Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: RUE - Ufficio SG - Ufficio Rapporti con l'Unione europea
Titolo: Consiglio europeo Bruxelles, 19-20 ottobre 2017
Serie: Documentazione per l'Assemblea - Esame di atti e documenti dell'UE   Numero: 20
Data: 17/10/2017

Consiglio europeo
Bruxelles, 19-20 ottobre 2017

Il Consiglio europeo del 19-20 ottobre 2017, in base all’ordine del giorno, dovrebbe discutere, in particolare, di:

Il Consiglio europeo (a 27 Stati membri) esaminerà lo stato dei negoziati a seguito della notifica del Regno Unito a norma dell'articolo 50 del TUE.

Il 16 ottobre 2017 è stato pubblicato un primo progetto di conclusioni che è all’esame del Consiglio dell’UE affari generali del 17 ottobre 2017.

 

 


Migrazione

Il Consiglio europeo dovrebbe muovere dalla constatazione che l'approccio seguito dalle Istituzioni UE e dagli Stati membri per assicurare un controllo efficace delle frontiere esterne ha cominciato a dare i suoi frutti, quantificabili in una significativa riduzione dei flussi migratori e del numero delle vittime in mare. Dai dati aggiornati al 15 ottobre dell'UNHCR, il numero di migranti che hanno attraversato il Mediterraneo nel 2017 ha raggiunto le 143.898 unità (di cui circa 109 mila sono sbarcati sulle coste italiane) contro le 362.753 dell'intero 2016 (di cui 181 mila in Italia); i morti in mare o dispersi sono stati 2.765 contro i 5.096 dell'intero anno precedente.

 

 

Da tale dato si deve partire per rafforzare il perseguimento di un approccio di ampio respiro, incentrato, oltre che sulla vigilanza su tutte le rotte migratorie, su un uso pragmatico, flessibile e coordinato degli strumenti a disposizione, su forme di sostegno agli Stati membri direttamente colpiti e coinvolti e su una solida cooperazione con i paesi di origine e transito. 

Il Consiglio europeo dovrebbe invitare gli Stati membri e le istituzioni dell'UE a ridurre l'attrattiva della migrazione illegale tramite il rafforzamento della politica di rimpatrio, una più efficace attuazione degli accordi di riammissione e rendendo pienamente operativa l'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera.

Secondo quanto preannunciato nell'Agenda europea sulla migrazione (COM(2015)240), a settembre 2015 la Commissione ha presentato un primo Piano d'azione dell'UE sul rimpatrio (COM(2015)453)[1], seguito nel marzo 2017 da un rinnovato Piano di azione sul rimpatrio, e da una serie di raccomandazioni indirizzate agli Stati membri al fine di rendere più efficaci le procedure di rimpatrio.

Il 27 settembre 2017 la Commissione ha tuttavia preso atto dei risultati insoddisfacenti. Rileva in particolare che i tassi di rimpatrio sono stati di circa il 36% nel 2014-2015 e che nel prossimo futuro dovranno essere rimpatriati dagli Stati membri dell'UE 1,5 milioni di migranti[2]. Riferisce inoltre che, in base ai dati Eurostat, nel 2016 vi sono stati solo 226.000 rimpatri effettivi.

 

La Commissione propone pertanto una serie di misure, fra cui:

-   il potenziamento del dipartimento per i rimpatri nell'ambito della Guardia di frontiera e costiera europea, affinché questa possa assumere un "approccio proattivo" in materia di rimpatri e guidare e coordinare la gestione dei rimpatri a livello dell'UE[3].

Nella quinta e ultima relazione "sulle attività volte a rendere pienamente operativa la guardia di frontiera e costiera europea" (COM(2017)467), la Commissione ha rilevato che, da un lato, il numero delle operazioni di rimpatrio condotte dall’Agenzia congiuntamente agli Stati membri è aumentato, così come il numero dei Paesi di destinazione (tra il 1º gennaio e il 31 luglio 2017, l’Agenzia ha fornito sostegno a 193 operazioni di rimpatrio di cittadini di Paesi terzi, in cui sono stati rimpatriati 8.608 cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno era irregolare); dall'altro, il mandato sui rimpatri assegnato all’Agenzia a norma del regolamento offrirebbe un quadro molto più ampio, con nuovi strumenti che consentirebbero all’Agenzia e agli Stati membri di migliorare sensibilmente il tasso dei rimpatri[4];

-   il consolidamento delle politiche di rimpatrio, in stretta cooperazione con l'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera. A tal fine, il 27 settembre la Commissione ha adottato una raccomandazione (C(2017)6505) e una versione riveduta del Manuale sul rimpatrio (in allegato);

-   l'invito rivolto agli Stati membri posti alle frontiere esterne dell'UE di ricorrere, laddove opportuno, al sistema basato sui punti di crisi (hotspot) per garantire una gestione rapida delle operazioni di rimpatrio, soprattutto nel caso di afflussi massicci di arrivi irregolari;

-   una maggiore cooperazione sulla riammissione con i Paesi di origine dei migranti irregolari, facendo pieno uso di tutti gli incentivi e gli strumenti di pressione, a livello dell'UE e nazionale (come i quadri di partenariato e il rilascio dei visti).

Il Consiglio europeo dovrebbe richiedere un rafforzamento dell'efficacia delle missioni PSDC, tanto in termini di dotazione di personale, quanto tramite un adeguamento dei relativi mandati, così da garantire un loro pieno contributo alla lotta contro le reti di trafficanti e passatori e allo smantellamento dei rispettivi modelli di attività.

In proposito, si ricorda che allo stato attuale le missioni PSDC in corso sono 15, di cui 6 militari e 9 civili. Di queste missioni, oltre a EUNAVFOR MED Sophia, espressamente concepita per smantellare le reti di trafficanti nel Mediterraneo centrale e - in prospettiva - sulle coste libiche, con la cooperazione della guardia costiera locale, insistono su territori di origine o transito delle rotte migratorie le missioni localizzate nella stessa Libia (EUBAM Libia, civile), nel Mali (EUTM Mali nonché EUCAP Sahel Mali), nel Niger (EUCAP Sahel Niger) e in Somalia (EUNAVFOR Atalanta, EUTM Somalia ed EUCAP Somalia).

Il Consiglio dovrebbe invitare Stati membri e istituzioni ad applicare i programmi di reinsediamento esistenti e a rafforzarli, cooperando in tal senso con i partner internazionali, in particolare l'UNHCR.

Il 27 settembre 2017 la Commissione ha proposto un nuovo programma di reinsediamento dell'UE (raccomandazione C(2017)6504) in cui invita gli Stati membri a offrire almeno 50.000 posti di reinsediamento per ammettere persone bisognose di protezione internazionale da Paesi terzi entro il 31 ottobre 2019.

Gli Stati membri dovrebbero perseguire i seguenti scopi:

-   reinsediare dalla Turchia siriani e cittadini di Paesi terzi e apolidi sfollati a causa del conflitto in Siria;

-   portare avanti il reinsediamento dal Libano e dalla Giordania;

-   contribuire alla stabilizzazione della situazione nel Mediterraneo centrale reinsediando persone bisognose di protezione dalla Libia, dal Niger, dal Ciad, dall'Egitto, dall'Etiopia e dal Sudan, anche sostenendo il meccanismo temporaneo dell'UNHCR per l'evacuazione di emergenza dei gruppi di migranti più vulnerabili dalla Libia.

La raccomandazione rientra tra le iniziative assunte dalla Commissione per il rafforzamento dei percorsi legali di ingresso nell'UE e fa seguito alle misure già adottate. La raccomandazione (UE) 2015/914, dell'8 giugno 2015, relativa a un programma di reinsediamento europeo, invitava gli Stati membri a reinsediare, in un periodo di due anni, 20.000 persone provenienti da Paesi non appartenenti all'UE e con evidente bisogno di protezione internazionale secondo l'UNHCR. Il 20 luglio 2015, in occasione del Consiglio Giustizia e Affari interni (GAI), gli Stati membri, insieme agli Stati associati al sistema Dublino, hanno infine convenuto di reinsediare 22.504 persone bisognose di protezione internazionale dal Medio Oriente, dal Corno d'Africa e dal Nord Africa.

La Commissione ricorda di aver già destinato 500 milioni di euro al sostegno degli sforzi di reinsediamento degli Stati membri, tramite il Fondo Asilo, migrazione e integrazione. Al 20 settembre 2017, risultano complessivamente reinsediate, secondo il programma del luglio 2015 e in virtù della dichiarazione UE-Turchia (su cui vd. infra), più di 23.000 persone.

 

Il Consiglio europeo dovrebbe poi formulare una serie di impegni e di linee guida che attengono più nello specifico alla rotta del Mediterraneo centrale, e che dovrebbero consistere:

-   nella prosecuzione dell'azione di sostegno all'Italia e agli altri Stati membri nei loro sforzi finalizzati a ridurre i flussi migratori e ad aumentare i rimpatri, cooperando con i paesi di origine, transito e partenza;

-   nel sostegno, anche finanziario, agli sforzi profusi dall'UNHCR e dall'OIM in Libia e nella regione, al fine di facilitare i rimpatri volontari e il reinsediamento e migliorare le condizioni di accoglienza;

-   nella collaborazione con le autorità libiche ai fini di rafforzare la capacità di gestione delle frontiere e nel sostegno allo sviluppo delle comunità locali lungo le rotte migratorie;

-   nell'incoraggiamento ai lavori in corso che mirano a stabilire una presenza permanente dell'UE in Libia, tenendo conto delle condizioni sul terreno.

Gli impegni che il Consiglio europeo dovrebbe assumere o ribadire appaiono in linea con l'azione svolta dal Governo italiano in Libia, inaugurata il 2 febbraio 2017 con la firma di un accordo con il Governo libico di unità nazionale - finalizzato a ridurre il flusso di migranti -, perfezionata tramite la creazione di un Gruppo di contatto permanente riunitosi a Roma nel mese di marzo e a Tunisi in luglio, e culminata:

-      nel piano d'azione avviato a fine luglio e volto a sostenere l'Italia, ridurre la pressione migratoria e aumentare la solidarietà (che include, tra l'altro, un programma per l'incremento delle capacità delle autorità libiche e la redazione di un codice di condotta per le ONG che effettuano attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo);

-      nella Dichiarazione di Parigi del 28 agosto, approvata dai Capi di Stato e di Governo di Francia, Germania, Italia e Spagna insieme ai Capi di Stato e di Governo di Niger e Ciad, al Capo del Consiglio presidenziale della Libia e all'Alta Rappresentante UE, nella quale è stato espresso un pieno sostegno all'azione dell'Italia, con particolare riferimento al codice di condotta sui salvataggi in mare e ai progetti avviati con la Libia, come quello finalizzato allo sviluppo di 14 comunità locali sulle rotte migratorie. 

Un paragrafo delle conclusioni del Consiglio europeo dovrebbe essere poi dedicato all'approccio a lungo termine in materia di migrazione, finalizzato ad affrontarne le cause profonde e a fornire opportunità economiche e sociali. Il Consiglio europeo dovrebbe accogliere con favore il recente avvio del Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile, che sostiene gli investimenti in Africa e nei paesi del vicinato europeo e manifestare concreto interesse e aspettativa per il dibattito sulla cooperazione con i partner africani, che avrà luogo in occasione del vertice tra Unione africana e UE, previsto per il 29 e 30 novembre.

Il Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile (EFSD), istituito con il regolamento (UE) 2017/1601 del 26 settembre 2017, e concepito sul modello del Fondo europeo di investimenti strategici (FEIS), rappresenterà lo strumento principale per l'attuazione del Piano europeo per gli investimenti esterni (PIE) a sostegno degli investimenti in Africa, nonché nei paesi del vicinato. Scopo del piano è creare posti di lavoro e affrontare le cause profonde della migrazione, contribuendo altresì all'attuazione dell'accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. Partendo da una dotazione iniziale di 3,35 miliardi, il Fondo dovrebbe mobilitare fino a 44 miliardi, che potrebbero raddoppiare nel caso in cui gli Stati membri, insieme ad altri donatori, arriveranno a contribuire in misura pari all'UE. L'EFSD fungerà da "sportello unico" per ricevere proposte di finanziamento da enti finanziari e investitori pubblici o privati e fornire sostegno finanziario in forme molto diverse per gli investimenti ammissibili. Offrirà garanzie e utilizzerà meccanismi di finanziamento combinato per incoraggiare il settore privato a investire in contesti più rischiosi, come Stati fragili o zone di conflitto.

Il Consiglio europeo dovrebbe ribadire il proprio impegno nei confronti del sistema Schengen ed esprimere l'intenzione di realizzare il prima possibile un "ritorno a Schengen" tenendo pienamente conto, nel contempo, degli "interessi proporzionati" degli Stati membri in materia di sicurezza.

Il 4 marzo 2016 la Commissione ha presentato la comunicazione "Ritorno a Schengen - Tabella di marcia" (COM(2016)120), in cui ha illustrato i costi del "non Schengen" e le azioni da intraprendere per un ritorno al funzionamento normale dello spazio Schengen. Diversi Stati membri hanno infatti ripristinato temporaneamente i controlli alle loro frontiere interne, sospendendo in tal modo il corretto funzionamento dello spazio Schengen di libera circolazione[5].

Il Codice frontiere Schengen, istituito con il regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, prevede l'assenza del controllo di frontiera sulle persone che attraversano le frontiere interne fra gli Stati membri dell'Unione europea. A norma del capo II del regolamento, è tuttavia autorizzato, in circostanze eccezionali, il ripristino temporaneo dei controlli alle frontiere interne dello spazio Schengen. Tale possibilità è contemplata nel caso vi sia una grave minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza interna (articoli 25, 26, 27 e 28) o qualora sia messo a rischio il funzionamento complessivo dello spazio Schengen e il meccanismo di valutazione Schengen riscontri gravi e persistenti carenze nei controlli alle frontiere esterne, nella misura in cui tali circostanze costituiscano una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza interna (articoli 29 e 30).

Il 27 settembre 2017, la Commissione ha presentato una serie di misure per "preservare e rafforzare lo spazio Schengen". Fra queste, una proposta di modifica del il codice frontiere Schengen (COM(2017)571) con l'intento di adeguare alle esigenze attuali le norme sul ripristino temporaneo dei controlli alle frontiere interne e consentire agli Stati membri dell'Unione di far fronte alle "mutevoli e persistenti" minacce gravi per l'ordine pubblico o la sicurezza interna.

Il Consiglio europeo dovrebbe infine, in linea con le sue conclusioni del giugno 2017, compiacersi dei progressi conseguiti in merito alla riforma del sistema europeo comune di asilo.

Il Consiglio dovrebbe tuttavia sollecitare una maggiore convergenza verso un accordo che trovi il giusto equilibrio tra responsabilità e solidarietà e che garantisca la resilienza a crisi future.

Il 4 maggio e il 13 luglio 2016 la Commissione europea ha presentato un pacchetto di proposte legislative volte a una riforma complessiva del sistema europeo comune di asilo, fra cui la proposta di riforma del regolamento Dublino (COM(2016)270)[6].

Fra i principali obiettivi della proposta è la creazione di un "sistema più equo basato sulla solidarietà", per mezzo di un meccanismo di assegnazione correttivo (cd. meccanismo di equità), in base al quale, nel caso in cui uno Stato membro si trovi ad affrontare un afflusso sproporzionato di migranti, che superi il 150% della quota di riferimento, tutti i nuovi richiedenti protezione internazionale, dopo una verifica dell’ammissibilità della domanda presentata, verrebbero ricollocati negli altri Stati membri[7].

La proposta è ancora al vaglio delle istituzioni europee: il Parlamento europeo dovrebbe essere pronto per i triloghi in autunno, mentre il Consiglio sta cercando di predisporre un mandato negoziale per la fine dell’anno o l’inizio dell’anno prossimo (da un lato, Paesi come l'Italia ritengono che, ribadendo il principio dello Stato di primo approdo, la proposta sia fortemente penalizzante per quegli Stati che sono posti sulla linea di confine esterno dell’Unione europea; dall'altro, alcuni Stati membri, in particolare il cosiddetto gruppo dei Paesi di Visegrad, sono contrari a meccanismi obbligatori di redistribuzione dei richiedenti protezione internazionale) 

La I Commissione affari costituzionali della Camera ha esaminato le proposte della Commissione europea approvando un documento conclusivo nel quale, nell’esprimere una valutazione negativa sulla proposta di riforma del sistema comune di asilo, si segnala, in particolare, che i criteri in base ai quali si individua lo Stato competente dovrebbero essere modificati facendo prevalere, piuttosto che il principio di primo ingresso, una chiave di distribuzione che rifletta le dimensioni, la ricchezza e la capacità di assorbimento degli Stati membri. La Commissione ha altresì contestato la facoltà degli Stati membri di sottrarsi dall’obbligo di partecipare pro-quota al meccanismo di redistribuzione mediante il pagamento di un contributo economico.

Europa digitale

strategia per il mercato unico digitale

Il 10 maggio 2017 la Commissione europea ha pubblicato la revisione intermedia sull'attuazione della Strategia per il mercato unico digitale, nella quale valuta i progressi compiuti e invita il Parlamento europeo e il Consiglio ad approvare in tempi rapidi le proposte ancora in corso di esame.

La Commissione europea ricorda che dal lancio della Strategia, nel maggio 2015, ha presentato in totale 35 proposte legislative, tuttavia ad oggi solo tre di queste sono state approvate in via definitiva:

·        l’abolizione delle tariffe di roaming a partire dal 15 giugno 2017;

·        il coordinamento dell’uso della banda di frequenza 700 MHz a partire dal 2020;

Sulla proposta la Commissione IX (Trasporti) della Camera ha adottato un documento finale in cui ha espresso un parere sostanzialmente favorevole formulando alcune osservazioni, con particolare riferimento alla necessità di una proroga del termine per la liberazione della banda al 2022;

·        la portabilità transfrontaliera dei contenuti digitali a partire dal 2018.

Sulla proposta le Commissioni riunite IX (Trasporti) e X (Attività produttive) della Camera hanno adottato un documento finale in cui hanno espresso un parere favorevole formulando alcune osservazioni, con particolare riferimento alla necessità di definire il concetto di temporaneità della presenza in altro Stato membro.

 

Un primo accordo tra Consiglio e Parlamento europeo è stato raggiunto anche sulla proposta relativa alla realizzazione di connessioni Wi-Fi gratuite negli spazi pubblici, che dovrebbe permettere a circa 8.000 comunità locali di beneficiare di un finanziamento totale di 120 milioni di euro fino al 2020.

La Commissione europea ha sottolineato come, nonostante i buoni progressi complessivi, esistano ancora criticità legate alle differenze di posizione tra gli Stati membri, in particolare per quanto riguarda le proposte in materia di contratti di compravendita a distanza, diritto d’autore, geoblocking[8] e IVA sugli e-book.

Sulle proposte in materia di contratti di compravendita a distanza, le Commissioni riunite IX (Trasporti) e X (Attività produttive) della Camera hanno adottato un documento finale in cui hanno espresso un parere favorevole, formulando alcune osservazioni, in particolare in merito allo spostamento dell’onere della prova sul venditore e alla possibilità di una controprestazione non pecuniaria consistente nel consenso all’accesso a dati personali. 

Il Consiglio europeo dovrebbe adottare come base per la discussione le conclusioni del Digital Summit tenutosi a Tallinn lo scorso 29 settembre. In particolare, il Consiglio europeo dovrebbe sottolineare l’importanza di completare e attuare la Strategia per il mercato unico digitale entro il 2018.

Al riguardo, il Consiglio europeo dovrebbe affermare che per costruire con successo un’Europa digitale l’UE ha bisogno dei seguenti elementi.

E-government e settore pubblico digitalizzato

Il Consiglio europeo dovrebbe chiedere l'attuazione della Dichiarazione ministeriale di Tallinn sull'e-Government. In particolare, la Dichiarazione conferma l’impegno nell’attuazione del piano d'azione dell'UE per l'e-Government 2016-2020, adottato il 19 aprile 2016 dalla Commissione europea, e annuncia le azioni che le pubbliche amministrazioni dovranno intraprendere nei prossimi cinque anni (2018-2022) per il raggiungimento dei seguenti obiettivi:

·        digital-by-default, inclusività e accessibilità;

·        once-only principle (le pubbliche amministrazioni dovrebbero evitare di chiedere ai cittadini e alle imprese informazioni già disponibili);

·        affidabilità e sicurezza;

·        apertura e trasparenza;

·        interoperabilità by default.

Il piano d’azione non dispone di un budget o di strumenti di finanziamento dedicati, tuttavia dovrebbe essere d’ausilio nel coordinare le risorse a disposizione degli Stati membri attraverso diversi programmi dell’UE (Connecting Europe Facility per le telecomunicazioni, Programma ISA2[9], Horizon 2020, Fondi strutturali e d'investimento europei e Programma di sostegno alle riforme strutturali).

Si segnala che l’Italia occupa la 25a posizione nella classifica dell'Unione europea (indice DESI 2017) relativa all’utilizzo dei servizi di e-government con il 16% di utenti dei servizi di governo elettronico, rispetto a una media europea del 34%. Risultati parzialmente migliori si registrano per quanto riguarda l'erogazione dei servizi pubblici online (16a posizione) e gli open data (19a posizione).

Un quadro regolatorio orientato al futuro

Il Consiglio europeo dovrebbe far riferimento al Consiglio telecomunicazioni del 24 ottobre prossimo che dovrebbe discutere su come accelerare e dare priorità al mercato unico digitale, con particolare riguardo alla necessità di raggiungere un accordo sulle proposte in materia di geoblocking[10] e di servizi di media audiovisivi entro la fine del 2017. Entro la stessa data, il Consiglio dovrebbe raggiungere un approccio generale sulle proposte sul libero flusso dei dati[11] e sul codice delle comunicazioni elettroniche e dare priorità ai negoziati in corso sulle proposte relative al diritto d’autore e ai contratti di compravendita a distanza.

Infrastrutture e reti di comunicazione necessarie per lo sviluppo coordinato del 5G

Secondo la Commissione europea, mancherebbero ancora 155 miliardi di euro di investimenti, rispetto al fabbisogno totale di 500 miliardi di euro, per conseguire gli obiettivi di connettività Internet per il 2025 (accesso per tutte le famiglie europee a connessioni internet di almeno 100 Mbps e la copertura 5G per tutte le aree urbane e le principali vie di trasporto terrestre).

Per stimolare gli investimenti, l’UE ha mobilitato:

·        i Fondi strutturali e di investimento europei (circa 6 miliardi di euro fino al 2020 per offrire a oltre 14,5 milioni di famiglie l'accesso alla banda larga ad alta velocità);

·        il Fondo europeo per gli investimenti strategici (circa 1 miliardo di euro per progetti relativi alla banda larga, che ha generato circa 3,2 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati)[12];

·        il meccanismo per collegare l’Europa, con un’allocazione di 1,04 milioni di euro per il periodo 2014-2020 per la realizzazione di reti a banda larga veloci e ultraveloci e servizi digitali paneuropei.

Inoltre, nel 2016 la Commissione europea e la BEI hanno annunciato la costituzione del Fondo per la banda larga per collegare l’Europa (Connecting Europe Broadband Fund), nel quadro del FEIS, con la partecipazione anche della Cassa depositi e prestiti italiana, che dovrebbe condurre alla costituzione di una piattaforma di investimenti pubblici e privati per sostenere le infrastrutture delle reti digitali nelle zone insufficientemente servite, con l’obiettivo di mobilitare un investimento supplementare di 1,7 miliardi di euro fino al 2021.

Le reti di accesso di nuova generazione (NGA) sono accessibili al 76% delle famiglie dell’UE (indice DESI 2017). In Italia, nell'ultimo anno si è registrato un notevole miglioramento della copertura NGA, passata dal 41% della popolazione nel 2015 al 72% nel 2016, che ha consentito all’Italia di passare dalla 27a alla 23a posizione nella classifica UE. Per quanto riguarda la copertura 4G, in Italia è dell’86%, superiore quindi alla media UE che è dell’84%.

In esito all’esame del piano d’azione per il 5G presentato dalla Commissione europea, la IX Commissione (Trasporti) della Camera ha approvato un documento finale in cui ha espresso un parere favorevole, formulando alcune osservazioni, con particolare riferimento alla necessità di garantire un cronoprogramma puntuale che stabilisca le scadenze e individui le risorse finanziarie.

Un approccio comune sulla cibersicurezza

Il Consiglio europeo dovrebbe invitare a esaminare tempestivamente le proposte della Commissione europea in materia di cibersicurezza e ad intensificare gli sforzi per contrastare il terrorismo e la criminalità online. Inoltre, dovrebbe accogliere con favore la comunicazione della Commissione europea in materia di contrasto dei contenuti illegali online, presentata il 28 settembre 2017.

Il 13 settembre 2017 la Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure per rafforzare la cibersicurezza nell'UE, che comprende:

·        la costituzione un'Agenzia dell'Unione europea per la cibersicurezza, intesa ad assistere gli Stati membri nel prevenire e contrastare i ciberattacchi, e un nuovo sistema europeo di certificazione per garantire che i prodotti e i servizi siano sicuri;

·        disposizioni per contrastare la frode e la falsificazione di mezzi di pagamento diversi dai contanti, comprese le operazioni tramite valute virtuali.

Secondo la Commissione europea, le minacce digitali stanno rapidamente evolvendo: l'impatto economico della cibercriminalità è aumentato di cinque volte tra il 2013 e il 2017 e dal 2015 gli attacchi con ransomware sono aumentati del 300%.

Un mercato del lavoro e sistema educativo adeguati allo sviluppo di competenze digitali

Nel giugno 2016 la Commissione europea ha adottato la nuova Agenda per le competenze per l’Europa che sottolinea l’importanza delle competenze digitali nel mercato del lavoro.

Secondo la Commissione europea (indice DESI 2017), il 44% della popolazione dell’UE e il 37% della sua forza lavoro dispongono di un grado insufficiente di competenze digitali. L’Italia occupa la 24a posizione nella classifica dell'UE relativa al capitale umano per uso di Internet, competenze digitali di base e avanzate, con il 67% di utenti regolari di Internet, il 44% della popolazione con competenze digitali di base, il 2,5% di specialisti in tecnologie dell’informazione e della comunicazione tra gli occupati, l’1,4% di laureati in materie scientifiche sul totale dei laureati.

Investimenti in ricerca e sviluppo per stimolare la trasformazione digitale dell’industria, in particolare attraverso Horizon 2020, i Fondi strutturali e di investimento europei e il FEIS

Nell’aprile 2016 la Commissione europea ha adottato una strategia globale sulla digitalizzazione dell’industria.

Le Commissioni riunite IX (trasporti) e X (Attività produttive) della Camera hanno esaminato la comunicazione della Commissione europea “Digitalizzazione dell'industria europea” approvando un documento finale in cui hanno espresso un parere favorevole, formulando alcune osservazioni, con particolare riferimento alla necessità di garantire sia a livello europeo che nazionale un sistema efficace di governo del processo di digitalizzazione dell’industria.

Nell’ambito del II pilastro “Leadership industriale” del Programma Horizon 2020, per il periodo 2014-2020 è previsto uno stanziamento di oltre 13 miliardi di euro per consolidare la leadership europea nelle tecnologie abilitanti e industriali, fornendo sostegno all’ICT, alle nanotecnologie, ai materiali avanzati, alle biotecnologie, ai sistemi avanzati di fabbricazione e trattamento e alla ricerca spaziale. In particolare, per il biennio 2016-2017,·il programma di lavoro di Horizon 2020 ha destinato 1 miliardo di euro all’ammodernamento dell'industria manifatturiera europea e 139 milioni di euro per l’Internet degli oggetti a sostegno della digitalizzazione dell’industria dell'UE.

Nell’ambito dei Fondi strutturali e di investimento, circa 120 miliardi di euro, secondo la Commissione europea, sono a disposizione degli Stati membri per investimenti in ricerca e innovazione e a sostegno delle tecnologie digitali.

Inoltre, per quanto riguarda il FEIS, il 22% degli investimenti complessivi è destinato a ricerca, sviluppo e innovazione. Fino a settembre 2017 sono stati approvati progetti che dovrebbero mobilitare investimenti per circa 52 miliardi di euro.

Apertura ai trend emergenti, che includono intelligenza artificiale e tecnologie blockchain[13]

Il Consiglio europeo dovrebbe invitare la Commissione europea ad adottare un approccio comune sull’intelligenza artificiale entro i primi mesi del 2018, facendo anche seguito a una risoluzione del Parlamento europeo del 16 febbraio 2017, che consenta di sfruttarne appieno il potenziale economico.

Nel 2014 la crescita della vendita dei robot è aumentata al 29%, quasi il doppio della media degli anni precedenti e le richieste di brevetto per le tecnologie robotiche si sono triplicate nel corso dell'ultimo decennio. Entro il 2020, si prevede che il mercato mondiale avrà un valore di oltre 150 miliardi di dollari. A livello internazionale, l'Asia è il mercato a più alto tasso di crescita: la Cina ha superato da sola l'intera Europa. L'Italia è il sesto Paese del mondo produttore di robot industriali e il secondo in Europa dopo la Germania.

Al contempo, il Consiglio europeo dovrebbe, affermare l’importanza di assicurare un alto livello di protezione dei dati personali, diritti digitali e standard etici.

In merito, si ricorda che la Presidenza della Camera dei deputati ha promosso la costituzione di una Commissione di studio per l'elaborazione di principi in tema di diritti e doveri relativi ad Internet che, in data 28 luglio 2015, ha approvato la Carta dei diritti in Internet. Successivamente, il 3 novembre 2015, l’Assemblea della Camera ha approvato una mozione che impegna il Governo ad attivare ogni utile iniziativa per la promozione e l’adozione a livello nazionale, europeo e internazionale dei princìpi contenuti nella Carta.

Un sistema di tassazione adeguato all’era digitale

Il 21 settembre 2017 la Commissione europea ha presentato una comunicazione sulla tassazione dell'economia digitale, che mira a porre le premesse per la definizione di un regime fiscale omogeneo, auspicabilmente da condividere a livello internazionale.

Secondo la Commissione europea, è necessario che gli Stati membri convergano su una posizione comune dell’UE che possa contribuire a conseguire risultati concreti in sede OCSE. La Commissione europea segnala, tuttavia, che non è cosa agevole pervenire a un accordo condiviso a livello globale e preannuncia, pertanto, in mancanza di accordo, l’intenzione di presentare una propria proposta legislativa nel 2018.

In particolare, la comunicazione prospetta quale possibile soluzione il modello della base imponibile comune consolidata, su cui la Commissione europea già da tempo ha presentato una proposta per la determinazione della base imponibile per le imposte sulle società, sulla quale si registra tuttavia un negoziato piuttosto difficile per le perplessità di diversi Paesi, che sino ad ora ne hanno impedito un iter spedito.

Negli scorsi anni c’è stata una rapidissima crescita dell’economia digitale: mentre nel 2006 le imprese del comparto raccoglievano soltanto il 7% della capitalizzazione complessiva, nel 2017 ben nove tra le prime venti società operavano nel settore digitale e raccoglievano il 54% della capitalizzazione complessiva. Inoltre, tra il 2008 e il 2016 il fatturato delle cinque maggiori imprese di e-commerce è cresciuto mediamente del 32% l'anno, a fronte di un aumento del solo 1% dell’intero settore al dettaglio.

La Commissione europea segnala che, in media, le imprese del comparto subiscono una tassazione dell’8,5%, meno della metà di quella delle imprese tradizionali.

In merito, si evidenzia che il Governo italiano ha sottoscritto una proposta congiunta con i Governi tedesco, francese e spagnolo (firmata anche da Austria, Bulgaria, Grecia, Portogallo, Slovenia, Romania), che è stata presentata al Digital Summit di Tallinn. La proposta punta a tassare le grandi imprese dell’economia digitale dove realizzano profitti, anziché dove stabiliscono la propria sede centrale.

Difesa e Sicurezza

Il Consiglio europeo dovrebbe ribadire l’impegno a rafforzare la cooperazione dell'UE in materia difesa e dovrebbe esprimere apprezzamento sui progressi conseguiti per l’avvio di una cooperazione strutturata permanente nel settore della difesa (PESCO) entro la fine del 2017. Il Consiglio europeo dovrebbe esortare gli Stati membri a notificare rapidamente la loro intenzione a partecipare alla PESCO, al fine di consentire al Consiglio dell’UE affari generali di prendere una decisione sull’avvio della PESCO e sui primi progetti entro la fine del 2017.

Il Consiglio europeo del 22 e 23 giugno 2017 ha raggiunto un accordo sulla necessità di avviare una cooperazione strutturata permanente (PESCO). Il Consiglio europeo ha previsto che verrà inviata una notifica non appena concordato un elenco comune di criteri e impegni vincolanti, in conformità con le disposizioni dei Trattati, che verrà redatto entro tre mesi dagli Stati membri, con un calendario preciso e specifici meccanismi di valutazione, al fine di consentire agli Stati membri in condizione di farlo di svolgere le missioni più impegnative.

Il Consiglio europeo dovrebbe, inoltre, richiamare l’importanza di pervenire in tempi rapidi ad un accordo in sede di Consiglio sulla proposta di regolamento relativa al programma europeo di sviluppo del settore industriale della difesa entro la fine del 2017, in vista della conclusione dei negoziati con il PE affinché nel 2019 possano essere finanziati i primi progetti.

L’art. 42, paragrafo 6 del TUE prevede che gli Stati membri che rispondono a criteri più elevati in termini di capacità militari e che hanno sottoscritto impegni più vincolanti in materia ai fini delle missioni più impegnative possano instaurare una cooperazione strutturata permanente (PESCO) nell’ambito dell’Unione. L’art. 46 del TUE prevede che, il Consiglio a maggioranza qualificata, possa creare una PESCO tra gli Stati membri che hanno volontà politica di aderirvi e che sottoscrivono gli impegni in materia di capacità militare specificati nel Protocollo n. 10, allegato ai Trattati, relativo alla cooperazione strutturata permanente.

Il Consiglio europeo dovrebbe, inoltre, incoraggiare gli Stati membri a valutare tutte le possibilità di ricorrere ai meccanismi di finanziamento flessibili del Fondo europeo per la difesa, per consentire l'acquisizione congiunta di capacità e/o la loro manutenzione congiunta e la BEI a valutare ulteriori iniziative al fine di sostenere gli investimenti in attività di ricerca e sviluppo nel settore della difesa. Il Consiglio europeo dovrebbe, infine, accogliere con favore l'avvio del collaudo della revisione coordinata annuale sulla difesa (CARD).

La CARD è una procedura di revisione annuale coordinata tra gli Stati membri dei piani di difesa nazionali al fine di garantire un utilizzo ottimale, nonché coerente dei piani nazionali di spesa.

Si ricorda che il 7 giugno 2017, la Commissione europea ha presentato una comunicazione sul fondo europeo per la difesa articolato in due sezioni rispettivamente per:

·      il finanziamento di progetti di ricerca collaborativa nel settore della difesa;

·      lo sviluppo e acquisto di capacità.

Contestualmente, la Commissione ha presentato la proposta di programma europeo di sviluppo del settore industriale della difesa (sezione capacità del Fondo europeo per la difesa) per il quale propone una dotazione complessiva pari a 500 milioni di euro per il 2019 e il 2020 (che nell’ambito di un futuro programma post 2020 - che la Commissione si è impegnata a presentare entro il 2018, in modo che il programma possa essere operativo dal 1° gennaio 2021 - salirà ad 1 miliardo di euro).

In esito all’esame del piano d’azione per la difesa europea, la IV Commissione difesa della Camera dei deputati, ha approvato un documento finale con il quale impegna il Governo a:

·        partecipare attivamente al processo d’integrazione degli Stati membri nel settore della difesa, proponendo soluzioni e stimolando il confronto, in sinergia con gli altri Paesi europei;

·        sostenere la base industriale e tecnologica italiana nella sua interezza, prestando attenzione a che la concreta attuazione del piano d’azione per la difesa europea non comporti un danno per l'industria nazionale – e, segnatamente, per le piccole e medie imprese italiane altamente specializzate – e per i centri di ricerca nazionali;

·        rafforzare la collaborazione sistematica e non episodica tra il sistema produttivo, il mondo universitario e i centri di ricerca;

·        valutare la possibilità di attuare iniziative a supporto degli eventuali processi di riconversione delle attività industriali, al fine di attutire possibili conseguenze negative sull'occupazione derivanti dalle attività di integrazione e razionalizzazione del settore industriale della difesa a livello europeo.

Relazioni esterne

Il Consiglio europeo, sulla base di quanto emerso dall'agenda commentata e dal primo progetto di conclusioni, dovrebbe tenere un dibattito sulle relazioni con la Turchia.

L'inclusione della Turchia all'ordine del giorno del Consiglio europeo è stata richiesta con particolare forza dalla Germania, che ha invitato tra l'altro la Commissione a esprimere una valutazione orale sul rispetto da parte del Governo turco dei criteri di Copenaghen (criteri di adesione). La posizione tedesca, molto intransigente, è controbilanciata dall'approccio votato a maggiore cautela di altri Stati membri come Regno Unito, Malta, Belgio, Spagna, Bulgaria, Ungheria, Slovacchia, Repubblica ceca e come la stessa Grecia, che pongono l'accento, con diversi distinguo, sulla necessità di non compiere passi irreversibili nei confronti di quello che rimane un fondamentale partner strategico, e di non "affossare" in via definitiva la prospettiva europea del Paese.

Una posizione di mediazione, in occasione del Consiglio affari generali del 26 settembre scorso, è stata espressa anche dal Governo italiano - rappresentato dal Sottosegretario Gozi -, favorevole a misure che consentano di tenere aperti i principali canali di dialogo con la Turchia, al doppio scopo di non isolare il paese (alimentando il rischio di ulteriori involuzioni sul piano interno) e di preservarne a pieno il ruolo strategico in ambito migratorio e di lotta al terrorismo.

Sempre per quanto attiene ai rapporti istituzionali tra UE e Turchia va ricordato come il Parlamento europeo, il 6 luglio 2017, abbia approvato una risoluzione nella quale, al termine dell'esame della relazione 2016 della Commissione sulla Turchia, ha sottolineato, tra l'altro:

-      l'importanza strategica di buone relazioni UE-Turchia e il valore aggiunto della cooperazione nell'affrontare le sfide che ambedue le parti si trovano a dover gestire;

-      le preoccupazioni per le irregolarità nello svolgimento del referendum del 16 aprile 2017, e per il sostegno ripetutamente espresso dal presidente turco a favore di una reintroduzione della pena di morte, nonché per le ripetute violazioni dello stato di diritto, che non sono giustificabili in una mera chiave emergenziale;

-      la necessità che i negoziati di adesione siano interrotti senza indugio nel caso in cui il pacchetto di riforme costituzionali dovesse essere approvato senza modifiche;

-      l'opportunità di approfondire le relazioni UE-Turchia in settori chiave di interesse comune quali la lotta al terrorismo, la migrazione, l'energia, l'economia e il commercio;

-      l'urgenza di un vertice tra Consiglio e governo turco, che lo stesso Consiglio è invitato a convocare al più presto;

-      l'importanza di una piena implementazione della Dichiarazione UE-Turchia[14]. In tale ambito, viene elogiato l'impegno del governo turco e delle ONG locali nonché l'ospitalità dimostrata dalla popolazione nell'accogliere circa tre milioni di rifugiati, e si incoraggiano gli Stati membri "ad avviare il programma di reinsediamento volontario dei rifugiati più vulnerabili presenti in Turchia".

Sempre in tema di relazioni esterne, da alcuni Stati membri - prima fra tutti la Francia - è stata avanzata la richiesta di includere nelle conclusioni del Consiglio europeo un riferimento alla Repubblica popolare democratica di Corea.

I capi di Stato e di governo dovrebbero pertanto chiedere alla Repubblica di Corea di ottemperare pienamente e incondizionatamente, senza indugio, alle sanzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dando piena attuazione alle risoluzioni dell'UNSC. Dovrebbero altresì imporre l'abbandono dei programmi missilistici e balistici in corso, in maniera verificabile e irreversibile, nonché discutere di ulteriori risposte alla minaccia coreana, anche mediante misure autonome dell'UE che integrino e rafforzino le risoluzioni del Consiglio di sicurezza.

Il Consiglio europeo dovrebbe infine riaffermare il proprio impegno nell'attuazione del Piano d'azione congiunto globale (PACG), l'accordo sul nucleare iraniano, e dare sostegno alla Dichiarazione adottata in occasione del Consiglio Affari esteri del 16 ottobre 2017.

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato il PACG mediante la risoluzione 2231(2015) il 20 luglio 2015.

Brexit

Il Consiglio europeo (a 27 Stati membri) dovrebbe svolgere una discussione sullo stato dei negoziati sulla Brexit.

In mancanza di effettivi progressi nei negoziati sulla Brexit sulle tre priorità della prima fase dei negoziati (diritti dei cittadini, liquidazione degli obblighi finanziaria a carico del Regno Unito e gestione del confine tra Irlanda e Irlanda del Nord), il Consiglio europeo dovrebbe rinviare la valutazione sul passaggio alla seconda fase dei negoziati, dedicati al futuro quadro delle relazioni tra Regno Unito e UE, al Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre.

Secondo una bozza di conclusioni del Consiglio europeo, trasmessa dal Segretariato del Consiglio al COREPER il 12 ottobre e relativa esclusivamente ai negoziati sulla BREXIT, si rinvia al Consiglio europeo di dicembre la valutazione sul fatto che sia stati raggiunti progressi sufficienti per l’avvio della seconda fase dei negoziati relativa alle future relazioni tra l’UE e il Regno Unito ed alle eventuali disposizioni transitorie. A tal fine, la bozza di conclusione prevede che il Consiglio europeo, al fine di essere già pronto per tale scenario, inviti il Consiglio dell’UE e il Capo negoziatore della Commissione europea ad avviare una discussione interna preparatoria su tali profili.

Si ricorda che il Primo ministro del Regno Unito, Theresa May, nel discorso pronunciato a Firenze lo scorso 22 settembre ha, in particolare indicato i seguenti elementi:

·      periodo transitorio: dopo l’uscita del Regno Unito dall’UE e in attesa della definizione di un accordo sulle future relazionali tra il Regno Unito e l’UE, ci dovrebbe essere – sulla base della valutazione attuali delle esigenze un periodo di transizione, strettamente limitato, di circa due anni (quindi fino alla primavera del 2021) nel corso del quale si manterrebbe il sostanziale status quo, per quanto riguarda la partecipazione al mercato unico. Nel corso di tale periodo sarebbe preservata la libera circolazione dei cittadini UE, che però avrebbero l’obbligo di registrarsi nel Regno Unito;

·      liquidazione impegni finanziari - il Regno Unito si impegna ad onorare tutti gli impegni finanziari contratti nel corso della sua partecipazione all’UE, garantendo che l’uscita del Regno Unito dall’UE non avrà impatti sul bilancio dell’UE per il periodo finanziario in corso e, quindi, fino al 2020;

·      per quanto la protezione dei diritti dei cittadini UE residenti nel Regno Unito, l’accordo che verrà raggiunto tra UE ed UK sarà incorporato nel diritto britannico (avrà dunque applicabilità diretta e non potrà essere modificato attraverso una legge ordinaria) ed i tribunali britannici potranno fare riferimento diretto ad esso e, in caso di incertezza, dovranno essere in grado di tener conto delle sentenze della Corte di giustizia europea per assicurare un’interpretazione coerente;

Il Parlamento europeo il 3 ottobre 2017 ha adottato (557 voti in favore, 92 voti contrari e 29 astensioni) una risoluzione sullo stato di avanzamento dei negoziati con il Regno Unito nella quale si invita il Consiglio europeo del 19 e 20 ottobre a rinviare la valutazione sul passaggio alla seconda fase dei negoziati poiché non sono stati compiuti progressi sufficienti sulle tre priorità fondamentali della prima fase dei negoziati , ed a meno che il quinto ciclo dei negoziati (che si è poi svolto il 9 – 12 ottobre, v. infra) sul ritiro del Regno Unito dall'UE non rappresenti un grande passo avanti.

Nella risoluzione il Parlamento, in particolare: sottolinea che, in relazione alla proposta dal Primo Ministro del Regno Unito, Theresa May di periodo transitorio, questo:

·      implica la prosecuzione di tutto l'acquis comunitario, il che comporta la piena applicazione delle quattro libertà (libera circolazione dei cittadini, dei capitali, dei servizi e dei beni), e che ciò deve avvenire senza alcuna limitazione alla libera circolazione delle persone con l'imposizione di nuove condizioni;

·      può essere previsto soltanto sotto la piena giurisdizione della Corte di giustizia dell'Unione europea ("CGUE");

·      può essere approvato solo a condizione che si concluda un vero e proprio accordo di recesso che contempli tutte le questioni relative al recesso del Regno Unito.

Secondo le indiscrezioni riportate dal Financial Times, in occasione della riunione del COREPER (Comitato dei rappresentanti permanenti, organo preparatorio del Consiglio) del 5 ottobre scorso, il capo negoziatore Michel Barnier avrebbe evidenziato che un’eventuale decisione del Consiglio europeo del 19-20 ottobre volta a consentire l’apertura di colloqui sul periodo transitorio consentirebbe di aprire spazi negoziali per risolvere anche la questione del conto che Londra dovrà pagare per la Brexit e quindi compiere progressi sostanziali. Secondo quanto riportato dal FT uno schieramento di Paesi nordici guidato da Germania e Francia avrebbe respinto questa opzione limitandosi ad aprire alla possibilità che il periodo transitorio proposto da May sia oggetto di una prima valutazione in attesa che ci siano le condizioni per avviare ufficialmente le trattative anche sulla seconda fase dei negoziati dedicata al quadro delle relazioni future tra UE e Regno Unito.

A conclusione dell’ultimo round negoziale che si è svolto dal 9 al 12 ottobre, Michel Barnier ha indicato che i progressi sono al momento insufficienti per proporre al Consiglio europeo - come inizialmente previsto - di assumere una decisione sul passaggio alla seconda fase negoziale, relativa al futuro accordo tra UE e Regno Unito.

In particolare, Barnier ha indicato che il Regno Unito non ha ancora fornito elementi sulla liquidazione finanziaria e che su tale questione i negoziati sono in una situazione di stallo.

Barnier ha auspicato che sulla base di un impegno politico da parte del Regno Unito si possa raggiungere un accordo su tale profilo entro il Consiglio europeo di dicembre.

 


 

 

 

 

XVII legislatura – Documentazione per l’Assemblea, Senato n. 80 – Camera n. 20, 17 ottobre 2017

Senato della Repubblica – Servizio Studi (' 06 6706.2451 - * studi1@senato.it - Twitter_logo_blue.png@SR_Studi)

Camera dei deputati - Ufficio Rapporti con l’Unione europea (' 06 6760.2145 - * cdrue@camera.it)

 



[1] Questo era accompagnato da un Manuale sul rimpatrio, con l'intento di offrire alle autorità nazionali competenti istruzioni pratiche.

[2] Per ulteriori dati, vd. la comunicazione, del 27 settembre 2017, relativa all'attuazione dell'agenda europea sulla migrazione (COM(2017)558).

[3] Come sottolineato nella lettera del 25 luglio 2017, indirizzata al Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni dal Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, sul sostegno UE all'Italia per la gestione dei flussi migratori, la Guardia di frontiera e costiera europea dovrebbe "assicurare procedure di rimpatrio più rapide, inviando fino a 500 esperti disponibili nell'ambito della riserva di rimpatrio e stanziando finanziamenti supplementari per coprire i costi dell'aumento delle operazioni di rimpatrio".

[4] Per maggiori dettagli, si rimanda alla citata comunicazione COM(2017)558.

[5] Per approfondimenti, si rimanda alla Nota n. 109 "Lo spazio Schengen e la sicurezza interna dell'Unione europea", a cura del Servizio Studi del Senato della Repubblica.

[6] Per approfondimenti sulla riforma complessiva del sistema europeo comune di asilo, si rimanda al Dossier europeo n. 69, Conferenza di alto livello su "La gestione delle migrazioni" - Bruxelles, 21 giugno 2017, a cura del servizio Studi del Senato della Repubblica e dell'Ufficio rapporti con l'UE della Camera dei deputati.

[7] In base alla proposta della Commissione, gli Stati membri avrebbero la possibilità di non partecipare temporaneamente al ricollocamento versando un contributo di solidarietà di 250.000 euro.

[8] La proposta è volta a evitare le discriminazioni dirette e indirette poste in essere dai venditori sulla base della residenza degli acquirenti, in particolare quando si effettuano acquisti online transfrontalieri.

[9]Interoperability solutions for public administrations, businesses and citizens.

 

[11] Il 13 settembre la Commissione europea ha presentato una proposta che sancisce il principio del libero flusso transfrontaliero dei dati non personali, in base al quale gli Stati membri non potranno più imporre ad imprese e organizzazioni di localizzare l'archiviazione o l'elaborazione dei dati all'interno dei propri confini nazionali. Le restrizioni saranno giustificate soltanto per motivi di pubblica sicurezza.

 

[12]Nell’ambito del FEIS la BEI sta erogando 500 milioni di euro a Telecom Italia per la realizzazione in Italia di una nuova rete di accesso alla banda larga, con una soluzione combinata fibra ottica-rame per servizi superveloci. A seguito di tale finanziamento, 7 milioni in più di famiglie dovrebbero beneficiare della banda larga ad alta velocità, con un incremento della copertura della popolazione compreso tra il 32% e il 60% di tutte le famiglie italiane.

 

[13]La tecnologia Blockchain permette la creazione e gestione di un database distribuito per la gestione di transazioni in Bitcoin condivisibili tra più nodi di una rete (peer to peer). Si tratta di un database strutturato in blocchi (block) o nodi di rete che sono tra loro collegati (chain) in modo che ogni transazione avviata sulla rete debba essere validata dalla rete stessa.

[14] Adottata nel marzo 2016, la Dichiarazione UE-Turchia prevedeva che tutti i nuovi migranti irregolari in arrivo sulle isole greche fossero rimpatriati in Turchia in caso di mancata presentazione o respingimento della domanda d'asilo. Per ogni siriano rimpatriato in Turchia dalle isole greche, un altro siriano sarebbe stato reinsediato in uno Stato membro dell'UE. La Turchia si impegnava inoltre ad adottare misure più severe per evitare nuove rotte marittime o terrestri di migrazione irregolare dalla Turchia all'UE. In cambio l'UE si impegnava ad accelerare l'erogazione dei 3 miliardi di EUR inizialmente assegnati per affrontare le esigenze immediate dei rifugiati e a mobilitare ulteriori finanziamenti fino a 3 miliardi di EUR entro la fine del 2018.