Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: La sentenza della Corte costituzionale n. 35 del 2017 sul sistema elettorale della Camera (c.d. Italicum) - Schede di lettura
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 278
Data: 14/02/2017
Descrittori:
CAMERA DEI DEPUTATI   GIUDIZI DI COSTITUZIONALITA'
L 2015 0052   SISTEMI ELETTORALI
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni


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La sentenza della Corte costituzionale n. 35 del 2017 sul sistema elettorale della Camera (c.d. Italicum)

14 febbraio 2017
Schede di lettura


Indice

Premessa|Attribuzione di 340 seggi alla lista che consegue il 40 per cento dei voti ("premio di maggioranza")|Ballottaggio tra le due liste più votate|Lo 'slittamento' dei seggi tra le circoscrizioni|La composizione delle liste|Il candidato capolista e le 'multicandidature'|Meccanismo di attribuzione dei seggi nella Regione autonoma Trentino-Alto Adige|Diversità delle soglie di sbarramento nei sistemi di elezione di Camera e Senato|Decorrenza (1° luglio 2016) dell'applicazione delle disposizioni della legge n. 52/2015 e diversità dei sistemi di elezione di Camera e Senato|Disposizioni di cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale|


Premessa

Sulla legge che ha definito il nuovo sistema elettorale della Camera (legge 6 maggio 2015, n. 52) si è espressa la Corte costituzionale con la sentenza n. 35 del 2017, depositata il 9 febbraio 2017.

Con tale pronuncia la Corte ha, in particolare, dichiarato l'illegittimità costituzionale delle disposizioni che prevedono un turno di ballottaggio e delle norme che consentono "al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio d'elezione".

 

La legge 52/2015, come risultante a seguito della citata sentenza, reca dunque – per l'elezione della Camera dei deputati - una sistema proporzionale con attribuzione di un premio di maggioranza (340 seggi) nel caso in cui una lista raggiunga il 40 per cento dei voti validi. La soglia fissata per accedere al riparto è quella del 3% per la lista; non è ammessa la possibilità di presentarsi in coalizione. Il territorio nazionale è diviso in 20 circoscrizioni divise a loro volta, con esclusione di Valle d'Aosta e Trentino-Alto Adige, in complessivi 100 collegi plurinominali.

 

Sono di seguito illustrati i principali punti della sentenza della Corte.


Attribuzione di 340 seggi alla lista che consegue il 40 per cento dei voti ("premio di maggioranza")

La Corte dichiara infondate le questioni di legittimità costituzionale relative all'attribuzione di 340 seggi alla lista che consegue il 40 per cento dei voti ("premio di maggioranza").

Secondo il giudici rimettenti tale configurazione del premio di maggioranza comprime irragionevolmente l'eguaglianza del voto e la rappresentatività della Camera, in quanto il calcolo della percentuale è operato sul numero di voti validi espressi e non in relazione al complesso degli aventi diritto al voto, dovendosi inoltre considerare la compresenza del premio e della soglia di sbarramento del 3 per cento a livello nazionale.

La Corte costituzionale richiama in proposito la propria giurisprudenza, che "ha sempre riconosciuto al legislatore un'ampia discrezionalità nella scelta del sistema elettorale che ritenga più idoneo in relazione al contesto storico-politico in cui tale sistema è destinato ad operare, riservandosi una possibilità di intervento limitata ai casi nei quali la disciplina introdotta risulti manifestamente irragionevole (sentenze n. 1 del 2014, n. 242 del 2012, n. 271 del 2010, n. 107 del 1996, n. 438 del 1993, ordinanza n. 260 del 2002). Con specifico riferimento a sistemi elettorali che innestano un premio di maggioranza su di un riparto di seggi effettuato con formula proporzionale, la giurisprudenza costituzionale ha già affermato che, in assenza della previsione di una soglia minima di voti e/o di seggi cui condizionare l'attribuzione del premio, il meccanismo premiale è foriero di un'eccessiva sovrarappresentazione della lista di maggioranza relativa (sentenze n. 1 del 2014, n. 13 del 2012, n. 16 e n. 15 del 2008)."

Il sistema elettorale all'esame della Corte prevede invece una soglia minima per l'accesso al premio, fissata al 40 per cento e tale soglia "non appare in sé manifestamente irragionevole, poiché volta a bilanciare i principi costituzionali della necessaria rappresentatività della Camera dei deputati e dell'eguaglianza del voto, da un lato, con gli obbiettivi, pure di rilievo costituzionale, della stabilità del governo del Paese e della rapidità del processo decisionale, dall'altro".

 

Secondo la Corte sfugge "in linea di principio, al sindacato di legittimità costituzionale una valutazione sull'entità della soglia minima in concreto prescelta dal legislatore (attualmente pari al 40 per cento dei voti validi, e del resto progressivamente innalzata nel corso dei lavori parlamentari)". "Ma resta salvo il controllo di proporzionalità riferito alle ipotesi in cui la previsione di una soglia irragionevolmente bassa di voti per l'attribuzione di un premio di maggioranza determini una tale distorsione della rappresentatività da comportarne un sacrificio sproporzionato, rispetto al legittimo obbiettivo di garantire la stabilità del governo del Paese e di favorire il processo decisionale."

Sulla questione sollevata relativamente al calcolo della soglia del 40 per cento sui voti validi espressi anziché sul numero degli aventi diritto al voto, la Corte rileva che, pur non potendosi "in astratto escludere che, in periodi di forte astensione dal voto, l'attribuzione del premio avvenga a favore di una lista che dispone di un'esigua rappresentatività reale, condizionare il premio al raggiungimento di una soglia calcolata sui voti validi espressi ovvero sugli aventi diritto costituisce oggetto di una delicata scelta politica, demandata alla discrezionalità del legislatore e non certo soluzione costituzionalmente obbligata (sentenza n. 173 del 2005)".

Sulla compresenza di premio di maggioranza e soglia di sbarramento del 3 per cento, la Corte innanzitutto ricorda che "[l]a previsione di soglie di sbarramento e quella delle modalità per la loro applicazione […] sono tipiche manifestazioni della discrezionalità del legislatore che intenda evitare la frammentazione della rappresentanza politica, e contribuire alla governabilità (sentenza n. 193 del 2015)" e che il cd. Italicum introduce "una soglia di sbarramento non irragionevolmente elevata"

La Corte non ritiene poi manifestamente irragionevole che il legislatore ricorra contemporaneamente, nella sua discrezionalità, a entrambi i meccanismi: "se il premio ha lo scopo di assicurare l'esistenza di una maggioranza, una ragionevole soglia di sbarramento può a sua volta contribuire allo scopo di non ostacolarne la formazione. Né è da trascurare che la soglia può favorire la formazione di un'opposizione non eccessivamente frammentata, così attenuando, anziché aggravando, i disequilibri indotti dalla stessa previsione del premio di maggioranza."

 

Assegnazione del premio di maggioranza nel caso in cui due liste superino il 40 per cento dei voti
 
Uno dei giudici rimettenti solleva questione di legittimità costituzionale dell'assegnazione del premio di maggioranza alla lista più votata, anche nel caso in cui due liste superino, al primo turno, il 40 per cento di essi, in quanto in tal caso la lista risultata seconda vedrebbe irragionevolmente ridotto il proprio numero di deputati.
La Corte ritiene non fondata tale questione, in quanto "è comunque nella logica di un sistema elettorale con premio di maggioranza che alle liste di minoranza, a prescindere dalla percentuale di voti raggiunta, sia attribuito un numero di seggi inferiore rispetto a quello che sarebbe loro assegnato nell'ambito di un sistema proporzionale senza correttivi. Tale logica, ovviamente, vale anche per la lista che giunge seconda."
 
Conseguimento al primo turno di 340 seggi da parte di una lista che non ha ottenuto il 40 per cento dei voti.
 
Uno dei giudici rimettenti solleva questione di legittimità costituzionale delle disposizioni dell'Italicum nella parte in cui impongono irragionevolmente di procedere al ballottaggio anche nel caso in cui una lista abbia ottenuto, al primo turno, 340 seggi, ma non il 40 per cento dei voti.
La Corte ritiene tale questione non fondata, in quanto il giudice rimettente muove da un errato presupposto interpretativo. L'interpretazione meramente letterale delle disposizioni risulta infatti fuorviante, poiché consegna un risultato in contrasto con la ratio complessiva della legge elettorale in esame, il cui carattere distintivo è quello di favorire la formazione di una maggioranza, ossia fare in modo che una lista disponga, alla Camera, di 340 seggi. In base ad un'interpretazione sistematica, deve intendersi che quando una lista abbia già ottenuto 340 seggi sulla base della prima attribuzione proporzionale, tale attribuzione resta ferma, a prescindere dalla percentuale dei voti ottenuti da tale lista (e quindi anche quando la lista non abbia conseguito il 40 per cento dei voti.

Ballottaggio tra le due liste più votate

I giudici a quibus sollevano questione di legittimità costituzionale delle disposizioni che prevedono, in caso di mancato raggiungimento del 40 per cento dei voti al primo turno, un turno di ballottaggio fra le due liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti. I rilievi mossi dai giudici rimettenti riguardano tre aspetti del turno di ballottaggio: 1) il fatto che una lista possa accedere ad esso anche solo raggiungendo il 3 per cento dei voti al primo turno; 2) al ballottaggio, la soglia del 50 per cento più uno dei voti necessari per ottenere il premio è calcolata sui voti validi espressi e non sugli aventi diritto; 3) non sono consentiti apparentamenti o collegamenti tra liste.

La Corte – dopo aver nuovamente ricordato che "ben può il legislatore innestare un premio di maggioranza in un sistema elettorale ispirato al criterio del riparto proporzionale di seggi, purché tale meccanismo premiale non sia foriero di un'eccessiva sovrarappresentazione della lista di maggioranza relativa (sentenza n. 1 del 2014)" – rileva la lesione degli artt. 1, secondo comma, 3 e 48, secondo comma, Cost. (principi della sovranità popolare e dell'uguaglianza del voto) determinata dalle "concrete modalità dell'attribuzione del premio attraverso il turno di ballottaggio".

Non è dunque "il turno di ballottaggio fra liste in sé, in astratto considerato, a risultare costituzionalmente illegittimo, perché in radice incompatibile con i principi costituzionali evocati", ma la concreta disciplina dettata dal legislatore.

Innanzitutto "il turno di ballottaggio non è costruito come una nuova votazione rispetto a quella svoltasi al primo turno, ma come la sua prosecuzione. In questa prospettiva, al turno di ballottaggio accedono le sole due liste più votate al primo turno, senza che siano consentite, tra i due turni, forme di collegamento o apparentamento fra liste." Inoltre, "la ripartizione percentuale dei seggi, anche dopo lo svolgimento del turno di ballottaggio, resta – per tutte le liste diverse da quella vincente, ed anche per quella che partecipa, perdendo, al ballottaggio – la stessa del primo turno" (rectius: dopo il ballottaggio, i seggi sono attribuiti per tutte le liste diverse da quella vincitrice del ballottaggio sulla base dei voti ottenuti al primo turno). "Il turno di ballottaggio serve dunque ad individuare la lista vincente, ossia a consentire ad una lista il raggiungimento di quella soglia minima di voti che nessuna aveva invece ottenuto al primo turno."

Il premio conseguentemente attribuito "resta un premio di maggioranza, e non diventa un premio di governabilità" (infatti se la soglia minima si innalza, al secondo turno, al 50 per cento più uno dei voti, si tratta di una conseguenza obbligata del fatto che le liste ammesse al ballottaggio sono solo due), e, in quanto tale, incontra il "limite costituito dall'esigenza costituzionale di non comprimere eccessivamente il carattere rappresentativo dell'assemblea elettiva e l'eguaglianza del voto."

 

Premio di "maggioranza" e premio di "governabilità"
Nella parte dispositiva della sentenza relativa al premio di maggioranza, la Corte opera una distinzione tra "premio di maggioranza", che "consente di attribuire la maggioranza assoluta dei seggi in un'assemblea rappresentativa alla lista che abbia conseguito una determinata maggioranza" e "premio di governabilità", ossia "condizionato al raggiungimento di una soglia pari almeno al 50 per cento dei voti e/o dei seggi, e destinato ad aumentare, al fine di assicurare la formazione di un esecutivo stabile, il numero di seggi di una lista o di una coalizione che quella soglia abbia già autonomamente raggiunto", ritenendo entrambi i meccanismi non incompatibili con i principi costituzionali.
Dalle argomentazioni della Corte in merito al turno di ballottaggio, sembra ricavarsi che il premio di "governabilità", inteso come premio riconosciuto al raggiungimento di una soglia pari almeno al 50 per cento dei voti e/o dei seggi, risulta in sé compatibile con i principi costituzionali. Il premio di "maggioranza" è invece soggetto allo scrutinio di ragionevolezza e proporzionalità con riferimento all'entità della soglia che consente di accedere al premio.

 

Il rispetto dei richiamati principi costituzionali non è "garantito dalle disposizioni censurate: una lista può accedere al turno di ballottaggio anche avendo conseguito, al primo turno, un consenso esiguo, e ciononostante ottenere il premio, vedendo più che raddoppiati i seggi che avrebbe conseguito sulla base dei voti ottenuti al primo turno". Viene così riprodotto, seppure al turno di ballottaggio, "un effetto distorsivo analogo a quello che questa Corte aveva individuato, nella sentenza n. 1 del 2014, in relazione alla legislazione elettorale previgente" (cd. Legge Calderoli).

L'obbiettivo di assicurare la stabilità del Governo "non può giustificare uno sproporzionato sacrificio dei principi costituzionali di rappresentatività e di uguaglianza del voto, trasformando artificialmente una lista che vanta un consenso limitato, ed in ipotesi anche esiguo, in maggioranza assoluta".

Né vale l'obiezione che, all'esito del ballottaggio, il premio consegue pur sempre ad un voto degli elettori, in quanto "se il primo turno dimostra che nessuna lista, da sola, è in grado di conquistare il premio di maggioranza, soltanto le stringenti condizioni di accesso al turno di ballottaggio conducono, attraverso una radicale riduzione dell'offerta politica, alla sicura attribuzione di tale premio."

Di conseguenza, "il perseguimento della finalità di creare una maggioranza politica governante in seno all'assemblea rappresentativa, destinata ad assicurare (e non solo a favorire) la stabilità del governo, avviene a prezzo di una valutazione del peso del voto in uscita fortemente diseguale, al fine dell'attribuzione finale dei seggi alla Camera, in lesione dell'art. 48, secondo comma, Cost."

Il turno di ballottaggio previsto dal cd. Italicum non può essere accostato alle esperienze di altri ordinamenti, ove si ricorre al ballottaggio, nell'ambito di sistemi elettorali maggioritari, per l'elezione di singoli rappresentanti in collegi uninominali di ridotte dimensioni. In tali casi, trattandosi di eleggere un solo rappresentante, il secondo turno è funzionale all'obiettivo di ridurre la pluralità di candidature ed è dunque finalizzato, oltre che alla elezione di un solo candidato, anche a garantirne l'ampia rappresentatività nel singolo collegio.

Appartiene invece ad una logica diversa "l'assegnazione di un premio di maggioranza, innestato su una formula elettorale in prevalenza proporzionale, finalizzato a completare la composizione dell'assemblea rappresentativa, con l'obbiettivo di assicurare (e non solo di favorire) la presenza, in quest'ultima, di una maggioranza politica governante. Se utilizzato in un tale contesto, che trasforma in radice la logica e lo scopo della competizione elettorale (gli elettori non votano per eleggere un solo rappresentante di un collegio elettorale di limitate dimensioni, ma per decidere a quale forza politica spetti, nell'ambito di un ramo del Parlamento nazionale, sostenere il governo del Paese), un turno di ballottaggio a scrutinio di lista non può non essere disciplinato alla luce della complessiva funzione che spetta ad un'assemblea elettiva nel contesto di un regime parlamentare."

Nella forma di governo parlamentare disegnata dalla Costituzione, la Camera dei deputati è una delle due sedi della rappresentanza politica nazionale (art. 67 Cost.), accanto al Senato della Repubblica. In posizione paritaria con quest'ultimo, essa concede la fiducia al Governo ed è titolare delle funzioni di indirizzo politico (art. 94 Cost.) e legislativa (art. 70 Cost.). "L'applicazione di un sistema con turno di ballottaggio risolutivo, a scrutinio di lista, dovrebbe necessariamente tenere conto della specifica funzione e posizione costituzionale di una tale assemblea, organo fondamentale nell'assetto democratico dell'intero ordinamento, considerando che, in una forma di governo parlamentare, ogni sistema elettorale, se pure deve favorire la formazione di un governo stabile, non può che esser primariamente destinato ad assicurare il valore costituzionale della rappresentatività."

"Le stringenti condizioni cui la legge n. 52 del 2015 sottopone l'accesso al ballottaggio non adempiono a tali compiti essenziali. Ma non potrebbe essere questa Corte a modificare, tramite interventi manipolativi o additivi, le concrete modalità attraverso le quali il premio viene assegnato all'esito del ballottaggio, inserendo alcuni, o tutti, i correttivi la cui assenza i giudici rimettenti lamentano. Ciò spetta all'ampia discrezionalità del legislatore (ad esempio, in relazione alla scelta se attribuire il premio ad una singola lista oppure ad una coalizione tra liste: sentenza n. 15 del 2008)" (la Corte richiama altresì le difficoltà tecniche ad effettuare interventi che, in astratto considerati, potrebbero rendere il turno di ballottaggio compatibile con i tratti qualificanti dell'organo rappresentativo nazionale).

Si ricorda in proposito che, come risulta dal dispositivo della sentenza, "i giudici a quibus lamentano che la maggioranza risultante dal turno di ballottaggio sarebbe «artificiosa», in quanto il legislatore si sarebbe limitato a prevedere che a tale turno accedano le sole due liste più votate (purché ottengano il 3 per cento dei voti validi espressi, o il 20 per cento se rappresentative di minoranze linguistiche); in quanto il premio sarebbe attribuito a chi ottiene il 50 per cento più uno dei voti validi espressi, senza alcuna considerazione per l'importanza, anche rilevante, che potrebbe assumere l'astensione dal voto, come prevedibile conseguenza della radicale riduzione dell'offerta elettorale nel turno di ballottaggio, e quindi senza prevedere correttivi, quali, ad esempio, il raggiungimento di un quorum minimo di votanti in tale turno, o di un quorum minimo al primo turno; e in quanto è esclusa, in vista del turno di ballottaggio, qualsiasi forma di collegamento fra liste."

 

La Corte rileva inoltre che l'illegittimità costituzionale del turno di ballottaggio previsto dall'Italicum non ha alcuna conseguenza sulla ben diversa disciplina del secondo turno prevista nei Comuni di maggiori dimensioni, che risponde ad una logica del tutto differente. "È pur vero che nel sistema elettorale comunale l'elezione di una carica monocratica, quale è il sindaco […] influisce in parte anche sulla composizione dell'organo rappresentativo. Ma ciò che più conta è che quel sistema si colloca all'interno di un assetto istituzionale caratterizzato dall'elezione diretta del titolare del potere esecutivo locale, quindi ben diverso dalla forma di governo parlamentare prevista dalla Costituzione a livello nazionale.

La Corte sottolinea infine che la normativa che resta in vigore a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale del ballottaggio è idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell'organo costituzionale elettivo, così come richiesto dalla costante giurisprudenza costituzionale. Infatti, qualora, all'esito del primo turno, la lista con la maggiore cifra elettorale nazionale non abbia ottenuto almeno il 40 per cento dei voti validi, s'intende che resta fermo il riparto proporzionale dei seggi.

 


Lo 'slittamento' dei seggi tra le circoscrizioni

Uno dei giudici rimettenti solleva questione di legittimità costituzionale sulle disposizioni che disciplinano l'assegnazione dei seggi, consentendo che un seggio, da assegnarsi in una determinata circoscrizione, possa risultare attributo in un'altra (ingenerando un fenomeno di traslazione di seggi, noto anche con il termine "slittamento"). Tali disposizioni si porrebbero in contrasto con l'art. 56, quarto comma, Cost., il quale prevede che «[l]a ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni […] si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall'ultimo censimento generale della popolazione, per seicentodiciotto e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti».

 

La Corte ricostruisce dunque la disciplina per il riparto dei seggi tra le liste a livello circoscrizionale.
In particolare, dopo che l'Ufficio centrale nazionale ha stabilito quanti seggi spettano a ciascuna lista a livello nazionale, distribuisce i seggi nelle varie circoscrizioni, in proporzione al numero di voti che ogni lista ha ottenuto in ciascuna di esse (con l'eccezione di Trentino-Alto Adige e Valle d'Aosta).
L'ufficio deve quindi verificare – e proprio in questa fase può verificarsi l'eventualità della traslazione – se la somma dei seggi assegnati alle liste nelle circoscrizioni corrisponda al numero dei seggi loro spettanti a livello nazionale, ovvero se vi siano liste che, in base al riparto a livello circoscrizionale, ne hanno ottenuti di più (liste cosiddette "eccedentarie") ovvero di meno (liste cosiddette "deficitarie") rispetto a quelli loro spettanti a livello nazionale.
In tale secondo caso, l'Ufficio centrale nazionale è chiamato ad operare delle correzioni. La legge prevede che i seggi siano sottratti, a partire dalla lista che ha il maggior numero di seggi eccedenti (e, in caso di parità, a partire da quella che ha ottenuto la maggiore cifra elettorale nazionale), proseguendo poi con le altre liste, in ordine decrescente di seggi eccedenti. L'ufficio sottrae tali seggi nelle circoscrizioni in cui la lista li ha ottenuti con le minori parti decimali dei quozienti di attribuzione (ossia, con un numero minore di voti). Quei seggi, così sottratti, sono assegnati, nella medesima circoscrizione, alle liste deficitarie per le quali le parti decimali dei quozienti di attribuzione non hanno dato luogo all'assegnazione di alcun seggio (ossia nei casi in cui la lista non ha ottenuto il seggio perché il numero di voti conseguiti non è stato sufficiente a raggiungere un quoziente intero).
Se non è possibile che tale compensazione si realizzi secondo le modalità appena ricordate – in quanto non vi siano, in una medesima circoscrizione, liste deficitarie con parti decimali dei quozienti inutilizzate – l'Ufficio centrale nazionale deve proseguire, per la stessa lista eccedentaria, nell'ordine dei decimali crescenti, fino ad individuare un'altra circoscrizione all'interno della quale sia contestualmente possibile sottrarre il seggio alla lista eccedentaria e assegnarlo a quella deficitaria.
Il complesso di tali previsioni – e in particolare quella da ultimo ricordata– ha l'obiettivo di consentire che le compensazioni avvengano all'interno di una medesima circoscrizione, anche a costo di danneggiare la lista eccedentaria, la quale potrebbe risultare privata del seggio non nella circoscrizione dove ha ottenuto meno voti, ma in quella in cui ne ha ottenuti di più. E tale operazione è condotta allo scopo di impedire che le compensazioni avvengano, come più frequentemente accadeva nella vigenza dei precedenti sistemi elettorali, tra circoscrizioni diverse. Dunque, proprio per evitare che si verifichino traslazioni di seggi da una circoscrizione ad un'altra.
Infatti, solo nell'ipotesi in cui – nonostante tutte le operazioni descritte – permanga l'impossibilità di effettuare la compensazione tra liste eccedentarie e deficitarie in una medesima circoscrizione, si applica, quale norma di chiusura, la disposizione censurata («[n]el caso in cui non sia possibile fare riferimento alla medesima circoscrizione ai fini del completamento delle operazioni precedenti, fino a concorrenza dei seggi ancora da cedere, alla lista eccedentaria vengono sottratti i seggi nelle circoscrizioni nelle quali essa li ha ottenuti con le minori parti decimali del quoziente di attribuzione, e alla lista deficitaria sono conseguentemente attribuiti seggi nelle altre circoscrizioni nelle quali abbia le maggiori parti decimali del quoziente di attribuzione non utilizzate»).

 

 La Corte giudica la questione infondata. Il complesso sistema di assegnazione dei seggi dispiega infatti ampie cautele proprio allo scopo di evitare la traslazione. L'effetto traslativo censurato si verifica dunque solo se il ricorso a quelle cautele si riveli inutile, in casi limite che il legislatore intende come del tutto residuali ("la traslazione di un seggio da una circoscrizione può infatti verificarsi, per ragioni matematiche e casuali, solo quando non sia stato possibile, applicando le disposizioni vigenti, individuare nessuna circoscrizione in cui siano compresenti una lista eccedentaria ed una deficitaria con parti decimali dei quozienti non utilizzati").

La non fondatezza della censura si rivela alla luce della necessità di interpretare il disposto di cui all'art. 56, quarto comma, Cost. in modo non isolato, ma in sistematica lettura con i principi desumibili dagli artt. 67 e 48 Cost.

Da questo punto di vista, il sistema di assegnazione dei seggi nelle circoscrizioni previsto dalla legge n. 52 del 2015 – che ricomprende, quale ipotesi residuale, la disposizione censurata – costituisce l'esito del bilanciamento fra principi ed esigenze diversi, non sempre tra loro perfettamente armonizzabili (analogamente, sia pure con riferimento alla diversa disciplina prevista per l'elezione dei membri italiani del Parlamento europeo, sentenza n. 271 del 2010).

Da un lato, il principio desumibile, appunto, dall'art. 56, quarto comma, Cost., posto a garanzia di una rappresentanza commisurata alla popolazione di ciascuna porzione del territorio nazionale; dall'altro, la necessità di consentire l'attribuzione dei seggi sulla base della cifra elettorale nazionale conseguita da ciascuna lista (soluzione, tra l'altro, funzionale – nel sistema elettorale ora in esame – allo scopo di individuare le liste che superano la soglia di sbarramento del 3 per cento, secondo quanto previsto anche dall'art. 1, comma 1, lettera e, della legge n. 52 del 2015, nonché la lista cui eventualmente attribuire il premio di maggioranza); infine l'esigenza di tenere conto, nella prospettiva degli elettori, del consenso ottenuto da ciascuna lista nelle singole circoscrizioni, alla luce dell'art. 48 Cost.

Il disposto di cui all'art. 56, quarto comma, Cost. non può essere infatti inteso nel senso di richiedere, quale soluzione costituzionalmente obbligata, un'assegnazione di seggi interamente conchiusa all'interno delle singole circoscrizioni, senza tener conto dei voti che le liste ottengono a livello nazionale (come, ad esempio, nel caso di un sistema elettorale interamente fondato su collegi uninominali a turno unico; oppure di un sistema proporzionale con riparto dei seggi solo a livello circoscrizionale, senza alcun recupero dei resti a livello nazionale).

L'art. 56, quarto comma, Cost. non è preordinato a garantire la rappresentanza dei territori in sé considerati (sentenza n. 271 del 2010), ma, come si è detto, tutela la distinta esigenza di una distribuzione dei seggi in proporzione alla popolazione delle diverse parti del territorio nazionale: la Camera resta, infatti, sede della rappresentanza politica nazionale (art. 67 Cost.), e la ripartizione in circoscrizioni non fa venir meno l'unità del corpo elettorale nazionale, essendo le singole circoscrizioni altrettante articolazioni di questo nelle varie parti del territorio.

Con riferimento al sistema elettorale introdotto dalla legge n. 52 del 2015, se è costituzionalmente legittimo che il riparto di seggi avvenga a livello nazionale (eventualità che del resto il giudice a quo non contesta), l'art. 56, quarto comma, Cost. deve essere quindi osservato fin tanto che ciò sia ragionevolmente possibile, senza escludere la legittimità di residuali ed inevitabili ipotesi di traslazione di seggi da una circoscrizione ad un'altra.


La composizione delle liste

La Corte costituzionale ha ricordato come nella sentenza n. 1 del 2014 (con cui si è espressa sulla legge n. 270/2015) il sistema allora vigente fosse stato ritenuto lesivo della libertà del voto garantita dall'art. 48, secondo comma, della Costituzione in quanto "non consentiva all'elettore alcun margine di scelta dei propri rappresentanti, prevedendo un voto per una lista composta interamente da candidati bloccati, nell'ambito di circoscrizioni molto ampie e in presenza di liste con un numero assai elevato di candidati, potenzialmente corrispondenti all'intero numero dei seggi assegnati alla circoscrizione, perciò difficilmente conoscibili dall'elettore". In quel sistema, "alla totalità dei parlamentari, senza alcuna eccezione, mancava il sostegno della indicazione personale degli elettori, in lesione della logica della rappresentanza prevista dalla Costituzione.

La Corte ha posto quindi l'accento sul fatto che "mentre lede la libertà del voto un sistema elettorale con liste bloccate e lunghe di candidati, nel quale è in radice esclusa, per la totalità degli eletti, qualunque indicazione di consenso degli elettori, appartiene al legislatore la discrezionalità nella scelta della più opportuna disciplina per la composizione delle liste e per l'indicazione delle modalità attraverso le quali prevedere che gli elettori esprimano il proprio sostegno ai candidati". Ha quindi ritenuto che le disposizioni introdotte dalla legge n. 52/2015 sulla composizione delle liste non determinano una lesione della libertà del voto dell'elettore, presidiata dall'art. 48, secondo comma, della Costituzione ricordando che il sistema elettorale previsto dall'Italicum si discosta da quello previgente per tre aspetti essenziali. In primo luogo, le liste sono presentate in 100 collegi plurinominali di dimensioni ridotte, e sono dunque formate da un numero assai inferiore di candidati; inoltre, l'unico candidato bloccato è il capolista, il cui nome compare sulla scheda elettorale (ciò che valorizza la sua preventiva conoscibilità da parte degli elettori); infine, l'elettore può, infine, esprimere sino a due preferenze, per candidati di sesso diverso tra quelli che non sono capilista.

La Corte ha ritenuto inoltre non irrilevante, nella complessiva valutazione, la circostanza che la selezione e la presentazione delle candidature (sentenze n. 429 del 1995 e n. 203 del 1975) nonché, come nel caso di specie, l'indicazione di candidati capilista, è anche espressione della posizione assegnata ai partiti politici dall'art. 49 Cost., "considerando, peraltro, che tale indicazione, tanto più delicata in quanto quei candidati sono bloccati, deve essere svolta alla luce del ruolo che la Costituzione assegna ai partiti, quali associazioni che consentono ai cittadini di concorrere con metodo democratico a determinare, anche attraverso la partecipazione alle elezioni, la politica nazionale".

Ad avviso della Corte inoltre l'effetto – posto in evidenza dal giudice a quo per cui le liste di minoranza potrebbero avere eletti solo tra i capilista bloccati – "costituisce una conseguenza (certo rilevante politicamente) che deriva, di fatto, anche dal modo in cui il sistema dei partiti è concretamente articolato, e che non può, di per sé, tradursi in un vizio d'illegittimità costituzionale" (sull'irrilevanza dei cosiddetti inconvenienti di fatto nel giudizio costituzionale, la Corte richiama ex multis, le sentenze n. 219 e n. 192 del 2016 e le ordinanze n. 122 e n. 93 del 2016). La Corte richiama inoltre le numerose variabili in grado di determinare quanti candidati sono eletti con o senza preferenze: oltre al numero dei capilista candidati in più collegi, che possono liberare seggi da assegnare ad eletti con preferenze, rileva anche la diffusione, sul territorio nazionale, del consenso che ciascuna lista ottiene. In particolare laddove il consenso è concentrato soprattutto in determinati collegi, una lista potrà conseguire, in questi, più di un seggio, eleggendo così, oltre al capolista, uno o più candidati con preferenze.


Il candidato capolista e le 'multicandidature'

La Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della previsione dell'art. 85 del d.P.R. n. 361 del 1957, come modificato dall'art. 2, comma 27, della legge n. 52 del 2015, che prevede che il deputato eletto in più collegi plurinominali deve dichiarare alla Presidenza della Camera dei deputati, entro otto giorni dalla data dell'ultima proclamazione, quale collegio plurinominale prescelga.

Ad avviso della Corte, infatti, "l'assenza di un criterio oggettivo, rispettoso della volontà degli elettori e idoneo a determinare la scelta del capolista eletto in più collegi, è in contraddizione manifesta con la logica dell'indicazione personale dell'eletto da parte dell'elettore, che pure la legge n. 52 del 2015 ha in parte accolto, permettendo l'espressione del voto di preferenza". La Corte ha dunque evidenziato che l'opzione arbitraria consente al capolista bloccato eletto in più collegi di essere titolare non solo del potere di prescegliere il collegio d'elezione, ma altresì, indirettamente, anche di un improprio potere di designazione del rappresentante di un dato collegio elettorale, secondo una logica idonea, in ultima analisi, a condizionare l'effetto utile dei voti di preferenza espressi dagli elettori.

E non rilevano, ad avviso della Corte, gli elementi - per certi versi analoghi - presenti nel sistema elettorale antecedente alla c.d. legge Mattarella e nel sistema per l'elezione dei membri italiani al Parlamento europeo (su cui è intervenuta la sentenza della Corte n. 104 del 2006 in cui si richiama il diritto di optare per una delle circoscrizioni nelle quali il candidato è risultato eletto), considerato che in tali sistemi il voto di preferenza poteva essere accordato a qualunque candidato, il quale, se eletto in più circoscrizioni, ragionevolmente poteva scegliere a discrezione quella in cui essere proclamato. Inoltre, in tali discipline, l'accesso alle multicandidature non era riservato ai capilista, ma anche agli altri candidati.

La Corte ha ricordato come in base al sistema introdotto dalla legge n. 52 del 2015 solo i capilista sono bloccati e possono candidarsi in più collegi, e sono costoro a determinare poi, con la loro opzione, l'elezione – o la mancata elezione – di candidati che hanno invece ottenuto voti di preferenza.

La Corte ha quindi condiviso l'affermazione in base alla quale l'opzione arbitraria affida irragionevolmente alla decisione del capolista il destino del voto di preferenza espresso dall'elettore nel collegio prescelto, determinando una distorsione del suo esito in uscita, "in violazione non solo del principio dell'uguaglianza ma anche della personalità del voto, tutelati dagli artt. 3 e 48, secondo comma, Cost." Né la garanzia di alcun altro interesse di rango costituzionale potrebbe bilanciare tale lesione, poiché la libera scelta dell'ambito territoriale in cui essere eletto – al fine di instaurare uno specifico legame, in termini di responsabilità politica, con il corpo degli elettori appartenenti ad un determinato collegio – potrebbe semmai essere invocata da un capolista che in quel collegio abbia guadagnato l'elezione con le preferenze, ma non certo, ed in ipotesi a danno di candidati che le preferenze hanno ottenuto, da un capolista bloccato.

La Corte ha quindi ricordato come, "nella rigorosa osservanza dei limiti dei propri poteri, tanto più in materia elettorale, connotata da ampia discrezionalità legislativa (sentenze n. 1 del 2014, n. 242 del 2012, n. 271 del 2010, n. 107 del 1996, n. 438 del 1993; ordinanza n. 260 del 2002) –più d'uno sono, in realtà, i possibili criteri alternativi, coerenti con la disciplina della legge n. 52 del 2015 in tema di candidature e voto di preferenza".

Precisando che "solo in via meramente esemplificativa, secondo una logica volta a premiare il voto di preferenza espresso dagli elettori", la Corte ha richiamato possibili interventi normativi conseguenti alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della previsione relativa alla discrezionalità di opzione da parte del capolista, fermo restando che la scelta tra questi ed altri possibili criteri, e tra i vantaggi e i difetti che ciascuno di essi presenta, appartiene alla ponderata valutazione del legislatore, e non può essere compiuta dal giudice costituzionale. In particolare, la Corte rileva come potrebbe stabilirsi che il capolista candidato in più collegi debba esser proclamato eletto nel collegio in cui il candidato della medesima lista – il quale sarebbe eletto in luogo del capolista – abbia riportato, in percentuale, meno voti di preferenza rispetto a quelli ottenuti dai candidati in altri collegi con lo stesso capolista. Ancora, seguendo una logica tesa a valorizzare il rilievo e la visibilità della sua candidatura, potrebbe invece prevedersi che il capolista candidato in più collegi debba essere proclamato eletto in quello dove la rispettiva lista ha ottenuto, sempre in percentuale, la maggiore cifra elettorale, in relazione agli altri collegi in cui lo stesso si era presentato quale capolista.

Riguardo al criterio del sorteggio, che permane, nel medesimo art. 85 del DPR 361/1957, quale criterio residuale, la Corte ha evidenziato come esso sia ciò che rimane, allo stato, dell'originaria volontà del legislatore espressa nella medesima disposizione coinvolta dalla pronuncia di illegittimità costituzionale.

Il permanere del criterio del sorteggio restituisce pertanto, come ribadito in più occasioni dalla Corte (da ultimo, nelle sentenze n. 1 del 2014, n. 13 del 2012, n. 16 e n. 15 del 2008) una normativa elettorale di risulta, immediatamente applicabile all'esito della pronuncia, idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell'organo costituzionale elettivo. Tuttavia – evidenzia la stessa Corte – appartiene con evidenza alla responsabilità del legislatore sostituire tale criterio con altra più adeguata regola, rispettosa della volontà degli elettori.


Meccanismo di attribuzione dei seggi nella Regione autonoma Trentino-Alto Adige

La Corte ha dichiarato inammissibile la questione sollevata dal Tribunale di Genova, per violazione degli artt. 1, secondo comma, 3 e 48, secondo comma, Cost., dell'art. 83, comma 3, del d.P.R. n. 361 del 1957, come sostituito dall'art. 2, comma 25, della legge n. 52 del 2015. Il tribunale lamentava, in particolare, il fatto che il meccanismo di attribuzione dei seggi, nella Regione autonoma Trentino-Alto Adige, determina una violazione della rappresentatività delle minoranze politiche nazionali, nel caso in cui queste non siano collegate con una lista vincitrice di seggi in tale Regione a statuto speciale.
La Corte ha, in particolare, evidenziato come la prospettazione del Tribunale, "che non si dà peraltro carico di illustrare il meccanismo elettorale della cui legittimità costituzionale dubita, appare talmente sintetica da rendere oscura la complessiva censura sollevata (sentenze n. 102 del 2016, n. 247 del 2015; ordinanze n. 227, n. 118, n. 47 e n. 32 del 2016)". Non è chiarito, ad avviso della Corte, a quali «minoranze nazionali» intenda riferirsi, ed è solo presumibile che si alluda (non già a minoranze linguistiche non protette ma) alle liste di minoranza a livello nazionale, cioè a minoranze politiche. Ancora, non sono esaurientemente descritte le ragioni per cui tali liste di minoranza risulterebbero discriminate nell'assegnazione dei seggi, tutte avendo, in linea teorica, la possibilità di apparentarsi con i candidati nei collegi uninominali della Regione Trentino-Alto Adige. Non è spiegato per quali ragioni il meccanismo elettorale genericamente lamentato costituisca «uno degli ulteriori effetti indiretti del doppio turno», dal momento che, secondo la legge n. 52 del 2015, una ripartizione proporzionale dei seggi alle liste di minoranza avviene ovviamente anche quando il premio è assegnato al primo turno. La Corte ha infine rilevato come non si comprenda perché il rimettente lamenti le conseguenze negative derivanti dall'attribuzione di soli tre seggi in ragione proporzionale, "quando l'effetto che presumibilmente sospetta d'illegittimità costituzionale deriverebbe, piuttosto, dal sistema di distribuzione dei complessivi undici seggi assegnati a tale Regione a statuto speciale (otto con sistema maggioritario e tre con riparto proporzionale)".

Diversità delle soglie di sbarramento nei sistemi di elezione di Camera e Senato

Riguardo alla questione posta dal Tribunale ordinario di Messina riguardo a due disposizioni del d.lgs. n. 533 del 1993, relativo all'elezione del Senato, (artt. 16, comma 1, lettera b), e 17) che stabiliscono la percentuale di voti che le coalizioni di liste e le liste non collegate devono conseguire, in ciascuna Regione, per accedere al riparto dei seggi la Corte ha dichiarato inammissibile la questione, per "insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza e oggettiva oscurità del petitum".
Evidenzia infatti che il richiamato Tribunale aveva sollevato questioni di legittimità costituzionale sulle disposizioni che prevedono le soglie di sbarramento per l'elezione del Senato senza confrontare tali soglie con quelle introdotte dalla legge n. 52 del 2015 (che neppure cita), per poi dedurne che la diversità dei due sistemi elettorali pregiudicherebbe la formazione di maggioranze omogenee nei due rami del Parlamento, in asserita lesione dei parametri costituzionali ricordati. Non sono illustrate, tuttavia, ad avviso della Corte, le ragioni per cui sarebbero le diverse soglie di sbarramento, e non altre, e assai più rilevanti, differenze riscontrabili tra i due sistemi elettorali (ad esempio, un premio di maggioranza previsto solo dalla disciplina elettorale per la Camera), ad impedire, in tesi, la formazione di maggioranze omogenee nei due rami del Parlamento.
La Corte ha ricordato inoltre che per costante giurisprudenza costituzionale (ex multis, sentenze n. 120 del 2015, n. 236 del 2011; ordinanze n. 26 del 2012, n. 321 del 2010 e n. 181 del 2009) non basta l'indicazione delle norme da raffrontare, per valutare la compatibilità dell'una rispetto al contenuto precettivo dell'altra, ma è necessario motivare il giudizio negativo in tal senso e, se del caso, illustrare i passaggi interpretativi operati al fine di enucleare i rispettivi contenuti di normazione.
Non è chiarito inoltre quale delle due diverse discipline, quanto all'entità delle soglie di sbarramento, dovrebbe essere uniformata all'altra; mentre sembra sfuggire al rimettente che l'ipotetico accoglimento della questione sollevata condurrebbe semplicemente alla caducazione delle censurate disposizioni della legge elettorale del Senato, derivandone il permanere di una distinta diversità tra i due sistemi: nessuna soglia di sbarramento a livello regionale nella disciplina del Senato, e il mantenimento di una soglia del 3 per cento, calcolata a livello nazionale, per la Camera.

Decorrenza (1° luglio 2016) dell'applicazione delle disposizioni della legge n. 52/2015 e diversità dei sistemi di elezione di Camera e Senato

Riguardo alla questione, sollevata dal Tribunale di Messina, relativamente all'art. 2, comma 35, della legge n. 52 del 2015, in virtù del quale le disposizioni che ridisegnando il sistema per l'elezione della Camera dei deputati, si applicano a decorrere dal 1° luglio 2016, la Corte ha dichiarato l'inammissibilità della questione.
Il rimettente si limita a sottoporre a generica ed assertiva critica la diversità tra i due sistemi elettorali, senza indicare quali caratteri differenziati di tali due sistemi determinerebbero «una situazione di palese ingovernabilità, per la coesistenza di due diverse maggioranze».
La Corte ha rilevato come la mera affermazione di disomogeneità dei due sistemi elettorali è di per sé insufficiente a consentire l'accesso della censura sollevata allo scrutinio di merito e alla identificazione di un petitum accoglibile; inoltre, i parametri costituzionali richiamati (ossia gli artt. 1, 3, 48, primo comma, 49, 51, primo comma, e 56, primo comma, Cost.) "sono evocati solo numericamente, senza una distinta motivazione delle ragioni per le quali ciascuno sarebbe violato". Nel richiamare la già citata giurisprudenza costituzionale ha ribadito come non sia sufficiente l'indicazione delle norme da raffrontare, per valutare la compatibilità dell'una rispetto al contenuto precettivo dell'altra, ma sia necessario motivare il giudizio negativo in tal senso e illustrare i passaggi interpretativi operati al fine di enucleare i rispettivi contenuti di normazione.
La Corte ha infine evidenziato come non venga nemmeno lamentata dal giudice rimettente la lesione delle due disposizioni costituzionali che dovrebbero necessariamente venire in considerazione (cioè gli artt. 94, primo comma, e 70 Cost.) laddove si intenda sostenere che due leggi elettorali «diverse» compromettano, sia il funzionamento della forma di governo parlamentare delineata dalla Costituzione repubblicana, nella quale il Governo deve avere la fiducia delle due Camere, sia l'esercizio della funzione legislativa, attribuita collettivamente a tali due Camere.

 

A conclusione della sentenza la Corte ha richiamato l'esito del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 sulla legge di riforma, approvata nel mese di aprile 2016 dal Parlamento – che ha confermato un assetto costituzionale basato sulla parità di posizione e funzioni delle due Camere elettive. In tale contesto, la Corte ha quindi rilevato che "la Costituzione, se non impone al legislatore di introdurre, per i due rami del Parlamento, sistemi elettorali identici, tuttavia esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non ostacolino, all'esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee".


Disposizioni di cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale

La Corte costituzionale ha, in conseguenza della sua pronuncia, dichiarato l'illegittimità costituzionale delle seguenti disposizioni:

 

Si ricorda, in proposito, che alla sentenza della Corte consegue l'illegittimità costituzionale di tutte le altre disposizioni del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, come modificato dalla legge n. 52 del 2015, che riguardano o presuppongono lo svolgimento di un turno di ballottaggio e, quindi, in particolare:

  • art. 1, comma 2, con riferimento alle parole: «,a seguito del primo turno di votazione » e alle parole: «, ovvero a seguito di un turno di ballottaggio ai sensi dell'articolo 83 »;
  • art. 11, il comma 5 (fissazione della data di svolgimento del ballottaggio);
  • art. 31, comma 2-bis (scheda elettorale per il turno di ballottaggio);
  • art. 83, comma 6, con riferimento alle parole: «ovvero delle liste ammesse all'eventuale ballottaggio»;

nonché delle seguenti disposizioni che disciplinano l'elezione nel collegio "Valle d'Aosta" e nei collegi uninominali e nelle liste proporzionali della circoscrizione Trentino-Alto Adige:

  • art. 93, comma 2,lettera c), con riferimento alle parole: « La scheda per il ballottaggio è la medesima con la quale la votazione si svolge sull'intero territorio nazionale »;
  • art. 93-ter, comma 3 (scheda per il ballottaggio);
  • art. 93-quater, comma 4, con riferimento alle parole: «, o ancora a seguito dello svolgimento del ballottaggio »;
  • art. 93-quater, comma 7, con riferimento alle parole: « ovvero a seguito dell'esito del ballottaggio, » e alle parole: «,ovvero ha ottenuto il maggior numero di voti nel turno di ballottaggio,».