Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: Consiglio europeo Bruxelles, 20-21 ottobre 2016
Serie: Documentazione per l'Assemblea - Esame di atti e documenti dell'UE    Numero: 15
Data: 11/10/2016
Descrittori:
CONSIGLIO EUROPEO     

11 ottobre 2016

 

n. 15

Consiglio europeo

Bruxelles, 20-21 ottobre 2016

Il Consiglio europeo del 20 e 21 ottobre 2016, in base all’ordine del giorno provvisorio, dovrebbe discutere di:

Il Consiglio europeo svolgerà, inoltre, un dibattito sulle relazioni con la Russia e sulla situazione in Siria. Su tale ultimo argomento, tuttavia, la bozza di conclusioni non reca alcun elemento utile.

Il 10 ottobre 2016 è stata pubblicata una prima bozza di conclusioni che dovrà essere esaminata dal Consiglio dell’UE affari generali del 18 ottobre 2016.

 


migrazione

Protezione delle frontiere esterne

Secondo la bozza di conclusioni, il Consiglio europeo dovrebbe fare il punto sugli ultimi sviluppi in materia di politica migratoria.

In proposito, il Consiglio dovrebbe in primo luogo richiamare il progresso costituito dall’entrata in vigore (il 6 ottobre 2016) del regolamento istitutivo della Guardia costiera e di frontiera europea.

Il 6 ottobre è stata varata l’Agenzia europea denominata Guardia costiera e di frontiera, basata su Frontex, ma con un nuovo mandato che prevede una significativa estensione del ruolo e delle attività.

L’Agenzia dovrà garantire l’attuazione delle norme dell’Unione in materia di gestione delle frontiere attraverso analisi periodiche del rischio e valutazioni obbligatorie delle vulnerabilità degli Stati membri.

Sono in particolare previsti un potenziamento del personale e la facoltà di acquistare attrezzature proprie e di destinarle in tempi rapidi ad operazioni svolte alle frontiere. È inoltre istituita una squadra di riserva rapida di almeno 1.500 guardie di frontiera e una riserva di attrezzatura di reazione rapida che verranno messi a

disposizione dagli Stati membri per le sue operazioni (la squadra di riserva rapida unitamente alla attrezzatura di reazione, secondo la Commissione europea, saranno operativi il 7 dicembre 2016).

La proposta istitutiva della Guardia costiera e di frontiera europea è stata esaminata alla Camera dei deputati dalla Commissione I (Affari costituzionali) che ha approvato un documento conclusivo.

Il Consiglio dovrebbe inoltre invitare all’adozione entro la fine del 2016 del nuovo sistema di Entry-Exit System (EES) per la registrazione dei dati di ingressi e di uscita e dei dati relativi al respingimento dei cittadini di paesi terzi che attraversano le frontiere esterne UE, proposto dalla Commissione nell’aprile del 2016.

Il nuovo regime sostituirebbe l’attuale sistema di timbratura manuale dei passaporti dei cittadini dei paesi terzi facilitando le operazioni di controllo di frontiera, con particolare riguardo all’individuazione di documenti contraffatti e false identità. Il sistema di registrazione automatizzato riguarda: nome, tipo di documento di viaggio, dati biometrici, data e luogo di ingresso e di uscita, e i respingimenti.

Il Consiglio europeo dovrebbe infine fare riferimento alla imminente proposta della Commissione europea istitutiva di un sistema automatico di informazione e autorizzazione di viaggio (ETIAS) che dovrebbe consentire controlli avanzati di sicurezza sui viaggiatori esenti dal visto.

Focus sulla rotta del Mediterraneo centrale

In base alle stime dell’UNHCR, dal 1° gennaio al 10 ottobre 2016 hanno attraversato il Mediterraneo verso l’Europa circa 316 mila migranti; di questi circa 168 mila sono sbarcati in Grecia e oltre 144 mila in Italia (solo circa 4 mila in Spagna).

Peraltro i rispettivi trend nei due principali Stati membri di primo approdo appaiono diversi: in Grecia negli ultimi mesi si è registrata una significativa diminuzione degli arrivi (circa 3.500 ad agosto e 2.800 a settembre a fronte dei 67 mila dello scorso gennaio); nel mese di luglio in Italia si è avuto il picco di arrivi (circa 23 mila) dopo i flussi più contenuti di gennaio (circa 5 mila arrivi) e marzo-aprile (circa 10 e 9 mila).

Il crollo degli arrivi in Grecia viene attribuito alla chiusura della cosiddetta rotta dei Balcani occidentali, con particolare riferimento agli accordi UE-Turchia, che avrebbero determinato un disincentivo alle partenze dalla Turchia verso le isole elleniche, soprattutto da parte dei profughi siriani.

Secondo le analisi più accreditate, l’aumento degli arrivi in Italia non dipenderebbe dallo spostamento dei flussi da una rotta all’altra, atteso che la nazionalità dei migranti lungo la rotta del Mediterraneo centrale sarebbe differente rispetto a quelle della rotta del Mediterraneo orientale (si tratta per lo più di migranti economici provenienti dal continente africano), ma dal miglioramento delle condizioni climatiche e dall’instabilità politica tuttora esistente in Libia, principale paese di partenza verso l’Italia).

 

Il Consiglio europeo dovrebbe sottolineare la necessità di ridurre il numero di soggetti irregolari e di aumentarne il tasso di rimpatrio.

Dai dati ufficiali di Frontex, risulta che nel primo trimestre del 2016 gli Stati membri hanno adottato circa 70 mila decisioni di rimpatrio e provveduto ad effettuarne 47 mila.

Migration Compact

Particolare attenzione dovrebbe essere dedicata alla valutazione dei progressi circa il nuovo quadro di partenariato con i paesi di origine o di transito (cosiddetto migration compact, presentato nel giugno 2016 anche sulla base di proposte avanzate dal Governo italiano) con riferimento, tra l’altro, allo sviluppo del Piano investimenti esteri volto ad eliminare le cause profonde della migrazione, con particolare riguardo ai flussi provenienti dall’Africa.

Il nuovo quadro di partenariato prevede "patti su misura” con i principali Paesi terzi di origine e di transito che dovrebbero tradursi in:

·      strumenti di rafforzamento delle capacità locali in materia di controllo delle frontiere, di procedure di asilo, di contrasto al traffico dei migranti e reinserimento;

·      misure volte a smantellare il modello operativo dei trafficanti di esseri umani, in particolare, rendendo effettivi i rimpatri dei migranti irregolari;

·      percorsi legali alternativi verso l’Europa, ad esempio, attraverso un programma mondiale di reinsediamento globale guidato dall’ONU.

Il migration compact prevede altresì un Piano di investimenti nei paesi partner volto a rimuovere le cause profonde (in particolare quelle di carattere economico) dei flussi migratori verso l’UE.

Il Piano, presentato dalla Commissione europea il 14 settembre 2016, ha come fulcro il nuovo Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile (EFSD), che muovendo da un contributo derivante dal bilancio UE di circa 3,3 miliardi, secondo la Commissione, dovrebbe stimolare ulteriori investimenti pubblici e privati, fino a 44 miliardi di euro. La Commissione ha altresì invitato gli Stati membri e gli altri partner a fornire l’equivalente del contributo UE, al fine di mobilitare investimenti supplementari pari a 62 miliardi di euro.[1]

Mantenere e rafforzare il controllo del percorso Mediterraneo orientale

Il Consiglio europeo dovrebbe inoltre fare il punto sull’attuazione della dichiarazione UE-Turchia del 18 marzo 2016 e sulla situazione della rotta dei Balcani occidentali.

L’accordo UE Turchia prevede tra l’altro:

·      il rinvio in Turchia di tutti i nuovi migranti irregolari e i richiedenti asilo le cui domande sono state dichiarate inammissibili e che hanno compiuto la traversata dalla Turchia alle isole greche, a decorrere dal 20 marzo 2016, nel pieno rispetto del diritto dell'UE e internazionale;

·      l’impegno UE a reinsediare un cittadino siriano dalla Turchia per ogni siriano rinviato in Turchia dalle isole greche, accordando priorità ai migranti che non sono entrati o non abbiano tentato di entrare nell’UE in modo irregolare (cosiddetto programma 1:1);

·      uno strumento di 6 miliardi di euro per sostenere la gestione dei profughi in Turchia (sono attualmente presenti in Turchia più di due milioni e settecentomila sfollati siriani);

·      l’accelerazione della tabella di marcia sulla liberalizzazione dei visti;

·      il rilancio del processo di adesione della Turchia all’UE .

Secondo la terza relazione sui progressi compiuti in merito all'attuazione della dichiarazione UE-Turchia, pubblicata il 28 settembre 2016, dalla Grecia alla Turchia sono state rimpatriate 580 persone, mentre i cittadini siriani reinsiediati negli Stati UE ammonterebbero a oltre mille.

Inoltre, per quanto riguarda l’attuazione dello strumento finanziario per i rifugiati in Turchia, la Commissione ha riferito che sono stati stanziati 2.239 milioni di euro, di cui assegnati 1.252, ed effettivamente erogati 467 milioni di euro.

Il Consiglio dovrebbe, tra l’altro, ribadire che il processo di liberalizzazione dei visti possa compiersi soltanto una volta che la Turchia avrà soddisfatto tutti i parametri indicati dall’UE.

Il Consiglio europeo dovrebbe chiedere maggiori sforzi agli Stati membri per quanto riguarda il sostegno a Frontex ed EASO nelle attività presso gli hotspot greci (centri di registrazione e identificazione idei migranti).

Sforzi maggiori dovrebbero essere richiesti agli Stati membri anche per quanto riguarda l’attuazione dei programmi di relocation.

Secondo la Commissione europea al 28 settembre 2916 sono state effettivamente ricollocate dalla Grecia negli altri stati membri 4.455 persone, a fronte di circa 9.776 mila posti messi a disposizione, e di un impegno assunto in sede di Consiglio UE che vincolerebbe gli Stati membri alla relocation di 63 mila richiedenti asilo.

Dall’Italia sono stati effettivamente ricollocate in altri Stati membri 1.196 persone, a fronte di circa 3.809 posti messi a disposizione dagli altri Stati membri, e di un impegno per circa 35 mila richiedenti asilo.

Il Consiglio dovrebbe inoltre accogliere con favore l’accordo siglato il 4 ottobre 2016 da UE e Afghanistan in materia di migrazione.

Si tratta di un accordo quadro per quanto riguarda la cooperazione su rimpatri, riammissioni e reintegri. L'intesa mira, tra l’altro, a smantellare il business dei trafficanti e fornire un'accoglienza sostenibile a chi torna in Afghanistan. L’accordo prevede tra l’altro, che Ue e Afghanistan esplorino la possibilità di costruire un terminal per i rimpatri nell'aeroporto di Kabul, nonché un limite ai rimpatri non volontari di 50 per volo nei primi sei mesi che seguiranno la firma della dichiarazione.

La riforma del sistema comune di asilo

Il Consiglio dovrebbe infine richiamare l’attenzione sulla necessità di trovare soluzioni soddisfacenti per quanto riguarda il processo di riforma del sistema europeo comune di asilo, fondato sui principi di solidarietà e responsabilità.

Si ricorda che sono all’esame delle Istituzioni legislative europee:

·      una proposta di riforma del regolamento cd. Dublino in materia di ripartizione di competenza tra gli Stati membri per la trattazione le domande di asilo;

·      una proposta di regolamento che, sostituendo l’attuale direttiva procedure, stabilisce una procedura UE comune, con l’obiettivo di ridurre le differenze nei tassi di riconoscimento dei vari Stati membri, scoraggiare i movimenti secondari e assicurare garanzie procedurali comuni per i richiedenti asilo;

·      una proposta di regolamento che, sostituendo l’attuale direttiva qualifiche, è volta ad armonizzare gli standard di protezione tra i vari Stati membri;

·      una riforma della direttiva sulle condizioni di accoglienza dei rifugiati.

Alla Camera dei deputati la proposta di riforma del regolamento Dublino è attualmente all’esame della I Commissione.

Secondo l’EASO - l’Ufficio europeo per l’asilo, nel mese di agosto 2016 gli Stati membri hanno registrato oltre 137 mila domande di protezione internazionale, di cui il 96 per cento sono state domande di asilo di prima istanza (ovvero presentate in uno Stato membro per la prima volta).

I richiedenti asilo più numerosi sono stati cittadini siriani (circa 32 mila), seguiti da afgani (circa 24 mila) e iracheni (oltre 14 mila). Questi tre gruppi rappresentano il 50 per cento di tutti richiedenti protezione.

Seguono i richiedenti asilo cittadini di Nigeria, Iran, Eritrea e Pakistan, i cui gruppi si attestano approssimativamente sulle 5 mila domande.

Eurostat ha comunicato che nei primi sei mesi del 2016 le domande di asilo di prima istanza si sono attestate a circa 595 mila di cui 305 mila nel secondo trimestre (con una variazione di più 6 per cento rispetto al trimestre precedente).

Secondo Eurostat durante il secondo trimestre 2016, il più alto numero di domande di asilo di prima istanza è stato registrato in Germania (circa 187mila, 61 per cento di tutte le richieste in UE); seguono Italia con 27 mila domande (9 per cento), Francia con 17 800 (6 per cento) Ungheria con 14 900 (5 per cento) e Grecia con 12 mila (4 per cento).

In Italia il secondo trimestre 2016 ha registrato una variazione del 21 per cento rispetto al primo delle domande di prima istanza.

Di seguito i dati relativi alle domande di asilo in Italia distribuiti per nazionalità del richiedente nei mesi di luglio e agosto 2016: Fonte Ministero dell’interno.

 

 

Politica commerciale

Il Consiglio europeo dovrebbe svolgere un ampio dibattito di carattere generale sulla politica commerciale dell’Unione europea.

Nella bozza di conclusioni si ribadisce l’importanza dell’apertura dei mercati come fattore decisivo per la crescita economica e il miglioramento dei livelli occupazionali.

Allo stesso tempo, tuttavia, particolare enfasi viene posta sulla necessità di condurre i negoziati in corso in termini tali da proteggere e promuovere gli standard sociali ed ambientali ed i diritti dei consumatori, anche in risposta alle preoccupazioni e alle perplessità emerse da parte di cittadini e società civili in diversi Stati membri. Riserve che hanno trovato ampia eco presso diversi Parlamenti nazionali che hanno condiviso il timore che i negoziati in corso con importanti partner commerciali possano mettere a rischio gli standard europei.

Gli accordi di libero scambio

Il Consiglio europeo dovrebbe valutare lo stato di avanzamento dei negoziati di accordi di libero scambio in corso, con particolare riguardo a Stati Uniti e Giappone.

L’Unione è una delle economie mondiali più aperte all’esterno. Gli scambi con il resto del mondo sono raddoppiati tra il 1999 e il 2010 e oggi quasi tre quarti delle importazioni nell’UE sono esenti dai dazi o sono soggette a dazi ridotti. Il commercio estero di beni e servizi rappresenta il 35 % del PIL dell’UE: il 5 % in più rispetto agli USA. Secondo la Commissione, l’esperienza nei paesi dell’UE dimostra che un aumento dell’1% nel grado di apertura dell’economia genera, a distanza di un anno, un incremento della produttività del lavoro pari a 0,6 %.

L’UE sta portando avanti un programma senza precedenti di apertura reciproca dei mercati con alcuni dei maggiori partners commerciali bilaterali: USA, Canada e Giappone. Il principale strumento che utilizza a tal fine sono gli accordi di libero scambio: prima del 2006 questi ultimi rappresentavano meno di un quarto degli scambi dell’UE. Se tutti i negoziati attualmente in corso dovessero concludersi positivamente, questa percentuale salirebbe a due terzi.

 

L’accordo globale economico e commerciale tra UE e Canada (CETA)

In particolare, il Consiglio europeo dovrebbe esprimere il proprio apprezzamento per la decisione del Consiglio UE – prevista per il 18 ottobre 2016 - sulla firma e l’applicazione provvisoria dell’accordo globale economico e commerciale (CETA) e sollecitare il Parlamento europeo ad esprimere il proprio consenso.

Il CETA è volto a promuovere la liberalizzazione delle relazioni reciproche commerciali e di investimento.

Per quanto riguarda la firma, è richiesta l’approvazione del Consiglio, che contestualmente designerà una persona incaricata di firmare l’accordo a nome dell’UE.

Per non ritardare la firma del CETA, la Commissione lo ha qualificato come accordo misto. Ciò implica che per la sua piena entrata in vigore – oltre alla approvazione da parte del Consiglio e al consenso del Parlamento europeo – si richiede anche la ratifica da parte di tutti gli Stati membri sulla base delle pertinenti procedure di ratifica nazionali.

In attesa dell'espletamento delle procedure relative alla sua conclusione, secondo la Commissione è opportuno che l'accordo sia applicato a titolo provvisorio. A tal fine - una volta che il Consiglio dell’UE avrà approvato la proposta di decisione relativa all’applicazione provvisoria – il vertice UE-Canada previsto il 27 ottobre 2016, a margine del Consiglio europeo, dovrebbe raggiungere una intesa volta all’applicazione dell’accordo in via provvisoria già a partire del 2017.

Tuttavia sembrano esserci riserve da parte di alcuni Stati membri (Bulgaria, Romania, Belgio ed Austria) che potrebbero essere superate associando al testo dell’accordo una dichiarazione che espliciti il contenuto dell’intesa, specificando tra l’altro che dall’accordo non deriverà alcun obbligo a privatizzare servizi pubblici. Secondo fonti informali, Bulgaria e Romania chiederebbero in cambio la liberalizzazione dei visti per i loro cittadini che si spostano in Canada.

Secondo le stime della Commissione europea, una volta entrato in vigore l’accordo, il commercio bilaterale di beni e servizi potrebbe aumentare del 23% ed il PIL dell’UE di circa 12 miliardi ogni anno.

Gli elementi chiave dell'accordo sono:

-     l'eliminazione di circa il 99% dei dazi doganali esistenti sui beni industriali e agricoli e nel settore della pesca;

-     il riconoscimento delle indicazioni geografiche protette;

-     la rimozione di alcuni ostacoli agli investimenti diretti e specifiche disposizioni di protezione degli investimenti e risoluzione controversie tra Stati ed investitori;

-     la liberalizzazione del commercio nel settore dei servizi. Circa la metà dell’aumento globale del PIL per l’UE dovrebbe provenire dalla liberalizzazione degli scambi di servizi;

-     una maggiore protezione, da parte canadese, della proprietà intellettuale, attraverso standard armonizzati a quelli dell'UE;

-     l’eliminazione di barriere di natura non tariffaria;

-     il mutuo riconoscimento delle qualifiche professionali;

-     una maggiore apertura dei mercati degli appalti pubblici.

TTIP

Il Consiglio europeo dovrebbe ribadire l’impegno a concludere nel più breve tempo possibile un accorso ambizioso, equilibrato e globale con gli Stati Uniti.

In realtà, tale affermazione sembra doversi leggere come una presa d’atto che non sarà possibile concludere i negoziati entro la scadenza del mandato dell’Amministrazione Obama.

I negoziati per un Partenariato in materia di commercio e investimenti tra USA e UE (Transatlantic Trade and Investment Partnership - TTIP) - avviati ufficialmente in occasione del G8 del 17 giugno 2013 - sono giunti al quindicesimo round negoziale. L’obiettivo dei negoziatori è quello di proseguire il lavoro di consolidamento dei testi in tutti i settori, in modo che restino aperte un numero limitato di questioni (le cosiddette ‘square brackets’) che andranno risolte a livello politico.

In particolare:

-     per quanto riguarda la liberalizzazione, vi è un sostanziale accordo per l’abolizione dei dazi sul 97% dei prodotti, in una cornice temporale variabile da 5 a 7 anni. Il restante 3% su cui non c’è ancora accordo riguarda prodotti “sensibili” (tra i quali, nel settore agricolo, le carni);

-     sono stati fatti significativi progressi nei capitoli della cooperazione in campo normativo e delle buone pratiche regolamentari. Come dichiarato dal capo negoziatore per l’UE, Ignacio Garcia Bercero, la cooperazione in campo normativo incrementerà, o al limite manterrà intatti, gli elevati standard che tutelano la salute e la sicurezza delle persone e dell’ambiente;

-     in materia di protezione degli investimenti, si ricorda che l’UE ha proposto il suo nuovo approccio alla protezione degli investimenti e al meccanismo di risoluzione delle controversie, su cui si è aperta la discussione;

-     sugli OGM, è stata ribadita la posizione dell’UE per cui non vi sarà possibilità per i produttori americani di esportare nel mercato europeo prodotti per i quali la normativa europea vieta l’uso di OGM;

-      in materia di servizi, l’obiettivo dell’UE è quello di perseguire un accesso al mercato ambizioso e vantaggioso per le imprese europee. Sul tema in una dichiarazione congiunta la Commissaria Malmström e il suo omologo statunitense, Michael Froman, hanno ribadito che il TTIP salvaguarderà le forme con cui i singoli governi nazionali decideranno di fornire servizi quali acqua, salute, istruzione e prestazioni sociali, ai propri cittadini. Estese discussioni si sono tenute sul tema degli appalti pubblici. L’UE ha manifestato la propria insoddisfazione per il fatto che le proposte statunitensi sono ancora lontane della richieste avanzate.

Si segnala che recentemente sono emerse, ai massimi livelli e da entrambe le sponde dell’Atlantico, preoccupazioni e riserve sull’andamento dei negoziati, con particolare riguardo al rischio che i livelli e gli standard europei in materia ambientale, sociale e di salute possano essere pregiudicati.

Giappone

Il Consiglio europeo dovrebbe invitare la Commissione a perseguire l’attività negoziale per raggiungere un accordo politico entro la fine del 2016.

Secondo le valutazioni della Commissione, un accordo di libero scambio con il Giappone incrementerebbe il PIL europeo tra lo 0,6% e lo 0,8% e le esportazioni UE verso il Giappone del 34% e quelle del Giappone verso l’UE di circa il 29%.

L’UE è il terzo maggior partner commerciale del Giappone, dopo Cina e Stati Uniti. UE e Giappone Insieme coprono più di un terzo del prodotto nazionale lordo mondiale. Nel 2015 le esportazioni UE in Giappone hanno raggiunto un valore di circa 56,6 miliardi di euro. Nello stesso anno le importazioni dal Giappone ammontavano a 59,8 miliardi di euro. Sempre nel 2014, le importazioni ed esportazioni UE di servizi commerciali da e per il Giappone sono state rispettivamente di 15,6 e 27,9 miliardi di euro.

Per quanto riguarda i dati relativi alle esportazioni verso il Giappone dei singoli Stati membri, la Germania è il paese con la quota maggiore (32% del totale delle esportazioni UE verso il Giappone), seguito da Francia (13%), Italia (11%) e Regno unito 10%).

Al momento si sono svolti 16 round di negoziali, l’ultimo dei quali ha avuto luogo dall’11 al 20 aprile 2016.

Tra i punti in discussione si evidenzia, in particolare, che l’UE è pronta ad eliminare i diritti di dogane sulle importazione delle vetture dal Giappone (che ammontano attualmente al 10%) e sui prodotti elettronici in cambio di concessioni sulla liberalizzazione da parte Giappone del commercio sui prodotti agricoli ed alimentari, settore che gode attualmente di una forte protezione in Giappone. L’UE preme, inoltre, affinché il Giappone elimini le barriere non tariffarie. Un altro punto di contenzioso è quello relativo all’accesso al mercato dei trasporti ferroviari giapponese da parte di imprese europee. È, inoltre, in discussione l’eventuale sottoposizione delle dispute tra investitori e Stati ad una corte arbitrale internazionale, come l’UE ha proposto nell’ambito del negoziato in corso tra UE e USA sul TTIP, soluzione che però non gode del favore dei negoziatori giapponesi, a favore invece delle tradizionali clausole ISDS (Investor-state dispute settlement).

Misure di difesa commerciale

L’UE è a livello globale uno dei principali utilizzatori di strumenti di difesa commerciale, applicati nel rispetto delle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio, per contrastare le pratiche commerciali scorrette attraverso misure anti-dumping e anti-sovvenzioni.

 

 

Per migliorare l’efficacia e l’efficienza dell’azione dell’UE, la Commissione ha rilevato la necessità di modernizzare gli strumenti di difesa commerciale sollecitando gli Stati membri ad approvare la proposta di regolamento presentata nel 2013 e tuttora all’esame del Consiglio.

Le modifiche proposte dalla Commissione nel 2013 alle norme UE in materia di strumenti di difesa commerciale (regolamento (CE) n. 1225/2009) si prefiggono di incrementare la trasparenza e la prevedibilità dei procedimenti antidumping e antisovvenzioni, facilitare la collaborazione delle parti interessate, evitare le ritorsioni nei confronti dei denuncianti procedendo d’ufficio, facilitare le procedure di riesame, scoraggiare le pratiche sleali imponendo dazi più elevati sulle importazioni in caso di distorsioni strutturali a livello di materie prime, e nei casi di sovvenzioni.

Tale proposta è già stata discussa ampiamente in seno al Parlamento europeo e al Consiglio. Tuttavia, mentre il Parlamento europeo l’ha approvata in prima lettura, in sede di Consiglio, i punti di vista degli Stati membri sono ancora largamente divergenti, in particolare per quanto riguarda la cd. “regola del dazio inferiore” (Lesser Duty Rule) che alcuni paesi (Repubblica ceca, Malta, Danimarca, Regno Unito, Slovenia, Finlandia, Svezia, Austria, Cipro, Paesi Bassi, Lettonia, Estonia e Irlanda) vorrebbero mantenere sostenendo che la modifica comporterebbe - secondo la loro visione - svantaggi incalcolabili sia per i consumatori che per le catene del valore.

Altri paesi (Polonia, Francia, Grecia, Ungheria, Belgio, Slovacchia, Lituania e Portogallo) in linea con quanto proposto dalla Commissione, vorrebbero vederla disapplicata nel caso di sovvenzioni o distorsioni strutturali delle materie prime che avvantaggino i produttori esteri a danno di quelli europei. Questa è anche la posizione del Governo italiano che durante la Presidenza di turno ha tentato di raggiungere un compromesso sul testo.

La "regola del dazio inferiore" è un cosiddetto impegno "OMC-plus" dell'UE, che consente alla Commissione di istituire i dazi a un livello inferiore al margine di dumping se tale livello è sufficiente a eliminare il pregiudizio arrecato all'industria dell'UE. Questo approccio equo è favorevole agli esportatori e va al di là di quanto richiesto dagli obblighi nell'ambito dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC).

 

Relazioni tra l’Unione Europea e la Russia

I rapporti tra UE e Russia si sono fortemente deteriorati a seguito del conflitto russo-ucraino.

Le istituzioni dell’Unione europea, sin dall’inizio della crisi tra Russia ed Ucraina, hanno adottato una serie di misure, relative a:

·        misure restrittive nei confronti di alcune persone fisiche e giuridiche, e di sanzioni economiche anche nei confronti della Russia;

·        l’assistenza finanziaria all’Ucraina e la soppressione delle barriere tariffarie;

·        l’istituzione di una missione civile nell’ambito della Politica di sicurezza e di difesa comune dell’UE (PESC/PSDC) per l’assistenza in materia di riforme del settore della sicurezza civile, sostegno della polizia e stato di diritto.

UE e Ucraina hanno firmato nel giugno 2014 un accordo di associazione che prevede l’istituzione di un’area di libero scambio tra l’UE e l’Ucraina e che è già, in alcune sue parti, entrato provvisoriamente in vigore (entrerà definitivamente in vigore una volta completato il processo di ratifica da parte di tutti gli Stati membri dell’UE).

L’Accordo è stato ratificato da tutti gli Stati membri dell’UE, ad eccezione dei Paesi Bassi, dove il 6 aprile 2016 si è svolto un referendum consultivo che ha respinto la ratifica del Trattato. Il Governo dei Paesi Bassi ha indicato di non poter quindi procedere, al momento, alla ratifica del Trattato ed al momento sono in corso negoziati con l’UE per valutare le modalità con le quali procedere. Una delle ipotesi è quella di allegare al Trattato di associazione una dichiarazione che tenga conto dell’esito del referendum dei Paesi Bassi.

Per quanto riguarda l’Italia, disegno di legge di ratifica è stato approvato definitivamente dal Senato lo scorso 10 settembre 2015.

Si ricorda, infine, che il Consiglio europeo del 19 e 20 marzo 2015 ha:

·        invitato tutte le parti a dare rapida e piena attuazione agli accordi di Minsk e a tener fede ai propri impegni e sottolineato la responsabilità della Russia al riguardo;

·        convenuto che la durata delle misure restrittive nei confronti della Federazione russa debba avere un legame chiaro con la piena attuazione degli accordi di Minsk;

·        non riconosciuto e condannato l'annessione illegale della Crimea e di Sebastopoli da parte della Federazione russa.

Misure restrittive e sanzioni economiche

L’UE ha deciso, a partire dal marzo 2014, l’introduzione di misure restrittive volte al congelamento dei beni ed a restrizioni per la concessione di visti per alcune persone individuate come responsabili di violazioni dei diritti umani e violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina.

Il Consiglio dell’UE, il 10 settembre 2016, ha prorogato al 15 marzo 2017 l’applicazione delle misure restrittive dell’UE (blocco dei beni e il divieto di viaggio nei confronti di 146 persone e 37 persone giuridiche).

Il Consiglio dell’UE, il 1° luglio 2016, ha prorogato al 31 gennaio 2017 serie di sanzioni economiche nei confronti della Russia, che erano state adottate nell’estate del 2014 e più volte rinnovate. Le sanzioni sono relative, all'accesso ai mercati dei capitali, alla difesa, ai beni a duplice uso e alle tecnologie sensibili. Il Consiglio ha indicato che tali misure potranno essere modificate, sospese o revocate completamente o parzialmente in base alla valutazione dell'attuazione del piano di pace in Ucraina.

Il Consiglio dell’UE, il 1° luglio 2016, ha prorogato le sanzioni al 31 gennaio 2017.

La Russia, a sua volta, ha imposto restrizioni all’importazioni di prodotti agricoli ed alimentari dall’UE.

Nel giugno 2014 l’UE ha deciso la sospensione dei negoziati con la Russia per l’adesione all’OCSE e all’Agenzia internazionale per l’energia. Sono inoltre stati sospesi i summit bilaterali periodici UE-Russia.

Il Consiglio europeo del 16 luglio 2014 ha, inoltre, chiesto alla Banca europea per gli investimenti (BEI) di sospendere la conclusione di nuove operazioni finanziarie in Russia.

Impatto delle sanzioni

Per quanto riguarda, gli effetti delle sanzioni sull’economia dell’UE, la Commissione rileva che l’impatto differisce tra gli Stati membri, e dovrebbe determinare nel 2016 una riduzione del PIL dell’UE nell’ordine di 0,1%.

Secondo dati forniti dalla Commissione europea ad aprile 2016, le esportazioni dell’UE verso la Russia sono calate del 28,4% nel 2015, rispetto al 2014, e le importazioni dalla Russia nell’UE sono ugualmente calate del 25,5% nello stesso periodo di riferimento. In conseguenza, la Russia è diventata il 5° partner commerciale dell’UE (nel 2014 era il 4°).

Secondo gli stessi dati, l’Italia avrebbe subito nel 2015 un calo delle esportazioni nei confronti della Russia del 17,5% ed una calo delle importazioni dalla Russia del 25,2%, rispetto al 2014. Il totale dello scambio commerciale tra l’Italia e la Russia avrebbe subito un calo del 20,2%, passando dai 26,7 miliardi di euro nel 2014 a 21,3 miliardi di euro nel 2015.

In conseguenza delle restrizioni imposte dalla Russia all’importazioni di prodotti agricoli ed alimentari dall’UE, secondo i dati della Commissione europea all’aprile 2016 le esportazioni agricole ed alimentari dell’UE verso la Russia hanno fatto registrare nel 2015 un calo complessivo del 39% rispetto al 2014. Per l’Italia il calo è stato del 38%. Il calo a livello di UE è stato comunque compensato da un generale aumento delle esportazioni di prodotti agricoli ed alimentari nei confronti di altri paesi terzi.

 

 

Altre questioni globali ed economiche

Ratifica dell’Accordo di Parigi

Il Consiglio europeo dovrebbe esprimere la propria soddisfazione per l’avvenuta ratifica da parte dell’UE dell’accordo di Parigi, che ne ha consentito l’entrata in vigore.

L’accordo raggiunto il 12 dicembre 2015 da 195 Stati prevede di stabilizzare in questo secolo l'aumento della temperatura alla superficie della Terra al di sotto di 2 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali, compiendo gli sforzi possibili per raggiungere gli 1,5 gradi centigradi. Attraverso contributi determinati a livello nazionale (NCD), tutte le parti sono tenute a intraprendere e comunicare sforzi ambiziosi per il raggiungimento dell’obiettivo. Ogni cinque anni tali contributi andranno aggiornati, aumentando il livello di ambizione. Si è convenuto inoltre di rendere disponibili ogni anno a partire dal 2020 100 miliardi di dollari in prestiti e donazioni per sostenere i paesi in via di sviluppo nelle azioni per il clima.

Il 4 ottobre 2016 – con l’approvazione dell’accordo da parte del Parlamento europeo e il completamento del processo di ratifica da parte dell’UE - è stata raggiunta la soglia fissata (ratifica da parte del 55% delle parti contraenti, rappresentanti il 55% delle emissioni totali), pertanto l’accordo entrerà in vigore il 5 novembre prossimo.

Per quanto riguarda i singoli Stati membri, allo stato l’accordo è stato ratificato da Austria, Francia, Germania, Malta, Polonia, Portogallo, Slovacchia ed Ungheria. L’accordo è già stato ratificato da Cina e Stati Uniti.

Il mercato unico

Il Consiglio europeo dovrebbe confermare le conclusioni già adottate lo scorso 28 giugno relativamente alle diverse strategie del Mercato Unico (Mercato unico digitale, Unione dei mercati di capitali e Unione dell’energia), che dovrebbero essere completate ed attuate entro il 2018 seconda una precisa road map.

In tale contesto, il Consiglio europeo dovrebbe invitare ad accelerare l’esame sulle ultime proposte della Commissione europea, con particolare riferimento alla riforma delle norme sulle telecomunicazioni e sul diritto d’autore.

Nel nuovo pacchetto di misure presentato dalla Commissione europea lo scorso 14 settembre vengono fissati tre obiettivi strategici per il 2025: l’accesso per i principali motori socio-economici a connessioni ad altissima velocità; l’accesso delle famiglie a velocità di download di almeno 100 Mbit/second; copertura 5G.

La Strategia per il mercato unico digitale e quasi tutti i successivi atti presentati dalla Commissione europea in attuazione della prevista road map sono stati esaminati alla Camera dei deputati dalle Commissioni IX (Trasporti) e X (Attività produttive), che hanno adottato un documento finale.

Unione dei mercati dei capitali

Il Consiglio dovrebbe chiedere di accelerare l’attuazione del piano di azione per l’Unione dei mercati dei capitali (“UMC”), mirante a ridurre la frammentazione dei mercati dei capitali e a incrementare l’offerta di capitali alle imprese.

A tale riguardo, occorre segnalare che il 14 settembre 2016 la Commissione europea ha presentato una comunicazione sullo stato di avanzamento nell’attuazione del piano d’azione.

In particolare, la Commissione:

·        prospetta la conclusione del negoziato su due proposte di regolamento attualmente all’esame del Parlamento europeo e del Consiglio dell’UE: una che instaura un quadro europeo per le cartolarizzazioni ed una che semplifica le norme sul prospetto;

·        annuncia l’intenzione di promuovere la costituzione di uno o più fondi di fondi di venture capital per il sostegno degli investimenti innovativi in Europa.

·        annuncia la presentazione a breve termine di un serie di proposte legislative in materia di:

-       disciplina comune del regime di insolvenza delle imprese;

-       finanziamento delle imprese mediante capitale proprio, anziché ricorrere al finanziamento a debito;

-       estensione del trattamento patrimoniale favorevole ai prestiti alle PMI e riduzione dei requisiti patrimoniali connessi agli investimenti infrastrutturali.

Alla Camera la proposta di regolamento relativa ai fondi di venture capital e ai fondi per l’imprenditoria sociale è in corso di esame presso la VI Commissione (Finanze).

A più lungo termine, la Commissione europea preannuncia la presentazione di proposte relative a :

·        prodotti pensionistici individuali europei;

·        mercato europeo dei servizi finanziari al dettaglio;

·        sviluppo dei mercati delle obbligazioni garantite;

·        distribuzione transfrontaliera dei fondi d’investimento.

Fondo europeo per gli investimenti strategici

Il Consiglio europeo dovrebbe invitare il Consiglio dell’UE a raggiungere rapidamente un accordo sulla proposta di proroga del Fondo europeo per gli investimenti strategici (cd. “Piano Juncker”).

Il FEIS si configura come fondo fiduciario dedicato in seno alla Banca europea per gli investimenti (BEI), con una dotazione finanziaria di 21 miliardi di euro, di cui 16 miliardi nell’ambito delle risorse già previste nel bilancio europeo e 5 miliardi della BEI.
Secondo le stime della Commissione europea, il FEIS dovrebbe raggiungere un effetto moltiplicatore complessivo di 1:15, generando circa 315 miliardi di euro in nuovi investimenti nel periodo 2015-2018. Alla data del 23 settembre 2016, la BEI ha approvato progetti per 22,3 miliardi di euro (che dovrebbero mobilitare un totale di 127,2 miliardi di euro di investimenti, pari al 40% dell’importo preventivato di 315 miliardi).

Sulla scorta dei risultati fin qui conseguiti dal FEIS, il 14 settembre 2016 la Commissione europea ha presentato una proposta che prevede la proroga in termini di durata e il potenziamento in termini di capacità finanziaria del FEIS, con l’obiettivo di mobilitare 500 miliardi di euro di investimenti entro il 2020.

La garanzia prestata dal bilancio dell’UE al FEIS passerà da 16 a 26 miliardi di euro e quella della BEI da 5 a 7,5 miliardi di euro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

XVII legislatura – Documentazione per l’Assemblea, n. 15, 11 ottobre 2016

Il bollettino è stato curato dall’Ufficio Rapporti con l’Unione europea (' 06 6760.2145 - * cdrue@camera.it)

 



[1] I contributi iniziali dovrebbero fungere da leva finanziaria, ad esempio costituendo garanzie di crediti prestati per investimenti pubblici e privati, con particolare riguardo a settori socioeconomici, quali le infrastrutture (tra cui energia, acqua, trasporti, tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ambiente, infrastrutture sociali, capitale umano), oppure fornendo direttamente finanziamenti a favore delle micro, piccole e medie imprese, con particolare attenzione alla creazione di posti di lavoro.