Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento ambiente
Titolo: Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) e silenzio assenso - Atto del Governo n. 322 - Schede di lettura
Riferimenti:
SCH.DEC 322/XVII     
Serie: Atti del Governo    Numero: 324
Data: 15/09/2016
Descrittori:
AUTORIZZAZIONI   L 2015 0124
SCIA (SEGNALAZIONE CERTIFICATA INIZIO ATTIVITA')   SILENZIO ASSENSO
Organi della Camera: VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici
X-Attività produttive, commercio e turismo
Altri riferimenti:
L N. 124 DEL 07-AGO-15     

Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) e silenzio assenso –

Atto del Governo n. 322

 

Dossier n. 324

 


 

 

 

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Dossier n. 369

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Atti del Governo 324

 

 

 

 

 

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INDICE

 

Schede di lettura

Introduzione.................................................................................................... 3

La disposizione di delega.................................................................................. 5

Il Decreto legislativo n. 126 del 2016 (cd. SCIA 1)............................................ 9

Il contenuto dello schema di decreto legislativo.............................................. 21

§  Articolo 1 (Oggetto)..................................................................................... 21

§  Articolo 2 (Regimi amministrativi delle attività private)........................... 28

§  Articolo 3  (Semplificazione di regimi amministrativi in materia edilizia) 36

§  Tabella A (Sezione II edilizia – Interventi edilizi, regimi amministrativi e adempimenti successivi agli interventi)...................................................... 57

§  Tabella A (Sezione II edilizia-Fonti rinnovabili)....................................... 61

§  Articolo 4 (Procedura di bonifica da parte del soggetto estraneo alla potenziale contaminazione)......................................................................... 65

§  Tabella A (Sezione III Ambiente)................................................................ 81

§  Articolo 5 (Semplificazione in materia di commercio)............................... 85

§  Tabella A (Sezione I- Attività commerciali e assimilabili)......................... 89

§  Articolo 6 (Semplificazione di regimi amministrativi  in materia di pubblica sicurezza)..................................................................................................... 95

 

 


Schede di lettura

 


 

Introduzione

Lo schema di decreto legislativo in esame (Atto del Governo n. 322) reca disposizioni per l’attuazione della delega contenuta nell’articolo 5, comma 1, della legge 124/2015, recante riforma della pubblica amministrazione (si veda infra).

 

Il legislatore delegato ha scelto di attuare la delega prevista dall’articolo 5 con l’adozione di più decreti legislativi. Il primo atto di attuazione è rappresentato dal d.lgs. n. 126 del 2016 (cd. SCIA 1, sul quale si veda, infra, il paragrafo dedicato), che detta alcune disposizioni generali applicabili ai procedimenti relativi alle attività non assoggettate ad autorizzazione.

 

Lo schema in esame, proseguendo l’attuazione della delega, provvede ora alla precisa individuazione delle attività dei privati assoggettate ai quattro regimi amministrativi definiti nella norma di delega, ossia:

§  segnalazione certificata di inizio attività (SCIA);

§  silenzio assenso;

§  comunicazione preventiva;

§  titolo espresso.

Con una tecnica innovativa, l’individuazione è effettuata mediante una tabella nella quale sono indicate le varie tipologie di attività economiche e, per ciascuna di esse, il regime amministrativo applicabile.

 

Il provvedimento in esame consta di 6 articoli e di una tabella allegata.

L’articolo 1 individua l’oggetto dello schema di decreto, detta alcune disposizioni di carattere generale in materia edilizia (glossario unico) e di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale.

L’articolo 2 reca disposizioni generali necessarie per l’applicazione della tabella A, nella quale sono elencate le attività private soggette ai diversi regimi amministrativi.

L’articolo 3 interviene sulla normativa in materia edilizia attraverso numerose modifiche volte, tra l’altro, a una semplificazione dei titoli abilitativi, mediante l’eliminazione della comunicazione di inizio lavori (CIL), e l’ampliamento delle ipotesi di attività edilizia libera,  a un’esplicitazione degli interventi assoggettati a segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), nonché alla sostituzione del certificato di agibilità con la segnalazione certificata di agibilità.

L’articolo 4 introduce una nuova disciplina in materia di procedure di bonifica da effettuarsi nei siti contaminati da parte del soggetto estraneo alla potenziale contaminazione.

L’articolo 5 contiene semplificazioni in materia di commercio, intervenendo, in particolare, in tema di cessazione di attività degli esercizi di vicinato e delle medie e grandi strutture di vendita, di apertura o trasferimento di sede degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, nonché sul commercio di cose antiche o usate.

L’articolo 6 introduce alcune semplificazioni in materia di pubblica sicurezza, sostituendo la licenza con una comunicazione al Comune, per la costruzione di impianti provvisori elettrici per straordinarie illuminazioni pubbliche, e disponendo - in via generale - che per le attività previste in tabella soggette ad autorizzazione di pubblica sicurezza, la SCIA svolge anche la funzione dell'autorizzazione.

 

La tabella A, nella quale sono elencate le attività private soggette ai diversi regimi amministrativi, è organizzata per attività, a loro volta distinte in tre sezioni: attività commerciali e assimilabili (sezione I); edilizia (sezione II); ambiente (sezione III). Per ogni attività sono indicati il regime amministrativo (ad esempio, autorizzazione, SCIA, ecc…), la concentrazione dei regimi amministrativi (descritta solo nel caso in cui si applichi), nonché sono richiamati i riferimenti normativi che regolano a normativa vigente, o in conseguenza delle modifiche introdotte dallo schema, le predette attività.

 

Si ricorda che la norma di delega prevede la possibilità di emanare eventuali disposizioni integrative e correttive entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo.

 

 


La disposizione di delega

L'articolo 5, comma 1, della legge 7 agosto 2015, n. 124, reca una delega al Governo avente un duplice oggetto:

·       la precisa individuazione dei procedimenti oggetto di segnalazione certificata di inizio attività o di silenzio assenso, nonché quelli per i quali è necessaria l’autorizzazione espressa e di quelli per quali è sufficiente una comunicazione preventiva;

·       l’introduzione di una disciplina generale delle attività non assoggettate ad autorizzazione preventiva espressa.

Per un inquadramento generale della legge di delega si veda il dossier del Servizio studi, Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche. Legge 7 agosto 2015, n. 124, 15 ottobre 2015.

 

Il termine per l’esercizio della delega è di un anno dalla data di entrata in vigore della legge (28 agosto 2016). È peraltro previsto il meccanismo di “slittamento” del termine nel caso di trasmissione tardiva dello schema, ossia qualora il termine del parere parlamentare scada nei 30 giorni che precedono la scadenza della delega.

 

La disposizione di delega richiama, innanzitutto, i principi e i criteri direttivi desumibili dagli articoli 19 e 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241, che disciplinano la segnalazione certificata di inizio attività e il silenzio assenso della amministrazione (su cui si rinvia, infra, alla scheda di lettura relativa all’articolo 2).

 

Gli altri principi e criteri direttivi indicati al comma 1 dell’articolo 5 sono i principi del diritto dell’Unione europea relativi all’accesso alle attività di servizi, nonché i principi di ragionevolezza e proporzionalità.

 

Per quanto concerne i principi di diritto UE relativi all’accesso ai servizi, viene in rilievo la direttiva “servizi” 2006/123/CE, che mira a consentire la creazione e lo sviluppo di un mercato interno dei servizi, garantendo ai prestatori di servizi ed ai destinatari di beneficiare delle libertà fondamentali previste agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) ovvero la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi all’interno dell’Unione.

Al fine di raggiungere tale obiettivo, le disposizioni della direttiva mirano a semplificare le procedure amministrative, a eliminare gli ostacoli relativi alle attività di servizi e ad accrescere sia la fiducia reciproca tra gli Stati membri che la fiducia dei prestatori e dei consumatori nel mercato interno dei servizi.

Si tratta di uno strumento orizzontale che copre una vasta gamma di servizi diversi ed incide su un numero consistente di norme e regolamenti nazionali, obbligando gli Stati membri, in sede di recepimento, ad adottare un insieme di misure legislative e di misure non legislative, ovvero misure organizzative o pratiche, quali gli sportelli unici per i prestatori di servizi, le procedure elettroniche e la cooperazione amministrativa.

Per quanto concerne l’ambito di applicazione, la direttiva si applica a tutti i servizi non esplicitamente esclusi dalla stessa, intendendosi per “servizio” le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, come stabilito all’articolo 57 TFUE.

In Italia, la direttiva è stata recepita con il D.Lgs. 59/2010, che all’articolo 14 stabilisce il principio in base al quale “regimi autorizzatori possono essere istituiti o mantenuti solo se giustificati da motivi imperativi di interesse generale, nel rispetto dei principi di non discriminazione, di proporzionalità”.

 

Nell’oggetto della delega è compresa altresì l’introduzione della disciplina generale delle “attività non assoggettate ad autorizzazione preventiva espressa”.

La formulazione ha un contenuto piuttosto ampio e innovativo, in quanto nelle “attività non assoggettate ad autorizzazione preventiva espressa” sembrano rientrare le attività soggette a SCIA, a silenzio assenso o a mera comunicazione preventiva. L’intento del legislatore è di introdurre nell’ordinamento delle norme generali comuni a diversi regimi di semplificazione previsti dalla L. 241/1990 per i procedimenti a istanza di parte, accomunati dal fatto di consentire un’attività senza necessità di un provvedimento espresso dell’amministrazione.

Tra i contenuti di tale disciplina generale certamente rientrano, per espressa previsione del comma 1 dell’articolo 5, la definizione:

§  delle modalità di presentazione e dei contenuti standard degli atti degli interessati e di svolgimento della procedura, anche telematica;

§  degli strumenti per documentare o attestare gli effetti prodotti dai predetti atti;

§  dell’obbligo di comunicare ai soggetti interessati, all’atto della presentazione di un’istanza, i termini entro i quali l’amministrazione è tenuta a rispondere ovvero entro i quali il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda.

 

Il comma 2 dell’articolo 5 reca la procedura di adozione dei decreti legislativi di cui al comma 1, che prevede le seguenti fasi:

§  proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione;

§  acquisizione dell’intesa in sede di Conferenza unificata (entro 30 giorni dalla prima seduta in cui l'oggetto è posto all'ordine del giorno, decorsi i quali il governo può comunque procedere);

§  parere del Consiglio di Stato (entro 30 giorni dalla data di trasmissione di ciascuno schema di decreto legislativo, decorsi i quali il governo può comunque procedere);

§  pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari e della Commissione parlamentare per la semplificazione entro 60 giorni dalla trasmissione, decorsi i quali il decreto può essere comunque adottato.

 

Viene prevista la consueta formula dello “slittamento” del termine della delega nel caso di trasmissione tardiva dello schema: qualora il termine del parere parlamentare scada nei 30 giorni che precedono la scadenza della delega o successivamente, il termine della delega stessa (6 mesi) è prorogata di 90 giorni.

Nel caso in cui il Governo non intenda uniformarsi al parere parlamentare, deve trasmettere nuovamente lo schema alle Camere corredato con le motivazioni delle proprie decisioni. In tal caso le Commissioni competenti per materia (non la Commissione competente per i profili finanziari e la Commissione per la semplificazione) hanno 10 giorni ulteriori per esprimersi, decorsi i quali il decreti possono essere comunque adottati.

 

Il comma 3 prevede la possibilità di emanare eventuali disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi di cui al comma 1, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno di essi.


Il Decreto legislativo n. 126 del 2016 (cd. SCIA 1)

In attuazione dell’art. 5 della L. 124/2015, il Governo ha adottato un primo decreto legislativo (D.lgs. 30 giugno 2016, n. 216) che ha ad oggetto la seconda parte della delega (si v., supra), ossia la disciplina generale applicabile alle attività private non soggette ad autorizzazione espressa e soggette a segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), ivi inclusa quella relativa alle modalità di presentazione delle segnalazioni o istanze alle pubbliche amministrazioni.

 

Sullo schema di decreto (Atto del Governo n. 291) hanno espresso il proprio parere le competenti Commissioni parlamentari:

-        la I Commissione Affari Costituzionali della Camera, favorevole con osservazioni (25 maggio 2016);

-        la V Commissione Bilancio della Camera, favorevole (28 aprile 2016);

-        la 1ª Commissione Affari Costituzionali del Senato, favorevole con condizioni e osservazioni (18 maggio 2016);

-        la Commissione parlamentare (bicamerale) per la semplificazione, favorevole con osservazioni (17 maggio 2016).

La 5ª Commissione Bilancio del Senato non ha espresso il parere.

Ha, inoltre, espresso il proprio parere il Consiglio di Stato ed è stata raggiunta l’intesa in sede di Conferenza unificata (allegati entrambi al testo dell’A.G. 291 trasmesso alle Camere).

 

L’oggetto del decreto è delimitato dall’articolo 1, comma 1, dello stesso, che, contestualmente (comma 2), ha rinviato il completamento dell’attuazione della delega a successivi decreti legislativi con cui individuare:

§  le attività oggetto di procedimento di mera comunicazione;

§  le attività oggetto di SCIA;

§  le attività oggetto di silenzio assenso;

§  le attività per le quali è necessario il titolo espresso.

 

È stata introdotta inoltre una clausola in base alla quale le attività private non espressamente individuate ai sensi dei medesimi decreti o non specificamente oggetto di disciplina da parte della normativa europea, statale e regionale, sono libere.

Lo scopo di tale precisazione, secondo il legislatore delegato, è quello di “garantire certezza sui regimi applicabili alle attività private e di salvaguardare la libertà di iniziativa economica”.

 

In relazione all’attuazione delle disposizioni del decreto nelle amministrazioni territoriali, l’articolo 4 del decreto medesimo assegna alle regioni e agli enti locali il termine del 1° gennaio 2017 per adeguarsi alle nuove disposizioni in materia di presentazione di istanze, segnalazioni e comunicazioni e di SCIA, previste dagli articoli 18-bis, 19, e 19-bis, della L. 241/1990, come modificati dal decreto n. 126 (sui quali, si v., infra).

 

In relazione all’applicabilità delle disposizioni ai procedimenti di competenza delle regioni e degli enti locali, si ricorda che l’articolo 29, comma 2-ter, della legge 241/1990 ascrive ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione le disposizioni della legge concernenti la dichiarazione di inizio attività (ora SCIA) e il silenzio assenso (nonché la conferenza di servizi), salva la possibilità di individuare, con intese in sede di Conferenza unificata, casi ulteriori in cui tali disposizioni non si applicano. Con le modifiche introdotte dal d.lgs. 126 (art. 3, co. 1, lett. f)) anche le disposizioni concernenti la presentazione di istanze, segnalazioni e comunicazioni 8di cui al nuovo art. 18-bis) sono ricondotte ai LEP (si v. infra).

Nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro competenza, le regioni e gli enti locali, non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate ai privati dalle disposizioni attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di cui ai commi 2-ter, ma possono prevedere livelli ulteriori di tutela (comma 2-quater).

Mentre per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano vige l’obbligo di adeguare la propria legislazione alle disposizioni concernenti la dichiarazione di inizio attività (ora SCIA) e il silenzio assenso (nonché la conferenza di servizi), secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione (comma 2-quinquies).

Disposizioni per garantire l’informazione di cittadini e imprese

L’articolo 2 del D.Lgs. 126/2016 disciplina la predisposizione di moduli unificati e standardizzati che definiscono in maniera esaustiva, per tipologia di procedimento, i contenuti tipici e la relativa organizzazione dei dati, delle istanze, delle segnalazioni e delle comunicazioni oggetto dei decreti di attuazione dell’art. 5, nonché i contenuti della documentazione da allegare (comma 1).

Tali moduli devono inoltre prevedere la possibilità del privato di indicare l'eventuale domicilio digitale per le comunicazioni con l'amministrazione.

 

Analoga prescrizione era già contenuta nell’articolo 24 del D.L. 90/2014 (conv. L. 114/2014), che dispone che le singole amministrazioni statali, ove non abbiano ancora provveduto, adottano moduli unificati e standardizzati su tutto il territorio nazionale per la presentazione di istanze, dichiarazioni e segnalazioni da parte di cittadini e imprese (comma 2). A tal fine, è adottato un decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, previo parere della Conferenza unificata. L’adozione della modulistica comune per la presentazione alle amministrazioni regionali e locali di istanze, dichiarazioni e segnalazioni per il settore dell’edilizia e in riferimento all’avvio delle attività produttive è oggetto di accordo o intesa conclusa in sede di Conferenza unificata (comma 3).

In attuazione di tale disposizione nel settore dell’edilizia, nella G.U. del 19 febbraio 2015 è stato pubblicato l'accordo 18 dicembre 2014 tra il Governo, le regioni e gli enti locali, concernente l'adozione di moduli unificati e standardizzati per la presentazione della comunicazione di inizio lavori (CIL) e della comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) per gli interventi di edilizia libera. Tale accordo fissa un termine di 60 giorni per l’adeguamento da parte di regioni e comuni, vale a dire entro il 16 febbraio 2015.

Nella Conferenza unificata del 16 luglio 2015 è stato siglato l’accordo per l'adozione di moduli unificati e standardizzati per la presentazione della denuncia di inizio attività alternativa al permesso di costruire (c.d. superDIA).

Si segnala che in precedenza era stato pubblicato (nella Gazzetta ufficiale n. 161 del 14 luglio 2014, supplemento ordinario n. 56) l’accordo siglato in data 12 giugno 2014, tra Governo, regioni ed enti locali, concernente l'adozione di moduli unificati e semplificati per la presentazione dell’istanza del permesso di costruire e della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) in edilizia.

 

Rispetto alle disposizioni contenute nel D.L. 90/2014, l’articolo 2 del d.lgs. 126 sembrerebbe, da un lato, ampliare ulteriormente l’utilizzo del modulo unificato e standardizzato, già previsto da singole normative di settore o in fase di sperimentazione; dall’altro, parrebbe specificare gli elementi essenziali della modulistica unificata.

 

Per quanto concerne le modalità relative alla predisposizione dei moduli, la disposizione specifica che i moduli sono adottati dalle amministrazioni statali con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, previo parere della Conferenza unificata. Mentre sono necessari accordi o intese in sede di Conferenza unificata, per adottare una modulistica unificata e standardizzata su tutto il territorio nazionale per la presentazione alle pubbliche amministrazioni regionali e agli enti locali di istanze, dichiarazioni e segnalazioni con riferimento all’edilizia e all’avvio di attività produttive.

 

Il comma 2 introduce per le amministrazioni destinatarie delle istanze, segnalazioni e comunicazioni l’obbligo di pubblicare sul proprio sito istituzionale i moduli e, per ciascuna tipologia di procedimento, l’elenco degli stati, qualità personali e fatti oggetto di dichiarazione sostitutiva, di certificazione o di atto di notorietà, nonché delle attestazioni e asseverazioni dei tecnici abilitati o delle dichiarazioni di conformità dell’Agenzia delle imprese, necessari a corredo della segnalazione, indicando le norme che ne prevedono la produzione.

 

Si consideri che ai sensi del successivo comma 5 costituisce illecito disciplinare sia la richiesta da parte dell’amministrazione di integrazioni documentali non corrispondenti alle informazioni e ai documenti pubblicati, sia la mancata pubblicazione degli stessi (si v., infra).

 

Il regime di pubblicità che la disposizione introduce si affianca ad altri obblighi di trasparenza dei procedimenti amministrativi disciplinati in generale dal cd. Codice della trasparenza delle pubbliche amministrazioni, adottato con il D.Lgs. n. 33/2013.

 

Sugli obblighi di trasparenza relativi ai procedimenti amministrativi, si ricorda che il Codice della trasparenza delle pubbliche amministrazioni, adottato con D.Lgs. 33/2013, prevede che per ciascuna tipologia di procedimento l’amministrazione competente deve pubblicare una serie di informazioni (art. 35, co. 1), tra cui:

a) una breve descrizione del procedimento con indicazione di tutti i riferimenti normativi utili;

b) l’unità organizzativa responsabile dell’istruttoria;

c) il nome del responsabile del procedimento, nonché, ove diverso, l’ufficio competente all’adozione del provvedimento finale;

d) per i procedimenti ad istanza di parte, gli atti e i documenti da allegare all'istanza e la modulistica necessaria, compresi i fac-simile per le autocertificazioni, anche se la produzione a corredo dell'istanza è prevista da norme di legge, regolamenti o atti pubblicati nella Gazzetta Ufficiale, nonché gli uffici ai quali rivolgersi per informazioni, gli orari e le modalità di accesso con indicazione degli indirizzi, dei recapiti telefonici e delle caselle di posta elettronica istituzionale, a cui presentare le istanze;

e) le modalità con le quali gli interessati possono ottenere le informazioni relative ai procedimenti in corso che li riguardino;

f) il termine fissato in sede di disciplina normativa del procedimento per la conclusione con l’adozione di un provvedimento espresso e ogni altro termine procedimentale rilevante;

g) i procedimenti per i quali il provvedimento dell'amministrazione può essere sostituito da una dichiarazione dell’interessato, ovvero il procedimento può concludersi con il silenzio assenso dell'amministrazione;

h) gli strumenti di tutela, amministrativa e giurisdizionale;

i) il link di accesso al servizio on line, ove sia già disponibile in rete, o i tempi previsti per la sua attivazione;

l) le modalità per l'effettuazione dei pagamenti eventualmente necessari;

m) il nome del soggetto a cui è attribuito, in caso di inerzia, il potere sostitutivo, nonché le modalità per attivare tale potere, con indicazione dei recapiti telefonici e delle caselle di posta elettronica istituzionale.

Inoltre, è stabilito il principio generale per cui le amministrazioni non possono richiedere l’uso di moduli e formulari che non siano stati pubblicati; in caso di omessa pubblicazione, i relativi procedimenti possono essere avviati anche in assenza dei suddetti moduli o formulari. L’amministrazione non può respingere l’istanza adducendo il mancato utilizzo dei moduli o formulari o la mancata produzione di tali atti o documenti, e deve invitare l’istante a integrare la documentazione in un termine congruo (art. 35, co. 2).

 

In caso di omessa pubblicazione dei moduli e della relativa documentazione, il decreto ha previsto l’attivazione di poteri sostitutivi tra i diversi livelli amministrativi. Ed, in particolare, il comma 3 dell’articolo 2 stabilisce che:

§  in caso di omessa pubblicazione dei documenti da parte degli enti locali, le regioni assegnano agli enti interessati, anche su segnalazione del cittadino, un termine per provvedere, decorso inutilmente il quale adottano le misure sostitutive. Per le modalità si fa rinvio, senza ulteriori specificazioni, alla disciplina statale e regionale applicabile nella relativa materia;

§  in caso di omessa pubblicazione da parte delle regioni, si provvede in via sostitutiva ai sensi (ossia con le modalità) dell’art. 8 della L. 131/2003, che ha disciplinato il potere sostitutivo da parte del governo in attuazione dell’art. 120 Cost.

Tale disposizione prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, assegna all’ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito l’organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario.

Si ricorda, inoltre, che i presupposti sostanziali per l’esercizio del potere sostitutivo ex. art. 120 Cost. sono: mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.

Infine, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che perché possa ritenersi legittima la previsione del potere di sostituzione dello Stato alle Regioni è necessario che l’esercizio dei poteri sostitutivi sia previsto e disciplinato dalla legge, la quale deve altresì definirne i presupposti sostanziali e procedurali; che la sostituzione riguardi il compimento di atti o attività prive di discrezionalità nell’an; che il potere sostitutivo sia esercitato da un organo di Governo o sulla base di una decisione di questo; che la legge predisponga congrue garanzie procedimentali, in conformità al principio di leale collaborazione (sent. n. 240/2004).

 

A garanzia dei privati e dei principi di semplificazione e trasparenza del procedimento, il successivo comma 4 stabilisce il divieto per l'amministrazione procedente di chiedere informazioni o documenti ulteriori rispetto a quelli indicati nei moduli pubblicati sul sito istituzionale, nonché il divieto di richiedere documenti in possesso di una pubblica amministrazione.

Eventuali richieste integrative di documentazione all'interessato possono essere rivolte solo in caso di mancata corrispondenza del contenuto dell'istanza, della segnalazione o comunicazione e dei relativi allegati a quanto indicato nei moduli pubblicati sul proprio sito.

 

Sul punto, si ricorda che a seguito delle modifiche apportate dall’art. 15, comma 1, della L. 183/2011 (legge di stabilità 2012) all’art. 43 del d.P.R. n. 445 del 2000, le singole amministrazioni non possono richiedere atti o certificati concernenti fatti, stati e qualità personali che risultino attestati in documenti già in loro possesso o che esse stesse siano tenute a certificare, Piuttosto, le pubbliche amministrazioni procedenti possono fare ricorso esclusivamente all’accertamento d’ufficio o alle dichiarazioni sostitutive.

Al fine di rendere effettiva questa disposizione e di semplificare realmente i rapporti con la PA, è previsto che le certificazioni rilasciate dalla Pubblica amministrazione in ordine a stati, qualità personali e fatti siano valide e utilizzabili solo nel rapporto tra privati Al contrario, in base all’art. 40 D.P.R. n. 445/2000, nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle autocertificazioni.

 

Infine, il comma 5 ha introdotto le sanzioni per la mancata pubblicazione delle informazioni e dei documenti indicati, nonché per la richiesta di integrazioni documentali non corrispondenti alle informazioni e ai documenti pubblicati, stabilendo che tali fattispecie “costituiscono illecito disciplinare punibile con la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da tre giorni a sei mesi”.

 

Si ricorda che la responsabilità disciplinare si concretizza in una violazione del codice disciplinare rinvenibile nel contratto collettivo richiamato dal contratto individuale o nella violazione dei precetti fissati dagli artt. 55 e seguenti del D.Lgs. n. 165 del 2001 o dal codice di comportamento. La titolarità ad accertare la responsabilità disciplinare risiede in capo al dirigente di struttura o all’Ufficio per i procedimenti disciplinari.

 

La disposizione fa salve le sanzioni previste dal D.Lgs. n. 33 del 2013 che, in generale, stabilisce che l’inadempimento degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente costituiscono elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale, eventuale causa di responsabilità per danno all’immagine dell'amministrazione e sono valutati ai fini della retribuzione di risultato e del trattamento economico accessorio collegato alle performance dei dirigenti. Il responsabile non risponde dell’inadempimento se prova che tale inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile (art. 46).

Presentazione di istanze, segnalazioni e comunicazioni

Nell’ambito della disciplina generale delle attività private non soggette ad autorizzazione espressa, il decreto legislativo n. 126/2016 ha introdotto alcune disposizioni generali sulle modalità di presentazione delle segnalazioni o istanze alle pubbliche amministrazioni, novellando a tal fine la legge sul procedimento amministrativo (L. 7 agosto 1990, n. 241), in conformità alle indicazioni contenute nella delega.

 

Il nuovo articolo 18-bis, L. 241/1990, introdotto dall’art. 3, comma 1, d.lgs. 126/2016, stabilisce l’obbligo per le amministrazioni di rilasciare una ricevuta dell’avvenuta presentazione dell’istanza, comunicazione o segnalazione, anche in via telematica.

Il rilascio deve essere immediato e la ricevuta deve attestare l’avvenuta presentazione dell’istanza, della segnalazione o della comunicazione, nonché indicare i termini entro i quali l'amministrazione è tenuta, ove previsto, a rispondere, ovvero entro i quali il silenzio dell'amministrazione equivale ad accoglimento dell'istanza.

Oltre a tale contenuto minimo, la disposizione specifica che la ricevuta costituisce comunicazione di avvio del procedimento ai sensi degli art. 7 e 8 della L. 241/1990 solo nel caso in cui contenga le informazioni di cui al richiamato articolo 8. Si precisa in proposito che la data di protocollazione dell'istanza, segnalazione o comunicazione non può essere diversa da quella di effettiva presentazione.

 

Si ricorda, in proposito, che l’art. 7 della legge n. 241 del 1990 prevede, con riguardo alla partecipazione al procedimento amministrativo, l’obbligo dell’amministrazione procedente di comunicare l’avvio del procedimento ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi e anche ai soggetti ai quali possa derivare un pregiudizio al procedimento stesso. Si prevede espressamente che ciò possa non avvenire quando vi siano particolari esigenze di celerità del procedimento. L’art. 8 attiene alle modalità e ai contenuti della comunicazione di avvio del procedimento. Essa deve infatti contenere: l’amministrazione procedente; l’oggetto del procedimento promosso; l’ufficio e la persona responsabile del procedimento; l’ufficio in cui si può prendere visione degli atti; la data entro la quale deve concludersi il procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia dell’amministrazione; nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione della relativa istanza. Inoltre, l’art. 41, co. 2, d.lg. 7 marzo 2005, n. 82 («codice dell’amministrazione digitale») prevede che la comunicazione di avvio dei procedimenti con fascicolo informatico contenga le informazioni relative alle modalità per partecipare in via telematica.

Nonostante il contrario avviso in giurisprudenza, dal tenore letterale delle disposizioni citate e secondo l’opinione prevalente in dottrina, la comunicazione di avvio del procedimento è necessaria anche per i procedimenti iniziati su istanza di parte, dove l’utilità per l’istante è di avere informazioni che non può conoscere quali l’indicazione dell’ufficio e della persona responsabile del procedimento, nonché dell’ufficio in cui è possibile prendere visione degli atti[1].

 

Il nuovo articolo 18-bis dispone inoltre che:

§  la ricevuta non è condizione di efficacia delle istanze, segnalazioni o comunicazioni. Pertanto, ove la ricevuta non venga rilasciata e ferme restando le responsabilità del soggetto competente, queste producono comunque i loro effetti;

§  ove l’istanza, la segnalazione o la comunicazione siano presentate ad un ufficio diverso da quello competente, i termini per l’adozione dei provvedimenti inibitori nel caso di SCIA (art. 19, comma 3, L. 241/1990) e per la formazione del silenzio – assenso (nei casi previsti dall’art. 20, comma 1, L. 241/1990) decorrono dal ricevimento dell'istanza, segnalazione o della comunicazione da parte dell'ufficio competente.

 

Per quanto riguarda l’ambito di applicazione delle disposizioni introdotte, una modifica all’art. 29, comma 3-ter, della L. 241/1990, introdotta nello stesso decreto (art. 3, co. 1, lett. f)) qualifica le disposizioni della legge concernenti la presentazione di istanze, segnalazioni e comunicazioni come afferenti ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma , lett. m) della Costituzione.


 

La concentrazione dei regimi amministrativi

Tra i principali contenuti innovativi del decreto n. 126/2016 (art. 3, comma 2, lett. c)) figura la disciplina della cd. SCIA unica, mediante introduzione di un nuovo articolo 19-bis nella legge sul procedimento amministrativo (L. 241 del 1990).

Tale disposizione regolamenta per la prima volta l’ipotesi in cui per lo svolgimento di un’attività soggetta a segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) siano necessarie altre SCIA, comunicazioni, attestazioni, asseverazioni e notifiche, ovvero altri atti di assenso comunque denominati, pareri e verifiche preventive.

Si tratta, come evidenziato nella rubrica del nuovo articolo 19-bis, di una concentrazione di più regimi amministrativi che servirebbe a semplificare le ipotesi in cui la SCIA abbia come presupposto il possesso di requisiti che sono oggetto anche di altre segnalazioni o comunicazioni, attestazioni, asseverazioni e notifiche, ovvero di altri atti di assenso. Nella prassi, infatti, l’elevata numerosità di adempimenti e atti presupposti che i cittadini e le imprese devono procurarsi autonomamente presso amministrazioni diverse rischia di rendere la stessa SCIA più complicata del procedimento ordinario.

 

Innanzitutto, il comma 1 del nuovo articolo 19-bis prevede che la SCIA è presentata allo sportello unico che ciascuna amministrazione deve indicare sul proprio sito istituzionale e che, di regola, deve essere telematico. Tale modalità di presentazione vale anche in caso di procedimenti connessi di competenza di altre amministrazioni ovvero di diverse articolazioni interne dell’amministrazione ricevente. Sono ammesse più sedi dello sportello solo in quanto funzionali a garantire più punti di accesso sul territorio.

 

Il nuovo articolo 19-bis poi disciplina due diverse ipotesi.

Una prima fattispecie procedimentale, riguarda le attività soggette a segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) per le quali siano necessarie altre SCIA, comunicazioni, attestazioni, asseverazioni e notifiche (art. 19-bis, comma 2).

Si tratta pertanto di attività “liberalizzate”, ossia attività per le quali all’amministrazione spetta solo verificare la sussistenza di requisiti o presupposti fissati dalle norme. Risultano escluse da tale disciplina le ipotesi in cui per lo svolgimento di un’attività soggetta a SCIA siano necessarie anche autorizzazioni, comunque denominate, espresse o perfezionate con il silenzio assenso.

La disposizione prevede che in tali casi l’interessato presenta una unica SCIA allo sportello unico indicato sul sito. L’amministrazione che riceve la SCIA la trasmette alle altre amministrazioni interessate, al fine di consentire le verifiche sulla sussistenza dei presupposti e requisiti di loro competenza. Il comma 2 specifica che la trasmissione deve essere fatta immediatamente.

 

Per amministrazioni interessate parrebbero doversi intendere le amministrazioni destinatarie delle eventuali segnalazioni presupposte dell’attività principale, ovvero quelle destinatarie delle comunicazioni, notifiche, attestazioni.

 

Le amministrazioni interessate che ricevono la SCIA, fino a cinque giorni prima della scadenza del termine di 60 giorni previsto dall’art. 19, L. 241/1990 (30 giorni per la SCIA edilizia), possono presentare eventuali proposte motivate (all’amministrazione che ha ricevuto la SCIA) per l’adozione di provvedimenti inibitori, repressivi o sospensivi previsti dal medesimo articolo 19 in caso di accertamento della carenza dei requisiti e dei presupposti.

 

Ai sensi dell’art. 19, L. 241/1990, i provvedimenti che l’amministrazione può adottare in seguito a SCIA sono, a seconda delle ipotesi: divieto di prosecuzione dell’attività e rimozione degli effetti dannosi, ovvero invito a conformare l’attività.

 

Nei casi ricompresi in questa prima fattispecie, l’efficacia della SCIA unica è immediata, in quanto l’attività può essere iniziata dalla data di presentazione della segnalazione, come chiarito dall’art. 19, co. 2, L. 241/1990, a tale fine opportunamente modificato dal decreto in commento (art. 3, comma 1, lett. b), n. 1. D.lgs. 126/2016).

 

Una seconda e differente ipotesi riguarda le attività soggette a segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) per le quali sia necessaria l’acquisizione di atti di assenso, comunque denominati, o pareri di altri uffici e amministrazioni, ovvero l’esecuzione di verifiche preventive (art. 19-bis, comma 3).

 

A differenza dei casi che rientrano nella fattispecie di cui al comma 2, questa seconda ipotesi si riferisce ad attività non pienamente liberalizzate, in quanto il presupposto per la presentazione della SCIA è un atto di autorizzazione o una valutazione discrezionale da parte dell’amministrazione. Pertanto, in tali casi un procedimento autorizzatorio si innesta sulla SCIA come fase prodromica.

Non si è, pertanto, di fronte ad una vera e propria SCIA, bensì ad un meccanismo procedimentale completamente diverso, per il quale è comunque prevista una concentrazione di regimi.

Infatti, ai sensi del citato comma 3, l’interessato presenta una istanza unica allo sportello unico a seguito del quale viene rilasciata la ricevuta. A decorrere dalla data della presentazione di tale istanza-segnalazione allo sportello unico si procede alla convocazione della conferenza di servizi di cui all’art. 14 della L. 241/1990.

 

Si ricorda che la conferenza di servizi è uno strumento di semplificazione attivabile dalle pubbliche amministrazioni quando siano coinvolti vari interessi pubblici in un procedimento amministrativo o in più procedimenti connessi riguardanti i medesimi risultati e attività amministrativa, suscettibile di produrre un'accelerazione dei tempi procedurali.

La disciplina dell’istituto è fissata dalla legge sul procedimento amministrativo (L. 241/1990) ed è stata recentemente riordinata in attuazione dell’ampia delega contenuta nell’articolo 2 della legge di riforma delle pubbliche amministrazioni (L. 124/2015). In particolare, il d.lgs. n. 127 del 30 giugno 2016 sostituisce gli articoli 14, 14-bis, 14-ter, 14-quater e 14-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241 e contiene anche disposizioni di coordinamento con le discipline settoriali della conferenza di servizi.

 

La differenza principale rispetto alle ipotesi di cui al comma 2 consiste nel fatto che nei casi di SCIA in cui siano presupposte autorizzazioni o altri titoli espressi non vi è la possibilità di iniziare subito l’attività. Piuttosto, l’inizio dell’attività resta subordinato al rilascio di tali atti, di cui lo sportello unico deve dare comunicazione all’interessato.

Le altre modifiche alla legge n. 241 del 1990

L’articolo 3 del d.lgs. 126/2016 introduce ulteriori novità, apportando alcune modifiche agli articoli 19, 20 e 21 della L. 241/1990.

 

In primo luogo, sono introdotti alcuni correttivi all’articolo 19, comma 3, relativamente alla disciplina della SCIA ed, in particolare, sulla possibilità per l’amministrazione di disporre la sospensione dell’attività intrapresa a seguito di SCIA in carenza di requisiti (art. 3, co. 1, lett. b), n. 2).

 

L’art. 19, co. 3, della L. 241/1990 stabilisce che, a seguito di SCIA, l’amministrazione, entro 60 giorni dalla segnalazione (30 per la SCIA edilizia), ove accerti la carenza di requisiti o presupposti per l’esercizio dell’attività, ne inibisce la prosecuzione e ne rimuove gli eventuali effetti dannosi. Qualora vi sia la possibilità di regolarizzazione, l’amministrazione competente invita il privato a conformare l’attività intrapresa alla normativa vigente, mediante un atto motivato, con il quale sono prescritte le misure necessarie e si dispone la sospensione dell’attività intrapresa. Il termine per provvedere alla regolarizzazione dell’attività non può essere inferiore a 30 giorni. Decorso il termine senza che le misure siano state adottate, l’attività s’intende vietata. Inoltre, decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di inibitoria, l’amministrazione può comunque vietare la prosecuzione dell’attività, rimuovendone gli effetti, ovvero chiedere al privato di conformarsi alla normativa vigente. La possibilità di agire in tal senso è tuttavia condizionata dalla ricorrenza dei presupposti per l’annullamento d’ufficio ai sensi dell’art. 21-nonies della legge.

 

La previgente disciplina prevedeva l’effetto automatico della sospensione dell’attività intrapresa in caso di invito a conformarsi alle indicazioni dell’amministrazione. Viceversa, con le correzioni apportate dal decreto l’effetto sospensivo è disposto con atto motivato (lo stesso che indica le misure necessarie per conformare l’attività intrapresa) solo in due ipotesi:

§  presenza di attestazioni non veritiere;

§  pericolo per la tutela dell’interesse pubblico in materia di ambiente, paesaggio, beni culturali, salute, sicurezza pubblica o difesa nazionale. In merito si ricorda che l’art. 19, co. 1, L. 241/1990 esclude l’utilizzo della SCIA nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali ovvero per gli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili (tra cui difesa nazionale e sicurezza pubblica).

 

In questi casi, l’atto motivato interrompe il termine per l’adozione dei provvedimenti inibitori, che ricomincia a decorrere dalla data in cui il privato comunica l’adozione delle misure indicate.

In assenza di ulteriori provvedimenti, decorso lo stesso termine, cessano gli effetti della sospensione eventualmente adottata.

 

Una seconda modifica interviene sulla disciplina del silenzio assenso di cui all’art. 20 della L. 241/1990 al fine di stabilire la decorrenza dei termini previsti dalla legge per l’adozione del provvedimento di diniego ovvero la formazione del silenzio assenso dalla data di ricevimento della domanda del privato (art. 3, co. 1, lett. d)).

 

Una terza disposizione del decreto (art. 3, co. 1, lett. e)) introduce un nuovo comma 2-ter all’art. 21 della L. 241/1990, relativo alle sanzioni. In particolare stabilisce che la decorrenza del termine per l’adozione dei provvedimenti inibitori, repressivi e conformativi in caso di SCIA (art. 19, co. 3), come pure del termine per la formazione del silenzio assenso (art. 20) non vale ad escludere la responsabilità del dipendente che non abbia agito tempestivamente nel caso in cui la segnalazione certificata o l’istanza del privato non fosse conforme alle norme vigenti.

 


Il contenuto dello schema di decreto legislativo

Articolo 1
(Oggetto)

 

L’articolo 1, al comma 1, individua l’oggetto dello schema di decreto, mentre ai commi 2 e 3 detta alcune disposizioni di carattere generale in materia edilizia (glossario unico) e di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale.

 

Ai sensi del comma 1, lo schema di decreto in esame provvede alla “precisa individuazione” delle attività private oggetto di procedimento di mera comunicazione o segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA) o di silenzio assenso o per le quali è necessario il titolo espresso, introducendo anche le conseguenti disposizioni di coordinamento normativo.

Nel fare ciò il legislatore delegato prosegue l’attuazione della delega contenuta nell’articolo 5 della L. 124/2015, già parzialmente attuata con il D.lgs. n. 126/2016 che ha stabilito la disciplina generale applicabile alle attività private non soggette ad autorizzazione espressa e soggette a SCIA, nonché quella relativa alle modalità di presentazione delle segnalazioni o istanze alle pubbliche amministrazioni (si rinvia, in proposito, supra, al § relativo alla cd. SCIA 1).

 

In proposito, si ricorda che nel primo decreto attuativo dell’art. 5 si è fatto esplicito rinvio a successivi decreti per la individuazione delle attività soggette ai diversi regimi amministrativi individuati dalla disposizione di delega: SCIA, silenzio assenso, comunicazione preventiva e autorizzazione espressa (si v. art. 1, co. 2, D.Lgs. n. 126/2016).

 

In relazione al contenuto dello schema si sottolinea che l’individuazione dei procedimenti è limitata ai settori del commercio, dell’edilizia e dell’ambiente (tabella A). Viene solo in parte trattata la materia della pubblica sicurezza (art. 6), che tuttavia non è oggetto dell’individuazione dei procedimenti. Mentre la disposizione di delega riguarda tout court tutte le attività dei privati soggetti a regime amministrativo.

 

Il carattere non esaustivo della individuazione delle attività con i relativi regimi procedimentali potrebbe far sorgere dubbi interpretativi alla luce della norma di chiusura prevista dall’art. 1, comma 2, del D.lgs. n. 126/2016, ai sensi della quale le attività private non espressamente individuate nei decreti di ricognizione o specificamente oggetto di disciplina da parte della normativa europea, statale e regionale, sono libere.

In merito, il Consiglio di Stato, nel parere reso sullo schema in esame, ha fornito una interpretazione, in base alla quale la disposizione di chiusura sulle attività libere deve intendersi applicabile ai settori oggetto del decreto e non invece ai settori rimasti al di fuori dell’opera di riordino.

Pertanto, per i settori esclusi dalla individuazione risulterebbero ancora pienamente vigenti le normative (europee, statali o regionali) esistenti. Mentre, nei tre settori oggetto del decreto, le attività non comprese nella tabella A, fatti salvi gli eventuali interventi correttivi, dovrebbero considerarsi effettivamente “libere” ai sensi del richiamato art. 1, co. 2, del D.Lgs. n. 126/2016.

 

Il comma 2 dell’articolo 1, con riferimento alla materia edilizia, prevede, al fine esplicitato nella norma di garantire omogeneità di regime giuridico in tutto il territorio nazionale, l’adozione, mediante un apposito decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di un glossario unico.

Relativamente alle modalità di emanazione del citato decreto, lo stesso comma dispone che essa avvenga, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto in esame, di concerto con il Ministro delegato della semplificazione e della pubblica amministrazione e previa intesa con la Conferenza unificata.

Fino all’adozione del glossario unico, le pubbliche amministrazioni pubblicano sul proprio sito un glossario che consenta l’immediata individuazione della caratteristica tipologica dell’intervento e del conseguente regime giuridico, indicando altresì il corredo documentale necessario.

 

Il Consiglio di Stato osserva, nel suo parere, che «la soluzione di adottare in via transitoria un glossario per ciascuna pubblica amministrazione non è priva di rischi, poiché potrebbe generare confusione anziché chiarezza e, soprattutto, ostacolare l’adozione del glossario unico. Per tale ragione, reputa preferibile sopprimere il secondo periodo dell’art. 1, comma  2, dello schema e prevedere un termine breve e stringente per l’adozione del glossario unico. In estremo subordine, appare necessario, quantomeno, che sia fissato un termine ravvicinato entro il quale procedere all’adozione del glossario unico, con integrale superamento di tutti gli eventuali “glossari transitori”. Tale misura, unitamente alla fissazione di criteri direttivi, sembra costituire un sufficiente contrappeso alla discrezionalità – nel quid e nel quando – della procedura».

 

La norma chiarisce che il “glossario provvisorio” deve essere pubblicato ad integrazione delle informazioni previste dall’art. 2 del D.Lgs. 30 giugno 2016, n. 126 (c.d. SCIA 1).

Si segnala che la norma fa riferimento al “decreto legislativo adottato in attuazione dell’articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124” non richiamando gli estremi del decreto legislativo n. 126 del 2016, che sarebbe pertanto opportuno indicare.

 

L’art. 2, comma 1, del D.Lgs. 126/2016, prevede che le amministrazioni statali, con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, sentita la Conferenza unificata, adottano moduli unificati e standardizzati che definiscono esaustivamente, per tipologia di procedimento, i contenuti tipici e la relativa organizzazione dei dati delle istanze, delle segnalazioni e delle comunicazioni, nonché della documentazione da allegare. Per la presentazione di istanze, segnalazioni o comunicazioni alle amministrazioni regionali o locali, con riferimento all'edilizia, i suddetti moduli sono adottati, in attuazione del principio di leale collaborazione, in sede di Conferenza unificata, con appositi accordi.

Il successivo comma dispone la pubblicazione sul proprio sito istituzionale, da parte delle pubbliche amministrazioni destinatarie delle istanze, segnalazioni e comunicazioni, dei succitati moduli unificati. In relazione alla tipologia del procedimento, nei casi in cui la documentazione debba essere individuata dall'amministrazione procedente ovvero fino all'adozione dei moduli unificati, le medesime pubbliche amministrazioni pubblicano sul proprio sito istituzionale l'elenco degli stati, qualità personali e fatti oggetto di dichiarazione sostitutiva, di certificazione o di atto di notorietà, nonché delle attestazioni e asseverazioni dei tecnici abilitati o delle dichiarazioni di conformità dell'agenzia delle imprese, necessari a corredo della segnalazione, indicando le norme che ne prevedono la produzione.

Merita segnalare, in proposito, le norme adottate prima dell’entrata in vigore delle predette disposizioni.

L'art. 24, comma 3, del D.L. 90/2014, ha infatti previsto la conclusione, tra Governo, regioni ed enti locali, in sede di Conferenza unificata, di accordi per l'adozione di una modulistica unificata e standardizzata su tutto il territorio nazionale per la presentazione alle pubbliche amministrazioni regionali e agli enti locali di istanze, dichiarazioni e segnalazioni con riferimento all'edilizia e all'avvio di attività produttive.

In attuazione di tale disposizione, nella G.U. del 19 febbraio 2015 è stato pubblicato l'accordo 18 dicembre 2014 tra il Governo, le regioni e gli enti locali, concernente l'adozione di moduli unificati e standardizzati per la presentazione della comunicazione di inizio lavori (CIL) e della comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) per gli interventi di edilizia libera. Tale accordo fissa un termine di 60 giorni per l'adeguamento da parte di regioni e comuni, vale a dire entro il 16 febbraio 2015 (l'ultimo periodo del comma 3 dell'art. 24 del D.L. 90/2014 dispone che le pubbliche amministrazioni regionali e locali utilizzano i moduli unificati e standardizzati nei termini fissati con i suddetti accordi o intese; i cittadini e le imprese li possono comunque utilizzare decorsi trenta giorni dai medesimi termini).

Nella Conferenza unificata del 16 luglio 2015 è stato siglato l'accordo per l'adozione di moduli unificati e standardizzati per la presentazione della denuncia di inizio attività alternativa al permesso di costruire (c.d. superDIA).

Si segnala che in precedenza era stato pubblicato (nella Gazzetta ufficiale n. 161 del 14 luglio 2014, supplemento ordinario n. 56) l'accordo siglato in data 12 giugno 2014, tra Governo, regioni ed enti locali, concernente l'adozione di moduli unificati e semplificati per la presentazione dell'istanza del permesso di costruire e della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) in edilizia.

 

La norma specifica che il glossario (non precisando se si tratta di quello provvisorio o di quello definitivo) individua il titolo giuridico necessario per ciascun tipo di intervento, anche in relazione a parametri oggettivi di rilevanza.

Il comma 2 prevede, infine, che le amministrazioni procedenti forniscono gratuitamente la necessaria attività di consulenza preistruttoria all’interessato, fatto salvo il pagamento dei soli diritti di segreteria previsti dalla legge.

 

L’articolo 1, comma 3 consente al comune, d'intesa con la regione, sentito il soprintendente, di individuare, con apposite deliberazioni, zone o aree aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico in cui è vietato o subordinato ad autorizzazione l'esercizio di una o più attività di cui allo schema di decreto in esame.

Le attività sono individuate con riferimento al tipo o alla categoria merceologica.

Non si tratta dunque solo di attività commerciali, ma di tutte le attività (intese come tipo o categoria merceologica) di cui allo schema in esame: commercio, edilizia, ambiente.

Il comma 3 comunque richiama le finalità indicate dall'articolo 52 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D. Lgs. n. 42/2004), norma questa che contiene disposizioni - limitatamente all’esercizio del commercio – di tutela di aree di valore culturale e dei locali storici tradizionali.

Per l’esercizio del commercio, l’articolo 52, comma 1, del citato Codice già prevede che i comuni, sentito il soprintendente, individuino – con deliberazioni previste dalla disciplina di riforma del settore - le aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico nelle quali vietare o sottoporre a condizioni particolari l'esercizio dell’attività.

L’articolo dispone inoltre, al comma 1-ter,– con la finalità di assicurare il decoro dei complessi monumentali e degli altri immobili del demanio culturale interessati da flussi turistici particolarmente rilevanti, nonché delle aree limitrofe - che i competenti uffici territoriali del Ministero, d'intesa con la regione e i Comuni, adottino determinazioni per vietare gli usi da ritenere incompatibili con le esigenze di tutela e di valorizzazione, (comprese le forme di uso pubblico non soggette a concessione di uso individuale, come le attività ambulanti senza posteggio), nonché, se necessario, determinazioni  per vietare l'uso individuale delle aree pubbliche di pregio a seguito del rilascio di concessioni di posteggio o di occupazione di suolo pubblico[2].

 

Con riferimento al commercio, sarebbe opportuno chiarire il rapporto tra le due previsioni normative: quella introdotta dall’articolo 1, comma 3 in esame e quella già contenuta nell’articolo 52 del D.Lgs. n. 42/2004, posto che il comma 3 non si qualifica come intervento novellatore del predetto articolo 52.

 

La relazione illustrativa afferma che il comma 3 qui in esame si rende necessario per evitare che la valenza generale del censimento riportato in tabella prevalga sulla tutela degli interessi prioritari costituzionalmente garantiti e tiene conto della giurisprudenza costituzionale in materia di non apponibilità di limiti alla concorrenza ovvero di discriminazioni in materia di regime giuridico applicabile se non per la salvaguardia di interessi prioritari, quali il patrimonio culturale.

Il Consiglio di Stato, nel parere reso il 4 agosto scorso sullo schema qui in esame, osserva che l’esigenza suesposta “è senz’altro corretta, ma lo strumento tecnico attraverso il quale realizzarla non può essere il rinvio a deliberazioni degli enti locali aventi l’effetto automatico di neutralizzare l’applicazione di una disciplina legislativa”. Anche poi ritenendo che la deroga sia disposta dallo stesso comma 3, la semplificazione operata dal decreto qui in commento – per come formulato il comma 3 – “sarebbe derogabile senza limiti per decisione dell’attività amministrativa”. Nella sostanza, sarebbe opportuno preservare la ratio rappresentata dal provvedimento in esame, stante nell’affermazione del “principio generale secondo cui i regimi amministrativi delle attività economiche private sono solo quelli espressamente previsti”.

 

 

Esercizio dell’attività commerciale e vincoli di tutela paesaggistica, artistica e storico archeologica: gli interventi della Corte Costituzionale e il quadro normativo vigente

La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 140/2015, con riferimento alla normativa di tutela contenuta nel già commentato articolo 52 del Codice del paesaggio[3], ha affermato che si tratta di disposizioni che incidono direttamente sulla regolamentazione di attività riconducibili alle materie del "commercio" ed "artigianato", appartenenti alla competenza residuale delle Regioni (sentenze n. 49 del 2014, n. 251 del 2013 e n. 203 del 2012). Rispetto ad esse, la Corte ha sottolineato (con specifico riguardo al commercio in forma itinerante) come vada ricompresa anche la possibilità per il legislatore regionale di disciplinarne nel concreto lo svolgimento, nonché quella di vietarne l'esercizio in ragione della particolare situazione di talune aree metropolitane, di modo che l'esercizio del commercio stesso avvenga entro i limiti invalicabili della tutela dei beni ambientali e culturali, allo scopo di garantire, indirettamente, attraverso norme che ne salvaguardino la ordinata fruizione, la valorizzazione dei maggiori centri storici delle città d'arte a forte vocazione turistica (sentenza n. 247 del 2010). In tale contesto, l'impossibilità di comporre il concorso di competenze statali e regionali mediante l'applicazione del principio di prevalenza, giustifica l'applicazione del principio di leale collaborazione, che deve, in ogni caso, permeare di sé i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie (ex plurimis, sentenze n. 44 del 2014, n. 273 del 2013 e n. 50 del 2008).

Si consideri, inoltre, che il D.Lgs. n. 112/1998 (articolo 6), per l’esercizio dell'attività di vendita al dettaglio sulle aree private in sede fissa, indica quale obiettivo nella definizione da parte delle regioni degli indirizzi generali per l'insediamento delle attività commerciali e quale criterio della programmazione urbanistica riferita all’attività in questione, rispettivamente quello di:

- salvaguardia e riqualificazione i centri storici anche attraverso il mantenimento delle caratteristiche morfologiche degli insediamenti e il rispetto dei vincoli relativi alla tutela del patrimonio artistico ed ambientale dell'attività di vendita al dettaglio

- tutela dei beni artistici, culturali e ambientali, nonché dell'arredo urbano.

In particolare, le regioni vengono chiamate a tener conto dei centri storici, al fine di salvaguardare e qualificare la presenza delle attività commerciali e artigianali in grado di svolgere un servizio di vicinato, di tutelare gli esercizi aventi valore storico e artistico ed evitare il processo di espulsione delle attività commerciali e artigianali.

 

Anche per il commercio al dettaglio su aree pubbliche resta ferma la finalità di tutela e salvaguardia delle zone di pregio artistico, storico, architettonico e ambientale (articolo 28, comma 13 del D.Lgs. n. 114/1998 come modificato dall’articolo 70 del D.Lgs. n. 59/2010 di recepimento della Direttiva Servizi) e con delibera comunale vengono individuate le aree aventi tale pregio nelle quali l'esercizio del commercio è vietato o sottoposto a condizioni particolari.

 

Il D.Lgs. n. 59/2010, di recepimento della Direttiva Servizi (cd. Direttiva Bolkenstein), inoltre, per l’esercizio dell’attività commerciale di somministrazione di alimenti e bevande, comprese quelle alcoliche, dispone attualmente, all’articolo 64, che i comuni – al fine di assicurare un corretto sviluppo del settore e limitatamente alle zone del territorio da sottoporre a tutela - adottano provvedimenti di programmazione delle aperture degli esercizi in questione. La programmazione può prevedere, sulla base di parametri oggettivi e indici di qualità del servizio, divieti o limitazioni all'apertura di nuove strutture limitatamente ai casi in cui ragioni non altrimenti risolvibili di sostenibilità ambientale, sociale e di viabilità rendano impossibile consentire ulteriori flussi di pubblico nella zona senza incidere in modo gravemente negativo sui meccanismi di controllo in particolare per il consumo di alcolici, e senza ledere il diritto dei residenti alla vivibilità del territorio e alla normale mobilità.

Secondo l’articolo 64 vigente, l'apertura o il trasferimento di sede degli esercizi in questione sono soggetti ad autorizzazione rilasciata dal comune competente per territorio solo nelle zone soggette a tutela, mentre negli altri casi opera la SCIA.

Lo schema di decreto legislativo in esame (vedi successivo articolo 5) mutando il quadro vigente, estende la SCIA anche all'apertura o al trasferimento di sede degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande al pubblico nelle zone soggette a tutela (vedi scheda di lettura all’articolo 5).

 

 


Articolo 2
(Regimi amministrativi delle attività private)

 

 

L’articolo 2 dello schema di decreto stabilisce alcune disposizioni generali necessarie per l’applicazione della tabella A, nella quale sono elencate le attività private soggette ai diversi regimi amministrativi.

Per meglio comprendere le previsioni della tabella, si ricorda che la stessa è organizzata per attività, a loro volta distinte in tre sezioni:

§  Attività commerciali e assimilabili (sezione I): comprende le attività di commercio, l’esercizio di somministrazione di alimenti e bevande, strutture ricettive e stabilimenti balneari, attività di spettacolo e intrattenimento, sale giochi, autorimesse, distributori di carburante, officine di autoriparazione, acconciatori ed estetisti, panifici, tintolavanderie, arti tipografiche, fotografiche e di stampa,, per un totale di 82 attività;

§  Edilizia (sezione II): include gli interventi edilizi e i relativi regimi amministrativi, altri adempimenti successivi all’intervento edilizio e gli interventi relativi a impianti alimentati da fonti rinnovabili, per un totale di 105 attività;

§  Ambiente (sezione III): comprende le autorizzazioni integrate ambientali, le valutazioni di impatto ambientale, le autorizzazioni uniche ambientali, nonché le attività relative alle emissioni in atmosfera, alla gestione di rifiuti, all’inquinamento acustico, agli scarichi idrici, alle dighe, alle bonifiche e altri procedimenti in materia di tutela dei corpi idrici, per un totale di 37 attività.

 

La tabella si compone di quattro colonne in cui sono indicati, rispettivamente:

§  l’attività attraverso specificazioni progressive;

§  il regime amministrativo;

§  la concentrazione dei regimi amministrativi (descritta solo nel caso in cui si applichi);

§  i riferimenti normativi:
la tabella nella gran parte delle voci riproduce esclusivamente la normativa primaria, e non quella secondaria o gli atti amministrativi attuativi di quella primaria. Si noti, però, che in alcuni casi, vi è un richiamo ad atti normativi secondari (si v., ad esempio, la sezione I, punto 14, nn. 72, 73, 74, 76, 78). Inoltre, per alcune attività sono indicate disposizioni normative abrogate. Sarebbe opportuno al riguardo sostituire i riferimenti normativi abrogati.

 

La scelta tecnica del legislatore delegato di individuare i procedimenti di regolazione delle attività economiche private attraverso la tabella, nonché il rapporto tabella/testo, in cui le norme si adattano al contenuto della tabella e ne garantiscono l’inserimento nel sistema è stata accolta favorevolmente dal Consiglio di Stato nel parere reso sullo schema di decreto. Tale tecnica innovativa, definita di “codificazione soft” è apparsa in grado di rispondere alle esigenze di semplificazione e di liberalizzazione, garantendo al contempo la certezza del diritto. Si rileva, invece, criticamente, l’assenza di una effettiva analisi di impatto della regolazione, con adeguato supporto di dati quantitativi.

 

In generale, i regimi amministrativi concretamente individuati in corrispondenza delle attività della tabella sono i seguenti:

§  SCIA;

§  SCIA unica;

§  Autorizzazione;

§  Autorizzazione – silenzio assenso;

§  Comunicazione;

§  Comunicazione asseverata;

§  Comunicazione inizio lavori asseverata (CILA).

 

Per alcune attività la colonna del regime amministrativo riporta la dicitura “attività libera”. Si tratta delle attività nel settore edilizio che lo schema in esame provvede ad ampliare (si v., infra, art. 3).

 

Per quanto riguarda i regimi amministrativi è opportuno richiamare le caratteristiche principali della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) e del silenzio assenso, quali istituti di carattere generale, disciplinati dagli articoli 19 e 20 della L. n. 241/1990. Per quanto riguarda la comunicazione asseverata e la CILA, si rinvia, infra, alle schede relative all’articolo 3.

 

Segnalazione certifica di inizio attività (SCIA)

L’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 è stato oggetto nel corso degli anni di frequenti modifiche e riscritture: l’impianto attuale si deve all’articolo 49, comma 4-bis del decreto-legge n. 78/2010 che, sostituendo integralmente l’articolo, ha previsto la trasformazione della dichiarazione di inizio attività (DIA) in segnalazione certificata di inizio attività (SCIA). La nuova disciplina è stata oggetto – nel successivo quinquennio – di ulteriori modifiche ad opera di 10 atti normativi, gli ultimi dei quali sono stati la legge n. 124 del 2015, che ha modificato i commi 3 e 4 (articolo 6, comma 1, lettera a)) e il d.lgs. n. 126/2016, che ha modificato i commi 2 e 3 (articolo 3, comma 1).

La segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) è una misura di liberalizzazione dell’attività del privato, in quanto sostituisce al potere autorizzatorio della pubblica amministrazione, finalizzato all’emanazione di un atto di consenso all’esercizio dell’attività, il diritto del privato di svolgere un’attività avviandone l’esercizio previa segnalazione. Resta in capo all’amministrazione un potere di controllo, privo di discrezionalità, della corrispondenza di quanto dichiarato dal privato con i presupposti e i requisiti previsti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale.

In base alla disciplina stabilita dall’articolo 19, L. n. 241 del 1990 e s.m.i., la SCIA sostituisce ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi (comma 1). Il campo di applicazione dell’istituto incontra alcune eccezioni nel caso in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, per una serie di atti rilasciati dalle amministrazioni preposte ad interessi particolarmente sensibili[4], e per gli atti amministrativi imposti dalla normativa comunitaria. Ai fini della segnalazione, è prevista sul segnalante tutta una serie di obblighi e responsabilità relativi all’accertamento della sussistenza dei presupposti e requisiti[5].

L’interessato può iniziare l’attività oggetto della segnalazione dalla data di presentazione della segnalazione all’amministrazione competente (comma 2).

Al soggetto interessato, dunque, si riconosce la possibilità di dare immediato inizio all’attività, fermo restando l’esercizio dei poteri di controllo e inibitori da parte della pubblica amministrazione, ricorrendone gli estremi.

Infatti, l’amministrazione entro 60 giorni dalla segnalazione (30 per la SCIA edilizia), ove accerti la carenza di requisiti o presupposti per l’esercizio dell’attività, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa (comma 3).

Qualora vi sia la possibilità di regolarizzazione, l’amministrazione competente invita il privato a conformare l’attività intrapresa alla normativa vigente, mediante un atto motivato, con il quale sono prescritte le misure necessarie ed il termine per provvedere alla regolarizzazione dell’attività non può essere inferiore a 30 giorni. Decorso il termine senza che le misure siano state adottate, l’attività s’intende vietata. L’amministrazione può disporre anche la sospensione dell’attività, ma solo in presenza di attestazioni non veritiere o di pericolo per la tutela dell'interesse pubblico in materia di ambiente, paesaggio, beni culturali, salute, sicurezza pubblica o difesa nazionale.

Una volta decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di inibitoria, l’amministrazione può comunque vietare la prosecuzione dell’attività, rimuovendone gli effetti, ovvero chiedere al privato di conformarsi alla normativa vigente (comma 4). La possibilità di agire in tal senso è tuttavia condizionata dalla ricorrenza dei presupposti per l’annullamento d’ufficio ai sensi dell’art. 21-nonies della legge.

 

Silenzio assenso

Al pari della SCIA, anche il silenzio assenso è ispirato ad una logica di semplificazione dei rapporti tra privati e pubblica amministrazione, ma con caratteristiche strutturali diverse.

Il silenzio assenso indica infatti i casi in cui, nei procedimenti ad istanza di parte, decorso il termine per provvedere senza che l’amministrazione si sia pronunciata, l’istanza presentata dal privato si considera accolta. Pertanto, il silenzio assenso non elimina il regime autorizzatorio, ossia il fatto che sia necessario un provvedimento amministrativo di autorizzazione, bensì semplifica il procedimento per ottenere tale autorizzazione.

L’istituto è stato generalizzato con l’articolo 20 della legge 241/1990, ai sensi del quale:

- in tutti i procedimenti a istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi, esclusi quelli disciplinati dall’articolo 19, L. 241/1990 (segnalazione certificata di inizio attività), «il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda», se la stessa amministrazione non comunica all’interessato, nel termine indicato dalla legge o dai regolamenti (ai sensi dell’art. 2, L. 241/1990), il provvedimento di diniego. Il termine decorre dalla data di ricevimento dell’istanza del privato;

- il silenzio assenso non opera qualora l’amministrazione competente indica, nel termine di trenta giorni dalla presentazione dell’istanza, una conferenza di servizi;

- nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, dopo la scadenza del termine l’amministrazione competente può in ogni caso assumere determinazioni in via di autotutela, ossia annullare o revocare l’atto implicito di assenso (art. 21-quinquies e 21-nonies, L. 241/1990).

La disciplina, peraltro, contempla un rilevante numero di eccezioni (comma 4). Il silenzio assenso, infatti, non opera:

- per gli atti e i procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità;

- nei casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali;

- nei casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza;

- agli atti e procedimenti individuati con appositi D.P.C.M. adottati su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti.

L’evoluzione normativa più recente ha significativamente ampliato il campo di applicazione dell’istituto. In particolare, per quanto concerne le attività previste nella c.d. “direttiva servizi” e disciplinate dal D.Lgs. 59/2010, come modificata dal decreto legislativo n. 147/2012, si stabilisce che ai fini del rilascio del titolo autorizzatorio riguardante l’accesso e l’esercizio delle attività di servizi si segue, ove non diversamente previsto, il procedimento di cui all’articolo 20 della legge n. 241/1990 (art. 17).

 

L’articolo 2, al comma 1, stabilisce in primo luogo che alle attività elencate nella tabella A, che forma parte integrante del decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato.

 

L’impatto del regime amministrativo indicato in tabella A sulla normativa vigente è diversificato.

In alcuni casi il regime individuato corrisponde a quanto previsto dalle norme vigenti e, pertanto, l’individuazione operata dalla tabella ha carattere meramente ricognitivo (si v., ad es., sezione II, tabella 1., punti 23, 24 e 25).

In altri casi, invece, l’individuazione operata dalla tabella ha carattere innovativo, in quanto il regime individuato è diverso da quanto previsto dalla norme vigenti. L’innovazione dipende spesso dal fatto che le indicazioni della tabella sono coordinate con le modifiche normative introdotte con gli articoli del decreto in commento, ovvero applicano le disposizioni sulla concentrazione dei regimi amministrativi, recate dal D.Lgs. n. 126/2016 (SCIA 1). In altri casi ancora, il regime individuato in tabella si conforma ad una “prassi interpretativa” della normativa vigente (si v., ad es. sezione I, punto 1.10, n. 20 sul regime per la vendita al minuto di prodotti agricoli).

Vi sono, infine, delle attività per le quali è la tabella tout court ad introdurre sostanzialmente un differente regime amministrativo rispetto a quello previsto dalla normativa vigente (si v., sezione I, punto 14. n. 74 sulle Scuole nautiche).

Alla luce della molteplicità delle ipotesi, si valuti l’opportunità di chiarire meglio se le indicazioni del regime amministrativo nella tabella - che talvolta fa riferimento ad una mera ricognizione degli atti – siano integralmente sostitutive della normativa vigente.

 

Il comma 1 dispone inoltre il principio in base al quale, qualora per lo svolgimento dell’attività siano necessari diversi atti di assenso, segnalazioni o comunicazioni, si applica, secondo quanto la tabella indica, la concentrazione dei regimi amministrativi disciplinata dall’articolo 19-bis della legge n. 241 del 1990, introdotto dall’art. 3 del d.lgs. 126/2016 (si v., supra, § sulla cd. SCIA 1).

La scelta del legislatore delegato nel provvedimento in esame è pertanto quella di dare piena attuazione alla nuova disciplina di semplificazione procedimentale in sede di ricognizione delle attività dei privati.

Tuttavia, il richiamo non ha carattere generale, in quanto, come la stessa disposizione prescrive, la concentrazione dei regimi amministrativi si applica solo ove la tabella lo preveda espressamente nell’apposita colonna.

Difatti, vi sono attività per le quali, pur essendo individuata una pluralità di regimi amministrativi, non è prevista la concentrazione, come disciplinata dall’articolo 19-bis della legge n. 241 del 1990.

 

Il comma 2 prevede una clausola di tipo generale, secondo la quale le attività private non elencate nella tabella possono essere ricondotte dalle amministrazioni a quelle corrispondenti presenti nella tabella.

La finalità della disposizione è evitare una tipizzazione eccessiva delle attività, condizionata dalle caratterizzazioni territoriali di alcune discipline, rimettendo all’ente territoriale il potere di ricondurre attività non elencate in tabella, ma a queste riconducibili, al genus più simile.

Sul punto, il parere del Consiglio di Stato osserva che attività che in base alla legge delega dovrebbero essere individuate con fonte primaria non possono essere lasciate alla piena discrezionalità delle amministrazioni territoriali ed invita il Governo almeno a circoscrivere tale discrezionalità, indicando i criteri sulla cui base operare l’equivalenza e la conseguente qualificazione di tipo legale delle attività non ricomprese ma riconducibili.

 

I commi da 3 a 5 forniscono una sorta di legenda dei principali regimi amministrativi indicati in tabella e li coordinano con le previsioni degli articoli 19 e 19-bis della L. 241/1990.

In primo luogo, il comma 3 statuisce che laddove la tabella indica il regime amministrativo dell’autorizzazione è necessario un provvedimento espresso, fatte salve le ipotesi in cui il titolo espresso è sostituito dal silenzio assenso. Tali ipotesi sono esplicitamente indicate nella colonna del regime amministrativo con la dicitura autorizzazione – silenzio assenso.

Quando, invece, per lo svolgimento di una determinata attività, oltre all’autorizzazione, si renda necessaria l’acquisizione di ulteriori atti di assenso comunque denominati o pareri di altri uffici e amministrazioni, ovvero l’esecuzione di verifiche preventive, il comma 3 stabilisce anche l’applicazione dell’articolo 19-bis, comma 3, della legge n. 241 del 1990, che prevede un’unica segnalazione allo sportello unico e l’indizione della conferenza di servizi.

 

In proposito, occorre porre attenzione al fatto che non vi è piena identità tra la fattispecie prevista dal comma 3 in esame e quella di cui all’art. 19-bis, comma 3.

Nel primo caso, infatti, vengono in rilievo attività per le quali la tabella A indica il regime amministrativo dell’autorizzazione, per le quali siano necessari ulteriori autorizzazioni o pareri o verifiche preventive. Pertanto non vi è alcun regime di SCIA, come invece presupposto nella fattispecie di cui all’art. 19-bis, comma 3, che riguarda attività sottoposte a SCIA e condizionate anche all’acquisizione di altre autorizzazioni o pareri o verifiche preventive.

 

In merito, come rilevato dal Consiglio di Stato, alla luce della eterogeneità dei casi considerati, andrebbe chiarito il significato del rinvio effettuato, in particolare, se con esso si intenda estendere al procedimento di autorizzazione la disciplina di cui all’art. 19-bis, co. 3, secondo cui il termine per la convocazione della conferenza di servizi decorre dalla data di presentazione dell’istanza e l’inizio dell’attività resta subordinato al rilascio degli atti medesimi, di cui lo sportello unico dà comunicazione all’interessato.

Inoltre, nonostante il richiamo generale contenuto nella disposizione in commento, si osserva che la tabella A non fa mai menzione dell’art. 19-bis, co. 3, nella terza colonna, anche laddove parrebbe in astratto applicabile. Pertanto, al fine di evitare dubbi interpretativi, andrebbe valutata l’opportunità di chiarire meglio l’effettività della concentrazione, esplicitando l’applicabilità del citato comma 3.

 

Il comma 4 chiarisce, stabilendo un coordinamento con le disposizioni della L. 241/1990, che laddove la tabella A indica il regime amministrativo della SCIA si applica il regime di cui all’articolo 19 della legge n. 241 del 1990.

Ove sia indicato il regime amministrativo della SCIA unica, s’intende che si applica “altresì” quanto previsto dall’articolo 19-bis, comma 2, della stessa legge n. 241 del 1990, ossia la concentrazione dei regimi per attività soggette a SCIA che necessità di altre SCIA, comunicazioni, attestazioni, asseverazioni e notifiche.

L’uso dell’espressione “altresì” nel testo normativo chiarirebbe un aspetto rimasto ancora incerto dopo le novità introdotte dal d.lgs. 126 del 2016, ossia il rapporto tra la disciplina dell’articolo 19 e quella dell’art. 19-bis della L. 241/1990. Parrebbe chiaro infatti che le disposizioni sulla SCIA unica sono in rapporto di specialità con quelle relative alla SCIA ordinaria; pertanto, l’art. 19 si applica anche ai casi di cui all’art. 19-bis, co. 2, con gli adattamenti necessari al coordinamento tra le due disposizioni.

Sotto il profilo definitorio, è interessante inoltre sottolineare che nel presente schema l’espressione “SCIA unica”, coniata ed utilizzata finora a scopo descrittivo per individuare la nuova disciplina introdotta nei commi 2 e 3 dell’art. 19-bis L. 241/1990, viene utilizzata formalmente dal legislatore solo per indicare le fattispecie riconducibili all’art. 19-bis, co. 2 e non già del comma 3 del medesimo articolo.

 

Il secondo periodo del comma 4 stabilisce che alla comunicazione non devono essere allegati documenti, salvo quanto previsto per la Comunicazione inizio lavori asseverata (CILA) dal TU in materia edilizia (D.P.R. 380/2001).

Si segnala al riguardo l’opportunità di collocare tale disposizione al comma 5, che riguarda il regime della comunicazione, piuttosto che al comma 4, che ha per oggetto la SCIA.

 

Laddove infine, la tabella A indica il regime amministrativo della comunicazione s’intende che l’attività può essere iniziata solo dopo la ricezione della comunicazione da parte dell’amministrazione (comma 5).

 

Il comma 6 stabilisce che con decreto del Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione si procede al periodico aggiornamento della tabella A e alla sua pubblicazione con le “modifiche strettamente conseguenti alle disposizioni legislative successivamente intervenute o in relazione alla necessità di completare la ricognizione delle attività, anche con riferimento alle disposizioni regolamentari, con l’indicazione del regime amministrativo applicabile in base alle norme vigenti”.

Nonostante la relazione di accompagnamento preveda che “tale decreto non va ad incidere, ovviamente, sulla sostanza dei regimi giuridici, ma prende atto” delle future scelte del legislatore, “ovvero implementa la tabella in relazione a casi per mero refuso non contemplati nella stessa”, occorre considerare che con il rinvio al regolamento ministeriale si consente ad una fonte subordinata di intervenire su una fonte di rango legislativo.

 

Andrebbe valutata, pertanto, l’opportunità di verificare la coerenza con il sistema delle fonti di tale previsione, che contempla due fattispecie che consentono – senza alcun limite temporale – al decreto ministeriale di modificare la tabella allegata al decreto legislativo:

§  l’aggiornamento con le modifiche strettamente conseguenti alle disposizioni legislative successivamente intervenute, che dovrebbero però intervenire direttamente sulla tabella;

§  la necessità di completare la ricognizione delle attività, che andrebbe ricondotta alla possibilità di adottare decreti legislativi integrativi e correttivi entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto in esame.

Articolo 3
(Semplificazione di regimi amministrativi in materia edilizia)

L’articolo 3 apporta una lunga serie di modifiche alle norme del testo unico in materia edilizia (d’ora in poi TUED), di cui al D.P.R. 380/2001.

Le principali novità apportate dall'articolo in esame possono essere così sintetizzate:

§  semplificazione dei titoli abilitativi, mediante la soppressione della comunicazione di inizio lavori (CIL), e l’ampliamento delle fattispecie di attività edilizia libera. Tale ampliamento deriva in gran parte dalla riconduzione al regime di “edilizia libera” degli interventi assoggettati a CIL (lettera b). La soppressione della CIL comporta che le disposizioni procedurali ad essa relative vengono riferite alla CILA, cioè alla comunicazione di inizio lavori asseverata (lettera c) e, in particolare, lettera h), che riferisce alla CILA le norme sulle autorizzazioni preliminari attualmente riguardanti la CIL);

§  introduzione di un criterio residuale per individuare gli interventi sottoposti a CILA: sono assoggettati a CILA tutti gli interventi non riconducibili ad attività di edilizia libera e per i quali non è nemmeno previsto il permesso di costruire o la presentazione della SCIA (lettera c). In altre parole il regime ordinario (e, come si è detto, anche residuale per gli interventi non diversamente disciplinati) diviene quello della CILA, e non più della SCIA, fatte salve le ipotesi che non siano espressamente assoggettate ad altri regimi;

§  previsione di un D.M. finalizzato alla definizione dei requisiti igienico-sanitari di carattere prestazionale degli edifici e, conseguentemente, previsione dell’obbligo generale di asseverazione, in tutti i casi, della conformità del progetto alle norme igienico-sanitarie (lettera d);

§  esplicitazione degli interventi assoggettati a SCIA (lettera f);

§  ricollocazione della disciplina della super-DIA, nell’ambito del testo unico, e modifica della denominazione in segnalazione certificata di inizio di attività in alternativa al permesso di costruire (lettera g);

§  sostituzione del certificato di agibilità con la segnalazione certificata di agibilità, d’ora in poi SCAGI (lettera i);

§  semplificazioni in materia di certificazioni connesse al collaudo statico dell’opera (lettera y).

 

L’articolo 3 interviene, pertanto, con una serie di novelle sulla disciplina vigente apportando modifiche sostanziali a taluni procedimenti.

 

In considerazione del tenore delle modifiche, andrebbe valutato se inserire una clausola volta a specificare i termini di applicazione delle nuove regole ai procedimenti, anche in raccordo con la normativa regionale.

Modifiche all’art. 5 del TUED, relativo ai compiti dello sportello unico per l’edilizia (lettera a)

Il numero 1) elimina l’obbligo (previsto dal comma 2, lettera d), dell’art. 5 del TUED) per lo sportello unico per l’edilizia (d’ora in poi SUE) di rilasciare il certificato di agibilità, essendo questo sostituito (mediante la modifica dell’art. 24 del TUED, operata dalla lettera i) dell'articolo in esame) dalla “segnalazione certificata di agibilità”.

 

La modifica recata dal numero 2) interviene sull’obbligo, attualmente posto in capo al SUE, di acquisire (in conferenza di servizi) gli atti di assenso, comunque denominati, necessari ai fini della realizzazione dell'intervento edilizio. Tale obbligo, che in base al testo vigente del comma 3 dell’art. 5 del TUED, deve essere adempiuto ai fini del rilascio del permesso di costruire, viene infatti reso generale, indipendentemente dal titolo abilitativo cui l’intervento edilizio è sottoposto.

 

Il numero 3) interviene invece sull’elenco di atti di assenso di cui sopra, contenuto nel seguito del comma 3 dell’art. 5 del TUED, eliminando dal novero di tali atti il parere della azienda sanitaria locale (ASL) nel caso in cui non possa essere sostituito da una dichiarazione.

Tale modifica sembra conseguente a quelle recate dalla lettera d).

 

Il numero 4) introduce una disposizione che stabilisce che restano ferme le disposizioni in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro di cui all’art. 67 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (nuovo comma 3-bis dell’art. 5 del TUED).

 

L’art. 67 del D.Lgs. 81/2008 (c.d. testo unico su salute e sicurezza sul lavoro) prevede che, in caso di costruzione e di realizzazione di edifici o locali da adibire a lavorazioni industriali, nonché nei casi di ampliamenti e di ristrutturazioni di quelli esistenti, i relativi lavori devono essere eseguiti nel rispetto della normativa di settore e devono essere comunicati all'organo di vigilanza competente per territorio una descrizione dell'oggetto delle lavorazioni e delle principali modalità di esecuzione delle stesse, nonché la descrizione delle caratteristiche dei locali e degli impianti. L’obbligo di comunicazione si applica ai luoghi di lavoro ove è prevista la presenza di più di tre lavoratori.

Modifiche all’art. 6 del TUED, relativo all’attività edilizia libera (lettera b)

Il numero 1) aggiunge, al novero degli interventi di “edilizia libera” (cioè che possono essere eseguiti senza alcun titolo abilitativo[6], v. infra), le seguenti nuove fattispecie, che attualmente sono assoggettate (dal comma 2 dell’art. 6 del TUED) alla comunicazione di inizio lavori (CIL):

§  le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni (nuova lettera e-bis) del comma 1 dell’art. 6 del TUED);

§  le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta, che siano contenute entro l'indice di permeabilità, ove stabilito dallo strumento urbanistico comunale, ivi compresa la realizzazione di intercapedini interamente interrate e non accessibili, vasche di raccolta delle acque, locali tombati (nuova lettera e-ter) del comma 1 dell’art. 6 del TUED);

§  i pannelli solari, fotovoltaici, a servizio degli edifici, da realizzare al di fuori della zona A) di cui al D.M. 1444/1968 (nuova lettera e-quater) del comma 1 dell’art. 6 del TUED);

La zona A), come definita dall’art. 2 del D.M. 1444/1968, include le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi.

§  le aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici (nuova lettera e-quinquies) del comma 1 dell’art. 6 del TUED).

 

Vengono altresì assoggettati al regime di edilizia libera (tramite una modifica alla lettera b) del comma 1 dell’art. 6 TUED) gli interventi volti all’eliminazione di barriere architettoniche che comportino la realizzazione di rampe (si veda il seguente testo a fronte).

 

Il numero 2) abroga i commi 2, 4, 5 e 7 dell’art. 6 del TUED. Si tratta di una disposizione consequenziale all’introduzione - da parte della lettera c) del comma 1 dell'articolo in esame - del nuovo articolo 6-bis del TUED, che disciplina gli interventi assoggettati a CILA (comunicazione di inizio lavori asseverata).

Nel testo attualmente vigente, il comma 2 elenca una serie di interventi che, pur essendo di edilizia libera, sono assoggettati a CIL. Il successivo comma 4 dispone che per alcuni degli interventi previsti dal comma 2 è necessaria la CILA.

Il nuovo testo previsto dall'articolo in esame prevede due soli binari (edilizia libera e CILA), in luogo dei tre attualmente previsti (edilizia libera, CIL e CILA). Lo schema seguente chiarisce l’intervento modificativo apportato:

 

 

Testo vigente

Nuovo testo

1.a) interventi di manutenzione ordinaria, ivi compresi gli interventi di installazione delle pompe di calore aria-aria di potenza termica utile nominale inferiore a 12 kW;

1.a) interventi di manutenzione ordinaria, ivi compresi gli interventi di installazione delle pompe di calore aria-aria di potenza termica utile nominale inferiore a 12 kW;

1.b) interventi volti all’eliminazione di barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di rampe o di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell’edificio;

1.b) interventi volti all’eliminazione di barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di rampe o di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell’edificio;

1.c) opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo che abbiano carattere geognostico, ad esclusione di attività di ricerca di idrocarburi, e che siano eseguite in aree esterne al centro edificato;

1.c) opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo che abbiano carattere geognostico, ad esclusione di attività di ricerca di idrocarburi, e che siano eseguite in aree esterne al centro edificato;

1.d) movimenti di terra strettamente pertinenti all’esercizio dell’attività agricola e le pratiche agro-silvo-pastorali, compresi gli interventi su impianti idraulici agrari;

1.d) movimenti di terra strettamente pertinenti all’esercizio dell’attività agricola e le pratiche agro-silvo-pastorali, compresi gli interventi su impianti idraulici agrari;

1.e) serre mobili stagionali, sprovviste di strutture in muratura, funzionali allo svolgimento dell’attività agricola.

1.e) serre mobili stagionali, sprovviste di strutture in muratura, funzionali allo svolgimento dell’attività agricola.

2.b) opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni;

1.e-bis) opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni;

2.c) opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta, che siano contenute entro l'indice di permeabilità, ove stabilito dallo strumento urbanistico comunale, ivi compresa la realizzazione di intercapedini interamente interrate e non accessibili, vasche di raccolta delle acque, locali tombati;

1.e-ter) opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta, che siano contenute entro l'indice di permeabilità, ove stabilito dallo strumento urbanistico comunale, ivi compresa la realizzazione di intercapedini interamente interrate e non accessibili, vasche di raccolta delle acque, locali tombati;

2.d) pannelli solari, fotovoltaici, a servizio degli edifici, da realizzare al di fuori della zona A) di cui al D.M. 1444/1968

1.e-quater) pannelli solari, fotovoltaici, a servizio degli edifici, da realizzare al di fuori della zona A) di cui al D.M. 1444/1968

2.e) aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici.”;

1.e-quinquies) aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici.”;

2.a) interventi di manutenzione straordinaria, ivi compresa l’apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali dell’edificio;

Il comma 1 del nuovo articolo 6-bis assoggetta residualmente a CILA tutti gli interventi non riconducibili all'elenco di cui agli articoli 6, 10 e 22, cioè gli interventi che non sono di edilizia libera e per i quali non è nemmeno previsto il permesso di costruire o la presentazione della SCIA. Tale criterio residuale è rispettato per gli interventi previsti dal testo vigente delle lettere a) ed e-bis) del comma 2 dell’art. 6. Ciò è confermato dalla tabella A allegata allo schema in esame.

Ovviamente la CILA non si applica ai soli interventi di cui alle lett. a) ed e-bis) del vigente comma 2 dell’art. 6 ma (come conferma la tab. A allegata allo schema di decreto) anche a numerosi altri casi, in base all’applicazione del citato criterio residuale. Nella presente tabella vengono però considerati solo i casi normati dal vigente art. 6 del TUED.

2.e-bis) modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad esercizio d'impresa, sempre che non riguardino le parti strutturali, ovvero le modifiche della destinazione d'uso dei locali adibiti ad esercizio d'impresa

Legenda:

Edilizia libera

CIL

CILA

 

La tabella precedente mostra chiaramente il passaggio dal regime di CIL al regime di edilizia libera (tramite la loro ricollocazione dal comma 2 al comma 1 dell’art. 6 del TUED) degli interventi colorati in giallo e la conferma del regime di CILA per gli interventi colorati in arancione, che non sono però più disciplinati dai commi 2 e 4 dell’art. 6 (che vengono abrogati), ma dal nuovo art. 6-bis, che assoggetta a CILA tutti gli interventi non riconducibili all'elenco di cui agli articoli 6, 10 e 22, cioè tutti gli interventi che non sono di edilizia libera e per i quali non è nemmeno previsto il permesso di costruire o la presentazione della SCIA.

Anche i commi 5 e 7 vengono abrogati in quanto disciplinano le modalità di presentazione, nonché le sanzioni in caso di omessa presentazione, della CIL e della CILA; comunicazioni che però non sono più disciplinate all’interno dell’art. 6, che rimane finalizzato a disciplinare la sola edilizia libera.

Il contenuto dei commi 4, 5 e 7 confluisce nei commi 2, 3 e 5 del nuovo articolo 6-bis del TUED, introdotto dalla successiva lettera c).

 

Relativamente all’abrogazione della CIL il Consiglio di Stato osserva che “l’abolizione della CIL necessita di essere coordinata con le norme regionali emanate per la disciplina relativa all’effettuazione dei controlli sull’attività edilizia libera, ma sottoposta a comunicazione. Si suggerisce, sul punto, l’introduzione di una norma di raccordo nell’ambito dell’art. 3 dello schema”.

 

Il numero 3) reca una modifica di coordinamento, eliminando il riferimento all’abrogato comma 2 contenuto nel comma 6 dell’art. 6 del TUED.

Nuovo art. 6-bis del TUED, che disciplina gli interventi subordinati a comunicazione di inizio lavori asseverata - CILA (lettera c)

Il comma 1 del nuovo articolo 6-bis assoggetta residualmente a CILA tutti gli interventi non riconducibili all'elenco di cui agli articoli 6, 10 e 22, cioè gli interventi che non sono di edilizia libera e per i quali non è nemmeno previsto il permesso di costruire o la presentazione della SCIA.

La norma prevede che gli interventi in questione siano realizzabili:

§  previa comunicazione, anche per via telematica, e (ai sensi del comma 2) asseverata da un tecnico abilitato, dell’inizio dei lavori da parte dell’interessato all’amministrazione competente;

§  fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio.

 

Si fa notare che tale disposizione riproduce quanto prescritto dall’art. 6 per gli interventi di edilizia libera.

 

Relativamente ai contenuti della comunicazione, il comma 2 dispone che essa contiene, altresì, i dati identificativi dell'impresa alla quale si intende affidare la realizzazione dei lavori. Inoltre, sempre in base al comma 2, l’interessato trasmette all'amministrazione comunale:

§  l'elaborato progettuale;

§  e la citata asseverazione del tecnico abilitato, il quale attesta, sotto la propria responsabilità, che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti, nonché che sono compatibili con la normativa in materia sismica e con quella sul rendimento energetico nell'edilizia e che non vi è interessamento delle parti strutturali dell'edificio.

 

Si fa notare che il disposto del comma 2 riproduce il testo dell’abrogato comma 4 dell’art. 6, che disciplina il contenuto della CILA.

 

Il comma 3 prevede che la CILA sia tempestivamente inoltrata da parte dell'amministrazione comunale ai competenti uffici dell'Agenzia delle entrate e che, laddove integrata con la comunicazione di fine dei lavori, sia valida anche ai fini catastali (la norma richiama infatti l'articolo 17, primo comma, lettera b), del R.D. 652/1939, che riguarda le modifiche che avvengono nel catasto, in relazione allo “stato dei beni, per quanto riguarda la consistenza e l'attribuzione della categoria e della classe”).

 

Anche in questo caso vengono riprodotte disposizioni vigenti, attualmente collocate nell’art. 6 (per la precisione nel comma 5), che sono finalizzate a disciplinare sia la CIL che la CILA, e che vengono limitate a disciplinare la sola CILA.

 

Il comma 4 riproduce quanto previsto dal comma 6 dell’art. 6 del TUED per gli interventi di edilizia libera, consentendo alle regioni a statuto ordinario di estendere la disciplina della CILA a interventi edilizi ulteriori rispetto a quelli previsti dal comma 1 e di disciplinare con legge le modalità per l'effettuazione dei controlli.

 

In merito all’effettuazione dei controlli, il Consiglio di Stato osserva che “per la portata che assume la CILA, i principi generali sui controlli in materia dovrebbero essere fissati dalla norma statale, analogamente a quanto avviene per la SCIA, posto che l’art. 19 della legge n. 241 del 1990, si applica, in quanto non derogato, anche alla SCIA edilizia”.

 

Il comma 5 disciplina la sanzione pecuniaria in caso di mancata presentazione della CILA, che risulta pari a 1.000 euro, ridotta di due terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente quando l'intervento è in corso di esecuzione.

Si fa notare che tale disposizione riproduce il testo dell’abrogato comma 7 dell’art. 6.

 

Sul punto il Consiglio di Stato suggerisce “di considerare l’introduzione della possibilità di graduare, eventualmente, l’importo della sanzione. In secondo luogo, si ravvisa l’opportunità di estendere il regime sanzionatorio anche alle altre ipotesi di irregolarità … ovvero in caso di CILA incompleta o irregolare, ovvero di lavori eseguiti in difformità. Resta ovviamente fermo – ma forse va specificato espressamente – … che, nei casi in cui un’opera che avrebbe richiesto un permesso di costruire o una SCIA è stata eseguita dall’interessato sotto il regime di CILA, l’abuso non viene sanato con le sanzioni relative alla CILA. In questi casi … la CILA è del tutto inidonea a legittimare un’opera che è, e resta, sine titulo: la sua natura totalmente abusiva continua a poter essere rilevata, in ogni momento e senza limiti di tempo, dall’amministrazione competente”.

Modifiche all’articolo 20 del TUED, relativo al rilascio del permesso di costruire, finalizzate a disciplinare i requisiti igienico-sanitari degli edifici (lettera d)

Il numero 1) modifica il comma 1 dell’art. 20 del TUED nella parte in cui prevede che la dichiarazione del progettista abilitato, allegata alla domanda per il rilascio del permesso di costruire, asseveri (tra l’altro) la conformità del progetto alle norme igienico-sanitarie. Il testo attualmente vigente prevede che tale asseverazione debba essere resa solo nel caso in cui la verifica in ordine a tale conformità non comporti valutazioni tecnico-discrezionali. Tale condizione viene soppressa dalla disposizione in esame, pertanto l’asseverazione della conformità del progetto alle norme igienico-sanitarie diviene un obbligo generale che deve esser sempre adempiuto.

Tale modifica sembra connessa all’introduzione, da parte del successivo numero 2), di una disposizione che prevede la definizione, con decreto del Ministro della Salute, previa intesa in  sede di Conferenza unificata, dei requisiti igienico-sanitari di carattere prestazionale degli edifici.

 

Si fa notare che il numero 2) non indica un termine per l’emanazione del decreto ministeriale e non definisce una disciplina transitoria da seguire nelle more della sua emanazione.

Modifiche alla denominazione del Capo III del TUED, relativo alla SCIA (lettera e)

La lettera e) modifica la denominazione del Capo III del titolo II della parte I del TUED, espungendo il riferimento alla denuncia di inizio attività (DIA). Tale Capo risulta quindi ridenominato come “Segnalazione certificata di inizio di attività”.

Con riguardo alla formulazione del testo, andrebbe valutata l’opportunità di precisare che trattasi del Capo III del titolo II della parte I del TUED.

 

L’eliminazione del riferimento alla DIA è giustificata dal fatto che la DIA (ad eccezione della super-DIA, contemplata dall’art. 22, comma 3, del TUED) è stata sostituita dalla SCIA, secondo quanto stabilito dall’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del D.L. 78/2010, anche in ambito edilizio, come precisato dalla circolare 16 settembre 2010 del Ministro per la semplificazione normativa e confermato dalla Corte costituzionale (con la sentenza n. 164/2012). Tale sostituzione è stata ribadita dall’art. 17, comma 2, del D.L. 133/2014.

Tale comma 2 ha infatti disposto che “l'espressione «denuncia di inizio attività» ovunque ricorra nel decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, ad eccezione degli articoli 22, 23 e 24, comma 3, è sostituita dalla seguente: «segnalazione certificata di inizio attività»”.

Modifiche all’art. 22 del TUED, relativo agli interventi assoggettati a SCIA (lettera f)

La lettera in esame contiene una serie di modifiche all’art. 22 del TUED.

Una prima modifica (operata dal numero 1) è la sostituzione, nella rubrica dell’articolo, del termine “denuncia di inizio attività” con “segnalazione certificata di inizio di attività”.

 

La sostituzione dell’espressione DIA con SCIA, prescritta in via generale dall’art. 17, comma 2, del D.L. 133/2014, è stata esclusa dal medesimo comma per l’articolo 22 del TUED in virtù della permanenza dell’istituto della c.d. super-DIA (art. 22, comma 3). Il fatto che tale disciplina confluisca nel nuovo comma 01 dell’articolo 23 (per effetto della lettera in esame e della successiva lettera g), consente di eliminare il riferimento alla DIA nella rubrica dell’art. 22 e di sostituirlo con l’espressione SCIA.

 

Il numero 2) provvede a modificare il comma 1 in modo da rendere espliciti gli interventi assoggettati a SCIA, a differenza del testo vigente che definisce in via residuale l’ambito applicativo della SCIA.

 

Secondo il testo vigente, infatti, sono realizzabili mediante SCIA gli interventi non riconducibili all'elenco di cui all'articolo 10 e all'articolo 6 (cioè gli interventi che non sono soggetti al permesso di costruire e che non rientrano nemmeno nell’edilizia libera), che siano conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente.

In base al nuovo testo del comma 1, sono realizzabili mediante SCIA (sempre “in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente”, come prevede la formulazione vigente del medesimo comma), i seguenti interventi:

§  gli interventi di manutenzione straordinaria, qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio;

 

Gli interventi di manutenzione straordinaria, in base alla definizione dettata dall’art. 3, comma 1, lett. b), del testo unico includono le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso. Nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria destinazione di uso.

 

Qualora non riguardino le parti strutturali è sufficiente la CILA, in virtù della definizione a carattere residuale dettata dal nuovo articolo 6-bis del TUED, e in linea con il disposto del testo vigente dell’art. 6, comma 2, lett. a), del medesimo testo unico. In tal caso gli interventi sono definiti di “manutenzione straordinaria leggera” dalla tabella A allegata allo schema in esame (cfr. punto 2 della tabella 1), nella quale viene confermata la loro sottoposizione a CILA;

§  gli interventi di restauro e di risanamento conservativo, qualora riguardino le parti strutturali dell’edificio.

 

Gli interventi di restauro e di risanamento conservativo, in base alla definizione dettata dall’art. 3, comma 1, lett. c), del T.U. includono gli “interventi edilizi rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano destinazioni d'uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio”.

 

Qualora non riguardino le parti strutturali è sufficiente la CILA, in virtù della definizione a carattere residuale dettata dal nuovo articolo 6-bis del TUED e del fatto che tali interventi non sono contemplati tra quelli di edilizia libera. In tal caso gli interventi sono definiti di “restauro e risanamento conservativo leggero” dalla tabella A allegata allo schema in esame (cfr. punto 4 della tabella 1), nella quale viene confermata la loro sottoposizione a CILA;

§  gli interventi di ristrutturazione edilizia non soggetti a permesso di costruire, cioè diversi da quelli indicati nell’art. 10, comma 1, lettera c);

 

Gli interventi di ristrutturazione edilizia, in base alla definizione dettata dall’art. 3, comma 1, lett. d), del T.U. includono gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente.

L’art. 10, comma 1, lettera c), assoggetta a permesso di costruire gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

 

Il numero 2) chiarisce che restano assoggettate a CILA le modifiche della destinazione d'uso dei locali adibiti ad esercizio d'impresa.

Tale disposizione riproduce l’ultima parte del testo vigente dell’art. 6, comma 2, lett. e-bis), del TUED.

Sotto il profilo della formulazione del testo, potrebbe essere opportuno ricollocare tale disposizione nell’ambito del nuovo articolo 6-bis del TUED introdotto dallo schema in esame.

 

Il numero 3) reca una modifica di coordinamento, consequenziale alla sostituzione del certificato di agibilità (operata, mediante la riscrittura dell’art. 24 del TUED, da parte della lettera i) dell'articolo in esame) con la “segnalazione certificata di agibilità”.

 

Il numero 4) prevede l’abrogazione dei commi 3 e 5, che disciplinano la c.d. super-DIA, la cui disciplina confluisce nel nuovo comma 01 dell’art. 23 del TUED.

I numeri 5) e 6) recano modifiche di coordinamento, conseguenti a tale ricollocazione.

Si segnala che, nel modificare il comma 7, il numero 6) richiama in maniera non corretta l’ultimo periodo del comma 1 dell’articolo 23, atteso che l’ultimo periodo a cui fare riferimento è quello del comma 01.

 

Si segnala, infine, che il Consiglio di Stato, nel suo parere, richiama “l’esigenza di assicurare – quantomeno, integrando la relazione di accompagnamento – una piena coerenza tra la disciplina generale della SCIA di cui agli artt. 19 e 19-bis della legge n. 241 e le applicazioni pratiche che di questo stesso istituto si fanno nel t.u. edilizia”.

Modifiche all’art. 23 del TUED, relative alla disciplina della super-SCIA (lettera g)

La lettera g) apporta una serie di modifiche all’art. 23. Un primo gruppo di modifiche (contenuto nel numero 2) della lettera in esame) è volto ad inserire all’interno di tale articolo la disciplina della c.d. super-DIA (che viene denominata super-SCIA). Un secondo gruppo di modifiche (contenuto nel numero 3) della lettera in esame) è volto a sostituire nei commi 2, 4, 5 e 7 l’espressione DIA con l’espressione SCIA.

Si ricorda che tale sostituzione, prescritta in via generale dall’art. 17, comma 2, del D.L. 133/2014, è stata esclusa dal medesimo comma per gli articoli 22, 23 e 24, comma 3, del TUED.

Si segnala che il termine “denuncia di inizio attività” è presente in altre parti dell’articolo 23 (ad esempio, ai commi 1, 1-ter, 3 e 6) e non viene sostituito dalla novella in esame. Andrebbe, pertanto, valutato se coordinare anche tali parti del testo dell’articolo 23 con le modifiche operate dallo schema in esame.

 

Un’ulteriore modifica contemplata dalla lettera g) è quella recata dal numero 1) che interviene sulla rubrica dell’art. 23, attualmente “Disciplina della denuncia di inizio attività”, denominandola come “interventi subordinati a segnalazione certificata di inizio di attività in alternativa al permesso di costruire”.

 

Come anticipato, in conseguenza delle modifiche di cui al numero 2), le norme sulla super-DIA vengono ricollocate dai commi 3 e 5 dell’art. 22 al nuovo comma 01 dell’art. 23 del TUED, che ne riproduce i contenuti e in cui si fa ricorso all’utilizzo della locuzione “super-SCIA”, cioè di SCIA alternativa al permesso di costruire.

Gli interventi assoggettati a super-SCIA (e come tali soggetti al contributo di costruzione, in virtù del disposto del comma 5 dell’art. 22, che viene riprodotto nel nuovo comma 01 in questione) sono quindi gli stessi assoggettati in base alle norme vigenti a super-DIA, vale a dire, in sintesi:

a) gli interventi di ristrutturazione edilizia subordinati a permesso di costruire (cioè quelli indicati dall'articolo 10, comma 1, lettera c), del TUED, v. supra);

b) gli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica qualora disciplinati da piani attuativi che contengano precise disposizioni plano-volumetriche, tipologiche, formali e costruttive;

Il testo della lettera b) del nuovo comma 01 riproduce integralmente la disposizione vigente, anche nella parte ove si fa riferimento alla legge n. 443/2001 (c.d. “legge obiettivo”), che risulta ora abrogata dal D.Lgs. 50/2016.

c) gli interventi di nuova costruzione qualora siano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni plano-volumetriche.

 

Non viene invece modificato il testo del vigente comma 1 dell’art.23, ove permane quindi la dicitura “denuncia di inizio attività”. Nello stesso comma si prescrive che la super-DIA debba essere presentata “almeno trenta giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori”.

Nella relazione illustrativa viene sottolineato che “è abolita la DIA in alternativa al permesso di costruire, sostituita da una SCIA con inizio posticipato dei lavori … D'altra parte, considerata la rilevanza degli interventi edilizi in questione (quali la ristrutturazione edilizia c.d. pesante, la nuova costruzione o la ristrutturazione urbanistica), è stato ritenuto opportuno mantenere un inizio differito dei lavori”.

 

Modifiche all’art. 23-bis del TUED, relative alle autorizzazioni preliminari alla CILA (lettera h)

La lettera h) interviene sul comma 3 dell’articolo 23-bis del TUED (il riferimento a tale comma 3 andrebbe esplicitato nella novella), che dispone che le disposizioni dettate dai commi precedenti, relative alle autorizzazioni preliminari alla SCIA, si applicano anche alla CIL qualora siano necessari atti di assenso, comunque denominati, per la realizzazione dell'intervento edilizio.

La modifica è conseguente al venir meno della CIL (in virtù della semplificazione operata dalla lettera b), il cui riferimento viene sostituito con quello alla CILA prevista dall’art. 6-bis.

In base al nuovo disposto del comma 3, quindi, le norme relative alle autorizzazioni preliminari alla SCIA dettate dai commi 1 e 2 dell’art. 23-bis si applicano anche alla CILA (sempre “qualora siano necessari atti di assenso, comunque denominati, per la realizzazione dell'intervento edilizio”; tale condizione non viene modificata dalla novella in esame).

Modifica dell’art. 24 del TUED finalizzata a sostituire il certificato di agibilità con la segnalazione certificata di agibilità (lettere i e j)

La lettera i) prevede la modifica dell’articolo 24 del TUED, che disciplina il certificato di agibilità, al fine di sostituirlo con la segnalazione certificata di agibilità (d’ora in poi indicata con la sigla SCAGI). Nel testo del nuovo articolo 24 del TUED sono trasposte anche le principali disposizioni dell’art. 25 relative al procedimento di rilascio del citato certificato. La successiva lettera j) abroga conseguentemente l’art. 25 del TUED.

Il seguente testo a fronte evidenzia, in neretto, le innovazioni sostanziali apportate dal nuovo testo dell’art. 24 previsto dalla lettera in esame. Vengono inoltre riportate, in carattere blu, le disposizioni dell’art. 25 che trovano corrispondenza nel nuovo testo dell’art. 24 o comunque utili per confrontare la nuova disciplina con quella vigente.

 

Testo vigente dell’art. 24

e principali disposizioni dell’art. 25

Nuovo testo dell’art. 24

1. Il certificato di agibilità

attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente.

1. La segnalazione certificata di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente, nonché la conformità dell’opera al progetto presentato e la sua agibilità.

art. 25, comma 1

Entro quindici giorni dall'ultimazione dei lavori di finitura dell'intervento, il soggetto … è tenuto a presentare allo sportello unico la domanda di rilascio del certificato di agibilità

3 (primo periodo). Con riferimento agli interventi di cui al comma 2,

 

2. Entro quindici giorni dall’ultimazione dei lavori di finitura dell'intervento,

 

il soggetto titolare del permesso di costruire o il soggetto che ha presentato la segnalazione certificata di inizio attività o la denuncia di inizio attività, o i loro successori o aventi causa,

sono tenuti a chiedere il rilascio del certificato di agibilità.

il soggetto titolare del permesso di costruire, o il soggetto che ha presentato la segnalazione certificata di inizio di attività, o i loro successori o aventi causa,

2. Il certificato di agibilità viene rilasciato dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale con riferimento ai

presenta allo sportello unico per l’edilizia la segnalazione certificata di agibilità, per i

seguenti interventi:

a) nuove costruzioni;

b) ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali;

c) interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di cui al comma 1.

seguenti interventi:

a) nuove costruzioni;

b) ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali;

c) interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di cui al comma 1.

3 (secondo periodo). La mancata presentazione della domanda comporta l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da 77 a 464 euro.

3. La mancata presentazione della segnalazione di cui al comma 2 comporta l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da euro 77 a euro 464.

4-bis. Il certificato di agibilità può essere richiesto anche:

a) per singoli edifici o singole porzioni della costruzione, purché funzionalmente autonomi, qualora siano state realizzate e collaudate le opere di urbanizzazione primaria relative all'intero intervento edilizio e siano state completate e collaudate le parti strutturali connesse, nonché collaudati e certificati gli impianti relativi alle parti comuni;

b) per singole unità immobiliari, purché siano completate e collaudate le opere strutturali connesse, siano certificati gli impianti e siano completate le parti comuni e le opere di urbanizzazione primaria dichiarate funzionali rispetto all'edificio oggetto di agibilità parziale.

4. La segnalazione certificata di agibilità può riguardare anche:

a) singoli edifici o singole porzioni della costruzione, purché funzionalmente autonomi, qualora siano state realizzate e collaudate le opere di urbanizzazione primaria relative all’intero intervento edilizio e siano state completate e collaudate le parti strutturali connesse, nonché collaudati e certificati gli impianti relativi alle parti comuni;

b) singole unità immobiliari, purché siano completate e collaudate le opere strutturali connesse, siano certificati gli impianti e siano completate le parti comuni e le opere di urbanizzazione primaria dichiarate funzionali rispetto all’edificio oggetto di agibilità parziale.

art. 25, comma 5-bis

5-bis. Ove l'interessato non proponga domanda ai sensi del comma 1, fermo restando l'obbligo di presentazione della documentazione di cui al comma 3, lettere a), b) e d), del presente articolo e all'articolo 5, comma 3, lettera a), presenta la

 

 

5. La segnalazione certificata di agibilità è corredata dalla seguente documentazione:

dichiarazione del direttore dei lavori o, qualora non nominato, di un professionista abilitato, con la quale si attesta la conformità dell'opera al progetto presentato e la sua agibilità, corredata …

a) attestazione del direttore dei lavori o, qualora non nominato, di un professionista abilitato che assevera la sussistenza delle condizioni di cui al comma 1;

 

art. 25, comma 3, lett. a)

certificato di collaudo statico di cui all'articolo 67;

 

 

b) certificato di collaudo statico di cui all’articolo 67 ovvero, per gli interventi di cui al comma 8-bis del medesimo articolo, dichiarazione di regolare esecuzione resa dal direttore dei lavori;

art. 25, comma 3, lett. d)

dichiarazione di conformità delle opere realizzate alla normativa vigente in materia di accessibilità e superamento delle barriere architettoniche di cui all'articolo 77, nonché all'articolo 82.

 

c) dichiarazione di conformità delle opere realizzate alla normativa vigente in materia di accessibilità e superamento delle barriere architettoniche di cui all’articolo 77, nonché all’articolo 82;

4. Alla domanda per il rilascio del certificato di agibilità deve essere allegato copia della dichiarazione presentata per la iscrizione in catasto, redatta in conformità alle disposizioni dell'articolo 6 del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, e successive modificazioni e integrazioni.

d) gli estremi dell’avvenuta dichiarazione di aggiornamento catastale;

art. 25, comma 1, lett. c)

c) dichiarazione dell'impresa installatrice che attesta la conformità degli impianti installati negli edifici adibiti ad uso civile alle prescrizioni di cui agli articoli 113 e 127, nonché all'articolo 1 della legge 9 gennaio 1991, n. 10, ovvero certificato di collaudo degli stessi, ove previsto, ovvero ancora certificazione di conformità degli impianti prevista dagli articoli 111 e 126 del presente testo unico.

art. 25, comma 5-bis

dichiarazione dell'impresa installatrice che attesta la conformità degli impianti installati negli edifici alle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico valutate secondo la normativa vigente

 

e) dichiarazione dell’impresa installatrice, che attesta la conformità degli impianti installati negli edifici alle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico prescritte dalla disciplina vigente ovvero, ove previsto, certificato di collaudo degli stessi.

art. 25, comma 3.

Entro trenta giorni dalla ricezione della domanda di cui al comma 1, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, previa eventuale ispezione dell'edificio, rilascia il certificato di agibilità verificata la seguente documentazione:

 

6. L’utilizzo delle costruzioni di cui ai commi 2 e 4 può essere iniziato dalla data di presentazione allo sportello unico della segnalazione di cui al comma 2, corredata della documentazione di cui al comma 5, fatto salvo l’obbligo di conformare l’immobile alle eventuali prescrizioni stabilite dagli organi e dalle amministrazioni competenti, ad esito delle verifiche successive effettuate nel termine di cui all’articolo 19, comma 6-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241.

art. 25, comma 5-ter.

Le Regioni a statuto ordinario disciplinano con legge le modalità per l'effettuazione dei controlli.

 

 

 

7. Le Regioni, le Province autonome, i Comuni e le Città metropolitane, nell’ambito delle proprie competenze, disciplinano le modalità di effettuazione dei controlli, anche a campione e comprensivi dell’ispezione delle opere realizzate.

 

L’esame del testo a fronte precedente evidenzia come la principale novità sia costituita dal passaggio da un regime che prevede il rilascio del certificato di agibilità, su istanza del soggetto interessato, alla presentazione di una segnalazione certificata di agibilità da parte del soggetto medesimo.

In realtà questa innovazione è stata anticipata dall’art. 30 del D.L. 69/2013 (c.d. decreto del fare), che ha introdotto il comma 5-bis dell’art. 25 del TUED.

 

Tale comma prevede infatti che, ove l'interessato non presenti l’istanza per ottenere il certificato di agibilità, egli possa in alternativa (fermo restando l'obbligo di presentazione della documentazione richiesta) presentare la dichiarazione del direttore dei lavori o, qualora non nominato, di un professionista abilitato, con la quale si attesta la conformità dell'opera al progetto presentato e la sua agibilità, corredata dalla richiesta di accatastamento dell'edificio (che lo sportello unico provvede a trasmettere al catasto) e dalla dichiarazione dell'impresa installatrice che attesta la conformità degli impianti installati negli edifici alle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico valutate secondo la normativa vigente.

 

Novità altrettanto rilevante è quella esplicitata dal comma 6 del nuovo testo in esame, in base alla quale la presentazione della SCAGI consente sin da subito (cioè dalla data della sua presentazione allo sportello unico per l’edilizia, SUE) l’utilizzo dell’immobile o di sue parti.

Il comma 6 prevede infatti che l’utilizzo delle costruzioni di cui ai commi 2 (caso standard) e 4 (caso di presentazione della SCAGI per singole unità o porzioni di edificio) può essere iniziato dalla data di presentazione della SCAGI allo SUE, purché siano rispettate le seguenti condizioni:

§  la SCAGI dev’essere corredata dalla documentazione prescritta dal comma 5;

§  l’immobile deve essere conformato alle eventuali prescrizioni stabilite dagli organi e dalle amministrazioni competenti, ad esito delle verifiche successive effettuate nel termine di 30 giorni (vale a dire il termine fissato in via generale per l’efficacia della SCIA dall’articolo 19, comma 6-bis, della L. 241/1990).

 

Un’altra novità di rilievo è che la SCAGI non si limita, come invece fa il certificato di agibilità, ad attestare la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente, ma attesta anche la conformità dell’opera al progetto presentato e la sua agibilità.

Come già segnalato, si tratta di una novità anticipata dall’art. 30 del D.L. 69/2013, mediante la citata introduzione del comma 5-bis dell’art. 25 TUED.

Si ricorda nuovamente che tale comma, in alternativa al rilascio del certificato di agibilità, prevede che l’interessato presenti, tra l’altro, una dichiarazione del direttore dei lavori o, qualora non nominato, di un professionista abilitato, con la quale si attesta la conformità dell'opera al progetto presentato e la sua agibilità.

 

Ulteriori novità riguardano:

- l’integrazione operata dalla lettera b) del comma 5 del nuovo testo in esame, che è conseguente all’inserimento (da parte della lettera y) di un nuovo comma 8-bis all’art. 67, finalizzato a sostituire il certificato di collaudo (per gli interventi di riparazione e per gli interventi locali sulle costruzioni esistenti, come definiti dalla normativa tecnica) con la dichiarazione di regolare esecuzione resa dal direttore dei lavori;

- l’attribuzione non solo alle regioni, ma anche alle Province autonome, ai Comuni e alle Città metropolitane, nell’ambito delle proprie competenze, del potere di disciplinare le modalità di effettuazione dei controlli, stabilendo altresì che tale disciplina possa prevedere anche controlli a campione e comprensivi dell’ispezione delle opere realizzate.

 

Modifiche di coordinamento conseguenti alla sostituzione del certificato di agibilità con la SCAGI (lettere k), w) e x)

Le lettera k), w) e x) recano modifiche di coordinamento, conseguenti alla sostituzione (operata dalla lettera i) del certificato di agibilità con la SCAGI.

Modifiche di coordinamento conseguenti alla ricollocazione della disciplina della super-DIA, ora super-SCIA (lettere da l) a v)

Le lettere da l) a v) sostituiscono i rinvii al comma 3 dell’art. 22, ove nel testo vigente è contenuta la disciplina della super-DIA, con rinvii al comma 01 dell’art. 23, in virtù dello spostamento in tale ultimo comma della vigente disciplina, che viene inoltre ridenominata come SCIA (e non più DIA) alternativa al permesso di costruire, cioè “super-SCIA”.

Modifiche all’art. 67 del TUED in materia di collaudo statico (lettera y)

La lettera y) apporta una serie di modifiche all’art. 67 del TUED in materia di collaudo statico.

La modifica più rilevante appare quella operata dal numero 4), che prevede la sostituzione del certificato di collaudo con la dichiarazione di regolare esecuzione resa dal direttore dei lavori per alcuni interventi minori individuati negli interventi di riparazione e negli interventi locali sulle costruzioni esistenti, come definiti dalla normativa tecnica (nuovo comma 8-bis dell’art. 67).

Conseguente a tale modifica è quella disposta dal numero 1), che interviene sulla disposizione che prescrive l’obbligo del collaudo statico per tutte le costruzioni in conglomerato cementizio armato e/o a struttura metallica (cioè quelle definite dall’art. 53 TUED) la cui sicurezza possa comunque interessare la pubblica incolumità, facendo salvo il disposto del nuovo comma 8-bis.

 

Un’ulteriore modifica è apportata dal numero 2), che dispone che il deposito del certificato di collaudo statico equivale al certificato di rispondenza dell’opera alle norme tecniche per le costruzioni previsto dall’articolo 62 (nuovo ultimo periodo del comma 7).

 

L’art. 62 del TUED prevede che il rilascio della licenza d'uso per gli edifici costruiti in cemento armato e dei certificati di agibilità da parte dei comuni (il richiamo ai certificati di agibilità è eliminato dalla lettera x), che fa riferimento alla “attestazione di cui all’articolo 24, comma 1”, cioè all’attestazione fornita con la SCAGI è condizionato all'esibizione di un certificato da rilasciarsi dall'ufficio tecnico della regione, che attesti la perfetta rispondenza dell'opera eseguita alle norme del capo quarto (intitolato “Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche”).

 

Il numero 3) modifica il comma 8 al fine di prevedere che la SCAGI deve essere corredata da una copia del certificato di collaudo.

L’attuale testo del comma 8 dispone che per il rilascio di licenza d'uso o di agibilità, se prescritte, occorre presentare all'amministrazione comunale una copia del certificato di collaudo.

L’intervento operato dal numero 3) sembra finalizzato a sopprimere il riferimento alla “licenza d’uso”. Tale licenza è richiamata dall’art. 62, anche a seguito delle modifiche di cui alla lettera x) dello schema in esame (v. supra).

Modifiche all’art. 82 del TUED in materia di barriere architettoniche (lettera z)

La lettera in esame apporta una serie di modifiche ai commi 4 e 5 dell’art. 82 del TUED che sono consequenziali alla sostituzione (operata dalla lettera i) del certificato di agibilità con la SCAGI, che sono riportate nel seguente testo a fronte.

In particolare, merita soffermarsi sul numero 2), che sopprime l’ultimo periodo del comma 4 ove si prevede che il comune possa richiedere, al proprietario dell'immobile o all'intestatario del permesso di costruire, una dichiarazione di un tecnico abilitato atta a dimostrare che le opere siano state realizzate nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di eliminazione delle barriere architettoniche.

 

La SCAGI, infatti, ai sensi del nuovo testo dell’art. 24, comma 5, include, tra l’altro, una “dichiarazione di conformità delle opere realizzate alla normativa vigente in materia di accessibilità e superamento delle barriere architettoniche di cui all’articolo 77, nonché all’articolo 82”.

 

Testo vigente

Nuovo testo

4.  Il rilascio del permesso di costruire per le opere di cui al comma 1 è subordinato alla verifica della conformità del progetto compiuta dall'ufficio tecnico o dal tecnico incaricato dal comune.

Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, nel rilasciare il certificato di agibilità per le opere di cui al comma 1, deve accertare che le opere siano state realizzate nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di eliminazione delle barriere architettoniche.

A tal fine può richiedere al proprietario dell'immobile o all'intestatario del permesso di costruire una dichiarazione resa sotto forma di perizia giurata redatta da un tecnico abilitato.

 

5.  La richiesta di modifica di destinazione d'uso di edifici in luoghi pubblici o aperti al pubblico è accompagnata dalla dichiarazione di cui al comma 3. Il rilascio del certificato di agibilità è condizionato alla verifica tecnica della conformità della dichiarazione allo stato dell'immobile.

4.  Il rilascio del permesso di costruire per le opere di cui al comma 1 è subordinato alla verifica della conformità del progetto compiuta dall'ufficio tecnico o dal tecnico incaricato dal comune.

Il comune, nell’ambito dei controlli della segnalazione certificata di agibilità, per le opere di cui al comma 1, deve accertare che le opere siano state realizzate nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di eliminazione delle barriere architettoniche.

 

 

 

 

 

 

 

 

5.  La richiesta di modifica di destinazione d'uso di edifici in luoghi pubblici o aperti al pubblico è accompagnata dalla dichiarazione di cui al comma 3. I controlli della segnalazione certificata di agibilità prevedono la verifica della dichiarazione allo stato dell'immobile.

 


 

Tabella A
(Sezione II edilizia – Interventi edilizi, regimi amministrativi e adempimenti successivi agli interventi)

La sezione II “Edilizia” della tabella A si articola in sei sottosezioni:

- “ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi” (tabella 1), che individua i regimi amministrativi connessi alle diverse attività edilizie private ivi indicate;

- “permesso di costruire nel caso in cui sia necessario acquisire altri atti di assenso” (tabella 1.1), che indica il regime amministrativo applicabile nei casi in cui, in ragione della peculiarità dell’intervento edilizio, siano necessari altri atti di assenso in aggiunta al permesso di costruire;

- “CILA e SCIA nel caso in cui sia necessario acquisire altri atti di assenso” (tabella 1.2) che, in analogia con la tabella 1.1, individua i regimi amministrativi da applicare nel caso siano necessari atti di assenso ulteriori rispetto alla SCIA o alla CILA presentate dagli interessati;

- “attività edilizia libera: casi in cui è necessario acquisire preventivamente un diverso titolo di legittimazione” (tabella 1.3), che specifica i procedimenti connessi alla necessità di acquisire degli atti di assenso anche in caso di attività edilizia libera;

- “altri adempimenti successivi all’intervento edilizio” (tabella 2) che individua gli ulteriori adempimenti successivi all’intervento edilizio, ed il relativo regime amministrativo;

- “impianti alimentati da fonti rinnovabili”, che specifica il regime giuridico relativo agli interventi edilizi concernenti gli impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili (di cui si parlerà nella successiva scheda).

 

In particolare, la tabella 1 “Ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi” provvede ad elencare i vari casi di interventi edilizi contemplati dalle norme del testo unico in materia edilizia (d’ora in poi TUED) di cui al D.P.R. 380/2001. In sostanza, per ogni tipologia di intervento, è individuato il titolo abilitativo necessario per la sua esecuzione, che è desumibile dal testo delle disposizioni del TUED come innovate dallo schema in esame (si rinvia alla scheda relativa all’articolo 3 per una disamina delle novità introdotte).

Si segnala che il numero 16  include tra le attività di edilizia libera l’installazione di “manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore”. Al riguardo, si fa presente che la lettera e.5 del comma 1 dell’art. 3 del D.P.R. 380/2001 si limita a richiedere il permesso di costruire nel caso in cui le citate installazioni non siano ricomprese in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate; l’inclusione delle citate installazioni tra le attività di edilizia libera, ove ricomprese in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti  (e previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore), non è pertanto esplicitata nella normativa vigente.

Si riportano di seguito alcune considerazioni, che evidenziano profili di non piena rispondenza tra quanto indicato nella tabella e i richiami ai riferimenti normativi.

Nel numero 8, relativo alla c.d. ristrutturazione edilizia cosiddetta “pesante”, viene parzialmente riprodotto il testo della lettera c) del comma 1 dell’art. 10 del TUED, che contiene la definizione di tale tipo di intervento.

Al riguardo, si segnala che in tale numero non viene riportata l’ultima parte della definizione, che include nella c.d. ristrutturazione edilizia pesante anche “gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni”. Si segnala altresì, sempre con riferimento al numero 8, che nell’ultima colonna si fa erroneamente riferimento all’art. 22, comma 3, che risulta abrogato dall’art. 3, comma 1, lettera f), numero 4), dello schema in esame. Le disposizioni cui il numero 8 si riferisce sono trasposte, dalla successiva lettera g), numero 2), nel nuovo comma 01 dell’art. 23 del TUED alla lettera a).

 

Il numero 11 riguarda l’ampliamento fuori sagoma, ossia l’ampliamento di manufatti edilizi esistenti, fuori terra o interrati, all’esterno della sagoma esistente fermo restando, per gli interventi pertinenziali quanto previsto alla lettera e.6).

Si osserva che, nel richiamare il disposto della lettera e.6), andrebbe chiarito che si fa riferimento al comma 1 dell’art. 3 del TUED.

Analoga precisazione sembrerebbe opportuna al numero 19, ove in luogo dell’espressione “definite alle lettere precedenti” si potrebbero richiamare “le lettere a), b), c) e d) del comma 1 dell’art. 3 del TUED”.

Per quanto riguarda le ipotesi di SCIA alternativa al permesso di costruire (c.d. super-SCIA), nel ricordare che il nuovo comma 01 dell’art. 23 del TUED (introdotto dalla lettera g) dello schema in esame) prevede tre differenti tipi di interventi, nel paragrafo 1 in esame sembrano essere considerate solo le prime due fattispecie (ai punti 8 e 10).

Si osserva, pertanto, che nella tabella non sembra essere riportata la tipologia di interventi realizzabili mediante la SCIA alternativa al permesso di costruire, di cui alla lettera c) del citato comma 01 dell’articolo 23 del TUED, vale a dire quella relativa agli “interventi di nuova costruzione qualora siano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni plano-volumetriche”.

Al numero 35, si richiama il comma 2 dell’art. 22 del TUED, che definisce le varianti realizzabili mediante SCIA.

Si segnala che, come rilevato anche nel parere del Consiglio di Stato, nella seconda colonna, quella ove viene evidenziato il titolo abilitativo necessario, e nella terza viene erroneamente indicata la dicitura CILA e, nel riprodurre il testo del comma 2 dell’art. 22 del TUED, non si considera la modifica operata dall’art. 3, comma 1, lettera f), numero 3), dello schema in esame, che provvede a sostituire le parole “del rilascio del certificato di agibilità” con le parole “dell’agibilità”.

Al numero 40, concernente il permesso di costruire in sanatoria, si fa erroneamente riferimento, per ben due volte, all’art. 22, comma 3, che risulta abrogato dall’art. 3, comma 1, lettera  f), numero 4), dello schema in esame. Le disposizioni dettate dal citato comma 3 sono infatti trasposte, dalla successiva lettera g), numero 2), nel nuovo comma 01 dell’art. 23 del TUED.

Si fa infine notare che nei numeri  2, 7, 8 e 35, si sostituisce all’espressione “modifiche delle destinazioni d’uso” l’espressione “mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d’uso”. Si tratta in verità di una modifica non sostanziale: la dizione utilizzata è infatti quella che viene poi riportata al numero 39, che riproduce il disposto dell’art. 23-ter, comma 1, del TUED.

 

Le tabelle 1.1., 1.2 e 1.3 elencano le medesime tipologie di attività per le quali, a seconda se si tratti di permesso di costruire o di CILA e SCIA  o di attività edilizia libera (nel caso in cui sia necessario acquisire atti di assenso), sono indicati i regimi amministrativi e la concentrazione di regimi amministrativi (ai sensi dell’articolo 19-bis della legge n. 241/1990). Tra le attività elencate si segnalano, a titolo esemplificativo, gli interventi edilizi riconducibili alle categorie B e C della tabella di cui all’allegato I del D.P.R. n. 151 del 2011 nell’ambito delle attività soggette alle visite e ai controlli di prevenzione incendi, gli interventi di lieve entità (ai sensi del D.P.R. 139/2010 recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità), gli interventi da realizzare in aree naturali protette.

 

I numeri 44, 60 e 76 elencano i regimi amministrativi per le attività di utilizzo di terre e rocce da scavo come sottoprodotti che provengono da opere soggette a DIA o AIA. Le norme richiamate fanno riferimento al D.M. 161/2012 (Regolamento recante la disciplina dell'utilizzazione delle terre e rocce da scavo), e segnatamente all’articolo 5 che disciplina il piano di utilizzo.

Si ricorda, al riguardo, che è in attesa di pubblicazione in G.U. il nuovo regolamento sulla gestione delle terre e rocce da scavo (Atto Governo n. 279), che tra l’altro abroga il predetto regolamento. 

 

Il numero 57 indica come regime amministrativo la comunicazione asseverata per la realizzazione di opere in conglomerato cementizio e armato normale, precompresso e a struttura metallica.

Il Consiglio di Stato, nel suo parere, rileva che, alla colonna della concentrazione di regimi amministrativi, la parola “denuncia” deve essere sostituita con la parola “comunicazione”, atteso che si converte in una attività sottoposta al regime della “comunicazione asseverata”.  

L’articolo 65 del T.U. in materia edilizia, richiamato nella colonna dei riferimenti normativi, disciplina la denuncia dei lavori di realizzazione e relazione a struttura ultimata di opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica.

 

La tabella 2 degli altri adempimenti successivi all’intervento edilizio, relativamente al numero 93 (“Comunicazione di fine lavori”), richiama, quale normativa applicabile, l’art. 15, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 380 del 2001. Il Consiglio di Stato, in proposito, specifica che tale norma tuttavia, concerne il solo permesso di costruire mentre l’istituto della comunicazione di fine lavori si applica anche all’ipotesi di interventi sottoposti al regime della CILA e della SCIA: pertanto, sarebbe opportuno sopprimere, alla colonna 3 della tabella 2, il richiamo all’art. 15, commi 1 e 2, mantenendo solamente il complessivo richiamo al d.P.R. n. 380 del 2001, al fine di non creare incertezze interpretative sul punto.

 

 

 

 


 

Tabella A
(Sezione II edilizia-Fonti rinnovabili)

In relazione all’attività di cui al numero 98 (“Costruzione, esercizio e modifica di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili al di sotto della soglia”), la Tabella prevede che le opere ivi indicate debbano essere assentite tramite autorizzazione – fatta salva l’applicazione del silenzio assenso – ai sensi degli artt. 12, comma 5, del d.lgs. n. 387 del 2003 e 6 del d.lgs. n. 28 del 2011.

Tuttavia, l’articolo 12, comma 5, del D.lgs. n. 387/2003 prevede che “quando la capacità di generazione sia inferiore alle soglie individuate dalla tabella A allegata al presente decreto, con riferimento alla specifica fonte, si applica la disciplina della denuncia di inizio attività di cui agli articoli 22 e 23 del T.U. di cui al D.P.R. n. 380/2001 e ss.mod”.

Mentre, l’articolo 6 del D.lgs. n. 28/2011 dispone che i medesimi interventi possano essere realizzati dagli interessati previa trasmissione al comune competente di “una dichiarazione accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali …”.

Ne consegue, come anche rilevato dal Consiglio di Stato, che gli interventi relativi a impianti alimentati da fonti rinnovabili sotto soglia debbano essere assentiti non tramite autorizzazione ma tramite una dichiarazione certificata da inoltrare al comune competente, sostanzialmente analoga alla SCIA.

Pertanto, occorre che sia modificata l’individuazione del regime applicabile.

Di conseguenza, occorrerebbe anche specificare, al punto 97 (Costruzione, esercizio e modifica di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili oltre a determinate soglie di potenza) il riferimento normativo all’articolo 12, comma 3 della legge n. 387/2003.

Inoltre, nel punto 97, non si cita la fonte idraulica.

 

Al punto 98 (Costruzione, esercizio e modifica di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili al di sotto della soglia) si indica come regime l’autorizzazione/silenzio assenso, e si richiama a tal fine l’articolo 12, comma 5 del D.Lgs. n. 387/2003.

L’articolo 12, comma 5 del D.Lgs. n. 387/2003 dispone che all'installazione degli impianti di fonte rinnovabile di cui all'articolo 2, comma 1, lettere b) e c) del medesimo D.Lgs. e dunque:

·       agli impianti alimentati da fonti rinnovabili programmabili: impianti alimentati dalle biomasse e dalla fonte idraulica, ad esclusione, per quest'ultima fonte, degli impianti ad acqua fluente, nonché gli impianti ibridi,

·       agli impianti alimentati da fonti rinnovabili non programmabili o comunque non assegnabili ai servizi di regolazione di punta che non rientrano tra quelli di cui sopra;

per i quali non è previsto il rilascio di alcuna autorizzazione, non si applicano le procedure autorizzatorie di cui ai commi 3 e 4 (autorizzazione unica). Ai medesimi impianti, quando la capacità di generazione sia inferiore alle soglie individuate dalla tabella A allegata al D.Lgs., con riferimento alla specifica fonte, si applica la disciplina della denuncia di inizio attività (ora segnalazione certificata di inizio attività). Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza unificata, possono essere individuate maggiori soglie di capacità di generazione e caratteristiche dei siti di installazione per i quali si procede con la medesima disciplina della denuncia di inizio attività ora segnalazione certificata di inizio attività).

Sarebbe pertanto opportuno un chiarimento circa il regime applicabile.

 

In relazione all’attività di cui al numero 99 sarebbe opportuno esplicitare che si tratta di “attività in edilizia libera” di cui comma 11, articolo 6 del D.Lgs. n. 28/2011.

 

Si segnala, inoltre, che la Tabella non sono contenute previsioni circa il regime applicabile per la posa in opera degli impianti di produzione di calore da risorsa geotermica, ovvero sonde geotermiche, destinati al riscaldamento e alla climatizzazione di edifici.

 

Si ricorda al riguardo, che l’articolo 7, comma 4 del D. Lgs. n. 28/2011 demanda ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico la definizione delle prescrizioni per la posa in opera degli impianti di produzione di calore da risorsa geotermica, ovvero sonde geotermiche, destinati al riscaldamento e alla climatizzazione di edifici, e l’individuazione dei casi in cui si applica la procedura abilitativa semplificata di cui all’articolo 6 del medesimo D.Lgs.

In relazione all’attività di cui al numero 103 (“Realizzazione di impianti di produzione di biometanoidi con capacità produttiva non superiore a 500 standard metri cubi/ora”), la Tabella prevede che le opere ivi indicate debbano essere assentite tramite autorizzazione – fatta salva l’applicazione del silenzio assenso – ai sensi dell’art. 8-bis, lettera) del D.lgs. n. 28/2011.

Tuttavia l’articolo 8-bis, lettera a), del D.lgs. n. 28/2011 prevede “la procedura abilitativa semplificata di cui agli articoli 5 e 6 del medesimo D.Lgs. per i nuovi impianti di capacità produttiva, non superiore a 500 standard metri cubi/ora, nonché per le opere di modifica e per gli interventi di parziale o completa riconversione alla produzione di biometano di impianti di produzione di energia elettrica alimentati a biogas, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione, che non comportano aumento e variazione delle matrici biologiche in ingresso”. Si richiede pertanto un chiarimento riguardo al regime applicabile.

 

Posto che la Tabella dedica una sottosezione specifica agli impianti a fonti rinnovabili, si valuti l’opportunità di integrare la medesima Tabella con ulteriori apposite sotto sezioni, rispettivamente dedicate alle procedure applicabili per la costruzione o modifica di altre tipologie di impianti ed infrastrutture energetiche, quali, ad esempio, gli impianti di energia elettrica alimentati a fonti fossili, gli elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto dell'energia elettrica, i terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto.

Al riguardo, si ricorda che, ai sensi del D.Lgs. n. 112/1998 è di competenza statale la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW, per quelli di potenza inferiore la competenza è provinciale. Il D.L. n. 7/2002, convertito in legge n. 55/2002, all’articolo 1 dispone che la realizzazione degli impianti di energia elettrica di potenza superiore ai 300 MW termici, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili all’esercizio degli stessi, sono dichiarate opere di pubblica utilità e soggette a una autorizzazione unica, che sostituisce autorizzazioni, concessioni ed atti di assenso comunque denominati, previsti dalle norme vigenti, anche in materia ambientale. Il procedimento unico, al quale partecipano le Amministrazioni interessate, è svolto secondo le modalità di cui alla Legge 241/1990, e successive modificazioni ed integrazioni. L’esito positivo della Valutazione d'Impatto Ambientale (V.I.A.) costituisce parte integrante e condizione necessaria del procedimento autorizzatorio e l’istruttoria, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del D.L. n. 7/2002, si conclude una volta acquisita la V.I.A. dell'opera (ai veda anche l’articolo 1-quater del D.L. n. 239/2003 conv., con modificazioni, in legge n. 290/2003).

Per ciò che concerne gli elettrodotti, l’articolo 1-sexies del D.L. n. 239/2003 dispone che la costruzione e l'esercizio degli elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto dell'energia elettrica sono attività di preminente interesse statale e sono soggetti a un'autorizzazione unica comprendente tutte le opere connesse e le infrastrutture indispensabili all’esercizio degli stessi, rilasciata dal Ministero dello sviluppo economico di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e previa intesa con la regione o le regioni interessate, la quale sostituisce autorizzazioni, concessioni, nulla osta e atti di assenso comunque denominati previsti dalle norme vigenti e comprende ogni opera o intervento necessari alla risoluzione delle interferenze con altre infrastrutture esistenti, costituendo titolo a costruire e ad esercire tali infrastrutture, opere o interventi e ad attraversare i beni demaniali, in conformità al progetto approvato.

Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio provvede alla VIA e alla verifica della conformità delle opere al progetto autorizzato.

L’articolo 46 del D.L. n. 159/2007 dispone in relazione ai terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto, che gli atti amministrativi relativi alla costruzione e all’esercizio di tali terminali e delle opere connesse sono rilasciati a seguito di procedimento unico ai sensi della legge n. 241/1990 con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e d’intesa con la regione interessata, previa VIA. Il procedimento di autorizzazione si conclude nel termine massimo di duecento giorni dalla data di presentazione della relativa istanza.

L’autorizzazione, ai sensi dell’articolo 14-ter, comma 9, della legge n. 241/1990 sostituisce ogni autorizzazione, concessione o atto di assenso comunque denominato, ivi compresi la concessione demaniale e il permesso di costruire, fatti salvi la successiva adozione e l’aggiornamento delle relative condizioni economiche e tecnico-operative da parte dei competenti organi del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

 

Si valuti l’opportunità – anche in relazione a quanto previsto dall’articolo 1, comma 2 del D.Lgs. n. 126/2016, di integrare la Tabella con le fattispecie previste a legislazione vigente e non indicate.


 

 

Articolo 4
(Procedura di bonifica da parte del soggetto estraneo alla potenziale contaminazione)

 

L’articolo 4, comma 1, introduce, sostituendo le disposizioni contenute nell’art. 245 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (cd. Codice dell’ambiente), una nuova disciplina in materia di procedure di bonifica da effettuarsi nei siti contaminati da parte del soggetto estraneo alla potenziale contaminazione, che prevede:

-        la comunicazione agli enti competenti e l’attuazione delle misure di prevenzione (comma 1);

-        la possibilità di attivare gli interventi di bonifica del sito e di completare quelli eventualmente già avviati  (comma 2);

-        l’attestazione della estraneità rispetto alla potenziale contaminazione attraverso una dichiarazione (comma 3);

-        l’obbligo di una comunicazione da parte del soggetto estraneo alla potenziale contaminazione, sulla volontà di effettuare gli interventi di bonifica, nonché il conseguente avvio delle procedure di bonifica (commi 4 e 5);

-        la presentazione di un piano di indagine in un’area interessata da fenomeni naturali o antropici (comma 6);

-        la possibilità di attivare la procedura di bonifica attraverso la suddivisione del sito in lotti (comma 7, lettera a);

-         la possibilità di stipulare un protocollo di intesa con le agenzie per la protezione ambientale competenti a livello territoriale per il piano di caratterizzazione e la validazione dei dati (comma 7, lettera b);

-        la prestazione di garanzie finanziarie per gli interventi di bonifica (comma 7, lettere c e d);

-        specifici obblighi per gli interventi di bonifica delle acque di falda (comma 8).

Il comma 2 dell’articolo 4 prevede l’applicabilità delle nuove previsioni anche a procedimenti in corso.

 

L’art. 245 disciplina, nell’ambito delle disposizioni degli articoli contenuti nel Titolo V, parte quarta (bonifica dei siti contaminati), gli obblighi di intervento e di notifica dei soggetti non responsabili della contaminazione.

Nel caso di rilevamento del superamento o di pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC), il comma 2 dell’art. 245 prevede l’obbligo per i proprietari o i gestori incolpevoli del sito di effettuare una comunicazione agli enti competenti, nonché a porre in essere “misure di prevenzione”, secondo la procedura indicata all’art. 242.

Per quanto riguarda invece le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale, disciplinate sempre nel citato Titolo V del cd. Codice dell’ambiente, il comma 1 dell’art. 245 prevede comunque la facoltà di attivare tali procedure su iniziativa degli interessati non responsabili.

Il comma 2, ultimo periodo, dell’art. 245, ribadendo il principio contenuto al comma 1, riconosce comunque al proprietario o ad altro soggetto interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli interventi di bonifica necessari nell'ambito del sito in proprietà o disponibilità.

 

Il nuovo articolo 245 disciplina di fatto una nuova procedura di bonifica da effettuarsi nei siti contaminati riservata al soggetto estraneo alla potenziale contaminazione. Tale procedura si inserisce in un quadro normativo in cui operano non solo le procedure ordinarie di bonifica (art. 242 e 252 per i siti inquinati di interesse nazionale), ma anche procedure semplificate (art. 242-bis) finalizzate ad “accelerare” i citati procedimenti ordinari.

 

Per la bonifica dei siti inquinati, nel Titolo V, parte quarta del d.lgs. 152/2006, l’articolo 242 disciplina le procedure operative ed amministrative di tipo ordinario previste a carico del soggetto responsabile dell’inquinamento, per i siti la cui competenza appartiene alle regioni, l’articolo 252 individua i siti di interesse nazionale, a cui applicare la medesima disciplina contenuta all’articolo 242, la cui competenza appartiene al Ministero dell’ambiente, e l’articolo 252-bis i siti inquinati nazionali di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale.

 

Nel medesimo Titolo V, è stato aggiunto l’articolo 242-bis (introdotto dall’art. 13, commi 1-3, D.L. 91/2014, successivamente modificato dall’art. 34, comma 10-bis, lettere a) e b), del D.L. 133/2014) che prevede una procedura semplificata per le operazioni di bonifica del suolo che l'operatore interessato effettua, a proprie spese, per la riduzione della contaminazione ad un livello uguale o inferiore ai valori di concentrazione soglia di contaminazione. Tale disciplina, alternativa alla procedura ordinaria (disciplinata dall'art. 242) è applicabile anche ai siti di interesse nazionale (la cui procedura ordinaria è disciplinata dall'art. 252 del medesimo Codice).

Per ulteriori elementi di informazione in merito alle predette procedure, si rinvia al box in calce alla presente scheda.

Specifiche disposizioni in materia di bonifica sono state adottate nella legislatura in corso; per una disamina di tali disposizioni si rinvia al tema web Bonifiche dei siti inquinati e danno ambientale.

 

Relativamente a tale nuova disciplina, il Consiglio di Stato, nel suo parere, rileva in via generale che tale “impianto potrebbe essere ulteriormente rafforzato, con riferimento al sistema di incentivi…. in altri termini, non c’è alcuna previsione di stimolo diretto all’iniziativa privata, che resterebbe confinata a quelle situazioni in cui il proprietario o il gestore del sito abbia un interesse prevalente ad assumersi gli oneri di bonifica, salva la possibilità di rivalsa nei confronti del responsabile. Ad esempio, potrebbero essere introdotte agevolazioni o benefici legati all’attività di gestione successiva dell’area bonificata”.

 

Di seguito, sono analizzate le disposizioni previste dal nuovo art. 245, che disciplinano la procedura di bonifica da parte del soggetto estraneo alla potenziale contaminazione.

 

 

La comunicazione della potenziale contaminazione e l’attuazione delle misure di prevenzione (nuovo art. 245, comma 1, del d.lgs. 152/2006)

 

Come già previsto dal vigente art. 245, comma 2, anche nel nuovo articolo 245, comma 1, si ribadisce l’obbligo di comunicazione agli enti competenti da parte del soggetto estraneo alla potenziale contaminazione del superamento o del pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC) nel sito, facendo salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di cui all'articolo 242. Il regime della comunicazione è richiamato anche nel numero 34 della sezione III della Tabella A.

Il nuovo articolo 245 prevede, dopo l’effettuazione della suddetta comunicazione, l’obbligo da parte del proprietario, gestore o soggetto che ha la disponibilità del sito, di attuazione delle misure di prevenzione seguendo le procedure e le modalità di cui all'articolo 242, comma 1, che prevede in particolare che - al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito - siano attivate, entro ventiquattro ore, le misure necessarie di prevenzione, dandone immediata comunicazione ai sensi e con le modalità di cui all'articolo 304, comma 2

 

Per misure di prevenzione, l’art. 240 del d.lgs. 152/2006, recante le definizioni inerenti agli interventi di bonifica dei siti, intende “le iniziative per contrastare un evento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambiente, intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia”. Ai sensi del citato art. 242, comma 1, tali misure devono essere poste in essere nell’immediatezza della scoperta della contaminazione, nelle prime 24 ore dalla stessa.

L’art. 304, comma 2, prevede che l'operatore deve far precedere gli interventi di prevenzione e messa in sicurezza da apposita comunicazione al comune, alla provincia, alla regione, o alla provincia autonoma nel cui territorio si prospetta l'evento lesivo, nonché al Prefetto della provincia che nelle ventiquattro ore successive informa il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Tale comunicazione deve avere ad oggetto tutti gli aspetti pertinenti della situazione, ed in particolare le generalità dell'operatore, le caratteristiche del sito interessato, le matrici ambientali presumibilmente coinvolte e la descrizione degli interventi da eseguire. La comunicazione, non appena pervenuta al comune, abilita immediatamente l'operatore alla realizzazione degli interventi di cui al comma 1. Se l'operatore non provvede a tali interventi e alla comunicazione, l'autorità preposta al controllo o comunque il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare irroga una sanzione amministrativa non inferiore a mille euro né superiore a tremila euro per ogni giorno di ritardo.

 

Il nuovo articolo 245, comma 1, prevede, inoltre, in modo analogo al vigente art. 245, che la regione (nella normativa vigente si fa riferimento alla provincia), ricevuta la comunicazione, si attivi, sentito il comune, per l'identificazione del soggetto responsabile al fine di dar corso agli interventi di bonifica, specificando che nel caso in cui gli interventi di bonifica ricadano in un sito inquinato di interesse nazionale (SIN) la procedura di bonifica è attribuita alla competenza del Ministero dell’ambiente.

 

Le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC), secondo la definizione riportata all’art. 240, comma 1, lettera b), del d.lgs. 152/2006, corrispondono ai livelli di contaminazione delle matrici ambientali che costituiscono valori al di sopra dei quali è necessaria la caratterizzazione del sito e l'analisi di rischio sito specifica. Nel caso in cui il sito potenzialmente contaminato sia ubicato in un'area interessata da fenomeni antropici o naturali che abbiano determinato il superamento di una o più concentrazioni soglia di contaminazione, queste ultime si assumono pari al valore di fondo esistente per tutti i parametri superati.

Qualora invece la contaminazione rilevata nelle matrice ambientali risulti inferiore ai valori CSC allora – come chiarisce l’art. 240, comma 1, lettera f), del citato decreto legislativo – il sito viene considerato “non contaminato”. Le CSC sono individuate nell’Allegato 5 alla parte quarta del d.lgs. 152/2006, che elenca le CSC nel suolo e nel sottosuolo in relazione alla specifica destinazione d'uso (a verde pubblico, privato e residenziale oppure ad uso commerciale e industriale) dei siti da bonificare, nonché le CSC nelle acque sotterranee.

Si ricorda brevemente la differenza tra CSR e CSC, richiamando le pertinenti definizioni contenute nell’art. 240 del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente). Le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) – di cui si è già riportata la definizione – sono i limiti tabellari considerati come valori soglia, uguali su tutto il territorio nazionale, al di sotto dei quali il sito si considera “non contaminato”. Le concentrazioni soglia di rischio (CSR) sono invece i livelli di contaminazione delle matrici ambientali, da determinare caso per caso con l'applicazione della procedura di analisi di rischio sito specifica secondo i principi illustrati nell'Allegato 1 alla parte IV e sulla base dei risultati del piano di caratterizzazione. Per valutare se un sito è potenzialmente contaminato si controlla, ai sensi della lettera d) del comma 1 dell’art. 240, il rispetto dei valori di CSC. Se le soglie CSC sono superate allora occorre effettuare le operazioni di caratterizzazione e di analisi di rischio sanitario e ambientale sito specifica, che ne permettano di determinare lo stato o meno di contaminazione sulla base delle CSR. Se quindi le CSR sono superate occorrerà procedere alla bonifica del sito al fine di riportarlo in una condizione che garantisca il rispetto delle CSC o dei valori di CSR (solitamente superiori a quelli di CSC) determinate a seguito dell'analisi di rischio sanitario e ambientale sito specifica.

Quanto al piano di caratterizzazione, in estrema sintesi si tratta di un documento progettuale che definisce le attività di indagine, le modalità di esecuzione delle stesse e le sostanze contaminanti da ricercare, in funzione delle conoscenze storiche di un sito e delle attività/impianti potenzialmente critici presenti. Esso deve essere elaborato secondo rigide procedure e rispondere a precisi requisiti indicati nell'allegato 2 al Titolo V della parte quarta del D.Lgs. 152/2006.

 

L’attivazione degli interventi di bonifica e la dichiarazione di estraneità (nuovo art. 245, commi 2 e 3, del d.lgs. 152/2006)

 

Il comma 2 del nuovo articolo 245 appare innovativo rispetto al combinato disposto del comma 1 e dell’ultimo periodo del comma 2 del vigente articolo 245, in quanto prevede non solo, in modo analogo al testo vigente richiamato, la possibilità di attivare gli interventi di bonifica del sito, ma anche di completare gli interventi eventualmente già avviati, da parte del soggetto interessato estraneo alla potenziale contaminazione che ha la proprietà, la gestione o la disponibilità del sito stesso, in cui è stato rilevato il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento di CSC, sulla base delle procedure disciplinate dal Titolo V del Codice dell’ambiente, fermo restando quanto previsto dall’articolo 253, comma 4, sul diritto di rivalsa nei confronti del soggetto responsabile.

 

Gli interventi di bonifica costituiscono onere reale sui siti contaminati qualora effettuati d'ufficio dall'autorità competente ai sensi dell'articolo 250. L'onere reale viene iscritto a seguito della approvazione del progetto di bonifica e deve essere indicato nel certificato di destinazione urbanistica. (art. 253, comma 1). Il comma 4 del medesimo art. 253 prevede inoltre che il proprietario non responsabile dell'inquinamento può essere tenuto a rimborsare, sulla base di provvedimento motivato e con l'osservanza delle disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, le spese degli interventi adottati dall'autorità competente soltanto nei limiti del valore di mercato del sito determinato a seguito dell'esecuzione degli interventi medesimi. Nel caso in cui il proprietario non responsabile dell'inquinamento abbia spontaneamente provveduto alla bonifica del sito inquinato, ha diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell'inquinamento per le spese sostenute e per l'eventuale maggior danno subito.

 

Il comma 3 del nuovo articolo 245 introduce nella legislazione vigente la dichiarazione di estraneità rispetto alla potenziale contaminazione. In particolare la norma in esame, ferme restando le misure di prevenzione di cui all’articolo 242, prevede una dichiarazione da parte del soggetto interessato proprietario o gestore o che ha la disponibilità del sito, ai fini dell’applicazione delle procedure contenute nei successivi commi del testo in esame, attestante la propria estraneità rispetto alla potenziale contaminazione da rendere nelle forme delle dichiarazioni sostitutive dell'atto di notorietà di cui all’articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, e di non avere operato presso il sito a qualsiasi titolo, anche tenuto conto dei collegamenti societari e di cariche direttive ricoperte in soggetti che abbiano operato presso il sito.

Il Consiglio di Stato puntualizza che “il riferimento finale ai “collegamenti societari” e alle “cariche direttive” è troppo generico e ampio, prestandosi a coprire una molteplicità di ipotesi, anche di minima rilevanza, a meno che con esso non si intenda semplicemente affermare che ai fini della valutazione di estraneità si debbano considerare i rapporti societari, senza farne derivare automaticamente l’assenza del requisito, ma rimettendolo alla valutazione sull’intensità in concreto di tale rapporto, nel qual caso però occorrerebbe chiarire il concetto”.

 

La comunicazione sull’attivazione degli interventi di bonifica e l’avvio delle procedure di bonifica (nuovo art. 245, commi 4 e 5, del d.lgs. 152/2006)

 

Il comma 4 del nuovo art. 245 prevede l’obbligo di una comunicazione da parte del soggetto estraneo alla potenziale contaminazione, sulla volontà di effettuare gli interventi di bonifica di cui al comma 2, allegando la dichiarazione di estraneità cui al comma 3. Tale comunicazione deve essere trasmessa:

- alle autorità competenti di cui all’articolo 242, comma 1, o di cui all’articolo 252 (Comune, provincia, regione, o provincia autonoma nel cui territorio si prospetta l'evento lesivo, nonché al Prefetto della provincia che nelle ventiquattro ore successive informa il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ovvero al Ministero dell’ambiente);

- e al responsabile della potenziale contaminazione, qualora sia stato identificato ai sensi del comma 1 o dell’articolo 244.

La medesima comunicazione è data al proprietario del sito, qualora diverso dal soggetto estraneo alla potenziale contaminazione.

Decorsi 30 giorni dalla suddetta comunicazione (il testo in esame sembrerebbe, richiamando testualmente il “comma medesimo”, indicare la dichiarazione di estraneità e non la comunicazione relativa all’avvio degli interventi, che in allegato include anche tale dichiarazione), il comma 5 del nuovo art. 245 stabilisce che il soggetto estraneo alla potenziale contaminazione di cui al comma 3 può avviare le procedure di bonifica di cui agli articoli 242 (procedure di bonifica ordinaria), 252 (procedure per i siti di interesse nazionale) o 252-bis (procedure per i siti inquinati nazionali di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale) ovvero subentrare nella procedura di bonifica comunque avviata, avvalendosi delle nuove previsioni, a condizione che:

- l’autorità competente non abbia rappresentato motivi ostativi all’avvio della procedura di bonifica indicata dal comma 2;

- e il responsabile della potenziale contaminazione o il proprietario del sito, qualora diverso dal soggetto estraneo alla potenziale contaminazione, non abbia comunicato l’impegno a effettuare gli interventi di bonifica.

Il Consiglio di Stato ritiene, in proposito, opportuno sostituire “l’espressione “può avviare” con quella “avvia” e l’espressione “subentrare” con quella “subentra” in quanto tale formulazione “lascia il dubbio che l’intervento dell’interessato costituisca una facoltà, mentre è da ritenersi che, a seguito della dichiarazione di impegno di cui al comma 4, costui abbia assunto un vero e proprio obbligo”.

 

Si segnala che il punto 35 della III sezione della Tabella A indica, quale regime amministrativo applicabile in corrispondenza delle disposizioni di cui ai commi 3, 4 e 5 dell’articolo 245 del d.lgs. 152/2006, la SCIA a efficacia differita. Come già rilevato, le predette disposizioni fanno testualmente riferimento a una comunicazione, ma l’operatore può avviare le operazioni di bonifica o subentrare nelle procedure già avviate solo decorsi trenta giorni dalla comunicazione.

 

L’autorizzazione per il piano di indagine in una area interessata da fenomeni naturali o antropici (nuovo art. 245, comma 6, del d.lgs. 152/2006)

 

Se il sito oggetto del procedimento è ubicato all’interno di un’area interessata da fenomeni naturali o antropici che hanno determinato il superamento di CSC, il comma 6 del nuovo art. 245 prevede la presentazione, da parte del soggetto di cui al comma 3, di un piano di indagine, all’agenzia per la protezione ambientale territorialmente competente, per definire i valori di fondo naturale da assumere come CSC ai sensi dell’articolo 240, comma 1, lettera b).

La norma prevede inoltre che:

-        l’attivazione del suddetto piano da parte del proponente avvenga entro 60 giorni dalla presentazione dello stesso piano;

-        l’attuazione del piano avvenga con oneri a carico del medesimo proponente e in contraddittorio con l’agenzia per la protezione ambientale territorialmente competente.

Infine, alla agenzia competente per territorio è assegnato il compito di definire i valori di fondo naturale sulla base delle risultanze del piano di indagine nonché di altri dati in suo possesso relativi all’area interessata.

Il regime amministrativo della autorizzazione è indicato in corrispondenza del citato comma 6 dell’articolo 245 nella attività di cui al numero 36 della sezione III della tabella A.

 

L’attivazione delle procedure di bonifica (nuovo art. 245, comma 7, del d.lgs. 152/2006)

 

Ai fini dell’attivazione delle procedure di bonifica, ai sensi del comma 7 del nuovo articolo 245, il soggetto interessato ad avviare le procedure di bonifica ed estraneo alla potenziale contaminazione del sito:

-        può suddividere il sito in lotti (non inferiori a 15.000 mq ciascuno) (lett. a);

-        può stipulare un protocollo d’intesa per il piano di caratterizzazione, la validazione dei dati e il progetto di bonifica (lett. b);

-        presta una garanzia finanziaria (lett. c-d) 

 

Le fasi riguardanti l’attivazione del progetto di bonifica suddiviso per lotti (nuovo art. 245, comma 7, lettera a), del d.lgs. 152/2006)

 

Entrando nel dettaglio, la lettera a) del comma 7 individua le seguenti fasi sulla attivazione delle procedure di bonifica da parte del soggetto interessato estraneo alla potenziale contaminazione:

·              il soggetto può chiedere la suddivisione del sito in lotti (non inferiori a 15.000 mq ciascuno), presentando un documento tecnico corredato da idoneo cronoprogramma degli interventi da effettuare.

In tale caso:

·              la regione o il Ministero dell’ambiente (autorità competenti di cui agli articoli 242 e 252), previo parere del comune e dell’agenzia per la protezione ambientale competente a livello territoriale, concede il nulla osta alla suddivisione in lotti del sito, riportando in apposita planimetria catastale i perimetri dei singoli lotti, che dovranno poi risultare da apposito frazionamento, ai fini del rilascio dell’attestazione di non contaminazione o di certificazione di avvenuta bonifica di cui all’articolo 248, comma 2.

Tale disposizione prevede che il completamento degli interventi di bonifica, di messa in sicurezza permanente e di messa in sicurezza operativa, nonché la conformità degli stessi al progetto approvato sono accertati dalla provincia mediante apposita certificazione sulla base di una relazione tecnica predisposta dall'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente territorialmente competente.

 

Se la caratterizzazione operata sul sito, in contraddittorio con l’agenzia per la protezione ambientale competente a livello territoriale, verifica valori di contaminazione inferiori alle CSC:

·              la regione o il Ministero dell’ambiente, ove richiesto, rilascia un attestato di non contaminazione del lotto.

 

In caso contrario all’esito della caratterizzazione e dell’analisi di rischio:  

·              il soggetto presenta il progetto di bonifica suddiviso per lotti, e presta le garanzie finanziarie di cui all’art. 242, comma 7, con le modalità indicate alla successiva lettera c).

La lettera a) vieta inoltre l’utilizzo dei lotti che hanno l’attestazione di non contaminazione e di quelli con la certificazione di avvenuta bonifica per operazioni comunque relative alla bonifica degli altri lotti.

Il regime amministrativo della autorizzazione è indicato in corrispondenza del citato comma 7, lettera a), dell’articolo 245 nella attività di cui al numero 37 della sezione III della tabella A.

 

La stipula del protocollo di intesa per il piano di caratterizzazione e la validazione dei dati (nuovo art. 245, comma 7, lettera b), del d.lgs. 152/2006)

 

La lettera b) del comma 7 consente al soggetto di stipulare un protocollo di intesa con l’agenzia per la protezione ambientale competente a livello territoriale - i cui oneri sono a carico del proponente - per la definizione dei tempi e delle modalità per lo svolgimento in contraddittorio con la suddetta agenzia del piano di caratterizzazione e la validazione dei dati.

In tal caso il soggetto interessato può presentare l’analisi di rischio e il progetto di bonifica contestualmente alla relazione sugli esiti della caratterizzazione.

Secondo il Consiglio di Stato “le due previsioni (contenute nelle suddette lettere a) e b)) vanno coordinate, precisando se, nell’ipotesi di suddivisione in lotti delle aree da bonificare, il protocollo di intesa con l’agenzia per la protezione ambientale competente debba essere stipulato unitariamente, ovvero per ciascun lotto, e se, optando per questa seconda soluzione, il protocollo possa riguardare anche soltanto singoli lotti”.

 

 

Le garanzie finanziarie per gli interventi di bonifica (nuovo art. 245, comma 7, lettere c-d), del d.lgs. 152/2006)

 

La lettera c) del comma 7 introduce due forme alternative di garanzia finanziaria, ai sensi dell’articolo 242, comma 7, del d.lgs. 152/2006.

 

Tale norma stabilisce che con l’approvazione del progetto di bonifica tra l’altro viene fissata l'entità delle garanzie finanziarie, in misura non superiore al cinquanta per cento del costo stimato dell'intervento, che devono essere prestate in favore della regione per la corretta esecuzione ed il completamento degli interventi medesimi.

 

La prima forma di garanzia finanziaria, a favore di chi presenta il progetto di bonifica suddiviso per lotti, è costituita da:

-        una garanzia di importo pari al 5% del costo complessivo stimato degli interventi, svincolata previa certificazione di avvenuta bonifica;

-        e, contestualmente all’attivazione degli interventi di bonifica sui singoli lotti, da una specifica garanzia finanziaria di importo pari al 20% del costo stimato degli interventi relativi al lotto medesimo, svincolata previa certificazione di avvenuta bonifica del singolo lotto.

 

La seconda forma di garanzia finanziaria, alternativa alla prima, a favore di chi non presenta il progetto di bonifica suddiviso per lotti, prevede:

-        una garanzia finanziaria di importo pari al 20% del costo complessivo stimato degli interventi previsti nell'intero progetto di bonifica, progressivamente svincolata, su domanda del soggetto, per i lotti per i quali è sopravvenuta la certificazione di avvenuta bonifica, sulla base di un piano di svincolo già contenuto nel progetto stesso.

 

In entrambi i due casi, resta fermo comunque, ai sensi di quanto disposto dalla lettera c), l’obbligo per l’entità delle garanzie finanziarie di assicurare la copertura totale dei costi di smantellamento degli impianti, installazioni e strutture relative alla bonifica del lotto.

 

Da ultimo, la lettera d) del comma 7 prevede una riduzione delle suddette garanzie finanziarie per un importo pari al 30%, qualora il progetto di bonifica tratti almeno il 60% del volume della matrice contaminata, con interventi in-situ definiti nell’allegato 3 al titolo V, della Parte IV del cd. Codice dell’ambiente, cioè effettuati senza movimentazione o rimozione del suolo.

 

Il richiamato Allegato 3 detta i criteri generali per la selezione e l'esecuzione degli interventi di bonifica e ripristino ambientale, di messa in sicurezza (d'urgenza, operativa o permanente), nonché per l'individuazione delle migliori tecniche d'intervento a costi sopportabili. In particolare, gli interventi di bonifica e di messa in sicurezza devono essere condotti secondo specifici criteri tecnici generali tra i quali è previsto: “privilegiare le tecniche di bonifica tendenti a trattare e riutilizzare il suolo nel sito, trattamento in-situ ed on-site del suolo contaminato, con conseguente riduzione dei rischi derivanti dal trasporto e messa a discarica di terreno inquinato” e “per la messa in sicurezza, privilegiare gli interventi che permettano il trattamento in situ ed il riutilizzo industriale dei terreni, dei materiali di risulta e delle acque estratte dal sottosuolo, al fine di conseguire una riduzione del volume di rifiuti prodotti e della loro pericolosità”.

Nell’Allegato 3, il sistema di classificazione generalmente adottato per individuare la tipologia di intervento definisce tra l’altro gli interventi in-situ quelli effettuati senza movimentazione o rimozione del suolo.

 

 

Gli interventi di bonifica delle acque di falda (nuovo art. 245, comma 8, del d.lgs. 152/2006)

 

Il comma 8 del nuovo articolo 245 introduce nella legislazione vigente uno specifico obbligo per gli interventi di bonifica delle acque di falda.

Tali interventi devono garantire il rispetto al punto di conformità dei valori di CSC, come definiti dall’articolo 240, comma 1, lettera b), del d.lgs. 152/2006 (vedi supra) , ovvero dei valori previsti, per il medesimo parametro, dalla normativa sulla qualità delle acque potabili, qualora superiori ai valori delle CSC.

 

L’art. 54 del d.lgs. 152/2006, alla lettera p), definisce la falda acquifera come “uno o più strati sotterranei di roccia o altri strati geologici di porosità e permeabilità sufficiente da consentire un flusso significativo di acque sotterranee o l'estrazione di quantità significative di acque sotterranee”. In tale ambito, l’allegato 1 al titolo V della parte quarta del citato decreto legislativo definisce i criteri minimi da applicare nella procedura di analisi di rischio inversa che verrà utilizzata per il calcolo delle CSR, cioè per definire in modo rigoroso e cautelativo per l'ambiente gli obiettivi di bonifica aderenti alla realtà del sito, che rispettino i criteri di accettabilità del rischio cancerogeno e dell'indice di rischio assunti nei punti di conformità prescelti. Per le acque sotterranee, il punto di conformità rappresenta il punto a valle idrogeologico della sorgente al quale deve essere garantito il ripristino dello stato originale (ecologico, chimico e/o quantitativo) del corpo idrico sotterraneo, onde consentire tutti i suoi usi potenziali, secondo quanto previsto nella parte terza (in particolare articolo 76) e nella parte sesta del cd. Codice dell’ambiente (in particolare articolo 300). Pertanto in attuazione del principio generale di precauzione, il punto di conformità deve essere di norma fissato non oltre i confini del sito contaminato oggetto di bonifica e la relativa CSR per ciascun contaminante deve essere fissata equivalente alle CSC di cui all'Allegato 5 della parte quarta del d.lgs. 152/2006.

L’Allegato 5 al Titolo V della parte quarta del predetto decreto riporta in particolare nella Tabella 2 del medesimo allegato 5 i valori limite delle sostanze valutate per la concentrazione soglia di contaminazione (CSC) nelle acque sotterranee

La direttiva 98/83/CE, recepita in Italia con il D.lgs. 2 febbraio 2001 n. 31, stabilisce le caratteristiche di qualità essenziali per tutte le acque, trattate o non trattate, destinate a uso potabile o per la preparazione di cibi in ambito domestico e di tutte le acque utilizzate in imprese alimentari per la fabbricazione, il trattamento, la conservazione o l’immissione sul mercato di prodotti o sostanze destinate al consumo umano. Il decreto ha introdotto alcuni aspetti di sostanziale innovazione nel quadro della protezione della salute umana dagli effetti negativi derivanti dalla contaminazione delle acque fissando, come criterio base per il controllo, l’osservanza di una serie di parametri di rilevanza sanitaria (allegato I parte A e B) e di altri parametri “indicatori” di variazioni anomale della qualità dell’acqua (allegato I parte C).

I valori di riferimento individuati sono fondati sugli orientamenti stabiliti dall'organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) attraverso i valori guida contenuti nel WHO Guidelines for drinkingwater quality (2011).

Si ricorda che, attualmente, a livello europeo il criterio principale con cui viene definito un limite nelle acque sotterranee, in particolare per le sostanze organiche, è la valutazione del rischio sanitario che presiede alla definizione dei valori di parametro per le acque destinate al consumo umano; nel recente documento della Commissione europea “Relazione della commissione ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 7, della direttiva 2006/118/CE sulla definizione di valori soglia per le acque sotterranee” emerge infatti che la maggior parte degli Stati Membri utilizza questo criterio.

Per ulteriori approfondimenti si rinvia al Portaleacque del Ministero della salute, e più precisamente alla sezione Acque potabili, nella quale sono contenute, oltre ai riferimenti normativi, anche informazioni puntuali sulle norme tecniche in materia (Linee guida DM 25; Metodi analitici di riferimento per le acque destinate al consumo umano ai sensi del DL.vo 31/2001. Metodi chimici; Metodi analitici di riferimento per le acque destinate al consumo umano ai sensi del DL.vo 31/2001. Metodi microbiologici; Cianobatteri in acque destinate al consumo umano - Linee guida per la gestione del rischio).


 

Gli oneri economici derivanti dalle attività svolte dall'agenzia di protezione ambientale competente territorialmente (nuovo art. 245, comma 9, del d.lgs. 152/2006)

 

Il comma 9 del nuovo articolo 245 disciplina i compensi economici per le attività svolte dalle agenzie per la protezione dell’ambiente competenti per territorio.

Gli oneri economici, derivanti dalle attività svolte dall'ARPA competente per territorio ai sensi dei commi 6 e 7, riguardanti cioè il piano di indagine per definire i valori di fondo naturale da assumere come CSC e le nuove procedure di bonifica del sito, sono a carico del proponente.

La determinazione di tali oneri economici viene effettuata sulla base del tariffario nazionale approvato ai sensi dell’articolo 4, comma 3, del decreto del ministero dell’ambiente n. 161 del 10 agosto 2012 (Regolamento recante la disciplina dell'utilizzazione delle terre e rocce da scavo).

 

Il comma 3 dell’articolo 4 prevede in particolare l’emanazione di un decreto da parte del Ministro dell'ambiente per l’adozione di un tariffario nazionale delle attività svolte in tale ambito dalle ARPA/APPA, predisposto da ISPRA. Nelle more di approvazione e adozione del tariffario nazionale, i costi sono definiti dai tariffari delle suddette agenzie territorialmente competenti.

Si ricorda che è in attesa di pubblicazione in G.U. il nuovo regolamento sulla gestione delle terre e rocce da scavo (Atto Governo n. 279) che all’art. 19 ripropone l’analogo contenuto nell’articolo 4, comma 3 del D.M. 161/2012.

I proventi derivanti dalle tariffe corrisposte per le prestazioni rese all’agenzia di protezione ambientale competente per territorio sono versati all'entrata del bilancio dello Stato per essere integralmente riassegnati ad un apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero dell'ambiente.

Il Ministro dell'ambiente provvede, con propri decreti, a trasferire ai soggetti competenti i proventi derivanti dalle tariffe per la copertura dei suddetti oneri.

 

Applicazione delle nuove procedure di bonifica (art. 4, comma 2)

 

Il comma 2 dell’articolo 4 in esame prevede l’applicazione delle procedure dettate dal nuovo art. 245, anche ai procedimenti e agli interventi di bonifica non conclusi alla data del provvedimento in esame che andrebbe specificata e che andrebbe riferita alla sua entrata in vigore, su richiesta del soggetto interessato estraneo alla potenziale contaminazione.

La norma in esame prevede una eccezione, sull’applicabilità delle disposizioni del nuovo art. 245, valida per i provvedimenti relativi ad interventi completamente realizzati e a cui non sia stata rilasciata la certificazione, di cui all’articolo 248, comma 2, del d.lgs. 152/2006, che accerta il completamento e la conformità degli interventi medesimi ai progetti approvati. Tale certificazione, prodotta sulla base di una relazione tecnica predisposta dall'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente territorialmente competente, è necessaria, come prevede il comma 3 dell’art. 248 citato, per lo svincolo delle garanzie previste dal comma 7 dell’articolo 247 del citato decreto legislativo.

 

La procedura ordinaria per la bonifica dei siti contaminati

 

 L’art. 242 del d.lgs. 152/2006 disciplina le diverse fasi temporali e amministrative riguardanti la procedura di bonifica dei siti contaminati disposta a carico del responsabile dell’inquinamento.

Nello specifico, il comma 3, accertato l’avvenuto superamento del livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC), trascorsi 60 giorni dalla comunicazione del responsabile del suddetto superamento delle soglie CSC al comune e alle province competenti per territorio, prevede una autorizzazione della regione del piano di caratterizzazione presentato dal responsabile.

Il comma 4 prevede, al fine di verificare l’eventuale superamento delle soglie delle concentrazioni soglia di rischio (CSR), sulla base degli esiti della caratterizzazione, l’avvio della procedura di analisi del rischio sito-specifica.

Decorsi 6 mesi dall’approvazione del piano di caratterizzazione, si presentano, i risultati dell’analisi di rischio, che sono approvati 60 giorni dopo la loro presentazione dalla conferenza dei servizi convocata dalla regione.

Superata la soglia prevista dei valori di concentrazione soglia di rischio (CSR), il comma 7 prevede, 6 mesi dopo l'approvazione del documento di analisi di rischio, la presentazione alla regione del progetto di bonifica del sito da parte del responsabile, che viene approvato dalla regione - acquisito il parere del comune e della provincia interessati mediante apposita conferenza di servizi e sentito il soggetto responsabile -  entro 60 giorni dal suo ricevimento, termine che può essere sospeso una sola volta, per cui, in questa ipotesi, il termine per l'approvazione del progetto decorre dalla presentazione del progetto integrato.

L'art. 252 del D.lgs. n. 152 del 2006 disciplina l'individuazione dei siti inquinati di interesse nazionale (SIN), per i quali la procedura di bonifica adottata è quella ordinaria, come prevede l'art. 242 del D.lgs. 152 del 2006, con la competenza in capo al Ministero dell'ambiente.

 

La procedura semplificata per la bonifica dei siti contaminati

 

L’articolo 242-bis, introdotto dall’art. 13, commi 1-3, del D.L. 91 del 2014 (c.d. decreto competitività), disciplina una nuova procedura semplificata, per le operazioni di bonifica del suolo che l'operatore interessato effettua, a proprie spese, per la riduzione della contaminazione ad un livello uguale o inferiore ai valori di concentrazione soglia di contaminazione.

Tale disciplina, che è alternativa alla procedura ordinaria (disciplinata dall'art. 242) ed è applicabile anche ai siti di interesse nazionale (la cui procedura ordinaria è disciplinata dall'art. 252), è stata successivamente modificata dall'art. 34, comma 10-bis, lettere a) e b), del D.L. n. 133 del 2014 (c.d. decreto sblocca Italia).

Nell'ambito di tale procedura semplificata, l'operatore può presentare all'amministrazione competente (regionale, di cui all'articolo 242, o statale, di cui all'articolo 252) uno specifico progetto, completo degli interventi programmati sulla base dei dati dello stato di contaminazione del sito, nonché del cronoprogramma di svolgimento dei lavori.

La caratterizzazione e il relativo progetto di bonifica non sono sottoposti alle procedure di approvazione previste dagli articoli 242 (procedura ordinaria svolta dalle regioni) e 252 (procedura ordinaria per i siti di interesse nazionale, svolta dal Ministero dell'Ambiente), bensì al controllo ex post, ai sensi dei commi 3 e 4 del medesimo articolo 242-bis, per la verifica del conseguimento dei valori di concentrazione della soglia di contaminazione (CSC) nei suoli per specifica destinazione d'uso (comma 1).

L'operatore deve presentare un programma di interventi alla amministrazione competente, che ha 120 giorni di tempo per approvarlo e autorizzarlo.

Una volta autorizzato, l'operatore ha 30 giorni di tempo per avviare i lavori, che devono concludersi entro 18 mesi (o 24 mesi, nel caso di proroga) (comma 2).

Per i siti con estensione superiore a 15.000 metri quadrati, i progetti di bonifica possono essere attuati in non più di tre fasi. Per i siti superiori a 400.000 metri quadrati, il numero delle fasi o dei lotti funzionali in cui si articola il progetto è stabilito dallo specifico crono-programma ivi annesso, la cui definizione deve formare oggetto di intesa con l'autorità competente (comma 1-bis).

Ultimati gli interventi di bonifica, l'operatore presenta il piano di caratterizzazione all'autorità competente al fine di verificare il conseguimento dei valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC) della matrice suolo per la specifica destinazione d'uso, che lo approva nei successivi 45 giorni (comma 3).

La validazione dei risultati del piano di caratterizzazione del sito è effettuata da parte dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA) territorialmente competente, con costi a carico dell'operatore, e costituisce certificazione dell'avvenuta bonifica del suolo (comma 4).

Ove i risultati del campionamento di collaudo finale dimostrino che non sono stati conseguiti i valori di CSC nella matrice suolo, l'ARPA territorialmente competente comunica le difformità riscontrate all'autorità titolare del procedimento di bonifica e all'operatore, che deve presentare, entro i successivi 45 giorni, le necessarie integrazioni al progetto di bonifica che è istruito nel rispetto delle procedure ordinarie ai sensi degli articoli 242 o 252 (comma 4).

 

 

La procedura per la riconversione industriale di siti inquinati nazionali di preminente interesse pubblico

 

L'articolo 252-bis, come sostituito dall’articolo 4, comma 1, del D.L. 145/2013 (cd. "D.L. Destinazione Italia"), disciplina la riconversione industriale dei siti inquinati nazionali di preminente interesse pubblico, al fine di consentire la stipula di accordi di programma con uno o più proprietari di aree contaminate o altri soggetti interessati ad attuare progetti integrati di messa in sicurezza o bonifica, e di riconversione industriale e sviluppo economico produttivo nei SIN, individuati entro il 30 aprile 2007.


 

Tabella A
(Sezione III Ambiente)

 

La sezione III “Ambiente” risulta articolata in 10 sottosezioni: AIA (autorizzazione integrata ambientale), VIA (valutazione di impatto ambientale), AUA (autorizzazione unica ambientale), emissioni in atmosfera, gestione dei rifiuti, inquinamento acustico, scarichi idrici, dighe, altri procedimenti in materia di tutela dei corpi idrici, bonifiche.

In tale ambito, il regime amministrativo prevalente risulta quello  dell’autorizzazione. I riferimenti normativi richiamati sono riconducibili in gran parte al D.lgs.  n. 152 del 2006 (cd. Codice dell’ambiente) e al d.P.R. n. 59 del 2013 (Regolamento recante la disciplina dell'autorizzazione unica ambientale).

Ai fini della disamina di alcune voci della tabella, merita inoltre richiamare il contenuto del comma 5 dell’articolo 2 dello schema in base al quale, per  lo svolgimento  delle attività  per le quali la tabella A indica il regime amministrativo della comunicazione, l'attività  può essere svolta dopo la ricezione della comunicazione da parte dell'amministrazione.

Si riportano di seguito alcune considerazioni, che evidenziano profili di non piena rispondenza tra quanto indicato nella tabella e i richiami ai riferimenti normativi.

 

Sottosezione 1.1 Autorizzazione integrata ambientale AIA

Il numero 1 riguarda l’installazione o la modifica sostanziale di impianti che svolgono le attività elencate nell’allegato VIII alla parte seconda del d.lgs. 152/2006, che include i progetti sottoposti ad AIA.

Al riguardo, si segnala che nella colonna dei riferimenti normativi viene richiamato il  Titolo III della parte II, che contiene le disposizioni relative alla procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA), mentre la disciplina riguardante l’AIA è contenuta nel vigente Titolo III-bis della parte II del D.lgs. 152/2006.

Il numero 2 riguarda la modifica non sostanziale di impianti già in possesso di AIA per i quali nella Tabella il regime amministrativo indicato è l’autorizzazione/silenzio assenso.

Si consideri, in proposito, che, in base alla normativa vigente, la procedura si attiva con una comunicazione del gestore all’autorità competente, che viene valutata da parte della medesima autorità. 

Nello specifico, l’art. 29-nonies, comma 1, del D.lgs. 152/2006 stabilisce, infatti, che il gestore comunica all'autorità competente le modifiche progettate dell'impianto. L'autorità competente, ove lo ritenga necessario, aggiorna l'autorizzazione integrata ambientale o le relative condizioni, ovvero, se rileva che le modifiche progettate sono sostanziali, ne dà notizia al gestore entro sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione ai fini degli adempimenti di cui al comma 2 del medesimo articolo 29-nonies. Decorso tale termine, il gestore può procedere alla realizzazione delle modifiche comunicate.

 

Sottosezione 1.2 Valutazione di impatto ambientale (VIA)

Il numero 4 elenca le tipologie di progetti per i quali è richiesta la VIA.

Si segnala, in proposito, che il riferimento normativo indicato in tabella A è il d.lgs. 152/2006, parte seconda, Titolo III-bis, che attualmente contiene le disposizioni relative alla procedura di autorizzazione integrata ambientale (AIA), mentre è nel vigente Titolo III della parte seconda di tale decreto che sono contenuti gli articoli concernenti la procedura di VIA.

 

Sottosezione 1.3 Autorizzazione unica ambientale (AUA)

Al numero 5 della sottosezione 1.3. è esplicitato l’ambito di applicazione dell’AUA in quanto vengono riportati i casi in cui i gestori degli impianti non soggetti ad AIA presentano domanda di AUA.

Al riguardo, si osserva che il riferimento normativo indicato è l’articolo 4 del D.P.R. 59/2013, che disciplina la procedura per il rilascio dell’AUA, e non l’articolo 3 vigente in cui sono riportate le attività richiamate nella Tabella A.

Il numero 7 evidenzia il regime amministrativo applicabile nel caso di “modifica non sostanziale di impianti soggetti ad AUA” indicando l’autorizzazione/silenzio assenso.

Si consideri, in proposito, che, in base alla normativa vigente, la procedura si attiva con una comunicazione del gestore all’autorità competente, che viene valutata da parte della medesima autorità. 

Si fa presente, infatti, che il riferimento normativo vigente indicato nella tabella A, ossia l’articolo 6 del D.P.R. 59/2013, prevede - al comma 1 - che  il gestore, che intende effettuare una modifica dell'attività o dell'impianto, ne dà comunicazione all'autorità competente e, salvo quanto previsto dal comma 3, nel caso in cui quest'ultima non si esprima entro sessanta giorni dalla comunicazione, può procedere all'esecuzione della modifica. L'autorità competente provvede, ove necessario, ad aggiornare l'autorizzazione in atto e tale aggiornamento non incide sulla durata dell'autorizzazione.

Merita, inoltre, sottolineare in tale ambito quanto disposto dal comma 4 del medesimo citato art. 6, ai sensi del quale le Regioni e le Province Autonome possono, nel rispetto delle norme di settore vigenti, definire ulteriori criteri per la qualificazione delle modifiche sostanziali e indicare modifiche non sostanziali per le quali non vi è l'obbligo di effettuare la comunicazione di cui al comma 1.

 

Sottosezione 1.4. Emissioni in atmosfera

Il numero 10 indica il regime amministrativo applicabile nel caso di modifica non sostanziale dello stabilimento come autorizzazione/silenzio assenso.

Si consideri, in proposito, che, in base alla normativa vigente, la procedura si attiva con una comunicazione del gestore all’autorità competente, che viene valutata da parte della medesima autorità. 

Infatti il comma 8 dell’art. 269 del d.lgs. 152/2006, richiamato in Tabella A, dispone che il gestore che intende effettuare una modifica dello stabilimento ne dà comunicazione all'autorità competente o, se la modifica è sostanziale, presenta una domanda di autorizzazione. Se la modifica non è sostanziale, l'autorità competente provvede, ove necessario, ad aggiornare l'autorizzazione in atto. Se l'autorità competente non si esprime entro sessanta giorni, il gestore può procedere all'esecuzione della modifica non sostanziale comunicata, fatto salvo il potere dell'autorità competente di provvedere successivamente.

Il numero 11 riguarda gli impianti e le attività in deroga elencati nella parte II dell’allegato IV alla parte quinta del d.lgs. 152/2006. Al riguardo, andrebbe valutato se integrare il riferimento normativo citato, ossia l’art. 272, comma 2, del d.lgs. 152/2006, indicando anche il comma 3 del medesimo articolo, in cui è disciplinata l’autorizzazione generale parzialmente richiamata nella colonna riguardante la concentrazione dei regimi amministrativi.

Inoltre, con riferimento a quanto disposto dal richiamato D.P.R. 59/2013 art. 7, rileva il fatto che, nel caso in cui le autorità preposte (regioni o province autonome) non abbiano adottato le autorizzazioni di carattere generale previste dall'articolo 272, comma 2, i gestori degli stabilimenti interessati comunicano tramite il SUAP a tale autorità o ad altra autorità da questa delegata la propria adesione alle autorizzazioni generali previste nell’Allegato I del medesimo D.P.R. 59/2013.

 

Sottosezione 1.7 Scarichi idrici

Il numero 22 riguarda il rinnovo dell’autorizzazione allo scarico di acque reflue industriali.

Andrebbe valutato se integrare il riferimento normativo al D.lgs. 152/2006 indicando specificatamente l’art. 124, comma 8, che disciplina le modalità di rinnovo della predetta autorizzazione.

 

Sottosezione 1.10 Bonifiche

Il numero 33 elenca in sintesi gli interventi e le attività in siti oggetto di bonifica prevedendo in corrispondenza di tali interventi il regime dell’autorizzazione. Nella normativa richiamata, in cui sono elencate talune disposizioni del cd. Codice dell’ambiente concernenti le procedure relative alla bonifica dei siti inquinati, è richiamato anche l’art. 34, comma 7, del D.L. 133/2014,  che non indica esplicitamente alcun regime amministrativo.

Relativamente a tale disposizione, sotto il profilo della formulazione del testo, andrebbe valutata l’opportunità di indicare come riferimento normativo anche il D.L. 133/2014 citato oltre che la relativa legge di conversione.

 


 

Articolo 5
(Semplificazione in materia di commercio)

 

L’articolo 5 contiene semplificazioni in materia di commercio.

Il comma 1 dell’articolo, alle lettere a) e b), interviene sulla disciplina relativa al settore contenuta nel D.Lgs. n. 114/1998, e nello specifico sull’articolo 26, comma 5, sopprimendo l’obbligo di comunicazione al comune competente per territorio della cessazione delle seguenti attività:

·       esercizi di vicinato (disciplinati all’articolo 7 dello stesso D.Lgs. n. 114)

·       medie strutture di vendita (disciplinate all’articolo 8 del D.Lgs.)

·       grandi strutture di vendita (disciplinate all’articolo 9 del D.Lgs.).

 

Secondo il Consiglio di Stato, il principio di proporzionalità suggerirebbe di mantenere l’onere della comunicazione a salvaguardia dell’attività di controllo e programmazione del Comune.

 

La novella a tal fine interviene sopprimendo nel vigente primo periodo del comma 5 dell’articolo 26 il richiamo agli articoli 7, 8 e 9, rispettivamente concernenti gli esercizi di vicinato e le medie e le grandi strutture di vendita.

 

Rimangono invece assoggettate a comunicazione al comune competente il trasferimento della gestione o della proprietà per atto tra vivi o per causa di morte (subingresso).

L’obbligo della comunicazione nel caso di subingresso opera per tutte le attività commerciali (come, ad esempio, per il subingresso nell’attività di commercio su area pubblica su posteggio e in forma itinerante non alimentare, punto 2.1, nn. 35 e 37, della Tabella allegata allo schema che richiama l’articolo 26, comma 5 e l’articolo 30, comma 1[7] del D.Lgs. n. 114/1998).

 

Si osserva che sarebbe opportuno, con l’intervento novellatore di cui al comma 1, sopprimere nell’articolo 26, comma 5 del D.Lgs. n. 114/1998 il richiamo al comma 1 dell’articolo 7 del medesimo D.Lgs, in quanto abrogato.

 

Il comma 2 interviene sul D.Lgs. n. 59/2010, di attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno (cd. Direttiva Bolkenstein) ed in particolare sull’articolo 64, concernente l’attività commerciale di somministrazione di alimenti e bevande, comprese quelle alcoliche di qualsiasi gradazione.

In particolare, la novella estende la segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA) anche all’apertura o il trasferimento di sede degli esercizi commerciali insistenti in zone del comune soggette a tutela.

La disciplina attualmente vigente contenuta nell’articolo 64 del D.Lgs. n. 59/2010 richiede invece, in tali casi, l’autorizzazione rilasciata dal comune competente per territorio.

In tutti gli altri casi, e dunque: nel caso apertura o trasferimento di sede di esercizi commerciali di somministrazione di alimenti e bevande in zone non sottoposte a tutela, ovvero nel caso di trasferimento della gestione o della titolarità degli esercizi, siano essi in zone sottoposte a tutela o non, la disciplina vigente già prevede la SCIA[8].

Si segnala che, in ragione della legislazione già vigente, contenuta nel sopra commentato articolo 64 il Consiglio di Stato (Sez. V), con sentenza 22 ottobre 2015 è intervenuto sulla legittimità o meno, alla stregua del principio comunitario della liberalizzazione delle attività economiche, di un provvedimento di Roma Capitale che ha negato il rilascio di una licenza per un bar nel centro storico, per conservare il tessuto urbano caratterizzato dalle sue attività tradizionali, confermando la sentenza del T.A.R. Lazio – Roma, Sez. II ter, n. 6122 del 2014, e la legittimità:

   della delibera del Consiglio comunale di Roma Capitale n. 36/2006, la quale, al fine di salvaguardare i caratteri tradizionali del centro storico dal rischio di degrado e snaturamento, ha previsto delle limitazioni al rilascio delle licenze commerciali.

   del provvedimento che, facendo riferimento a detta delibera, ha rigettato la richiesta di autorizzazione per la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande in locali siti nel centro storico di Roma, anche se non espressamente nelle vie indicate dalla citata delibera n. 36.

 

Tuttavia, con riferimento alle zone comunali soggette a tutela, lo schema di D.Lgs. all’articolo 1, comma 3, prevede comunque una norma a tutela dell’ambiente, del patrimonio storico artistico e paesaggistico, di portata piuttosto ampia.

In particolare, consente al comune, d'intesa con la regione, sentito il soprintendente, di adottare deliberazioni volte a individuare zone o aree aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico in cui è vietato o subordinato ad autorizzazione l'esercizio di una o più attività di cui al decreto in commento, individuate con riferimento al tipo o alla categoria merceologica, in quanto non compatibile con le esigenze di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale.

Quanto sopra viene disposto per le finalità indicate dall'articolo 52 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. n. 42/2004), il quale già prevede per il solo commercio - che i comuni, sentito il soprintendente, individuino le aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico nelle quali vietare o sottoporre a condizioni particolari l'esercizio dell’attività (comma 1).

Per le osservazioni sull’articolo 1, comma 3, si rinvia alla relativa scheda di lettura.

 

Infine, il comma 3 dell’articolo 5 abroga l’articolo 126 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (R.D. n. 773/1931) il quale contiene il divieto di esercitare il commercio di cose antiche o usate senza averne fatta dichiarazione preventiva all'autorità locale di pubblica sicurezza.

Con riferimento al complesso del dispositivo dell’articolo, il Consiglio di Stato, nel citato parere, rileva che le novelle da esso apportate trovano trasposizione nella Tabella A allegata allo schema; purtuttavia, l’intervento in questa materia appare piuttosto limitato, essendovi margini ulteriori di semplificazione per il settore del commercio. Ciò nondimeno, “appare ragionevole che l’applicabilità della SCIA resti esclusa per taluni procedimenti per i quali siano previsti specifici strumenti di programmazione settoriale, come l’esercizio dell’attività di commercio nelle medie e grandi strutture di vendita e dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande”.


Tabella A
(Sezione I- Attività commerciali e assimilabili)

 

 

La Sezione I - dedicata alle “Attività commerciali e assimilabili” - è articolata in 14 sottosezioni che al loro interno contengono più settori (ad esempio: commercio all’ingrosso alimentare e commercio all’ingrosso non alimentare; ovvero, media struttura di vendita non alimentare e media struttura di vendita non alimentare).

Dunque, il criterio seguito nella ripartizione tabellare delle attività di commercio è sia quello della tipologia delle attività svolte, sia della struttura/spazio in cui esse vengono svolte.

La ripartizione adottata riflette nella sostanza (cfr. infra) la disciplina normativa di settore, richiamata nella stessa tabella (quarta colonna), la quale è prevalentemente contenuta nel D.Lgs. n. 114/1998 e nel D.Lgs. n. 59/2010 (di recepimento della “Direttiva Servizi” cd. Bolkenstein 2006/123/CE).

Con riferimento a tale aspetto, il Consiglio di Stato rileva che l’elencazione e la relativa articolazione merceologica si fondano su una visione risalente. Le significative novità nel frattempo intervenute in conseguenza dell’innovazione tecnologica non sarebbero considerate e andrebbe quantomeno operato un richiamo alla normativa sul commercio elettronico (D. Lgs. n. 70/2003) per le parti di interesse.

Si osserva a questo riguardo che la Tabella fornisce indicazione della procedura applicabile all’attività di vendita per corrispondenza televisione e altri sistemi di comunicazione, al punto 1.12.4, n. 30. Tale punto richiama esclusivamente il D.Lgs. n. 114/1998, articolo 18 e il D.Lgs. n. 59/2010, articolo 68, comma 1, che fa riferimento all’avvio dell’attività di vendita “con altri sistemi di comunicazione”, ma non richiama esplicitamente il commercio elettronico. Il MISE è peraltro intervenuto con Risoluzione n. 204137 del 18 novembre 2014 riconducendo l’E-Commerce al citato articolo 68, comma 1.

Si valuti, comunque, l’opportunità di integrare con un richiamo al D.Lgs. n. 70/2003 la colonna relativa ai riferimenti normativi concernenti il punto 1.12.4, n. 30, avvio dell’attività di vendita per corrispondenza televisione e altri sistemi di comunicazione.

 

Un ulteriore aspetto su cui si è soffermato il Consiglio di Stato è il problema delle attività nuove ad oggi non ancora disciplinate.

In questi termini, giova richiamare il riferimento alle attività libere operato dal comma 2 dell’articolo 1 del D.Lgs. n. 126/2016. Tale comma - allo scopo di garantire certezza sui regimi applicabili alle attività private e allo scopo di salvaguardare la libertà di iniziativa economica – dispone che le attività private non espressamente individuate o specificamente oggetto di disciplina da parte della normativa europea, statale e regionale, sono libere. Questa norma di chiusura deve riferirsi – secondo il Consiglio di Stato - allo schema in esame, ma non anche ai settori rimasti totalmente al di fuori dell’opera di riordino.

Lo schema in commento reca invero un’ulteriore norma di chiusura prevedendo all’articolo 2, comma 2, che le attività non elencate, anche in ragione della loro specificità territoriale, ma riconducibili a quelle elencate, possono essere ricondotte dalle amministrazioni a quelle corrispondenti elencate, dando pubblicità sul proprio sito istituzionale. La formulazione di tale norma suscita però taluni rilievi per i quali si rimanda alla scheda di lettura articolo 2, comma 2.

Per ciascuna attività sottostante alla tipologia/struttura commerciale indicata (prima colonna della Tabella) la Tabella indica il relativo regime amministrativo (seconda colonna) riferito alle distinte necessità (apertura, trasferimento, ampliamento, subingresso).

Come rilevato dal Consiglio di Stato, prevale in generale il regime della SCIA, ma l’autorizzazione ricopre uno spazio consistente, in particolare per le medie e grandi strutture di vendita, per il commercio su area pubblica, per l’attività di spettacolo e di intrattenimento, per l’esercizio di sale giochi, per l’attività di stampa.

La Tabella dà conto (terza colonna) della concentrazione dei regimi amministrativi prevista dall’articolo 19-bis della legge n. 241/1990, come introdotto dal D.Lgs. n. 126/2016.

Rinviando più diffusamente – per un commento all’intero articolo 19-bis – alla Scheda “Decreto legislativo n. 126 del 2016 , cd. SCIA1” , si ricorda in questa sede che il comma 2 dell’articolo 19-bis della legge n. 241/1990 dispone che “se per lo svolgimento di un'attività soggetta a SCIA sono necessarie altre SCIA, comunicazioni, attestazioni, asseverazioni e notifiche, l'interessato presenta un'unica SCIA al SUAP. L'amministrazione ricevente la trasmette immediatamente alle altre amministrazioni interessate al fine di consentire, per quanto di loro competenza, il controllo sulla sussistenza dei requisiti e dei presupposti per lo svolgimento dell'attività e la presentazione - almeno cinque giorni prima della scadenza dei termini per l’adozione di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività di cui all'articolo 19, commi 3 e 6-bis - di eventuali proposte motivate per l'adozione dei provvedimenti ivi previsti.

Lo schema di D.Lgs. in esame, all’articolo 2, comma 4 dispone che - ove la Tabella reca la dicitura “SCIA UNICA” - trova applicazione l’articolo 19-bis, comma 2 della citata legge n. 241.

Il Consiglio di Stato, purtuttavia, ha rilevato che laddove in Tabella è indicata la concentrazione dei regimi amministrativi, sotto la dicitura “SCIA Unica” l’amministrazione dovrà comunque verificare che si tratti di un caso di cui al comma 2 dell’articolo 19-bis del legge n. 241/1990 e non già di cui al comma 3 del medesimo articolo 19-bis.

Infatti, nei casi in cui siano necessari atti di assenso, comunque denominati, o pareri di altri uffici o amministrazioni, ai sensi del comma 3 dell’articolo 19-bis siamo infatti di fronte ad un meccanismo procedimentale che non è la “diretta abilitazione legale all’immediato esercizio di attività affrancate dal regime autorizzatorio” (SCIA UNICA comma 2 dell’articolo 19-bis) bensì ad un meccanismo procedimentale diverso che sfocia nella Conferenza di servizi.

La Tabella fa genericamente riferimento all’articolo 19-bis della legge n. 241/1990 e mai menzione del comma 3 dell’articolo 19-bis.

Venendo all’analisi delle voci contenute nella Tabella, essa - per la parte più ampia dei casi – richiama (quarta colonna) la normativa già vigente, nazionale e regionale (si veda, ad esempio, il punto 14, n. 79).

In proposito si osserva che la tabella interviene su materia di competenza regionale, come quella sulle strutture ricettive (turismo), Punto 4, n. 49, disponendo che ad esse si applica la SCIA senza richiamare la normativa regionale.

Si valuti l’opportunità di integrare il punto 4, n. 49 richiamando la normativa regionale.

 

In alcuni casi, la normativa è quella come interpretata da successive circolari del MISE. Si porta dunque a rango normativo primario una “prassi interpretativa” della normativa vigente.

Inoltre, al punto 1.10, il numero 20 indica il regime per la vendita al minuto di prodotti agricoli, zootecnici, mangimi, prodotti di origine animale e chimico industriale destinati all’alimentazione animale. La legge n. 281/1963, all’articolo 5, richiamata in Tabella, dispone che chiunque intende produrre a scopo di vendita o preparare per conto terzi o, comunque, per la distribuzione per il consumo, mangimi composti, completi o complementari, senza integratori o integratori medicati deve chiedere l'autorizzazione. Alla luce dei successivi interventi legislativi, ed in particolare alla luce dell’impianto complessivo della Direttiva Servizi, il MISE, con circolari interpretative, del 2011 e del 2012, ha ritenuto che "nessun requisito è richiesto per la commercializzazione di animali vivi e/o mangimi per animali, purché, ovviamente, sia evidente ed esclusa, nelle forme di presentazione e di vendita dei prodotti in questione, ogni, pur possibile, destinazione alternativa all'alimentazione umana e siano rispettati tutti gli altri vincoli derivanti dalla legislazione sanitaria". Dunque, opera la disciplina degli esercizi di vicinato e delle medie e grandi strutture di vendita in genere.

 

In altri casi, la Tabella sostituisce l’autorizzazione all’esercizio dell’attività prevista dal TULPS con la Scia unica, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 6, comma 2 dello schema di decreto in esame.

Si osserva al riguardo che il richiamato articolo 6, comma 2 trova la sua “ratio” nel fatto che già esistono “prassi interpretative” della normativa vigente da parte del Ministero dell’Interno.

A conferma di quanto sopra, si richiama il punto 3 Esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, n. 42 la cui apertura trasferimento e subingresso, ovunque essi si trovino, è soggetta (con la novella introdotta dall’articolo 5 dello schema in esame) a SCIA.

Il TULPS (articolo 86) – richiamato nella quarta colonna della Tabella - prevede però la concessione della licenza. La Tabella, nella terza colonna, dispone che “la Scia UNICA svolge anche la funzione di autorizzazione per i fini di cui al TULPS”.

In questo caso, la Tabella, “presuppone” per così dire, la Circolare del Ministero dell’Interno del 16 luglio 2013.

Analoghi al caso di cui sopra è peraltro il Punto 3.1, n. 44 (avvio ampliamento subingresso e ampliamento di superficie dell’attività di somministrazione negli esercizi posti nelle aree di servizio delle autostrade e stazioni ferroviarie), n. 45 (avvio e subingresso nell’attività di somministrazione da parte di associazioni e circoli aderenti ad enti con finalità assistenziali e n. 46 (avvio e subingresso di somministrazione nell’attività di somministrazione nelle scuole e 48 nei mezzi di traporto pubblico).

Dunque, la normativa, richiamata nella quarta colonna, assorbe anche le novelle introdotte dagli articoli 5 e 6 dello schema in esame.

 

Con riferimento alle singole voci contenute nella Tabella, Sezione I relativa al Commercio, si avanzano i seguenti singoli rilievi, taluni dei quali connessi con le osservazioni sopra esposte.

 

Al punto 1.10, casistiche relative alla vendita di specifici prodotti, si segnala che per ciascuna delle attività inserite nei numeri da 15 a 23, per maggiore completezza, andrebbe esplicitato, nella colonna riferimenti normativi, il richiamo agli articoli 7 e 8 e 9 del D.L.gs. n. 114/1998, che rispettivamente riguardano gli esercizi di vicinato, le medie e le grandi strutture di vendita.

 

Al Punto 4, n.51 somministrazione di cibi e bevande in strutture ricettive, si segnala che sarebbe opportuno citare anche l’articolo 64, comma 1 del D.Lgs. n. 59/2010.

 

Al Punto 6.1 Esercizio di sale giochi, al n. 57 e n. 58, potrebbe essere opportuno espungere nella prima colonna dedicata alla descrizione dell’attività o locale il richiamo alla “SCIA prevenzione incendi” e lasciare il solo riferimento ai “locali cin capienza superiore a 100 persone, ovvero con superficie superiore a 200 mq a qualunque attività destinati”. Il richiamo alla “SCIA prevenzione incendi deve essere mantenuto solo nella seconda colonna relativa al regime amministrativo.

 

Al punto 9. Officine di autoriparazione, n. 64 si segnala che il D.P.R. n. 387/1994, richiamato nei riferimenti normativi è stato abrogato dall'art. 15, D.P.R. 14 dicembre 1999, n. 558.

 

Al punto 11. Panifici, n. 68 autorizzazione generale alle emissioni in atmosfera in caso di consumo di farina superiore a 1500/Kg/g laddove si richiama il D.Lgs. n. 152/2006, allegato IV alla Parte V, parte 2, potrebbe essere opportuno indicare che si tratta della lettera h).

 

Al punto 12. Tintolavanderie laddove si fa riferimento all’utilizzo di impianti di produzione di calore alimentati a combustibile solido liquido o gassoso, sarebbe opportuno citare la SCIA UNICA, posto che la SCIA per l’esercizio dell’attività contiene anche la SCIA prevenzione incendi.

Inoltre, per gli scarichi di acque reflue connessi all’esercizio dell’attività, essendo per essi necessaria l’autorizzazione, si valuti la riconducibilità delle fattispecie all’articolo 19 bis, comma 3 della legge n. 241/1990, come introdotto dall’articolo 3 del D.Lgs. n. 126/2016.

Infine, laddove si richiama il D.Lgs. n. 152/2006, allegato IV alla Parte V, per l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera, parte 2, potrebbe essere opportuno indicare la lettera mm).

 

Al Punto 13. attività tipografiche, litografiche, fotografiche e di stampa si richiama l’articolo 111 del TULPS, che richiedeva l’autorizzazione comunale, che è stato abrogato dal D.Lgs. n. 114/1998.

Sarebbe opportuno, pertanto, modificare la colonna relativa ai riferimenti normativi.

Inoltre, laddove si fa riferimento alle emissioni in atmosfera in caso di tipografia e si richiama il D.Lgs. n. 152/2006, potrebbe essere opportuno richiamare specificamente la lettera b).

Nel caso di più autorizzazioni, nella colonna concentrazione regimi amministrativi, si valuti la riconducibilità delle fattisepecie all’articolo 19 bis, comma 3 della legge n. 241/1990, come introdotto dall’articolo 3 del D.Lgs. n. 126/2016.

 

Al punto 14. Altre attività. n. 74 Scuole nautiche Si prevede la SCIA richiamandosi l’articolo 123 del D.Lgs. n. 285/1992 invece dedicato alle autoscuole.

Si cita inoltre correttamente l’articolo 42 del D.M. 146/2008, il quale invece dispone che le scuole nautiche sono soggette ad autorizzazione e vigilanza amministrativa da parte della provincia del luogo in cui hanno la sede principale.

Sarebbe opportuno chiarire, in questo caso, se la Tabella ha portata innovativa rispetto alla disciplina vigente di cui al D.M. citato.

 

Si formula infine una notazione di ordine generale per le attività commerciali concernenti prodotti alimentari: nella Tabella sono richiamate una sola volta – al Punto 2.4, n. 39 “Commercio su area pubblica su posteggio-Subingresso” - le linee guida applicative del Regolamento n. 852/2004/CE sull’igiene dei prodotti alimentari pubblicate in G.U. 26 maggio 2010. Sarebbe pertanto opportuno o citare le linee guida in tutti i casi in cui è necessaria la notifica sanitaria, o sopprimere il richiamo ad esse nel citato Punto 2.4, n. 39.


 

Articolo 6
(Semplificazione di regimi amministrativi
in materia di pubblica sicurezza)

 

L’articolo 6 introduce alcune semplificazioni in materia di pubblica sicurezza.

Con il comma 1 viene modificato il regime amministrativo necessario per la costruzione di impianti provvisori elettrici per straordinarie illuminazioni pubbliche, in occasione di festività civili o religiose o in qualsiasi altra contingenza, che ai sensi del vigente art. 110 del regolamento di esecuzione del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (R.D. n. 635/1940) richiede la licenza della autorità locale di pubblica sicurezza, rilasciata ai sensi dell’art. 57 del TULPS (R.D. n. 773/1931).

Il citato articolo 110 viene interamente novellato dal comma 1 dell’articolo in esame per sostituire alla licenza una comunicazione da trasmettere al comune, corredata dalla certificazione di conformità degli impianti di cui all’articolo 7 del decreto del Ministro dello sviluppo economico 22 gennaio 2008, n. 37.

Inoltre, viene abrogato il secondo comma 2 dell’art. 110 in base al quale la licenza non può essere rilasciata a chi non dimostri la propria capacità tecnica, con qualunque mezzo ritenuto idoneo dall'autorità di pubblica sicurezza.

 

Di carattere più generale è la novità introdotta con il comma 2 dell’articolo 6, il quale stabilisce che per le attività soggette ad autorizzazione di pubblica sicurezza per le quali la tabella prevede il regime della SCIA, questa svolge anche la funzione dell'autorizzazione.

In altri termini, per i casi individuati nella tabella, la SCIA è funzionale a consentire l’immediata intrapresa dell’attività economica ma al tempo stesso vale come autorizzazione di pubblica sicurezza.

 

Ai sensi dell’articolo 14 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, adottato con regio decreto n. 773/1931 sono autorizzazioni di polizia le licenze, le iscrizioni in appositi registri, le approvazioni e simili atti di polizia. Il successivo articolo 16, gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza hanno facoltà di accedere in qualunque ora nei locali destinati all'esercizio di attività soggette ad autorizzazioni di polizia e di assicurarsi dell'adempimento delle prescrizioni imposte dalla legge, dai regolamenti o dall'autorità.

Le attività soggette a licenza di pubblica sicurezza sono numerose. In particolare, esse sono necessarie per l’esercizio delle attività commerciali di: spettacoli e trattenimenti pubblici; attività alberghiere ed extralberghiere; noleggi senza conducenti e rimesse pubbliche; agenzie affari; agenzie viaggio; installazione, produzione, importazione e distribuzione gestione giochi; sale gioco; agibilità cinema e teatri; manifestazioni di sorte locale; mestiere di fochino; istruttori di tiro; strumenti da punta e da taglio.

 

La relazione di accompagnamento chiarisce che la disposizione è volta a risolvere una questione risalente, consistente nel mantenimento, almeno sotto il profilo formale, di un duplice regime per determinate attività commerciali che, pur essendo state “liberalizzate” a seguito della introduzione della SCIA, continuano ad essere assoggettate alle autorizzazioni di pubblica sicurezza per le finalità relative. La stessa relazione evidenzia che tale doppio regime resiste sotto il profilo formale ed è sostanzialmente superato nelle “prassi interpretative” della normativa vigente.

Con la disposizione introdotta si chiarisce che per le attività individuate nella tabella non esiste il doppio regime, bensì basta la segnalazione ad esplicare anche gli effetti dell’autorizzazione di polizia.

 

La relazione richiama anche l’applicabilità dell’articolo 16 TULPS (si v. supra) in quanto si mantiene la possibilità per le autorità di polizia di controllare luoghi potenzialmente attrattivi di pluralità di utenti, senza che a ciò necessariamente corrisponda il possesso di un’autorizzazione formale.

 

 


 



[1]     In relazione alla normativa vigente, si ricorda che l’articolo 17 del D.Lgs. n. 50/2010, per quanto concerne l’accesso e l’esercizio delle attività di servizi di cui alla cd. direttiva Bolkestein, prevede che per ogni domanda di autorizzazione le autorità competenti assicurano il rilascio di una ricevuta, la quale deve contenere le informazioni seguenti:

a) il termine previsto per la conclusione del procedimento e i casi in cui la sua decorrenza subisca un differimento o una sospensione;

b) i mezzi di ricorso previsti;

c) fatti salvi i casi in cui il procedimento si conclude con l'adozione di un provvedimento espresso, la menzione che, in mancanza di risposta entro il termine previsto, l'autorizzazione è considerata come rilasciata.

La medesima disciplina stabilisce che ove la domanda è presentata per via telematica la ricevuta è inviata tramite posta elettronica.

[2]     In particolare, il comma 1-ter demanda ai competenti uffici territoriali del Ministero, alla regione e ai Comuni di avviare, d'intesa tra loro, procedimenti di riesame delle autorizzazioni e delle concessioni di suolo pubblico, anche a rotazione, che risultino non più compatibili con le suddette esigenze, anche in deroga a eventuali disposizioni regionali già adottate, nonché in deroga ai criteri per il rilascio e il rinnovo della concessione dei posteggi per l'esercizio del commercio su aree pubbliche e alle disposizioni transitorie stabilite per le concessioni in essere per il commercio al dettaglio su aree pubbliche dal D.Lgs. n. 59/2010 attuativo della Direttiva servizi UE 2006/123/CE (cd. Direttiva Bolkenstein). L’articolo 52, comma 1-ter, dispone, inoltre che, in caso di revoca del titolo, ove non risulti possibile il trasferimento dell'attività commerciale in una collocazione alternativa potenzialmente equivalente, al titolare è corrisposto da parte dell'amministrazione procedente un indennizzo ai sensi di quanto previsto dalla legge n. 241/1990 (articolo 21-quinquies), i cui criteri di determinazione sono fissati dall’articolo 52 stesso.

[3]     Si ricorda che il comma 1-ter dell’articolo 52 del Codice del paesaggio è stato modificato da ultimo dal D.L. 78/2015 (art. 16, comma 1-ter lett. a) e b)) per tener conto dei rilievi formulati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 140/2015. Con essa, infatti, la Corte aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma che ha inserito il comma in questione (articolo 4-bis del D.L. n. 91/2013) e della sua successiva novella (contenuta nell’art. 4, comma 1, D.L. 31 maggio 2014, n. 83) nella parte in cui tali norme non prevedevano l'intesa fra Stato e Regioni o alcuno strumento idoneo a garantire una leale collaborazione fra Stato e Regioni.

[4]     Difesa nazionale, pubblica sicurezza, immigrazione, asilo, cittadinanza, amministrazione della giustizia, amministrazione delle finanze (ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco).

[5]     Infatti, la segnalazione deve essere corredata sia con le dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell'atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali, ma anche con le attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati corredate dagli elaborati tecnici, o con le dichiarazioni di conformità da parte dell’Agenzia delle imprese. Tali attestazioni e asseverazioni sono funzionali alle verifiche di competenza dell'amministrazione, che a tal fine si avvale anche degli elaborati tecnici necessari a corredo della segnalazione. Le autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni sostituiscono anche l'acquisizione di atti o pareri di organi o enti appositi, stabiliti dalla normativa vigente, ovvero l'esecuzione di verifiche preventive. La disposizione tuttavia precisa che sono sempre salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti.

[6]     Il comma 1 dell’art. 6 del TUED, nel disporre che gli interventi elencati nel seguito del comma possono essere eseguiti senza alcun titolo abilitativo, precisa che ciò deve avvenire fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio.

[7]     L’articolo 30, comma 1 citato dispone che i soggetti che esercitano il commercio sulle aree pubbliche sono sottoposti alle medesime disposizioni che riguardano gli altri commercianti al dettaglio purché esse non contrastino con specifiche disposizioni del presente titolo.

[8]     Inoltre, il comma 3 dell’articolo 64 del D.Lgs. n. 59/2010, per ciò che concerne la somministrazione di alimenti e bevande, dispone che i comuni – al fine di assicurare un corretto sviluppo del settore e limitatamente alle zone del territorio da sottoporre a tutela - adottano provvedimenti di programmazione delle aperture degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande al pubblico, potendo prevedere, sulla base di parametri oggettivi e indici di qualità del servizio, divieti o limitazioni all'apertura di nuove strutture limitatamente ai casi in cui ragioni non altrimenti risolvibili di sostenibilità ambientale, sociale e di viabilità rendano impossibile consentire ulteriori flussi di pubblico nella zona senza incidere in modo gravemente negativo sui meccanismi di controllo, in particolare per il consumo di alcolici, e senza ledere il diritto dei residenti alla vivibilità del territorio e alla normale mobilità.