Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari sociali
Titolo: Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 2617/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 223
Data: 30/09/2014
Descrittori:
CENTRI E STRUTTURE DI UTILITA' SOCIALE   LEGGE DELEGA
SERVIZIO CIVILE     
Organi della Camera: XII-Affari sociali

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale

A.C. 2617

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 223

 

 

 

30 settembre 2014

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi

( 066760-9876 / 066760-3266 – * st_affarisociali@camera.it

Ha partecipato alla redazione del dossier il seguente Ufficio:

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

§  Le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi.

§  Le parti relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea e alle procedure di contenzioso sono state curate dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea

 

 

 

 

 

 

 

 

La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

File: AS0138.docx

 


INDICE

Schede di lettura

Premessa  3

I numeri del Non Profit 3

La disciplina generale sul Terzo settore  7

§  Il Terzo settore e la costituzione  7

§  Cosa è il Terzo settore?  7

§  Rapporti fra istituzioni pubbliche e soggetti del Terzo settore  9

§  L’accreditamento e l’autorizzazione dei soggetti del Terzo settore  11

Gli organismi 12

§  Le Organizzazioni del Volontariato  13

§  Le Cooperative sociali 16

§  Le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) 19

§  Le Associazioni di promozione sociale (APS) 22

§  Le Fondazioni 25

§  L'Impresa sociale  27

§  Le Organizzazioni non governative (ONG) 31

Il cinque per mille IRPEF  35

Il Trattamento fiscale per gli enti di tipo associativo  37

Il Servizio civile  39

§  Il servizio civile obbligatorio  39

§  La riforma del servizio civile e l’istituzione dell’Ufficio nazionale  39

§  Il servizio civile volontario  40

Contenuto del disegno di legge  47

§  Articolo 1 – Finalità e oggetto  48

§  Articolo 2 – Principi e criteri direttivi generali 50

§  Articolo 3 - Attività di volontariato e di promozione sociale  53

§  Articolo 4 – Impresa sociale  56

§  Articolo 5 – Servizio civile universale  59

§  Articolo 6 – Misure fiscali e di sostegno economico  60

§  Articolo 7 - Disposizioni finanziarie e finali 67

 


SIWEB

Schede di lettura

 


Premessa

Nel maggio 2014, il Governo ha predisposto le Linee guida per una riforma del Terzo settore formulando i criteri per una revisione organica della legislazione riguardante il volontariato, la cooperazione sociale, l’associazionismo non-profit, le fondazioni e le imprese sociali.

Dal 13 maggio al 13 giugno 2014, il Governo ha quindi aperto una consultazione pubblica sulle Linee guida, di cui sono stati resi pubblici i risultati definitivi nel settembre 2014.

In seguito, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente e del Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, nel corso della riunione del 10 luglio 2014, ha approvato un disegno di legge delega per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale.

 

I numeri del Non Profit

Per Istituzione non profit, privata o pubblica, si intende una unità giuridico-economica dotata o meno di personalità giuridica, di natura pubblica o privata, che produce beni e servizi destinabili o non destinabili alla vendita e che, in base alle leggi vigenti o a proprie norme statutarie, non ha facoltà di distribuire, anche indirettamente, profitti o altri guadagni diversi dalla remunerazione del lavoro prestato ai soggetti che la hanno istituita o ai soci. Costituiscono esempi di istituzione non profit privata: le associazioni, riconosciute e non riconosciute, le fondazioni, le organizzazioni non governative, le organizzazioni di volontariato, le cooperative sociali e le altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus), i partiti politici, i sindacati, gli enti ecclesiastici (Annuario statistico italiano 2013, Istat).

 

Il 9° Censimento Generale dell'Industria, dei Servizi e delle Istituzioni Non Profit dell'Istat ha stimato, nel decennio 2001-2011, il non profit come il settore più dinamico del sistema produttivo italiano (+28 per cento gli organismi e +39,4 per cento gli addetti)[1].

Il non profit è cresciuto soprattutto nel Nord e nel Centro Italia, con punte più alte di presenza e attività in Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana e Lazio.

Il settore ha potuto contare sul contributo lavorativo di 4,8 milioni di volontari, 681 mila dipendenti, 271 mila lavoratori esterni e 6 mila lavoratori temporanei. Nel tessuto produttivo italiano il non profit occupa pertanto una posizione significativa, con il 6,4 per cento delle unità economiche attive.

 

Per quanto riguarda le forme giuridiche, nel 2011, il settore non profit italiano si conferma costituito principalmente da: associazioni: di cui non riconosciute 66,7%;  riconosciute 22,7% ; cooperative sociali 3,7%; fondazioni 2,1%; altre forme giuridiche 4,8%.

Rispetto al 2001 i tassi di incremento sono: fondazioni: +102,1%; cooperative sociali: +98,5%; altra forma giuridica: +76,8%; associazione non riconosciuta: +28,7%; associazione riconosciuta: +9,8%.

 

Nonostante l'eterogeneità organizzativa, a caratterizzare fortemente il settore è la forma giuridica dell'associazione, che conta l'89 per cento del totale delle istituzioni non profit attive al 31 dicembre 2011. In particolare, si tratta di 201mila associazioni non riconosciute (ossia prive di personalità giuridica e costituite tramite scrittura privata, pari al 66,7 per cento del totale) e di 68mila associazioni riconosciute, ossia nate con atto pubblico riconosciuto dalla Stato e dotate di autonomia patrimoniale (22,7 per cento del totale). Seguono 11mila cooperative sociali (3,7 per cento), 6 mila fondazioni (2,1 per cento), e 14mila restanti istituzioni non profit con altra forma giuridica (4,8 per cento), rappresentate principalmente da enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, comitati, società di mutuo soccorso, istituzioni sanitarie o educative. A mostrare una consistente crescita rispetto al 2001 sono le fondazioni e le cooperative sociali (rispettivamente del 102,1 per cento e del 98,5 per cento) a fronte dell'incremento più contenuto delle associazioni riconosciute (9,8 per cento).

 

Dal punto di vista della distribuzione geografica, quasi la metà dei dipendenti impiegati nelle istituzioni non profit (46 per cento) è concentrata in Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna.

 

Per quanto riguarda le risorse umane, il peso della componente non profit nell'assistenza sociale, con 225 mila addetti (pari al 33,1 per cento del totale), appare assai significativo in termini di occupazione.

 

Rispetto ai settori di attività, il settore della Cultura, sport e ricreazione assorbe il 65 per cento del totale delle istituzioni non profit (195.841 istituzioni in termini assoluti su 301.191), seguito dai settori dell'Assistenza sociale (con 25 mila istituzioni), delle Relazioni sindacali e rappresentanza di interessi (16 mila realtà), dell'Istruzione e ricerca (15 mila istituzioni).

 

Un ulteriore caratteristica che permette di caratterizzare meglio l'attività delle istituzioni non profit è costituita dai destinatari dei servizi prodotti, in base alla quale è possibile distinguere fra istituzioni mutualistiche, orientate agli interessi e ai bisogni dei soli soci e istituzioni di pubblica utilità (o solidaristiche), dirette alla collettività in generale (o comunque di un insieme più ampio della eventuale compagine sociale). Le istituzioni non profit rilevate in Italia nel 2011 sono nel 62,7% dei casi di pubblica utilità, mutualistiche nel restante 37,3%. L'orientamento è legato all'attività svolta; infatti le istituzioni solidaristiche sono presenti in misura nettamente superiore alla media nazionale nei settori della Cooperazione e solidarietà internazionale (96,3%), della Sanità (91,3%), dell'Assistenza sociale e protezione civile (90,4%), della Filantropia e promozione del volontariato (90,4%), dell'Istruzione e ricerca (83,4%).

 

(vedi il comunicato stampa dell’Istat Struttura e dinamica del non profit in Italia del 16 aprile 2014). 

 

 

Le caratteristiche del volontariato

Sono 4,14 milioni i cittadini che svolgono la loro attività in un gruppo o in un'organizzazione (tasso di volontariato organizzato pari al 7,9%) e tre milioni si impegnano in maniera non organizzata (tasso di volontariato individuale pari al 5,8%).

Il lavoro volontario è più diffuso nel Nord del Paese. Nel Nord-est si registra il tasso di volontariato totale più elevato (16%), mentre il Sud si contraddistingue per livelli di partecipazione sensibilmente più bassi (8,6%).

Gli uomini sono più attivi delle donne (13,3% contro 11,9%), per via di una maggiore presenza maschile nel volontariato organizzato.

I volontari appartengono prevalentemente alla classe di età 55-64 anni (15,9%). Il contributo di giovani e anziani in termini di presenza attiva si mantiene, invece, inferiore alla media nazionale.

L'indagine Istat ha anche rilevato che esiste una forte relazione tra lavoro volontario, istruzione e situazione economica della famiglia. La percentuale di chi presta attività volontarie cresce con il titolo di studio. Considerando la condizione occupazionale, i più attivi risultano gli occupati (14,8%) e gli studenti (12,9%). La partecipazione è, inoltre, massima tra i componenti di famiglie agiate (23,4%) e minima tra i componenti di famiglie con risorse assolutamente insufficienti (9,7%).

L'impegno medio di un volontario è di 19 ore in quattro settimane. Il maggior contributo orario nelle attività di aiuto non organizzate è di donne e anziani.

Le attività svolte dai volontari nell'ambito delle organizzazioni sono più diversificate e qualificate di quelle svolte in modo individuale. Quasi un volontario su sei si impegna in più organizzazioni (16,2%). Il volontariato organizzato è una pratica consolidata nel tempo: il 76,9% si dedica alla stessa attività da tre anni o più e il 37,7% da oltre dieci anni. Per contro, il 48,9% di quanti si impegnano in attività individuale di volontariato lo fa da meno di due anni. Il 23,2% dei volontari è attivo in gruppi/organizzazioni con finalità religiose, il 17,4% in attività ricreative e culturali, il 16,4% nel settore sanitario, il 14,2% nell'assistenza sociale e protezione civile, l' 8,9% nelle attività sportive, il 3,4% in attività relative all'ambiente e il 3,1% nell'istruzione e ricerca.

Il 62,1% dei volontari che operano in una organizzazione svolge la propria attività perché crede "nella causa sostenuta dal gruppo". Il 49,6% di chi presta opera di volontariato dichiara di sentirsi meglio con se stesso[2].

 

 


La disciplina generale sul Terzo settore

Il Terzo settore e la costituzione

La nostra Costituzione sottolinea l’importanza dell’associazionismo:

·        tutelando le formazioni sociali per l’adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale (art. 2);

·        promuovendo il principio di solidarietà attraverso l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3);

·        ricordando ai singoli il dovere della solidarietà, attraverso lo svolgimento di una un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società (art. 4);

·        riconoscendo e garantendo la libertà di associazione (art. 18);

·        legando la libertà di iniziativa economica privata all’utilità sociale (art. 41);

·        forzando gli enti territoriali, nell’esercizio delle loro funzioni, a favorire l’autonoma iniziativa dei singoli  e delle formazioni sociali (art. 118 - sussidiarietà).

 

Cosa è il Terzo settore?

Ciò nonostante, il Terzo settore è stato finora disciplinato in maniera frammentaria e disorganica: la normativa vigente sul terzo settore può essere ricostruita riferendosi alle norme di carattere generale sulle entità con finalità altruistiche contenute nel Codice civile[3] e agli interventi legislativi settoriali, anche di natura tributaria e fiscale, succedutesi nel corso del tempo (vedi infra).

Fra l’altro, nell'intenzione del codice civile, l'associazione non riconosciuta avrebbe dovuto dar veste giuridica a realtà minori e di scarsa importanza sociale (circoli sportivi, ricreativi ecc.), mentre, al contrario, essa rappresenta la più usuale forma di presenza nel nostro ordinamento dei maggiori gruppi organizzati per fini non lucrativi: si pensi ai partiti politici ed ai sindacati. La struttura associativa di più larga diffusione in Italia è l'"associazione non riconosciuta" (disciplinata dagli articoli da 36 a 42 del codice civile): un gruppo di persone organizzato per il raggiungimento di uno scopo comune, che deve essere non lucrativo. L'associazione è "non riconosciuta" quando non ha richiesto (o ottenuto) il riconoscimento come persona giuridica.

Gli accordi interni tra gli associati regolano i rapporti anche per quanto riguarda l'amministrazione dei beni comuni, che formano il fondo comune dell'associazione costituito dai contributi degli associati (e dai beni acquistati con tali contributi). Il fondo comune risulta, dunque, di comproprietà degli associati (nessuno dei quali, però, può chiederne la divisione, neppure in caso di recesso dall'associazione) e serve a soddisfare le pretese dei creditori dell'associazione (non di quelli dei singoli associati): tuttavia, per le obbligazioni dell'associazione rispondono anche, personalmente e solidalmente, coloro che hanno agito in suo nome e per suo conto (in pratica, gli amministratori, ovvero le persone designate dall'atto costitutivo). Le associazioni non riconosciute possono acquistare, per il tramite dei propri organi, beni di qualsiasi specie, mobili o immobili.

E' comunque sempre possibile che l'associazione chieda il riconoscimento della personalità giuridica, ai sensi del codice civile (artt. 14-35) e del DPR  361/2000. Le persone giuridiche sono complessi organizzati di persone e di beni, rivolti ad uno scopo (lucrativo o non lucrativo) legalmente non vietato, ai quali la legge riconosce espressamente la qualifica di soggetti di diritto (a titolo esemplificativo: associazioni e fondazioni riconosciute, società), cioè enti dotati di capacità giuridica propria e distinti dalle persone fisiche che concorrono a formarli, con autonomia patrimoniale perfetta (anche il patrimonio dell'ente, cioè, rimane nettamente distinto dal patrimonio dei suoi componenti).

 

Di conseguenza, a legislazione vigente, l’elemento comune al Terzo settore risulta la caratterizzazione in negativo – assenza di fini di lucro[4] – mentre non è rinvenibile, nemmeno sul piano civilistico, una definizione in positivo delle caratteristiche comuni al Terzo settore e agli organismi che lo compongono.

La diretta conseguenza è, a legislazione vigente, l’assenza di una definizione normativa del Terzo settore che individui in maniera inequivocabile i soggetti che ne fanno parte.

 

L’Agenzia per le onlus, nelle Proposte per una riforma organica del Terzo settore del 2009, ribadendo la necessità di definire e dare articolazione identitaria ai diversi soggetti del terzo settore, suggeriva una definizione comune del Terzo settore come “ambito in cui agiscono soggetti giuridici collettivi privati, che, senza scopo di lucro, svolgono attività di utilità sociale come espressione di solidarietà”.

In tal quadro, l’Agenzia per le onlus prevedeva uno statuto generale comprensivo di principi e regole comuni (in materia di governance, di controllo, di profili partecipativi) e statuti speciali per ciascuno organismo.

 

L’Agenzia per le onlus (poi Agenzia per il terzo settore) è stata istituita e disciplinata dal DPCM 26 Settembre 2000, emanato in base alla delega contenuta nei commi da 190 a 192 dell’articolo 3 della legge 662/1996. L’attività istituzionale dell’Agenzia, avviata nel 2002 in applicazione del DPCM 329/2001, intendeva promuovere, su tutto il territorio nazionale, una “uniforme e corretta osservanza della disciplina legislativa e regolamentare” concernente le Onlus, il Terzo settore e gli enti non commerciali, attraverso l’esercizio dei poteri di indirizzo, promozione, vigilanza e controllo. Fra le principali attribuzioni dell’Agenzia era prevista: l’espressione di pareri vincolanti sulla devoluzione del patrimonio degli enti non profit; la formulazione di pareri su richiesta dell’Agenzia delle Entrate per l’eventuale cancellazione di Onlus dalla relativa anagrafe; la vigilanza sull’attività di sostegno a distanza, di raccolta fondi e di sollecitazione della fede pubblica; l’organizzazione di audizioni con i soggetti di terzo settore; la cura e la raccolta di dati, la promozione di indagini conoscitive per favorire una migliore comprensione del variegato mondo del non profit italiano.

Negli ultimi anni, l’Agenzia è stata impegnata nella elaborazione di specifiche Linee Guida con lo scopo di indirizzare le organizzazioni non profit a conseguire obiettivi di trasparenza, efficienza, efficacia e qualità nel proprio operato: Linee Guida per il bilancio di esercizio, Linee Guida per il bilancio sociale, Linee Guida per il sostegno a distanza, Linee Guida per la raccolta fondi, Linee Guida sulla gestione dei Registri del volontariato.

Il DPCM 51/2011 ha rafforzato il ruolo istituzionale dell’Agenzia, valorizzando e riconoscendo la funzione dei soggetti del terzo settore.

L’anno successivo, con una scelta molto contestata, l’Agenzia per il terzo settore è stata soppressa dal comma 23 dell’art. 8 del decreto legge 16/ 2012. I compiti e le funzioni dell’Agenzia, sono stati trasferiti al Ministero del lavoro e delle politiche sociali - Direzione Generale per il terzo settore e della responsabilità sociale delle imprese.

 

Rapporti fra istituzioni pubbliche e soggetti del Terzo settore

La Pubblica Amministrazione è il principale richiedente/acquirente dei servizi prodotti dalle organizzazioni di Terzo settore.  I primi interventi legislativi relativi al Terzo settore (legge quadro sul volontariato e legge sulle cooperative sociali), hanno fra l’altro avuto la finalità di dare risposta proprio a questo aspetto.

In seguito, un importante riconoscimento del valore del Terzo settore nei rapporti con la pubblica amministrazione, è stato operato con la legge 328/2000 che ha introdotto il sistema integrato dei servizi sociali, in cui i soggetti privati sono stati ammessi a concorrere alla programmazione dei servizi da erogare. In particolare, l’articolo 5 della legge quadro disciplina espressamente, in accordo col principio di sussidiarietà, la promozione dei soggetti operanti nel Terzo settore e sollecita gli enti pubblici a promuovere il ricorso a forme di aggiudicazione o negoziali che consentano agli enti del terzo settore la piena espressione della propria progettualità. I rapporti tra i comuni e loro forme associative con i soggetti del terzo settore ai fini dell'affidamento dei servizi sono stati poi disciplinati dal DPCM 30 marzo 2001[5], sulla base del quale, le regioni hanno adottato indirizzi specifici per regolamentare i rapporti tra enti locali e terzo settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona.

Per quanto riguarda gli strumenti giuridici per regolamentare la forma di collaborazione tra pubbliche amministrazioni e volontariato[6], l'articolo 7 della legge 266/1991l'articolo 30 della legge 383/2000 consentono agli enti pubblici (Stato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, le province, i comuni e gli altri enti pubblici ), di stipulare convenzioni, rispettivamente, con le organizzazioni di volontariato e con le associazioni di promozione sociale, iscritte da almeno 6 mesi negli appositi registri regionali, per lo svolgimento delle attività previste dallo statuto verso terzi.

Le convenzioni devono contenere disposizioni dirette a garantire l'esistenza delle condizioni necessarie a svolgere con continuità le attività stabilite dalle stesse convenzioni. Devono, inoltre, prevedere forme di verifica delle prestazioni e di controllo della loro qualità nonché ulteriori requisiti di carattere generale (fra gli altri: attitudine e capacità operativa; rispetto dei diritti e dignità degli utenti; modalità di rimborso spese; copertura assicurativa).

Le norme ora citate consentono agli enti pubblici di derogare alla disciplina generale dei contratti della Pubblica amministrazione e, quindi, di affidare alle associazioni iscritte nei registri regionali di riferimento l'esecuzione di servizi pubblici, senza dover passare da gare di appalto o altre procedure (ristrette od allargate) di affidamento/concorsuali.

 

Gli enti pubblici possono anche stipulare convenzioni con le cooperative sociali di tipo B che svolgono attività diverse da quelle socio-sanitarie ed educative (ovvero attività agricole, industriali, commerciali o di servizi), finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate - art. 5, comma 1, della legge 381/1991 vedi infra la sezione del presente Dossier dedicata alle cooperative sociali - finalizzate alla fornitura di determinati beni e servizi in deroga alla normativa del Codice dei contratti, purché detti affidamenti siano di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria.

La norma costituisce fra l’altro concreta attuazione di quanto stabilito dall’art. 45 della Costituzione, secondo cui la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata e ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei assicurandone, con opportuni controlli, il carattere e le finalità.

 

Anche i consorzi di cooperative sociali possono stipulare le convenzioni, purché costituiti almeno al 70% da cooperative sociali ed a condizione che le attività convenzionate siano svolte esclusivamente da cooperative sociali di inserimento lavorativo. L’iscrizione all’albo regionale è condizione necessaria per la stipula delle convenzioni, per le cooperative sociali residenti aventi sede in Italia ed i loro consorzi. Possono richiedere di convenzionarsi con gli enti pubblici italiani anche analoghi operatori aventi sede negli altri Stati membri, che siano in possesso di requisiti equivalenti a quelli richiesti per l'iscrizione all’albo e siano iscritti nelle liste regionali, con facoltà, in alternativa, di dare dimostrazione, mediante idonea documentazione, del possesso dei requisiti stessi (e, cioè, la presenza del 30% di persone svantaggiate nella compagine lavorativa). Le regioni devono rendere noti annualmente, attraverso la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea, i requisiti e le condizioni richiesti per la stipula delle convenzioni, nonché le liste regionali degli organismi che ne abbiano dimostrato il possesso alle competenti autorità regionali[7].

 

L’accreditamento e l’autorizzazione dei soggetti del Terzo settore

I rapporti tra istituzioni pubbliche e Terzo settore hanno creato meccanismi di accreditamento e autorizzazione molto complessi, tanto più importanti in quanto  fonte di legittimazione per l’esistenza e l’operatività del Terzo settore[8].

In assenza di un quadro normativo nazionale organico che determini requisiti minimi e livelli assistenziali standard uniformi per tutto il territorio italiano e che regolamenti il rapporto fra istituzioni pubbliche e terzo settore, ogni regione ha declinato diversamente la materia, con la conseguenza di una normativa frammentata e poco unitaria.

La recente indagine, a cura del Forum del Terzo settore, I registri delle associazioni di promozione sociale, fotografa la situazione riferita soltanto ai registri delle associazioni di promozione sociale (Aps): un registro nazionale[9] e più di trecento registri con banche dati regionali non omogenee né comparabili, che mostrano un panorama assolutamente variegato ed eterogeneo.

 


Gli organismi

I principali enti che compongono il mondo del non profit si differenziano sostanzialmente nella loro struttura, distinguendosi per tipologia e status giuridico.

 

Oltre alle Organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), la cui regolamentazione e il cui regime fiscale sono dettati dal decreto legislativo n. 460/1997 (Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale), compongono questa vasta categoria le associazioni del volontariato, disciplinate dalla legge n. 266/1991 (Legge quadro sul volontariato), le cooperative sociali, di cui alla legge n. 381/1991 (Disciplina delle cooperative sociali),le fondazioni ex-bancarie, disciplinate dal decreto legislativo n. 153/1999 (Disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti di cui all'articolo 11, comma 1, del D.Lgs. 20 novembre 1990, n. 356, e disciplina fiscale delle operazioni di ristrutturazione bancaria, a norma dell'articolo 1 della L. 23 dicembre 1998, n. 461) e le associazioni di promozione sociale, di cui alla legge 383/2000 (Disciplina delle associazioni di promozione sociale).

A completamento del quadro sopra esposto va poi ricordato che la legge n. 118/2005 (Delega al Governo concernente la disciplina dell'impresa sociale) ha disciplinato un tipo particolare di impresa, definita "sociale", comprendente soggetti con differenti connotazioni giuridiche ma che svolgono la propria attività, anche imprenditoriale, al di fuori della logica del profitto propria del mercato. L'elemento unificante è rappresentato proprio dall'assenza di fine di lucro, vale a dire dalla mancata redistribuzione degli utili tra gli associati. In attuazione della delega è stato poi emanato il Decreto legislativo n. 155/2006 (Disciplina dell'impresa sociale, a norma della legge 13 giugno 2005, n. 118).

 

 


Le Organizzazioni del Volontariato

La legge n. 266/1991 (L. 11 agosto 1991, 266, Legge quadro sul volontariato) definisce il volontariato come un'attività prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, anche indiretto, ed esclusivamente per fini di solidarietà.  

L'assenza della finalità di lucro non esclude la possibilità di conseguire risultati economici positivi, con il conseguente consolidamento patrimoniale e finanziario. Il divieto riguarda infatti l'impossibilità di distribuire utili e avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale, durante la vita dell'organizzazione.

 

La legge non individua i settori di attività nei quali le organizzazioni di volontariato devono operare.

 

A differenza di quanto stabilito dalla legge 383/2000 per le Associazioni di promozione sociale, l'art 3, comma 2, della legge 266/1991 prevede espressamente che le organizzazioni di volontariato possano assumere la forma giuridica che ritengono più adeguata al perseguimento dei propri fini, salvo il limite di compatibilità con lo scopo solidaristico e con le specifiche previsioni che gli accordi degli aderenti devono contenere. Tuttavia l'organizzazione di volontariato deve espressamente prevedere nell'atto costitutivo, accordo o statuto: l'assenza di fini di lucro; la democraticità della struttura - da intendersi come l'obbligo di osservare e garantire all'interno dell'organizzazione la parità di trattamento tra gli aderenti e la loro effettiva partecipazione alla vita associativa -; l'elettività e la gratuità delle cariche associative; la gratuità delle prestazioni fornite dagli aderenti; i criteri di ammissione e di esclusione di questi ultimi, nonché i loro diritti.

 

La qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di contenuto patrimoniale con l'organizzazione di cui si fa parte. Al volontario aderente possono essere soltanto rimborsate, dall'organizzazione di appartenenza, le spese effettivamente sostenute per l'attività prestata.

Lavoratori dipendenti o prestazioni di lavoro autonomo sono possibili esclusivamente nei limiti necessari al regolare funzionamento delle associazioni.

Ai sensi dell'art.4 della legge 266/1991, tutte le organizzazioni di volontariato hanno l'obbligo di assicurare tutti gli aderenti contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell'attività di volontariato, nonché per la responsabilità civile verso terzi. La copertura assicurativa deve avvenire tramite assicurazioni private che possono essere stipulate in forma collettiva o in forma numerica come previsto dall'art. 2 del D.M. 14 febbraio 1992. Gli oneri relativi alla copertura assicurativa, qualora l'organizzazione stipuli delle convenzioni con gli enti pubblici, sono a carico dell'ente pubblico con il quale viene stipulata la convenzione medesima.

 

Le fonti da cui le organizzazioni possono trarre le risorse economiche necessarie al loro funzionamento sono: i contributi degli aderenti, di privati, dello Stato, di organismi internazionali; eventuali donazioni e lasciti testamentari; i rimborsi derivanti da convenzioni e, infine, le entrate derivanti da attività commerciali e produttive marginali.

Fra le risorse economiche vale la pena ricordare il Fondo speciale per il volontariato, istituito in tutte le regioni ai sensi dell'art. 15 della legge 266/1991, è alimentato dagli enti dalle Fondazioni bancarie attraverso l'accantonamento annuale di 1/15 degli utili (sul punto vedi quanto illustrato nel presente Dossier relativamente all’articolo 3 della legge delega).

 

Non esiste un registro nazionale delle Organizzazioni di volontariato. La legge n. 266/1991 ha istituito registri regionali e provinciali e ha incaricato le regioni e le province autonome ad istituire e disciplinare i registri delle organizzazioni di volontariato. Le leggi regionali hanno, in alcuni casi, delegato o trasferito le funzioni alle province. Nel caso di delega delle funzioni occorre ricordare che la responsabilità ultima della corretta tenuta del registro resta alle regioni le quali possono infatti graduare il contenuto dell'incarico stabilendo quali dei compiti compresi nella funzione assegnare alle singole province.

 

Si ricorda inoltre che la Legge n. 476 del 19 novembre 1987 (Nuova disciplina del sostegno alle attività di promozione sociale e contributi alle associazioni combattentistiche) e la Legge n. 438 del 15 dicembre 1998 (Contributo statale a favore delle associazioni nazionali di promozione sociale) prevedono la concessione di un contributo in favore di:

La legge n. 438/1998, art. 1, comma 2, stabilisce che il contributo statale debba essere ripartito nel modo seguente: 

 

Gli enti e le associazioni italiane che usufruiscono del contributo sono tenuti ad utilizzarlo per fini di promozione e integrazione sociale. Il contributo viene stanziato annualmente e varia a seconda della ripartizione effettuata dal Fondo nazionale delle politiche sociali (nel 2012 è stato pari a  5.160.000,00 euro)[10].

La legge n. 476/1987 prevede inoltre che possano essere ammessi a contributo anche i soggetti aventi sede unica o sedi in meno di dieci regioni, a  condizione che l'attività svolta da detti soggetti sia riconosciuta di evidente  funzione sociale. Tale requisito deve essere desunto in modo incontrovertibile da  un  provvedimento emesso da un'Amministrazione  statale.

La concessione del contributo è subordinata alla presentazione di apposita istanza, corredata dalla documentazione prevista[11].

 

 


Le Cooperative sociali

Nel codice civile, la società cooperativa viene definita come società a capitale variabile con scopo mutualistico.

Fondamentale è la distinzione tra cooperative a mutualità prevalente e cooperative non a mutualità prevalente, dette "cooperative diverse".

In base al Codice Civile sono società cooperative a mutualità prevalente,  quelle che (art. 2512):

Il codice civile prevede criteri oggettivi per il calcolo della prevalenza e fissa i vincoli statutari da adottare per le cooperative a mutualità prevalente (art. 2513 e 2514).

Le cooperative sociali sono considerate di diritto a mutualità prevalente. Le disposizioni fiscali di carattere agevolativo previste dalle leggi speciali si applicano soltanto alle cooperative a mutualità prevalente. Nelle cooperative a mutualità prevalente non possono essere distribuiti dividendi in misura superiore all’interesse dei buoni postali fruttiferi aumentato di due punti. Il patrimonio di una cooperativa non può essere distribuito.

Le cooperative sono caratterizzate dal voto capitario dei soci, ovvero dal fatto che ogni socio ha diritto a un voto in Assemblea, indipendentemente dal valore della propria quota di capitale sociale: viceversa, nelle società per azioni i voti sono attribuiti in proporzione al numero di azioni (con diritto di voto) possedute da ogni socio.

Gli statuti delle cooperative sociali possono prevedere la presenza di soci volontari che prestano la loro attività gratuitamente.

 

Per quanto non specificatamente disciplinato dalle norme del codice civile, alle cooperative (artt. 2511-2548), si applica quanto disposto dalla legge 381/1991.

 

La legge individua due tipologie di cooperative sociali:

  1. cooperative "di tipo A" destinate ad occuparsi della gestione dei servizi socio sanitari, assistenziali ed educativi;
  2. cooperative "di tipo B" destinate allo svolgimento d'attività produttive (agricole, industriali, commerciali o di servizi) finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate (invalidi fisici, psichici e sensoriali, ex degenti di istituti psichiatrici, soggetti in trattamento psichiatrico, tossicodipendenti, alcolisti, minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione). Le persone svantaggiate devono costituire almeno il trenta per cento dei lavoratori della cooperativa e, compatibilmente con il loro stato soggettivo, essere socie della cooperativa stessa.

Gli enti pubblici, compresi quelli economici, e le società di capitali a partecipazione pubblica, anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione, possono stipulare convenzioni con le cooperative di tipo B, ovvero con analoghi organismi aventi sede negli altri Stati membri dell'Unione Europea, per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi, purché tali convenzioni siano finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate. Per la stipula delle convenzioni le cooperative sociali debbono risultare iscritte in un apposito albo regionale (vedi supra). Gli analoghi organismi aventi sede negli altri Stati UE debbono essere in possesso di requisiti equivalenti a quelli richiesti per l'iscrizione a tale albo e risultare iscritti in specifiche liste regionali, ovvero dare dimostrazione con idonea documentazione del possesso dei requisiti stessi.

 

All’interno della cooperativa possono coesistere diverse tipologie di soci: i soci prestatori che svolgono attività lavorativa retribuita; i soci volontari che prestano la loro attività gratuitamente; i soci fruitori, ossia le persone beneficiarie dei servizi.

 

Le disposizioni della legge 381/1991 trovano applicazione anche nei confronti dei consorzi costituiti come società cooperative, ma solo nel caso in cui la base sociale sia formata in misura non inferiore del settanta per cento da cooperative sociali.

 

Il D.M. 23 giugno 2004 ha istituito l'Albo delle Società Cooperative presso il Ministero delle Attività Produttive, che ne ha disciplinato le modalità di iscrizione. Tale Albo, che ha sostituito i Registri Prefettizi e lo Schedario Generale della cooperazione, è gestito con modalità informatiche dal Ministero che si avvale degli uffici delle Camere di Commercio. Esso è suddiviso in due sezioni: la I dedicata alle Società cooperative a mutualità prevalente, in cui devono iscriversi le Cooperative a mutualità prevalente di cui agli artt. 2512, 2513, e 2514, del codice civile. Nell'ambito di questa sezione è stata creata un ulteriore sezione per le cooperative a mutualità prevalente di diritto, come ad esempio le cooperative sociali, qualificate in tal modo direttamente dalla legge; la II sezione è dedicata alle Società cooperative diverse da quelle a mutualità prevalente[12].


Le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS)

L’articolo 10 del D.Lgs. n. 460/1997, che regolamenta il settore del non profit secondo criteri di unitarietà e coordinamento in materia di normativa tributaria degli enti non commerciali, ha introdotto nell'ordinamento nazionale le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS).

All’interno dei soggetti del Terzo settore, le ONLUS costituiscono una categoria rilevante ai soli fini fiscali, alla quale è destinato un regime tributario di favore in considerazione delle finalità di solidarietà sociale perseguite.

 

L’articolo 10 del D.Lgs. 460/1997 non indica un’ulteriore tipologia giuridica di diritto civile di organizzazione non profit, ma una specifica categoria del diritto tributario.

Ne deriva che possono qualificarsi come ONLUS: le associazioni con o senza personalità giuridica; i comitati; le fondazioni; le società cooperative e altri enti di carattere privato purché perseguano finalità meritevoli di tutela.

Al contrario, non possono qualificarsi come ONLUS e sono soggetti esclusi : gli enti pubblici, le società commerciali diverse dalle cooperative, le fondazioni bancarie, i partiti e i movimenti politici, le organizzazioni sindacali, le associazioni di datori di lavoro e le associazioni di categoria[13].

La condizione necessaria per acquisire la qualifica di ONLUS è dunque individuata dalla finalità di solidarietà sociale rivolta ad apportare benefici a persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, sociali, economiche o familiari, oppure a componenti di collettività estere relativamente agli aiuti umanitari.

 

L’articolo 10 specifica che le finalità di solidarietà sociale si intendono sempre perseguite per i soggetti del terzo settore che svolgono attività in uno o più dei settori riferibili a:

·        assistenza sociale e socio-sanitaria;

·        assistenza sanitaria;

·        beneficenza;

·        istruzione;

·        formazione;

·        sport dilettantistico;

·        tutela, promozione e valorizzazione delle cose d'interesse artistico e storico;

·        tutela e valorizzazione della natura e dell'ambiente;

·        promozione della cultura e dell'arte;

·        tutela dei diritti civili;

·        ricerca scientifica di particolare interesse sociale;

·        cooperazione allo sviluppo e solidarietà internazionale;

·        esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale.

 

Ulteriore condizione necessaria per acquisire la qualifica di ONLUS, è che gli statuti o atti costitutivi dei soggetti che intendono qualificarsi come tali devono prevedere espressamente le seguenti clausole, indicate nell'art. 10, comma 1, del decreto istitutivo:

 

L'art. 10, comma 8, prevede l'automatica acquisizione della qualifica di ONLUS per:

·        le organizzazioni di volontariato iscritte nel registro regionale;

·        le Organizzazioni non governative (ONG);

·         le cooperative sociali  iscritte nella “sezione cooperazione sociale” del registro prefettizio;

·        i consorzi costituiti interamente da cooperative sociali.

Questi soggetti sono definiti ONLUS di diritto.

 

Come già detto, le ONLUS, se in possesso dei requisiti sopra elencati, possono usufruire di rilevanti agevolazioni fiscali e di un regime tributario agevolato per quanto riguarda le imposte sui redditi, l'IVA e le altre imposte indirette. Per beneficiare delle agevolazioni i soggetti interessati devono chiedere l'iscrizione all'Anagrafe unica delle Organizzazioni non lucrative di utilità sociale, presentando una comunicazione all'Agenzia delle Entrate. Tale adempimento non è richiesto alle cosiddette Onlus di diritto.

Per quanto riguarda le agevolazioni fiscali, ai fini delle imposte dirette:

Per quanto riguarda l'Iva, per esempio, non c'è l'obbligo di ricevuta o scontrino fiscale per le operazioni riconducibili alle attività istituzionali. Tra le agevolazioni riguardanti le altre imposte indirette rientrano: l'esenzione dall'imposta di bollo e della tassa sulle concessioni governative il pagamento dell'imposta di registro in misura fissa sugli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili e degli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento.

 

 


Le Associazioni di promozione sociale (APS)

Per quanto riguarda la legge 383/2000, in premessa occorre ricordare ciò che è stato spesso sottolineato in dottrina riguardo la difficoltà di armonizzarne le disposizioni con la disciplina sull’associazionismo contenuta nel codice civile.

E’ stato inoltre da più parti sottolineato che, per alcuni profili, la disciplina riguardante le associazioni di promozione sociale, appare mutuata da quella delle Onlus[14].

La legge 7 dicembre 2000, n. 383 ha operato il riconoscimento delle associazioni di promozione sociale e ne ha disciplinato la costituzione, stabilendo i principi cui regioni e province autonome si devono attenere nel disciplinare i rapporti tra le istituzioni pubbliche e le APS.

 

Le APS possono essere  associazioni riconosciute e non riconosciute, movimenti e gruppi purché svolgano attività di utilità sociale a favore di associati o di terzi, senza scopo di lucro e garantendo il rispetto della libertà degli associati. Si esclude espressamente che rientrino nella categoria delle APS: i partiti politici, le organizzazioni sindacali e professionali; sono inoltre esclusi i circoli privati e le associazioni che pongano limitazioni con riferimento alle condizioni economiche degli associati o discriminazioni in relazione all'ammissione dei medesimi.

 

Le APS traggono le risorse economiche per il loro funzionamento e per lo svolgimento delle loro attività da: quote e contributi degli associati; eredità, donazioni e legati; contributi dello Stato, delle regioni, di enti locali, di enti o di istituzioni pubblici, anche finalizzati al sostegno di specifici e documentati programmi realizzati nell'ambito dei fini statutari; contributi dell'Unione europea e di organismi internazionali; entrate derivanti da prestazioni di servizi convenzionati; proventi delle cessioni di beni e servizi agli associati e a terzi, anche attraverso lo svolgimento di attività economiche di natura commerciale, artigianale o agricola, svolte in maniera ausiliaria e sussidiaria e comunque finalizzate al raggiungimento degli obiettivi istituzionali;  erogazioni liberali degli associati e dei terzi; entrate derivanti da iniziative promozionali.

La dottrina appare concorde nel sottolineare che uno degli obiettivi principali delle leggi 266/1991 e 383/2000 è stato proprio quello di riconoscere ampia capacità giuridica anche alle associazioni non riconosciute (prive di personalità giuridica) dando ad esse la possibilità di acquistare immobili ed esercitare diritti di proprietà, di promuovere azioni legali, di stipulare convenzioni con enti pubblici ed accettare eredità, eliminando così il problema legato alla natura concessoria e discrezionale del procedimento per il riconoscimento della personalità giuridica.

 

 

Nel definire le modalità di costituzione delle APS, la legge specifica il contenuto necessario minimo dello statuto: di particolare rilievo, l'espressa dichiarazione di assenza di fini di lucro, intesa come divieto di distribuzione degli utili tra gli associati, e l'obbligo di reinvestire l'eventuale avanzo di gestione in attività istituzionali statuariamente previste.

 

L'articolo 7 della legge 383/2000 dispone l'istituzione di un Registro nazionale delle APS presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, poi disciplinato dal Decreto 471/2001.

Per poter iscriversi al registro nazionale è necessario che un’associazione sia presente in almeno 5 regioni e in almeno 20 province del territorio nazionale, mentre i requisiti per l’iscrizione nei registri regionali variano secondo la regione di riferimento.

Ad oggi il Registro Nazionale delle Associazioni di Promozione Sociale conta 164 associazioni; se a queste però si aggiungono tutte quelle iscritte nei vari registri regionali, il numero aumenta esponenzialmente e si arriva a toccare quota 200.000; a queste sono associati circa 10.000.000 di cittadini.

 

La legge individua una pluralità di agevolazioni per le associazioni di promozione sociale iscritte nei registri (articoli da 20 a 32).  In particolare, la legge 383/2000 estende anche alle APS il beneficio della detraibilità delle erogazioni liberali effettuate da privati e imprese e prevede la possibilità, per le associazioni, di partecipare al riparto del cinque per mille.

Inoltre, sono state estese alle APS alcune agevolazioni fiscali tipiche delle ONLUS quali la riduzione delle tariffe postali ovvero la possibilità per i comuni di prevedere delle agevolazioni sui tributi di propria competenza.

Ci sono poi vantaggi finanziari consistenti nel riconoscimento alle APS delle provvidenze creditizie e fideiussorie previste per cooperative e consorzi, nonché nell’accesso ai finanziamenti del Fondo sociale europeo per progetti finalizzati al raggiungimento dei fini istituzionali.

Inoltre, alle APS sono riconosciuti altri vantaggi amministrativi volti a rafforzare le intese e i rapporti con gli enti locali di riferimento, quali la possibilità di utilizzare gratuitamente per iniziative temporanee od ottenere in comodato beni mobili e immobili non utilizzati dagli enti locali per fini istituzionali. Inoltre, le APS possono esercitare attività turistiche e ricettive per i propri associati e possono ottenere dal Sindaco autorizzazioni temporanee alla somministrazione di alimenti e bevande (ma tale possibilità è riconosciuta solamente alle associazioni di promozione sociale con finalità assistenziali riconosciute dal Ministero dell’Interno, ai sensi dell’articolo 11, comma 4-bis, del D.P.R. 917/1986).

La legge individua anche delle agevolazioni per gli aderenti delle APS; questi ultimi, ad esempio, per poter espletare le attività istituzionali svolte sulla base di convenzioni con enti pubblici, hanno diritto ad usufruire di forme di flessibilità nell'orario di lavoro, cosa che non è prevista per gli aderenti delle Associazioni di volontariato.

 

La legge 383/2000 disciplina l'istituzione e le funzioni di un Osservatorio nazionale dell'associazionismo, con sede presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con le seguenti competenze: assistenza nella tenuta e nell'aggiornamento del registro nazionale; promozione di studi e ricerche; pubblicazione di un rapporto biennale sul fenomeno associativo; sostegno delle iniziative di formazione e di aggiornamento nonché di progetti di informatizzazione; pubblicazione di un bollettino periodico di informazione; approvazione di progetti sperimentali finalizzati a fronteggiare particolari emergenze sociali e a favorire metodologie di intervento particolarmente avanzate; promozione di scambi e forme di collaborazione fra le associazioni di promozione sociale italiane e straniere; organizzazione di una conferenza nazionale sull'associazionismo; esame dei messaggi di utilità sociale.

La situazione regionale in materia di Registri e Osservatori è alquanto disomogenea, anche perché la legge 383/2000 non ha fornito indicazioni puntuali e stringenti su come debba essere configurata la normativa regionale  sulle associazioni di promozione sociale, con il risultato di un ruolo diverso delle APS nella attuazione delle politiche locali di welfare (sul punto si rinvia a quanto illustrato in materia nella sezione di questo Dossier dedicata all’articolo 3).

 

 


Le Fondazioni

La Corte costituzionale (nelle sentenze 300 e 301 del 2003) ha posto le fondazioni bancarie tra i “soggetti dell’organizzazione delle libertà sociali” riconoscendole come soggetti privati che operano per scopi di utilità sociale e come tali da sottrarre a una serie di controlli pubblici.

L'articolo 16 del codice civile stabilisce che l'atto costitutivo e lo statuto di una fondazione devono necessariamente contenere: la denominazione dell'ente; l'indicazione dello scopo, del patrimonio; la sede; le norme sull'ordinamento e sulla amministrazione; i criteri e modalità di erogazione delle rendite. Il fondatore designa la persona o le persone a cui spetta la carica di amministratore. L'organo amministrativo della fondazione decide in modo autonomo sulle modalità di gestione del patrimonio in funzione del migliore raggiungimento dello scopo individuato dal fondatore, ma non può in nessun caso modificarne la destinazione.

 

Le fondazioni bancarie

Le fondazioni, nate dalla trasformazione delle aziende bancarie in Spa, ai sensi della legge 218/1990 (Legge Amato), sono state successivamente disciplinate dal decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153 che ne ha chiarito la natura e l'attività[15].

Esse vengono definite come persone giuridiche private senza fine di lucro, che perseguono in via esclusiva scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico. Le fondazioni possono esercitare attività d'impresa, solo se ciò risulta strumentale al perseguimento dei fini statutari, mentre è loro preclusa l'attività creditizia nonché quella di finanziamento o sovvenzione di enti con scopo di lucro o di qualunque impresa, ad eccezione delle imprese strumentali e delle cooperative sociali.

Per quanto riguarda l'assetto organizzativo, gli statuti delle fondazioni devono prevedere organi distinti per l'esercizio delle funzioni di indirizzo, di amministrazione e di controllo. Il loro patrimonio è rigorosamente vincolato al perseguimento degli scopi statutari fissati dal fondatore.

Come precedentemente detto, l'articolo 15 della legge 266/1991 prevede che le fondazioni bancarie siano tenute a destinare ai fondi speciali per il volontariato una quota non inferiore ad un quindicesimo dei propri proventi, al netto delle spese di funzionamento.

 

Le fondazioni sono sottoposte alla vigilanza del Ministero dell'Economia e delle Finanze. Le fondazioni bancarie sono 88 e dispongono di ingenti patrimoni, i cui utili di gestione vengono impiegati per sostenere attività d'interesse collettivo, in particolar modo nei settori della ricerca scientifica; dell'istruzione; dell'arte; della sanità; della cultura; della conservazione e valorizzazione dei beni ambientali e paesaggistici; dell'assistenza alle categorie sociali deboli e in tutti quei settori, fra quelli ammessi dalla legge, che ciascuna Fondazione ritenga di prevedere nel proprio statuto. 

 

Nel 2013, il patrimonio contabile delle Fondazioni di origine bancaria ammontava a 40,9 miliardi di euro.

Le Fondazioni sono più numerose nel Nord del Paese (sono 47). Nel Nord Ovest in particolare, dove risiedono 5 delle 18 Fondazioni di grande dimensione, il valore medio del patrimonio è più del doppio della media generale (1.070 milioni di euro contro 464). Al Sud e Isole, invece, per ragioni storiche le Fondazioni sono solo 11 e il loro patrimonio medio si attesta sui 174 milioni di euro, al di sotto della metà del dato generale.

Nel 2013, l'attività istituzionale delle 88 Fondazioni ha assorbito 1.287,3 milioni di euro, di cui 884,9 milioni di euro  deliberati per la realizzazione dell'attività istituzionale corrente (853,3 per interventi erogativi decisi dalle Fondazioni e 31,5 per i fondi speciali per il volontariato, di cui alla legge 266/1991) e 402,4 milioni di euro destinati all’accantonamento per il sostegno all'attività istituzionale futura.

Nel 2013 le Fondazioni hanno finanziato 22.334 iniziative con un valore medio per intervento di 39.619 euro[16].

Il 16 ottobre 2013 è stata siglata l’intesa tra l’Acri, in rappresentanza delle Fondazioni di origine bancaria, le rappresentanze del Volontariato, dei Centri di Servizio per il Volontariato (CSV) e dei Comitati di gestione (CO.GE), per la rimodulazione dell’accordo sottoscritto dalle stesse parti nel 2010. La nuova intesa rimodula gli impegni precedentemente assunti dalle Fondazioni per il biennio 2013-2014 e li estende al 2015, allungando di fatto di un anno la validità dell’ accordo del 2010.

 


L'Impresa sociale

L’impresa sociale è stata introdotta nel nostro ordinamento dalla legge 118/2005, poi disciplinata dal D. Lgs. 155/2006.

L’Impresa sociale è definita “una organizzazione privata senza scopo di lucro che esercita, in via stabile e principale, un’attività economica di produzione o di scambio di beni o di servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale[17].

L’impresa sociale non rappresenta un soggetto giuridico a sé, ma una nuova qualificazione che può essere assunta da soggetti costituiti con qualsiasi forma giuridica, in presenza delle seguenti condizioni:

1.     Operatività nei settori considerati ad utilità sociale;

2.     Divieto di distribuzione degli utili ai soci.

Tra le diverse tipologie di soggetti che costituiscono il Terzo Settore, le imprese sociali si caratterizzano per un maggiore orientamento al mercato, dal momento che svolgono una normale attività imprenditoriale e si avvalgono delle prestazioni dei lavoratori, di cui almeno il 50% deve essere a titolo oneroso (cioè non prestato da volontari).

Possono acquisire il titolo di impresa sociale tutte le organizzazioni che esercitano attività d'impresa al fine dell'inserimento lavorativo di lavoratori svantaggiati oppure disabili, a patto che questi rappresentino almeno il 30% del personale.

La maggior parte delle imprese sociali sono costituite con la forma giuridica delle cooperative sociali (legge 381/1991).

La legge stabilisce inoltre che l'impresa sociale non può essere diretta o controllata da imprese private con finalità lucrative e da amministrazioni pubbliche, ha l'obbligo di reinvestire gli utili o gli avanzi di gestione nello svolgimento dell'attività istituzionale oppure per incrementare il patrimonio e ha il divieto di ridistribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitali, ad amministratori e a soci, partecipanti (persone fisiche o giuridiche), collaboratori o dipendenti, al fine di garantire in ogni caso il carattere non speculativo della partecipazione all'attività dell'impresa.

L'oggetto sociale può riguardare ambiti quali l'assistenza sociale e quella sanitaria, l'educazione, la tutela dell'ambiente e la valorizzazione del patrimonio culturale.

L'impresa sociale, così come le altre imprese, deve essere iscritta al Registro Imprese della Camere di Commercio.

 

Allo scopo di fornire una sistemazione organica, sotto il profilo civilistico, al variegato mondo delle organizzazioni con finalità non lucrative, il cosiddetto no-profit, con la legge 13 giugno 2005, n. 118, è stata conferita al Governo una delega per l'emanazione di una nuova disciplina dell'impresa sociale.

Il provvedimento si è reso necessario per il notevole incremento delle ONLUS, fenomeno che ha contribuito in maniera considerevole allo sviluppo di un nuovo tipo di imprenditorialità, che riveste un ruolo importante non solamente per le implicazioni sociali, ma anche per le ricadute economiche ed occupazionali.

Nonostante la copiosa normativa in materia sociale, prima di tale intervento legislativo, tutta la disciplina degli enti privati rimaneva circoscritta entro la rigida distinzione tracciata dal codice civile già dal 1942 tra enti del libro I (associazioni con o senza personalità giuridica, fondazioni e comitati) senza fini di lucro ed enti del libro V (società lucrative e cooperative), finalizzati alla produzione di beni e servizi in funzione meramente lucrativa o di mutualità interna.

Da qui la necessità di una riforma complessiva del fenomeno dell'imprenditorialità sociale. La legge n. 118/2005, recuperando alcuni aspetti presenti nella disciplina speciale, ha previsto quindi una definizione di impresa sociale applicabile trasversalmente ad enti del libro I e del libro V del codice, delineandone la relativa disciplina.

In attuazione della citata delega, il Governo ha, quindi, emanato il decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155 (Disciplina dell'impresa sociale, a norma della legge 13 giugno 2005, n. 118).

Il decreto ha fornito, anzitutto, la nozione di impresa di utilità sociale, riprendendola testualmente da quella della legge delega, che fa riferimento a quelle organizzazioni private senza scopo di lucro che esercitano in via stabile e principale un'attività economica organizzata di produzione e scambio di beni o di servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale. Sono escluse dal novero di impresa sociale le amministrazioni pubbliche di cui al TU sul pubblico impiego (D.Lgs n. 165/2001) e le organizzazioni i cui atti costitutivi limitino, anche indirettamente, l'erogazione dei beni e dei servizi in favore dei soli soci, associati o partecipi.

In ossequio ad una specifica indicazione della legge delega è poi stabilita una specifica disciplina per gli enti ecclesiastici e gli enti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, che rimette ad uno specifico regolamento, adottato in forma di scrittura privata autenticata, il recepimento delle norme del provvedimento relative allo svolgimento delle attività di utilità sociale.

 

Il decreto legislativo stabilisce i settori nei quali i beni e servizi prodotti o scambiati possano essere considerati di utilità sociale:

E' poi stabilito che, indipendentemente dai propri settori di attività, possano essere considerate imprese sociali anche quelle che inseriscano nel loro organico una quota non inferiore al 30 per cento di lavoratori svantaggiati e disabili.

Il D. Lgs n. 155 del 2006 stabilisce regole certe anche per quanto concerne il personale che viene impiegato nelle imprese sociali, ad esempio, prevedendo che non possa ricevere un compenso inferiore ed un trattamento diverso da quello previsto dai contratti e accordi collettivi applicabili e che debba avere il diritto di consultazione, informazione e partecipazione, secondo quanto previsto dai regolamenti aziendali. E' specificato inoltre che, salvo che per gli enti ecclesiastici e agli enti delle confessioni religiose sopraccitati, nelle imprese non profit possono lavorare dei volontari a qualunque titolo, in misura, però, non superiore al 50 per cento.

Il provvedimento individua i requisiti che devono caratterizzare un'impresa sociale:

1.     costituzione con atto pubblico, che deve in particolare indicare l'assenza dello scopo di lucro e l'oggetto sociale dell'impresa;

2.     uso obbligatorio, nella denominazione, della locuzione "impresa sociale";

3.     l'ottenimento di oltre il 70 per cento dei ricavi dalla sua attività principale (l'attività economica destinata alla realizzazione di interessi di utilità generale);

4.     l'incondizionato divieto di distribuzione di utili ed avanzi di gestione (che dovranno essere destinati allo svolgimento dell'attività statutaria o ad incremento del patrimonio);

5.     la redazione del bilancio sociale e la previsione di forme di coinvolgimento e di partecipazione dei lavoratori e dei destinatari delle attività.

 

Specifiche disposizioni sono dettate in merito alla struttura proprietaria ed alla disciplina dei gruppi di imprese sociali volte a garantire la trasparenza della gestione e ad impedire il controllo di queste ultime da parte di soggetti privati o pubbliche amministrazioni, enti ed aziende equiparate.

 

Oltre alla conferma delle agevolazioni fiscali in favore delle ONLUS che si trasformino in imprese sociali – peraltro sottoposte alla potestà ispettiva e sanzionatoria del Ministero del lavoro e delle politiche sociali - un'ulteriore facilitazione riguarda la responsabilità patrimoniale: è, infatti, stabilito che "nelle organizzazioni che esercitano un'impresa sociale il cui patrimonio è superiore a 20.000 euro, dal momento della iscrizione nella apposita sezione del registro delle imprese, delle obbligazioni assunte risponde soltanto l'organizzazione con il suo patrimonio"; se sopravvengono, però, delle perdite che provocano una diminuzione del patrimonio di oltre un terzo rispetto ai 20.000 euro di riferimento, delle obbligazioni assunte rispondono personalmente e solidalmente anche coloro che hanno agito in nome e per conto dell'impresa.

In caso di insolvenza, le organizzazioni che esercitano un'impresa sociale sono assoggettate alla liquidazione coatta amministrativa. Sia da tale disciplina che da quella sopraccitata relativa alla responsabilità patrimoniale sono esclusi gli enti ecclesiastici e gli enti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese.

 


Le Organizzazioni non governative (ONG)

Le ONG sono organizzazioni delle società civile specializzate nella cooperazione allo sviluppo e nell’aiuto umanitario. Le ONG sono state finora regolate dalla legge 49/1987, che fra breve sarà abrogata[18], come indicato dalla legge 11 agosto 2014, n. 125 Disciplina generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo di riforma del nostro sistema di cooperazione e di aiuti allo sviluppo,  entrata in vigore il 29 agosto 2014.

 

La legge 125/2014 definisce una nuova governance del sistema della cooperazione, attraverso l’istituzione di:

·        il Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo (Cics), costituito da rappresentanti dei dicasteri che hanno competenze in materie che sono oggetto di attività di cooperazione allo sviluppo, garantisce la coerenza e il coordinamento delle politiche in materia;

·        l’l'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, che svolge le attività a carattere tecnico-operativo connesse alle fasi di istruttoria, formulazione, finanziamento, gestione e controllo delle iniziative di cooperazione. L'Agenzia eroga servizi, assistenza e supporto tecnico alle altre amministrazioni pubbliche che operano negli ambiti della cooperazione, regolando i rispettivi rapporti con apposite convenzioni; acquisisce incarichi di esecuzione di programmi e progetti dell'Unione europea, di banche, fondi e organismi internazionali e collabora con strutture di altri Paesi aventi analoghe finalità; promuove forme di partenariato con soggetti privati per la realizzazione di specifiche iniziative; può realizzare iniziative finanziate da soggetti privati;

·        il Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo composto dai principali soggetti pubblici e privati, profit e non profit, della cooperazione internazionale allo sviluppo: rappresentanti dei Ministeri coinvolti, delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, degli enti locali, dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, delle principali reti di organizzazioni della società civile di cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario, delle università e del volontariato.

Il Capo VI della legge 125/2014 regola i soggetti della cooperazione allo sviluppo, la partecipazione della società civile e i partenariati internazionali.

 Sono soggetti del sistema della cooperazione allo sviluppo: le amministrazioni dello Stato, le università e gli enti pubblici; le regioni, le province autonome e gli enti locali; le organizzazioni della società civile e gli altri soggetti non profit;  i soggetti con finalità di lucro, qualora agiscano con modalità conformi ai princìpi della legge di riforma, aderiscano agli standard comunemente adottati sulla responsabilità sociale e alle clausole ambientali, nonché rispettino le norme sui diritti umani per gli investimenti internazionali.

 

L’articolo 26 della legge elenca le organizzazioni della società civile e gli altri enti non profit che possono esseri soggetti attivi della cooperazione allo sviluppo:

a) organizzazioni non governative (ONG) specializzate nella cooperazione allo sviluppo e nell'aiuto umanitario;

b) organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) statutariamente finalizzate alla cooperazione allo sviluppo e alla solidarietà internazionale;

c)  organizzazioni di commercio equo e solidale, della finanza etica e del microcredito che nel proprio statuto prevedano come finalità prioritaria la cooperazione internazionale allo sviluppo;

d) le organizzazioni e le associazioni delle comunità di immigrati che mantengono con le comunità dei Paesi di origine rapporti di cooperazione e sostegno allo sviluppo o che collaborano con soggetti autorizzati attivi nei Paesi coinvolti;

e) le imprese cooperative e sociali, le organizzazioni sindacali dei lavoratori e degli imprenditori, le fondazioni, le organizzazioni di volontariato, e le associazioni di promozione sociale, qualora i loro statuti prevedano la cooperazione allo sviluppo tra i fini istituzionali;

f)  le organizzazioni con sede legale in Italia che godono da almeno quattro anni dello status consultivo presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC).

 

I criteri su cui misurare le competenze e l'esperienza delle organizzazioni della società civile e degli altri soggetti non profit attivi nella cooperazione sono fissati dal Comitato congiunto per la cooperazione allo sviluppo. 

Il Comitato è presieduto dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale (nuova denominazione attribuita dalla legge 125/2014 al MAE) o dal vice ministro della cooperazione allo sviluppo ed è composto dal direttore generale per la cooperazione allo sviluppo e dal direttore dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo. Ad esso partecipano, senza diritto di voto, i responsabili delle rispettive strutture competenti in relazione alle questioni all'ordine del giorno e i rappresentanti del MEF o di altre amministrazioni. Quando si trattano questioni che interessano anche le regioni, ad esso partecipano, senza diritto di voto, un rappresentante della Conferenza delle regioni e delle province autonome e, per gli ambiti di competenza degli enti locali, un rappresentante delle associazioni rappresentative. Il Comitato approva tutte le iniziative di cooperazione di valore superiore a due milioni di euro, delibera le singole iniziative da finanziare e definisce la programmazione annuale con riferimento a Paesi e aree di intervento. Le iniziative di importo inferiore sono portate a conoscenza del Comitato.

 

A seguito di tali verifiche, le organizzazioni della società civile e gli altri soggetti non profit attivi nella cooperazione possono essere iscritti in un apposito elenco pubblicato e aggiornato periodicamente dall'l'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo. La verifica delle capacità e dell'efficacia dei medesimi soggetti è rinnovata con cadenza almeno biennale.

Nel periodo transitorio, le organizzazioni non governative già riconosciute idonee ai sensi della legge 49/1987, e considerate organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) ai sensi dell’articolo 10, comma 8, del D. Lgs.  460/1997, alla data di entrata in vigore della legge 125/2014, sono iscritte all’Anagrafe unica delle ONLUS, su istanza avanzata dalle stesse presso l’Agenzia delle entrate. In ogni caso, per i primi sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge ovvero fino al momento dell’avvenuta iscrizione, rimangono validi gli effetti del riconoscimento dell’idoneità concessa ai sensi della legge 49/1987 (art. 32 della legge 125/2014).

 

Mediante procedure comparative pubbliche,  e sulla base di requisiti di competenza, esperienza acquisita, capacità, efficacia e trasparenza, l'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo può concedere contributi o affidare la realizzazione di iniziative di cooperazione ad organizzazioni della società civile e agli altri soggetti non profit, che, a loro volta, sono tenuti a rendicontare, per via telematica, i progetti beneficiari di contributi concessi dall'Agenzia e le iniziative di cooperazione allo sviluppo la cui realizzazione è stata loro affidata. Le attività di cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario svolte dai soggetti non profit e profit iscritti sono da considerarsi, ai fini fiscali, attività di natura non commerciale.

 

Per quanto riguarda il personale impiegato all’estero nelle attività di cooperazione, le organizzazioni della società civile e gli altri soggetti non profit possono impiegare all'estero personale maggiorenne italiano, europeo o di altri Stati esteri in possesso di adeguati titoli, delle conoscenze tecniche, dell'esperienza professionale e delle qualità personali necessarie, mediante la stipula di contratti, i cui contenuti sono disciplinati in sede di contrattazione collettiva, nel rispetto dei princìpi generali in materia di lavoro, anche autonomo, stabiliti dalla normativa italiana. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge 125/2014, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è convocato un apposito tavolo di contrattazione per la definizione del contratto collettivo nazionale del personale impiegato all'estero nelle attività di cooperazione allo sviluppo. Il personale impiegato all’estero nelle attività di cooperazione in nessun caso può essere utilizzato in operazioni di polizia o di carattere militare.

Le organizzazioni di volontariato e il non profit possono impiegare il personale anche a titolo volontario, senza la costituzione di un rapporto di lavoro. In questo caso, l'inquadramento giuridico ed economico analogo a quello riguardante il Servizio civile nazionale con oneri integralmente a carico delle organizzazioni di volontariato e non profit.

 


Il cinque per mille IRPEF

Il cinque per mille IRPEF[19] è stato istituito dall’articolo 1, comma 337 e ss., della legge finanziaria per il 2006 (legge n. 266 del 2005) a titolo sperimentale e poi confermato annualmente (da ultimo, relativamente all’esercizio finanziario 2014, con riferimento alle dichiarazioni dei redditi 2013, dall’articolo 1, comma 205, della legge n. 147/2013). Attraverso tale strumento il contribuente può destinare una quota pari al 5 per mille del proprio gettito IRPEF ad una serie di finalità, indicando per talune scelte anche il codice fiscale del soggetto beneficiario. La scelta del contribuente concorre proporzionalmente a determinare l’entità spettante a ciascun beneficiario, entro il tetto di spesa legislativamente autorizzato.

Per il periodo di imposta 2014, ai sensi dell’articolo 2 del D.L. n. 40/2010 che ne disciplina anche per tale anno le modalità di fruizione, si tratta delle seguenti finalità:

§  sostegno del volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), delle associazioni di promozione sociale iscritte negli appositi registri nazionale, regionale e provinciale, delle associazioni e fondazioni riconosciute che operano in determinati settori;

§  finanziamento della ricerca scientifica e dell'università;

§  finanziamento della ricerca sanitaria;

§  sostegno alle attività sociali svolte dal comune di residenza del contribuente;

§  sostegno delle associazioni sportive dilettantistiche in possesso del riconoscimento ai fini sportivi rilasciato dal CONI a norma di legge, che svolgono una rilevante attività di interesse sociale;

§  a decorrere dall’anno finanziario 2012, sostegno alle attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici (art. 23, comma 46, D.L. n. 98 del 6 luglio 2011).

 

Anche per l’esercizio 2014 si applica quanto disposto dal D.P.C.M. 23 aprile 2010 relativamente alle modalità operative di definizione delle finalità e delle liste dei soggetti ammessi al riparto della quota del 5 per mille.

Per consentire una più efficace gestione della procedura di erogazione delle devoluzioni del 5 per mille disposte dai contribuenti in favore delle associazioni del volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale, l’articolo 9, comma 5, del D.L. n. 174/2012 ha previsto che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali possa stipulare apposite convenzioni a titolo gratuito con l'Agenzia delle entrate.

 

L’articolo 1, comma 205, della legge n. 147/2013 (legge di stabilità per il 2014, quantifica nell’importo di 400 milioni le risorse complessivamente destinate alla liquidazione della quota del cinque per mille IRPEF nel 2014.

Quanto ai tempi di riparto del contributo del 5 per mille, si rileva che, a causa della complessa procedura sottesa all’esame dei soggetti ammissibili al contributo e dei relativi ricorsi che questi possono presentare, essa si svolge di media l’arco di due anni. Ciò ha indotto il legislatore ha disporre in via permanente, il mantenimento in bilancio delle somme stanziate e non utilizzate (impegnate) ai fini del loro utilizzo nell'esercizio successivo.

 


Il Trattamento fiscale per gli enti di tipo associativo

L'ordinamento italiano riconosce un trattamento fiscale specifico (e in determinati casi agevolato) per gli enti di tipo associativo in presenza dei requisiti richiesti dalla normativa tributaria.

Per quanto concerne le imposte dirette, l'articolo 148 del Testo Unico delle Imposte sui redditi (D.P.R. 917/1986) prevede che le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non concorrono a formare il reddito complessivo: l'attività svolta dagli enti associativi verso gli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali, non è infatti considerata commerciale purché non siano previsti corrispettivi specifici.

Sono poi previste norme specifiche per talune tipologie di enti associativi: a titolo esemplificativo, per talune associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona, non sono commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, di altre associazioni svolgenti la medesima attività e facenti parte di un'unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali, nonché le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati.

Per quanto invece riguarda l'IVA, l'articolo 4 del D.P.R. 633/1972 definisce a fini fiscali l'esercizio dell'attività di impresa, considerando tra l'altro attività d'impresa le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte da enti pubblici e privati - compresi i consorzi, le associazioni o altre organizzazioni senza personalità giuridica - che abbiano per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali o agricole; laddove tali soggetti non abbiano come oggetto esclusivo o prevalente l'esercizio di attività commerciali o agricole, sono considerate compiute nell'esercizio d'impresa solo le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte nell'esercizio di quest'ultime attività.

La disciplina recata in tale articolo per gli enti associativi ricalca essenzialmente quella prevista nel T.U.I.R..

Alcuni enti associativi (tra cui le associazioni, le pro-loco, le associazioni bandistiche, filodrammatiche etc.) costituite senza fini di lucro e che hanno conseguito proventi da attività commerciali per somme pari o inferiori a 250.000 euro possono optare per l'applicazione del regime forfettario a fini IRES e IVA: sono applicate dunque disposizioni agevolative per la determinazione del reddito imponibile, per l'applicazione dell'IVA e per quanto concerne l'obbligo di tenuta di scritture contabili.

Un particolare trattamento fiscale di vantaggio è riservato dall'ordinamento alle ONLUS - Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale.

Per quanto concerne le imposte dirette, non costituisce esercizio di attività commerciale lo svolgimento di attività istituzionali nel perseguimento di esclusive finalità solidaristiche. Inoltre, non fanno parte del reddito imponibile i proventi che derivano dall'esercizio di attività direttamente connesse a quelle istituzionali (ovvero funzionali allo svolgimento di queste ultime).

Per quanto concerne l'IVA, nello svolgimento di attività istituzionali e di attività connesse, le ONLUS possono effettuare cessioni di beni o prestazioni di servizi dietro corrispettivi, assoggettando a IVA le attività qualificabili come commerciali (indipendentemente dalla classificazione operata ai fini delle imposte sui redditi); per queste ultime, la ONLUS deve rispettare le regole ordinarie in materia di adempimenti connessi all'IVA, tranne l'obbligo di certificazione dei corrispettivi mediante ricevuta o scontrino fiscale per le attività istituzionali (ai sensi dell'articolo 15 del D. Lgs. n. 460/1997).

Altre attività svolte dalle ONLUS e considerate di particolare rilevanza sociale sono operazioni esenti da IVA. Ne consegue che l'ente, ancorché non sia tenuto ad applicare l'imposta, debba comunque svolgere gli adempimenti in materia di fatturazione / registrazione / dichiarazione.

Il D.L. n. 185/2008 (articolo 30, commi da 5-bis a 5-quater) ha introdotto agevolazioni fiscali in favore delle ONLUS relative alle imposte catastali, disponendo in particolare l'applicazione dell'imposta catastale in misura fissa, per un importo pari a 200 euro, ad alcuni trasferimenti in favore delle ONLUS, alle condizioni di legge.  I trasferimenti a favore di ONLUS sono esenti dall'imposta sulle successioni e donazioni.

Inoltre, le erogazioni liberali a favore delle ONLUS sono deducibili dal reddito imponibile; le ONLUS concorrono alla ripartizione delle quote del 5 per mille dell'IRPEF in ragione delle opzioni esercitate dai contribuenti in favore di ciascuna di esse.

 


Il Servizio civile

Il servizio civile obbligatorio

La L. n. 772/1972[20] ha riconosciuto l’obiezione di coscienza per “gli obbligati alla leva che dichiarino di essere contrari in ogni circostanza all'uso personale delle armi per imprescindibili motivi di coscienza (…) attinenti ad una concezione generale della vita basata su profondi convincimenti religiosi o filosofici o morali professati dal soggetto” e ha affidato la gestione ed organizzazione del servizio civile - sostitutivo del servizio militare e, pertanto, obbligatorio e prestato per un tempo superiore alla durata del servizio di leva – al Ministero della difesa.

 

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 470 del 19-31 luglio 1989 ha disposto che la durata del servizio civile e di quello militare siano coincidenti.

Le domande di adesione divengono pertanto più numerose, raggiungendo nel 1999 la cifra di 110.000. Ugualmente, l'offerta di servizio civile passa da poche decine di associazioni dei primi anni '80, agli oltre 3.500 Comuni abilitati a impiegare obiettori, alle decine di Università, alle oltre 200 Unità Sanitarie Locali e alle 2.000 associazioni locali di Terzo Settore della fine degli anni '90[21].

La riforma del servizio civile e l’istituzione dell’Ufficio nazionale

La L. n. 230/1998[22] ha fissato le nuove norme in materia di obiezione di coscienza, ha definito il servizio civile all’art. 1 come “diverso per natura e autonomo dal servizio militare, ma come questo rispondente al dovere costituzionale di difesa della Patria e ordinato ai fini enunciati nei «Principi fondamentali» della Costituzione”. Le funzioni di gestione e organizzazione del Servizio civile vengono trasferite dal Ministero della difesa alla Presidenza del Consiglio, presso la quale viene istituito l’Ufficio nazionale per il servizio civile (UNSC).

 

L'Ufficio Nazionale per il Servizio Civile ha la sua sede centrale a Roma e, fino al 31 dicembre 2006, disponeva di alcune sedi periferiche, la cui operatività è cessata come previsto dal Protocollo d'intesa del 26 gennaio 2006 stipulato tra l'Ufficio nazionale per il servizio civile e le Regioni e le Province autonome. L'attuale assetto dell'Ufficio è disciplinato dal DPCM 15 settembre 2011 e dal DPCM 1° ottobre 2012 (ed in particolare dall’articolo 15). L’ufficio è incardinato nel Dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale della Presidenza del Consiglio.

 

All’UNSC sono riservate tutte le attività di carattere amministrativo, mentre la gestione operativa dei progetti di servizio civile è curata interamente dagli enti che ne risultano affidatari.

 

Al contempo, la legge n. 230/1998 ha istituito la Consulta nazionale del Servizio Civile composta da 15 membri nominati con decreto del Presidente del Consiglio o del Ministro da lui delegato, scelti tra rappresentanti degli enti e delle organizzazioni, pubblici e privati, che impiegano volontari del servizio civile nazionale ovvero dei loro organismi rappresentativi, nonché tra rappresentanti dei volontari, delle regioni e delle amministrazioni pubbliche coinvolte. La Consulta è organo permanente di consultazione, riferimento e confronto per l’Ufficio nazionale ed esprime pareri, tra l’altro, sui criteri e sull'organizzazione generale del servizio e sul modello di convenzione tipo.

 

L'attuale composizione della Consulta, istituita con il DM 19 aprile 2013 è stata integrata con DM 25 giugno 2013 e modificata con DM 15 luglio 2014.

 

La legge ha istituito, inoltre, il Fondo nazionale per il Servizio Civile, collocato presso l'Ufficio nazionale per il servizio civile, che ne cura l'amministrazione e la programmazione annuale delle risorse, nel quale confluiscono i fondi prima gestiti dal Ministero della difesa e nel quale possono essere versate donazioni pubbliche e private finalizzate alle attività che si intendono sostenere. Il Fondo è stato più volte rifinanziato, da ultimo dal decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76 (convertito dalla legge n. 99/2013) che ne ha previsto l’incremento di 1,5 milioni di euro per l'anno 2013 e di 10 milioni di euro per l'anno 2014. Le risorse del Fondo sono allocate in apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze (2185). Nella legge di bilancio 2014 è previsto lo stanziamento di 109 milioni nel 2014, 77 nel 2015 e 77,16 nel 2016.

Il servizio civile volontario

Con la promulgazione della L. 331/2000[23] "che ha stabilito la sospensione della leva obbligatoria a partire dal 2007 (poi anticipata al 1° gennaio 2005 dalla L. 226/2004[24]), si apre la strada per la costituzione di un servizio civile volontario parallelo al servizio militare professionale. L’Ufficio nazionale per il servizio civile, è così destinato, dopo avere in un primo tempo gestito la fase conclusiva dell’impiego degli obiettori di coscienza, a sostituirli gradatamente nei loro compiti con i nuovi volontari del servizio civile nazionale.

 

La L. n. 64/2001[25] ha istituito, in conseguenza della abolizione della leva obbligatoria, il Servizio civile nazionale, un servizio volontario aperto ai giovani dai 18 ai 26 anni (uomini e donne) che intendono fra l’altro “promuovere la solidarietà e la cooperazione, a livello nazionale ed internazionale, con particolare riguardo alla tutela dei diritti sociali, ai servizi alla persona ed alla educazione alla pace fra i popoli” nonché partecipare alla salvaguardia e tutela del patrimonio nazionale, con particolare riguardo al settore ambientale. Le aree di intervento nelle quali è possibile prestare il Servizio civile nazionale sono riconducibili ai seguenti settori:

·        assistenza;

·        protezione civile;

·        ambiente;

·        patrimonio artistico e culturale;

·        educazione e promozione culturale;

·        servizio civile all'estero.

 

Gli enti di servizio civile - che presentano progetti e sono tenuti ad assicurare una efficiente gestione del Servizio civile nazionale ed una corretta realizzazione dello stesso progetto - sono le amministrazioni pubbliche, le associazioni non governative (ONG) e le associazioni no profit che operano negli ambiti specificati dalla L. n. 64/2001. Per poter partecipare al servizio civile gli enti essere in possesso di determinati requisiti strutturali ed organizzativi, nonché di avere adeguate competenze e risorse specificatamente destinate al servizio civile. L'ente deve inoltre sottoscrivere la carta di impegno etico che intende assicurare una comune visione delle finalità del SCN e delle sue modalità di svolgimento, in un patto stretto con l'Ufficio ed i giovani. Solo tali enti, iscritti in un apposito albo - Albo degli enti accreditati -, possono presentare progetti di servizio civile nazionale.

 

Il D.Lgs. 77/2002[26], dando attuazione alla delega recata dalla L. 64/2001, ha disciplinato il Servizio civile nazionale, innalzando tra l’altro il limite di età a 28 anni (art. 3, comma 1). Inoltre, alcune funzioni sono trasferite alle regioni che curano l'attuazione degli interventi di servizio civile secondo le rispettive competenze (art. 2, comma 2) e istituiscono albi su scala regionale, nei quali possono iscriversi gli enti e le organizzazioni che svolgono attività esclusivamente in àmbito regionale e provinciale (art. 5, comma 2). Rimane in capo all’USCN la tenuta dell’albo nazionale.

 

La disposizione definisce in particolare:

§  gli organi competenti in materia;

§  i requisiti e le modalità di accesso e di svolgimento del servizio;

§  la programmazione e gestione delle risorse finanziarie;

§  la natura del rapporto di servizio civile ed il relativo trattamento economico e giuridico;

§  la formazione dei giovani assegnati al servizio civile;

§  la valorizzazione del servizio prestato ai fini dello sviluppo formativo e dell’inserimento nel mondo del lavoro;

§  la disciplina del periodo transitorio.

 

In correlazione con tale disciplina, l’art. 3 della L. 3/2003[27], di poco successiva, ha soppresso l’Agenzia per il servizio civile (prevista dall’art. 10, co. 7-9, del D.Lgs. 303/1999[28], ma di fatto mai istituita), con ciò confermando il mantenimento dei compiti di organizzazione, attuazione e svolgimento del Servizio civile in capo all’Ufficio nazionale per il servizio civile.

 

Successivamente, l’art. 1, comma 6, del D.L. 181/2006[29] ha assegnato all’allora neoistituito Ministero della solidarietà sociale le funzioni concernenti il Servizio civile nazionale, per l'esercizio delle quali il Ministero si è avvalso delle relative risorse finanziarie, umane e strumentali dell'UNSC.

L’articolo 1, comma 4, del D.L. 85/2008[30], finalizzato a dare attuazione al nuovo assetto strutturale del Governo, come ridefinito dall’art. 1, co. 376 e 377, della legge finanziaria 2008 (legge 24 dicembre 2007, n. 244), ha successivamente ritrasferito alla Presidenza del Consiglio dei ministri le funzioni  concernenti il Servizio civile nazionale.

 

Complessivamente il numero dei posti di volontario messi a bando dal 2001, anno di istituzione del servizio civile volontario, al 2013 è stato di 335.713 giovani. Il numero massimo di partecipazione si è avuto nel 2006 con 57.119 posti messi a bando. Successivamente, il numero dei posti è diminuito progressivamente, fino al minimo raggiunto nel 2013 di 16.373 posti (se si esclude l’anno 2012, quando non è stato pubblicato alcun bando di selezione).

 

Ai sensi dall'articolo 20 della legge 230/1998, 1, il Presidente del Consiglio presenta ogni anno al Parlamento, entro il 30 giugno, una relazione sull'organizzazione, sulla gestione e sullo svolgimento del servizio civile. L’ultima relazione, relativa all’anno 2013, è stata trasmessa il 17 settembre 2013 (doc. CLVI, n. 1).

 

Si ricorda che nella XVI legislatura, il Governo pro-tempore ha presentato al Senato un disegno di legge delega di riforma del servizio civile nazionale (A.S. 1995) di cui tuttavia non è mai iniziato l’esame.

 


Procedure di contenzioso

 

(Servizio Civile)

 

Con due distinti casi EU Pilot (1178/10/JLSE e 5832/13/HOME) la Commissione ha richiesto informazioni al Governo italiano circa la conformità della normativa nazionale in materia di servizio civile con il diritto dell’UE. In entrambi i casi, in questione è la disposizione contenuta nell’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 77 del 2002, secondo cui “sono ammessi a svolgere il servizio civile, a loro domanda, senza distinzioni di sesso i cittadini italiani che, alla data di presentazione della domanda, abbiano compiuto il diciottesimo anno di età e non superato il ventottesimo”.

Con il primo caso 1178/10/JLSE – avviato nel giugno 2010 – la Commissione mette in dubbio la conformità di tale disposizione con i principi della libera circolazione dei cittadini dell’UE e dei loro familiari (articolo 18 del Trattato sul funzionamento dell’UE e direttiva 2004/38/CE[31]) nonché della libera circolazione dei lavoratori dell’UE (articolo 45 del medesimo trattato). Il requisito della cittadinanza italiana previsto dalla normativa nazionale per l’accesso al servizio civile configurerebbe infatti una discriminazione su base nazionale nei confronti di cittadini di altri Stati membri dell’UE.

Con il secondo caso (5832/13/HOME, avviato nel novembre 2013), la Commissione ha contestato invece l’esclusione di cittadini di paesi terzi, che siano soggiornanti di lungo periodo e/o beneficiari di protezione internazionale, ventilando la non conformità della disposizione nazionale con le direttive 2003/109/CE[32] e 2004/83/CE[33]. Sulla base di tali direttive infatti i cittadini di paesi terzi appartenenti alle due categorie sopra citate godono degli stessi diritti dei cittadini nazionali sia per quanto riguarda l’accesso al lavoro che per quanto riguarda l’accesso a istruzione e formazione.

In entrambi i casi EU Pilot la Commissione ha assimilato il servizio civile ad un’attività connessa con l’occupazione, riconducibile ad un’opportunità di istruzione e formazione professionale, propedeutica all’inserimento nel mondo del lavoro.

Di diverso avviso le autorità italiane che, nelle lettere di chiarimenti inviate alla Commissione, evidenziano come il servizio civile sia configurato dal legislatore nazionale quale modalità concorrente ed alternativa alla difesa della patria con mezzi non militari. Tale natura, da un lato, lo differenzierebbe dalle altre forme di volontariato e, dall’altro, giustificherebbe la preclusione nei confronti dei cittadini europei non italiani nonché nei confronti dei cittadini di paesi terzi, senza che tale preclusione configuri una discriminazione su base nazionale, trattandosi di un settore escluso dal diritto di libera circolazione.

In aggiunta, le autorità italiane hanno segnalato come il legislatore nazionale abbia voluto esplicitamente negare che il servizio civile rappresenti una forma di occupazione con la previsione del comma 1 dell’articolo 9 del decreto legislativo n. 77 del 2002: “L'attività svolta nell'ambito dei progetti di servizio civile non determina l'instaurazione di un rapporto di lavoro e non comporta la sospensione e la cancellazione dalle liste di collocamento o dalle liste di mobilità.

La posizione italiana non ha convinto la Commissione - che ha chiuso negativamente il primo dei casi EU Pilot e presumibilmente avvierà una procedura di infrazione - sulla base di diverse considerazioni:

·        secondo la Commissione le autorità italiane, sostenendo che il servizio civile è stato creato come forma alternativa di difesa della patria, sembrano riferirsi, benché non esplicitamente, alle eccezioni alla libera circolazione dei lavoratori previste dal comma 4 dell’articolo 45 del TFUE (“Fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica…”). In accordo con la giurisprudenza della Corte di giustizia europea, tuttavia, tali eccezioni devono essere interpretate in maniera restrittiva;

·        in secondo luogo, la Commissione esprime seri dubbi sulla configurabilità del servizio civile come forma alternativa di difesa della patria, anche alla luce delle sue finalità, come risultano dall’articolo 1 della legge nazionale n. 64 del 2001, istitutiva del servizio;

·        infine, con riguardo all’obiezione italiana secondo cui il servizio civile non configura un rapporto di lavoro, la Commissione ricorda che tale argomento è assolutamente irrilevante dal momento che la direttiva 2004/38/CE attribuisce ai cittadini dell’UE legalmente residenti in un altro Stato membro il diritto all’uguale trattamento rispetto ai cittadini nazionali in tutti i campi di applicazione del Trattato.

 

 

 


Contenuto del disegno di legge

 

Il disegno di legge in esame, composto da sette articoli, è finalizzato ad operare - mediante il conferimento al Governo di apposite deleghe - una riforma complessiva degli enti privati del Terzo settore e delle attività dirette a finalità solidaristiche e di interesse generale[34].

 


Articolo 1 – Finalità e oggetto

L’articolo 1 individua la finalità e le linee generali dell’intervento normativo, prevedendo che il Governo adotti, entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi diretti a riordinare e modificare la disciplina degli enti privati del terzo settore e delle attività con finalità solidaristiche e di interesse generale. La finalità generale perseguita, in attuazione del principio di sussidiarietà, è quella di sostenere la libera iniziativa dei cittadini associati per perseguire il bene comune, favorendo la partecipazione, l’inclusione e il pieno sviluppo della persona e valorizzando al contempo il potenziale di crescita e occupazione del settore.

Il comma 2 qualifica in modo più specifico le finalità alle quali è diretto l’intervento normativo, vale a dire:

a)     la revisione e l’integrazione della disciplina, contenuta nel libro I, titolo  II del codice civile, in materia di associazioni, fondazioni e altre istituzioni private senza scopo di lucro, che siano o meno riconosciute come persone giuridiche; in proposito la relazione illustrativa specifica che da tale revisione sono esclusi i sindacati ed i partiti politici (cfr. supra “quadro normativo”).

b)     il riordino ed il coordinamento delle altre vigenti disposizioni comprese quelle di carattere tributario anche mediante la redazione di un apposito testo unico recante la disciplina degli enti e delle attività del terzo settore;

dalla formulazione testuale della disposizione in commento sembrerebbe che il testo unico da emanare sia di natura meramente compilativa e che, pertanto, al Governo non venga attribuito il potere di introdurre innovazioni alle norme legislative vigenti, ma unicamente il potere di interpretare le norme stesse in base agli orientamenti giurisprudenziali e di operare una diversa (e migliore) formulazione letterale in base alle sopravvenute modificazioni legislative del testo medesimo;

c)     la revisione della disciplina in materia di impresa sociale;

d)     la revisione della disciplina in tema di servizio civile nazionale.

Viene poi precisata la procedura di adozione dei decreti legislativi, prevedendosi che quelli finalizzati alla revisione del servizio civile nazionale siano adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri di concerto con i Ministri del lavoro e delle politiche sociali, degli affari esteri, dell’interno, della difesa e dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata, di cui al D.lgs. 281/1997[35]. Per gli altri decreti legislativi è prevista la proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentiti, per quanto di competenza, i Ministri interessati e, ove necessario in relazione alle materie, la Conferenza unificata. 

Viene inoltre previsto che sugli schemi di decreto sia espresso il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari entro trenta giorni dalla data di trasmissione, disponendosi contestualmente che, decorso inutilmente tale termine senza che le competenti Commissioni si siano pronunciate, i decreti possano essere comunque adottati. Qualora il termine per l’espressione del parere scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine di dodici mesi previsto per l’esercizio della delega o successivamente, quest’ultimo è prorogato di novanta giorni. Con la medesima procedura sopra descritta il Governo può adottare, entro dodici mesi dall’entrata in vigore dei decreti legislativi, disposizioni integrative e correttive dei decreti medesimi.

 

 


Articolo 2 – Principi e criteri direttivi generali

L’articolo 2 prevede i principi e criteri direttivi generali cui devono uniformarsi i decreti legislativi finalizzati a stabilire le forme organizzative, amministrative e le funzioni degli enti di cui all’articolo 1. Questi ultimi vengono più specificamente definiti come enti privati che con finalità ideali e senza scopo di lucro promuovono e realizzano attività d’interesse generale, di valorizzazione della partecipazione e di solidarietà sociale, ovvero producono o scambiano beni e servizi di utilità sociale.

Appare opportuno definire in modo più preciso cosa si intenda per “finalità ideale”. 

I principi e criteri direttivi enunciati sono quelli di:

a)     riconoscere e garantire il libero esercizio del diritto di associazione e il valore delle formazioni sociali strumento per l’attuazione dei princìpi di partecipazione, solidarietà, sussidiarietà e pluralismo, di cui agli articoli 2,3,18 e 118 della Costituzione;

b)     favorire e riconoscere l’iniziativa economica privata senza fini di lucro, finalizzata a produrre e scambiare beni e servizi di utilità sociale e di interesse generale;

c)     individuare le attività solidaristiche e di interesse generale caratterizzanti gli enti del terzo settore per identificare normative promozionali;

d)     assicurare, nel rispetto delle norme vigenti, la più ampia autonomia statutaria per consentire il pieno conseguimento delle finalità dell’ente e la tutela degli interessi coinvolti;

e)     semplificare la procedura per il riconoscimento della personalità giuridica e disciplinare il regime di responsabilità limitata delle persone giuridiche nel rispetto di alcuni princìpi – quali la certezza nei rapporti con i terzi e la tutela dei creditori -;

f)       definire forme e modalità di organizzazione e amministrazione degli enti che assicurino il rispetto dei princìpi di democrazia, eguaglianza, pari opportunità e partecipazione degli associati e dei lavoratori, nonché il rispetto di princìpi di efficienza, correttezza e economicità della gestione;

g)     prevedere il divieto di distribuzione anche in forma indiretta degli utili e del patrimonio dell’ente, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 4, riguardante l’impresa sociale, in relazione alla previsione di forme di remunerazione del capitale sociale e di ripartizione degli utili nel rispetto di condizioni e limiti prefissati;

h)     definire, nel caso di esercizio di attività di impresa da parte dell’ente, criteri e vincoli per assicurare la strumentalità della stessa rispetto agli scopi istituzionali perseguiti introducendo anche un regime di contabilità separata per distinguere la gestione istituzionale da quella imprenditoriale;

i)       prevedere una disciplina degli obblighi di controllo interno e di informazione nei confronti degli associati e dei terzi, differenziati anche in ragione delle dimensione economica dell’attività e dell’impiego di risorse pubbliche;

l)       individuare modalità di verifica dell’attività svolta e delle finalità perseguite;

m)   disciplinare gli eventuali limiti e gli obblighi di pubblicità relativi ai corrispettivi ed ai compensi a qualsiasi titolo attribuiti ai componenti degli organi di amministrazione e di controllo, ai dirigenti e agli associati;

n)     riorganizzare, semplificando, il sistema di registrazione di tutti gli enti e degli atti di gestione prevedendo un registro unico del Terzo settore; 

o)     valorizzare il ruolo degli enti nella fase di programmazione a livello territoriale – relativa anche al sistema dei servizi socio-assistenziale e alla tutela del patrimonio ambientale e culturale, individuando criteri per l’affidamento agli enti dei servizi di interesse generale;

p)     prevedere strumenti per favorire i processi aggregativi degli enti;

q)     prevedere che il coordinamento delle azioni di promozione e vigilanza delle attività degli enti sia assicurato, in raccordo con i Ministeri competenti, dalla Presidenza del Consiglio dei ministri,  anche mediante l’istituzione di un’apposita struttura di missione, al cui funzionamento si fa fronte con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

Le strutture di missione sono organismi amministrativi di durata determinata e finalizzati all'adempimento di specifici mandati assegnati dal Presidente del Consiglio. Tale tipologia di ufficio è stata introdotta dal D.Lgs. 303/1999, con il quale si è provveduto a riformare l’organizzazione della Presidenza, dotandola di autonomia gestionale e contabile, prevedendo un sistema di strutture interne adatto ai nuovi compiti. Tra queste, le strutture di missione, che possono essere istituite con decreto del Presidente del Consiglio per:

·        svolgere compiti particolari;

·        raggiungere risultati determinati;

·        realizzare specifici programmi.

 

Le strutture di missione sono caratterizzate da un’ampia flessibilità e rapidità di costituzione, utilizzate per diversi scopi, quali, ad esempio fornire il supporto necessario per l’attività di ministri senza portafoglio, istituiti dal Governo, fino alla costituzione di appositi Dipartimenti.

 

L’art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 303/1999 – come modificato dal comma 155 dell’art. 2 del D.L. n. 262/2006 – ha stabilito, come norma di carattere generale, che la durata delle strutture di missione non possa essere superiore a quella del Governo che le ha istituite.

Nel corso della XVI legislatura sono state introdotte alcune misure tese, in particolare, a ridurre i costi derivanti dalla istituzione e dal funzionamento di tali strutture.

In materia è intervenuto l’art. 10 del D.L. 59/2008, stabilendo che le strutture di missione operanti presso la Presidenza del Consiglio decadono, ove non confermate, decorsi 30 giorni dal giuramento del nuovo Governo.

Successivamente, nel quadro delle misure adottate con l’obiettivo di contenimento della spesa pubblica, il D.L. 78/2010 (art. 3, co. 1) ha previsto a carico del bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri per il 2010 l’obbligo di contenere le spese per le strutture di missione per un importo non inferiore a 3 milioni di euro.

Da ultimo, l’articolo 7, co. 3 e 4, D.L. 95/2012 è intervenuto in merito alla soppressione di tre strutture istituite presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del medesimo decreto: la segreteria tecnica dell’unità per la semplificazione e la qualità della regolazione, il Progetto opportunità delle Regioni in Europa (PORE); e l’Unità per l’e-government e l’innovazione per lo sviluppo.

Alcuni provvedimenti di urgenza approvati nella legislatura in corso prevedono l’istituzione di strutture di missione, quali la Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico (D.L. 133/2014, c.d. sblocca Italia, in corso di conversione, art. 7, comma 8) e la Struttura di missione per coordinamento di tutti gli interventi in materia di edilizia scolastica pubblica (D.L. 91/2014, art. 9, comma 10).

 

 

 


Articolo 3 - Attività di volontariato e di promozione sociale

L’articolo 3 delega il Governo a procedere al riordino e alla revisione dell'attuale disciplina in materia di attività di volontariato e di promozione sociale, in particolare della legge quadro sul volontariato (legge 11 agosto 1991, n. 266) e della legge di disciplina delle associazioni di promozione sociale (legge 7 dicembre 2000, n. 383), nonché, in relazione al contributo statale a favore delle associazioni nazionali di promozione sociale, della legge 15 dicembre 1998, n. 438, e della legge 19 novembre 1987, n. 476, nonché di eventuale ulteriori disposizioni attualmente vigenti in tali settori. 

 

I decreti legislativi che procedono al riordino e alla revisione della disciplina vigente in materia di attività di volontariato e di promozione sociale, devono in primo luogo tener conto dei principi e criteri direttivi previsti dal disegno di legge delega in esame all’articolo 2 e delle misure fiscali e di sostegno economico dallo stesso introdotti all’articolo  6.

 

I princìpi e i criteri direttivi della delega riguardano:

 

a)   armonizzazione delle diverse discipline vigenti in materia di volontariato e di promozione sociale;

 

Come evidenziato dal quadro normativo tratteggiato dalla Seconda parte del Dossier (vedi supra), le Organizzazioni di volontariato e le Associazioni di promozione sociale presentano molti tratti in comune.

 

b)   promozione della cultura del volontariato tra i giovani, anche attraverso apposite iniziative da svolgere nell'ambito delle strutture e delle attività scolastiche;

 

Si ricorda che dal 2007 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali attraverso la Direzione Generale Terzo settore e Formazioni sociali – Divisione III Volontariato promuove e realizza, in collaborazione con l’Osservatorio Nazionale per il Volontariato, i “Laboratori della cittadinanza: condivisa e partecipata”, attraverso protocolli d’intesa e/o accordi quadro di programma con gli enti locali (Regioni, Province e Comuni), le organizzazioni di volontariato, i centri di servizio per il volontariato, le altre organizzazioni di Terzo settore e di cittadinanza attiva, le scuole e le università.

 

c)   valorizzazione delle diverse esperienze di volontariato, con l’ampliamento delle libertà di associazione  e di partecipazione, nelle attività promozionali, delle organizzazioni di volontariato, incluse quelle che riuniscono militari;

 

In relazione alla disposizione in esame, al fine di evitare possibili dubbi interpretativi, appare opportuno specificare meglio l’ambito soggettivo della disposizione nella parte in cui viene fatto riferimento ad organizzazioni di volontariato che riuniscono militari.

In particolare, andrebbe chiarito se la disposizione in esame si riferisce  alle sole organizzazioni che svolgono istituzionalmente attività di volontariato (Associazione nazionale alpini, associazione nazionale carabinieri, associazione nazionale vigili del fuoco–volontariato protezione civile), ovvero anche alle numerose associazioni fra militari in congedo che tra le varie attività svolgono anche quelle di volontariato.

 

d)     riconoscimento e valorizzazione delle reti associative di secondo livello;

 

Le reti associative di secondo livello sono organizzazioni che a loro volta associano organizzazioni di base o aggregazioni territoriali (ad es. coordinamenti provinciali di Associazioni locali). Le reti associative di secondo livello hanno spesso dovuto confrontarsi con incertezze procedurali circa le modalità di iscrizione ai registri.

 

e)     revisione e promozione del sistema dei centri di servizio per il volontariato e riordino delle modalità di riconoscimento e di controllo degli stessi;

 

L'articolo 15 della Legge 266/91 prevede che le fondazioni bancarie siano tenute a destinare una quota non inferiore ad un quindicesimo dei propri proventi, al netto delle spese di funzionamento, ai fondi speciali per il volontariato, costituiti presso le regioni[36].

I fondi sono amministrati dai Comitati di gestione[37] e da questi trasferiti ai Centri di Servizio per il Volontariato (CSV). I CSV possono essere gestiti da un'organizzazione di volontariato o, in alternativa, da un'entità giuridica costituita da organizzazioni di volontariato.

Oggi, i 78 Centri di servizio[38] presenti sul territorio  utilizzano i fondi speciali per il volontariato per la progettazione, la realizzazione e l'erogazione dei servizi destinati alle organizzazioni di volontariato (iscritte e non nei registri regionali) al fine di sostenerne e qualificarne l'attività, configurandosi al contempo come espressione  del volontariato e strumento per la sua promozione.

Le attività tipiche attraverso cui i Centri di servizio realizzano le proprie finalità sono: strumenti ed iniziative per la crescita della cultura della solidarietà; promozione di nuove iniziative di volontariato ed il rafforzamento di quelle esistenti; offerta di consulenza e assistenza qualificata finalizzate anche all’avvio e alla realizzazione di specifiche attività; iniziative di formazione e qualificazione degli aderenti alle organizzazioni di volontariato.

 

f)       revisione e razionalizzazione del sistema degli Osservatori nazionali per il volontariato e per l'associazionismo di promozione sociale.

 

Le regioni hanno applicato in maniera disomogenea la legge 383/2000 sull’associazionismo di promozione sociale, che agli articolo 7 e 8 prevede l’istituzione di Registri e Osservatori regionali sull’associazionismo. La conseguenza ha portato a profonde differenze fra le leggi regionali sull’associazionismo: alcune non prevedono una definizione precisa di utilità sociale, altre escludono le cooperative sociali dai registri, altre le organizzazioni di volontariato.

Anche per quanto riguarda la presenza di Osservatorio e Registro la situazione è disomogenea. In particolare:

·        Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Piemonte e Valle d’Aosta hanno istituito con legge regionale Osservatorio e Registro regionale;

·        Abruzzo, Basilicata, Puglia, Toscana e Umbria hanno emanato leggi regionali che prevedevano Osservatorio e Registro, ma hanno istituito solo quest’ultimo;

·        Campania, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Provincia autonoma di Bolzano, Provincia autonoma di Trento, Sardegna e Veneto pur in assenza di una norma regionale di riferimento hanno istituito il Registro;

·        Calabria e Sicilia non hanno norme regionali di riferimento e non hanno istituito il Registro e l’Osservatorio[39].

 

 


Articolo 4 – Impresa sociale

L’articolo 4 delega il Governo all’adozione di decreti legislativi di riordino della disciplina dell’impresa sociale già oggetto di riforma con il decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155, a sua volta attuativo della delega di cui alla legge 118 del 2005.

 

La rivisitazione dell’impianto normativo dell’impresa sociale si rende necessario perché con il decreto legislativo sopra citato non si sono prodotti i risultati attesi in termini di promozione dell'economia sociale.

L’AIR (Analisi d’impatto della regolamentazione) allegata alla proposta di legge in esame - sottolineando “il potenziale di crescita e di occupazione insito nell’economia sociale e nelle attività svolte dal terzo settore” – afferma, riferendosi all’impresa sociale, che “un riordino del quadro regolatorio e di stabilizzazione delle situazioni finanziarie di tale realtà potrà porsi quale obiettivo quello, da un lato, di generare nuove opportunità di lavoro e di crescita professionale e, dall’altro, recuperare livelli di competitività contribuendo in modo sostanziale alla ripresa economica”.

 

La nozione di impresa sociale fornita dal decreto legislativo 155/2006, riprende quella contenuta nella legge delega 118 del 2005 (art. 13) che fa riferimento a quelle organizzazioni private senza scopo di lucro che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata di produzione e scambio di beni o di servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale (art. 1).

L’impresa sociale non rappresenta uno specifico soggetto giuridico, ma una realtà la cui qualificazione può essere assunta da soggetti costituiti con qualsiasi forma giuridica che, in particolare operano nei settori considerati di utilità sociale e non possono distribuire utili ai soci (neanche indirettamente).

I settori nei quali i beni e servizi prodotti o scambiati possano essere considerati di utilità sociale sono attualmente i seguenti:

   assistenza sociale;

   assistenza sanitaria

   assistenza socio-sanitaria;

   educazione, istruzione e formazione;

   tutela dell’ambiente e dell’ecosistema;

   valorizzazione del patrimonio culturale;

   turismo sociale;

   formazione universitaria e post-universitaria;

   ricerca ed erogazione di servizi culturali;

   formazione extra-scolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica ed al successo scolastico e formativo;

   servizi strumentali alle imprese sociali, resi da enti composti in misura superiore al 70% da organizzazioni che esercitano un’impresa sociale;

   cooperazione allo sviluppo.

 

Anche se non operano in tali settori possono qualificarsi imprese sociali quelle che esercitano l’attività al fine di inserire lavoratori svantaggiati e disabili.

L'impresa sociale deve, inoltre, soddisfare i seguenti requisiti: essere costituita con un atto pubblico; destinare utili e avanzi di gestione allo svolgimento dell'attività statutaria o ad incremento del patrimonio; tenere libro giornale e libro degli inventari; redigere e depositare presso il registro delle imprese il bilancio sociale nonché un ulteriore documento che registri la situazione patrimoniale ed economica dell’impresa; avere regolamenti aziendali che prevedono il coinvolgimento di lavoratori e destinatari delle attività nella gestione; i soci devono avere la maggioranza nelle cariche sociali.

Il decreto n. 155/2006 proibisce, inoltre, alle amministrazioni pubbliche e alle imprese private con fini di lucro di svolgere funzioni di direzione e detenere il controllo di un impresa sociale,

I vantaggi principali dell’impresa sociale si riscontrano nella responsabilità patrimoniale (in caso di patrimoni superiori a 20.000 euro, delle obbligazioni assunte risponde solo l'organizzazione, non i soci; soltanto quando risulta che, in conseguenza di perdite, il patrimonio è diminuito di oltre un terzo rispetto all’importo citato, delle obbligazioni assunte rispondono personalmente e solidalmente anche coloro che hanno agito in nome e per conto dell’impresa) e nella possibilità di avvalersi di volontari nel limite del 50% dei lavoratori.

 

La nuova disciplina dell’impresa sociale come delineata dai principi e criteri direttivi di cui all’articolo 4 presenta diversi profili di novità che riguardano:

§  una diversa e più specifica definizione dell’impresa sociale come impresa privata a finalità d’interesse generale avente come proprio obiettivo primario il raggiungimento di impatti sociali positivi misurabili, realizzati mediante la produzione o lo scambio di beni o servizi di utilità sociale, anche attraverso l’adozione di modelli di gestione responsabili e idonei ad assicurare il più ampio coinvolgimento dei dipendenti, degli utenti e di tutti i soggetti interessati alle sue attività (lett. a);

§  la revisione dell’assunzione “facoltativa” dello status di impresa sociale (lett. b);

§  l’attribuzione di diritto alle cooperative sociali (e ai loro consorzi) della qualifica di impresa sociale (lett. b)

§  la possibilità di operare in ulteriori settori di attività di utilità sociale nonché, entro certi limiti, di svolgere attività commerciali diverse (lett. c);

§  la possibile remunerazione del capitale e la fondamentale rimozione del divieto di distribuzione di utili, pur nel rispetto di condizioni e limiti prefissati (lett. d);

§  l’adeguamento della tipologia di lavoratori svantaggiati da utilizzare “tenendo conto delle nuove forme di esclusione sociale” (lett. e);

§  il possibile ingresso nelle cariche sociali di imprese private con fini di lucro e pubbliche amministrazioni, salvo il divieto di assumere la direzione e il controllo dell’’impresa sociale (lett. f);

§  il coordinamento della disciplina dell’impresa sociale con quella delle onlus (lett. g).

 

Per l’attuazione della normativa delegata, oltre ai criteri generali riferiti all’intero terzo settore di cui all’art. 2 della p.d.l. (v. ante), ai sensi dell’articolo 6, si dovrà prevedere per le imprese sociali - con misure di sostegno economico – anche l’armonizzazione della disciplina tributaria e delle diverse forme di fiscalità di vantaggio.

Infine, ai sensi della lett. f) dello stesso art. 6 per le imprese sociali si prevede specificamente una sempre maggior apertura al mercato mediante:

§  la possibilità di accedere a forme di raccolta di capitali di rischio tramite portali telematici, in analogia a quanto previsto per le start-up innovative;

§  misure agevolative volte a favorire gli investimenti di capitale;

§  l’istituzione di un fondo rotativo destinato a finanziare a condizioni agevolate gli investimenti in beni strumentali materiali e immateriali.

I decreti delegati sul riordino della disciplina dell’impresa sociale sono adottati su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentiti, per quanto di competenza, i Ministri interessati e, ove necessario, in relazione alle singole materie, al fine di garantire il rispetto delle competenze degli enti locali, la Conferenza Unificata Stato-regioni (art. 1, comma 3). Sui decreti legislativi è previsto il parere delle competenti Commissioni di Camera e Senato (art. 1, comma 5).

 


Articolo 5 – Servizio civile universale

L’articolo 5 reca una delega al Governo per procedere al riordino e alla revisione dell’attuale disciplina in tema di servizio civile nazionale, al fine di istituire un servizio civile universale,  nel rispetto di alcuni principi e criteri direttivi – anche tenuto conto di quanto già previsto all’articolo 2 - concernenti:

·     la definizione di un limite di durata del servizio che consenta il contemperamento dello stesso con le esigenze di vita e di lavoro dei giovani e la previsione della possibilità che lo stesso sia prestato in parte in uno degli Stati membri dell’Unione europea o anche nei Paesi al di fuori dell’Unione per iniziative riconducibili alla promozione della pace e della cooperazione allo sviluppo;

·     il riconoscimento e la valorizzazione delle competenze acquisite durante l’espletamento del servizio civile universale in funzione del loro utilizzo nei percorsi di istruzione e in ambito lavorativo.

 

 

 


Articolo 6 – Misure fiscali e di sostegno economico

L’articolo 6 reca i principi e i criteri direttivi cui si deve uniformare il legislatore delegato, al fine di introdurre misure agevolative e di sostegno economico in favore degli enti del Terzo settore e di procedere al riordino e all'armonizzazione della relativa disciplina tributaria e delle diverse forme di fiscalità di vantaggio. Tra i principi e criteri direttivi indicati nella norma, si rammentano:

·        l’introduzione di una nuova definizione di ente non commerciale ai fini fiscali, anche connessa alle finalità di interesse generale perseguite dall'ente;

·        la razionalizzazione delle agevolazioni fiscali connesse all’erogazione di risorse al terzo settore;

·        la riforma dell’istituto del cinque per mille, anche con lo scopo di rendere noto l’utilizzo delle somme devolute con tale strumento normativo;

·        la razionalizzazione dei regimi fiscali di favore relativi al terzo settore;

·        l’introduzione di misure per la raccolta di capitali di rischio e, più in generale, per il finanziamento del Terzo settore;

·        l’assegnazione di immobili pubblici inutilizzati e, infine, la revisione della disciplina delle ONLUS.

 

La disciplina introdotta dal legislatore delegato dovrà rispettare la normativa dell'Unione europea e dovrà tenere conto di quanto disposto dalla legge delega di riforma fiscale (legge 11 marzo 2014, n. 23).

 

Si rammenta che la richiamata legge 11 marzo 2014, n. 23, che persegue l’obiettivo della riduzione della pressione tributaria sui contribuenti (articolo 16), si compone di 16 articoli concernenti i principi generali e le procedure di delega; la revisione del catasto dei fabbricati; le norme per la stima e il monitoraggio dell’evasione e il riordino dell’erosione fiscale; la disciplina dell'abuso del diritto e dell'elusione fiscale; la cooperazione rafforzata tra l’amministrazione finanziaria e le imprese, con particolare riguardo al tutoraggio, alla semplificazione fiscale e alla revisione del sistema sanzionatorio; il rafforzamento dell’attività conoscitiva e di controllo; la revisione del contenzioso tributario e della riscossione degli enti locali; la revisione dell'imposizione sui redditi di impresa e la previsione di regimi forfetari per i contribuenti di minori dimensioni, nonché la razionalizzazione della determinazione del reddito d'impresa e delle imposte indirette; la disciplina dei giochi pubblici; le nuove forme di fiscalità ambientale.

Per quanto concerne l’imposizione diretta delle persone giuridiche, si intende ridefinire l'imposizione sui redditi con l’assimilazione all’IRES dell’imposizione sui redditi d’impresa, compresi quelli prodotti in forma associata, da assoggettare a un’imposta sul reddito imprenditoriale, con un’aliquota proporzionale.

Si intende poi introdurre: la deducibilità delle somme prelevate dall’imprenditore e dai soci (da assoggettare a IRPEF); l’introduzione di regimi forfettari per i contribuenti di minori dimensioni, coordinandoli con analoghi regimi vigenti; possibili forme di opzionalità per i contribuenti; la semplificazione dell'imposizione su indennità e somme percepite alla cessazione del rapporto di lavoro. Si attribuisce altresì al Governo il compito di chiarire la definizione di autonoma organizzazione, adeguandola ai più consolidati princìpi desumibili dalla fonte giurisprudenziale, ai fini della non assoggettabilità dei professionisti, degli artisti e dei piccoli imprenditori all’IRAP (articolo 11).  In materia di IVA si prevede la semplificazione dei sistemi speciali nonché l’attuazione del regime del gruppo IVA.

 

 

Le norme in esame impegnano il legislatore delegato al rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a)           definizione di ente non commerciale ai fini fiscali connessa alle finalità di interesse generale perseguite dall'ente, nonché introduzione di un regime di tassazione agevolativo che tenga conto delle finalità solidaristiche e di utilità sociale dell'ente, del divieto di ripartizione degli utili e dell'impatto sociale delle attività svolte dall'ente;

 

Si rammenta che attualmente la commercialità o meno di un’attività si determina sulla base di parametri oggettivi che prescindono dalle motivazioni del soggetto che la pone in essere. Tali parametri sono enunciati:

·        dall’articolo 55 del Testo unico delle imposte sui redditi (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), per quanto concerne queste ultime imposte;

·        dall’articolo 4, comma 1, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, che disciplina l’Iva.

Secondo tali disposizioni, per “esercizio di imprese” si intende “l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva” delle attività commerciali di cui all’articolo 2195 del codice civile, anche se non organizzate in forma di impresa, nonché l’esercizio di attività, organizzate in forma di impresa, dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’articolo 2195 del codice civile.

Il richiamato articolo 2195 qualifica come “commerciale”:

·        un'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi;

·        un'attività intermediaria nella circolazione dei beni;

·        un'attività di trasporto per terra, per acqua o per aria;

·        un'attività bancaria o assicurativa;

·        altre attività ausiliarie delle precedenti.

In sostanza, la qualificazione commerciale ai fini fiscali dell’attività svolta deve essere operata verificando se l’attività possa ricondursi fra quelle previste dall’articolo 2195 del codice civile ovvero, qualora consista nella prestazione di servizi non riconducibili nel citato articolo 2195, se la stessa venga svolta con organizzazione in forma di impresa. Sono “commerciali” le attività non strettamente riconducibili tra quelle elencate nell’articolo 2195 del codice civile ove le stesse siano svolte con i connotati tipici della professionalità, sistematicità e abitualità, sebbene non in via esclusiva.  La natura commerciale dell’attività può derivare anche dal compimento di un unico affare, in considerazione della sua rilevanza economica e della complessità delle operazioni in cui si articola, implicanti la necessità del compimento di una serie coordinata di atti economici. Come riconosciuto anche dalla dottrina, ai fini della qualificazione commerciale o meno dell’attività, non è strettamente necessaria l’esistenza di un apparato strumentale fisicamente percepibile.

Ove un ente svolga in via abituale un’attività riconducibile tra quelle elencate all’articolo 2195 del codice civile, il carattere commerciale dell’attività stessa si configura a prescindere dall’esistenza di un’organizzazione di impresa, mentre nelle ipotesi in cui l’ente effettui un’attività non riconducibile tra quelle del citato articolo 2195, è necessario, al fine di accertare il carattere commerciale dell’attività posta in essere, verificare la sussistenza di un’organizzazione in forma d’impresa. In pratica, l’attività si considera esercitata con “organizzazione in forma d’impresa” quando, per lo svolgimento della stessa, viene predisposta un’organizzazione di mezzi e risorse funzionali all’ottenimento di un risultato economico.

 

Per quanto concerne le disposizioni di riordino di vigenti agevolazioni fiscali, appare opportuno ricordare che l’articolo 2, comma 1, lettera a) del decreto-legge n. 4 del 2014 ha abrogato i commi 575 e 576 della legge di stabilità 2014, contenenti disposizioni finalizzate al riordino delle agevolazioni tributarie: tali commi prevedevano infatti che entro il 31 gennaio 2014 fossero adottati provvedimenti di razionalizzazione delle detrazioni per gli oneri di cui all’articolo 15 del TUIR, al fine di assicurare maggiori entrate per 488,4 milioni di euro per l’anno 2014, 772,8 milioni per il 2015 e a 564,7 milioni a decorrere dal 2016. In mancanza di tali provvedimenti, la misura della detrazione per oneri prevista dal TUIR sarebbe stata ridotta dal 19 al 18 per cento per il 2013 e al 17 per cento a decorrere dal 2014. Già con un comunicato del 21 gennaio 2014 il Governo aveva annunciato di ritenere che la sede più opportuna per esercitare l’intervento di razionalizzazione delle detrazioni in esame fosse la delega fiscale. Con l’obiettivo di evitare qualsiasi ulteriore aggravio fiscale, si abroga quindi il comma 576 al fine di evitare riduzioni delle detrazioni in vigore, garantendo la relativa copertura attraverso un incremento degli obiettivi di risparmio previsti dalle norme di revisione della spesa contenute nella medesima legge di stabilità (commi 427 e 428) aggiungendovi, pertanto, le cifre stabilite nel comma 575. Le successive lettere da b) a d) del comma 1 dispongono quindi l’aumento degli obiettivi di risparmio della spending review previsti dalla legge di stabilità 2014.

 

b)           razionalizzazione e semplificazione del regime di deducibilità e detraibilità dal reddito o dall'imposta delle persone fisiche e giuridiche delle erogazioni liberali, in denaro e in natura, disposte in favore degli enti privati del Terzo settore, al fine di promuovere i comportamenti donativi delle persone e degli enti.

 

Le norme vigenti in materia di agevolazioni fiscali per le erogazioni liberali effettuate agli enti privati del terzo settore è complessa ed è attualmente contenuta in diverse fonti normative (TUIR - Testo unico delle imposte sui redditi, di cui al DPR n. 917 del 1986 e D.L. n. 35 del 2005).

In primo luogo (ai sensi dell’articolo 14 del D.L. n. 35 del 2005) le persone fisiche e gli enti soggetti all’imposta sul reddito delle società (in particolare società ed enti commerciali e non commerciali) possono dedurre dal reddito complessivo dichiarato, nel limite del 10% del reddito e comunque nella misura massima di 70.000 euro, le liberalità in denaro o in natura erogate a favore dei soggetti di seguito elencati:

·        organizzazioni non lucrative di utilità sociale (articolo 10, commi 1, 8 e 9 del D. Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460);

·        associazioni di promozione sociale iscritte nel registro nazionale (articolo 7, commi 1 e 2, della legge 7 dicembre 2000, n. 383);

·        fondazioni e associazioni riconosciute che hanno per oggetto statutario la tutela, la promozione e la valorizzazione dei beni di interesse artistico, storico e paesaggistico (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42);

·        fondazioni e associazioni riconosciute che hanno per scopo statutario lo svolgimento o la promozione di attività di ricerca scientifica, individuate dal D.P.C.M. 15 aprile 2011 (pubblicato sulla G.U. 3 agosto 2011, n. 179) e dal D.P.C.M. 18 aprile 2013 (pubblicato sulla G.U. 3 agosto 2013, n. 181).

Dal momento che le organizzazioni non governative (cosiddette Ong) operanti nel campo della cooperazione con i Paesi in via di sviluppo sono comprese nella categoria delle Onlus di diritto, è possibile innanzitutto fruire della deduzione nella misura massima del 10% del reddito complessivo dichiarato e comunque non superiore a 70.000 euro (vedi sopra il paragrafo “contributi a favore del non profit”).

In alternativa (articolo 15, comma 1.1 del TUIR) le persone fisiche possono detrarre un importo, pari al 24 per cento per l'anno 2013 e al 26 per cento a decorrere dall'anno 2014, per le erogazioni liberali effettuate in denaro, per somme non superiori a 2.065 euro annui, a favore delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), delle iniziative umanitarie, religiose o laiche, gestite da fondazioni, associazioni, comitati ed enti individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, nei Paesi non appartenenti all'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). Le persone fisiche possono inoltre detrarre dall’IRPEF il 19% delle erogazioni liberali in denaro, per un importo non superiore a 2.065,83 euro, effettuate in favore delle associazioni di promozione sociale iscritte nei registri previsti dalle legge 383/2000 (articolo 15, comma 1, lettera i-quater del TUIR). Come visto in precedenza, per le liberalità alle ONLUS e alle associazioni di promozione sociale erogate nel 2013 è prevista, in alternativa alla detrazione, la possibilità di dedurre le stesse dal reddito complessivo. Quindi il contribuente deve scegliere se fruire della detrazione d’imposta o della deduzione dal reddito, non potendo beneficiare di entrambe le agevolazioni.

 

 

c)            riforma strutturale dell'istituto della destinazione del cinque per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche in base alle scelte espresse dai contribuenti in favore degli enti privati del terzo settore; determinazione del relativo limite di spesa in coerenza con le risorse disponibili, razionalizzazione dei soggetti beneficiari e dei requisiti per l'accesso al beneficio nonché semplificazione e accelerazione delle procedure per il calcolo e l'erogazione dei contributi spettanti agli enti;

 

Si segnala al riguardo che la legge n. 23 del 2014 (cd. delega fiscale) reca, all’articolo 4, comma 2, una delega al Governo per la riforma delle spese fiscali ingiustificate, superate o che costituiscono una duplicazione. In tale ambito, il Governo assicura la razionalizzazione e la stabilizzazione dell'istituto della destinazione del 5 per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche in base alle scelte espresse dai contribuenti (nonché dell'istituto della destinazione dell'8 per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche).

 

d)           introduzione, per i soggetti beneficiari delle risorse del cinque per mille, di obblighi di pubblicità delle risorse ad essi destinate, individuando un sistema improntato alla trasparenza totale, con la previsione delle conseguenze per il mancato rispetto dei predetti obblighi di pubblicità, ferma restando la necessità di individuare specifiche modalità di verifica dell'attività svolta e delle finalità perseguite, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 2, comma 1, lettera i) della disciplina in esame;

 

e)           razionalizzazione dei regimi fiscali e contabili semplificati in favore degli enti privati del terzo settore. Per una breve sintesi di tali regimi si veda la sezione del presente Dossier dedicata al Trattamento fiscale per gli enti di tipo associativo;

 

f)             previsione, per le imprese sociali, di misure agevolate per la raccolta di capitali di rischio. In particolare si indirizza il legislatore delegato a prevedere che tale raccolta possa avvenire tramite portali telematici, in analogia a quanto previsto per le start-up innovative.

Si ricorda che per le start-up innovative il legislatore ha configurato, con le misure del decreto “Sviluppo 2” del 2012 (D.L. 179 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge 221/2012) e poi con il decreto "Lavoro" (D.L. 76/2013, convertito con modificazioni dalla legge 99/2013) hanno configurato un quadro normativo allineato con le migliori pratiche europee. Accanto ad una specifica definizione di tale tipo di impresa e a misure agevolative fiscali, è stata introdotta un'apposita disciplina per la raccolta di capitale di rischio da parte delle imprese startup innovative attraverso portali online, avviando una modalità innovativa di raccolta diffusa di capitale (crowdfunding). In particolare, tale modalità è disciplinata dall’articolo 30 del richiamato D.L. n. 179 del 2012, che definisce come "portale per la raccolta di capitali per le start-up innovative" una piattaforma online che abbia come finalità esclusiva la facilitazione della raccolta di capitale di rischio da parte delle start-up innovative, comprese le start-up a vocazione sociale.

Il legislatore delegato dovrà poi introdurre misure agevolative volte a favorire gli investimenti di capitale ed istituire un fondo rotativo destinato a finanziare a condizioni agevolate gli investimenti in beni strumentali materiali e immateriali;

 

g)           introduzione di meccanismi volti alla diffusione dei titoli di solidarietà e di altre forme di finanza sociale finalizzate a obiettivi di solidarietà sociale.

L’articolo 29 del D. Lgs. n. 460 del 1997 riconosce agevolazioni fiscali per l’emissione dei cd. “titoli di solidarietà”, strumenti di finanziamento delle ONLUS. In particolare è deducibile (a titolo di costo) dal reddito d'impresa la differenza tra il tasso effettivamente praticato ed il tasso di riferimento,  determinato con decreto del Ministro del tesoro, di concerto con il Ministro delle finanze; ciò a condizione che i fondi raccolti, oggetto di gestione separata, siano destinati a finanziamento delle ONLUS. Con il DM del Tesoro dell’8 giugno 1997 è stato emanato il relativo regolamento. Si tratta di titoli obbligazionari a tasso fisso non convertibili; il regolamento ribadisce che la differenza tra il tasso effettivamente praticato per l'emissione dei titoli di solidarietà e il tasso di riferimento costituisce costo fiscalmente deducibile dal reddito d'impresa. Il tasso di riferimento è fissato in misura pari al rendimento lordo medio mensile delle obbligazioni emesse dalle banche (Rendiob), comunicato mensilmente dalla Banca d'Italia, aumentato di un quinto. L’emissione di tali titoli è riservata a banche e intermediari finanziari disciplinati dal TUB (D. Lgs. n. 385 del 1993). Essi hanno l'obbligo di destinare i fondi raccolti con le emissioni dei titoli di solidarietà esclusivamente al finanziamento delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) o di intermediari bancari e finanziari, nella misura in cui tali fondi sono destinati, da parte di questi ultimi, al finanziamento delle ONLUS medesime; devono tenere per i fondi raccolti gestione separata, dalla quale devono risultare in modo chiaro e trasparente tutte le entrate e le spese connesse ai fondi medesimi.  Sono previsti altresì obblighi informativi, da parte degli emittenti, sulla consistenza delle emissioni e sulle conseguenti operazioni di finanziamento, sulle relative condizioni finanziarie e sulle ONLUS destinatarie;

 

h)           promozione dell'assegnazione in favore degli enti privati del terzo settore degli immobili pubblici inutilizzati, nonché, tenuto conto della disciplina in materia, dei beni immobili e mobili confiscati alla criminalità organizzata, secondo criteri di semplificazione e di economicità, anche al fine di valorizzare in modo adeguato i beni culturali e ambientali;

 

In materia di immobili pubblici, si ricorda che nel corso degli ultimi anni sono state adottate normative per razionalizzare gli spazi utilizzati dalle amministrazioni pubbliche. Inoltre, al fine di ridurre il debito pubblico, è stato avviato un processo di valorizzazione e di dismissione degli immobili non utilizzati. In particolare è stata prevista l'istituzione di fondi immobiliari chiusi gestiti da una SGR interamente pubblica (Invimit) (articolo 33 del D.L. n. 98 del 2011).

Le amministrazioni centrali, inoltre, devono predisporre entro il 30 giugno 2015 un nuovo piano di razionalizzazione nazionale per assicurare, oltre al rispetto del parametro metri quadrati per addetto, un complessivo efficientamento della presenza territoriale in modo da garantire una riduzione, dal 2016 rispetto al 2014, di almeno il 50 per cento della spesa per locazioni e di almeno il 30 per cento degli spazi utilizzati (articolo 24 del D.L. n. 66 del 2014).

Il decreto legislativo n. 85 del 2010 (“federalismo demaniale”) ha previsto l'individuazione dei beni statali che possono essere attribuiti a comuni, province, città metropolitane e regioni, che ne dispongono nell'interesse della collettività rappresentata favorendone la "massima valorizzazione funzionale". I beni trasferiti possono anche essere inseriti dalle regioni e dagli enti locali in processi di alienazione e dismissione.

Le regioni e gli enti locali da un lato, e lo Stato dall'altro, possono concedersi reciprocamente l'uso gratuito dei loro beni immobili per fini istituzionali (articolo 3 del D.L. n. 95 del 2012).

In tema di concessioni di valorizzazione, l’articolo 3-bis del D.L. n. 351 del 2001 consente di dare in concessione o di locare a privati, a titolo oneroso, beni immobili di proprietà dello Stato ai fini della riqualificazione e riconversione tramite interventi di recupero, restauro, ristrutturazione, anche con l'introduzione di nuove destinazioni d'uso finalizzate allo svolgimento di attività economiche o attività di servizio per i cittadini, ferme restando le disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio. Le concessioni e le locazioni sono affidate con procedure di evidenza pubblica. L’articolo 3, comma 14, del D.L. n. 95 del 2012 ha eliminato il limite massimo di cinquanta anni per la durata delle locazioni e concessioni di valorizzazione per gli immobili di proprietà dello Stato appartenenti al demanio storico-artistico.

 

Dalla formulazione della norma non risulta chiaro se la normativa delegata possa prevedere assegnazioni gratuite ovvero solo agevolazioni per gli enti del terzo settore.

 

i)             revisione della disciplina riguardante le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, in particolare prevedendo una migliore definizione delle attività istituzionali e di quelle connesse.

 

 


Articolo 7 - Disposizioni finanziarie e finali

Al comma 1, l’articolo 7 chiarisce che, dall'attuazione delle deleghe, non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

La Relazione tecnica al provvedimento evidenzia al proposito che, in ragione della complessità della materia trattata e dell’impossibilità di procedere alla determinazione degli eventuali effetti finanziari, ciascun schema di decreto attuativo della delega dovrà essere corredato di una relazione tecnica che evidenzi gli effetti delle disposizioni sui saldi di finanza pubblica. Qualora uno o più decreti legislativi determinino nuovi o maggiori oneri, che non trovino compensazione  in seno alle amministrazioni competenti, i decreti legislativi  che recano le risorse finanziarie necessarie alla compensazione dovranno entrare in vigore prima dell’adozione di quelli che comportano i nuovi o maggiori oneri.

 

Il comma 2 deroga alla norma di invarianza, poiché autorizza l’istituzione  di un fondo rotativo destinato a finanziare a condizioni agevolate gli investimenti in beni strumentali materiali e immateriali delle imprese sociali[40] con dotazione  di 50 milioni di euro. Al relativo onere, per l'anno 2015, si provvede:

·        20 milioni di euro, mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica[41];

·        20 milioni di euro, mediante corrispondente utilizzo del Fondo speciale di conto capitale dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze (Tabella B della legge di stabilità 2014);

·        10 milioni di euro, mediante corrispondente riduzione della dotazione del Fondo per la crescita sostenibile[42]

 

 

Nell'ambito della legge di stabilità 2015, potranno essere individuate risorse finanziarie ulteriori, per garantire la stabilizzazione e il rafforzamento delle misure previste dal disegno di legge delega in esame in materia di:

1.     riforma strutturale dell'istituto della destinazione del cinque per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche in base alle scelte espresse dai contribuenti in favore degli enti privati del Terzo settore, determinazione del relativo limite di spesa in coerenza con le risorse disponibili, razionalizzazione dei soggetti beneficiari e dei requisiti per l'accesso al beneficio nonché semplificazione e accelerazione delle procedure per il calcolo e l'erogazione dei contributi spettanti agli enti[43];

2.     previsione di un fondo rotativo per le imprese sociali[44];

3.     servizio civile universale[45].

 

Infine il comma 4 precisa che le disposizioni della legge delega e quelle dei decreti legislativi emanati in attuazione della stessa si applicano nei confronti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano nel rispetto dei loro statuti e delle relative norme di attuazione.

 

 

 

 



[1]     Per una analisi dei dati del Censimento si rinvia a:

      Barbetta G., Terzo settore sotto la lente d’ingrandimento, in lavoce.info del 20 maggio 2014

      Barbetta G., Canino P., Cima S., Crescita occupazionale e nuove istituzioni, 16 aprile 2014

 

[2]     Al proposito, Istat, Attività gratuite a beneficio di altri: anno 2013, luglio 2014

[3]     Le disposizioni contenute nel Capo II del codice civile (dall’art. 14 all’art. 35) disciplinano le cosiddette associazioni riconosciute, ossia gli organismi associativi dotati di personalità giuridica, mentre il capo III (dall’art. 36 all’art. 42) regola le associazioni non riconosciute, ossia prive di personalità giuridica, ed i comitati. Le cooperative sono disciplinate dagli artt. 2511-2548 del Libro V del codice civile.

[4]     Già la Corte costituzionale, nella sentenza n. 50 del 1998, ha definito il volontariato come una attività finalizzata ad attuare il principio di solidarietà sociale. Lo stesso articolo 2 della legge 266/1991 sul volontariato conferma la non coincidenza di “non lucratività” e “finalità di solidarietà” laddove richiede, per qualificare l’attività di volontariato, lo svolgimento di attività “senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà”.

 

[5]     Il DPCM 30 marzo 2001 all’articolo 2 considera soggetti del Terzo settore: le organizzazioni di volontariato, le associazioni e gli enti di promozione sociale, gli organismi della cooperazione, le cooperative sociali, le fondazioni, gli enti di patronato, altri soggetti privati non a scopo di lucro.

[6]     Sul punto leggi anche: Auser,  VI Rapporto su enti locali e terzo settore, 2013.

[7]     Sul punto si rinvia a: Avcp,  Linee guida per gli affidamenti a cooperative sociali ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge n. 381/1991, 2012.

[8]     Sul tema: Agenzia per le onlus, Linee guida sulla gestione dei registri del volontariato, 2009.

[9]     L’articolo 7 della legge 383/2000 ha stato istituito il Registro Nazionale delle associazioni di promozione sociale al quale possono iscriversi le associazioni di promozione sociale a carattere nazionale, costituite ed operanti da almeno un anno. Per "associazioni di promozione sociale a carattere nazionale" s'intendono quelle che svolgono attività in almeno cinque regioni e in almeno venti province del territorio nazionale.

 

[10]   Sul punto maggiori informazioni ricavabili da: Relazione al Parlamento ai sensi dell’art. 3, 2 comma, della legge 15 dicembre 1998, n. 438: anno 2012, 2013.

[11]   Vedi Le Linee guida per il procedimento per la richiesta dei contributi previsti dalla legge 438 del 15 dicembre 1998 e dall’art. 1, comma 2 della legge 476 del 19 novembre 1987: Annualità 2014.

[12]   Per una analisi puntuale degli aspetti gli aspetti economici, patrimoniali e occupazionali si rimanda al 2° Rapporto Euricse,  La cooperazione italiana negli anni della crisi, che analizza il mondo della cooperazione nel periodo 2008-2011.

[13]   Per quanto riguarda la partecipazione alle ONLUS di enti pubblici, la Circolare n.38/E del 1 agosto 2011 dell’Agenzia delle entrate, chiarisce che “la qualifica di ONLUS non deve essere negata ad organizzazioni partecipate da enti pubblici e/o società commerciali qualora questi non esercitino un’influenza dominante nelle determinazioni della ONLUS”. La circolare premette che “L’ultimo decennio ha visto il proliferare di enti di natura privata del terzo settore costituiti (o partecipati) da enti pubblici e da società commerciali (es. fondazioni di comunità, fondazioni d’impresa). Tale fenomeno è da attribuirsi alla necessità, non solo di ridurre l’utilizzo di risorse pubbliche in specifici ambiti, ma anche di sperimentare nuove soluzioni di partenariato attivo fra le organizzazioni del terzo settore da un lato e gli enti pubblici e le società commerciali dall’altro, in specie alla luce del principio di sussidiarietà previsto dall’art. 118, ultimo comma, della Costituzione”.

 

[14]   ISFOL, L’inquadramento giuridico dell’associazionismo di promozione sociale all’interno del terzo settore, 2010; ISFOL, Il ruolo dell’associazionismo di promozione sociale nel nuovo modello di welfare, 2013.

.

[15]   Per un quadro normativo completo “Le Fondazioni bancarie” In Temi dell’attività parlamentare, sezione dedicata del sito della Camera dei deputati.

[16]   Informazioni ricavate dal sito dell’ACRI – Associazione di fondazioni e di casse di risparmio SpA.

[17]   Per ulteriori dati sull’imprenditoria sociale Unioncamere, Cooperazione, non profit e imprenditoria sociale: economia e lavoro, 2014.

[18]   Entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge 125/2014 dovrà essere adottato, con regolamento,  lo statuto dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, uno dei nuovi organi previsti dalla legge di riforma. Dal primo giorno del sesto mese successivo alla data di entrata in vigore del regolamento dell’Agenzia, sarà abrogata la legge 49/1987.

[19]   La Corte costituzionale, con la sentenza n. 202 del 2007, ha sottolineato che il 5 per mille “opera un meccanismo fiscale di de tax diretto a favorire, mediante una riduzione dell'imposta, il finanziamento delle attività eticamente o socialmente meritevoli, svolte dal soggetto indicato dal contribuente quale beneficiario del finanziamento. Tale riduzione del tributo erariale è coerente con l'intento del legislatore di perseguire una politica fiscale diretta a valorizzare, in correlazione con un restringimento del ruolo dello Stato, la partecipazione volontaria dei cittadini alla copertura dei costi della solidarietà sociale e della ricerca”.

 

[20]   L. 15 dicembre 1972, n. 772, Norme per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza.

[21]   Informazioni tratte dal sito della Presidenza del Consiglio dei ministri – Ufficio nazionale per il servizio civile: /www.serviziocivile.it

[22]   L. 8 luglio 1998, n. 230, Nuove norme in materia di obiezione di coscienza.

[23]   L. 14 novembre 2000, n. 331, Norme per l'istituzione del servizio militare professionale.

[24]   L. 23 agosto 2004, n. 226, Sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva e disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata, nonché delega al Governo per il conseguente coordinamento con la normativa di settore.

[25]   L. 6 marzo, 2001, n. 64, Istituzione del servizio civile nazionale.

[26]   D.Lgs. 5 aprile 2002, n. 77, Disciplina del Servizio civile nazionale a norma dell’articolo 2 della legge 6 marzo 2001, n. 64.

[27]   L. 16 gennaio 2003, n. 3, Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione.

[28]   D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 303, Ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a norma dell’articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[29]   D.L. 18 maggio 2006, n. 181, Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri  convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 17 luglio 2006, n. 233.

[30]   D.L. 16 maggio 2008, n. 85, Disposizioni urgenti per l'adeguamento delle strutture di Governo in applicazione dell'articolo 1, commi 376 e 377, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 14 luglio 2008, n. 121.

 

[31]   Direttiva 2004/38/CE del 29 aprile 2004 relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.

[32]   Direttiva 2003/109/CE del 25 novembre 2003 relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo.

[33]   Direttiva 2004/83/CE del 29 aprile 2004 recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta.

 

[34]   Per la definizione di “terzo settore” e degli enti che convenzionalmente ne fanno parte si fa rinvio all’ampia illustrazione contenuta nel quadro normativo.

[35]   Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali.

[36]   In ognuna delle regioni italiane, e in Trentino Alto Adige distintamente per la Provincie Autonome di Trento e di Bolzano, è istituito un autonomo fondo speciale, con cui vengono finanziate le attività dei Centri di servizio istituiti in ambito regionale.

[37]   Per l’attività dei Comitati di gestione (Co.Ge) si rinvia al sito della Consulta dei Comitati di Gestione.

[38]   Per maggiori informazioni sull’attività dei Centri di servizio si rinvia al sito CSVnet, il Coordinamento Nazionale dei Centri di Servizio per il Volontariato.

[39] Il quadro in materia è fornito da: Isfol, Il ruolo dell’associazionismo di promozione sociale nel nuovo modello di Welfare, 2013.

[40]   Di cui all’articolo 6, comma 1, lettera f), numero 3) del provvedimento in esame).

[41]   Di cui  all'articolo 10, comma 5, del decreto legge 282/2004, n. 282.

[42]   Di cui all'articolo 23, comma 2, del decreto legge 83/2012, n. 83, come rifinanziata ai sensi dell'articolo 1, comma 26, della legge 147/2013 (legge di stabilità 2014)

[43]   Di cui all’articolo 6, comma 1, lettere c) del provvedimento in esame.

[44]   Di cui all’articolo 6, comma 1, lettera f), numero 3) del provvedimento in esame.

[45]   Articolo 5 del provvedimento in esame.