Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento istituzioni |
Titolo: | Indagine conoscitiva sulle proposte di legge di modifica della legge elettorale -C. 2352 e abb. Elementi di sintesi delle audizioni |
Riferimenti: | |
Serie: | Progetti di legge Numero: 530 Progressivo: 1 |
Data: | 03/05/2017 |
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Camera dei deputati |
XVII LEGISLATURA |
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Indagine conoscitiva sulle proposte di legge di
modifica C. 2352 e abb. |
Elementi di sintesi delle audizioni |
530/1 |
3
maggio 2017 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Affari costituzionali ( 066760-9475 – * st_affaricostituzionali@camera.it |
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La
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File:
AC0641b |
I
N D I C E
PREMESSA 3
Questione
n. 1: Percorribilità di una soglia di accesso al premio di maggioranza diversa
dal 40% prevista dalla legge 52/2015 5
Questione
n. 2: Possibilità di prevedere che l’attribuzione del premio di maggioranza sia
subordinato al raggiungimento di una
soglia di voti in entrambe le Camere 13
Questione
n. 3: Percorribilità di un “premietto” di governabilità che assicura la
maggioranza dei seggi 19
Questione
n. 4: Configurabilità di un premio su base nazionale al Senato (considerando la
sua elezione a base regionale ex art. 57 Cost.) 25
Questione
n. 5: Possibilità e configurabilità di un secondo turno di il ballottaggio a seguito della sentenza 35/2017 31
Questione
n. 6: Possibilità di “slittamento” dei seggi tra circoscrizioni in alcuni
casi, come previsto dalla legge 52/2015 39
Questione
n. 7: Limiti nella definizione di una soglia
di sbarramento e possibile differenziazione tra liste e coalizioni 45
Questione
n. 8: Limiti da rispettare nel caso di
“candidature bloccate” 53
Questione
n. 9: Criteri alternativi a quello del sorteggio per i candidati plurieletti 59
Questione
n. 10: Forme e modalità per garantire la rappresentanza di genere 65
Questione
n. 11: Configurabilità di un sistema elettorale con collegi uninominali 71
Questione
n. 12: Legittimità di un sistema basato su collegi uninominali con premio di
maggioranza/governabilità 77
Questione
n. 13: Sistema per l’elezione del TAA alla Camera (come definito dalla legge
52/2015) e modalità di tutela delle
minoranze linguistiche 83
Questione n. 14: Possibili modalità per migliorare i controlli sulla regolarità del
voto 89
Nella
seduta del 28 febbraio 2017 la I Commissione Affari costituzionali della Camera
dei deputati ha deliberato lo svolgimento di un'indagine conoscitiva
nell'ambito dell'esame delle proposte di legge C. 2352 e abb., recanti
modifiche alla legge elettorale. Nell'ambito di tale indagine sono state svolte
audizioni di esperti, nelle giornate di giovedì 2 e venerdì 3 marzo 2017.
Agli
esperti era stato preventivamente inviato un documento di sintesi delle
principali questioni all’attenzione della Commissione (v. infra).
Il
presente dossier si basa dunque sugli interventi svolti dai soggetti auditi
nella sedute della Commissione (resoconti stenografici del 2 e del 3 marzo 2017) e sulla
documentazione trasmessa alla Commissione da parte dei soggetti medesimi, in
relazione alle questioni poste.
Indagine
conoscitiva sulle proposte di legge di modifica della legge elettorale (c. 2352
e abb.)
Elementi di sintesi delle audizioni
Questione n. 1: Percorribilità di una soglia di accesso
al premio di maggioranza diversa dal 40%
|
Felice Besostri, Esperto
della materia |
Ritiene che sia illegittimo un premio di maggioranza,
comunque congeniato, sul piano nazionale che spalmi i suoi effetti sulle
circoscrizioni o collegi elettorali. Richiama una sentenza del tribunale
costituzionale tedesco, il Bundesverfassungsgericht,
sui cosiddetti «mandati aggiuntivi», decisione del secondo Senato del 3
luglio 2008, per la quale nessun candidato può essere danneggiato o favorito
dal comportamento elettorale di elettori di altre circoscrizioni, come invece
si verifica nell'Italicum. Ritiene che tale giurisprudenza
non possa essere ignorata, perché proprio nella sentenza n. 1 del 2014 per
motivare, in assenza di suoi precedenti, la Corte costituzionale ha dovuto
far riferimento a quella giurisprudenza. Infatti, l'ordinamento
costituzionale tedesco federale è omogeneo a quello italiano e non ha
costituzionalizzato il sistema elettorale. Aggiunge che l'articolo 38 della
Grundgesetz, la legge fondamentale, in materia di votazioni, è sovrapponibile
al nostro articolo 48, comma 2. Occorre prudenza e occorre prestare
attenzione alle questioni di costituzionalità presenti nei ricorsi pendenti.
Dei 22 ricorsi, infatti, soltanto 3 sono stati decisi in primo grado e sono
già in appello, mentre 5 sono sospesi e uno è stato deciso, dopo la sentenza
della Corte costituzionale, con un'ordinanza di non luogo a provvedere «per
aver pronunciato sentenza la Corte costituzionale su tutte le domande dei
ricorrenti». |
Giuseppe Calderisi, Esperto
della materia |
Sul piano della
legittimità costituzionale una soglia non
molto inferiore al 40% può essere ritenuta legittima. Posto che la
sentenza della Corte n. 1/2014 aveva posto l’esigenza della “previsione di
una soglia minima di voti e/o di seggi”, sarebbe meglio che tale soglia sia
riferita ad una percentuale di seggi
(attesa la disproporzionalità tra voti e seggi). |
Beniamino Caravita, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
Non c'è una valutazione
certa. È chiaro che la prudenza ricorda che il 40% è una soglia su cui la
Corte si è espressa ritenendola congrua. Far salire questo 40 per cento è
abbastanza inutile, perché, se si va oltre il 40% dei voti e ci si attesta al
42%, tendenzialmente qualsiasi sistema proporzionale che non sia strettamente
fotografico da già la maggioranza. Allo stesso tempo, scendere sotto il 40
può lasciare qualche dubbio che forse va evitato. Sotto il 38% sicuramente non si può scendere. In realtà, il mantenimento del 40% come soglia per il premio
costituisce l'ultima residua spinta a un mantenimento maggioritario del
sistema politico. Questo 40 % che rimane è quello che permette ai partiti
politici di poter fare una campagna elettorale dicendo: «Fammi raggiungere
quella soglia, perché io ho la maggioranza». |
Stefano Ceccanti, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» |
Appaiono legittime
soglie per il conseguimento del premio di maggioranza quali: 39% dei voti e attribuzione del 53%
dei seggi; 38% e attribuzione del
52%. Apparentemente la disproporzionalità è del 14%, ma in realtà è inferiore giacché in un qualsiasi sistema
proporzionale con un 40% dei voti a causa di altri elementi della formula
(come la presenza di soglie implicite o esplicite di sbarramento) si ottiene
più del 40% dei seggi. |
Alessandro Chiaramonte, Ordinario di scienza politica presso l'Università degli
Studi di Firenze |
V. risposta questione n. 2. |
Salvatore Curreri, Associato
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Enna
«Kore» |
Non avendo la Corte costituzionale, nella sentenza n. 35 del
2017, precisato se la soglia prevista sia da intendere come la percentuale
minima per potersi aggiudicare il premio di maggioranza di 340 seggi alla
Camera, si potrebbero prudentemente
ipotizzare soglie più basse. La possibilità di diminuire tale soglia di
accesso, mantenendo invariato il premio, e quindi amplificando l’effetto
disproporzionale del sistema andrebbe comunque valutata con prudenza, in
termini quindi di pochi punti
percentuali, nella consapevolezza che una simile operazione non è esente
da limiti costituzionali, avendo la Corte espressamente affermato che sarebbe
certamente incostituzionale il premio che consentisse di più che raddoppiare
i seggi conseguiti sulla base dei voti ottenuti. Qualora si intendesse
ridurre l'attuale previsione di 340 seggi, mantenendo invariato l’attuale scarto di disproporzionalità del 14%
tra voti validi (almeno il 40%) e seggi (54%), va considerato che l’ipotesi
minimale (premio di maggioranza del 51% a fronte del 37% dei voti validi),
determinerebbe un premio di 321 deputati, appena 4 in più rispetto alla
maggioranza assoluta dei seggi alla Camera (al netto ovviamente dei 12 eletti
nelle due regioni speciali della Valle d’Aosta e del Trentino – Alto Adige e
degli altrettanti eletti nella circoscrizione Estero), e quindi un premio
così ridotto da contraddire forse la sua stessa ratio. |
Maria Elisa D’Amico,
Ordinaria di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Milano |
In merito la Corte è chiara
nel dire che «al cospetto della discrezionalità spettante in materia al
legislatore sfugge, dunque, in linea di principio, al sindacato di
legittimità costituzionale una valutazione sull'entità della soglia minima in
concreto prescelta dal legislatore». Il legislatore è sicuramente libero di
prevedere soglie diverse, ma c'è un'indicazione molto chiara anche nella
sentenza, nel passaggio in cui, dichiarando legittima la soglia dell’Italicum,
la Corte dice: «e del resto progressivamente innalzata nel corso dei lavori
parlamentari che hanno condotto all'approvazione della legge n. 52 del 2015».
Si può dedurre da questo inciso che per la Corte una non palesemente
irragionevole soglia sarebbe quella che è pari o si avvicina al 40 per cento, almeno dal 37 per cento in
su. |
Carlo Deodato,
Consigliere di Stato, esperto della materia |
La fissazione di una
diversa soglia per l’accesso al premio rientra senz’altro nello spazio di discrezionalità riservato al
Parlamento. Un passaggio della sentenza n. 35 del 2017 potrebbe, tuttavia,
essere letto come un’implicita indicazione circa la inderogabilità, verso il
basso, della soglia del 40%., anche se si può ragionevolmente affermare che
una soglia di poco inferiore al 40%
(tipo il 38%) potrebbe essere ritenuta costituzionale, mentre una soglia
ancora più bassa difficilmente supererebbe il test di proporzionalità svolto
dalla Corte. |
Luigi Di Gregorio, Ricercatore in scienza politica presso l'Università della
Tuscia di Viterbo |
La questione di una
soglia diversa ma “ragionevole” non ha una risposta univoca e priva di
rischi, perché rimesso alla discrezionalità interpretativa dei giudici
costituzionali. Si possono fare diverse ipotesi sostitutive del 40% dei voti
validi su base nazionale. Se, ad esempio, si abbassasse fino al conseguimento
del 35%, mantenendo i 340 seggi complessivi come quota massima di seggi
post-premio, si avrebbe una sovra-rappresentazione di 19 punti per il partito
(o coalizione) che ottiene più voti. Ciò potrebbe essere ritenuto eccessivo
dalla Consulta. Un’ipotesi meno rischiosa potrebbe essere quella di un premio fisso “ragionevole” in base a una
soglia (variabile) raggiunta, ad esempio pari a 15 punti di sovra-rappresentazione:
40%-55%; 39%-54%; 38%-53%; 37%-52%; 36%-51%. |
Anna Falcone, Esperta della materia |
Il premio di
maggioranza al 40% non risulta
rappresentativo. Esprime l’esigenza
di ripensare un sistema proporzionale che garantisca una maggiore stabilità
con altri correttivi e che prescindono da un premio di maggioranza che arrivi
al 40%. |
Giovanni Guzzetta, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso
l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» |
Ritiene possibile una riduzione della soglia: il controllo
di proporzionalità rimane nella misura in cui la soglia non sia
eccessivamente bassa. Rileva però che in molti ordinamenti si raggiungono
maggioranza di Governo anche con percentuali più basse del 40%. |
Enrico La Loggia, Esperto della materia |
È d’accordo ad una soglia di accesso del 40% che
andrebbe però calcolata sugli aventi
diritto al voto, non sui voti validi espressi, perché in presenza di un
forte astensionismo potrebbe accadere di assegnare il premio di maggioranza a
chi ha rappresenta il 20% degli elettori |
Stefania Leone, Ricercatrice
in diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
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Vincenzo Lippolis, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
È
possibile diminuire la percentuale del 40% purché si diminuisca in modo corrispondente il premio (ad
es. 38% di voti e 52% di seggi). |
Massimo Luciani, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
Ritiene
il 40% una soglia “prudente”, giudicata
congrua dalla Corte costituzionale (sentenza n. 35/2017). Abbassarla
costituirebbe, a suo avviso, un rischio. |
Stelio Mangiameli, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università
degli Studi di Teramo |
Va preliminarmente
tenuto presente che i sistemi delineati dalla legge Calderoli e dall'Italicum
non sono sistemi maggioritari veri e propri, ma sistemi proporzionali corretti con elementi di maggiore dettaglio.
Costituiscono, quindi, un genus,
come è stato detto, completamente diverso, che tende verso la proporzionalità, tra le altre cose, e crea una
serie di problemi particolari, su cui la sentenza della Corte è entrata più
nel vivo. Questa, però, non può essere interpretata come una preclusione per
un sistema maggioritario puro. La ragionevolezza
del premio va rapportata al caso
concreto e alla condizione concreta; quando si afferma che non ci si può
scostare più del 38-37% (è
ipotizzabile a suo avviso anche il 36%, volendo, perché 36% più 15 fa 51, lasciando il premio a una quota del 15 % e non
considerando l'eventualità che il premio possa essere aumentato), il problema
di fondo è che si sta parlando irragionevolmente del sistema che si ha
davanti. Allo stato, nessuna forza politica raggiunge il 36 per cento del
consenso da sola. Praticamente, se si resta al vincolo delle liste, tutte le
disposizioni sul premio, sia del primo turno col 40 per cento, sia del
secondo turno con una soglia che sia comunque intorno al 36 per cento,
sarebbero scritte inutilmente. Non servirebbero ad assicurare quel minimo di
governabilità del sistema. |
Francesco Saverio Marini, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università
degli Studi di Roma Tor Vergata |
Non ritiene opportuno,
qualora si voglia mantenere il congegno del premio di maggioranza, toccare la
soglia già stabilita al 40%. Tale
soglia, infatti, presenta il vantaggio di essere già passata indenne allo
scrutinio del giudice costituzionale. Ad ogni modo, aggiustamenti al rialzo e al ribasso, purché marginali, non
dovrebbero esporsi a censure. Del pari, resta impregiudicata la scelta
per il legislatore di computare la
soglia sui voti espressi o sugli aventi diritto. Non si vedono però,
anche alla luce dell’attuale situazione del quadro politico, ragioni per
modificare l’impianto già esistente. Al più, eventuali modifiche potrebbero
riguardare i soggetti beneficiari del premio, rendendo questo appannaggio non
solo delle liste singole, ma anche delle eventuali coalizioni. |
Agostino Meale, Ordinario
di diritto amministrativo presso l'Università degli Studi di Bari |
La soglia del 40% è ritenuta dalla Corte non distorsiva del
principio rappresentativo, soprattutto se si prevede, in aggiunta, una soglia
di sbarramento (del 3%); pertanto, si ritiene che la soglia del 40% non possa
essere diminuita, ma solo aumentata
per garantire maggiormente la rappresentatività dell’Organo. Non si può
tuttavia escludere che possa essere ritenuta legittima una soglia inferiore (dal 36 al 39%) ma, dal tenore della
sentenza, occorrerebbe ridurre
proporzionalmente l’entità del premio. Occorre aggiungere, in un’ottica
di ampio respiro, come sia necessario modificare e/o integrare sul punto gli
artt. 56 e 57 della Costituzione: sebbene la Corte riconosca sempre l’ampia
discrezionalità di cui gode il Parlamento nella scelta della legge
elettorale, la mancanza di parametri costituzionali certi, di fatto, riduce
tale discrezionalità e lascia la Corte libera di ritenere, in ipotesi,
legittima la soglia del 40% e non del 38. |
Luigi Melica, Ordinario di diritto
costituzionale comparato ed europeo Università del Salento |
La
premessa fondamentale da cui partire è che la discrezionalità concessa al
legislatore gli consente di assegnare un maggioranza e quindi il diritto di
governare senza prevedere soglie minime fondate sul numero degli aventi
diritto al voto. In pratica, una legge elettorale non deve, in base alla Costituzione, fissare delle soglie minime di partecipazione al voto.
Tuttavia, a fronte di tale, ampia, libertà, esistono dei limiti invalicabili:
il principio di eguaglianza del voto ed il principio della rappresentatività
dell’istituzione parlamentare i quali sono a loro volta collegati, nel senso
che un parlamento non rappresentativo è un parlamento formato in violazione del
principio di eguaglianza del voto. A tal fine la Corte considera lesive della
Costituzione le disposizioni che attribuiscono una eccessiva sovra rappresentazione della lista di maggioranza
relativa attraverso la concessione di un premio di maggioranza.
Esemplificativamente, una legge elettorale che attribuisce un premio di
maggioranza alla lista o coalizione pari al 40 per cento di voti validi è
conforme a Costituzione; di conseguenza, più si abbassa tale soglia e più si corre il rischio di
“determinare una tale distorsione della rappresentatività da comportarne un
sacrificio sproporzionato" che dunque violerebbe l’art. 3 della
Costituzione (principio di eguaglianza). In queste ipotesi, il valore,
parimenti di rilievo costituzionale, della stabilità del governo cede dinanzi
ai suddetti principi. La ratio alla
base di tali limiti sottende anche al presupposto costituito dall’assenza,
nella legge elettorale, di quorum
di validità delle elezioni fondati sugli aventi diritto e, dunque, dalla
circostanza che la maggioranza relativa che governa può essere molto ridotta
rispetto al numero degli aventi diritto. Sempre sul premio di maggioranza, è
utile domandarsi sino a che punto
il legislatore può spingersi nell’attribuzione del premio di maggioranza. La
prima versione dell’Italicum
prevedeva una soglia del 37% per il premio di maggioranza da assegnarsi al
primo partito o alla coalizione; successivamente si decise di mutare la
soglia, passando dal 37% al 40%, senza riferirsi più, però, alle coalizioni
ma alle sole liste. Ciò
detto, è legittimo domandarsi se la modifica di quella proposta di legge
elettorale fosse indicativa della necessità di scegliere una soglia più alta
per non incorrere nell’incostituzionalità della legge o se avessero prevalso
ragioni di natura politica. A suo avviso furono più ragioni di tipo politico
a suggerire tale cambiamento e pertanto ritengo che anche una soglia fissata
al 37% (a maggior ragione se
collegata alla possibilità di presentarsi in coalizione) possa essere
considerata ragionevole alla luce
dei principi delineati dalla Corte costituzionale. |
Andrea Morrone, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi
di Bologna |
Risultano
legittime soglie inferiori al 40%, ma è consigliabile non andare oltre un rapporto di proporzionalità tra voti validi e
premio di maggioranza, in cui la soglia non sia superiore al doppio dei voti
ottenuti dalla lista più votata (il 30% è una soglia ragionevole). |
Valerio
Onida, Presidente emerito della Corte
Costituzionale |
Richiama le
conseguenze, entrambe negative, derivanti da premi di maggioranza
conseguibili da chi ottiene meno del 50% dei voti: o le forze politiche che
si presentano agli elettori sono politicamente coese al loro interno e allora
difficilmente una di esse conseguirà il premio data la divisione del paese in
ben più di due schieramenti; ovvero una forza consegue il premio, ma lo fa a
scapito della propria compattezza, onde la maggioranza rischia di venir meno
subito dopo le elezioni. Una soglia inferiore al 40% sarebbe ancor più
irragionevole e inaccettabile. I pur auspicabili
incentivi alla stabilità delle maggioranze parlamentari, in un quadro
politico così diviso, andrebbero ricercati con altri mezzi. Da un lato, nel
sistema elettorale proporzionale, con la fissazione di soglie di sbarramento significative, onde evitare un eccesso di
frammentazione, ma senza costringere a coalizioni pre-elettorali
“innaturali”. Dall’altro lato con la formazione di coalizioni (pre o post-elettorali) su basi programmatiche precise,
pubblicamente contrattate e pubblicamente giustificate. Non sembra possibile
condizionare l’attribuzione del premio al raggiungimento della soglia sia
alla Camera che al Senato, poiché le due Camere sono costituzionalmente indipendenti una dall’altra ed elette
separatamente. Tra l’altro ciascuna di esse potrebbe anche essere eletta da
sola, nel caso di scioglimento anticipato di una sola Camera (art. 88 Cost.). |
Andrea Pertici, Ordinario di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Pisa |
Non
è esclusa espressamente dalla sentenza n. 35 del 2017 una soglia per il
conseguimento del premio più bassa, ma è meglio
mantenerla così come è. Se la soglia fosse abbassata, la distorsione, ove
il premio venisse mantenuto lo stesso, sarebbe maggiore anche dal punto di
vista proporzionale e questa è un'ipotesi da evitare. |
Guido Raffaele Rodio,
Ordinario di diritto
costituzionale presso l'Università degli Studi di Bari |
Quali
parametri di riferimento per la valutazione delle eventuale irragionevolezza
della legislazione elettorale la Corte costituzionale ha individuato una
serie di principi e valori costituzionali nonché di obiettivi di rilievo
costituzionale, annoverando tra i primi la sovranità popolare, la necessaria rappresentatività delle Camere e quello della eguaglianza del voto, mentre tra i
secondi (che, pur essendo di rilievo costituzionale, sono degli obiettivi e non dei principi), quelli
della stabilità del governo del
Paese (nella sua accezione di favorire la formazione di maggioranze
parlamentari stabili e quindi di stabili governi: sent. n. 1/2014) e della rapidità del processo decisionale. È
nell’ambito di tali principi ed obiettivi e del loro necessario bilanciamento che qualunque ipotesi
di legislazione elettorale deve essere valutata al fine di verificarne la
legittimità costituzionale. Peraltro, come chiarito
dal Presidente della Corte costituzionale nella sua Relazione sulla
giurisprudenza del 2014, “la Legge elettorale deve prevedere un meccanismo di
trasformazione dei voti in seggi che, pur assicurando la necessaria rappresentanza alle diverse
articolazioni della società civile, miri a rendere possibile la formazione di
Governi stabili, fondati su maggioranze
non fluttuanti”. Pertanto, in materia elettorale “l’arco delle scelte del
legislatore è molto ampio, a condizione che non venga irragionevolmente
alterato il rapporto di proporzionalità, e quindi l’equilibrio tra
rappresentanza e governabilità, realizzabile con plurimi strumenti, tutti
costituzionalmente compatibili, a condizione che l’una o l’altra non
subiscano riduzioni così drastiche
da mettere in pericolo le condizioni minime di democraticità del sistema o
della sua possibilità di funzionamento”. Ed occorre anche tener conto del
fatto che “si tratta – in questo e in tutti gli altri casi prospettabili – di
un equilibrio dinamico, giacché la Costituzione non si limita a preservare
l’essenza della proiezione rappresentativa, in una visione statica di mero
rispecchiamento delle proporzioni tra i vari gruppi politici esistenti nella
società civile, ma è protesa a rendere efficace ed attuabile l’indirizzo
politico del Governo e della maggioranza parlamentare, vero motore del
sistema, come emerge dagli artt. 92 ss. della stessa costituzione”. |
Ciro Sbailò, Associato di diritto pubblico
comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
Con il premio di maggioranza la dinamica
della distorsione è impressa ai risultati dopo l’espressione del voto, vale a
dire a “urne ferme”. La Corte europea dei diritti dell’uomo
definisce tali sistemi come quelli che «prevedono esplicitamente (…) delle misure – variabili – di premi di
maggioranza che consistono nell’accordare dei mandati supplementari, prima
della ripartizione dei seggi propriamente detta, alla lista che ha ottenuto
il maggior numero di voti» (Corte Europea dei diritti dell'uomo, sentenza 13
marzo 2012, Saccomanno e altri c. Italia, ric. n. 11583/08, par. 27). La
particolarità del premio di maggioranza, dunque, non è nella distorsione maggioritaria
(distorsioni ci possono essere anche nei sistemi perfettamente proporzionali,
visto che «la mappa non è il territorio»), ma nelle modalità in cui detta
distorsione si realizza. |
Federico
Tedeschini, Associato di
istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma «La
Sapienza» |
Il bilanciamento dei
due principi costituzionali della rappresentatività ed eguaglianza del voto
con gli obiettivi della stabilità di governo e della rapidità dei processi
decisionali può realizzarsi prevedendo che quel premio non si attribuisca ad
una lista, bensì ad una coalizione. la
soglia del 40% dei voti prevista dalla legge numero 52/2015 sia
eccessivamente elevata se riferita ad un'unica lista, divenendo invece
ragionevole ove riferibile ad una coalizione di liste. |
Massimo
Villone,
Emerito di diritto costituzionale
presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II» |
Nessuna ipotesi di premio con soglia è compatibile
con la Costituzione. L'unico incentivo di tipo maggioritario compatibile con
la Costituzione è il maggioritario di collegio. |
Lorenza
Violini, Ordinaria di
diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
Occorre
partire, a monte, dalla considerazione per cui siamo di fronte a un trend del nostro ordinamento, sia
legislativo ma anche (forse, soprattutto) costituzionale, che ricostruisce i
sistemi elettorali sia alla Camera sia al Senato come essenzialmente
proporzionali. La sentenza in materia è molto equilibrata. Il premio di
maggioranza, che al primo turno sussiste, continua a sussistere anche oggi,
una volta che la lista, in questo caso, arrivi al 40 per cento, è un premio che viene riconosciuto come ragionevole. Diversa è la questione lista-coalizione. Nella
sentenza non vi sono tracce che fanno pensare a una preferenza costituzionale
per l'una o per l'altra scelta, per cui la scelta spetta al legislatore.
Tuttavia, ritiene che sia una scelta non irragionevole lasciare la
possibilità di orientare il sistema politico verso coalizioni, prevedendo che
le liste di coalizione possano aspirare a raggiungere una determinata soglia
di consensi, cui può conseguire il premio di maggioranza. |
Roberto
Zaccaria,
già Ordinario di istituzioni di diritto
pubblico presso l'Università degli Studi di Firenze |
Teoricamente si
potrebbe anche proporre (o ritornare ad) una soglia “leggermente” inferiore del 40 per cento (ogni soglia superiore è
ovviamente e pacificamente accettabile in termini costituzionali), ma certo
non sembra prudente discostarsi di molto da questo livello. È vero che la Corte fa
continui rinvii alla discrezionalità del legislatore, ma per ogni punto di
abbassamento, la compressione della rappresentanza apparirebbe
proporzionalmente più forte. La Corte inoltre ha
espressamente ricordato che il suo controllo è possibile proprio in caso di
soglie troppo basse (“resta salvo il controllo di proporzionalità riferito
alle ipotesi in cui la previsione di una soglia irragionevolmente bassa di
voti per l’attribuzione di un premio di maggioranza determini una tale
distorsione della rappresentatività da comportarne un sacrificio
sproporzionato, rispetto al legittimo obbiettivo di garantire la stabilità
del governo del Paese e di favorire il processo decisionale”). Va tenuto
presente che la percentuale è calcolata sui votanti e che questi, negli
ultimi anni, sono andati riducendosi in modo progressivamente più
significativo. |
Questione n. 2: Possibilità di prevedere che
l’attribuzione del premio di maggioranza sia subordinato
|
Felice Besostri, Esperto
della materia |
Se
si vuole rispettare il principio enunciato dalla Corte Costituzionale in
chiusura della sentenza 35/2017, e pur tenendo presente che una, sia pur
minima, differenza nella composizione
delle due camere è inevitabile, è evidente che qualsiasi sistema di
distorsione della rappresentanza deve comunque produrre risultati simili nelle due camere. Tenendo presente ciò,
sembra indispensabile che l'adozione di un sistema premiale di rappresentanza
possa essere costituzionalmente legittimo solo se applicabile allo stesso
modo nelle elezioni di entrambe le camere. Poiché la Costituzione
prevede espressamente che il Senato sia eletto su base regionale, mentre non
pone limitazioni particolari alla base elettorale della Camera dei Deputati,
l'unico modo per rendere omogenei sistemi elettorali che distorcano, sia pure
nei limiti costituzionalmente leciti, la rappresentanza degli elettori è eleggere su base regionale anche la
Camera dei Deputati. Ciò implica che non è possibile, in un sistema di
bicameralismo paritario, attribuire premi
di maggioranza su base nazionale in una camera e su base regionale
nell'altra, tanto più se detti premi siano frutto di meccanismi di
ballottaggio, per la semplice considerazione che il ballottaggio in una
Camera potrebbe dare risultati diversi da quelli dell'altra Camera,
ostacolando così la formazione di un governo. |
Giuseppe Calderisi, Esperto
della materia |
La conferma del
bicameralismo perfetto prodotta dall’esito del referendum costituzionale
comporta l’esigenza di una sua razionalizzazione attraverso strumenti che
possano rendere coerenti le
maggioranze delle due Camere che dovranno sostenere il Governo, nonostante
le diverse basi di legittimazione. Conseguentemente, per quanto riguarda il
premio di maggioranza, sarebbe del tutto irrazionale e non funzionale
procedere alla sua attribuzione qualora esso dovesse spettare a liste o
coalizioni diverse per le due Camere. Appare invece eccessivo, e anche non
funzionale, non procedere alla attribuzione del premio di maggioranza nella
sola camera per la quale una lista o coalizione abbia superato la soglia del
40 per cento dei voti validi, avendo magari la stessa lista o coalizione
conseguito una percentuale solo di poco inferiore al 40 per cento nell’altra
camera. |
Beniamino Caravita, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
Esprime perplessità sull'idea che il premio
possa scattare solamente se viene raggiunto in tutte e due le Camere, perché
per quanto riguarda il mantenimento del 40%, la Corte avrebbe potuto
dichiarare incostituzionale anche il premio di maggioranza raggiungendo il
40%, ma non lo ha fatto. La contraddizione fra Camera e Senato non è
pericolosa, perché i sistemi elettorali di Camera e Senato sono diversi,
l'elettorato è diverso e c'è una storia nel nostro testo costituzionale di
diversità. Sarebbe un errore fatale introdurre il premio di maggioranza al
Senato: il rischio di avere due premi di maggioranza che vadano in senso
opposto è uno di quei rischi che non si possono correre. |
Stefano Ceccanti, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» |
Appare legittimo il
dubbio se si possa far dipendere l’esito di un voto in una Camera dall’esito
in quell’altra (peraltro espresso da un corpo
elettorale diverso). Se il legislatore risolverà il dubbio in senso
positivo, anche alla luce dell’auspicata armonizzazione dei due sistemi da
parte della Corte, possono esservi due ipotesi: sarebbe ragionevole non far
scattare il premio qualora il primo arrivato sia diverso nelle due Camere;
qualora sia lo stesso, ma ottenga il 40% in una sola Camera, appare
ragionevole assegnargli il premio
almeno in quella Camera perché avrebbe comunque una forza non
trascurabile per la formazione del Governo. |
Alessandro Chiaramonte, Ordinario di scienza politica presso l'Università degli
Studi di Firenze |
Attualmente
il sistema elettorale della Camera si configura «in entrata» come un sistema
elettorale misto, ma, «in uscita», nella sua concreta applicazione, può
produrre due esiti profondamente
diversi e per così dire opposti: un esito decisamente «maggioritario»
qualora scatti il premio di maggioranza, ovvero un esito sostanzialmente
«proporzionale» qualora il premio non scatti. Anche l'attuale sistema
elettorale del Senato presenta un elemento di contraddizione nella misura in
cui da un lato si configura «in entrata» come un sistema elettorale
esclusivamente proporzionale e dall'altro è, «in uscita», in grado di
generare livelli di sovra- e sotto-rappresentazione dei partiti paragonabili
a quelli dei sistemi maggioritari, per via della ripartizione regionale dei
seggi, ma soprattutto di soglie di sbarramento particolarmente elevate
particolarmente per le liste «solitarie». A suo avviso occorrerebbe cercare
di coniugare al meglio elementi
maggioritari ed elementi proporzionali, in modo da raggiungere un compromesso
accettabile tra i principi di governabilità e di rappresentatività. Occorre
in particolare fare in modo che, qualora
non scatti il premio di maggioranza, il sistema non risulti troppo sbilanciato sul versante della
rappresentatività a scapito di quello della governabilità, come sarebbe
invece nel caso in cui non si provvedesse ad alcuna modifica. E’ opportuno
rendere il sistema «sottostante» al premio di maggioranza più selettivo e disproporzionale di
quanto sia attualmente, nella convinzione che se la governabilità non può
essere assicurata da uno strumento "forte" come il premio di
maggioranza, possa almeno essere resa più probabile attraverso accorgimenti
che riducano la frammentazione partitica e, in prospettiva, la frammentazione
della maggioranza parlamentare. |
Salvatore Curreri, Associato
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Enna
«Kore» |
Le
proposte che prevedono l’applicazione del premio nel caso di superamento
della soglia in entrambe le Camere dovrebbero innanzi tutto prevedere dichiarazioni formali di collegamento
tra candidati o liste di candidati diversi tra Camera e Senato, giacché è
possibile (se non probabile) che l’offerta elettorale fra le due camere sia
non identica. Ma anche in tal caso, rimane a suo avviso difficilmente superabile l’obiezione circa l’incostituzionalità
di una clausola che subordinerebbe l’aggiudicazione del premio di maggioranza
al fatto che il vincitore sia identico in entrambe le camere, perché ciò
subordinerebbe l’esito del voto del Senato a quello della Camera in tal modo
consentendo agli elettori della Camera di determinare indirettamente l’esito
del voto del Senato, loro precluso giacché riservato dall’art. 58.1 Cost. a
coloro “che hanno superato il venticinquesimo
anno di età”. Si potrebbe formulare una siffatta disposizione nel senso
inverso, e cioè che il premio di maggioranza sia aggiudicato al Senato quando
la lista (o coalizione di liste) più votata corrisponda a quella analoga
della Camera, cosicché siano gli elettori del Senato a determinare l’esito
dell’elezione della Camera, e non viceversa. Ma sarebbe uno
"stratagemma" ad alto rischio d’incostituzionalità. |
Maria Elisa D’Amico,
Ordinaria di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Milano |
È
sicuramente pregevole l'obiettivo che, attribuendo il premio a entrambe le
Camere, non si possa poi avere un effetto squilibrato, un effetto simile a
quello che si era verificato nell'attribuire il premio su base nazionale e
regionale della legge 270/2005. Tuttavia,
ritiene che una simile soluzione possa rappresentare un eccessivo condizionamento e, quindi, si potrebbe configurare una
violazione del principio della libertà di voto degli elettori e del peso del
voto degli elettori, da una parte, e dell'autonomia stessa delle Camere,
dall'altra. Oltretutto, considerando che le due Camere hanno un elettorato diverso. Pertanto, ritiene
che bisognerebbe riflettere con attenzione su eventuali profili di
incostituzionalità di una soluzione di questo tipo. |
Carlo Deodato,
Consigliere di Stato, esperto della materia |
La Corte non impone di
estendere il premio di maggioranza anche al Senato, tuttavia tale estensione
sarebbe opportuna in quanto coerente con la necessità, segnalata dalla Corte,
che i sistemi adottati per le due Camere favoriscano la formazione di
maggioranze parlamentari omogenee. Tuttavia è necessario che il premio scatti
solo se conseguito in entrambi i rami del
Parlamento (ma tale condizione non può intendersi indefettibile) e,
soprattutto, se vinto dalla stessa lista o dalla medesima coalizione di
liste. |
Luigi Di Gregorio, Ricercatore in scienza politica presso l'Università della
Tuscia di Viterbo |
Ritiene tale ipotesi un
inutile aggravio. Le due Camere
“vivono” elezioni separate, non occorre incrociarne i destini, riducendo
ulteriormente la possibilità di ottenere maggioranze stabili. È vero che
“elezioni separate” possano implicare maggioranze diverse tra le Camere, ma è
chiaro che più si rendono omogenei i due sistemi elettorali, meno sarà
probabile quell’esito. |
Anna Falcone, Esperta della materia |
Vedi risposta alla
questione n. 1. |
Giovanni Guzzetta, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso
l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» |
È contrario all'ipotesi di creare un collegamento tra le leggi
elettorali, in modo che l'esito di una vicenda elettorale per una Camera
influenzi la vicenda elettorale dell'altra. Questo non è, a termini di
Costituzione, possibile, anche perché l'art. 88 consente lo scioglimento di
una sola Camera. |
Enrico La Loggia, Esperto della materia |
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Stefania Leone, Ricercatrice
in diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
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Vincenzo Lippolis, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
Ritiene ragionevole escludere il premio se esso dovesse
essere assegnato a liste o coalizioni diverse perché in questo caso si
avrebbe una compressione della rappresentatività senza favorire, anzi quasi
sicuramente a danno della governabilità. Viceversa, nell’ipotesi in cui una
lista o coalizione raggiunga la soglia
del premio in una sola Camera si può giustificare il premio ritenendo che
esso potrebbe favorire la governabilità perché si può presumere che tale
lista abbia anche nell'altra Camera una rappresentanza tale da consentirle di
formare una coalizione. |
Massimo Luciani, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
Ritiene indispensabile
attribuire il premio di maggioranza soltanto se la soglia è stata raggiunta sia alla Camera sia al Senato. Non
ritiene infatti possa essere previsto in una Camera soltanto considerato che
la Corte ha detto testualmente più volte (sia nella sentenza n. 1 del 2014,
sia nella n. 35 del 2017) che il premio è legittimo solo a condizione che
abbia una ragion d'essere. Un premio sine
ratione o sine titulo è un
premio illegittimo. Un premio deve servire per dare stabilità e maggioranze al sistema. In un sistema
perfettamente bicamerale, dunque, se c'è una maggioranza garantita alla
Camera e non al Senato, o viceversa, il premio resta sine ratione ed appare quindi illegittimo. |
Stelio Mangiameli, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università
degli Studi di Teramo |
----- |
Francesco Saverio Marini, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università
degli Studi di Roma Tor Vergata |
L’ipotesi prevista, se
per un verso è apprezzabile perché agevola
senz’altro la governabilità, per
altro verso solleva alcune perplessità
in punto di legittimità costituzionale. Le criticità si pongono, in
particolare, rispetto al principio bicamerale
e all’autonomia di ciascuna Camera rispetto all’altra: l’uno e l’altra
potrebbero risultare minati, là dove si faccia dipendere l’esito dei
risultati elettorali, e dunque la composizione, di una Camera, dai risultati
elettorali e dalla composizione dell’altra. Il collegamento che ne risulta
imprimerebbe, di fatto, una torsione
monocamerale di dubbia compatibilità col sistema costituzionale. Da non sottovalutare,
poi, un altro problema: dal momento in cui, nel nostro ordinamento, può
essere disposto lo scioglimento anche
di una sola Camera, ove si realizzasse tale eventualità, la portata
razionalizzatrice della previsione verrebbe posta nel nulla, giacché nel caso
in cui nelle nuove elezioni una compagine politica diversa raggiungesse la
maggioranza, si avrebbe un premio di maggioranza assegnato alla Camera
vecchia senza certezza di omogeneità della maggioranza nella nuova Camera.
Peraltro, questo scenario influerenzerebbe senz’altro il Presidente della
Repubblica, comprimendone le opzioni in sede di esercizio del potere di
scioglimento delle Camere: per scongiurare questa eventualità, infatti, il
Capo dello Stato, in caso di crisi, tenderebbe a sciogliere entrambe le
Camere, piuttosto che una sola. |
Agostino Meale, Ordinario
di diritto amministrativo presso l'Università degli Studi di Bari |
La soglia dovrebbe
essere calcolata su base nazionale, equiparando Camera e Senato, ma la ripartizione dei seggi dovrebbe
sempre avvenire su base regionale, come prescrive l’art. 57 Cost. |
Luigi Melica, Ordinario di diritto
costituzionale comparato ed europeo Università del Salento |
----- |
Andrea Morrone, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi
di Bologna |
Non occorre prevedere il premio in entrambe le Camere. Al
Senato, le alte soglie di sbarramento e la rappresentanza territoriale creano
un significativo effetto di disproporzionalità e un premio di maggioranza.
Prevederlo solo alla Camera non produrrebbe, a suo avviso, risultati in
termini di disomogeneità tali da porre problemi di legittimità. |
Valerio
Onida, Presidente emerito della Corte
Costituzionale |
Non sembra possibile condizionare l’attribuzione del
premio al raggiungimento della soglia sia alla Camera che al Senato, poiché
le due Camere sono costituzionalmente indipendenti
una dall’altra ed elette separatamente. Tra l’altro ciascuna di esse potrebbe
anche essere eletta da sola, nel caso di scioglimento anticipato di una sola
Camera (art. 88 Cost.). E ciò anche a prescindere dai dubbi che susciterebbe
un premio di maggioranza attribuito su base nazionale (anche se redistribuito
fra le Regioni) in un Senato che è eletto “su base regionale” (art. 57 Cost.:
v. risposta alla questione n. 4). |
Andrea Pertici, Ordinario di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Pisa |
Perplessità
sorgono in quanto si tratta di due Camere
che hanno una loro autonomia, naturalmente, sin dall'elezione.
Probabilmente è lo stesso premio di
maggioranza che tra le sue criticità aggiunge anche il fatto di essere
ancora più difficilmente innestabile in un sistema di bicameralismo perfetto, in particolare in relazione al legame di
fiducia con il Governo. Si pone, tra
l'altro, un problema ulteriore in relazione alla differenza di elettorato che c'è tra le due Camere. Si tratta,
infatti, di un elettorato che, soprattutto dopo l'abbassamento della maggiore
età, ha una notevole divaricazione. Una limitata riforma
costituzionale per parificare l'elettorato attivo delle due Camere sarebbe, a
suo avviso, una risposta coerente anche con il referendum del 4 dicembre. |
Guido Raffaele Rodio,
Ordinario di diritto
costituzionale presso l'Università degli Studi di Bari |
Il
premio previsto dalla legge 52/2015 presupponeva la riforma del bicameralismo
e la sottrazione della fiducia al Senato. Il rischio oggi alle porte è che in
un sistema bicamerale paritario, la persistenza di tale premio in un solo
ramo del Parlamento rischi di essere sine
ratione, inidoneo cioè a
produrre una maggioranza parlamentare. Per evitare il verificarsi di una tale situazione, si
potrebbero a suo avviso, adottare i seguenti correttivi che, peraltro, sembrano condivisi da una parte della
dottrina, tra cui l’eventuale previsione che il premio di maggioranza scatti
solo nell’ipotesi in cui le maggioranze politiche siano nelle due Camere le medesime dopo le
elezioni, ossia che il “vincitore” sia identico in entrambi i rami. Per
garantire tale condizione, basterebbe imporre una specifica indicazione di collegamento delle candidature alla
Camera e al Senato. |
Ciro Sbailò, Associato di diritto pubblico
comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
La prima perplessità
riguarda il far dipendere la formazione dell’Assemblea di un ramo del
Parlamento dalla formazione dell’Assemblea dell’altro ramo, in conflitto con
il bicameralismo paritario vigente
in Italia, di cui agli articoli 55 comma 1, 56 comma 1, 57 comma 1, 62 comma
2, 63 comma 1, 64 comma 1 e 72 comma 1 della Costituzione. Verrebbe infatti
meno il presupposto ontologico della congruenza e della simmetria tra i due
rami del Parlamento. Ricorda peraltro come la Camera e il Senato sono già
trattate dal legislatore costituzionale come un’unica Assemblea in più occasioni. Adottando il paradigma della
«ragionevolezza del legislatore» (Corte cost. 194/1990), pare, dunque, di
poter dire che il legislatore costituzionale individua in una adeguata sovrapponibilità delle due geografie
politiche dei rami del Parlamento una condizione per il buon
funzionamento del sistema dei pubblici poteri e, dunque, se non un bene
costituzionale, certamente un «obiettivo costituzionalmente legittimo».
Risulta assorbita, anche l’obiezione basata sulla diversità delle basi elettorali, rispettivamente, di Camera e
Senato, di cui al combinato disposto tra gli artt. 56 comma 1 e 58 comma 1
della Costituzione. Tale diversità – anche in combinazione con le differenze
in merito all’elettorato passivo esistenti tra le due Camere, di cui agli artt.
56 commi 3 e 4, 57 comma 1 e 58 comma 2 della Costituzione – non ha impedito al Legislatore
costituzionale di trattare, in alcune occasioni, Camera e Senato come un’unica Assemblea, riproducente al
proprio interno, sia pure per grandi linee, la composizione politica
presente, rispettivamente, in ciascuno dei due rami del Parlamento. Si può altresì
sgomberare il campo dal problema dell’identificazione dell’“unico” soggetto
politico che presenta candidature e liste, simmetricamente, nei due rami del
Parlamento, in quanto configurabile come questione di mera natura tecnico-legislativa. La
previsione di norme simmetriche in materia di attribuzione del premio di
maggioranza, può essere ulteriormente aggravata da ulteriori cautele; nessuna restrizione alla determinazione di una
distorsione maggioritaria può essere di per sé illegittima, purché sia ragionevole e prevedibile nei suoi esiti.
In altre parole, il premio scatta solo se effettivamente garantisce la
governabilità, ovvero non si imprime alcuna distorsione maggioritaria ai
risultati se detta distorsione non è in grado di garantire governabilità e
stabilità. Posta l’ampia discrezionalità del legislatore sul punto – ribadita
dalla Corte – ritiene sia una proposta ampiamente condivisibile. Resta un’ultima obiezione: la possibilità teorica
che si voti in tempi diversi per
Camera e Senato. In linea di massima, l’eliminazione di una durata
differenziata per le due Camere, di cui alla l. cost. 2/1963, può essere
considerata come il segno dell’adesione del legislatore costituzionale alla
dottrina della «Legislatura unica». Peraltro, prima di detta riforma, in due
occasioni, si procedette allo scioglimento anticipato del Senato in occasione
della scadenza della Legislatura della Camera. In ogni caso è possibile una norma di chiusura, che potrebbe
andare, indifferentemente, nel senso
di “neutralizzare” il premio di maggioranza o, all’opposto, di prevederne
l’attribuzione alla sola condizione che una lista o una coalizione consegua
il 40% dei consensi elettorali. |
Federico
Tedeschini, Associato di
istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma «La
Sapienza» |
---- |
Massimo
Villone,
Emerito di diritto costituzionale
presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II» |
Non è possibile garantire la stessa
maggioranza tra le due Camere. |
Lorenza
Violini, Ordinaria di
diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
---- |
Roberto
Zaccaria,
già Ordinario di istituzioni di diritto
pubblico presso l'Università degli Studi di Firenze |
Il premio in entrambe
le Camere presenta problemi sistemici che non possono essere sottovalutati
alla luce dei corpi elettorali diversi. La previsione del premio anche al Senato comporta
indubbiamente il rischio che a
conseguirlo sia in teoria una formazione diversa rispetto al vincitore alla
Camera. Su questo punto in particolare si tratterebbe di trovare soluzioni che blocchino il premio, se
non sia appannaggio delle stesse liste o coalizioni. Nella sentenza n. 1 del
2014, che si muoveva su un piano di perfetta armonia con la sentenza n. 35
del 2017, la Corte aveva rilevato che, per il Senato, non vi sarebbero state
obiezioni di principio sulla costruzione di un premio di maggioranza
nazionale, articolato regionalmente. Tutto questo considerato sembra che si
possa dare una risposta positiva, anche in considerazione del fatto che la
sua mancanza rischierebbe in ogni caso di generare inconvenienti. |
Questione n. 3: Percorribilità di un “premietto” di
governabilità che assicura la maggioranza dei seggi
|
Felice Besostri, Esperto
della materia |
------ |
Giuseppe Calderisi, Esperto
della materia |
La questione di un
premio di minore consistenza, non in grado di assicurare la maggioranza
assoluta dei seggi (attribuito alla lista più votata ma con meno del 40%), non è stata affrontata dalla Corte ed è estremamente opinabile. In Grecia è previsto un premio di questa natura. Vi
sono però dei problemi. Oltre a quello del bicameralismo paritario (per cui
occorrerebbe escludere che i seggi aggiuntivi possano essere attribuiti a due
soggetti politici diversi nelle due Camere), ne esiste un altro più rilevante:
cosa accadrebbe nel caso in cui il premio spettasse ad una forza politica che
non riesce - o addirittura non vuole - formare una maggioranza con altre
forze politiche? In tal caso, attribuendo seggi aggiuntivi ad una forza
politica che rimane all’opposizione, si renderebbe ancora più problematica la
formazione di una maggioranza di governo, anziché favorirla. |
Beniamino Caravita, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
Il cosiddetto
«premietto», è inutilmente distorsivo. La Corte ha detto che i sistemi
elettorali possono avere una dose di distorsività e possono superare il
carattere meramente fotografico, ma solo se c'è un obiettivo da raggiungere,
che è quello della governabilità. Il «premietto» non risponde a questi
requisiti, oltre alle considerazioni secondo cui c'è il rischio che il
«premietto» vada a un partito che non è in grado di coalizzarsi. Ritiene che
il «premietto» violi strettamente le
indicazioni della Corte costituzionale. |
Stefano Ceccanti, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» |
Si tratta di un profilo
non affrontato direttamente dalla Corte costituzionale e, quindi, non è
possibile esprimere un giudizio certo. Dal punto di vista dell’opportunità,
un premio non decisivo in determinate situazioni può essere opinabile. Potrebbe anche complicare,
anziché favorire, la formazione del Governo se applicato nei confronti di una
forza politica non coalizzabile e con un numero di voti non troppo
consistente. |
Alessandro Chiaramonte, Ordinario di scienza politica presso l'Università degli
Studi di Firenze |
----- |
Salvatore Curreri, Associato
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Enna
«Kore» |
Riguardo
alla previsione di un premio non
di maggioranza ma alla maggioranza
ritiene che l’ipotesi del premio fisso alla lista più votata sia
costituzionalmente percorribile perché, come alla lista che ottenuto al primo
turno il 40% dei voti si attribuisce il 54% dei seggi, lo stesso scarto del 14% tra voti e seggi si
può mantenere per la lista o la coalizione di liste che ottengono meno del
37% dei voti. Se così è, però, le proposte di legge che prevedono un premio
fisso e non in percentuale si espongono a seri rischi d’incostituzionalità
per l’eccessivo effetto disproporzionale che potrebbero produrre, tanto più
quando esse non prevedono una soglia minima di voti o ne prevedono una
eccessivamente bassa per l’aggiudicazione di tale premio fisso. Non si può,
infatti, escludere che un premio fisso di 90 seggi possa comportare un quasi
raddoppio di quelli ottenuti in prima battuta in base alla ripartizione
proporzionale dei voti. |
Maria Elisa D’Amico,
Ordinaria di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Milano |
Partendo dalla
pericolosità in generale dei sistemi misti in materia elettorale,
bisognerebbe fare attenzione anche a sistemi troppo complicati. Ritiene
l’ipotesi del «premietto» un po’ complicata,
che parte dalla paura di una distorsione eccessiva, ma rischia di creare un
sistema irragionevole. Fra le soluzioni che si
potrebbero immaginare, piuttosto che rincorrere premi interni in cui non si
raggiunga la maggioranza, meglio sarebbe, a questo punto, in un sistema che
abbia comunque una radice proporzionale, immaginare una soglia di sbarramento alla tedesca e cercare di semplificare in
quel senso la questione. |
Carlo Deodato,
Consigliere di Stato, esperto della materia |
Non persuade
l’argomentazione di chi ritiene che il premio si giustifica solo se assegna
la maggioranza dei seggi. Il premio di governabilità, infatti, assolve la
funzione di coniugare, se ragionevole e non sproporzionato, le esigenze di
governabilità con quelle di rappresentatività. E’ necessario tuttavia che il
numero dei seggi aggiuntivi non sia tale da compromettere il principio di
rappresentatività. Sembra ragionevole l’attribuzione di un numero di seggi non superiore al 10% del totale, stabilito in
misura percentuale rispetto ai voti conseguiti o con un numero fisso (in una misura che potrebbe essere di 60 seggi alla
Camera e di 30 al Senato). La seconda opzione appare più coerente con
l’assetto proporzionale della formula elettorale di base. |
Luigi Di Gregorio, Ricercatore in scienza politica presso l'Università della
Tuscia di Viterbo |
È un’ipotesi simile a
quelle accennate come risposta al quesito n. 1. Si potrebbe provare a
mantenere il 14% di
sovrarappresentazione come premio
fisso. In alternativa, per dare maggior valore alla soglia del 40%,
limitare ad esempio a 10 punti percentuali il premio alla lista (o
coalizione) che ottiene più voti non raggiungendo però il 40%. Resterebbe,
anche in questo caso, il rischio di premiare due liste (o coalizioni) diverse
nelle due Camere. |
Anna Falcone, Esperta della materia |
V. risposta alla
questione n. 1. |
Giovanni Guzzetta, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso
l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» |
Un’eventuale previsione
non sarebbe incostituzionale. La
Corte fa una distinzione netta tra sistemi che mirano ad assicurare con
certezza la maggioranza e gli altri sistemi, che tendono a favorire la
formazione di una maggioranza. |
Enrico La Loggia, Esperto della materia |
Ritiene irragionevole il premio di
governabilità, perché non assicurerebbe la governabilità e si presterebbe
alla possibilità che forze politiche tra di loro disomogenee si possano coalizzare
per formare una maggioranza parlamentare diversa dal partito o dalla
coalizione di liste alla quale è stato assegnato il premio di governabilità. |
Stefania Leone, Ricercatrice
in diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
----- |
Vincenzo Lippolis, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
Dalla sentenza della
Corte non si possono trarre indicazioni sulla costituzionalità di un tale
tipo di premio. Esso potrebbe essere considerato lesivo della rappresentatività senza dare un contributo decisivo
alla governabilità. Inoltre, anche in questa ipotesi si porrebbe un problema
nel caso ottenessero la maggioranza dei voti liste diverse nelle due Camere. |
Massimo Luciani, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
L’ipotesi del
«premietto», va, a suo avviso, esclusa
in quanto la giurisprudenza costituzionale richiede che il premio sia
funzionalizzato alla garanzia dell'ottenimento di una maggioranza di governo. Va escluso anche per la sua palese irragionevolezza: può infatti
avvenire che si classifichi per prima una forza politica che o non vuole o
non può “coagulare” attorno a sé una coalizione di governo con il paradosso
di attribuire il premio a chi si trova in opposizione. Non c'è dunque alcuna
garanzia che la prima forza classificata sia poi quella che entrerà ad essere
il pivot di una maggioranza di governo. |
Stelio Mangiameli, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università
degli Studi di Teramo |
----- |
Francesco Saverio Marini, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università
degli Studi di Roma Tor Vergata |
Nella
giurisprudenza costituzionale non si riscontrano precedenti che consentono di
escludere la legittimità dell’attribuzione di un premio di maggioranza (o
“jackpot”), il quale assicuri comunque alla forza che abbia raggiunto la
maggioranza relativa dei suffragi la maggioranza assoluta dei seggi, ovvero
dell’attribuzione di un premio in seggi di entità fissa o proporzionale alla
maggioranza (“bonus”), che non garantisca necessariamente il raggiungimento
della maggioranza assoluta. Ciò premesso, anche
alla luce dell’attuale situazione di frammentazione del quadro politico,
appare preferibile conservare
l’attuale meccanismo del premio di maggioranza (“jackpot”): infatti, il “bonus” di seggi introdurrebbe una
forma di distorsione del voto popolare, senza tuttavia assicurare la
governabilità, perché il peso in seggi complessivo delle minoranze potrebbe
comunque soverchiare quello della maggioranza di governo. Sotto questo
profilo si potrebbe dubitare della ragionevolezza e, dunque, della
costituzionalità, della misura. |
Agostino Meale, Ordinario
di diritto amministrativo presso l'Università degli Studi di Bari |
È legittimo prevedere
un premio che attribuisca alla lista più votata un numero di seggi aggiuntivi,
purché non sproporzionato rispetto alla percentuale di voti ricevuti. Si
potrebbero, ad esempio, prevedere premialità
variabili in relazione alle percentuali di voto conseguite. Tuttavia, se
la lista non consegue, con il premio, la maggioranza assoluta dei seggi si è
al di fuori tanto del premio di «governabilità» quanto di quello di
«maggioranza», il che potrebbe rivelarsi irragionevole e/o incoerente
rispetto alla finalità della legge elettorale, anche se non aprioristicamente
illegittimo. |
Luigi Melica, Ordinario di diritto
costituzionale comparato ed europeo Università del Salento |
----- |
Andrea Morrone, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi
di Bologna |
È
configurabile, a suo avviso, un premio di governabilità alla lista più votata
(solo alla Camera). V. anche risposta
alla questione n. 2. |
Valerio
Onida, Presidente emerito della Corte
Costituzionale |
Si
giustifica, a suo avviso, solo un premio di maggioranza che aggiunge seggi ad
una lista che già da sola ha il 50 per
cento. Diversamente, i premi conseguenti a un risultato inferiore tendono
a creare artificialmente una
maggioranza che non c'è, soprattutto quando il sistema politico non è
bipolare. Il problema della
stabilità delle maggioranze parlamentari, che si tratta di incentivare e che
rientra tra gli scopi che legittimamente il legislatore si propone, andrebbe
raggiunto con ma con altri strumenti (v. supra,
risposta alla questione n. 1). |
Andrea Pertici, Ordinario di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Pisa |
Nella sentenza 1 del
2014 la Corte costituzionale afferma che il premio deve essere idoneo a raggiungere l’obiettivo
altrimenti è irrazionale. Sorgono dunque perplessità rispetto all’ipotesi di
un “premietto” anche perché potrebbe essere attribuito ad un partito
indisponibile ad alleanze di governo e non idoneo a consentire, dunque, il
formarsi di maggioranze di governo. |
Guido Raffaele Rodio,
Ordinario di diritto
costituzionale presso l'Università degli Studi di Bari |
----- |
Ciro Sbailò, Associato di diritto pubblico
comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
Se la compressione del
bene della rappresentatività non viene compensata dal conseguimento
dell’obiettivo – di rilievo costituzionale – della governabilità essa risulta
illegittima. In sintesi, un “piccolo” premio inutile è meno
giustificato di un “grande” (nei
limiti e alle condizioni già evidenziato con riguardo alle altre questioni)
utile. Ritiene il cosiddetto “premietto”, dunque, andrebbe
incontro a una censura da parte
della Corte costituzionale, in caso di ricorso. |
Federico
Tedeschini, Associato di
istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma «La
Sapienza» |
----- |
Massimo
Villone,
Emerito di diritto costituzionale
presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II» |
Ritiene
il “premietto” irrazionale e certamente incostituzionale. |
Lorenza
Violini, Ordinaria di
diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
----- |
Roberto
Zaccaria,
già Ordinario di istituzioni di diritto
pubblico presso l'Università degli Studi di Firenze |
La Corte adotta una
definizione diversa di premio di
maggioranza e di governabilità.
Il primo è quello che consente di arrivare alla maggioranza dei seggi, mentre
il secondo sarebbe quello che consente di sommare ad una maggioranza già
raggiunta, un premio ulteriore per governare più agevolmente. Al di là delle
definizioni, la possibilità di configurare un “premio contenuto” o
“premietto” a favore della lista o della coalizione che risulti aver
riportato il maggior numero di voti, non sembra in contrasto con i principi,
a condizione che questo premio sia ragionevole e non comprometta
eccessivamente il principio della rappresentanza. Sembra difficile indicare
un valore preciso, ma potrebbe oscillare tra
un cinque ed un dieci per cento. Un premio di questo genere renderebbe
indubbiamente più facile la formazione di alleanze atte a governare e nella
misura indicata non dovrebbe porsi in contrasto con una ragionevole
sacrificio della rappresentanza. |
Questione n. 4: Configurabilità di un premio su base
nazionale al Senato
|
Felice Besostri, Esperto
della materia |
V. risposte alle
questioni n. 1 e n. 2. |
Giuseppe Calderisi, Esperto
della materia |
Anche per il Senato può essere previsto un premio di
maggioranza attribuito alla lista o coalizione che supera una determinata
soglia, come per la Camera. Diversamente da questa, però, occorre che la
distribuzione del premio alla lista o alla coalizione vincente sia effettuata
con un computo su base regionale e in
modo «ponderato», così come l'attribuzione dei seggi alle liste deve
essere effettuata nell'ambito di ciascuna regione, ai fini del rispetto della
disposizione costituzionale dell'elezione «a base regionale» del Senato. La
legittimità di tale misura si evince dalla sentenza della Corte n. 1/2014. |
Beniamino Caravita, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
----- |
Stefano Ceccanti, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» |
Tale impostazione
appare possibile: per
l’assegnazione dei seggi conseguenti al premio occorre rispettare la
proporzione dei voti espressi in ogni
regione – esistono numerose varianti – ed evitare lo slittamento di seggi da una regione all’altra. |
Alessandro Chiaramonte, Ordinario di scienza politica presso l'Università degli
Studi di Firenze |
Si dovrebbe superare
l'interpretazione restrittiva che sin qui è stata data dell'art. 57 della
Costituzione, laddove si dice che il Senato è eletto a base regionale, ma
anche alla luce di una significativa riformulazione dottrinaria questo appare
oggi possibile: si può quindi innestare un premio di maggioranza «nazionale» (ma distribuito regionalmente) e una soglia di sbarramento anch'essa nazionale (ovviamente della stessa entità di quella della Camera)
su un procedimento di ripartizione dei seggi che ha luogo a livello regionale
o sub-regionale, rendendo così i sistemi elettorali di Camera e Senato quanto
più simili tra loro e ben bilanciati in termini di governabilità e
rappresentatività. |
Salvatore Curreri, Associato
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Enna
«Kore» |
In un sistema in cui Camera e Senato devono paritariamente
conferire la fiducia al Governo (art. 94 Cost) e approvare le leggi (art. 70
Cost), ritiene evidente che il tema del premio di maggioranza, che la Corte
costituzionale ha fatto salvo alla Camera, si ricolleghi alla mancanza di un
simile premio al Senato, e quindi alla sua possibile introduzione anche in tale ramo del Parlamento.
L’armonizzazione delle due formule elettorali di Camera e Senato è non solo politicamente
opportuna ma costituzionalmente sollecitata ma non imposta nella sentenza n.
35 del 2017. Non imposta, perché la Costituzione prevedeva e prevede elementi
di diversità tra le due camere in materia elettorale che impediscono
un’armonizzazione totale. Rispetto alla Camera, infatti, il Senato è per
Costituzione eletto da un corpo elettorale d’età diversa (25 anni anziché 18:
art. 58.1) e su una diversa base elettorale (regionale anziché nazionale:
art. 57.1), oltreché avere, in origine, durata diversa (sei anni anziché
cinque: art. 60.1). Per quanti sforzi si possano fare in tal senso, quindi,
nessuna legge elettorale è in grado di garantire che la maggioranza alla
Camera sia uguale a quella del Senato. |
Maria Elisa D’Amico,
Ordinaria di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Milano |
La giurisprudenza della
Corte rende ormai chiaro che si
potrebbe tranquillamente attribuire un premio al Senato su base
nazionale. Per la base regionale la sentenza n. 1 del 2014 dice che si è
trattato sostanzialmente di un errore di valutazione da parte del legislatore
su una necessaria corrispondenza tra articolo 57 Cost. e necessarietà del
premio a livello regionale. |
Carlo Deodato,
Consigliere di Stato, esperto della materia |
La Corte con la
sentenza n.1 del 2014 ha già rilevato l’incostituzionalità del premio
previsto nella legge 270/2005 anche perché la sua attribuzione al Senato su
base regionale avrebbe potuto produrre l’effetto paralizzante di attribuire
il premio a una maggioranza politicamente diversa da quella della Camera. E,
tuttavia, la Costituzione prevede l’elezione
dei Senatori su base regionale. Il premio, quindi, consistente in seggi
previamente accantonati, dovrebbe essere
nazionale, ma la ripartizione dei
seggi, per la parte non coperta dal premio, dovrebbe restare attribuita
su base regionale. |
Luigi Di Gregorio, Ricercatore in scienza politica presso l'Università della
Tuscia di Viterbo |
Ritiene si possa
“osare” con una ripartizione (e un premio di maggioranza o di governabilità)
nazionale, ma resterebbe qualche rischio
di incostituzionalità. Paradossalmente, può essere meno rischioso provare
una riforma costituzionale in tempi rapidi per abrogare la frase “è eletto su
base regionale” dell’art. 57 Cost., se ci sono le condizioni politiche per
farlo. A quel punto si potrebbe procedere uniformando davvero le normative, riducendo così i rischi di
maggioranze diverse, ferma restando la differenza relativa all’elettorato
attivo e passivo che verosimilmente è più difficile da modificare in tempi
brevi. |
Anna Falcone, Esperta della materia |
Un sistema
proporzionale non creerebbe discrasie di sensibili distorsioni al sistema tra
l'una e l'altra Camera. Va da sé che, nel caso in cui si decidesse comunque
di adottare un premio di maggioranza, bisognerebbe pensare a una
distribuzione nazionale e a un eventuale coordinamento
nazionale del premio al Senato. |
Giovanni Guzzetta, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso
l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» |
Ritiene che il premio
nazionale al Senato sia ammissibile. |
Enrico La Loggia, Esperto della materia |
----- |
Stefania Leone, Ricercatrice
in diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
----- |
Vincenzo Lippolis, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
Ritiene che la
previsione di un premio nell'elezione del Senato attribuito alla lista più
votata a livello nazionale non confligga con la Costituzione. L'importante è
che il premio sia ripartito su base
regionale in proporzione ai voti ottenuti in ciascuna regione dalla lista
che ha ottenuto il premio. |
Massimo Luciani, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
Sebbene le questioni
sorte all’epoca della legge n. 270 del 2005 un simile sistema, a suo avviso,
è ben possibile (anzi doverosa) l’attribuzione anche al Senato di un premio
nazionale, purché, poi, il premio sia
redistribuito su base regionale. |
Stelio Mangiameli, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università
degli Studi di Teramo |
----- |
Francesco Saverio Marini, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università
degli Studi di Roma Tor Vergata |
La
portata precettiva dell’art. 57 Cost.
(elezione del Senato su base regionale) è stata intesa in senso
tendenzialmente riduttivo, ad essa ricollegandosi quattro vincoli a carico della legislazione elettorale: a) è
esclusa l'applicazione del sistema del collegio unico nazionale, che farebbe
venir meno l'ancoraggio dei senatori con la base regionale in cui sono
eletti; b) sussiste l'obbligo di adottare almeno un numero di collegi pari a
quello delle Regioni, perché se la base è regionale non si può avere un
ritaglio delle circoscrizioni che ne escluda una o più; c) i collegi devono
essere contenuti tutti all'interno di una sola Regione, senza che siano
ammesse circoscrizioni pluriregionali; d) infine, per una tesi minoritaria,
tenderebbe ad escludersi che possa attribuirsi un premio di maggioranza a
livello nazionale, perché, per la determinazione dei senatori eletti in una
Regione, finirebbero per assumere rilievo, anche determinante, i risultati
elettorali registratisi in altre Regioni. Tuttavia, pur in
assenza di precedenti specifici, ritiene di intravvedere dei margini per far dipendere
l'attivazione del premio regionale dai risultati conseguiti a livello
nazionale nella sentenza n. 1 del 2014, in cui la Corte censura
l'attribuzione del premio a livello delle singole Regioni, perché il
risultato "aggregato" dei diversi premi potrebbe irragionevolmente
contraddire il risultato ottenuto dalle liste e dalle coalizioni a livello
nazionale. A contrario, la stessa sentenza sembra prefigurare come necessari congegni volti a raccordare la base
regionale, che resta ferma, con i risultati nazionali delle elezioni. In
questa prospettiva, si potrebbero immaginare - sul modello delle "reti
di protezione" a suo tempo ideata per l'elezione del Parlamento europeo –
di subordinare l'accesso al premio alla vittoria, o al conseguimento di una
determinato soglia elettorale, in un numero minimo di Regioni o in un numero
di Regioni che rappresentino una certa consistenza demografica della
popolazione nazionale. |
Agostino Meale, Ordinario
di diritto amministrativo presso l'Università degli Studi di Bari |
Premesso che si deve
garantire la formazione di maggioranze omogenee in entrambe le Camere (e
dunque l’eventuale premialità dovrebbe essere assegnata alla lista o alla
coalizione in ambedue i rami del Parlamento), appare improponibile la soglia del 40% al Senato se calcolata, come
impone la Costituzione (art. 57), su base regionale. L’eventuale premio di
maggioranza andrebbe calibrato rispetto alla base di ripartizione (regionale)
dei seggi; la soglia di accesso dovrebbe allora essere calcolata su base nazionale,
equiparando Camera e Senato, ma la ripartizione dei seggi dovrebbe sempre
avvenire su base regionale. |
Luigi Melica, Ordinario di diritto
costituzionale comparato ed europeo Università del Salento |
Considerate le regole
derivanti dal bicameralismo perfetto è evidente che un premio attribuito su
base regionale rischia di produrre maggioranze
disomogenee tra i due rami del Parlamento considerato che la somma di
premi regionali attribuita al Senato può non confermare il risultato ottenuto
alla Camera dei deputati. La prassi di alcune elezioni ha confermato questo
rischio. Pertanto le conseguenze possono essere duplici: o si espunge
definitivamente l’istituto del premio sacrificando il principio della stabilità
politica o si afferma che la locuzione “a base regionale” non impone un
calcolo del premio in ciascuna circoscrizione regionale, in quanto significa
altro. Ritiene percorribile questa seconda opzione in ragione di due
considerazioni: la prima collegata ai lavori preparatori della Costituzione e
la seconda ad una interpretazione teleologica collegata all’esito del recente
referendum costituzionale. Sembra dunque potersi
affermarsi che l’art. 57 Cost. è soddisfatto,
rispettivamente, dall’art. 2, l. cost. n. 2 del 1963, che stabilisce che “il
numero dei senatori elettivi è di trecentoquindici”; che nessuna Regione può
avere un numero di senatori inferiore a sette e che la Valle d’Aosta ha un
solo senatore, e dalla l. cost. n. 3 del 1963 che ha assegnato un numero
fisso di due senatori alla Regione Molise. In pratica, il sistema
costituzionale può ritenersi attuativo della Costituzione nella parte in cui
si afferma che l’elezione del Senato sia su base regionale per effetto delle
leggi costituzionali n. 2 e n. 3 del 1963. |
Andrea Morrone, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi
di Bologna |
È possibile perché l’elezione “a base regionale” non impedisce un
premio di maggioranza nazionale. |
Valerio
Onida, Presidente emerito della Corte
Costituzionale |
A suo avviso
l’attribuzione di un premio di maggioranza al Senato su base nazionale contrasterebbe con il principio della
elezione “su base regionale”,
perché vi sarebbero sempre dei senatori, pur eletti nelle Regioni, che
dovrebbero la loro elezione al voto nazionale e non a quello espresso nella
loro Regione. |
Andrea Pertici, Ordinario di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Pisa |
Le modalità di
attribuzione dei seggi su base regionale potrebbero essere rispettate anche
con un premio nazionale, ferme
restando le perplessità di carattere generale (v. questioni 1 e 2). |
Guido Raffaele Rodio,
Ordinario di diritto
costituzionale presso l'Università degli Studi di Bari |
È condizione necessaria
la redistribuzione su base regionale nel caso di attribuzione anche al Senato di un premio di
maggioranza, nel rispetto dell’art. 57, comma 1, Cost. V. anche risposta alla
questione n. 2. |
Ciro Sbailò, Associato di diritto pubblico
comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
Il
problema si pose al tempo della legge 270/2005 e fu risolto nel senso di
prevedere un premio di maggioranza, per il Senato, attribuito su base regionale.
La scelta fu già allora molto discussa e anche criticata; ora la Corte ha
fatto chiarezza sul punto. Dalla lettura della sentenza – e in particolare
dalla combinazione di due massime - si evince, a suo avviso, la legittimità
del premio di maggioranza al Senato deciso su base nazionale. La «base regionale» può
essere garantita per varie vie. Ad esempio, facendo sì che ogni distorsione maggioritaria abbia
effetti circoscritti all’ambito
regionale, nel senso che l’eventuale attribuzione dei senatori aggiuntivi
di una lista o di una coalizione si svolge su dimensione regionale. |
Federico
Tedeschini, Associato di
istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma «La
Sapienza» |
È insuperabile il
principio per cui ad ogni Regione debba essere attribuito un certo numero di
seggi da assegnare in proporzione alla densità della popolazione che lo
abita, e - a seconda della percentuale di voti che ciascun partito o
coalizione riceva in quella Regione - gli dovranno essere assegnati i
relativi seggi. Anche in questo caso, tuttavia, soglia di sbarramento e
premio di maggioranza dovrebbero essere identici
a quelli previsti per la Camera dei Deputati. |
Massimo
Villone,
Emerito di diritto costituzionale
presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II» |
Il vincolo
costituzionale dell’elezione del Senato su "base regionale" non esclude meccanismi su base nazionale,
quali il recupero di resti nel caso di modello proporzionale, o la
distribuzione del premio di maggioranza su base nazionale, in caso di sistema
elettorale maggioritario. |
Lorenza
Violini, Ordinaria di
diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
----- |
Roberto
Zaccaria,
già Ordinario di istituzioni di diritto
pubblico presso l'Università degli Studi di Firenze |
Sulla configurabilità
in generale v. risposta alla questione n. 3. L’importante è che
questo premio venga opportunamente “riversato”
su scala regionale, in modo da consentire, nelle regioni che hanno
contribuito maggiormente a quel risultato, un maggior numero di eletti (anche
per impedire fenomeni di “slittamento” dei seggi). |
Questione n. 5: Possibilità e configurabilità di un
secondo turno di il ballottaggio
|
Felice Besostri, Esperto
della materia |
La Corte Costituzionale
non ha escluso in linea di principio la legittimità di sistemi di
ballottaggio per le elezioni politiche. Tuttavia ha espresso alcune
considerazioni che di fatto limitano grandemente l'applicabilità concreta di
un tale sistema. Innanzitutto il
ballottaggio previsto dalla legge 52 del 2015 è stato dichiarato
incostituzionale perché, non prevedendo alcun sistema capace di consentire
l'attribuzione del premio solo in condizioni di effettiva rappresentatività
del vincente, di fatto riproponeva le stesse distorsioni di sovra rappresentazione ritenute incostituzionali
con la sentenza della stessa Corte Costituzionale numero 1 del 2014. Quindi
un eventuale turno di ballottaggio non potrà attribuire alcun premio di
maggioranza o di governabilità a meno che preveda meccanismi capaci di limitare la sovra rappresentazione
del vincitore entro termini ragionevoli. Nella sentenza 35 del
2015 è adombrata la possibilità che un sistema
di apparentamento tra le liste escluse dal ballottaggio con una lista
ammessa al ballottaggio possa in concreto realizzare le condizioni di
legittimità costituzionale minime. In ogni modo, al fine di stabilire se un qualsiasi
meccanismo di limitazione della sovra rappresentazione insita nel
ballottaggio sia idoneo a renderlo costituzionalmente legittimo, dovrà essere
tenuta presente la sua concreta applicazione, non solo nello scenario
politico attuale, ma in qualsiasi scenario politico. Peraltro, la semplice
previsione della possibilità di apparentamento di liste tra il primo e il
secondo turno, come avviene per esempio nella legge elettorale dei comuni
sopra i 15.000 abitanti, probabilmente sarebbe considerata insufficiente.
Tale meccanismo dovrebbe essere integrato
con qualche altro parametro, ad esempio una soglia di accesso al ballottaggio per le sole coalizioni composte
da tanti partiti che, nel loro insieme, abbiano superato, nel primo turno, la
soglia di accesso per l'attribuzione del premio di maggioranza. Un altro possibile
meccanismo capace di rendere legittimo costituzionalmente un sistema di
elezione di liste con doppio turno consiste nell'attribuire il premio di
maggioranza solo a condizione che i voti
espressi da tutti gli elettori nel turno di ballottaggio superino quelli espressi nel primo turno.
In tale modo potrebbe godere del premio di maggioranza solamente una lista
che godesse dell'effettivo consenso della maggioranza degli elettori. Bisogna considerare
infatti che la Corte Costituzionale ha evidenziato, nella sentenza 35/2017,
la novità, nel quadro giuridico nazionale, di un ballottaggio tra liste,
rimarcando la differenza che c'è con il ballottaggio per le cariche
unipersonali e spiegando chiaramente che i criteri di costituzionalità da
esaminare per il ballottaggio tra liste non possono essere applicati per i
ballottaggi per cariche unipersonali. Vi è implicito, in tale evidenziazione,
un avvertimento di maggiore severità nell'esame delle norme che disciplineranno,
in futuro, un eventuale ballottaggio fra liste. |
Giuseppe Calderisi, Esperto
della materia |
La Corte ha affermato
che non è il ballottaggio in sé ma “le concrete modalità dell’attribuzione
del premio attraverso il turno di ballottaggio” a determinare la lesione
costituzionale. Se disciplinato in modo diverso, “inserendo alcuni, o tutti,
i correttivi la cui assenza i giudici remittenti lamentano” “il turno di
ballottaggio potrebbe essere compatibile con i tratti qualificanti
dell’organo rappresentativo nazionale”. Tra i correttivi
indicati dalla Corte sarebbe meglio evitare il quorum di partecipazione che
potrebbe incentivare l’astensionismo. Il problema principale
del ballottaggio resta il bicameralismo paritario: occorrerebbe prevederlo per entrambe le Camere, ma la sua
disciplina risulterebbe particolarmente complessa e potrebbe dar luogo ad
esiti paradossali. Infatti, sarebbe quantomeno necessaria una condizione
ulteriore oltre a quelle indicate, cioè che il ballottaggio potrebbe
svolgersi solo se le due liste o coalizioni che vi accedono fossero le stesse
per entrambe le Camere, oltre a prevedere l’attribuzione del premio solo se
la lista o coalizione vincente fosse la stessa per entrambe le Camere. Di
conseguenza, il ballottaggio, che dovrebbe avere natura decisiva, potrebbe
non risultare affatto tale. Gli elettori voterebbero due volte, ma
inutilmente. |
Beniamino Caravita, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
Sul turno di
ballottaggio la Corte non si esprime e lascia intendere che sarebbe
ammissibile. Tuttavia, il problema dell'ammissibilità del turno di
ballottaggio è legato al Parlamento bicamerale. Come costruire un turno di
ballottaggio concretamente, quando abbiamo un sistema politico che può
spingere in direzioni diverse i due ballottaggi? Cosa facciamo? L'accesso al
ballottaggio si ha solamente se le stesse due liste o partiti vanno al
secondo turno? È un sistema in cui le casualità diventano troppe e, quindi,
abbastanza incongruo. |
Stefano Ceccanti, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» |
Le criticità del
ballottaggio vanno valutate nel quadro del bicameralismo paritario, tenendo conto dell’adozione di un
sistema elettorale sostanzialmente proporzionale. Le soluzioni compatibili
sono quelle sopra esposte in tema di premio di maggioranza (v. questione 1).
Tra i possibili “correttivi” vi sono la previsione di coalizioni dopo il
primo turno e l’inserimento di soglie non tali da incentivare l’astensionismo
degli elettori che al primo turno abbiano votato le liste escluse dal
ballottaggio e comunque non superiori a quella corrispondente al 40% dei voti
validi del primo turno. |
Alessandro Chiaramonte, Ordinario di scienza politica presso l'Università degli
Studi di Firenze |
----- |
Salvatore Curreri, Associato
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Enna
«Kore» |
La Corte
costituzionale, nella sentenza 35 del 2017, non esclude, anzi sembra
ammettere che, con adeguate correzioni, il turno di ballottaggio possa essere
reso “compatibile con i tratti qualificanti dell’organo rappresentativo
nazionale”. Tra tali correzioni
in primo luogo s’impone ovviamente l’introduzione di una percentuale minima di voti non irragionevole per l’accesso al
secondo turno di ballottaggio. Dalla sentenza emerge il riferimento ad
ulteriori due condizioni: in primo luogo la possibilità di coalizioni o apparentamenti tra il primo ed il secondo
turno; in secondo luogo, l’attribuzione del premio di maggioranza non alla lista ma alla coalizione di liste più
votata. In terzo luogo, si potrebbe ipotizzare di spezzare il legame che oggi fa del secondo turno la prosecuzione
del primo, individuato dalla Corte nel mantenimento alla lista perdente al
secondo turno del numero dei seggi aggiudicati al primo, attribuendo invece
anche alla lista perdente al ballottaggio un più modesto premio in seggi,
così da non frammentare l’opposizione. |
Maria Elisa D’Amico,
Ordinaria di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Milano |
In merito è necessario
fare un ragionamento che tenga conto sia della valutazione che la Corte fa
sul ballottaggio in sé, sia di un eventuale ballottaggio non pensato su una
Camera sola, ma su due Camere. La Corte ha affermato
che il secondo turno è stato inteso come prosecuzione del primo. Non sono
stati previsti apparentamenti fra le liste, ragion per cui, alla fine, questo
ballottaggio si risolve in una radicale riduzione dell'offerta politica. Si
potrebbe dire, a contrario, che un
ballottaggio che preveda una soglia di
voti minimi necessari perché la lista partecipi al secondo turno, che
consenta apparentamenti e non
riduca, pertanto, a due la competizione al secondo turno e che concepisca il
ballottaggio come nuova consultazione potrebbe essere astrattamente ammesso
alla luce della giurisprudenza costituzionale. Ci si deve domandare,
però, se oggi sia concepibile un turno di ballottaggio in un sistema
bicamerale perfetto in cui eventualmente all'esito diverso del ballottaggio
per una Camera e per l'altra, il ballottaggio non dovrebbe avere alcun
effetto, ragion per cui i cittadini sarebbero stati chiamati una seconda
volta per un voto sostanzialmente inutile. |
Carlo Deodato,
Consigliere di Stato, esperto della materia |
La Corte ha ritenuto
che la formula del ballottaggio appare più coerente con l’elezione di organi monocratici, rispetto alla
formazione di assemblee legislative; il ballottaggio inoltre potrebbe essere
introdotto solo se non produca un effetto eccessivamente distorsivo della rappresentatività. Si potrebbe
immaginare la previsione di un turno di ballottaggio che si svolga tra liste
o coalizioni di liste che abbiano superato al primo turno una soglia
minimale. Oppure si potrebbe immaginare il ballottaggio per assegnare il
premio di governabilità. |
Luigi Di Gregorio, Ricercatore in scienza politica presso l'Università della
Tuscia di Viterbo |
Il ballottaggio è
sicuramente praticabile nel caso si adottino collegi uninominali (che non pongono il problema della
proporzionalità dell’esito, assegnando un solo seggio), così come qualora si
inserisca una soglia minima di votanti (un quorum) al secondo turno, o ancora
ipotizzando una soglia minima di voti per accedervi, ad esempio il 30%.
Chiaramente, nel terzo caso il ballottaggio diventerebbe eventuale e nel
secondo potrebbe non produrre effetti in caso di partecipazione elettorale
non sufficiente. Pertanto, in quei casi, occorre evitare di assegnare il
premio solo post-ballottaggio, rischiando una ripartizione proporzionale
qualora non abbia luogo il secondo turno. Resta, anche in questo
caso, il rischio di premiare liste (o coalizioni) diverse tra le due Camere. |
Anna Falcone, Esperta della materia |
Il ballottaggio è un
meccanismo pensato per cariche monocratiche; ammissibile solo per la scelta
di candidati nei collegi uninominali. |
Giovanni Guzzetta, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso
l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» |
In un sistema
bicamerale, il ballottaggio per una o
entrambe le Camere può determinare delle gravi
distorsioni. |
Enrico La Loggia, Esperto della materia |
È contrario a
ballottaggio, ma, qualora fosse previsto, sarebbe necessario calcolare la
maggioranza sugli aventi diritto e
non sui voti validi (vedi quesito n. 1). |
Stefania Leone, Ricercatrice
in diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
----- |
Vincenzo Lippolis, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
Per quanto la sentenza
della Corte non ritenga il ballottaggio
incostituzionale in sé, ma solo nella forma prevista dalla legge n.52, ritiene
che esso è per sua natura incompatibile
con un bicameralismo paritario. Ritiene irragionevole un sistema che
possa dar luogo a due ballottaggi che potrebbero svolgersi con soggetti
diversi e dare diversi vincitori. |
Massimo Luciani, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
La Corte costituzionale
non ha escluso in astratto la legittimità dell’assegnazione di un premio al
ballottaggio, ma ha ritenuto incostituzionale la concreta previsione della
legge n. 52 del 2015. Essenzialmente, il vizio stava nell’assenza di una soglia. Con la
previsione di una soglia e, forse, con l’apertura
alle coalizioni, il problema si potrebbe superare. Resta, però, un più
generale dubbio su un sistema che, praticamente unico al mondo, darebbe l’irrefragabile certezza di una
maggioranza all’esito della consultazione elettorale. Si tratterebbe di un sistema molto forzante, che avrebbe
tutti gli inconvenienti del caso, perché per vincere si formerebbero liste o
coalizioni molto eterogenee, pronte a dissolversi dopo la vittoria. La storia
degli ultimi vent’anni dovrebbe essere maestra. |
Stelio Mangiameli, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università
degli Studi di Teramo |
----- |
Francesco Saverio Marini, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università
degli Studi di Roma Tor Vergata |
Ove si intenda
ristabilire il congegno del ballottaggio, questo, per essere conforme alle
prescrizioni della Corte sotto il profilo del principio di rappresentatività,
dovrà assicurare l’effettivo peso in
termini rappresentativi delle liste che vi concorrano per ottenere il
premio. In questa prospettiva, i correttivi sembrano due: da un lato,
potrebbe prevedersi una soglia minima
di accesso al ballottaggio, al quale partecipano le due liste più votate
al primo turno, purché abbiano raggiunto ciascuna almeno il 30% dei suffragi;
dall’altro lato, potrebbe prevedersi che il premio di maggioranza al
ballottaggio sia assegnato, solo là dove partecipi
alla votazione, o esprima suffragio favorevole, la maggioranza degli aventi diritto. |
Agostino Meale, Ordinario
di diritto amministrativo presso l'Università degli Studi di Bari |
La Corte costituzionale
ha dichiarato l’incostituzionalità del ballottaggio solo perché la legge n.
52 del 2015 non prevedeva alcuna soglia di accesso per le due liste più
suffragate, costituendo, così, per la Corte un aggiramento della soglia del
40% prevista al primo turno (con le sole soglie del 3% alla Camera e del 20%
al senato) tale da consentire la costituzione di una maggioranza non legata
agli effettivi voti ricevuti. Dalla lettura della sentenza della Corte
Costituzionale n. 35/2017, in ogni caso, si potrebbe ritenere legittimo un
turno di ballottaggio tra liste (o coalizioni) che abbiano comunque raggiunto una soglia minima di
voti validi, tale da non determinare la sproporzione tra consenso
ricevuto e rappresentanza parlamentare. |
Luigi Melica, Ordinario di diritto
costituzionale comparato ed europeo Università del Salento |
La dichiarazione di
incostituzionalità della previsione del ballottaggio di cui alla legge n. 52
del 2015 è fondata sul fatto che tale turno è stato concepito non come una nuova votazione rispetto
a quella svoltasi al primo turno, bensì come la sua prosecuzione. Il sistema elettorale
italiano, diversamente da altri come quello francese, deve inserirsi in una
forma di governo parlamentare che non prevede l’elezione a suffragio popolare
del capo dell’Esecutivo; il requisito della rappresentatività, pertanto, non può essere compromesso al punto
da comprimere l'eguaglianza di voto come
avviene tutte le volte che si assegna ad una lista che ottiene “un consenso
limitato, ed astrattamente anche esiguo, la
maggioranza assoluta dei seggi”. Ne consegue che il legislatore
rischia di fuoriuscire dalla cornice costituzionale di riferimento
ogniqualvolta ricorre a forme di ballottaggio che minano la rappresentatività
delle istituzioni parlamentari nel contesto di una forma di governo che, data
la sua natura parlamentare, si discosta da forme di elezione diretta. Considerazioni non
dissimili valgono considerando la ratio
delle diverse leggi elettorali. Se si opta per una legge elettorale di tipo proporzionale, occorre tenere
presente che tale modalità di attribuzione della maggioranza non può
spingersi sino a prevedere
condizioni di accesso al secondo turno talmente rigorose da comportare una
"radicale riduzione dell'offerta politica". In definitiva, la
drastica riduzione dell’offerta politica a pochissime liste o partiti,
prodotta da una svalutazione del peso del voto in uscita, è accettabile in un
sistema maggioritario; lo è molto meno in un sistema che prevede forme di
riparto proporzionale dei seggi. Di conseguenza, qualora il legislatore
optasse per un sistema proporzionale dovrebbe poi seguire le regole generali
collegate a tale sistema, ossia la prevalenza, nelle situazioni di maggiore
tensione, del principio di rappresentatività su quello della governabilità ed
anche la salvaguardia della pluralità dell’offerta politica. Questa linea di
ragionamento non esclude, tuttavia, che sistemi proporzionali puri, ossia
senza la previsione di un premio possano prevedere, a vantaggio della
governabilità, soglie di sbarramento alte, senza per questo ledere i principi
cardine dei sistemi proporzionali. Il problema può porsi
nel caso di leggi proporzionali con premio attribuito alla lista o coalizione
al primo turno, qualora non si raggiunga la soglia per l’assegnazione del
premio medesimo. In questo caso una misura di equilibrio potrebbe essere
quella di assegnare soglie molto basse (2 o 3%) per le liste che si
presentano nelle coalizioni e più alte per le altre. Nel caso di mancata
assegnazione del premio si dovrà infatti formare una maggioranza attraverso
alleanze le quali richiedono, per definizione, un Parlamento il meno
frammentato possibile. |
Andrea Morrone, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi
di Bologna |
Prospetta la
possibilità di configurare, alla Camera, un “secondo turno di votazione” intesto non come continuazione del
voto precedente ma come nuova
votazione tra liste o coalizioni di liste che abbiano raggiunto una
determinata soglia di voti validi per ottenere il premio di maggioranza alla
stregua del primo turno. Al secondo turno
potrebbero accedere sia liste (del primo turno) sia coalizioni di liste
(formate dopo il primo turno) che superino al primo turno una soglia di
accesso pari ad almeno al 30%; se fossero in tre a superare la soglia,
andrebbero al secondo turno le due forze politiche con la percentuale di voti
più alta. In mancanza del superamento della soglia, il secondo turno non si
svolgerebbe e i seggi sarebbero distribuiti in base ai risultati del primo
turno. |
Valerio
Onida, Presidente emerito della Corte
Costituzionale |
Un secondo turno di
elezione di lista (c.d. ballottaggio) si
giustifica difficilmente, poiché non si tratta di eleggere una persona ma
un’assemblea. Al limite, si potrebbe configurare un secondo turno “aperto” a tutte le liste che nel primo turno
abbiano raggiunto un determinato livello minimo di consenso (es. 10-15%), o
che si apparentino nel secondo turno con altre liste che abbiano superato la
soglia In ogni caso l’eventuale premio di maggioranza attribuibile nel
secondo turno aperto dovrebbe essere condizionato al raggiungimento del 50%
dei voti da parte di una lista o di una coalizione di liste. |
Andrea Pertici, Ordinario di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Pisa |
Il
ballottaggio – come il premio –
oltre a suscitare perplessità in generale per la difficile (ancorché non
esclusa) compatibilità con la Costituzione è effettivamente tanto più
difficilmente compatibile con la stessa in presenza di un sistema bicamerale perfetto con particolare
riferimento al rapporto fiduciario
con il Governo. La
Consulta, in ogni caso, ritiene che la presenza di almeno alcuni dei correttivi indicati per il
ballottaggio (una soglia minima di accesso, un riferimento al numero di voti
ottenuto rispetto agli aventi diritto, la possibilità di apparentamenti tra
il primo e il secondo turno ecc.), che il legislatore dovrebbe eventualmente
valutare nella sua discrezionalità, potrebbe
superare le ragioni che hanno portato, nel caso di specie, alla
dichiarazione d’incostituzionalità. Tuttavia, le perplessità di fondo portano
a sconsigliare il ricorso a un sistema proporzionale con premio di
maggioranza. |
Guido Raffaele Rodio,
Ordinario di diritto
costituzionale presso l'Università degli Studi di Bari |
La ragione della
incostituzionalità tanto del premio di maggioranza previsto dalla legge
Calderoli, quanto dal ballottaggio previso dalla l. n. 52/2015, è la stessa:
il mancato raggiungimento di una soglia
ragionevole atta a garantire un certo tasso di rappresentatività delle Camere elettive. Ciò significa che
l’accoglimento della questione sulla regola del ballottaggio tra le due liste
più votate al primo turno è pronunciata non per una sua intrinseca
incompatibilità con la Costituzione, ma per «le concrete modalità
dell’attribuzione del premio attraverso il turno di ballottaggio». In
sostanza, «poiché per accedere al ballottaggio non è richiesta una soglia
minima» di voti, la sua previsione finisce per incorrere nel medesimo vizio
riscontrato nella sentenza n. 1/2014, potendo comportare una compressione eccessiva del carattere
rappresentativo dell’assemblea elettiva e dell’eguaglianza del voto. Dunque «non è il turno
di ballottaggio fra le liste in sé, in astratto considerato, a risultare
costituzionalmente illegittimo, perché in radice incompatibile con i principi
costituzionali evocati», ma solo la sua concreta strutturazione. Il problema
non è la competizione fra liste ma, come detto, l’assenza di soglie. Pertanto, qualora ci si
orientasse nel senso di prevedere in una nuova legge elettorale il
ballottaggio, appare costituzionalmente
necessario: a) prevedere in ogni caso una soglia ragionevole che le
singole liste debbono raggiungere al primo turno per poter accedere al
ballottaggio (presumibilmente, si ritiene, superiore al 30%), diversamente
risultando preferibile che, anche se in coalizione, s’imponga ai partiti un
turno unico con eventuale premio di maggioranza raggiunta la soglia del 40%;
b) di conseguenza allineare le leggi delle due Camere, prevedendo anche per
il Senato il medesimo meccanismo: possibilità di ballottaggio, a condizione
che vi si acceda superata una certa soglia, che in questo caso, data
l’eterogeneità delle “basi regionali”, in teoria dovrebbe essere più bassa
(almeno del 20/25%) per assicurarne la funzionalità. Riscontrata la
possibilità per il legislatore di prevedere legittimamente il ballottaggio in
una nuova formula elettorale, resta comunque il fatto che, ai fini di una
maggiore omogeneità e rappresentatività delle leggi di Camera e Senato,
sembra ad ogni modo preferibile percorrere la via del “premio di maggioranza”
(si veda anche questioni n. 1 e n. 2), apparendo più opportuno ricorrere alla
tecnica del doppio turno quando in discussione vi è l’elezione di organi monocratici. |
Ciro Sbailò, Associato di diritto pubblico
comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
Il secondo turno, come si evince dalla sentenza 35/2017 della Corte
costituzionale, non è illegittimo,
ma bisognoso di una disciplina rispettosa del bene costituzionale della rappresentanza. Allo stato, le vie
praticabili paiono, a suo avviso, le seguenti: ancorare l’attribuzione del
premio di maggioranza al superamento di una determinata soglia di partecipanti al voto; b) ricorrere al ballottaggio “aperto” a tutte le
forze che abbiano superato una determinata soglia, preferibilmente calcolata
non sui votanti, ma sugli aventi
diritto (ad esempio, il 12.5%, come nelle elezioni dell’Assembla
nazionale francese). Quanto alla compatibilità con il sistema bicamerale
paritario, penso che gli ostacoli siano di natura tecnica, non costituzionale
(v. questione n. 2) L’ipotesi del ballottaggio, contenuta nell’Italicum, nasce nella prospettiva di
un superamento del bicameralismo
paritario. Si tratta, in ogni caso, di un meccanismo difficilmente
comparabile con altri sistemi maggioritari. Il doppio turno si associa, di norma, a meccanismi elettorali che
riguardano singole personalità,
che fanno da “traino”, per così dire, nel ballottaggio, producendo una
semplificazione nel sistema dei partiti. Nel caso dell’Italicum segue un’impostazione differente e, in un sistema di bicameralismo
paritario, è un’ipotesi difficilmente percorribile, nel senso che dovrebbe
essere varata una disciplina elettorale estremamente complessa e articolata,
suscettibile anche di favorire un certo disorientamento nell’elettorato. Ulteriore
questione è quella relativa al rapporto tra godimento del premio di
maggioranza e reale rappresentatività rispetto al corpo elettorale. |
Federico
Tedeschini, Associato di
istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma «La
Sapienza» |
Ritiene che l'ultima sentenza
della Corte abbia messo una “pietra sopra” l'ipotesi di utilizzare
legittimamente l’istituto, anche perché l’esigenza della governabilità
apparirebbe comunque assicurata calibrando
opportunamente la soglia di sbarramento con il premio di maggioranza e
rendendoli omogenei per entrambi i rami del Parlamento. |
Massimo
Villone,
Emerito di diritto costituzionale
presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II» |
Ritiene
che il ballottaggio vada respinto in quanto non adatto ad un sistema politico multipolare come quello
italiano. Il ballottaggio si può ammettere solo in sistemi bipolari. |
Lorenza
Violini, Ordinaria di
diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
La Corte non censura la
possibilità di inserire nella legge elettorale un secondo turno, ma chiarisce
che non è tanto il secondo turno in sé che deve essere censurato per
incostituzionalità, quanto le modalità
con cui è stato costruito e, in particolare, il fatto che il secondo
turno non viene concepito come una nuova tornata elettorale, ma ha strettissime connessioni con il primo
turno, con la tornata elettorale iniziale, che ha evidenti
caratteristiche proporzionali. È un sistema proporzionale che nello sviluppo
del procedimento si trasforma, muta di segno e diventa un sistema che vuole
mirare ad assicurare la governabilità, non a favorire la governabilità, come precisa la Corte, ma proprio ad
assicurarla. È il combinato disposto di questi due turni che fa della legge
n. 52 una normativa costituzionalmente illegittima. Pertanto, benché un
secondo turno alle attuali condizioni, sia politiche che legislative, sia
piuttosto difficile da individuare, esso non è completamente bandito. Al
contempo, la sentenza stessa non è molto chiara nell’individuare a quali
condizioni potrebbe essere inserito un secondo turno. È molto importante
anche ricordare che uno dei motivi per cui il secondo turno non può essere
completamente bandito è che il nostro ordinamento, ma anche altri
ordinamenti, ha varie modalità di ballottaggio, prima tra tutte quella della elezione dei sindaci. |
Roberto
Zaccaria,
già Ordinario di istituzioni di diritto
pubblico presso l'Università degli Studi di Firenze |
Affinché il
ballottaggio possa essere preso in considerazione nella versione,
assolutamente originale del nostro paese, riferita al confronto tra liste e
non tra persone, occorrerebbe affrontare il tema delle possibili coalizioni al secondo turno e soprattutto
l’introduzione di una soglia di
partecipazione al voto piuttosto elevata. In questo caso si potrebbe
sostenere che la lista o la coalizione vincente risulti rappresentativa di
una parte significativa degli aventi diritto al voto. Una volta affrontati e
risolti questi due difficili nodi, non vi sono ostacoli di principio a
ritenere compatibile il ballottaggio con un sistema bicamerale paritario. Conferma
che l’asimmetria dei corpi elettorali ed un sistema politico tripolare sono
le ragioni che porterebbero ad esprimere alcune riserve di opportunità. Aggiunge
che in linea puramente astratta, l’ipotesi di un ballottaggio con esito
diverso nei due rami del Parlamento sembra puramente teorica e comunque
potrebbe essere neutralizzata con alcune cautele (quella di renderlo
operativo solo nel caso in cui vinca contemporaneamente la stessa lista o
coalizione). In conclusione, si pongono più questioni di opportunità che di
legittimità in senso stretto. |
Questione n. 6: Possibilità di “slittamento” dei seggi
tra circoscrizioni in alcuni casi,
|
Felice Besostri, Esperto
della materia |
----- |
Giuseppe Calderisi, Esperto
della materia |
La Corte ha considerato
non fondata la questione posta sul c.d. “slittamento” dei seggi tra
circoscrizioni, né ha riscontrato problemi di funzionalità del vigente
algoritmo, poiché “la traslazione di un seggio da una circoscrizione ad
un’altra costituisce, nella procedura di assegnazione dei seggi, un’ipotesi residuale, che può
verificarsi, per ragioni matematiche e casuali, solo quando non sia stato
possibile, applicando le disposizioni vigenti, individuare nessuna
circoscrizione in cui siano compresenti una lista eccedentaria ed una
deficitaria con parti decimali dei quozienti non utilizzati.” Quanto allo slittamento
dei seggi tra i collegi plurinominali di una medesima circoscrizione,
questione non posta al giudizio della Corte, essa non si esime comunque dal
rilevare che “Il rimettente non si interroga sull’eventualità che l’art. 56,
quarto comma, Cost. esprima un principio vincolante anche per la
distribuzione dei seggi nei collegi, cioè in relazione ad ambiti territoriali
più ridotti rispetto alle circoscrizioni.” |
Beniamino Caravita, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
----- |
Stefano Ceccanti, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» |
La Corte non ha
rilevato sul punto particolari questioni. Quando il riparto dei seggi avviene dall’alto
è possibile una non completa corrispondenza fra proporzionalità politica e
proporzionalità territoriale con qualche slittamento. Ma occorrono metodi – come
quello introdotto nell’Italicum –
che li contengano e/o comunque li limitino a specifiche situazioni. Per il Senato invece, sono necessari metodi
di fedele garanzia della
territorialità del sistema per assicurare la “base regionale”. |
Alessandro Chiaramonte, Ordinario di scienza politica presso l'Università degli
Studi di Firenze |
----- |
Salvatore Curreri, Associato
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Enna
«Kore» |
Nonostante
le “ampie cautele” introdotte dalla legge n. 52/2015 per evitare, in sede di
assegnazione dei seggi, la loro traslazione da una circoscrizione ad
un'altra, cercando così di bilanciare la rappresentanza territoriale (art.
56.4 Cost.) e quella politica generale (art. 67 Cost.), è ineliminabile che si possano presentare “casi limite, che il
legislatore intende del tutto residuali”, in cui tale traslazione si produca
allorquando non vi sia nessuna circoscrizione “in cui siano compresenti una
lista eccedentaria ed una deficitaria con parti decimali dei quozienti non
utilizzati” (10.2 cons. dir.). Ritiene che, nel respingere le questioni di
legittimità costituzionale sollevate in tal senso, la Corte costituzionale
abbia fatto riferimento ad un argomento quasi ontologico, e come tale
difficilmente contestabile. |
Maria Elisa D’Amico,
Ordinaria di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Milano |
----- |
Carlo Deodato,
Consigliere di Stato, esperto della materia |
La Corte ha precisato
che la traslazione di un seggio da una circoscrizione a un’altra, che
peraltro costituisce un’ipotesi residuale e del tutto marginale, non lede alcun principio
costituzionale che esige che l’assegnazione dei seggi operi esclusivamente
all’interno delle singole circoscrizioni (in ragione della valenza nazionale
del voto). |
Luigi Di Gregorio, Ricercatore in scienza politica presso l'Università della
Tuscia di Viterbo |
La
questione della traslazione dei seggi è un problema che riguarda il trade-off
tra vincoli territoriali e voto politico. Finché la territorialità sarà un
vincolo, la traslazione mi pare sempre un esito possibile. In ogni caso, non dovrebbe porre problemi di
incostituzionalità perché il rappresentante eletto rappresenta la Nazione e
il fenomeno dello slittamento è stato sensibilmente
ridotto nel tempo. Certo, qualora il fenomeno dovesse avere numerosi
riscontri reali, potrebbe insorgere un problema di eguaglianza del voto. Questo
rischio con l’Italicum c’è, dato l’ampio numero di collegi plurinominali e il
basso numero di seggi assegnati dai collegi. Con questo tipo di
legge elettorale, l’unico modo per evitare del tutto la traslazione è l’eliminazione del vincolo territoriale,
oppure, cosa che è stata già fatta, renderlo flessibile: garantire cioè che
la lista eccedentaria perda il seggio nel collegio ottenuto con la minore
parte decimale e che la lista deficitaria ottenga il seggio nel collegio in
cui ha la maggior parte decimale non utilizzata. Di fatto, in questo modo il
vincolo territoriale diventa relativo. Per ridurre l’entità della traslazione
si può immaginare di ampliare i collegi plurinominali fino a raggiungere
dimensioni medie (10-12 seggi). |
Anna Falcone, Esperta della materia |
Ritiene che lo
slittamento dei seggi è una violazione
del principio del voto diretto. |
Giovanni Guzzetta, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso
l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» |
----- |
Enrico La Loggia, Esperto della materia |
----- |
Stefania Leone, Ricercatrice
in diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
----- |
Vincenzo Lippolis, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
È inevitabile che possa esservi uno scarto tra voti e
territorialità nell'assegnazione dei seggi (e in tal senso il sistema
previsto dalla legge 52 per la Camera ha superato il vaglio della Corte
costituzionale). Una particolare disciplina sarà necessaria se si decidesse
di assegnare anche per il Senato un premio a livello nazionale perché è
necessario rispettare il criterio dell'elezione su base regionale. |
Massimo Luciani, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
La Corte ha chiarito
che l’art. 56, comma 4, Cost., “non si limita [...] a prescrivere che i seggi
da assegnare a ciascuna circoscrizione siano ripartiti in proporzione alla
popolazione, prima delle elezioni”, ma “intende anche impedire che tale
ripartizione possa successivamente esser derogata, al momento della
assegnazione dei seggi alle diverse liste nelle circoscrizioni, sulla base dei
voti conseguiti da ciascuna di esse”. Ciò non toglie, però, che dovendo tutti
i seggi essere assegnati, in sede di proclamazione, l’art. 56, comma 4, debba
essere “osservato fin tanto che ciò
sia ragionevolmente possibile, senza escludere la legittimità di
residuali ed inevitabili ipotesi di traslazione di seggi da una
circoscrizione ad un’altra”. Se la traslazione da una circoscrizione
all’altra, insomma, è costruita come
un fenomeno eccezionale, che si verifica solo quando è tecnicamente
indispensabile per distribuire tutti i seggi in palio, essa non è da
considerarsi costituzionalmente illegittima. |
Stelio Mangiameli, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università
degli Studi di Teramo |
----- |
Francesco Saverio Marini, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università
degli Studi di Roma Tor Vergata |
Al
legislatore spetta comporre alcuni principi costituzionali in parte
divergenti. Più in dettaglio, rileva anzitutto l’art. 56, comma 4, Cost., il
quale garantisce non già, come da taluni ritenuto, la rappresentanza dei
territori in sé considerati, bensì, più semplicemente, la mera commisurazione della rappresentanza alla
popolazione di ciascuna porzione del territorio nazionale. Rileva, poi,
la circostanza che la Camera dei Deputati rappresenti – ex art. 67 Cost. –
l’intera Nazione. Va considerata, infine, l’esigenza di tenere conto, nella
prospettiva degli elettori, del consenso ottenuto da ciascuna lista nelle
singole circoscrizioni, alla luce dell’art. 48 Cost. Pertanto, è legittimo,
ma non costituzionalmente necessario, esaurire le assegnazioni di seggi
all’interno delle singole circoscrizioni, senza tener conto dei voti che le
liste ottengono a livello nazionale. Risultano, tuttavia, altrettanto
legittimi congegni che – nel contemperare la “localizzazione” delle
operazioni di voto con la dimensione nazionale della rappresentanza –
contemplino una qualche operatività del meccanismo dello slittamento, purché
questo si mantenga nei limiti della
ragionevolezza e proporzionalità. Ebbene, proprio per il carattere
elastico e indeterminato di tali parametri, non sembra opportuno porre mano al sistema attualmente delineato
dall’art. 83, comma 1, numero 8, del d.P.R. n. 361 del 1957, già passato
indenne allo scrutinio della Corte costituzionale. Infatti, in disparte
l'inopportunità di esporsi nuovamente alle incognite del giudizio di
legittimità costituzionale, appare difficile, dal punto di vista tecnico,
ipotizzare una nuova collocazione residuale dello slittamento, alternativa a
quella già vigente. |
Agostino Meale, Ordinario
di diritto amministrativo presso l'Università degli Studi di Bari |
Nei punti 10.1 e 10.2 della
sentenza n. 35/2017 la Corte Costituzionale, dopo aver ricostruito il
sistema, ha affermato la legittimità della traslazione/slittamento dei seggi
tra circoscrizioni, in quanto non solo è un’opzione consentita dall’art. 84,
co. 3, del d.p.r. n. 361 del 1957, ma soprattutto perché costituisce, nella
procedura di assegnazione dei seggi, un’ipotesi residuale. |
Luigi Melica, Ordinario di diritto
costituzionale comparato ed europeo Università del Salento |
----- |
Andrea Morrone, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi
di Bologna |
Dalla
sentenza n. 35/2017 non derivano problemi particolari sul punto. |
Valerio
Onida, Presidente emerito della Corte
Costituzionale |
In linea di principio
la distribuzione degli eletti (in
tutte le liste) in ogni circoscrizione
dovrebbe corrispondere al numero di seggi ad essa spettanti in base alla
popolazione, per non alterare il criterio della eguale rappresentanza dei
territori. Lo “slittamento” potrebbe semmai riguardare i seggi attribuiti a
ciascuna singola lista o coalizione
nelle diverse circoscrizioni. Diverso sarebbe se si prevedesse l’elezione di
una quota di deputati (non di senatori) su liste nazionali, attraverso il recupero dei resti calcolati in sede
circoscrizionale (com’era nell’elezione dell’Assemblea costituente). |
Andrea Pertici, Ordinario di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Pisa |
Il fenomeno dello
slittamento dei seggi tra le circoscrizioni dipende dal sistema elettorale e
non può quindi essere affrontato in generale, salvo dire che esso non
rispetta il voto effettivamente espresso dagli elettori e come tale è da
evitare probabilmente con il solo limite della completezza dell’organo. |
Guido Raffaele Rodio,
Ordinario di diritto
costituzionale presso l'Università degli Studi di Bari |
----- |
Ciro Sbailò, Associato di diritto pubblico
comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
Su questo punto ritiene
che la Corte costituzionale ha fatto sufficiente chiarezza. Il complesso
sistema di assegnazione dei seggi «dispiega infatti ampie cautele proprio
allo scopo di evitare la traslazione». L'effetto traslativo ha luogo «ove il
ricorso a quelle cautele si riveli inutile, in casi limite che il legislatore
intende come del tutto residuali. In questo senso, viene richiamata
l’opportunità di una lettura sistemica dell’art. 56, quarto comma, in
coordinamento con gli articoli. 67 e 48 Cost. » L’art. 56 non parla di una
rappresentanza “territoriale”, ovviamente, ma di un’equa e ragionevole
distribuzione dei seggi sul territorio nazionale, congruente con il dato
demografico. |
Federico
Tedeschini, Associato di
istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma «La
Sapienza» |
La questione riguarda
il fenomeno che si verifica allorché il sistema di ripartizione dei seggi
presuppone che nelle circoscrizioni possa risultare eletto un numero di
parlamentari diverso rispetto a quello ad esse spettanti in base alla
popolazione residente. Il problema nasce sulla base di considerazioni di
carattere meramente aritmetico, secondo le quali nessun sistema elettorale
può riuscire a garantire simultaneamente l'obiettivo della ripartizione
nazionale dei seggi con quello dell'assegnazione alle circoscrizioni del
numero di parlamentari ad esse spettanti; quella quota, infatti, dipende da
una serie di variabili (numero dei
seggi di spettanza di ciascuna Regione, numero delle circoscrizioni
provinciali e loro differente
ampiezza, tasso di partecipazione al voto ecc.) che rendono il problema
insolubile. |
Massimo
Villone,
Emerito di diritto costituzionale
presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II» |
----- |
Lorenza
Violini, Ordinaria di
diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
----- |
Roberto
Zaccaria,
già Ordinario di istituzioni di diritto
pubblico presso l'Università degli Studi di Firenze |
Il problema è stato
affrontato esplicitamente e risolto in chiave positiva nella motivazione
della sentenza. La Corte distingue opportunamente tra slittamento tra i collegi e tre le circoscrizioni. Ritiene
fondamentale il principio posto alla base dell’art. 56, quarto comma. Precisa
che le cautele adottate nella legge n. 52 del 2015, sono tali da contenere il
fenomeno in termini fisiologici. |
Questione n. 7: Limiti
nella definizione di una soglia di sbarramento e possibile differenziazione
tra liste e coalizioni
|
Felice Besostri, Esperto
della materia |
----- |
Giuseppe Calderisi, Esperto
della materia |
La Corte ritiene
legittima “la compresenza di premio e soglia, nelle specifiche forme ed
entità concretamente previste dalla legge elettorale”. Sulla soglia la Corte
rileva che: “le previsioni della legge n. 52 del 2015 introducono una soglia
di sbarramento non irragionevolmente elevata, che non determina, di per sé,
una sproporzionata distorsione della rappresentatività dell’organo elettivo”
e che: “In linea generale …anche «[l]a previsione di soglie di sbarramento e
quella delle modalità per la loro applicazione […] sono tipiche
manifestazioni della discrezionalità
del legislatore che intenda evitare la frammentazione della
rappresentanza politica, e contribuire alla governabilità» (sentenza n. 193 del 2015).” Ovviamente, un
sistema con premio di maggioranza
comporta soglie di sbarramento più basse rispetto ad un sistema senza
premio. |
Beniamino Caravita, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
In tema di ragionevoli
soglie di sbarramento, la Corte ha fatto riferimento al 5% tedesco. È chiaro che la soglia di sbarramento del 3%, che è rimasta alla Camera difficilmente
potrà esser toccata. Il vero problema è se ha un senso mantenere la soglia di
sbarramento del 3% alla Camera e la soglia di sbarramento dell'8% per i
partiti non coalizzati al Senato. In merito, occorre considerare in primo
luogo, che la soglia di sbarramento dell'8% è a livello regionale, il che
territorializza il sistema dei partiti secondo la logica richiesta dalla
Costituzione. È un elemento distorsivo del proporzionale che non è incongruo
perché può essere egualmente ritenuto finalizzato all'aggregazione dei
partiti politici (così come non è incongruo il premio di maggioranza alla
Camera in quanto finalizzato alla governabilità). |
Stefano Ceccanti, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» |
Per liste singole
soglie ragionevoli possono oscillare tra
il 3% e il 5%. Per il Senato sono opportune anche soglie
regionali più elevate. |
Alessandro Chiaramonte, Ordinario di scienza politica presso l'Università degli
Studi di Firenze |
Si
potrebbe, a suo avviso, arrivare all'innalzamento della soglia dal 3% attuale
al 4% o anche al 5% (fatta salva
una previsione specifica per i partiti rappresentativi di minoranze
linguistiche) con la finalità di contenimento della frammentazione partitica. |
Salvatore Curreri, Associato
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Enna
«Kore» |
La
soglia prevista alla Camera per l’accesso alla ripartizione dei seggi (3%) si
pone nella parte bassa del range d’oscillazione (3-5%)
offerto dall’esperienza comparata.
Nel merito, la Corte, com’è noto, non solo ha giustificato tali soglie perché
funzionali alla formazione sia della maggioranza parlamentare che di
un’opposizione non eccessivamente frammentata ma, nello specifico, ha
ritenuto quella oggi prevista del 3% “non irragionevolmente elevata”, anche
se abbinata alla contestuale previsione del premio di maggioranza. Pertanto,
un intervento censorio della Corte si potrebbe ipotizzare qualora essa fosse così elevata e selettiva da ledere la
rappresentatività dell’assemblea parlamentare, sede della rappresentanza
politica nazionale. Circa
le diverse soglie previste dalla legge elettorale del Senato la Corte ha dichiarato inammissibile la questione di
legittimità costituzionale sollevata in riferimento ad esse, “per
insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza e oggettiva
oscurità del petitum”. Ciò
nondimeno, la possibilità di differenziare
tali soglie tra liste coalizzate e no, incentivando così i partiti a
coalizzarsi tra loro, ritiene risponda pienamente all’esigenza,
costituzionalmente giustificata, di “evitare la frammentazione della
rappresentanza politica e contribuire alla governabilità” (sentenza n.
193/2015). Ovviamente,
l’introduzione di soglie differenziate anche alla Camera presupporrebbe la
possibilità di coalizioni di liste, al pari di quanto previsto al Senato. Del
resto, l’attuale divieto potrebbe essere comunque aggirato, qualora
ovviamente se ne diano le condizioni politiche, attraverso la presentazione
di liste di coalizione. Fa
presente peraltro che la soglia di sbarramento prevista per le liste non coalizzate
al Senato (8%) pare penalizzante perché più del doppio di
quella prevista per quelle coalizzate (3%), tanto più qualora la si riferisse
alla circoscrizione regionale anziché nazionale. In tal senso, anziché
aumentare in parallelo entrambe le soglie di sbarramento di Camera e Senato
per le liste non coalizzate, parrebbe più rispondente alle esigenze di
rappresentatività diminuire
leggermente quella per le liste non
coalizzate prevista al Senato. |
Maria Elisa D’Amico,
Ordinaria di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Milano |
La Corte rinvia alla discrezionalità del legislatore e,
anzi, valorizza eventualmente la possibilità che la soglia di sbarramento ci
conduca a un'opposizione non eccessivamente
frammentata. |
Carlo Deodato,
Consigliere di Stato, esperto della materia |
La previsione di soglie
di accesso al riparto dei seggi assolve la funzione, ritenuta meritevole
dalla Corte, di evitare un’eccessiva frammentazione del sistema partitico e,
in particolare, dell’opposizione. Potrebbe, tuttavia, ritenersi lesiva della
rappresentatività una soglia superiore al 5% per le liste non coalizzate, mentre appare del tutto
ragionevole una differenziazione delle soglie a seconda che la lista corra da
sola o coalizzata. In particolare, una soglia più alta (ma non superiore
all’8%) per le liste non coalizzate
si giustifica con l’esigenza di favorire la formazione di maggioranze
politiche di governo. |
Luigi Di Gregorio, Ricercatore in scienza politica presso l'Università della
Tuscia di Viterbo |
Sulle soglie di
sbarramento la Consulta sembra lasci ampi
margini al legislatore. Tale impressione è confermata dalle sue
considerazioni sulle diverse finalità del premio di maggioranza e delle
soglie di sbarramento. Entrambi i meccanismi comprimono la rappresentatività,
ma sembra che la Corte propenda per non “cumulare” gli effetti. È chiaro,
tuttavia, che una soglia per le liste, ad es., al 10% su base nazionale possa
essere ritenuta irragionevole, specie se sommata a un premio di
maggioranza/governabilità. Ritiene che un limite
“ragionevole” sia quello del 5% su
base nazionale per le liste non coalizzate. Per le eventuali liste
coalizzate la soglia dovrebbe essere, in linea teorica, più bassa purché non
diventi inutile a ridurre la frammentazione partitica, che è la sua ragion
d’essere costitutiva. |
Anna Falcone, Esperta della materia |
Ritiene
che soglie di sbarramento non
superiori il 3 o il 4 %, potrebbero non solo semplificare il quadro
partitico senza modificare in maniera significativa la rappresentanza, ma
anche garantire la concentrazione di forze politiche con identità e programmi
omogenei, evitando una eccessiva frammentazione. |
Giovanni Guzzetta, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso
l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» |
----- |
Enrico La Loggia, Esperto della materia |
Ritiene ragionevoli la
soglia del 5% se la lista è
singola e del 3% se in colazione
con altre liste. |
Stefania Leone, Ricercatrice
in diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
----- |
Vincenzo Lippolis, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
L’esigenza preliminare
è di armonizzare le soglie di accesso
per le due camere. Se, come ha
detto la Corte, è costituzionale la compresenza di premio e soglie di
sbarramento, la previsione del premio deve portare alla previsione di soglie di sbarramento non eccessivamente
alte. Tuttavia, soglie di accesso troppo basse possono provocare
un'eccessiva frammentazione della rappresentanza, qualora la soglia del premio non sia
oggettivamente raggiungibile da nessuna lista o coalizione. |
Massimo Luciani, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
La Corte non ha mai
indicato la “soglia della soglia”. Va notato, peraltro, che la sentenza della
Corte costituzionale n. 1 del 2014
tuttavia ha richiamato la
giurisprudenza del Tribunale federale
tedesco, il quale ha ritenuto che le soglie siano sospette dal punto di
vista del principio proporzionalistico, ma giustificate sino alla misura del
5%, in quanto serventi di quelle medesime esigenze di “funzionalità
dell’organo parlamentare” che la stessa sent. n. 1 del 2014 ha inteso
valorizzare. Una scelta saggia, pertanto, sarebbe quella di considerare il 5% come l’asticella massima di qualunque soglia di accesso delle liste al
riparto dei seggi. Una soglia diversa potrebbe forse essere prevista (oltre
che per le liste rappresentative di minoranze linguistiche) per le coalizioni, ma in questo caso non avremmo
nella giurisprudenza costituzionale indicazioni affidabili sul limite
massimo. |
Stelio Mangiameli, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università
degli Studi di Teramo |
Con un sistema
proporzionale puro la soglia di sbarramento del 3-4-5% (alla luce dei sondaggi
da cui emerge che vi sono due forze politiche che si aggirano intorno al 30
per cento, mentre tutte le altre stanno sotto tale soglia) non determina
alcuna maggioranza, cioè è perfettamente inutile. Anzi, se si eleva la soglia
di sbarramento dal 3 al 5 per cento,
si passa da una dispersione di
1.700.000 voti a una dispersione di oltre 5,5 milioni di voti. Tutte le
valutazioni - su quale sia la soglia di sbarramento iniziale per accedere
all'attribuzione dei seggi e su quale debba essere la soglia per entrare in
un eventuale ballottaggio per conseguire il premio - non possono essere
condotte ragionevolmente e proporzionalmente in astratto. Devono tenere conto
di com'è il sistema politico. Vi sono delle direttive che devono essere
seguite, se si vuole costruire soprattutto, come sembra, un sistema che parta
dal principio proporzionale e arrivi a dei correttivi che creino delle
disproporzionalità. Si tratta di inserire tutti quegli elementi che possano,
da una parte, consentire di mantenere il più possibile ampia l'offerta
politica da parte del sistema dei partiti e, dall'altra, inserire delle
regole che consentano al meglio la possibilità di superare gli elementi di
frammentazione, cioè di favorire
l'aggregazione delle forze politiche e le forme di accordo. Entrano, in questo
senso, in discussione sia il tema delle coalizioni,
che, a suo avviso, nella situazione data, è un elemento ineludibile, sia la
necessità di non elevare la soglia di sbarramento, proprio per la sua
inutilità. Portare la soglia iniziale del 3 per cento al 5 per cento non
serve a niente nel caso italiano, se non a disperdere consenso. Entrano in
questa considerazione anche una determinata trasparenza del sistema
elettorale che si deve scegliere, perché uno degli elementi fondamentali per
indurre gli elettori a votare è il fatto che il lettore possa, attraverso un
sistema elettorale trasparente, riconoscere l'effetto del proprio voto. Molte
volte, quando i sistemi elettorali sono complicati, l'elettore rinuncia in
partenza a votare, perché non si rende conto dell'effetto che con il suo voto
può determinare. |
Francesco Saverio Marini, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università
degli Studi di Roma Tor Vergata |
Come chiarito più volte
dalla Corte costituzionale, la determinazione delle soglie di sbarramento
costituisce un correttivo al principio di rappresentatività, funzionale a
ridurre la frammentazione dell’arco parlamentare e ad agevolare la
governabilità. La stessa Corte costituzionale italiana, nella sentenza n. 35
del 2017, ha inoltre precisato che, nell’impedire l’accesso ai seggi di minoranze
pulviscolari, la soglia di sbarramento
possa giovare alla formazione di opposizioni più compatte, così
assolvendo anche una funzione
anti-maggioritaria, particolarmente apprezzabile in un sistema che
contempla anche il premio di maggioranza. Tale duplice fondamento consente
dunque una discrezionalità molto ampia al legislatore, sia nella
determinazione delle soglie, sia nell’eventuale graduazione delle stesse, a
seconda che siano rivolte a liste singole o coalizzate. In questa prospettiva,
un ausilio importante viene dalla comparazione:
la legislazione elettorale della quasi totalità delle democrazie occidentali
adotta clausole comprese fra il 3% (ad esempio, la Spagna) e il 5% (ad esempio,
la Germania). Tali soglie potrebbero subire ragionevoli abbattimenti per
incentivare la coalizzazione delle liste, ad esempio, in un ordine compreso
fra il 30% e il 50%; in ragione del diverso numero di seggi a disposizione,
appare poi legittimo stabilire, in ipotesi, che le clausole di sbarramento
del Senato siano più alte, o anche doppie, rispetto a quelle della Camera. Nessun
particolare vincolo discende dalla giurisprudenza della Corte europea dei
diritti dell’uomo: benché, nel 2007, l’Assemblea Parlamentare del Consiglio
d’Europa (PACE) abbia auspicato la fissazione di soglie di sbarramento non
superiori al 3%, la Corte di Strasburgo ha ritenuto quella dell’entità della
soglia, in buona sostanza, una scelta discrezionale degli Stati, purché,
anche alla luce della storia politica del Paese e di eventuali congegni
compensativi, essa consenta una sufficiente tutela e rappresentanza delle
minoranze. |
Agostino Meale, Ordinario
di diritto amministrativo presso l'Università degli Studi di Bari |
La Corte ha dichiarato
costituzionalmente legittima, in quanto compatibile con il principio
rappresentativo, la soglia del 3%
alla Camera; così come sono state ritenute coerenti con il sistema le soglie
previste dal d.lgs. n. 533/1993 per l’elezione del Senato. Quanto alla
Camera, non c’è dubbio che l’abbassamento della soglia di sbarramento del 3%
valorizzerebbe la tutela del principio rappresentativo, mentre il suo
innalzamento potrebbe non superare il test di proporzionalità da parte del
Giudice delle leggi, specie se poi accompagnato da un eventuale premio di
maggioranza. Si è comunque dell’opinione che nell’ambito di un sistema
proporzionale senza attribuzione di premi sia possibile elevare la soglia di
sbarramento sino al 5%, anche se sarebbe meglio non calcolarla in riferimento
al collegio nazionale unico ma a circoscrizioni di dimensione intermedia. |
Luigi Melica, Ordinario di diritto
costituzionale comparato ed europeo Università del Salento |
----- |
Andrea Morrone, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi
di Bologna |
La Corte costituzionale
ha ritenuto legittime soglie di sbarramento superiori al 3%. Non vede
problemi a prevedere soglie di sbarramento
differenti, anche sensibilmente, tra le due camere. La diversa struttura
e il diverso elettorato permettono questa soluzione e non impongono regole
identiche. Differenziare le soglie a seconda che la lista corra da sola o si
coalizzi con altre liste non incontra limiti costituzionali (come conferma a
giurisprudenza costituzionale nella sent. n. 1/2014). |
Valerio
Onida, Presidente emerito della Corte
Costituzionale |
Una soglia di sbarramento ragionevole su base
nazionale potrebbe essere quella del 5%, ma salvaguardando in ogni caso - ove si adottasse un sistema misto
fra collegi uninominali e proporzionale di lista – gli eventuali eletti nei collegi uninominali. |
Andrea Pertici, Ordinario di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Pisa |
Ricorda che l'Assemblea parlamentare del Consiglio
d'Europa, in una risoluzione del 2007, afferma che nelle democrazie
stabilizzate non dovrebbero esserci soglie superiori al 3 % nell'ambito delle elezioni parlamentari. Sul punto vengono in
rilievo due sentenze del tribunale costituzionale tedesco, una del 2011 e una
del 2014. La questione era giunta anche all'attenzione della Corte
costituzionale, la quale, però, con la sentenza n. 110 del 2015 ha dichiarato
la questione di legittimità costituzionale inammissibile per motivi
processuali. Una soglia alta
potrebbe essere elusa con formazione di una lista sostanzialmente
coalizionale. Non sarebbe a suo avviso opportuno prevedere soglie
differenziate per liste e coalizioni perché ciò agevola coalizioni
“infedeli”. |
Guido Raffaele Rodio,
Ordinario di diritto
costituzionale presso l'Università degli Studi di Bari |
La Corte costituzionale
ha osservato che i correttivi al sistema elettorale proporzionale, qual è la
soglia di sbarramento, “non incidono sulla parità di condizioni dei cittadini
e sull’eguaglianza del voto, che non si estende al risultato concreto della
manifestazione di volontà dell’elettore, rimessa ai meccanismi del sistema
elettorale determinati dal legislatore” (sent. n. 356 del 1998); nella più
recente decisione n. 193 del 2015 la Corte rileva che “la previsione di
soglie di sbarramento e quella delle modalità per la loro applicazione sono
tipiche manifestazioni della discrezionalità del legislatore che intenda
evitare la frammentazione della rappresentanza politica, e contribuire alla
governabilità”. La condivisibile valutazione sulla non arbitrarietà del fine
perseguito con l’introduzione di una soglia di sbarramento non può peraltro
giustificare qualsiasi meccanismo di questo tipo, ma richiede pur sempre una
valutazione caso per caso anche in relazione alle peculiarità dei singoli
sistemi elettorali: comunque la Corte ha deciso di non addentrarsi sul
difficile terreno del giudizio di ragionevolezza sulla norma sottoposta al
suo vaglio. Una scelta saggia
sarebbe in ogni caso quella di considerare il 5% come limite massimo di qualunque soglia di accesso al riparto
dei seggi. Tuttavia, anche a non considerare l’argomento, peraltro non
decisivo, secondo cui l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa nel
2007, pur riconoscendo l’ampio spazio di discrezionalità di cui gode il
legislatore in materia, ha affermato che nelle elezioni politiche di
democrazie consolidate non dovrebbero essere applicate soglie di sbarramento
superiori al 3%, in ogni caso
nella decisione n. 35 del 2017 la Corte rileva soltanto che la soglia
prevista dalla legge n. 52/2015 – del 3% - è non irragionevolmente elevata. Quanto
alla possibilità di prevedere differenti soglie di sbarramento a seconda che la lista si presenti da sola o coalizzata,
tale meccanismo degli sbarramenti variabili potrebbe suscitare qualche
perplessità in ordine alla compatibilità con alcuni principi posti o
ricavabili dal nostro ordinamento costituzionale: se, come sostiene la Corte
nella stessa sentenza n. 35 del 2017, l’obiettivo della soglia è quello di
evitare il più possibile la frammentazione, allora tutte le proposte di legge
che individuano una soglia per le liste coalizzate e un’altra soglia per
quelle non coalizzate non predispongono affatto un mezzo idoneo al
raggiungimento dell’obiettivo ma, anzi, prevedono un meccanismo capace di
allontanare dal raggiungimento dell’obiettivo stesso. Nel caso di soglie
diversificate sarebbe forse possibile intravedere un caso tipico di eccesso
di potere legislativo proprio nella misura in cui si persegue un fine sulla
base di un sistema idoneo ad allontanare dal raggiungimento di quel fine (ad
esempio, se si stabilisce la soglia del 4% per le liste non coalizzate e
quella del 3% per le liste coalizzate, la frammentazione che si vorrebbe
evitare mediante la previsione di uno sbarramento del 4% viene favorita dalla
soglia più bassa – il 3 % – in caso di lista coalizzata). |
Ciro Sbailò, Associato di diritto pubblico
comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
Fermo restando quanto
evidenziato dalla Corte in termini generali (in particolare sentenza 193 del
2015), il sistema di combinazione delle soglie richiede una complessa
architettura per quel che riguarda l’equilibrio
tra beni costituzionali in gioco. La soglia è di per sé una compressione.
Se poi abbiamo soglie differenziate, la compressione viene enfatizzata e il
sistema dà un esplicito indirizzo alle forze politiche, in senso aggregativo.
Ma tutto questo deve trovare adeguate compensazioni in termini di
governabilità e rappresentatività. Ad esempio, a suo avviso, l’operazione è
riuscita in Toscana, dove si ha la combinazione di tre elementi fondamentali:
la rappresentatività, la governabilità e la valorizzazione delle leadership. In sintesi si ha un Listino regionale: è composto da tre
persone con l’alternanza Uomo- donna – uomo oppure donna – uomo– donna. Preferenze: si possono esprimere una
o due preferenze con l’alternanza di genere ma resta anche un listino
regionale facoltativo bloccato, che potrà avere un massimo di tre nomi scelti
dal partito. Ballottaggio: se
nessun candidato alla carica di presidente della Regione raggiunge il 40% più
un voto si va al ballottaggio. Premio di maggioranza: chi vince prende il 60%
dei seggi se raggiunge il 45% dei voti al primo turno, oppure prende il 57,7%
dei seggi se raggiunge il 40 o 45% dei voti validi nel primo turno di
votazione. Sbarramenti: 10% per le
coalizioni di partito, 5% per le
liste non coalizzate e 3% per
le liste all'interno di coalizioni. Nel caso di una
proiezione nazionale, la legge elettorale potrebbe prevedere un’adeguata
valorizzazione della leadership governativa, ovviamente non vincolante. |
Federico
Tedeschini, Associato di
istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma «La
Sapienza» |
La questione della
soglia di sbarramento è strettamente legato al problema della soglia del
premio (si veda questione n. 1). La soglia di sbarramento non dovrebbe superare il 3% dei voti
validi, al fine di consentire anche ai partiti minori di esprimere un proprio
gruppo in ciascun ramo del Parlamento. Lo sbarramento dovrebbe peraltro
essere identico sia per le elezioni della Camera dei Deputati, che del
Senato. |
Massimo
Villone,
Emerito di diritto costituzionale
presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II» |
Ritiene ragionevole una
soglia di sbarramento del 3% anche
al Senato allineata a quella prevista per la Camera. In ogni caso, va fatto
un ragionamento di sistema: In un sistema proporzionale la soglia di
sbarramento ha un senso, ma in un sistema maggioritario che assicuri la
governabilità la soglia di sbarramento non si giustifica. |
Lorenza
Violini, Ordinaria di
diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
Le soglie di
sbarramento possono essere differenziate se si sceglie di introdurre anche la
possibilità di una coalizione. Bisogna essere molto prudenti su questo, perché la soglia di sbarramento è un
fattore osservato con particolare attenzione dalla giurisprudenza
costituzionale, specialmente se in connessione con il premio di maggioranza. È abbastanza
ragionevole, quindi, che ci si orienti nell'ottica delle soglie di
sbarramento attualmente presenti; al più, se si vogliono favorire le
coalizioni alla Camera, si può abbassare leggermente la soglia di sbarramento
per le coalizioni, ovviamente tranne che per le minoranze linguistiche, che
godono di un regime speciale. |
Roberto
Zaccaria,
già Ordinario di istituzioni di diritto
pubblico presso l'Università degli Studi di Firenze |
Soglie ragionevoli sono
compatibili con un sistema proporzionale e possono essere differenziate per
le liste o per le coalizioni. Certo non ha senso che esistano soglie molto
diverse tra Camera e Senato, sempre in omaggio al principio
dell’armonizzazione. Si deve anche considerare il fatto che esistono soglie
di sbarramento implicite derivanti dalla dimensione dei collegi. Si tratta
comunque di un problema che il futuro legislatore elettorale dovrà porsi,
ponendo in “equilibrio” rappresentanza
politica e rappresentanza territoriale. |
Questione n. 8: Limiti
da rispettare nel caso di “candidature bloccate”
|
Felice Besostri, Esperto
della materia |
----- |
Giuseppe Calderisi, Esperto
della materia |
Sulla configurabilità
di candidature bloccate, la questione principale è la conoscibilità dei candidati. Pertanto è necessario che si tratti
di liste molto corte, ancor meglio se non riguardanti la totalità dei seggi. |
Beniamino Caravita, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
Per quanto concerne le
candidature bloccate, richiama la sentenza n. 35, che sul punto è
estremamente chiara. |
Stefano Ceccanti, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» |
Occorre la
riconoscibilità delle candidature: il riferimento naturale è dato dalle liste bloccate corte della legge
Mattarella per la Camera, ossia un massimo
di quattro nomi da stampare sulla scheda. |
Alessandro Chiaramonte, Ordinario di scienza politica presso l'Università degli
Studi di Firenze |
----- |
Salvatore Curreri, Associato
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Enna
«Kore» |
La Corte
costituzionale, già nella sentenza n. 1/2014 ed ora nella n. 35/2017, ha
definitivamente smentito quella retorica costituzionale che vorrebbe il voto
di preferenza essere l’unica modalità pienamente democratica di esercizio del
diritto di voto. I capilista bloccati, infatti, non sono incostituzionali di per sé – anche se fossero gli unici
della lista ad essere eletti – ma solo se – come nella L. 270/2005 – incluse
in liste lunghe, composte da un numero assai elevato di candidati nell’ambito
di circoscrizioni elettorali molto ampie, tali da non permettere l’effettiva
conoscibilità degli stessi. A quest’ultima esigenza pare adeguatamente
corrispondere la soluzione prevista dall’Italicum: liste con un numero
ridotto di candidati (da tre a nove), solo capolista bloccato con nominativo
riportato sulla scheda (come accadeva nei collegi uninominali del Mattarellum) e voto di preferenza per
gli altri candidati. In conclusione, quindi, la previsione dei capilista,
quindi, pone un problema solo di natura politica, non costituzionale. |
Maria Elisa D’Amico,
Ordinaria di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Milano |
È da sottolineare che
l'ipotesi di candidature bloccate in sé e di un eventuale sistema in cui ci
possano essere candidature bloccate, oltre a quella dei capilista, la Corte
la valorizza alla luce dell'articolo
49 della Costituzione. |
Carlo Deodato,
Consigliere di Stato, esperto della materia |
La Corte non ha
offerto, al riguardo, parametri univoci. Tuttavia, si può ritenere compatibile
un sistema che preveda candidature bloccate, purché riferite a circoscrizioni piccole e a liste corte,
nelle quali non tutti i candidati siano bloccati e che garantiscano la loro piena
conoscibilità da parte degli elettori. Devono, al contrario, considerarsi
incostituzionali sistemi che prevedano liste elettorali lunghe e interamente
bloccate. |
Luigi Di Gregorio, Ricercatore in scienza politica presso l'Università della
Tuscia di Viterbo |
La Consulta non ha
ritenuto incostituzionali le liste bloccate tout court ma solo quelle troppo lunghe, cioè quelle stilate per
circoscrizioni molto ampie in ragione dell’alto numero di seggi assegnati. L’incostituzionalità è
da rinvenirsi nell’impossibilità, per l’elettore, di conoscere tutti i
candidati in lista. Pertanto, la previsione di collegi plurinominali di
ampiezza ridotta (fino a 10-12 candidati) supera ogni dubbio di
incostituzionalità e garantisce la possibilità di optare per liste bloccate. |
Anna Falcone, Esperta della materia |
Le candidature bloccate
non sono probabilmente compatibili con l'art. 48 Cost., a meno che non siano
scelte attraverso elezioni primarie regolate
per legge. |
Giovanni Guzzetta, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso
l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» |
La Corte ha espresso il
principio che l'elettore deve
conoscere i candidati e formulare un voto consapevole su di essi. Da
questo poi discendono le tante soluzioni possibili. |
Enrico La Loggia, Esperto della materia |
Ritiene preferibile, in
luogo dei capilista bloccati, ritornare al criterio dei collegi, anche se magari con articolazioni diverse, con il
collegio circoscrizionale anziché quello territoriale o entrambi. |
Stefania Leone, Ricercatrice
in diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
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Vincenzo Lippolis, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
Le candidature bloccate
sono giustificate in liste molto corte,
in quanto la sentenza della Corte ha sottolineato l’esigenza la conoscibilità delle candidature da
parte dell'elettore. |
Massimo Luciani, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
La sentenza n. 1 del
2014 non ha dichiarato illegittime le candidature bloccate in astratto, ma
solo in concreto. Al par. 5.1, infatti, la Corte lascia implicitamente aperta
la soluzione di liste bloccate in circoscrizioni piccole, “nelle quali il
numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l’effettiva
conoscibilità degli stessi e con essa l’effettività della scelta e la libertà
del voto”. L’indirizzo, ora, è
confermato dalla sentenza n. 35 del 2017, a tenor della quale (par. 11.2)
“lede la libertà del voto” soltanto “un
sistema elettorale con liste bloccate e lunghe di candidati”, mentre la
determinazione di un sistema diverso è lasciata alla discrezionalità del legislatore. |
Stelio Mangiameli, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università
degli Studi di Teramo |
----- |
Francesco Saverio Marini, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università
degli Studi di Roma Tor Vergata |
Secondo la
giurisprudenza della Corte, le liste bloccate non sono in sé vietate,
divenendo costituzionalmente illegittime solo là dove precludano la libera e
consapevole espressione del voto: circostanza che si verifica quando la lista
venga presentata in circoscrizioni molto ampie e contenga un numero assai
elevato di candidati “bloccati”, rendendo così impossibile per l’elettore
conoscere i candidati che è chiamato a votare. Se, dunque, si esclude
questa ipotesi, resta nella disponibilità del legislatore optare per
l’adozione di un sistema integralmente basato sulle preferenze; di uno basato
su liste miste, con candidati bloccati e preferenze; o, infine, di un sistema
a liste bloccate, purché tali liste siano “brevi”, cioè contengano un numero
esiguo di candidati, e presentate in collegi ridotti, così da permettere agli
elettori di operare scelte elettorali consapevoli. Nel caso di lista
mista, come chiarito dalla Corte nella sentenza n. 35 del 2017, l’eventuale
circostanza che, in ragione del numero di eletti, le varie liste possano
presentare una differente proporzione di candidati nominati e candidati
scelti con le preferenze, rappresenta una evenienza di fatto giuridicamente
irrilevante. |
Agostino Meale, Ordinario
di diritto amministrativo presso l'Università degli Studi di Bari |
La Corte Costituzionale
ha già ritenuto illegittime le
candidature bloccate (punto 5.2 della sentenza n. 1/2014); dalla lettura
delle relative motivazioni emerge il disvalore avverso tale metodologia in
quanto, così facendo, il voto espresso dall’elettore non incide in alcun modo
sull’elezione dei propri rappresentanti. In base alle argomentazioni della
Corte, si potrebbe ritenere legittima una candidatura bloccata in piccole circoscrizioni e con liste con pochi candidati,
astrattamente conoscibili agli elettori. |
Luigi Melica, Ordinario di diritto
costituzionale comparato ed europeo Università del Salento |
----- |
Andrea Morrone, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi
di Bologna |
L’unico
limite costituzionale sicuro riguarda la disposizione contenuta nella legge
n. 270/2005 (liste bloccate al 100% dei candidati e lunghe): liste corte con un numero limitato di
candidati bloccati non inficia il dettato della Costituzione. |
Valerio
Onida, Presidente emerito della Corte
Costituzionale |
Un sistema di liste
bloccate in circoscrizioni piccole
può essere di per sé ammissibile: il voto dell’elettore in questo caso si
esprime a favore dell’insieme dei candidati della lista votata. Ma se si introduce
il voto di preferenza non si giustifica la differente posizione fatta ad
alcuni dei candidati (i capilista)
rispetto agli altri della stessa lista. |
Andrea Pertici, Ordinario di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Pisa |
La possibilità di
candidature bloccate va esaminata alla luce del sistema elettorale, secondo
quanto emerge dalla sentenza n. 1 del 2014. Secondo la Corte, in particolare
«simili condizioni di voto, che impongono al cittadino, scegliendo una lista,
di scegliere in blocco anche tutti i numerosi candidati in essa elencati, che
non ha avuto modo di conoscere e valutare e che sono automaticamente
destinati, in ragione della posizione in lista, a diventare deputati o
senatori, rendono la disciplina in esame non
comparabile né con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi, né con altri
caratterizzati da circoscrizioni
elettorali di dimensioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei candidati da eleggere sia
talmente esiguo da garantire l’effettiva conoscibilità degli stessi e con
essa l’effettività della scelta e la libertà del voto (al pari di quanto
accade nel caso dei collegi uninominali). |
Guido Raffaele Rodio,
Ordinario di diritto
costituzionale presso l'Università degli Studi di Bari |
----- |
Ciro Sbailò, Associato di diritto pubblico
comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
Pare pacifico che le
candidature bloccate possano essere legittimate in caso di liste corte (sentenze
1/2014 sia in 35/2017). Di fatto, da entrambe le decisioni della Corte
emerge, a suo avviso, un convinto via libera all’adozione del cosiddetto sistema “spagnolo”. Credo possa
considerarsi il sistema che dà maggiori
garanzie in merito alla suddetta “ragionevolezza” della distorsione
maggioritaria. Imprime una forte
distorsione maggioritaria ai risultati elettorali ma tale distorsione avviene
nel vivo delle dinamiche di voto, quale conseguenza della strutturazione
territoriale di queste. In altre parole, la distorsione maggioritaria non è
il frutto né di un “bonus” attribuito a urne chiuse, come avviene col sistema
del premio di maggioranza, né della forzata (e, ovviamente, negoziata)
convergenza dei soggetti politici minori su quelli maggiori, come avviene ad
esempio nel doppio turno, sia esso aperto o chiuso. Come è noto, i sistemi proporzionali sono particolarmente
adatti ai Paesi segnati da forti diversità interne di tipo territoriale,
ideologico, religioso o culturale, come la Russia, il Mali o Israele.
Viceversa, il sistema maggioritario
dà il meglio di sé nei Paesi dove dette divisioni sono state ampiamente
superate o razionalizzate, nel corso della storia, attraverso la costruzione
di un forte patto costituzionale, posto ben al di là sia del mero “testo”
costituzionale sia dei vari antagonismi di natura territoriale, politica o
culturale. Per molte ragioni, ritiene che l’Italia sia in una
posizione-limite: il nostro Paese, cioè, appartiene al secondo gruppo, ma in
una collocazione estrema, molto vicina al primo gruppo. E trova che il
sistema cosiddetto spagnolo sia in grado di garantire adeguata rappresentanza
alle varie anime politiche del Paese, ma al tempo stesso può favorire la
governabilità. Certo, esso non assicura necessariamente la governabilità, la
quale viene assicurata dalla combinazione tra la legge elettorale, da una
parte, e la condotta e l’organizzazione dei soggetti politici, dall’altra. Le
dinamiche politiche, con la nascita di nuovi movimenti a carattere popolare,
hanno reso inutile, ai fini della governabilità, la distorsione maggioritaria
impressa dal sistema delle liste bloccate corte. Altro dato interessante del
sistema spagnolo, che però potrebbe essere anche il suo tallone d’Achille, è
la tendenziale sovrarappresentanza dei piccoli centri e delle aree rurali, a
discapito delle aree metropolitane. Circa la metà delle circoscrizioni,
infatti, elegge da 2 a 5 deputati. Un terzo delle circoscrizioni ne elegge
tra 6 e 9 deputati. Appena sette province eleggono 10 o più deputati. Madrid
e Barcellona eleggono rispettivamente, 36 e 31 deputati. Nel caso si pensasse
a questo modello, nella legge delega per la determinazione delle
circoscrizioni si dovrebbe guardare ai coefficienti della ripartizione
spagnola, evitando la tentazione di dare a ciascuna provincia la sua
circoscrizione. |
Federico
Tedeschini, Associato di
istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma «La
Sapienza» |
----- |
Massimo
Villone,
Emerito di diritto costituzionale
presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II» |
E’ assolutamente contrario alle candidature bloccate dei
capilista. Un listino bloccato, sul
modello tedesco, come era il vecchio Mattarellum, definisce l'offerta
politica di un partito e questo è certamente un obiettivo costituzionalmente
apprezzabile, ex art. 49 Cost., il capolista bloccato, invece, esprime
esclusivamente il potere del segretario del partito. |
Lorenza
Violini, Ordinaria di
diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
La Corte rileva che vi
è un'intrinseca alterazione della volontà degli elettori quando si consente a
capolista bloccati di presentarsi in più collegi e poi di scegliere il
collegio in cui risultare eletti. Se il sistema dei partiti opterà per avere
dei capolista bloccati, non sarà
facile pensare a considerarlo un percorso costituzionalmente illegittimo, o
forse anche solo inopportuno. Tuttavia, tale scelta deve essere fatta in
limiti molto stretti, perché poi si innesta il problema di quale sia il
parametro che consente di fare delle scelte nel caso che alle candidature
bloccate segua anche la possibilità di presentarsi in più collegi. Potrebbe
essere opportuna l'abolizione delle candidature bloccate o quantomeno il
divieto delle pluricandidature. |
Roberto
Zaccaria,
già Ordinario di istituzioni di diritto
pubblico presso l'Università degli Studi di Firenze |
La Corte non ha
dichiarato illegittime di per sé le candidature bloccate, come aveva fatto
nella sentenza n.1 del 2014, in presenza di collegi molto ampi. Il problema
in qualche misura si interseca con le
pluricandidature. In ogni caso il tema rientra ampiamente nella discrezionalità del legislatore.
Forse tra le righe della motivazione può ricavarsi qualche perplessità sulla
formula “mista” adottata dalla legge n. 52 del 2015. |
Questione n. 9: Criteri alternativi a quello del
sorteggio per i candidati plurieletti
|
Felice Besostri, Esperto
della materia |
----- |
Giuseppe Calderisi, Esperto
della materia |
Il criterio più
opportuno per sostituire il sorteggio è prevedere la proclamazione, per
ciascun candidato capolista che risulti eletto in più di un collegio
plurinominale, nel collegio nel quale
il rapporto tra la cifra elettorale di collegio della relativa lista e il
numero totale di voti validi del collegio medesimo risulti minore.
Infatti, prevedere un criterio basato sui voti di preferenza (cioè che il
capolista candidato in più collegi sia proclamato nel collegio dove il
candidato della medesima lista - il quale subentrerebbe in luogo del
capolista - abbia riportato in percentuale meno voti di preferenza)
avvantaggerebbe, di fatto, i candidati dei collegi di quelle parti del
nazionale che hanno notoriamente una propensione al voto di preferenza
maggiore rispetto ad altre. D’altro canto, prevedere che il candidato
capolista debba essere proclamato eletto nel collegio dove la rispettiva
lista ha ottenuto, in percentuale, la maggiore cifra elettorale di collegio
costituirebbe paradossalmente un disincentivo a conseguire voti di preferenza
(che si traducono anche in voti per la lista) da parte dei candidati che
possono essere eletti solo attraverso la raccolta di tali voti. Infatti,
proprio il successo nel conseguimento dei voti preferenza da parte di un candidato
potrebbe determinare la proclamazione del capolista dello stesso collegio e
quindi la mancata elezione di quel candidato. |
Beniamino Caravita, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
Il sorteggio può anche
essere accettabile, ma il criterio naturalmente è la disponibilità del legislatore. |
Stefano Ceccanti, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» |
Il criterio più
ragionevole appare quello in base al quale il capolista ottenga il seggio
dove la lista abbia preso meno voti.
Infatti, posto che il risultato è dovuto sia al capolista sia agli altri
candidati, dato che il primo è un’invariante, il risultato minore della lista
è dovuto alla minore attrattività elettorale dei candidati votati con le
preferenze in quel collegio rispetto agli altri. |
Alessandro Chiaramonte, Ordinario di scienza politica presso l'Università degli
Studi di Firenze |
----- |
Salvatore Curreri, Associato
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Enna
«Kore» |
Riguardo
all’opzione del capolista pluricandidato, a seguito della sentenza n. 35 del
2017, poiché il sorteggio non è certo il criterio più oggettivo e rispondente
alla necessità di salvaguardare il rapporto tra elettore ed eletto, la Corte
ha rivolto un invito “alla responsabilità del legislatore” perché sostituisca
“tale criterio con altra più adeguata regola, rispettosa della volontà degli
elettori”. A
tal fine le soluzioni possibili oscillano
tra due estremi, a seconda che si consideri decisivo, ai fini del
risultato elettorale della lista, l’apporto del capolista o dei candidati con
voto di preferenza. Nel
primo caso, ovviamente, il capolista eletto in più collegi va proclamato
eletto in quello dove la lista ha ottenuto la migliore percentuale di voti. Nel
secondo caso, all’opposto, per far sì che sia proclamato eletto il candidato
che ha ottenuto in percentuale più preferenze, il capolista eletto in più
collegi va proclamato eletto in quello dove, al contrario, il candidato che
sarebbe eletto in luogo del capolista ha riportato la peggiore percentuale di
voti di preferenza (12.2 cons. dir.). Tra
le due soluzioni, pur considerando
l’effetto trascinamento che il capolista esercita sulla lista, in
considerazione anche della visibilità che gli deriva dall’essere solo il suo
nominativo stampato sulla scheda, occorre considerare che la ragione per cui
liste guidate dallo stesso nominativo ottengano risultati diversi pare potersi
ragionevolmente imputare al contributo fornito dai candidati con voto di
preferenza. Per
questo ritiene opportuno obbligare il capolista plurieletto ad optare per il
collegio in cui il candidato che
sarebbe al suo posto eletto ha ottenuto la peggior percentuale di voti,
così da consentire l’elezione del candidato più votato nel collegio in cui la
lista ha ottenuto la migliore percentuale di voti. |
Maria Elisa D’Amico,
Ordinaria di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Milano |
----- |
Carlo Deodato,
Consigliere di Stato, esperto della materia |
La Corte suggerisce due
diversi metodi: il capolista
candidato in più collegi viene proclamato eletto in quello dove la lista ha
ottenuto la maggior cifra elettorale o in quello in cui il candidato che
sarebbe proclamato eletto al suo posto ha ottenuto il minor numero di
preferenze rispetto a quelle ottenute dai candidati negli altri collegi con
lo stesso capolista. Si tratta di due criteri parimenti ragionevoli, nella
misura in cui valorizzano, seppur con criteri diversi, la volontà degli
elettori, e (entrambi) migliori del sorteggio, che non obbedisce ad alcun
criterio razionale. |
Luigi Di Gregorio, Ricercatore in scienza politica presso l'Università della
Tuscia di Viterbo |
Le pluricandidature
hanno un senso finché si ragiona su sistemi che prevedono la possibilità di
“slittamento” dei seggi. Per quanto poco gradite all’opinione pubblica e
apparentemente poco “corrette”, hanno un loro fondamento logico (o meglio
matematico). Le ipotesi per superare l’opzione del sorteggio possono essere tre: 1. Assegnare al
capolista plurieletto il seggio nel collegio in cui il secondo in lista
riporti meno voti di preferenza rispetto agli altri “secondi” candidati nei
collegi in cui è candidato lo stesso capolista; 2. Assegnare al
capolista il seggio nel collegio in cui la sua lista ha ottenuto il maggior
numero di voti (in %) rispetto agli altri collegi con lo stesso capolista; 3. Assegnare al
capolista il seggio nel collegio nel quale il rapporto tra la cifra
elettorale di collegio della relativa lista e il numero totale di voti validi
del collegio medesimo risulti minore. |
Anna Falcone, Esperta della materia |
In caso di pluricandidature
il seggio dovrebbe essere assegnato dove il candidato ha registrato maggiori consensi, sempre che il
candidato sia stato vincitore delle elezioni primarie in più collegi (vedi
anche risposta a quesito n. 8). |
Giovanni Guzzetta, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso
l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» |
Rimane molto margine
per la discrezionalità del legislatore. Non
è contrario al sorteggio in quanto la Corte ha affermato che il criterio
per l’assegnazione del seggio al plurieletto deve essere oggettivo e non
nella disponibilità del plurieletto. |
Enrico La Loggia, Esperto della materia |
----- |
Stefania Leone, Ricercatrice
in diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
Spera che il criterio
del sorteggio, a prescindere dalle considerazioni sul riequilibrio di genere
(v. risposta a questione n. 10), venga superato. È vero che la Corte
costituzionale è costretta a individuare quello come criterio residuale, perché è l'unico previsto nell'ordinamento,
ma è molto chiara e molto esplicita nell'affermare che, con la sua pronuncia,
restituisce alla responsabilità del Parlamento l'individuazione di un
criterio che essa stessa definisce più adeguato e conforme al diritto di voto. |
Vincenzo Lippolis, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
La soluzione più equa
sarebbe quella di proclamare automaticamente il capolista bloccato nel
collegio nel quale il rapporto tra la cifra
elettorale di collegio della lista e il numero totale dei voti validi del
collegio risulti minore. Tale assunto parte dal
presupposto che il risultato di lista è dato non solo dalla capacità di
ottenere voti della lista in sé e di chi ne è il principale esponente, ma
anche dalla capacità degli altri candidati di ottenere voti di preferenza. |
Massimo Luciani, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
La sentenza n. 35 del
2017 manifesta un chiaro disfavore
per le candidature plurime e
generalizza il metodo del sorteggio solo faute
de mieux, perché era l’unico modo per risolvere il problema manipolando
la legge vigente e non inventando una regola nuova. Escluso che il sorteggio
sia un buon sistema, la soluzione migliore sembra essere quella dell’assegnazione automatica del seggio
nella circoscrizione nella quale il candidato
“plurimo” ha ottenuto la più alta percentuale di voti validi sul totale. |
Stelio Mangiameli, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università
degli Studi di Teramo |
----- |
Francesco Saverio Marini, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università
degli Studi di Roma Tor Vergata |
La
Corte individua, esemplificativamente, alcuni criteri alternativi rispetto al
sorteggio, percorribili per l’individuazione del collegio. Per premiare il
voto di preferenza espresso dagli elettori, potrebbe stabilirsi, fra l'altro,
che il capolista candidato in più collegi debba esser proclamato eletto nel collegio in cui il candidato della
medesima lista abbia riportato, in percentuale, più voti di preferenza
rispetto a quelli ottenuti dai candidati in altri collegi con lo stesso
capolista. Questo criterio, avendo già ottenuto l’avallo preventivo della
Corte, dovrebbe essere tenuto in considerazione dal legislatore, anche perché
valorizza in misura considerevole le scelte, e dunque la
"decisività", dei cittadini elettori. Da non sottovalutare,
comunque, un passaggio della motivazione della sentenza in cui, nel replicare
ad un’eccezione dell’Avvocatura dello Stato legata al Mattarellum, la Corte
pare invece ritenere ragionevole l’attribuzione al pluricandidato della
scelta discrezionale del collegio in cui essere eletto, purché egli sia
eletto sulla base delle preferenze e non col voto bloccato. |
Agostino Meale, Ordinario
di diritto amministrativo presso l'Università degli Studi di Bari |
Premesso che il
sorteggio è stato individuato dalla Corte come un sistema di scelta
direttamente previsto dalla legge (e dunque l’unico immediatamente
applicabile in assenza di altre scelte discrezionali da parte del
legislatore, punto 12.2 della sentenza n. 35/2017), l’estrazione potrebbe
essere superata nell’ipotesi in cui la pluricandidatura
venga estesa a tutti i candidati della
lista e limitata nel numero dei collegi (ad esempio, max 3-4 collegi);
ovvero, vincolare la scelta verso il collegio
dove la lista di appartenenza ha ottenuto, in percentuale, la maggiore o
minore cifra elettorale. |
Luigi Melica, Ordinario di diritto
costituzionale comparato ed europeo Università del Salento |
----- |
Andrea Morrone, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi
di Bologna |
La Corte costituzionale
suggerisce l’esigenza di disporre di un “criterio oggettivo” che sostituisca
la libera scelta del plurieletto. Criteri alternativi a quello del sorteggio
possono essere 1) o il riferimento alla cifra
elettorale più elevata della lista cui appartiene il candidato
plurieletto; 2) o riferirsi al collegio del candidato con minore cifra elettorale tra quelli
più votati negli altri collegi dove risulta plurieletto il capolista bloccato
(ad es. Tizio risulta plurieletto in A1, B1, C1, dove, rispettivamente, Caio,
Sempronio e Mevio hanno ottenuto, col voto di preferenza, 10 voti, 8 voti, 3
voti: il collegio dove collocare il plurieletto è quello di Mevio che ha
riportato, tra i tre eletti, il minor numero di voti). |
Valerio
Onida, Presidente emerito della Corte
Costituzionale |
In linea di principio
non si dovrebbe ammettere la candidatura contemporanea in più circoscrizioni.
In ogni caso, dovrebbe adottarsi un criterio automatico, non attribuendo
all’eletto il potere di scegliere. Ad esempio, se si seguisse il sistema
delle liste bloccate, il candidato dovrebbe risultare eletto nella
circoscrizione in cui la sua lista abbia ottenuto il miglior risultato
percentuale; se si seguisse il sistema delle preferenze, dovrebbe risultare
eletto nella circoscrizione in cui abbia ottenuto il miglior risultato percentuale in termini di voti di preferenza. |
Andrea Pertici, Ordinario di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Pisa |
Le “pluricandidature”
non appaiono apprezzabili considerato che – come detto nella sentenza n. 1
del 2014 – contribuiscono a non
rendere chiaro al cittadino per
chi sta votando, visto che l’eletto potrebbe optare per un’altra
circoscrizione, anche in base a indicazioni di partito. La loro eventuale
presenza dovrebbe comunque essere limitata
(può essere ragionevole il limite delle tre
circoscrizioni previste fino al 2005) e prevedere meccanismi automatici di opzione per chi è eletto in più
circoscrizioni. Probabilmente a suo avviso sarebbe preferibile proclamare
l’elezione nella circoscrizione in cui il candidato che segue il plurieletto ha avuto il risultato peggiore
rispetto agli altri (o detto diversamente in cui maggiore è la distanza
tra il plurieletto e il candidato che immediatamente lo segue). |
Guido Raffaele Rodio,
Ordinario di diritto
costituzionale presso l'Università degli Studi di Bari |
----- |
Ciro Sbailò, Associato di diritto pubblico
comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
È chiaro che il
criterio, indicato dalla Corte, del “sorteggio” è di tipo residuale, come
previsto del resto nello stesso Italicum.
A prima vista sembrerebbe che la soluzione più ragionevole sia quella di
vincolare il capolista al collegio dove la lista ha preso il quoziente più alto. È in quella circoscrizione,
presumibilmente, che la sua presenza ha avuto l’impatto più significativo
sull’elettorato. Ma vale anche il contrario. Il capolista sceglie di essere
eletto dove la lista è andata peggio,
al fine di non penalizzare i dirigenti del partito che hanno conseguito i
migliori risultati elettorali. La Corte, infatti, prevede entrambe le
possibilità, anche se a mio avviso propende per la scelta a favore del
collegio più debole. |
Federico
Tedeschini, Associato di
istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma «La
Sapienza» |
La questione sollevata
dalla Corte impone al Parlamento di riconfigurare
i limiti del diritto di elettorato passivo, individuando un criterio meno
rozzo del sorteggio, quale - a mero titolo di esempio - potrebbe esser quello
di imporre preventivamente al candidato di indicare l'ordine di preferenza
che seguirebbe nella scelta di un seggio anziché di un altro, in caso di
contemporanea elezione ad entrambi. Questo sistema varrebbe sicuramente a
ridurre il fenomeno delle pluricandidature che però - la stessa Corte
Costituzionale lo riconosce - non può essere completamente avulso dal sistema
elettorale, a pena di vulnerare irreparabilmente il diritto del candidato ad
ampliare le proprie possibilità di essere effettivamente eletto. |
Massimo
Villone,
Emerito di diritto costituzionale
presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II» |
Sulle
pluricandidature ci sono diversi sistemi. Si dichiara favorevole all’elezione
nel collegio in cui si è avuta la più
alta votazione proporzionale. |
Lorenza
Violini, Ordinaria di
diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
----- |
Roberto
Zaccaria,
già Ordinario di istituzioni di diritto
pubblico presso l'Università degli Studi di Firenze |
Nella motivazione della
sentenza n. 52 del 2017 c’è un’esortazione molto nitida ad intervenire per
esercitare la scelta tra possibili opzioni che vengono anche segnalate. Il
legislatore può, nell’ambito della sua discrezionalità,
trovare una tra le possibili formule che ancori la scelta a parametri
obiettivi (esempio rapporto più alto tra i voti riportati e i votanti, o
altri) che riducano quasi a zero la discrezionalità del plurieletto. |
Questione n. 10: Forme e modalità per garantire la
rappresentanza di genere
|
Felice Besostri, Esperto
della materia |
----- |
Giuseppe Calderisi, Esperto
della materia |
Per quanto riguarda il
sistema della Camera, la previsione di due candidati supplenti per ciascun sesso potrebbe rivelarsi
insufficiente qualora, ad esempio, si verificasse - dopo la presentazione
delle liste - il ritiro di tre o più candidati dello stesso sesso (l’unico
rimedio sarebbe quello di far ritirare altri candidati del sesso sovra
rappresentato). Inoltre occorre considerare l’intreccio tra le diverse norme: quelle che stabiliscono che nel
complesso delle candidature circoscrizionali nessun sesso può essere
rappresentato in misura superiore al 50%, con arrotondamento all’unità
superiore; quelle che stabiliscono che nel numero complessivo dei candidati
capolista di ciascuna circoscrizione non può esservi più del 60% di candidati
dello stesso sesso, con arrotondamento all’unità prossima; e quelle che
stabiliscono che i candidati sono collocati in lista secondo un ordine
alternato di genere (requisito previsto in assenza delle preferenze, ma
rimasto anche dopo la loro introduzione). Questo intreccio di norme molto
rigide (e anche l’utilizzazione di termini diversi, nel primo caso
“candidature”, nel secondo “candidati”) potrebbe comportare problemi, anche interpretativi, di
non semplice soluzione nella composizione delle liste (anche perché vi sono
collegi plurinominali con numero dispari di candidati). Sarebbe opportuno
prevedere, quantomeno, che gli uffici
elettorali, d’intesa con i delegati di lista, abbiano un maggior margine di operatività nella
modifica della composizione delle liste al fine del rispetto dei requisiti di
genere, prima che essi debbano disporre l’esclusione di una lista dalla
competizione elettorale. |
Beniamino Caravita, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
Non ritiene che dalla
nuova versione dell'articolo 51 della Costituzione derivi un obbligo di normativa sulla parità di
genere. Ne deriva la legittimazione di normativa sulla parità di genere,
anche perché basta ricordarsi che il nuovo testo dell'articolo 51 nasce dopo
una dichiarazione di incostituzionalità della Corte costituzionale se non
sbaglio, in cui la Corte affermava che occorreva una norma forte per
ammettere normative per così dire «discriminatorie» nel rapporto fra sessi. |
Stefano Ceccanti, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» |
Al Senato, seguendo il
criterio di armonizzazione, il legislatore potrebbe introdurre soluzioni analoghe a quelle della
Camera (doppia preferenza meglio e in collegi più ridotti, con un numero di
eletti simile a quello della Camera, quote di capilista ove bloccati). |
Alessandro Chiaramonte, Ordinario di scienza politica presso l'Università degli
Studi di Firenze |
----- |
Salvatore Curreri, Associato
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Enna
«Kore» |
In
forza della portata immediatamente precettiva dell’art. 51 Cost.,
ritiene costituzionalmente obbligato,
pena una irragionevole diversità di trattamento, l’estensione al Senato delle disposizioni a tal fine previste
dalla legge elettorale della Camera, e cioè: liste di candidati in «ordine
alternato di genere»; non più del 50% dei candidati dello stesso sesso nel
complesso dei candidati di ogni lista nell’intera circoscrizione regionale; non
più del 60% di capolista (ove introdotti) dello stesso sesso nel complesso
dei collegi della circoscrizione; doppia preferenza di genere, pena
annullamento della seconda. |
Maria Elisa D’Amico,
Ordinaria di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Milano |
----- |
Carlo Deodato,
Consigliere di Stato, esperto della materia |
Perché sia rispettato
l’art. 51, Cost., è necessario che le garanzie di rappresentanza di genere
siano estese anche al Senato. Per una compiuta tutela della rappresentanza di
genere sarebbe, inoltre, opportuna l’introduzione della doppia preferenza di general anche al Senato. |
Luigi Di Gregorio, Ricercatore in scienza politica presso l'Università della
Tuscia di Viterbo |
La sostanziale parità
di genere nella legge 52/2015 è garantita, sia relativamente ai capolista,
sia nel complesso delle candidature, sia ancora nell’espressione del voto di
preferenza, con l’opzione della doppia preferenza di genere. Al Senato,
invece, attualmente abbiamo un voto di preferenza (a preferenza unica), privo
di disposizioni relative alla parità di genere. Sarebbe ovviamente possibile
e, in linea teorica, relativamente semplice inserire la doppia preferenza di genere anche al Senato. |
Anna Falcone, Esperta della materia |
Sarebbe opportuno estendere
al Senato le norme in tema di rappresentanza di genere previste per la
Camera. In caso di liste bloccate sarebbe necessario garantire non solo
l'alternanza uomo-donna nelle liste, ma anche l'alternanza tra i capolista
uomini e donne (non solo a livello nazionale, ma anche a livello regionale).
La stessa cosa varrebbe nel caso della previsione di collegi uninominali. |
Giovanni Guzzetta, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso
l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» |
----- |
Enrico La Loggia, Esperto della materia |
La legge 52/2015,
prevedendo che il 60% dei capilista possano essere dell'uno o dell'altro
genere, non garantisce la parità di genere. |
Stefania Leone, Ricercatrice
in diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
La legge che regola le
elezioni della Camera dei deputati
appronta un impianto di norme antidiscriminatorie che apprestano una tutela molto avanzata della parità di
genere. Dall'altra parte, invece, al Senato
abbiamo sostanzialmente l'assenza
di norme antidiscriminatorie. Si potrebbe provare a
immaginare che allo stato attuale alcuni che rinvii del Testo unico Senato a
norme del Testo unico Camera estendano l’efficacia di queste norme anche per
l'elezione del Senato, in particolare, le alcune norme antidiscriminatorie
previste per l'elezione della Camera (gli articoli 9 e 27 del Testo unico Senato).
L'uno rinvia alle norme che riguardano le modalità di composizione delle
liste, l'altro alle modalità di esercizio del diritto di voto. Non si può,
però, nascondere che si tratta di un percorso interpretativo piuttosto
audace. Quanto alla composizione delle liste, ci sono
senza dubbio alcuni problemi a trasportare alcune norme antidiscriminatorie
dalla Camera al Senato, innanzitutto quella che insiste sui capilista,
evidentemente, perché assenti al Senato. Aggiungo anche quella che prevede
l'alternanza di genere, perché il Testo unico della Camera parla
espressamente di collegi plurinominali, il che rende ciò impossibile. Forse
si potrebbe ipotizzare, invece, di recuperare la norma che richiede il 50-50
nel complesso delle candidature circoscrizionali. Ancora, l'articolo 27
rinvia, invece, alle modalità di
esercizio di voto. Ritenere questo lo strumento attraverso il quale
asserire già oggi operante anche per l'elezione del Senato il doppio voto di
preferenza è operazione interpretativa sicuramente difficoltosa. In questo
momento la scheda elettorale del Senato è impreparata a ospitare preferenze.
Su questo punto è preferibile che il Parlamento dia esplicita attuazione al principio di parità nell'ambito delle
Assemblee rappresentative anche al
Senato, perché in questo momento ci troviamo di fronte a un'asimmetrica
attuazione del principio costituzionale inaccettabile. Per quanto riguarda le
norme previste dall’Italicum, l'aspetto più interessante riguarda la norma
che impone il rispetto di una determinata proporzione di genere nel complesso delle candidature dei capolista
nell'ambito di ciascuna circoscrizione. In effetti, il combinarsi di questa
norma assieme a quella che consente le pluricandidature
potrebbe produrre un'elusione della norma. Se un partito candida o
pluricandida una donna in più collegi o all'interno della stessa
circoscrizione o in altre circoscrizioni, da un punto di vista formale la
norma antidiscriminatoria è rispettata, ma da un punto di vista sostanziale
il rischio di elusione è dietro
l'angolo. Nel momento in cui si determina il collegio di elezione, è evidente
che sia alto e forte il rischio che i candidati che potenzialmente possono
subentrare al seggio lasciato scoperto dal cambiato capolista siano uomini.
Probabilmente, per superare il problema occorrerebbe prevedere un
ripensamento o un ridimensionamento in sé dell'istituto della
pluricandidatura. |
Vincenzo Lippolis, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
Le
norme sulla rappresentanza di genere devono essere introdotte anche nella
legge elettorale del Senato, in
quanto assenti. Quanto a quelle contenute nella legge della Camera, appaiono troppo rigide e tali da poter creare problemi interpretativi
anche per la previsione di collegi plurinominali con numero dispari di
candidati. |
Massimo Luciani, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
La questione della
rappresentanza di genere non può essere elusa, perché altrimenti qualunque
sistema elettorale (ivi compreso quello attualmente vigente per il Senato) sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 51 Cost. Le possibili soluzioni,
però, dipendono dal tipo di sistema elettorale che il legislatore definisce (sarebbero
diversissime in sistemi proporzionali o maggioritari; con o senza premio,
etc.). A suo avviso è preferibile un meccanismo che agisca sulla disciplina delle candidature e non su
ipotetiche quote (la rappresentanza politica è universale e la quota mette in
discussione proprio la sua universalità). |
Stelio Mangiameli, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università
degli Studi di Teramo |
----- |
Francesco Saverio Marini, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università
degli Studi di Roma Tor Vergata |
La
legge attualmente in vigore contempla uno strumentario già di per sé
sufficiente, non richiedendo ulteriori sviluppi. Ad ogni modo, là dove
si intendesse procedere in una direzione diversa, occorre tener conto della
costante giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo cui non “possono
essere legittimamente introdotte nell’ordinamento misure che «non si
propongono di “rimuovere” gli ostacoli che impediscono alle donne di
raggiungere determinati risultati, bensì di attribuire loro direttamente quei
risultati medesimi»” (sentt. nn. 4 del 2010 e 422 del 1995). Le eventuali
prescrizioni introdotte dal legislatore non
possono comprimere o condizionare nel merito le scelte dell’elettore, ma
possono, al più, fissare criteri direttivi. |
Agostino Meale, Ordinario
di diritto amministrativo presso l'Università degli Studi di Bari |
La disciplina della
rappresentanza di genere, così come prevista dalla legge n. 52/2015 è
conforme alla giurisprudenza della Corte costituzionale intervenuta, in
materia, sulle leggi elettorali regionali. È invece necessario estendere tale tutela anche alla legge elettorale per il Senato. |
Luigi Melica, Ordinario di diritto
costituzionale comparato ed europeo Università del Salento |
----- |
Andrea Morrone, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi
di Bologna |
Nell’ambito
delle formule elettorali proporzionali la soluzione costituzionale più solida
è la doppia preferenza di genere.
Si potrebbe prevedere che i capilista
siano paritariamente uomini e donne. |
Valerio
Onida, Presidente emerito della Corte Costituzionale |
In base alla
giurisprudenza della Corte costituzionale è possibile imporre “quote” di
genere nelle liste che si
presentano o prevedere, nel caso di voti di preferenza, la doppia preferenza di genere. |
Andrea Pertici, Ordinario di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Pisa |
Deve considerarsi
anzitutto la necessità di rispettare l’art. 51 della Costituzione che – dopo
la revisione di cui alla legge costituzionale n. 1 del 2003 – prevede che la
Repubblica «promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne
e uomini». Si tratta di una norma che parte della dottrina ritiene prescrittiva, con il rischio
d’incostituzionalità di leggi che non contemplino meccanismi per promuovere
le pari opportunità, mentre altra parte della dottrina la ritiene meramente permissiva, anche in considerazione
del fatto che essa è stata introdotta al fine di superare la dichiarazione
d’incostituzionalità per violazione del principio di uguaglianza formale tra
i sessi pronunciata dalla Corte costituzionale con la (discutibile e
discussa) sentenza n. 422 del 1995. In ogni caso, diversi elementi dovrebbero
indurre a prevedere meccanismi per tutelare le pari opportunità.
Naturalmente, le concrete modalità
attraverso le quali questa promozione può avvenire dipendono dal sistema elettorale prescelto. |
Guido Raffaele Rodio,
Ordinario di diritto
costituzionale presso l'Università degli Studi di Bari |
----- |
Ciro Sbailò, Associato di diritto pubblico
comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
L’orientamento prevalso
a livello di legislazione elettorale è quello di prevedere che in una lista
nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in una proporzione superiore
ai due terzi. Sembra, a suo
avviso, un criterio ragionevole, anche se, in generale, condivide, sul punto,
la posizione espressa in più occasioni dall’on Emma Bonino, in merito
all’inutilità e anche a una certa offensività del sistema delle “quote”.
Sempre con riferimento alla posizione dell’on. Bonino, ritengo che potrebbe
essere utilmente esplorare la via dell’istituzione di una Autorità di garanzia, che vigili
sull’applicazione dei principi costituzionali di pari opportunità e di parità
tra i sessi. Attraverso di essa, vi si dispiegherebbe una effettiva positive
action (di cui al disposto del comma 1 secondo periodo dell’art. 51 Cost.),
per far sì che l’attività dei partiti politici, a ogni livello di governo, si
muova nel perimetro disegnato dalla Costituzione in materia di parità tra i
sessi (articoli 2, 3, 37, 48, 51, 117 comma 1). |
Federico
Tedeschini, Associato di
istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma «La
Sapienza» |
----- |
Massimo
Villone,
Emerito di diritto costituzionale
presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II» |
----- |
Lorenza
Violini, Ordinaria di
diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
La questione della
doppia preferenza di genere, per esempio nei comuni, non ha sempre dato buona
prova di sé. In alcuni casi, la preferenza femminile si insedia a fronte di
preferenze maschili plurime, riuscendo ad avere un vantaggio elettorale agli
occhi degli elettori non particolarmente corretto. Bisognerebbe evitare che,
se preferenza di genere dovrà
essere – sarà bene che sia così – si faccia in modo di non stravolgere, di
non usare al contrario quest'importante tipo di meccanismo, che pure è uno
dei più importanti valori costituzionali. |
Roberto
Zaccaria,
già Ordinario di istituzioni di diritto
pubblico presso l'Università degli Studi di Firenze |
I due sistemi di Camera
e Senato oggi risultano diversi. Indubbiamente il minimo che si possa fare è
quello di armonizzarli modificando il
sistema delle preferenze al Senato. Naturalmente il problema dovrebbe
essere rivisitato nel caso in cui la nuova legge elettorale dia vita a
collegi uninominali. In questo caso il problema dovrebbe essere affrontato “a
monte” con il sistema delle primarie o dei vincoli precisi a carico di coloro
che formano le liste, in attuazione dell’art. 51 Cost.. |
Questione n. 11: Configurabilità di un sistema
elettorale con collegi uninominali
|
Felice Besostri, Esperto
della materia |
----- |
Giuseppe Calderisi, Esperto
della materia |
La
Corte affronta la questione in modo esplicito esprimendosi per la compatibilità di un sistema basato su
collegi uninominali maggioritari con la propria giurisprudenza. Possono
essere diverse, ovviamene le valutazioni sul piano della opportunità politica. |
Beniamino Caravita, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
Il sistema Mattarellum sicuramente è compatibile con la sentenza
della Corte. Il problema è quello del rendimento del Mattarellum nell'attuale
sistema politico. |
Stefano Ceccanti, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» |
La sentenza n. 35
affronta in senso positivo la questione; tuttavia un sistema a collegi
uninominali può produrre un risultato efficace solo se nella maggior parte
dei collegi sono in testa i medesimi due partiti. Altrimenti occorre, come in
Francia, fare precedere l’elezione nazionale diretta del Presidente a quella
nei collegi: la prima elezione
struttura nazionalmente la successiva competizione nei collegi di modo che
l’elettore sceglie non solo il candidato ma anche se supportare il Presidente
con una maggioranza coerente in Assemblea. |
Alessandro Chiaramonte, Ordinario di scienza politica presso l'Università degli
Studi di Firenze |
----- |
Salvatore Curreri, Associato
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Enna
«Kore» |
Non
ritiene che la più volte evidenziata “esigenza costituzionale di non
comprimere eccessivamente il carattere rappresentativo dell’assemblea
elettiva e l’eguaglianza del voto”, giacché “in una forma di governo
parlamentare, ogni sistema elettorale, se pure deve favorire la formazione di
un governo stabile, non può che esser primariamente destinato ad assicurare
il valore costituzionale della rappresentatività” (9.2 cons. dir.) possa
giustificare la conclusione estrema per cui un sistema elettorale
maggioritario, plurality (come
adottato nella più antica democrazia parlamentare) o majority che sia, sollevi problemi d’incostituzionalità. Del resto, già nella sentenza n. 1/2014
la Corte aveva affermato che il sistema
proporzionale, seppur preferito dal costituente, non fosse l’unico
compatibile con la Costituzione, negando che l’eguaglianza del voto “in
partenza” si dovesse estendere “in uscita” al risultato elettorale (3.1 cons.
dir. e sentenze ivi richiamate). E del resto, nella sentenza n. 35/2017 la
Corte fa riferimento più volte ai collegi uninominali maggioritari, senza
censurarli. |
Maria Elisa D’Amico,
Ordinaria di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Milano |
Non sarebbe un problema
se il Parlamento scegliesse modelli
puri, ossia tornasse a un sistema maggioritario uninominale all'inglese,
a un maggioritario a doppio turno, a un proporzionale alla tedesca con una
clausola di sbarramento, o anche al Mattarellum, sistema ampiamente sdoganato
alla luce non solo della giurisprudenza costituzionale, ma anche della
prassi. |
Carlo Deodato,
Consigliere di Stato, esperto della materia |
Non è rintracciabile
nella giurisprudenza della Corte Costituzionale alcuna controindicazione. Nel
sistema per collegi uninominali, anzi, non si ravvisano le distorsioni
proprie dei premi di maggioranza e la Corte non ha mai affermato che la
Costituzione imponga formule
proporzionali. |
Luigi Di Gregorio, Ricercatore in scienza politica presso l'Università della
Tuscia di Viterbo |
Non ravvede alcun problema circa l’introduzione
di un sistema maggioritario con collegi uninominali. Né è ipotizzabile che la
Corte bocci in assoluto l’impiego di un sistema elettorale utilizzato da
secoli, in numerose democrazie consolidate. Come è noto, i sistemi
maggioritari implicano una sovrarappresentazione anche elevata delle liste
più forti, ma dato che la competizione avviene a livello di collegio e che il
seggio in palio nei singoli collegi è uno solo, non si pone il problema della
proporzionalità degli esiti su base nazionale. |
Anna Falcone, Esperta della materia |
I collegi uninominali
sono compatibili con la giurisprudenza della Corte costituzionale, anche se
“meno vicini” all'idea proporzionale del legislatore costituente. Non sarebbero compatibili qualora fosse
previsto contemporaneamente un premio di maggioranza, a causa
dell’effetto distorsivo risultante. |
Giovanni Guzzetta, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso
l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» |
Rinvia alla sentenza
della Corte (punto 10.1 e 9.1.). |
Enrico La Loggia, Esperto della materia |
È favorevole ad un sistema misto, 50% uninominale e 50%
proporzionale, su modello del sistema tedesco. Altrimenti, sistema dei
collegi. |
Stefania Leone, Ricercatrice
in diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
----- |
Vincenzo Lippolis, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
I
sistemi elettorali maggioritari sono ammissibili per la giurisprudenza
costituzionale. Si tratta di sistemi nei quali è insita una compressione della rappresentanza e
per i quali rimane aperto il discorso sulla loro idoneità a generare governabilità in una situazione di estrema
frammentazione partitica. |
Massimo Luciani, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
Non ravvisa alcun
problema di legittimità costituzionale sul punto. La Corte ha chiarito,
infatti, che le illegittimità che è andata via via ravvisando nella nostra
legislazione elettorale politica si legavano all’incoerenza fra la scelta di
fondo in favore di un sistema proporzionale e i suoi concreti svolgimenti
operativi. Un sistema maggioritario uninominale, di per sé, non sarebbe incostituzionale. |
Stelio Mangiameli, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università
degli Studi di Teramo |
----- |
Francesco Saverio Marini, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università
degli Studi di Roma Tor Vergata |
Sul punto, non dubita
circa la possibilità di adottare un sistema per collegi uninominali
maggioritari. La Corte, nella sentenza n. 1 del 2014, ha infatti affermato
che la Carta ha affidato al legislatore
ordinario la scelta della formula elettorale: in questo ambito, la
“determinazione delle formule e dei sistemi elettorali costituisce un ambito
nel quale si esprime con un massimo di evidenza la politicità della scelta
legislativa” (sentenze nn. 1 del 2014, 242 del 2012, 107 del 1996). |
Agostino Meale, Ordinario
di diritto amministrativo presso l'Università degli Studi di Bari |
Sebbene la Corte
Costituzionale evidenzi un indirizzo
più favorevole al sistema proporzionale, in quanto più rispettoso della
forma di governo parlamentare prevista dalla Costituzione vigente (si pensi
all’art. 72, co. 3), si ritiene compatibile con la giurisprudenza
costituzionale anche il sistema maggioritario articolato in collegi uninominali, purché di ridotte
dimensioni e che consentano all’eletto un’ampia rappresentatività (punto
9.2 della sentenza n. 35/2017). |
Luigi Melica, Ordinario di diritto
costituzionale comparato ed europeo Università del Salento |
----- |
Andrea Morrone, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi
di Bologna |
La
giurisprudenza costituzionale (sentenze. nn. 1/2014 e 35/2017) riguarda una
formula proporzionale (con premio di maggioranza). E’, quindi, perfettamente
compatibile con collegi uninominali a uno (come il cd. Mattarellum) o a due turni. |
Valerio
Onida, Presidente emerito della Corte
Costituzionale |
Il sistema dei collegi
uninominali – specie se si preveda l’elezione col 50% dei voti o con secondo
turno, meglio se “aperto” (alla francese) – appare compatibile con la Costituzione. Sarebbe opportuno tuttavia
prevedere, tenendo conto del nostro sistema politico, una quota di seggi
attribuita su base proporzionale per evitare che forze politiche di minoranza (anche consistente) in tutto il
paese possano risultare del tutto escluse dal Parlamento. |
Andrea Pertici, Ordinario di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Pisa |
Appare indubbia la compatibilità di collegi uninominali
con la giurisprudenza costituzionale. La Corte menziona i
collegi sia nella sentenza n. 1 del 2014, per specificare come il candidato
bloccato in questi previsto nulla abbia a che vedere con le lunghe liste di
candidati bloccati che determinano, anche da questo punto di lista
l’incostituzionalità della legge n. 270 del 2005, sia nella sentenza n. 35
del 2017, per differenziare il ballottaggio incostituzionale per un premio
unico nazionale attributivo di decine di seggi dal doppio turno di collegio
uninominale, con il quale si attribuisce, appunto, un solo seggio. |
Guido Raffaele Rodio,
Ordinario di diritto
costituzionale presso l'Università degli Studi di Bari |
----- |
Ciro Sbailò, Associato di diritto pubblico
comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
Dalla giurisprudenza
della Corte non si evincono elementi
contrari al collegio uninominali (a titolo puramente esemplificativo, le
ordinanze di ammissibilità sui referendum per l’abrogazione della quota
proporzionale del Mattarellum, proposti dai radicali e da Segni-Di Pietro tra
il 1999 e il 2000). In particolare, la
Corte ha di recente insistito su due principi, dalla cui combinazione risulta
la piena legittimità dei collegi uninominali: la discrezionalità del
Legislatore in materia elettorale; la legittimità di liste bloccate, purché
corte, in quanto il numero limitato delle candidature per ciascuna lista (a
maggior ragione se tale numero coincide con l’unità) è idoneo a garantire il
rapporto tra eletto ed elettore. |
Federico
Tedeschini, Associato di istituzioni
di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» |
----- |
Massimo
Villone,
Emerito di diritto costituzionale
presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II» |
Un sistema con proporzionale al 50 per cento,
abbastanza simile al sistema tedesco, sarebbe utile a radicare la politica e
a legittimarla e potrebbe essere anche uno strumento per il consolidamento di
soggetti politici su base nazionale. |
Lorenza
Violini, Ordinaria di
diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
Nella sentenza n. 35 si
nota un certo sfavore per un tentativo di incanalare troppo il sistema
partitico verso scelte predeterminate in forza dei premi di maggioranza. In
verità, un'analisi anche solo superficiale della sentenza non pare evidenziare elementi di
disfavore nei confronti del collegio uninominale maggioritario. Certo,
poi bisognerà molto ragionare sulla configurazione dei collegi uninominali,
che dovrebbero essere relativamente piccoli e disegnati da una commissione
imparziale. Evidentemente, il rischio di quello che gli americani chiamano gerrymandering è sempre dietro
l'angolo quando si disegnano i collegi. Dal punto di vista costituzionale è
anche percorribile anche il primo sistema maggioritario, entrato in vigore
dopo il referendum del 1992, il cosiddetto Mattarellum. |
Roberto
Zaccaria,
già Ordinario di istituzioni di diritto
pubblico presso l'Università degli Studi di Firenze |
È del tutto pacifico
che il legislatore possa introdurre, nella sua
discrezionalità, collegi uninominali, come già fatto in passato. Non
condivide la perplessità di chi si domanda se le leggi Mattarella oggi non
porrebbero qualche problema, alla luce del principio di rappresentatività
(prevedendo sistemi elettorali per ¾ maggioritari su collegi uninominali). |
Questione n. 12: Legittimità di
un sistema basato su collegi uninominali con premio di
maggioranza/governabilità
|
Felice Besostri, Esperto
della materia |
----- |
Giuseppe Calderisi, Esperto
della materia |
La questione non è affrontata dalla Corte
costituzionale. Anche se la Corte
considera l’uguaglianza del voto in uscita come parametro solo per sistemi
proporzionali, deve essere valutata con molta
cautela l’ipotesi di sovrapporre l’attribuzione di un premio di
maggioranza o governabilità ad un sistema già basato su collegi uninominali
maggioritari. |
Beniamino Caravita, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
Ritiene incoerente sommare collegi
maggioritari uninominali e premio di maggioranza, al di là degli esiti
estremamente difficili da comprendere. |
Stefano Ceccanti, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» |
L’eventuale innesto di
un premio come “clausola di salvaguardia maggioritaria” non sembra irragionevolmente lesivo dell’uguaglianza del voto. |
Alessandro Chiaramonte, Ordinario di scienza politica presso l'Università degli
Studi di Firenze |
------ |
Salvatore Curreri, Associato
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Enna
«Kore» |
Gli effetti
ipermaggioritari che potrebbero derivare dalla somma tra maggioritario a
turno unico e premio di maggioranza sarebbero tali da poter seriamente alterare l’esigenza di
rappresentatività, subordinandola a quella di governabilità. Gli effetti
ipermaggioritari, quindi, andrebbero contenuti nel senso che il premio di
maggioranza andrebbe attribuito solo ai fini del raggiungimento di una quota predeterminata di seggi, come
il 54%, qualora essa non fosse già ottenuta (ed eventualmente superata) in
sede di aggiudicazione dei collegi
uninominali. In tale prospettiva,
rileva come la soluzione più ragionevole appaia ancora quella prevista dalla
legge elettorale Mattarella del 1993. |
Maria Elisa D’Amico,
Ordinaria di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Milano |
------ |
Carlo Deodato,
Consigliere di Stato, esperto della materia |
Osserva che i premi, in
genere, sono coerenti con sistemi proporzionali, e non con formule
maggioritarie. Non sembra,
tuttavia, che la giurisprudenza della Corte precluda questa formula, purché i premi siano proporzionati e non
distorsivi, secondo i test di proporzionalità già applicati al c.d. Porcellum
e al c.d. Italicum. |
Luigi Di Gregorio, Ricercatore in scienza politica presso l'Università della
Tuscia di Viterbo |
È un’ipotesi più
“ardita” che potrebbe sollevare qualche dubbio di costituzionalità. Forse
un’ipotesi “poco rischiosa” potrebbe essere quella per cui si stabilisca un premio fisso e non particolarmente
ricco in termini di seggi aggiuntivi, ad esempio pari al massimo al 10% dei
seggi (62 seggi alla Camera e 31 al Senato). Oppure, in alternativa, optare
per un sistema misto – tipo Mattarellum o modello tedesco – che preveda premi
di governabilità nella quota proporzionale. |
Anna Falcone, Esperta della materia |
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Giovanni Guzzetta, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso
l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» |
Rileva un problema di ragionevolezza in quanto si tratta di
un premio sul premio, ossia di un
premio nazionale sull'effetto maggioritario del collegio uninominale. |
Enrico La Loggia, Esperto della materia |
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Stefania Leone, Ricercatrice
in diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
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Vincenzo Lippolis, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
Non risulta che dalla
giurisprudenza della Corte si possano trarre indicazioni precise sul punto.
Si deve tener conto che il sistema uninominale maggioritario determina di per
sé una sorta di "premio implicito" e che quindi prevedere un premio
aggiuntivo potrebbe essere ritenuto irragionevolmente
lesivo della rappresentatività delle assemblee e dell’uguaglianza del voto. |
Massimo Luciani, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
È dubbia la legittimità. I premi
elettorali, infatti, sono logicamente collegati ai sistemi a base proporzionale, perché quelli a base maggioritaria
hanno già nella propria struttura la tensione alla produzione di una
maggioranza. Innestare un premio
di maggioranza su un sistema maggioritario sembra contraddire la sua logica e
determinare un’eccessiva compressione della rappresentatività del Parlamento
(nella sentenza n. 35 del 2017, la Corte ha affermato che il sistema
elettorale è destinato, “primariamente”,
ad “assicurare il valore costituzionale della rappresentatività”). |
Stelio Mangiameli, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università
degli Studi di Teramo |
Il concetto di
rappresentanza su cui insiste la Corte costituzionale, soprattutto nella
sentenza n. 35 del 2017, va considerato a seconda del sistema che si adotta:
le considerazioni che fa la Corte sulla rappresentanza sono strettamente
connesse alla proporzionalità e alla disproporzionalità degli elementi maggioritari dell'oggetto
del giudizio, che era la legge n. 52 del 2015, ma il concetto di rappresentanza è profondamente
diverso se il sistema elettorale è maggioritario o se il sistema elettorale è
proporzionale o proporzionale corretto. Nel sistema proporzionale la
rappresentanza viene fatta a fette, sostanzialmente e va rapportata alle
singole quote di consenso che ogni lista ottiene. Si tende verso una
rappresentanza che è lo specchio della nazione. Nel sistema
maggioritario questo concetto salta completamente, perché il sistema maggioritario rappresenta
solo chi vince e chi vince governa. Quindi, si dice che rappresenta solo chi
governa, non chi fa opposizione e non chi perde le elezioni. Il concetto di
rappresentanza ha una piega completamente diversa |
Francesco Saverio Marini, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università
degli Studi di Roma Tor Vergata |
La scelta di combinare
un sistema per collegi uninominali maggioritari con il congegno del premio di
maggioranza o governabilità genererebbe probabilmente un esito incostituzionale.
Occorre infatti considerare che già l’uninominale, per sua natura, produce un
effetto distorsivo del voto popolare, in senso pro-maggioritario; se ad esso
si aggiungesse, poi, anche il premio di maggioranza, si avrebbe una valorizzazione eccessiva, e sbilanciata,
della governabilità a scapito della rappresentatività. |
Agostino Meale, Ordinario
di diritto amministrativo presso l'Università degli Studi di Bari |
Si ritiene maggiormente
compatibile la previsione di un premio
di governabilità (alla lista o coalizione che ottiene il 50% + 1 dei voti
validi); ciò in quanto tale sistema ha lo scopo di rafforzare una maggioranza
già esistente (e quindi conforme alla volontà popolare) e che avrebbe, così,
un debole impatto sul principio rappresentativo. Il premio di maggioranza,
tuttavia, sebbene legittimato dalla Corte (purché non sovradimensionato
rispetto alla volontà degli elettori) “costruisce” una maggioranza che non
c’è. Resta il problema
cruciale del computo del premio di maggioranza, che si articola
nell’alternativa tra la “traslazione” di seggi già assegnati alle minoranze
in sede di ripartizione e lo scorporo dal numero dei seggi da assegnare e la
successiva attribuzione della quota premiale alla lista più suffragata. |
Luigi Melica, Ordinario di diritto
costituzionale comparato ed europeo Università del Salento |
Un sistema elettorale
maggioritario non implicherebbe la necessità di introdurre meccanismi
premiali, i quali, anzi, sarebbero inattribuibili e permetterebbero di
ottenere, presumibilmente, maggioranze omogenee in quanto si dovrebbe
privilegiare una polarizzazione delle forze politiche per la selezione delle
candidature (soprattutto nel maggioritario puro), ma impedirebbe di
introdurre il meccanismo dei capilista bloccati. L’unico inconveniente è che
i partiti potrebbero dopo le elezioni, rompere il patto di governo e decidere
di non appoggiare più la maggioranza ritirando la propria delegazione anche
se eletta con il concorso degli altri partiti che avevano formato la
coalizione. Questo rischio non è evitabile da specifiche clausole che
rischierebbero di violare il divieto di mandato imperativo di cui all’art.67
della Cost. |
Andrea Morrone, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi
di Bologna |
Una soluzione
perfettamente compatibile con la giurisprudenza costituzionale potrebbe
essere quella diretta a recuperare una proposta del prof. Augusto Barbera che
suggeriva di modificare la distribuzione dei seggi previsti dalle “leggi
Mattarella” (75% collegi uninominali e 25% quota proporzionale) in questo
senso: 1) abolire lo scorporo e
impedire le liste civetta; 2) utilizzare il 25% dei seggi della quota
proporzionale come premio di maggioranza eventuale e variabile, attingendo da
quella quota un numero di seggi necessario per assicurare alla lista o alla
coalizione di liste più votata la maggioranza assoluta dei componenti nelle
due camere, e usando la (eventuale) quota residua per assicurare una sorta di
“diritto di tribuna” per i partiti più piccoli. Si potrebbe anche stabilire
il rapporto proporzionale tra premio di maggioranza e diritto di tribuna (15%
e 10% ad esempio). |
Valerio
Onida, Presidente emerito della Corte
Costituzionale |
Si
veda risposta alla questione precedente. |
Andrea Pertici, Ordinario di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Pisa |
Lo stesso riferimento
alla “correzione” di un sistema maggioritario suona bizzarro. Il sistema
maggioritario, infatti, è di per sé volto a perseguire quell’interesse della
stabilità di governo, al quale la Consulta riconosce rango costituzionale.
Questo avviene già a prezzo di una “sovra
rappresentazione” di alcune forze politiche rispetto ad altre che si
realizza, però, in modo coerente rispetto al sistema (in effetti la Corte
censurando rispetto al sistema proporzionale corretto in modo irragionevole
dal premio proprio un difetto di coerenza) e collegio per collegio.
L’aggiungere al maggioritario il premio di maggioranza rischierebbe
fortemente di risultare viziato per
irragionevolezza, considerato che la “correzione” sarebbe volta a
raggiungere un obiettivo che già il sistema di base mira a perseguire
(seppure collegio per collegio e non direttamente sul piano nazionale), sia
soprattutto per la sovrarappresentazione
che determinerebbe in capo alla forza politica già prevalente nel voto di
collegio. |
Guido Raffaele Rodio,
Ordinario di diritto
costituzionale presso l'Università degli Studi di Bari |
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Ciro Sbailò, Associato di diritto pubblico
comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
Se il riferimento è ad
un sistema ispirato a quello utilizzato in passato per le elezioni
provinciali non vede particolari problemi. Ritiene possa essere compatibile
con la giurisprudenza in materia. I principi in gioco paiono essere i
seguenti: a) possibilità per l’elettore di individuare/identificare il candidato;
b) bilanciamento tra rappresentatività e governabilità (quindi, distorsione
maggioritaria ragionevole). Ritiene
che un sistema di tal genere, peraltro già testato, sia pure a livello
provinciale, e con gli opportuni adeguamenti (soglie differenziate, premio),
non presenti problemi di legittimità costituzionale. Ci sarebbero, semmai, da
definire il premio di maggioranza, l’eventuale accesso al ballottaggio e le
soglie, in coerenza con i principi sopra richiamati. Analogamente, non vede
motivi di particolare criticità nella previsione di un sistema misto, con
collegi uninominali e voto di lista, che preveda anche un premio di
maggioranza o di governabilità. È
ovvio che in qualsiasi sistema che preveda un mix tra collegi uninominali e liste bloccate, al
vincitore del collegio va assicurata in ogni caso l’elezione, anche se
appartiene a un partito che non consegue alcuna significativa percentuale di
consensi a livello nazionale. Ragion per cui, l’eventuale attribuzione di un premio di maggioranza deve essere
disciplinata in modo tale da garantire in ogni caso l’elezione a chiunque sia
stato eletto in un singolo collegio, indipendentemente dal performance avuta dal suo partito di
appartenenza. Questa crede che sia una difficoltà di non poco conto. |
Federico
Tedeschini, Associato di
istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma «La
Sapienza» |
Ove il Parlamento
decidesse di non ripetere puramente e semplicemente lo schema elettorale
proporzionale in vigore prima del 1992, si potrebbe immaginare – in
alternativa ad un sistema di collegi uninominali maggioritari – quello che
preveda un premio di maggioranza da attribuire a coalizioni di partiti, a
condizione che raggiungano le
percentuali di voti già richiamate in precedenza. |
Massimo
Villone,
Emerito di diritto costituzionale
presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II» |
Ritiene che la
giurisprudenza costituzionale non consenta di correggere l’impianto maggioritario con un ulteriore strumento
maggioritario, per l’eccesso di distorsione che questo ovviamente
procurerebbe. |
Lorenza
Violini, Ordinaria di
diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
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Roberto
Zaccaria,
già Ordinario di istituzioni di diritto
pubblico presso l'Università degli Studi di Firenze |
La valutazione è più delicata in ordine alla compatibilità
tra collegi uninominali, che normalmente costituiscono gli elementi base per
l’adozione di sistemi maggioritari, e premio di maggioranza o governabilità.
I due sistemi sembrano oggettivamente incompatibili, dato che i collegi
uninominali già incidono sulla rappresentatività in virtù del sistema
prescelto. Quindi esprime una contrarietà nel caso di un sistema tipo
Mattarella o Francese. Il discorso si porrebbe ovviamente in termini diversi
se il sistema avesse un impianto proporzionale ed il collegio non premiasse
automaticamente il vincente ma costituisse solo un’alternativa alla scelta
del candidato. In questo secondo caso un piccolo premio di maggioranza o di
governabilità può essere ragionevole. |
Questione n. 13: Sistema per
l’elezione del TAA alla Camera (come definito dalla legge 52/2015)
|
Felice Besostri, Esperto
della materia |
----- |
Giuseppe Calderisi, Esperto
della materia |
In merito occorre
considerare che un sistema basato sui collegi
uninominali permane per l’elezione del Senato. Viene così a cadere la ragione (il superamento del
bicameralismo paritario) che aveva indotto il legislatore ad introdurre un
sistema basato sui collegi uninominali per la Camera, al fine del rispetto
della misura 111 del cosiddetto Pacchetto a favore delle popolazioni
altoatesine, concordato con l’Austria. Dato che i voti
espressi direttamente sui nomi dei candidati nei collegi uninominali, anziché
sul contrassegno di una delle liste collegate, non sono computati ai fini del
raggiungimento della soglia di sbarramento, oltre che della soglia del 40%
per l’attribuzione del premio, sarebbe opportuno un ripensamento di questa scelta per la Camera, prevedendo anche per
il TAA un sistema basato sui collegi
plurinominali (uno per ciascuna provincia o, al limite, anche uno solo) |
Beniamino Caravita, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
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Stefano Ceccanti, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» |
La sentenza non pone
problemi in questo senso. Caso mai si tratta solo di opportunità politica, dato che l’attuale sistema per la Camera
era stato pensato nell’ipotesi di una
sola Camera con rapporto fiduciario. |
Alessandro Chiaramonte, Ordinario di scienza politica presso l'Università degli
Studi di Firenze |
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Salvatore Curreri, Associato
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Enna
«Kore» |
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Maria Elisa D’Amico,
Ordinaria di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Milano |
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Carlo Deodato,
Consigliere di Stato, esperto della materia |
Si tratta di un sistema
elettorale disomogeneo rispetto a quello nazionale che produce effetti distorsivi della
rappresentatività, nella misura in cui finisce per premiare il partito di
maggioranza relativa, con l’assegnazione ad esso di tutti i seggi in palio.
Il profilo di conflitto con i principi della rappresentatività e
dell’uguaglianza del voto, enunciati dalla Consulta come parametri di
costituzionalità del sistema elettorale, è evidente. Appare inoltre
indispensabile introdurre dei correttivi. |
Luigi Di Gregorio, Ricercatore in scienza politica presso l'Università della
Tuscia di Viterbo |
I sistemi maggioritari
con collegi uninominali possono essere, in linea teorica, una buona tutela, nel senso che i
partiti politici maggiormente rappresentativi delle minoranze linguistiche
possono ottenere potenzialmente tutti i seggi in palio avendo la maggioranza
relativa in ogni collegio. È evidente che, qualora
i rapporti di forza tra i partiti dovesse veder prevalere altre liste, quella
rappresentanza verrebbe meno del tutto, data la caratteristica “winner takes all” dei sistemi
maggioritari. In quel caso, si potrebbe optare per un sistema proporzionale
con collegi plurinominali anche in TAA (non in Valle d’Aosta per ragioni
demografiche), per garantire almeno il “diritto di tribuna” alle liste
rappresentative delle minoranze linguistiche. In linea di massima,
tale tutela si può garantire anche con un sistema maggioritario, ad esempio
riservando ex lege a quelle liste almeno 1 seggio per collegio nei due
collegi plurinominali del Trentino Alto Adige. |
Anna Falcone, Esperta della materia |
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Giovanni Guzzetta, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso
l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» |
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Enrico La Loggia, Esperto della materia |
Lo status di specialità riservata al TAA, anche nel sistema
elettorale non è giustificata da
esigenze di tutela delle minoranze linguistiche attraverso l'esclusivo
mezzo dei collegi uninominali. |
Stefania Leone, Ricercatrice
in diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
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Vincenzo Lippolis, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
Il sistema previsto
dalla legge n.52 per la Camera era stato delineato nell’ipotesi di una sola
Camera con rapporto fiduciario. Appare quindi opportuno prevedere anche per
il Trentino-Alto Adige un sistema con
collegi plurinominali. |
Massimo Luciani, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
La disciplina
elettorale dell’assegnazione dei seggi nel TAA è stata sospettata, da una
delle ordinanze che hanno introdotto il giudizio definito dalla sent. Corte
Cost., n. 35 del 2017, essenzialmente perché condizionerebbe il risultato
elettorale nazionale delle singole liste al loro apparentamento a candidati
presentatisi nei collegi uninominali del TAA. La corte ha dichiarato la questione inammissibile, ma ha fatto
intendere che probabilmente l’avrebbe dichiarata infondata, se l’avesse
scrutinata nel merito, perché tutte le liste nazionali hanno “in linea teorica,
la possibilità di apparentarsi con i candidati nei collegi uninominali” del
TAA. |
Stelio Mangiameli, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università
degli Studi di Teramo |
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Francesco Saverio Marini, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università
degli Studi di Roma Tor Vergata |
Tali previsioni, con
riguardo alla Regione Trentino, non vanno in effetti esenti da dubbi di legittimità costituzionale. La criticità nasce
anzitutto dalla irragionevole disomogeneità del sistema elettorale
trentino rispetto a quello nazionale. La ratio di tutelare le minoranze
linguistiche o etniche, infatti, non implica, né impone la scelta di un
sistema tendenzialmente uninominale in Trentino, con un'esigua parte
proporzionale ripartita su base regionale. La scelta per l'uninominale,
peraltro, non è prospettata come necessaria neppure dagli esponenti delle
minoranze (in particolare, dall'SVP), che ad esso non alludono in alcun modo,
nella misura 111 del Pacchetto di leggi sull’Alto Adige. Oltreché
irragionevole, tale sistema non raggiunge neppure lo scopo per il quale è
congegnato. Un possibile rimedio
legislativo potrebbe scorgersi nell’omogeneizzazione
del sistema trentino rispetto al modello nazionale, limitandosi ad introdurre
qualche meccanismo di tutela, quale ad esempio la riserva di una
percentuale di seggi alle liste rappresentative di minoranze linguistiche
riconosciute. |
Agostino Meale, Ordinario
di diritto amministrativo presso l'Università degli Studi di Bari |
Il sistema elettorale
del Trentino Alto Adige, venuto meno il ballottaggio al secondo turno, non è
stato dichiarato incostituzionale dalla Corte, anche per la rilevata non
corretta prospettazione della questione di legittimità da parte del Giudice
remittente. Si potrebbe, comunque, estendere
anche alla circoscrizione in esame lo
stesso sistema elettorale vigente,
garantendo la doverosa tutela della minoranza di lingua tedesca con la
previsione della soglia del 20% prevista per le liste collegate
rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute. |
Luigi Melica, Ordinario di diritto
costituzionale comparato ed europeo Università del Salento |
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Andrea Morrone, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi
di Bologna |
Non ravvisa particolari problemi nella disciplina vigente. |
Valerio
Onida, Presidente emerito della Corte
Costituzionale |
Di per sé non è precluso che il sistema
elettorale per il Trentino-Alto Adige sia differenziato, al fine di
rispettare il principio di rappresentanza delle minoranze linguistiche. |
Andrea Pertici, Ordinario di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Pisa |
Pur a fronte della
necessaria tutela delle minoranze
linguistiche, quali minoranze permanenti, anche nella sede della massima
rappresentanza politica, il sistema deve discostarsi
il meno possibile rispetto a quanto previsto per l’elezione dei deputati
e dei senatori nelle altre circoscrizioni. |
Guido Raffaele Rodio,
Ordinario di diritto
costituzionale presso l'Università degli Studi di Bari |
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Ciro Sbailò, Associato di diritto pubblico
comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
La Corte Costituzionale
ha salvato la previsione degli
otto collegi uninominali – quattro per Alto Adige e quattro per il Trentino –
mentre il sistema proporzionale assicurerà l’elezione di altri tre deputati. |
Federico
Tedeschini, Associato di
istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma «La
Sapienza» |
La ratio di tutelare le minoranze linguistiche o etniche non
implica, né impone, la scelta di un sistema tendenzialmente uninominale in
Trentino, con un'esigua parte proporzionale ripartita su base regionale.
L'effetto di tale sistema comporta infatti che una larga fetta di elettori
finisca per non essere affatto rappresentata, in quanto non riesce ad
esprimere nessun parlamentare né nei collegi uninominali, né in quelli
proporzionali. Il numero esiguo di seggi attribuiti col metodo proporzionale
e senza nemmeno un meccanismo di recupero produce così l'effetto che il partito di maggioranza relativa nella
Regione riesca ad ottenere tutti i seggi assegnati, con un'eccessiva
alterazione della rappresentatività. I possibili rimedi
rispetto agli inevitabili dubbi di costituzionalità di un tale sistema sono
di triplice ordine: a) il rimedio legislativo; b) il rimedio dell'incidente
di costituzionalità (azione di accertamento); c) un eventuale ricorso alla
Corte di Strasburgo per violazione del principio di libere elezioni. Quanto
al rimedio legislativo si potrebbe omogeneizzare il sistema trentino rispetto
al modello nazionale, limitandosi ad introdurre qualche meccanismo di tutela
delle minoranze linguistiche. In altri termini i due principi - di tutela
delle minoranze linguistiche e di omogeneità intrinseca della legge
elettorale - dovrebbero essere bilanciati con l'introduzione di un idoneo
correttivo al fine di evitare un pronunciamento negativo del Giudice
sovranazionale. |
Massimo
Villone,
Emerito di diritto costituzionale
presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II» |
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Lorenza
Violini, Ordinaria di
diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
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Roberto
Zaccaria,
già Ordinario di istituzioni di diritto
pubblico presso l'Università degli Studi di Firenze |
La Corte ha dichiarato
inammissibile la questione perché formulata in termini “incomprensibili” ma
il sistema elettorale per il TAA presenta profili di possibile
incostituzionalità nella parte relativa alla ripartizione dei tre seggi con
metodo proporzionale perché la l. 52/2015 non tiene in alcun conto l’andamento del voto nella
circoscrizione. |
Questione n. 14: Possibili
modalità per migliorare i controlli sulla regolarità del voto
|
Felice Besostri, Esperto
della materia |
----- |
Giuseppe Calderisi, Esperto
della materia |
L’aspetto da
considerare è soprattutto quello dello spoglio
e della verbalizzazione che,
anziché essere effettuati scheda per scheda, vengono troppo spesso effettuati
con la procedura c.d. “per mucchietti”. Al riguardo occorre prevedere controlli e sanzioni più specifici e
adeguati (a maggior ragione in presenza del voto di preferenza). Per
questo e altri aspetti del procedimento è bene avvalersi della consulenza del servizio elettorale del
Ministero dell’Interno. |
Beniamino Caravita, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
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Stefano Ceccanti, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» |
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Alessandro Chiaramonte, Ordinario di scienza politica presso l'Università degli
Studi di Firenze |
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Salvatore Curreri, Associato
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Enna
«Kore» |
È sua radicata e
profonda convinzione che, perché il voto sia veramente “libero e segreto”,
così come richiede l’art. 48.2 Cost., sia assolutamente urgente introdurre
misure apparentemente marginali ma che, per chi ha esperienza diretta di ciò
che accade nei seggi elettorali, appaiono spesso a tal fine decisive, quali
ad esempio l’uso di urne elettorali
trasparenti e l’introduzione di cabine elettorali (anche senza tendina)
che permettano ai membri dei seggi di controllare
che l’elettore non faccia uso di dispositivi elettronici o, comunque, non
adotti comportamenti tali da lasciar dubitare che il voto sia espresso senza
costrizione alcuna. |
Maria Elisa D’Amico,
Ordinaria di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Milano |
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Carlo Deodato,
Consigliere di Stato, esperto della materia |
Rileva che si tratta di
una questione che attiene all’attuazione della legge elettorale, più che alla
legge stessa, e che resta rimessa alla competente Amministrazione dell’interno che dovrà indentificare gli
strumenti più idonei a garantire la correttezza del voto. Meriterebbe un
approfondimento tecnico l’introduzione del voto elettronico. |
Luigi Di Gregorio, Ricercatore in scienza politica presso l'Università della
Tuscia di Viterbo |
Condivide le soluzioni
indicate dalla proposta a firma Nesci. Ad esempio, quella degli scrutatori estratti a sorte è già
utilizzata, di sicuro, a Roma, dove addirittura sono sorteggiati all’interno
della medesima sezione elettorale per ridurre il rischio di un “doppio voto”.
Le urne trasparenti in plexiglass, inoltre, sono utilizzate in
numerose democrazie, stabili e di recente formazione, per garantire la
massima trasparenza sulle operazioni di scrutinio. Più controversa è la
soluzione proposta relativa alle cabine
elettorali chiuse su soli tre lati, con l'elettore che vota dando le
spalle al presidente di seggio. È un’ipotesi problematica in quanto, se per
un verso la cabina “chiusa” non garantisce che l’elettore possa esercitare un
voto libero e dunque lascia margini all’eterodirezione, dall’altro la cabina
“aperta” sul lato del tavolo di presidenza potrebbe ridurre, in astratto, la
segretezza del voto o quanto meno la sua percezione da parte dell’elettore.
Su questo punto sarebbe opportuno consultare funzionari delle prefetture e
degli uffici elettorali dei grandi Comuni per avere ulteriori informazioni
utili. |
Anna Falcone, Esperta della materia |
Il voto elettronico sarebbe uno strumento utile a migliorare la
velocità e la semplificazione delle operazioni e ad evitare il voto
clientelare e di scambio. |
Giovanni Guzzetta, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso
l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» |
È necessario mettere a
fuoco il meccanismo del voto degli
italiani all’estero. |
Enrico La Loggia, Esperto della materia |
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Stefania Leone, Ricercatrice
in diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
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Vincenzo Lippolis, Ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
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Massimo Luciani, Ordinario
di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma
«La Sapienza» |
La modifica essenziale
dovrebbe riguardare, a suo avviso, il
voto degli italiani all’estero. Fermi restando i dubbi sull’opportunità della l. cost. n. 1 del
2001, che l’introdusse, il voto all’estero manifestato per corrispondenza si presta agli abusi. È vero che è previsto anche da altri ordinamenti, ma non è
il caso di insistere sulla peculiarità dell’esperienza politica italiana,
nella quale i condizionamenti della libertà del voto si sono dimostrati, in
varie occasioni, possibili e - purtroppo - efficaci. |
Stelio Mangiameli, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università
degli Studi di Teramo |
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Francesco Saverio Marini, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università
degli Studi di Roma Tor Vergata |
Un terreno senza dubbio
problematico è quello del voto degli italiani all’estero. In dottrina, più
voci hanno autorevolmente argomentato la difficile
compatibilità, se non l'aperto contrasto fra il voto per corrispondenza e i canoni
di libertà, segretezza e personalità. Dovrebbero essere replicate
condizioni analoghe a quelle garantite dal seggio (sempre che non si voglia
imporlo tout court): uno spazio di tempo e luogo riservato per esprimere il
voto al di fuori di indebite pressioni, che dovrebbe essere il Consolato; la
contestuale e personale consegna (fisica o con opportune modalità telematiche
certificate) della scheda contenente il voto ad apposito organo dello Stato,
preposto a trasmettere — con ogni garanzia di segretezza e sicurezza — il
messaggio stesso alla sezione elettorale cui l'elettore corrispondente
risulta iscritto; la limitazione del voto per corrispondenza a ipotesi
eccezionali di documentata impossibilità di votare altrimenti. Le
insufficienze dell'attuale sistema del voto per corrispondenza non sono
neppure adeguatamente compensate da misure agevolative (ad esempio, idonei
sconti sui viaggi ecc..), tese a favorire e rendere effettiva l'alternativa,
accordata dalla legge n. 459 del 2001, del voto sul territorio italiano: è
infatti necessario ricordare che l'art. 20, comma 2, della legge in parola
accorda il diritto al rimborso del 75% del costo del viaggio solo ai
cittadini che si trovino negli Stati "con cui l'Italia non intrattiene relazioni
diplomatiche, nonché negli Stati nei
quali la situazione politica o sociale non garantisce neanche temporaneamente
che l'esercizio del voto per corrispondenza si svolga in condizioni di
eguaglianza, di libertà e di segretezza, ovvero che nessun pregiudizio possa
derivare per il posto di lavoro e per i diritti individuali degli elettori e
degli altri cittadini italiani". |
Agostino Meale, Ordinario
di diritto amministrativo presso l'Università degli Studi di Bari |
I controlli sulla
regolarità delle operazioni di voto e di scrutinio potrebbero essere
migliorati: con un controllo di tipo preventivo, garantito dalla presenza all’interno dei seggi di personale delle Forze di Polizia (peraltro già presenti
per la tutela dell’ordine pubblico all’esterno degli stessi); una più chiara indicazione delle modalità di
espressione del voto e delle cause di nullità dello stesso, anche
raccogliendo la giurisprudenza maturata nel tempo sul punto; e, da ultimo, in
linea con altre esperienze costituzionali, scorporare il controllo sulla regolarità delle elezioni da forme di autodichia
per affidarlo al controllo giurisdizionale (del Giudice amministrativo, in
primis, come avviene con ottimi strumenti e risultati per le elezioni
europee, regionali e locali, e del Giudice costituzionale). |
Luigi Melica, Ordinario di diritto
costituzionale comparato ed europeo Università del Salento |
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Andrea Morrone, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi
di Bologna |
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Valerio
Onida, Presidente emerito della Corte
Costituzionale |
Il
voto all’estero andrebbe regolato
in modo da assicurare la personalità e la segretezza del voto (no al voto per corrispondenza; sì al
voto presso i consolati). Sul piano costituzionale andrebbe ripensato il
sistema delle quote di rappresentanti eletti nella circoscrizione estero. |
Andrea Pertici, Ordinario di diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Pisa |
Il problema principale
riguarda probabilmente la legge per il voto
degli italiani residenti all’estero, considerato che il voto per
corrispondenza viola i caratteri di personalità e segretezza e quindi libertà
del voto sanciti dall’art. 48 della Costituzione. In tal senso, quindi
sarebbe opportuno un radicale ripensamento che consenta l’espressione del
voto in appositi seggi allestiti almeno nelle sedi diplomatiche e consolari. Per quanto riguarda il
voto in Italia, sarebbero, ad esempio, da introdurre controlli e sanzioni più severe rispetto alla possibilità di
introdurre nella cabina elettorale strumenti in grado di riprodurre
l’espressione del voto al fine di assicurarne una segretezza effettiva. |
Guido Raffaele Rodio,
Ordinario di diritto
costituzionale presso l'Università degli Studi di Bari |
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Ciro Sbailò, Associato di diritto pubblico
comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma |
Ritiene che vada
prestata una certa attenzione alla figura dello scrutatore. Un disegno di legge passato in prima lettura alla
Camera reintroduce il criterio della scelta per sorteggio. Non crede sia una
soluzione idonea di per sé. Capisce il fascino del sorteggio. Ma ritiene
molto di più alla presenza di scrutatori preparati, nominati sulla base di
determinati requisiti. Ovviamente, una
cosa non esclude l’altra. Particolare attenzione, poi, va presentata al voto all’estero, che è stato fonte di
diversi problemi e rilievi in passato. Andrebbe fatto uno sforzo tecnico e
finanziario per assicurare agli elettori italiani all’estero la possibilità
di votare in condizioni di riservatezza e sicurezza analoghe a quelle
applicate in Italia. In generale, la trasparenza e la sicurezza delle
procedure di voto è questione costituzionale rilevante, che spesso viene
trattata alla stregua di problema meramente tecnico. Nei Paesi arabi dove s’è
tentato, sia pur con scarsi e precari successi, di realizzare svolte
democratiche, le prime riforme, a volte anche con rilievo costituzionale,
hanno riguardato proprio il regolare svolgimento delle elezioni. Certo,
l’Italia è una grande democrazia. Ma anche nelle grandi democrazie ci possono
essere polemiche deleterie sulla regolarità delle operazioni di voto, come la
storia insegna |
Federico
Tedeschini, Associato di
istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma «La
Sapienza» |
La questione è stata
posta più volte all’attenzione del Parlamento, soprattutto con
riferimento alla raccolta di voti degli italiani all'estero. Non
v'è infatti dubbio che il sistema attualmente in vigore, correntemente
definito come "voto per corrispondenza" non offra le necessarie
garanzie in ordine alla sua effettiva attribuzione all’elettore che sembra
esprimerlo. Il cittadino comunque munito del diritto di elettorato attivo
dovrebbe recarsi presso il più vicino Consolato italiano. |
Massimo
Villone,
Emerito di diritto costituzionale
presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II» |
Il
voto degli italiani all’estero
andrebbe espresso di persona presso una sede ufficiale, quale il consolato o
l’ambasciata. |
Lorenza
Violini, Ordinaria di
diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano |
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Roberto
Zaccaria,
già Ordinario di istituzioni di diritto
pubblico presso l'Università degli Studi di Firenze |
Può essere
utile lavorare sul problema del voto degli italiani all’estero. |