Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Verso un codice di condotta per i parlamentari. Esperienze internazionali a confronto. Seminario parlamentare
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 175
Data: 04/06/2015
Descrittori:
DEONTOLOGIA PROFESSIONALE   ETICA
PARLAMENTARI     
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Seminario parlamentare

Verso un codice di condotta
per i parlamentari
Esperienze internazionali a confronto

Roma, Camera dei deputati
4 giugno 2015

 

 

 

 

 

 

 

n. 175

 

 

4 giugno 2015


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Istituzioni

( 066760-3855– * st_istituzioni@camera.it

 

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

 

Servizio Biblioteca – Osservatorio della legislazione straniera

( 066760-2278 – * bib_segreteria@camera.it

Servizio Rapporti internazionali

( 066760-3948 / 066760-9515 – * cdrin1i@camera.it

 

 

 

La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

File: ac0450.doc


INDICE

 

La situazione italiana  1

§  Le proposte di modifica del Regolamento della Camera dei deputati 3

§  Ineleggibilità  4

§  Limiti e pubblicità delle spese elettorali e controlli sui bilanci dei partiti 6

§  Incandidabilità  7

§  Incompatibilità  9

§  Anagrafe patrimoniale e trasparenza  11

Il Parlamento europeo  13

Esperienze in altri Paesi europei e negli U.S.A. (a cura del Servizio Biblioteca) 15

§  Francia  15

§  Germania  17

§  Regno Unito  20

§  Stati Uniti d’America  25

Attività del Consiglio d’Europa sulla lotta alla corruzione (a cura del Servizio Rapporti Internazionali) 28

§  Attività dell’Assemblea parlamentare  28

§  Testi di riferimento  29

§  Risultati dell’attuazione del programma di azione del CdE  30

§  Il Modello di Codice di condotta per i dipendenti pubblici 31

§  Il Gruppo di Stati contro la corruzione (GRECO) 32

§  Le procedure di valutazione svolte dal GRECO   32

§  Il ciclo di valutazione del GRECO per l’adozione di codici di condotta dei parlamentari 33

 

 

 


SIWEB

La situazione italiana

In Italia, come in altri Paesi, non esiste un codice di condotta per i parlamentari.

Una disposizione di principio di valenza generale è contenuta nell’articolo 54, secondo comma, della Costituzione: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”.

Un altro principio generale è recato dall’articolo 67 Cost.: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.

 

Nella legislatura in corso risultano presentate alla Camera dei deputati due proposte di modifica del regolamento finalizzate all’adozione di un codice etico dei parlamentari (doc. II, n. 2, Binetti; doc. II, n. 11, Nicoletti).

 

Da diversi anni la Commissione bicamerale di inchiesta antimafia promuove l’adozione di misure che impegnano i partiti a non candidare alle elezioni soggetti coinvolti in gravi reati. La legge che ha istituito la Commissione nella legislatura in corso, infatti, affida alla Commissione stessa il compito di «indagare sul rapporto tra mafia e politica, sia riguardo alla sua articolazione nel territorio e negli organi amministrativi, con particolare riferimento alla selezione dei gruppi dirigenti e delle candidature per le assemblee elettive, sia riguardo alle sue manifestazioni che, nei successivi momenti storici, hanno determinato delitti e stragi di carattere politico-mafioso» (articolo 1, comma 1, lettera f), legge 19 luglio 2013, n. 87).

Su questa base, con la relazione approvata il 23 settembre 2014, la Commissione ha adottato un Codice di autoregolamentazione che si applica alla formazione delle liste per le elezioni europee, politiche, regionali, comunali e circoscrizionali.

L’adesione al codice, puramente volontaria, comporta il divieto alla presentazione di candidati coinvolti in reati di criminalità organizzata, contro la pubblica amministrazione, di estorsione ed usura, di traffico di sostanze stupefacenti, di traffico illecito di rifiuti e altre gravi condotte.

Non sono previste sanzioni in caso di inosservanza, ma la Commissione può verificare la rispondenza della composizione delle liste elettorali alle prescrizioni del codice, nei confronti di chi vi aderisce, nell'ambito dei poteri ad essa conferiti.

Il codice si applica anche alle nomine di competenza dei presidenti delle regioni e delle province, nonché dei sindaci delle città metropolitane e dei comuni.

 

Anche se manca un codice deontologico dei membri delle Camere, si rinvengono nell’ordinamento diverse disposizioni in materia di status dei parlamentari e dei relativi obblighi contenute in alcune leggi.

 

Un primo gruppo di disposizioni è finalizzato a garantire l’accesso alle cariche elettive in condizioni di parità nel rispetto del principio sancito dall’art. 51 Cost. (“Tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza”). Si tratta di misure che potrebbero a prima vista non sembrare costituire elementi di un codice di condotta parlamentare, in quanto intervengono prima della elezione; pur tuttavia esse hanno la finalità di impedire la costituzione di situazioni distorsive che non potrebbero non riverberarsi anche dopo la proclamazione a parlamentare.

Rientrano in questo gruppo le cause di ineleggibilità di soggetti che in virtù della carica rivestita al momento della candidatura potrebbero non garantire una equa competizione elettorale.

La stessa finalità di assicurare lo svolgimento della campagna elettorale in modo paritario è presente nelle norme che fissano limiti alle spese elettorali dei candidati e dispongono obblighi di pubblicità delle stesse.

 

In secondo luogo, occorre ricordare l’introduzione recente di alcune cause di incandidabilità adottate in attuazione della normativa anticorruzione.

 

La normativa anticorruzione ha trovato una sistemazione organica con la legge 6 novembre 2012, n. 190, c.d. legge Severino, approvata nella XVI legislatura.

Per i contenuti e l’attuazione della legge si rinvia ai paragrafi successivi. In questa sede vengono anticipate le misure che più riguardano da vicino i parlamentari ossia:

-       l’incandidabilità;

-       l’incompatibilità;

-       la trasparenza.

 

Le cause di incandidabilità costituiscono una specie delle cause di ineleggibilità; tuttavia, a differenza di queste ultime, che possono generalmente essere rimosse entro un termine predefinito, le cause di incandidabilità precludono la possibilità di esercitare il diritto di elettorato passivo per il tempo previsto dalla relativa disciplina.

In questo caso la finalità è di individuare comportamenti penali (per esempio quelli relativi a reati associativi o a reati contro la pubblica amministrazione) che per la loro gravità o per la loro natura si pongono come incompatibili con l’esercizio della rappresentanza elettorale e che pertanto ne rendono necessario l’interdizione.

 

Un terzo gruppo è costituito dalle cause di incompatibilità la cui rimozione risponde ad un duplice ordine di necessità: in primo luogo essa è finalizzata a impedire il cumulo di cariche e di conseguenza la costituzione di posizioni di potere sproporzionati tra membri dello stesso organo politico, in secondo luogo è volta a prevenire l’insorgere di eventuali conflitti di interesse.

 

Un quarto gruppo di disposizioni, forse quello che più presenta elementi tipici del codice deontologico, pone precisi obblighi di trasparenza delle informazioni dei singoli Parlamentari e principalmente per quanto riguarda la situazione reddituale e patrimoniale di ciascuno di loro.

 

A livello locale si segnala la Carta di Avviso Pubblico recante un codice di condotta per gli amministratori locali. Il codice, promosso nel 2014 da parte della omonima associazione, ha sostituito la Carta di Pisa del 2012. Da allora diversi comuni e singoli amministratori hanno aderito volontariamente alla Carta.

 

Anche da parte di alcuni consigli regionali sono stati adottati (o sono in corso di elaborazione) provvedimenti recanti misure di autoregolamentazione dei propri membri: si ricorda a titolo esemplificativo il Regolamento per il codice di autoregolamentazione dei consiglieri regionali in materia di legalità e trasparenza del Consiglio regionale del Veneto.

Le proposte di modifica del Regolamento della Camera dei deputati

Attualmente risultano depositate alla Camera due proposte di modifica del Regolamento finalizzate all’adozione di un codice etico dei parlamentari: doc. II, n. 2, Binetti ed altri e doc. II, n. 11, Nicoletti ed altri.

Entrambe le proposte, modificando l’articolo 12 del Regolamento della Camera, affidano all’Ufficio di Presidenza il compito di elaborare un codice deontologico dei deputati sulla base di alcuni criteri direttivi espressamente indicati.

La sola proposta Nicoletti indica anche alcuni principi generali attraverso una integrazione dell’articolo 1 del Regolamento, affermando che l’esercizio delle funzioni dei deputati deve essere svolto con disciplina ed onore e in rappresentanza della Nazione. Inoltre, la nuova disposizione impegna la Camera a garantire la trasparenza e la pubblicità delle attività dei deputati, senza che questo porti pregiudizio all’esercizio autonomo del mandato parlamentare e alla libertà di espressione di ciascun deputato.

Le due proposte introducono alcuni criteri direttivi che prevedono, pur con differenti formulazioni, che il codice debba indicare le norme di comportamento dei deputati, informate ai valori di correttezza e imparzialità e le procedure per garantire il rispetto di tali norme.

La proposta Nicoletti prevede espressamente norme finalizzate ad assicurare trasparenza e pubblicità alle attività finanziarie dei deputati ed a prevenire e rimuovere situazioni di conflitto di interessi, oltre a procedure di accertamento delle infrazioni e di applicazione delle conseguenti sanzioni.

Infine, entrambe la proposte istituiscono un Comitato per l'attuazione del codice di condotta con compiti consultivi.

Ineleggibilità

Le cause di ineleggibilità a deputato e senatore sono disciplinate dal D.P.R. 361/1957, recante il Testo unico delle leggi per la elezione della Camera.

Sono ineleggibili alla carica di deputato e senatore: i presidenti delle giunte provinciali, i sindaci dei comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti, il capo, il vice capo della polizia e gli ispettori generali di pubblica sicurezza, i capi di gabinetto dei ministri, i Commissari del Governo presso le regioni[1], i prefetti, i viceprefetti ed i funzionari di pubblica sicurezza e gli ufficiali generali, gli ammiragli. Non sono eleggibili anche gli ufficiali superiori delle Forze Armate dello Stato nelle circoscrizioni del loro comando territoriale (D.Lgs. 66/2010, art. 1485).

Queste cause di ineleggibilità non hanno effetto qualora l'esercizio delle relative funzioni sia cessato almeno 180 giorni prima della data di scadenza della legislatura. In caso di scioglimento delle Camere che ne anticipi la scadenza di oltre 120 giorni, le ineleggibilità non hanno effetto se le funzioni siano cessate entro i 7 giorni successivi alla data di pubblicazione del decreto di scioglimento nella Gazzetta Ufficiale.

L'accettazione della candidatura a deputato o senatore comporta, in ogni caso, per i presidenti delle province e per i sindaci dei comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti, la decadenza dalle cariche elettive ricoperte (D.P.R. 361/1957, art. 7, quinto comma; D.Lgs. 267/2000, art. 62).

Un'ipotesi specifica di ineleggibilità è quella a carico dei magistrati nelle circoscrizioni elettorali sottoposte, in tutto o in parte, alla giurisdizione degli uffici ai quali sono stati assegnati nei sei mesi antecedenti la data di accettazione della candidatura. L’ineleggibilità è prevista anche in caso di scioglimento anticipato delle Camere e di elezioni suppletive. In ogni caso i magistrati per essere eleggibili devono trovarsi in aspettativa all'atto dell'accettazione della candidatura[2].

Un secondo gruppo di cause di ineleggibilità riguarda coloro che abbiano rapporti con Governi stranieri: diplomatici, consoli, vice-consoli, ufficiali addetti alle ambasciate, legazioni e consolati esteri, tanto residenti in Italia quanto all'estero, nonché in generale tutti coloro che, pur conservando la cittadinanza italiana, abbiano un impiego da Governi stranieri.

Un terzo gruppo di cause di ineleggibilità concerne coloro che siano titolari di particolari rapporti economici o di affari con lo Stato: i soggetti titolari o legali rappresentanti di società o di imprese private titolari di contratti di opere o di somministrazioni, di concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica; i rappresentanti, amministratori e dirigenti di società e imprese private sussidiate dallo Stato in modo continuativo; i relativi consulenti legali e amministrativi.

Non sono, inoltre, eleggibili il direttore generale, il direttore amministrativo e il direttore sanitario di un’azienda sanitaria locale, salvo che le funzioni esercitate non siano cessate almeno 180 giorni prima della data di scadenza della legislatura. In caso di scioglimento anticipato delle Camere, le cause di ineleggibilità non hanno effetto se le funzioni esercitate siano cessate entro i sette giorni successivi alla data del provvedimento di scioglimento. In ogni caso gli stessi soggetti non sono eleggibili nei collegi elettorali nei quali sia ricompreso, in tutto o in parte, il territorio dell'azienda sanitaria locale presso la quale abbiano esercitato le loro funzioni in un periodo compreso nei sei mesi antecedenti la data di accettazione della candidatura.

Non sono, infine, eleggibili i giudici costituzionali (L. 87/1953, art. 7, quinto comma).

La legge 175/2010 ha introdotto una nuova fattispecie di ineleggibilità connessa alla violazione del divieto di svolgimento di attività di propaganda elettorale per le persone sottoposte a misure di prevenzione.

In primo luogo, questa legge interviene sulla disciplina delle misure di prevenzione, introducendo il delitto di violazione del divieto di svolgimento di attività di propaganda elettorale, nelle forme previste dalla legge 212/1956 (affissione di stampati, giornali murali o manifesti di propaganda, propaganda elettorale luminosa o figurativa, lancio di volantini) per le persone sottoposte a tali misure. Il delitto è punito con la reclusione da 1 a 5 anni e la pena si applica anche al candidato che, conoscendo la condizione di persona sottoposta in via definitiva alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, richiede alla medesima di svolgere attività di propaganda elettorale e se ne avvale concretamente (L. 575/1965, art. 10, commi 5-bis 1 e 5-bis 2, introdotti dalla L. 175/2010, art. 1, poi confluiti nel D.Lgs. 159/2011, Codice antimafia, artt. 67, comma 7 e 76, comma 8).

La condanna comporta, inoltre, l’interdizione dai pubblici uffici dalla quale consegue l'ineleggibilità del condannato per la stessa durata della pena detentiva. La sospensione condizionale della pena non ha effetto ai fini dell'interdizione dai pubblici uffici (L. 175/2010, art. 2).

Limiti e pubblicità delle spese elettorali e controlli sui bilanci dei partiti

La legge fissa un limite alle spese sostenibili sia dai singoli candidati, sia dai partiti e formazioni politiche che partecipano alle competizioni elettorali.

 

Per quanto riguarda le spese dei singoli candidati alle elezioni politiche ed europee la legge 515/1993 prevede che esse non possono superare l'importo massimo derivante dalla somma della cifra fissa di euro 52.000 per ogni circoscrizione (o collegio) elettorale e della cifra ulteriore pari al prodotto di euro 0,01 per ogni cittadino residente nelle circoscrizioni (o collegi) elettorali nei quali il candidato si presenta (limiti diversi sono previsti per i candidati alle elezioni amministrative).

Dal giorno successivo all'indizione delle elezioni coloro che intendono candidarsi possono raccogliere fondi per il finanziamento della propria campagna elettorale esclusivamente per il tramite di un mandatario elettorale, il cui nome deve essere comunicato al competente Collegio regionale di garanzia elettorale.

Il mandatario è tenuto a registrare tutte le operazioni di raccolta di fondi in un unico conto corrente bancario o postale, nell'intestazione del quale è specificato che il titolare agisce in veste di mandatario elettorale di un candidato nominativamente indicato.

Possono versare contributi ai candidati le persone fisiche, enti ed associazioni, le società. I finanziamenti da parte di società sono ammessi solo se deliberati dall’organo sociale competente e regolarmente iscritti in bilancio. Sono vietati i finanziamenti da parte di organi della pubblica amministrazione, di enti pubblici, di società con partecipazione di capitale pubblico superiore al 20 per cento o di società controllate da queste ultime. Il divieto si applica anche alle società con partecipazione di capitale pubblico pari o inferiore al 20 per cento, nonché alle società controllate da queste ultime, ove tale partecipazione assicuri comunque al soggetto pubblico il controllo della società (L. 195/1974, art. 7).

I contributi ricevuti e le spese sostenute per la campagna elettorale devono essere dichiarati al Collegio regionale di garanzia elettorale (organismo composto da magistrati istituito presso la corte di appello o, in mancanza, presso il tribunale del capoluogo di ciascuna regione) e all’Ufficio di presidenza della Camera di appartenenza. Devono essere allegate inoltre le dichiarazioni previste dalla legge n. 659 del 1981, ossia quelle relative ai contributi privati ricevuti, anche al di fuori della campagna elettorale, qualora superino, da parte di una singola fonte, la somma di 5 mila euro. Il soggetto che eroga tali contributi e quello che li riceve effettuano una dichiarazione congiunta, sottoscrivendo un unico documento. Soltanto per i contributi erogati per la campagna elettorale, la dichiarazione può essere resa anche tramite autocertificazione. Per la determinazione dell’ammontare del contributo che fa sorgere l’obbligo alla comunicazione si tiene conto anche dei servizi messi a disposizione. La dichiarazione deve essere resa entro tre mesi dalla percezione del contributo o finanziamento, mentre nel caso di più contributi erogati dallo stesso soggetto che nella somma annuale superano i 5.000 euro, la dichiarazione deve essere presentata entro il 31 marzo dell’anno successivo.

Da ricordare, inoltre, la legge n. 96 del 2012, approvata nella scorsa legislatura che, oltre a ridurre i rimborsi per le spese elettorali dei partiti (poi abrogati del tutto dal decreto-legge 149/2013), ha rafforzato il sistema dei controlli e della trasparenza dei bilanci dei partiti.

Per quanto riguarda i controlli si prevede l’obbligo di sottoporre i bilanci dei partiti al giudizio di società di revisione iscritte nell'albo della CONSOB. Il controllo dei bilanci revisionati è affidato ad una Commissione di nuova istituzione composta da 5 magistrati designati dai vertici delle massime magistrature (Cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei conti). E' previsto un articolato sistema di sanzioni che possono arrivare anche alla decurtazione dell'intero importo dei contributi nel caso di mancata presentazione del bilancio.

I documenti di bilancio sono pubblicati (anche in formato open data) sul sito internet del partito o del movimento e in apposita sezione del sito della Camera. Viene ridotto l’importo (da 50 mila a 5 mila euro) al di sopra del quale è necessario dichiarare pubblicamente i contributi dei privati ai partiti.

Incandidabilità

L’ordinamento prevede alcune cause di incandidabilità alla carica di parlamentare.

Il decreto legislativo 235/2012 reca il testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto a ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi. Tale provvedimento è stato adottato dal Governo in base alla delega disposta dall’art. 1 della L. 190/2012 che, tra i principi e i criteri direttivi, prevede la temporanea incandidabilità a parlamentare di chi abbia riportato condanne definitive per alcuni delitti, ferme restando le disposizioni del codice penale in materia di interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Il testo prevede che non possa candidarsi alla Camera, al Senato e al Parlamento europeo e che, comunque, non possa ricoprire la carica di deputato, di senatore e di parlamentare europeo, chi è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, anche in caso di patteggiamento (ai sensi degli articoli 444 e seguenti del codice di procedura penale), per tre categorie di fattispecie di condanne definitive riferite a delitti, non colposi, consumati o tentati (D.Lgs. 235/2012, artt. 1 e 4).

 

La prima categoria riguarda le fattispecie di condanna a pena detentiva superiore a 2 anni di reclusione per i delitti previsti dall’art. 51, commi 3-bis e 3-quater del codice di procedura penale (delitti a carattere associativo e di terrorismo).

La seconda categoria è costituita dalle fattispecie di condanna a pena detentiva superiore a 2 anni di reclusione per i delitti contro la p.a. previsti nel Libro II, Titolo II (delitti contro la pubblica amministrazione), Capo I (delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione) del codice penale, composto dagli articoli da 314 a 335-bis.

La terza categoria riguarda i casi di condanna a pena detentiva superiore a 2 anni di reclusione per i delitti per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni stabilita in base all’art. 278 c.p.p. (tale articolo disciplina la determinazione della pena ai fini dell’applicazione delle misure cautelari).

L’incandidabilità decorre dalla data di passaggio in giudicato della sentenza e ha una durata pari al doppio della durata della pena accessoria dell’interdizione dei pubblici uffici e, in ogni caso, mai meno di 6 anni.

L'accertamento dell'incandidabilità al Parlamento è svolto, in occasione della presentazione delle liste dei candidati ed entro il termine per la loro ammissione, dall’ufficio elettorale competente, sulla base delle dichiarazioni sostitutive attestanti l'insussistenza della condizione di incandidabilità, rese da ciascun candidato. Lo stesso ufficio accerta la condizione di incandidabilità anche sulla base di atti o documenti di cui vengano comunque in possesso comprovanti la condizione di limitazione del diritto di elettorato passivo.

Contro le decisioni relative all’accertamento dell’incandidabilità, è possibile il ricorso innanzi all’ufficio elettorale centrale. In caso di incandidabilità sopravvenuta o accertata successivamente alla fase di controllo sulla presentazione delle liste, l’ufficio elettorale procede alla dichiarazione di mancata proclamazione nei confronti del soggetto incandidabile.

Qualora una causa di incandidabilità sopravvenga o sia comunque accertata nel corso del mandato, la Camera di appartenenza è competente a verificare la sussistenza dell’incandidabilità

La sentenza di riabilitazione del condannato costituisce causa di estinzione anticipata dell’incandidabilità mentre l’eventuale revoca della sentenza di riabilitazione comporta il ripristino dell’incandidabilità per il periodo di tempo residuo. L’incandidabilità si estingue, inoltre, nel caso della riabilitazione “antimafia” di cui all’art. 70 del D.Lgs. 159/2011, cd. Codice antimafia.

 

Si ricorda inoltre, che i sindaci e i presidenti di provincia ritenuti responsabili del dissesto finanziario dell’ente locale (anche con sentenza di primo grado) non sono candidabili, per un periodo di dieci anni, al Parlamento nazionale, oltreché alle cariche elettive di parlamentare europeo, di sindaco, di presidente di provincia, di presidente di giunta regionale, nonché di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali (D.Lgs. 267/2000, art. 248, comma 5, come modificato dal D.Lgs. 149/2011, art. 6, comma 1, e dal D.L. 174/2012, conv. L. 213/2012, art. 3, comma 1, lett. s).

Incompatibilità

Un complesso di cause d'incompatibilità tra l'ufficio di parlamentare ed altre cariche sono definite direttamente dalla Costituzione o da leggi costituzionali: l'incompatibilità tra le cariche di deputato e senatore (Cost., art. 65, secondo comma), tra Presidente della Repubblica e qualsiasi altra carica (Cost., art. 84, secondo comma), tra parlamentare e membro del Consiglio superiore della magistratura (Cost., art. 104, ultimo comma), tra parlamentare e consigliere o assessore regionale (Cost., art. 122, secondo comma), tra parlamentare e giudice della Corte costituzionale (Cost., art. 135, sesto comma).

L'art. 65 Cost. demanda alla legge il compito di determinare le ulteriori cause di incompatibilità.

 

Disposizioni di carattere generale in materia sono state dettate dalla legge 13 febbraio 1953, n. 60, che prevede l'incompatibilità tra l'ufficio di parlamentare e le cariche di nomina governativa o dell'amministrazione statale, cariche in associazioni o enti che gestiscono servizi per conto della pubblica amministrazione o che ricevano contributi statali, cariche in società per azioni con prevalente esercizio di attività finanziaria. Specifiche disposizioni legislative hanno successivamente esplicitato e confermato per alcune singole cariche tali criteri generali di incompatibilità.

 

Un ulteriore gruppo di cause di incompatibilità, specificatamente rivolte a prevenire l’insorgere di fenomeni corruttivi, è stato introdotto ad opera del decreto legislativo n. 39 del 2013, emanato in attuazione di una delega della c.d. legge anticorruzione (L. n. 190 del 2012).

 


 

Nella tabella che segue sono sintetizzate le cause di incompatibilità dei parlamentari previste dal decreto legislativo n. 39/2013.

Art. 11. co. 1

titolari di incarichi amministrativi di vertice (segretario generale, capo dipartimento, direttore generale e similari) nelle amministrazioni statali, regionali e locali e di incarichi di amministratore di ente pubblico di livello nazionale, regionale e locale

Art. 12, co. 2

titolari di incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico

Art. 13, co. 1

presidente e amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico, di livello nazionale, regionale e locale

Art. 14, co. 1

direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo nelle aziende sanitarie locali

 

Si ricorda che la legge elettorale dispone che i dipendenti delle pubbliche amministrazioni e degli enti e istituti di diritto pubblico sottoposti alla vigilanza dello Stato sono collocati in aspettativa d’ufficio per tutta la durata del mandato parlamentare (DPR 361/1957, art. 88, 1° comma). Una disposizione analoga è recata dal testo unico del pubblico impiego (art. 68, D.Lgs.  2001, n. 165).

Il D.Lgs. 39/2012 disciplina anche alcune incompatibilità “successive”: gli ex parlamentari, non possono assumere l’incarico di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo nelle aziende sanitarie locali per un anno dopo la cessazione del mandato parlamentare. Lo stesso divieto – ma per 5 anni - è posto nei confronti di coloro che si sono candidati alle elezioni politiche (art. 8).

 

Divieti di cumulo del mandato parlamentare con altre cariche sono inoltre previsti da specifiche disposizioni. Tra le principali si ricordano: l’incompatibilità con la carica di parlamentare europeo (L. 78/2004); con l'ufficio di componente di assemblee legislative o di organi esecutivi, nazionali o regionali, in Stati esteri (L. 60/1953, art. 1-bis, aggiunto dall'art. 10, L. 459/2001); con qualsiasi altra carica pubblica elettiva di natura monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali aventi, alla data di indizione delle elezioni o della nomina, popolazione superiore a 15.000 abitanti (D.L. 138/2011, conv. L. 148/2011, art. 13, co. 3).

 

I parlamentari hanno l’obbligo di comunicare al Presidente della Camera di appartenenza gli incarichi ricoperti ai fini dell’accertamento di eventuali cause di incompatibilità. In caso di incompatibilità il parlamentare deve optare tra il mandato parlamentare e l’incarico incompatibile.

Anagrafe patrimoniale e trasparenza

La legge n. 441 del 1982 reca disposizioni per la pubblicità della situazione patrimoniale di titolari di cariche elettive e di cariche direttive di alcuni enti:

·        Camera e Senato;

·        Governo;

·        consigli regionali;

·        consigli provinciali;

·        consigli di comuni capoluogo di provincia o con popolazione superiore ai 50.000 abitanti;

·        Parlamento europeo.

Ciascuno di questi organi disciplina autonomamente le modalità di applicazione della legge, tranne Camera, Senato e Governo, per i quali valgono le disposizioni della legge.

Le disposizioni della legge impongono ai membri del Parlamento e del Governo di depositare una dichiarazione concernente la propria situazione patrimoniale; copia dell'ultima dichiarazione dei redditi; una dichiarazione concernente le spese sostenute per la propaganda elettorale.

L’obbligo riguarda anche la situazione patrimoniale e la dichiarazione dei redditi del coniuge non separato e dei figli conviventi, se gli stessi vi consentono.

Le dichiarazioni sono presentate presso l'Ufficio di Presidenza della Camera di appartenenza entro 3 mesi dalla proclamazione degli eletti. Le dichiarazioni dei redditi devono essere presentate ogni anno entro un mese dalla data di scadenza dell’obbligo di dichiarazione al fisco. Inoltre, entro 3 mesi dalla cessazione del mandato ciascun parlamentare deve presentare una dichiarazione concernente le variazioni della situazione patrimoniale.

Le dichiarazioni vengono effettuate su uno schema di modulo predisposto dagli uffici di presidenza del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, d'intesa tra loro.

Le dichiarazioni sono pubblicate in un apposito bollettino a cura dell'Ufficio di Presidenza della Camera di appartenenza che è messo a disposizione di tutti i cittadini con diritto di voto. I siti della Camera dei deputati e del Senato pubblicavano le dichiarazioni patrimoniali dei parlamentari che ne facevano richiesta.

Il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 in tema di trasparenza (anch’esso emanato in attuazione della legge anticorruzione) ha reso obbligatoria la pubblicazione dei dati patrimoniali e di reddito dei titolari di cariche elettive e di governo da parte delle amministrazioni di appartenenza (art. 14) e il decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149 ha previsto espressamente (art. 5, comma 2) la pubblicazione nel sito del Parlamento dei dati relativi alla situazione reddituale e patrimoniale dei titolari di cariche di Governo e dei parlamentari.

La legge 441 non prevede forme di verifica e di controllo delle dichiarazioni.

Nel caso di inadempienza il Presidente della Camera alla quale l'inadempiente appartiene diffida il parlamentare ad adempiere entro il termine di quindici giorni. Eventuali altre sanzioni sono comminate dalla Camera di appartenenza. Comunque nel caso di inosservanza della diffida il Presidente della Camera di appartenenza ne dà notizia all'Assemblea.

Il citato decreto legislativo 33 del 2013 ha introdotto una disciplina organica in materia di obblighi di trasparenza e di diffusione delle informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, che comprende anche alcuni obblighi relativi ai componenti degli organi di indirizzo politico (art. 14).

In particolare, per i titolari di incarichi politici, di carattere elettivo o comunque di esercizio di poteri di indirizzo politico, di livello statale regionale e locale, le pubbliche amministrazioni di appartenenza pubblicano le seguenti informazioni:

·        l’atto di nomina o di proclamazione, con l'indicazione della durata dell'incarico o del mandato elettivo;

·        il curriculum;

·        i compensi di qualsiasi natura connessi all'assunzione della carica; gli importi di viaggi di servizio e missioni pagati con fondi pubblici;

·        i dati relativi all'assunzione di altre cariche, presso enti pubblici o privati, ed i relativi compensi a qualsiasi titolo corrisposti e gli altri eventuali incarichi con oneri a carico della finanza pubblica e l'indicazione dei compensi spettanti;

·        le dichiarazioni relative all’anagrafe patrimoniale (vedi sopra).

Le pubbliche amministrazioni sono tenute a pubblicare tali dati entro tre mesi dalla elezione o dalla nomina e per i tre anni successivi dalla cessazione del mandato o dell'incarico dei soggetti interessati.

 

 


Il Parlamento europeo

Il 1° dicembre 2011 il Parlamento europeo ha approvato il Codice di condotta dei deputati al Parlamento europeo in materia di interessi finanziari e conflitti di interessi, allegato al Regolamento dell’Assemblea (Allegato I).

Il Codice è stato approvato sulla base dell’articolo 11 del Regolamento che prevede l’adozione di norme di trasparenza relative agli interessi finanziari dei parlamentari europei, sotto forma, appunto, di un codice di condotta approvato a maggioranza dei membri del Parlamento.

Strettamente connessa alla tematica della trasparenza della condotta dei parlamenti, la disciplina delle attività di lobbying che trova fondamento nel medesimo articolo 11 del Regolamento e nel Registro sulla trasparenza (allegato IX del Regolamento).

Il Codice di condotta prevede che ciascun deputato presenti una dichiarazione relativa alle attività remunerate praticate al di fuori del Parlamento e l'ammontare dei guadagni, così come il resoconto di qualsiasi altra funzione che potrebbe generare un conflitto d'interessi. Il codice introduce anche il divieto esplicito di ricevere pagamenti o altri compensi al fine di influenzare le decisioni parlamentari. Ci sono inoltre regole sull'accettazione di regali e sulla posizione degli ex deputati che lavorano come lobbisti.

 

Come anticipato, i deputati europei, all’inizio del mandato, sono tenuti a trasmettere al Presidente del PE una dichiarazione di interessi finanziari che viene pubblicata sul sito internet del Parlamento (art. 4).

La dichiarazione reca le seguenti informazioni:

·        attività professionale svolta nei tre anni precedenti le elezioni e nel corso del mandato, così come l'appartenenza a qualsiasi consiglio aziendale, ONG o associazione, anche se non retribuita;

·        indennità percepite per lo svolgimento di un mandato in un altro Parlamento;

·        attività esterna occasionale retribuita oltre i 5.000 euro all’anno (comprese pubblicazioni, conferenze e consulenze);

·        partecipazione societarie detenute, qualora vi siano possibili implicazioni di politica pubblica o qualora tale partecipazione conferisca al deputato un'influenza significativa sulle attività dell'organismo in questione;

·        finanziamenti ricevuti nell'ambito delle sue attività politiche da parte di terzi, con indicazione dell'identità dei finanziatori;

·        altri interessi finanziari.

 

I deputati si devono attenere ad una serie di prescrizioni quali il divieto di concludere accordi al fine di indirizzare la propria attività parlamentare nell’interesse di terzi e il divieto ricevere qualsiasi vantaggio economico in relazione al comportamento assunto nelle proprie funzioni (art. 2).

Inoltre, ciascun deputato deve adottare tutte le misure per porre rimedio ad eventuali conflitti di interessi e qualora questi permangono ne deve informare il Presidente. Su ogni singola questione dibattuta o votata, il deputato deve comunicare qualsiasi conflitto effettivo o potenziale in relazione alla questione stessa, a meno che il conflitto non risulti evidente sulla base della dichiarazione finanziaria (art. 3).

I doni o benefici di valore superiore a 150 euro ricevuti durante l'esecuzione del mandato devono essere rifiutati o, se ricevuti dal deputato nelle vesti di rappresentante ufficiale del Parlamento, sono consegnati al Presidente del Parlamento. Il rimborso delle spese per alloggio, viaggio e soggiorno, non è considerato dono nel caso di partecipazione a un evento in seguito a un invito ufficiale (art. 5).

Gli ex deputati che lavorano come lobbisti in un campo direttamente collegato all'azione dell'Unione europea, non possono beneficiare delle agevolazioni concesse agli ex deputati, durante il periodo in cui svolgono tale attività (art. 6).

Un Comitato consultivo sulla condotta dei deputati, formato da 5 membri designati dal Presidente tra i membri degli uffici di presidenza e i presidenti delle Commissioni affari costituzionali e giustizia, fornisce orientamenti sull’interpretazione e attuazione del codice di condotta ed esamina i casi di violazione delle regole del codice (art. 7). In caso di accertata violazione del codice, su decisione del Presidente e previo parere del comitato consultivo, un deputato è sanzionato con una o più delle seguenti misure: richiamo verbale, perdita dell'indennità di soggiorno da 2 fino a 10 giorni, sospensione temporanea dalle attività del Parlamento per un massimo di 10 giorni (mantenendo però il diritto di voto), sospensione o ritiro dei mandati occupati in seno al Parlamento (quali il ruolo di relatore o presidente di commissione) previo esame della conferenza dei presidenti (art. 166 Regolamento PE).

Il comitato consultivo pubblica una relazione annuale sull’attività svolta. Poiché nel 2014 si sono svolte le elezioni del rinnovo del Parlamento europeo, l’ultima relazione è relativa al periodo 1° luglio – 31 dicembre 2014.

Nel 2013 sono state adottate alcune misure di attuazione e di interpretazione del codice di condotta, relative in particolare al regime dei doni e degli inviti a eventi organizzati da terzi e alle procedura di controllo (delibera dell’Ufficio di presidenza del 15 aprile 2013).

Nella pagina del sito del PE dedicata a Etica e trasparenza, sono riportati tutti i documenti di riferimento.


Esperienze in altri Paesi europei e negli U.S.A.
(a cura del Servizio Biblioteca)

Francia

In Francia, nel corso della XIII legislatura (2007-2012), in cui era Presidente della Repubblica Nicolas Sarkozy, è stato avviato a livello istituzionale un ampio dibattito sul tema della prevenzione dei conflitti d’interesse delle più alte cariche pubbliche. In particolare, con il Decreto n. 2010-1072 del 10 settembre 2010, il Presidente Sarkozy ha istituito la Commissione di riflessione per la prevenzione dei conflitti di interesse nella vita pubblica (Commission de réflexion pour la prévention des conflits d'intérêts dans la vie publique). Il 26 gennaio 2011 la Commissione ha presentato al Presidente della Repubblica una relazione finale che ha per titolo: Pour une nouvelle déontologie de la vie publique, contenente alcune proposte per prevenire e regolare i conflitti di interesse in cui possono trovarsi membri del Governo, responsabili di enti e imprese pubbliche, funzionari pubblici.

Nello stesso periodo, anche le due assemblee del Parlamento francese hanno avviato una riflessione sulla delicata questione dei possibili conflitti d’interesse dei parlamentari.

Il 6 aprile 2011 l’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea nazionale (Bureau de l’Assemblée nationale, di seguito indicato come il Bureau) ha approvato un Codice deontologico (Code de déontologie) nel quale sono enunciati i principi di fondo che i deputati si impegnano a rispettare[3].

I sei principi indicati dal codice sono:

·     l’interesse generale (art. 1): i deputati sono chiamati ad agire nel solo interesse della nazione e dei cittadini, senza perseguire alcun interesse privato o cercare di ottenere un beneficio finanziario o materiale personale o per i propri congiunti;

·     l’indipendenza (art. 2): i deputati non devono trovarsi in una situazione di dipendenza da persone fisiche o giuridiche che possano deviarli dal rispetto del presente codice;

·     l’obiettività (art. 3): nel trattare una questione relativa ad una situazione personale, i deputati devono agire considerando solo i diritti e i meriti della persona;

·     la responsabilità (art. 4): i deputati devono rendere conto ai cittadini che rappresentano delle loro decisioni e azioni agendo in modo trasparente;

·     la probità (art. 5): i deputati hanno il dovere di rendere noto ogni interesse personale che possa interferire con la loro azione pubblica e risolvere ogni eventuale conflitto di interessi a vantaggio del solo interesse generale;

·     l’esemplarità (art. 6): nell’esercizio del suo mandato, ogni deputato deve promuovere il rispetto dei principi del presente codice.

Lo stesso 6 aprile 2011 il Bureau ha adottato all’unanimità anche una Décision du Bureau relative au respect du code de déontologie des députés relativa al rispetto del suddetto codice.

In primo luogo, con la Décision è prevista l’istituzione del “deontologo dell’Assemblea nazionale” (art. 1). Il deontologo “è una personalità indipendente, designata dai tre quinti dei membri dell’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea nazionale, su proposta del suo Presidente e con l’accordo di almeno un presidente di un gruppo di opposizione. Egli esercita le sue funzioni per la durata di una legislatura e il suo mandato non può essere rinnovato. Il deontologo può essere rimosso dall’incarico in caso di incapacità o di inosservanza dei suoi doveri, su decisione dei tre quinti dell’Ufficio di Presidenza, su proposta del Presidente dell’Assemblea nazionale e con l’accordo di almeno un presidente di un gruppo di opposizione (art. 2). L’attuale deonotologo dell’Assemblea nazionale è il prof. Ferdinand Mélin-Soucramanien, nominato il 16 aprile 2014 dall’Ufficio di Presidenza, con voto unanime dei suoi membri (cfr. CV du Déontologue)[4]. Il deontologo ha diversi compiti tra cui si segnala, in primo luogo, a partire dalla legislatura corrente (XIV legislatura, iniziata nel giugno 2012), quello di ricevere le “dichiarazioni di interessi personali” dei deputati, che questi sono tenuti a compilare all’inizio del loro mandato parlamentare, entro 30 giorni dalla loro elezione . In tale dichiarazione il deputato deve dichiarare gli interessi di cui è portatore di natura tali da porlo in una situazione di possibile conflitto di interessi, nonché quelli dei propri ascendenti o discendenti diretti, del proprio coniuge o partner[5]. Per adempiere a tale obbligo i deputati utilizzano un modulo predisposto dall’Assemblea nazionale (cfr. formulaire: Déclaration des intérêts personnels du député). Nel corso dell’esercizio del mandato, il deputato è tenuto inoltre a presentare una dichiarazione di modifica sostanziale degli interessi posseduti da lui o dalle persone sopra indicate, qualora ne riscontri la necessità (artt. 3 e 4). Il deontologo è tenuto inoltre a vigilare in generale sul rispetto dei principi stabiliti nel Codice e di consigliare i deputati in merito ad ogni questione deontologica che essi pongano. Ogni anno il deontologo è inoltre tenuto a presentare un Rapporto pubblico al Presidente dell’Assemblea nazionale e all’Ufficio di Presidenza in cui relaziona in merito alle condizioni generali di applicazione dei principi del Codice deontologico e formula le sue proposte per migliorarne il rispetto (cfr. l’ultimo Rapporto annuale (2013) presentato dal precedente Deontologo dell’Assemblea nazionale, Noëlle Lenoir).

Il deputato deve inoltre dichiarare al deontologo i doni ricevuti o le agevolazioni delle quali abbia beneficiato se di valore superiore a € 150, così come i viaggi compiuti su invito di una persona fisica o giuridica (art. 4).

Qualora constati l’inosservanza da parte di un deputato dei principi enunciati nel Codice deontologico, il deontologo ne informa il deputato interessato e il Presidente di Assemblea. Il deontologo rivolge inoltre al deputato le raccomandazioni per invitarlo a rispettare il Codice deontologico. Se il deputato contesta o non rispetta le raccomandazioni ricevute, il deontologo investe della questione il Presidente dell’Assemblea, che deve allora convocare l’Ufficio di Presidenza affinché deliberi in merito entro due mesi. A tale scopo l’Ufficio di Presidenza può ascoltare il deputato interessato o lo stesso può chiedere di essere audito. Qualora l’Ufficio di Presidenza stabilisca che il deputato non abbia rispettato il Codice deontologico, rende pubblica tale decisione. Il deputato è quindi chiamato a compiere le azioni necessarie per riparare la situazione e adempiere agli obblighi del Codice deontologico.

Tra i compiti del deontologo rientrano anche, su richiesta del Bureau, l’elaborazione di studi generali su questioni etiche poste all’attenzione dell’Assemblea, la presentazione di proposte sulla trasparenza e le modalità di organizzazione dei convegni nei locali dell’Assemblea o nei circoli parlamentari.

(Cfr. la scheda relativa alla Déontologie à l’Assemblée nationale, aggiornata al 16 aprile 2014).

Germania

L’Allegato n. 1 al Regolamento del Bundestag rappresenta una sorta di codice di condotta dei parlamentari. Le norme di comportamento in esso contenute, così come previsto dal § 18 del Regolamento, formano parte integrante del Regolamento stesso. Introdotte nel 1972, esse sono state da ultimo emendate nel 2013 in seguito all’approvazione delle modifiche regolamentari in vigore dal giorno della prima seduta della 18ª legislatura (22 ottobre 2013).

Una rilevante innovazione era già avvenuta con la ventiseiesima legge di modifica della normativa sullo status giuridico dei deputati (Abgeordnetengesetz) del 22 agosto 2005, la quale ha introdotto, nella sezione decima intitolata “Indipendenza del deputato”, il nuovo § 44a espressamente dedicato all’esercizio del mandato parlamentare, che rappresenta il fulcro dell’attività di ciascun membro del Bundestag. Fermo restando tale impegno primario, è in linea di massima consentito l’esercizio di attività professionali o di altro genere.

Da molti anni la prassi e la giurisprudenza concordano sul fatto che i compiti di un deputato debbano rappresentare un lavoro a tempo pieno. Rientra tuttavia nella sfera di libertà del parlamentare la possibilità di continuare a svolgere una professione che, nella maggior parte dei casi, egli ha già esercitato in precedenza. L’incompatibilità tra attività ed esercizio del mandato vale solo per i dipendenti dello Stato, che sono collocati in aspettativa in seguito all’accettazione del mandato.

In considerazione del giustificato interesse dei cittadini nei confronti di una maggiore trasparenza all’interno del Parlamento, si è giunti ad una formulazione più chiara inasprendo, nel contempo, le disposizioni concernenti l’obbligo di denunciare e rendere pubbliche le attività e i proventi dei deputati, contenute nella legge sullo status giuridico dei deputati e nelle regole di condotta allegate al Regolamento del Bundestag. In base alle norme di comportamento attualmente vigenti, tutti i deputati sono obbligati, senza soluzione di continuità, a notificare al Presidente del Bundestag singole attività e funzioni esplicate in concomitanza con il mandato parlamentare. L’obbligo riguarda in particolare l’attività professionale da ultimo esercitata e l’appartenenza ad organi direttivi, a consigli di amministrazione e ad altri comitati. Soggetti all’obbligo di notifica e di pubblicazione non sono soltanto le attività in ambito imprenditoriale, ma anche quelle svolte presso enti ed istituti di diritto pubblico. Gli azionisti di società di capitali devono rivelare le loro partecipazioni soltanto se le quote azionarie in loro possesso raggiungono il 25%. Vanno dichiarate anche le attività a titolo onorifico, come ad esempio quelle dei membri dei consigli di amministrazione di associazioni e federazioni di rilevanza non esclusivamente locale o di coloro che, all´interno di queste, svolgono funzioni direttive o di consulenza. In base alle ultime modifiche in vigore da ottobre 2013, inoltre, è stato esplicitamente stabilito che l’obbligo di notifica non si applica all’attività in qualità di membro del Governo federale, di Segretario di Stato parlamentare e di Ministro di Stato.

Oltre alle attività collaterali (Nebentätigkeiten), cioè quelle svolte parallelamente all’esercizio del mandato parlamentare, devono essere dichiarati anche gli introiti da queste derivanti a partire da una soglia minima di € 1.000 al mese oppure di € 10.000 all’anno. In concreto, tuttavia, questi proventi non vengono indicati nel loro reale ammontare, ma solo riferiti a dieci livelli progressivi di entrate: la prima fascia riguarda gli introiti compresi tra € 1.000 e € 3.500; la seconda quelli fino a € 7.000; la terza fino a € 15.000; la quarta fino a € 30.000; la quinta fino a € 50.000; la sesta fino a € 75.000; la settima fino a € 100.000; l’ottava fino a € 150.000; la nona fino € 250.000 e, in ultimo, la decima per quelli superiori a € 250.000.

Le dichiarazioni presentate dai deputati in adempimento degli obblighi previsti nelle norme di comportamento sono pubblicate nel Manuale ufficiale (parte seconda) e sul sito del Bundestag, nelle pagine dedicate alle schede biografiche dei singoli parlamentari.

Al Presidente del Bundestag sono attribuiti poteri sanzionatori nel caso in cui i deputati non osservino i loro doveri. Le sanzioni in cui possono incorrere vanno dalla semplice ammonizione (Ermahnung) al pubblico rimprovero (öffentliche Rüge), fino all’inflizione di ammende (Ordnungsgelder). La procedura di accertamento dell’infrazione con l’eventuale determinazione di sanzioni, dettagliatamente illustrata nel § 8 delle norme di comportamento, avviene per gradi: se un’infrazione è giudicata dal Presidente del Bundestag di “minore gravità o di colpa lieve” (ad esempio, il superamento dei termini stabiliti per effettuare la notifica), il deputato interessato viene ammonito; qualora invece l’infrazione sia ritenuta più grave, l’Ufficio di Presidenza, dopo aver ascoltato il deputato interessato, verifica la sussistenza o meno di una violazione delle norme di comportamento. La constatazione che siano stati effettivamente violati i doveri previsti dalle norme di comportamento, fatte salve ulteriori sanzioni di cui al § 44a della legge sullo status giuridico dei deputati, viene pubblicata come stampato del Bundestag. La dichiarazione dell’inesistenza della violazione viene invece pubblicata solo nel caso in cui lo richieda il membro del Bundestag interessato. Infine, nel caso in cui attività o redditi soggetti ad obbligo di notifica non vengano dichiarati, l’Ufficio di Presidenza può comminare una sanzione pecuniaria, il cui ammontare può eguagliare la metà dell’indennità annuale di deputato. Spetta poi al Presidente del Bundestag rendere esecutiva l’ammenda mediante un atto amministrativo.

Come previsto dalle stesse norme di comportamento e dalle regole sulla trasparenza delle attività svolte dai deputati, il 18 giugno 2013 il Presidente del Bundestag ha emanato una serie di nuove disposizioni applicative (Ausführungsbestimmungen zu den Verhaltensregeln für Mitglieder der Deutschen Bundestages) volte a disciplinare in modo più dettagliato gli obblighi previsti nell’Allegato 1 al Regolamento del Bundestag, anch’esse entrate in vigore all’inizio della 18a legislatura.

Sulla questione della denuncia delle attività svolte parallelamente al mandato parlamentare e dei proventi da queste derivanti è intervenuta anche la Corte costituzionale federale che, con la sentenza del 4 luglio 2007, ha respinto con il voto di quattro giudici contro quattro, i ricorsi presentati da nove deputati eletti nella 16ª legislatura che avevano sollevato, nei confronti del Bundestag, una questione di incompatibilità costituzionale del § 44a, comma 1, della legge sullo status giuridico dei deputati (esercizio del mandato parlamentare), dei §§ 44a, comma 4, e 44b della legge medesima e, insieme, dei §§ 1 e 3 dell’Allegato 1 al Regolamento del Bundestag (denuncia e pubblicazione delle attività professionali e degli introiti percepiti dai deputati), nonché delle disposizioni applicative emanate dal Presidente del Bundestag e delle sanzioni previste nella legge sopra citata e nel § 8 dell’Allegato 1. I ricorrenti ritenevano che tutte queste disposizioni, introdotte dalle modifiche del 2005, non fossero conformi, in particolare, alle garanzie dello status di deputato sancite nell’art. 38, comma 1, secondo periodo (divieto di mandato imperativo) e nell’art. 48, comma 2 della Legge fondamentale. Quello che tuttavia emerge nella sentenza della Corte costituzionale, e che sembra conciliare in ultima analisi le posizioni dei due blocchi contrapposti al suo interno, è la necessità che i deputati si impegnino ad affrontare i pericoli che minacciano l’indipendenza dell’esercizio del mandato parlamentare. Secondo i giudici costituzionali il mandato parlamentare deve essere posto al centro dell’attività di ciascun deputato, il quale è pertanto obbligato ad evitare i conflitti di interesse che potrebbero insorgere a seguito di attività remunerate svolte al di fuori del mandato. La sentenza esorta quindi i deputati, qualora fosse necessario ma anche in caso dubbio, a non intraprendere attività che potrebbero dar luogo a tali conflitti piuttosto che rinunciare all’esercizio del mandato parlamentare.

Regno Unito

La condotta dei membri delle Camere è oggetto di regole contenute in appositi codici di condotta approvati con risoluzione parlamentare. Essi dettano una disciplina articolata per princìpi, la cui formulazione ricalca i cosiddetti “sette principi della vita pubblica” enunciati nel 1995 dal Committee on Standards in Public Life (noto anche come Nolan Committee, dal nome del suo presidente, preposto dal Governo, allora presieduto da John Major, all’elaborazione di canoni deontologici applicabili a chiunque detenesse cariche pubbliche). Risale infatti al rapporto finale del Nolan Committee l’enunciazione dei principi di trasparenza, integrità, disinteresse personale ed onestà nella vita pubblica di cui, negli anni successivi, è stato perseguito il generalizzato radicamento presso gli organi rappresentativi e l'Esecutivo, così come in ogni ente preposto alla cura di interessi pubblici.

Con riferimento specifico ai parlamentari, la Commissione individuò standard di condotta orientati a garantirne l’indipendenza, nel presupposto che questa potesse essere messa in dubbio, ad esempio, dallo svolgimento di consulenze retribuite o dai rapporti con esponenti o rappresentanti di lobbies; essa suggerì, inoltre, l’adozione di procedure più rigorose per la dichiarazione, da parte dei membri delle Camere, della sussistenza di interessi di cui fosse possibile verificare in modo trasparente la compatibilità rispetto all’esercizio disinteressato e senza condizionamenti del mandato parlamentare; infine, si stimò opportuna la redazione di un codice di condotta e l’istituzione di un organo parlamentare con poteri di indagine e di censura[6].

Dei basilari “sette principi”[7] vengono in rilievo particolare quelli riferiti alla Selflessness, alla Integrity e alla Honesty, per la declinazione di cui sono oggetto nei codici di condotta delle Camere e nelle correlate previsioni di dettaglio e guide esplicative. In virtù del primo principio, "i detentori di cariche pubbliche debbono agire solamente in nome del pubblico interesse, e non al fine di perseguire benefici economici o di altra natura per sé stessi o i loro familiari o amici"; in base al secondo, essi "non debbono assumere obblighi di natura economica o di altro tipo verso persone od organizzazioni esterne che potrebbero tentare di influenzarli nello svolgimento del loro ufficio". Il terzo, infine, fa obbligo ai medesimi di "dichiarare ogni privato interesse correlato alle loro cariche pubbliche, e di adoperarsi per risolvere ogni conflitto in maniera da tutelare l'interesse pubblico".

Le conformi previsioni contenute nei codici di condotta delle Camere si ispirano al principio della pubblicità degli interessi (disclosure of interest), perseguito attraverso l’obbligatoria declaration and registration of interests (da effettuare presso l'ufficio del Register istituito in ciascuna Camera). Ne consegue, per i membri del Parlamento (anche qualora ricoprano cariche governative), l’obbligo di dichiarare ogni fonte di remunerazione o interesse finanziario collegati all’assolvimento di incarichi ricevuti nella loro titolarità e capacità di componente di un’Assemblea legislativa (advocacy rule[8]).

Con particolare riguardo alla Camera dei Comuni, il Code of Conduct[9] - introdotto per la prima volta nel 1996 e di norma aggiornato ad ogni nuova legislatura – contiene, oltre alle norme di corretto contegno parlamentare, regole che fanno specifico obbligo ai membri della Camera di dichiarare i loro cespiti patrimoniali ed interessi finanziari la cui detenzione possa porsi in conflitto con l’esercizio del mandato parlamentare (Register of Interests)[10].

Queste previsioni del Codice di condotta si correlano alla costituzione e all’operatività di particolari figure istituzionali, di cui l’ordinamento parlamentare britannico si è dotato a seguito dell’emersione, nel 2009, di irregolarità concernenti i rimborsi spettanti ai membri del Parlamento per le spese sostenute nell’esercizio del loro mandato. In un clima politico caratterizzato dalle reazioni dell’opinione pubblica circa gli abusi riportati dalla stampa relativamente all’uso improprio dei rimborsi spese erogati a membri delle Camere, è stato infatti approvato in quell’anno il Parliamentary Standards Act, che ha introdotto una disciplina delle indennità, delle spese e della pubblicità degli interessi patrimoniali dei membri della Camera dei Comuni durante il loro mandato, e ha istituito la già menzionata Independent Parliamentary Standards Authority (IPSA).

Con tale innovazione il legislatore, peraltro, si è preoccupato di apportare modifiche minime al sistema vigente, tali da mantenere inalterati “gli attuali rapporti tra il Parlamento e le corti”; e le disposizioni introdotte infatti precludono ogni interpretazione del loro testo che possa risultare riduttiva delle prerogative parlamentari affermate dal Bill of Rights del 1689 (con specifico riferimento all’articolo 9 di questo testo costituzionale, secondo cui “Members and Peers should be able to speak and act freely in Parliament”)[11].

Proprio i profili concernenti il confine tra l’ambito delle prerogative parlamentari (parliamentary privileges) e quello della giurisdizione ordinaria hanno assunto, durante l’esame parlamentare della legge del 2009, rilievo particolare, dal momento che la legge qualifica come reati, e sanziona penalmente, gli atti e i comportamenti imputabili al membro della Camera che abbia omesso di dichiarare i propri interessi (registration of interests), abbia accettato denaro o altri benefici per sostenere determinati interessi nella sua attività parlamentare (paid advocacy), oppure abbia dichiarato il falso per ottenere indennità o rimborsi dalla Camera di appartenenza (false allowance claims). Di qui l’esigenza di contemperare l’autonomia della Camera (exclusive cognisance of internal affairs), radicata nella tradizione costituzionale britannica, con disposizioni legislative dirette ad introdurre limiti e controlli in tale ambito.

Mette conto segnalare, a questo riguardo, come la giurisdizione della Camera dei Comuni sui propri membri, in applicazione delle norme deontologiche alle quali essi sono sottoposti, sia passata recentemente al vaglio della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. In un procedimento concernente il ricorso di un ex membro della Camera dei Comuni (e già componente del governo) per la violazione delle regole del codice di condotta che precludono la paid advocacy (artt.9-16 del codice), la CEDU ha respinto l’asserito contrasto con gli artt. 6, 8 e 13 della Convenzione (in materia, rispettivamente, di diritto ad un equo processo, di diritto alla tutela della vita privata e di diritto a un ricorso effettivo) del procedimento esperito dalla Camera in applicazione del codice di condotta[12]. 

Ulteriore aspetto meritevole di richiamo, per una ricognizione dei maggiori caratteri costitutivi dello status del parlamentare nel Regno Unito e dei relativi obblighi, è la recente introduzione legislativa dell’istituto del recall, il cui scopo è quello di consentire agli elettori di un singolo collegio di determinare, attraverso la presentazione di un’apposita petizione, la decadenza dell’eletto che abbia commesso gravi ed accertate malversazioni.

Si tratta, in effetti, di una sanzione già ritenuta tradizionalmente vigente nell’ordinamento parlamentare – seppure raramente irrogata [13] -, che comporta la decadenza dal mandato (peraltro, senza incidere sul diritto elettorale passivo di chi ne venga colpito, che può presentarsi alle elezioni suppletive convocate a seguito della vacanza del suo seggio). Per tale ragione, e considerata l’immutata possibilità di disporre l’applicazione del recall alle infrazioni delle regole dell’ordine parlamentare (attraverso il misbehaviour in the Chamber o il contempt posto in essere mediante violazioni del Codice di condotta), alcuni organismi parlamentari avevano formulato riserve circa una disciplina legislativa dell’istituto: il Committee on Standards, in particolare, riteneva sufficienti le attuali sanzioni disciplinari[14], considerato anche il regime probatorio richiesto per la loro irrogazione, di norma meno rigoroso di quello applicato nei comuni procedimenti giurisdizionali; e il Political and Constitutional Reform Committee della Camera dei Comuni, anch’esso criticando i propositi del Governo relativi all’introduzione per legge del recall, giudicava adeguata e concretamente applicabile la vigente misura disciplinare dell’espulsione dalla Camera del membro che si sia reso autore di gravi illeciti[15].

Il Governo ha tuttavia tenuto fermi i propri propositi e ha ottenuto l’approvazione del MP Recall Act 2015[16], le cui disposizioni prevedono la possibilità di determinare, attraverso l’esperimento di una petition da parte degli elettori del collegio, la decadenza del parlamentare che vi è stato eletto e il conseguente svolgimento di lezioni suppletive. La relativa procedura (petition process) può avere luogo qualora il membro della Camera dei Comuni incorra in una di tre alternative condizioni: (a) abbia riportato una condanna penale con l’irrogazione di pene detentive (anche per reati commessi prima dell’elezione), confermata in un giudizio di appello promosso negli ordinari termini vigenti per l’impugnazione (il dato si correla alle caratteristiche tipiche del processo penale del Regno Unito); (b) sia stato sospeso dalla Camera, a seguito dell’istruttoria svolta dal Committee on Standards, per almeno dieci sedute oppure - qualora nel provvedimento di sospensione non sia specificato il numero delle sedute - per almeno quattordici giorni; (c) sia stato condannato, indipendentemente dall’entità della pena, per violazione del Parliamentary Standards Act 2009, art 10 (false dichiarazioni nella richiesta e giustificazione di rimborsi).

Verificatasi una delle condizioni tipizzate dalla legge (che ha introdotto lo specifico obbligo delle giurisdizioni di notificare alla Camera dei Comuni le sentenze da esse pronunciate nei confronti di suoi membri), lo Speaker della Camera ne notifica a sua volta la sussistenza al competente ufficio del collegio elettorale interessato (petition officer), affinché venga dato avvio alla pubblica petizione avente ad oggetto il recall del parlamentare suscettibile di revoca. Tale petizione (recall petition) è quindi formalmente aperta alla sottoscrizione[17] da parte dei cittadini iscritti nelle liste elettorali del collegio entro il termine di sei settimane; la procedura è validamente esperita se mancano più di sei mesi alla fine della legislatura, non sia in corso altra petizione per lo stesso parlamentare o questi non sia nel frattempo cessato per altra ragione dalla carica (in tale ipotesi il petition officer . La petizione è valida quando sia stata sottoscritta da almeno il 10% degli elettori (la cui iscrizione nelle liste elettorali sia antecedente alla comunicazione dello Speaker che dà impulso alla petition), e una volta comunicato il suo esito alla Camera di appartenenza, determina la decadenza dalla carica del parlamentare interessato.

Stati Uniti d’America

Il ruolo e l’ambito dei doveri dei membri della Camera non sono oggetto di regole formalizzate, ma costituiscono il risultato di prassi modulatesi nell’esperienza del sistema rappresentativo, di cui è elemento generalmente enfatizzato il peculiare rapporto che lega il Representative al proprio collegio elettorale. Nella prospettiva che tradizionalmente assegna rilievo agli interessi e agli orientamenti dell’opinione pubblica (public expectations), le funzioni del parlamentare non si limitano quindi all’iniziativa legislativa, al controllo (oversight) e alla partecipazione ai lavori dell’Assemblea e delle Commissioni, ma si esplicano anche nei compiti di rappresentanza e di assistenza svolti nell’interesse dei propri elettori (constituency service).

A questa connotazione del ruolo del parlamentare, in costante contatto con istanze particolari ed esposto all’azione dei gruppi di pressione, si correlano prevalentemente le norme deontologiche contenute nel regolamento della Camera, e in particolare la Rule XXIII (rubricata Code of Official Conduct), le cui previsioni, articolate in 18 paragrafi e destinate tanto ai membri quanto ai dipendenti della Camera, premettono il generale richiamo ai principi di corretto comportamento alla disciplina puntuale ed analitica – già esaminata - degli obblighi di trasparenza finanziaria.

Il sistema della deontologia parlamentare riposa sull’operatività, presso la Camera dei Rappresentanti, di un’apposita commissione, lo House Committee on Ethics (istituito nel 1967 e fino al 2011 denominato Committee on Standards of Official Conduct). Composto da cinque deputati della maggioranza e da cinque dell’opposizione, esso rappresenta l’unico organo della Camera caratterizzato da tale composizione paritaria, ed esercita i propri compiti in relazione all’osservanza delle regole di condotta da parte dei membri della Camera, vigilando, in particolare, sulla loro applicazione con riguardo alle dichiarazioni patrimoniali, alla notifica dei doni ricevuti, al trattamento dei collaboratori personali e ai conflitti di interesse, e provvedendo all’enforcement dei rispettivi obblighi[18]. La violazione delle regole deontologiche da parte di un membro della Camera può infatti comportare l’irrogazione di sanzioni nei suoi confronti, che vanno dalla mozione di censura al richiamo, fino alla sospensione dei privilegi: tale potere sanzionatorio deriva dalla previsione costituzionale che abilita ciascuna Camera a punire i propri membri per la loro “condotta scorretta” (disorderly behavior: art. I, sezione V, comma 2, Cost.), e a disporre di essi finanche l’espulsione, da deliberare, come già detto, con la maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti.

Su queste premesse costituzionali, il Committee on Ethics (articolato al suo interno in distinti collegi con compiti inquirenti e giurisdizionali) può avviare proprie indagini - su istanza di membri della Camera oppure d’ufficio – al fine di verificare l’eventuale violazione di disposizioni di legge o regolamentari oppure degli standard di condotta vigenti per i membri (e per i dipendenti); nel relativo procedimento esso può chiedere chiarimenti alla persona interessata, oppure rivolgere raccomandazioni alla Camera sulle eventuali misure da adottare al termine dell’indagine; può provvedere, infine, a comminare sanzioni di lieve entità, essendo nei casi più gravi riservata la decisione alla Camera nella composizione plenaria.

Le regole deontologiche intersecano, per alcuni profili, la disciplina pensionistica applicata ai componenti del Congresso. In alcuni casi particolari, di cui si contano rari precedenti applicativi, il diritto alla pensione di un membro della Camera può infatti subire gli effetti conseguenti alla condanna per gravi reati, quando la legislazione federale colleghi ad essa la confisca del trattamento pensionistico. Disposizioni in tal senso sono state inizialmente introdotte, a metà del secolo passato, in relazione a condanne per gravi reati come la corruzione (bribery), la violazione delle leggi federali in materia di conflitto di interessi o l’abuso del proprio ruolo istituzionale, con prevalente considerazione – giustificata in epoca di “guerra fredda” – dei reati rilevanti per la tutela della sicurezza nazionale[19]. Più recentemente, con lo Honest Leadership and Open Government Act del 2007 (noto con l’acronimo HLOGA), come modificato dallo Stop Trading on Congressional Knowledge Act del 2012 (cosiddetto “STOCK Act”), il legislatore ha previsto che ai membri del Congresso condannati per reati di corruzione commessi durante il loro mandato sia precluso il riconoscimento dei periodi di servizio maturati.

Il corpus delle regole deontologiche vigenti è riportato in un apposito manuale (House Ethics Manual, ultima edizione del 2008), che, ripartito in diversi capitoli, espone la disciplina del regolamento con il corredo di commenti ed esemplificazioni al fine di agevolarne l’applicazione e l’osservanza da parte dei destinatari.

Nella prospettiva di perseguire l’efficacia e l’effettiva osservanza delle norme deontologiche della Camera è stato istituito, nel 2008 (e confermato nel 2013) un nuovo organismo, l’Office of Congressional Ethics (OCE). A questa autorità indipendente non legata ai partiti, composta da un collegio di otto membri compresi il Presidente e il Vicepresidente (i quali sono “laici” ovvero non componenti del Congresso o esponenti dell’amministrazione federale), sono attribuiti compiti di natura investigativa che si concretano nella svolgimento di indagini (anche su impulso esterno alla Camera) relativamente ai casi di comportamento scorretto nei quali siano coinvolti i membri e i dipendenti della Camera, i cui risultati sono sottoposti al Committee on Ethics per l’adozione dei relativi provvedimenti. A tal fine l’Autorità, i cui membri sono a loro volta soggetti all’osservanza di un codice di condotta[20], si attiene a specifiche norme procedimentali[21].

 

 


Attività del Consiglio d’Europa sulla lotta alla corruzione
(a cura del Servizio Rapporti Internazionali)

La lotta alla corruzione è fra i principali temi dell’attività del Consiglio d’Europa. Fin dal 1997, con il secondo vertice dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri del Consiglio d’Europa, il tema è divenuto una delle priorità essenziali, oggetto di uno specifico Programma di azione che venne adottato dal Comitato dei Ministri nel novembre 1996.

Attività dell’Assemblea parlamentare

Il 26 giugno 2013 l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha adottato la Risoluzione 1943 (2013) e la Raccomandazione 2019 (2013) sulla “Corruzione come minaccia al primato del diritto”. In particolare la risoluzione, al par. 13, invita al rafforzamento della dimensione interparlamentare della lotta alla corruzione.

Il 9 aprile 2014, nel corso della sessione plenaria dell’Assemblea, è stata  lanciata una specifica Piattaforma dell’Assemblea CdE sull’anti-corruzione, in occasione di un seminario dal titolo “Il giornalismo investigativo e il ruolo dei parlamenti nazionali nel combattere la corruzione”.

Questa Piattaforma ha l’obiettivo di riunire parlamentari da tutti i 47 Paesi membri del CdE, e anche dai Paesi non membri che si vogliano aggregare, allo scopo di promuovere la trasparenza e l’onestà nella vita pubblica, attraverso lo scambio delle informazioni e la diffusione delle best practices, discutendo insieme su come fare fronte alle nuove forme della corruzione. I parlamentari membri della Piattaforma sono chiamati da una parte a monitorare le misure prese dai parlamenti nazionali, dall’altra a promuovere l’adozione degli strumenti, delle raccomandazioni e delle norme del CdE.

All’evento iniziale hanno fanno seguito numerose altre conferenze e seminari, con il contributo di parlamentari, giornalisti ed esperti, in vari parlamenti dei Paesi membri del CdE (ad es. Turchia, Finlandia, Austria e Macedonia).

La delegazione italiana all’Assemblea CdE si è occupata della materia. In particolare, il Presidente della Delegazione, on. Nicoletti, è stato relatore sul tema “Lobbying e corruzione” in uno specifico seminario parlamentare (Final Report of the Seminar on "Mechanisms available to National Parliaments to Counter Corruption") organizzato il 2 dicembre 2013 a Belgrado dal parlamento serbo e dall’Assemblea CdE, dal titolo “Meccanismi utilizzabili dai parlamenti nazionali per fronteggiare la corruzione”.

Nel quadro di queste iniziative, la delegazione italiana ha organizzato a Roma, il 1° luglio 2014, alla Camera dei deputati in collaborazione con l’Assemblea CdE, un seminario parlamentare su un aspetto particolare della lotta alla corruzione, ovveroL’elaborazione di uno specifico Codice di condotta per i parlamentari, anche rifacendosi alla adozione alla fine del 2011 di un medesimo testo nell’ambito del Parlamento europeo.

Il seminario, aperto dalla Vicepresidente della Camera, Marina Sereni, dalla deputata georgiana Chiora Taktakishvili, componente della Commissione regolamento dell’Assemblea CdE e dal Presidente della delegazione, Nicoletti, ha visto la partecipazione di esperti internazionali provenienti dall’OSCE e dai Paesi europei con una legislazione più avanzata in questa materia, come la Germania e la Scozia (Parlamento regionale), nonché di esperti e parlamentari italiani. Infine, il Ministro della Giustizia italiano, Orlando, ha svolto le considerazioni conclusive (Final Report of the Seminar on Codes of conduct for parliamentarians and the prevention of corruption).

Più recentemente, il Presidente Nicoletti ha partecipato anche al seminario parlamentare su “Trasparenza di funzionamento e responsabilità delle istituzioni elette”, organizzato a Istanbul il 26-27 marzo 2015 dal Parlamento turco e dall’Assemblea CdE.

Nel quadro dei suoi lavori, infine, l’Assemblea CdE ha recentemente adottato, nel febbraio 2015 tramite una modifica regolamentare, un proprio Codice di condotta applicabile ai membri della stessa Assemblea. Il testo adottato, in particolare, dispone delle specifiche procedure da seguire nei seguenti casi:

·        registrazione di doni di valore superiore ai 200 euro;

·        trasparenza e dichiarazione di interessi da parte dei parlamentari;

·        condotta dei parlamentari nel corso dei dibattiti in sessione plenaria;

·        condotta e dichiarazione di interessi dei parlamentari con incarico di relatore;

·        regole speciali per i Presidenti onorari dell’Assemblea;

·        regole speciali per i parlamentari onorari dell’Assemblea;

·        norme da seguire in occasione delle osservazioni elettorali.

Testi di riferimento

Adottati dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa

 

·        Risoluzione 1214 (2000) sulla lotta alla corruzione;

·        Raccomandazione 1516 (2001) sul finanziamento dei partiti politici;

·        Risoluzione 1492 (2006) su povertà e lotta alla corruzione nei Paesi membri;

·        Risoluzione 1703 (2010) e Raccomandazione 1896 (2010) sulla corruzione giudiziaria;

·        Risoluzione 1903 (2012) sulla deontologia dei membri dell’Assemblea CdE;

·        Risoluzione 1943 (2013) e Raccomandazione 2019 (2013) sulla corruzione come minaccia al primato del diritto.

 

Adottati dal Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d’Europa

 

·        Raccomandazione 60 (1999) sulla integrità politica degli eletti locali e regionali, con allegato il Codice di comportamento europeo relativo all'integrità politica degli eletti locali e regionali;

·        Risoluzione 79 (1999) sulla integrità politica degli eletti locali e regionali.

Risultati dell’attuazione del programma di azione del CdE

a)   I venti principi informatori della lotta contro la corruzione

Al termine di un approfondito lavoro teso a definire un quadro comune per le strategie nazionali di lotta alla corruzione, il Comitato dei Ministri ha adottato, con la Risoluzione (97) 24, i Venti principi informatori della lotta alla corruzione, che indicano i campi in cui si rende necessaria l’azione degli Stati, così da consentire l’attuazione di una strategia globale efficace contro la corruzione. Tali principi vertono in particolare sulla prevenzione della corruzione, la promozione di comportamenti etici, l’immunità, la libertà dei media, la trasparenza dei meccanismi decisionali, la revisione dei conti, i codici di buona condotta degli eletti, il finanziamento dei partiti politici e delle campagne elettorali, nonché su altri argomenti di attualità.

Se i Principi Informatori non costituiscono un testo giuridico vincolante, essi tuttavia portano il peso politico di chi li ha formulati, dal momento che si tratta di capi di stato e di governo. Un organo speciale, il GRECO, ha il compito di controllarne l’applicazione (si veda il paragrafo dedicato al GRECO).

 

b)  La Convenzione penale sulla corruzione (serie dei Trattati europei n. 173)

Tale convenzione è stata adottata nel novembre 1998. Ad oggi, essa conta 45 ratifiche e 5 firme non seguite da ratifica (l’Italia ha ratificato nel giugno 2013). È entrata in vigore il 1° luglio 2002.

Si tratta di uno dei trattati più complessi in questo settore. Essa prevede l’incriminazione, in base ad elementi comuni, di una vasta gamma di fatti di corruzione, tra i quali la corruzione attiva e passiva di funzionari pubblici nazionali, la corruzione di funzionari pubblici stranieri, di impiegati internazionali o sovranazionali, di membri dei parlamenti o di assemblee e di giudici, la corruzione attiva e passiva nel settore privato, il traffico di influenze, il riciclaggio dei proventi dei reati di corruzione e le infrazioni contabili commesse a fini di corruzione.

La Convenzione riguarda anche altre questioni di merito o di procedura, tra cui quelle relative alla competenza, quelle concernenti le sanzioni e misure, la  responsabilità delle persone giuridiche, la creazione di entità specializzate nella lotta contro la corruzione, la cooperazione tra le autorità incaricate di assicurare il rispetto della legge e la protezione dei testimoni. Infine, essa prevede un rafforzamento della cooperazione internazionale nel perseguimento degli atti di corruzione.

È opportuno rilevare come gli Stati non membri possono anch’essi aderire a tale convenzione. Ben inteso, le Parti alla convenzione sono automaticamente parti del GRECO e ne accettano il sistema dei seguiti.

 

c)   La Convenzione civile sulla corruzione (serie dei Trattati europei n. 174)

Adottata dal Consiglio dei Ministri il 9 settembre 1999, la Convenzione civile è stata aperta alla firma il 3 e 4 novembre 1999. Ad oggi, essa conta 35 ratifiche e 7 firme non seguite da ratifica (l’Italia ha ratificato nel giugno 2013). È entrata in vigore il 1° novembre 2003.

Partendo dalla constatazione che, in talune circostanze, il ricorso alle azioni di diritto civile si rivela utile per lottare contro alcune forme di corruzione, il CdE ha messo a punto una convenzione sulle azioni civili volte a ottenere l’indennizzo dei danni derivanti da atti di corruzione. Tale testo verte su questioni di merito e di procedura quali l’indennizzo dei danni, l’ottenimento delle prove, la responsabilità, le riparazioni non pecuniarie, la validità e l’effetto dei contratti, la trasparenza e la protezione di chi denunci fatti di corruzione.

Analogamente alla Convenzione penale sulla corruzione, gli Stati non membri hanno la possibilità di aderire alla Convenzione civile. Le Parti contraenti fanno automaticamente parte del GRECO e ne accettano d’ufficio il sistema dei controlli.

Il Modello di Codice di condotta per i dipendenti pubblici

L’obiettivo del Modello di Codice di condotta è triplice: definire il quadro deontologico nel quale si deve esercitare il pubblico impiego, determinare le regole di comportamento che i pubblici dipendenti debbono rispettare, ed informare il pubblico del comportamento che deve aspettarsi da parte dei pubblici dipendenti con i quali entra in contatto. Tale Modello di Codice, che è sia un documento pubblico che un messaggio rivolto singolarmente a ciascun pubblico dipendente, rispecchia e rafforza le regole di base relative alle azioni disoneste e di corruzione stabilite dalla legislazione penale, che, a sua volta, serve da base al codice.

Il Modello di Codice è presentato in allegato alla Raccomandazione R (2000) 10 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sui codici di condotta per i pubblici dipendenti, che è stato adottato dal Comitato dei Ministri nel maggio 2000.

Il Gruppo di Stati contro la corruzione (GRECO)

Il Gruppo di Stati contro la corruzione (GRECO) è un organismo istituito in seno al Consiglio d’Europa nel 1999 allo scopo di migliorare la capacità di contrasto alla corruzione da parte degli Stati che vi aderiscono.

Attualmente fanno parte del GRECO 49 Stati. L’adesione a tale organismo non è limitata ai soli membri del Consiglio d’Europa, ma anche ad altri Stati che hanno partecipato all’elaborazione dell’accordo istitutivo, come gli Stati Uniti. Inoltre, fanno automaticamente parte del GRECO medesimo tutti i Paesi che aderiscono alla Convenzione internazionale penale e civile sulla corruzione.

L’organizzazione e il funzionamento del GRECO sono disciplinati da uno Statuto e da un regolamento interno. Ciascuno Stato membro, per il tramite del Governo, designa due rappresentanti che hanno diritto di voto in seno alla assemblea plenaria. Attualmente, i componenti della delegazione italiana sono il dott. Raffele Piccirillo, magistrato, Direttore generale della giustizia penale del Ministero della Giustizia (Capo della delegazione), e il dott. Raffaele Cantone, magistrato, Presidente dell’Autorità nazionale anti-corruzione.

Il GRECO, inoltre, dispone di un Segretariato, diretto da un Segretario esecutivo, che è nominato dal Segretario generale del Consiglio d’Europa.

Le procedure di valutazione svolte dal GRECO

L’obiettivo della prevenzione e della lotta alla corruzione viene perseguito attraverso lo svolgimento di cicli di valutazione, tendenti a verificare se lo Stato membro preso in esame rispetti gli standard adottati dal Consiglio d’Europa in materia. Attraverso le sue valutazioni, il GRECO contribuisce a identificare, e conseguentemente a sanare, le lacune delle politiche nazionali nel settore della corruzione, invitando gli Stati ad adottare le riforme legislative e istituzionali all’uopo necessarie. Il GRECO, quindi, costituisce un importante forum per la condivisione delle migliori pratiche seguite dagli Stati in tale delicato ambito.

Le predette procedure di valutazione si svolgono attraverso: 1) la preliminare raccolta di informazioni che il GRECO acquisisce direttamente dallo Stato membro tramite le risposte che questo fornisce ai questionari, formulati dal GRECO stesso, sulle modalità di disciplina di specifici settori potenzialmente esposti a fenomeni corruttivi; 2) l’organizzazione di successive riunioni che si tengono presso il Paese membro, durante le quali un’apposita Commissione di valutazione, nominata dal GRECO, incontra i rappresentanti delle autorità nazionali nonché esponenti locali della società civile e dell’informazione per completare il quadro informativo concernente il settore oggetto di esame; 3) la predisposizione di un primo rapporto di valutazione che, nell’analizzare la situazione complessiva del Paese preso in considerazione, contiene normalmente talune raccomandazioni, con cui si invita lo Stato stesso ad apportare, entro un certo termine, specifiche modifiche o integrazioni agli ambiti della propria legislazione ritenuti non conformi alla normativa europea; 4) la redazione di un definitivo rapporto “di conformità”, con cui il GRECO valuta conclusivamente se le misure adottate dai singoli Paesi a seguito delle raccomandazioni formulate dalla Commissione rispettano i parametri richiesti dal Consiglio d’Europa.

Sinora il GRECO ha completato 3 cicli di valutazione e cioè quelli concernenti:

1)     l’indipendenza e la specializzazione degli organi nazionali impegnati nella prevenzione e la lotta contro la corruzione nonché dell’adeguatezza dei mezzi loro forniti (avviato nel 2000);

2)     l’identificazione, il sequestro e la confisca dei prodotti della corruzione. Pubblica amministrazione e corruzione (sistemi di controllo, conflitti di interessi). Impiego delle persone giuridiche per dissimulare le condotte corruttive. Legislazione fiscale e finanziaria volta a combattere la corruzione. Legami tra corruzione, criminalità organizzata e riciclaggio (avviato nel 2003);

3)    le incriminazioni previste dalla Convenzione penale sulla corruzione. La trasparenza del finanziamento ai partiti politici (avviato nel 2007).

Il ciclo di valutazione del GRECO per l’adozione di codici di condotta dei parlamentari

Il 1° gennaio 2012 il GRECO ha dato avvio al quarto ciclo di valutazione dei Paesi membri. Tale valutazione ha ad oggetto la “prevenzione della corruzione dei parlamentari, dei giudici e dei procuratori”, con particolare riguardo a:

1)     i principi etici e regole deontologiche;

2)     i conflitti di interesse;

3)     l’interdizione e limitazione dello svolgimento di determinate attività potenzialmente in contrasto con le funzioni parlamentari;

4)     le forme di pubblicità delle dichiarazioni patrimoniali e dei redditi dei parlamentari.

Secondo quanto appreso informalmente dal segretariato del GRECO, l’Italia sarà sottoposta a tale ciclo di valutazione nel corso del 2016.

Tra le principali domande contenute nel questionario inviato agli Stati membri, pare opportuno segnalare in questa sede quelle volte a conoscere:

1)     i principi etici e le regole deontologiche che i parlamentari nazionali sono tenuti a rispettare in base alla normativa vigente; nonché le procedure, i meccanismi e le sanzioni previste dall’ordinamento al fine di garantire il rispetto di tali regole;

2)     le disposizioni e le procedure volte a prevenire, e se del caso a risolvere, i conflitti di interessi dei parlamentari, eventualmente derivanti dallo svolgimento di particolari attività, anche da parte di familiari, o comunque nascenti dalla sussistenza di specifiche condizioni che possano menomare l’esercizio indipendente delle loro funzioni;

3)     la normativa che preveda l’interdizione o la limitazione per i parlamentari di:

-        accettare donazioni;

-        svolgere funzioni pubbliche o attività private in costanza dello svolgimento del mandato parlamentare o al termine dello stesso;

-        stipulare contratti con autorità statali, direttamente o per il tramite di società;

-        avere contatti con soggetti terzi che possano influenzare le loro decisioni e quindi condizionare il procedimento legislativo.

 

Nei numerosi rapporti di valutazione finora adottati nel corso del IV ciclo di valutazione, il GRECO ha frequentemente evidenziato la necessità che le istituzioni parlamentari dei Paesi membri si dotino effettivamente di codici deontologici indirizzati ai “rappresentanti della nazione”. Costoro, infatti, per la particolare rilevanza e delicatezza delle funzioni che svolgono, specialmente quelle legislative, appaiono potenzialmente molto esposti ai rischi di corruzione, di conflitti di interessi nonché al pericolo di indebite pressioni esercitate da terzi allo scopo di piegare lo svolgimento delle funzioni pubbliche a beneficio di particolari gruppi di interesse e non della collettività intera.

Negli stessi rapporti viene inoltre sottolineato come sia molto diffusa, nella maggioranza dei Paesi europei, la sfiducia dei cittadini verso le istituzioni politiche, ritenute sempre più inidonee a risolvere concretamente i problemi economici e sociali delle popolazioni. Da questo punto di vista, l’adozione di codici di condotta per i parlamentari – favorendo la trasparenza del processo decisionale pubblico, la prevenzione e la risoluzione dei conflitti di interesse cui possono andare incontro i principali artefici di tale processo e incentivando l’integrità, l’onestà e la responsabilità dell’agire dei parlamentari – viene ritenuta dal GRECO come uno dei principali strumenti che può contribuire a recuperare la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni rappresentative e della politica.

In base a quanto risulta dai rapporti di valutazione sinora eseguiti nell’ambito del IV ciclo, il GRECO ha sempre stigmatizzato l’assenza di codici etici rivolti ai parlamentari e ha costantemente raccomandato ai Paesi membri, sottoposti ad esame, di adottarne uno (o comunque a darvi concreta attuazione con specifiche disposizioni di esecuzione) mediante la fonte normativa ritenuta più idonea. Al momento, i seguenti Stati sono stati invitati a sanare le predette lacune:

-        Albania;

-        Bulgaria;

-        Croazia;

-        Danimarca;

-        Estonia;

-        Finlandia;

-        Irlanda (sotto il profilo della necessità di formulare un quadro normativo più organico, completo e coerente rispetto a quello frammentato attualmente vigente) ;

-        Islanda;

-        Repubblica slovacca;

-        Slovenia;

-        Spagna;

-        Svezia;

-        Macedonia.

 

Invece, gli Stati che hanno già adottato i codici deontologici per i parlamentari sono i seguenti:

-       Belgio (è tuttavia sottolineata la necessità di regolamentare il regime delle donazioni ai parlamentari e dei contatti con i lobbisti)

-       Francia (è tuttavia segnalata la necessità: a) di estendere tale codice ai senatori; b) di prevedere i casi in cui il parlamentare debba dichiarare il conflitto di interessi nel caso concreto e astenersi dal prendere parte al resto del processo decisionale);

-       Germania (è tuttavia segnalata la necessità di prevedere i casi in cui il parlamentare debba dichiarare il conflitto di interessi nel caso concreto e astenersi dal prendere parte al resto del processo decisionale);

-       Lettonia (è tuttavia segnalata la necessità di regolare il rapporto dei parlamentari con i lobbisti);

-       Lituania (è tuttavia segnalata la necessità di regolare il rapporto dei parlamentari con i lobbisti);

-       Olanda;

-       Norvegia (è tuttavia segnalata la necessità: a) di regolare il rapporto dei parlamentari con i lobbisti; b) di prevedere i casi in cui il parlamentare debba dichiarare il conflitto di interessi nel caso concreto e astenersi dal prendere parte al resto del processo decisionale);

-       Polonia (è tuttavia segnalata la necessità: a) di estendere tale codice ai senatori; b) regolare il rapporto dei parlamentari coi lobbisti; c) potenziare la disciplina sul conflitto di interessi);

-       Gran Bretagna.



[1] La riforma del titolo V della Costituzione ha abrogato gli articoli della Costituzione che prevedevano, nelle regioni a statuto ordinario, la figura del Commissario del Governo. L’art. 10 della legge 5 giugno 2003, n. 131, attribuisce, in tutte le Regioni a statuto ordinario, al Rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie le funzioni già esercitate dal Commissario del Governo, con l’eccezione di alcune di esse, soppresse con la riforma costituzionale ricordata.

[2]  E’ in corso di esame alla Camera una proposta di legge (già approvata dal Senato) in materia di candidabilità, eleggibilità e ricollocamento dei magistrati (A.C. 2188).

[3] Per un’analisi giuridica del Codice deontologico adottato dall’Assemblea nazionale si segnala il saggio di Marc Deschamps, Quand la déontologie fait son entrée officielle à l’Assemblée nationale…des questions juridiques et institutionnelles surgissent (aprile 2011), pubblicato sul sito del Gruppo di ricerca GREDEG del CNRS francese e dell’università di Nice Sophia Antipolis (GREDEG-CNRS).

[4] Il primo deontologo dell’Assemblea nazionale è stato Jean Gicquel (15 giugno 2011- 10 ottobre 2012); il secondo deontologo, è stato Mme Noëlle Lenoir ( 10 ottobre 2012-16 aprile 2014).

[5] L’art. 4 della Decisione definisce i conflitti come “una situazione d’interferenza tra i doveri del deputato e un interesse privato che, per sua natura e sua intensità, può ragionevolmente essere ritenuto in grado di influenzare, anche solo apparentemente, l’esercizio delle sue funzioni parlamentari”.

[6] Standards in Public Life: First Report of the Committee on Standards in Public Life, Chairman Lord Nolan (Vol. 1: Report, Cm 2850-1, May 1995).

[7] Si tratta dei fondamentali principi di selflessness, integrity, objectivity, accountability, openness, honesty, leadership.

[8] Nella definizione riportata nella Risoluzione approvata dalla Camera dei Comuni il 15 luglio del 1947 ed emendata il 6 novembre 1995, la advocacy rule è così individuata:

It is inconsistent with the dignity of the House, with the duty of a Member to his constituents, and with the maintenance of the privilege of freedom of speech, for anyMember of this House to enter into any contractual agreement with an outside body, controlling or limiting the Member's complete independence and freedom of action in Parliament or stipulating that he shall act in any way as the representative of such outside body in regard to any matters to be transacted in Parliament; the duty of a Member being to his constituents and to the country as a whole, rather than to any particular section thereof: and that in particular no Members of the House shall, in consideration of any remuneration, fee, payment, or reward or benefit in kind, direct or indirect, which the Member or any member of his or her family has received is receiving or expects to receiveadvocate or initiate any cause or matter on behalf of any outside body or individual, or urge any other Member of either House of Parliament, including Ministers, to do so, by means of any speech, Question, Motion, introduction of a Bill or Amendment to a Motion or a Bill”.

[9] Code of Conduct together with the Guide to the Rules relating to the conduct of members, aggiornato il 17 marzo 2015. Il testo vigente, come aggiornato, prevede l’applicazione delle regole deontologiche ai membri della Camera relativamente “a tutti gli aspetti della loro vita pubblica”, senza che abbia rilevanza ciò che i “membri fanno nella loro vita eslcusivamente private e personale (par. 2 del Codice).

[10] Alla Camera dei Comuni sono stati istituiti, precisamente, quattro distinti Registers of Interests, riservati rispettivamente ai parlamentari, ai loro collaboratori, ai giornalisti della stampa parlamentare e ai gruppi parlamentari (All Party Groups).

[11] Finalità della legge del 2009, espressamente dichiarata nei documenti preparatori, è quella di ripristinare le basi della fiducia dei cittadini verso il Parlamento, ponendo limiti all’autonomia di questo suo ramo (per quel che attiene alla disciplina di talune prerogative dei suoi membri) senza con ciò aprire indiscriminatamente la via alla cognizione del giudice ordinario sulla materia.

[12] Caso Hoon v. United Kingdom (2014). Il ricorso riguardava, in particolare, i provvedimenti adottati dalla Camera dei Comuni nei confronti di un ex membro (che aveva ricoperto anche la carica di Segretario di Stato per la Difesa), a seguito della diffusione di un’inchiesta giornalistica da cui erano emersi i suoi propositi di accettare incarichi privati retribuiti di consulenza in materie connesse alla precedente attività politico-parlamentare.

[13] In epoca contemporanea, la sanzione della expulsion è stata applicata dalla Camera dei Comuni tre volte: nel 1922, nel 1947 e nel 1953. Secondo l’opinione emersa in seno al Committee on Standards and Privileges, il ricorso raro ed episodico a questa misura appare motivato dal suo carattere estremo e dalla cautela verso provvedimenti suscettibili di interferire con le scelte dell’elettorato. Il relativo procedimento, inoltre, presenterebbe aspetti di dubbia compatibilità con lo Human Rights Act 1998, come rilevato già nel 1999 dal Joint Committee on Parliamentary Privilege.

[14] Mette conto segnalare che, con risoluzione adottata nel 2003, è stata introdotta alla Camera dei Comuni la misura disciplinare della sospensione dell’indennità corrisposta ai suoi componenti.

[15] Si veda la relazione del Governo Recall of MPs Draft Bill, pubblicata nel dicembre 2011. Le valutazioni del Political and Constitutional Committee della Camera dei Comuni sono esposte nella relazione pubblicata il 18 ottobre 2012, Recall of MPs: Government Response to the Committee's - First Report of Session 2012-13.

[16] La legge ha ricevuto il Royal Assent il 26 marzo 2015 ed è entrata immediatamente in vigore, salvo alcune minori disposizioni per le quali è prevista l’adozione di normative ministeriali di attuazione.

[17] La legge, all’art. 9, detta la formula della petizione sottoposta agli elettori: “By signing in the box below, you are signing a petition for [name of the MP], the MP for [name of constituency], to lose [his/her] seat in the House of Commons, and for a by-election to be held to decide who should be the MP for that constituency. The loss of [his/her] seat does not prevent the MP standing in this by-election.”

[18] Un potenziamento delle prerogative del Committee si è avuto con l’approvazione dello Ethics Reform Act del 1989, che lo ha dotato di più incisivi poteri soprattutto con riferimento agli obblighi di trasparenza finanziaria posti sui membri e sui dipendenti della Camera.

[19] Si tratta del cosiddetto Hiss Act (dal nome di un funzionario federale condannato per aver comunicato informazioni riservate a potenze straniere), approvato nel 1954 e consolidato nello 5 U.S.C. §§ 8311 et seq.

[20] Office of Congressional Ethics Code of Conduct (2011).

[21] Si tratta delle Rules for the conduct of investigations, nella versione aggiornata al gennaio 2013.