Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: Consiglio europeo - Bruxelles, 18-19 febbraio 2016
Serie: Documentazione per l'Assemblea - Esame di atti e documenti dell'UE    Numero: 11
Data: 17/02/2016
Descrittori:
CONSIGLIO EUROPEO     

17 febbraio 2016

 

n. 11

Consiglio europeo

Bruxelles, 18-19 febbraio 2016

Il Consiglio europeo 18-19 febbraio 2016, in base all’ordine del giorno provvisorio, discuterà in primo luogo della permanenza del Regno Unito nell’UE (cosiddetto Brexit) e, quindi, delle misure per gestire i flussi migratori.

Per quanto riguarda gli altri punti, alla data del 17 febbraio non è chiaro se il Consiglio discuterà anche delle questioni relative alla situazione in Siria e in Libia; dovrebbe invece avviarsi la procedura del Semestre europeo per l’anno in corso.

Il 15 febbraio 2016 è stata pubblicata la bozza di conclusioni preparata dal Presidente del Consiglio europeo, in stretta cooperazione con la Presidenza semestrale del Consiglio (Paesi Bassi) e con il Presidente della Commissione europea.

Il progetto è stato esaminato dal Consiglio dell’UE affari generali il 16 febbraio 2016.

 


Gli sviluppi del negoziato per la permanenza del regno Unito nell’UE

Il Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, in esito ai negoziati con il governo del Regno Unito svoltisi nel mese di gennaio 2016, ha presentato il 2 febbraio 2016 un pacchetto di proposte concernente una nuova intesa per la permanenza del Regno Unito nell’Unione europea, sottoposto all’esame e all’eventuale approvazione da parte del Consiglio europeo del 18 e 19 novembre 2016.

A seguito delle elezioni politiche che si sono svolte nel 2015, il Primo Ministro del Regno Unito, David Cameron, aveva affermato che entro il 2017 si sarebbe svolto un referendum sulla permanenza del Regno Unito nella UE.

Il 10 novembre 2015 il Primo Ministro inglese aveva inviato una lettera al Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk nella quale sollecitava alcune riforme dell’UE in quattro aree in particolare: governance economica; crescita e competitività; sovranità; prestazioni sociali e libera circolazione.

In caso di esito positivo del negoziato, il Governo inglese si impegna a sostenere le ragioni del “sì” nella campagna che precederà il referendum sulla partecipazione del Regno Unito all'Unione europea, che dovrebbe tenersi tra giugno e dicembre del 2016 (secondo notizie riportate dalla stampa sarebbe stata individuata la data del 23 giugno 2016).

 

In linea generale, si può osservare che le proposte presentate dal Presidente Tusk recepiscono quasi integralmente le richieste che erano state avanzate dal Governo del Regno Unito con la lettera del 10 novembre 2015.

Le proposte presentate dal Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk

Tra i punti qualificanti del pacchetto all’esame del prossimo Consiglio europeo si segnalano, in particolare, i seguenti:

Prestazioni di sicurezza sociale e libera circolazione

Si prevede la possibilità di limitazioni alla libera circolazione, oltre che per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, per “imperativi di interesse generali quali promuovere le assunzioni, tutelare i lavoratori vulnerabili, evitare gravi pregiudizi per la sostenibilità dei sistemi di sicurezza sociale”.

Si prospetta, in particolare, che:

·         il diritto delle persone economicamente non attive di soggiornare in altro Stato membro sia legato alla disponibilità di risorse economiche sufficienti per se stesse e i propri familiari - in modo da non costituire un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato ospitante - e di un'assicurazione malattia;

·         gli Stati membri possano negare il riconoscimento di prestazioni di sicurezza sociale a persone che abbiano come unico fine quello di ottenere l’aiuto sociale di uno Stato membro ospitante;

·         gli Stati membri possano respingere le richieste di prestazioni di assistenza sociale se i cittadini dell'UE provenienti da altri Stati membri non godono del diritto di soggiorno.

Si prevede che la Commissione europea presenti proposte delle vigenti disposizioni in materia di:

·        prestazioni per figli a carico, nell’ottica di consentire agli Stati membri di indicizzare tali prestazioni sulla base del tenore di vita nello Stato membro in cui risiedono i figli;

·        libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione. L’obiettivo è prevedere un meccanismo di allerta e salvaguardia per rispondere a situazioni di afflusso di lavoratori provenienti da altri Stati membri di portata eccezionale e per un periodo di tempo prolungato.

Lo Stato membro notificherebbe alla Commissione e al Consiglio l'esistenza di una situazione eccezionale di entità tale da ledere aspetti essenziali del suo sistema di sicurezza sociale o da determinare difficoltà gravi che rischiano di protrarsi nel suo mercato del lavoro o da mettere un'eccessiva pressione sul corretto funzionamento dei servizi pubblici.

La Commissione, esaminata la questione presenterebbe al Consiglio dei ministri dell’UE una proposta di atto di esecuzione che autorizzerebbe lo Stato membro a limitare l'accesso dei lavoratori dell'UE che entrano per la prima volta nel suo mercato del lavoro alle prestazioni collegate all’esercizio di un’attività lavorativa per un periodo totale di massimo quattro anni, rinnovabile per altri due periodi, dall'inizio del rapporto di lavoro.

Viene ribadito il principio secondo cui le persone che godono del diritto di libera circolazione devono rispettare le leggi degli Stati membri ospitanti e che questi ultimi possono adottare:

·         misure volte a prevenire abusi di diritto o frodi, quali la presentazione di documenti falsificati, e affrontare i casi di matrimoni fittizi con cittadini di Paesi terzi finalizzati a regolarizzare un soggiorno illegale o ad eludere le norme nazionali in materia di immigrazione;

·         misure restrittive per tutelarsi da persone che potrebbero rappresentare una minaccia reale e grave per l'ordine pubblico o la pubblica sicurezza.

Anche in assenza di precedenti condanne penali, gli Stati membri possono agire per motivi di prevenzione, purché siano specificamente connessi alla persona interessata.

 

Si segnala che, tra i diversi temi oggetto del pacchetto, quello relativo alle limitazioni alla libera circolazione e alla fruizione delle prestazioni sociali risulta il più rilevante per la discontinuità che la sua applicazione potrebbe segnare nelle politiche sino ad oggi adottate nell’ambito dell’UE e per l’ampiezza della platea dei cittadini europei potenzialmente interessati, posto che le nuove regole non sarebbero utilizzabili dal solo Regno Unito ma anche dagli altri Paesi membri.

Governance economica

Al fine di garantire l’efficacia dei nuovi processi decisionali dell’UEM e, nel contempo, il rispetto dei diritti e delle competenze degli Stati membri la cui moneta non è l’euro, è vietata ogni discriminazione basata sulla moneta.

A tal fine:

·        gli atti giuridici direttamente legati al funzionamento della zona euro, compresi gli accordi intergovernativi fra gli Stati membri, devono rispettare il mercato interno e la coesione economica, sociale e territoriale;

·        la normativa sull'Unione bancaria è applicabile solo agli enti creditizi situati in Stati membri la cui moneta è l'euro o negli Stati membri che hanno concluso con la BCE un accordo di cooperazione stretta in materia di vigilanza;

·        le misure di emergenza volte a salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro (quali, ad esempio, il cosiddetto. fondo salva-Stati), non comporteranno responsabilità di bilancio per gli Stati membri la cui moneta non è l'euro.

Competitività

Si prevede il rafforzamento del mercato interno, da conseguire attraverso:

·        un impegno nella riduzione degli oneri, in particolare per le PMI, tramite la semplificazione normativa;

·        la fissazione, di obiettivi di riduzione degli oneri nei settori chiave, con impegni da parte delle istituzioni dell’UE e degli Stati membri;

·        il perseguimento di obiettivi ambizioni nella politica commerciale dell’UE.

 

Al riguardo, si segnala che il 14 dicembre 2015 il Ministro degli esteri italiano, Paolo Gentiloni, e il segretario di Stato per gli Affari esteri del Regno Unito, Philip Hammond, hanno sottoscritto una lettera congiunta nella quale sottolineano che, sebbene Italia e Regno Unito abbiano due punti di vista molto diversi sull’Europa (il Regno Unito considera il mercato unico come obiettivo principale, mentre l’Italia si ispira alla visione di un'Unione europea federale sempre più integrata, sia economicamente sia politicamente), i due Paesi condividono la necessità di una profonda riforma dell'Unione europea, al fine di semplificarne il funzionamento, le procedure e le regole. Entrambi i Governi auspicano un'economia competitiva, per promuovere una maggiore occupazione e sfruttare appieno il potenziale del mercato unico. In questo contesto, le proposte del Regno Unito costituiscono una base di discussione per creare un’Unione europea più competitiva, democraticamente responsabile e flessibile, in grado di conciliare le diverse visioni dell’UE, consentendo agli Stati membri che vogliono approfondire l'integrazione di procedere, rispettando nel contempo la volontà di coloro che non intendono proseguire nel processo di integrazione.

 

Sovranità

La proposta di decisione dei Capi di Stato o di Governo prevede:

·        che il riferimento alla creazione di “un’Unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa”, di cui all’art. 1 del Trattato sull’Unione europea, non comporta necessariamente l’obiettivo di un’integrazione politica, sia compatibile con diversi percorsi di integrazione tra gli Stati membri;

·        il riconoscimento ai Parlamenti nazionali del potere di bloccare il procedimento legislativo europeo su una determinata proposta, (cosiddetto “cartellino rosso”).

In particolare, qualora i pareri motivati dei Parlamenti nazionali, inviati entro 12 settimane dalla trasmissione del progetto rappresentino più del 55% dei voti attribuiti ai Parlamenti nazionali, il Consiglio dei ministri dell’UE svolgerà una discussione esauriente su tali pareri e sulle conseguenze da trarne. A seguito di tale discussione, il Consiglio interromperà l'esame del progetto di atto legislativo in questione, a meno che il progetto non sia modificato per rispondere alle preoccupazioni espresse nei pareri motivati dei Parlamenti nazionali.

In proposito, si può osservare che la proposta del Presidente Tusk rimette al Consiglio dei ministri dell’UE la decisione ultima sull’esito della proposta controversa, mentre attualmente la procedura per il controllo di sussidiarietà demanda alla Commissione europea la responsabilità di valutare i pareri motivati dei Parlamenti nazionali e di decidere quale seguito dare loro. Si ricorda, inoltre, che attualmente l’articolo 6 del Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità prevede che i Parlamenti nazionali possano inviare pareri motivati per la non conformità di un progetto di atto legislativo al principio di sussidiarietà entro un termine di 8 settimane a decorrere della data di trasmissione del progetto in tutte le lingue ufficiali dell’UE.

·        l’impegno delle istituzioni dell’UE a rispettare la competenza degli Stati membri in materia di sicurezza nazionale e a riconoscere ai protocolli allegati ai Trattati lo stesso valore di questi ultimi.

Si ricorda che, secondo quanto previsto da alcuni protocolli allegati ai Trattati vigenti, il Regno Unito ha già il diritto di:

-     non adottare l'euro e pertanto mantenere la sterlina come moneta;

-     non partecipare allo spazio Schengen per quanto concerne le frontiere interne ed esterne;

-     scegliere se partecipare o meno a misure relative allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

migrazione

Le dimensioni del fenomeno –orientamenti del Consiglio europeo di dicembre 2015

Secondo Frontex, l’Agenzia europea per il coordinamento della sorveglianza delle frontiere esterne dell’UE, nel 2015 sono stati rilevati 1,83 milioni attraversamenti irregolari di migranti, a fronte dei 283.500 nell’anno precedente. Solo in Grecia nel 2015 sarebbero arrivate 880 mila persone; in Italia circa 170 mila. Il dato dei flussi migratori in Italia evidenzia una flessione di circa l’8 per cento rispetto al numero dei migranti nel 2014: tale diminuzione dovrebbe rappresentare l’effetto indiretto dell’incremento dei flussi che attraversano il Mediterraneo orientale (dalla Turchia alla Grecia) e che raggiungono l’Europa tramite i Balcani occidentali. L’aumento dei flussi provenienti dalla Turchia verso la Grecia e lungo la rotta dei Balcani occidentali potrebbe, tra l’altro, essere stato determinato dal rafforzamento dei controlli effettuati lungo le frontiere marittime del Mediterraneo centrale. In particolare, si tratta della missione EUNAVFOR MED – SOPHIA, istituita al fine di contrastare i trafficanti di migranti che utilizzano la rotta dalla Libia all’Italia.

In base alle stime dell’OIM – Organizzazione mondiale per le migrazioni, sono oltre 76 mila i migranti e i rifugiati arrivati via mare in Grecia e in Italia tra l'1 gennaio e il 7 febbraio 2016: Grecia e Italia avrebbero registrato rispettivamente 70.365 e 5.898 arrivi. Nel corso dei primi due mesi del 2015, la Grecia aveva registrato solo 3.952 arrivi di migranti via mare, l'Italia 7.882 Secondo Eurostat, nel terzo trimestre 2015, sono state presentate nell’Unione europea 430 mila domande di protezione di cui 413 mila di prima istanza (ovvero domande nuove di protezione internazionale). A settembre 2015 nell’UE erano pendenti oltre 800 mila domande di asilo.

Il Consiglio europeo dovrebbe anzitutto discutere sullo stato di attuazione degli orientamenti del dicembre scorso per rispondere alla crisi migratoria.

Gli orientamenti adottati nel Consiglio europeo del 17-18 dicembre 2015 delineano una serie di impegni per gli Stati membri e le Istituzioni europee volti a una migliore gestione della crisi dei migranti.

Si tratta, tra l’altro, di: colmare le lacune nella gestione delle frontiere esterne; porre rimedio alle carenze nel funzionamento degli hotspot (vedi infra); garantire l'identificazione, la registrazione e il rilevamento delle impronte digitali in maniera sistematica e completa, adottare misure per contrastare il rifiuto di registrazione; attuare le decisioni di ricollocazione, e considerare l'eventualità di includere tra i beneficiari delle decisioni in vigore altri Stati membri in situazione di forte pressione che ne abbiano fatto richiesta; adottare misure concrete per garantire il rimpatrio e la riammissione effettivi delle persone non autorizzate a soggiornare; potenziare le misure per la lotta contro il traffico e la tratta di esseri umani; garantire l'attuazione e il seguito operativo alla Conferenza ad alto livello sulla rotta del Mediterraneo orientale/dei Balcani occidentali, al vertice di La Valletta, in particolare per quanto riguarda i rimpatri e la riammissione; e al piano d'azione UE-Turchia (vedi infra).

 

Al riguardo, merita rilevare che nel settembre del 2015 il Consiglio aveva adottato due programmi temporanei di ricollocazione concernenti 160 richiedenti asilo; secondo i programmi dovrebbero essere redistribuiti rispettivamente da Grecia e Italia 66.400 e 39.600 richiedenti asilo. Alla data del 15 febbraio è stata effettuata la ricollocazione di sole 295 persone dalla Grecia e 288 dall’Italia. Tale lentezza nell’attuazione dei programmi di relocation sconta le resistenze da parte di molti Stati membri, alcuni dei quali si sono addirittura rifiutati di aderire al programma.

Iniziative in materia di rimpatrio e riammissione

Secondo la bozza di conclusioni, con riferimento alle relazioni con i paesi terzi, i pacchetti di incentivi globali e su misura, attualmente in fase di sviluppo per determinati paesi al fine di garantire rimpatri e riammissioni efficaci, richiedono il pieno sostegno dell'UE e degli Stati membri.

Si fa presumibilmente riferimento in primo luogo al Vertice sulla migrazione di La Valletta dell’11 e 12 novembre 2015 cui hanno partecipato, tra l’altro, i capi di Stato e di Governo dell'Unione europea e dei Paesi africani parti del processo di Khartoum (in particolare i Paesi del Corno d'Africa e l’Egitto) e del processo di Rabat (gli Stati delle regioni dell’Africa settentrionale, occidentale e centrale).

In esito al Vertice è stato lanciato un Fondo fiduciario d'emergenza dell'Unione europea per la stabilità e la lotta contro le cause profonde della migrazione irregolare e del fenomeno degli sfollati in Africa con una dotazione di 1,8 miliardi di euro finanziato in parte dal bilancio UE e in parte da contributi degli Stati membri. Il Fondo dovrebbe sostenere, tra l’altro, programmi di sviluppo in quelle aree dell’Africa di origine e di transito dei migranti verso l’UE (Sahel, Corno d’Africa, Africa del Nord). Per quanto riguarda la cooperazione in materia di rimpatrio e riammissione, su sollecitazione dei paesi africani, il Vertice ha sostanzialmente accordato la preferenza ai rimpatri volontari; il Vertice ha inoltre discusso della possibilità di stabilire un collegamento tra gli accordi di riammissione con i paesi africani e gli accordi di facilitazione del rilascio dei visti, nonché di misure volte a sostenere un'effettiva riammissione dei migranti irregolari nei Paesi di origine.

Gli aiuti alla popolazione siriana

Il Consiglio europeo dovrebbe inoltre confermare l’impegno a fornire aiuti umanitari ai rifugiati siriani ed ai Paesi vicini alla Siria. In questo contesto, il Consiglio europeo dovrebbe accogliere con favore l'esito della Conferenza sulla Siria del 4 febbraio a Londra e invitare la Commissione e tutti gli Stati membri ad attuare rapidamente i loro impegni.

Si ricorda che in esito alla Conferenza internazionale dei donatori per gli aiuti alla Siria, svoltasi a Londra lo scorso 4 febbraio, l'Unione europea e gli Stati membri hanno promesso per il 2016 più di 3 miliardi di euro in assistenza al popolo siriano in Siria, ai rifugiati e alle comunità che li ospitano nei Paesi limitrofi.

Con questo impegno si è sostanzialmente triplicato il sostegno che l'UE aveva offerto in occasione della precedente conferenza dei donatori tenutasi il 31 marzo 2015 in Kuwait; la somma si aggiunge ai 5 miliardi di euro che l'UE ha già impegnato in risposta alla crisi umanitaria siriana.

L’Italia si è impegnata a stanziare 400 milioni di euro.

Secondo le stime dell’Unione europea, negli ultimi cinque anni la guerra in Siria ha provocato più di 250 mila vittime, per lo più civili, e più di 18 milioni di persone hanno bisogno di assistenza, 13,5 milioni dei quali all'interno della Siria. Gli sfollati interni sarebbero 6,5 milioni mentre 4,6 milioni di persone sarebbero fuggite principalmente in Libano, Giordania e Turchia. In particolare in Turchia si sono riversati nel 2015 circa 2,5 milioni di profughi. Per quanto riguarda l’assistenza per i rifugiati siriani ospitati in paesi limitrofi, l’UE ha finora stanziato 583 milioni di euro in Giordania, 552 milioni di euro in Libano, 104 milioni di euro in Iraq, 352 milioni di euro in Turchia. Inoltre nel novembre 2015 il Consiglio europeo, nell’ambito di un accordo più generale UE-Turchia (vedi infra) ha deciso lo stanziamento aggiuntivo di 3 miliardi per il sostegno ai rifugiati siriani da parte della Turchia. Lo stanziamento è ripartito in 1 miliardo a carico del bilancio dell’UE e 2 miliardi a carico dei bilanci nazionali. La quota italiana, dovrebbe essere pari ad una quota del’11,25% corrispondente a circa 225 milioni di euro.

La rotta dei Balcani occidentali

Secondo il Consiglio europeo, la questione dei continui e intensi flussi migratori irregolari lungo la rotta dei Balcani occidentali richiede un’ulteriore azione concertata e un termine all’atteggiamento permissivo. Nella bozza di conclusioni si dovrebbe inoltre sottolineare la necessità di restare vigili quanto ai potenziali sviluppi lungo le rotte alternative.

 

Potrebbe al riguardo risultare opportuno valutare se l’eventuale reintroduzione di controlli alle frontiere interne fino a due anni da parte degli Stati membri esposti alla rotta balcanica possa spostare i flussi di migranti tra i diversi canali di ingresso in Europa. In particolare, non è da escludere che il tentativo di ostacolare i movimenti secondari che partono dalla Grecia per giungere nell’Europa centrale e settentrionale possa indurre a riprendere la rotta del Mediterraneo centrale che comporterebbe l’approdo in Italia di un numero più consistente di migranti.

 

Nel 2015 Frontex ha rilevato circa 760 mila attraversamenti irregolari alle frontiere UE lungo la rotta cosiddetta dei Balcani occidentali (la maggior parte dei migranti che percorrono questa rotta, dopo essere entrati in Grecia, attraversano l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia e la Serbia per approdare in Ungheria e in Croazia, spesso con l’ulteriore proposito di raggiungere Austria, Germania e i Paesi scandinavi. La maggior parte dei migranti lungo questa rotta sono di origine siriana, afgana ed irachena.

L’ingente aumento di tale flusso di migranti ha indotto alcuni Stati dell’area Schengen a reintrodurre i controlli alle frontiere interne applicando le relative disposizioni del Codice frontiere Schengen.

Si tratta, tra gli altri, di Svezia, Norvegia, Danimarca, Austria, e Germania. Tale reintroduzione, in base agli articoli 23-25 del Codice Schengen, può protrarsi fino a sei mesi; tuttavia in occasione del Consiglio informale giustizia e affari interni del 25-26 gennaio 2016 alcuni Stati membri hanno chiesto di approfondire l’eventualità di estendere la misura fino a due anni, in applicazione della procedura ex articolo 26 del codice Schengen. Tale strumento prevede che in caso di circostanze eccezionali in cui il funzionamento globale dello spazio senza controllo alle frontiere interne è messo a rischio a seguito di carenze gravi e persistenti nel controllo di frontiera alle frontiere esterne, a seguito di raccomandazione del Consiglio, gli Stati membri rispristinino i controlli a alle frontiere interne per un periodo che può essere prorogato fino a due anni.

Il piano UE Turchia

Il Consiglio europeo dovrebbe inoltre prendere atto delle misure adottate dalla Turchia nell’ambito del Piano d’azione che tale Stato terzo ha convenuto con l’UE, segnatamente nei settori dell’accesso al mercato del lavoro turco da parte dei rifugiati, e della condivisione di informazioni con l’UE.

Tuttavia, considerato il flusso ancora troppo elevato di migranti che giungono in Grecia dalla Turchia, il Consiglio europeo dovrebbe sottolineare la necessità di ulteriori sforzi da parte della Turchia nell’attuazione del Piano per frenare i flussi di migranti e contrastare il traffico di migranti e la tratta di esseri umani, anche con il sostegno della NATO. Il Consiglio europeo dovrebbe accogliere con favore l'accordo raggiunto tra gli Stati membri circa lo strumento di sostegno economico per la Turchia a favore dei rifugiati, e invitare la Commissione e gli Stati membri a dare rapida attuazione ai progetti prioritari.

Si ricorda che nel mese di gennaio 2016 in media sono arrivate in Grecia dalla Turchia 2 mila persone al giorno. Tale dato ha toccato il suo apice nel mese di ottobre 2015 quando la media si attestava a circa 7 mila migranti al giorno.

Il Piano di azione è stato attivato il 29 novembre 2015 in esito al summit UE Turchia, e mira ad aumentare la cooperazione per il sostegno ai profughi siriani in Turchia e alle comunità che li ospitano, nonché a prevenire il flusso di migranti irregolari verso l’UE. Secondo gli accordi la Turchia si è, tra l’altro, impegnata a: assicurare la registrazione dei migranti e fornire loro documenti anche con l’uso della forza; facilitare l’accesso dei Siriani sotto protezione temporanea ai servizi pubblici, inclusi l’educazione, la sanità e l’inserimento nel mercato del lavoro; rafforzare le capacità di intercettazione da parte della guardia costiera turca; cooperare con Bulgaria e Grecia al fine di prevenire la migrazione irregolare lungo i confini comuni terrestri; aumentare la cooperazione per quanto riguarda la riammissione dei migranti irregolari provenienti dalla Turchia.

L’Unione europea, oltre al richiamato sostegno straordinario di tre miliardi di euro, si è, tra l’altro, impegnata ad accelerare l'adempimento della tabella di marcia per la liberalizzazione dei visti, nonché rilanciare il processo di adesione del paese terzo all’UE. Ulteriori impegni UE nell’ambito del Piano di azione sono, tra l’altro, l’aiuto alla Turchia ai fini del rafforzamento della capacità di contrastare trafficanti di migranti e l’aumento della cooperazione tra Turchia e Stati membri nell’organizzazione delle operazione congiunte di riammissione dei migranti nei paesi di origine.

Da ultimo, si ricorda che l’11 febbraio 2016 la NATO, su richiesta congiunta di Germania, Grecia e Turchia, ha avviato una missione navale nel Mar Egeo, con il compito di condurre la ricognizione, il monitoraggio e la sorveglianza degli attraversamenti illegali nel Mar Egeo. La missione dovrebbe essere guidata dalla Germania e dotata di un contingente di cinque navi (alla missione parteciperebbero con una nave ciascuno, Canada, Turchia, Germania Olanda e Danimarca) con il compito di pattugliare le acque tra Grecia e Turchia e raccogliere informazioni sui movimenti sospetti. L’accordo in ambito NATO prevede altresì il collegamento diretto con Frontex e la cooperazione con le guardie costiere nazionali. In tale contesto la Turchia si sarebbe impegnata a riportare sulle sue coste i migranti intercettati durante i pattugliamenti. Nel mandato principale della missione non rientrerebbe il salvataggio dei migranti.

La valutazione Schengen sulla Grecia

Il Consiglio europeo dovrebbe considerare la raccomandazione del Consiglio del 12 febbraio 2016 sull’applicazione dell’acquis di Schengen per quanto concerne la gestione delle frontiere esterne.

Secondo la bozza di conclusioni, tutti gli Stati membri dello spazio Schengen dovrebbero applicare appieno il codice frontiere Schengen e respingere alle frontiere i cittadini di paesi terzi che non soddisfano le condizioni d'ingresso o che non hanno presentato domanda d'asilo sebbene ne abbiano avuto la possibilità, tenuto conto delle specificità proprie delle frontiere marittime.

Si ricorda che in applicazione del regolamento (UE) n. 1053/2013 del Consiglio, che istituisce un meccanismo di valutazione e di controllo per verificare l’applicazione dell’acquis di Schengen, nel novembre 2015, una squadra composta da esperti degli Stati membri e della Commissione ha valutato (mediante visita di valutazione sul campo e senza preavviso), l'attuazione dell'acquis di Schengen nel settore della gestione delle frontiere esterne da parte della Grecia.

In esito a tale valutazione, la Commissione il 2 febbraio 2016 ha adottato una relazione in cui sono state messe in luce gravi carenze da parte della Grecia nello svolgimento dei controlli alle frontiere esterne.

In seguito, in applicazione dell’articolo 15 del citato regolamento, il Consiglio del 12 febbraio 2016 ha adottato una decisione recante raccomandazioni volte alla correzione delle gravi carenze individuate nel corso della valutazione e a garantire che la Grecia applichi in modo corretto ed efficace tutte le norme Schengen relative alla gestione delle frontiere esterne.

Tra le raccomandazioni più rilevanti si segnalano: il miglioramento delle procedure di registrazione e raccolta delle impronte digitali dei migranti e i loro inserimento nella banca dati Eurodac, l’accelerazione delle procedure di rimpatrio delle persone che non hanno diritto all’asilo o che non hanno fatto richiesta di protezione; l’adozione di misure per migliorare l’attività di sorveglianza delle frontiere marittime anche attraverso il rafforzamento della guardia costiera con l’impiego di un sufficiente numero di imbarcazioni; il rafforzamento della cooperazione con Turchia e Bulgaria circa la sorveglianza dei confini comuni terrestri.

Si segnala che in applicazione dell’articolo 19b del Codice frontiere Schengen, ove la Grecia non dovesse sanare, entro tre mesi, le gravi carenze nel funzionamento dello spazio Schengen sotto il profilo del controlli alle frontiere esterne UE messe in evidenza nella relazione Schengen, la Commissione europea potrebbe attivare la procedura di cui all’articolo 26 del Codice frontiere Schengen, proponendo al Consiglio l’adozione di raccomandazioni agli Stati membri (in particolare quelli esposti alla cosiddetta rotta dei Balcani occidentali) intese alla reintroduzione dei controlli alle frontiere interne per un periodo prorogabile fino a due anni, in modo tale da diminuire il rischio dei cosiddetti movimenti secondari dei migranti non aventi diritto a rimanere sul territorio dell’UE.

Lo stato di attuazione dei punti di crisi

Il Consiglio europeo dovrebbe constatare che con l'assistenza dell'UE, la creazione e il funzionamento dei punti di crisi in Italia e Grecia sono in graduale miglioramento per quanto concerne l'identificazione, la registrazione e il rilevamento delle impronte digitali; il Consiglio europeo dovrebbe porre l’accento sulla necessità di ulteriori progressi nei seguenti settori: rendere pienamente operativi gli hotspot; impedire i movimenti secondari di migranti irregolari e di richiedenti asilo; migliorare sotto il profilo delle condizioni umane le strutture di accoglienza che ospitano i migranti in attesa di accertamento del loro status.

Il Consiglio europeo dovrebbe sottolineare il fatto che i richiedenti asilo non hanno il diritto di scegliere lo Stato membro in cui chiedere protezione internazionale.

Il 10 febbraio 2016 la Commissione europea ha pubblicato la relazione sullo stato di attuazione delle misure da parte di Italia e Grecia ed in particolare delle raccomandazioni emanate nel dicembre 2015. Secondo tale rapporto in Italia sono stati programmati sei hotspot (Lampedusa, Pozzallo, Trapani, Porto Empedocle, Augusta e Taranto), ma allo stato sarebbero pienamente operativi solo i due punti di crisi di Lampedusa e Pozzallo. Notevoli progressi sono inoltre stati fatti per quanto riguarda la raccolta delle impronte digitali dei migranti: secondo la Commissione europea dal 36 per cento nel settembre 2015 il dato è salito all’87 per cento nel gennaio 2016, mentre in occasione degli ultimi sbarchi il fingerprinting negli hotspot si sarebbe avvicinato al 100 per cento. La Commissione stima che, resi pienamente operativi tutti i punti di crisi, questi dovrebbero avere la capacità di rilevare le impronte digitali di circa 2.160 persone al giorno.

Il 10 dicembre 2015 la Commissione ha avviato una procedura di infrazione (con lettera di costituzione in mora) nei confronti dell’Italia, insieme a Grecia e Croazia, invitandola ad attuare correttamente il Regolamento n. 603/2013 Eurodac per l’effettivo rilevamento delle impronte digitali dei richiedenti asilo e la trasmissione dei dati al sistema centrale.

Nel rapporto si sottolinea, tra l’altro, la necessità di aumentare la capacità dei centri di identificazione ed espulsione e di prolungare il periodo di detenzione amministrativa (nell’ambito del limite massimo di 18 mesi consentito dalla direttiva rimpatri) in tali centri in modo da assicurare che le procedure di rimpatrio siano completate con successo ed evitare che i rimpatriandi siano lasciati liberi e facciano perdere le loro tracce.

Secondo la bozza di conclusioni del Consiglio europeo, si impone un'azione urgente per rendere meno critica la situazione umanitaria dei migranti lungo la rotta dei Balcani occidentali mediante il ricorso a tutti gli strumenti dell'UE e nazionali disponibili. A questo scopo il Consiglio europeo dovrebbe ritenere necessario dotare l'UE della capacità di fornire aiuti umanitari in cooperazione con organizzazioni come l'UNHCR, a livello sia interno che esterno, per sostenere i paesi che fanno fronte a un elevato numero di rifugiati e migranti.

La guardia costiera e di frontiera europea

Il Consiglio europeo dovrebbe infine sottolineare la necessità di accelerare i lavori al fine di raggiungere un accordo politico durante il semestre di Presidenza olandese del Consiglio dell’Unione europea per quanto concerne la proposta relativa all’istituzione di una guardia costiera e di frontiera europea.

Con la proposta di regolamento COM(2015)671, adottata dalla Commissione europea il 15 dicembre 2015, si prevede in particolare l’istituzione di una guardia costiera e di frontiera europea e la previsione di un nuovo quadro giuridico rafforzato di Frontex che prenderà il nome di Agenzia europea della guardia costiera e di frontiera. La nuova guardia costiera e di frontiera dovrebbe avere a disposizione una squadra di riserva rapida di almeno 1500 esperti, e un parco di attrezzature tecniche messo a disposizione dagli Stati membri cui l’agenzia dovrebbe poter attingere autonomamente. È previsto che in seno all’Agenzia sia istituito un centro di monitoraggio e analisi dei rischi per controllare i flussi migratori verso l’Unione europea e al suo interno. In particolare tale centro dovrà svolgere valutazioni di vulnerabilità volte ad individuare i punti deboli alle frontiere UE. Inoltre, secondo la proposta, gli Stati membri potranno richiedere operazioni congiunte e interventi rapidi alle frontiere, nonché il dispiegamento di squadre della guardia costiera e di frontiera europea a sostegno di tali operazioni e interventi.

In caso di persistenza delle carenze o di ritardo o inadeguatezza dell'azione nazionale qualora uno Stato membro sia sottoposto a una forte pressione migratoria che rappresenti una minaccia per lo spazio Schengen, la Commissione dovrebbe poter adottare una decisione di esecuzione per stabilire che la situazione in un particolare tratto delle frontiere esterne richiede un intervento urgente a livello europeo. Ciò dovrebbe permettere all'Agenzia di intervenire, dispiegando le squadre della guardia costiera e di frontiera europea, per assicurare l'azione sul campo anche quando uno Stato membro non può o non vuole adottare le misure necessarie.

La proposta prevede infine il rafforzamento del mandato dell’Agenzia per quanto riguarda le attività di rimpatrio.

Profili finanziari

Il Consiglio europeo dovrebbe prospettare il coinvolgimento della BEI (Banca europea degli investimenti) per quanto concerne un possibile contributo economico alla risposta dell’UE alle questioni relative alla migrazione.

 

Semestre europeo

Il Consiglio dovrebbe approvare le raccomandazioni del Consiglio sulla politica economica della zona euro (COM (2015) 692) che si articolano in quattro punti, concernenti rispettivamente il perseguimento di politiche che sostengano il processo di consolidamento e favoriscano la convergenza; l'implementazione di riforme strutturali che riguardino il mercato del lavoro, il contrasto alla disoccupazione, il rafforzamento del capitale umano, la liberalizzazione e la competitività dei mercati; il mantenimento di una fiscal stance (orientamento della politica di bilancio) neutrale nel 2016; la riduzione delle sofferenze bancarie e il miglioramento delle procedure di gestione delle insolvenze e, in generale, la riduzione della leva finanziaria nel settore privato, specie nei Paesi in cui si registrano alti tassi di indebitamento.

Le raccomandazioni si inseriscono nell’ambito dell’avvio del Semestre europeo 2016 e comprendono anche l’Analisi annuale della crescita con riferimento agli obiettivi del rilancio degli investimenti; del completamento dell’Unione bancaria (che allo stato registra una fase di stallo dei negoziati per quanto concerne il terzo pilastro consistente nella creazione di un sistema comune di garanzia dei depositi bancari, per le forti resistenze di alcuni Stati membri tra cui la Germania nei confronti della prospettiva di una mutualizzazione dei fondi di garanzia nazionali); della prosecuzione delle riforme strutturali e della gestione responsabile delle finanze pubbliche volta a ridurre gradualmente il debito; nonché la relazione sul meccanismo di allerta, nella quale, con riferimento all’Italia, viene osservato quanto segue:

·         permangono rischi dovuti all’altissimo debito pubblico e alla debolezza della competitività in un contesto di bassa crescita e andamento debole della produttività;

·         la debolezza economica si è riflessa nel calo della quota degli investimenti sul PIL (passata da oltre il 20% nel periodo 2000-2007 al 17 per cento circa nel periodo 2012-2014);

·         il consistente stock di debiti in sofferenza delle banche;

·         il tasso di disoccupazione (ora in lieve calo) ha raggiunto il valore più alto nel 2014 (12,7 per cento), così come i tassi di disoccupazione di lunga durata (7,8 per cento) e giovanile 42,7 per cento).

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

XVII legislatura – Documentazione per l’Assemblea, n. 11, 17 febbraio 2016

Il bollettino è stato curato dall’Ufficio Rapporti con l’Unione europea (' 06 6760.2145 - * cdrue@camera.it)
con la collaborazione del Servizio Studi del Senato (
' 06 6706.2451- * studi1@senato.it)