Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Protezione internazionale e diritto d'asilo - A.C. 327 ' A.C. 944 ' A.C. 1444 - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 327/XVII   AC N. 944/XVII
AC N. 1444/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 91
Data: 21/11/2013
Descrittori:
ASILO POLITICO   PROFUGHI E RIFUGIATI
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Protezione internazionale e diritto d’asilo

A.C. 327 – A.C. 944 – A.C. 1444

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 91

 

 

 

20 novembre 2013

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento istituzioni

( 066760-9475 / 066760-3855– * st_istituzioni@camera.it

 

 

 

 

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File: ac0228.doc

 


INDICE

Schede di lettura

Premessa  3

§  Il diritto di asilo  4

§  La protezione internazionale  6

L’attività parlamentare nelle precedenti legislature  11

Le proposte di legge in esame  13

§  Finalità e definizioni 13

§  Condizioni per il riconoscimento e la cessazione della protezione internazionale  17

§  Procedure per il riconoscimento della protezione  23

§  Procedure di ricorso  39

§  Contenuto della protezione internazionale e misure di accoglienza  42

§  Disposizioni finali 62

 


SIWEB

Schede di lettura

 


Premessa

Le proposte di legge in esame, A.C. 327 (Giacomelli ed altri), A.C. 944 (Migliore ed altri) e A.C. 1444 (Di salvo ed altri) introducono una disciplina del diritto di asilo, in attuazione dell’articolo 10, terzo comma, della Costituzione e nel rispetto delle convenzioni internazionali, cui si fa riferimento nell’articolo 1 di entrambe le proposte.

A differenza della proposta di legge 1444 che è esclusivamente finalizzata ad introdurre il diritto di asilo e ad estenderlo esplicitamente alle vittime di violenza a causa della appartenenza al sesso femminile o al proprio orientamento sessuale, le proposte 327 e 944 modificano la disciplina della protezione internazionale (ossia dello status di rifugiato e di beneficiario di protezione sussidiaria) anche se con modalità diverse.

 

Nella proposta A.C. 327 il diritto di asilo è inserito in una regolamentazione organica dell’istituto della protezione internazionale. Si tratta di una sorta di testo unico che raccoglie e, in parte, modifica le diverse disposizioni vigenti, in larga parte di origine comunitaria, che disciplinano il riconoscimento e lo status di protezione internazionale, estendendone espressamente l’applicazione al diritto di asilo, che ne diviene così una categoria. Le disposizioni fatte confluire nel provvedimento sono di conseguenza esplicitamente abrogate.

Invece, la proposta A.C. 944 interpreta l’istituto del diritto di asilo come una unica categoria, comprendente sia la protezione internazionale, sia il diritto di asilo vero e proprio. Introduce poi una regolamentazione comune ai due istituti, senza abrogare esplicitamente le disposizioni vigenti in materia di protezione internazionale, che tuttavia si devono intendere superate, ma solo in parte, dalla nuova disciplina.

Si deve a questo punto osservare che entrambe le proposte intervengono su una materia destinata, come si dirà più oltre, a mutare a breve in quanto la normativa comunitaria - che ne costituisce il presupposto – è stata modificata di recente. Di queste modifiche la proposta A.C. 327 tiene presente solamente quella operata dalla direttiva 2011/95/UE, la cui attuazione è richiamata esplicitamente nel titolo della proposta di legge.

Le altre modifiche sono successive al marzo 2013 (data di presentazione della proposta di legge) anche se le nuove norme erano già in stato avanzato di elaborazione (si tratta delle direttive 2013/32 e 2013/33).

Per la direttiva 2011/95 è attualmente in corso il termine della delega al Governo per il recepimento (da attuare entro il 21 dicembre 2013), contenuta nella legge 96/2013, legge di delegazione 2013. Inoltre, il Consiglio dei ministri dell’8 novembre 2013 ha approvato il nuovo disegno di legge di delegazione europea, riferito al secondo semestre 2013, che, oltre ad autorizzare il recepimento delle altre due direttive sopra citate (la 32 e la 33 del 2013, da attuare entro il 20 luglio 2015), reca la delega al Governo per la predisposizione di un testo unico in materia di protezione internazionale, entro un anno dall’entrata in vigore dei decreti legislativi di attuazione delle due direttive, al fine di riordinare le normative di derivazione europea sull’attribuzione a cittadini di Paesi terzi all’Unione Europea della protezione internazionale e sul diritto di asilo.

 

Quindi, le proposte in esame, oltre ad incidere sull’istituto della protezione internazionale, regolato da fonti comunitarie, intervengono anche sul diritto di asilo, materia non contemplata dalle nuove direttive comunitarie. Tuttavia, tali direttive prevedono, come di consueto, una clausola di maggior favore, che consente agli Stati membri di introdurre o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli in ordine alla determinazione dei soggetti che possono essere considerati rifugiati o protetti sussidiari e del loro “status“ (art. 3 dir. 2011/95 “rifusione qualifiche”).

 

Tale principio è stato interpretato dalla giurisprudenza comunitaria nel senso che gli Stati membri possono riconoscere un diritto d’asilo in forza del loro diritto nazionale ad una persona esclusa dallo status di rifugiato, purché quest’altro tipo di protezione non comporti un rischio di confusione con lo status di rifugiato (Corte di giustizia delle Comunità europee, Grande Sezione, sent. 9 novembre 2010, C57/09 e C101/09).

 

Inoltre, si segnala che la nuova direttiva “procedure” 2013/32 prevede espressamente la possibilità, a discrezione del legislatore nazionale, di estendere l’applicazione della direttiva anche ai procedimenti finalizzati all’esame di domande volte a ottenere forme di protezione diverse da quelle indicate dalla direttiva 2011/95 (status di rifugiato e protezione sussidiaria).

 

L’A.C. 327 riprende l’impianto e, in larga parte, il contenuto della proposta di legge A.C. 5621 (anch’essa a firma Giacomelli ed altri) presentata nello scorcio della scorsa legislatura e di cui non è iniziato l’esame.

L’A.C. 944 riproduce pressoché integralmente il testo di una proposta di legge A.C. 1238 (Pisapia ed altri) presentata e discussa nella XIV legislatura (si veda oltre il paragrafo su L’attività parlamentare nelle precedenti legislature).

Il diritto di asilo

Il diritto di asilo è tra i diritti fondamentali dell’uomo ed è riconosciuto dall’articolo 10, terzo comma, della Costituzione allo straniero al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, secondo le condizioni stabilite dalla legge.

Anche se i due termini sono spesso usati come sinonimi, l’istituto del diritto di asilo non coincide con quello del riconoscimento dello status di rifugiato. Per quest’ultimo non è sufficiente, per ottenere accoglienza in altro Paese, che nel Paese di origine siano generalmente represse le libertà fondamentali, ma occorre che il singolo richiedente abbia subito specifici atti di persecuzione.

Il dettato costituzionale sul diritto di asilo non è ancora stato attuato: manca una legge organica che ne stabilisca le condizioni di esercizio, anche se la giurisprudenza ha stabilito la possibilità di riconoscere il diritto di asilo allo straniero pur in assenza di una disciplina apposita.

Il riconoscimento dello status di rifugiato è, invece, entrato nel nostro ordinamento con l’adesione alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 (ratificata con la legge 722/1954) ed è regolato essenzialmente da fonti di rango comunitario (vedi oltre il paragrafo La protezione internazionale).

 

Per lungo tempo il dibattito dottrinale e l’esperienza giurisprudenziale in materia di asilo si sono svolti attorno a due questioni centrali riguardanti la natura immediatamente precettiva o solamente programmatica del dettato costituzionale e l’identità o meno tra il concetto (e la regolamentazione) di asilo costituzionale e di rifugio convenzionale.

Una svolta si ha nel 1997 con una importante sentenza delle sezioni unite della Cassazione che ha affermato la valenza precettiva della disposizione costituzionale in quanto “l'art. 10, terzo comma, Cost. attribuisce direttamente allo straniero il quale si trovi nella situazione descritta da tale norma un vero e proprio diritto soggettivo all'ottenimento dell'asilo, anche in mancanza di una legge che, del diritto stesso, specifichi le condizioni di esercizio e le modalità di godimento”. Inoltre, stante la mancanza di una specifica normativa di attuazione del precetto dell'art. 10, terzo comma, Cost., per la Suprema Corte non è possibile applicare all’asilo politico la normativa che disciplina il riconoscimento dello status di rifugiato in quanto il precetto costituzionale e la normativa sui rifugiati politici “non coincidono dal punto di vista soggettivo, perché la categoria dei rifugiati politici è meno ampia di quella degli aventi diritto all'asilo, in quanto la citata Convenzione di Ginevra prevede quale fattore determinante per la individuazione del rifugiato, se non la persecuzione in concreto, un fondato timore di essere perseguitato, cioè un requisito che non è considerato necessario dall'art. 10, terzo comma, Cost. (Cass. Sent. 4674/1997).

A partire dalla fine degli anni ’90, tale indirizzo giurisprudenziale viene costantemente ribadito dalla giurisprudenza ordinaria (si veda tra l’altro Cass. s.u. sent. 907/1999) fino al 2004, quando si registra un deciso mutamento di orientamento. Con la sentenza 8423 del 2004, la I sezione civile della Cassazione, pur riconoscendo le sostanziali differenze tra i due istituti, ha affermato che essi sono comunque da accomunare sotto il profilo procedurale.

Tale nuovo orientamento è stato rafforzato dalla Cassazione (sentenza 25028 del 2005) e successivamente confermato in diverse pronunce, da ultimo nell’ordinanza 10686 del 2012 dove afferma che: “il diritto di asilo è oggi [...] interamente attuato e regolato, attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti di protezione, ad opera della esaustiva normativa di cui al d.lgs. 251 del 2007 (adottato in attuazione della direttiva 2004/83/CE) e dell'art. 5 c. 6 del T.U. approvato con d.lgs. 286 del 1998, sì chè non si scorge alcun margine di residuale diretta applicazione della norma costituzionale”.

La protezione internazionale

Il recepimento della normativa comunitaria

La determinazione della politica in materia di rifugiati dei Paesi dell’Unione europea è da tempo prevalentemente di competenza comunitaria.

L’Italia ha provveduto ad adeguare l’ordinamento interno alla normativa europea nella XV legislatura, principalmente con il decreto legislativo 251/2007 e con il decreto legislativo 25/2008; il primo di recepimento della direttiva 2004/83/CE (direttiva “qualifiche”), il secondo della direttiva 2005/85/CE (direttiva “procedure”).

Nella XVI legislatura il procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato è stato modificato in più punti dal D.Lgs. 159/2008, parte integrante del “pacchetto sicurezza”.

E’ attualmente in corso l’adeguamento al nuovo pacchetto asilo dell’Unione europea la cui definizione è stata completata nel 2013.

La legge di delegazione europea 2013 (L. 96/2013) reca una delega per il recepimento della nuova direttiva “qualifiche” del 2011 (dir. 2011/95/UE adottata in sostituzione della dir. 2004/83/CE) che dovrà essere esercitata entro il 21 dicembre 2013.

Completano il pacchetto asilo diversi altri provvedimenti, tra cui la nuova direttiva “accoglienza” e la nuova direttiva “procedure” che assieme alla “qualifiche” costituiscono la base normativa in materia. Come si è anticipato sopra, il recepimento di questi due atti (il cui termine è fissato al luglio 2015) è previsto dal disegno di legge di delegazione europea relativa al secondo semestre 2013 approvato dal Consiglio dei ministri l’8 novembre 2013.

Peraltro, la legge di delegazione 2013 reca anche una delega per il recepimento della direttiva 2011/51/UE, che interviene su un aspetto specifico, ossia l’estensione del diritto all’ottenimento del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, ai titolari di protezione internazionale, attraverso la modifica della direttiva 2003/109/CE. Il termine per il recepimento della direttiva è scaduto il 20 maggio 2013 e la Commissione ha aperto una procedura di infrazione per mancato recepimento ai sensi dell'articolo 258 del Trattato (procedura n. 2013/0276 del 25 luglio 2013). Il Governo ha trasmesso alle Camere uno schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva per il parere della Commissioni competenti.

Per alcuni aspetti particolari, anche la legge europea 2013 (L. 97/2013) interviene in materia di protezione internazionale, prevedendo, in caso di massiccio afflusso di richiedenti asilo, la costituzione di sezioni composte dai membri supplenti delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale (art. 30). Inoltre, viene esteso, tra gli altri, anche ai titolari di protezione sussidiaria l’accesso ai posti di lavoro presso le pubbliche amministrazioni (art. 7); la disposizione è finalizzata a risolvere due procedure di contenzioso aperte dalla Commissione: casi EU Pilot n. 1769/11/JUST e n. 2368/11/HOME.

Il Sistema europeo comune di asilo

Dalla fine degli anni ’90 dello scorso secolo, l’Unione europea è impegnata nell’armonizzazione delle disposizioni nazionali in materia di rifugiati attraverso la creazione di un Sistema europeo comune di asilo (CEAS) finalizzato a assicurare un approccio comune degli Stati membri in materia per garantire elevati standard di protezione per i rifugiati.

Nella prima fase di elaborazione del sistema comune, tra il 1999 e il 2005, sono stati adottati diversi provvedimenti legislativi recanti norme minime comuni che costituiscono tuttora la base normativa in materia. Altrettanto importante è stato il rafforzamento della solidarietà finanziaria con la creazione del Fondo europeo per i rifugiati.

I principi fondamentali in materia di asilo sono contenuti nella citata Convezione di Ginevra del 1951 che definisce, tra l’altro, i requisiti per accedere allo status di rifugiato. A tale Convenzione rinvia l’art. 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione dell’Unione europea – che dal dicembre 2009, con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, ha lo stesso effetto giuridico vincolante dei trattati dell’Unione - e l’art.78 TFUE, per la determinazione dei principi fondamentali in materia di asilo e per la definizione dei requisiti per accedere allo status di rifugiato.

 

I principali atti normativi del Sistema comune sono:

§  il c.d. regolamento Dublino II (Reg. (UE) n. 343/2003, così denominato perché adottato in sostituzione della Convenzione di Dublino) relativo alla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo;

§  la direttiva accoglienza recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri (dir. 2003/9/CE del 27 gennaio 2003 recepita dall’ordinamento italiano con il decreto legislativo 140/2005);

§  la direttiva procedure che disciplina il procedimento per l’attribuzione (e la revoca) dello status di rifugiato (dir. 2005/85/CE del 1° dicembre 2005 recepita con il decreto legislativo 25/2008);

§  la direttiva qualifiche che introduce norme minime comuni sull’attribuzione della qualifica di rifugiato e sul contenuto della protezione riconosciuta (dir. 2004/83/CE del 26 aprile 2004 recepita dal decreto legislativo 251/2007);

§  la direttiva protezione temporanea: dir. 2001/55/CE del 20 Luglio 2001 (recepita con il decreto legislativo 85/2003) in caso di afflusso massiccio di sfollati.

 

Anche nel sistema c.d. Schengen, l’art. 3 del regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) reca un’espressa clausola di salvaguardia dei diritti dei rifugiati e di coloro che richiedono protezione internazionale, in particolare per quanto concerne il non respingimento.

 

Sulla materia è frequentemente intervenuta la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, secondo la quale “la politica comune nel settore dell’asilo costituisce un elemento fondamentale dell’obiettivo dell’Unione europea di istituire progressivamente uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia aperto a quanti spinti dalle circostanze cercano legittimamente protezione nell’Unione” e “il sistema europeo comune di asilo è fondato sull’applicazione in ogni sua componente della Convenzione di Ginevra e sulla garanzia che nessuno sarà rispedito in luogo in cui rischia di essere nuovamente perseguitato” (CGUE 21 dicembre 2011 n.140). Secondo la Corte, il sistema europeo comune di asilo è “concepito in un contesto che permette di supporre che l’insieme degli Stati partecipanti, siano essi Stati membri o paesi terzi, rispetti i diritti fondamentali, compresi i diritti che trovano fondamento nella Convenzione di Ginevra e nel Protocollo del 1967, nonché nella CEDU, e che gli Stati membri possono fidarsi reciprocamente a tale riguardo” (sent. cit.).

In tale giurisprudenza il citato art. 18 è richiamato anche in relazione all’art. 4 della stessa Carta, recante divieto di tortura e pene degradanti, se il respingimento dei richiedenti asilo può dar luogo a violazione di tale divieto (si veda da ultimo, CGUE Grande Sezione, 14 novembre 2013,[1] sull’interpretazione delle disposizioni in tema di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo del regolamento cd Dublino II). Del resto, anche l’art. 33 della Convenzione di Ginevra stabilisce il divieto per gli Stati di espellere o respingere, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.

Nel contesto in cui è collocato il sistema europeo comune di asilo, rileva anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che pur avendo osservato che né la Convenzione né i suoi Protocolli sanciscono il diritto all’asilo politico (Vilvarajah ed altri c. Regno Unito, 30 ottobre 1991 e Ahmed c. Austria, 17 dicembre 1996), tuttavia ha notato che “l’espulsione, l’estradizione ed ogni altra misura di allontanamento di uno straniero da parte di uno Stato contraente possono sollevare un problema sotto il profilo dell’articolo 3 CEDU” che vieta agli Stati contraenti di sottoporre individui a trattamenti inumani o degradanti. Ciò chiama in causa la responsabilità degli Stati ai sensi della Convenzione, “quando esistano motivi seri ed accertati per ritenere che l’interessato, se espulso verso il paese di destinazione, vi correrà il rischio reale di essere sottoposto ad un trattamento contrario all’articolo 3. In questo caso, l’articolo 3 implica l’obbligo di non espellere la persona in questione verso quel paese” (Vilvarajah ed altri, citata, Ahmed, citata; H.L.R. c. Francia, 29 aprile 1997, Salah Sheekh c. Paesi Bassi, 11 gennaio 2007, nonché Saadi c. Italia [GC], 28 febbraio 2008). Da ultimo, tali principi sono stati ribaditi anche nel caso di respingimento di richiedente asilo da parte di Stato dell’Unione europea verso altro Stato dell’Unione (M.S.S. c. Belgio e Grecia del 21 gennaio 2011).

 

Verso una nuova fase della politica europea

Dopo il completamento della prima fase, si è aperta una riflessione sugli ulteriori sviluppi del sistema comune. Il Libro verde del 2007 è stato la base per una consultazione pubblica che ha portato all’elaborazione, da parte della Commissione, del Piano d'azione in materia di asilo, presentato nel giugno 2008, e all’aggiornamento della normativa, al fine di individuare norme più flessibili, eque ed efficaci e di consolidare una vera e propria politica comune in materia di rifugiati. Infatti, come rilevato da una ricerca dell’European Council on Refugees and Exiles (ECRE) del settembre 2013[2], persistono ancora notevoli differenze normative e di prassi tra i Paesi membri.

La seconda fase si è chiusa nel 2013 con la definitiva approvazione di nuovi provvedimenti, in sostituzione dei precedenti.

In particolare, nel 2011 è stata approvata la nuova direttiva qualifiche e nel giugno 2013 gli altri provvedimenti. Alcuni di questi (i regolamenti) sono automaticamente recepiti negli ordinamenti interni, mentre altri (le direttive) dovranno essere attuati dagli Stati membri mediante l’adozione di specifici atti normativi nazionali.

I nuovi provvedimenti destinati a riformare l’intera disciplina sono i seguenti:

§  il regolamento Dublino III Reg. (UE) n. 604/2013 del 26 giugno 2013 in sostituzione del Dublino II (applicazione dal 1° gennaio 2014);

§  la nuova direttiva accoglienza: dir. 2013/33/UE del 26 giugno 2013 (termine per il recepimento 20 luglio 2015);

§  la nuova direttiva procedure: dir. 2013/32/UE del 26 giugno 2013 (termine per il recepimento 20 luglio 2015);

§  la nuova direttiva qualifiche: dir. 2011/95/UE del 13 dicembre 2011 (termine per il recepimento 21 dicembre 2013).

Completano il quadro della disciplina:

§  il nuovo regolamento EURODAC per il confronto delle impronte digitali al fine dell’applicazione del regolamento Dublino: Reg. (UE) n. 603/2013 del 26 giugno 2013, che sostituisce il Reg. (UE) n. 2725/2000;

§  il regolamento EASO che istituisce l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo: Reg (UE) n. 439/2010 del19 maggio 2010.


L’attività parlamentare nelle precedenti legislature

Si ricorda che alcune proposte di legge organica sul diritto d’asilo sono all’attenzione del Parlamento fin dal 1997.

 

Nel settembre 1997 (XIII legislatura), la 1ª Commissione del Senato avviava l’esame di un disegno di legge governativo e di due proposte di legge di iniziativa parlamentare in materia di protezione umanitaria e di diritto di asilo. Il 5 novembre 1998, il Senato approvava in un testo unificato (A.S. 203 e abb.) le tre proposte di legge, trasmettendole alla Camera dei deputati (A.C. 5381 e abb.).

Obiettivo del provvedimento era quello di completare la riforma della disciplina relativa alla condizione dello straniero operata in larga parte dalla L. 40/1998 (la cosiddetta “legge Turco-Napolitano”) e dal testo unico approvato con il D.Lgs. 286/1998 che avevano sostituito la legislazione precedente, la citata “legge Martelli”, ad eccezione, appunto, della parte in cui viene regolato il diritto di asilo.

La Camera iniziava l’esame del testo unificato (unitamente a quattro proposte di iniziativa parlamentare) nel luglio 1999, approvandolo con modificazioni nella seduta del 7 marzo 2001. Nuovamente trasmesso al Senato (A.S. 203-B), il provvedimento non concludeva il suo iter a causa della fine della legislatura.

 

Il disegno di legge dettava alcune disposizioni di carattere generale, riconoscendo il diritto di asilo e il principio della protezione umanitaria su base individuale in conformità ai princìpi dell’ordinamento costituzionale e delle convenzioni internazionali cui l’Italia aderisce, e definendo i titolari del diritto di asilo. Il progetto recava inoltre disposizioni specifiche riguardanti sia le procedure per la presentazione e l’esame della domanda di asilo sia l’assistenza temporanea ai richiedenti asilo, e definiva il quadro dei diritti riconosciuti a quanti avessero ottenuto il riconoscimento di tale diritto.

 

L’esame parlamentare riprendeva nella XIV legislatura, il 6 marzo 2003, presso la I Commissione della Camera, con l’avvio della discussione congiunta di tre proposte di legge di iniziativa parlamentare (A.C. 1554, on Trantino ed altri; A.C. 1738, on. Soda ed altri; A.C. 1238, on. Pisapia ed altri). Le prime due proposte di legge riproducevano, nella sostanza, il testo del progetto di legge esaminato nella precedente legislatura; la terza, pur mantenendone l’impianto, se ne differenziava sotto alcuni profili.

Nel corso dell’esame in sede referente sono state abbinate tre ulteriori proposte di legge (A.C. 3847 Buffo ed altri, A.C. 3857 Mascia ed altri, A.C. 3883 Piscitello).

Nella seduta dell’11 maggio 2004, la I Commissione ha licenziato per l’Assemblea un testo unificato, volto a definire una disciplina organica del diritto di asilo (A.C. 1238 e abb.-A). La discussione in Assemblea, peraltro, non è andata oltre la prima seduta (12 luglio 2004), nel corso della quale si è svolta la discussione generale.

 

Il testo unificato elaborato dalla Commissione era volto ad attuare l’art. 10 Cost., che garantisce il diritto all’asilo politico, e contestualmente a dare esecuzione alle convenzioni internazionali in materia, tentando di conciliare il tema della sicurezza con quello dell’accoglienza.

In particolare, la proposta individuava i titolari del diritto di asilo; definiva la composizione e i compiti delle Commissioni territoriali e della Commissione centrale per il riconoscimento del diritto di asilo; individuava in dettaglio le modalità per la presentazione e l’esame delle domande di asilo; stabiliva misure di assistenza e di integrazione in favore dei soggetti richiedenti asilo e specificava i diritti spettanti ai rifugiati.

I punti caratterizzanti del testo erano i seguenti:

-    il riconoscimento del diritto di asilo non soltanto a coloro che sono qualificati come rifugiati secondo le Convenzioni internazionali, ma anche a tutti coloro ai quali nel loro paese di origine sono conculcate le libertà democratiche, ossia a coloro cui è impedito l’effettivo esercizio del diritto di espressione e di libertà politiche e democratiche;

-    l’estensione dei diritto di asilo anche al coniuge e al convivente;

-    la costituzione di commissioni competenti ad esaminare le domande di asilo articolate sul territorio che garantiscono tempi più rapidi rispetto alla commissione unica nazionale;

-    la garanzia ai richiedenti l’asilo dell’assistenza tecnico-giuridica e di tempi ragionevoli per l’esame della domanda;

-    la disciplina dei centri di identificazione e introduzione della convalida da parte dell’autorità giudiziaria nel caso di trattenimento dei richiedenti asilo;

-    la possibilità di ricorrere davanti all’autorità giudiziaria in caso di rigetto della domanda.

 

Nella XV legislatura, la I Commissione (Affari costituzionali) della Camera ha avviato il 13 giugno 2007 l’esame di sei proposte di legge, tutte di iniziativa parlamentare, in materia di protezione umanitaria e diritto di asilo.

Ad esse sono state dedicate sei sedute in sede referente nei mesi di giugno e luglio, senza pervenire alla loro approvazione, né alla redazione di un testo unificato.

Nell’ultima seduta dedicata alle proposte, il 24 luglio 2007, il rappresentante del Governo ha annunciato l’imminente presentazione alle Camere di due schemi di decreti legislativi di recepimento di altrettante direttive comunitarie sui rifugiati. I due provvedimenti, i cui contenuti coincidono in parte con le proposte di legge, sono stati effettivamente trasmessi al Parlamento nel successivo mese di agosto e sono stati successivamente emanati tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008 (D.Lgs. n. 251/2007 e 25/2008).

 


Le proposte di legge in esame

Finalità e definizioni

L'articolo 1 della proposta di legge A.C. 944 reca una disposizione di carattere generale, a norma della quale la Repubblica è chiamata a garantire il diritto di asilo e il principio della protezione umanitaria in attuazione dell’articolo 10 della Costituzione e in conformità alle convenzioni e agli accordi internazionali cui l'Italia aderisce.

Una disposizione analoga è recata all’articolo 1, comma 1, della pdl A.C. 327, dove si individuano, tra le finalità del provvedimento, la disciplina organica (oltre che della condizione di rifugiato e della protezione sussidiaria) del diritto di asilo, in attuazione dell’articolo 10 Cost., come definita dal successivo articolo 5.

Di particolare rilievo è una disposizione di principio recata dal comma 2 dell’A.C. 327 in cui si introduce la promozione da parte dello Stato italiano del burden sharing, ossia della condivisione in ambito internazionale delle responsabilità e dei costi nell’ambito delle finalità umanitarie dell’asilo (qui in senso atecnico comprendendovi anche la protezione internazionale) anche rispetto alle esigenze interne di controllo dei flussi migratori.

 

L’articolo 2 della pdl 327 reca le definizioni utilizzate nel provvedimento, riproducendo sostanzialmente quelle dell’articolo 2 del D.Lgs. 251/2007 (di recepimento della direttiva 2004/83 “qualifiche) e, in parte, dell’articolo 2 del D.Lgs. 25/2008 (di recepimento della direttiva 2005/85 “procedure”) e dell’art. 8 del D.Lgs. 140/2005 (di recepimento della direttiva 2003/9 “accoglienza”), con le seguenti significative differenze:

§  nella definizione di protezione internazionale sono ricompresi, oltre allo status di rifugiato e alla protezione sussidiaria, anche la protezione riconosciuta all'avente diritto all'asilo;

§  viene introdotta la nuova definizione di “beneficiario di protezione internazionale” (come previsto dall’art. 2 della direttiva 2011/95/UE, “rifusione qualifiche”) quale persona cui è stato riconosciuto, lo status di rifugiato o di beneficiario di protezione sussidiaria, aggiungendovi anche la persona cui è riconosciuto il diritto di asilo;

§  viene estesa la nozione di familiare anche al padre, la madre o un altro adulto che sia responsabile, in base a quanto previsto dall'ordinamento italiano, del beneficiario, nei casi in cui tale beneficiario è minore e non coniugato (come previsto dalla nuova direttiva qualifiche 2011/95) e a tutti gli altri familiari dipendenti con esso conviventi;

§  viene aggiunta la definizione di “permesso di soggiorno” (titolo rilasciato dalle autorità italiane che consente allo straniero di soggiornare nel territorio nazionale), prevista dalla direttiva 2011/95.

 

Infine, viene introdotta la definizione di persona vulnerabile, mutuata dall’articolo 8 del D.Lgs. 140/2005 (c.d. decreto “accoglienza”). Si rileva, in proposito che non vengono contemplati tra le persone vulnerabili due categorie i minori e i genitori singoli con figli minori, nonostante entrambe siano comprese sia nel D.Lgs. 140, sia nelle direttive accoglienza.

Inoltre, la nuova direttiva accoglienza (dir. 2013/33, art. 21) che dovrà essere recepita prossimamente, comprende tra le persone vulnerabili anche i seguenti soggetti (non previsti nella definizione dell’articolo in esame):

§  vittime della tratta degli esseri umani;

§  persone affette da gravi malattie o disturbi mentali;

§  vittime di mutilazioni genitali femminili.

 

La pdl 327 non comprende tra le definizioni quelle di status di rifugiato e di beneficiario di protezione internazionale (presenti nelle direttive europee) e di diritto di asilo cui sono dedicati i tre articoli seguenti.

 

L’articolo 3 della pdl 327 prevede che lo status di rifugiato sia riconosciuto allo straniero che abbia un giustificato timore di essere perseguitato per una serie di gravi motivi.

Si tratta, in gran parte, degli stessi motivi indicati nella definizione “rifugiato” del D.Lgs. 251/2007 (art. 2, comma 1, lett. e) - ossia discriminazioni per ragioni di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica -, cui viene aggiunto il timore di persecuzioni per motivi di sesso o orientamento sessuale. Tuttavia, tali fattispecie sono indicate tra i motivi di persecuzione nell’articolo 8 del D.L.gs. 251/2007.

Condizione ulteriore per il riconoscimento dello status è che lo straniero si trovi fuori dal suo Stato (a tale disposizione è collegata al successivo articolo 6).

 

L’articolo 4 della pdl 327 riproduce, con una formulazione diversa, la definizione di persona ammissibile alla protezione sussidiaria - introdotta dal D.Lgs. 251/2007, art. 2, lett. g) – che comprende i soggetti che pur non avendo i requisiti per la condizione di rifugiato temono il rischio di subire gravi danni per una serie di motivi espressamente indicati all’articolo 9 (condanna a morte, tortura, violenza ecc.)

 

L’articolo 5 della pdl 327 definisce, come anticipato, il diritto di asilo che viene riconosciuto allo straniero cui è impedito l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.

In questa ultima previsione (così come in quella recata dall’articolo 2 della pdl 944) risiede la maggiore portata innovativa del provvedimento, prevedendo appunto la concessione del diritto all’asilo agli stranieri ai quali nel proprio Paese sono conculcati i diritti umani, a prescindere dalla dimostrazione di specifici e individuali atti di discriminazione o di violenza (presupposti, rispettivamente, per il riconoscimento dello status di rifugiato e per quello di beneficiario di protezione sussidiaria).

Tuttavia, la norma precisa che la concessione del diritto di asilo è residuale in quanto il suo riconoscimento viene effettuato in mancanza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario di protezione sussidiaria.

Tale impostazione dunque sembrerebbe presumere che debba essere preventivamente esperita la verifica della mancanza di tali presupposti per poter attivare la procedura per la concessione del diritto di asilo.

Il comma 2 estende la possibilità (che in questo caso sembra discrezionale) di riconoscere il diritto di asilo anche nel caso dell’impedimento dell’effettivo godimento (e non quindi dell’effettivo esercizio come indicato dal comma 1) di uno o più (e non di tutti) diritti di libertà costituzionali. Tale impedimento deve, comunque, determinare una condizione di invivibilità democratica nel Paese di origine per giustificare la concessione del diritto di asilo.

 

I due concetti richiamati (godimento ed esercizio dei diritti) trovano preciso riscontro nella giurisprudenza costituzionale che distingue tra il godimento dei diritti inviolabili, che è irrinunciabile e che deve essere garantito a tutti, e l’esercizio degli stessi che invece può, in presenza di specifiche condizioni, essere disciplinato in modo diverso. E’ il caso, per esempio, dello straniero, al quale deve essere riconosciuto un nucleo di diritti fondamentali, nello specifico il diritto alla salute, pur potendo il legislatore prevedere diverse modalità di esercizio dello stesso, assicurando all’immigrato irregolare solamente le cure indifferibili ed urgenti (sent. 252/2001).

 

Se la disposizione intende fare riferimento ai due concetti nell’accezione chiarita dalla giurisprudenza costituzionale appare opportuno invertirli, ossia al comma 1 prevedere la disposizione più generale relativa all’impedimento del godimento e al comma 2 quella relativa all’effettivo esercizio. In ogni caso, si rileva l’opportunità di specificare la portata normativa dei due commi.

 

La pdl A.C. 944, come si è evidenziato nella premessa, ha un diverso approccio rispetto alla pdl 327. Infatti, la prima individua una categoria generale, quella del diritto di asilo, che comprendere al suo interno tre fattispecie: lo status di rifugiato, la protezione sussidiaria e il diritto di asilo vero e proprio. Pertanto, nel proseguo dell’esame, in relazione a questa proposta di legge, per diritto di asilo si intendono tutte tre le fattispecie.

In particolare, l’articolo 2, comma 1, dell’A.C. 944 individua i soggetti cui è riconosciuto il diritto di asilo. Si tratta:

§  dello straniero o dell’apolide cui sia stato riconosciuto lo status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra: in analogia con l’articolo 3 della pdl 327, oltre ad operare un rinvio a tale atto, l'articolo 2 ribadisce i criteri indicati dalla stessa Convenzione (art. 1, lett A, par. 2) aggiungendo tra le circostanze in presenza delle quali può essere riconosciuto lo status di rifugiato il timore di persecuzioni per motivi di sesso, orientamento sessuale (analogamente a quanto previsto dall’art. 3 della pdl 327), o di appartenenza ad un determinato gruppo etnico, che non sono presenti nelle definizioni di cui all’articolo 2 del D.Lgs. 251/2007, ma sono ricompresi tra i motivi di persecuzione all’art. 8 del medesimo D.Lgs. 251/2007;

§  dello straniero o dell’apolide che non possa o non voglia avvalersi della protezione del Paese del quale è cittadino o residente abituale, in quanto:

-    si trova nell’effettiva necessità di salvare sé o i propri familiari dal pericolo attuale e diretto di subire nel territorio di tale Paese danni alla propria vita o sicurezza o libertà personale (protezione sussidiaria);

-    gli è impedito l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.

 

L’articolo 1 della pdl 1444, riproduce parzialmente tale disposizione della pdl A.C. 944 con due significative differenze.

In primo luogo, viene dato rilievo all’estensione del diritto di asilo alle vittime di violenza a causa della appartenenza al sesso femminile o al proprio orientamento sessuale cui sono dedicate due lettere specifiche (le lett. b) e d) del comma 1. Si tratta di una previsione contenuta come si è visto anche nelle altre due proposte in quanto introducono tra le motivazioni che danno diritto alla protezione anche le persecuzioni per motivi di sesso e orientamento sessuale.

 

Si segnala in proposito che l'articolo 4 del D.L. 93/2013 sul contrasto alla violenza di genere ha introdotto nel testo unico in materia di immigrazione l'articolo 18-bis, che prevede il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari alle vittime straniere di atti di violenza in ambito domestico. La finalità del permesso di soggiorno è consentire alla vittima straniera di sottrarsi alla violenza.

 

Inoltre, la pdl 1444 prevede che l’impedimento dell’esercizio delle libertà democratiche non è sufficiente alla concessione del diritto di asilo, ma deve essere accompagnato dal presenza di un pericolo attuale per la vita propria o dei familiari o da restrizioni gravi della libertà personale.

 

Il comma 2 del’articolo 2 della pdl 944 prevede l’estensione del diritto di asilo, su richiesta dell’interessato, al coniuge non legalmente separato, al figlio minore non coniugato del rifugiato e al convivente del rifugiato legalmente separato o non coniugato. L’estensione non si applica in presenza delle cause di esclusione alla concessione dello status di rifugiato come indicate dalla Convenzione di Ginevra (art. 1, lett. F). Si tratta sostanzialmente delle cause indicate nell’articolo 10, comma 2, del D.Lgs. 251/2007 e riprodotte all’articolo 8, comma 2 della pdl 327.

Per un esame di tale disposizione si rinvia al paragrafo sul Diritto alla protezione internazionale.

Condizioni per il riconoscimento e la cessazione della protezione internazionale

Il titolo II della pdl 327 disciplina le condizioni e i requisiti necessari per la concessione e le cause di cessazione della protezione internazionale (diritto di asilo, status di rifugiato e status di protezione sussidiaria). Ad eccezione dell’articolo 6 (relativo al diritto di asilo), le disposizioni riproducono in sostanzialmente quelle recate dalla prima parte del D.Lgs. 251/2007 (di recepimento della direttiva qualifiche). La seconda parte, quella relativa al contenuto della protezione, è confluita nel titolo IV.

La pdl 944 non reca una disciplina specifica sul punto e pertanto, presumibilmente, deve considerarsi che la proposta intenda mantenere in vigore le disposizioni del D.Lgs. 251/2007.

Esclusione dal diritto di asilo

L’articolo 6 della pdl 327 definisce le cause di esclusione per la concessione del diritto di asilo.

E’, in primo luogo, escluso il cosiddetto asilo extraterritoriale, ossia il diritto di asilo riconosciuto nelle sedi diplomatiche o consolari o nelle altre sedi extraterritoriali, sottoposte a specifiche norme di diritto internazionale (comma 1).

La norma recepisce un principio recato nella direttiva procedure (sia quella vigente, sia la nuova direttiva, da recepire entro il 20 luglio 2015, all’art. 3 § 2) non recepito nel D.Lgs. 25/2008.

Viene, così, ribadita la natura territoriale del diritto di asilo, già evidenziata nell’articolo 5, laddove si stabilisce che il diritto di asilo è riconosciuto nel territorio della Repubblica.

Dunque, il riconoscimento del diritto di asilo non può che avvenire nel territorio nazionale, mentre non viene indicato se può essere presentata o meno la mera richiesta di asilo in una sede extraterritoriale. Anche questa eventualità però sembrerebbe esclusa dall’articolo 15, che prevede la presentazione della domanda di protezione internazionale esclusivamente alla polizia di frontiera e alla questura competenti (territorialmente).

In secondo luogo, è escluso il riconoscimento del diritto di asilo qualora il richiedente sia responsabile di atti volti a sovvertire l'ordine costituzionale del Paese d'origine, se questo garantisce - formalmente e sostanzialmente - i diritti fondamentali di libertà democratica della Costituzione italiana (comma 2). Si ammettono però all’asilo coloro che hanno compiuto atti sovversivi in caso di regime, “formalmente o solo sostanzialmente”, antidemocratico e illiberale.

Si osserva che non appare del tutto evidente la portata normativa di tale disposizione, in quanto ai sensi dell’articolo 5 il diritto di asilo è riconosciuto quando il Paese di origine impedisce l’effettivo esercizio dei diritti di libertà democratica garantiti dalla nostra Costituzione. Una possibile interpretazione potrebbe basarsi sulla distinzione tra “diritti di libertà democratica”, di carattere più generale (di cui all’art. 5) e i “diritti fondamentali di libertà democratica” (art. 6), intesi come parte dei primi. In questa ottica, verrebbe a introdursi una differenziazione, ai fini della concessione dell’asilo, tra i Paesi dove sono negati tutti i diritti costituzionali (e in questo caso è ammesso all’asilo anche chi si sia reso responsabili di atti di sovversione) e quelli dove invece almeno il nucleo irrinunciabile dei diritti fondamentali (libertà personale, di parola, di religione ecc.) viene garantito (e quindi in questo caso l’aver compiuto atti sovversivi costituisce causa di esclusione dal diritto di asilo).

Infine, il comma 3 reca una norma di salvaguardia che prevede l’esclusione del riconoscimento del diritto di asilo in caso di gravi ed effettivi motivi che possono mettere a serio rischio la sicurezza nazionale dello Stato.

Si tratta di una delle principali cause ostative previste dalla normativa vigente sia per la concessione dello status di rifugiato, sia di quello di beneficiario di protezione sussidiaria. La pdl 327, come si vedrà nei paragrafi successivi, ha rimosso tale causa ostativa nel caso del rifugiato e l’ha mantenuta nel caso della protezione sussidiaria.

Riconoscimento e cessazione dello status di rifugiato

L’articolo 7 della pdl 327 delinea la natura e le caratteristiche degli atti di persecuzione e dei motivi che ad essa danno luogo, considerati rilevanti ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato. Sono qui riprodotte pressocché integralmente le disposizioni vigenti, recate dagli articoli 7 (atti di persecuzione) e 8 (motivi di persecuzione) del D.Lgs. 251/2007, con due significative differenze.

La prima differenza riguarda l’articolo 7, comma 2, lett. e) del D.Lgs. 251 che comprende tra gli atti persecutori le azioni giudiziarie e le sanzioni penali in conseguenza del rifiuto di prestare servizio militare in un conflitto, quando questo potrebbe comportare la commissione di gravi crimini (si tratta degli stessi crimini che comportano l’esclusione dallo status di rifugiato indicati nell’articolo 8 della pdl 327 e nell’art. 10 del D.Lgs. 251). L’articolo 7 in esame (comma 2, lett. e) vi aggiunge anche le sanzioni contro l’obiezione di coscienza, non previste a legislazione vigente, né dalla nuova direttiva qualifiche (dir. 2011/95).

 

Si ricorda che in Italia la L. 772/1972 ha riconosciuto per la prima volta l’obiezione di coscienza per gli obbligati alla leva che dichiarino di essere contrari in ogni circostanza all'uso personale delle armi per imprescindibili motivi di coscienza attinenti ad una concezione generale della vita basata su profondi convincimenti religiosi o filosofici o morali professati dal soggetto. La stessa legge ha istituito il servizio civile sostitutivo del servizio militare. La L. 230/1998 ha fissato nuove norme in materia di obiezione di coscienza, definendo il servizio civile come diverso per natura e autonomo dal servizio militare, ma come questo rispondente al dovere costituzionale di difesa della Patria. Con la sospensione della leva obbligatoria nel 2005 (L. 331/2000 e L. 226/ 2004) è venuta meno anche l’obiezione di coscienza.

 

Andrebbe in ogni caso valutata l’opportunità di chiarire se si intenda riferirsi solamente alla obiezione di coscienza militare oppure anche ad altre forme di obiezione di coscienza.

 

La seconda differenza interviene al comma 3, lett. d), dove viene integrato il concetto di gruppo sociale, la cui appartenenza costituisce motivo di discriminazione: ai fini della determinazione dell'appartenenza a un determinato gruppo sociale si deve tener conto delle considerazioni di genere, compresa l'identità di genere. In questo caso, l’integrazione (non presente nel D.Lgs. 251/2007) riproduce una disposizione introdotta dalla nuova direttiva qualifiche (art. 10).

 

L’articolo 8 della pdl 327 reca le cause di esclusione, cessazione e revoca dello status di rifugiato, attualmente recate, rispettivamente, negli articoli 10, 9 e 13 del D.Lgs. 251/2007).

Per quanto riguarda l’esclusione dello status di rifugiato, a quanto previsto dall’articolo 10 del D.Lgs. 251, è aggiunta una ulteriore causa per coloro ai quali nello Stato di residenza sono riconosciuti “i diritti e gli obblighi connessi al possesso della cittadinanza del Paese stesso ovvero diritti e obblighi equivalenti”.

Si tratta di una disposizione prevista sin dalla direttiva 2004/83 (art. 12), confermata dalla direttiva 2011/95 (art. 12), ma non recepita nel D.Lgs. 251.

Inoltre, viene eliminata come causa di esclusione l’istigazione alla commissione dei crimini, reati o atti di cui sopra (causa invece prevista da entrambe le direttive e recepita dal D.Lgs. 251/2007).

 

In relazione alla cessazione e alla revoca, nulla viene variato rispetto al D.Lgs. 251/2007, ad eccezione del comma 6 che introduce una nuova condizione (di recepimento dell’art. 16, § 3 della direttiva del 2011) in base alla quale la protezione non cessa se l’interessato invoca motivi di imperio derivanti da precedenti persecuzioni tali da rifiutare di avvalersi della protezione del Paese d'origine.

Inoltre, il comma 7 dell’articolo 8 estende le disposizioni in materia di esclusione, cessazione e revoca anche alla disciplina del diritto di asilo, per quanto ad essa compatibili.

 

La pdl 327 non riproduce l’articolo 12 del D.Lgs. 251/2007 relativo al diniego dello status di rifugiato, che prevede tra l’altro l’esclusione dallo status per motivi di sicurezza dello Stato e di ordine e sicurezza pubblica. La disposizione, prevista come facoltativa sia dalla direttiva del 2004, sia da quella del 2011 (art. 14, § 4), è stata introdotta dal legislatore delegato del 2007, mentre la proposta in esame opta per l’omissione.

 

L’articolo 12 del D.Lgs. 251/2007 prevede che, in base ad una valutazione individuale, lo status di rifugiato non è riconosciuto quando:

-    non sussistono i presupposti per il riconoscimento, ossia gli atti e i motivi di persecuzione:

-    sussistono le cause di esclusione;

-    sussistono fondati motivi per ritenere che lo straniero costituisce un pericolo per la sicurezza dello Stato;

-      lo straniero costituisce un pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica, essendo stato condannato con sentenza definitiva per una serie di delitti caratterizzati da particolare rilevanza, per i quali l'articolo 407 del codice di procedura penale eleva da 18 mesi a 2 anni la durata massima delle indagini preliminari.

Riconoscimento e cessazione dello status di titolare di protezione internazionale

Mentre per il riconoscimento dello status di rifugiato hanno rilievo gli atti e i motivi di persecuzione, per la concessione della protezione sussidiaria sono considerati i danni gravi cui sarebbero sottoposti gli interessati se facessero ritorno nel loro Paese. La natura di tali danni viene indicata nell’articolo 9 della pdl 327 alla stregua della normativa vigente (nel punto non modificata dalla direttiva 2011): condanna alla pena di mote, tortura o altra forma di trattamento inumano, minaccia grave di un civile in situazioni di conflitto armato (art. 14, D.Lgs. 251/2007).

 

L’articolo 10 della pdl 327, analogamente in riferimento allo status di rifugiato, raggruppa le disposizioni in materia di cessazione, esclusione e revoca della protezione sussidiaria, recate in più articoli del D.Lgs. 251/2007 (15, 16 e 18).

Per quanto riguarda la cessazione, l’articolo 10 riproduce quanto previsto dall’articolo 15 del D.Lgs. 251/2007: in linea generale, la protezione cessa quando vengono meno o sono significativamente mutate le circostanze che hanno prodotto la sua concessione e in ogni caso quando essa non è più necessaria; il cambiamento deve essere significativo e stabile, in modo tale da garantire l’interessato dal rischio dei danni gravi che, come si è visto, sono all’origine della decisione della concessione.

Rispetto a questo quadro la pdl 327 apporta due modifiche che operano in direzioni diverse. In primo luogo, viene eliminata una condizione posta dalla normativa vigente per la cessazione dello status: ossia l’assenza di gravi motivi umanitari che impediscono il ritorno dell’interessato nel Paese di origine (DLgs. 251/2007, art. 15, comma 2: si tratta di una condizione non prevista dalla direttiva del 2004, né da quella del 2008).

Per converso, viene introdotta, come per i rifugiati (vedi art. 8), una nuova condizione (di recepimento dell’art. 16, § 3, della direttiva del 2011) in base alla quale la protezione non cessa se l’interessato invoca motivi di imperio derivanti da precedenti danni gravi tali da rifiutare di avvalersi della protezione del Paese d'origine.

Anche in riferimento alle cause di esclusione, l’articolo 10 della pdl 327, mantiene in gran parte quelle previste dall’articolo 16 del D.Lgs. 251/2007: aver commesso crimini contro l’umanità, gravi reati o atti contro la pace, rappresentare un pericolo per la sicurezza dello Stato.

Da queste cause viene eliminato il riferimento all’ordine e alla sicurezza pubblica (del resto non contemplato nella direttiva del 2004, né in quella del 2011) e viene eliminata, analogamente a quanto previsto nell’art. 8 per i richiedenti lo status di rifugiato, come causa di esclusione anche l’istigazione alla commissione dei crimini, reati o atti di cui sopra (causa invece prevista da entrambe le direttive e recepita dal D.Lgs. 251/2007).

Infine, riguardo alla revoca dello status di beneficiario di protezione sussidiaria, vengono mantenute le due cause contemplate dal D.Lgs. 251/2007, art. 18: la presenza di cause di esclusione e il vizio (per errore, falsità od omissione) nella formazione della documentazione che a suo tempo aveva consentito la concessione dello status. Il comma 5 introduce in questa sede l’obbligo del beneficiario di rilevare tutti i fatti pertinenti in suo possesso, in analogia con quanto disposto a proposito della revoca dello status di rifugiato (vedi art. 13 del D.Lgs. 251/2013).

Disposizioni comuni allo status di rifugiato e di protezione sussidiaria

Gli articoli 11, 12 e 13 della pdl 327 recano alcuni disposizioni comuni ai fini della concessione sia dello status di rifugiato, sia di quello di protezione sussidiaria. Si tratta di disposizioni recate, nella normativa vigente, agli articoli 4, 5 e 6 del D.Lgs. 251/2007.

In particolare, sono individuati elementi ulteriori per circoscrivere la natura degli atti persecutori e dei danni gravi (riconducibili, come si è visto, rispettivamente alla concessione dello status di rifugiato e a quello di protezione sussidiaria) in questa sede considerati insieme. Alcuni di questi elementi sono estesi dalla pdl 327 anche alla limitazione delle libertà democratiche, ai fini della decisione della concessione del diritto di asilo.

 

L’articolo 11 individua quali responsabili della persecuzione o del danno grave il Paese, i partiti o le organizzazioni, che controllano il Paese o una parte consistente del suo territorio, o i soggetti non statuali, se i soggetti precedenti non possono o non vogliono fornire protezione.

La disposizione riproduce quanto previsto dall’art. 5 del D.Lgs. 251/2007 sostituendo, tra i soggetti responsabili ivi indicati, lo “Stato” con il “Paese”. Non appare di immediata evidenza la portata normativa di tale modifica (non contemplata nella direttiva 2011) che presumibilmente mira ad estendere la protezione ai soggetti provenienti da aree con una debole o assente presenza statuale.

Un’altra modifica riguarda i soggetti non statuali, la cui responsabilità è provata se viene dimostrata l’impossibilità (o la non volontà) da parte del Paese di fornire protezione contro le persecuzioni (ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato) o contro i danni gravi (protezione sussidiaria). A queste due categorie (persecuzioni e danni gravi) viene aggiunta anche la mancata protezione contro “la grave limitazione del godimento dei diritti di libertà democratiche”. L’intento della disposizione è abbastanza evidente: si includono nella disposizione vigente anche motivazioni che legittimano la richiesta di riconoscimento dell’asilo politico.

 

Comunque, non appaiono evidenti i motivi della omissione del riferimento alla limitazione al godimento dei diritti costituzionali tra le responsabilità del Paese e dei partiti politici nell’articolo in esame.

 

L’articolo 12 si riferisce ai soggetti che possono fornire protezione nel Paese di origine e le modalità di valutazione di tale protezione. Si tratta di valutazioni necessarie ai fini della decisione sulla domanda di protezione.

Innanzitutto, anche in questo caso lo “Stato”, quale soggetto potenzialmente attivabile per la protezione, viene sostituito dal “Paese” (comma 1). Inoltre, viene negata tale funzione ai partiti o organizzazioni che controllano parte del territorio dello Stato (come invece previsto dal D.Lgs. 251/2007, art. 6, ed anche dalla direttiva 2011/95 che non ha modificato sul punto la precedente direttiva qualifiche).

Ancora, nelle misure di protezione indicate nel comma 2, la cui efficacia deve essere considerata ai fini della concessione della protezione, oltre a quelle contro atti persecutori e danni gravi, sono incluse anche quelle contro gli atti limitativi delle libertà garantite dalla Costituzione. Anche in questo caso valgono le precedenti considerazioni a proposito dell’estensione della disciplina ai richiedenti asilo politico. Il comma 3 prevede che nella valutazione sulla situazione di controllo e sulla protezione fornita nel Paese di origine si tenga conto anche degli orientamenti e degli atti dell’Unione europea: non sono espressamente richiamati orientamenti e atti di altri soggetti, come quelli dell’Alto Commissariato delle Nazioni unite sui rifugiati (ACNUR) e di altre organizzazioni internazionali, previsione invece contenuta nell’art. 6 del D.Lgs. 251/2007 (che per l’Unione europea riferisce specificamente gli atti e gli orientamenti al Consiglio) ma non nella direttiva qualifiche del 2004, di quella del 2011.

La nuova direttiva qualifiche prevede invece (innovando la precedente disciplina) che nella valutazione della fondatezza del rischio di persecuzione o di danno grave, si deve tener conto delle condizioni generali vigenti nel Paese, nonché delle circostanze personali del richiedente. A tal fine, la valutazione avviene anche sulla base delle informazioni precise e aggiornate provenienti da fonti competenti, quali l'ACNUR e l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (art. 8, § 2). Tale previsione è riprodotta quasi testualmente nel comma 4 dell’art. 12 in esame.

La protezione internazionale è attribuita anche quando il rischio di persecuzione o di danno grave sia sorto successivamente alla partenza del richiedente dal Paese d’origine. E’ quanto previsto dall’articolo 13 della pdl 327 che riproduce, con alcune modifiche, l’articolo 4 del D.Lgs. 251/2007. La disposizione non trova riscontro nelle due direttive qualifiche.

 

Procedure per il riconoscimento della protezione

Il titolo III della pdl 327 reca le disposizioni relative alle procedure per il riconoscimento della protezione internazionale: la presentazione della domanda, l’individuazione delle autorità competenti a ricevere ad esaminare le domande, le procedure di esame, le garanzie e gli obblighi dei richiedenti, nonché le procedure di revoca, cessazione e rinuncia della protezione e le modalità di impugnazione delle decisioni.

Si tratta di una materia attualmente regolata principalmente dal decreto legislativo 25/2008, di cui la pdl 327 riproduce in gran parte le disposizioni e che viene contestualmente abrogato.

La principale innovazione rispetto alla norma vigente consiste nell’estensione dell’applicazione di dette procedure anche al diritto di asilo (oltre che al riconoscimento dello status di rifugiato e di quello protezione sussidiaria oggetto del citato D.Lgs. 25/2008).

Tale finalità è presente anche nella pdl 944 che disciplina la materia con gli articoli da 3 a 9. Viene innovato quanto disposto dal D.Lgs. 25/2008 che però non viene abrogato e che pertanto deve considerarsi in vigore per quanto non disciplinato dalla medesima pdl 944.

Si ricorda che il D.Lgs. 25/2008 ha attuato la direttiva 2005/85/CE (la cosiddetta direttiva procedure) che è stata sostituita dalla direttiva 2013/32 /UE del 26 giugno 2013 e che dovrà essere recepita entro il 20 luglio 2015.

Il disegno di legge di delegazione europea del secondo semestre 2013 reca la delega per il recepimento della nuova direttiva procedure.

 

Il titolo III della pdl 327, composto di 29 articoli, si suddivide nei seguenti 5 capi:

§  Capo I: Disposizioni generali (artt. 14-17);

§  Capo II: Principi fondamentali e garanzie (artt. 18-32);

§  Capo III: Procedure di primo grado (artt. 33-38);

§  Capo IV: Revoca, cessazione e rinuncia della protezione internazionale (artt. 39 e 40);

§  Capo V: Ricorso alla Commissione nazionale e procedure di impugnazione (artt. 41-42).

Disposizioni generali e autorità competenti

Il Capo I del Titolo III della pdl 327 reca alcune disposizioni di carattere generale.

In primo luogo, l’articolo 14, comma 1 (corrispondente all’articolo 1 del D.Lgs. 25/2008), delimita l’ambito di applicazione del provvedimento nelle procedure per l’esame delle domande di protezione internazionale. Viene specificato che si tratta delle domande presentate nel territorio nazionale da cittadini non appartenenti all’Unione europea o da apolidi. Il provvedimento reca, inoltre, le procedure per la revoca e la cessazione degli status riconosciuti e quelle per l’impugnazione delle decisioni.

Il comma 2 specifica che le procedure si applicano alla richiesta dello status di rifugiato, di protezione sussidiaria e di asilo. La disposizione è già implicitamente contenuta nel comma 1, in quanto il concetto di protezione internazionale comprende le tre fattispecie di protezione, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. a) della pdl 327. L’intento è di ribadire l’estensione di quelle procedure anche alla concessione del diritto di asilo, fattispecie introdotta dalla pdl 327.

Si segnala, in proposito, che, come accennato in premessa, la nuova direttiva procedure 2013/32 prevede espressamente la possibilità, a discrezione del legislatore nazionale, di estendere l’applicazione della direttiva anche ai procedimenti finalizzate all’esame di domande volte a ottenere forme di protezione diverse da quelle indicate dalla direttiva 2011/95 (status di rifugiato e protezione sussidiaria).

Infine, il comma 3 (che riproduce il contenuto dell’art. 37 del D.Lgs. 25/2008) pone l’obbligo della riservatezza in tutte le fasi del procedimento.

 

Gli articoli 15, 16 e 17 della pdl 327 disciplinano le autorità competenti nella procedura e i criteri di ammissibilità. Si tratta di disposizioni recate negli articoli 3, 4, 5, 29 e 30 del D.Lgs. 25/2008.

 

In particolare, l’articolo 15 della pdl 327 individua tre livelli di competenze in materia (un quarto livello, la commissione nazionale, è indicato nell’articolo 17) riproducendo sostanzialmente la situazione prevista dalla disciplina vigente.

Innanzitutto, le autorità competenti a ricevere le istanze di protezione sono gli uffici della polizia di frontiera e le questure secondo le modalità indicate dal regolamento di cui all’art. 58 (comma 1).

Analoga disposizione è prevista all’articolo 4 della pdl 944 (comma 1) che dispone inoltre la disapplicazione - nel caso di richiedenti asilo - dell’obbligo del vettore che trasporta lo straniero di accertarsi se egli sia in possesso dei titoli per l’ingresso in Italia e, in caso contrario, di ricondurlo nel Paese di provenienza. Tali norme sono disapplicate se lo straniero presenta al suo arrivo domanda di asilo e il vettore ne abbia immediatamente segnalato la presenza (comma 2).

Secondo quanto previsto dalla pdl 327 (che riprende la normativa vigente) La decisione relativa alla determinazione dello Stato competente all’esame della domanda, ai sensi del regolamento (CE) 343/2003 spetta all’Unità Dublino, istituita in attuazione dell’art. 22 del citato regolamento 343, che appunto prevede l’istituzione di una autorità competente in materia (art. 15, comma 3, pdl 327). Si tratta di un ufficio operante presso il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno, ed in particolare nell’Ufficio III della Direzione centrale dei servizi civili per l’immigrazione e l’asilo, una delle articolazioni del Dipartimento.

 

Si osserva che il riferimento al regolamento (CE) 343/2003 non è più attuale in quanto nel 2013 è stato approvato il nuovo regolamento Dublino (n. 604/2013) che entrerà in vigore a metà febbraio 2014.

 

I commi 4 e 5 dell’art. 15 della pdl 327 (art. 29 e 30 del D.Lgs. 25/2008) disciplinano i casi di inammissibilità della domanda (in caso di dichiarazione di avere ottenuto protezione da altro Stato o di ripresentazione di una nuova domanda senza elementi di novità) e di estinzione (qualora ai sensi del regolamento Dublino risulti la competenza territoriale di altro Stato).

L’esame di merito delle domande è svolto dalle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale (comma 2) disciplinate dal successivo art. 16 della pdl 327 (che deliberano anche in ordine alla ammissibilità e all’estinzione). L’articolo 16 conferma in larga parte la disciplina vigente delle Commissioni territoriali (art. 4 D.Lgs. 25/2008), con le seguenti significative differenze:

§  vengono esplicitate le competenze vigenti, istruttoria, esame e decisione sulle istanze di protezione (comma 1);

§  in virtù dell’introduzione di un esame di secondo grado attribuito alla commissione nazionale (si veda oltre), le commissioni sono indicate quali organi di primo grado (comma 1);

§  viene rafforzato il supporto organizzativo e logistico delle commissioni che si possono avvalere, oltre che delle strutture del Dipartimento per le libertà civili e per l’immigrazione del Ministero dell’interno, anche di quelle messe a disposizione delle prefetture – UTG e di altre eventuali dotazioni da individuarsi con regolamento (comma 2);

§  il numero delle commissioni è aumentato (comma 3) in quanto se ne prevede l’istituzione di una in ciascuna regione (attualmente le commissioni sono 10 e possono essere costituite, in casi eccezionali di necessità, fino ad ulteriori 10 sezioni aggiuntive) con competenza ciascuna nel territorio regionale (attualmente le sedi e la competenza territoriale delle sezioni sono fissate con decreto del Ministero dell’interno);

§  la competenza relativa alla nomina dei componenti viene mantenuta al Ministro dell’interno, ma viene modificata la struttura della commissione: ora essa è composta da quattro membri: un prefetto che la presiede, un funzionario della Polizia di Stato, un rappresentante degli enti territoriali e un rappresentante dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR); a questi può aggiungersi un rappresentante del Ministero degli affari esteri in presenza di particolari afflussi di richiedenti protezione internazionale; il comma 4 sostituisce il funzionario della PS e il rappresentante degli enti territoriali con personalità scelte per competenza in materia. Il numero dei membri non è quindi prestabilito; inoltre, il presidente della commissione non è di diritto il prefetto, ma esso è eletto tra i componenti con modalità da stabilirsi con regolamento.

Inoltre, non sono riprodotte alcune disposizioni vigenti, quali quelle relative a:

§  indennità e gettoni di presenza dei membri delle commissioni;

§  validità delle sedute;

§  competenza territoriale.

 

L’articolo 17 della pdl 327 disciplina il quarto organismo competente in materia, la Commissione nazionale per il diritto di asilo, in termini analoghi a quanto previsto dall’articolo 5 del D.Lgs. 25/2008. Viene confermato, in particolare il ruolo di organo di indirizzo e di coordinamento delle Commissioni territoriali, oltre all’importante compito di decidere in materia di revoca e cessazione degli status di protezione internazionale riconosciuti.

A questi compiti viene aggiunto, come accennato, quello di decidere, in secondo grado, sulle domande respinte dalle commissioni territoriali (comma 2).

Viene modificata la composizione della Commissione: i componenti sono scelti, in base ai criteri stabiliti dal regolamento, tra i maggiori esperti della materia in ambito nazionale e internazionale, con l'integrazione di un rappresentante dell'ACNUR, del Ministero dell'interno, del Ministero degli affari esteri e del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno (attualmente la Commissione è presieduta da un prefetto ed è composta da un dirigente in servizio presso la Presidenza del Consiglio, da un funzionario della carriera diplomatica, da un funzionario della carriera prefettizia in servizio presso il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione e da un dirigente del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno; partecipa alle sedute, ma senza diritto di voto un rappresentante dell’ACNUR).

Anche in questo caso, come per le commissioni territoriali è prevista l’elezione del presidente tra i componenti.

Non è prevista l’istituzione di sezioni all’interno della Commissione, come indicato dal comma 3 dell’articolo 5 del D.Lgs. 25/2008.

 

La pdl 944 non prevede l’istituzione di commissioni territoriali e disciplina esclusivamente la Commissione nazionale denominata Commissione centrale per il riconoscimento del diritto di asilo (articolo 3) che assorbe i compiti di esame e decisione delle istanze di asilo.

La Commissione è strutturata sul modello di quella attuale, con alcune modifiche e innovazioni, che possono essere così riassunte:

§  l'atto di costituzione della Commissione resta un D.P.C.M., ma mentre il D.Lgs. 25/2008 prevede che tale atto sia adottato su proposta congiunta dei Ministri dell'interno e degli affari esteri, la pdl 944 ne prevede l'adozione di concerto con i suddetti Ministri; la Commissione ha sede presso il Ministero dell’interno e opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione;

§  è prevista un'articolazione della Commissione in tre sezioni, presiedute da professori universitari in materie giuridiche (attualmente l’istituzione di sezioni è facoltativa);

§  è prevista la possibilità per il Presidente del Consiglio di costituire ulteriori sezioni: tale possibilità risulta condizionata a due elementi: la valutazione di opportunità – che deve essere motivata – da parte del consiglio di presidenza di cui al comma 6 e l’assenza di nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato;

§  la composizione della Commissione è incrementata nel numero e innovata con l'ingresso di esperti qualificati in materia di diritti civili ed umani nominati dai Presidenti della Camera e del Senato;

§  ciascuna sezione della Commissione è composta altresì da un rappresentante dell’ACNUR;

§  è disciplinata la competenza del Consiglio di Presidenza della Commissione (costituito dal Presidente della Commissione e dai Presidenti delle singole sezioni), con particolare riferimento alla annuale definizione delle direttive da osservare per la concessione del diritto di asilo e dei criteri di massima per il funzionamento delle sezioni, di cui il Consiglio coordina le attività, stabilendo le modalità ed i mezzi occorrenti ad assicurare l’aggiornamento dei componenti della Commissione centrale.

Garanzie e obblighi del richiedente asilo

Il Capo II del Titolo III della pdl 327 contiene prevalentemente disposizioni volte alla tutela del richiedente asilo, oltre ad alcuni principi di carattere generale.

Innanzitutto, l’articolo 18 conferma il principio sancito dall’articolo 7 del D.Lgs. 25/2008 che il richiedente ha diritto a rimanere nel territorio nazionale per tutto il tempo necessario all’esame della domanda.

Il diritto di permanenza non è riconosciuto nei seguenti casi:

§  mandato di arresto europeo;

§  consegna ad un Tribunale penale internazionale;

§  avviamento verso un altro Stato competente per l’esame dell’istanza[3].

Rispetto alla normativa vigente, viene abrogata la restrizione alla libertà di circolazione del richiedente asilo. Si tratta di una disposizione, introdotta dal D.Lgs. 159/2008, uno dei provvedimenti del cosiddetto “pacchetto sicurezza” approvato all’inizio della XVI legislatura, che prevede l’individuazione da parte del prefetto di un luogo di residenza ove il richiedente asilo possa circolare. Tale restrizione non trova riscontro né nella direttiva 2005/85, né nella direttiva 2013/32. Tuttavia essa è prevista come facoltativa nella direttiva accoglienza (anche nella nuova versione: art. 7, dir. 2013/33).

 

L’articolo 19 (commi 1, 2 e 3) della pdl 327 riproduce in maniera pressocchè testuale i criteri applicabili all’esame delle domande contenuti nell’articolo 8 del D.Lgs. 25/2008. Si stabilisce che le domande non possono essere respinte o non esaminate per il solo fatto di non essere state presentate tempestivamente, e che le domande devono essere esaminate in modo obiettivo ed approfondito, anche in base ad informazioni precise ed aggiornate sulla situazione del Paese di origine.

Si rileva che la nuova direttiva procedure ha introdotto un criterio preliminare in base al quale l’esame deve innanzitutto accertare se al richiedente è attribuibile la qualifica di rifugiato e, in caso contrario, se sia ammissibile alla protezione sussidiaria (art. 10, § 2, dir. 2013/32).

I commi 4 e 5 prevedono che la domanda presentata da un genitore si intende estesa anche ai figli minori presenti nel territorio nazionale all’atto della presentazione della domanda (art. 6, comma 2, D.Lgs. 25/2008). Viene quindi confermata l’esclusione dalla possibilità di presentare domanda di asilo da parte dei minori per proprio conto e solo ai minori non accompagnati è consentito l’accesso alla procedura (art. 6, comma 3, D.Lgs. 25/2008).

 

Si osserva che la previsione del diritto da parte del minore di presentare per proprio conto la domanda di protezione, facoltativa ai sensi della prima direttiva procedure, costituisce ora obbligo per gli Stati membri ai sensi dell’art. 7, § 3, della direttiva 2013/32.

 

Nel riprodurre la disposizione, contenuta sia nel comma 1 dell’articolo 6, sia nell’articolo 3 comma 2 del D.Lgs 25/2008, relativa alla presentazione della domanda di asilo presso gli uffici di frontiera o le questure, la pdl 327, all’articolo 15, comma 1, omette la specificazione che la domanda è presentata personalmente (come previsto dal citato art. 6, comma 1, del D.Lgs. 25/2008).

Anche la pdl 944 omette tale riferimento (articolo 4, comma 1).

Si ricorda che la direttiva procedure (sia nella prima, sia nella seconda versione) effettivamente stabilisce che i Paesi membri possono prevedere l’obbligo di presentare personalmente la domanda di protezione, fermo restando il diritto che ad ognuno sia essere garantita la possibilità di presentare per proprio conto l’istanza, oppure possono prevedere la presentazione della domanda anche per conto delle persone a proprio carico.

 

Si valuti l’opportunità di disciplinare esplicitamente le procedure di presentazione non personale delle istanze.

 

Ai sensi del comma 6 dell’articolo 19 della pdl 327 le decisioni sull’esito della domanda devono essere comunicate per iscritto e le decisioni negative devono essere adeguatamente motivate e devono contenere le indicazioni sui mezzi di impugnazione (articolo 9 del D.Lgs. 25/2008).

La pdl 944 (articolo 7) prevede che la decisione deve essere notificata all’interessato entro 15 giorni, ad essa deve essere allegata una traduzione sintetica delle motivazioni e i termini e l’autorità competente per l’eventuale ricorso.

 

L’articolo 10 della pdl 327 definisce una serie di garanzie a tutela del richiedente asilo, anche nella fase dell’impugnazione delle decisioni, che ricalcano in gran parte quelle dell’articolo 10 del D.Lgs. 25/2008: informazione adeguata al richiedente sulla procedura da seguire e sull’esito della domanda, possibilità di comunicare con l’ACNUR, assistenza di interpreti.

Una innovazione apportata dalla pdl 327 consiste nell’estensione dell’applicazione delle garanzie sopradette fin dal momento in cui l’interessato manifesta in qualsiasi forma, anche oralmente, la volontà di chiedere protezione: dal quel momento egli è considerato richiedente asilo e gode degli stessi diritti (art. 20, comma 1).

La pdl 944 prevede che la domanda possa essere presentata alternativamente in forma scritta o mediante dichiarazione orale verbalizzata dall’autorità che la riceve e che l’interessato ha il diritto di acquisire immediatamente copia della domanda (art. 4, commi 3 e 5).

 

A sua volta, il richiedente è tenuto a rispettare alcuni obblighi (articolo 21 pdl 327 che riproduce l’articolo 11 del D.Lgs. 25/2008): cooperare con le autorità, comunicare i propri cambiamenti di residenza o domicilio e, in generale, agevolare il compimento degli “accertamenti previsti dalla legislazione in materia di pubblica sicurezza”. Con tale ultima espressione, confermata nella nuova direttiva, si è inteso presumibilmente dare attuazione all’articolo 11, comma 2, lettere d), e) ed f) della prima direttiva procedure,  che prevedono la possibilità di perquisire e fotografare il richiedente e di registrarne le dichiarazioni.

La pdl 944 prevede espressamente l’obbligo di fissazione del domicilio e della dimora da parte del richiedente anche ai fini della notifica degli atti (art. 4, commi 4 e 6)

 

L’articolo 22 della pdl 327 disciplina il colloquio personale che il richiedente può sostenere davanti alla commissione territoriale. Si tratta di una delle fasi centrali del procedimento di esame delle domande di protezione regolate dagli articoli 12, 13 e 14 del D.Lgs. 25/2008 le cui disposizioni sono quasi testualmente riprese dalla pdl 327: in particolare vengono disciplinate le modalità di svolgimento del colloquio, la omissione dello stesso in determinati casi, il rinvio, la possibilità di rifiuto del colloquio senza pregiudizio sull’esito della domanda, la tutela dei diritti, anche di riservatezza, dell’interessato, la eventuale presenza di personale specializzato in caso di persona vulnerabile e dell’avvocato di fiducia, la verbalizzazione del colloquio.

Anche la pdl 944 disciplina il colloquio personale in modo in parte differente (articolo 6, commi 2 e seguenti). In primo luogo, si prevede che l’audizione, se è stata richiesta dall’interessato, diviene condizione necessaria per la prosecuzione del procedimento, fatte salve la rinuncia o l’assenza senza giustificato motivo che consentono di chiudere il procedimento.

Inoltre, vengono rafforzate le misura di tutela dei richiedenti, prevedendo, tra l’altro, la possibilità di sospensione od esclusione del colloquio in presenza di particolati condizioni emotive e psicologiche (attualmente è prevista l’omissione del colloquio previa idonea certificazione sanitaria).

 

L’articolo 23 della pdl 327 (che coincide con l’art. 15 del D.Lgs. 25/2008) affida alla Commissione nazionale il compito di curare la formazione e l’aggiornamento dei propri componenti e di quelli delle commissioni territoriali.

La pdl 327 prevede ulteriori garanzie in favore del richiedente asilo, quali il diritto all’assistenza legale e al gratuito patrocinio (articolo 24, comma 1). A differenza dell’art. 16 del D.Lgs. 25/2008, dove l’ammissione al gratuito patrocinio è espressamente limitata al caso di impugnazioni delle decisioni in sede giurisdizionale, l’articolo in esame prevede che il richiedente ha diritto all’assistenza gratuita anche in sede giudiziaria.

 

La disposizione sembra dunque finalizzata ad estendere il gratuito patrocinio oltre la sede giudiziaria. Si osserva in proposito che la normativa vigente, richiamata tra l’altro dalla norma in esame, assicura il patrocinio a spese dello Stato solo nel processo, sia penale, civile, amministrativo, contabile, tributario o negli affari di volontaria giurisdizione (art. 74, DPR 115/2002).

 

Inoltre, la pdl 327 assicura al richiedente asilo il diritto all’accesso alle informazioni relative alla procedura (articolo 24, comma 2 che riproduce l’articolo 17 del D.Lgs. 25/2008), il diritto all’accesso agli atti amministrativi e più in generale alle tutele connesse all’azione amministrativa (articolo 25 che coincide con l’art. 25 del D.Lgs. 25/2008).

 

Riguardo a quest’ultimo aspetto, il decreto amplia la portata del grado di tutela previsto dalla direttiva, estendendo ai richiedenti asilo l’applicazione di alcune forme di garanzia dei cittadini italiani nei confronti dell’attività amministrativa contemplati dalla L. 241/1990[4], quali l’obbligo di conclusione e di motivazione del procedimento (artt. 2 e 3), l’obbligo di individuare un responsabile del procedimento (artt. 5 e 6), la possibilità dell’interessato (ma non anche di soggetti terzi quali associazioni e comitati) di partecipare al procedimento (artt. 7, 8 e 10), il diritto all’acceso agli atti (capo V). Al procedimento si applicano anche le norme generali relative all’efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo (capo IV-bis della L. 241/1990).

 

Una speciale tutela è assicurata ai minori non accompagnati (articolo 26 della pdl 327, articolo 19 D.Lgs. 25/2008) ai quali deve essere garantita l’assistenza del tutore (nominato secondo le procedure del codice civile, art. 343 e seguenti) in ogni fase del procedimento. In caso di dubbio sull’età, il richiedente può essere sottoposto, previo consenso, ad accertamenti medici. Il mancato consenso non pregiudica il proseguimento della procedura, né il suo esito.

Il comma 5 dell’articolo 26 della pdl 327 introduce il diritto, non presente nella disciplina vigente, del minore non accompagnato di ricevere informazioni sulla protezione internazionale in una lingua da essi conosciuta sulla protezione internazionale e sui diritti ad essa connessi, anche attraverso la predisposizione di apposito materiale informativo da parte del Ministero del lavoro, di concerto con il Ministero dell'interno.

Accoglienza e trattenimento del richiedente protezione

Gli articoli 27, 28 e 29 della pdl 327 disciplinano l’accoglienza e il trattenimento del richiedente asilo nel periodo necessario all’esame della domanda, riproducendo con alcune modifiche il contenuto degli articoli 20, 21 e 22 del D.Lgs. 25/2008.

Innanzitutto, viene omesso il comma 1 dell’articolo 21 di tale decreto legislativo, che stabilisce il principio per cui il richiedente asilo non deve essere trattenuto per il solo fatto di aver presentato istanza. Si tratta di un principio, previsto inizialmente dalla direttiva procedure (art. 18 dir. 2005/85) e poi trasferito nella nuova direttiva accoglienza (art. 8 dir. 2013/32). L’omissione deve però essere valutata alla luce dell’articolo 28, che modifica l’articolo 21 del D.Lgs. 25/2008, disponendo che il trattenimento è ammesso solo nei casi tassativamente indicati (vedi oltre).

Altra importante differenza risiede nell’abolizione dei Centri di accoglienza richiedenti asilo (CARA) le cui funzioni sono svolte dalle ordinarie strutture di accoglienza.

Attualmente, i richiedenti protezione vengono ospitati nei CARA (che hanno sostituito i Centri di identificazione istituiti dalla L. 189/2002) quando si verificano le seguenti condizioni:

§  necessità di determinare l’identità o la nazionalità del richiedente;

§  presentazione della richiesta da parte di coloro che sono stati fermati dalla forza pubblica per aver eluso i controlli di frontiera o per essere in condizioni di soggiorno irregolare.

La modifica proposta dall’articolo in esame prevede che, in presenza dei medesimi presupposti, i richiedenti non siano ospitati in tali strutture dedicate, ma debbano essere accolti nei centri ordinari destinati all’accoglienza dei richiedenti che non dispongono dei mezzi necessari alla sussistenza (si tratta dei centri ridisciplinati dalla pdl 327 agli artt. 47 e 48 per i quali si fa rinvio al paragrafo su Le condizioni e misure di accoglienza). Con la significativa differenza che essi sono tenuti a permanere in tali centri anche se in possesso di mezzi sufficienti.

Inoltre, le condizioni del trattenimento in questi centri sono le stesse di quelle vigenti nei CARA: facoltà di uscire solo nelle ore diurne, allontanamento temporaneo solo previo permesso e per motivi specifici.

I tempi massimi di permanenza nei centri di accoglienza vengono sensibilmente ridotti: il termine di 20 giorni previsto nell’ipotesi di dover accertare l’identità del richiedente è ridotto a 5 giorni, mentre il termine, per tutti gli altri casi, di 35 giorni è portato a 20, ferma restando una minore permanenza nel caso intervenga nel frattempo la decisione sull’istanza.

Si ricorda che la normativa comunitaria non disciplina i limiti temporali di permanenza.

Decorso il periodo di accoglienza senza che la procedura si sia conclusa, al richiedente è rilasciato un permesso di soggiorno temporaneo valido fino alla decisione sulla domanda (ora è di tre mesi, eventualmente rinnovabile).

 

L’articolo 28 della pdl 327 disciplina i casi di trattenimento presso i Centri di identificazione ed espulsione (CIE).

 

I CIE, ex Centri di permanenza temporanea ed assistenza (CPTA), sono luoghi di trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione disciplinati dall’art. 14 del testo unico in materia di immigrazione (D.Lgs. 286/1998).

Il trattenimento è disposto con provvedimento del questore per un periodo di 30 giorni, prorogabile fino ad un massimo di 18 mesi.

I motivi di possibile trattenimento, che deve essere convalidato dall’autorità giudiziaria, sono i seguenti: perché occorre procedere al soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all’acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero a giudizio di convalida, ovvero per l’indisponibilità di vettore o altro mezzo di trasporto idoneo.

In tali strutture lo straniero deve essere trattenuto con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità.

 


Nel caso di richiedenti asilo, affluiscono nei CIE:

§  coloro che sono esclusi dai benefici della Convenzione di Ginevra, perché macchiatisi di gravi reati (crimini di guerra o contro l’umanità)[5];

§  coloro che sono stati condannati per uno dei delitti per i quali è previsto l’arresto in flagranza (art. 380 codice procedura penale) o per reati particolarmente gravi quali quelli di droga, immigrazione clandestina, prostituzione;

§  coloro che sono destinatari di un provvedimento di espulsione o di respingimento alla frontiera.

 

Rispetto alla disciplina vigente (art. 21 D.Lgs. 25/2008), l’articolo 28 interviene a specificare che solo in questi casi è possibile il trattenimento e che il trattenimento stesso è escluso per le persone vulnerabili.

La nuova direttiva accoglienza (art. 11) non esclude il trattenimento per le persone vulnerabili, pur prevedendo numerose e dettagliate misure a loro tutela nel caso siano trattenute. E dunque l’esclusione del loro trattenimento si potrebbe qualificare quale disposizione di maggior favore, rispetto a quella prevista dalla medesima direttiva (art. 4).

 

L’articolo 29 della pdl 327 (corrispondente all’art. 22 del D.Lgs. 25/2008) dispone in ordine alla residenza nei casi di accoglienza e trattenimento. In particolare, il comma 2, stabilisce che l’allontanamento dai centri di accoglienza o di trattenimento senza giustificato motivo fa cessare le condizioni di accoglienza, ma non interrompe l’iter di esame della domanda e fa sì che la commissione territoriale decida la domanda sulla base della documentazione in suo possesso. La pdl 327 introduce una nuova disposizione in cui la struttura di accoglienza viene equiparata alla dimora abituale ai fini dell’accesso dei richiedenti asilo all’iscrizione anagrafica.

 

L’articolo 30 della pdl 327 conferma il potere dell’ACNUR di svolgere, su richiesta, attività di consulenza e supporto al Ministero dell’interno, alla commissione nazionale e alle commissioni territoriali a richiesta. Viene, invece, abolita la previsione che consente all’ACNUR l’accesso alle strutture di accoglienza prevista dall’art. 24 del D.Lgs 25/2008. Una disposizione analoga, recata dall’articolo 9, comma 4, del D.Lgs. 140/2005, è stata espunta e non è confluita nell’articolo 48 della pdl 327.

Si ricorda che la direttiva procedure (sia nella prima versione, sia nella nuova) prevede invece espressamente che l’ACNUR abbia accesso ai richiedenti compresi i trattenuti (si veda l’art. 29 della dir. 2013/32).

 

L’articolo 31 dispone in ordine alla rinuncia esplicita alla protezione: nel caso di ritiro della domanda di asilo il procedimento si estingue.

Si rileva in proposito che, mentre la prima direttiva procedure offriva un’alternativa tra la sospensione e il respingimento in caso di ritiro della domanda (art. 19), la nuova direttiva prevede che la domanda sia di norma sospesa e che venga respinta solo dopo l’accertamento effettivo della sua infondatezza (art. 28).

 

Infine, l’articolo 32 (art. 25 D.Lgs. 25/2008) vieta l’acquisizione di informazioni dai presunti responsabili delle persecuzioni ai danni del richiedente, e, nel contempo, la diffusione di informazioni sul conto del richiedente che possano nuocergli.

La procedura di esame delle domande

L’articolo 33 della pdl 327, che riproduce l’articolo 26 del D.Lgs. 25/2008, disciplina le operazioni preliminari della procedura di esame, disponendo, in particolare, che la presentazione della domanda può avvenire indifferentemente all’ufficio di polizia di frontiera o alla questura. L’attività istruttoria è compiuta comunque dal questore che dispone anche l’eventuale trattenimento nel caso ricorrano le condizioni sopra esaminate. Negli altri casi rilascia un permesso di soggiorno valido fino alla conclusione della procedura (attualmente esso è valido per tre mesi, rinnovabili fino alla conclusione della procedura).

Nel caso di domanda presentata da minori non accompagnati è lo stesso questore che ne dà comunicazione al Tribunale dei minorenni per la nomina del tutore ai sensi dell’art. 343 del codice civile e per il suo inserimento nelle strutture di accoglienza. Una norma analoga è prevista anche dalla pdl 944 che, inoltre, dispone la priorità dei procedimenti relativi ai minori sugli altri (articolo 5).

 

L’articolo 34 della pdl 327 definisce le modalità e i criteri per la valutazione delle domande di protezione internazionale con particolare riguardo all’affermazione del principio secondo cui l’esame della domanda deve essere effettuato su base individuale, tenendo conto di tutti i fatti pertinenti che riguardano sia il Paese d’origine sia il richiedente, e degli elementi (sia meramente dichiarati, sia documentati) offerti dal richiedente medesimo, il quale per parte sua è tenuto a presentarli unitamente alla domanda o, comunque, non appena disponibili. Si tratta di una disposizione recata all’articolo 3 del D.Lgs. 251/2007 (qualifiche) che per ragioni di sistematicità vengono riprodotte nella parte procedure.

Disposizioni analoghe si rinvengono nell’articolo 6 della pdl 944.

 

L’articolo 35 della pdl 327 (art. 27 D.Lgs. 25/2008) introduce la disciplina relativa alla procedura vera e propria dell’esame delle domande di protezione.

Il sistema, che ricalca quello delineato dalla normativa comunitaria, è basato su due tipi di procedura: una ordinaria e una prioritaria o accelerata (facoltativa) che si distingue dalla prima per i tempi di esame più brevi. Il comma 1 dell’articolo 35 affida alle commissioni territoriali il compito di esaminare le domande di asilo, nel rispetto dei principi e delle garanzie indicate nel Capo II.

I tempi di esame per la procedura ordinaria (comma 2) sono quelli già previsti dalla normativa vigente: entro 30 giorni dal ricevimento della domanda la commissione territoriale competente provvede al colloquio e nei successivi 3 giorni decide. Tali termini possono essere derogati se sopravvenga l’esigenza di acquisire nuovi elementi: in tal caso devono esserne informati il richiedente e la questura competente. A differenza della norma vigente, dove non c’è un termine finale, si prevede che in ogni caso la Commissione deve esprimersi nei successivi 15 giorni (comma 3).

Inoltre, si introducono due nuove disposizioni: la prima (comma 4) prevede che nel caso di richiedenti che si ritiene siano vittime della tratta di esseri umani vengono coinvolte nel procedimento di esame della domanda anche le autorità competenti e le associazioni che operano nel settore. Parimenti (comma 5), in presenza di vittime di violenza o tortura o di soggetti con formi gravi di vulnerabilità è prevista la possibilità di richiedere consulenze mediche o psicologiche.

 

L’articolo 7, comma 3, della pdl 944 prevede termini diversi: la Commissione centrale si pronuncia sempre entro un mese, ma non a partire dalla data di presentazione della domanda, ma da quello dell’audizione, con decisione da notificare entro i 15 giorni successivi dalla pronuncia.

 

La procedura accelerata (definita esame prioritario dall’articolo 36 della pdl 327) si attiva in due ipotesi[6]:

§  domanda presentata da persone appartenenti ad una delle categorie vulnerabili o di minore non accompagnato e privo di rappresentanza legale;

§  domanda presentata dai richiedenti che rientrano nelle categorie di cui agli articoli 27 e 28, ossia coloro che sono avviati al sistema di accoglienza (ad eccezione di coloro che devono essere semplicemente identificati) o ai CIE.

Tra le cause di procedura accelerata non viene considerata quella della domanda palesemente fondata, prevista dalla normativa vigente.

In qualsiasi fase del procedimento il richiedente può inviare ulteriore documentazione alla commissione (articolo 37 della pdl 327).

 

L’articolo 38 della pdl 327 e l’articolo 7 della pdl 944 (che corrispondono all’art. 32 del D.Lgs. 25/2008) regolano la fase finale del procedimento, ossia quello della decisione.

Per la pdl 327 (che riproduce la disposizione di cui al D.Lgs. 25/2008, art. 32, estendendola anche al diritto di asilo) la commissione territoriale, fatto salvo il caso di inammissibilità della domanda, di sospensione in caso di dubbio sullo Stato competente a decidere (art. 15) o di ritiro della domanda (art. 31), deve adottare una delle seguenti decisioni:

§  riconoscere lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria;

§  rigettare la domanda qualora non sussistano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, in caso di cessazione o esclusione dalla protezione, oppure se il richiedente proviene da un Paese di origine sicuro.

Il comma 2 dell’articolo 38 della pdl 327 stabilisce che il solo fatto che un richiedente asilo provenga da un Paese di origine sicuro, non deve necessariamente determinare il respingimento della domanda senza averla esaminata alla luce dei motivi addotti dal richiedente per non ritenere sicuro quel Paese nelle circostanze specifiche in cui egli si trova. I gravi motivi di cui sopra possono comprendere anche gravi discriminazioni e repressioni di comportamenti che, pur risultando oggettivamente perseguibili nel Paese di origine, non costituiscono reato per l’ordinamento italiano. In presenza di queste condizioni viene rilasciato al richiedente un permesso di soggiorno per motivi umanitari (al proposito si fa rinvio al paragrafo Permesso di soggiorno).

Anche l’articolo 8 della pdl 944 prevede, in presenza di motivi umanitari, la decisione di impossibilità temporanea al rimpatrio (senza tuttavia fare riferimento alla sicurezza del Paese di origine) che da’ titolo ad uno specifico premesso di soggiorno, di durata di un anno, rinnovabile, che consente all’interessato di svolgere una attività lavorativa o di studio. Dopo 5 anni, il titolare di tale permesso di soggiorno può richiedere la carta di soggiorno (rectius il permesso di soggiorno UE di lungo periodo). Inoltre, il provvedimento di impossibilità al rimpatrio può essere esteso a coloro che sono stati accolti a seguito della adozione di misure straordinarie di accoglienza temporanea e che alla cessazione di queste hanno fatto richiesta di asilo.

Il concetto di Paese di origine sicuro, sopra richiamato, recepisce una disposizione della normativa comunitaria recata sia dalla prima direttiva procedure, sia dalla nuova.

Ai sensi dell’articolo 31 della direttiva 2005/85 e dell’articolo 36 della direttiva 2013/32, se un cittadino proveniente da un Paese di origine sicuro presenta istanza di asilo, questa deve essere necessariamente respinta a meno che il richiedente non invochi gravi motivi relativi alla condizione personale del richiedente stesso in quel Paese, che inducano a non ritenerlo sicuro.

Le modalità di individuazione dei  Paesi sicuri sono state però state modificate. L’articolo 29 della direttiva 2005/85, infatti, prevedeva la redazione da parte del Consiglio dell’Unione europea di un elenco comune minimo di Paesi terzi considerati Paesi di origine sicuri. Elenco che poteva essere integrato da ciascun Paese membro.

L’articolo 37 della direttiva 2013/32 ha invece trasferito completamente alla legislazione degli Stati membri l’individuazione di tali Paesi, in rispetto di alcuni criteri indicato nell’allegato I della medesima direttiva.

 

Con l’entrata in vigore di quest’ultima direttiva, dunque, non sarà più sufficiente, come fa la pdl 327, adottare il concetto di Paese di origine sicuro e fare implicitamente rinvio all’elenco redatto in sede europea, ma bisognerà prevedere disposizioni nazionali di individuazione di tali Paesi.

 

L’articolo 38 della pdl in esame non riproduce l’articolo 32, comma 1, lett. b)-bis del D.Lgs. 25/2008 che prevede il rigetto della domanda, oltre che per la mancanza dei presupposti, anche per presentazione diretta a ritardare o impedire l’espulsione. Si tratta di una disposizione introdotta dal citato decreto legislativo 159/2008 (parte del c.d. pacchetto sicurezza).

Inoltre, viene modificato il comma 4 del citato articolo 32 del D.Lgs., che, in caso di rigetto della domanda, vieta l’espulsione dello straniero fino allo scadere dei termini per l’impugnazione. Il comma 4 dell’art. 38 in esame omette di indicare le modalità di espulsione al termine di tale periodo. La norma vigente prevede l’espulsione con accompagnamento coatto alla frontiera in caso di soggetti accolti o trattenuti nei CARA o nei CIE, mentre, negli altri casi, si applica l’espulsione tramite intimazione a lasciare il territorio nazionale entro 15 giorni.

Revoca, cessazione e rinuncia

L’articolo 39 disciplina il procedimento di revoca e cessazione della protezione internazionale che deve assicurare precise garanzie nei confronti dell’interessato, quali il diritto di essere informato per iscritto in via preventiva dell’avvio del procedimento e quello di poter esporre personalmente le proprie ragioni. Si tratta di quanto previsto dall’articolo 33 del D.Lgs. 25/2008, con l’ulteriore garanzia del diritto al supporto linguistico e alla rappresentanza legale.

Infine, l’articolo 34 (che riproduce testualmente il contenuto dell’articolo 34 del D.Lgs. 25/2008) prevede la rinuncia espressa allo status di rifugiato o di soggetto ammesso alla protezione sussidiaria che comporta la decadenza dal medesimo status. Da rilevare che non è contemplata la rinuncia del diritto di asilo.

Procedure di ricorso

Gli articoli 41 e 42 della pdl 327, nonché l’articolo 9 della pdl 944 disciplinano le procedure di ricorso avverso le decisioni sulle domande di protezione internazionale.

 

Si ricorda, in proposito, che il diritto del richiedente protezione a ricorrere davanti al giudice nei confronti delle decisioni relative alla sua domanda è stabilito dall’articolo 39 della direttiva ”procedure”, a cui è stata data attuazione con il capo V del D.Lgs. 25/1998.

In particolare, attualmente l’articolo 35 del citato decreto, come modificato dal D.Lgs. 150/2011, ammette il solo ricorso giurisdizionale, prevedendo la possibilità di impugnare:

-    la decisione della commissione territoriale relativa all’accoglimento o il rigetto della domanda;

-    la decisione della commissione territoriale di accordare la protezione sussidiaria in luogo dello status di rifugiato;

-    la decisione della commissione nazionale sulla revoca o cessazione della protezione internazionale;

-    il provvedimento della commissione territoriale di inammissibilità della domanda.

Tali controversie sono disciplinate dall'articolo 19 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150.

Ai sensi dell’articolo 36 del D.Lgs. 25/2008, i richiedenti che hanno fatto ricorso possono avere rinnovato il permesso di soggiorno se la decisione non interviene entro 6 mesi (ex art. 11 del D.Lgs. 140/2005). Inoltre, se sono ospitati nei centri di accoglienza rimangono nei medesimi centri, dove vengono anche trasferiti i richiedenti trattenuti nei CIE che hanno ottenuto la sospensione del provvedimento impugnato.

 

Rispetto all’assetto vigente, la pdl 327 apporta una serie di modifiche.

In primo luogo, come già previsto ai sensi del precedente articolo 17, comma 2, l’articolo 41 introduce la possibilità di presentare ricorso motivato avverso la decisione della commissione territoriale davanti alla Commissione nazionale, entro dieci giorni dalla notifica del provvedimento.

 

Si reintroduce in tal modo un ricorso di tipo amministrativo, come già stabilito, in passato, dall’art. 1-ter, co. 6, del D.L. 416/1989, il quale prevedeva un riesame di primo grado da parte della stessa commissione territoriale che ha emesso il provvedimento impugnato, pur se integrata da un componente la commissione nazionale, e un ricorso in secondo grado davanti al tribunale in composizione monocratica. Tale disposizione è stata abrogata dal D.Lgs. 25/2008 ed è stato previsto il sistema attuale di ricorsi, interamente giurisdizionale.

 

Ai fini della decisione, la Commissione nazionale acquisisce la documentazione ed ascolta un delegato della commissione territoriale ed il richiedente (eventualmente assistito dal rappresentante legale); può inoltre richiedere alle organizzazioni internazionali, all’ACNUR e ai competenti uffici dell’UE informazioni e documentazione.

Entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso, la Commissione decide in ordine al riconoscimento della protezione, ovvero al rigetto della domanda.

 

In secondo luogo, l’articolo 42 della pdl 327 lascia inalterato il diritto di proporre ricorso giurisdizionale dinanzi al giudice ordinario contro le decisioni della commissione territoriale e quelle della Commissione nazionale, sia quelle sulla revoca o sulla cessazione dello status, sia quelle, “di secondo grado”, sulle domande respinte dalle commissioni territoriali (comma 1).

Il ricorso è ammesso anche nel caso in cui l'interessato abbia richiesto il riconoscimento dello status di rifugiato e gli sia stato riconosciuto solo lo status di beneficiario di protezione sussidiaria o il diritto di asilo.

 

Il comma 3 riconosce l’applicabilità dell’articolo 44 comma 5 della medesima proposta al richiedente che abbia proposto il ricorso giurisdizionale o quello amministrativo.

 

Poiché la disposizione a cui si rinvia concerne i diritti dei familiari del beneficiario di protezione internazionale, sembra piuttosto che s’intenda in realtà estendere, in pendenza di ricorso, la disposizione di cui all’articolo 44, comma 7, relativa al rinnovabilità del permesso di soggiorno per richiesta di asilo, fino alla decisione definitiva sulla domanda di riconoscimento.

 

Per la disciplina applicabile al ricorso giurisdizionale, l’articolo 42 (comma 2) fa rinvio al menzionato articolo 11 del D.Lgs. 150/2011 che viene tuttavia novellato in più parti ad opera dell’articolo 59, comma 2, della medesima proposta.

 

Il decreto legislativo n. 150 del 2011 ha realizzato una riduzione e semplificazione dei numerosi procedimenti civili di cognizione che rientrano nell’ambito della giurisdizione ordinaria. In particolare, l’articolo 19 oggetto di novella ha ricondotto al rito sommario di cognizione il procedimento per l’impugnazione delle decisioni di diniego della protezione internazionale, previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008.

Il procedimento si caratterizza per l’attribuzione della competenza al tribunale in composizione monocratica. Si tratta del tribunale del capoluogo del distretto di corte di appello in cui ha sede la Commissione territoriale che ha pronunciato il provvedimento impugnato o di cui è stata dichiarata la revoca o la cessazione da parte della Commissione nazionale ovvero del tribunale del capoluogo di distretto di corte di appello in cui ha sede il centro ove il ricorrente è accolto o trattenuto (nei casi di accoglienza o trattenimento disposti ai sensi degli articoli 20 e 21 del D.Lgs. 25/2008).

Il ricorso è proposto, a pena di decadenza, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento (entro 15 giorni in caso di accoglienza o trattenimento disposti ai sensi degli artt. 20 e 21 del D.Lgs. 25/2008). Al ricorso deve essere allegata copia del provvedimento impugnato.

Il ricorso sospende l’efficacia del provvedimento impugnato, a meno che il ricorso venga proposto:

a) da parte di soggetto ospitato nei centri di accoglienza ai sensi dell'articolo 20, comma 2, lettere b) e c), o trattenuto ai sensi dell'articolo 21 del D.Lgs. 25/2008;

b) avverso provvedimento che dichiara inammissibile la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria;

c) avverso provvedimento adottato dalla Commissione territoriale nell’ipotesi prevista dall'articolo 22, comma 2, del D.Lgs. 25/2008, ovvero che ha dichiarato l’istanza manifestamente infondata ai sensi dell'articolo 32, comma 1, lettera b-bis) del medesimo decreto legislativo.

Nelle suddette ipotesi il ricorrente può comunque chiedere, se ricorrono gravi e fondati motivi, la sospensione dell’efficacia del provvedimento. Il giudice decide su tale istanza entro cinque giorni dal deposito del ricorso, con ordinanza non impugnabile pronunciata anche contestualmente al decreto di fissazione dell'udienza. Nei casi previsti dal comma 4, lettera a) il ricorrente permane nel centro in cui si trova fino all’accoglimento dell’istanza di sospensione. Nei casi previsti dal comma 4, lettere a), b) e c), in caso di accoglimento dell’istanza di sospensione, al ricorrente è rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta di asilo e ne viene disposta l'accoglienza ai sensi dell’articolo 36 del D.Lgs. 25/2008.

Il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza sono notificati, a cura della cancelleria, all’interessato e al Ministero dell’interno, presso la Commissione nazionale ovvero presso la competente Commissione territoriale, e sono comunicati al pubblico ministero.

Il termine per appellare è di 10 giorni. Il giudizio di appello deve essere definito entro tre mesi dalla prima udienza.

Il termine per ricorrere in cassazione è di 30 giorni dalla comunicazione o notificazione della sentenza di appello. La Corte di cassazione si pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 375 del codice di procedura civile.

 

Rispetto alla disciplina vigente, la pdl 327 coordina l’articolo 19 con le modifiche di tipo sostanziale apportate alla legislazione in materia di protezione internazionale, già illustrate, senza alcuna variazione circa il rito applicabile.

 

La pdl 944, all’articolo 9, disciplina le impugnazioni avverso della decisione della Commissione centrale, prevedendo solo il ricorso dinanzi al giudice ordinario.

Il termine per ricorrere è fissato in quindici giorni ed il ricorso consente all’interessato e ai suoi familiari di richiedere il prolungamento di validità del permesso per richiesta di asilo, in pendenza di ricorso (comma 1).

Per lo svolgimento dei procedimenti si rinvia alle norme, in quanto compatibili, previste alla sezione II del capo I del Titolo IV del libro secondo del codice di procedura civile (norme sul procedimento di primo grado nelle controversie individuali di lavoro), disponendo altresì che: 1) nel giudizio sono comunque consentiti l’interrogatorio del ricorrente e l’assunzione di ogni altro mezzo di prova; 2) il ricorso deve essere notificato anche alla Commissione centrale che deve inviare immediatamente al ricorrente e al tribunale copia degli atti di cui risulti in possesso relativamente alla domanda di asilo; 3) la Commissione centrale, tramite l’Avvocatura dello Stato, può depositare, almeno dieci giorni prima dell’udienza di discussione, ogni controdeduzione (comma 2).

L’appello, da proporsi entro quindici giorni dalla notificazione della sentenza, sospende l’esecuzione della decisione della Commissione (comma 3). In ogni caso, la sentenza che accoglie il ricorso e riconosce il diritto di asilo sostituisce a tutti gli effetti la decisione della Commissione centrale (comma 4).

Infine, la proposta esenta da ogni imposta o tributo tutti gli atti concernenti i procedimenti giurisdizionali ivi previsti (comma 5).

Nulla si dispone sulle conseguenze della sentenza di rigetto del ricorso del richiedente asilo.

Contenuto della protezione internazionale e misure di accoglienza

Il Titolo IV della proposta di legge A.C. 327, nonché gli articoli da 10 a 14 della proposta di legge A.C. 944, disciplinano le condizioni materiali di accoglienza, assistenza e reinserimento sociale, ovvero l’insieme dei diritti e delle prerogative di coloro che hanno ottenuto la protezione internazionale (riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria o del diritto di asilo) ovvero il diritto di asilo, a seconda delle denominazioni utilizzate nelle due proposte di legge nonché delle misure e dei servizi prestati in favore dei richiedenti.

Tale materia è attualmente disciplinata da alcune disposizioni contenute sia nel D.Lgs. 251/2007 (di attuazione della c.d. direttiva “qualifiche”) – in particolare nel Capo V, dedicato al contenuto della protezione internazionale – sia nel decreto legislativo n. 140/2005 (di attuazione della c.d. direttiva “accoglienza”).

Come già anticipato, peraltro, l’assetto normativo vigente deve essere valutato alla luce della nuova direttiva “qualifiche” del 2011 (dir. 2011/95/UE adottata in sostituzione della dir. 2004/83/CE) per il cui recepimento la legge di delegazione europea 2013 (L. 96/2013) reca una delega che dovrà essere esercitata entro il 21 dicembre 2013, nonché alla luce della nuova direttiva “accoglienza” del 2013 (dir. 2013/33/UE adottata in sostituzione della dir. 2003/9/CE), il cui termine per il recepimento scade il 20 luglio 2015.

Diritto alla protezione internazionale

La proposta di legge 327, all’articolo 43, comma 1, individua il contenuto del diritto alla protezione internazionale, in primo luogo, nel diritto dello straniero a non essere espulso, respinto o estradato dal territorio nazionale, in conformità al principio del non refoulement (comma 1).

 

Il principio di non respingimento trova origine nell’art. 33 della Convenzione di Ginevra ed è stato introdotto nell’ordinamento dall’art. 19, co. 1, del TU in materia in immigrazione, ai sensi del quale “in nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione”.

Attualmente, l’articolo 20 del D.Lgs. 251 determina il contenuto della protezione internazionale, in primo luogo operando un richiamo al citato art. 19, co. 1, del testo unico in materia di immigrazione. Nei limiti del rispetto di tale divieto, l’espulsione del rifugiato o dell’ammesso alla protezione sussidiaria può aversi (solo) quando:

-    sussistono motivi per ritenere che rappresenti un pericolo per la sicurezza dello Stato;

-    rappresenti un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica, essendo stato condannato con sentenza definitiva per un reato punibile con la reclusione non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni.

 

Il comma 2 della medesima disposizione prevede l’adozione di un piano annuale per l’integrazione dei beneficiari di protezione internazionale, a cura del Ministero dell’interno (Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione) di concerto con le regioni, l’ANCI, l’UPI, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e i maggiori enti di tutela e assistenza. Il piano è funzionale all’individuazione delle priorità e delle misure per favorire l’autonomia dei beneficiari della protezione internazionale.

La previsione di un atto di programmazione annuale per favorire l’integrazione rappresenta una novità rispetto alla normativa vigente.

 

In materia, si ricorda solo che ai sensi dell’articolo 42 del TU in materia di immigrazione, lo Stato, le regioni, le province e i comuni, nell’ambito delle proprie competenze, anche in collaborazione con le associazioni di stranieri e con le organizzazioni stabilmente operanti in loro favore favoriscono tutta una serie di misure di integrazione sociale (corsi della lingua e della cultura di origine, diffusione di ogni informazione utile al positivo inserimento degli stranieri nella società italiana; conoscenza e la valorizzazione delle espressioni culturali, ricreative, sociali, economiche e religiose degli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia e ogni iniziativa di informazione sulle cause dell’immigrazione e di prevenzione delle discriminazioni razziali o della xenofobia; organizzazione di corsi di formazione destinati agli operatori del settore).

Si ricorda, inoltre, che presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Generale dell'Immigrazione e delle Politiche di Integrazione - è istituito il Registro delle associazioni e degli enti che operano a favore degli immigrati. Tale registro si rivolge agli organismi privati, alle associazioni e agli enti aventi i requisiti stabiliti dell’art. 53 del DPR 31 agosto 1999, n.394, così come modificato dal DPR 18 ottobre 2004, n.334 e la cui iscrizione rappresenta un requisito di accessibilità a finanziamenti pubblici, ove richiesta.

 

Sotto vari aspetti, sia la pdl 327 sia la pdl 944 prevedono che al riconoscimento della protezione internazionale consegua:

- il rilascio di un permesso di soggiorno;

- la tutela dell’unità familiare;

- il diritto ad informazioni adeguate in merito al proprio status;

- la libera circolazione sul territorio nazionale ed il rilascio di documenti di viaggio per l’estero;

- l’accesso all’alloggio e alle misure di integrazione;

- l’accesso al lavoro e all’istruzione;

- l’assistenza sanitaria, previdenziale e sociale.

Tali aspetti sono di seguito sintetizzati, evidenziando il quadro normativo vigente e le differenze nel contenuto delle proposte di legge in esame.

Permesso di soggiorno

Entrambe le proposte in esame prevedono, in conformità alla normativa vigente, che allo straniero che richiede protezione internazionale siano consentiti l’ingresso e il soggiorno temporaneo nel territorio dello Stato fino alla decisione definitiva sulla sua richiesta (c.d. permesso per richiesta di asilo) e che, in seguito al riconoscimento della protezione, sia rilasciato un permesso di soggiorno per asilo.

 

Tale distinzione è propria anche dell’assetto vigente. Ai sensi dell’articolo 11, co. 1, lett. a), del regolamento di attuazione del TU in materia di immigrazione, adottato con D.P.R. 394/1999, il permesso di soggiorno può essere rilasciato, tra gli altri motivi, per richiesta di asilo (per la durata della procedura occorrente) e per asilo.

 

Tuttavia, le proposte si differenziano per i seguenti aspetti.

In ordine alla tutela dello straniero che ha presentato una domanda di protezione internazionale (o di asilo) non ancora decisa, l’articolo 44 della pdl 327 (comma 7) dispone che il richiedente ha diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per richiesta di asilo di sei mesi, rinnovabile fino alla decisione definitiva sulla domanda di riconoscimento. Dopo il primo rinnovo del permesso di soggiorno al richiedente è consentito il lavoro dipendente ed autonomo.

 

La tutela del richiedente già oggi è assicurata ai sensi dell’articolo 7 del D.lgs. 25/2008, che autorizza il richiedente a rimanere nel territorio dello Stato, ai fini esclusivi della procedura, fino alla decisione della Commissione territoriale in ordine alla domanda. Il prefetto competente stabilisce un luogo di residenza o un'area geografica ove i richiedenti asilo possano circolare.

Inoltre, qualora la decisione sulla domanda di asilo non venga adottata entro sei mesi dalla presentazione della domanda ed il ritardo non possa essere attribuito al richiedente asilo, l’articolo 11 del decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140, stabilisce che il permesso di soggiorno per richiesta asilo è rinnovato per la durata di sei mesi e consente di svolgere attività lavorativa fino alla conclusione della procedura di riconoscimento.

 

L’articolo 44 della pdl 327 stabilisce, inoltre (commi 1-3), che il riconoscimento della protezione internazionale dà diritto a un permesso di soggiorno, la cui durata differisce in relazione allo status ottenuto dallo straniero.

In particolare, prevede che il permesso di lavoro rilasciato ai rifugiati abbia durata quinquennale e sia rinnovabile; quello rilasciato ai titolari di protezione sussidiaria o del diritto di asilo ha invece durata triennale e il rinnovo è subordinato a una verifica del permanere delle condizioni che hanno determinato il rilascio.

In ogni caso, tale permesso consente l’accesso al lavoro e allo studio e, ove sussistano i requisiti, può essere convertito in permesso per motivi di lavoro.

Con ciò, la proposta conferma quanto già previsto dalla normativa vigente, ai sensi dell’articolo 23 del D.Lgs. 251 del 2007, salvo equiparare lo status del beneficiario del diritto di asilo, attualmente non previsto, a quello dello status di protezione sussidiaria.

 

Anche la pdl 944 ha la medesima portata innovativa circa l’estensione soggettiva del permesso di soggiorno ai titolari del diritto di asilo (come intesi dalla medesima pdl), ma differisce rispetto alla pdl 327, in quanto prevede:

·        il rilascio da parte della Commissione alla persona alla quale riconosce il diritto di asilo di un apposito certificato che è consegnato all’interessato tramite la questura, in allegato alla decisione (articolo 10, co 1);

·        il rilascio da parte della questura, su richiesta dell’interessato, di un unico permesso di soggiorno per asilo di durata quinquennale senza distinguere in merito al titolo di conferimento della protezione internazionale (articolo 10, co. 2);

·        che il titolare del diritto di asilo, sei mesi prima che scada il permesso di soggiorno, richieda alla Commissione centrale, tramite la questura del luogo di residenza, una deliberazione di accertamento della permanenza del diritto di asilo al fine della concessione di una carta di soggiorno (articolo 11).

 

In relazione a quest’ultimo punto, la pdl 944 va nella direzione indicata dalla direttiva 2011/51/UE, volta a estendere il diritto all’ottenimento del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, ai titolari di protezione internazionale attraverso la modifica della direttiva 2003/109/CE, attualmente in corso di recepimento.

 

La carta di soggiorno (poi ridenominata permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo) è disciplinata dall’articolo 9 del TU in materia di immigrazione con l'intento di dare la possibilità agli stranieri già regolarmente soggiornanti in Italia e ai nuovi immigrati legali di passare da una condizione di temporaneità ad una di maggiore stabilità. Tale documento può essere richiesto (per sé, per il coniuge e per i figli minori conviventi) dagli stranieri in possesso di alcuni requisiti. Mentre il normale permesso di soggiorno è un documento temporaneo, di durata variabile in base al motivo per il quale viene richiesto e rilasciato, la carta di soggiorno ha una durata illimitata. Attualmente, l’art. 9, co. 3, lett. c), esclude l’applicazione dell’istituto agli stranieri che soggiornano per asilo ovvero che hanno chiesto il riconoscimento dello status di rifugiato e sono ancora in attesa di decisione.

Come anticipato, la direttiva 2011/51/UE sancisce, così, l’opportunità che i beneficiari di protezione internazionale possano ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo nello Stato membro che ha concesso loro la protezione internazionale alle stesse condizioni applicabili agli altri cittadini di Paesi terzi.

La legge di delegazione europea 2013 (L. 96/2013) reca la delega per il recepimento della direttiva, individuando alcuni criteri e principi direttivi che il legislatore delegato deve rispettare nell’attuazione della delega (art. 6) e lo schema di decreto legislativo predisposto dal Governo è attualmente all’esame delle commissioni parlamentari competenti per il parere (atto del Governo n. 35).

 

Per quanto concerne il richiedente asilo, invece, la disciplina stabilita dalla pdl 944 è analoga a quella prevista dalla pdl 327, nonché alla normativa vigente. Infatti, l’articolo 4, co. 7 e 8, riconosce il soggiorno temporaneo fino alla decisione definitiva, prevedendo a tal fine il rilascio di un permesso per richiesta di asilo da parte del questore. Ai sensi del successivo articolo 6, co. 11, qualora la Commissione non decida sulla domanda entro sei mesi, il richiedente ha il diritto di svolgere attività lavorativa fino alla conclusione della procedura di riconoscimento.

Si sottolinea, rispetto alla pdl 327 e al sistema vigente, che, dopo i primi sei mesi non si richiede il rinnovo del permesso di soggiorno.

Tutela dell’unità familiare

Sia la proposta di legge 327 che la proposta 944 prevedono disposizioni che riconoscono diritti ai familiari del beneficiario di protezione internazionale, a tutela dell’unità familiare.

In particolare, la pdl 327, all’articolo 44 (commi 4-6), regola la condizione dei familiari del soggetto ammesso alla protezione internazionale, come definiti dal precedente art. 2, co. 1, lett. l) (ossia coniuge, figli minori non sposati a carico, ovvero adulto responsabile di beneficiario minore), equiparandoli al beneficiario a tutela dell’unità del nucleo familiare.

Il principio è affermato nei commi 4 e 5 dell’articolo 44, in base ai quali i familiari che non hanno individualmente diritto alla protezione internazionale hanno i medesimi diritti riconosciuti al familiare titolare del beneficio, come attualmente previsto dall’articolo 22 del D.Lgs. 251/2007.

La tutela accordata ai familiari si sostanzia, in particolare, nel rilascio agli stessi del permesso di soggiorno, come previsto dal comma 6 del medesimo articolo 44 della proposta, nonché dal successivo art. 55.

 

Per comprendere le novità della proposta rispetto alla normativa vigente, occorre ricordare che ai familiari del rifugiato, se presenti sul territorio nazionale, è rilasciato il permesso di soggiorno per motivi familiari ai sensi dell’art. 30, co. 1, lett. c), ultimo periodo, del testo unico sull’immigrazione; e che l’art. 29-bis del medesimo testo unico, introdotto dal D.Lgs. 5/2007[7], ha attribuito al rifugiato la facoltà di richiedere il ricongiungimento familiare per le medesime categorie di familiari e con la stessa procedura prevista in via generale dal precedente art. 29 per gli stranieri legalmente soggiornanti sul territorio nazionale, escludendo in tale ipotesi la necessità di dimostrare la disponibilità di un alloggio idoneo e di un reddito minimo, richiesta dal co. 3 dell’art. 29.

Successivamente, i commi 3 e 4 dell’articolo 22 del D.Lgs. 251/2007 hanno esteso entrambe le disposizioni ai titolari dello status di protezione sussidiaria pur con alcune differenze in relazione all’individuazione dell’ambito dei familiari[8].

Inoltre, sempre l’articolo 22, al comma 5, ha escluso tali diritti qualora ricorra per taluno dei familiari una delle cause che avrebbero determinato l’esclusione o il diniego del beneficio della protezione internazionale (status di rifugiato o di protezione sussidiaria).

 

Rispetto al quadro normativo sinteticamente descritto, dalla lettura congiunta degli articoli 44 e 55 della pdl 327 emergono le seguenti differenze:

§  il principio della tutela dell’unità del nucleo familiare e l’equiparazione dei diritti ai familiari sono estesi ai beneficiari del diritto di asilo, come definito dalla medesima proposta (v. art. 44, co. 4 e 5, e art. 55, co. 1 e 2);

§  pur essendo confermata la disposizione del D.Lgs. 251 del 2007 (art. 22, co. 3) che estende al titolare dello status di protezione sussidiaria il diritto del familiare presente nel territorio italiano che individualmente non abbia diritto a tale status di ottenere un permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 30 TUI (art. 55, co. 3), tale possibilità non viene estesa, stante la formulazione del testo, ai beneficiari del diritto di asilo;

§  si estende in ogni caso la validità (rectius, durata) del permesso di soggiorno del beneficiario a quello ottenuto dai familiari (art. 44, co. 6).

 

L’articolo 5 del testo unico in materia di immigrazione, al comma 3-sexies, prevede che la durata del permesso di soggiorno nei casi di ricongiungimento familiare di cui all’articolo 29 del medesimo TU non può essere superiore a due anni. Mentre, ai sensi dell’articolo 30, co. 3, il permesso di soggiorno per motivi familiari ha la stessa durata del permesso di soggiorno del familiare straniero in possesso dei requisiti per il ricongiungimento ed è rinnovabile insieme con quest’ultimo.

 

A completamento della disciplina, con la novella all’articolo 29-bis del TU in materia di immigrazione contenuta in altra parte del testo, ossia all’articolo 59, comma 3, si estende la disposizione sul ricongiungimento familiare a tutti i beneficiari di protezione internazionale, così colmando l’assenza di previsione ad hoc nell’art. 55 comma 3. Ciò equivale a confermare la tutela sul punto già accordata dalla normativa vigente per i titolari dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria, che viene estesa alla nuova condizione di beneficiari del diritto di asilo.

 

Pertanto, stante l’attuale formulazione del testo, coordinato con ciò che della normativa vigente scaturirebbe all’esito della sua approvazione, permane qualche differenziazione circa il livello di tutela dell’unità familiare dei titolari di protezione internazionale a seconda del beneficio riconosciuto (status di rifugiato, protezione sussidiaria, asilo).

Peraltro, tale differenziazione appare non conforme alle previsioni della direttiva 2011/95/UE (nuova direttiva qualifiche), che avvicina lo status di beneficiario di protezione sussidiaria con quello di rifugiato, riconoscendo loro gli stessi diritti con particolare riferimento alla tutela dell’unità familiare. L’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva, infatti, non consente più agli Stati membri di differenziare le condizioni applicabili ai benefici relativi ai familiari dei beneficiari di protezione internazionale, come invece reso possibile dalla direttiva 2004/83/CE.

Si rileva, inoltre, per quanto concerne la formulazione del testo, che i commi 4 e 5 dell’articolo 44 e i commi 1 e 2 dell’articolo 55 ripetono le medesime disposizioni con riferimento a destinatari diversamente individuati. Anche alla luce di tali notazioni, andrebbe valutata l’opportunità di congiungere tutte le disposizioni relative al mantenimento dell’unità familiare in un unico articolo.

 

Per quanto concerne la pdl 944, si prevede che:

·        il diritto di asilo è esteso, su richiesta, ai familiari del rifugiato, sulla base del solo vincolo familiare, senza la previsione di ulteriori presupposti. L’accezione del nucleo familiare, in questo caso, è più ampia rispetto alla definizione di familiare di cui all’art. 2, comma 1, lett. l) della pdl 327, in quanto nei familiari sono ricompresi il coniuge non legalmente separato, il figlio minore non coniugato, nonché la persona stabilmente convivente con il rifugiato (art. 2, co. 2);

·        a sua volta, il riconoscimento del diritto d’asilo in favore del nucleo familiare comporta la concessione dei suddetti documenti (certificato di riconoscimento del diritto di asilo, permesso di soggiorno, documento di viaggio) a ciascun componente del nucleo stesso, ad eccezione dei minori segnalati sui documenti dei genitori (art. 10, co. 4). Parrebbe, pertanto, che vi sia piena equiparazione tra il richiedente il diritto di asilo e i componenti del suo nucleo familiare e che a questo ultimi venga rilasciato un permesso di soggiorno per asilo;

·        il titolare del diritto di asilo ha diritto al ricongiungimento familiare nei medesimi casi e modi in cui è consentito il ricongiungimento del cittadino italiano con familiari stranieri (art. 13, co. 1). Tale diritto è esteso anche allo straniero al quale è riconosciuta la protezione umanitaria.

 

L’istituto della protezione umanitaria è previsto dal TU in materia di immigrazione (art. 5, co. 6) ed è riconosciuta al richiedente protezione internazionale quando la Commissione Territoriale, pur non accertando la sussistenza di esigenze di protezione internazionale, ritiene che esistano seri motivi di carattere umanitario che giustificano la permanenza del richiedente sul territorio nazionale. Infatti, l’art. 5, co. 6, del TU prevede che “Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano”.

Il riconoscimento della protezione umanitaria comporta il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari da parte della Questura competente per territorio.

Informazioni

L’articolo 45 della pdl 327 dà attuazione all’obbligo di fornire adeguate informazioni al beneficiario sui diritti e i doveri inerenti al proprio status sia mediante la prevista consegna di un opuscolo redatto in lingua nota allo straniero, sia dettando l’obbligo di fornire informazioni preliminari già nel corso della procedura di riconoscimento, in sede di audizione del richiedente.

La disposizione riproduce sostanzialmente la previsione già contenuta nell’articolo 21 del D.Lgs. 251/2007, con due uniche differenze:

-          l’estensione del diritto all’informazione anche a chi richieda il riconoscimento del diritto di asilo;

-          la soppressione della disposizione in virtù della quale, comunque, le informazioni devono essere garantite in lingua inglese, francese, spagnola o araba; in merito appare opportuno valutare se tale soppressione si può tradurre nella pratica in una riduzione di garanzie.

Libertà di circolazione

L’articolo 46 della pdl 327 dispone, al comma 1, in ordine al diritto di libera circolazione di tutti i beneficiari di protezione internazionale sul territorio nazionale. Lo stesso diritto è garantito dall’art. 29, co. 1, del D.Lgs. 251, per i titolari dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria. Pertanto, la portata normativa della disposizione è di estendere tale diritto ai beneficiari del diritto di asilo.

 

L’articolo 46 non richiama invece quanto previsto dall’art. 29 del D.Lgs. 251 a proposito della:

·         conferma dei limiti alla libertà di circolazione stabiliti nelle leggi militari e la possibilità per il prefetto di vietare agli stranieri il soggiorno in comuni o in località che comunque interessano la difesa militare dello Stato, come prevede l’art. 6 del testo unico in materia di immigrazione (comma 1);

·         necessità che nell’ambito delle misure di integrazione sociale intraprese in favore degli stranieri regolarmente soggiornanti a sensi dell’art. 42 del testo unico in materia di immigrazione, si tenga conto delle esigenze particolari dei titolari di protezione internazionale (comma 2);

·         accesso dei titolari dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria, in condizioni di parità con i cittadini italiani, agli alloggi di edilizia residenziale pubblica e al credito agevolato in materia di edilizia, recupero, acquisto e locazione della prima casa, come previsto per altre categorie di stranieri regolarmente soggiornanti dall’art. 40, co. 6, del TUI.

 

Lo stesso articolo 46 disciplina, ai commi 2-4, il rilascio dei documenti da parte della questura competente necessari a consentire i viaggi al di fuori del territorio nazionale.

Tale diritto è attualmente disciplinato dall’art. 24 del D.Lgs. 251/2007, ai sensi del quale il rifugiato ha diritto al rilascio di un documento di viaggio quinquennale e rinnovabile (co. 1), mentre il beneficiario della protezione sussidiaria ha diritto al rilascio del titolo di viaggio, ogni qual volta sussistano fondate ragioni che non gli consentano di chiedere il rilascio del passaporto alle autorità diplomatiche del paese di cittadinanza (co. 2). I documenti di viaggio possono essere negati solo in caso di gravissimi motivi attinenti la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico ovvero (per i soli destinatari della protezione sussidiaria) quando manchi la certezza sull’identità del titolare (co. 3).

Con l’articolo in esame resta ferma la disciplina vigente, salva l’equiparazione del beneficiario del diritto di asilo, attualmente non prevista, al beneficiario di protezione sussidiaria.

Peraltro, tale equiparazione attiene solo alla necessità di verificare la fondatezza delle ragioni che escludono la richiedibilità del passaporto, quale condizione per il rilascio del titolo di viaggio, mentre non riguarda la causa ostativa al rilascio del documento, rappresentata dal dubbio sull’identità, che, pertanto, continua ad essere applicabile al solo titolare di protezione sussidiaria.

Inoltre, la richiesta di passaporto da parte del beneficiario di protezione sussidiaria e del diritto di asilo può essere fatta nei confronti del Paese d’origine, considerato come il Paese in cui il richiedente è cittadino (come previsto dall’articolo 24 del D.Lgs. 251/2007) o, se apolide, in cui aveva precedentemente la dimora abituale.

 

Per contro, la pdl 944 (articolo 10, co. 3) limita il diritto al rilascio di un documento di viaggio, quinquennale e rinnovabile, al solo rifugiato, previa esibizione alla questura del certificato di riconoscimento del diritto di asilo e del permesso di soggiorno in corso di validità.

Poiché tale proposta non abroga le fonti di disciplina vigenti, la condizione del beneficiario di protezione sussidiaria continuerebbe ad essere disciplinata per tale aspetto dall’art. 24 del D.Lgs. 251/2007.

Condizioni e misure di accoglienza

Le condizioni che regolano l’accesso alle misure di accoglienza sono disciplinate nel capo II del titolo IV della pdl 327 e dagli articoli 12 e 13 della pdl 944.

Attualmente, le norme in materia di accoglienza di richiedenti asilo sono contenute nel D.Lgs. 140/2005, di attuazione della Direttiva 2003/9/CE che stabilisce norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri. Tale corpus normativo è precedente al recepimento delle due direttive “qualifiche” e “procedure” mediante i D.lgs. 251/2007 e 25/2008 e, pertanto, deve essere considerato alla luce della normativa sopravvenuta.

 

Il quadro normativo vigente prevede che la condizione fondamentale che regola l’accesso del richiedente asilo e dei suoi familiari alle misure di accoglienza è che lo stesso sia “privo di mezzi sufficienti a garantire una qualità di vita adeguata per la salute e per il sostentamento proprio e dei suoi familiari” (art. 5, co. 2, D.Lgs. 140/2005). La valutazione dell’insufficienza dei mezzi di sussistenza è effettuata dalla Prefettura - UTG (art. 5, co. 3, D.Lgs. 140/2005) secondo le istruzioni fornite da una circolare del Ministero dell’Interno.

Oltre a ciò un’ulteriore condizione per l’accesso all’accoglienza é la presentazione della domanda di asilo entro 8 giorni dall’ingresso nel territorio nazionale, salvo ricorrano cause di forza maggiore (art. 5, co. 4, D.Lgs. 140/2005).

L’accoglienza ha inizio dal momento della presentazione della domanda di asilo, ma la Prefettura – UTG può comunque disporre interventi assistenziali precedenti (art. 5, co. 5, D. Lgs. 140). Le misure di accoglienza hanno termine al momento della comunicazione della decisione sulla domanda di asilo (art. 5, co. 6), indipendentemente dal periodo intercorso tra la presentazione della domanda di asilo e la conclusione dell’iter amministrativo.

In caso di decisione negativa, se il richiedente asilo presenta ricorso giurisdizionale, lo stesso ha diritto all’accoglienza “per il periodo in cui non gli é consentito il lavoro, ovvero nel caso in cui le condizioni fisiche non gli consentano il lavoro (art. 5, co. 7).

Per accedere alle misure di accoglienza, ai sensi dell’articolo 6 del D.Lgs. 140/2005, è necessaria una specifica richiesta, previa dichiarazione di insufficienza dei mezzi, da rendere al momento della presentazione della domanda di protezione.

Per quanto riguarda l’individuazione delle strutture di accoglienza, la Prefettura, valutata l’insufficienza dei mezzi di sussistenza, accerta la disponibilità di posti all’interno del sistema di protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati (Sistema Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati - SPRAR, su cui, si v, infra, § Strumenti della protezione internazionale). In mancanza, prevede l’invio in un Centro di identificazione (poi sostituito dal Centro di accoglienza richiedenti asilo – CARA, su cui, si v. supra, § Procedure). La Prefettura - UTG in cui ha sede la struttura di accoglienza che ospita il richiedente asilo può disporne il trasferimento verso un altro centro “per motivate ragioni”.

 

Gli articoli 47 e 48 della pdl 327 apportano al quadro normativo vigente alcune modifiche, che possono essere sintetizzate come segue:

·         le misure di accoglienza sono garantite non solo nei confronti del richiedente, ma anche del beneficiario di protezione internazionale, sempre nel presupposto della valutazione dell’insufficienza dei mezzi di sussistenza (art. 47, co. 1);

·         sempre ai fini dell’accesso alle misure, non si richiede l’ulteriore condizione per l’accesso all’accoglienza, ossia la presentazione della domanda di asilo entro 8 giorni dall’ingresso nel territorio nazionale;

·         cambia la decorrenza delle misure di accoglienza, che hanno inizio a partire dalla manifestazione di volontà di chiedere la protezione internazionale, in conformità di quanto previsto dall’articolo 20 della medesima proposta (art. 47, co. 3);

Tale modifica si conforma a quanto richiesto dalla nuova direttiva 2013/13/UE,  che modifica il momento a partire dal quale si accede alle misure di accoglienza, individuandolo nella manifestazione della volontà di chiedere la protezione internazionale (articolo 17), mentre la direttiva 2003/9/CE lo fissava al momento della presentazione della domanda di asilo.

·         il diritto di permanere in accoglienza per il beneficiario di protezione internazionale dura per un anno (art. 47, co. 11);

·         in caso di rigetto della domanda di protezione e conseguente ricorso giurisdizionale, il richiedente ha diritto all’accoglienza sino alla decisione definitiva (art. 47, co. 4);

·         in caso di indisponibilità delle strutture del Sistema Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati, i richiedenti sono ospitati a cura delle regioni (e non nei CARA, come previsto attualmente), in via transitoria, fino alla individuazione delle disponibilità delle strutture deputate in via ordinaria all’accoglienza (art. 47, co. 7);

·         è eliminato il diritto, qualora non ci siano posti disponibili nei centri di accoglienza ed il richiedente asilo abbia mezzi economici, di ricevere un sussidio in denaro.

 

Gli standard di accoglienza sono definiti dall’articolo 48 della pdl 327, ai sensi del quale le strutture di accoglienza devono garantire la tutela della vita, della salute e dell’unità del nucleo familiare, ove possibile, nonché la possibilità di comunicare con parenti, avvocati, rappresentanti dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, associazioni ed enti di tutela.

Rispetto al testo vigente dell’art. 9 del D.Lgs. 140/2005, sono espressamente definite le ulteriori garanzie di:

·        condizioni di alloggio dignitose e non coercitive;

·        supporto legale per la procedura e l'assistenza specifica per le persone vulnerabili;

·        orientamento ai servizi sul territorio e corsi di italiano come seconda lingua.

Per i beneficiari di protezione internazionale – ai quali, come già evidenziato, sono estese le misure di accoglienza oggi riservate ai soli richiedenti – le strutture di accoglienza garantiscono altresì specifici servizi finalizzati ad assicurare processi d'integrazione secondo quanto disposto dal piano annuale istituito ai sensi del citato articolo 43, co. 2, della proposta.

Resta fermo quanto disposto dall’art. 9, co. 3 e 4, del decreto legislativo 140 per quanto riguarda:

·        i controlli da parte delle prefetture nei confronti delle strutture di accoglienza per accertare la qualità dei servizi, nonché;

·        la garanzia di adeguata formazione delle persone che operano in tali strutture.

 

L’articolo 49 della pdl 327 prevede l’attivazione di misure specifiche nei confronti delle persone portatrici di esigenze particolari, riproducendo sostanzialmente le disposizioni di cui all’art. 8 del D.Lgs. 140/2005, con le seguenti difformità:

·        tali misure riguardano le persone vulnerabili secondo la definizione introdotta ai sensi dell’articolo 1 della medesima proposta, nonché le persone per le quali è stato accertato che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale;

Attualmente le categorie di persone vulnerabili sono indicate dall’art. 8, co. 1, D.Lgs. 140/2005: minori, disabili, anziani, donne in stato di gravidanza, genitori singoli con figli minori, vittime di tortura, vittime di violenza sessuale o di altre gravi forme di abuso psicologico o fisico. Le differenze con la definizione introdotta dalla pdl 327 riguardano, in particolare, l’esclusione dei genitori singoli con figli minori e l’inclusione della categoria dei minori non tout court, ma in quanto abbiano subito varie forme di abuso.

La nuova direttiva “accoglienza” (dir. 2013/33/UE) conferma invece l’inclusione dei minori e dei genitori singoli con figli minori (già prevista dalla dir. 2003/9/CE) e prevede ulteriori categorie come le vittime della tratta degli esseri umani, le persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali (art. 21).

Si consideri in ogni caso che l’espressione “persone per le quali è stato accertato che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale” pare poter essere ricompresa nell’ambito della definizione di persone vulnerabili, di cui all’articolo 1 della pdl 327.

·        le categorie vulnerabili di richiedenti asilo non possono essere trattenute presso i CIE (come, invece, ammesso dalle norme vigenti), ma sono ospitate nelle strutture di accoglienza di cui al precedente art. 48.

 

Anche le disposizioni sull’accoglienza dei minori non accompagnati, contenute nell’articolo 50 della pdl 327 non si discostano da quanto previsto ai sensi dell’articolo 28 del D.Lgs. 251/2007.

 

L’articolo 28 del D.Lgs. 251 disciplina la condizione del minore non accompagnato (cioè dello straniero di età inferiore a 18 anni che si trova per qualsiasi motivo sul territorio nazionale ed è privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili), il quale richieda la protezione internazionale.

L’articolo (commi 1 e 2) rinvia alla disciplina generale relativa a tutti i minori in stato di abbandono, recata dagli artt. 343 e seguenti del codice civile, ove si prevede l’apertura della tutela ad opera dell’autorità giudiziaria per il minore i cui genitori non possono esercitare la potestà. Nelle more, si consente l’applicabilità delle misure di protezione sociale previste per i richiedenti asilo ai sensi dell’art. 1-sexies del D.L. 416/1989 (legge Martelli) che ha previsto e disciplinato un sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, e al D.Lgs. 140/2005 (l’art. 8, co. 4, già dispone che l’accoglienza ai minori non accompagnati è effettuata, secondo il provvedimento del Tribunale dei minorenni, ad opera dell’ente locale, e che nell’àmbito dei servizi del sistema di protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati, gli enti locali possono prevedere specifici programmi di accoglienza riservati ai minori non accompagnati, richiedenti asilo e rifugiati, che partecipano alla ripartizione del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo).

Il minore, quando sia possibile, è affidato a un familiare adulto e regolarmente soggiornante; altrimenti si procede al suo affidamento ad una famiglia idonea o, in mancanza, all’inserimento in una comunità di tipo familiare o in un istituto di assistenza secondo la disciplina generale recata dall’art. 2, co. 1 e 2, della L. 184/1983[9], curando di evitare la separazione dei fratelli e di limitare gli spostamenti. È ribadito il principio secondo cui i provvedimenti in materia sono adottati nel superiore interesse del minore.

Le iniziative di ricerca volte all’individuazione dei familiari devono anch’essi svolgersi (comma 3) nel superiore interesse dei minori e con l’obbligo della assoluta riservatezza, in modo da tutelare la sicurezza del richiedente asilo, oltre che dei suoi familiari.

Il Ministero dell’interno stipula inoltre convenzioni con organismi o associazioni umanitarie a carattere nazionale o internazionale, per l’attuazione di programmi diretti a rintracciare anche nel paese di origine i familiari dei minori non accompagnati, svolti nel superiore interesse del minore e con l’obbligo della assoluta riservatezza, in modo da tutelare la sicurezza del richiedente protezione internazionale.

 

La pdl 944 assume una diversa impostazione per quanto concerne la disciplina delle condizioni di accoglienza e assistenza.

La proposta, innanzitutto, prevede l'istituzione di punti di accoglienza provvisoria presso i valichi di frontiera e le questure - individuati dal Ministro dell'interno entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge - ai quali si è presentato il maggior numero di domande di asilo negli ultimi tre anni. Nei locali di questi centri si provvede all'accoglienza provvisoria dei richiedenti asilo in locali idonei (art. 12, co. 1).

In secondo luogo, si distingue tra assistenza e accoglienza immediate e non. In particolare, al richiedente, in prima accoglienza, sono assicurati:

·        le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti ed essenziali, erogate dal Servizio sanitario con oneri a carico del Ministero dell’interno;

·        il vitto e, qualora la permanenza presso il posto di frontiera o la questura si protrae oltre le dodici ore, la disponibilità di un luogo adeguato per il riposo, che, salvo il caso di nuclei familiari, devono essere distinti, se possibile, per donne e bambini;

·        il diritto ad una comunicazione telefonica in Italia ed una all'estero.

Si prevede, inoltre, che, qualora la domanda di asilo sia presentata alla frontiera, per le attività di accoglienza si applicano le disposizioni di cui all’articolo 11, comma 5, del TU in materia di immigrazione.

 

Tale rinvio non appare sufficientemente chiaro, perchè la citata disposizione disciplina la predisposizione da parte del Ministero dell’interno di programmi pluriennali di interventi straordinari per l’acquisizione degli impianti e mezzi tecnici e logistici necessari per fornire assistenza.

 

La stessa disposizione (art. 12, co. 3) prevede che sia il comune ove il richiedente ha fissato il proprio domicilio il soggetto tenuto a fornire, a richiesta, l'assistenza e l'accoglienza immediata.

Il successivo mantenimento delle misure di accoglienza, sempre garantite dal comune, è subordinato all'accertamento dello stato di bisogno del richiedente asilo da parte del comune. In ogni caso, tali misure si applicano per un periodo non superiore a quello del procedimento amministrativo per il riconoscimento del diritto di asilo, incluso il tempo per gli eventuali procedimenti giurisdizionali.

L’accoglienza che il comune è tenuto a garantire deve includere (art. 12, co. 4):

·        alloggio e vitto per l’ammontare giornaliero pro capite determinato con regolamento di attuazione;

·        servizi necessari ad assicurare l’audizione del richiedente da parte della Commissione centrale, ossia il trasporto, da effettuarsi con il mezzo più economico, nonché il vitto e l’alloggio nella località dove si svolge l’audizione;

·        eventuale assistenza di minori in strutture protette.

Per garantire l’assistenza è previsto che il comune possa stipulare convenzioni con organizzazioni di volontariato o organismi internazionali umanitari dotati di idonee strutture (comma 5).

Tutte le spese sostenute dal comune per l’accoglienza sono rimborsate dal Ministero dell’interno. Sono egualmente a carico del Ministero gli oneri relativi alle prestazioni del Servizio sanitario nazionale per gli stranieri titolari di un permesso di soggiorno per richiesta di asilo (comma 6).

Il successivo articolo 13 della pdl 944 individua i diritti del titolare del diritto di asilo, di cui si dà conto nel proseguo insieme con le omologhe disposizioni della pdl 327. Si segnala, tuttavia, sin d’ora la peculiarità data dal fatto che i diritti di cui trattasi sono estesi nella pdl 944 anche ai familiari ricongiunti che hanno diritto all’asilo qualora ne facciano richiesta (art. 13, co. 4).

Infine, si segnala che, ai sensi dell’articolo 14, co. 2, della medesima proposta, ai rifugiati in stato di bisogno il Ministero dell’interno eroga tramite i comuni un contributo giornaliero di prima assistenza, per un periodo massimo di sei mesi, il cui importo è determinato dal citato DPCM, o, in alternativa, vitto e alloggio in strutture di accoglienza (art. 14, co. 2).

Assistenza sanitaria e sociale

Le condizioni di assistenza sanitaria sono disciplinate dall’articolo 51 della pdl 327, che – assorbendo il contenuto dell’articolo 10, co. 1, D.Lgs. 140 e dell’articolo 27, D.Lgs. 251 – distingue tra richiedenti e beneficiari.

Per i richiedenti e i loro familiari è prevista l’iscrizione temporanea al Servizio sanitario nazionale (tessera sanitaria, medico di base, cure ambulatoriali e specialistiche, ricoveri in ospedale, etc.). L’iscrizione è fatta a cura della struttura di accoglienza.

 

Attualmente l’articolo 10, co. 1, del decreto 140/2005 prevede il diritto all’iscrizione al SSN per i richiedenti asilo e i familiari, una volta inseriti nei servizi SPRAR, e non ne menziona l’efficacia temporanea. È fatto salvo quanto previsto dall’articolo 10 del regolamento per il riconoscimento dello status di rifugiato (DPR 303/2004) ai sensi del quale, qualora i richiedenti asilo siano trattenuti presso i centri di identificazione, questi vengono di fatto assimilati agli stranieri irregolari e hanno diritto alle cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative per malattia o infortunio, erogate dal SSN. Non hanno invece diritto all’iscrizione al SSN, fino all’ottenimento del permesso di soggiorno come richiedenti asilo.

 

Per i beneficiari di protezione è, invece, garantito, il diritto non solo all’assistenza sanitaria, ma anche all’assistenza sociale a parità di condizioni rispetto ai cittadini italiani, come già previsto dalla normativa vigente. L’elemento di novità della disposizione è rappresentato dalla tutela offerta allo straniero a cui è stato riconosciuto il diritto di asilo, finora non prevista. Inoltre, la disposizione fa riferimento a specifici programmi di assistenza nei confronti di categorie che presentano particolari esigenze, come le persone vulnerabili, in ciò differenziandosi dalle norme vigenti che considerano iniziative specifiche solo ai fini dell’accoglienza.

 

Per parte sua, l’articolo 13 della pdl 944 prevede che al titolare del diritto di asilo sia riconosciuto il diritto di usufruire del medesimo trattamento previsto per il cittadino italiano in materia previdenziale, di assistenza sociale e di assistenza (comma 3).

 

Per quanto concerne l’assistenza sanitaria, la nuova direttiva “accoglienza” (dir. 33/2013/UE) introduce l’obbligo specifico per gli Stati membri di garantire il trattamento essenziale di gravi disturbi mentali e comprendere nell’assistenza medica, ove necessarie, appropriate misure di assistenza psichica (art. 19).

Accesso all’istruzione

Come previsto dal quadro normativo vigente (art. 10, co. 2, D.Lgs. 140/2005 e 26, D.Lgs. 251/2007), l’articolo 52 della pdl 327 stabilisce che i minori richiedenti la protezione internazionale ovvero i figli minori di richiedenti sono soggetti all’obbligo scolastico. Una volta riconosciuto il beneficio della protezione internazionale, il minore ha accesso all’istruzione a parità di condizioni con il cittadino italiano[10].

Rispetto alle previsioni della pdl 327, le disposizioni vigenti escludono il diritto di accedere ai servizi scolastici ed educativi solo nel periodo di permanenza nel centro di identificazione, oggi CARA, e comunque per un periodo non superiore a tre mesi.

Si segnala che la nuova direttiva accoglienza (dir. 33/2012/UE) prevede (art. 14, § 2) che siano impartiti corsi di preparazione, anche di lingua, ai minori, se necessari per agevolarne l’accesso e la partecipazione al sistema educativo.

 

Un volta raggiunta la maggiore età, il beneficiario ha diritto ad accedere al sistema di istruzione e formazione generale e trovano applicazione le disposizioni vigenti in materia di riconoscimento di titoli e diplomi stranieri.

Inoltre, la disciplina è innovata dalla previsione del rinvio ad un decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca che disponga apposite procedure per agevolare il pieno accesso dei beneficiari incapaci di fornire prove documentali delle loro qualifiche a sistemi appropriati di valutazione, convalida e accreditamento, nel rispetto dell'articolo 2, paragrafo 2, e dell'articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005.

 

Anche la pdl 944 (articolo 13, co. 3) riconosce al titolare del diritto di asilo il diritto di accesso agli studi di ogni ordine e grado e a borse di studio alle medesime condizioni previste per il cittadino italiano; con il regolamento di attuazione sono stabilite le modalità di accertamento dei titoli di studio posseduti dagli stranieri, nonché le caratteristiche e la durata dei corsi ulteriori da seguire per il conseguimento dei titoli di studio italiani.

Accesso al lavoro

Per quanto concerne l’accesso all’occupazione, l’articolo 53 della pdl 327, in conformità a quanto previsto dall’art. 25, co. 1, D.Lgs. 251/2007, riconosce il diritto di accedere al mercato del lavoro a parità di condizioni con i cittadini italiani, solo una volta che sia stato riconosciuto il beneficio della protezione internazionale. Anche in questo caso, l’innovazione consiste nell’estensione di tale forma di tutela verso il titolare del diritto di asilo.

 

La pdl 327 non riproduce quanto previsto dal comma 2 del citato art. 25, in merito alla possibilità del titolare dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria di accedere ai concorsi pubblici a parità di condizioni con i cittadini degli Stati membri dell’Unione europea. Tuttavia, si tratta di una semplificazione normativa, perché il principio è sancito anche dall’articolo 38 del D.Lgs. 165/2001[11] che raccoglie le norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, come da ultimo modificato dalla art. 7, comma 1, lett. b), L. 6 agosto 2013, n. 97, che ha equiparato sul punto il trattamento del titolare dello status di protezione internazionale con il rifugiato. In particolare, ai sensi dell’art. 38, co. 1 e 2, del D.Lgs. 165/2001, i cittadini degli Stati membri dell’Unione europea possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri e non attengono alla tutela dell’interesse nazionale. I requisiti per l’accesso, nonché i posti e le funzioni per i quali non può prescindersi dalla cittadinanza italiana, sono stabiliti con regolamento.

 

Il medesimo articolo 53 prevede la predisposizione di programmi specifici per agevolare il pieno accesso dei beneficiari al lavoro e alla formazione professionale. Non è specificato il soggetto istituzionale a ciò deputato. Si rinvia, infine, all’applicazione della normativa vigente in materia di retribuzione e di accesso ai regimi di sicurezza sociale connessa all'attività di lavoro dipendente o autonomo, nonché di ogni altra condizione di lavoro.

Anche la pdl 944 (articolo 13, co. 3) riconosce al titolare del diritto di asilo il diritto di godere del medesimo trattamento previsto per il cittadino italiano in materia di lavoro subordinato e autonomo, con particolare riferimento all’iscrizione ad albi professionali, nonché il diritto di accesso al pubblico impiego alle stesse condizioni previste per i cittadini dell'Unione Europea.

La medesima proposta, stabilisce, altresì, che i comuni, in via diretta o mediante convenzioni con organizzazioni non governative di protezione dei diritti civili ed umani, sulla base ai criteri fissati con il regolamento di attuazione della legge, adottano progetti di integrazione lavorativa dei rifugiati e corsi di lingua italiana, nonché altri eventuali servizi di assistenza (art. 14, co. 3).

Revoca delle misure di accoglienza

Per quanto riguarda le cause che determinano la revoca delle misure di accoglienza, l’articolo 54 della pdl 327 prevede quanto già oggi disposto dall’articolo 12 del “decreto accoglienza”.

 

L’articolo 12 del D.Lgs. 140/2005 dispone che le misure di accoglienza possono essere revocate con decreto del Prefetto, qualora il richiedente asilo: a) non si presenti presso la struttura individuata o abbandoni immotivatamente la struttura stessa b) non si presenti all’audizione in Commissione Territoriale c) abbia già in precedenza presentato in Italia domanda di protezione internazionale d) abbia mezzi economici sufficienti, e accertati, per garantirsi l’assistenza e) abbia violato ripetutamente le regole della struttura di accoglienza ovvero comportamenti gravemente violenti. Nel primo caso, qualora il richiedente protezione internazionale si ripresenti volontariamente alla struttura, il Prefetto, sulla base degli elementi addotti dal richiedente, può disporre il ripristino delle misure di accoglienza, purché la mancata presentazione o l’abbandono fossero stati causati fa forza maggiore o caso fortuito.

Avverso il provvedimento di revoca delle misure di accoglienza il richiedente può proporre ricorso giurisdizionale avanti al Tribunale Amministrativo Regionale competente.

 

Rispetto alle disposizioni vigenti, la pdl 327:

·        stabilisce che la comunicazione relativa alla mancata presentazione o all’abbandono della struttura può essere effettuata anche mediante il personale della stessa struttura;

·        precisa che la sufficienza dei mezzi economici, la disponibilità dei quali va accertata ai fini della revoca delle misure, deve essere valutata in relazione alla possibilità di garantire al beneficiario non solo l’assistenza, ma anche l’alloggio;

·        modifica la causa di revoca consistente nei comportamenti gravemente violenti, stabilendo che è sufficiente il riscontro di comportamenti violenti.

Si segnala che la nuova direttiva “accoglienza” (dir. 33/2013/UE) specifica che i casi di revoca delle condizioni materiali di accoglienza devono essere eccezionali e debitamente motivati.

Strumenti della protezione internazionale

In base al quadro normativo vigente, i servizi di assistenza e di protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati sono svolti principalmente dagli enti locali.

In particolare, la L. 189/2002, ha soppresso la corresponsione di un contributo di prima assistenza per 45 giorni da parte del Ministero dell’interno in favore dei richiedenti asilo privi di mezzi (art. 1, comma 7, D.L. 416/1989, convertito da L. 39/1990). In luogo di tale contributo, l’articolo 1-sexies del medesimo D.L. 416/1989 (introdotto dall’art. 32 della legge 189/2002), disciplina un sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) che consente agli enti locali di accogliere nell’ambito dei servizi di accoglienza da essi apprestati i richiedenti asilo privi di mezzi di sussistenza, ove non ricorrano le condizioni di trattenimento nei CARA o nei CIE ai sensi degli art 20 e 21 D.Lgs. 25/2008 (v. supra).

A tal fine, sono previste forme di sostegno finanziario apprestate dal Ministero dell’interno e poste a carico di un fondo ad hoc, denominato Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo, istituito dal successivo articolo 1-septies del medesimo D.L. 416/1989.

Per coordinare i servizi territoriali è prevista l’attivazione (ad opera del Ministero dell’interno) e l’affidamento, mediante convenzione, all’ANCI di un servizio centrale di informazione, promozione, consulenza, monitoraggio e supporto tecnico agli enti locali che prestano i servizi di accoglienza.

La disciplina del Fondo nazionale per le politiche ed i servizi dell’asilo destinato a finanziarie le iniziative degli enti locali è fissata ancora oggi nell’art. 1-septies del D.L. 416/1989, ai sensi del quale esso è alimentato da:

§  apposite risorse iscritte nel bilancio di previsione del Ministero dell’interno;

§  assegnazioni annuali del Fondo europeo per i rifugiati[12];

§  donazioni private.

Le disponibilità del Fondo sono assegnate annualmente con decreto del Ministro dell’interno, e sono destinate alle iniziative dei comuni e delle province, in misura non superiore all’80% del costo complessivo di ciascuna iniziativa territoriale.

 

Ai sensi del citato art. 1-sexies, comma 2, del D.L. 416 è stato adottato il decreto ministeriale 28 novembre 2005, poi sostituito dal D.M. 30 luglio 2013, con il quale il Ministero dell’interno ha dettato le linee guida ed il formulario per la presentazione delle domande di contributo, i criteri per la ripartizione e per la verifica della corretta gestione del medesimo contributo e le modalità per la sua eventuale revoca.

 

La pdl 327 mantiene sostanzialmente inalterati gli strumenti previsti dalla normativa vigente, recuperando nell’articolato (articoli 56 e 57) le disposizioni dei citati artt. 1-sexies e 1-septies del D.L. 416/1989, con alcune modifiche.

Per quanto riguarda il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), l’articolo 56 della proposta:

·        ammette anche gli enti locali privi dei servizi di assistenza ad accedere alle risorse del Fondo nazionale al fine di provvedere all'erogazione dei medesimi servizi;

·        elimina la necessità del parere della Conferenza unificata ai fini dell’adozione del decreto del Ministero dell’interno con il quale si provvede a definire le linee guida del Sistema ed annualmente, si determina il sostegno finanziario dei servizi di accoglienza;

·        elimina, tra i compiti del servizio centrale, quello di promuovere e attuare, d’intesa con il Ministero degli affari esteri, programmi di rimpatrio attraverso l’Organizzazione internazionale per le migrazioni o altri organismi, nazionali o internazionali, a carattere umanitario;

·        autorizza il Ministero dell'interno, per l'attuazione dei servizi, a stipulare eventuali convenzioni, a valere sulle risorse del Fondo nazionale, con organizzazioni e associazioni che si occupano di protezione internazionale, i cui requisiti sono stabiliti dal regolamento di cui all'articolo 58.

 

Per quanto concerne il Fondo, l’articolo 57 della pdl 327 propone solo la modifica della denominazione in Fondo nazionale per la protezione internazionale, consequenziale al nuovo lessico giuridico previsto dalla medesima proposta. È, inoltre, ammessa la possibilità di stanziare risorse aggiuntive in favore del Fondo rispetto alla dotazione ordinaria, a copertura di eventuali e maggiori oneri derivanti dall’attuazione della legge. In tal caso, il Ministro dell’interno ha l’obbligo del concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.

 

Degli strumenti predisposti dalla pdl 944 si è detto in relazione alle condizioni e alle misure di accoglienza. In sintesi, l’articolo 13 (v. supra) prevede che l’accoglienza sia garantita dai comuni e che le relative spese sia a carico del Ministero dell’interno mediante un meccanismo di rimborso agli enti locali.

Per quanto non previsto nella proposta, l’articolo 14 rinvia ad un regolamento di attuazione, da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge. In particolare, il regolamento definisce i programmi di accoglienza, di assistenza, di integrazione, di rimpatrio, nonché le norme per il coordinamento ed il finanziamento degli interventi a favore dei rifugiati.

Tali attività sono svolte dagli enti locali, dalle organizzazioni non governative di protezione dei diritti civili ed umani e delle altre associazioni che rispondono ai criteri definiti nello stesso regolamento. Per l’attuazione dei suddetti programmi sono trasferite ai comuni apposite risorse finanziarie in proporzione al numero dei rifugiati residenti nel territorio di competenza, quale contributo alle attività di assistenza svolte dai comuni (comma 1).

Disposizioni finali

Gli articoli 58-60 della pdl 327 dettano disposizioni transitorie e finali.

In primo luogo, l’articolo 58 rinvia l’attuazione della nuova disciplina ad un regolamento governativo che deve essere emanato entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge, ai sensi dell’articolo 17, co. 1, della L. 400/1988. E’ previsto il parere delle commissioni parlamentari competenti da rendere da entro tre mesi dalla trasmissione dello schema di regolamento.

Si è già detto del regolamento di attuazione previsto dalla pdl 944 (art. 14) nel § Strumenti della protezione internazionale, cui si rinvia.

 

L’articolo 59 della pdl 327 contiene disposizioni di coordinamento della disciplina introdotta dalla proposta di legge con la normativa vigente. A tale fine, sono disposte abrogazioni e novelle.

Quanto alle abrogazioni (comma 1), esse riguardano:

§  le disposizioni ancora vigenti del D.L. 416/1989, conv. da L. 39/1990, ossia gli articoli 1, 1-sexies e 1-septies, che disciplinano in particolare lo SPRAR e il Fondo nazionale per le politiche ed i servizi dell’asilo;

§  il D.Lgs. 140/2005 (c.d. decreto “accoglienza”);

§  il D.Lgs. 251/2007 (c.d. decreto “qualifiche”);

§  il D.Lgs. 25/2008 (c.d. decreto “procedure).

Le novelle sono, invece, previste dai commi 2 e 3, di cui si è dato conto, supra, nei § dedicati, rispettivamente, ai Ricorsi e procedure d’impugnazione (per quanto riguarda la novella all’art. 19, D.Lgs. 150/2011) nonché al Diritto della protezione internazionale, nella parte relativa alla tutela dell’unità familiare (per quanto concerne la novella all’art. 29-bis del TU in materia di immigrazione).

 

L’articolo 60 della pdl 327 fa decorrere l’efficacia delle disposizioni della proposta di legge dalla data di entrata in vigore del regolamento di attuazione.

 

La pdl 944 prevede una disposizione finale di copertura finanziaria (articolo 15), in base alla quale l'onere derivante dall'attuazione della legge viene stimato pari a 14.000.000 di euro annui per l'anno 2014 e a 15.000.000 di euro a decorrere dall'anno 2015. Per garantire tali risorse si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni per i medesimi anni dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2014-2016, nell'ambito del fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2014, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'interno.

Anche la pdl 1444 reca una disposizione di copertura (articolo 2) pari a 2 milioni di euro a decorrere dal 2013 assicurata utilizzando gli stanziamenti di cui al Fondo per le esigenze connesse agli interventi in materia di immigrazione ed asilo, istituito dall’articolo 1, comma 1262 della legge finanziaria 2007 8L. 296/2006).

 



[1] Con cui la Corte ha dichiarato che “quando gli Stati membri non possono ignorare che le carenze sistemiche della procedura di asilo e delle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo nello Stato membro identificato inizialmente come competente in base ai criteri enunciati nel capo III del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo, costituiscono motivi seri e comprovati di credere che il richiedente asilo corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ciò che spetta al giudice del rinvio verificare , lo Stato membro che procede alla determinazione dello Stato membro competente è tenuto a non trasferire il richiedente asilo verso lo Stato membro identificato inizialmente come competente e, ferma restando la facoltà di esaminare esso stesso la domanda, a proseguire l’esame dei criteri di detto capo per verificare se un altro Stato membro possa essere identificato come competente in base ad uno di tali criteri o, in mancanza, in base all’articolo 13 del medesimo regolamento.Per contro, in una situazione del genere, l’impossibilità di trasferire un richiedente asilo verso lo Stato membro identificato inizialmente come competente non implica, di per sé, che lo Stato membro che procede alla determinazione dello Stato membro competente sia tenuto a esaminare esso stesso la domanda di asilo sul fondamento dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento n. 343/2003”.

 

[2]     http://www.asylumineurope.org/files/shadow-reports/not_there_yet_02102013.pdf

[3]     Non viene considerata una quarta eccezione al diritto di permanenza, prevista in via facoltativa dalla direttiva procedure (anche nella nuova versione), relativa alla reiterazione delle domande di asilo in quanto questa particolare fattispecie di domanda (la cui attuazione non è obbligatoria) non è recepita dal decreto legislativo.

[4]     L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.

[5]     Art. 1, lett. F) della Convenzione di Ginevra ratificata dalla legge 24 luglio 1954, n. 722.

[6]     L’articolo 23 della direttiva 2005/85 e l’articolo 31 della direttiva 2013/32 indicano una rosa molto più ampia, anche se di natura facoltativa, di casi per i quali attivare la procedura prioritaria.

[7]     Il D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 5, ha recepito la direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare degli stranieri.

[8]     In realtà, l’ambito dei familiari per i quali si può richiedere il ricongiungimento ex art. 29 del TU immigrazione è più ampio rispetto a quello definito dal D.Lgs. 251: oltre al coniuge e ai figli minori a carico, infatti, sono compresi dalla disposizione del testo unico anche gli altri figli minori e i figli maggiorenni a carico qualora permanentemente non possano provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita in ragione del loro stato di salute, nonché i genitori a carico che non dispongano di un adeguato sostegno familiare nel Paese di origine o di provenienza.

[9]     L. 4 maggio 1983, n. 184, Diritto del minore ad una famiglia.

[10]   L’obbligo scolastico e l’accesso all’istruzione superiore degli stranieri è regolato dagli artt. 38 e 39 del TU.

[11]   D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

[12]   Il Fondo Europeo per i Rifugiati è stato istituito con Decisione del Consiglio Europeo n. 2000/596/CE (cd. “Decisione FER”) per sostenere le azioni degli Stati membri dell’Unione in merito alle condizioni di accoglienza, integrazione e rimpatrio volontario di richiedenti asilo, rifugiati e profughi. La Decisione introduce un nuovo sistema di gestione degli interventi, che affida a ciascuno Stato membro il compito di individuare, sulla base della situazione esistente nei singoli Paesi, le carenze nel campo dell’accoglienza, dell’integrazione e del rimpatrio volontario e le azioni da intraprendere per far fronte alle specifiche esigenze riscontrate a livello nazionale, attraverso la predisposizione di un apposito programma di attuazione FER. Le risorse finanziarie del FER vengono ripartite fra gli Stati membri, ai quali viene affidata la responsabilità dell’attuazione delle azioni che beneficiano del sostegno comunitario e quindi la selezione, la sorveglianza, il controllo e la valutazione dei singoli progetti. In Italia, l’Autorità Responsabile è il Ministero dell’Interno. Si cfr. :
http://www.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/temi/asilo/sottotema010.html.