelle dichiarazioni, nella home-page dell'eventuale sito web e in ogni altro documento ove richiesto.
In particolare, il comma 5 stabilisce che qualora si ritenga di realizzare un volume d'affari che comporti l'applicazione di disposizioni speciali concernenti l'osservanza di adempimenti o di criteri speciali di determinazione dell'imposta, occorre indicarlo nella dichiarazione di inizio attività e osservare la disciplina stabilita in relazione al volume d'affari dichiarato.
L'articolo 81 prevede un credito d'imposta per coloro che effettuano erogazioni liberali in denaro a favore degli enti del Terzo settore non commerciali, che abbiano presentato al Ministero del lavoro e delle politiche sociali un progetto per sostenere il recupero degli immobili pubblici inutilizzati e dei beni confiscati alla criminalità organizzata, assegnati ai suddetti enti.
Il beneficio non è cumulabile con le disposizioni in tema di erogazioni liberali previste dal provvedimento in esame né con altre agevolazioni fiscali previste, a titolo di deduzione o detrazione, da altre norme. Sono chiariti la misura dell'incentivo, le relative modalità di fruizione e gli obblighi pubblicitari a carico dei beneficiari; si affida a un provvedimento di rango secondario (decreto ministeriale) il compito di individuare le modalità di attuazione delle agevolazioni in esame.
In particolare (comma 1) viene riconosciuto un credito d’imposta pari al 65 per cento delle erogazioni liberali in denaro effettuate da persone fisiche, e del 50 per cento se effettuate da soggetti IRES, in favore degli enti del Terzo settore non commerciali (individuati ai fini fiscali da all'articolo 79, comma 5, vedi supra) purché abbiano presentato al Ministero del lavoro e delle politiche sociali un progetto per sostenere il recupero degli immobili pubblici inutilizzati e dei beni mobili e immobili confiscati alla criminalità organizzata, assegnati ai suddetti enti del Terzo settore. Si prevede espressamente che alle suddette spese:
- non si applicano le disposizioni generali in tema di detrazioni e deduzioni per erogazioni liberali al Terzo settore, di cui all'articolo 83 del provvedimento in esame (vedi infra);
- non si applicano le agevolazioni fiscali previste a titolo di deduzione o di detrazione di imposta da altre disposizioni di legge.
Ai sensi del comma 2, detto credito d’imposta è riconosciuto alle persone fisiche e agli enti non commerciali nei limiti del 15 per cento del reddito imponibile ed ai soggetti titolari di reddito d'impresa nei limiti del 5 per mille dei ricavi annui. Esso è ripartito in tre quote annuali di pari importo.
Ferma restando la ripartizione in tre quote annuali di pari importo, il credito d'imposta è utilizzabile in compensazione e non rileva ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP (comma 3). Ad esso non si applicano i limiti di utilizzazione previsti dalle vigenti norme (comma 4).
Il comma 5 impone ai beneficiari delle erogazioni liberali, effettuate per la realizzazione di interventi di manutenzione, protezione e restauro dei beni ad essi assegnati, di comunicare trimestralmente al Ministero del lavoro e delle politiche sociali l'ammontare delle erogazioni liberali ricevute nel trimestre di riferimento. Essi devono comunicare pubblicamente tale ammontare, nonché la destinazione e l'utilizzo delle erogazioni stesse, tramite il proprio sito web istituzionale, nell'ambito di una pagina dedicata e facilmente individuabile, e in un apposito portale, gestito dal medesimo Ministero, in cui ai soggetti destinatari delle erogazioni liberali sono associate tutte le informazioni riguardanti lo stato di conservazione del bene, gli interventi di ristrutturazione o riqualificazione eventualmente in atto, i fondi pubblici assegnati per l'anno in corso, l'ente responsabile del bene, nonché le informazioni relative alla fruizione, in via prevalente, per l'esercizio delle attività istituzionali dell’ente.
Il comma 6 fa salve le norme del Codice n materia di protezione dei dati personali (decreto legislativo 30 giugno 200,3 n. 196).
Il comma 7 affida ad un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali il compito di individuare le modalità di attuazione delle agevolazioni descritte, comprese le procedure per l'approvazione dei progetti di recupero finanziabili.
L’articolo 82 reca disposizioni relative al trattamento fiscale degli enti del Terzo settore, con l'applicazione di ulteriori benefici non previsti dalle previgenti norme tributarie.
Tali agevolazioni si applicano agli enti del Terzo settore, comprese le cooperative sociali. Sono escluse le imprese sociali costituite in forma di società, salve le agevolazioni in materia di imposte di registro, ipotecaria e catastale.
Tra l’altro, le disposizioni in esame prevedono specifiche forme di esenzione dai tributi immobiliari per gli immobili utilizzati dagli enti del Terzo settore per attività istituzionali, nonché agevolazioni in materia di imposizione indiretta su atti e trasferimenti immobiliari.
In dettaglio, ai sensi del comma 1, le agevolazioni previste dalla norma in esame si applicano agli enti del Terzo settore, comprese le cooperative sociali. Sono escluse le imprese sociali costituite in forma di società, salve le agevolazioni in materia di imposte di registro, ipotecaria e catastale che – invece – ai sensi del comma 4 operano anche nei confronti di tale ultima categoria (imprese sociali aventi forma societaria).
Il comma 2 esenta dall'imposta sulle successioni e donazioni e dalle imposte ipotecaria e catastale i trasferimenti a titolo gratuito effettuati a favore dei suddetti enti, purché i relativi beni vengano utilizzati in attuazione degli scopi istituzionali dell’ente nei cinque anni successivi al loro trasferimento. Si richiede anche che l'ente renda, contestualmente alla stipula dell'atto, apposita dichiarazione in tal senso. In caso di dichiarazione mendace o di mancata effettiva utilizzazione del bene per lo svolgimento dell'attività di interesse generale, è dovuta l'imposta nella misura ordinaria nonché la sanzione amministrativa pari al 30 per cento dell'imposta dovuta, oltre agli interessi di mora decorrenti dalla data in cui l'imposta avrebbe dovuto essere versata.
Il comma 3 prevede l’applicazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa (pari a 200 euro) agli atti costitutivi e alle modifiche statutarie, comprese le operazioni di fusione, scissione o trasformazione poste in essere da enti del Terzo settore.
Il comma 4 dispone che le imposte di registro, ipotecaria e catastale si applichino in misura fissa (200 euro) per gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili e per gli atti traslativi o costituitivi di diritti reali immobiliari di godimento a favore dagli enti del Terzo settore, incluse le imprese sociali, a condizione che i beni siano utilizzati, entro cinque anni dal trasferimento, in diretta attuazione degli scopi istituzionali o dell’oggetto sociale, con dichiarazione dell’ente contestuale alla stipula dell’atto. Anche per tali cessioni si prevede una sanzione in caso di dichiarazione mendace o di mancata effettiva utilizzazione del bene per scopi istituzionali: si applica l'imposta nella misura ordinaria, nonché una sanzione amministrativa pari al 30 per cento dell'imposta dovuta, oltre agli interessi di mora, decorrenti dalla data in cui l'imposta avrebbe dovuto essere versata.
Come segnala il Governo nella relazione illustrativa, la norma intende favorire il trasferimento di beni patrimoniali agli enti del Terzo settore.
Il comma 5 esenta da imposta di bollo gli atti, i documenti, le istanze, i contratti, nonché le copie anche se dichiarate conformi, gli estratti, le certificazioni, le dichiarazioni e le attestazioni posti in essere o richiesti dagli enti del Terzo settore.
Il comma 6
stabilisce un'esenzione dall'IMU e dalla
TASl per gli immobili posseduti e utilizzati,
purché si tratti di immobili destinati
esclusivamente allo svolgimento, con modalità non commerciali, di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie,
di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché di religione o di
culto.
Essi sono esenti nel rispetto delle condizioni e dei limiti posti dalle vigenti norme in materia di esenzione dai tributi immobiliari di enti non commerciali, contenute nell’articolo 7, comma l, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (esenzioni ICI), nell’articolo 91-bis del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. l (disciplina IMU e TASI enti non commerciali), e nell'articolo l, comma 3, del decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16 (esenzioni TASI).
Stante il rimando della disciplina generale TASI e IMU alle esenzioni in precedenza vigenti per l'ICI (in particolare all'articolo 7, comma 1, lettera i) del decreto legislativo n. 504 del 1992), sono esenti da dette imposte gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali e destinati esclusivamente allo svolgimento di determinate attività: attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché di attività di religione o di culto, ovvero dirette all'esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all'educazione cristiana.
L'articolo 91-bis del D.L. 1/2012 ha specificato che tale esenzione opera solo ove le predette attività - pur dando luogo, in astratto, a esenzione - siano svolte con modalità non commerciali. Quando è possibile individuare gli immobili o le porzioni di immobili adibiti esclusivamente a attività di natura non commerciale, l'esenzione si applica solo alla frazione di unità in cui tale attività si svolge (articolo 91-bis, comma 2). Quando, invece, tale individuazione non risulta possibile, l'esenzione si applica in proporzione all'utilizzazione non commerciale dell'immobile quale risulta da apposita dichiarazione (art. 91-bis, comma 3).
Il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 19 novembre 2012, n. 200 contiene le definizioni, tra l'altro, di ente non commerciale, delle attività scolte (previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive, istituzionali, ecc.), delle modalità non commerciali (modalità di svolgimento delle attività istituzionali prive di scopo di lucro che, conformemente al diritto dell'Unione Europea, per loro natura non si pongono in concorrenza con altri operatori del mercato che tale scopo perseguono e costituiscono espressione dei principi di solidarietà e sussidiarietà) e dell'utilizzazione mista. Sono quindi definiti i requisiti generali per lo svolgimento con modalità non commerciali delle attività istituzionali (articolo 3) nonché ulteriori requisiti per quanto riguarda lo svolgimento di attività assistenziali e attività sanitarie, di attività didattiche, di attività culturali e attività ricreative, nonché di attività sportive. Successivamente la risoluzione n. 1/2012 del Dipartimento delle Finanze del MEF ha chiarito alcuni aspetti problematici relativi al medesimo provvedimento, in particolare concernenti l'applicabilità agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e la decorrenza delle norme che definiscono lo svolgimento con modalità non commerciali delle attività istituzionali.
Nel dicembre 2012 la Commissione UE ha riscontrato che l'IMU è conforme alle norme dell'UE in materia di aiuti di Stato, in quanto limita chiaramente l'esenzione agli immobili in cui gli enti non commerciali svolgono attività non economiche. Inoltre, la nuova normativa prevede una serie di requisiti che gli enti non commerciali devono soddisfare per escludere che le attività svolte siano di natura economica. A parere della Commissione, tali salvaguardie garantiscono che le esenzioni dal versamento dell'IMU concesse agli enti non commerciali non comportino aiuti di Stato.
La risoluzione n. 1/2013 del Dipartimento delle Finanze reca precisazioni sui termini per le dichiarazioni IMU relative a tale agevolazione.
La legge di stabilità 2014 reca alcune disposizioni sulla dichiarazione IMU degli enti non commerciali, che deve essere esclusivamente telematica. Tale modalità telematica può essere utilizzata anche dagli altri soggetti passivi dell'imposta municipale propria.
Il comma 7 consente agli enti territoriali, per i tributi diversi da IMU e TASI (per cui si applica il predetto comma 6) di deliberare, nei confronti degli enti del Terzo settore che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale, la riduzione o l'esenzione dal pagamento dei tributi di loro pertinenza e dai connessi adempimenti.
Ai sensi del comma 8 si conferisce alle Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano il potere di disporre nei confronti degli enti del Terzo settore la riduzione o l'esenzione dell’IRAP, nel rispetto della normativa dell'Unione europea e degli orientamenti della Corte di Giustizia dell'Unione europea.
Il comma 9 esenta dall'imposta sugli intrattenimenti le attività ricreative svolte dagli enti del Terzo settore in via occasionale o in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione da parte degli enti in questione. Si prevede, comunque, l'obbligo di comunicare preventivamente lo svolgimento delle suddette attività spettacolistiche, all'Ente impositore (SIAE).
Il comma 10 esclude l'applicazione della tassa sulle concessioni governative per gli atti ed provvedimenti relativi agli enti del Terzo settore.
L'articolo 83 introduce una disciplina unitaria per le deduzioni e detrazioni previste per chi effettua erogazioni liberali a favore di enti del Terzo settore non commerciali e di cooperative sociali.
Spetta una detrazione IRPEF pari al 30 per cento degli oneri sostenuti per le erogazioni liberali in danaro o in natura, per un importo complessivo non superiore a 30.000 euro in ciascun periodo di imposta. Essa è incrementata al 35 per cento per le erogazioni a favore delle organizzazioni di volontariato. Analogamente, si prevede una deduzione nei limiti del 10 per cento del reddito complessivo dichiarato da enti e società.
Sono previste agevolazioni fiscali anche per le cessioni di derrate alimentari, prodotti farmaceutici
ed altri prodotti a favore degli enti pubblici e degli enti del Terzo
settore aventi natura non commerciale, nonché per le cessioni dei cd. beni difettati.
In particolare, il comma l istituisce una detrazione IRPEF pari al 30 per cento degli oneri sostenuti dal contribuente per le erogazioni liberali in danaro o in natura, a favore degli enti del Terzo settore non commerciali (individuati a fini fiscali dall’articolo 79, comma 5, per cui si veda supra), per un importo complessivo dell'erogazione non superiore a 30.000 euro in ciascun periodo di imposta.
Attualmente l’articolo 15, comma 1.1 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi – Tuir (DPR n. 917 del 1986) consente di detrarre il 26 per cento delle erogazioni liberali in denaro, per importo non superiore a 30.000 euro annui, a favore delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), delle iniziative umanitarie, religiose o laiche, gestite da fondazioni, associazioni, comitati ed enti individuati con DPCM, nei Paesi non appartenenti all'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).
Per le erogazioni a favore delle associazioni di promozione sociale è prevista un'aliquota del 19 per cento (comma 1, lettera i-quater del medesimo articolo 15 Tuir).
La detrazione è incrementata al 35 per cento per le erogazioni a favore delle organizzazioni di volontariato iscritte nell'apposita sezione del Registro unico nazionale del Terzo settore.
La detrazione è consentita, per le erogazioni liberali in denaro, ·a condizione che il versamento sia eseguito con metodi tracciabili, ossia tramite banche o uffici postali, ovvero mediante gli altri sistemi di pagamento, quali carte di debito, di credito e prepagate, assegni bancari e circolari (previsti dall'articolo 23 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241).
Il comma 2 prevede una deduzione nei limiti del 10 per cento del reddito complessivo dichiarato da enti e società.
Le norme vigenti (articolo 14, comma 1 del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35) stabiliscono un limite alle erogazioni pari a 70.000 euro.
Il comma 3 regola la cessione gratuita di derrate alimentari, prodotti farmaceutici ed altri prodotti - individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze - destinati a fini di solidarietà sociale senza scopo di lucro ed alla cui produzione o scambio è destinata l'attività dell'impresa, effettuata in alternativa all'eliminazione dal circuito commerciale a favore degli enti pubblici e degli enti del Terzo settore aventi natura non commerciale.
In particolare, detti beni non si considerano destinati a finalità estranee all'esercizio dell’impresa, ai sensi dell'articolo 85, comma 2 TUIR, che sono dunque esclusi dal novero dei ricavi imponibili con le regole ordinarie in capo al cedente.
La qualifica di tali beni è condizionata alla predisposizione, per ogni singola cessione, di un documento di trasporto progressivamente numerato ovvero di un documento equipollente, contenente l'indicazione della data, degli estremi identificativi del cedente, del cessionario e dell'eventuale incaricato del trasporto, nonché della qualità, della quantità o del peso dei beni ceduti.
Il comma 4 disciplina la cessione gratuita dei beni non di lusso e difettati, alla cui produzione o scambio è diretta l'attività dell'impresa, eseguita in alternativa alla loro necessaria distruzione o eliminazione dal mercato a favore dei beneficiari sopra indicati.
Si tratta in particolare di beni che presentino imperfezioni, alterazioni, danni o vizi che, pur non modificandone l'idoneità di utilizzo non ne consentono la commercializzazione o la vendita, rendendone necessaria l'esclusione dal mercato o la distruzione.
In questo caso viene previsto un limite quantitativo di valore, oltre il quale i beni ceduti si considerano destinati a finalità estranee all'esercizio dell'impresa, con conseguente tassazione in via ordinaria in capo al cedente: per usufruire dell’agevolazione, il costo di acquisto o di produzione non deve superare il 5 per cento del reddito d'impresa dichiarato.
Il comma 5 prevede gli adempimenti procedurali e sostanziali richiesti ai cessionari dei beni per poter beneficiare delle suddette agevolazioni.
Il soggetto beneficiario deve infatti predisporre un'apposita dichiarazione trimestrale di utilizzo dei beni ceduti, da conservare agli atti dell'impresa cedente, con l'indicazione degli estremi dei documenti di trasporto o di documenti equipollenti corrispondenti ad ogni cessione, e in cui attesti il proprio impegno a utilizzare direttamente i beni ricevuti in conformità alle finalità istituzionali, a pena di decadenza dai predetti benefici fiscali legati alle cessioni. Il cedente deve inoltre realizzare l'effettivo utilizzo diretto a fini di solidarietà sociale senza scopo di lucro.
I beni di cui ai suddetti due commi si considerano distrutti ai fini dell'IVA e, pertanto, non viene meno il diritto alla detrazione a monte che spetta all'impresa erogante.
Il comma 6 richiede, con riferimento a tutte le erogazioni contemplate dall’articolo 83 in esame, che l'ente beneficiario dichiari, al momento dell'iscrizione nel Registro unico nazionale del Terzo settore, di qualificarsi come ente non commerciale (con esclusione da questo obbligo delle cooperative sociali).
La perdita dei requisiti relativi a detta qualifica deve essere comunicata dal rappresentante legale dell'ente presso il suddetto Registro entro trenta giorni dalla chiusura del periodo di imposta in cui detta circostanza si è verificata, a pena di un'apposita sanzione amministrativa pecuniaria nei confronti di detto soggetto (da 100 a 5.000 euro).
Il comma 7 contiene una disposizione di chiusura, stabilendo il divieto di cumulo tra le erogazioni liberali in esame e le agevolazioni fiscali previste a titolo di deduzione e di detrazione di imposta da altre disposizioni di legge. Infine, il comma 8 dispone l'applicazione delle norme in esame a favore delle cooperative sociali.
L’articolo 84 elenca una serie di attività che, ai fini delle imposte sui redditi, sono considerate non commerciali se svolte dalle organizzazioni di volontariato senza l’impiego di mezzi organizzati professionalmente per fini di concorrenzialità sul mercato. La norma, inoltre, esenta dall’IRES i redditi degli immobili destinati esclusivamente allo svolgimento di attività non commerciale da parte delle organizzazioni di volontariato.
Il comma 1, in aggiunta ai criteri stabiliti dall’articolo 79, commi 2, 3 e 4 (con i quali, come si è visto, sono indicate determinate attività che si considerano, alle condizioni previste, non commerciali qualora svolte da enti del Terzo settore), elenca ulteriori attività che si considerano non commerciali qualora effettuate dalle organizzazioni del volontariato e svolte senza l’impiego di mezzi organizzati professionalmente per fini di concorrenzialità sul mercato. Si tratta di attività che solitamente costituiscono lo strumento per reperire risorse finanziarie necessarie al sostentamento dell’ente, ovvero:
a) attività di vendita di beni acquisiti da terzi a titolo gratuito a fini di sovvenzione, a condizione che la vendita sia curata direttamente dall'organizzazione senza alcun intermediario;
b) cessione di beni prodotti dagli assistiti e
dai volontari, sempreché la vendita dei prodotti sia curata direttamente
dall'organizzazione di volontariato senza alcun intermediario;
la relazione governativa afferma che l'impiego di nuove modalità di vendita -
quali portali o aste su internet - non deve necessariamente configurare la presenza
di intermediari ai fini della disposizione;
c) attività di somministrazione di alimenti e bevande in occasione di raduni, manifestazioni, celebrazioni e simili, a carattere occasionale;
d) attività di prestazione di servizi rese in conformità alle finalità istituzionali e verso il pagamento di corrispettivi specifici che non eccedono il 50 per cento dei costi di diretta imputazione.
Il comma 2 esenta dall’IRES i redditi degli immobili destinati in via esclusiva allo svolgimento di attività non commerciale da parte delle organizzazioni di volontariato.
Occorrerebbe chiarire se con tale norma si intende esentare da IRES anche l’immobile di proprietà di un diverso soggetto che lo abbia assegnato ad una organizzazione di volontariato per lo svolgimento della sua attività non commerciale.
L’articolo 85 disciplina il regime tributario delle associazioni di promozione sociale, iscritte nell’apposita sezione speciale del Registro unico nazionale del Terzo settore, in sostanziale continuità con le vigenti norme (articolo 148 del TUIR e legge 7 dicembre 2000, n. 383), con alcuni interventi di aggiornamento e razionalizzazione. La norma specifica quali attività, ai fini delle imposte sui redditi, sono considerate non commerciali se svolte dalle associazioni di promozione sociale e quali si considerano comunque commerciali. La norma, inoltre, esenta dall’IRES i redditi degli immobili destinati esclusivamente allo svolgimento di attività non commerciale da parte delle associazioni di promozione sociale.
Il comma 1, in aggiunta ai criteri stabiliti dall’articolo 79, commi 2, 3 e 4 (con i quali, come si è visto, sono indicate determinate attività che si considerano, alle condizioni previste, non commerciali qualora svolte da enti del Terzo settore), prevede in via generale che non si considerano commerciali le attività svolte dalle associazioni di promozione sociale in diretta attuazione degli scopi istituzionali, con pagamento di corrispettivi, nei confronti:
- degli associati e dei loro familiari conviventi;
- degli associati di altre associazioni che svolgono la stessa attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un'unica organizzazione locale o nazionale;
-
di enti del
Terzo settore composti in misura non inferiore al settanta percento da enti del
Terzo settore ai sensi dell'articolo 5, comma l, lettera m).
La disposizione citata
fa riferimento all’attività avente ad oggetto servizi strumentali ad enti del Terzo settore resi da enti composti
in misura non inferiore al settanta per cento da enti del Terzo settore;
Il comma 2 prevede inoltre che non si considerano commerciali, ai fini delle imposte sui redditi, le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente ag1i associati e ai familiari conviventi degli stessi verso pagamento di corrispettivi specifici in attuazione degli scopi istituzionali.
Il comma 3 considera invece commerciali ai fini dell’imposta sui redditi: le cessioni di beni nuovi prodotti per la vendita; le somministrazioni di pasti; le erogazioni di acqua, gas, energia elettrica e vapore; le prestazioni alberghiere, di alloggio, di trasporto e di deposito; le prestazioni di servizi portuali e aeroportuali. Sono inoltre commerciali le prestazioni effettuate nell'esercizio delle seguenti attività: a) gestione di spacci aziendali e di mense; b) organizzazione di viaggi e soggiorni turistici; c) gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale; d) pubblicità commerciale; e) telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari.
Il comma 4 prevede che per le associazioni di promozione sociale ricomprese tra gli enti a carattere nazionale le cui finalità assistenziali sono riconosciute dal Ministero dell'interno non si considerano commerciali le attività di somministrazione di alimenti e bevande effettuata presso le sedi in cui viene svolta l'attività istituzionale, da bar ed esercizi similari e l'organizzazione di viaggi e soggiorni turistici, sempreché:
- le suddette attività siano strettamente complementari a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali e siano effettuate nei confronti degli associati dei familiari conviventi;
- per il loro svolgimento non ci si avvalga di alcuno strumento pubblicitario o comunque di diffusione di informazioni a soggetti terzi, diversi dagli associati (tale condizione costituisce una novità rispetto alla disciplina vigente).
Le disposizioni dei commi da 1 a 4 riproducono sostanzialmente quanto attualmente previsto dall’articolo 148 del TUIR.
Il comma 5, con una norma di portata non innovativa (si veda l’art. 21 della legge n. 383 del 2000), prevede che le quote e i contributi corrisposti alle associazioni di promozione sociale non concorrono alla formazione della base imponibile, ai fini dell’imposta sugli intrattenimenti.
Il comma 6 prevede che per le associazioni di promozione sociale non sono considerate commerciali le attività di vendita di beni acquisiti da terzi a titolo gratuito a fini di sovvenzione, a condizione che la vendita sia curata direttamente dall'organizzazione senza alcun intermediario e sia svolta senza l'impiego di mezzi organizzati professionalmente per fini di concorrenzialità sul mercato.
Il comma 7, infine, esclude dall'IRES i redditi degli immobili destinati in via esclusiva allo svolgimento di attività non commerciale da parte delle associazioni di promozione sociale.
Anche in tal caso occorrerebbe chiarire se con tale norma si intende esentare da IRES anche l’immobile di proprietà di un diverso soggetto che lo abbia assegnato ad una associazione di promozione sociale per lo svolgimento della sua attività non commerciale.
L’articolo 86 prevede per le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale la possibilità di applicare un regime forfettario, con contabilità semplificata, per le attività commerciali esercitate, a condizione di non superare il limite di ricavi di 130.000 euro nel periodo d’imposta precedente (comma 1).
Si ricorda che la legislazione vigente prevede, oltre al
regime forfetario degli enti non commerciali (art. 145 del TUIR, sulla
falsariga del quale è stato disciplinato il regime forfetario degli enti del
Terzo settore non commerciali dall’articolo 80 sopra descritto), un regime
forfetario per le eventuali attività commerciali svolte dalle associazioni senza
fini di lucro, tra le quali rientrano le associazioni di promozione sociale,
che presentano un volume di proventi dell’attività commerciale inferiore a
250.000 euro annui (legge n. 398 del
1991). Tale regime, inizialmente previsto per le associazioni sportive, è
stato successivamente esteso alle associazioni senza scopo di lucro e alle
associazioni pro-loco dall’articolo 9-bis
del decreto-legge n. 417 del 1991. La relativa disciplina prevede un
calcolo forfetario dell’IVA, dell’IRES e dell’IRAP nonché agevolazioni per gli
adempimenti contabili. In sintesi, per quanto riguarda l’IVA è prevista una
detrazione forfetaria del 50 per cento sulle fatture emesse. Per quanto
riguarda l’IRES è previsto un coefficiente
di redditività del 3 per cento al quale vanno aggiunte le plusvalenze
patrimoniali (si veda anche l’articolo 25 della legge n. 133 del 1999). Le
agevolazioni contabili riguardano l’esonero dall’obbligo di tenuta della
contabilità, con l’obbligo di conservazione e numerazione delle fatture
ricevute e di quelle eventualmente emesse, e la registrazione dei corrispettivi
in apposito prospetto sostitutivo dei registri Iva.
Si segnala che il successivo
articolo 89 stabilisce che agli enti del Terzo settore non si applica la legge
n. 398 del 1991.
Il comma 2 prevede che per avvalersi del regime forfetario le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale devono comunicare di presumere la sussistenza dei requisiti (limite di 130.000 euro di ricavi nell’esercizio precedente) con la dichiarazione di inizio di attività ai fini IVA (prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972).
Il comma 3 dispone che il regime forfetario implica per le organizzazioni di volontariato la determinazione del reddito imponibile con l’applicazione all'ammontare dei ricavi percepiti di un coefficiente di redditività pari all'1 per cento. Le associazioni di promozione sociale che applicano il regime forfetario determinano il reddito imponibile applicando all'ammontare dei ricavi percepiti un coefficiente di redditività pari al 3 per cento.
I successivi commi 4-17 contengono la disciplina del regime forfetario riproducendo, con i necessari adattamenti, quanto previsto dalla legge di stabilità 2015 per il regime forfetario agevolato per i lavoratori autonomi di ridotte dimensioni (ex minimi) (articolo l, commi 54-89 della L. 23 dicembre 2014, n. 190).
In particolare, il comma 4 disciplina il trattamento dei componenti positivi e negativi che hanno avuto origine prima dell’ingresso nel regime forfetario e la cui tassazione o deduzione è stata rinviata agli esercizi di efficacia del regime medesimo.
È il caso, ad esempio, di plusvalenze realizzate per le quali si è scelta la rateazione consentita dall’articolo 86, comma 4, del TUIR o delle spese di pubblicità per le quali la deducibilità è frazionata in più esercizi ai sensi dell’articolo 108, comma 1, dello stesso TUIR.
Al riguardo, è stabilito che i componenti riferiti ad esercizi precedenti quello di efficacia del regime agevolato, per la parte la cui tassazione o deduzione è stata rinviata per effetto di una facoltà o obbligo di legge, concorrono per le quote residue alla formazione del reddito dell’esercizio precedente a quello di efficacia del regime forfetario.
Il comma 5 dispone che le perdite fiscali realizzate nei periodi di imposta precedenti a quello da cui decorre il regime forfetario possono essere computate in diminuzione del reddito prodotto nei periodi di imposta di applicazione del regime forfetario, secondo le regole ordinarie.
Il comma 6 prevede che i contribuenti in regime forfetario sono esonerati dagli obblighi di registrazione e tenuta delle scritture contabili. Devono, però, conservare i documenti ricevuti ed emessi ai sensi dell’articolo 22 del D.P.R. n. 600 del 1973 e presentare la dichiarazione dei redditi nei termini e con le modalità previste dal D.P.R. n. 322 del 1998.
È inoltre stabilito (comma 7) che le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale che applicano il regime forfetario non sono sostituti d’imposta ma sono tenuti a indicare nella dichiarazione dei redditi il codice fiscale dei percettori dei redditi che ordinariamente sarebbero assoggettati a ritenuta alla fonte e l’ammontare dei redditi stessi.
I commi da 8 a 13 individuano la disciplina del regime ai fini IVA.
In particolare, il comma 8 disciplina l’applicazione dell’Iva alle operazioni attive e passive poste in essere a seconda che le stesse siano:
a) operazioni nazionali, per le quali il contribuente che si avvale del regime forfetario non esercita la rivalsa dell’imposta di cui all’articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633;
b) cessioni di beni intracomunitarie, in relazione alle quali trova applicazione la medesima disciplina delle operazioni interne, considerato il richiamo all’articolo 41 comma 2-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331;
c) acquisti di beni intracomunitari: entro la soglia di 10.000 euro annui sono considerati non soggetti ad Iva nel Paese di destinazione e rimangono assoggettati a tassazione nel Paese di provenienza, (articolo 38, comma 5, lettera c), del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331);
d) prestazioni di servizi ricevute da soggetti non residenti o rese ai medesimi, che rimangono soggette alle ordinarie regole (disciplina prevista dagli articoli 7-ter e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972);
e) importazioni, esportazioni ed operazioni ad esse assimilate, soggette alle ordinarie regole, fermo restando l’impossibilità di avvalersi della facoltà di acquistare senza applicazione dell’imposta ai sensi dell’articolo 8, primo comma, lettera c) e secondo comma del decreto Iva.
In ogni caso, per qualunque operazione posta in essere dalle organizzazioni di volontariato e dalle associazioni di promozione sociale che applicano il regime forfetario è escluso il diritto alla detrazione dell’IVA assolta, dovuta o addebitata sugli acquisti ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.
Il comma 9 esonera le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale che applicano il regime forfetario dal versamento dell’IVA e da tutti gli altri adempimenti previsti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972.
Gli adempimenti esclusi sono:
§ registrazione delle fatture emesse (articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972);
§ registrazione dei corrispettivi (articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972);
§ registrazione degli acquisti (articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972);
§ tenuta e conservazione dei registri e documenti (articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972) fatta eccezione per le fatture di acquisto e le bollette doganali di importazione;
§ dichiarazione e comunicazione annuale IVA (articoli 8 e 8-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998).
I medesimi soggetti sono, invece, tenuti a numerare e conservare le fatture di acquisto e le bollette doganali e a certificare i corrispettivi. Per quanto riguarda la certificazione dei corrispettivi resta, pertanto, obbligatoria l’emissione della fattura ovvero, per i soggetti esonerati da tale emissione, il rilascio di scontrino o ricevuta fiscale, secondo le ordinarie regole.
Il comma 10 prevede che, in ogni caso, i soggetti che applicano il regime forfetario, per le operazioni per le quali risultano debitori dell’IVA, emettono la fattura o la integrano con l’indicazione dell’aliquota e della relativa imposta e versano l’imposta entro il giorno 16 del mese successivo a quello di effettuazione delle operazioni.
Pertanto devono assolvere l’IVA per le seguenti tipologie di operazioni:
§ per le prestazioni di servizi ricevute da soggetti non residenti (articolo 7-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972);
§ per gli acquisti intracomunitari che non rientrano nell’articolo 38, comma 5, lettera c), del decreto-legge n. 331 del 1993, vale a dire quelli effettuati dai soggetti che, nell’anno precedente, hanno superato la soglia di 10.000 euro ivi prevista ovvero quelli effettuati successivamente al superamento, nell’anno in corso, della medesima soglia, nonché quelli effettuati sotto soglia dai soggetti che hanno optato per l’applicazione dell’IVA in Italia;
§ per le altre operazioni per le quali risultano debitori dell’imposta.
A tale fine, detti soggetti devono emettere la fattura ovvero, per le operazioni interne all’Unione europea e per le operazioni nazionali cui si applica il regime dell’inversione contabile, integrarla con l’indicazione dell’aliquota e della relativa imposta che deve essere versata entro il giorno 16 del mese successivo a quello di effettuazione delle operazioni.
Sempre ai fini IVA, ai sensi del comma 11, il passaggio dal regime ordinario al regime forfetario determina la necessità di rettificare, ai sensi dell’articolo 19-bis.2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, la detrazione dell’imposta assolta a monte già operata secondo le regole ordinarie. Il versamento dell’eventuale importo a debito va operato in un’unica soluzione nella dichiarazione IVA dell’ultimo anno di applicazione delle regole ordinarie. In caso di passaggio inverso dal regime forfetario al regime ordinario è operata un’analoga rettifica della detrazione nella dichiarazione del primo anno di applicazione delle regole ordinarie.
Il comma 12 dispone che nell’ultima liquidazione relativa all’anno in cui l’imposta è applicata nei modi ordinari, deve tenersi conto anche dell’imposta relativa alle operazioni per le quali l’esigibilità non si è ancora verificata. È il caso delle operazioni con esigibilità differita effettuate nei confronti dello Stato e degli enti pubblici o dell’IVA liquidata secondo il regime di IVA per cassa.
Sostanzialmente l’accesso al regime agevolato comporta, per il cedente o prestatore che se ne avvalga, la rinuncia al differimento dell’esigibilità. Per converso, nella stessa liquidazione può essere esercitato, sempreché spettante, il diritto alla detrazione dell’imposta relativa alle operazioni di acquisto soggette agli stessi regimi di IVA per cassa ed i cui corrispettivi non sono stati ancora pagati.
Il comma 13 stabilisce che l’eccedenza detraibile che emerge dalla dichiarazione, presentata dalle organizzazioni di volontariato e dalle associazioni di promozione sociale che applicano il regime forfetario, relativa all’ultimo anno in cui l’IVA è applicata nei modi ordinari, può essere chiesta a rimborso, ovvero può essere utilizzata in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241.
Il comma 14 consente alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni di promozione sociale che applicano il regime forfetario la possibilità di optare per l’applicazione dell’IVA e delle imposte sul reddito nei modi ordinari. L’opzione, valida per almeno un triennio, è comunicata con la prima dichiarazione annuale da presentare successivamente alla scelta operata. Trascorso il periodo minimo di permanenza nel regime normale, l’opzione resta valida per ciascun anno successivo, fino a quando permane la concreta applicazione della scelta operata.
Il comma 15 stabilisce che il regime agevolato cessa di avere effetto dall’anno successivo se in corso d’anno:
§ viene meno uno dei requisiti per accedere al regime forfetario;
§ si verifica una delle cause di esclusione dal regime.
Il comma 16, al fine di evitare duplicazioni o salti di imposta nei periodi di entrata o di uscita dal regime, prevede che nel caso di passaggio dal regime forfetario a quello ordinario ovvero a quello forfetario disciplinato dall’articolo 80, i ricavi e i compensi che hanno già concorso a formare il reddito nei periodi soggetti al regime forfetario non hanno rilevanza nella determinazione del reddito dei periodi di imposta successivi ancorché di competenza di tali periodi. Allo stesso modo, i componenti di reddito che, ancorché di competenza dei periodi di imposta di vigenza del regime forfetario, non hanno concorso alla formazione del reddito di tali periodi d’imposta (perché non hanno avuto, ad esempio, manifestazione finanziaria), dovranno assumere rilevanza in quelli successivi. Criteri analoghi si applicano in caso di transizione dal regime ordinario, ovvero da quello forfettario di cui all’articolo 80, a quello forfetario in esame.
Il comma 17 prevede che le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale che applicano il regime forfetario sono escluse dall’applicazione degli studi di settore e dei parametri, nonché degli indici sistematici di affidabilità fiscale, di cui all’articolo 7-bis del decreto-legge n. 193 del 2016 (si segnala che il decreto-legge n. 50 del 2017, in corso di conversione, contiene una nuova disciplina degli indici sistematici di affidabilità fiscale destinata a sostituire l’articolo 7-bis citato).
Il comma 18, infine, prevede che le disposizioni dell’articolo in esame si applicano fino al termine di scadenza della misura speciale di deroga rilasciata dal Consiglio dell'Unione europea ai sensi dell'articolo 395 della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto.
L’articolo 395 della direttiva
2006/112/CE affida al Consiglio, con delibera all'unanimità adottata su
proposta della Commissione, la possibilità di autorizzare ogni Stato membro ad
introdurre misure speciali di deroga alla direttiva stessa, allo scopo di semplificare la riscossione
dell'imposta o di evitare talune evasioni o elusioni fiscali. Le misure
aventi lo scopo di semplificare la riscossione dell'imposta non devono
influire, se non in misura trascurabile, sull'importo complessivo delle entrate
fiscali dello Stato membro riscosso allo stadio del consumo finale. Lo Stato
membro che desidera introdurre le misure in deroga invia una domanda alla Commissione fornendole
tutti i dati necessari. Se la Commissione ritiene di non essere in possesso di
tutti i dati necessari, essa contatta lo Stato membro interessato entro due
mesi dal ricevimento della domanda, specificando di quali dati supplementari
necessiti. Non appena la Commissione dispone di tutti i dati che ritiene
necessari per la valutazione, ne informa lo Stato membro richiedente entro un
mese e trasmette la domanda, nella lingua originale, agli altri Stati membri.
Entro i tre mesi successivi all'invio dell'informazione, la Commissione
presenta al Consiglio una proposta appropriata o, qualora la domanda di deroga
susciti obiezioni da parte sua, una comunicazione nella quale espone tali
obiezioni. La procedura deve essere completata, in ogni caso, entro otto mesi
dal ricevimento della domanda da parte della Commissione. In specifici casi di
“imperativa urgenza” la procedura di cui ai paragrafi 2 e 3 è completata entro
sei mesi dal ricevimento della domanda da parte della Commissione.
L'articolo 87 introduce una disciplina specifica relativa agli obblighi di tenuta e conservazione delle scritture contabili per le attività degli enti del Terzo settore.
Sono individuate le regole operanti nei confronti degli enti non commerciali del Terzo settore che non applicano il regime forfetario, tenuti a redigere le scritture contabili analitiche per l'attività complessivamente svolta e, inoltre, le scritture contabili riguardanti le attività svolte con modalità commerciali. Per gli enti del Terzo settore non commerciali è previsto l'obbligo di tenere la contabilità separata per l'attività commerciale esercitata.
Nel caso di raccolte pubbliche di fondi l’ente deve inserire, all'interno del rendiconto o del bilancio redatto, un rendiconto specifico, accompagnato da una relazione illustrativa, che dia conto delle relative entrate e spese.
Infine, si prevede un’integrazione delle scritture contabili nelle ipotesi in cui l'ente del Terzo settore non commerciale debba assumere la qualifica di ente commerciale.
Con il comma l sono chiariti gli obblighi contabili degli enti non commerciali del Terzo settore che non applicano il regime forfetario di cui all’articolo 86 (per opzione, per difetto dei relativi requisiti o perché svolgono unicamente attività istituzionale; si veda la relativa scheda di lettura per ulteriori dettagli).
Detti enti, a pena di decadenza dai benefici fiscali per essi previsti, devono redigere scritture contabili analitiche per l'attività complessivamente svolta (lettera a)) e, inoltre, scritture contabili riguardanti le attività svolte con modalità commerciali (lettera b)).
In particolare detti enti, in relazione all'attività complessivamente svolta, devono redigere scritture contabili cronologiche e sistematiche atte ad esprimere con compiutezza e analiticità le operazioni poste in essere in ogni periodo di gestione; devono rappresentare adeguatamente in apposito documento, da redigere entro quattro mesi dalla chiusura dell'esercizio annuale, la situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'ente, distinguendo le attività (istituzionali e diverse), con obbligo di conservazione delle scritture e della relativa documentazione per un periodo non inferiore quello indicato dall'articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (ovvero fino a quando non siano definiti gli accertamenti relativi al corrispondente periodo di imposta).
Con specifico riferimento attività svolte con modalità commerciali, sono obbligatorie le scritture contabili previste dalle norme sulla contabilità semplificata delle cd. imprese minori, di cui all'articolo 18 del 53 decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, anche se non rientrano nei limiti quantitativi necessari per qualificare un’impresa come “minore”.
Si ricorda in estrema sintesi che detto regime di contabilità semplificata si applica a imprese individuali, società di persone ed enti non commerciali con attività commerciale non prevalente che nell'anno precedente, relativamente a tutte le attività esercitate, abbiano conseguito ricavi non superiori ai limiti di legge (400.000 euro nel caso di attività di prestazione di servizi; 700.000 euro negli altri casi). Esse sono tenute a registrare i soli costi e ricavi, senza le relative contropartite patrimoniali; dette imprese sono esonerate da alcuni obblighi civilistici di tenuta delle scritture contabili (libro giornale, libro inventari, ecc.), dovendo solo tenere le scritture contabili relative ai registri fiscali (registri IVA e registro dei beni ammortizzabili).
Il comma 2 chiarisce che gli obblighi contabili relativi all’attività complessivamente svolta (comma l, lettera a)) si considerano assolti anche qualora la contabilità consti del libro giornale e del libro degli inventari, tenuti in conformità alle disposizioni del Codice civile.
Il successivo comma 3 prevede, per gli enti del Terzo settore non commerciali, l'obbligo di tenere la contabilità separata per l'attività commerciale esercitata.
La relazione illustrativa chiarisce che ai fini della contabilità separata non è stato appositamente previsto che si debba istituire un libro giornale e un piano dei conti separato per ogni attività; il Governo afferma che è sufficiente un piano dei conti, dettagliato nelle singole voci, che permetta di distinguere le diverse movimentazioni relative ad ogni attività.
II comma 4 dispone che gli enti del Terzo settore non commerciali non sono soggetti all'obbligo di certificazione dei corrispettivi mediante ricevuta o scontrino fiscale per le attività non commerciali (sia attività istituzionali che attività diverse), fermi restando gli obblighi previsti, in materia di adempimenti IVA, dal titolo secondo del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.
Detto titolo, accanto agli obblighi di certificazione dei corrispettivi, reca norme relative agli altri adempimenti quali le dichiarazioni, i versamenti, la tenuta dei registri e dei documenti rilevanti a fini IVA.
Sono fatte salve le disposizioni di cui ai commi 6 e 9 dell'articolo 86 che, rispettivamente:
- esonerano le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale che aderiscono al relativo regime forfetario dagli obblighi di registrazione e di tenuta delle scritture contabili;
- esonerano detti enti dal versamento dell’IVA e dai relativi obblighi di legge, ad eccezione degli obblighi di numerazione e di conservazione delle fatture di acquisto e delle bollette doganali, di certificazione dci corrispettivi e di conservazione dei relativi documenti.
Il comma 5 è rivolto agli enti del Terzo settore non commerciali che effettuano raccolte pubbliche di fondi. Si prevede l'obbligo di inserire all'interno del rendiconto o del bilancio redatto un rendiconto specifico, accompagnato da una relazione illustrativa, riguardante le entrate e le spese relative a ciascuna delle celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione effettuate. Esso è conservato fino al momento dell’esaurimento dei termini di accertamento fiscale.
Ai sensi dell’articolo 48, comma 3 del provvedimento in esame, il rendiconto delle raccolte fondi svolte nell'esercizio precedente e il rendiconto relativo ai contributi pubblici percepiti devono essere depositati entro 30 giorni, rispettivamente, dalla loro approvazione o dal termine del periodo di riferimento del rendiconto stesso.
La norma si applica, in quanto compatibile, anche alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni di promozione sociale che si avvalgono del già citato regime forfetario.
Il comma 6 contiene una norma di chiusura, relativa alle ipotesi in cui l'ente del Terzo settore non commerciale debba assumere la qualifica di ente commerciale, in base ai criteri fomiti dall’articolo 79, comma 5.
Ai sensi del richiamato comma 5 dell’articolo 79, gli enti del Terzo settore assumono fiscalmente la qualifica di enti commerciali qualora i proventi delle attività istituzionali, svolte in forma d'impresa non in conformità ai criteri indicati dalla legge per lo svolgimento di attività non commerciali, superano, nel medesimo periodo d'imposta, le entrate derivanti da attività non commerciali (contributi, sovvenzioni, liberalità, quote associative dell'ente e ogni altra entrata assimilabile).
In questo caso, entro tre mesi dal realizzarsi delle suddette condizioni, tutti i beni facenti parte del patrimonio dovranno essere compresi nell'inventario di cui all'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.
L’inventario, ai sensi dell’articolo 2217 del codice civile, deve contenere l'indicazione e la valutazione delle attività e delle passività relative all'impresa, nonché delle attività e delle passività dell'imprenditore estranee alla medesima. Il richiamato articolo 15 del DPR n. 600 del 1973 prescrive che esso indichi inoltre la consistenza dei beni raggruppati in categorie omogenee per natura e valore, nonché il valore attribuito a ciascun gruppo. Ove dall'inventario non si rilevino gli elementi che costituiscono ciascun gruppo e la loro ubicazione, devono essere tenute a disposizione dell'ufficio delle imposte le distinte che sono servite per la compilazione dell'inventario.
L’ente deve anche tenere le scritture contabili previste dalle disposizioni di cui agli articoli 14, 15, 16 e 18 dello stesso decreto.
Oltre all’inventario (già menzionato articolo 15), sono prescritte dunque le seguenti scritture contabili (articolo 14):
a) il libro giornale e il libro degli inventari;
b) i registri IVA;
c) le scritture ausiliarie nelle quali devono essere registrati gli elementi patrimoniali e reddituali;
d) le scritture ausiliarie di magazzino.
Devono inoltre tenere registro dei beni ammortizzabili (articolo 16) e, ove rientrino nei relativi limiti di legge, le scritture contabili previste per gli enti in contabilità semplificata (articolo 18, vedi supra).
Le registrazioni nelle scritture cronologiche delle operazioni comprese dall'inizio del periodo di imposta al momento in cui si verificano i presupposti che determinano il mutamento della qualifica, devono essere eseguite entro tre mesi decorrenti dalla sussistenza dei suddetti presupposti, in deroga alla disciplina ordinaria (articolo 149, comma 3 del TUIR, secondo cui il mutamento di qualifica opera a partire dal periodo d'imposta in cui vengono meno le condizioni che legittimano le agevolazioni; esso comporta l'obbligo di comprendere tutti i beni facenti parte del patrimonio dell'ente nell'inventario entro sessanta giorni dall'inizio del periodo di imposta in cui ha effetto il mutamento di qualifica).
L'articolo 87 introduce una disciplina specifica relativa agli obblighi di tenuta e conservazione delle scritture contabili per le attività degli enti del Terzo settore.
Sono individuate le regole operanti nei confronti degli enti non commerciali del Terzo settore che non applicano il regime forfetario, tenuti a redigere le scritture contabili analitiche per l'attività complessivamente svolta e, inoltre, le scritture contabili riguardanti le attività svolte con modalità commerciali. Per gli enti del Terzo settore non commerciali è previsto l'obbligo di tenere la contabilità separata per l'attività commerciale esercitata.
Nel caso di raccolte pubbliche di fondi l’ente deve inserire, all'interno del rendiconto o del bilancio redatto, un rendiconto specifico, accompagnato da una relazione illustrativa, che dia conto delle relative entrate e spese.
Infine, si prevede un’integrazione delle scritture contabili nelle ipotesi in cui l'ente del Terzo settore non commerciale debba assumere la qualifica di ente commerciale.
Con il comma l sono chiariti gli obblighi contabili degli enti non commerciali del Terzo settore che non applicano il regime forfetario di cui all’articolo 86 (per opzione, per difetto dei relativi requisiti o perché svolgono unicamente attività istituzionale; si veda la relativa scheda di lettura per ulteriori dettagli).
Detti enti, a pena di decadenza dai benefici fiscali per essi previsti, devono redigere scritture contabili analitiche per l'attività complessivamente svolta (lettera a)) e, inoltre, scritture contabili riguardanti le attività svolte con modalità commerciali (lettera b)).
In particolare detti enti, in relazione all'attività complessivamente svolta, devono redigere scritture contabili cronologiche e sistematiche atte ad esprimere con compiutezza e analiticità le operazioni poste in essere in ogni periodo di gestione; devono rappresentare adeguatamente in apposito documento, da redigere entro quattro mesi dalla chiusura dell'esercizio annuale, la situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'ente, distinguendo le attività (istituzionali e diverse), con obbligo di conservazione delle scritture e della relativa documentazione per un periodo non inferiore quello indicato dall'articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (ovvero fino a quando non siano definiti gli accertamenti relativi al corrispondente periodo di imposta).
Con specifico riferimento attività svolte con modalità commerciali, sono obbligatorie le scritture contabili previste dalle norme sulla contabilità semplificata delle cd. imprese minori, di cui all'articolo 18 del 53 decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, anche se non rientrano nei limiti quantitativi necessari per qualificare un’impresa come “minore”.
Si ricorda in estrema sintesi che detto regime di contabilità semplificata si applica a imprese individuali, società di persone ed enti non commerciali con attività commerciale non prevalente che nell'anno precedente, relativamente a tutte le attività esercitate, abbiano conseguito ricavi non superiori ai limiti di legge (400.000 euro nel caso di attività di prestazione di servizi; 700.000 euro negli altri casi). Esse sono tenute a registrare i soli costi e ricavi, senza le relative contropartite patrimoniali; dette imprese sono esonerate da alcuni obblighi civilistici di tenuta delle scritture contabili (libro giornale, libro inventari, ecc.), dovendo solo tenere le scritture contabili relative ai registri fiscali (registri IVA e registro dei beni ammortizzabili).
Il comma 2 chiarisce che gli obblighi contabili relativi all’attività complessivamente svolta (comma l, lettera a)) si considerano assolti anche qualora la contabilità consti del libro giornale e del libro degli inventari, tenuti in conformità alle disposizioni del Codice civile.
Il successivo comma 3 prevede, per gli enti del Terzo settore non commerciali, l'obbligo di tenere la contabilità separata per l'attività commerciale esercitata.
La relazione illustrativa chiarisce che ai fini della contabilità separata non è stato appositamente previsto che si debba istituire un libro giornale e un piano dei conti separato per ogni attività; il Governo afferma che è sufficiente un piano dei conti, dettagliato nelle singole voci, che permetta di distinguere le diverse movimentazioni relative ad ogni attività.
II comma 4 dispone che gli enti del Terzo settore non commerciali non sono soggetti all'obbligo di certificazione dei corrispettivi mediante ricevuta o scontrino fiscale per le attività non commerciali (sia attività istituzionali che attività diverse), fermi restando gli obblighi previsti, in materia di adempimenti IVA, dal titolo secondo del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.
Detto titolo, accanto agli obblighi di certificazione dei corrispettivi, reca norme relative agli altri adempimenti quali le dichiarazioni, i versamenti, la tenuta dei registri e dei documenti rilevanti a fini IVA.
Sono fatte salve le disposizioni di cui ai commi 6 e 9 dell'articolo 86 che, rispettivamente:
- esonerano le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale che aderiscono al relativo regime forfetario dagli obblighi di registrazione e di tenuta delle scritture contabili;
- esonerano detti enti dal versamento dell’IVA e dai relativi obblighi di legge, ad eccezione degli obblighi di numerazione e di conservazione delle fatture di acquisto e delle bollette doganali, di certificazione dci corrispettivi e di conservazione dei relativi documenti.
Il comma 5 è rivolto agli enti del Terzo settore non commerciali che effettuano raccolte pubbliche di fondi. Si prevede l'obbligo di inserire all'interno del rendiconto o del bilancio redatto un rendiconto specifico, accompagnato da una relazione illustrativa, riguardante le entrate e le spese relative a ciascuna delle celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione effettuate. Esso è conservato fino al momento dell’esaurimento dei termini di accertamento fiscale.
Ai sensi dell’articolo 48, comma 3 del provvedimento in esame, il rendiconto delle raccolte fondi svolte nell'esercizio precedente e il rendiconto relativo ai contributi pubblici percepiti devono essere depositati entro 30 giorni, rispettivamente, dalla loro approvazione o dal termine del periodo di riferimento del rendiconto stesso.
La norma si applica, in quanto compatibile, anche alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni di promozione sociale che si avvalgono del già citato regime forfetario.
Il comma 6 contiene una norma di chiusura, relativa alle ipotesi in cui l'ente del Terzo settore non commerciale debba assumere la qualifica di ente commerciale, in base ai criteri fomiti dall’articolo 79, comma 5.
Ai sensi del richiamato comma 5 dell’articolo 79, gli enti del Terzo settore assumono fiscalmente la qualifica di enti commerciali qualora i proventi delle attività istituzionali, svolte in forma d'impresa non in conformità ai criteri indicati dalla legge per lo svolgimento di attività non commerciali, superano, nel medesimo periodo d'imposta, le entrate derivanti da attività non commerciali (contributi, sovvenzioni, liberalità, quote associative dell'ente e ogni altra entrata assimilabile).
In questo caso, entro tre mesi dal realizzarsi delle suddette condizioni, tutti i beni facenti parte del patrimonio dovranno essere compresi nell'inventario di cui all'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.
L’inventario, ai sensi dell’articolo 2217 del codice civile, deve contenere l'indicazione e la valutazione delle attività e delle passività relative all'impresa, nonché delle attività e delle passività dell'imprenditore estranee alla medesima. Il richiamato articolo 15 del DPR n. 600 del 1973 prescrive che esso indichi inoltre la consistenza dei beni raggruppati in categorie omogenee per natura e valore, nonché il valore attribuito a ciascun gruppo. Ove dall'inventario non si rilevino gli elementi che costituiscono ciascun gruppo e la loro ubicazione, devono essere tenute a disposizione dell'ufficio delle imposte le distinte che sono servite per la compilazione dell'inventario.
L’ente deve anche tenere le scritture contabili previste dalle disposizioni di cui agli articoli 14, 15, 16 e 18 dello stesso decreto.
Oltre all’inventario (già menzionato articolo 15), sono prescritte dunque le seguenti scritture contabili (articolo 14):
a) il libro giornale e il libro degli inventari;
b) i registri IVA;
c) le scritture ausiliarie nelle quali devono essere registrati gli elementi patrimoniali e reddituali;
d) le scritture ausiliarie di magazzino.
Devono inoltre tenere registro dei beni ammortizzabili (articolo 16) e, ove rientrino nei relativi limiti di legge, le scritture contabili previste per gli enti in contabilità semplificata (articolo 18, vedi supra).
Le registrazioni nelle scritture cronologiche delle operazioni comprese dall'inizio del periodo di imposta al momento in cui si verificano i presupposti che determinano il mutamento della qualifica, devono essere eseguite entro tre mesi decorrenti dalla sussistenza dei suddetti presupposti, in deroga alla disciplina ordinaria (articolo 149, comma 3 del TUIR, secondo cui il mutamento di qualifica opera a partire dal periodo d'imposta in cui vengono meno le condizioni che legittimano le agevolazioni; esso comporta l'obbligo di comprendere tutti i beni facenti parte del patrimonio dell'ente nell'inventario entro sessanta giorni dall'inizio del periodo di imposta in cui ha effetto il mutamento di qualifica).
L'articolo 88 concerne alcune agevolazioni
fiscali.
Esso richiama l'articolo 82, commi 7 e 8 dello schema (v.
supra),
relativo alla concessione delle riduzioni o esenzioni dal pagamento di tributi
che i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni possono
deliberare nei confronti degli enti del Terzo settore non aventi per oggetto
esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale, nonché alle
riduzioni o esenzioni dall'imposta regionale sulle attività produttive che le
Regioni e le Provincie autonome di Trento e Bolzano possono disporre nei
confronti degli enti del Terzo settore, escluse le imprese sociali costituite
in forma di società di cui al Libro V (Del
lavoro), Titolo V (Delle società)
del codice civile.
Così come fa
richiamo all'articolo 85, commi 2 e 4 dello
schema, relativo alla qualificazione di operazioni non commerciali, ai fini
delle imposte sui redditi, delle cessioni anche a terzi di proprie
pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati verso pagamento di
corrispettivi specifici in attuazione degli scopi istituzionali, e della
somministrazione di alimenti o bevande effettuata presso le sedi in cui viene
svolta l’attività istituzionale da bar e esercizi similari, nonché
l’organizzazione di viaggi e soggiorni turistici, da parte delle associazioni
di promozione sociale iscritte nell’apposito registro, le cui finalità
assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell’interno, a condizione che
la somministrazione di alimenti e bevande e l'organizzazione di viaggi e
soggiorni turistici sia strettamente complementare a quelle svolte in diretta
attuazione degli scopi istituzionali e sia effettuata nei confronti degli
associati, e che per lo svolgimento di tale attività non ci si avvalga di
alcuno strumento pubblicitario o comunque di diffusione di informazioni a
soggetti terzi, diversi dagli associati.
L'articolo prevede
che tanto le suddette concessioni di cui all'articolo 82, commi 7 e 8, quanto
la qualificazione di operazioni non commerciali per le attività indicate all'articolo
85, commi 2 e 4, siano possibili ai sensi e nei limiti posti dal Regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione, del 18 dicembre 2013,
relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea (TFUE) agli aiuti «de minimis» e
del Regolamento (UE) n. 1408/2013 della Commissione stessa, anch'esso datato
18 dicembre 2013, relativo
all'applicazione dei predetti articoli 107 e 108 del suddetto Trattato agli aiuti
<<de minimis>>
del settore agricolo.
Secondo i testi normativi
dell'Unione Europea appena citati, gli aiuti <<de minimis>> sono gli aiuti che non
superano un importo prestabilito concessi a un’impresa unica in un determinato
arco di tempo.
L'articolo 107 (Aiuti di Stato), comma 1, del Trattato sul funzionamento
dell'Unione Europea, in linea generale, vieta gli aiuti concessi dagli Stati
ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma, i quali favorendo
talune imprese o talune produzioni falsino o minaccino di falsare la
concorrenza. Tuttavia, il comma 2 del medesimo articolo 107 prevede deroghe
alla suddetta disposizione e consente, tra gli altri: gli aiuti a carattere
sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza
discriminazioni determinate dall'origine dei prodotti; gli aiuti destinati a
ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi
eccezionali; gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni
ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma
di sottoccupazione, nonché quello delle regioni di cui all'articolo 349, tenuto
conto della loro situazione strutturale, economica e sociale; gli aiuti
destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni
economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura
contraria al comune interesse.
Le regioni di cui
all'articolo 349 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea sono le
cosiddette regioni ultra-periferiche, cioè quelle regioni che sono parte
integrante di alcuni Stati membri, ma si distinguono per specifiche condizioni
geografiche, economiche e sociali, determinate in particolare dalla loro grande
distanza dall’Europa continentale, dall’insularità, dalla superficie ridotta,
dalla topografia e dal clima difficili, nonché dalla stretta dipendenza
economica da un numero limitato di prodotti.
L'articolo 108 del Trattato
sul funzionamento dell'Unione Europea regola le procedure con cui la
Commissione Europea, insieme agli Stati membri, svolge l'esame permanente dei
regimi di aiuti esistenti in questi Stati e propone a questi ultimi le
opportune misure richieste dal graduale sviluppo o dal funzionamento del
mercato interno.
L'articolo 89 reca molteplici previsioni
di coordinamento, ai fini della 'intersezione' della disciplina del codice del
Terzo settore con la normativa vigente (per lo più di carattere fiscale).
Il comma 1 reca una clausola di non applicazione agli enti del Terzo settore (diversi
dalle imprese sociali) di un novero di disposizioni del Testo unico delle
imposte sui redditi (art. 143, comma 3; art. 144, commi 2, 5 e 6; art. 148;
art. 149, del decreto legislativo n. 917 del 1987) e del Testo unico delle
disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni (art. 3, commi
1 e 2, del decreto legislativo n. 346 del 1990).
E dispone la non
applicazione di tutta la legge n. 398 del 1991, recante disposizioni tributarie
relative alle associazioni sportive dilettantistiche.
Le disposizioni delle quali
la norma prevede la non applicazione agli enti del Terzo settore sono le
seguenti:
l’articolo 143, comma 3 del D.P.R.n.
917/1986 (Approvazione del testo unico
delle imposte sui redditi) in tema
di reddito complessivo;
l’articolo 144,
commi 2, 5 e 6 che, in tema di determinazione dei redditi
l’articolo
148 che, in tema di Enti di tipo associativo
l’articolo 149 sulla perdita della qualifica di ente
non commerciale
l’articolo 3 del decreto legislativo 31/10/1990, n.
346 (Approvazione del testo unico delle
disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni) in tema
di tsferimenti non soggetti all'imposta;
gli articoli 1-4 della legge 16/12/1991, n. 398
(Disposizioni tributarie relative alle associazioni sportive dilettantistiche).
Il comma 2 dispone che l'articolo 145
(relativo al regime forfettario degli enti non commerciali) del Testo unico
delle imposte sui redditi continui ad applicarsi (solo) agli enti che non siano
iscritti nel Registro unico nazionale del Terzo settore.
Tali sono da
intendersi (in quanto non iscrivibili al Registro) le formazioni e associazioni
politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di
categorie economiche, associazioni di datori di lavoro, o enti sottoposti a direzione
e coordinamento da parte di quelli or ricordati.
Dispone altresì che
l'articolo 145 del TUIR continui ad applicarsi agli enti ecclesiastici
civilmente riconosciuti e agli enti di confessioni religiose che hanno
stipulato patti accordi intese con lo Stato, che non siano iscritti nel
Registro unico nazionale del Terzo settore.
Se iscritti,
l'articolo 145 continua ad applicarsi solo per le attività diverse da quelle di
interesse generale (enumerate dall'articolo 5 dello schema).
Il comma 3 modifica l'articolo 148, comma
3 del Testo unico delle imposte sui redditi.
Il citato articolo 148, comma 3 esclude la natura commerciale per le
attività svolte (in diretta attuazione degli scopi istituzionali) verso
pagamento di iscritti, soci, partecipanti, condotte da alcune enti di tipo
associativo: associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose,
assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di
formazione extra-scolastica della persona.
La novella espunge dall'enumerazione le associazioni religiose,
assistenziali, culturali, di promozione sociale e di formazione
extra-scolastica.
Questa la
visualizzazione grafica della novella all'articolo 148, comma 3, qui disposta: "Per le associazioni politiche,
sindacali e di categoria, religiose,
assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione
extra-scolastica della persona non si considerano commerciali le
attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate
verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti,
associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima
attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte
di un'unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o
partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali, nonché
le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli
associati".
Del medesimo
articolo 148, già è disposta (dal comma 1 di questo articolo dello schema) la
non applicazione agli enti del Terzo settore.
Sulla qualificazione
delle attività commerciali per gli enti del Terzo settore, interviene - si
ricorda - l'articolo 79, comma 6 dello schema. Secondo quella previsione, non è
commerciale l'attività svolta dalle "associazioni" del Terzo settore
nei confronti dei propri associati, in conformità alle finalità istituzionali.
Sono invece commerciali "le cessioni di beni e le prestazioni di servizi
effettuate nei confronti degli associati verso il pagamento di corrispettivi
specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in
funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali hanno diritto".
Il comma 4 novella il d.P.R.
n. 601 del 1973, recante disciplina delle agevolazioni tributarie.
In particolare,
novella il suo articolo 6, relativo alla riduzione (alla metà) dell'imposta sul
reddito delle persone giuridiche.
La novella consiste
nell'introduzione di un comma 2-bis,
il quale esclude l'applicazione agli enti del Terzo settore (iscritti nel
Registro unico nazionale) di quella agevolazione fiscale.
Questo, onde evitare
(come si legge nella relazione illustrativa) una duplicazione di benefici
fiscali, rispetto a quelli previsti dallo schema per gli enti del Terzo
settore.
Per gli enti (purché
iscritti nel Registro unico nazionale) ecclesiastici civilmente riconosciuti e gli enti di confessioni religiose che abbiano
stipulato patti accordi intese con lo Stato, quella agevolazione fiscale si
applica limitatamente alle attività diverse da quelle di interesse generale
(enumerate dall'articolo 5 dello schema).
Il comma 5 novella il d.P.R.
n. 633 del 1972, recante istituzione e disciplina dell'imposta sul valore
aggiunto.
In particolare,
novella il suo articolo 52, comma 1, relativo agli accessi, ispezioni e
verifiche. Il rinvio normativo ivi presente (al decreto legislativo n. 460 del
1997, recante riordino della disciplina
tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di
utilità sociale) è sostituito
col rinvio al presente codice del Terzo settore.
Il comma 6 pone una clausola generale,
secondo cui le disposizioni vigenti in materia di ONLUS sono (se compatibili
con il presente codice) da intendersi riferite agli enti non commerciali del
Terzo settore (secondo la definizione resane dall'articolo 79, comma 5 dello
schema).
E prevede si
"tenga conto" dei requisiti di cui alla direttiva 112/2006 CE del
Consiglio - ossia la direttiva sul sistema comune dell'imposta sul valore
aggiunto.
Il comma 7 novella l'articolo 1, comma 3
della legge n. 112 del 2016, la quale reca disposizioni in materia di
assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno
familiare.
La novella consiste nella
sostituzione del rinvio normativo ivi previsto (riferito al decreto legislativo
n. 460 del 1997). In luogo di esso si introduce con la diretta menzione degli
enti del Terzo settore non commerciale, che operino -
"prevalentemente" - nel settore della beneficenza, sostegno a
distanza, o erogazione di denaro beni o servizi a sostegno di persone
svantaggiate (cfr. articolo 5, comma 1, lettera u) dello schema).
Il comma 8 novella la legge n. 125 del
2014, recante disciplina
generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo.
La novella
investe l'articolo 32, comma 7, e consiste nella introduzione di un periodo
finale, secondo cui "Le organizzazioni non governative [di cui a quel
comma 7] sono iscritte nel Registro unico nazionale del Terzo settore".
Il comma 9 novella la legge n. 112 del
2016, recante disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con
disabilità grave prive del sostegno familiare.
La novella
investe l'articolo 6, comma 9. Vi inserisce il rinvio alle agevolazioni fiscali
di cui all'articolo 83, commi 1 e 2 dello schema (ossia detraibilità
dall'imposta lorda sul reddito delle persone fisiche, del 30 per cento di
erogazioni liberali a favore degli enti del Terzo settore non commerciali, per
un importo fino a 30.000 euro; maggiorazione di tale importo, per erogazioni ad
associazioni di volontariato; detraibilità dall'imposta per società ed enti,
fino al 10 per cento del reddito complessivo dichiarato).
Tale formulazione
sostituisce il rinvio contenuto nella disposizione.
Il comma 10 prevede che alle
erogazioni liberali a enti del Terzo settore non commerciali e a cooperative
sociali, non si applichino alcune disposizioni del Testo unico delle imposte
sui redditi.
Questo, onde evitare duplicazioni con i benefici fiscali previsti
dall'articolo 83 dello schema.
Le disposizioni del TUIR delle quali si dispone la non applicazione sono
quelle dell'articolo 15, comma 1.1 e dell'articolo 100, comma 2, lettera h) (ancorché la relazione illustrativa
riporti un novero di articoli più esteso).
Il comma
11 prevede - onde evitare duplicazioni e cumulo di benefici - che la
deducibilità dal reddito imponibile ai fini IRPEF per un importo fino al 2 per
cento del reddito complessivo dichiarato, delle erogazioni liberali (ai sensi
dell'articolo 10, comma 1, lettera g)
del TUIR) sia consentita solo quando non si abbia la detrazione dall'imposta
lorda, di cui all'articolo 15, comma 1.1 del medesimo TUIR (riprodotto supra, con
riferimento al comma 10 del presente questo articolo dello schema).
Il comma
12 prevede - onde evitare duplicazioni e cumulo di benefici - che la
deducibilità delle erogazioni di cui all'articolo 100, comma 2, lettere a) e b)
del TUIR sia ammessa solo se non si sia fruito della deducibilità a valere
sulla lettera h) del medesimo
articolo e comma del TUIR.
Il comma
13 prevede - onde evitare duplicazioni e cumulo di benefici - che la
deducibilità delle erogazioni liberali di cui all'articolo 153, comma 6,
lettera a) e b) del TUIR possa aversi solo se non si sia fruito della
deducibilità a valere sul comma 3 del medesimo articolo del TUIR.
Il comma 14 prevede che ai
soggetti che operano nel settore musicale (ai sensi del decreto legislativo 29
giugno 1996 n. 367 e della legge n. 310 del 2003) e che siano iscritti al
Registro unico nazionale del Terzo settore, non si applichi l'articolo 25,
comma 5 dello stesso decreto legislativo.
Il comma 15 prevede che alle
associazioni (iscritte nel Registro unico nazionale) che operano o che
partecipano a manifestazioni di particolare interesse storico, artistico e
culturale, legate agli usi e dalle tradizioni delle comunità locali, non si
applicano l'articolo 1, commi 185, 186 e 187 della legge 27 dicembre 2006, n.
296.
Il comma 16 stabilisce che il
Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, le Regioni, gli
enti locali e gli altri enti pubblici possono attivare forme speciali di
partenariato con enti del Terzo settore che svolgono le attività indicate
all'articolo 5, comma 1, lettere i), j),
k), o z) dello schema - ossia
attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale; comunicazione
a carattere comunitario; attività turistiche di interesse sociale, culturale o
religioso; riqualificazione dei beni pubblici inutilizzati o di beni confiscati
alla criminalità organizzata.
Gli enti sono individuati attraverso le procedure semplificate di cui
all'articolo 151, comma 3, del decreto legislativo n. 50 del 2016 (che è il
codice dei contratti pubblici). Quest'ultimo comma recita: "Per assicurare
la fruizione del patrimonio culturale della Nazione e favorire altresì la
ricerca scientifica applicata alla tutela, il Ministero dei beni e delle
attività culturali e del turismo può attivare forme speciali di partenariato
con enti e organismi pubblici e con soggetti privati, dirette a consentire il
recupero, il restauro, la manutenzione programmata, la gestione, l'apertura
alla pubblica fruizione e la valorizzazione di beni culturali immobili,
attraverso procedure semplificate di individuazione del partner privato
analoghe o ulteriori rispetto a quelle previste dal comma 1".
Le forme speciali di partenariato se attivate devono essere alle
medesime condizioni di cui all'articolo 79, comma 3, lettera b) dello schema - dunque attività
accreditate, contrattualizzate o convenzionate (con le amministrazioni
pubbliche, l''Unione europea ed altri organismi pubblici di diritto
internazionale), complementari o integrative rispetto al servizio pubblico,
svolte a titolo gratuito o a fronte di un corrispettivo che copre una frazione
del costo effettivo del servizio).
Ancora, le forme speciali di partenariato sono intese come in attuazione
dell'articolo 115 del decreto legislativo n. 42 del 2004.
Il Titolo XI (artt. 90-97), disciplina la materia dei controlli e del coordinamento. In sintesi il titolo in esame:
- assegna all'Ufficio del Registro Unico nazionale del Terzo settore il compito di esercitare controlli e poteri sulle fondazioni del Terzo settore;
- dispone in tema di sanzioni a carico dei rappresentanti legali e dei componenti degli organi amministrativi;
- demanda al Ministero del lavoro e delle politiche sociali lo svolgimento di una serie di attività di monitoraggio, vigilanza e controllo, miranti a garantire l'uniforme applicazione della disciplina degli enti del Terzo Settore e l'effettuazione dei relativi controlli, identificandone e disciplinandone il relativo oggetto;
- disciplina i controlli di natura fiscale;
- prevede che la funzione di vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali sul funzionamento del sistema di registrazione degli enti del Terzo settore e sul sistema dei controlli è finalizzata ad assicurare uniformità tra i registri regionali all'interno del Registro unico nazionale nonché la corretta osservanza delle disposizioni del Codice del Terzo settore;
- prevede l'adozione di un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'interno, per attuare alcune delle prescrizioni in materia di vigilanza, di controlli e di monitoraggio contenute nel presente schema di decreto legislativo;
- prevede l’istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, di una Cabina di regìa, con il compito di coordinare le politiche di governo e le azioni di promozione e di indirizzo delle attività degli enti del Terzo settore, in raccordo con i ministeri competenti.
L'articolo 90 assegna all'Ufficio del
Registro Unico nazionale del Terzo settore il compito di esercitare controlli e
poteri sulle fondazioni del Terzo settore. I controlli e poteri in oggetto sono
indicati dagli articoli 25, 26 e 28 del codice civile.
Il Registro Unico nazionale
del Terzo settore è stato prefigurato dall'articolo 4, comma 1, lettera m), della legge del 6 giugno 2016, n. 106 (Delega al
Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la
disciplina del servizio civile universale), allo scopo di riorganizzare il
sistema di registrazione degli enti e di tutti gli atti di gestione rilevanti,
secondo criteri di semplificazione e tenuto conto delle finalità e delle
caratteristiche di specifici elenchi nazionali di settore. L'iscrizione nel
Registro, subordinata al possesso di una serie di requisiti elencati dalle
lettere b), c), d) ed e) del comma 1 dell'articolo 4 della
medesima legge 106/2016, è obbligatoria per gli enti del Terzo settore che si
avvalgono prevalentemente o stabilmente di finanziamenti pubblici, di fondi
privati raccolti attraverso pubbliche sottoscrizioni o di fondi europei
destinati al sostegno dell'economia sociale o che esercitano attività in regime
di convenzione o di accreditamento con enti pubblici o che intendono avvalersi
di agevolazioni previste dall'articolo 9 della legge 106/2006.
L'articolo 25 del codice civile
regola il controllo pubblico sull'amministrazione delle fondazioni.
Tale funzione, ai sensi dell'articolo 5 del D.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361 (Regolamento recante norme per la
semplificazione dei procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private
e di approvazione delle modifiche dell'atto costitutivo e dello statuto),
attualmente viene svolta dalle prefetture o dalle regioni o dalle province
autonome competenti.
Tra i poteri di controllo e
vigilanza attribuiti all'autorità governativa dall'articolo 25 del codice
civile, vi sono la nomina e la sostituzione di amministratori e rappresentanti,
l'annullamento di deliberazioni (in taluni casi), lo scioglimento
dell'amministrazione e la nomina di un commissario straordinario.
L'articolo 26 del codice civile stabilisce che le medesime autorità
possano disporre il coordinamento dell'attività di più fondazioni ovvero
l'unificazione della loro amministrazione, rispettando, per quanto è possibile,
la volontà del fondatore.
In proposito, l'articolo 28 del codice civile, al suo primo comma, aggiunge che quando lo scopo della fondazione è esaurito o
divenuto impossibile o di scarsa utilità, o il patrimonio è divenuto
insufficiente, l'autorità di controllo, anziché dichiarare estinta la
fondazione, ha facoltà di provvedere alla sua trasformazione, allontanandosi il
meno possibile dalla volontà del fondatore. Peraltro il medesimo articolo 28, nei due commi successivi,
indica casi in cui la trasformazione non è ammessa, e puntualizza che la
trasformazione è preclusa per le fondazioni destinate a vantaggio soltanto di
una o più famiglie determinate.
L’articolo 91 dispone in tema di sanzioni a carico dei rappresentanti legali e dei componenti
degli organi amministrativi.
I commi 1, 2 e 3
prevedono alcune sanzioni; i commi 4
e 5 riguardano, rispettivamente, l'irrogazione delle sanzioni e la loro
destinazione.
Il caso previsto dal
comma 1 è la distribuzione, anche
indiretta, di utili e avanzi di gestione, fondi e riserve, comunque denominati,
a un fondatore, un associato, un lavoratore o un collaboratore, un
amministratore o altro componente di un organo associativo dell’ente.
La distribuzione va
sanzionata anche nell'ipotesi di recesso o in qualsivoglia altra ipotesi di
scioglimento individuale del rapporto associativo.
La sanzione in cui
incorrono i rappresentanti legali e i componenti degli organi amministrativi
dell’ente del Terzo settore che hanno commesso tali violazioni o che hanno
concorso a commetterle è pecuniaria ed è variabile da un minimo di euro 5.000
ad un massimo di euro 20.000.
Ai sensi del comma 2, i rappresentanti legali e i
componenti degli organi amministrativi degli enti del Terzo settore che
devolvono il patrimonio residuo in assenza o in contrasto con il parere
dell’Ufficio del Registro unico nazionale, o che concorrono ad una devoluzione
fatta nei modi suddetti, vanno incontro ad una sanzione amministrativa
pecuniaria il cui importo sarà compreso tra 1.000 euro e 5.000 euro.
Il comma 3 punisce chiunque utilizzi
illegittimamente l’indicazione di ente del Terzo settore, di associazione di
promozione sociale o di organizzazione di volontariato oppure i corrispondenti
acronimi, ETS, APS e ODV, con una sanzione amministrativa pecuniaria da euro
2.500 ad euro 10.000 la quale, peraltro, raddoppia se l’illegittimo utilizzo è
finalizzato ad ottenere da terzi l’erogazione di denaro o di altre utilità.
Il comma 4 dispone che le sanzioni dei tre
commi precedenti nonché le sanzioni relative a violazioni delle prescrizioni
sul deposito degli atti, sulla completezza delle informazioni e sugli
aggiornamenti contenute nell'articolo 48, comma 5, dello schema, siano irrogate
dall'Ufficio del Registro unico nazionale del Terzo settore.
Per le violazioni di
cui al suddetto articolo 48, comma 5, si applica l’articolo 2630 del codice civile, che
prevede sanzioni amministrative pecuniarie da 1.032 a 6.197 euro in caso di omessa
esecuzione di denunce, comunicazioni o depositi.
Il comma 5 stabilisce che i ricavi delle
sanzioni previste dai commi da 1 a 4 siano
versati all'entrata del bilancio dello Stato, con modalità la cui definizione
viene rimessa ad un futuro decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze,
di concerto con il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali.
L’articolo 92 disciplina
l’attività di monitoraggio, vigilanza e
controllo.
Il comma 1 demanda al Ministero del lavoro
e delle politiche sociali lo svolgimento di una serie di attività di
monitoraggio, vigilanza e controllo, miranti a garantire l'uniforme
applicazione della disciplina degli enti del Terzo Settore e l'effettuazione dei
relativi controlli.
In tema di
controlli, si anticipa che essi saranno oggetto anche dell'articolo 93 e,
quelli fiscali, dell'articolo 94, come si vedrà. Analogamente, sul tema della
vigilanza, lo schema torna più avanti, all'articolo 95.
Tra le attività
ministeriali oggetto del comma 1 del presente articolo 92, la lettera a)
prevede la vigilanza sul sistema
di registrazione degli enti del Terzo Settore ed il monitoraggio sugli uffici
regionali del Registro unico nazionale del Terzo Settore; la lettera b),
gli accreditamenti delle reti associative iscritte nell'apposita sezione del
Registro unico nazionale e le autorizzazioni in forza delle quali le reti
stesse espletano attività di controllo nei confronti degli enti che aderiscono ad
esse; la lettera c), la preparazione di relazioni annuali sulle attività di cui
alle precedenti lettere a) e b), da trasmettere alle Camere. Tali
relazioni annuali si basano anche sui dati che, ai sensi dell'articolo 95 dello
schema, saranno acquisiti a livello di Regioni e Province autonome ed
eventualmente anche tramite ispezioni in loco (per maggiori dettagli, infra, quando sarà illustrato il contenuto
dell'articolo 95).
Il comma 2 mantiene inalterati i poteri
di controllo, verifica e vigilanza delle Amministrazioni competenti che sono
finalizzati ad accertare la conformità delle attività di interesse generale
degli enti del Terzo settore alle norme particolari che ne disciplinano l'esercizio.
L’articolo 93 identifica e disciplina l’oggetto dell’attività di controllo.
Ai sensi del comma 1, i controlli qui in oggetto sono volti ad accertare: il perseguimento
delle finalità civiche, solidaristiche o di utilità sociale (lettera b);
la sussistenza e permanenza dei requisiti occorrenti per l'iscrizione al
Registro unico nazionale del Terzo Settore (lettera a) nonché
l'adempimento degli obblighi che derivano dall'iscrizione al predetto Registro
(lettera c); il diritto di avvalersi dei benefici fiscali e della quota del
5 per mille legati all'iscrizione nel Registro (lettera d); il corretto
impiego delle risorse pubbliche, finanziarie e strumentali, che siano state
attribuite agli enti in questione (lettera
e)).
Il comma 2 tratta delle imprese sociali, facendo per esse rinvio al decreto legislativo il cui schema è l'A.G. n. 418.
Il comma 3 individua nell’Ufficio del
Registro unico nazionale del Terzo Settore l'organismo competente ad esercitare
le attività di controllo sopra enumerate, nei confronti degli enti del Terzo
Settore che hanno sede legale sul proprio territorio.
Il Registro potrà
svolgere queste attività di controllo periodicamente o qualora venisse a
conoscenza di atti o fatti che possano integrare violazioni, e potrà procedere
anche per mezzo di accertamenti documentali, visite ed ispezioni.
Per controllare enti
che dispongano di sedi secondarie in regioni diverse da quella della sede
legale, il Registro potrà, se necessario, attivare forme di collaborazione e di
assistenza reciproche con uffici di altre regioni.
Il comma 4 stabilisce che i controlli
amministrativi e contabili indicati dalla lettera e) del comma 1 vengano disposti dalle Amministrazioni pubbliche e
dagli enti territoriali che erogano risorse finanziarie o concedono l'utilizzo
di beni immobili o strumentali agli enti del Terzo Settore, allo scopo di
mettere questi ultimi in grado di svolgere le loro attività statutarie
generali.
Il comma 5 tratta delle reti associative, i cui lineamenti sono
stati definiti dall'articolo 41.
Prevede che le reti
associative iscritte nell'apposita sezione del Registro unico nazionale del
terzo Settore, nonché gli enti accreditati come Centri di Servizi per il
Volontariato, possano effettuare attività di controllo nei confronti di rispettivi
aderenti, in ordine alle finalità espresse dalle lettere a), b) e c) del comma
1.
Come si ricorderà, ai Centri di Servizio per il Volontariato
è intitolato l'intero Capo II del presente Codice del Terzo Settore. In
particolare l'articolo 61, facente parte del Capo II, verte appunto
sull'accreditamento di tali Centri di Servizio.
Secondo il comma 6, l'apposita autorizzazione
ministeriale di cui al comma 5 sarà
rilasciata alle reti associative e ai Centri di Servizio, previa dimostrazione
da parte loro di essere in possesso di requisiti tecnici e professionali tali
da garantire un controllo efficace.
L'individuazione dei
requisiti in questione avverrà per mezzo di un decreto (v. infra, articolo 96 dello
schema). Comunque, l'autorizzazione è rilasciata entro 90 giorni dall'istanza
ed è valida fino alla eventuale cancellazione della rete associativa dal
Registro o, per i Centri di Servizio, alla revoca del loro accreditamento
(ipotesi, quest'ultima, regolata dall'articolo 66, che sembra doversi interpretare nel senso che la procedura sia avviata dall'organismo territoriale di controllo
e portata avanti dall'organismo nazionale di controllo). Inoltre,
l'autorizzazione ministeriale può essere revocata in caso di accertata
inidoneità da parte della rete associativa o del Centro di Servizio ad
assolvere efficacemente le funzioni di controllo sui propri aderenti.
Il comma 7
pone le reti associative autorizzate ai sensi dell'articolo 95 sotto la
vigilanza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, mentre sottopone
i Centri di Servizio per il Volontariato a vigilanza da parte dell'Organismo
Nazionale di Controllo (ONC).
Come già detto illustrando l'articolo 64 dello schema,
l'Organismo Nazionale di Controllo è una fondazione con personalità giuridica
di diritto privato, costituita con decreto del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali.
Nel quadro dei
controlli, quelli di natura fiscale sono la specifica materia dell'articolo 94.
Il comma 1 menziona i poteri
dell'Amministrazione finanziaria nell'esercizio autonomo delle attività di
controllo.
Essi concernono il
rispetto delle disposizioni contenute negli articoli 8 (Destinazione del patrimonio ed assenza di scopo di lucro), 9 (Devoluzione del patrimonio in caso di
scioglimento), 13 (Scritture
contabili e bilancio), 15 (Libri
sociali obbligatori), 23 (Procedura
di ammissione e carattere aperto delle associazioni) e 24 (Assemblea) del presente schema, e sul
possesso dei requisiti per fruire delle agevolazioni fiscali in favore dei
soggetti iscritti al Registro unico nazionale del Terzo settore.
Nell'esercizio delle
suddette attività, l'Amministrazione finanziaria potrà avvalersi dei poteri
istruttori previsti dagli articoli 32 (Poteri
degli uffici) e 33 (Accessi,
ispezioni e verifiche) del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni
comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi) e dagli
articoli 51 (Attribuzioni e poteri degli
Uffici dell'imposta sul valore aggiunto) e 52 (anch'esso rubricato Accessi, ispezioni e verifiche) del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione
e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto).
Tra i poteri riconosciuti all'Amministrazione finanziaria dalla vigente versione dell'articolo 32 del D.P.R. 600/1973, si ricordano: il potere di invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento nei loro confronti, il potere di invitarli ad esibire o trasmettere atti e documenti rilevanti, il potere di inviare questionari ai contribuenti, il potere di richiedere dati e notizie agli organi ed alle Amministrazioni dello Stato, agli enti pubblici non economici, alle società ed enti di assicurazione ed alle società ed enti che effettuano istituzionalmente riscossioni e pagamenti per conto di terzi la comunicazione, anche in deroga a contrarie disposizioni legislative, statutarie o regolamentari, il potere richiedere copie o estratti degli atti e dei documenti depositati presso i notai, i procuratori del registro, i conservatori dei registri immobiliari e gli altri pubblici ufficiali, il potere di invitare ogni altro soggetto ad esibire o trasmettere, anche in copia fotostatica, atti o documenti fiscalmente rilevanti concernenti specifici rapporti intrattenuti con il contribuente e a fornire i chiarimenti relativi.
L'articolo 33 del D.P.R. 600/1973, come indica la sua rubrica, conferisce all'Amministrazione fiscale poteri di accesso, di ispezione e di verifica.
A sua volta l'articolo 51 (e successive modificazioni) del D.P.R. 633/1972 dà al fisco una serie di poteri, tra cui si segnala il controllo delle dichiarazioni presentate e dei versamenti eseguiti dai contribuenti, rilevarne l'eventuale omissione e provvedere all'accertamento e alla riscossione delle imposte o maggiori imposte dovute.
L'articolo 52, anche nel caso del D.P.R. 633/1972, concerne accessi, ispezioni e verifiche.
Sempre ai sensi del comma 1, l'Amministrazione finanziaria
può disconoscere la spettanza del regime fiscale di favore derivante
dall'iscrizione al Registro unico, qualora riscontrasse violazioni.
Peraltro, l'ufficio
dell'Amministrazione finanziaria preposto agli accertamenti ha l'obbligo di
invitare l'ente a comparire per fornire dati e notizie di rilievo, pena la
nullità dei suoi provvedimenti. La previsione normativa, quindi, è intesa a
valorizzare la cooperazione tra Fisco e contribuenti, già a partire dalla fase
procedimentale dell'istruttoria
Il comma 2 assegna all'Amministrazione
finanziaria l'incarico di trasmettere al Registro unico ogni elemento utile ai
fini delle valutazioni concernenti eventuali cancellazioni dal Registro unico
stesso, fermo restando - come precisa il comma
3 - il controllo eseguito dal Registro unico stesso ai fini di iscrizioni,
aggiornamenti e cancellazioni degli enti dai suoi elenchi.
Il comma 4 esclude gli enti del Terzo
settore dal campo di applicazione delle disposizioni recate dall'articolo 30 (Controlli sui circoli privati) del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (recante Misure
urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per
ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale).
Ai sensi del comma 4 del citato articolo 30 del decreto-legge 185/2008, si considera attività di beneficenza anche la concessione di erogazioni gratuite in denaro con utilizzo di somme provenienti dalla gestione patrimoniale o da donazioni appositamente raccolte, a favore di enti senza scopo di lucro che operano prevalentemente per la realizzazione diretta di progetti di utilità sociale. Inoltre, secondo il comma 5 dell'articolo 30 del richiamato decreto-legge 185/2008, si applica alle associazioni e alle altre organizzazioni di volontariato che non svolgono attività commerciali che non siano marginali, la disciplina che reca previsioni di maggior favore relative agli organismi di volontariato, alle organizzazioni non governative e alle cooperative sociali.
Inoltre il comma 4 dispone che gli enti del Terzo
settore non siano tenuti a presentare all'Agenzia delle Entrate, per i
controlli, l'apposito modello che invece deve essere presentato da circoli
privati ed enti associativi di altro tipo.
L’articolo 95 disciplina la funzione di vigilanza esercitata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Secondo il comma 1, la funzione di vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche
sociali sul funzionamento del sistema di registrazione degli enti del Terzo
settore e sul sistema dei controlli è finalizzata ad assicurare uniformità tra
i registri regionali all'interno del Registro unico nazionale nonché la
corretta osservanza delle disposizioni del Codice del Terzo settore.
Il comma 2 prevede che ogni anno - entro
il 15marzo - Regioni e Province autonome
inviino al Ministero del lavoro e delle politiche sociali una relazione, i cui
contenuti obbligatori sono: le attività di iscrizione degli enti al Registro unico
nazionale del Terzo settore; la revisione periodica relativa ai procedimenti
conclusi nell'anno precedente ed i problemi emersi; i controlli eseguiti e i
loro esiti.
Il comma 3 prevede che anche l'Organismo nazionale di Controllo (di cui si è detto
illustrando l'articolo 64) trasmetta annualmente, entro il 31 maggio, una
relazione. Essa riguarderà le attività dell'Organismo stesso e la situazione
dei Centri di Servizio per il volontariato.
La scadenza del 31 maggio pare evincersi dal fatto che l'articolo 64, comma 5, lettera p), indica tale giorno dell'anno.
Il comma 4 attribuisce al Ministero del
lavoro e delle politiche sociali la facoltà di effettuare verifiche, a campione
o in loco avvalendosi degli Ispettorati territoriali del lavoro, sulle
operazioni effettuate e sulle attività svolte dagli enti autorizzati al
controllo, utili alle finalità di accertamento indicate nel comma 1.
Per quanto riguarda gli enti autorizzati al controllo menzionati sopra, si veda l'articolo 93.
In base al comma 5, primo periodo, il
Ministero del lavoro e delle politiche sociali vigila sugli enti qualificati
come persone giuridiche privatizzate (escluse quelle combattentistiche e
patriottiche) che, in forza dell'articolo 1, comma 1, della legge 19 novembre 1987, n.476, ricevono contributi dallo Stato.
La relazione illustrativa precisa che gli enti interessati sono: ENS - Ente nazionale sordi; ANMIL - Associazione nazionale mutilati invalidi del lavoro; UICI - Unione italiana ciechi e ipovedenti; UNMS - Unione nazionale mutilati per servizio; ANMIC - Associazione nazionale mutilati e invalidi civili.
Come prescrive il comma 3 del medesimo articolo 1 della legge 476/1997, gli enti e le associazioni italiane che usufruiscono dei contributi sono tenuti ad utilizzarli per fini di promozione e di integrazione sociale, con esclusione quindi di qualsiasi altra prestazione di competenza delle regioni, dei comuni singoli o associati e del Servizio sanitario nazionale.
Di seguito, il comma 5 impone la presenza di un
rappresentante dell'Amministrazione vigilante negli organi di controllo degli
enti di cui sopra. Inoltre, gli enti medesimi trasmettono al Ministero del
lavoro e delle politiche sociali i bilanci di esercizio formati dallo stato
patrimoniale, dal rendiconto gestionale, con l’indicazione delle entrate, dei
proventi, delle uscite e dei costi dell’ente, e dalla relazione di missione che
illustra le poste di bilancio, l’andamento economico e finanziario dell’ente e
le modalità di perseguimento delle finalità statutarie.
Infine, il comma 5 pone in capo al Ministero del
lavoro e delle politiche sociali le competenze sulla ripartizione dei
contributi erogati dallo Stato in favore di alcuni enti del Terzo settore che
si interessano dei soggetti privi di vista e ipovedenti (di cui all'articolo 2, comma 466, della legge
finanziaria per l'anno 2008).
Fino ad oggi, tale riparto è stato fatto dal Ministero dell'Interno.
Stando alla relazione illustrativa, tali enti sono: Unione Italiana Ciechi, IRIFOR, IERFORP, Associazione nazionale privi della vista e ipovedenti Onlus, Polo tattile multimediale della Stamperia regionale Braille Onlus di Catania.
L’articolo 96 prevede l'adozione di un decreto del Ministro
del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'interno,
per attuare alcune delle prescrizioni in materia di vigilanza, di controlli e
di monitoraggio contenute nel presente schema di decreto legislativo.
In base al
riferimento normativo all'articolo 7, comma 4, della legge delega, n. 106/2016, il suddetto decreto ministeriale sarà
adottato entro sessanta giorni
dalla data di entrata in vigore dell'ultimo dei decreti legislativi emanati in
attuazione della medesima legge n. 106.
Quanto ai contenuti
del futuro decreto, esso definirà innanzi tutto forme, contenuti, termini e
modalità dio esercizio delle funzioni di vigilanza, controllo e monitoraggio,
nonché le modalità di raccordo con altre Amministrazioni interessate e gli
schemi delle relazioni annuali.
Inoltre, tale
decreto individuerà criteri, requisiti e procedure per l'autorizzazione
all'esercizio delle attività di controllo da parte delle reti associative e per
le forme di vigilanza ministeriali e sui soggetti autorizzati (profili trattati
soprattutto dall'articolo 93, supra).
L’articolo 97 detta
disposizioni in tema di coordinamento delle politiche di governo.
Il comma 1 prevede dà vita ad una Cabina di regìa, istituita presso la Presidenza del
Consiglio dei Ministri.
La Cabina di regìa
avrà il compito di coordinare le politiche di governo e le azioni di promozione
e di indirizzo delle attività degli enti del Terzo settore, in raccordo con i
ministeri competenti. In questo modo, viene attuata una previsione formulata
nella lettera q) del comma 1
dell'articolo 4 della legge n. 106 del 2016.
Il comma 2 fornisce ulteriori indicazioni sulle linee di azione lungo le quali si
muoverà la Cabina di regìa.
Essa, secondo la lettera a),
coordinerà l'attuazione del Codice del Terzo settore puntando ad assicurarne la
tempestività, l'efficacia e la coerenza; dove prescritto, esprimerà
orientamenti in merito ai relativi decreti e linee guida.
La lettera b)
incarica la Cabina di regìa di promuovere attività di raccordo con le
Amministrazioni pubbliche interessate e di definire accordi, protocolli di
intesa o convenzioni tendenti alla valorizzazione dell'attività degli enti del
Terzo settore e allo sviluppo di sinergie.
In base alla lettera c), la Cabina
monitorerà lo stato di attuazione del Codice del Terzo settore, anche per
segnalare eventuali correttivi e miglioramenti.
Il comma 3 prevede che la composizione e
le modalità di funzionamento della Cabina di regìa siano materia di un apposito
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro
del lavoro e delle politiche sociali. Tale decreto dovrà essere adottato entro
tre mesi dall'entrata in vigore del Codice del Terzo settore.
Il comma 3,
comunque, prescrive che i membri della Cabina di regìa partecipino alle
attività di quest'ultima a titolo gratuito e non abbiano diritto a compensi, indennità
emolumenti o rimborsi spese di alcun genere.
È posta - dal comma 4 - per la creazione della Cabina
di regìa una clausola di invarianza finanziaria.
Il Titolo XII (artt. 98-100) detta le disposizioni transitorie e finali.
In sintesi il Titolo in esame:
- introduce nel codice civile un nuovo articolo, numerato 42-bis, che disciplina trasformazioni, fusioni e scissioni concernenti il Terzo settore;
- dispone che l'Associazione Croce Rossa Italiana, che è persona giuridica di diritto privato, ed è iscritta di diritto nel registro nazionale, viene iscritta inoltre nella sezione delle organizzazioni di volontariato del Registro unico nazionale del Terzo settore, e non più nei registri regionali e provinciali delle associazioni di promozione sociale;
- 'liberalizza' l'utilizzazione da parte della Croce Rossa Italiana delle risorse disponibili a livello nazionale, regionale e locale per le Associazioni di promozione sociale;
- prevede che i comitati locali e provinciali della Croce Rosse Italiana saranno iscritti di diritto nella sezione delle organizzazioni di volontariato del Registro unico nazionale del Terzo settore, e non più nei registri provinciali delle associazioni di promozione sociale.
- inserisce gli enti del terzo Settore (ETS) non commerciali nell'elenco dei soggetti della cooperazione allo sviluppo, al posto delle Organizzazioni non lucrative di utilità sociale;
- prevede che nelle more dell'adozione dei decreti che recheranno linee guida e modulistica concernenti rispettivamente la raccolta dei fondi, le scritture contabili e di bilancio ed i bilanci sociali degli enti del Terzo settore, si applicano le linee guida già esistenti elaborate - a suo tempo - dall'Agenzia del Terzo settore;
- detta la disciplina transitoria, dispone sulle abrogazioni della vigente normativa, sulla copertura finanziaria del provvedimento, e sull’entrata in vigore modulata diversamente per i diversi articoli del provvedimento.
L’articolo 98 introduce nel codice civile un nuovo articolo, numerato 42-bis,
che disciplina trasformazioni, fusioni e scissioni concernenti il Terzo
settore.
Innanzitutto, il
nuovo articolo 42-bis aggiunto al
codice civile, prevede (al suo comma 1),
che le associazioni e le fondazioni possono operare reciproche trasformazioni,
fusioni o scissioni purché esse non siano espressamente escluso dai rispettivi
atti costitutivi o statuti.
Il comma 2 afferma, nel suo primo periodo,
che le trasformazioni producono gli
effetti di cui al vigente (e immodificato) articolo 2498 del codice civile
stesso.
Ai sensi del citato articolo
2498 del codice civile, che verte sulla trasformazione in società aventi personalità
giuridica, la deliberazione di trasformazione di una società in nome collettivo
o in accomandita semplice in società per azioni, in accomandita per azioni o a
responsabilità limitata, deve risultare da atto pubblico e deve contenere le
indicazioni prescritte dalla legge per l'atto costitutivo del tipo di società
adottato. Essa deve essere accompagnata da una relazione di stima del
patrimonio sociale e deve essere iscritta nel registro delle imprese con le
forme prescritte per l'atto costitutivo del tipo di società adottato. La
società acquista personalità giuridica con l'iscrizione della deliberazione nel
registro delle imprese e conserva i diritti e gli obblighi anteriori alla
trasformazione.
Nell'ipotesi di
trasformazione - prosegue il comma 2 - l'organo
di amministrazione predispone due relazioni.
La prima, sarà una
relazione sulla situazione patrimoniale dell'ente soggetto a trasformazione.
Questa relazione conterrà l'elenco dei creditori e sarà aggiornata.
La seconda relazione
ricalcherà le caratteristiche delle relazioni per la trasformazione di società
di capitali in società di persone, delineate dall'articolo 2500-sexies del codice civile.
Pertanto la seconda
relazione illustrerà le motivazioni e gli effetti della trasformazione e una copia
di essa resterà depositata presso la sede sociale durante i trenta giorni che
precedono l'assemblea convocata per deliberare la trasformazione.
Il comma 2 aggiunge che, nella misura in
cui risultino compatibili, si applichino alla trasformazione anche i seguenti
articoli del codice civile: 2499, sui limiti alla trasformazione; 2500, su
contenuto, pubblicità ed efficacia della trasformazione; 2500-bis, sulla validità dell'atto dopo la
pubblicità della trasformazione e sul diritto al risarcimento del danno
eventualmente spettante ai partecipanti all'ente trasformato ed ai terzi
danneggiati dalla trasformazione; 2500-ter,
limitatamente però al secondo comma di esso, che riguarda il capitale della
società e la determinazione dei valori attuali degli elementi dell'attivo e del
passivo; 2500-quinquies, che concerne
la responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali preesistenti; 2500-nonies, sull'eventuale opposizione da
parte dei creditori.
Il comma 3 reca previsione per le fusioni e le scissioni.
Ad esse si
applicheranno rispettivamente, in quanto compatibili, le disposizioni recate
dalla sezione II (Della fusione delle
società, articoli da 2501 a 2505-quater) e dalla sezione III (Della scissione delle società, articoli da 2506 a 2506-quater) del Capo X, titolo V, libro V
del codice civile.
Con il comma 4 del nuovo articolo 42-bis del codice civile si stabilisce che,
nel caso di enti del Terzo settore, siano iscritti nel Registro unico nazionale
del terzo settore gli atti relativi alle trasformazioni, fusioni, e scissioni
per i quali il Libro V del codice civile prevede l'iscrizione nel Registro
delle Imprese. Si tratta quindi di: progetti di fusione (articolo 2501-ter); deliberazioni e decisioni di
fusione (articolo 2502-bis); atti di
fusione (articolo 2504); progetti di scissione (articolo 2506-bis).
L'articolo 99 novella il decreto legislativo n. 178 del
2012 e la legge n. 125/2014.
Ciascuna di queste
disposizioni riguarda la Croce Rossa
italiana.
Il comma 1, lettera a), modifica il comma 1 dell'articolo 1, recante Trasferimento di funzioni alla costituenda Associazione della
Croce Rossa italiana, del decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178 che ha riorganizzato la Croce Rossa stessa.
Per effetto della
novella, si dispone che l'Associazione
Croce Rossa Italiana, e i relativi comitati territoriali, vengano iscritti
nella sezione del Registro unico nazionale del Terzo settore dedicata alle
organizzazioni di volontariato, e non nella sezione dedicata alle associazioni
di promozione sociale
Conseguentemente, la
lettera b) interviene ulteriormente sull'articolo 1 del D. Lgs. 178 del 2012, stavolta
abrogando la parte del comma 6 di tale articolo, che consentiva l’utilizzazione
delle risorse destinate alle APS.
La lettera c) agisce sull'articolo 1-bis
del decreto legislativo n. 178/2012,
dedicato ai comitati locali e provinciali della Croce Rossa Italiana.
Così come la lettera a), pure la lettera c) interviene
sull'iscrizione nei registri. I comitati locali e provinciali della Croce Rosse
Italiana saranno iscritti di diritto nella sezione delle organizzazioni di
volontariato del Registro unico nazionale del Terzo settore, e non più nei
registri provinciali delle associazioni di promozione sociale.
L'ultimo comma di questo articolo dello schema, che reca erroneamente il numero 4,invece che
il numero 2, modifica il comma 2 dell'articolo 26 della legge 11 agosto 2014, n. 125, ove sono delineati i tratti fondamentali
dei soggetti della cooperazione allo sviluppo.
La novella inserisce
gli enti del terzo Settore (ETS) non commerciali nell'elenco dei soggetti della
cooperazione allo sviluppo, al posto delle Organizzazioni non lucrative di
utilità sociale (le cosiddette Onlus).
Per approfondimenti sull'attribuzione della qualifica di non
commerciali agli enti del Terzo settore, cfr. supra l'articolo 79 dello schema.
Ai sensi dell'articolo 100, nelle more dell'adozione
dei decreti che recheranno linee guida e modulistica concernenti
rispettivamente la raccolta dei fondi, le scritture contabili e di bilancio ed
i bilanci sociali degli enti del Terzo settore, si applicano le linee guida già
esistenti elaborate - a suo tempo - dall'Agenzia del Terzo settore.
Agenzia del Terzo Settore fu
la nuova denominazione data dall'articolo 1 del decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri datato 26 gennaio 2011, n. 51, all'Agenzia per le ONLUS che era stata creata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del
26 settembre 2000 (non numerato). Si
trattava di un ente di diritto pubblico di emanazione governativa, vigilato
dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. L'Agenzia del Terzo settore oggi
non esiste più, in quanto fu soppressa dall'articolo 8, comma 23, del decreto-legge del 2 marzo 2012, n.16. All'atto della soppressione, i compiti e le funzioni
dell'Agenzia del Terzo settore furono trasferiti al Ministero del lavoro e
delle politiche sociali.
L'Agenzia, sia nel periodo in
cui operò sotto il nome di Agenzia per le ONLUS sia in quello successivo in cui
fu rinominata Agenzia per il Terzo settore, adottò una serie di linee-guida,
tra cui Linee guida
per la raccolta dei fondi (prima
edizione anno 2010, seconda edizione anno 2011), Linee guida e
schemi per la redazione dei bilanci di esercizio degli enti non profit (anno 2009) e Linee guida e
schemi per la redazione del bilancio sociale delle Organizzazioni non profit (anno 2011).
L’articolo 101, al
comma 1, stabilisce che ogni riferimento fatto dallo schema di decreto
legislativo in esame al Consiglio Nazionale del Terzo settore abbia efficacia a
partire dal momento della nomina dei suoi componenti.
Si
ricorda che l'istituzione del Consiglio è prevista dall'articolo 4, comma 1,
lettera m) della legge n. 106 del 2016 che non reca date o termini
tassativi per la propria attuazione.
Analogamente, tutti
i riferimenti al Registro unico nazionale del Terzo settore presenti
all'interno dello schema di decreto legislativo in esame diventeranno efficaci
dal momento della operatività del Registro stesso.
Secondo il comma 2
dell'articolo 53 dello schema, che viene espressamente richiamato dal comma 1
dell'articolo 101, le Regioni e le Province autonome rendono operativo il
Registro entro sei mesi dalla predisposizione delle strutture informatiche
occorrenti. Si ritiene opportuno ricordare che la creazione del Registro unico
è prevista dall'articolo 5, comma 1, lettera g) della medesima legge 106/2016, in cui non si indicano date o
termini tassativi per l'attuazione della disposizione.
Ai sensi del comma 2, fino a che il suddetto
Registro non sarà operativo, si continuano ad applicare le norme legate
all'iscrizione degli enti nei Registri Onlus,
Associazioni di Volontariato, Associazioni di promozione sociale, Imprese
sociali.
Questi enti potranno
adeguarsi alle disposizioni del nuovo decreto legislativo entro un anno dalla
sua entrata in vigore, e potranno altresì modificare i propri statuti -
attenendosi alle modalità e con le maggioranze previste per le deliberazioni
dell'assemblea ordinaria - anche in questo caso entro un anno dall'entrata in
vigore del futuro decreto legislativo.
In base al comma 3, nelle more dell'istituzione
del Registro unico di cui sopra, le reti associative e gli enti del terzo
settore potranno soddisfare il requisito dell'iscrizione mediante iscrizione ad
uno dei registri attualmente previsti dalle normative di settore.
Il comma 4 dispone che le reti
associative adegueranno il loro statuto, se necessario, per conformarsi alle
indicazioni contenute nell'articolo 41, comma 1, lettera b) e comma 2 del presente schema.
Ai sensi del citato articolo 41, le reti associative sono
tenute a perseguire una serie di finalità, tra cui: svolgere attività di
coordinamento, tutela, rappresentanza, promozione o supporto degli enti del
Terzo settore loro associati e delle loro attività di interesse generale, anche
allo scopo di promuoverne ed accrescerne la rappresentatività presso i soggetti
istituzionali; monitorare l’attività degli enti ad esse associati,
eventualmente anche sotto il profilo dell'impatto sociale, e predisporre una
relazione annuale al Consiglio nazionale del Terzo settore; promuovere e
sviluppare attività di controllo, anche sotto forma di autocontrollo e di
assistenza tecnica. nei confronti degli enti associati.
Per l'adeguamento
dello statuto (qualora necessario), le reti associative avranno un anno di
tempo dall'entrata in vigore del futuro decreto legislativo. In caso di non
ottemperanza a tale obbligo, saranno automaticamente cancellate dal relativo
registro.
L'oggetto del comma 5 è il superamento degli attuali
comitati di gestione dei fondi speciali per il volontariato presso le regioni.
Gli organi, previsti
dall'articolo 2 del decreto 8 ottobre 1997 del Ministero del tesoro, saranno sciolti al momento della costituzione degli
Organismi Territoriali di controllo (OTC), dei quali tratta l'articolo 61 dello
schema in esame (cfr. supra).
Premesso che ai sensi
dell'art. 2, co. 1, del citato decreto ministeriale 8 ottobre 1997, presso ogni
regione è istituito un fondo speciale, nel quale sono contabilizzati importi
segnalati dagli enti e dalle casse, che costituiscono patrimonio separato
avente speciale destinazione, di pertinenza degli stessi enti e casse, il c. 2
del medesimo art.2 del decreto prescrive che ogni fondo speciale sia
amministrato da un comitato di gestione, formato da quindici membri, di cui
quattro in rappresentanza delle organizzazioni di volontariato, sette dagli
enti e dalle casse, uno dalla Regione, uno dagli enti locali, uno
dall'Associazione fra le casse di risparmio italiane e uno dal Ministero che,
all'epoca, si chiamava Ministero per la solidarietà sociale.
I fondi speciali presso le
regioni delle organizzazioni di volontariato sono previsti e disciplinati
dall'articolo 15 della legge-quadro per il volontariato (legge 266/1991).
Il residuo patrimonio dei
suddetti comitati di gestione sarà devoluto al Fondo Unico Nazionale (cfr.
nuovamente l'articolo 61 dello schema), nel cui ambito, comunque, resterà
invariata la precedente destinazione territoriale. La devoluzione al FUN
avverrà entro novanta giorni dallo scioglimento del comitato di gestione. I
presidenti dei comitati assumeranno il ruolo di liquidatori. Sempre in tema di
fondi speciali del volontariato presso le regioni, l'articolo 101 in esame
dispone il versamento di tutte le risorse maturate, ma non ancora versate,
dalle Fondazioni di Origine Bancaria (FOB) al FUN. Anche in questo caso, sarà
conservata la destinazione territoriale precedente.
Il comma 6 prevede circa i Centri di
Servizio per il Volontariato (CSV). Stabilisce che - in sede di prima
applicazione della nuova normativa e fino al 31 dicembre 2017 - siano
accreditati come tali gli enti che sono già considerati CSV in base al citato
decreto ministeriale 8 ottobre 1997. Successivamente, si faranno nuove
valutazioni ai fini dell'accreditamento come CSV, in linea con le disposizioni
del Codice del Terzo settore. In caso di valutazione negativa, all'ente
precedentemente considerato CSV ma non più tale secondo i criteri del Codice
del Terzo settore, si applicheranno gli effetti finanziari e patrimoniali
indicati dall'articolo 63, commi 4 e 5, del Codice stesso.
Come si ricorderà, stando ai citati commi 4 e 5 dell'articolo 63, se l’ente accreditato come CSV viene sciolto o il suo accreditamento è revocato, le risorse del FUN ad esso assegnate ma non ancora utilizzate devono essere versate entro 120 giorni dallo scioglimento o dalla revoca all’Organismo Nazionale di Controllo, che le destina all’ente accreditato come CSV in sostituzione del precedente, o in mancanza, ad altri CSV della medesima regione o, in mancanza, alla riserva con finalità di stabilizzazione del FUN. In caso di scioglimento dell’ente accreditato come CSV o di revoca dell’accreditamento, eventuali beni mobili o immobili acquisiti dall’ente mediante le risorse del FUN mantengono il vincolo di destinazione e sono trasferiti dall’ente secondo le indicazioni provenienti dall’Organismo Nazionale di Controllo.
Il comma 7 si occupa del divieto per la
stessa persona di ricoprire la carica di presidente di un organo di amministrazione
per più di nove anni, di cui all'articolo 61, comma 1, lettera j) dello schema di decreto in commento.
Tale divieto non si applicherà alle cariche sociali in essere al momento
dell'entrata in vigore del futuro Codice, né fino alla scadenza naturale del
mandato fissata dallo statuto all'epoca del conferimento.
Il comma 8 dell'articolo 101 precisa che
la perdita della qualifica di ONLUS a seguito di iscrizione nel Registro unico
nazionale degli enti del Terzo settore, anche in qualità di impresa sociale,
non integra l'ipotesi di scioglimento dell'ente ai sensi e per gli effetti di
cui all'articolo 10, comma 1, lettera f)
del decreto legislativo 460/1997 e dell'articolo 4, comma 7, lettera b), del D.P.R. 633/1972.
Il primo dei testi normativi
ai quali si è fatto riferimento, vale a dire il decreto legislativo 460/1997
recante Riordino della disciplina
tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di
utilità' sociale, al suo articolo 10, comma 2, qualifica come
organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) le associazioni, i
comitati, le fondazioni, le società' cooperative e gli altri enti di carattere
privato, con o senza personalità giuridica, i cui statuti o atti costitutivi,
redatti nella forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata o
registrata, prevedono espressamente, in caso di scioglimento per qualunque
causa, l'obbligo di devolvere il patrimonio dell'organizzazione ad altre organizzazioni
non lucrative di utilità sociale o a fini di pubblica utilità, salvo diversa
destinazione imposta dalla legge.
Il D.P.R. 633/1972, che istituì l'imposta sul valore aggiunto e, con successive modificazioni, tuttora rappresenta il principale riferimento normativo in materia, riguarda l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di una serie di attività commerciali o agricole, anche se non organizzate in forma di impresa, nonché l'esercizio di attività, organizzate in forma d'impresa, dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell'articolo 2195 del codice civile sugli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese. La lettera b) del comma 7 dell'articolo 4 del D.P.R. prevede che le associazioni ed enti che inseriscano nei relativi atti costitutivi o statuti redatti nella forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata l'obbligo di devolvere il patrimonio dell'ente, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altra associazione con finalità analoghe o ai fini di pubblica utilità (salvo diversa destinazione imposta dalla legge) possano beneficiare di disposizioni recate da altri commi del medesimo articolo 4 del D.P.R. 633/1972. Tra le disposizioni applicabili alla condizione indicata dalla lettera b) del comma 7 dell'articolo 4, vi è che per le associazioni di promozione sociale ed enti le cui finalità assistenziali siano riconosciute, non si considera commerciale, anche se effettuata verso pagamento di corrispettivi specifici, la somministrazione di alimenti e bevande effettuata, presso le sedi in cui viene svolta l'attività istituzionale, da bar ed esercizi similari, sempreché tale attività sia strettamente complementare a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali e sia effettuata verso soci, associati e partecipanti.
Inoltre, il comma 8 contiene previsioni dello
stesso genere per gli enti associativi.
Anche per essi,
infatti, l'iscrizione nel Registro unico nazionale degli enti del Terzo
settore, anche in qualità di impresa sociale, non integra l'ipotesi di
scioglimento ai sensi e per gli effetti, nel loro caso, del comma 8
dell'articolo 148 del testo unico sulle imposte dei redditi, che è il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.
L'articolo 148 del D.P.R.
917/1986 interessa gli enti di tipo associativo. Tale articolo riporta ai suoi
commi 3, 5, 6 e 7 una serie di clausole fiscali vantaggiose in ordine a
molteplici attività, che vanno dalle cessioni di beni e le prestazioni di servizi
agli associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, alla
somministrazione di alimenti e bevande effettuata, presso le sedi in cui viene
svolta l'attività istituzionale, da bar ed esercizi similari,
all'organizzazione di viaggi e soggiorni turistici, e altro ancora. Il comma 8
dell'articolo 148 del D.P.R. 917/1986 puntualizza che i trattamenti fiscali
favorevoli di cui sopra si applicano a condizione che le associazioni
interessate si conformino alle seguenti clausole, da inserire nei relativi atti
costitutivi o statuti redatti nella forma dell'atto pubblico o della scrittura
privata autenticata o registrata: a)
divieto di distribuire anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione
nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell'associazione, salvo che
la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge; b) obbligo di devolvere il patrimonio
dell'ente, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altra
associazione con finalità analoghe o ai fini di pubblica utilità, salvo diversa
destinazione imposta dalla legge; c)
disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte
a garantire l'effettività del rapporto medesimo; d) obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto economico
e finanziario secondo le disposizioni statutarie; e) eleggibilità libera degli organi amministrativi, principio del
voto singolo, sovranità dell'assemblea dei soci, associati o partecipanti e
criteri di loro ammissione ed esclusione, criteri e idonee forme di pubblicità
delle convocazioni assembleari, delle relative deliberazioni, dei bilanci o
rendiconti; f) intrasmissibilità
della quota o contributo associativo, ad eccezione dei trasferimenti a causa di
morte, e non rivalutabilità della quota stessa.
Il comma 8, inoltre, puntualizza che le
precedenti disposizioni del comma stesso rilevano anche se l'iscrizione al
Registro unico nazionale del Terzo settore avvenisse prima di specifica
autorizzazione da parte della Commissione europea, richiesta a cura del
Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Sulla questione
dell'autorizzazione da parte della Commissione europea, cfr. anche il comma 10 infra
Il comma 9 (in considerazione della
facoltà attribuita al Governo dalla legge 106/2016, art. 1, co. 7 di adottare
disposizioni integrative e correttive dei decreti in materia di Terzo settore,
tenuto conto delle evidenze attuative nel frattempo emerse) prevede
l'effettuazione di uno specifico monitoraggio.
Tale monitoraggio,
sin dall'entrata in vigore delle disposizioni recate dal futuro Codice del
Terzo settore, servirà a raccogliere e
valutare le evidenze attuative che emergeranno nella fase di transizione
dalla vecchia alla nuova regolazione, e sarà coordinato dalla Cabina di regia
presso la Presidenza del Consiglio (Cabina della quale si è detto all'art. 97).
Il comma 10 riguarda l'efficacia delle
disposizioni recate dal co. 10 dell'art. 77 e dall'art. 80.
Come si è già avuto modo di vedere supra, l'art. 77 dello schema è
dedicato ai titoli di solidarietà, titoli ed obbligazioni aventi peculiari
caratteristiche che vengono emessi dagli
istituti di credito al fine di favorire il finanziamento ed il sostegno di
attività svolte dagli enti del Terzo settore non commerciali (tra le
peculiarità, il fatto che gli istituti emittenti non applicano le commissioni
di collocamento sui titoli di solidarietà). L'articolo 80, di natura fiscale,
permette agli enti del Terzo settore non commerciali di optare per una
determinazione forfetaria del reddito d'impresa.
Ai sensi del comma 10 dunque, l'efficacia delle disposizioni in oggetto, in base all'articolo
104, comma 2, dello schema, sarà
subordinata ad autorizzazione da
parte della Commissione europea, richiesta a cura del Ministero del lavoro e
delle politiche sociali, secondo i dettami dell'articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (TFUE).
Il Trattato al suo articolo
108 - che fa parte della sezione Aiuti
concessi dagli Stati del Capo I (Regole
di concorrenza) del Titolo VII (Norme
comuni sulla concorrenza, sulla fiscalità e sul ravvicinamento delle
legislazioni) -prevede che la Commissione proceda con gli Stati membri
all'esame permanente dei regimi di aiuti esistenti in questi Stati ed in
particolare, al paragrafo 3, dispone che alla Commissione siano comunicati, in
tempo utile perché essa presenti le sue osservazioni, progetti diretti a
istituire o modificare aiuti.
La Commissione, qualora
ritenesse che un determinato progetto non fosse compatibile con il mercato
interno dell'Unione europea, aprirebbe una procedura in merito, e lo Stato
membro interessato non potrebbe dare esecuzione alle misure progettate prima
che tale procedura abbia condotto a una decisione finale.
L’articolo 102 dispone numerose abrogazioni. Esse sono
diversamente modulate, quanto a decorrenza.
Le abrogazioni
previste dal comma 1 decorrono dal
giorno successivo a quello della pubblicazione del decreto legislativo sulla
Gazzetta ufficiale.
La lettera a) abroga per intero la legge n. 266 del 1991 - ossia la
legge-quadro sul volontariato - e la legge n. 383 del 2000, recante la disciplina
delle associazioni di promozione sociale.
Peraltro, alcune
puntuali disposizioni di queste medesime leggi hanno decorrenza differita,
secondo la previsione dei successivi commi.
La lettera b)
abroga gli articoli da 2 a 5 della legge n. 438 del 1998. Si tratta di un'abrogazione quasi per
intero poiché tale legge, recante Contributo
statale a favore delle associazioni nazionali di promozione sociale, è
composta di cinque articoli. Di essa sopravvive l'articolo 1 (Contributo alle associazioni di promozione
sociale). Sono invece abrogati gli articoli 2 (che a sua volta recava
abrogazioni), 3 (Controlli), 4 (Copertura finanziaria) e 5 (Disposizioni per il coordinamento con le
finalità del Fondo nazionale per le politiche sociali).
La lettera c)
abroga per intero il decreto del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali 14 settembre 2010, n. 102, "Regolamento concernente i criteri e le modalità per la
concessione e l'erogazione dei contributi di cui all'articolo 96 della legge 21
novembre 2000, n. 342, in materia di attività di utilità sociale, in favore di
associazioni di volontariato e organizzazioni non lucrative di utilità
sociale".
La lettera d)
abroga per intero il decreto del Ministro del tesoro 8 ottobre
1997, "Modalità per la costituzione dei fondi
speciali per il volontariato presso le regioni".
La lettera e)
e la lettera f) abrogano alcune
disposizioni del D.P.R. 917/1986.
Le parti abrogate
sono rispettivamente le lettere i e l) del comma 2 dell'articolo 100, del
D.P.R. 917/1986, e la lettera i-quater)
del comma 1 dell'articolo 15 del medesimo D.P.R.
L'articolo
100, sugli oneri di utilità sociale, al comma 2, lettere i) e l), dichiara
deducibili le spese relative all'impiego di lavoratori dipendenti, assunti a
tempo indeterminato, utilizzati per prestazioni di servizi erogate a favore di
ONLUS, nel limite del cinque per mille dell'ammontare complessivo delle spese
per prestazioni di lavoro dipendente, così come risultano dalla dichiarazione
dei redditi, e le e erogazioni liberali in denaro, per importo non superiore a
1.549,37 euro o al 2 per cento del reddito di impresa dichiarato, a favore di
associazioni di promozione sociale iscritte nei registri previsti dalle vigenti
disposizioni di legge.
L'articolo 15 del D.P.R.
917/1986 dispone una serie di detrazioni per oneri, di cui quelle alla lettera i-quater del comma 1, che sarà abrogata,
interessano le erogazioni liberali in denaro, per importo non superiore a 4
milioni di lire, a favore delle associazioni di promozione sociale iscritte nei
registri previsti dalle vigenti disposizioni di legge.
La lettera
g) del comma 1 dell'articolo 102 abroga i commi da 1 a 6 dell'articolo
14 del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni
urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e
territoriale).
Tale articolo 14 riguarda
ONLUS e Terzo settore e, nelle parti destinate ad essere abrogate, tratta di
liberalità in denaro o in natura erogate da persone fisiche o da enti soggetti
all'imposta sul reddito delle società in favore di organizzazioni non lucrative
di utilità sociale.
Il comma 2 reca un'altra serie di
abrogazioni le quali, a differenza di quelle del comma precedente, decorrono
dal periodo di imposta successivo all'autorizzazione della Commissione europea di
cui si è detto a proposito dell'articolo 101 e, comunque, non prima del periodo di imposta successivo di
operatività del Registro unico nazionale del Terzo settore.
La lettera a)
del comma 2 abroga gli articoli da 10 a 29 del decreto-legislativo 460/1997.
Tale decreto legislativo, che
a suo tempo riordinò la disciplina tributaria degli enti non commerciali e
delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, negli articoli da 10 a
29 reca varie disposizioni riguardanti le organizzazioni non lucrative di
utilità sociale; tra queste, il genere di attività che esse svolgono, la loro
anagrafe, agevolazioni ed esenzioni fiscali,
erogazioni liberali in loro favore, certificazioni, scritture contabili,
regime sanzionatorio per i responsabili
e gli amministratori, titoli di solidarietà. Come si vede, si tratta in gran
parte di materie per le quali lo schema di decreto legislativo in esame reca
una nuova disciplina.
In tema di scritture
contabili delle ONLUS, la lettera b) del comma 2 abroga l'articolo 20-bis del D.P.R. 600/1973. Tra gli obblighi imposti alle ONLUS dall'articolo 20-bis del quale si prospetta
l'abrogazione, vi sono la redazione di scritture contabili cronologiche e
sistematiche atte ad esprimere con compiutezza ed analiticità le operazioni
poste in essere in ogni periodo di gestione (comma 1), la rappresentazione
della situazione patrimoniale, economica e finanziaria della organizzazione,
distinguendo le attività direttamente connesse da quelle istituzionali (di
nuovo comma 1), l'integrazione del bilancio con una relazione di controllo
sottoscritta da uno o più revisori iscritti nel registro dei revisori contabili
qualora i proventi superino per due anni consecutivi un determinato ammontare (in
origine, due miliardi di lire).
Con la lettera c) del comma 2, è abrogato
l'articolo 150 del citato testo unico delle imposte sui redditi.
La norma abrogata stabilisce
che per le ONLUS, ad eccezione delle società cooperative, non costituisce
esercizio di attività commerciale lo svolgimento delle attività istituzionali
nel perseguimento di esclusive finalità di solidarietà sociale, e che i
proventi derivanti dall'esercizio delle attività direttamente connesse non
concorrono alla formazione del reddito imponibile.
Per mezzo della lettera d)
del comma 2, si abrogano due commi dell'articolo 8 della legge n 266 del 1991.
Ai sensi di uno dei due commi
da abrogare, il comma 2 dell'articolo 8 della legge in questione, le operazioni
effettuate dalle organizzazioni di volontariato costituite esclusivamente per
fini di solidarietà non sono considerate cessioni di beni ne' prestazioni di
servizi ai fini dell'imposta sul valore aggiunto; inoltre, ai sensi del
medesimo comma, le donazioni e le attribuzioni di eredità o di legato sono
esenti da ogni imposta a carico delle organizzazioni che perseguono esclusivamente
fini di solidarietà.
L'altro comma da abrogare, il
comma 4 dell'articolo 8 della legge 266/1991, afferma che i proventi derivanti
da attività commerciali e produttive marginali non costituiscono redditi
imponibili ai fini dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG) e
dell'imposta locale sui redditi (ILOR), qualora sia documentato il loro totale
impiego per i fini istituzionali dell'organizzazione di volontariato. La
materia disciplinata dalle suddette norme di cui si propone l'abrogazione
verrebbe regolata perciò dagli articoli 84 e 86.
La norma abrogata
dalla lettera e) del comma 2 è l'articolo 9-bis del decreto-legge 417/1991, convertito con modificazioni dalla legge 66/1992.
Tale articolo dispone che
alle associazioni senza fini di lucro, nonché alle associazioni pro-loco, si
applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla legge 398/1991,
la quale reca disposizioni tributarie relative alle associazioni sportive
dilettantistiche. Secondo la relazione illustrativa dello schema, a tali enti
potranno applicarsi le norme fiscali di cui al presente Codice del Terzo
settore, contestualmente all' iscrizione nel Registro unico nazionale.
La lettera f)
del comma 2 abroga il comma 31 dell'articolo 2 della legge 350/2003 (legge finanziaria per
il 2004).
Il comma che si intende
abrogare applica anche alle associazioni bandistiche e cori amatoriali,
filodrammatiche, di musica e danza popolare legalmente costituite senza fini di
lucro le disposizioni della suddetta legge 398/1991e le altre disposizioni
tributarie riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche. Anche in tal
caso, secondo ricorda la relazione illustrativa dello schema, si applicheranno
le nuove norme in materia recate dal presente schema di decreto legislativo.
La lettera g)
del comma 2 abroga due articoli della legge n. 383 del 2000 la quale disciplina
le associazioni di promozione sociale.
Tali articoli, 20 e 21,
riguardano rispettivamente le prestazioni in favore dei familiari degli
associati e l'imposta sugli intrattenimenti. Circa le prestazioni, l'articolo
20 da abrogare, al suo comma 1, statuisce che le cessioni di beni e le
prestazioni di servizi rese nei confronti dei familiari conviventi degli
associati sono equiparate, ai fini fiscali, a quelle rese agli associati,
mentre al suo comma 2 autorizza una spesa massima a decorrere dall'anno 2002
(di lire 5.400 milioni dell'epoca). L'articolo 21, relativo all'imposta sugli
intrattenimenti, prescrive che, in deroga ad altre norme, ai fini di tale
imposta le quote e i contributi corrisposti alle associazioni di promozione
sociale non concorrono alla formazione della base imponibile. In luogo degli
articoli 20 e 21 della legge 383/2000, sarebbero gli articoli 85 e 86 dello
schema.
Il comma 3 reca altre abrogazioni le
quali, diversamente da quelle di cui ai commi 1 e 2, decorrono dalla data di
efficacia di un futuro decreto del Ministro dell'Economia e delle finanze
previsto dall'articolo 103, comma 2, con il quale sono apportate le variazioni
di bilancio necessarie a dare attuazione al capitolo 73, comma 1, dello schema
in esame (peraltro, senza alcuna indicazione sui tempi di adozione del provvedimento).
L’articolo 73, comma 1, dello
schema in esame prevede che, a decorrere dal 2017, le risorse destinate da
disposizioni di legge al sostegno degli enti del Terzo settore cessino di
essere finanziate a valere sul Fondo nazionale per le politiche sociali e siano
trasferite per le medesime finalità su un apposito capitolo di spesa iscritto
nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Tra
le disposizioni interessate, figura l'articolo 12, comma 2, della già menzionata
legge 266 del 1991 che ha istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei
Ministri-Dipartimento per gli affari sociali, il Fondo per il volontariato,
finalizzato a sostenere finanziariamente i progetti sperimentali elaborati,
anche in collaborazione con gli enti locali, da organizzazioni di volontariato
per far fronte ad emergenze sociali e per favorire l'applicazione di
metodologie di intervento particolarmente avanzate.
Così come figura l'articolo
13 della legge n. 383 del 2000 che ha istituito, presso la Presidenza del
Consiglio dei ministri- Dipartimento per gli affari sociali, il Fondo per
l'associazionismo, finalizzato a sostenere finanziariamente le iniziative ed i
progetti sostegno delle iniziative di formazione e di aggiornamento per lo
svolgimento delle attività associative nonché di progetti di informatizzazione
e di banche dati, nonché progetti sperimentali per far fronte ad emergenze
sociali e per favorire l'applicazione di metodologie di intervento
particolarmente avanzate visti sopra.
Infine figura tra le
disposizioni abrogate dal comma 3 l'articolo 96 della legge n. 342 del 2000 che prescrive che una quota del Fondo nazionale per
le politiche sociali sia utilizzata per l'erogazione di contributi e per
l'acquisto, da parte delle ONLUS, di autoambulanze e di beni strumentali
utilizzati direttamente ed esclusivamente per attività di utilità sociale che
per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diverse utilizzazioni
senza radicali trasformazioni.
Il comma 4 dispone abrogazioni con
decorrenza dalla data di operatività del Registro unico nazionale peri il Terzo
settore (v. supra articolo 101).
Abroga, in
particolare, l'articolo 6 della legge n. 266 del 1991, gli articoli da 7 a 10
della legge 383/2000 e il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche
sociali 471/2001.
L'articolo 6 della legge n.
266 del 1991, tratta dei Registri delle organizzazioni di volontariato
istituiti dalle regioni e dalle province autonome. Gli articoli da 7 a 10 della
legge n. 383 del 2000 dettano norme sui registri nazionale, regionali e
provinciali delle associazioni di promozione sociale. Il decreto ministeriale 471/2001, pure destinato all'abrogazione, regolamenta
l'iscrizione e la cancellazione delle associazioni a carattere nazionale nel
Registro nazionale delle associazioni di promozione sociale.
L'articolo 103 riguarda la copertura
finanziaria dell'intero schema.
Il comma 1 prevede e quantifica una serie
di oneri derivanti dall'attuazione di una serie di articoli, espressamente
indicati, dell'Atto del Governo in oggetto. Gli articoli elencati sono i
seguenti: 53 (sul funzionamento del Registro unico nazionale del Terzo settore),
62 (sul finanziamento dei Centri di servizio per il volontariato), 72 (sul
fondo per il finanziamento di progetti e attività di interesse generale nel
Terzo settore), 77 (sui titoli di solidarietà), 79 (in materia di imposte sui
redditi), 80 (sul regime forfetario degli enti del Terzo settore non
commerciali), 81 (sul credito d'imposta denominato social bonus), 82
(riguardante imposte indirette e tributi locali), 83 (concernente detrazioni e
deduzioni per erogazioni liberali), 84 (sul regime fiscale delle organizzazioni
di volontariato), 85 (sul regime fiscale delle associazioni di promozione
sociale), 86 (sul regime forfetario per le attività commerciali svolte dalle
associazioni di promozione sociale e dalle organizzazioni di volontariato) e
101 (recante un insieme di norme transitorie che interessano enti iscritti nei
registri ONLUS, Organizzazioni di volontariato, Associazioni di promozione
sociale, Imprese sociali, reti associative, comitati di gestione, Cabina di
regia).
Gli oneri sono pari
a 10 milioni di euro per l'anno 2017,
poi a 60,7 milioni di euro per l'anno 2018; 98,1 milioni per l'anno 2019; 103,4
milioni per l'anno 2020; 166,9 milioni per l'anno 2021. Indi si attesteranno a
135,3 milioni di euro a decorrere dall'anno 2022.
Per gli oneri
connessi all'attuazione delle disposizioni degli articoli di cui sopra, si
provvederà mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa per
la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del
servizio civile universale, a suo tempo recata dall'articolo 1, comma 187,
della legge di stabilità per l'anno 2015 (legge 23
dicembre 2014, n. 190).
Si ricorda, in proposito, che la spesa autorizzata
dall'articolo 1, comma 187, della legge di stabilità per l'anno 2015 era di 50
milioni di euro per l'anno 2015, di 140 milioni di euro per l'anno 2016 e di
190 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2017.
Nella Relazione Tecnica che affianca lo schema di decreto legislativo sottoposto al parere parlamentare in commento vi è una tabella, nella quale sono riportati in dettaglio gli effetti finanziari complessivi ascrivibili al provvedimento negli anni dal 2017 al 2023 e seguenti, la cui consultazione può essere utile per eventuali approfondimenti.
Il comma 2 autorizza il Ministro
dell'Economia e delle finanze ad adottare decreti per apportare le variazioni
di bilancio necessarie.
Il comma 3 reca la clausola di invarianza
finanziaria per le restanti parti dello schema. In forza di tale clausola, le
disposizioni non comprese negli articoli elencati al comma 1 non causeranno
nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, mentre le
amministrazioni interessate provvederanno ad attuare le disposizioni
avvalendosi delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponili a
legislazione vigente.
L’articolo 104 detta le disposizioni transitorie e finali, e disciplina l’entrata in vigore del decreto in esame
Il comma 1 dispone l’applicabilità, in via transitoria, alle ONLUS (organizzazioni non lucrative di utilità sociale), iscritte negli appositi registri[80], alle organizzazioni di volontariato iscritte nei registri di cui alla legge-quadro sul volontariato (L.266/1991)[81] e alle associazioni di promozione sociale iscritte nei registri nazionali, regionali e delle provincie autonome di Trento e Bolzano previsti dall’articolo 7 della L. 383/2000[82], degli articoli 81 (che prevede il cd social bonus[83]), 82 (agevolazioni fiscali, in particolare, su imposte indirette e tributi locali), 83 (specifica disciplina per le deduzioni e detrazioni previste per chi effettua erogazioni liberali a favore di enti del Terzo settore non commerciali e di cooperative sociali), 84, comma 2 (esenzione dall’IRES dei redditi degli immobili destinati in via esclusiva allo svolgimento di attività non commerciale da parte delle organizzazioni di volontariato), 85, comma 7 (esclusione dall'IRES dei redditi degli immobili destinati in via esclusiva allo svolgimento di attività non commerciale da parte delle associazioni di promozione sociale) e dell’articolo 102, comma 1, numeri 5, 6 e 7, a decorrere dal periodo di imposta successivo al 31 gennaio 2017 e fino al periodo d’imposta di entrata in vigore delle disposizioni di cui al Titolo X.
Al riguardo si osserva, in termini di formulazione del testo, che
andrebbe corretto il riferimento interno all’articolo 102, comma 1, verificando
che non si intendesse invece far richiamo, rispettivamente, alle lett. e), f) e g) del medesimo comma 1 .
L’applicabilità di tale Titolo, che dispone circa il regime fiscale degli enti del terzo settore, è prevista, ai sensi del comma 2, per gli enti iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore, a decorrere dal periodo di imposta successivo all’autorizzazione della Commissione europea di cui all’articolo 101, comma 10 (v. ante[84]) e, comunque, non prima del periodo di imposta successivo di operatività del suddetto Registro.
Il comma 3, infine, stabilisce che il presente decreto entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana.
[1] Le disposizioni contenute nel Capo II del codice civile (dall’art. 14 all’art. 35) disciplinano le cosiddette associazioni riconosciute, ossia gli organismi associativi dotati di personalità giuridica, mentre il capo III (dall’art. 36 all’art. 42) regola le associazioni non riconosciute, ossia prive di personalità giuridica, ed i comitati. Le cooperative sono disciplinate dagli artt. 2511-2548 del Libro V del codice civile.
[2] Disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti di cui all'articolo 11,comma 1, del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, e disciplina fiscale delle operazione di ristrutturazione bancaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 1998, n. 461.
[3] Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale.
[4] Disciplina dell'impresa sociale, a norma della legge 13 giugno 2005, n. 118.
[5] Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.
[6] D.p.c.m. 12 gennaio 2017, Definizione ed aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza.
[7] Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale.
[8] Codice dei beni culturali e del paesaggio.
[9] Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato.
[10] Disciplina generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo.
[11] Ai sensi dell'art. 2, numero 99), del regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014
[12]
Ai sensi dell'art. 112, co. 2, del D. Lgs. 50/2016 (c.d. Codice dei contratti pubblici di lavori,
forniture e servizi).
.
[13] Ai sensi del D. Lgs. 251/2007 Attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonchè norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta.
[14] Definizione di alloggio sociale ai fini dell'esenzione dall'obbligo di notifica degli aiuti di Stato, ai sensi degli articoli 87 e 88 del Trattato istitutivo della Comunità europea.
[15] Disposizioni in materia di agricoltura sociale.
[16] Diritto del minore ad una famiglia.
[17] Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile.
[18] I contributi di natura non corrispettiva sono fattispecie particolari, come le somme erogate dai soci, ivi incluso, il socio ente pubblico per apporti di fondi di dotazione o di capitale, che non possono essere considerate corrispettivi di prestazioni di servizi in quanto si inseriscono nell’ambito del rapporto istituzionale tipico (associativo o fondativo) e non vanno assoggettati ad Iva. Lo stesso può dirsi quando le erogazioni sono effettuate in esecuzione di norme che prevedono l’erogazione di benefici al verificarsi di presupposti predefiniti, come ad esempio nel caso degli aiuti di Stato automatici, ovvero in favore di particolari categorie di soggetti (ad esempio contributi a valere sulle imposte dirette in favore delle confessioni religiose firmatarie di accordi con lo Stato o di associazioni, destinatarie del 5 o dell’8 per mille dell’IRPEF).
[19] Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale.
[20] Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell'articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183.
[21] L’art. 9, del TUIR precisa che per valore normale si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Esso è utilizzato per la quantificazione dei componenti reddituali quando sono espressi in natura o quando risulta del tutto assente l’indicazione di un corrispettivo. Così devono essere valorizzate al valore normale, a titolo di esempio, le cessioni di beni o le prestazioni di servizi effettuate a titolo gratuito, la destinazione di beni o servizi all'uso privato dell'imprenditore o comunque a finalità estranee all'esercizio di impresa.
[22] Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi.
[23] L' imprenditore che esercita un'attività commerciale deve tenere il libro giornale e il libro degli inventari . Deve altresì tenere le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa e conservare ordinatamente per ciascun affare gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite. Le disposizioni non si applicano ai piccoli imprenditori.
[24] Commissione europea, Approcci proposti per la misurazione dell’impatto sociale nella legislazione della Commissione europea e nelle pratiche relativamente a: FEIS e EaSI Sottogruppo GECES sulla misurazione dell’impatto 2014, 2015
[25]
Sul punto: Zamagni ed altri, Valutare l'impatto sociale. La questione
della misurazione nelle imprese sociali, in Impresa sociale 8/2016; Centro Studi Lang sulla Filantropia
Strategica, Theory of Change e
Valutazione dell’Impatto Sociale per una Filantropia Strategica: metodi e case history,
Philanthropy Insights n.4/2016;
Impronta etica e SCS Consulting, Le linee guida per la misurazione
dell’impatto sociale: una guida pratica per le organizzazioni, 2016; La valutazione dell’impatto sociale nel Terzo
Settore Il posizionamento scientifico di Euricse e il
metodo ImpACT, Position paper, 2016.
[26] Ai sensi dell’art. 51 del D.Lgs. 81/2015 “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’art. 1, comma 7, della Legge 10 dicembre 2014, n. 183, per contratti collettivi (CCL) si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ed i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali (RSA) ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria (RSU).
[27] In tal senso, ordinanza n. 23890 del 2015 della Corte di Cassazione. La Corte ha ribadito l’illegittimità dei rimborsi con criteri forfettari da parte dell’associazione di volontariato ai propri associati e ha confermato il principio secondo cui vanno assoggettate a imposizione fiscale le somme erogate dall’associazione ai volontari quando non rigorosamente riconducibili a rimborsi spese documentabili.
[28]
Disposizioni legislative in materia di
documentazione amministrativa.
[29] Ovvero titolari o non titolari di personalità giuridica.
[30] I decreti legislativi che il Governo è chiamato ad adottare per, il riordino, il coordinamento, la modifica e l’integrazione delle disposizioni legislative vigenti che disciplinano il Servizio nazionale della protezione civile dovranno rispondere anche al criterio di delega recato dall’art. 1, co. 1, lettera d) della legge 30/2017 in materia di “partecipazione dei cittadini, singoli e associati, anche mediante le formazioni di natura professionale, alle attività di protezione civile, con riferimento alla pianificazione delle iniziative da adottare per fronteggiare l'emergenza, alle esercitazioni, alla diffusione della conoscenza e della cultura della protezione civile allo scopo di promuovere la resilienza delle comunità, anche attraverso la consapevolezza dei diritti e dei doveri, e l'adozione di misure di autoprotezione, con particolare attenzione alle persone in condizioni di fragilità sociale e con disabilità, nonché di promuovere e sostenere le organizzazioni di volontariato operanti nello specifico settore, anche attraverso la formazione e l'addestramento dei volontari ad esse appartenenti, favorendone l'integrazione in tutte le attività di protezione civile”;
[31] Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile.
[32] Regolamento recante nuova disciplina della partecipazione delle organizzazioni di volontariato alle attività di protezione civile.
[33] Non può essere nominato amministratore, e se nominato decade dal suo ufficio, l'interdetto, l'inabilitato, il fallito, o chi è stato condannato ad una pena che importa l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o l'incapacità ad esercitare uffici direttivi.
[34] l'art. 2397, co. 2, del Codice civile prevede che almeno un membro effettivo ed uno supplente del Collegio sindacale devono essere scelti tra gli iscritti nel registro dei revisori contabili istituito presso il Ministero della giustizia. I restanti membri, se non iscritti in tale registro, devono essere scelti fra gli iscritti negli albi professionali individuati con decreto del Ministro della giustizia, o fra i professori universitari di ruolo, in materie economiche o giuridiche.
[35] In proposito: Centro Studi Lang sulla Filantropia Strategica, Filantropia Strategica. Il primo approfondimento in Italia sulle best practice a livello internazionale, Philanthropy Insights n.3/2015; Chiara Lodi Rizzini, Filantropia: tendenze e scenari, in Percorsi di secondo welfare, 6 marzo 2017.
[36] Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese.
[37] In proposito: Gianpaolo Barbetta, Rosangela Lodigiani, In or out ? Le società di mutuo soccorso tra Terzo settore e welfare plurale, in Politiche sociali n. 1/2016,
[38] Indagine ISNET sulle Società di Mutuo Soccorso in Italia, luglio 2016.
[39] Nuove norme in materia di società cooperative.
[40] L’articolo 7
della legge 383/2000 ha previsto in particolare l’istituzione, presso la
Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per gli affari sociali,
del registro nazionale al quale possono iscriversi, le associazioni di promozione
sociale a carattere nazionale (per le modalità operative di iscrizione si veda
il DM. 14 novembre 2001 n. 471). Le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano istituiscono, rispettivamente, registri su scala regionale e
provinciale.
[41] Individuazione, nello Statuto, delle attività di interesse generale che caratterizzano gli enti del Terzo settore e che costituiscono condizioni di accesso, soggette a verifica, alle agevolazioni previste dalla normativa.
[42] Individuazione dei criteri e delle condizioni in base ai quali differenziare lo svolgimento delle attività di interesse generale tra i diversi enti del Terzo settore.
[43] Definizione delle forme e delle modalità di organizzazione, amministrazione e controllo degli enti ispirate ai princìpi di democrazia, eguaglianza, pari opportunità, partecipazione degli associati e dei lavoratori nonché ai princìpi di efficacia, di efficienza, di trasparenza, di correttezza e di economicità della gestione degli enti, e predisposizione degli strumenti idonei a garantire il rispetto dei diritti degli associati e dei lavoratori.
[44] Previsione del divieto di distribuzione, anche in forma indiretta, degli utili o degli avanzi di gestione e del patrimonio dell'ente, fatte salve alcune forme di remunerazione del capitale sociale previste all'articolo 6, co. 1, lett. d), della stessa L. 106/2016.
[45] Misure di dettaglio sono in proposito previste, come specificato dalla relazione illustrativa, al decreto del MLPS di cui ai successivi articoli 53 e 54.
[46] Art. 10-bis - Comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza. 1. Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell'eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali. Non possono essere addotti tra i motivi che ostano all'accoglimento della domanda inadempienze o ritardi attribuibili all'amministrazione.
[47] Attualmente il principio del “silenzio assenso” vige anche per l’iscrizione al sopra citato registro nazionale ai sensi dell’art. 8, co. 3, della L. 383/2000.
[48] Decreto MLPS del 14 novembre 2001 n. 471, articolo 4.
[49] La relazione illustrativa chiarisce che si tratta di un atto di natura non regolamentare.
[50] Previsione di requisiti uniformi per i registri regionali all'interno del Registro unico nazionale di cui all'articolo 4, comma 1, lettera m).
[51] In base alla normativa vigente della citata L. 323/2000.
[52] Ai sensi del citato comma 2 per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni di cui al presente decreto continuano ad applicarsi anche al CONI.
[53] Il coinvolgimento degli enti del terzo settore, sotto il profilo dell’ambito oggettivo, viene quindi esteso a tutte le attività di interesse generale. Precedentemente infatti, in base alle previsioni della legge n. 328/2000 e del successivo D.P.C.M.30.3.2001, era limitato agli interventi e servizi sociali.
[54] Sul punto leggi anche: Auser, VI Rapporto su enti locali e terzo settore, 2013.
[55] Cfr. www.salute.gov.it
[56] In proposito si richiama il criterio direttivo previsto all'articolo 4, comma 1, lettera p), volto a riconoscere e valorizzare le reti associative di secondo livello, intese quali organizzazioni che associano enti del Terzo settore, anche allo scopo di accrescere la loro rappresentatività presso i soggetti istituzionali.
[57] La relazione illustrativa precisa che il numero deve essere calcolato sulla base dei dati amministrativi ricavabili dagli enti iscritti al Registro unico nazionale del Terzo settore (v. ante);
[58] In base alla normativa vigente che ne ha definito le attribuzioni (D.Lgs. n. 281 del 1997).
[59] Qui il testo dell’AG 403 e il Dossier di documentazione del Servizio Studi n. 476 del 7 aprile 2017.
[60] Comma aggiunto dall’art. 17 della L. n. 383/2000 che disciplina le associazioni di promozione sociale. In base a tale articolo, l'Osservatorio e l'Osservatorio nazionale per il volontariato designano 10 membri del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL), scelti fra le persone indicate dalle associazioni di promozione sociale e dalle organizzazioni di volontariato maggiormente rappresentative.
[61] La costituzione di tali fondi speciali costituiscono un obbligo in capo alle fondazioni bancarie, previsto dai propri statuti. Tali Fondi, costituiti presso le regioni, sono diretti ad istituire, attraverso gli enti locali, centri di servizio a disposizione delle organizzazioni di volontariato, allo scopo di qualificarne l’attività.
[62] Le fondazioni di origine bancaria, nate nell'ambito del processo di privatizzazione delle banche pubbliche (c.d. legge Amato, n. 218 del 1990), sono soggetti non profit, privati e autonomi, che perseguono scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico. Attualmente le fondazioni sono 88 e dispongono di ingenti patrimoni che devono investire in attività diversificate, prudenti e fruttifere; dagli utili derivanti dalla buona gestione di questi investimenti traggono le risorse per sostenere attività d'interesse collettivo sulla base della legge (D.Lgs. n. 153 del 1999) e del loro statuto.
[63] La relazione illustrativa fa riferimento, in particolare, alle organizzazioni di volontariato di cui alla L. 266/1991 (legge-quadro sul volontariato).
[64] Criterio di delega al punto 1) della lett. e), comma 1, art. 5, L. 106/2016.
[65] Criterio di delega al punto 2) della lett. e), comma 1, art. 5.
[66] Criterio di delega al punto 6) della lett. e), comma 1, art. 5.
[67] Ciò si traduce nell’evitare la compresenza di più CSV in uno stesso territorio.
[68] In ognuna delle regioni italiane, e in Trentino Alto Adige distintamente per la Provincie Autonome di Trento e di Bolzano, è istituito un autonomo fondo speciale, con cui vengono finanziate le attività dei Centri di servizio istituiti in ambito regionale.
[69] Per l’attività dei Comitati di gestione (Co.Ge) si rinvia al sito della Consulta dei Comitati di Gestione.
[70] Attualmente, i 78 Centri di servizio presenti sul territorio (per approfondimenti sull’attività dei Centri di servizio si rinvia al sito CSVnet, il Coordinamento Nazionale dei Centri di Servizio per il Volontariato) utilizzano i fondi speciali per il volontariato per la progettazione, la realizzazione e l'erogazione dei servizi destinati alle organizzazioni di volontariato (iscritte e non nei registri regionali) al fine di sostenerne e qualificarne l'attività, configurandosi al contempo come espressione del volontariato e strumento per la sua promozione.
[71] Anche in deroga alle disposizioni previste dalle singole leggi istitutive dei diversi crediti d’imposta. Il limite si prefigura per la sola cassa, in quanto l’ammontare eccedente è riportato in avanti anche oltre il limite temporale eventualmente previsto dalle singole leggi istitutive ed è comunque compensabile per l’intero importo residuo a partire dal terzo anno successivo a quello in cui si genera l’eccedenza.
[72] Promozione, da parte del MLPS, dell’adozione di adeguate ed efficaci forme di autocontrollo degli enti del Terzo settore anche attraverso l’utilizzo di strumenti volti a garantire la più ampia trasparenza e conoscibilità delle attività dirette dagli enti medesimi, sulla base di un apposito accreditamento delle reti associative di secondo livello ovvero, più specifico riferimento agli enti di piccole dimensioni, con i Centri di servizio per il volontariato.
[73] Deve essere inoltre rispettata la condizione che l'addetto alla somministrazione sia iscritto al registro degli esercenti commerciali.
[74] Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al D.Lgs. n. 300/1999, nonché il CONI, fino alla revisione organica della disciplina di settore.
[75] In base al Codice dei beni culturali (D.Lgs. 42/2004).
[76] In base alla L. 184/1983 (Diritto del minore ad una famiglia).
[77] Come definiti all'articolo 101 del Codice dei beni culturali.
[78] Nuova disciplina del sostegno alle attività di promozione sociale e contributi alle associazioni combattentistiche
[79] Contributo statale a favore delle associazioni nazionali di promozione sociale
[80] Si v. in particolare l’art. 10, co. 8, della L. 460/1997 che stabilisce che sono in ogni caso considerati ONLUS, nel rispetto della loro struttura e delle loro finalità, gli organismi di volontariato di cui alla legge-quadro sul volontariato (L. 266/1991), iscritti nei registri istituiti dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano.
[81] L’art. 6 di tale legge, in particolare, detta la disciplina di istituzione e la tenuta dei registri generali delle organizzazioni di volontariato da parte di regioni e province autonome.
[82] Tale norma istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per gli affari sociali un registro nazionale al quale possono iscriversi le APS a carattere nazionale in possesso degli specifici requisiti indicati dalla medesima legge (all’articolo 2) costituite ed operanti da almeno un anno.
[83] Un credito d'imposta per chi effettua erogazioni liberali in denaro a favore degli enti del Terzo settore non commerciali, a seguito di presentazione al MLPS di un progetto a sostegno del il recupero degli immobili pubblici inutilizzati e dei beni confiscati alla criminalità organizzata, oggetto di assegnazione ai predetti soggetti.
[84] Si tratta dell’autorizzazione preventiva della Commissione UE sulle norme che prevedono regimi di aiuti esistenti negli Stati membri, in merito alle quali la Commissione può presentare le sue osservazioni.