MOZIONI CONCERNENTI MISURE A FAVORE DELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE IN MATERIA DI ACCESSO AL CREDITO E PER LA TEMPESTIVITÀ DEI PAGAMENTI DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI

   La Camera,
   premesso che:
    il sistema delle piccole e medie imprese costituisce il motore dell'intera economia italiana, costituendo il 99 per cento del sistema imprenditoriale, impiegando circa l'80 per cento degli addetti totali e generando quasi il 72 per cento del valore aggiunto complessivo;
    è in corso un drammatico fenomeno di restrizione del credito per tutte le imprese, aggravato dal fatto che quel poco credito erogato ha raggiunto costi altissimi, soprattutto per le piccole e medie imprese; secondo recenti dati forniti di Banca d'Italia, il tasso di crescita su base annua del credito al sistema industriale è in forte rallentamento: a maggio 2011 era del 6,1 per cento, a ottobre 2011 del 5,8 per cento, a novembre 2011 del 4,9 per cento, mentre a dicembre 2011 del 3,1 per cento; ma il dato più preoccupante è che, mentre fino a novembre 2011 lo stock di credito erogato alle imprese non finanziarie era comunque aumentato, se pur ad un tasso decrescente, a dicembre 2011, in termini assoluti, ha mostrato una contrazione di circa 20 miliardi di euro;
    purtroppo, il credit crunch ha radici ormai lontane: è dal 2008, infatti, data nella quale la crisi si è manifestata in tutta la sua drammaticità, che le imprese devono affrontare il tema della restrizione del credito, in una prima fase a causa «soltanto» della crisi del sistema finanziario e bancario, in un seconda fase a causa anche del rallentamento dell'economia reale;
    dall'autunno 2011 la crisi dei debiti sovrani ha ulteriormente penalizzato il sistema bancario, indebolendone la capacità di raccolta e la posizione finanziaria, e gli interventi delle autorità bancarie europee hanno definitivamente messo in ginocchio tutto il sistema, rendendo difficile ottenere prestiti dalle banche, ad un prezzo, oltretutto, altissimo: lo spread sull'euribor a tre mesi pagato dalle imprese nel 2007 era pari allo 0,6 per cento, mentre a fine 2011 ha raggiunto il 2,75 per cento; addirittura, le piccole e medie imprese pagano un differenziale pari a 3,6 punti; il costo complessivo delle nuove operazioni può, quindi, raggiungere il 3,8 per cento per le grandi e il 5 per cento per le piccole imprese;
    la restrizione del credito al sistema produttivo comporta, quindi, l'aumento dei margini di interesse, la richiesta di sempre maggiori garanzie reali da parte delle banche, l'accorciamento della durata dei finanziamenti;
    la genesi della pesante crisi economico-finanziaria aveva aperto la discussione sulla patrimonializzazione degli istituti di credito e sugli eccessivi livelli di rischio che questi ultimi assumono; il crac di Lehman brothers di quattro anni fa ha fatto drammaticamente emergere l'abuso della leva finanziaria da parte degli istituti di credito e il problema della qualità degli strumenti finanziari detenuti dalle banche stesse;
    il Comitato dei governatori delle banche centrali europee ha riscritto l'accordo cosiddetto Basilea 2 per arrivare al «Basilea 3», che mira a rafforzare il patrimonio delle banche, al fine di dare stabilità al sistema finanziario per scongiurare il pericolo di nuove catastrofi finanziarie; il prezzo da pagare, però, è un ulteriore rallentamento dell'economia: già il comitato di Basilea ed il Fondo monetario internazionale avevano stimato che ad ogni punto in più di capitale richiesto corrisponde una riduzione media del prodotto interno lordo pari allo 0,04 per cento;
    successivamente agli accordi di «Basilea 3», l'Eba-European banking authority, nell'autunno 2011, ha imposto requisiti patrimoniali più stringenti per le banche, accrescendone le difficoltà e accelerando il processo di riduzione del proprio indebitamento a seguito della necessità di una forte ricapitalizzazione; l'effetto è stato generalizzato in tutta l'Unione europea, ma in Italia lo è stato ancora di più a causa dell'introduzione dei nuovi criteri per il calcolo dei requisiti patrimoniali che prevedono la valutazione a prezzi di mercato dei titoli del debito pubblico, superando le disposizioni precedenti che prevedevano la contabilizzazione dei titoli iscritti nel portafoglio bancario al valore di acquisto; il risultato è una pesante crisi di fiducia verso le banche e una forte crisi di liquidità che sta penalizzando, in particolare, le piccole e medie imprese;
    per le piccole e medie imprese il credito bancario rappresenta la principale fonte di finanziamento e Prometeia stima che siano 25.000 le piccole e medie imprese a rischio chiusura proprio per le difficoltà a reperire finanziamenti bancari e per la congiuntura economica negativa;
    la revisione dei requisiti patrimoniali di «Basilea 3» ed Eba sta portando ad un aumento del capitale di vigilanza delle banche pari al 31,25 per cento, con una distribuzione su tutti le posizioni attive bancarie e, quindi, anche sui portafogli crediti erogati alle piccole e medie imprese; secondo Confindustria, però, i portafogli crediti delle piccole e medie imprese risultano sicuramente meno rischiosi rispetto a quelli delle grandi imprese, grazie alla minore correlazione, dimostrata da analisi empiriche, tra gli attivi delle piccole e medie imprese e l'andamento economico generale; sarebbe, perciò, opportuno introdurre meccanismi correttivi, tali da permettere un trattamento prudenziale da parte delle banche meno stringente per le piccole e medie imprese; tali correttivi consentirebbero alle banche di accantonare meno capitale a fronte dei crediti erogati alle piccole e medie imprese in modo da recuperare liquidità, limitando gli effetti restrittivi nell'erogazione del credito alle piccole e medie imprese stesse; la proposta di Confindustria, condivisa dalle altre organizzazioni imprenditoriali europee, ha portato la Commissione europea ed Eba a prendere in considerazione l'introduzione di alcuni meccanismi correttivi, impegnandosi a monitorare gli effetti dell'applicazione dell'accordo di «Basilea 3» sulle piccole e medie imprese;
    in questa fase economica, al fine di limitare la prociclicità di «Basilea 3», è necessario vigilare sul livello di credito erogato alle imprese, intervenendo a livello europeo per armonizzare i criteri ed i modelli di valutazione dei rischi, oggi molto diversi tra loro; tali differenze provocano distorsioni della concorrenza tra banche di diversi Paesi e rischiano di vanificare il raggiungimento dell'obiettivo della stabilità del sistema finanziario e, conseguentemente, del sistema industriale; tali criteri penalizzano decisamente gli istituti di credito italiani più concentrati sulle attività tradizionali, che, però, a livello europeo vengono considerate ad alto assorbimento di capitale;
    in Italia, poi, il tema della corretta valutazione del merito del credito verso le imprese ha assunto assoluta importanza; si assiste ad una valutazione sempre più rigida del rating aziendale a scapito della valutazione degli elementi più qualitativi che possono qualificare in positivo l'attività imprenditoriale: affidabilità del management, contratti, organizzazione aziendale sono alcuni degli elementi che le nostre banche potrebbero considerare nell'analisi complessiva dell'affidabilità aziendale;
    non secondario è il tema dei ritardi nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni: attanagliati dalle morse del patto di stabilità, i tempi dei pagamenti delle forniture degli enti locali, delle aziende sanitarie, delle aziende ospedaliere si sono allungati all'inverosimile, appesantendo la posizione finanziaria delle piccole e medie imprese; molte sono le imprese che lavorano quasi esclusivamente per il settore pubblico e se fino a quindici anni fa lavorare per il pubblico era per un'azienda garanzia di affidabilità e solvibilità, oggi è sinonimo di difficoltà finanziaria e di alta esposizione bancaria; una delle proposte della Lega Nord è quella di favorire la compensazione tra debiti e crediti tra le piccole e medie imprese e pubblica amministrazione, includendo non solo quelli commerciali, ma anche e soprattutto quelli tributari; la crisi sta evidenziando molte situazioni nelle quali l'imprenditore non riesce a pagare le imposte, pur avendo presentato nei tempi e nei modi previsti le dichiarazioni fiscali; la compensazione di questi debiti costituirebbe sicuramente una boccata di ossigeno per tutte le piccole e medie imprese; l'alternativa sarebbe quella di garantire una rateazione del debito tributario più lunga e flessibile ad un costo ragionevole per il debitore, in modo da contemperare le esigenze dell'erario con quelle dell'imprenditore;
    è ormai indispensabile un decisivo intervento dello Stato nei confronti del sistema bancario italiano che sappia limitare il fenomeno del credit crunch, introducendo innovativi sistemi di garanzia degli affidamenti o, addirittura, incentivi fiscali per le banche che sappiano mettere a disposizione delle piccole e medie imprese in tempi certi e rapidi linee di credito agevolato,

impegna il Governo:

   ad intervenire a livello europeo chiedendo l'attuazione rapida dei correttivi chiesti dalle organizzazioni imprenditoriali alla regolamentazione relativa ai requisiti prudenziali per le banche, al fine di riservare un trattamento meno stringente per le piccole e medie imprese, che possa consentire alle banche di recuperare liquidità da utilizzare per erogare crediti alle piccole e medie imprese stesse;
   ad intervenire a livello europeo per rendere omogenei i criteri e le metodologie per ponderare i rischi degli attivi bancari, in modo da garantire effettiva concorrenza tra le banche dei differenti Paesi e da non penalizzare l'attività delle banche italiane, sicuramente meno rischiosa, ma considerata ad alto assorbimento di capitale;
   ad intervenire rapidamente, nell'ambito delle proprie competenze, per ridurre significativamente i tempi dei pagamenti dello Stato, degli enti locali e delle aziende pubbliche, posto che gli attuali tempi, dettati dai vincoli di bilancio europei, non sono più sostenibili per le piccole e medie imprese e, soprattutto, per le piccole e medie imprese che lavorano quasi esclusivamente per il settore pubblico, favorendo linee di credito a basso costo per quelle imprese che vantano crediti verso la pubblica amministrazione garantiti direttamente dallo Stato con l'emissione di titoli di Stato o con le proprie riserve auree ciò sino all'effettivo incasso delle somme stesse, permettendo così ai piccoli e medi imprenditori di poter continuare a sviluppare la propria attività e a pagare lo stipendio dei propri dipendenti, favorendo così un circolo virtuoso nell'economia;
   ad assumere iniziative normative per prevedere degli sgravi fiscali per quegli istituti di credito che si impegnino a garantire linee di credito agevolato alle imprese di piccole dimensioni in tempi rapidi;
   ad aiutare le piccole e medie imprese nell'assolvimento dei propri debiti tributari e contributivi, introducendo rateazioni più lunghe e più flessibili;
   ad aiutare il sistema creditizio, tramite il rafforzamento dei sistemi di garanzia, e a cambiare l'approccio troppo prudente verso le piccole e medie imprese, considerato che l'eccessiva prudenza nell'erogazione del credito rischia di impedire alle imprese di continuare ad operare, con conseguenze drammatiche per l'intero sistema economico.
(1-00896)
«Montagnoli, Dozzo, Fugatti, Forcolin, Comaroli, Fogliato, Lussana, Fedriga, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Consiglio, Crosio, D'Amico, Dal Lago, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fabi, Fava, Follegot, Gidoni, Giancarlo Giorgetti, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Maggioni, Maroni, Martini, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi».
(28 febbraio 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    le piccole e medie imprese, pur costituendo la spina dorsale dell'economia italiana, rappresentando il 98 per cento del totale delle aziende italiane e dando lavoro al 74,8 per cento del totale degli addetti, stanno vivendo un momento estremamente difficile, strette da una parte dal cosiddetto credit crunch e dall'altra dalla mancata riscossione dei crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione;
    i problemi connessi alla crisi dei debiti sovrani e gli interventi regolamentari, che hanno imposto alle banche di procedere ad ingenti ricapitalizzazioni, contribuiscono notevolmente all'acutizzarsi delle difficoltà nell'accesso al credito;
    i più alti requisiti di capitale imposti dall'accordo cosiddetto Basilea 3 e dall'Eba-European banking authority non stanno diffondendo quella fiducia che era nelle intenzioni dei proponenti. Al contrario, accrescono le difficoltà delle banche che hanno avviato un processo di riduzione dell'indebitamento. A tal proposito, interessanti appaiono quelle proposte avanzate nei mesi scorsi dall'Abi in ordine all'introduzione di specifici coefficienti (quali il Pmi supporting factor da applicare all'ammontare destinato a riserva secondo i parametri di «Basilea 3») per fare in modo che le difficoltà degli istituti bancari nel fronteggiare i più rigidi requisiti patrimoniali richiesti, non abbiano effetti restrittivi ulteriori nell'erogazione del credito alle piccole e medie imprese;
    sono auspicabili misure dirette ad una maggiore elasticità nella concessione di finanziamenti nel breve periodo, attraverso un ampliamento del sistema di garanzia pubblico, tramite il rafforzamento del fondo di garanzia e di altri strumenti quali il fondo italiano d'investimento;
    la crescita vertiginosa dello spread nei mesi passati ha appesantito la stretta creditizia di 1,5 per cento negli ultimi tre mesi e del 2,2 per cento nel solo mese di dicembre 2011. Il sistema produttivo è stato gravato da un costo aggiuntivo nei tassi d'interesse di 3,7 miliardi di euro, mentre le insolvenze hanno superato gli 80 miliardi di euro (più 36 per cento rispetto al 2010);
    il credit crunch, quella condizione di calo significativo o di inasprimento improvviso delle condizioni dell'offerta di credito da parte del sistema bancario, produce un avvitamento finanziario che danneggia la fisiologia interna delle piccole e medie imprese, poiché ne mina la residua base patrimoniale;
    d'altra parte il nostro sistema bancario non concede anticipazioni o apre linee di credito allo scopo di finanziare progetti, ma si muove nella logica esclusiva delle garanzie. È evidente allora che le difficoltà di accesso al credito, già in essere per le piccole e medie imprese italiane, legate a questo modus operandi delle banche e alla minore capacità delle imprese più piccole di fornire solide garanzie, si accentueranno a tal punto che si paventa il rischio concreto di una paralisi degli investimenti, del sistema produttivo e, quindi, dell'economia tutta;
    la crisi economica ha fatto diminuire del 30 per cento il fatturato delle piccole aziende, inducendo gli istituti di credito a chiedere loro un piano di rientro dai fidi in tempi ristrettissimi;
    è pari al 43,3 per cento il numero di piccole e medie imprese con meno di venti dipendenti che negli ultimi tre mesi ha avuto problemi di accesso a un finanziamento bancario e, nella maggioranza dei casi, per il 57,1 per cento la richiesta di credito serve a colmare una carenza di liquidità;
    recentemente il Governo si è fatto promotore di una moratoria di 12 mesi sui prestiti bancari alle piccole e medie imprese in bonis, cioè senza debiti in sofferenza, incagliati, ristrutturati o esposizioni scadute da oltre 90 giorni, con lo scopo di assicurare loro liquidità e traghettarle oltre la crisi economica. Ne potranno beneficiare le imprese con meno di 250 dipendenti, fatturato inferiore a 50 milioni di euro, oppure con un attivo di bilancio fino a 43 milioni;
    presso il Ministero dello sviluppo economico è istituito il fondo centrale di garanzia che ha lo scopo di favorire l'accesso al credito delle piccole e medie imprese, attraverso il rilascio di una garanzia pubblica sui finanziamenti erogati dalle banche. Grazie alle risorse disponibili nel fondo, infatti, lo Stato si fa garante del rimborso del prestito da parte dell'impresa, consentendo così una più facile erogazione del finanziamento, il cui plafond complessivo è stato progressivamente incrementato e portato, nel 2009, a circa 2 miliardi di euro, ancora insufficienti e disponibili soltanto fino a tutto il 2012;
    per quanto riguarda l'altro elemento di difficoltà, considerato una tra le piaghe peggiori che gravano sul sistema produttivo italiano, relativo ai ritardi di pagamento dalla pubblica amministrazione, che ha portato quest'ultima a contrarre circa 70 miliardi di euro di debiti nei confronti delle aziende private, provocando il fallimento di una su tre di esse, i dati numerici divulgati dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture hanno restituito un'immagine preoccupante: i tempi di pagamento oscillano in un range compreso tra un minimo di 92 giorni ed un massimo di 664 giorni. L'entità dei ritardi mediamente accumulati è circa doppia rispetto a quanto si registra nel resto dell'Unione europea: mediamente 128 giorni contro i 65 che si computano a livello europeo;
    la complessità dell'organizzazione delle procedure amministrative e dei criteri per il trasferimento dei fondi tra le varie strutture burocratiche (tra questi i vincoli del patto di stabilità) e l'ampio potere di mercato della pubblica amministrazione sono fattori determinanti che contribuiscono all'allungamento delle tempistiche di pagamento. La principale conseguenza di questi ritardi è la mancanza di liquidità nelle casse delle imprese fornitrici. Ne consegue, anzitutto, la difficoltà nell'onorare i pagamenti ai propri fornitori e, in subordine, l'impossibilità di porre in essere gli investimenti necessari;
    a tutto ciò si aggiunga che, inevitabilmente, non solo è limitata la capacità di queste aziende di prevenire il ritardo dei pagamenti in sede di contrattazione con le pubbliche amministrazioni, ma è ridotta anche la possibilità di ricorrere alla tutela giurisdizionale, in ragione dei costi economici e sociali che questa comporta;
    il ritardo dei pagamenti della pubblica amministrazione, fenomeno che ha ormai raggiunto e superato i livelli di guardia, finisce, quindi, con il trasferire alle imprese fornitrici il problema di liquidità del settore pubblico;
    nonostante sia in difetto, lo Stato non manca di chiedere alle imprese massima regolarità nel pagamento dei contributi previdenziali, la qual cosa per molte aziende risulta quasi impossibile a causa della mancanza di liquidità, aggravata proprio dal ritardo nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione, e paradossalmente richiede, per ricevere il pagamento dei crediti accumulati con gli enti pubblici, la presentazione del durc (documento unico di regolarità contributiva);
    con l'approvazione del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, è possibile compensare i crediti che le imprese vantano nei confronti della pubblica amministrazione, ma ciò vale solo per i debiti iscritti a ruolo e per i crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, e comunque con procedure molto complesse;
    anche il decreto-legge sulle liberalizzazioni, appena approvato dal Senato della Repubblica, rappresenta un tiepido segnale di apertura del Governo al problema, prevedendo, all'articolo 35, lo sblocco di circa 6 miliardi di euro attraverso un incremento delle dotazioni dei fondi speciali (somma certo rilevante, ma ancora inadeguata rispetto ai 70 miliardi di euro di debiti), a cui va affiancato lo statuto delle imprese, che, all'articolo 10, anticipa la scadenza per il recepimento della direttiva europea 2011/7/UE sui ritardi di pagamento;
    la suddetta direttiva europea rientra nello Small business act ed obbliga le pubbliche amministrazioni a pagare i fornitori entro 30 giorni e, in casi eccezionali, entro 60 giorni per forniture sanitarie e per imprese a capitale pubblico; superato tale termine, nelle transazioni commerciali, la pubblica amministrazione dovrà versare interessi di mora pari all'8 per cento maggiorati del tasso di riferimento della Banca centrale europea. Tra imprese private, la scadenza è fissata a 60 giorni a meno di diverse intese stipulate tra le parti e a condizione che non si tratti di patti bilaterali iniqui;
    lo stesso anticipato recepimento della direttiva non risolverà comunque immediatamente il problema dell'enorme debito pregresso della pubblica amministrazione nei confronti delle piccole e medie imprese, in quanto è evidente che le pubbliche amministrazioni non sono in grado in un breve lasso di tempo di onorare i debiti già assunti;
    nessuna ipotesi di uscita dalla recessione è immaginabile senza una tempestiva riattivazione di flussi di finanziamento verso le piccole e medie imprese, le sole che finora hanno sfidato la grave congiuntura economica senza alcun paracadute,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative dirette ad introdurre nel nostro ordinamento un meccanismo di compensazione dei crediti vantati nei confronti di amministrazioni pubbliche dalle piccole e medie imprese con i propri debiti e relativi accessori dovuti nei confronti della pubblica amministrazione, tramite un rinvio dei pagamenti senza interessi da effettuare attraverso la semplice certificazione da parte di consulenti del lavoro;
   ad assumere iniziative normative per incrementare, al fine di renderlo operativo per i prossimi anni, il fondo centrale di garanzia, la cui dotazione è insufficiente e disponibile soltanto fino a tutto il 2012.
(1-00901)
«Lombardo, Commercio, Lo Monte, Oliveri, Brugger».
(5 marzo 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    la crisi finanziaria che ha preso avvio nel 2007 sta generando impatti rilevanti sia sui mercati finanziari sia sull'economia reale: in particolare, l'Italia, oltre a subire pressioni sul mercato del debito sovrano, presenta un tasso di crescita potenziale troppo contenuto ed è entrata in una fase recessiva;
    le cause di questa fase di forte instabilità sono riconducibili sia ad aspetti relativi all'economia reale sia a profili relativi all'economia finanziaria, a cui le autorità monetarie, di vigilanza e politiche hanno cercato di far fronte, nel corso dell'ultimo triennio, con un ampio spettro di normative;
    in particolare, la normativa europea di recepimento dell'accordo di «Basilea 3» prevede un generalizzato inasprimento dei requisiti patrimoniali per le banche, che se, per un verso, è necessario per ripristinare la fiducia nella solvibilità delle banche, rischia, tuttavia, di tradursi in maggiori costi e difficoltà di accesso al credito per il sistema produttivo, in particolare per le piccole e medie imprese;
    sebbene la piena applicazione dei nuovi requisiti entrerà a regime solo nel 2019, l'annuncio delle nuove regole ha generato pressioni da parte degli investitori e delle controparti affinché le banche si adeguino prima dei tempi previsti, accumulando riserve di capitale e di liquidità nonostante l'attuale difficile situazione di mercato e del sistema produttivo;
    il 9 dicembre 2011 l'Autorità bancaria europea (Eba) ha adottato una raccomandazione che prevede la creazione, in via eccezionale e temporanea, entro la fine di giugno 2012, di una riserva supplementare di fondi propri da parte delle banche;
    l'8 dicembre 2011, la Banca centrale europea ha lanciato due rifinanziamenti straordinari (ltro, long term refinancing operation) della durata di 36 mesi a favore delle banche, allo scopo di garantire l'accesso alle liquidità agli istituti di credito: le due aste, che si sono tenute il 21 dicembre 2011 e il 29 febbraio 2012, hanno assegnato alle banche, rispettivamente, 489,19 miliardi di euro e 529,53 miliardi di euro a tasso fisso, con l'opzione di ripagare, in tutto o in parte, l'ammontare dopo un anno e successivamente secondo scadenze prefissate; secondo una nota diffusa dalla Banca d'Italia, le banche italiane hanno partecipato alla seconda operazione ltro per una quota pari a 139 miliardi di euro lordi, pari a circa 80 miliardi di euro al netto del riassorbimento di operazioni di scadenza più breve;
    è stato il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi ad invitare gli istituti di credito ad approfittare dell'offerta, senza alcun timore di suscitare sospetto, per evitare il credit crunch in atto e riparare i bilanci e i mercati, abbreviando i tempi della ripresa;
    anche il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, nel suo intervento al 18o congresso Assiom Forex del 18 febbraio 2012, ha affermato che: «a distanza di pochi anni le imprese si trovano nuovamente a fronteggiare un inasprimento delle condizioni creditizie; anche in questa occasione sarà essenziale la capacità delle banche di valutare attentamente il merito di credito, senza far mancare il sostegno finanziario ai clienti solvibili e meritevoli. Un adeguato e stabile volume di finanziamenti è essenziale per l'attività delle stesse banche»;
    l'analisi annuale per la crescita 2012, presentata dalla Commissione europea il 23 novembre 2011 (COM(2011)815 def.), prevede espressamente, nell'ambito dell'obiettivo «ripristinare la normale erogazione di prestiti all'economia», l'esigenza di «garantire che le banche rafforzino i propri coefficienti patrimoniali consolidando le proprie posizioni patrimoniali e non limitando indebitamente l'erogazione di prestiti all'economia reale» e di «rivedere le norme prudenziali per evitare che penalizzino indebitamente l'erogazione di prestiti alle piccole e medie imprese»,

impegna il Governo:

   ad assumere, per quanto di competenza, tutte le iniziative necessarie affinché la liquidità ottenuta dalle banche italiane nelle operazioni long term refinancing operation si traduca effettivamente in un sostegno all'economia reale e all'accesso al credito delle imprese e delle famiglie;
   ad adoperarsi in sede europea affinché:
    a) le nuove regole siano coerenti con l'attuale fase ciclica dell'economia europea e italiana, facendo sì che le nuove regole sui requisiti di capitale siano un fattore di stabilizzazione dei mercati di lungo periodo e non un freno per le banche nel sostegno alle imprese e alle famiglie, evitando che le proposte, le loro modalità di attuazione ed i relativi tempi determinino indesiderati effetti prociclici;
    b) siano introdotti nella normativa europea di recepimento dell'accordo di «Basilea 3» accorgimenti regolamentari che incentivino, riducendone il costo, i prestiti in favore delle piccole e medie imprese, in particolare prevedendo misure che, di fatto, sterilizzino gli incrementi di capitale, a fronte dei prestiti erogati alle piccole e medie imprese, che si determinerebbero nel caso di applicazione indifferenziata delle nuove regole sul capitale;
    c) si provveda a chiarire che, nei casi in cui un finanziamento è supportato dalla garanzia di un consorzio di garanzia collettiva fidi, il criterio di assorbimento patrimoniale relativo all'accantonamento richiesto al confidi non possa risultare superiore al risparmio di capitale ottenuto dalla banca in conseguenza dell'intervento del confidi stesso;
   a proseguire nell'impegno, già assunto in sede di approvazione alla Camera dei deputati della risoluzione n. 6-00097, sottoscritta da esponenti di tutti i gruppi parlamentari, a far sì che l'attuazione delle misure che dovrebbero essere adottate dalle banche europee per colmare il deficit di capitale eventualmente emerso a seguito dell'esercizio dell'Autorità bancaria europea sia dilazionata nel tempo, in maniera da ridurne gli effetti prociclici e metterle in fase con la congiuntura economica.
(1-00910)
«Fluvi, Causi, Albini, Carella, D'Antoni, Fogliardi, Graziano, Marchignoli, Piccolo, Pizzetti, Sposetti, Strizzolo, Vaccaro, Verini, Vico».
(9 marzo 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    l'economia italiana è fondata su un sistema di piccole e medie imprese, che costituisce il fulcro del sistema imprenditoriale complessivo;
    la crisi del 2007 ha ristretto il credito per le piccole e medie imprese con effetti negativi sul prodotto interno lordo;
    la crisi dei debiti sovrani ha penalizzato il sistema bancario, indebolendone la capacità di raccolta del risparmio e la posizione finanziaria;
    l'accordo «Basilea 3», varato dal Comitato dei governatori delle banche centrali dei Paesi europei, ha come primo obiettivo il rafforzamento del patrimonio bancario, al fine di dare stabilità al sistema ed evitare il rischio di una nuova crisi finanziaria, con conseguenze però penalizzanti per le grandi banche italiane, che hanno dovuto introdurre nuovi criteri per il calcolo dei requisiti patrimoniali basati sulla valutazione a prezzi di mercato dei titoli del debito pubblico;
    tuttora il tasso di crescita annuo del credito al sistema industriale è in forte rallentamento, nonostante i provvedimenti della Banca centrale europea riguardanti gli acquisti di titoli e la concessione alle banche italiane di oltre 230 milioni di euro con tasso di interesse all'1 per cento;
    il restringimento del credito ha pesanti ripercussioni sull'aumento dei margini di interesse, sulla richiesta di sempre maggiori garanzie reali da parte delle banche, nonché sulla riduzione della durata dei finanziamenti erogati;
    il patto di stabilità, poiché incide anche sui tempi dei pagamenti delle forniture delle pubbliche amministrazioni alle imprese e soprattutto alle piccole e medie, va mantenuto attenuandone gli effetti attraverso la compensazione fra debiti e crediti, commerciali e tributari, tra le piccole e medie imprese e la pubblica amministrazione,

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità di intervenire, a livello europeo, al fine di ottenere:
    a) l'unificazione dei criteri e delle metodologie per ponderare i rischi delle attività bancarie, per proteggere le banche italiane;
    b) correttivi tendenti a mettere le banche in condizione di poter riservare un trattamento meno stringente per i crediti alle piccole e medie imprese;
    c) una riduzione dei tempi, a livelli medi europei, di liquidazione dei crediti delle imprese verso lo Stato e le pubbliche amministrazioni.
(1-00911)
«Misiti, Iapicca, Miccichè, Fallica, Grimaldi, Mario Pepe (Misto-R-A), Pugliese, Soglia, Stagno d'Alcontres, Terranova».
(9 marzo 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    gli istituti bancari svolgono il ruolo di raccogliere fondi dai risparmiatori e trasferirli a imprese e privati che ne hanno bisogno per le proprie esigenze personali o aziendali. Oltre a concedere prestiti a imprese e famiglie, le banche svolgono anche attività finanziarie di varia natura: ad esempio, comprano titoli di aziende e Stati, concedono finanziamenti ad altri intermediari finanziari. Si tratta di un'attività fondamentale per l'economia moderna, senza la quale l'intero sistema economico attuale non potrebbe esistere. Un'attività quella del credito che mantiene la qualità fondamentale di servizio;
    la principale legge italiana che regola il funzionamento dell'attività bancaria è il testo unico bancario, di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, con tutte le successive modificazioni e integrazioni. Secondo questo testo unico, l'attività bancaria è definita come l'esercizio congiunto dell'attività di raccolta di risparmio tra il pubblico e dell'attività di concessione del credito (articolo 10). In Italia ci sono circa 800 banche, delle quali circa il 30 per cento ha la forma di società per azioni. Poco meno di 50 le banche popolari, più di 400 le banche «di credito cooperativo» e circa 80 le succursali delle banche estere;
    il ruolo della banca è senza alcun dubbio cruciale per ogni economia avanzata, e non solo; la storia d'Europa e il suo sviluppo evidenziano in maniera esemplare come il ruolo del credito rappresenti uno dei pilastri fondamentali delle economie più sviluppate. Senza il ricorso al credito, aziende e persone dovrebbero occuparsi personalmente di trovare finanziatori per le proprie attività, con costi elevati e scarse probabilità di successo. Attraverso le banche, invece, possono accedere al risparmio di altri soggetti, reso disponibile attraverso il sistema bancario. Allo stesso modo, senza le banche i risparmiatori dovrebbero valutare da soli gli investimenti e verificare il regolare andamento dei pagamenti degli interessi e la restituzione del capitale prestato. In ragione di questa importanza, le leggi italiane, comunitarie e internazionali regolano l'attività bancaria con norme specifiche, diverse da quelle che riguardano gli altri intermediari finanziari;
    la costituzione di un'impresa bancaria è sottoposta ad autorizzazioni da parte della Banca d'Italia, che svolge anche un importante ruolo di controllo durante l'attività bancaria;
    nell'ultima indagine trimestrale, la Banca d'Italia, in oltre metà delle imprese, ha dichiarato di vedere un peggioramento della situazione economica nei prossimi mesi ed è quasi raddoppiata, al 28,6 per cento dal 15,2 per cento della precedente inchiesta, la quota delle imprese per le quali le condizioni di accesso al credito sono peggiorate;
    le ragioni di queste difficoltà sono di due tipi. In primo luogo, c’è da parte delle banche un problema di liquidità, soprattutto per quanto riguarda gli impieghi a medio termine. L'instabilità dello scenario finanziario ha inaridito molti dei tradizionali canali di finanziamento, da quelli più semplici, come l'interbancario, a quelli più complessi, riferibili alle operazioni sovranazionali in valuta. Le banche si trovano così nell'esigenza di garantire la copertura delle operazioni correnti e devono ridurre gli spazi per i finanziamenti alle imprese;
    in secondo luogo, c’è un problema di costi. Per le banche è sempre più oneroso aumentare la propria raccolta e ottenere capitali per il forte rialzo dei tassi di interesse sui titoli di Stato italiani. C’è in questo periodo una vera e propria rincorsa ad offrire condizioni sempre più appetibili a chi deposita i propri soldi in banca: un anno fa era già un successo spuntare un tasso dell'1 per cento sui depositi, mentre ora, con un vincolo di un anno, si supera tranquillamente quota 4 per cento. I risparmiatori sono avvantaggiati, ma chi chiede soldi in prestito deve accettare tassi decisamente più elevati;
    per le piccole e medie imprese le prospettive rischiano, poi, di essere ancora più difficili, perché il sistema bancario continua ad essere fortemente impegnato verso i grandi gruppi, che non attraversano anch'essi un momento favorevole;
    le imprese, quindi, hanno di fronte un credito difficile e più caro proprio in un momento come questo in cui sarebbero necessari forti investimenti per rinnovare gli impianti, accrescere la competitività, finanziare la ricerca;
    anche il mercato immobiliare risente delle crisi; infatti, l'andamento del mercato del credito alle famiglie continuerà a essere comunque influenzato dal contesto economico internazionale e la richiesta di finanziamenti, attualmente in calo, è determinata anche dalle prospettive di sacrificio previste per gli italiani dalle recenti manovre e dall'impennata dei tassi per i prodotti di credito. Per i prossimi mesi, quindi, ci si attende ancora una contrazione dei mutui e quindi degli acquisti;
    il ruolo delle banche negli ultimi trent'anni è profondamente mutato. Infatti, gli istituti bancari nel dopoguerra hanno svolto un ruolo cruciale per lo sviluppo economico del sistema capitalista, incentrato a quell'epoca sulla relazione virtuosa tra il settore bancario e le imprese che producono beni e servizi non-finanziari: le linee di credito concesse dalle banche a tali imprese – i cui obiettivi erano definiti con riferimento al medio-lungo periodo – permisero la produzione di valore aggiunto attraverso la remunerazione dei lavoratori delle imprese, i quali potevano disporre della loro capacità di acquisto sui mercati dei prodotti, al fine di avere un tenore di vita dignitoso senza dover ricorrere all'indebitamento personale;
    la finanziarizzazione dell'economia, iniziata negli anni ’80 del secolo scorso, ha trasformato i nostri sistemi economici radicalmente, marginalizzando poco alla volta il ruolo delle banche commerciali, inducendo queste ultime a diventare delle società finanziarie attive su scala globale e operanti a 360 gradi sui mercati finanziari (una sorta di «supermercati finanziari» alla ricerca del massimo profitto nel minor tempo possibile);
    il 21 dicembre 2011 le banche europee hanno ottenuto circa 500 miliardi di euro di nuovi fondi, in occasione della prima asta di rifinanziamento organizzata dalla Banca centrale europea, in base alle nuove regole volute dalle autorità dell'Unione europea per combattere il credit crunch; di questi, gli istituti italiani hanno ricevuto 116 miliardi di euro al tasso dell'1 per cento;
    la Banca centrale europea ha più volte dichiarato che tali risorse erano vincolate ad una precisa finalizzazione: dare credito all'economia reale in modo da permettere alle banche di avere più liquidità ad un costo basso da mettere a disposizione di imprese e famiglie;
    le imprese e le famiglie italiane vedono sempre più ristretta la possibilità di accedere al credito; convenzioni e confidi vengono disdetti e gli interessi arrivano al 12 per cento;
    appare evidente come il rilancio dello sviluppo del sistema sia collegato alla capacità effettiva di credito, che gli istituti bancari possono e dovrebbero concedere alle imprese, in particolare alle piccole e medie imprese; senza il rafforzamento delle linee di credito appare estremamente complicato ipotizzare che si possa davvero procedere ad un rilancio dello sviluppo del sistema, per il quale, specie in Italia, il ruolo delle piccole imprese è determinante, sia in termine di produzione che di impiego di forza lavoro;
    inoltre, si aggiunge il problema del ritardo con cui la pubblica amministrazione provvede al pagamento dei corrispettivi inerenti all'esecuzione dei contratti pubblici, che suscita, ormai da anni, l'interesse (ma soprattutto l'allarme) degli imprenditori che operano nel mercato italiano;
    tale problematica è particolarmente avvertita dalle piccole e medie imprese, che, soprattutto nell'attuale congiuntura economica di difficile accesso al credito bancario, risentono in maniera grave della mancanza di liquidità;
    stando al quadro fornito dall'Osservatorio sul credito di Confcommercio-Format, la situazione dei finanziamenti per le aziende nell'ultimo trimestre del 2011 è stata, infatti, particolarmente difficile, soprattutto per le imprese del Mezzogiorno e le microimprese del settore commerciale e turistico e il trimestre appena concluso del 2012 conferma uno scenario ancora in peggioramento;
    i dati rilevati da Confcommercio sono i peggiori di tutto il 2011 e, sostanzialmente, riflettono la situazione descritta dalle indagini sul credito alle imprese della Banca d'Italia e della Banca centrale europea;
    i recenti tragici avvenimenti che stanno avvenendo in Italia, i suicidi da parte di piccoli imprenditori, quali artigiani, commercianti e imprenditori agricoli, i quali in questa forte contrazione dei flussi creditizi e vessati dai crescenti oneri fiscali e contributivi sono sopraffatti da stati d'animo di disperazione e sconforto, confermano la drammaticità dell'attuale situazione, che minaccia di travolgere, in virtù di un devastante effetto «domino», l'intera struttura economica e sociale del Paese: dal sistema delle imprese, ai redditi delle famiglie, alle forme di sicurezza sociale;
    il ritardo nei pagamenti non incide solo sul contraente privato che si trova a sostenere un'attesa ingiustificata nella percezione dei corrispettivi dovuti da parte dell'amministrazione appaltante, ma si riflette in termini negativi anche sull'indotto a valle dell'appalto, investendo le imprese subappaltatrici e subfornitrici, sulle quali i ritardi vengono sovente ulteriormente ribaltati,

impegna il Governo:

   ad istituire un tavolo permanente tecnico con rappresentanti dell'Associazione bancaria italiana, della Banca d'Italia, delle principali associazioni di categoria e dei consumatori e dell'Istat, al fine di avanzare proposte operative per il sostegno del credito a favore delle imprese e delle famiglie, e, in particolare, ad adoperarsi, nell'ambito delle proprie competenze, affinché la seconda tranche di prestiti che la Banca centrale europea ha messo a disposizione delle banche vada a sostegno delle imprese e delle famiglie e ad adottare iniziative che agevolino con tassi d'interesse favorevoli l'accesso al credito per le imprese e le famiglie;
   ad adoperarsi, altresì, nelle competenti sedi decisionali dell'Unione europea, in modo da:
    a) sospendere l'entrata in vigore delle misure volte a fissare livelli più elevati per i coefficienti patrimoniali delle banche e introdurre un nuovo schema internazionale per la liquidità (accordo «Basilea 3»);
    b) eliminare la valutazione a prezzi di mercato che l'Eba applica ai titoli di Stato italiani, comportando una loro sottovalutazione nel patrimonio delle banche italiane, che detengono bot e btp per un valore di 160 miliardi di euro;
    c) intervenire in merito ai requisiti patrimoniali delle banche affinché siano introdotti meccanismi correttivi per la ponderazione del rischio di credito relativo ai prestiti alle piccole e medie imprese, in modo da compensare l'incremento quantitativo del requisito patrimoniale minimo;
   ad assumere iniziative normative volte a prevedere forme di compensazione per le imprese che vantino crediti nei confronti di amministrazioni statali, con i debiti gravanti a loro carico, relativi ad obbligazioni tributarie;
   ad assumere iniziative dirette a prevedere in tempi rapidi, l'istituzione di un fondo di solidarietà presso il Ministero dello sviluppo economico in collaborazione con Consorzi Fidi, i cui beneficiari rientranti nelle categorie dei piccoli imprenditori, commercianti, artigiani e imprenditori agricoli, individuati dal codice civile, inclusi coloro che sono segnalati alla centrale rischi finanziari (Crif), purché svolgano attualmente l'attività lavorativa, possano usufruire una tantum di un contributo a fondo perduto, in caso di rigetto da parte degli istituti di credito o società d'intermediazione creditizia e finanziaria, di domande di finanziamento o revoca di affidamento o revoca di fidi;
   ad adottare iniziative normative volte ad accelerare il pagamento dei crediti della pubblica amministrazione, al fine di recepire la nuova direttiva europea 2011/7/UE concernente il contrasto ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.
(1-00913)
(Nuova formulazione) «Crosetto, Vignali, Bernardo, Santelli, Berardi, Del Tenno, Laboccetta, Leo, Misuraca, Pagano, Antonio Pepe, Savino, Ventucci, De Girolamo, Giammanco, Antonino Foti, Cicu, Cosenza».
(12 marzo 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    le attuali difficoltà che le famiglie e le aziende, ed in particolare le piccole e le medie imprese, incontrano nell'accesso al credito dipendono da più cause e, dunque, per essere affrontate necessitano di una politica complessiva che deve agire su più fronti;
    il credito bancario al settore privato non finanziario – secondo i dati forniti dalla Banca d'Italia – continua a risentire sia di una ridotta domanda di finanziamenti da parte delle imprese, a causa della difficile congiuntura economica, sia di un orientamento ancora restrittivo dei criteri di offerta da parte del pubblico. Le indagini sulle condizioni di accesso al credito, condotte presso le banche e presso le imprese, hanno rilevato che permane elevata la quota di imprese che dichiara di non ottenere l'ammontare di finanziamenti desiderati;
    i nuovi accordi di «Basilea 3» hanno modificato i criteri già stabiliti con «Basilea 1» (1998) e «Basilea 2» (2008): essi fissano, alzandoli, i requisiti minimi di capitale delle banche proporzionalmente ai rischi che assumono, prevedono una serie di «cuscinetti» (liquidità) di capitale aggiuntivi (pari al 2,5 per cento, ma che potrebbero aumentare fino al 5) nelle fasi economiche a rischio, prevedono sanzioni nel caso di violazione delle nuove regole, quale il divieto di pagare bonus ai manager o cedole ai soci;
    l'allineamento alle regole di Basilea 3 comporta dei costi, in quanto la migliore qualità ed una maggiore quantità di capitale di garanzia potrà essere raggiunto solo attraverso un rimodellamento della struttura di ciascun istituto. Il rischio maggiore è quello di un inasprimento del costo del denaro;
    l'Autorità bancaria europea (European Banking Authority – Eba) ha chiesto di aumentare il «Core Tier 1» delle banche entro giugno 2012 al 9 per cento;
    per la valutazione del rischio, l'Autorità bancaria europea ha usato il criterio mark to market, ossia l'attribuzione non del valore nominale o cedolare dei titoli ma il prezzo corrente di mercato, che ha messo in moto per i btp, già in crisi di spread, un meccanismo deleterio per le banche che, qualora volessero evitare la ricapitalizzazione, dovrebbero vendere i titoli, deprezzati del 15-20 per cento del valore nominale, con effetti dirompenti sia sui mercati che sulle fortissime minusvalenze dei conti;
    il sistema creditizio italiano, tra i suoi asset, ha titoli di Stato italiani per 160 miliardi di euro e titoli di Stato degli altri Paesi «Pigs» per 3 miliardi di euro. A fronte di questo, le banche italiane hanno titoli «tossici» (essenzialmente mutui subprime) per una quota pari al 6,8 per cento del patrimonio di vigilanza, contro una media europea del 65,3 per cento. Secondo le nuove norme di valutazione degli asset stabilite dall'Autorità bancaria europea, si è al paradosso: i titoli di Stato in portafoglio vengono considerati «tossici» per le banche italiane, peggio di quanto non lo siano i subprime per le banche straniere;
    questa decisione dell'Autorità bancaria europea, invece di dimostrare equilibrio ed equità, ha finito per penalizzare il sistema bancario italiano che ha meno titoli tossici e strumenti derivati rispetto alle banche francesi o tedesche;
    queste circostanze hanno reso ancor più difficile l'accesso al credito per molte piccole e medie imprese;
    si deve, comunque, considerare che la Banca centrale europea ha fornito un'enorme liquidità alle banche che usufruiscono del notevole differenziale tra i tassi di approvvigionamento dei fondi (dalla Banca centrale europea all'1 per cento e dai privati con un tasso di poco superiore) e quelli a cui li offrono a prestito. Il 29 febbraio 2012 la Banca centrale europea ha prestato 530 miliardi di euro per tre anni alle banche europee, una somma simile a quella già elargita nel dicembre 2011. Soldi che non serviranno, l'esperienza del prestito della Banca centrale europea precedente lo attesta, a finanziare le imprese e le famiglie. Infatti, quell'operazione è servita sopratutto a sostenere la domanda di titoli di Stato;
    l'operazione a tre anni del 21 dicembre 2011 vide una richiesta di prestiti per 489 miliardi di euro, che furono tutti assegnati. I prestiti sono andati in parte a sostituire altre operazioni di politica monetaria, ragion per cui l'incremento netto di finanziamenti concessi dalla Banca centrale europea al sistema bancario europeo è stato, in realtà, molto inferiore: 193 miliardi di euro. Con riferimento al nostro Paese, le banche italiane usufruirono di un finanziamento di 116 miliardi di euro in quell'operazione, ma l'incremento netto di liquidità fornita dalla Banca d'Italia nel mese di dicembre 2011 è stato della metà, 57 miliardi di euro;
    le banche italiane hanno in buona parte utilizzato i soldi presi a prestito dalla Banca centrale europea per acquistare titoli di Stato, contribuendo alla riduzione dei tassi d'interesse sul debito pubblico italiano. Nello stesso tempo, le banche hanno stretto l'offerta di credito, sia riducendo la quantità sia aumentando il costo dei finanziamenti;
    le somme ricevute dalla Banca centrale europea sono state usate anche per rimborsare obbligazioni bancarie, un'operazione che sarebbe stata troppo costosa rinnovare ai tassi di mercato. Nel bimestre dicembre 2011-gennaio 2012, le banche italiane hanno anche acquistato titoli di Stato per 32,6 miliardi di euro. Nello stesso periodo, i prestiti bancari alle imprese e alle famiglie italiane si sono ridotti di 20 miliardi di euro;
    le banche italiane, come rilevano le associazioni dei consumatori, continuano ad applicare tassi di interesse più elevati dello 0,67 per cento sui mutui, in Italia al 4,6 per cento, contro il 3,93 per cento della media dell'Unione europea. Nel gennaio 2012, in Italia il costo dei finanziamenti alle imprese (nuove operazioni) era di 1,3 punti percentuali più alto rispetto allo stesso mese del 2011 (passando dal 2,7 per cento al 4 per cento), a parità di tasso di politica monetaria (1 per cento). Nello stesso periodo, il tasso d'interesse sui mutui immobiliari è salito di un punto percentuale (dal 3,15 per cento al 4,15 per cento). Sempre nello stesso periodo, il differenziale tra il tasso medio sui prestiti a imprese e famiglie e il tasso medio sulla raccolta è aumentato di mezzo punto percentuale (dal 2,2 per cento al 2,7 per cento);
    va, inoltre, ricordato che l'articolo 8 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (la cosiddetta manovra Monti «Salva-Italia») ha fornito alle banche la garanzia dello Stato sui prestiti ottenuti (in larga misura dalla Banca centrale europea), garanzia che ha consentito loro di sopportare con qualche patema d'animo in meno la situazione difficile dei mercati finanziari;
    il 28 febbraio 2012 Governo, Confindustria, l'Associazione bancaria italiana e altre associazioni imprenditoriali hanno firmato l'accordo su «Le nuove misure per il credito alle Pmi». L'accordo ha validità fino al 31 dicembre 2012 e individua interventi finanziari a favore delle piccole e medie imprese «in bonis». L'accordo prevede le seguenti operazioni: sospensione per 12 mesi del pagamento della quota capitale delle rate dei finanziamenti a medio-lungo termine (anche i mutui assistiti da contributo pubblico in conto capitale e/o interessi) e della quota capitale implicita nei canoni di operazioni di leasing immobiliare (6 mesi per il leasing mobiliare); allungamento della durata dei finanziamenti a medio-lungo termine (anche i mutui assistiti da contributo pubblico in conto capitale e/o interessi); allungamento delle scadenze delle anticipazioni su crediti verso clienti fino a un massimo di 270 giorni;
    l'articolo 11, comma 4, del decreto-legge n. 185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009, ha introdotto la garanzia dello Stato sugli interventi del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, quale garanzia di ultima istanza. Di conseguenza, in relazione al requisito patrimoniale a fronte del rischio di credito, alle esposizioni assistite dal fondo nella forma della garanzia diretta e della controgaranzia a prima richiesta, si applica il fattore di ponderazione associato allo Stato italiano («ponderazione zero»), in quanto più favorevole di quello del soggetto debitore, nei limiti dell'importo che il fondo di garanzia è tenuto a versare in caso di inadempimento del debitore principale ovvero del confido garantito;
    nel caso della garanzia diretta, il fondo interviene nella misura massima del 60 per cento dell'importo di ciascuna operazione finanziaria. Tale percentuale è elevata fino all'80 per cento in casi particolari (per le piccole e medie imprese a prevalente partecipazione femminile, per le piccole e medie imprese ubicate nelle zone 87.3.a) del Trattato dell'Unione europea, (per le piccole e medie imprese aderenti alla programmazione negoziata). Nel caso di controgaranzia, il fondo interviene invece nella misura massima del 90 per cento della garanzia prestata dai confidi o dagli altri fondi di garanzia. Il moltiplicatore calcolato sul «finanziato», dato dal rapporto è pari a circa 16. Con un euro di dotazione del fondo sono, dunque, attivabili 16 euro di finanziamenti. Il moltiplicatore calcolato sul «garantito» è invece pari a circa 8. Un euro di dotazione del fondo consente, pertanto, di attivare circa 8 euro di garanzia;
    il fondo è stato finanziato per un miliardo e mezzo di euro per il quadriennio 2009-2012. L'importo garantito dal fondo di garanzia per le piccole e medie imprese è stato innalzato, con decreto del Ministro dello sviluppo economico del 9 aprile 2009, da 500 mila euro a un milione e mezzo di euro. L'intervento del fondo, inoltre, è stato esteso, per la prima volta, alle imprese artigiane, estendendo notevolmente la platea dei potenziali beneficiari. I circa 250 confidi dell'artigianato contano, infatti, circa 700 mila imprese associate;
    dai dati citati appare evidente come l'entità dei finanziamenti a disposizione, il tetto dell'importo garantito, le percentuali su cui si applica la garanzia, siano del tutto insufficienti e non consentono di fornire uno sostegno adeguato alle piccole e medie imprese, incluse le imprese artigiane, in particolare in questa fase di crisi;
    la peculiarità del tessuto produttivo ed economico del nostro Paese, la fortissima presenza di piccole imprese, la forte vocazione manifatturiera, rendono le banche il canale principale di erogazione delle risorse;
    è, comunque, innegabile che, specie in Italia, le aziende devono essere aiutate a fare passi in avanti nella loro aggregazione. L'Italia è un Paese che deve la sua ossatura produttiva alle piccole e medie imprese, ma che ha un sistema economico molto chiuso, carente di quella capacità di innovare che è la molla necessaria per la competitività. L'ovvia conseguenza è che le piccole e medie imprese italiane risultano avere un livello di capitalizzazione basso. Per le imprese italiane, storicamente sottocapitalizzate e ancora basate sul pluriaffidamento bancario a breve, quello di capitalizzazione sarà l'indicatore che darà più preoccupazioni nella determinazione del rating aziendale. Le imprese italiane, soprattutto quelle di minori dimensioni, non sono adeguatamente trasparenti. Regole severe con sanzioni effettive per chi nasconde e occulta i dati contabili consentirebbero alle banche di rischiare di più e chiedere meno garanzie;
    la crisi del credito per le piccole e medie imprese è ulteriormente aggravata dai dati sui tempi di pagamento alle piccole imprese che fanno emergere attese anche di 600 giorni, per recuperare i crediti vantati nei confronti degli enti pubblici. Il tempo medio di attesa per riscuotere un credito da una pubblica amministrazione si attesta sui 128 giorni contro i 67 della media dell'Unione europea, ma anche le aziende private saldano i propri fornitori in 88 giorni. Questi ritardi costano 934 milioni di euro l'anno e a farne le spese sono proprio le piccole e medie imprese che hanno molte difficoltà nell'accesso al credito. Secondo alcune stime, i crediti vantati dalle imprese nei confronti di amministrazioni centrali ed enti sanitari locali superano i 70 miliardi di euro;
    allo scopo di ricondurre il problema a dimensioni fisiologiche è stata adottata la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2000/35/CE del 29 giugno 2000, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, recepita nell'ordinamento interno, in attuazione dell'articolo 26 della legge 1o marzo 2002, n. 39 (legge comunitaria 2001), dal decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231. Tale direttiva fissa a 30 giorni il termine massimo dei pagamenti della pubblica amministrazione, con sanzioni del 5 per cento per ogni giorno di ritardo;
    tale situazione non è nuova. Nella metà degli anni Ottanta la necessità di una politica restrittiva in termini di cassa aveva posto al legislatore il problema (derivato) di garantire alle imprese il puntuale pagamento dei crediti vantati. Infatti, decine di migliaia di imprese erano costrette ad indebitarsi con il sistema bancario in attesa di ricevere quanto dovuto ed erano sull'orlo del fallimento. La soluzione, saggia anche se transitoria, fu il ricorso ad una normativa di compensazione-cessione dei crediti vantati verso la pubblica amministrazione, recata dal comma 9 dell'articolo 1 del decreto-legge 2 dicembre 1985, n. 688, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 gennaio 1986, n. 11;
    al fine di accelerare il pagamento dei crediti commerciali esistenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 1 del 2012 (cosiddetto «decreto liberalizzazioni») connessi a transazioni commerciali per l'acquisizione di servizi e forniture, certi, liquidi ed esigibili, corrispondenti a residui passivi del bilancio dello Stato, con le disposizioni di cui all'articolo 35 del medesimo decreto, il Governo ha messo a disposizione complessivamente 5,7 miliardi di euro. Una somma molto al di sotto del debito complessivo delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle aziende fornitrici di beni e servizi;
    si tratta di una somma che potrà essere spesa in parte per cassa, in parte con l'assegnazione di titoli del debito pubblico se, a chiedere questa misura alternativa di pagamento saranno i creditori (fino ad un massimo di 2 miliardi di euro, inclusi nel totale complessivo dei 5,7 miliardi di euro già citato);
    slitta, invece, la norma che sanziona i futuri ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione alle imprese e che prevedeva l'introduzione di un interesse di mora pari all'8 per cento. La misura era stata messa a punto dal Ministro per le politiche comunitarie al fine di recepire la direttiva europea per il contrasto ai ritardi dei pagamenti;
    il rispetto del patto di stabilità, inoltre, aggrava la situazione mettendo a rischio pagamenti, cantieri in corso e manutenzioni indispensabili per garantire la sicurezza dei cittadini. Tra il 2009 e il 2012, il blocco delle entrate si è tradotto in una riduzione di circa nove miliardi di euro, difficilmente sostenibile per i comuni che hanno dovuto far fronte alla crescente domanda di servizi sociali. I comuni hanno subito il taglio di due miliardi e mezzo di euro di trasferimenti erariali e la fissazione del loro contribuito al risanamento della finanza pubblica per una somma pari a 4 miliardi e mezzo di euro. Tutto ciò ha generato un blocco generalizzato dei pagamenti, in particolare di quelli in conto capitale;
    la procedura dei rimborsi dell'iva, che le società maturano trimestralmente nei confronti dell'erario, attualmente risulta troppo articolata e molto onerosa per le aziende. La vigente legislazione in materia di crediti iva, infatti, prevede, in virtù dell'articolo 8, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 542 del 1999, la possibilità di compensare il proprio credito iva con le altre imposte dovute. Il limite di compensazione ammesso, già dall'anno 2001 e tuttora vigente, ha un plafond di 516.456,90 euro fissato dall'articolo 34 della legge n. 388 del 2000;
    inoltre, a seguito di recenti introduzioni legislative entrate in vigore dal 1o gennaio 2010, detta procedura è stata resa ancora più onerosa, sia in termini di costi che in termini di tempi rendendoli ancora più diluiti, obbligando le aziende con crediti iva superiori a 15 mila euro alla certificazione del credito da parte di professionisti abilitati i quali, al fine di rilasciare detta certificazione, debbono acquisire in azienda un grande volume di documenti fiscali da controllare. In sintesi, per i crediti iva maturati nel corso dell'anno, l'attuale normativa consente di utilizzare in compensazione solo fino al tetto citato, mentre la differenza viene chiesta a rimborso la cui liquidazione, una volta completata la presentazione della documentazione prevista, corredata di apposita ed onerosa polizza fideiussoria atta a garantire il credito chiesto a rimborso, genera tempi di attesa enormi che attualmente si aggirano intorno ai 18-24 mesi, tempi che penalizzano fortemente le aziende costringendole ad anticipare le proprie risorse finanziarie, o a dover ricorrere al credito bancario per far fronte agli impegni gestionali;
    un altro elemento che penalizza fortemente le piccole e medie imprese in termini di liquidità disponibile concerne il pagamento dell'iva su fatture emesse ma non effettivamente riscosse. Occorre, dunque, rendere permanente per i piccoli operatori economici il pagamento dell'iva al momento dell'effettiva riscossione del corrispettivo modificando l'articolo 7 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, che prevedeva la sospensione del pagamento dell'iva solo per un anno, ed aumentare il volume d'affari massimo (200 mila euro) previsto per l'applicazione della norma,

impegna il Governo:

   per quanto concerne l'accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese:
    a) a farsi promotore nelle debite sedi di proposte volte al coordinamento, almeno europeo, nell'applicazione omogenea delle nuove regole dell'accordo «Basilea 3» nei Paesi membri, ed a intervenire in tutte le sedi europee necessarie per ottenere la revisione del criterio che vede l'attribuzione ai titoli di Stato non del valore nominale o cedolare, ma del loro prezzo corrente di mercato, criterio che penalizza pesantemente gli istituti di credito italiani;
    b) ad adottare le opportune iniziative normative al fine di prevedere che gli istituti di credito, che beneficiano della garanzia di cui all'articolo 8 decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, forniscano opportune garanzie in merito alla concessione del credito alle piccole e medie imprese ed alle famiglie, monitorandone l'attività;
    c) ad aprire un confronto con gli istituti di credito e le loro associazioni rappresentative al fine di ottenere che una percentuale dei prestiti ricevuti dagli istituti di credito nazionali da parte della Banca centrale europea con tasso agevolato dell'uno per cento sia impiegata per erogare finanziamenti alle famiglie e alle piccole e medie imprese;
    d) ad adottare le opportune iniziative normative volte ad assicurare la continuità negli anni e l'estensione dell'attività di garanzia del fondo rivolto alle piccole e medie imprese, di cui all'articolo 15 della legge n. 266 del 1997, valutando la possibilità di incrementare in maniera consistente le risorse a disposizione del fondo di garanzia, il tetto dell'importo del credito garantito e le percentuali sulle quali si applica la garanzia;
   per quanto concerne il ritardo nei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni:
    a) a fornire periodicamente al Parlamento i necessari elementi per un monitoraggio della situazione;
    b) a dare definitiva attuazione nel nostro ordinamento ai principi sanciti a livello comunitario in materia di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, con particolare riguardo alle pubbliche amministrazioni;
    c) a valutare la possibilità di consentire alla Cassa depositi e prestiti, in considerazione del suo ruolo di soggetto finanziatore delle amministrazioni pubbliche, e in particolare di quelle locali, l'effettuazione di operazioni di cessione dei crediti scaduti ed esigibili, anche mediante cartolarizzazione degli stessi, con costi ed oneri finanziari a carico delle amministrazioni debitrici;
    d) ad adottare le opportune iniziative normative volte a consentire ai creditori della pubblica amministrazione di potere richiedere alle amministrazioni debitrici la certificazione delle somme dovute e, conseguentemente, cedere il relativo credito ad un istituto di credito che ne assume la piena titolarità, previo pagamento dell'intero ammontare del credito;
    e) ad ampliare il ricorso a soluzioni tecnico-giuridiche che permettano di utilizzare, per il pagamento almeno di parte del debito delle pubbliche amministrazioni, previa opzione del creditore, titoli del debito pubblico facilmente liquidabili;
    f) a prevedere che una quota significativa delle risorse per il rifinanziamento del fondo residui perenti venga destinata, in via prioritaria, al pagamento dei residui in conto trasferimenti delle regioni e degli enti locali al fine di consentire agli stessi di procedere al pagamento dei crediti commerciali certi, liquidi ed esigibili vantati dalle imprese nei loro confronti, derivanti dall'acquisizione di beni e servizi, elaborando, altresì, parametri di individuazione delle priorità di pagamento dei crediti certi, liquidi ed esigibili vantati dalle imprese verso gli enti locali (ad esempio, anzianità del credito, esigenze di liquidità dell'impresa e altro);
   per quanto concerne le misure fiscali, ad adottare le opportune iniziative normative al fine di:
    a) provvedere ad una riforma strutturale di tutta la procedura dei rimborsi dei crediti iva, disciplinata dall'articolo 38-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 e successive modificazioni, prendendo in considerazione l'ipotesi di aumentare considerevolmente l'attuale limite della compensazione almeno per quelle imprese che abitualmente, proprio in virtù del meccanismo suddetto, si trovano sistematicamente con un credito iva infrannuale da chiedere come rimborso o in compensazione, oppure, in alternativa, consentendo alle aziende di compensare, per tutto l'anno, il credito iva vantato nei confronti dell'erario con tutto ciò che gli adempimenti fiscali impongono di pagare mensilmente, in particolar modo tutte le imposte erariali ed i contributi, concorrendo in tal modo ad operare anche una semplificazione fiscale, in quanto si eviterebbe il sovrapporsi di domande di rimborso da erogare e si richiederebbe la presentazione di una sola polizza fideiussoria alla fine dell'anno ove si evidenzierebbe il residuo credito iva al netto delle compensazioni effettuate nell'anno stesso;
    b) rendere permanente, per i piccoli operatori economici, il pagamento dell'iva al momento dell'effettiva riscossione del corrispettivo, modificando l'articolo 7 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, che prevedeva la sospensione del pagamento dell'iva solo per un anno, ed aumentare il volume d'affari massimo di 200 mila euro previsto per l'applicazione della norma.
(1-00916)
«Borghesi, Barbato, Messina, Di Stanislao, Donadi, Cimadoro, Piffari, Paladini».
(12 marzo 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    le piccole e medie imprese costituiscono la struttura portante della realtà industriale italiana e una risorsa essenziale per il ruolo strategico che ricoprono nel sistema economico del Paese;
    sono consapevoli, queste imprese, di rappresentare un riferimento macroeconomico unitario, tanto che cinque confederazioni nazionali, circa 600 associazioni locali e 2 milioni e mezzo di artigiani e commercianti si sono uniti nella «Rete Imprese Italia» per affermare la loro soggettività imprenditoriale in un mercato che pretende riduzione dei costi e competitività nella salvaguardia di sempre più stringenti principi di concorrenza;
    un recente studio della Commissione europea condotto sulle piccole e medie imprese ne conferma l'importanza per la loro capacità di puntare sull'innovazione e di creare nuova occupazione. Mentre il rapporto Rehn, nella prospettiva della competizione di sistema, ammonisce sulla stringente esigenza di un dimensionamento aziendale e produttivo capace di sopportare le sfide dei mercati globali, dallo studio della Commissione europea è emerso come, tra il 2002 e il 2010, l'85 per cento dei nuovi posti di lavoro è stato creato dalle piccole e medie imprese; nello specifico sono le microimprese che hanno contribuito con più forza alla crescita dell'occupazione. Tuttavia, nel periodo compreso tra il 2009 e il 2010 la crisi ha prodotto effetti dannosi, soprattutto per le piccole imprese che hanno subito un calo medio annuo dei posti di lavoro del 2,4 per cento rispetto alla riduzione dello 0,95 per cento di quelle di grandi dimensioni; un puntuale riscontro si ricava dal dato del decremento del numero delle piccole imprese italiane nella misura di 30.000 unità proprio nell'anno 2009;
    così come, secondo la valutazione di Unioncamere, mentre l'affidabilità complessiva delle piccole e medie imprese si attesta al 34 per cento, quella delle sole imprese di medie dimensioni si colloca oltre il 50 per cento;
    in Italia, su un totale di 4,5 milioni di imprese dell'industria e dei servizi, il 95 per cento di esse sono rappresentate da aziende con meno di 10 addetti, garantendo l'occupazione al 47 per cento dei lavoratori del settore, pari a circa 17,5 milioni;
    date le particolari caratteristiche strutturali di tali aziende, un elemento essenziale da sottolineare è rappresentato da un forte vincolo di dipendenza dal credito bancario. Nel caso delle piccole e medie imprese, infatti, circa il 40 per cento delle loro passività è costituito dal debito nei confronti delle banche;
    secondo i dati della Banca d'Italia, le forti pressioni esercitate sul mercato dei titoli italiani, ma anche la crisi sui debiti sovrani di molti Stati, hanno prodotto conseguenze negative sulle operazioni di raccolta delle banche che, a loro volta, hanno inciso profondamente sulle condizioni di offerta di credito all'economia reale;
    ne è derivata una forte contrazione dei prestiti alle famiglie e un deciso rallentamento dei finanziamenti alle imprese che, di conseguenza, ne penalizza la competitività determinando minori investimenti e ridotte possibilità di crescita, a fronte di un dato secondo il quale le piccole e medie imprese, anche nel corso di questa crisi prolungata, mantengono una propensione all'investimento nella misura dell'80 per cento, contando per il 53 per cento su mezzi propri e per il 39,1 per cento sul credito bancario;
    in un'indagine condotta dalla Banca d'Italia, in collaborazione con Il Sole 24 ore, nel mese di dicembre 2011, la quota di imprese che segnala un peggioramento delle condizioni di accesso al credito è pari al 49,7 per cento, rispetto al 28,6 per cento registrato a settembre 2011: un valore superiore a quello raggiunto nel 2008 al culmine della crisi finanziaria;
    sempre secondo le statistiche di Banca d'Italia, a gennaio 2012 il tasso di crescita sui dodici mesi dei prestiti al settore privato è sceso all'1,6 per cento dal 2,3 per cento di dicembre 2011. Su tali dati ha inciso in particolar modo la riduzione dei prestiti alle società non finanziarie scesa all'1,3 per cento dal 2,6 per cento, mentre il tasso di crescita dei prestiti alle famiglie si è ridotto al 3,1 per cento dal 3,4 per cento;
    le difficoltà di raccolta e di liquidità delle banche italiane, che hanno portato alla stretta creditizia, il cosiddetto credit crunch, si sono ulteriormente aggravate alla fine del 2011;
    i ripetuti interventi della Banca centrale europea hanno evitato che la stretta sul credito producesse effetti ancor più devastanti sull'economia reale. L'obiettivo, infatti, è stato quello di immettere nel sistema bancario liquidità illimitata e a basso prezzo, per dare fiato alle imprese e nuovo slancio ai bilanci bancari. Ciò nonostante, i risultati ottenuti sono stati di gran lunga inferiori rispetto alle aspettative;
    le banche italiane, infatti, in occasione dell'operazione realizzata dalla Banca centrale europea nel dicembre 2011, hanno utilizzato buona parte del prestito di 116 miliardi di euro per acquistare titoli di Stato, cosa che ha sì garantito una riduzione dei tassi d'interesse sul debito pubblico italiano, ma, nello stesso periodo, ha prodotto un calo dei prestiti bancari ad imprese e famiglie di 20 miliardi di euro, a fronte di un aumento a gennaio 20121 del costo dei finanziamenti alle imprese stesse dell'1,3 per cento rispetto allo stesso mese del 2011;
    nel 2011 ben il 71 per cento dell'afflusso di risorse è derivato dalla Banca centrale europea con un apporto pari a 159 miliardi di euro, mentre solo l'11 per cento da depositi e obbligazioni, per un ammontare pari a 24 miliardi di euro;
    recentemente la Banca centrale europea ha avviato un'altra operazione di rifinanziamento all'1 per cento per tre anni, assegnando alle banche un prestito pari a circa 530 miliardi di euro, ancora una volta con lo scopo di porre un freno alla stretta del credito, sostenere il debito sovrano degli Stati e dare nuovo respiro alle imprese europee. Gli istituti italiani avrebbero chiesto circa 139 miliardi di euro;
    i ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione aggravano ulteriormente i problemi di liquidità di molte imprese italiane. La Confindustria stima che nel 2011, per la liquidazione delle fatture, le imprese hanno atteso in media 180 giorni a fronte dei 128 giorni nel 2009. Secondo stime ufficiose, il debito della pubblica amministrazione ammonterebbe a circa 70 miliardi di euro: condizione di sofferenza accentuata e aggravata dal fatto che le imprese sovente ricorrono al credito bancario esclusivamente per il circolante, cioè per garantire la loro sopravvivenza in un tempo in cui l'incasso delle fatture commerciali è divenuto del tutto aleatorio;
    è di fine febbraio 2012 l'accordo contenente le «Nuove misure per il credito alle piccole e medie imprese» sottoscritto dall'Associazione bancaria italiana, alcune associazioni di categoria, il Ministro dello sviluppo economico ed il Viceministro dell'economia e delle finanze. L'accordo prevede diverse tipologie di interventi finanziari a favore delle piccole e medie imprese in modo da garantire loro adeguate risorse e di sostenere la ripresa dell'economia reale;
    è il momento di non indugiare in abusati quanto pleonastici peana in favore delle piccole e medie imprese del sistema Italia per garantire loro il sostegno attivo consentito dalla cornice legislativa comunitaria e dallo sforzo finanziario di tutto il Paese; peraltro, gli interventi mirati qualitativamente e quantitativamente al consolidamento del potenziale produttivo e occupazionale delle piccole e medie imprese entrano a pieno diritto nel novero del rilancio economico dell'intero Paese;
    è condivisibile il discusso sentimento secondo il quale quello delle medie imprese può e deve costituire un modello efficace da sostenere, favorire e irrobustire,

impegna il Governo:

   ad adottare le opportune iniziative al fine di aumentare le possibilità di accesso al credito delle piccole e medie imprese, finalizzato ad investimenti in miglioramenti dell'efficienza tecnologica e organizzativa, anche attraverso sistemi più trasparenti nella gestione delle informazioni aziendali e nelle modalità di determinazione dei rating delle aziende da parte delle banche, come presupposto per la costituzione di un fondo finanziato annualmente, a valere sul bilancio del Ministero dello sviluppo economico, che si faccia carico delle spese di accesso al credito delle piccole e medie imprese presso il sistema bancario, nei casi documentati di crediti a bilancio nei confronti di pubbliche amministrazioni centrali e territoriali e dei loro enti di riferimento, nonché di crediti commerciali;
   ad assumere iniziative normative che dispongano di privilegiare, negli interventi a favore delle piccole e medie imprese, quelli che sviluppino in maniera documentata progetti produttivi fondati sul valore della prossimità territoriale, in particolare nei distretti industriali, implementino i processi di economie di filiera e evidenzino efficienti programmazioni di riduzione della delocalizzazione produttiva;
   ad assumere iniziative di semplificazione e di vantaggio per i processi di condivisione tra le piccole e medie imprese delle attività di ricerca e sviluppo, nella logica imprenditoriale condivisa della costruzione di sinergie territoriali, dando priorità alle aziende che avviino concreti progetti interregionali;
   a dare immediata esecuzione all'accordo sottoscritto a fine febbraio 2012, al fine di sostenere le piccole e medie imprese e garantire la ripresa dell'economia reale;
    ad assumere ogni altra iniziativa volta a recuperare le risorse necessarie per risolvere l'annosa questione dei ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione e ridurre in tal modo il debito non più tollerabile nei confronti delle piccole e medie imprese, senza traslazione di oneri sui bilanci delle famiglie.
(1-00924)
«Mosella, Fabbri, Lanzillotta, Pisicchio, Tabacci, Versace, Vernetti, Brugger».
(13 marzo 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    il tessuto imprenditoriale italiano è composto da 4,5 milioni di aziende, di cui il 99,8 per cento sono classificabili come micro, piccole e medie imprese, con una quota degli occupati pari circa all'81,7 per cento del totale, con un livello del valore aggiunto prodotto che si attesta intorno al 72,5 per cento del valore complessivo;
    sul totale delle micro, piccole e medie imprese, le statistiche mostrano che le microimprese (meno di 10 addetti) costituiscono la stragrande maggioranza, con una quota pari al 94,8 per cento;
    appare necessario, stante la grave crisi che coinvolge soprattutto le micro, piccole e medie imprese, attuare manovre e applicare norme che consentano alle stesse di usufruire di un po’ di ossigeno per non rischiare che entrino nel tunnel della chiusura definitiva della propria attività, con le conseguenze facilmente immaginabili per l'occupazione e per l'economia del Paese;
    le ultime previsioni del Fondo monetario internazionale prospettano un rischio recessione per la l'economia, con un calo del prodotto interno lordo del 2,2 per cento nel 2012;
    ciò pone la classe dirigente del Paese, la politica e il Governo davanti all'urgenza di scelte immediate e non più rinviabili, stante l'assunto da tutti riconosciuto che senza una ripresa dello sviluppo si è condannati al fallimento;
    la crisi ha, comunque, accentuato le difficoltà – invero presenti da numerosi anni – per il cuore del sistema economico italiano, le piccole e medie imprese, di reperire le risorse necessarie per continuare ad operare e crescere in un mercato dominato da una logica di profitto a breve termine, in cui i capitali vengono attirati dalle attività più speculative, determinando un preoccupante e dannoso deficit di risorse per il settore, che rappresenta la maggior parte dell'occupazione in Italia e che contraddistingue un tessuto economico basato sull'innovazione, la flessibilità e la solidarietà;
    infatti, dagli anni Novanta è iniziata una commistione tra le attività finanziarie ordinarie, rappresentate dai depositi, i mutui, i prestiti alle imprese, e le attività speculative che, negli ultimi anni in particolare, hanno mostrato la loro vera natura minacciando di gettare il mondo in una depressione economica senza paragoni. Di fronte a questa prospettiva, Governi e le banche centrali hanno attuato numerosi salvataggi, caricando sui contribuenti ulteriori debiti prodotti da chi ha speculato per conto proprio;
    è necessario garantire che il sistema finanziario sia al servizio dell'economia reale, a differenza della tendenza degli ultimi anni in cui le attività puramente speculative hanno preso il sopravvento sul resto dell'economia, provocando anche un forte deficit di investimenti nei beni e servizi necessari per mantenere e accrescere il tenore di vita della popolazione;
    la Commissione europea, già nel 2008, pubblicò lo small business Act che stabiliva i 10 principi che si sarebbero dovuti adottare dai Governi per garantire il sostegno delle piccole e medie imprese, ovvero: dar vita a un contesto in cui imprenditori e imprese familiari possano prosperare e che sia gratificante per lo spirito imprenditoriale; far sì che imprenditori onesti, che abbiano sperimentato l'insolvenza, ottengano rapidamente una seconda possibilità; formulare regole conformi al principio «pensare anzitutto in piccolo»; rendere le pubbliche amministrazioni permeabili alle esigenze delle piccole e medie imprese; adeguare l'intervento pubblico alle esigenze delle piccole e medie imprese; facilitare la partecipazione delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici e usare meglio le possibilità degli aiuti di Stato per le piccole e medie imprese; agevolare l'accesso delle piccole e medie imprese al credito e sviluppare un contesto giuridico ed economico che favorisca la puntualità dei pagamenti nelle transazioni commerciali; aiutare le piccole e medie imprese a beneficiare delle opportunità offerte dal mercato unico; promuovere l'aggiornamento delle competenze nelle piccole e medie imprese e ogni forma di innovazione; permettere alle piccole e medie imprese di trasformare le sfide ambientali in opportunità; incoraggiare e sostenere le piccole e medie imprese perché beneficino della crescita dei mercati;
    l'Italia ha dato attuazione alla comunicazione della Commissione europea del 2008 con la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 maggio 2010 sullo small business Act;
    dai monitoraggi effettuati nel corso degli anni, è risultato che l'Italia è il Paese dell'Unione europea con il maggior numero di imprese di piccole dimensioni. Infatti, più di una piccola e media impresa europea su cinque è italiana e le piccole e medie imprese nel loro insieme rappresentano il 99,8 per cento del totale delle imprese europee. Più di nove su dieci hanno meno di dieci dipendenti e in esse trovano occupazione due terzi dei lavoratori europei. Le aziende artigiane, inoltre, sono 5 milioni e la microimpresa italiana crea il 31,5 per cento del valore aggiunto del Paese, mentre in altri Paesi come Inghilterra e Germania il dato è circa la metà;
    nonostante la grave crisi economica e finanziaria che ha colpito il nostro Paese, le piccole e medie imprese costituiscono ancora il volano dell'occupazione italiana;
    le difficoltà che le micro, piccole e medie imprese sono chiamate ad affrontare in un periodo di grave crisi economica sono di carattere legislativo, creditizio e finanziario;
    la crisi economica e finanziaria ha ridotto drasticamente la possibilità delle piccole e medie imprese di accedere al credito. Ciò le priva, in molti casi, di quell'ossigeno necessario alla sopravvivenza e impedisce alle stesse imprese di programmare nuovi investimenti;
    l'origine finanziaria della crisi globale ha evidenziato la necessità di intervenire, nell'ottica di patrimonializzare, sugli istituti di credito e sugli eccessivi livelli di rischio che essi assumono;
    al fine di scongiurare il verificarsi di una nuova crisi finanziaria si è intervenuti apportando significative modifiche all'accordo noto con il nome di «Basilea 2», stilando il testo del «Basilea 3». In base agli accordi raggiunti, il requisito minimo per il common equity – la componente di capitale con la maggiore capacità di assorbire le perdite – sarà innalzato dall'attuale livello del 2 per cento al 4,5 per cento;
    il nuovo coefficiente sarà introdotto con gradualità entro il 1o gennaio 2015;
    il requisito per il patrimonio di base, che, oltre al common equity, comprenderà altri strumenti finanziari computabili sulla base di criteri più stringenti rispetto agli attuali, sarà elevato dal 4 al 6 per cento nell'arco dello stesso periodo;
    è stato, altresì, stabilito che il capital conservation buffer (cuscinetto di protezione del patrimonio), aggiuntivo rispetto ai requisiti minimi regolamentari, sia calibrato al 2,5 per cento e costituito da common equity al netto delle deduzioni e sarà applicato a seconda delle specifiche situazioni nazionali;
    lo scopo del nuovo buffer di capitale è quello di assicurare che le banche mantengano un cuscinetto di capitale da poter impiegare per assorbire le perdite durante i periodi di stress finanziario ed economico. Da un lato, le banche potranno attingere a tale risorsa in situazioni di stress, dall'altro, quanto più i loro coefficienti patrimoniali regolamentari si avvicineranno al requisito minimo, tanto maggiori saranno i vincoli posti alla distribuzione degli utili. Tali coefficienti patrimoniali sono integrati da un indice di leva finanziaria non basato sul rischio, che funge da supporto ai coefficienti descritti in precedenza basati sul rischio;
    inoltre, è stato deciso di sperimentare un coefficiente minimo di leva finanziaria per il patrimonio di base del 3 per cento durante il corrispondente periodo di sperimentazione;
    a seconda dei risultati della fase sperimentale, gli eventuali aggiustamenti definitivi saranno apportati nella prima metà del 2017, con l'obiettivo di trasformarlo, a partire dal 1o gennaio 2018, in requisito minimo nell'ambito del primo pilastro del regime di «Basilea 2», subordinatamente a un'appropriata revisione delle regole di calcolo e alla fissazione del livello di calibrazione;
    sono state previste disposizioni transitorie per l'applicazione dei nuovi standard, fatto che contribuirà ad assicurare che il settore bancario sia in grado di rispettare coefficienti patrimoniali più elevati, attraverso ragionevoli politiche di accantonamento degli utili e di aumenti di capitale, assicurando in pari tempo il credito all'economia;
    in aggiunta, dopo un periodo di osservazione che prenderà avvio nel 2011, l'indice di copertura della liquidità a breve sarà introdotto il 1o gennaio 2015. L'indicatore strutturale dell'equilibrio finanziario sarà trasformato in requisito minimo il 1o gennaio 2018;
    in sintesi: i principali timori di «Basilea 3» sono riconducibili, da un lato, all'utilità e all'efficacia dell'accordo e, dall'altro, alle conseguenze che esso potrebbe avere sulle imprese e, più in generale, sull'economia reale;
    ad essere maggiormente penalizzati sono i Paesi con modelli di business come l'Italia, fondati, cioè, sul canale del credito bancario per il finanziamento alle imprese;
    le lentezze di ordine burocratico e i tempi ormai incredibilmente lunghi della giustizia civile costituiscono degli ulteriori ostacoli per le piccole e medie imprese che ne escono fortemente penalizzate per la difficoltà di veder soddisfatti i propri crediti in tempi ragionevoli,

impegna il Governo:

   a verificare e, se necessario, ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché sia assicurata l'erogazione del credito, al fine di prevenire e scongiurare che le stesse imprese e le famiglie debbano pagare le eventuali conseguenze negative dell'applicazione dei nuovi parametri patrimoniali previsti da «Basilea 3»;
   a migliorare il rapporto tra pubblica amministrazione e aziende, potenziando, se necessario, il fondo di garanzia al fine di rendere meno difficoltoso l'accesso al credito dei piccoli e medi imprenditori;
   a promuovere un quadro organico di interventi a favore delle micro, piccole e medie imprese, asse portante dell'economia italiana;
   a promuovere le necessarie iniziative normative per ovviare ai ritardi nei pagamenti delle transazioni, in particolar modo quelle che interessano le pubbliche amministrazioni;
   ad attivare politiche tese a ridurre la pressione fiscale, in particolare sulle imprese di piccole e medie dimensioni e sulle famiglie;
   a sostenere l'internazionalizzazione, l'innovazione e la ricerca, la cooperazione in reti, oltre che la tutela del made in Italy, presupposto indispensabile per mantenere in vita molte imprese artigiane;
   a verificare la possibilità di assumere iniziative per una proroga dei pagamenti dovuti all'erario per le imprese colpite, a vario titolo, dagli ultimi eventi atmosferici disastrosi a partire dalla zone dove è stato riconosciuto lo stato di calamità.
(1-00929)
«Polidori, Moffa, Calearo Ciman, Catone, D'Anna, Grassano, Gianni, Guzzanti, Lehner, Marmo, Milo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Razzi, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini, Stasi, Taddei».
(15 marzo 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    i problemi connessi alla crisi dei debiti sovrani e gli interventi regolamentari che hanno imposto alle banche di procedere ad ingenti ricapitalizzazioni contribuiscono all'acutizzarsi delle difficoltà nell'accesso al credito;
    conseguentemente, le piccole e medie imprese, che costituiscono la spina dorsale del tessuto economico e produttivo del nostro Paese e che, nel loro complesso, rappresentano i tre quarti della forza lavoro dipendente ed il 98 per cento delle aziende italiane, stanno correndo un grossissimo rischio, quello di vedersi chiudere totalmente i «rubinetti» del credito. Tutto ciò va ad aggiungersi ai ritardi nei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni;
    la normativa europea di recepimento dell'accordo di «Basilea 3», prevede un generale inasprimento dei requisiti patrimoniali per le banche che, se da una parte accresce la fiducia nella solvibilità delle banche medesime, dall'altra rischia di tradursi in maggiori costi per il sistema produttivo, specialmente per le piccole e medie imprese che sono da sempre «banco-centriche», mentre le poche grandi aziende italiane si rivolgono direttamente al mercato;
    la crisi economica ha fatto diminuire il fatturato delle piccole e medie imprese italiane del 30 per cento, inducendo le banche a chiedere loro il rientro dai fidi concessi in tempi ristretti e il numero percentuale delle piccole e medie imprese che negli ultimi mesi ha avuto problemi di accesso ad un finanziamento bancario è pari al 43 per cento;
    l'Autorità bancaria europea (european banking Authority) ha adottato una raccomandazione che prevede la creazione, entro il prossimo mese di giugno 2012, di una riserva supplementare di fondi propri da parte delle banche, chiedendo di aumentare il «Core Tier 1» delle banche stesse, portandolo al 9 per cento minimo. Tali requisiti non stanno diffondendo la fiducia che l'Autorità bancaria europea si proponeva;
    per la valutazione del rischio, l'Autorità bancaria europea ha usato il criterio market to market, ossia l'attribuzione non del valore nominale o cedolare dei titoli ma il prezzo corrente di mercato, che per i titoli sovrani italiani detenuti dalle banche italiane ha significato un deprezzamento di oltre il 15 per cento del valore nominale, con effetti pesanti sui mercati e sulle minusvalenze dei conti;
    l'Associazione bancaria italiana ha proposto l'introduzione di specifici coefficienti, per esempio, il pmi supporting factor da applicare all'ammontare destinato a riserva secondo i parametri di «Basilea 3» per far sì che i rigidi requisiti patrimoniali richiesti non si traducano una restrizione ulteriore di erogazione del credito alle piccole e medie imprese;
    la Banca centrale europea ha attivato, l'8 dicembre 2011, due finanziamenti straordinari (il long term refinancing operation-ltro), della durata di 36 mesi a favore delle banche, allo scopo di garantire l'accesso alla liquidità agli istituti di credito, per oltre 1.000 miliardi di euro e più precisamente, il 21 dicembre 2011, la prima asta ha visto assegnare oltre 489 miliardi di euro e la seconda, il 29 febbraio 2012, quasi 530 miliardi di euro, al tasso fisso dell'1 per cento. Le banche italiane hanno fatto ricorso a questo finanziamento rispettivamente per 116 miliardi di euro la prima volta e per 139 di euro miliardi la seconda, che in parte sono andati al riassorbimento di operazioni in scadenze a breve;
    il governatore della Banca d'Italia, in suo recente intervento all'Assiom Forex, ha detto che: «le imprese si trovano a dover fronteggiare un inasprimento delle condizioni creditizie» ed ha invitato le banche a «valutare attentamente il merito di credito, senza far mancare il sostegno finanziario ai clienti solvibili e meritevoli»;
    presso il Ministero dello sviluppo economico è istituito il fondo centrale di garanzia con lo scopo di favorire l'accesso al credito delle piccole e medie imprese, attraverso il rilascio di una garanzia pubblica sui finanziamenti erogati dalle banche;
    l'analisi annuale per la crescita 2012, presentata dalla Commissione europea il 23 novembre 2011 (COM(2011)815 def.) prevede espressamente di «ripristinare la normale erogazione di prestiti all'economia» e pone «l'esigenza di garantire che le banche rafforzino i propri coefficienti patrimoniali consolidando le proprie posizioni patrimoniali e non limitando indebitamente l'erogazione di prestiti all'economia reale» e di «rivedere le norme prudenziali per evitare che penalizzino indebitamente l'erogazione di prestiti alle piccole e medie imprese»;
    altro fattore di forte criticità per le imprese è dato dai ritardi nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione: l'ammontare complessivo viene stimato intorno ai 70 miliardi di euro e l'entità dei ritardi accumulati ammonta mediamente a 128 giorni, contro una media europea di 65 giorni, con un range che va da un minimo di 92 ad un massimo di 664 giorni,

impegna il Governo:

   ad adottare le opportune iniziative al fine di aumentare le possibilità di accesso al credito delle piccole e medie imprese, finalizzato ad investimenti per l'innovazione dei prodotti e dei processi;
   ad adoperarsi in sede europea al fine di:
    a) sospendere l'entrata in vigore delle misure volte a fissare livelli più elevati per i coefficienti patrimoniali delle banche;
    b) intervenire in merito ai requisiti patrimoniali delle banche affinché siano introdotti meccanismi correttivi per la ponderazione del rischio di credito relativo ai prestiti alle piccole e medie imprese;
   ad adottare iniziative normative volte a rendere più veloci i pagamenti dei crediti della pubblica amministrazione, accelerando il recepimento e l'applicazione della direttiva 2011/7/UE;
   ad assumere iniziative volte a istituire un fondo presso la Cassa depositi e prestiti, atto ad accollarsi l'onere della parte di debiti, delle autonomie locali, verso le piccole e medie imprese garantiti da disponibilità a bilancio ma non utilizzabili per i vincoli del rispetto del patto di stabilità interno.
(1-00948)
«Cambursano, Giulietti, Giorgio Merlo, Barbi, Zampa, Mario Pepe (PD), Portas, Marmo, La Forgia, Santagata, Recchia».
(21 marzo 2012).

   La Camera,
   premesso che:
    sebbene sia stata innescata dai crack finanziari di soggetti privati internazionali prima e dai rischi di insolvenza dei debiti sovrani in seguito, la crisi che sta attraversando l'Italia ha origini più antiche ed interne poiché l'Italia registrava bassi tassi di sviluppo già dall'inizio degli anni 2000;
    le piccole e medie imprese rappresentano un patrimonio di fondamentale importanza per l'economia italiana e uno dei principali elementi di vitalità del nostro Paese, ma rappresentano altresì il settore che sta maggiormente soffrendo dell'attuale contingenza economica;
    nell'attuale scenario, oltre al calo della domanda interna ed estera, le difficoltà incontrate dalle piccole e medie imprese sono di ordine finanziario e possono essere principalmente ricondotte a due ordini di problemi: le difficoltà di accesso al credito e di rientro dei prestiti ricevuti dalle banche; i ritardi dei pagamenti dei crediti vantati nei confronti sia della pubblica amministrazione, sia dei clienti privati;
    in tema di credito non ha certo giovato l'introduzione dei nuovi requisiti patrimoniali per gli istituti bancari, previsti dall'accordo «Basilea 3», per garantire la stabilità del sistema che ha determinato effetti restrittivi nell'erogazione del credito alle piccole e medie imprese;
    oltre agli effetti derivanti dall'accordo «Basilea 3», le banche italiane devono scontare anche le conseguenze derivanti dalla richiesta dell'Autorità bancaria europea alle banche europee di aumentare la propria capitalizzazione, al fine di rafforzare la fiducia dei mercati nella capacità degli istituti di credito di fronteggiare gli shock provenienti dal fronte dei debiti sovrani;
    la seconda long term refinancing operation (ltro) della Banca centrale europea ha assegnato 529,53 miliardi di euro in asta a 36 mesi al tasso dell'1 per cento e segue quella di 489 miliardi di euro collocati a dicembre 2011, entrambe finalizzate a stimolare la concessione di prestiti da parte delle banche;
    in questa delicata fase, i consorzi di garanzia collettiva dei fidi hanno continuato a svolgere un'importante funzione e a rappresentare uno strumento efficace nel migliorare le condizioni di accesso ai prestiti e nell'aumentare la qualità del credito bancario alle imprese, soprattutto di minore dimensione, consentendo, in particolare, a quelle associate a consorzi di garanzia di ottenere linee di credito a tassi d'interesse più bassi rispetto a quelle non associate;
    in tal senso, infatti, l'Italia rappresenta un caso di successo in termini di penetrazione della garanzia sul totale dei finanziamenti concessi alle imprese;
    tuttavia, mentre i Paesi esteri si caratterizzano per la presenza di schemi di filiera della garanzia semplici e strettamente correlati alle politiche economiche e industriali «centrali», nonché per l'assenza di capillarità distributiva e contribuzione privata alla formazione delle risorse a sostegno della filiera stessa, l'Italia, al contrario, presenta un modello distributivo molto sviluppato e con forti legami sul territorio, basato essenzialmente sul soggetto confidi quale attore principale della garanzia diretta e di primo livello, ma, al contempo, la filiera è lunga e complessa, con molte sovrapposizioni tra i diversi attori, istituzionali e non, e una minore focalizzazione di politica economica;
    si segnala, tuttavia, che è stato recentemente sottoscritto il nuovo accordo tra i rappresentanti dell'Associazione bancaria italiana e le associazioni d'impresa con il Ministro dello sviluppo economico ed il Viceministro dell'economia e delle finanze Vittorio Grilli: la moratoria riguarderà tutte le linee di credito aperte dalle imprese, così da consentire a tutte le piccole e medie imprese di beneficiare della sospensione delle rate di mutui e leasing;
    in tema di ritardo nei pagamenti dalla pubblica amministrazione in Italia (che costano alle piccole e medie imprese 3,7 miliardi di euro di oneri finanziari), è stato stimato che, al termine contrattuale di 90 giorni, si somma un ritardo medio di altri 90 giorni, per un totale di 180 giorni, il che rende la pubblica amministrazione italiana il peggiore pagatore d'Europa. Tuttavia, sebbene nel Mezzogiorno il cliente prevalente delle imprese è la pubblica amministrazione, nel Nord e nel Centro, invece, i clienti sono soprattutto privati e anche qui la situazione è difficilissima, anche perché le azioni legali sono costose per la lunghezza dei tempi della giustizia e spesso inefficaci;
    la scarsa liquidità e l'insolvibilità non spiegano da sole la crisi che sta attraversando il mondo delle piccole e medie imprese. Esistono anche altri fattori che hanno determinato questa situazione legati alla redditività e alla capacità delle imprese di restare competitive,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative presso le competenti sedi europee al fine di mitigare gli effetti, in particolare con riferimento all'accesso al credito delle piccole e medie imprese, derivanti dall'applicazione delle nuove regole stabilite dall'Unione europea in materia di coefficenti patrimoniali e di capitalizzazione delle banche italiane;
   a promuovere iniziative che agevolino la destinazione delle due tranche di prestiti che la Banca centrale europea ha erogato in favore degli istituti bancari, principalmente a finanziamenti rivolti all'economia reale, in particolare alle aziende piccole e medie;
   ad adottare iniziative volte a rafforzare il ruolo e l'operatività dei consorzi di garanzia collettiva fidi;
   a ridefinire e semplificare la filiera italiana delle garanzie oggetto di finanziamento ai privati (retail), preservandone la natura fortemente sussidiaria e basata sullo strumento dei confidi;
   ad adottare iniziative, anche di carattere normativo, finalizzate a disciplinare una reale compensazione tra i crediti commerciali verso la pubblica amministrazione e i debiti tributari.
(1-00970)
«Ciccanti, Galletti, Anna Teresa Formisano, Ruggeri, Pezzotta, Occhiuto, Compagnon, Naro, Volontè, Poli, Libè».
(26 marzo 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    in questi ultimi mesi il nostro Paese affronta una crisi economica di portata continentale e mondiale. La crisi, nata come finanziaria, si è presto rivelata molto più profonda, mostrando in poco tempo la sua natura economica e produttiva; il rischio reale è che possa sfociare in una crisi anche sociale. Anche per evitare questa possibile quanto pericolosa degenerazione è nato il Governo del senatore Monti, la cui genesi è stata accompagnata dalla maturata consapevolezza del baratro che anche il nostro Paese aveva ed ha di fronte a sé. Un baratro in cui non si può cadere perché in tal caso l'Italia trascinerebbe con sé l'intera Europa, una nuova realtà ma fondamentale per il mantenimento degli equilibri mondiali;
    la globalizzazione ha posto e pone di fronte alla consapevolezza che il destino dell'Italia è legato indissolubilmente a quello degli altri Paesi. Le decisioni che si prendono in ogni singolo Paese hanno oggi ripercussioni ed effetti su realtà che fino a pochi anni fa si potevano considerare molto più distanti di quanto non siano oggi. Questa consapevolezza, è bene sottolinearlo, aumenta e deve aumentare il grado di responsabilità di chi è chiamato a decidere;
    ebbene, l'attuale Governo sta agendo su più fronti, consapevole che il tempo è un fattore determinante della sua azione. In pochi mesi ha affrontato liberalizzazioni, semplificazioni, riforma del sistema pensionistico, ora quella del mercato del lavoro. Su quest'ultima è in corso un confronto necessario. Si tratta di provvedimenti che sono destinati a lasciare il segno nel tessuto sociale del nostro Paese; tanto più sarà profondo tale segno, tanto più sarà dimostrata l'efficacia delle scelte fatte;
    rigore e sviluppo sono i riferimenti cardine su cui si sta muovendo l'azione riformatrice. Ma se per ciò che attiene al rigore l'intervento legislativo e normativo può certo considerarsi direttamente efficace, per quanto riguarda lo sviluppo la sua efficacia non può essere considerata altrettanto diretta. L'intervento normativo nell'ottica del rilancio dello sviluppo può, cioè, essere certamente utile, ma come premessa, come fattore agevolativo e semplificativo, non certo come fattore determinante. Lo sviluppo non si può creare per decreto, sono le forze produttive del Paese a poterlo determinare, ma queste vanno messe nelle condizioni adeguate per farlo; questo è il compito della politica e delle istituzioni che la rappresentano;
    in questo senso molto c’è da fare, se il rigore voluto e perseguito sta producendo effetti avvertiti quotidianamente dai cittadini italiani, ebbene le scelte propedeutiche al rilancio del Paese devono avere la stessa efficacia, devono essere avvertite nella stessa maniera dai nostri concittadini;
    la pubblica amministrazione riveste in questo quadro un ruolo centrale; può e deve essere considerata come uno strumento fondamentale per il rilancio del sistema economico italiano; può essere il volano della ripresa;
    invece, uno dei principali ostacoli sulla strada del possibile rilancio del Paese è rappresentato proprio dal ritardo cronico dei pagamenti delle amministrazioni pubbliche, una situazione questa non più sostenibile. Attualmente la realizzazione di importanti opere pubbliche, necessarie per ammodernare il Paese e riprendere il ciclo dello sviluppo economico, sono a rischio per il blocco della liquidità dell'amministrazione pubblica;
    investire nel rilancio delle opere pubbliche rappresenta un'opzione non di secondo piano per il rilancio dell'economia e della produttività del sistema Italia, ma, di fatto, questa possibilità viene resa impraticabile;
    gli enti locali in Lombardia pagano mediamente in 120 giorni, in Campania pagano con 365 giorni di ritardo, in Calabria addirittura si raggiunge il tetto di ben 600 giorni. Bisogna, però, tener conto che vi sono pure al Nord realtà in cui è ben evidente questa patologia del rapporto fra le imprese fornitrici di beni e servizi e gli enti locali. Ottenere una commessa per un'impresa privata in queste condizioni può rappresentare una vera e propria iattura per il proprio conto economico;
    questa situazione tiene lontani gli investimenti pubblici e privati da un'area come quella del Mezzogiorno, che, non va sottaciuto, rappresenta un mercato di consumo per le imprese del Nord e potrebbe diventare un'area strategica per il rilancio dell'economia dell'intero Paese;
    il rilancio degli investimenti infrastrutturali al Sud e nelle altre aree depresse del Paese rappresenta un'opportunità che deve essere colta, anche perché una scelta del genere contribuirebbe a sviluppare sul territorio quella serie di piccole e medie imprese private che potrebbero ridare, con la loro stessa esistenza, linfa all'intero Meridione e non solo;
    lo Stato, le regioni e gli enti locali possono rappresentare un'opzione in più, uno strumento importante, attraverso i loro investimenti, per veicolare, diffondere e invogliare l'iniziativa privata sul territorio. Nell'interesse, si badi bene, non solo delle aree eventualmente interessate, ma dell'intero sistema Paese e delle aziende non solo locali che potrebbero essere coinvolte in un piano nazionale di investimenti sul territorio;
    fino a qualche anno fa le regioni riuscivano a pagare i fornitori di beni e servizi con più tempestività, perché potevano utilizzare i fondi di riequilibrio o, comunque, ricorrevano con maggiore possibilità all'indebitamento. Entrambe le ipotesi oggi non sono più percorribili. Inoltre, è necessario tenere conto del vincolo imposto dal patto di stabilità. In virtù proprio del patto di stabilità, si è di fronte ad una situazione particolare per la quale alcune regioni, pur avendo risorse disponibili, non possono utilizzarle, mentre altre non hanno praticamente denaro in cassa. Dunque, in una situazione di crisi come quella attuale, esistono risorse che di fatto si rendono indisponibili;
    di fronte a questa situazione i Repubblicani Azionisti hanno proposto la necessità di discutere nelle sedi opportune l'ipotesi che le risorse finanziarie inutilizzate possano essere rimesse in circolo con l'istituzione di un fondo di garanzia, attraverso il quale il Governo sia garante dei pagamenti anche delle autonomie locali;
    una proposta avanzata anche in virtù della consapevolezza che il Governo ha da poco messo a disposizione ben 1 miliardo di euro al di fuori del patto di stabilità e sta lavorando per diminuire l'incidenza dei vincoli esistenti, scelta questa che comporta la spesa di ingenti risorse economiche; di fronte a tale impegno, pensare di rendere utilizzabili risorse attualmente rese indisponibili appare vieppiù necessario;
    una necessità ancora più evidente; in una fase come quella attuale, nella quale anche il sistema bancario mostra evidenti segnali di difficoltà e l'accesso al credito diventa sempre più difficile, l'azione della pubblica amministrazione, come detto, può diventare una valvola di stabilità fondamentale. Essa può ridare ossigeno a moltissime imprese di tutto il Paese del Sud e forse e soprattutto del Nord;
    in occasione di un dibattito in Assemblea, il rappresentante del Governo ha ricordato i numerosi interventi effettuati negli ultimi anni, per cercare di risolvere la criticità del ritardo dei pagamenti: dall'articolo 9 del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, al più recente articolo 13, comma 1, della legge 12 novembre 2011, n. 183, sino alla previsione di una disciplina da definire con un decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata. Per quanto utili e necessari gli interventi citati non sono risultati risolutivi, almeno non così sono stati percepiti ed avvertiti;
    una consapevolezza questa che aumenta di fronte alla drammatica carenza di liquidità cui sono sottoposte le piccole e medie imprese del Paese, che rappresentano, come è noto, la spina dorsale del sistema produttivo italiano;
    in Italia l'iniziativa imprenditoriale, infatti, non manca: il numero di aziende che il Paese vanta è pari a 3,8 milioni; è quasi il doppio di quelle che si possono contare nella locomotiva d'Europa, ovvero in Germania (2 milioni e 38 mila). Ma quasi il 95 per cento delle imprese italiane ha una dimensione ridotta con un numero di dipendenti inferiore a dieci. In particolare, in Italia su un totale di 3.849.258 di imprese, il 94,5 per cento è costituito da micro imprese, il 4,9 per cento da piccole, lo 0,5 da medie e solo lo 0,1 per cento da grandi;
    il credit crunch a cui sono sottoposte le piccole e medie imprese produce un avvitamento finanziario che danneggia non solo la fisiologia interna delle piccole e medie imprese, ma la natura stessa del sistema imprenditoriale italiano;
    di fronte a questa situazione, se lo statuto dei lavoratori nel 1970 ha avuto il merito di socializzare l'impresa, oggi appare necessario ribadire e rinsaldare il ruolo sociale degli istituti bancari, la cui attività resta sì fondamentale per l'economia moderna, ma deve mantenere la qualità basilare di servizio;
    nell'ultima indagine trimestrale, condotta dalla Banca d'Italia, è quasi raddoppiata, al 28,6 per cento dal 15,2 per cento della precedente inchiesta, la quota delle imprese per le quali le condizioni di accesso al credito sono peggiorate;
    le ragioni di queste difficoltà sono principalmente di due tipi. In primo luogo, c’è da parte delle banche un problema di liquidità, soprattutto per quanto riguarda gli impieghi a medio termine, posto che le banche si trovano di fronte all'esigenza di garantire la copertura delle operazioni correnti e devono ridurre gli spazi per i finanziamenti alle imprese; in secondo luogo, c’è un problema di costi. Per le banche è sempre più oneroso aumentare la propria raccolta e ottenere capitali per il forte rialzo dei tassi di interesse sui titoli di Stato italiani;
    di fronte a questa situazione sono proprio le piccole e medie imprese a rischiare maggiormente, perché il sistema bancario continua ad essere fortemente impegnato verso i grandi gruppi, anche loro spesso in difficoltà;
    le imprese, quindi, hanno di fronte un credito difficile e più caro proprio in un momento in cui sarebbero invece necessari forti investimenti per rinnovare gli impianti e accrescere la competitività;
    va ricordato che il 21 dicembre 2011 le banche europee hanno ottenuto circa 500 miliardi di euro di nuovi fondi, in occasione della prima asta di rifinanziamento organizzata dalla Banca centrale europea, allo scopo di fronteggiare il credit crunch; di queste risorse, gli istituti italiani hanno ricevuto 116 miliardi di euro al tasso dell'1 per cento;
    la Banca centrale europea ha più volte dichiarato che tali risorse sono vincolate allo scopo di offrire credito all'economia reale, in modo da permettere alle banche di avere più liquidità da poter mettere a disposizione, in particolare, delle imprese. Questa scelta è stata dettata dalla consapevolezza che il rilancio dello sviluppo del sistema non può che essere collegato alla capacità effettiva di credito, che gli istituti bancari dovrebbero concedere alle imprese, in particolare a quelle piccole e medie;
    senza il rafforzamento delle linee di credito appare, infatti, estremamente complicato ipotizzare che si possa davvero procedere ad un rilancio dello sviluppo del sistema, per il quale, specie in Italia, il ruolo delle piccole imprese è determinante, sia in termine di produzione che di impiego di forza lavoro;
    la mancanza di liquidità è, dunque, la ragione principale del ristagno dell'economia ed è l'obiettivo principale da perseguire se si vuole rilanciare il sistema Italia. Le cause principali di questa carenza sono evidentemente, da un lato, la mancanza di credito alle imprese da parte del sistema bancario, dall'altro la mancanza di investimenti pubblici in settori strategici e il patologico quanto insostenibile ritardo dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione a tutti i suoi livelli;
    recentemente il Governo ha predisposto un decreto ministeriale con specifico riguardo proprio alla compensazione dei crediti delle imprese nei confronti della pubblica amministrazione. Una decisione questa assolutamente condivisibile. Però, il testo in questione prevede che questa misura di compensazione non si attui in quelle regioni sottoposte a piani di rientro oppure che siano state commissariate, regioni prevalentemente del Mezzogiorno, dove la crisi economica è sempre più forte. Si tratta, evidentemente, di una scelta non condivisibile ed estremamente grave, perché produrrebbe effetti direttamente contrari agli obiettivi che si vogliono raggiungere;
    si tratterebbe, qualora confermata, di una scelta evidentemente discriminatoria che scarica sulle aziende e sulle imprese colpe e responsabilità che non hanno e di cui non possono pagare il prezzo;
    l'origine di tale eventuale, inaccettabile ed insostenibile discriminazione non è da addebitare ad una scelta o a un errore del Governo. Il problema è, invece, originato dai vincoli di una direttiva europea, che, difatti, escluderebbero dalle compensazioni le regioni che già hanno usufruito del piano di rientro, per ristabilire l'equilibrio economico-finanziario,

impegna il Governo:

   ad intervenire, nel rispetto delle proprie ed altrui competenze, affinché l'ipotesi avanzata di rendere disponibili le risorse attualmente inutilizzate, da parte di alcune regioni, attraverso la creazione di un fondo nazionale per garantire i pagamenti delle pubbliche amministrazioni ed anche delle autonomie locali, fondo di cui il Governo nazionale sia gestore e garante, possa essere discussa e vagliata come eventuale risorsa aggiuntiva per risolvere il problema cronico dei ritardi dei pagamenti e contribuire così al rilancio del sistema nel suo complesso;
   ad istituire nel più breve tempo possibile un tavolo permanente con i rappresentanti dell'Associazione bancaria italiana, della Banca d'Italia, delle principali associazioni di categoria e dei consumatori, al fine di avanzare proposte operative per il sostegno del credito a favore delle imprese e delle famiglie;
   ad intervenire, nei limiti delle proprie competenze, affinché i prestiti che la Banca centrale europea ha messo a disposizione delle banche siano effettivamente utilizzati per sostenere l'accesso al credito per le imprese;
   ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, affinché sia possibile per i creditori della pubblica amministrazione richiedere alle amministrazioni debitrici la certificazione delle somme dovute e, quindi, nel caso, cedere il relativo credito ad un istituto bancario che ne assuma la piena titolarità;
   ad intervenire nelle sedi europee competenti affinché si adottino provvedimenti mirati a garantire effettivamente l'accesso al credito per imprese e famiglie;
   a chiarire quale siano le soluzioni tecnico-normative che il Governo intende adottare, per rimuovere un vincolo che creerebbe un'inaccettabile discriminazione ed estendere, quindi, i benefici delle compensazioni a tutte quelle regioni, che sono prevalentemente del Sud, che ne resterebbero escluse pur avendone più bisogno.
(1-01011)
(Nuova formulazione) «Ossorio, Nucara, Brugger».
(17 aprile 2012)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA TUTELA DEL DIRITTO ALL'OBIEZIONE DI COSCIENZA IN CAMPO MEDICO E PARAMEDICO

   La Camera,
   premesso che:
    in continuità con le decisioni prese negli ultimi decenni, l'Assemblea parlamentare del Consiglio di Europa ha ribadito (raccomandazione n. 1763, approvata il 7 ottobre 2010) che nessuna persona, ospedale o istituzione sarà costretta, ritenuta responsabile o discriminata in alcun modo a causa di un rifiuto di eseguire, accogliere, assistere o sottoporre un paziente ad un aborto o eutanasia o qualsiasi altro atto che potrebbe causare la morte di un feto o embrione umano, per qualsiasi motivo;
    l'Assemblea parlamentare ha sottolineato la necessità di affermare il diritto all'obiezione di coscienza insieme alla responsabilità dello Stato per assicurare che i pazienti siano in grado di accedere a cure mediche lecite in modo tempestivo;
    stante l'obbligo di garantire l'accesso alle cure mediche e legali per tutelare il diritto alla salute, così come l'obbligo di garantire il rispetto del diritto della libertà di pensiero, di coscienza e di religione di operatori sanitari degli Stati membri, l'Assemblea ha invitato il Consiglio d'Europa e gli Stati membri ad elaborare normative complete e chiare, che definiscano e regolino l'obiezione di coscienza in materia di servizi sanitari e medici, volte soprattutto a garantire il diritto all'obiezione di coscienza in relazione alla partecipazione alla procedura medica in questione e a far sì che i pazienti siano informati di ogni obiezione di coscienza in modo tempestivo e ricevano un trattamento appropriato, in particolare nei casi di emergenza;
    in materia di obiezione di coscienza si devono ricordare le indicazioni contenute: nel VI articolo dei principi di Nuremberg; nell'articolo 10, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea; negli articoli 9 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali; nell'articolo 18 della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici;
    la promozione del diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e paramedico è affermata nelle «linee guida» della federazione internazionale di ginecologia ed ostetricia (Figo) e della Organizzazione mondiale della sanità (Who-Europe);
    il diritto all'obiezione di coscienza non può essere in nessun modo «bilanciato» con altri inesistenti diritti e rappresenta il simbolo, oltre che il diritto umano, della libertà nei confronti degli Stati e delle decisioni ingiuste e totalitarie,

impegna il Governo

a dare piena attuazione al diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e paramedico e a garantire la sua completa fruizione senza alcuna discriminazione o penalizzazione, in linea con l'invito del Consiglio d'Europa.
(1-00922)
«Volontè, Fioroni, Roccella, Polledri, Commercio, Buttiglione, Binetti, Capitanio Santolini, Calgaro, Di Virgilio, Mantovano».
(12 marzo 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    il 7 ottobre 2010 l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha approvato la raccomandazione n. 1763 intitolata «Diritto di sollevare obiezione di coscienza nell'ambito delle cure mediche legali», nella quale vengono specificati gli ambiti sanitari ove la pratica dell'obiezione di coscienza deve essere tutelata e regolamentata, ovvero l'interruzione volontaria di gravidanza, le situazioni di fine vita e la procreazione medicalmente assistita;
    i riferimenti sulla materia previsti dal diritto internazionale ed europeo rinviano alla libertà e alla sicurezza della persona: articoli 3, 18 e 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo; articolo 9 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali; articoli 9 e 18 della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici; diritto alla salute previsto dall'articolo 12 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali; diritto alla non discriminazione nel campo della salute e della cura previsto dagli articoli 12 e 16 della Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (Cedaw); diritto di godere dei benefici del progresso scientifico e delle sue applicazioni previsto dall'articolo 15 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali; diritto di decidere liberamente e responsabilmente sul numero dei figli da avere previsto dall'articolo 16 della Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna;
    nel 1999 il comitato previsto dalla Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna ha prodotto una general recommendation nella quale, interpretando l'articolo 12 della stessa Convenzione, ha richiesto agli Stati parte di eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne anche riguardo all'accesso ai servizi riproduttivi, con particolare riferimento alla pianificazione familiare, alla maternità e alla fase post-natale. Il comitato ha riconosciuto, inoltre, che l'accesso alle cure sanitarie, incluse quelle collegate alla riproduzione, costituisce un diritto riconosciuto dalla stessa Convenzione per l'eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (general recommendation n. 24, ventesima sessione, 1999, articolo 12, donne e salute);
    dei diritti riproduttivi si sono occupate anche le conferenze internazionali delle Nazioni Unite che, a questo tema, hanno dato uno spazio crescente nel corso dell'ultimo decennio (Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo – Cairo, 1994, e IV Conferenza mondiale sulle donne – Pechino, 1995);
    in continuità con il diritto internazionale ed europeo sopra richiamato e con le regole di deontologia medica internazionale approvate dalla Federazione internazionale di ginecologia ed ostetricia (Figo) e dalla Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa riconosce le diverse situazioni giuridiche soggettive ed oggettive pertinenti agli ambiti sanitari di cui sopra, tutelando, da una parte, il diritto del personale sanitario di sollevare, senza subire discriminazioni, obiezione di coscienza quale espressione della libertà di pensiero, di coscienza e di religione e, dall'altra parte, l'inalienabile diritto di ogni individuo alla salute e la responsabilità dello Stato di garantire che ogni paziente riceva le cure mediche ed i trattamenti sanitari legali entro i termini appropriati;
     l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha invitato quegli Stati membri del Consiglio d'Europa che ancora non ne sono dotati ad elaborare normative complete e chiare che riconoscano e regolino l'obiezione di coscienza nell'ambito sanitario ed ha espresso forte preoccupazione per il fatto che un'inadeguata disciplina della medesima danneggia e discrimina la popolazione femminile, in particolare le donne economicamente più fragili o quelle che vivono nelle zone rurali;
    l'ordinamento italiano regola da decenni la facoltà di sollevare obiezione di coscienza da parte del personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie (articolo 9 della legge n. 194 del 1978 e articolo 16 della legge n. 40 del 2004);
    le relazioni annuali sull'attuazione della legge n. 194 del 1978 presentate al Parlamento dal Ministro della salute (peraltro richiamate nei lavori dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa) dimostrano che nel nostro Paese il fenomeno dell'obiezione di coscienza sta subendo una consolidata e costante dilatazione;
    la relazione del Ministro della salute presentata al Parlamento il 4 agosto 2011 dimostra che nel 2009, a livello nazionale, il 70,7 per cento dei ginecologi è obiettore e che il trend è passato dal 58,7 per cento del 2005 al 69,2 per cento del 2006, al 70,5 per cento del 2007, al 71,5 per cento del 2008. Il dato nazionale degli anestesisti obiettori è anch'esso in costante aumento, passando dal 45,7 per cento del 2005 al 51,7 per cento del 2009. Il dato nazionale del personale non medico obiettore è passato dal 38,6 per cento nel 2005 al 44,4 per cento nel 2009. Al Sud, la quasi totalità dei ginecologi è obiettore (85,2 per cento in Basilicata, 83,9 per cento in Campania, 82,8 per cento in Molise e 81,7 per cento in Sicilia), mentre gli anestesisti si attestano intorno ad una media superiore al 76 per cento (77 per cento in Molise e Campania e 75,6 per cento in Sicilia);
    in alcune realtà periferiche e del Mezzogiorno esistono aziende ospedaliere prive dei reparti di interruzione di gravidanza, dal momento che la quasi totalità di ginecologi, anestesisti, ostetrici ed infermieri solleva obiezione di coscienza, così creando, di fatto, le condizioni per forme di emigrazione sanitaria, ovvero il ricorso a cliniche private convenzionate e autorizzate o, peggio, verso pratiche clandestine, materializzando, in tal modo, le preoccupazioni espresse dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa circa un'inadeguata regolamentazione dell'obiezione di coscienza, soprattutto nei confronti delle donne economicamente più fragili o quelle che vivono nelle zone rurali;
    le stime prevedono che, nei prossimi anni, nel nostro Paese un rilevante numero di personale medico strutturato non obiettore andrà in pensione per raggiunti limiti di età, con la conseguenza che, in mancanza di un adeguato monitoraggio, il diritto di ogni donna alle cure sanitarie di cui ha diritto subirà un'inevitabile contrazione,

impegna il Governo

a dare, nel quadro del diritto internazionale e comunitario richiamato in premessa, completa ed effettiva attuazione all'invito dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa a salvaguardare e regolamentare nell'ambito sanitario il diritto di sollevare obiezione di coscienza, quale espressione della libertà di pensiero, di coscienza e di religione, così come a garantire il diritto di ogni individuo di ricevere dallo Stato le cure mediche ed i trattamenti sanitari legali.
(1-01016)
«Farina Coscioni, Sbrollini, Pes, Bossa, Lo Moro, Argentin, Giulietti, Codurelli, Maurizio Turco, Zamparutti, Mecacci, Bernardini, Cesare Marini, Touadi, Beltrandi, Marrocu».
(18 aprile 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, il 7 ottobre 2010, ha approvato la risoluzione n. 1763 in materia di obiezione di coscienza nell'ambito delle cure mediche;
    nella risoluzione n. 1763 si segnala: a) la necessità che sia garantita l'obiezione di coscienza dell'operatore sanitario; b) la necessità di garantire che le donne possano accedere ai servizi con tempestività; c) la preoccupazione che l'assenza di regolazione dell'obiezione di coscienza possa danneggiare le donne meno abbienti o quelle che vivono in zone rurali; d) come nella grande maggioranza degli Stati dell'Europa, l'obiezione di coscienza sia ben regolamentata;
    inoltre, tenendo conto dell'obbligo di garantire l'accesso alle cure mediche e la tutela della salute, così come dell'obbligo di garantire la libertà di coscienza degli operatori sanitari, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa invita gli Stati membri a sviluppare regole chiare e generali che regolino l'obiezione di coscienza circa la salute e l'assistenza sanitaria, e che: a) garantiscano il diritto all'obiezione di coscienza dell'operatore; b) siano tali da assicurare che le pazienti siano informate per tempo di eventuali obiezioni in modo da essere indirizzate a un altro operatore sanitario (non obiettore); c) garantiscano affinché le pazienti ricevano i trattamenti appropriati, in particolare nei casi di emergenza;
    nella medesima risoluzione approvata, si conferma il pieno diritto all'obiezione di coscienza dell'operatore sanitario all'interno, però, di un quadro di «bilanciamento» con il diritto del paziente all'assistenza sanitaria. Anzi, in questo «bilanciamento» la medesima risoluzione è esplicitamente preoccupata che si discriminino le donne e le pazienti più deboli e povere e ribadisce la necessaria presenza di regole che garantiscano ai pazienti il trattamento sanitario appropriato, soprattutto nelle emergenze;
    per quanto riguarda il nostro Paese, in ambito medico sanitario il diritto all'obiezione di coscienza è espressamente codificato e disciplinato per legge riguardo: all'interruzione della gravidanza, laddove l'obiezione è riconosciuta dall'articolo 9 della legge n. 194 del 1978; alla sperimentazione animale, dove l'obiezione di coscienza è disciplinata dalla legge n. 413 del 1993; alla procreazione medicalmente assistita, dove l'obiezione di coscienza viene prevista e disciplinata dall'articolo 16 della legge n. 40 del 2004;
    in questo ambito particolare importanza riveste l'obiezione di coscienza all'interruzione volontaria della gravidanza, per i suoi effetti e ricadute socio-sanitarie e sulla stessa funzionalità del servizio sanitario nazionale;
    l'ultima relazione del Ministero della salute presentata al Parlamento, sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978 relativa all'interruzione volontaria di gravidanza, è quella trasmessa dall'allora Ministro della salute Fazio il 4 agosto 2011;
    la relazione riporta, tra l'altro, i dati definitivi sull'obiezione di coscienza esercitata da ginecologi, anestesisti e personale non medico nel 2009. I dati che emergono sono molto eloquenti e impongono una seria riflessione: in Italia ben il 70,7 per cento dei ginecologi del servizio pubblico è obiettore di coscienza. Percentuale che scende al 51,7 per cento per gli anestesisti, e al 44,4 per cento per il personale non medico;
    ad eccezione della Valle d'Aosta dove sono solamente il 18 per cento i ginecologi obiettori, le percentuali non scendono mai al di sotto del 52 per cento. Il dato più elevato di obiettori di coscienza tra i ginecologi riguarda il Sud, con una media di oltre 8 obiettori su 10, e con il Molise che ha il dato più elevato tra tutte le regioni, con l'85,2 per cento di ginecologi obiettori;
    la principale conseguenza di un numero così elevato di ginecologi e operatori sanitari obiettori di coscienza è quella di rendere sempre più difficoltosa la stessa applicazione della legge n. 194 del 1978, con effetti negativi sia per la funzionalità dei vari enti ospedalieri e, quindi, del sistema sanitario nazionale, sia per le donne che ricorrono all'interruzione volontaria di gravidanza. La ricerca di un medico non obiettore comporta allungamento dei tempi, interlocutori non sempre disponibili, donne che devono spesso migrare da una regione all'altra e, sopratutto tra le immigrate, il possibile ricorso all'aborto clandestino;
    si è di fronte, quindi, a due soggetti, entrambi titolari di diritti soggettivi riconosciuti dalla legge: quello all'interruzione volontaria di gravidanza della donna e quello all'obiezione di coscienza del personale sanitario. Due principi legittimi che idealmente dovrebbero poter convivere affinché nessun soggetto veda negata la propria libertà. Di fatto, tale ipotesi trova difficoltà nel realizzarsi poiché i medici obiettori spesso si rifiutano di segnalare alle pazienti un medico non obiettore o un'altra struttura sanitaria autorizzata all'interruzione volontaria di gravidanza;
    il diritto all'obiezione di coscienza in materia di aborto per il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie è sancito dall'articolo 9 della legge n. 194 del 1978. Allo stesso tempo, il medesimo articolo prevede che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure e gli interventi di interruzione della gravidanza. La regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale;
    la legge n. 194 del 1978 prevede, quindi, scelte individuali e responsabilità pubbliche. L'obiezione di coscienza è, infatti, un diritto della persona ma non della struttura. Al medico, o all'infermiere, viene garantito di potersi avvalere dell'obiezione di coscienza. Ma quel che è un diritto del singolo non è diritto della struttura sanitaria nel suo complesso, che ha, anzi, l'obbligo di garantire l'erogazione delle prestazioni sanitarie;
    i dati sopra indicati sulle percentuali di obiettori comportano, oltre che evidenti ricadute negative sulla stessa effettiva attuazione della legge sull'interruzione volontaria di gravidanza, anche conseguenze oggettivamente pesanti sui sempre più limitati medici non obiettori, che spesso si ritrovano relegati a occuparsi quasi esclusivamente di interruzioni di gravidanza con il rischio concreto di una dequalificazione professionale e conseguenti effetti penalizzanti sulle loro stesse possibilità di carriera;
    peraltro, la crescita in questi anni del numero degli obiettori ha determinato la chiusura dei servizi, con ospedali privi di reparti di interruzione di gravidanza, perché praticamente la totalità di ginecologi, anestesisti e paramedici ha scelto l'obiezione di coscienza,

impegna il Governo:

   a garantire il rispetto della legge n. 194 del 1978 su tutto il territorio nazionale, nonché la sua piena applicazione, a tutela dei diritti e della salute delle donne, assumendo anche iniziative, nei limiti delle proprie competenze, finalizzate all'assunzione di personale non obiettore in maniera tale da garantire il servizio;
   ad attivarsi, nell'ambito delle proprie prerogative, al fine di assicurare, pur nel rispetto del diritto all'obiezione di coscienza, il pieno ed efficiente espletamento da parte degli enti ospedalieri delle procedure e degli interventi di interruzione della gravidanza;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché la gestione organizzativa e del personale delle strutture ospedaliere sia realizzata in modo da evitare che vi siano presidi con oltre il 50 per cento di obiettori.
(1-01036)
«Palagiano, Donadi, Borghesi, Evangelisti».
(17 maggio 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    come si rileva dall'ultima relazione del Ministro della salute, sullo stato di attuazione della legge concernente: «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza», così come prevista dall'articolo 16 della legge 22 maggio 1978, n. 194, trasmessa alla Presidenza della Camera dei deputati in data 4 agosto 2011 e riferita ai dati definitivi del 2009, nonché ai dati preliminari del 2011, si assiste ad una generale stabilizzazione dell'obiezione di coscienza tra i ginecologi e gli anestesisti, dopo un notevole aumento negli ultimi anni;
    a livello nazionale, per i ginecologi si è passati dal 58,7 per cento del 2005, al 69,2 per cento del 2006, al 70,5 per cento del 2007, al 71,5 per cento del 2008 e al 70,7 per cento nel 2009; per gli anestesisti, negli stessi anni, dal 45,7 per cento al 51,7 per cento. Per il personale non medico si è osservato un ulteriore incremento, con valori che sono passati dal 38,6 per cento nel 2005 al 44,4 per cento nel 2009. Percentuali superiori all'80 per cento tra i ginecologi si osservano principalmente al sud: 85,2 per cento in Basilicata, 83,9 per cento in Campania, 82,8 per cento in Molise, 81,7 per cento in Sicilia e 81,3 per cento a Bolzano. Anche per gli anestesisti i valori più elevati si osservano al Sud (con un massimo di più del 77 per cento in Molise e Campania, il 75,6 per cento in Sicilia e i più bassi in Toscana (27,7 per cento) e a Trento (31,8 per cento). Per il personale non medico i valori sono più bassi, con un massimo dell'87 per cento in Sicilia e dell'82 per cento in Molise;
    si tratta sicuramente di percentuali molto elevate che comportano, come conseguenza, tempi di attesa molto lunghi per l'intervento, che molte volte vanno oltre le due settimane (nel 2009 oltre il 40 per cento delle donne ha dovuto aspettare più di 14 giorni per poter effettuare l'interruzione volontaria di gravidanza) e, in alcuni casi, arrivano anche ad un mese o più (nel 2009 il 15,8 per cento delle donne ha dovuto aspettare oltre tre settimane), con la conseguenza che le donne si rivolgono a strutture estere, all'uso dei farmaci non legali, all'aborto clandestino con grave pregiudizio per la loro salute;
    tale situazione ha generato e continua a generare un conflitto difficile da gestire tra il primario diritto della donna, in un percorso che è già di per sé psicologicamente complicato, di accedere a determinati servizi previsti dal servizio sanitario nazionale, al dovere dell'ospedale di garantire quel servizio tutelando prima di tutto la salute della donna e quello del medico di «rivendicare», attraverso l'obiezione di coscienza, una propria libertà morale e religiosa;
    nonostante la legge n. 194 del 1978 attribuisca ai consultori familiari pubblici un ruolo fondamentale nell'assistenza alle donne che decidono di ricorrere all'interruzione volontaria di gravidanza, il ricorso al consultorio familiare per la documentazione/certificazione rimane ancora basso (39,4 per cento) e una possibile ragione risiede sicuramente nel fatto che i consultori sono in genere scarsamente integrati con le altre strutture sanitarie,

impegna il Governo:

   a tutelare, con tutti gli strumenti possibili, siano essi normativi che economici, all'interno delle strutture del servizio sanitario nazionale il diritto delle donne all'interruzione volontaria di gravidanza, nei modi e nei tempi stabiliti dalla legge n. 194 del 1978, garantendo, nel contempo, il diritto dell'obiezione di coscienza dei medici così come previsto dall'articolo 9 della legge medesima;
   a promuovere un potenziamento della presenza sul territorio nazionale dei consultori familiari quale struttura socio-sanitaria in grado di aiutare la donna nella sua difficile scelta e strumento essenziale per le politiche di prevenzione e di promozione della maternità/paternità libera e consapevole, nonché servizio essenziale per l'attivazione del percorso per l'interruzione volontaria di gravidanza;
   a promuovere, d'intesa con le autorità scolastiche, attività di informazione ed educazione alla salute nelle scuole, con particolare riferimento alle problematiche connesse alla tutela della salute sessuale e riproduttiva.
(1-01038)
«Miotto, Argentin, Bucchino, Burtone, D'Incecco, Grassi, Lenzi, Murer, Sbrollini, Livia Turco, Pedoto, Fontanelli, Codurelli».
(17 maggio 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    la risoluzione n. 1763, «Diritto di sollevare obiezione di coscienza nell'ambito delle cure mediche legali», approvata il 7 ottobre 2010 dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, riporta gli ambiti sanitari in cui la pratica dell'obiezione di coscienza deve essere tutelata e regolamentata;
    la risoluzione fa riferimento ai casi di interruzione di gravidanza volontaria, alle situazioni di fine vita e alla procreazione medicalmente assistita;
    l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, riconoscendo la tutela del diritto del personale sanitario di sollevare obiezione di coscienza quale espressione della libertà di pensiero, di coscienza e di religione ha invitato gli Stati membri del Consiglio d'Europa non ancora dotati di normative specifiche ad adottare atti completi e chiari che riconoscano e regolino l'obiezione di coscienza per gli operatori del settore, medici e paramedici;
    infatti, la liceità dell'obiezione di coscienza è subordinata al riconoscimento da parte dello Stato agli individui della possibilità di astenersi da condotte che determinano un conflitto interiore del soggetto rispetto al suo sistema di valori;
    in Italia il diritto all'obiezione di coscienza in campo medico è assicurato ed espressamente codificato dalle seguenti leggi: la legge n. 194 del 1978 che, all'articolo 9, ha introdotto una particolare species di obiezione di coscienza, in materia di interruzione volontaria della gravidanza, riconosciuta al personale sanitario ed esercente attività ausiliarie, salvo nei casi urgenti nei quali è in gioco la vita di una persona; peraltro, una disposizione similare è contenuta anche nel codice di deontologia medica, approvato anch'esso nel 1978, che all'articolo 28 stabilisce che «qualora al medico vengano richiesti interventi che contrastino col suo convincimento clinico o che discordino con la sua coscienza, come nel caso di sterilizzazione, aborto o interventi di plastica, egli può rifiutare la propria opera pur nel rispetto della volontà del paziente»; la legge n. 413 del 1993 che disciplina l'obiezione di coscienza per la sperimentazione animale; l'articolo 16 della legge n. 40 del 2004 che riguarda la procreazione medicalmente assistita e riconosce al personale sanitario ed esercente le attività sanitarie accessorie la facoltà di astenersi dal compimento della procedura, adottando un'impostazione similare alla disciplina in materia di aborto;
    inoltre, il diritto all'obiezione di coscienza ha un fondamento costituzionale nel diritto generale alla libertà religiosa e alla libertà di coscienza, diritti esplicitamente previsti anche nell'articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, ma deve pur sempre essere realizzato nel rispetto degli altri diritti fondamentali previsti dalla Carta costituzionale e, fra questi, l'irrinunciabile diritto del cittadino a vedere garantita la propria salute e a ricevere quell'assistenza sanitaria riconosciuta per legge;
    particolare rilievo assume l'obiezione di coscienza all'interruzione volontaria di gravidanza, per le ricadute sulla stessa funzionalità dei vari enti ospedalieri e del sistema sanitario nazionale, nonché per le donne che ricorrono all'interruzione volontaria di gravidanza;
    come descritto nella «Relazione del Ministero della Salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria di gravidanza (legge n. 194 del 1978)», del 4 agosto 2011, «nel 2009 si evince una stabilizzazione generale dell'obiezione di coscienza tra i ginecologi e gli anestesisti, dopo un notevole aumento negli ultimi anni. Infatti, a livello nazionale, per i ginecologi si è passati dal 58,7 per cento del 2005, al 69,2 per cento del 2006, al 70,5 per cento del 2007, al 71,5 per cento del 2008 e al 70,7 per cento nel 2009; per gli anestesisti, negli stessi anni, dal 45,7 per cento al 51,7 per cento. Per il personale non medico si è osservato un ulteriore incremento, con valori che sono passati dal 38,6 per cento nel 2005 al 44,4 per cento nel 2009. Percentuali superiori all'80 per cento tra i ginecologi si osservano principalmente al sud: 85,2 per cento in Basilicata, 83,9 per cento in Campania, 82,8 per cento in Molise, 81,7 per cento in Sicilia e 81,3 per cento a Bolzano. Anche per gli anestesisti i valori più elevati si osservano al sud (con un massimo di più di 77 per cento in Molise e Campania e 75,6 per cento in Sicilia) e i più bassi in Toscana (27,7 per cento) e a Trento (31,8 per cento). Per il personale non medico i valori sono più bassi, con un massimo di 87,0 per cento in Sicilia e 82,0 per cento in Molise»;
    nonostante il numero degli obiettori si stia stabilizzando dopo un notevole aumento negli ultimi anni, l'attuale situazione pone problemi organizzativi all'interno delle aziende sanitarie locali e degli ospedali, specialmente al Sud, dove, come si evince dai dati sopra indicati, vi è una media di oltre 8 obiettori su 10;
    tuttavia, il citato articolo 9 della legge n. 194 del 1978, oltre ad assicurare l'obiezione di coscienza per il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie, prevede che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate siano tenuti, in ogni caso, ad assicurare l'espletamento delle procedure previste dalla stessa legge e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità; inoltre, è la regione a doverne controllare e garantire l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale,

impegna il Governo:

   a garantire il diritto all'obiezione di coscienza al personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie senza alcuna discriminazione o penalizzazione, come richiesto dal Consiglio d'Europa e affermato nelle linee guida della federazione internazionale di ginecologia ed ostetricia;
   ad assicurare che le strutture ospedaliere e le case di cura autorizzate siano sempre nelle condizioni di poter rispondere tempestivamente alle esigenze dei cittadini, che vanno preventivamente informati sulle caratteristiche delle attività svolte in ciascun ente ospedaliero.
(1-01042)
«Stagno d'Alcontres, Misiti, Miccichè, Fallica, Grimaldi, Iapicca, Pittelli, Pugliese, Soglia, Terranova».
(21 maggio 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, all'articolo 3, recita: «ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona»;
    la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, all'articolo 2, afferma: «il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge»;
    il Consiglio di Europa ha ribadito, con la raccomandazione n. 1763, «Diritto di sollevare obiezione di coscienza nell'ambito delle cure mediche e legali», che nessuna persona o istituzione sarà costretta, o discriminata in alcun modo a causa di un rifiuto di eseguire, accogliere, assistere o sottoporre un paziente ad un aborto o eutanasia o qualsiasi altro atto che potrebbe causare la morte di un feto o embrione umano, per qualsiasi motivo e contestualmente ha ribadito la responsabilità dello Stato a che i pazienti possano accedere in tempo utile ai trattamenti medici previsti dalla legge;
    l'Organizzazione mondiale della sanità, sul punto, ha individuato, quale obiettivo primario, il miglioramento della qualità della vita della madre e del bambino;
    la legge n. 194 del 1978, recante «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza», prevede, infatti, tra i suoi primi obiettivi «il valore sociale della maternità e la tutela della vita umana fin dal suo inizio» (articolo 1, comma 1);
    lo scopo dichiarato della richiamata legge n. 194 del 1978 non è quello di garantire un diritto di aborto, ma piuttosto quello di prevenire l'aborto, favorendo la nascita dei figli già concepiti con l'invito alle madri ad un'adeguata riflessione sul valore della vita umana e offrendo alternative al dramma (per il concepito e per la donna) dell'interruzione della gravidanza; questa è l'interpretazione ripetutamente formulata dalla Corte costituzionale italiana, la quale ritiene che l'interruzione volontaria di gravidanza sia intesa soltanto come risposta a uno stato insuperabile di necessità e non come esercizio di un diritto di scelta della donna;
    la legge n. 194 del 1978 è nata per arginare la pratica degli aborti clandestini, oltre che per attuare una seria politica di contrasto al ricorso indiscriminato all'aborto attraverso interventi di aiuto mirati alla tutela della donna e del nascituro. Le azioni di informazione e di prevenzione sono state affidate, in particolar modo, ai consultori familiari istituiti dalla legge n. 405 del 1975;
    indipendentemente dalle vicende applicative che ne hanno condizionato l'attuazione, il nucleo centrale della legge n. 194 del 1978 è la creazione di un percorso articolato di riflessione finalizzato a consentire alla donna una piena maturazione della sua personale scelta in merito alla prosecuzione o meno della gravidanza;
    come si rileva dall'ultima relazione del Ministro della salute, sullo stato di attuazione della legge concernente «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza», così come prevista dall'articolo 16 della legge 22 maggio 1978, n. 194, trasmessa alla Presidenza della Camera dei deputati in data 4 agosto 2011 e riferita ai dati definitivi del 2009, nonché ai dati preliminari del 2011, si assiste ad una generale stabilizzazione dell'obiezione di coscienza tra i ginecologi e gli anestesisti, dopo un notevole aumento negli ultimi anni; dalle diverse relazioni al Parlamento si può comunque rilevare che la numerosità degli obiettori di coscienza non è correlata ai tempi di attesa, che appaiono piuttosto dipendere dalle modalità dell'organizzazione sanitaria locale. Ad esempio, considerando i dati delle relazioni al Parlamento relative all'applicazione della legge n. 194 del 1978 per gli anni 2006 e 2009, si evince che nel Lazio gli obiettori in tre anni sono aumentati dal 77,7 all'80,2 per cento e i tempi di attesa diminuiti, mentre in Umbria gli obiettori calano dal 70,2 al 63,3 per cento e i tempi di attesa sono aumentati;
    è indubbio che il dovere di somministrazione di farmaci abortivi, o antinidatori, colpisce la sensibilità del medico come quella del farmacista, il quale, però, con le norme attuali, non può rifiutarne la vendita, non esistendo la possibilità di sollevare obiezione di coscienza com’è, invece, previsto per i sanitari dalla legge n. 194 del 1978 per l'interruzione di gravidanza;
    l'obiezione di coscienza è un diritto proprio di ogni ordinamento liberale, fondato su una visione laica dell'etica, che vede nel primato della coscienza, intesa come «norma ultima concreta dell'agire umano», un suo cardine fondamentale;
    nonostante la legge n. 194 del 1978 attribuisca ai consultori familiari pubblici un ruolo fondamentale nell'assistenza alle donne che decidono di ricorrere all'interruzione volontaria di gravidanza, il ricorso a tale istituto è ancora molto basso e questo perché gli stessi sono in genere scarsamente integrati con le altre strutture sanitarie,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni iniziativa di competenza per l'applicazione integrale della legge n. 194 del 1978, potenziando la presenza sul territorio nazionale dei consultori familiari quale struttura socio-sanitaria in grado di aiutare la donna nella sua difficile scelta e strumento essenziale per le politiche di prevenzione e di promozione della maternità/paternità libera e consapevole;
   a promuovere una programmazione per gli ospedali in cui debbono effettuarsi le interruzioni volontarie di gravidanza, garantendo aggiornamento scientifico e qualificazione professionale del personale;
   ad assumere iniziative per prevedere il rispetto di tempi certi per le strutture che debbono assicurare l'intervento nel minor tempo possibile, salvaguardando la «settimana di riflessione» e rispettando le procedure di urgenza previste dalla legge;
   a promuovere campagne informative specifiche sulle fasce della popolazione più a rischio, attuando una sensibilizzazione sul valore della vita nascente a tutela della maternità e paternità responsabile;
   a dare piena attuazione al diritto all'obiezione di coscienza del personale medico e paramedico, senza alcuna discriminazione o penalizzazione, e, contestualmente, a garantire a tutti i cittadini, in collaborazione con le regioni, i trattamenti previsti dalla normativa vigente.
(1-01046)
«Barani, De Luca, Girlanda, De Nichilo Rizzoli, Fucci, Porcu, Mazzocchi, Berruti, Mancuso, Ciccioli».
(23 maggio 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    la Dichiarazione sui diritti del fanciullo, approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1959 a New York, nel preambolo stabilisce che: «il fanciullo necessita di una protezione e di cure particolari, ivi compresa una protezione legale appropriata, sia prima che dopo la nascita»;
    a livello comunitario, la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, all'articolo 2, afferma: «il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge»;
    la Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, sottoscritta ad Oviedo nel 1997, delinea una sorta di costituzione europea in materia di diritto a nascere;
    la Carta europea dei diritti, adottata dal Consiglio europeo di Nizza il 7 dicembre 2000 e alla quale, con il recente Trattato di Lisbona, è stata attribuita la stessa efficacia giuridica delle norme dei trattati, dopo aver affermato, all'articolo 1, l'inviolabilità della dignità umana, all'articolo 2 dispone: «ogni individuo ha il diritto alla vita»;
    il nostro ordinamento giuridico, prevedendo, ex articolo 10 della Costituzione, l'obbligo di osservare i principi e i patti internazionali, attribuisce rilevanza costituzionale a quegli atti che tutelano il diritto alla vita fin dal concepimento;
    l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha ribadito, recentemente (raccomandazione n. 1763, approvata il 7 ottobre 2010), che nessuna persona, ospedale o istituzione sarà costretta, ritenuta responsabile o discriminata in alcun modo a causa di un rifiuto di eseguire, accogliere, assistere o sottoporre un paziente ad un aborto o eutanasia o qualsiasi altro atto che potrebbe causare la morte di un feto o embrione umano, per qualsiasi motivo;
    l'Assemblea parlamentare ha sottolineato la necessità di affermare il diritto all'obiezione di coscienza insieme con la responsabilità dello Stato, per assicurare che i pazienti siano in grado di accedere a cure mediche lecite in modo tempestivo;
    l'Assemblea ha invitato il Consiglio d'Europa e gli Stati membri ad elaborare normative complete e chiare, che definiscano e regolino l'obiezione di coscienza in materia di servizi sanitari e medici, volte soprattutto a garantire il diritto all'obiezione di coscienza in relazione alla partecipazione alla procedura medica in questione e a far sì che i pazienti siano informati di ogni obiezione di coscienza in modo tempestivo e ricevano un trattamento appropriato, in particolare nei casi di emergenza;
    in materia di obiezione di coscienza si devono ricordare le indicazioni contenute: nel VI articolo dei principi di Nuremberg; nell'articolo 10, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea; negli articoli 9 e 14 della Convenzione europea dei diritti umani; nell'articolo 18 della Convenzione internazionale dei diritti civili e politici;
    il tribunale amministrativo regionale della Puglia ha annullato, con la sentenza n. 3477 del 2010, la delibera di giunta regionale e i relativi atti della aziende sanitarie locali di Bari con cui venivano esclusi dalla presenza nei consultori ambulatoriali i medici obiettori di coscienza. Per i giudici amministrativi il provvedimento viola il principio costituzionale di eguaglianza, oltre che i principi posti a fondamento dell'obiezione di coscienza;
    pur ponendo l'accento sul valore storico che hanno rappresentato i consultori familiari per la nostra società, è doveroso, a distanza di più 35 anni dall'approvazione della legge, che ne prevedeva l'istituzione, riconsiderarne il lavoro svolto e l'attuale ruolo nel nostro Paese. Infatti, alla luce anche dei notevoli cambiamenti sopravvenuti nell'attuale contesto socio-culturale, è necessario dare nuova linfa vitale a ciò che già era ben esplicitato nelle intenzioni del legislatore, che nel 1975 aveva emanato la legge n. 405 (ovvero l'assistenza alla famiglia, l'educazione alla maternità e alla paternità responsabile, l'educazione per l'armonico sviluppo fisico e psichico dei figli e per la realizzazione della vita familiare), ma che nei fatti è stato residualmente attuato, complice anche la talora mera funzione burocratica dei consultori, ridotti, troppo spesso, a pura assistenza sanitaria, deboli di quella necessaria sensibilità e competenza su problematiche sociali per i quali furono istituiti. In questa ottica sarebbe opportuno considerare come forza attiva anche il ruolo dei medici obiettori di coscienza all'interno dei presidi socio-sanitari dei consultori familiari, anche al fine di dare piena attuazione alla prima parte della legge n. 194 del 1978, attraverso la reale presa in carico della donna per aiutarla a superare le cause che la inducono alla scelta di interrompere la gravidanza,

impegna il Governo

a promuovere la piena attuazione dei principi di diritto delineati nella raccomandazione del Consiglio d'Europa, definendo il diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e infermieristico.
(1-01049)
«Laura Molteni, Fabi, Rondini, Fedriga, Fugatti, Torazzi, Maggioni, Vanalli, Simonetti, Allasia, Isidori, Consiglio, Negro, Bragantini, Callegari, Desiderati, Cavallotto, Paolini, Meroni, Polledri».
(24 maggio 2012)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA NEGOZIAZIONE DI ACCORDI BILATERALI CON PAESI NON APPARTENENTI ALL'UNIONE EUROPEA IN MATERIA DI TASSAZIONE DEL RISPARMIO, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLA CONFEDERAZIONE ELVETICA

   La Camera,
   premesso che:
    il vantaggio in termini di stabilità di cui ha goduto la Svizzera per decenni, unitamente al fatto che il sistema bancario ha offerto un efficace apparato di protezione dei clienti, ha consentito alla piazza finanziaria elvetica di attrarre il 30 per cento dei patrimoni offshore a livello mondiale (circa 2.680 miliardi di euro – secondo il Global wealth report del 2011) e di gestire 5.500 miliardi di franchi (circa 6.700 miliardi di euro);
    nel corso dell'anno 2008, anche a causa della crisi finanziaria che obbliga gli Stati sovrani al recupero di fondi su tutti i fronti, inizia un procedimento civile e penale negli Usa contro Ubs (il più importante istituto di credito svizzero), nell'ambito del quale il dipartimento della giustizia e l'Internal revenue service (Irs) chiedono informazioni su 52 mila contribuenti clienti di Ubs. Il 19 agosto 2009 l'Amministrazione federale delle contribuzioni sigla con l'Internal revenue service un accordo che limita la richiesta a 4.450 nomi (vedi Mauro Guerra in «Apologia del segreto bancario» – Limes n. speciale 2011 – L'importanza di essere Svizzera);
    nel 2010, in seguito al caso della cosiddetta «lista Falciani» (un elenco di 127 mila correntisti esteri della banca svizzera Hsbc trafugato da un ex-dipendente dell'istituto di credito) sono scoppiate polemiche tra le autorità svizzere e quelle statunitensi e francesi. Si scoprì, inoltre, che vi comparivano 5.728 contribuenti italiani, i quali avrebbero depositato denaro nella filiale svizzera, evadendo il fisco, per un totale di 6,9 miliardi di dollari (circa 5 miliardi di euro);
    i rapporti esistenti sul terreno fiscale tra l'Unione europea e la Confederazione svizzera hanno vissuto le seguenti tappe fondamentali: il 23 luglio 1972 viene firmato l'Accordo di libero scambio tra la Comunità europea e la Confederazione elvetica; il 3 giugno 2003 è approvata definitivamente la direttiva europea sul risparmio n. 2003/48/CE (recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 18 aprile 2005, n. 84); il 1o luglio 2005 entra in vigore l'accordo tra l'Unione europea e la Confederazione svizzera sul risparmio, siglato in data 26 ottobre 2004; il 13 febbraio 2007 viene emessa la decisione della Commissione economica europea sul sistema fiscale elvetico; nel mese di settembre 2009 la Svizzera sigla l'ultima delle dodici convenzioni di doppia imposizione contenenti la clausola dell'assistenza amministrativa ampliata in materia fiscale ed esce dalla lista grigia dell'Ocse. Essa ottiene di limitare l'assistenza a singoli casi, di escludere la valenza giuridica delle fishing expedition (ossia le richieste di informazioni bancarie non già sul singolo individuo, ma su gruppi o categorie di individui senza elementi specifici di sospetta evasione fiscale) e delle informazioni ottenute con sottrazione di dati, di migliorare l'accesso al mercato delle prestazioni finanziarie transfrontaliere; convenzioni fiscali con Germania (10 agosto 2011) e Gran Bretagna (24 agosto 2011) secondo il cosiddetto modello «Rubik»; nel 2011 il Consiglio dell'Unione europea (Ecofin) intende modificare la direttiva sul risparmi Liechtenstein o del 2003 (proposta di direttiva del Consiglio presentata dalla Commissione europea – COM(2008)727 definitivo), mentre la Commissione europea starebbe facendo pressione affinché Berlino e Londra modifichino, sulla scorta delle indicazioni provenienti da Bruxelles, le convenzioni sottoscritte nei mesi scorsi;
    nel 2013 entrerà in vigore negli Usa il nuovo Foreign account tax compliance act (Fatca), in base al quale qualsiasi banca che voglia continuare a gestire conti di clienti statunitensi, o avere accesso al mercato statunitense, dovrà segnalare all'Internal revenue service le informazioni relative a questi clienti o, in alternativa, pagare un'imposta del 30 per cento su tutti i pagamenti e gli investimenti di origine statunitense;
    pochi giorni fa, Italia, Francia, Germania, Spagna, Regno Unito e Usa hanno ufficializzato la volontà di adottare un approccio comune finalizzato all'applicazione in Europa della normativa del Foreign account tax compliance act (Fatca);
    per effetto della «direttiva sul risparmio» (2003/48/CE) approvata definitivamente dal Consiglio il 3 giugno 2003 dopo una gestazione sofferta e prolungatasi per oltre cinque anni, dal 1o luglio 2005 è scattato l'obbligo per le banche e gli altri intermediari finanziari operanti in Italia, e in ventuno altri Stati dell'Unione europea, di comunicare periodicamente all'Agenzia delle entrate i dati relativi al pagamento di interessi effettuati a favore di persone fisiche residenti in altri Stati membri dell'Unione europea. L'Agenzia delle entrate deve inviare le informazioni così ottenute all'amministrazione fiscale del Paese di residenza di ogni singolo percettore e ricevere le medesime informazioni da parte di altri ventuno Stati dell'Unione europea;
    in tre Stati dell'Unione europea (Austria, Belgio e Lussemburgo) e in cinque Stati extra Unione europea (Svizzera, Liechtenstein, Andorra, San Marino e Principato di Monaco), invece, le banche e gli intermediari locali non effettuano alcuna comunicazione, ma prelevano un'imposta del 15 per cento sugli interessi pagati a persone fisiche residenti in altri paesi dell'Unione europea. Il 25 per cento del gettito complessivo di questa imposta viene trattenuto dall'erario del singolo Stato, mentre il 75 per cento verrà da questo rimesso all'erario del Paese di residenza della persona;
    questa ritenuta è stata aumentata progressivamente, per passare dal 15 per cento nel 2005 al 35 per cento nel luglio 2011;
    questo accordo assicura alla Svizzera un vantaggio, ossia l'abolizione della tassazione alla fonte dei dividendi, dei redditi e dei canoni di licenza tra imprese associate, aumentando in tal modo l'attrattiva della Svizzera per le società attive a livello internazionale;
    secondo le statistiche ufficiali elaborate dall'amministrazione elvetica, se si considera il 2007, secondo anno completo di applicazione dell'accordo, i soggetti pagatori svizzeri hanno operato ritenute alla fonte (15 per cento) sugli interessi aventi come beneficiari persone fisiche per un ammontare pari a circa 653 milioni di franchi svizzeri (corrispondenti a 435 milioni di euro). Di questo ammontare il 75 per cento è stato inoltrato ai vari Paesi facenti parte dell'Unione europea;
    l'amministrazione italiana ha beneficiato di entrate per circa 125 milioni di franchi svizzeri, ponendosi al secondo posto tra i vari Stati europei. Inoltre, 63.000 beneficiari di interessi hanno optato per la perdita dell'anonimato, autorizzando l'agente pagatore a comunicare i dati alla competente autorità amministrativa (procedura di divulgazione volontaria);
    l'interesse che determina una ritenuta del 15 per cento, pari a 653 milioni di franchi svizzeri, è stimato in 4.353 milioni di franchi svizzeri (2.898 milioni di euro). Il capitale sottostante potrebbe essere: se si ipotizza un rendimento del 2 per cento di 217 miliardi di franchi svizzeri (144 miliardi di euro); se, invece, si stima un rendimento del 4 per cento, di 108.5 miliardi di franchi svizzeri (72 miliardi di euro);
    per quanto concerne l'Italia, se il 75 per cento della ritenuta è pari a 125 milioni di franchi svizzeri, la ritenuta totale è pari a circa 167 milioni di franchi svizzeri, determinata da interessi per circa 1.100 milioni di franchi svizzeri. Il relativo capitale potrebbe essere pari a circa 56 miliardi di franchi svizzeri (circa 37 miliardi di euro, con il 2 per cento di rendimento) oppure 28.000 milioni di franchi svizzeri (18,5 miliardi di euro, con il 4 per cento di rendimento);
    per l'anno 2010, sono stati invece riscossi 432 milioni di franchi. I tre quarti di questo importo (pari a 324 milioni di euro) sono stati retrocessi agli Stati membri mentre un quarto del gettito (108 milioni di euro) spettava alla Svizzera;
    l'accordo sulla fiscalità tra Svizzera e Unione europea del 2005, con il quale il Governo svizzero si impegnava a trattenere un'imposta alla fonte e riversarla agli Stati dell'Unione europea di residenza dei propri correntisti, ha dato scarsi esiti secondo il parere degli ex Ministri delle finanze di Germania e Italia, Steinbrück e Tremonti;
    infatti, l'onere fiscale può essere facilmente aggirato: la direttiva si applica solo agli interessi versati a una persona fisica. Basta intestare il conto a una società (magari costituita in un altro paradiso fiscale) e il gioco è fatto. Il risultato di tutto questo è che: gli Stati maggiormente interessati ad avere informazioni continuano a non averne; l'evasione fiscale, favorita dal segreto bancario dei Paesi che possono continuare a mantenerlo, non ne soffre minimamente; chi si attendeva introiti favolosi per le esangui casse erariali è rimasto deluso;
    peraltro, emerge una contraddizione per quanto concerne l'Italia: a partire dal 1o luglio 2011 la Svizzera opera una ritenuta del 35 per cento sugli interessi che rientrano nell'accordo: il 25 per cento resta alla Svizzera e il 75 per cento è inviato al Paese di residenza del beneficiario. Ne consegue che l'amministrazione italiana tributaria riceve, senza espletare alcun tipo di attività, il 75 per cento del 35 per cento, cioè il 26,25 per cento. Se il residente italiano avesse riportato in Italia i suoi capitali investendoli, ad esempio, in un normale conto corrente bancario, l'amministrazione italiana avrebbe introitato, a parità di capitale e di interesse, il 20 per cento, aliquota un po’ inferiore al 26,25 per cento. Mentre se l'investimento nel nostro Paese fosse in titoli di Stato, l'amministrazione italiana avrebbe introitato solo il 12,50 per cento, ritenuta di gran lunga inferiore al 26,50 per cento percepito nel primo caso. Da questo breve esempio si perverrebbe alla conclusione che il mantenimento di depositi in Svizzera da parte di soggetti residenti in Italia arrecherebbe teoricamente un sensibile vantaggio, in termini di flussi di imposte, all'amministrazione italiana;
    l'accordo con la Svizzera, per la parte relativa al recepimento della direttiva sul risparmio, fa riferimento esclusivamente – come già detto – alle persone fisiche. Proprio questo si è rivelato, nel corso degli anni, un limite notevole al corretto funzionamento dell'accordo: l'interposizione di schermi societari ha, di fatto, attenuato le prospettive positive che erano attese dalla sua firma;
    come porre rimedio a questa situazione è un compito al quale si sta dedicando la Commissione europea (vedi la proposta di direttiva del Consiglio presentata dalla Commissione dell'Unione europea – COM(2008)727 definitivo), il cui intervento si pone due obbiettivi: a) da un lato, il passaggio dalla nozione formalistica di beneficiario effettivo a quella di beneficiario economico; b) dall'altro, l'allargamento del campo di applicazione della direttiva a nuovi prodotti finanziari;
    il Consiglio dell'Unione europea, il 17 maggio 2011, ha svolto un dibattito orientativo sul modo di procedere relativamente alla proposta citata, volta a rafforzare le disposizioni della direttiva dell'Unione europea in materia di tassazione dei redditi da risparmio;
    la Presidenza del Consiglio dei ministri ha dichiarato che rifletterà sul modo di far avanzare i lavori, tenuto conto dei progressi compiuti;
    le modifiche alla direttiva 2003/48/CE proposte sono intese a evitare l'elusione della direttiva, tenendo conto dell'evoluzione dei prodotti da risparmio e del comportamento degli investitori dalla sua prima applicazione nel 2005. Esse si prefiggono di ampliare il campo d'applicazione della direttiva per includervi non solo i pagamenti di interessi ma anche tutti i redditi da risparmio, nonché i prodotti che generano interessi o redditi equivalenti;
    il Consiglio dell'Unione europea (Ecofin) intende modificare la direttiva sul risparmio del 2003 già citata. Tale direttiva è arrivata al termine del periodo transitorio e l'Ecofin intende promulgare un testo che prevede il passaggio automatico di informazioni tra Paesi. Austria e Lussemburgo continueranno ad applicare una ritenuta alla fonte, preservando l'anonimato dei contribuenti, mentre la Svizzera è chiamata a negoziare con l'Unione europea un riesame dell'accordo nei termini di quello siglato con Germania e Inghilterra;
    è presumibile che la Confederazione elvetica difenderà il segreto bancario con molta forza e per molti anni e, stante che abolirlo o limitarlo in maniera significativa, potrebbe – secondo stime autorevoli – dimezzare il prodotto interno lordo generato dal settore finanziario (l'11 per cento del prodotto interno lordo svizzero), settore che occupa in Svizzera più di 200 mila persone;
    la convenzione fiscale siglata il 10 agosto 2011, per le persone residenti in Germania, prevede il pagamento a posteriori di un'imposta sulle loro attuali relazioni bancarie in Svizzera. Al riguardo, esse possono effettuare un pagamento unico d'imposta oppure dichiarare i loro conti. I futuri redditi e gli utili dei capitali di clienti bancari tedeschi in Svizzera saranno soggetti a un'imposta liberatoria, il cui provento sarà trasferito dalla Svizzera alle autorità tedesche. Con la convenzione i due Paesi intendono, inoltre, migliorare l'accesso ai reciproci mercati per i fornitori di servizi finanziari;
    grazie all'imposta liberatoria la Germania dovrebbe incassare un miliardo di euro l'anno. In più, riceverà una decina di miliardi a titolo di «risarcimento» per i casi di evasione fiscale del passato;
    il testo della convenzione rispetta – secondo i sottoscrittori – da un canto, la sfera privata dei clienti bancari e, dall'altro, garantisce l'osservanza di pretese fiscali giustificate. Entrambe le parti convengono che, per l'effetto esplicato, il sistema concordato corrisponderà a lungo termine allo scambio automatico di informazioni per i redditi di capitali. Il testo completo della convenzione sarà pubblicato, come di consueto, dopo la firma di entrambi i Governi tra alcune settimane e potrebbe entrare in vigore all'inizio del 2013;
    la convenzione tra Svizzera e Germania contiene in particolare i seguenti punti:
     a) l'imposta liberatoria per il futuro: i futuri redditi e utili di capitali saranno direttamente assoggettati a un'imposta liberatoria. L'aliquota unica è stata fissata al 26,375 per cento, che corrisponde all'aliquota dell'imposta liberatoria in vigore in Germania. L'imposta liberatoria è un'imposta alla fonte. Con il suo versamento, l'obbligo fiscale nei confronti dello Stato di domicilio è, in linea di principio, soddisfatto;
     b) allo scopo di impedire che nuovi averi non tassati vengano depositati in Svizzera, è stato convenuto un meccanismo di garanzia che permette alle autorità tedesche di presentare domande di informazioni che devono indicare il nome del cliente ma non necessariamente quello della banca. In termini numerici, queste domande sono limitate e devono basarsi su motivi plausibili. Per un periodo di due anni il numero delle domande sarà compreso tra 750 e 999; successivamente sarà adeguato sulla base dei risultati. La ricerca generalizzata e indiscriminata di informazioni, la cosiddetta fishing expedition (ossia le richieste di informazioni bancarie non già sul singolo individuo, ma su gruppi o categorie di individui senza elementi specifici di sospetta evasione fiscale), è esclusa;
     c) il recupero d'imposta: ai fini della tassazione a posteriori delle attuali relazioni bancarie in Svizzera, le persone residenti in Germania devono avere, in via eccezionale, la possibilità di pagare un'imposta calcolata in modo forfettario. L'ammontare di questo onere fiscale oscilla tra il 19 e il 34 per cento dei valori patrimoniali e sarà stabilito in funzione della durata della relazione con il cliente nonché dell'importo iniziale e finale del capitale. In luogo di tale pagamento, gli interessati hanno la possibilità di dichiarare alle autorità tedesche la loro relazione bancaria in Svizzera;
     d) altri punti: Svizzera e Germania hanno deciso di agevolare agli istituti finanziari l'accesso ai reciproci mercati. In particolare, sarà semplificata l'applicazione della procedura di esenzione (freistellungsverfahren) per le banche svizzere in Germania e abrogato l'obbligo di avviare le relazioni con i clienti tramite un istituto sul posto. Inoltre, è stata risolta la problematica dell'acquisto di dati rilevanti ai fini fiscali: si esclude la valenza giuridica delle informazioni ottenute con sottrazione di dati. Il pacchetto comprende anche la soluzione della questione di possibili procedimenti penali contro i collaboratori delle banche;
    per garantire un gettito minimo a titolo di recupero d'imposta e dare corpo alla volontà di attuare la convenzione, le banche svizzere si sono impegnate a fornire una prestazione di garanzia di 2 miliardi di franchi (1,6 miliardi di euro). Il denaro anticipato dalle banche sarà compensato attraverso gli ulteriori pagamenti d'imposta e restituito alle banche;
    la convenzione fiscale tra la Svizzera e il Regno Unito è impostata in maniera analoga a quella con la Germania, parafata il 10 agosto 2011. Le aliquote fiscali per la regolarizzazione del passato sono identiche. Le differenze sono dovute essenzialmente ai diversi regimi tributari e riguardano in particolare l'ammontare delle aliquote fiscali su redditi futuri e le particolarità del diritto procedurale. Il differente importo anticipato dalle banche è in funzione del diverso volume del fatturato;
    la convenzione tra Svizzera e Regno Unito contiene in particolare i seguenti punti:
     a) l'imposta liberatoria per il futuro: l'aliquota concordata è stata fissata tra il 27 e il 48 per cento a seconda della categoria del reddito da capitale. Le aliquote sono leggermente inferiori a quelle consuete marginali britanniche;
     b) in termini numerici le domande di informazioni sono limitate e devono basarsi su motivi plausibili. Il numero delle domande sarà compreso tra qualche centinaio e un massimo di 500 all'anno; successivamente sarà adeguato sulla base dei risultati;
     c) ai fini della tassazione a posteriori delle attuali relazioni bancarie in Svizzera, si applicano le stesse modalità previste dalla convenzione con la Germania;
     d) altri punti: Svizzera e Regno Unito hanno deciso di agevolare agli istituti finanziari l'accesso ai reciproci mercati. Analogamente è stata esclusa la valenza giuridica delle informazioni ottenute con sottrazione di dati. Il pacchetto comprende anche la soluzione della questione di possibili procedimenti penali contro collaboratori delle banche;
    la convenzione contiene norme speciali per i cosiddetti «soggetti non domiciliati nel Regno Unito», vale a dire per le persone che soggiornano in Gran Bretagna senza avere un domicilio durevole;
    per garantire un gettito minimo a titolo di recupero d'imposta e dare corpo alla volontà di attuare la convenzione, le banche svizzere si sono impegnate a fornire una prestazione di garanzia di 500 milioni di franchi;
    la Banca d'Italia ha recentemente pubblicato una ricerca dal titolo emblematico «Alla ricerca dei capitali perduti: una stima delle attività all'estero non dichiarate dagli italiani», dalla quale emerge che i capitali italiani illegalmente esportati all'estero ammontano attualmente tra 124 e 194 miliardi di euro;
    a seguito dei cosiddetti «scudi fiscali» del Governo Berlusconi-Tremonti, due terzi dei rimpatri sono arrivati proprio dalla Svizzera. Se si ipotizza per un momento che tale proporzione valga anche per i capitali stimati ancora all'estero, in Svizzera ve ne sarebbero tra 82 e 130 miliardi di euro. Immaginando solo per un attimo un accordo dell'Italia con la Svizzera come quello fatto dalla Germania, se ne sarebbero ricavati qualche cosa come 9 miliardi di euro secondo una stima del quotidiano Il Sole 24 Ore;
    anche l'Austria, il 13 aprile 2012, ha stipulato un accordo analogo a quelli sottoscritti dalla Germania e dal Regno unito;
    dopo un primo parere contrario, il 17 aprile 2012, il Commissario europeo Semeta ha affermato in conferenza stampa che gli accordi bilaterali stipulati da Germania, Austria e Regno Unito con la Svizzera sono compatibili con il diritto dell'Unione europea;
    secondo quanto sostenuto dal Presidente del Consiglio dei ministri in conferenza stampa il 30 aprile 2012, il Governo sarebbe pronto a «considerare ex novo l'intera materia»;
    nel mese di maggio 2012 è stata anche risolta con le autorità svizzere la controversia relativa al blocco, da parte Svizzera, dei ristorni dei lavoratori frontalieri italiani. In data 8 maggio 2012, la Svizzera ha effettuato l'ordine di pagamento a favore dell'Italia. Sussistono, quindi, ora che questa controversia è stata risolta, i presupposti perché il confronto si sviluppi verso obiettivi ulteriori;
    ad oggi, l'Italia non ha stipulato alcun accordo bilaterale con alcun paradiso fiscale, neppure con San Marino, con il risultato che, mentre sono obbligati a rispondere in modo adeguato agli altri Paesi, tali Stati possono essere molto evasivi con l'Italia,

impegna il Governo:

   ad avviare con la massima urgenza negoziati con le autorità elvetiche in vista della conclusione di un accordo bilaterale analogo a quelli stipulati dalla Gran Bretagna, dalla Germania e dall'Austria, inserendo, altresì, disposizioni contro l'elusione e valutando l'opportunità di inserire una clausola rivolta a tassare non solo il deposito, ma anche il transito di denaro entrato clandestinamente in Svizzera, ed a sottoscrivere accordi bilaterali anche con gli altri «paradisi fiscali», ampliando i meccanismi di informazione relativi ai clienti italiani degli istituti di credito di tali Paesi.
(1-00898)
(Ulteriore nuova formulazione) «Donadi, Borghesi, Evangelisti, Barbato, Messina, Paladini».
(29 febbraio 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    la crisi economica e finanziaria globale che imperversa dal 2008 ha indotto i Governi di svariate nazioni ad adottare misure di salvataggio dei rispettivi sistemi finanziari e ampie misure di sostegno alle loro economie. Nello sforzo di evitare crisi di portata drammatica e di proteggere le proprie popolazioni dalle conseguenze di tali crisi, Governi, Parlamenti e banche centrali hanno dato vita a nuovi meccanismi di regolazione dei mercati finanziari per contrastare, da un lato, le tendenze speculative e, dall'altro, per attivare con più decisione politiche di risanamento del debito pubblico. In particolare, sotto questo profilo, lo sforzo maggiore è stato prodotto dai Paesi dell'area euro dell'Unione europea per contrastare la crisi dovuta in primo luogo dal debito pubblico, con manovre che incidono prima di tutto a livello fiscale. Molti Governi hanno attivato, con grandi decisioni, politiche antievasione e di contrasto alla fuga dei capitali;
    le politiche antievasione avviate dall'Unione europea e da altri Stati hanno spinto numerose piazze finanziarie internazionali ad adeguare gli strumenti di cooperazione tra Paesi per la lotta all'evasione fiscale. La Svizzera, ad esempio, ha ampliato il modello degli accordi sulla doppia imposizione fiscale, integrandolo con l'articolo sull'assistenza amministrativa e lo scambio d'informazioni conforme allo standard dell'Ocse, al fine di contrastare l'evasione fiscale;
    la Germania e il Regno Unito hanno stipulato, nella seconda metà del 2011, una convenzione con la Svizzera sulla tassazione alla fonte delle attività finanziarie detenute da propri cittadini o persone fisiche residenti che hanno investito o depositato i capitali in Svizzera. Con tali convenzioni i contraenti hanno individuato una soluzione per regolarizzare somme di denaro non dichiarate nel passato e per convenire la tassazione dei futuri redditi da capitale. Entrambe le convenzioni sono state integrate e completate a inizio 2012;
    una convenzione analoga, corrispondente in larga misura a quelle firmate con la Germania e il Regno Unito, volta a sanare l'evasione pregressa per le attività finanziarie detenute presso le sedi bancarie svizzere, è stata firmata anche dall'Austria nel mese di aprile 2012;
    tali convenzioni – previa ratifica dei rispettivi Parlamenti – prevedono che i cittadini, che hanno investito o depositato i propri capitali in Svizzera, dovranno pagare ai rispettivi Paesi di appartenenza una tassa liberatoria. Le aliquote del prelievo fissato nella convenzione con la Germania, ovvero l'aliquota fiscale minima e massima per la regolarizzazione del passato, oscillano tra il 21 per cento e il 41 per cento. In base alla clausola della «nazione più favorita» contenuta nel protocollo di modifica stipulato il 20 marzo 2012 tra la Svizzera e il Regno Unito, le aliquote fiscali minime e massime si allineano a quelle della convenzione con la Germania (dal 21 al 41 per cento). Tale modifica non si applica ai soggetti non domiciliati nel Regno Unito in modo durevole («non UK domiciled individual»), per i quali resta l'aliquota del 34 per cento. La convenzione firmata con l'Austria il 13 aprile 2012 fissa, invece, le aliquote tra il 15 e il 38 per cento per il calcolo del pagamento unico forfetario, a seconda della durata della relazione bancaria e del patrimonio, mentre per la tassazione dei futuri redditi da capitale è stabilita un'aliquota unica del 25 per cento, corrispondente alla tassazione austriaca sul reddito;
    tali accordi prevedono che la tassazione sui capitali evasi all'estero non si traduca in una sorta di condono una tantum, ma che diventi un elemento strutturale e permanente; infatti, nel caso in cui i suddetti cittadini decidano di continuare a detenere attività finanziarie presso sedi svizzere, dovranno pagare una tassa sui redditi da capitale pari al 26,3 per cento (i cittadini tedeschi) e pari a un tasso oscillante fra il 27 e il 48 per cento (i cittadini britannici); dunque, a fronte di una prevista sanzione per gli anni pregressi, si procederebbe per gli anni a venire con l'imposizione di una tassazione annuale mediante il conferimento alla Svizzera del ruolo di esattore, quale sostituto d'imposta per conto del Paese contraente l'accordo. Sempre sulla base di tali accordi, la Svizzera otterrebbe il mantenimento del segreto bancario e una serie di facilitazioni per l'accesso delle proprie banche su territorio tedesco e britannico;
    secondo alcune autorevoli stime, la metà dei capitali depositati in Svizzera, pari complessivamente a circa 4.000 miliardi di franchi svizzeri (3.330 miliardi di euro), sarebbe di origine straniera. In particolare, circa 180 miliardi apparterrebbero ad investitori tedeschi, 120 miliardi a investitori italiani e circa 70 miliardi ad investitori britannici;
    secondo uno studio della Banca d'Italia – «Alla ricerca dei capitali perduti: una stima delle attività all'estero non dichiarate dagli italiani» – i capitali italiani esportati all'estero ammontano tra i 124 e i 194 miliardi di euro, mentre, sulla base degli esiti derivanti dai cosiddetti «scudi fiscali» varati dal Governo Berlusconi-Tremonti, si calcola che i due terzi dei rimpatri dei capitali italiani evasi deriverebbero dalla sola Svizzera;
    la complessa materia inerente alla tassazione dei redditi da risparmio e al negoziato con la Svizzera va considerata anche alla luce delle difficili relazioni in materia fiscale tra il nostro Paese e la Confederazione elvetica, contrassegnate da visioni non sempre condivise, da svariate controversie e da decisioni inaccettabili per l'Italia, come il blocco parziale (50 per cento) dei ristorni del prelievo fiscale sulle retribuzioni dei lavoratori transfrontalieri italiani, messo in atto dal Canton Ticino nel 2011, e dalla perdurante decisione dell'Italia di mantenere la Svizzera nelle cosiddette black list;
    la riapertura delle trattative fra Italia e Svizzera per regolare le questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio, e per negoziare una nuova convenzione per evitare le doppie imposizioni fiscali, rappresenta uno snodo sempre più urgente e rilevante, anche in considerazione dell'interscambio esistente fra i due Paesi, che ammonta a ben 29 miliardi di euro, quasi sei volte il l'interscambio dell'Italia con il gigante India, e un saldo notevole di quasi due miliardi di franchi svizzeri a favore del nostro Paese. Attualmente, oltre mezzo milione di connazionali vive stabilmente nella Confederazione, mentre 50 mila cittadini svizzeri vivono in Italia. Inoltre, sono oltre 55 mila i lavoratori frontalieri italiani occupati oltre confine. La Svizzera non è soltanto un mercato del lavoro di grande interesse per lo sbocco occupazionale per tanti italiani, ma anche un considerevole partner per l'Italia sotto il profilo economico e degli investimenti;
    l'annuncio di un prossimo incontro di lavoro tra la Presidente della Confederazione elvetica Eveline Widmer-Schlumpf e il Presidente del Consiglio dei ministri Mario Monti rappresenta, dunque, un passo importante per la ripresa del dialogo sulle questioni fiscali tra la Svizzera e il nostro Paese, e dà finalmente un seguito positivo alla richiesta formulata nella mozione Narducci ed altri 1-00631, approvata all'unanimità dalla Camera dei deputati poco meno di un anno fa, il 7 giugno 2011;
    l'annuncio congiunto, dato dal Governo italiano e svizzero di voler riaprire il dialogo e di avviare il negoziato per pervenire a una costruttiva convergenza sulle questioni fiscali, ha prodotto immediatamente un risultato importante, cioè lo sblocco della vertenza che per due anni ha alimentato forti tensioni fra il Canton Ticino e le regioni italiane confinanti: la Svizzera ha confermato lo sblocco dei ristorni fiscali con il pagamento effettuato dal Cantone Ticino a favore dell'Italia;
    per quanto attiene alla regolazione della materia fiscale nell'area dell'Unione europea, rileva la direttiva n. 2003/48/CE in materia di tassazione dei redditi da risparmio, attualmente in vigore relativamente ai rapporti dell'Unione europea stessa con i Paesi terzi, in particolare con la Svizzera. La Commissione europea, in esito al monitoraggio sull'applicazione della citata direttiva e dell'accordo con la Svizzera, ne ha evidenziato l'agevole elusione da parte dalle persone fisiche, che hanno la possibilità di evitare il prelievo del 35 per cento, avvalendosi dell'interposizione di società, trust o altri istituti giuridici simili. Ciò è dimostrato anche dai dati relativi all'ammontare delle imposte riscosse dalla Confederazione elvetica a carico di soggetti residenti nell'Unione europea, che sono state pari a 535 milioni di franchi nel 2009 e a soli 432 milioni di franchi nel 2010, di cui 57 milioni di franchi trasferiti all'Italia;
    è da valutare positivamente la proposta di revisione della direttiva n. 2003/48/CE presentata dalla Commissione europea il 13 novembre 2008 (COM(2008)727), volta a rafforzare e ad estenderne l'ambito di applicazione, al fine di includervi non solo i pagamenti di interessi, ma anche tutti i redditi da risparmio, nonché i prodotti che generano interessi o redditi equivalenti, e a rinegoziare gli accordi con i Paesi terzi, in particolare con la Svizzera;
    la revisione della citata direttiva europea è, tuttavia, un obiettivo difficile da raggiungere entro il termine previsto del 31 dicembre 2012. Ne è conferma il recente mancato accordo all'Ecofin sul conferimento del mandato alla Commissione europea a negoziare la tassazione del risparmio in Paesi terzi. L'intesa – che avrebbe dovuto far partire il negoziato dell'Unione Europea per rafforzare gli strumenti atti a combattere l'evasione fiscale a livello comunitario e a inibire gli accordi fiscali stipulati con la Svizzera su base bilaterale – non è stata raggiunta per la mancanza di consenso unanime dei 27 Paesi membri;
    nonostante il parere contrario sulla prima formulazione delle convenzioni stipulate bilateralmente dalla Svizzera con Germania, Regno Unito e Austria, il 17 aprile 2012 il Commissario europeo per la fiscalità e l'unione doganale Algirdas Semeta ha rilasciato un'importante dichiarazione, affermando che la versione riformulata delle convenzioni bilaterali summenzionate è compatibile con il diritto dell'Unione europea e, quindi, esse sono euro-conformi;
    secondo quanto sostenuto dal Presidente del Consiglio dei ministri Monti, in conferenza stampa il 30 aprile 2012, il Governo sarebbe pronto a «considerare ex novo l'intera materia»;
    l'applicazione in Italia di una convenzione simile a quella già stipulata dalla Svizzera con altri Paesi europei potrebbe assicurare, a breve e medio termine, il reperimento di significative risorse e costituirebbe un passo fondamentale nella direzione della lotta all'evasione fiscale,

impegna il Governo:

   a sostenere un approccio europeo alla lotta all'evasione fiscale, approntando strumenti più efficaci per fronteggiare il fenomeno e garantire la giustizia fiscale del risparmio, in particolare esercitando un'adeguata e pressante azione politico-diplomatica volta a rimuovere il dissenso di alcuni membri sulla proposta di revisione della direttiva 2003/48/CE sulla tassazione del risparmio;
   ad avviare i negoziati tra l'Italia e la Svizzera al fine di concludere una convenzione bilaterale che regolamenti transitoriamente la questione dell'imposizione fiscale dei capitali italiani depositati presso aziende di credito in Svizzera, nel caso non si consideri raggiungibile in tempi certi un accordo sulla revisione della direttiva comunitaria attualmente bloccata dal veto di alcuni Paesi membri, e prevedendo in ogni caso nell'accordo l'applicazione di aliquote fiscali significativamente comparabili con quelle vigenti in Italia e secondo il modello ritenuto compatibile con il diritto comunitario, alla luce della recente posizione assunta dal Commissario europeo per la fiscalità e l'unione doganale;
   a sostenere, nell'ambito dei negoziati fra Italia e Svizzera in materia di tassazione dei redditi da risparmio, la necessità di pervenire ad una nuova convenzione volta ad evitare la doppia imposizione fiscale sui redditi e sulle sostanze, a tutela dei lavoratori italiani transfrontalieri.
(1-01037)
(Nuova formulazione) «Narducci, Gozi, Tempestini, Boccia, Gianni Farina, Vannucci, Maran, Farinone, Garavini, Giachetti, Losacco, Lucà, Luongo, Merloni, Pompili, Barbi, Colombo, Corsini, Fedi, Pistelli, Porta, Touadi, Marantelli, Codurelli».
(17 maggio 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    la direttiva 2003/48/CE, in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi, entrata in vigore il 1o luglio del 2005, nasce dall'esigenza di contrastare la concorrenza fiscale e assicurare che i pagamenti di interessi effettuati nell'Unione europea, in favore di persone fisiche che hanno la residenza fiscale in uno Stato membro diverso da quello in cui sono pagati gli interessi stessi, siano soggetti a un'imposizione effettiva secondo la legislazione nazionale del loro Stato membro di residenza;
    al fine di evitare distorsioni nei movimenti di capitali tra Stati membri, incompatibili con il mercato interno, la direttiva introduce un sistema di scambio di informazioni nominative tra le amministrazioni finanziarie degli Stati dell'Unione europea. Solo in via transitoria alcuni di questi (Austria, Belgio e Lussemburgo), caratterizzati da rigide disposizioni in materia di segreto bancario, in luogo dello scambio di informazioni, applicheranno una ritenuta alla fonte nel caso in cui corrispondano pagamenti di interessi direttamente a persone fisiche residenti in un altro Stato membro. Misure equivalenti a quelle previste dalla direttiva dovranno essere applicate anche dai cosiddetti Paesi terzi (Andorra, Liechtenstein, Monaco, San Marino e Svizzera), nonché da parte dei territori dipendenti o associati degli Stati membri;
    la Commissione europea il 13 novembre 2008 ha voluto modificare tale direttiva, ampliando l'ambito di applicazione anche a tutti i redditi da risparmio e i prodotti che generano interessi o redditi equivalenti, e soprattutto ha inteso rinegoziare gli accordi con i Paesi terzi, in particolare con la Svizzera;
    la Svizzera ha proposto alla Germania e all'Inghilterra degli accordi bilaterali, cosiddetti accordi di Rubik, concernenti l'imposizione sui redditi finanziari prodotti dai patrimoni dei cittadini di tali Paesi, che disciplinano la tassazione a cui sono assoggettati gli interessi da risparmio percepiti dai cittadini tedeschi e britannici e corrisposti dagli istituti di credito svizzeri; essi comprendono misure dirette a garantire l'imposizione in conformità alla legislazione dello Stato di residenza del beneficiario;
    una convenzione analoga, volta a sanare l'evasione pregressa per le attività finanziarie detenute presso le sedi bancarie svizzere, è stata firmata anche dall'Austria nel mese di aprile 2012;
    tali accordi prevedono che gli intermediari svizzeri effettuino direttamente un prelievo di un'imposta liberatoria, quantificata tra il 15 ed il 41 per cento, calcolata in funzione del capitale alla fine dell'anno di apertura del rapporto. Tale imposta copre le imposte evase, sia nello Stato Svizzero che nello Stato di residenza, e le dovute sanzioni amministrative o penali. Quest'applicazione di imposta non è facoltativa e, qualora il contribuente non acconsenta ad essere assoggettato all'imposta, determinerà la comunicazione dei nominativi degli intestatari dei rapporti di conto corrente ai vari Stati di residenza;
     il Commissario europeo per la fiscalità e l'unione doganale, il lituano Algirdas Semeta, il 17 aprile 2012, dopo aver concluso una specifica indagine sulla compatibilità con la normativa comunitaria di questi due patti, ha ritenuto gli accordi sottoscritti dalla Svizzera con Germania, Regno Unito e Austria conformi al diritto comunitario;
    il Presidente del Consiglio dei ministri recentemente ha dichiarato di voler riaprire il dialogo con la Svizzera relativamente ad un modello di convenzione fiscale per regolarizzare i capitali illecitamente detenuti in territorio elvetico da contribuenti italiani e introdurre un'imposta alla fonte sui futuri redditi da capitale; a tale scopo il giorno 11 maggio 2012 si è incontrato con la Presidente della Confederazione elvetica;
    il Consiglio dei Ministri dell'economia e delle finanze dell'Unione europea (Ecofin) si è riunito il 15 maggio 2012 per discutere, tra l'altro, della possibilità di raggiungere un accordo tra l'Unione europea e la Svizzera sulla tassazione del risparmio: in particolare, i Ministri hanno discusso della concessione alla Commissione europea di una delega per negoziare un eventuale accordo con Paesi terzi e, quindi, anche con la Confederazione elvetica;
    l'obiettivo dell'Ecofin era di attribuire alla Commissione europea il mandato per negoziare accordi più stringenti con la Svizzera e altri «paradisi fiscali» come San Marino, Montecarlo, Liechtenstein e Andorra sugli evasori di tasse europei che portano capitali all'estero: l'obbiettivo dell'Unione europea era quello di allineare il più possibile i cinque citati Paesi alle regole comunitarie in materia di tassazione dei capitali di cittadini non residenti;
    tali trattative non sono andate a buon fine per l'opposizione di Lussemburgo e Austria, che sono contrari al negoziato,

impegna il Governo:

   a intraprendere le opportune e necessarie iniziative presso le competenti autorità dell'Unione europea, per giungere ad un'equa giustizia fiscale, che supporti la lotta all'evasione fiscale nei singoli Paesi;
   a promuovere la sottoscrizione di un accordo bilaterale Italia-Svizzera che regoli i rapporti fra i due Stati sui temi fiscali in base a quanto concordato tra la Svizzera e altri Stati dell'Unione europea.
(1-01039)
«Miccichè, Misiti, Fallica, Grimaldi, Iapicca, Pittelli, Pugliese, Soglia, Stagno d'Alcontres, Terranova».
(21 maggio 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    a partire dal 2008 sono emersi in modo drammatico gli elementi di fragilità e ingovernabilità dei sistemi finanziari ed è diventata volontà diffusa quella di fare ogni sforzo per rendere più trasparenti i mercati dei servizi bancari e finanziari a livello globale; accanto a questa volontà, tutti gli Stati europei si sono mossi in maniera decisa per ridurre il proprio deficit ed il proprio debito, mettendo in campo misure severe, con imponenti tagli di spesa, che stanno sfociando, in alcuni casi, in vere e proprie crisi sociali, con conseguenze drammatiche anche in termini di perdita di vite umane;
    nell'ambito delle politiche «antievasione» dei Paesi dell'Unione europea, notevoli sono gli sforzi per scovare i capitali detenuti in altri Paesi che sfuggono ad imposizione: Germania e Regno Unito hanno stipulato nel 2011 una convenzione con la Svizzera sulla tassazione alla fonte delle attività finanziarie detenute da propri cittadini o persone fisiche residenti che hanno investito o depositato i capitali in Svizzera; scopo delle convenzioni è regolarizzare le somme di denaro non dichiarate nel passato e convenire la tassazione dei futuri redditi da capitale;
    la convenzione Germania-Svizzera stabilisce che sui futuri redditi e utili da valori patrimoniali sarà riscossa un'imposta con effetto liberatorio, mentre per i valori patrimoniali non tassati collocati in Svizzera da contribuenti tedeschi si procederà ad un'imposizione a posteriori;
    è prevista, quindi, l'introduzione di un'imposta liberatoria per i redditi da capitali di contribuenti tedeschi in Svizzera, con un'aliquota che corrisponde a quella applicata in Germania, ovvero del 25 per cento, con un ulteriore 5,5 per cento sull'imposta riscossa, in modo da garantire che i redditi da capitali vengano tassati in modo identico in Svizzera e in Germania e che, quindi, non sussistano più distorsioni della concorrenza, dovute al diverso trattamento fiscale, tra il mercato finanziario tedesco e quello svizzero;
    per i redditi conseguiti nel passato è possibile procedere ad un recupero d'imposta forfettario e anonimo sotto forma di pagamento unico a favore del fisco tedesco, con un'aliquota che varia tra il 19 ed il 34 per cento; il contribuente tedesco può optare, in luogo dell'imposizione forfettaria per il passato, per la comunicazione alle autorità fiscali tedesche dei dati necessari ai fini di una tassazione individuale;
    per il futuro è prevista, inoltre, l'introduzione di un meccanismo di garanzia, per cui vige per le autorità svizzere un obbligo di informazione che va al di là dell'attuale standard minimo Ocse e vige il divieto, per entrambe le parti, del cosiddetto fishing expedition, cioè della ricerca generalizzata ed indiscriminata di informazioni;
    sugli stessi principi si basa la convenzione fiscale tra Svizzera e Regno Unito: l'imposta liberatoria per il futuro prevede un'aliquota tra il 27 e il 48 per cento, a seconda della categoria del reddito da capitale; anche in questo caso vale il divieto del fishing expedition, con un numero massimo di domande all'anno; ai fini della tassazione a posteriori delle attuali relazioni bancarie in Svizzera, vengono applicate le medesime modalità previste dalla convenzione con la Germania;
    attraverso queste convenzioni, comunque, vengono garantite sia la tutela della sfera privata dei clienti bancari, sia la garanzia della riscossione delle imposte sui capitali da parte degli Stati di residenza;
    dopo Germania e Regno Unito, anche l'Austria, nel 2012, ha stipulato un accordo analogo con la Svizzera;
    dopo un primo parere contrario che aveva frenato il Governo italiano nell'avviare concrete trattative con le autorità svizzere, poche settimane fa, il Commissario europeo Semeta ha affermato in conferenza stampa che gli accordi bilaterali stipulati da Germania, Regno Unito ed Austria con la Svizzera sono compatibili con il diritto dell'Unione europea;
    le stime sull'ammontare di capitali esteri in Svizzera parlano di circa 1.500 miliardi di euro complessivi, di cui 180 provenienti dalla Germania, 70 dal Regno Unito e 120 dall'Italia;
    si ritiene ormai improcrastinabile la riapertura del dialogo e delle trattative fra Italia e Svizzera per regolare le questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio, aggiornando la convenzione in essere ormai datata; i rapporti tra i due Stati sono, infatti, al di là dei rapporti ufficiali, strettissimi: la lingua, la storia, i costumi, le radici culturali hanno accomunato nei secoli gli abitanti del Canton Ticino e del Canton Grigioni con quelli delle province del Verbano Cusio Ossola, di Como, di Varese e di Sondrio, generando un'area omogenea che travalica i confini amministrativi tra Svizzera ed Italia; oggi sono più di 50.000 i lavoratori italiani che ogni giorno si recano in Svizzera per svolgere la propria attività lavorativa, partendo dai comuni di frontiera della Lombardia e del Piemonte, apportando un contributo indispensabile all'economia elvetica; si sottolinea, in particolare, come negli ultimi due anni di crisi internazionale questo trend sia cresciuto di almeno 2.000 unità, segno che l'apporto delle professionalità italiane, spesso di alto livello di specializzazione, è sostanziale per il dinamismo dell'economia svizzera;
    oggi la Confederazione ha un prodotto interno lordo pro capite tra i più alti d'Europa e un'economia fiorente e solida, è Paese membro degli accordi di Schengen sulla libera circolazione ed è allineata alla normativa comunitaria in base agli accordi bilaterali con l'Unione europea e merita sicuramente di essere definitivamente esclusa dalla cosiddetta black list, in relazione al concreto rispetto delle regole sulla trasparenza finanziaria; in relazione a questo punto la Camera dei deputati, in data 7 giugno 2011, ha specificatamente impegnato il Governo pro tempore in sede di approvazione delle mozioni sulle iniziative concernenti i rapporti tra Italia e Svizzera, con particolare riferimento alle doppie imposizioni e ad altre questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio;
    nelle ultime settimane, indubbiamente, i segnali di un riavvicinamento delle parti, dopo le tensioni degli ultimi anni, sono incoraggianti: il blocco dei ristorni ai comuni italiani di confine, quale compensazione delle spese sostenute dai comuni italiani in relazione alla residenza dei frontalieri sul loro territorio, si è risolto anche per l'impegno diretto degli esponenti della Lega Nord sia in Parlamento, sia nei territori di confine lombardi; il 9 maggio 2012 il consigliere diplomatico del Ministro dell'economia e delle finanze italiano, Carlo Baldocci, e il segretario di Stato del Dipartimento federale delle finanze svizzero, Michael Ambühl, capo della Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali, si sono incontrati, manifestando esplicitamente la volontà di affrontare tutte le problematiche aperte tra i due Stati, programmando la partenza di un tavolo di lavoro che già si riunirà il 24 maggio 2012;
    indubbiamente l'accordo dovrà affrontare anche la revisione degli accordi esistenti, in particolare sul meccanismo di pagamento dei ristorni, che oggi sono versati dalla Svizzera allo Stato italiano e, successivamente, riversati ai comuni di confine: trattandosi di trasferimenti a destinazione specifica è giusto, anche in ottica federalista, che siano versati direttamente dal fisco elvetico ai nostri enti locali, eliminando un passaggio che oggi comporta ritardi e conseguenti crisi di liquidità per le casse comunali,

impegna il Governo:

   ad adoperarsi attraverso ulteriori iniziative, presso le competenti sedi internazionali, affinché la Svizzera possa essere definitivamente esclusa dalla cosiddetta black list, in relazione al concreto rispetto delle regole sulla trasparenza finanziaria, e ad adottare tutte le iniziative utili per garantire l'effettiva reciprocità nei rapporti Italia-Svizzera, in modo da sostenere le imprese italiane che intrattengono rapporti economici e commerciali con la Svizzera stessa;
   a proseguire i negoziati tra Italia e Svizzera, appena iniziati, al fine di stipulare in tempi rapidi una convenzione bilaterale secondo gli stessi principi di quelle concluse dalla Confederazione elvetica con la Germania, il Regno Unito e l'Austria, dal momento che anche il Commissario europeo per la fiscalità e l'unione doganale ha dichiarato la piena compatibilità di tali accordi con il diritto comunitario;
   ad assumere iniziative normative per modificare le modalità di versamento dei ristorni fiscali, in modo che essi siano versati dal fisco svizzero direttamente ai comuni italiani di confine, evitando il passaggio dalla tesoreria statale, inutile e foriero di ritardi insostenibili per le casse degli enti locali.
(1-01040)
«Crosio, Dozzo, Nicola Molteni, Rivolta».
(21 maggio 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    secondo stime ufficiose, sia internazionali che elvetiche, la Confederazione elvetica gestisce patrimoni per circa 4 mila miliardi di franchi svizzeri, di cui la metà di origine estera. Più del 50 per cento dei capitali esteri sarebbe legato a investitori istituzionali, mentre il resto è riconducibile a investitori privati e si stima che una parte significativa di quest'ultima area sia «non fiscalizzata»;
    sempre secondo stime ufficiose, i patrimoni italiani non fiscalizzati attualmente ammonterebbero a circa 130/150 miliardi di euro;
    la possibilità di un accordo con la Svizzera, analogo a quello firmato nel 2011 da Germania e Regno Unito, alimenta in Italia un intenso dibattito;
    per i due Paesi suddetti, in cambio del mantenimento del segreto bancario, le banche svizzere applicheranno sui capitali dei cittadini tedeschi e britannici un prelievo una tantum sullo stock del capitale e una ritenuta annuale sui rendimenti;
    i clienti potranno sottrarsi al prelievo una tantum sullo stock del capitale con la comunicazione dei propri dati all'amministrazione finanziaria di residenza;
    la novità della Confederazione elvetica è far emergere il denaro non dichiarato attraverso l'introduzione di un'imposta liberatoria e ulteriori misure destinate a incoraggiare l'onestà fiscale dei clienti delle banche e a ridurre in tal modo i rischi legali;
    il tema della percorribilità di un'iniziativa analoga a quella tracciata con gli accordi di Germania e Regno Unito è ora all'attenzione dell'attuale Governo, per un più approfondito esame. E sono all'attenzione della Commissione europea i profili di compatibilità con la «direttiva risparmio» 2003/48/CE;
    la «direttiva risparmio» parte dal presupposto (comune ai recenti accordi) che i redditi di capitale vadano tassati in modo adeguato anche se realizzati fuori dello Stato di residenza; ma, a differenza di essi, la direttiva ha un perimetro di applicazione molto più limitato, quanto all'ambito di applicazione oggettivo e soggettivo: riguarda, infatti, solo gli interessi direttamente destinati a persone fisiche residenti in un altro Stato membro;
    l'altra rilevante differenza è costituita dallo scambio automatico di informazioni tra gli Stati membri interessati, che la direttiva individua come lo strumento principale attraverso cui ottenere il suo principale obiettivo, ossia la tassazione degli interessi transfrontalieri nel Paese di residenza,

impegna il Governo:

   ad intraprendere le necessarie iniziative con la Confederazione elvetica al fine di stipulare un accordo bilaterale analogo a quello stipulato dalla Germania;
    a favorire accordi bilaterali anche con i Paesi definiti «paradisi fiscali», ampliando i meccanismi di informazione relativi ai clienti italiani degli istituti di credito di tali Paesi.
(1-01041)
«Bernardo, Ventucci, Ravetto, Berardi, Del Tenno, Laboccetta, Leo, Misuraca, Pagano, Antonio Pepe, Savino».
(21 maggio 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    i Governi dei principali Paesi occidentali hanno attivato politiche contro l'evasione fiscale e contro la fuga di capitali all'estero;
    dal 2013 in Usa entrerà in vigore il Fatca (Foreign Account Tax Compliance Act), atto in base al quale ogni banca che gestisce capitali statunitensi o che opera con il mercato statunitense dovrà inviare all'autorità Usa le informative su questi clienti o, in alternativa, pagare una tassa del 30 per cento su queste transazioni;
    nel 2011 la Germania e il Regno Unito hanno firmato una convenzione con la Svizzera, in base alla quale coloro che hanno depositato capitali non dichiarati dovranno pagare una tassa liberatoria ai loro Paesi di origine per mantenere l'anonimato e la Svizzera si farà garante come sostituto d'imposta;
    tali convenzioni non prevedono solamente una tassa liberatoria, ma anche una forma di tassazione permanente sulla redditività annuale di tali capitali;
    le aliquote previste da tali accordi variano a seconda del regime fiscale di Germania e Regno Unito, comunque oscillanti tra il 20 e il 48 per cento;
    nel 2012 anche l'Austria ha firmato un accordo analogo con la Svizzera;
    le stime dei capitali italiani all'estero arrivano sino a oltre 190 miliardi di euro (studio di Banca d'Italia sui capitali perduti) e, in base ai rilievi dei capitali scudati durante il Governo Berlusconi, si evince che i due terzi arrivano dalla Svizzera;
    diventa, quindi, di vitale importanza riaprire un dialogo con il Governo elvetico, al fine di normare questo «fenomeno», anche perché i due Paesi hanno rapporti commerciali e lavorativi in essere importanti;
    sono oltre 50.000 i cittadini svizzeri che vivono in Italia e circa 55.000 i lavoratori italiani transfrontalieri;
    il 17 aprile 2012 il Commissario europeo per la fiscalità e l'unione doganale, Algirdas Semeta, ha dichiarato che le convenzioni stipulate da Germania e Regno Unito sono compatibili con il diritto dell'Unione europea;
    il 30 aprile 2012 il Presidente del Consiglio dei ministri Monti ha dichiarato di essere pronto a rivedere l'intera materia;
    tale convenzione, oltre a normare un'importante materia, porterebbe alle casse dello Stato, nel medio periodo, un significativo gettito, utilizzabile per lo sviluppo dell'economia,

impegna il Governo:

   ad attivare i negoziati tra Italia e Svizzera al fine di definire una convenzione sulla traccia di quelle firmate da Germania e Regno Unito, al fine di garantire la giustizia fiscale e la lotta all'evasione fiscale.
(1-01043)
«Moffa, Marmo, Razzi, Calearo Ciman, Catone, Cesario, D'Anna, Gianni, Lehner, Milo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini, Stasi, Taddei».
(21 maggio 2012)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   DI PIETRO, DI GIUSEPPE e PALAGIANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nonostante la sua gestione fallimentare in merito al bilancio sanitario della regione Molise e all'altrettanto fallimentare attuazione del conseguente piano di rientro, il presidente della regione, Michele Iorio, continua a ricoprire l'incarico di commissario ad acta per la gestione del sistema sanitario locale;
   lo stesso tavolo tecnico del 3 aprile 2012, che doveva verificare gli adempimenti previsti nel piano di rientro dal disavanzo sanitario per la regione Molise, ha confermato le fortissime criticità nell'attuazione del piano di rientro regionale e nei conseguenti programmi operativi;
   i risultati a cui è giunto il suddetto tavolo tecnico sulla sanità molisana sono stati, peraltro, confermati il 18 aprile 2012 alla Camera dei deputati dal Ministro interrogato nel corso di una risposta a una precedente – l'ennesima – interrogazione a risposta immediata presentata dal primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo;
   nella risposta alla suddetta interrogazione, il Ministro interrogato aveva, tra l'altro, evidenziato che, in conseguenza dell'accertata gestione fallimentare del commissario ad acta Iorio, il Governo avrebbe preso le decisioni conseguenti, aggiungendo: «Cosa manca per poter prendere queste decisioni? Abbiamo un verbale della riunione del 3 aprile, ma attendo la relazione e la conseguente proposta della Ragioneria generale dello Stato – si tratta del tavolo tecnico per gli adempimenti – e in forza e a seguito di questa relazione proporrò, per la parte di mia competenza, perché sono coproponente in Consiglio dei ministri, le conseguenti decisioni»;
   a rendere ancora più inconciliabile il ruolo del presidente Iorio quale commissario ad acta è intervenuta la sentenza del tribunale amministrativo regionale del Molise che il 17 maggio 2012, che ha annullato il risultato delle elezioni regionali del 2011 nelle quali è stato eletto il presidente della regione Molise, in conseguenza di presunte illegittimità o irregolarità che si sarebbero verificate nella fase di ammissione di alcune liste e di alcuni candidati e nelle fasi successive dello scrutinio e della compilazione dei verbali;
   si ricorda, peraltro, che, alla luce delle attribuzioni assegnate ai commissari ad acta, il presidente Iorio ha in corso l'adozione del piano sanitario 2012-2014, ossia la pianificazione delle scelte strategiche di riassetto della sanità regionale per il prossimo triennio, proprio in virtù del suo ruolo istituzionale, anche se la sentenza del tribunale amministrativo regionale ha messo in discussione le stesse elezioni regionali e, conseguentemente, lo stesso incarico del presidente della regione;
   la recente sentenza del tribunale amministrativo regionale non fa altro che indebolire ulteriormente il ruolo istituzionale del presidente Iorio, già alle prese con procedimenti giudiziari. Va ricordata in tal senso la condanna del 22 febbraio 2012 in primo grado – con pena sospesa – dal tribunale di Campobasso ad un anno e sei mesi di reclusione per abuso d'ufficio e all'interdizione dai pubblici uffici per il medesimo periodo, nell'ambito dell'inchiesta «Bain and co.», società dove lavora Davide Iorio, figlio del presidente della regione Molise, cui sono state illegittimamente affidate due consulenze; nonché l'avviso di garanzia notificato sempre al presidente della regione dalla procura di Campobasso, in merito alla ricostruzione post terremoto del 2002, in quanto indagato per abuso d'ufficio e indebita percezione di soldi ai danni dello Stato, in merito ai fatti avvenuti tra il 2003 e il 2011. Complessivamente il presidente Iorio risulta indagato in oltre otto inchieste da parte della procura di Campobasso;
   inoltre, le imprese che vantano crediti dalla regione Molise rischiano fortemente di dover pagare le colpe e la cattiva gestione del presidente Iorio. L'atteso decreto ministeriale sulla compensazione dei crediti delle imprese nei confronti della pubblica amministrazione dovrebbe, infatti, prevedere che questa misura di compensazione tra debiti e crediti non si attui in quelle regioni che sono sottoposte a piani di rientro dai deficit sanitari o che siano state commissariate. Una discriminazione assurda che, se confermata, penalizzerebbe le imprese molisane e quelle che vantano crediti dalla regione –:
    se il Governo non intenda rimuovere il presidente della regione Molise dal suo incarico di commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro del disavanzo sanitario, alla luce dei risultati del tavolo tecnico del 3 aprile 2012, e se – alla luce della recente sentenza del tribunale amministrativo regionale – il piano sanitario regionale 2012-2014 in corso di adozione possa essere adottato dal presidente della regione Molise nelle sue vesti di commissario ad acta, in difetto di legittimità istituzionale. (3-02295)
(29 maggio 2012)

   SAGLIA, BALDELLI e LAZZARI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Governo è tenuto ad adempiere ad impegni presi in sede europea sul «programma 20-20-20» sulle riduzioni delle emissioni inquinanti, sull'incremento dell'energia elettrica da fonti rinnovabili e sull'efficienza energetica –:
   quando il Governo intenda procedere all'emanazione dei decreti attuativi del decreto legislativo n. 28 del 2011 per la promozione di fonti energetiche rinnovabili. (3-02296)
(29 maggio 2012)

   DOZZO, BOSSI, LUSSANA, FOGLIATO, MONTAGNOLI, FEDRIGA, FUGATTI, ALESSANDRI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CAVALLOTTO, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, D'AMICO, DAL LAGO, DESIDERATI, DI VIZIA, DUSSIN, FABI, FAVA, FOLLEGOT, FORCOLIN, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, ISIDORI, LANZARIN, MAGGIONI, MARONI, MARTINI, MERONI, MOLGORA, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, POLLEDRI, RAINIERI, REGUZZONI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il fenomeno dei «matrimoni di comodo» contratti da stranieri extracomunitari con un cittadino italiano, al solo fine di «regolarizzare» la posizione di clandestinità o di agevolare l'acquisto della cittadinanza italiana, ha avuto una significativa diffusione nel nostro Paese, come risulta anche da ricorrenti notizie di cronaca;
   il Governo Berlusconi aveva adottato, su iniziativa del Ministro pro tempore Maroni, una serie di misure, in particolare contenute nella legge n. 94 del 2009, dirette a contrastare questa pratica, elusiva delle norme vigenti in materia di soggiorno degli stranieri;
   prima della modifica legislativa, intervenuta con la citata legge n. 94 del 2009, ai sensi della previgente formulazione dell'articolo 116 del codice civile, lo straniero, intenzionato a contrarre matrimonio in Italia, doveva presentare all'ufficiale dello stato civile solo un nulla osta rilasciato dall'autorità competente del proprio Paese;
   oltre al predetto requisito formale, sul piano sostanziale il nubendo doveva rispettare le condizioni previste dalla normativa italiana riguardanti la capacità di contrarre matrimonio (tra l'altro, libertà di stato ed età minima) e l'assenza di situazioni personali ostative (ad esempio, impedimenti per parentela ed affinità);
   con la citata legge n. 94 del 2009 era stato modificato l'articolo 116, primo comma, del codice civile, sicché la nuova norma stabiliva che «lo straniero che vuole contrarre matrimonio nella Repubblica deve presentare all'ufficiale dello stato civile», oltre al nulla osta, di cui sopra, «un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano»;
   la legge n. 94 del 2009, al fine di ridurre il fenomeno dei cosiddetti matrimoni di comodo, aveva, altresì, modificato l'articolo 5 della legge n. 91 del 1992, in materia di acquisto della cittadinanza italiana, prevedendo un ampliamento del periodo di convivenza post matrimonio, necessario per l'acquisto della cittadinanza da parte del coniuge straniero;
   in particolare, al comma 1 dell'articolo 5 della citata legge si prevede che «il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano può acquistare la cittadinanza italiana quando, dopo il matrimonio, risieda legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica, oppure dopo tre anni dalla data del matrimonio se residente all'estero, qualora», al momento dell'adozione del decreto di acquisto della cittadinanza, «non sia intervenuto lo scioglimento, l'annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio e non sussista la separazione personale dei coniugi»; al successivo comma 2 si stabilisce che i termini sono, peraltro, «ridotti della metà in presenza di figli nati o adottati dai coniugi»;
   per effetto di queste importanti innovazioni legislative si era posto un freno ai matrimoni contratti per finalità estranee a questo istituto e dirette ad aggirare la normativa in materia di immigrazione, dotando, in particolare, i sindaci di uno strumento efficace per non procedere alle pubblicazioni di matrimonio, allorché il nubendo straniero era privo di un titolo di soggiorno;
   la Corte costituzionale, con la sentenza n. 245 del 25 luglio 2011, ha, tuttavia, dichiarato l'incostituzionalità dell'articolo 116, primo comma, del codice civile, come modificato dall'articolo 1, comma 15, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), limitatamente alle parole «nonché un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano»;
   le ragioni di tale declaratoria di incostituzionalità risiedono nel contrasto della disposizione in esame con il godimento di diritti fondamentali, tra i quali, afferma la Corte costituzionale, «certamente rientra quello di contrarre matrimonio, discendente dagli articoli 2 e 29 della Costituzione, ed espressamente enunciato nell'articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 e nell'articolo 12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali»;
   l'effetto pratico di questa pronuncia è stato quello di privare i sindaci di un'effettiva possibilità di ostacolare la celebrazione di matrimoni di comodo, quando sia nota la condizione di clandestinità del nubendo e sia evidente la finalità strumentale del matrimonio rispetto all'obbiettivo della regolarizzazione;
   il sindaco che volesse ostacolare la conclusione di un matrimonio simulato si dovrebbe, perciò, impegnare in accertamenti che non gli competono, dai quali risultava esonerato dalla precedente disposizione che legava la possibilità di contrarre matrimonio ad un requisito oggettivo e documentale, quale l'attestazione della regolarità del soggiorno –:
   quali iniziative normative si intendano assumere per pervenire, rispetto alla situazione illustrata in premessa e tenendo conto di quanto enunciato dalla Corte costituzionale, ad un bilanciamento degli interessi che contemperi il rispetto dei diritti fondamentali con il contrasto alla celebrazione dei matrimoni di comodo.
(3-02297)
(29 maggio 2012)

   PROIETTI COSIMI e TOTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con la riforma del codice della strada, introdotta con la legge 29 luglio 2010, n. 120 (Disposizioni in materia di sicurezza stradale), è stata modificata la normativa in materia di dispositivi per il rilevamento a distanza delle violazioni;
   il comma 2 dell'articolo 25, infatti, nel rinviare all'emanazione di un apposito decreto interministeriale la definizione delle modalità di collocazione e uso dei dispositivi o mezzi tecnici di controllo, finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni delle norme di comportamento di cui all'articolo 142 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, ha stabilito che «fuori dei centri abitati non possono comunque essere utilizzati o installati ad una distanza inferiore ad un chilometro dal segnale che impone il limite di velocità»;
   successivamente il Ministero dell'interno - dipartimento pubblica sicurezza, con la circolare del 29 dicembre 2010, ha fornito ulteriori precisazioni sulle nuove norme, stabilendo espressamente che «nel caso in cui, lungo il tratto oggetto del controllo, siano presenti intersezioni stradali che, ai sensi dell'articolo 104 del regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada, impongono la ripetizione del segnale stradale stesso, la predetta distanza deve essere calcolata dal segnale con il quale viene ripetuto il limite di velocità dopo l'intersezione»;
   il 13 marzo 2012 il primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo presentava un'interrogazione a risposta in Commissione (la n. 5-06380) in merito al mancato annullamento, da parte del prefetto di Roma, dei decreti che autorizzano, nel comune di Arsoli (Roma), l'installazione e l'uso di autovelox, in difformità dalla legge n. 120 del 2010;
   la risposta data dal Sottosegretario di Stato per l'interno, Carlo De Stefano, che interveniva nella seduta della IX Commissione (trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei deputati del 17 aprile 2012, in sostituzione del Ministro dell'interno, come già il primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo ha avuto modo di ribadire, replicando in quella sede, non è stata pienamente soddisfacente;
   ad avviso degli interroganti, infatti, essa, innanzitutto, fornisce elementi poco chiari e certi, come si evince, in particolare, dal tenore letterale delle espressioni utilizzate («sembrerebbe che il rilevamento delle violazioni (...); questa circostanza porterebbe a non ritenere applicabile; sembra di poter escludere»), che mettono in evidenza una serie di dubbi riguardo all'intera vicenda denunciata sicuramente non giustificabili;
   al fine, poi, di legittimare la sostanziale disapplicazione, nel caso di specie, delle disposizioni in materia, si finisce col dare una ricostruzione «normativa», che, per certi aspetti, non corrisponde all'effettiva ratio delle norme in materia;
   occorre precisare, infatti, che il citato articolo 25, nel fissare l'obbligo di rispettare la distanza minima di un chilometro, esplicitamente non fa alcuna distinzione in merito alle modalità mediante le quali le violazioni stesse sono rilevate, né si può sostenere che la disposizione di cui all'articolo 4 del decreto legge 20 giugno 2002, n. 121, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 agosto 2002, n. 168, sostituisca le norme generali del codice della strada in materia di accertamenti degli illeciti, in quanto esso piuttosto le integra, prevedendo una procedura speciale per le attività di controllo e di accertamento delle violazioni realizzato anche senza il diretto intervento di un operatore di polizia stradale ed introducendo un'espressa eccezione al principio della contestazione immediata in casi particolari;
   d'altra parte, nell'ambito della più generale attività di prevenzione e contrasto dell'eccesso di velocità sulle strade, un principio cardine, pacificamente accettato dalla giurisprudenza dominante, è quello della necessaria e adeguata conoscibilità come presupposto e precondizione della legittimità delle eventuali sanzioni comminate: non si può, infatti, muovere al conducente di un autoveicolo il rimprovero per aver violato una regola di prudenza alla guida, se quest'ultimo non è stato messo nelle condizioni di conoscere preventivamente ed adeguatamente il precetto, attraverso controlli automatici della velocità che siano segnalati e ben visibili;
   alla luce di tali considerazioni, sono necessari, quindi, accertamenti volti a chiarire i punti dubbi e ad accertare così l'effettiva legittimità del posizionamento del citato dispositivo, anche al fine di individuare le concrete responsabilità e soluzioni –:
   se non ritenga opportuno, al fine di garantire la legalità e la trasparenza dell'azione amministrativa, fornire ulteriori elementi sulla questione esposta in premessa o quanto meno attivarsi, al più presto, al fine di fare maggiore chiarezza al riguardo ed, in ogni caso, quali iniziative di competenza intenda adottare per assicurare, anche alla luce della considerazioni di cui sopra, un'interpretazione rispondente all'assetto normativo vigente, teologicamente orientato all'effettiva sicurezza della circolazione ed alla tutela delle vite umane, e per evitare, nel rispetto del principio della «certezza del diritto», un'applicazione non omogenea e «arbitraria» delle norme. (3-02298)
(29 maggio 2012)

   GIANNI e RUVOLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   martedì 22 maggio 2012 il Governo ha esaminato quattro decreti finalizzati a «scongelare» i debiti della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese;
   il Governo ha annunciato lo sblocco di 20-30 miliardi di euro già nel corso del 2012, grazie anche ad un protocollo d'intesa con l'Abi;
   in Sicilia le imprese siciliane, in gran parte piccole e medie, vantano crediti nei confronti della pubblica amministrazione per circa cinque miliardi di euro;
   è con assoluto stupore che gli interroganti, nel leggere la bozza dei citati decreti, hanno verificato che «sono escluse dall'obbligo di certificazione le regioni sottoposte ai piani di rientro»;
   le regioni interessate dai piani di rientro per il deficit sanitario sono: Sicilia, Lazio, Calabria, Molise e Abruzzo; questo significa estromettere la Sicilia e le altre regioni interessate dai benefici del «decreto sblocca-crediti»;
   questo significa che un'impresa, non obbligatoriamente siciliana, che vanta un credito nei confronti della regione Sicilia o di altri enti da essa controllati, non potrà accedere all’iter velocizzato per il recupero delle somme;
   l'esclusione della regione Sicilia e delle altre regioni interessate è da ritenersi irragionevole e incostituzionale e determina un'inammissibile disparità di trattamento;
   ancora una volta le imprese delle regioni interessate dal piano di rientro per il deficit sanitario, in particolare siciliane, sono di fatto retrocesse, sono per il Governo «imprese di serie B», pagano lo scotto di essere ubicate in Sicilia, pur avendo, con i loro servizi, garantito l'operatività della regione e degli enti ad essa collegati;
   questo avviene proprio nei confronti e nei territori dove la crisi economica colpisce in maniera violenta le imprese e i lavoratori dipendenti delle imprese che vantano crediti con la pubblica amministrazione;
   appare inammissibile accettare supinamente tale discriminazione che impedisce ad imprese, comunque creditrici, di poter recuperare risorse che sono fondamentali per il mantenimento delle stesse imprese;
   se tale impostazione non fosse modificata si affermerebbe la volontà di far rimanere il Sud, e la Sicilia in particolare, in condizioni di assoluta subalternità ed emarginazione economica rispetto alle imprese del Nord del Paese –:
   se si intenda procedere ad immediata e improcrastinabile modifica della bozza di «decreto sblocca-crediti», al fine di consentire anche alle imprese che hanno crediti nei confronti della regione Sicilia e delle altre regioni, escluse in quanto interessate dal piano di rientro, di poter accedere ai benefici previsti dal decreto in questione. (3-02299)
(29 maggio 2012)

   BUONFIGLIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il disastro della nave Costa Concordia – oltre a vittime e danni senza precedenti – ha avuto un impatto sull'opinione pubblica devastante per l'immagine dell'Italia;
   a distanza di mesi, pur scemata l'attenzione totalizzante dei giorni a ridosso dell'incidente, l'interesse della collettività internazionale è rimasto ai massimi livelli e ha generato legittime aspettative sugli sviluppi delle indagini e sull'accertamento delle responsabilità;
   il tribunale di Grosseto, ben valutando la complessità delle attività tecnico-investigative, ha deciso di affiancare al collegio peritale personale iper-specializzato, in grado di dar corso ad ogni iniziativa necessaria per estrarre i dati contenuti (ed eventualmente cancellati in via accidentale o in modo doloso) all'interno della scatola nera e dei computer di bordo della nave Costa Concordia;
   l'autorità giudiziaria ha individuato nel colonnello Umberto Rapetto della Guardia di finanza l'interlocutore ideale per l'individuazione, la direzione e il coordinamento delle risorse umane, cui assegnare il delicato compito in un contesto di evidente tensione oggettiva e soggettiva;
   il team di militari del nucleo speciale frodi telematiche sotto la guida di Rapetto ha, quindi, proceduto all'avvio delle attività di acquisizione delle informazioni di interesse processuale, manifestando una professionalità davvero non comune, con serenità e soddisfazione anche di tutte le parti coinvolte a diverso titolo nel procedimento;
   nelle udienze, in cui sono stati illustrate le differenti fasi dell'attività informatica da svolgere e le corrispondenti metodologie da utilizzarsi in ciascuna di questi step, il colonnello Rapetto ha svolto un fondamentale ruolo di «traduttore/interprete», assicurando anche ai non tecnici la necessaria chiarezza informativa e svolgendo una funzione di garanzia di regolarità delle delicatissime operazioni intraprese e pianificate per il tratto a venire;
   negli incontri, cui hanno partecipato i periti del giudice per le indagini preliminari, del pubblico ministero, degli indagati e delle parti offese e in cui si è dato luogo ad attività tecniche di elevata criticità – così come accaduto, ad esempio, presso i laboratori della Oto Melara di La Spezia in occasione dell'apertura della scatola nera e del sistema di controllo della navigazione vdr – il colonnello Rapetto ha fornito un contributo indispensabile per uno svolgimento «non conflittuale» delle operazioni, accelerando il compito dei consulenti tecnici chiamati a valutare le informazioni da estrarre dalla sofisticata strumentazione recuperata a bordo della Costa Concordia;
   le attività, ancora in corso di esecuzione, sono destinate a protrarsi per mesi, stante la complessità dell'incarico, e continueranno a richiedere un coordinamento serrato che garantisca fluidità delle operazioni e sicurezza di chi le esegue materialmente, che deve poter contare su un riferimento competente e carismatico;
   il colonnello Umberto Rapetto, ritenuto uno dei massimi esperti europei in tema di crimine informatico e di investigazioni digitali, è stato trasferito ad altro incarico, pur in pendenza di attività che avrebbero dovuto preservarne l'impiego e, anzi, assicurargli la serenità operativa per meglio perseguire gli obiettivi affidatigli dall'autorità giudiziaria;
   è inaccettabile secondo l'interrogante che cieche regole di rotazione del personale nell'ambito dell'amministrazione pubblica possano prevalere sull'interesse della collettività ad ottenere, nel più breve tempo, certezza e verità;
   l'ufficiale è stato avvisato dell'inatteso e già disposto trasferimento con una comunicazione telefonica mentre si trovava a Grosseto, nel corso delle operazioni peritali del procedimento sul naufragio della Costa Concordia, senza, dunque, alcun preavviso e – nonostante gli affatto non trascurabili trentasette anni di servizio – senza essere stato in alcun modo consultato, come accade di prassi anche con ufficiali meno anziani, per ottenere un ricollocamento, se non consensuale, almeno ragionevolmente equilibrato rispetto alle esigenze dell'amministrazione e quelle dell'interessato;
   al suo posto sono stai assegnati ben sei ufficiali – quattro dei quali neofiti rispetto alle materie di cui dovranno occuparsi e nell'ambito delle quali dovranno impartire disposizioni e assumere decisioni;
   poco ragionevole avrebbe dovuto ritenersi il sopra descritto criterio compensativo in ragione quantitativa per sostituire una figura non comune per carattere e professionalità;
   la lungimiranza dei generali Mosca Moschini e Sgarlata, che nel 2000 accettarono di creare il reparto specialistico della Guardia di finanza voluto e progettato da Rapetto, che, in questi anni, ne è stato il brillante comandante, non ha più spazio e le decisioni di ristrutturazione del nucleo sono avvenute senza la benché minima consultazione degli ufficiali che negli anni vi hanno prestato servizio e che meglio di altri erano in grado di fornire indicazioni per un'evoluzione non solo burocratica dell'articolazione in argomento –:
   se il Governo trovi opportuno che la pubblica amministrazione perda un patrimonio importante come quello rappresentato dal colonnello Rapetto (cui, non va dimenticato, si deve il brillante esito delle indagini delegate dalla Corte dei conti, che recentemente hanno portato alla condanna dei vertici dei Monopoli di Stato e delle società concessionarie al pagamento di oltre 2 miliardi di euro di penali contrattuali per il mancato collegamento delle slot machine all'anagrafe tributaria con conseguente danno erariale) e del suo gruppo, mortificato nelle aspirazioni di carriera, e non approfitti di questa occasione per dimostrare concretamente la volontà di cambiamento dell'apparato pubblico, con l'utilizzo più proficuo dei dirigenti dello Stato, come Rapetto, e, in ogni caso, quale sia l'utilizzazione che l'amministrazione intende fare del colonnello Rapetto e del suo gruppo altamente specializzato, anche in vista della necessaria prossima istituzione di una struttura centrale che valga a contrastare il fenomeno delle minacce cibernetiche.
(3-02300)
(29 maggio 2012)

   FRANCESCHINI, MARCHIGNOLI, BENAMATI, BRATTI, MARCO CARRA, CASTAGNETTI, COLANINNO, GHIZZONI, LA FORGIA, LENZI, MARCHI, MIGLIOLI, SANTAGATA, VASSALLO, ZAMPA, MARAN, QUARTIANI e GIACHETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nelle prime ore della giornata del 20 maggio 2012 un evento sismico di magnitudo 5,9 ha interessato i territori dell'area Nord-Est, causando il decesso di sette persone, di cui cinque a causa dei crolli;
   l'evento, che è stato seguito da numerose repliche di minore intensità, ha interessato comuni nelle province di Modena e Ferrara e, in misura minore, di Bologna, Mantova e Reggio Emilia;
   a causa del sisma si è dovuto procedere in un primo momento all'evacuazione di diversi nuclei familiari, per un totale di 5.262, divenuti ora già oltre 7.000, soprattutto nei trentanove comuni maggiormente colpiti;
   il Consiglio dei ministri del 22 maggio 2012 ha deliberato lo stato di emergenza per i territori colpiti dal sisma del 20 maggio 2012, fissandone la durata a 60 giorni e attribuendo la competenza a coordinare gli interventi al Capo del Dipartimento della protezione civile, mentre nella fase successiva allo stato di emergenza il coordinamento spetterà alle regioni Emilia-Romagna e Lombardia, ciascuna per i territori di propria competenza;
   il fabbisogno finanziario per far fronte allo stato di emergenza verrà coperto utilizzando le risorse del fondo nazionale per la protezione civile, che serviranno a coprire tutte le spese per i soccorsi, l'assistenza e la messa in sicurezza provvisoria dei siti pericolanti;
   è, tuttavia, necessario stabilire quanto prima un percorso condiviso tra il Governo, la regione Emilia-Romagna e le amministrazioni locali coinvolte che porti dalla situazione dell'emergenza alla fase della ricostruzione: a tal fine, è necessario individuare strumenti finalizzati a garantire la possibilità di deroga al patto di stabilità, il rinvio del pagamento dell'imu, interventi immediati sul patrimonio culturale pubblico, il sostegno alle imprese che hanno avuto gravi problemi strutturali per il crollo dei capannoni; in particolare, è urgente, vista l'imminente scadenza del 16 giugno 2012, sospendere il pagamento dell'imu e di altri tributi nei confronti dei proprietari delle case colpite e delle attività produttive, compresa l'agricoltura, che hanno visto danneggiati, e in alcuni casi distrutti, i manufatti relativi;
   il Presidente del Consiglio dei ministri, nella sua qualità di Ministro dell'economia e delle finanze, ha annunciato il suo proposito di rinviare il pagamento dell'imu per le abitazioni e gli stabilimenti industriali che saranno dichiarati inagibili. Entrambe le misure saranno operative nel momento in cui le regioni, con l'ausilio delle autorità locali, avranno terminato il censimento delle effettive necessità, al fine di stabilire la necessaria copertura finanziaria –:
   se il Governo intenda procedere in tempi rapidi all'adozione di un provvedimento che assicuri ai proprietari di immobili abitativi e di fabbricati industriali, agricoli e commerciali, resi inagibili dall'evento sismico del 20 maggio 2012, la sospensione del pagamento dell'imu e degli altri tributi – eventualmente con il rinvio per tutti i fabbricati dei comuni colpiti fino a quando non sarà completato il censimento puntuale – nonché degli adempimenti fiscali di carattere amministrativo. (3-02301)
(29 maggio 2012)

   POLI, RUGGERI, COMPAGNON, CICCANTI, NARO, RAO, VOLONTÈ, TASSONE, OCCHIUTO, ANNA MARIA FORMISANO, LIBÈ e PEZZOTTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 26 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, ha confermato anche per il 2012 l'applicabilità dell'imposta sostitutiva del 10 per cento sulle somme correlate a incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione, efficienza organizzativa o a ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale;
   tuttavia, il Governo non ha ancora emanato il relativo decreto attuativo concernente la detassazione dei premi produttività 2012, causando enormi difficoltà operative da parte delle stesse aziende, che, in qualità di sostituti d'imposta, pur in presenza di appositi accordi o contratti collettivi territoriali o aziendali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale, potrebbero optare (e qualche azienda ha già provveduto in tale direzione) per la sospensione dell'agevolazione fiscale in favore degli aventi diritto;
   questo strumento di incentivazione ha sostenuto in gran parte l'occupazione degli anni scorsi ed è stato molto applicato nella gestione dei rapporti di lavoro. Dal luglio 2008 a tutto il 2010 gli incrementi di produttività potevano essere creati e gestiti direttamente dal datore di lavoro, anche senza la formalizzazione di accordi collettivi nazionali, in modo snello, con un semplice accordo siglato con il dipendente;
   la legge di stabilità 2012 (legge 12 novembre 2011, n. 183, all'articolo 33, commi 12-14) ha previsto che, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, nell'ambito delle risorse stanziate, dovranno ancora essere definiti per l'anno 2012:
    a) l'importo massimo assoggettabile all'imposta sostitutiva (che per il 2011 è stato pari a 6.000 euro);
    b) il limite massimo di reddito dell'anno precedente oltre il quale il titolare non può usufruire dell'agevolazione (che sempre riferito al 2011 è stato pari a 40.000 euro);
   ad oggi non risulta ancora emanato il decreto richiesto dalla norma;
   la determinazione dell'importo massimo assoggettabile all'imposta sostitutiva e del limite massimo di reddito annuo (oltre il quale il lavoratore non potrà usufruire dell'agevolazione) devono essere stabiliti con apposito decreto, anche se è stato fissato il plafond per l'agevolazione in 835 milioni nel 2012 e 263 milioni nel 2013. Con queste somme a disposizione, nel 2012, dovrebbe realizzarsi una sensibile riduzione dei destinatari: il reddito utile dovrebbe scendere da 40 mila euro a 30 mila euro. Mentre le somme agevolabili dovrebbero scendere da 6 mila euro a 2.500 euro;
   il Ministero dell'economia e delle finanze ha affermato che la detassazione non richiede l'emanazione di alcun decreto da parte del Ministero dell'economia e delle finanze e, quindi, sarebbe possibile operare la riduzione anche per il 2012. In data 19 aprile 2012, lo stesso Ministero dell'economia e delle finanze, con apposita nota, ha precisato che la detassazione «non è immediatamente applicabile; è indispensabile, infatti, che la Presidenza del Consiglio dei ministri, di concerto con questo Ministero, emani preliminarmente un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, per stabilire l'importo massimo assoggettabile all'imposta sostitutiva e il limite massimo di reddito annuo oltre il quale il titolare non può usufruire dell'agevolazione (articolo 33, comma 12, della legge n. 183 del 2011 – legge di stabilità 2012)». Dunque, senza decreto niente detassazione, niente incentivo per le assunzioni, niente aiuti per imprese e lavoratori, che potrebbero avere maggiori risorse a disposizione da spendere, alimentando così i consumi;
   i danni provocati alle aziende sono molteplici ed è incomprensibile questo ritardo nell'emanazione del decreto. Per le aziende al danno si aggiunge la beffa dei budget annuali predisposti contando su tale riduzione fiscale; budget ora tutti da rivedere perché privi di certezze sul costo del lavoro. Per i lavoratori lo svantaggio è ampio; le somme potenzialmente detassabili (ad esempio, sulle ore straordinarie) sono state tassate da gennaio 2012 ad oggi con le ordinarie aliquote, anziché con quella ridotta al 10 per cento, facendo così ridurre il netto in busta paga –:
   quali siano i motivi del ritardo nell'emanazione del decreto attuativo sulla detassazione dei redditi derivanti da premi di produttività disposta dall'articolo 33, comma 12, della legge 12 novembre 2011, n. 183, e quali siano i tempi previsti.
(3-02302)
(29 maggio 2012)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA PREVIDENZIALE PER IL PERSONALE DEI COMPARTI DELLA SICUREZZA, DELLA DIFESA E DEL SOCCORSO PUBBLICO

   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 24, comma 18, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, prevede che con regolamento da adottarsi entro il 30 giugno 2012 va armonizzata la disciplina dei requisiti per l'accesso alla pensione del personale addetto ad attività di natura particolare, come quelle del comparto sicurezza e difesa e del comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico;
    l'intervento va graduato nel tempo e la materia oggetto di armonizzazione deve essere solo quella dell'eventuale incremento dei limiti di età per accedere alla pensione di vecchiaia e dell'aumento dell'età anagrafica e dell'anzianità contributiva per beneficiare della nuova pensione anticipata (ex pensione di anzianità);
    la mancanza di altro espresso criterio, diverso da quello indicato dal citato comma 18, escludono ogni intervento sugli istituti peculiari previsti per il personale del comparto difesa-sicurezza e comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico, connaturati all'espletamento di attività atipiche e usuranti: esse esigono strumenti compensativi volti a differenziare la posizione lavorativa e ordinamentale, anche ai fini dell'accesso alla pensione;
    i limiti di età ordinamentali previsti per il personale militare, delle forze di polizia e dei vigili del fuoco degli altri Stati europei risultano di larga massima inferiori a quelli già stabiliti per l'omologo personale italiano;
    l'articolo 19 della legge n. 183 del 2010 riconosce anche ai fini della tutela economica, pensionistica e previdenziale «la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad essi appartenente in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti»;
    la predetta disposizione fornisce una cornice di riferimento per l'intero quadro normativo riguardante le Forze armate, le Forze di polizia ed il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, ma è, altresì, norma programmatica, in quanto prevede, altresì, che (comma 2 del predetto articolo 19) la disciplina attuativa del predetto principio di specificità «è definita con successivi provvedimenti legislativi». In tale contesto, il regolamento di armonizzazione in materia pensionistica, che deve essere formalizzato entro il 30 giugno 2012, rappresenta il primo vero passo di concreta attuazione della «specificità», che lo Stato riconosce al personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, chiamato ad assicurare il bene della vita a tutela della collettività, anche a rischio della propria incolumità personale;
    il concetto di specificità del comparto sicurezza-difesa e del comparto dei vigili del fuoco e del soccorso pubblico mira proprio a rappresentare la condizione peculiare del personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che è assoggettato ad un complesso di limitazioni e obblighi del tutto peculiari, nonché ad una condizione di impiego altamente usurante che presuppone il costante possesso di particolare idoneità psico-fisica e il mantenimento di standard di efficienza operativa periodicamente verificati e testati, con controlli medici, prove fisiche, severe attività addestrative;
    le statistiche rivelano che ogni anno centinaia di militari/agenti/vigili perdono, in conseguenza del servizio e per diretto effetto di attività operative ed addestrative, i requisiti di idoneità al servizio, con conseguente cessazione dal servizio attivo, o addirittura pagano con la vita l'adempimento del proprio dovere;
    il Governo, all'atto dell'emanazione del cosiddetto decreto-legge salva Italia, ha tenuto conto del particolare ruolo che tale comparto ha nell'ambito della pubblica amministrazione, prevedendo, proprio in virtù della specificità, l'emanazione di un regolamento volto ad armonizzare le regole di accesso al trattamento di quiescenza del personale in questione con quello delineato in senso generale per tutti i lavoratori pubblici e privati, previa valutazione della fattibilità funzionale e tenendo conto delle peculiarità delle singole Forze armate e corpi armati militari e civili dello Stato, nonché del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
    l'assunto della specificità non può tradursi in una penalizzazione per il personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, posto che il mantenimento in basso, rispetto al sistema generale, del limite anagrafico ordinamentale per la cessazione dal servizio è un'esigenza funzionale dello Stato;
    per evitare tali effetti, si rende indispensabile anche un intervento, attraverso un graduale e contestuale adeguamento degli assetti ordinamentali, anche al fine di contenere il preoccupante aumento dell'età media del personale in servizio, nonché al fine di garantire la correlata funzionalità delle amministrazioni interessate e dei peculiari meccanismi di progressione in carriera;
    la norma sulla specificità, pur nel suo tratto programmatico, che ha previsto un ruolo attivo delle rappresentanze del personale nell'emanazione dei provvedimenti legislativi e regolamentari che dovranno concretamente ed effettivamente sostanziare la previsione medesima, è stata disattesa nell'esercizio della delega di cui al comma 18 dell'articolo 24 del cosiddetto decreto-legge salva Italia;
    nonostante la declamata specificità, per tutti i lavoratori pubblici e privati sono state avviate da tempo forme previdenziali complementari, finalizzate a coprire il divario tra quanto si è percepito in servizio e quanto, invece, si è maturato in termini di pensione, mentre per il personale dei citati comparti tale forma di previdenza è tuttora da definire. Tutto ciò senza che siano mai state poste formule per tutelare gli operatori assunti dopo il 1o gennaio 1996, che sono i primi e più immediati destinatari del sistema contributivo;
    in data 15 marzo 2012 il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, d'intesa con il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia e il Ministro della difesa, si è detta disponibile ad un incontro con i rappresentanti dei sindacati delle forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e con il Cocer del comparto sicurezza e difesa per verificare le loro istanze;
    le rappresentanze del personale, in occasione di una conferenza stampa convocata sul tema il 20 marzo 2012, hanno chiesto un confronto con il Governo nella sua interezza,

impegna il Governo:

   a prevedere, nell'ambito del regolamento di armonizzazione, norme di tutela delle specificità del personale del comparto sicurezza e difesa e di quello del comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico, che, per esigenze funzionali, è tenuto a lasciare il servizio prima degli altri lavoratori pubblici e privati, con trattamenti pensionistici sostanzialmente più contenuti;
    a istituire con immediatezza un tavolo di concertazione con le rappresentanze del personale del comparto, al fine di giungere ad un regolamento condiviso, nel quale trovi concreto riconoscimento la peculiarità degli operatori del settore;
    ad avviare, contestualmente alla stesura del regolamento di armonizzazione, le procedure di concertazione atte all'avvio di forme pensionistiche complementari, salvaguardando il personale attualmente in servizio già assoggettato al cosiddetto sistema contributivo puro, anche attraverso il ricorso al possibile utilizzo di parte dei nuovi risparmi derivanti dalle disposizioni contenute nel richiamato regolamento di armonizzazione;
    ad avviare un tavolo di lavoro, con il coinvolgimento di tutte le amministrazioni interessate e le rappresentanze del personale, per definire un complessivo progetto di riordino dei ruoli del personale interessato al regolamento di armonizzazione in argomento, ai fini della predisposizione di un disegno di legge di delega che preveda un'attuazione differita nel tempo – coordinata con la gradualità dell'incremento dei requisiti per l'accesso alla pensione – e che assicuri la compatibilità finanziaria, anche attraverso un processo di razionalizzazione e modernizzazione delle strutture interessate, coerente con le misure di contenimento della spesa.
(1-00983)
«Mantovano, Cicchitto, Cirielli, Bruno, Crosetto, Cicu, Bertolini, Ascierto, Santelli, Pagano, De Angelis, Lainati, Saltamartini, Mancuso, Paniz, Lorenzin, Gibiino, Migliori, Vignali, Angeli, Pelino, Holzmann, Moles, La Loggia, Malgieri, Marsilio, Ceroni, Luciano Rossi, Di Centa, Minasso, Rampelli».
(29 marzo 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    in tutti i Paesi europei i limiti di età previsti per il personale militare e delle forze di polizia e dei vigili del fuoco risultano inferiori a quelli stabiliti per il personale italiano;
    al comma 18 dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, si prescrive che, mediante regolamento da adottarsi entro il 30 giugno 2012, la disciplina dei requisiti per l'accesso alla pensione del personale del comparto sicurezza e difesa e quello del comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico venga armonizzata mediante un progressivo innalzamento dei requisiti attualmente previsti, tenendo conto delle peculiarità e delle specifiche esigenze;
    in considerazione del citato comma 18, si esclude ogni intervento sugli istituti peculiari previsti per il personale dei sopra menzionati comparti collegati alle attività specifiche che rendono indispensabile disporre di strumenti compensativi volti a differenziare la posizione lavorativa e ordinamentale, anche ai fini dell'accesso alla pensione;
    l'intervento deve essere graduato nel tempo e la materia oggetto di armonizzazione deve essere solo quella dell'eventuale incremento dei limiti di età per accedere alla pensione di vecchiaia e dell'aumento dell'età anagrafica e dell'anzianità contributiva per beneficiare della nuova pensione anticipata (ex pensione di anzianità);
    l'articolo 19 della legge n. 183 del 2010 riconosce anche ai fini della tutela economica, pensionistica e previdenziale «la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad essi appartenente in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti»;
    la suddetta previsione costituisce un quadro di riferimento per l'intero schema normativo concernente le Forze armate, le Forze di polizia ed il Corpo nazionale dei vigili del fuoco ed è, altresì, norma programmatica, in quanto prevede, altresì, che (comma 2 del predetto articolo 19) la disciplina attuativa del predetto principio di specificità «è definita con successivi provvedimenti legislativi». In tale contesto, il regolamento di armonizzazione in materia pensionistica, che deve essere formalizzato entro il 30 giugno 2012, rappresenta il primo vero passo di concreta attuazione della «specificità», che il Paese riconosce al personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, chiamato ad assicurare il bene della vita a tutela della collettività, anche a rischio della propria incolumità personale;
    il concetto di «specificità del comparto sicurezza-difesa» e del comparto dei vigili del fuoco e del soccorso pubblico mira proprio a rappresentare la situazione specifica del personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che è assoggettato ad un complesso di limitazioni e obblighi del tutto peculiari, nonché ad una condizione di impiego altamente usurante che presuppone il costante possesso di particolare idoneità psico-fisica e il mantenimento di standard di efficienza operativa periodicamente verificati e testati, mediante anche controlli medici, prove fisiche e severe attività a carattere addestrativo;
    ogni anno, come evidenziano gli studi e le statistiche, a seguito del servizio e per diretto effetto di attività operative ed addestrative, molti operatori perdono i requisiti di idoneità, con conseguente cessazione dal servizio attivo, o peggio cadono nell'adempimento del dovere;
    il Governo con l'emanazione del decreto-legge «salva Italia» ha considerato il particolare ruolo che tali comparti hanno nell'ambito dell'amministrazione pubblica, prevedendo, in virtù della richiamata specificità, l'emanazione di un apposito regolamento teso all'armonizzazione delle regole di accesso al trattamento di quiescenza del personale in questione a quello delineato in senso generale per tutti i lavoratori pubblici e privati;
    l'assunto della specificità non può tradursi in una penalizzazione per il personale dei comparti, considerando che il limite anagrafico inferiore per la cessazione dal servizio è un'esigenza funzionale dello Stato;
    per evitare questi effetti derivanti dall'intervento in materia e per contenere il preoccupante aumento dell'età media del personale in servizio, garantendo così la correlata funzionalità delle amministrazioni interessate, è necessario anche un parallelo e convergente intervento, attraverso un graduale e contestuale percorso di adeguamento degli assetti ordinamentali;
    risulta essere stranamente disattesa, nell'ambito della delega di cui al comma 18 dell'articolo 24 del decreto-legge «salva Italia», quella concertazione con le rappresentanze dei suddetti comparti, che pur viene richiamata esplicitamente dalla previsione della specificità, mentre correttamente il Governo per disciplinare, in una ottica moderna e competitiva, le «regole» sul mondo del lavoro ha sentito l'esigenza di convocare i sindacati per un confronto, a tutto campo;
    nonostante la declamata specificità, per tutti i lavoratori pubblici e privati sono state avviate da tempo forme previdenziali complementari, finalizzate a coprire il gap tra quanto si è percepito in servizio e quanto, invece, si è maturato in termini di pensione, mentre per il personale dei citati comparti tale forma di previdenza è tuttora da definire con grave nocumento del personale. Tutto ciò senza prevedere formule per tutelare gli operatori assunti dopo il 1o gennaio 1996, immediati destinatari del sistema contributivo;
    secondo notizie di stampa del 15 marzo 2012, «il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, d'intesa con il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia e il Ministro della difesa, si è detta disponibile ad un incontro con i rappresentanti dei sindacati delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e con il Cocer del comparto di sicurezza e difesa per verificare le loro istanze» e lo stesso «verrà fissato al più presto compatibilmente con l'attività di Governo»;
    le suddette rappresentanze del personale, in occasione delle loro iniziative pubbliche, hanno chiesto un urgente confronto con il Governo nella sua interezza, compreso il Ministro dell'economia e delle finanze, che è anche il vertice politico della Guardia di finanza, e non solo un «incontro», come da comunicato stampa del Ministero del lavoro e delle politiche sociali,

impegna il Governo:

   a salvaguardare la specificità del comparto tesa a tutelare le particolari esigenze funzionali ed operative del suddetto;
   a convocare immediatamente un tavolo di concertazione per giungere quanto prima ad un regolamento condiviso fra Governo e rappresentanze;
   ad assumere iniziative normative volte a tutelare il personale dei comparti, che, per esigenze funzionali, è tenuto a lasciare il servizio prima degli altri lavoratori pubblici e privati, con trattamenti pensionistici sostanzialmente più contenuti;
   ad avviare, contestualmente alla stesura del regolamento di armonizzazione, le procedure di concertazione atte all'avvio di forme pensionistiche complementari, avendo cura di salvaguardare con apposite previsioni il personale attualmente in servizio e già assoggettato al cosiddetto sistema contributivo puro;
   ad avviare un immediato tavolo di lavoro, con il coinvolgimento di tutte le amministrazioni interessate e le rappresentanze del personale, per definire un complessivo progetto di riordino dei ruoli del personale interessato al regolamento di armonizzazione citato.
(1-01007)
«Fiano, Franceschini, Letta, Bressa, Naccarato, Rosato, Recchia, Andrea Orlando, Rugghia, Zaccaria».
(12 aprile 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    la delicatezza e la complessità del ruolo svolto e dei compiti assegnati alle Forze armate, alle Forze di polizia e al Corpo nazionale dei vigili del fuoco impone di considerare l'efficienza psico-fisica del personale addetto condizione indispensabile di efficienza funzionale e organizzativa delle strutture operative; su queste premesse – non su di una considerazione di favore e di vantaggio per il personale dei suddetti comparti – si fonda la differenziazione della disciplina previdenziale, che è riconosciuta in buona parte dei Paesi europei;
    su questa base, l'articolo 19 della legge 4 novembre 2010, n. 183, ha stabilito che «ai fini della definizione degli ordinamenti, delle carriere e dei contenuti del rapporto di impiego e della tutela economica, pensionistica e previdenziale, è riconosciuta la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad essi appartenente, in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti»;
    il personale dei suddetti comparti deve operare in un sistema di vincoli del tutto peculiari e con condizioni di impiego altamente usuranti, che presuppone il costante possesso dell'idoneità psico-fisica e il mantenimento di standard di efficienza operativa periodicamente verificati e testati, anche mediante controlli medici, prove fisiche e severe prove di addestramento;
    ogni anno centinaia di militari/agenti e vigili del fuoco perdono i requisiti di idoneità, anche a seguito di cause di servizio, o contraggono malattie permanenti; a questi ovviamente si aggiungono quanti cadono nell'adempimento del proprio dovere;
    l'articolo 24, comma 18, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, dispone che «allo scopo di assicurare un processo di incremento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento (...) sono adottate le relative misure di armonizzazione dei requisiti di accesso al sistema pensionistico, tenendo conto delle obiettive peculiarità ed esigenze dei settori di attività nonché dei rispettivi ordinamenti» del personale addetto a specifiche attività, tra cui quello del comparto sicurezza e difesa e quello del comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico;
    le suddette disposizioni escludono ogni intervento sugli istituti peculiari previsti per il personale dei suddetti comparti, connaturati all'espletamento di atipiche ed usuranti attività che rendono indispensabile disporre di strumenti compensativi volti a differenziare la posizione del personale addetto, anche ai fini dell'accesso alla pensione;
    alla specificità del comparto, delineata nella legge n. 183 del 2010, occorre sottoporre anche la disciplina attuativa; alla luce di tali disposizioni, il regolamento di armonizzazione in materia pensionistica, ai sensi del decreto-legge n. 201 del 2011, si configura come un procedimento attuativo della «specificità», di cui alla legge n. 183 del 2010;
    la legge n. 243 del 2004 – cosiddetta legge Maroni – già prevedeva che gli addetti al comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico per la loro specificità fossero esclusi dal processo di innalzamento dell'età pensionabile;
    sebbene la legge avesse previsto diversamente, non si è ancora proceduto all'istituzione di forme pensionistiche integrative e complementari per il personale del comparto sicurezza e difesa; più in generale, non sono mai state previste forme di tutela effettiva del personale assunto dopo il 1o gennaio 1996, con una carriera previdenziale interamente compresa, anche prima della recente riforma, nelle regole del sistema contributivo;
    in ragione della specificità del comparto, si configura come determinante la partecipazione delle rappresentanze del personale – così come si è verificato in altre circostanze – nella fase di definizione ed emanazione dei provvedimenti; tale prassi non risulta essere stata seguita nell'ambito della delega di cui all'articolo 24, comma 18, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201;
    in data 15 marzo 2012, una nota dell'ufficio stampa del Ministero del lavoro e delle politiche sociali evidenziava che «il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, d'intesa con il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia e il Ministro della difesa, si è detta disponibile ad un incontro con i rappresentanti dei sindacati delle forze di polizia e con il Cocer del comparto sicurezza e difesa per verificare le loro istanze» e che lo stesso «verrà fissato al più presto compatibilmente con l'attività di Governo»;
    le suddette rappresentanze del personale, in occasione di diverse iniziative sindacali, hanno chiesto un urgente confronto con il Governo, compreso il Ministro dell'economia e delle finanze, che non si limiti a configurarsi come un «incontro» – così come auspicato del Ministero del lavoro e delle politiche sociali – ma che si strutturi in un tavolo tecnico di confronto;
    le rappresentanze del personale hanno, altresì, chiesto che venga presentata una proposta di legge con carattere di urgenza che modifichi, sul punto, la previsione della delega prevista nel decreto-legge cosiddetto salva-Italia e preveda un passaggio parlamentare sul tema, con il rinvio del termine per l'approvazione del regolamento di armonizzazione,

impegna il Governo:

   a tutelare la specificità, anche ai fini previdenziali, del personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che per esigenze funzionali è tenuto a lasciare il servizio prima degli altri lavoratori pubblici e privati, e ad istituire a tal fine, con assoluta urgenza, un tavolo di concertazione con le relative rappresentanze sindacali, al fine di giungere ad un regolamento i cui contenuti siano condivisi, nel quale riconoscere in maniera inderogabile la peculiarità degli operatori del settore;
   ad escludere, nel regolamento di armonizzazione, il ricorso a forme assistenziali non previste dalla norma di legge – come gli istituti dell'equo indennizzo, della pensione privilegiata e dell'indennità ausiliaria – che sono per loro natura funzionali alla copertura di specifici rischi professionali e non implementazione della disciplina pensionistica generale dei suddetti comparti;
   ad avviare, contestualmente alla stesura del regolamento di armonizzazione, le procedure di concertazione atte al riconoscimento di forme pensionistiche complementari, salvaguardando – con apposite previsioni – il personale attualmente in servizio e già assoggettato al cosiddetto sistema contributivo puro;
   ad assumere adeguate iniziative di carattere normativo, volte a consentire il riordino dei ruoli e delle carriere del comparto sicurezza e difesa e dell'ordinamento del personale dei vigili del fuoco.
(1-01018)
«Di Biagio, Paglia, Granata, Angela Napoli, Menia, Della Vedova, Briguglio, Giorgio Conte, Patarino».
(19 aprile 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    la specificità del comparto sicurezza e difesa e soccorso pubblico si estrinseca, nell'efficienza psico-fisica del personale addetto, oltre che in ragione della peculiarità dei compiti esercitati, proprio nell'assoggettamento a particolari obblighi e ad un complesso di limitazioni personali, previste da leggi e regolamenti, nonché ad una condizione di impiego altamente usurante;
    in virtù di tale specificità il cosiddetto decreto-legge salva Italia ha previsto che, in sede di armonizzazione delle regole di quiescenza del personale in questione rispetto a quello dei lavoratori pubblici e privati, si provveda con apposito regolamento;
    il comma 18 dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, prevede che, con regolamento da adottare entro il 30 giugno 2012 ai sensi dell'articolo 17 della legge n. 400 del 1988, sono adottate le relative misure di armonizzazione dei requisiti di accesso al sistema pensionistico del personale delle Forze di polizia e delle Forze armate, nonché del comparto del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, tenendo conto delle obiettive peculiarità ed esigenze dei settori di attività, nonché dei rispettivi ordinamenti;
    l'articolo 19 della legge n. 183 del 2010 riconosce, anche ai fini della tutela economica, pensionistica e previdenziale, «la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad essi appartenente in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti»;
    il comma 2 dell'articolo 19 citato prescrive che la disciplina attuativa dei principi e degli indirizzi di cui al comma 1 è definita con successivi provvedimenti legislativi, con i quali si provvede, altresì, a stanziare le occorrenti risorse finanziarie;
    in tal senso, il regolamento di armonizzazione della normativa in materia pensionistica, ai sensi del decreto-legge n. 201 del 2011, deve rappresentare, quindi, l'estrinsecazione di quel principio di specificità che il Paese riconosce, secondo quanto dispone la legge n. 183 del 2010, al personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, proprio in virtù degli altissimi compiti di sicurezza interna e internazionale cui è destinato;
    tale regolamento rappresenterebbe un punto di riferimento per l'intero quadro normativo riguardante le Forza armate, le Forze di polizia ed il Corpo nazionale dei vigili del fuoco e costituirebbe, altresì, norma programmatica, in quanto prevede, al comma 2 del predetto articolo 19, che la disciplina attuativa del predetto principio di specificità «è definita con successivi provvedimenti legislativi»;
    in considerazione di ciò, ai sensi del citato comma 18 dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, si esclude, quindi, ogni intervento sugli istituti peculiari previsti per il personale del comparto in questione connaturati all'espletamento di atipiche ed usuranti attività, che rendono indispensabile disporre di strumenti compensativi volti a differenziare la posizione del personale addetto, anche ai fini dell'accesso alla pensione;
    il comparto versa già in un profondo stato di malessere e l'esasperazione e la sfiducia crescente si alimenterebbero di fronte ad un ulteriore provvedimento punitivo che si aggiungerebbe ai pesanti interventi occorsi negli ultimi anni in materia di trattamento economico, mettendo così a forte rischio la stessa efficienza ed efficacia del personale;
    inoltre, in tutti i Paesi europei, i limiti di età previsti per il personale militare e delle Forze di polizia e dei vigili del fuoco sono inferiori rispetto a quelli vigenti in Italia;
    non si è ancora proceduto all'istituzione di forme pensionistiche integrative e complementari per il personale del comparto e, in generale, non sono mai state previste forme di tutela del personale assunto dopo il 1o gennaio 1996, che godrà del solo sistema contributivo;
    proprio in ragione della specificità del comparto, si configura come determinante la partecipazione delle rappresentanze sindacali del personale nella fase di definizione dei provvedimenti loro riguardanti, come accaduto in altre circostanze; al contrario, tale prassi pare, almeno sino ad oggi, disattesa nell'ambito dell'esercizio della delega di cui al comma 18 dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011;
    eppure, la norma sulla specificità di cui all'articolo 19 della legge n. 183 del 2010, pur nel suo tratto programmatico, prevede un ruolo concertativo dei sindacati e del Consiglio centrale di rappresentanza (Cocer), ruolo che non può essere pretermesso dall'Esecutivo nell'esercizio del potere regolamentare di cui al comma 18 dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011;
    la disciplina regolamentare dovrà essere adottata dal Governo nel rispetto delle disposizioni legislative citate, nonché conformemente al principio di cui all'articolo 3, primo comma, della Costituzione, che impone la ragionevolezza delle distinzioni e il divieto di discriminazioni,

impegna il Governo:

   a prevedere, nell'ambito del regolamento di armonizzazione, norme di tutela delle specificità del personale del comparto sicurezza e difesa e del comparto vigili del fuoco, esclusivamente con riguardo al solo allungamento dell'età per il conseguimento della pensione di vecchiaia e di anzianità in relazione ai diritti quesiti e al previgente ordinamento;
   a procedere, prima dell'adozione del regolamento in questione, ad un incontro con i sindacati più rappresentativi e con il Cocer;
   ad avviare forme pensionistiche complementari, salvaguardando il personale attualmente in servizio già assoggettato al cosiddetto sistema contributivo puro, nei medesimi termini previsti per il personale del comparto dello Stato, nel rispetto dei vincoli del bilancio pubblico;
   ad avviare, dopo l'emanazione del regolamento in questione, con il coinvolgimento di tutte le amministrazioni interessate, un tavolo di concertazione al fine di definire un complessivo progetto di riordino dei ruoli e delle carriere del personale del comparto sicurezza e difesa e del comparto vigili del fuoco.
(1-01052)
«Bosi, Poli, Cesa, Marcazzan, Tassone, Mantini, Libè, Compagnon, Naro, Ciccanti, Volontè, Rao, Ruggeri, Delfino, Pezzotta».
(28 maggio 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    ai sensi del comma 18 dell'articolo 24 del cosiddetto decreto-legge salva Italia (decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214) è previsto che, con regolamento da adottare entro il prossimo 30 giugno 2012, ai sensi dell'articolo 17 della legge n. 400 del 1988, si proceda all'armonizzazione dei requisiti di accesso al trattamento di quiescenza del personale delle Forze di polizia e delle Forze armate, nonché del comparto del soccorso pubblico del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
    l'articolo 19 della legge n. 183 del 2010 riconosce, anche ai fini della tutela economica, pensionistica e previdenziale, «la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad essi appartenente in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti»;
    in considerazione della predetta specificità lavorativa del personale del comparto sicurezza e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, è indubbio che un innalzamento tout court dell'età pensionabile possa ostacolare la reale capacità operativa dei lavoratori in questione, con conseguenze inevitabili anche sul livello di efficienza della sicurezza del nostro Paese;
    il riconoscimento della specificità del comparto sicurezza e difesa e del comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico – infatti – ha proprio lo scopo di valutare la condizione peculiare del personale militare, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, considerando le condizioni di impiego operativo altamente rischioso cui è soggetto, che presuppone il costante possesso di particolari idoneità psico-fisiche;
    il requisito anagrafico è, pertanto, una condicio sine qua non per l'idoneità al servizio e per l'espletamento di tali attività operative ed addestrative; ne consegue che l'intervento regolamentare deve rispondere al principio di proporzionalità ed essere condizionato dai limiti di età del personale militare, delle Forze di polizia e dei vigili del fuoco nei trattamenti di quiescenza e anticipati;
    il personale del comparto sicurezza e difesa, peraltro, gode di un'autonomia contrattuale limitata rispetto all'esercizio dei diritti sindacali fondamentali, per via del mancato riconoscimento del diritto di sciopero e della piena libertà di organizzazione sindacale;
    esiste, altresì, il problema di assicurare a tutte le componenti del comparto difesa e sicurezza esposto ad attività dal rischio comparabile un trattamento equipollente sotto il profilo della tutela infortunistica, con particolare riguardo al personale volontario dei vigili del fuoco, attualmente penalizzato;
    il Governo, infatti, non ha ancora esercitato le deleghe di cui al comma 7 dell'articolo 27 della legge n. 183 del 2010, relative all'equiparazione della pensione ai superstiti riconosciuta ai familiari dei vigili del fuoco volontari deceduti per causa di servizio al trattamento economico spettante ai familiari superstiti dei vigili del fuoco in servizio permanente anche nelle ipotesi in cui i vigili del fuoco volontari siano deceduti espletando attività addestrative od operative diverse da quelle connesse al soccorso, nonché all'equiparazione del trattamento economico concesso ai vigili del fuoco volontari a quello riconosciuto ai vigili del fuoco in servizio permanente in caso di infortunio gravemente invalidante o di malattia contratta per causa di servizio, includendo anche il periodo di addestramento iniziale reso dagli aspiranti vigili del fuoco a titolo gratuito,

impegna il Governo:

   a prevedere, nell'ambito del regolamento di armonizzazione dei requisiti di accesso al sistema pensionistico, norme di tutela delle specificità del personale del comparto sicurezza e difesa e del comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico, con particolare riguardo all'allungamento dell'età pensionabile per il personale operativo in relazione ai diritti quesiti e al previgente ordinamento;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza per eliminare le differenze di trattamento attualmente esistenti all'interno del comparto difesa e sicurezza tra categorie di personale diverse, ma esposte alla stessa tipologia di rischio, così come già previsto dalla delega di cui al comma 7 dell'articolo 27 della legge n. 183 del 2010 citata in premessa, con riferimento al personale volontario dei vigili del fuoco incaricato del soccorso tecnico urgente, il cui trattamento deve essere uniformato a quello del personale permanente in forza al Corpo;
   a garantire, con disposizioni transitorie, la certezza dei rapporti giuridici già consolidati o in via di maturazione, che, per esigenze funzionali, potranno essere prolungati solo su base volontaria;
   ad istituire con immediatezza un tavolo di concertazione con i sindacati rappresentativi ed il Cocer per giungere ad un regolamento condiviso, nel quale trovi concreto riconoscimento la peculiarità degli operatori del settore;
   ad aprire, contestualmente alla stesura del regolamento di armonizzazione, un tavolo sulla previdenza complementare;
   ad avviare un tavolo di lavoro con il coinvolgimento di tutte le amministrazioni interessate e le rappresentanze del personale per definire un complessivo progetto di riordino dei ruoli del personale interessato al regolamento di armonizzazione, ai fini della predisposizione di un disegno di legge di delega che preveda un'attuazione differita nel tempo – coordinata con la gradualità dell'incremento dei requisiti per l'accesso alla pensione – e che assicuri la compatibilità finanziaria, anche attraverso un processo di razionalizzazione e modernizzazione delle strutture interessate, coerente con le misure di contenimento della spesa.
(1-01053)
«Dozzo, Fedriga, Munerato, Bonino, Gidoni, Chiappori, Caparini, Molgora, Vanalli, Meroni, Pastore, Volpi, Bragantini».
(28 maggio 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    la devastante crisi economica sta interessando tutto il sistema socio-economico-produttivo del Paese;
    i Governi che si sono succeduti durante la XVI legislatura, per far fronte alla richiamata situazione economica, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo hanno, in più occasioni e con numerosi provvedimenti, irresponsabilmente addossato i costi del necessario risanamento finanziario sulle classi sociali medio-basse;
    a riprova di quanto riportato, a titolo d'esempio, si richiamano le norme contenute nel decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge del 22 dicembre 2011, n. 214, tra le quali, al capo IV del titolo III (Riduzioni di spesa. Pensioni), quelle che hanno innalzato significativamente i requisiti per l'accesso all'età pensionabile, bloccato gli scatti stipendiali e delle pensioni, previsto il completo passaggio al sistema contributivo, scaricando l'intero costo della crisi sui lavoratori con reddito non elevato;
    al comma 18 dell'articolo 24 del citato decreto-legge, si prescrive peraltro che, mediante regolamento da adottarsi entro il 30 giugno 2012, la disciplina dei requisiti per l'accesso alla pensione del personale del comparto sicurezza e difesa e di quello del comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico, sia armonizzata per il tramite di un progressivo innalzamento dei requisiti attualmente previsti, pur tenendo conto delle peculiarità e delle specifiche esigenze del comparto;
    l'attuale modello di sicurezza, concepito in presenza di grandi risorse statali e della necessità di riavviare il settore industriale del Paese, risulta essere – non certo per responsabilità degli appartenenti alle Forze armate e di polizia, ma per una programmazione, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, errata, compiuta dai vari Esecutivi succedutisi nel tempo, nonché per una volontà di soddisfare le esigenze industriali, piuttosto che quelle della sicurezza – arretrato rispetto al nuovo scenario criminale nazionale ed internazionale;
    il quadro normativo di riferimento del comparto sicurezza si è connotato per una serie di tagli, adottati per tramite di manovre finanziarie presentate dall'attuale e dal precedente Governo, nella XVI legislatura, innumerevoli ed ingentissimi, tanto da determinare l'aumento vertiginoso di atti criminali non perseguiti su tutto il territorio nazionale;
    nonostante i «pacchetti sicurezza» del Governo Berlusconi, le riduzioni degli stanziamenti relativi al comparto che ricomprende polizia di Stato, polizia penitenziaria, vigili del fuoco, Corpo forestale e carabinieri hanno generato una situazione desolante, che vede, a solo titolo di esempio:
     a) agenti che non possono uscire dalle caserme perché le volanti non funzionano e non ci sono fondi per sistemarle;
     b) attese insopportabili sulla linea telefonica di emergenza 113 per assenza di personale addetto;
     c) assenza di fondi per l'acquisto di derrate alimentari sufficienti al mantenimento di standard decenti per l'alimentazione dei detenuti;
     d) sempre più frequenti difficoltà di tradurre un detenuto, colpevole o innocente che sia, per consentirgli di presenziare al suo processo;
     e) interi quartieri senza forze dell'ordine che presidiano il territorio, senza distinzione tra centro e periferia, tra le zone più tranquille e quelle più insicure, a causa della chiusura delle caserme;
     f) commissariati di polizia di Stato con incredibili carenze d'organico che, pur mantenendo attivi i servizi al pubblico, de facto non riescono a compiere tutte le attività attribuite in condizioni normali, con conseguenze nefaste sulla sicurezza dei cittadini;
     g) l'organico del Corpo dei carabinieri, così come riportato in numerose relazioni del Governo al Parlamento, sottostimato di oltre 7.000 unità;
     h) l'assenza di fondi per l'addestramento, l'esercitazione, la formazione e l'aggiornamento delle unità dei vigili del fuoco;
    nel documento di economia e finanza 2012 – all'allegato 1, punto 51 della prima tabella, sezione «lavoro e pensioni», misura: «Ampliamento della contrattazione decentrata, detassazione e decontribuzione dei salari di secondo livello», colonna: «impatto sul pubblico impiego» – il Governo prevede testualmente «per la detassazione dei comparti sicurezza, difesa e soccorso pubblico» – ovvero tutti gli ambiti relativi al presente atto di indirizzo – maggiori oneri per 60 milioni anche per il 2012;
    in aggiunta al desolante quadro descritto, il Governo dovrebbe procedere in questi giorni, e comunque non oltre il 30 giugno 2012, alla cosiddetta armonizzazione, ovvero all'inasprimento della disciplina dei requisiti per l'accesso alla pensione del personale del comparto sicurezza e difesa e di quello del comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico, così come riportato in premessa;
    in tutti i Paesi europei i limiti di età previsti per il personale militare e delle Forze di polizia e dei vigili del fuoco risultano inferiori a quelli stabiliti per il personale italiano;
    i firmatari del presente atto di indirizzo, fortemente contrari alla serie di provvedimenti sinora adottati, si sono battuti al fine di indicizzare completamente le pensioni, che dovrebbero continuare a seguire l'andamento dell'inflazione, per evitare che i cittadini perdano potere d'acquisto, scontrandosi con maggioranze e Governi che hanno previsto al contrario la sola reindicizzazione parziale per le pensioni sino a 1.400 euro;
    il Governo è ancora alle prese con il problema dei lavoratori prossimi alla pensione secondo le vecchie regole o che si trovano a dover lavorare anche 5 anni in più rispetto alle regole precedenti;
    i firmatari del presente atto di indirizzo, nel corso di tutta la XVI legislatura, hanno stigmatizzato i provvedimenti adottati da parte dei Governi che si sono succeduti nei confronti del predetto comparto, in quanto non si è provveduto né al reperimento delle fondamentali risorse economiche per l'esercizio della funzione, né a programmare concreti ed opportuni interventi strutturali al fine di garantire sicurezza del territorio, dei cittadini e degli operatori del settore. Non c’è stato il tanto auspicato aumento dell'organico addetto alla sicurezza, non sono stati previsti tempi certi per lo svolgimento dei processi, né aumenti di organici nella funzione giurisdizionale, né tanto meno spazi, infrastrutture o ristrutturazioni di edifici esistenti da destinare al settore penitenziario;
    le norme introdotte nell'ordinamento giuridico in materia pensionistica dal Governo Monti rappresentano un'iniqua operazione volta a far cassa, riformulando un sistema pensionistico pensato appena quindici anni prima, non rispettando i diritti acquisiti dei lavoratori, non riconoscendo, molto spesso, ai lavoratori una vita di sacrifici e la giusta aspirazione all'equità;
    la riforma della previdenza, fissando requisiti più stringenti per il pensionamento, seppur rafforzando da subito la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico, ha rappresentato un costo pressoché insopportabile per i cittadini italiani, sia in termini di riduzione del potere d'acquisto che di frustrazione di aspettative individuali;
    la specificità del comparto sicurezza è volta a distinguere la particolare posizione, anche giuridica, all'interno dell'ordinamento del personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco dalle altre categorie di dipendenti pubblici;
    i lavoratori della sicurezza sono assoggettati ad una serie di limitazioni ed obblighi del tutto peculiari – impossibilità di iscriversi a partiti politici, sindacati, di scioperare – nonché ad una condizione di impiego altamente usurante, che presuppone il costante possesso di particolare idoneità psico-fisica e il mantenimento di standard di efficienza operativa puntualmente verificati mediante controlli medici, prove fisiche e severe attività a carattere addestrativo;
    alla richiamata «specificità» non può che corrispondere una differenziazione di requisiti utili al fine del raggiungimento dell'età pensionabile, rispetto ad altri comparti della pubblica amministrazione. Differenziazione che non deve in alcun modo rappresentare un privilegio rispetto alle altre categorie, considerando che un limite anagrafico ridotto, soprattutto per i lavoratori con compiti operativi, è da considerarsi imprescindibile per il corretto espletamento della funzione sicurezza;
    non è assolutamente utile un incondizionato ed indiscriminato aumento dell'età pensionabile dei lavoratori, senza la previsione di una rivisitazione strutturale dell'intero assetto del comparto,

impegna il Governo:

   a salvaguardare la specificità del comparto, convocando celermente un tavolo di concertazione dei lavoratori del settore, con il riconoscimento della particolare attività svolta sul territorio per la sicurezza dei cittadini, tanto più in un particolare momento di forte tensione sociale;
   ad ascoltare le ragioni dei lavoratori, predisponendo interventi volti a tutelare la specificità del settore, nell'interesse generale della sicurezza e dei cittadini;
   a valutare lo spostamento degli operatori di pubblica sicurezza ad incarichi non operativi, soprattutto negli ultimi anni della vita lavorativa, quali che siano i requisiti fissati dalle normative;
   a ridisegnare il modello di sicurezza nazionale mediante l'adozione di interventi di riorganizzazione finalizzati ad eliminare sprechi o inefficienze, basandolo su programmi comuni ai singoli corpi interessati, con l'intento di generare economie di gestione e maggiore efficienza nei più svariati settori, garantendo, tuttavia, una razionalizzazione armonica di settori più eterogenei del comparto sicurezza, assumendo decise iniziative nel contrasto all'inerzia e alla resistenza al cambiamento tipiche di tutte le burocrazie, al fine di mantenere, ovvero aumentare, le tutele previdenziali dei lavoratori del settore;
   a riconsiderare la logica dei tagli indiscriminati e a provvedere, in una situazione di oggettiva crisi economica e mancanza di fondi, a distribuire gli stessi con maggiore oculatezza, con l'obiettivo primario di garantire la sicurezza dei cittadini e, al contempo, la loro incolumità e condizioni lavorative e previdenziali ottimali al personale del comparto;
   a garantire efficaci programmi di esercitazione e aggiornamento delle professionalità che permettano agli operatori di ricominciare ad effettuare i necessari addestramenti fondamentali per garantire la formazione allo svolgimento delle funzioni di pubblica sicurezza, rinunciando, ad esempio, per compensare le spese, all'acquisto di inutili cacciabombardieri atti ad offendere e non a difendere la sicurezza del territorio e dei cittadini italiani.
(1-01055)
«Paladini, Palomba, Aniello Formisano, Borghesi, Evangelisti, Di Stanislao».
(28 maggio 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    la riforma Amato del 1992 e successivamente la riforma Dini nel 1995 hanno decurtato il modello previdenziale dei comparti della sicurezza, difesa e soccorso pubblico, annullando, di fatto, la specificità degli appartenenti, pur riconfermando quella delle amministrazioni;
    la legge finanziaria n. 724 del 1994 ha ridotto il rendimento del modello previdenziale di questo personale dal 3,60 per cento annuo al 2 per cento. Con il decreto-legge n. 112 del 2008, si è definitivamente equiparato il rendimento della pensione dei professionisti della sicurezza a quelli del restante pubblico impiego;
    l'articolo 19 della legge 4 novembre 2010, n. 183, riconosce, anche ai fini della tutela economica, pensionistica e previdenziale, «la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad essi appartenente in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti»;
    tale articolo stabilisce che gli operatori dei comparti di sicurezza, difesa e soccorso pubblico e le amministrazioni di riferimento, in relazione al particolare status, devono essere valutati e considerati non solo nell'ottica di quella che è la normale dinamica contrattuale e previdenziale prevista per tutti i lavoratori; ad essi bisogna guardare in relazione alle peculiari funzioni attribuite alle amministrazioni di appartenenza, che, in assenza di operatori che siano selezionati e messi in condizioni di operare con altrettante condizioni peculiari, verrebbero vanificate e con esse le condizioni di tutela e di difesa delle istituzioni democratiche, così come quelle dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna e del soccorso alle popolazioni;
    il criterio di specificità stabilito dalla legge n. 183 del 2010 del comparto sicurezza e difesa e del comparto vigili del fuoco e del soccorso pubblico ha lo scopo di garantire la condizione peculiare del personale militare, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco a condizioni di impiego operativo altamente rischioso, che presuppone il costante possesso di particolari idoneità psico-fisiche;
    l'articolo 24, comma 18, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, cosiddetto salva Italia, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, prevede che, con regolamento da adottarsi entro il 30 giugno 2012, ai sensi dell'articolo 17 della legge n. 400 del 1988, deve essere armonizzata la disciplina dei requisiti per l'accesso alla pensione del personale addetto a specifiche attività, tra cui quello del comparto sicurezza e difesa e quello del comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico, attraverso un processo di incremento dei requisiti attualmente previsti, tenendo conto delle peculiarità ordinamentali e delle specifiche esigenze;
    tale intervento di armonizzazione deve rispondere al principio di proporzionalità, principio generale del diritto, e deve essere limitato esclusivamente ai limiti di età del personale militare, delle Forze di polizia e dei vigili del fuoco nei trattamenti di quiescenza e anticipati, nel rispetto dell'articolo 3 della Costituzione, primo comma, in forza del quale la mancanza di altro espresso criterio si traduce in un'arbitraria discriminazione di questo personale a ordinamento speciale in ragione dei peculiari compiti e dei rispettivi status;
    i limiti di età per tali trattamenti previsti per il personale militare, delle Forze di polizia e dei vigili del fuoco degli altri Stati europei risultano inferiori a quelli già stabiliti per il personale italiano;
    per definire l'ambito del regolamento da adottare entro il 30 giugno 2012, è utile ricordare la precedente armonizzazione in materia, disciplinata dal decreto legislativo 30 aprile 1997, n.165, in attuazione degli appositi criteri di delega, di cui all'articolo 2, comma 23, lettera b), della legge 8 agosto 1995, n. 335, ed all'articolo 1, commi 97, lettera g), e 99, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, che hanno riguardato sia l'incremento dei limiti di età per l'accesso alla pensione, sia gli specifici istituti, quali, ad esempio, l'ausiliaria e il meccanismo di calcolo dell'assegno di pensione. Questa estensione è stata possibile perché i criteri di delega facevano espresso riferimento ai «trattamenti pensionistici» e all'istituto dell'ausiliaria e non solo all'incremento dei requisiti per l'accesso alla pensione, come invece previsto dall'articolo 24, comma 18, del decreto-legge n. 201 del 2011;
    il Governo, all'atto dell'emanazione del cosiddetto decreto-legge salva Italia, considerando il particolare ruolo che tali comparti hanno nell'ambito dell'amministrazione pubblica ha previsto, proprio in virtù della specificità, l'emanazione di un regolamento volto ad armonizzare le regole di accesso al trattamento di quiescenza del personale in questione con quello delineato in senso generale per tutti i lavoratori pubblici e privati,

impegna il Governo

a garantire, nell'ambito del regolamento di armonizzazione, norme di tutela delle specificità del personale del comparto sicurezza e difesa e del comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico, tenendo conto delle ragioni per cui questo personale fino ad ora raggiunge prima l'età della pensione rispetto ad altri dipendenti pubblici e tenendo, inoltre, conto che si va verso la stesura di un regolamento di armonizzazione, che richiede particolare attenzione per salvaguardare il personale in servizio passato al sistema contributivo puro.
(1-01057)
«Misiti, Miccichè, Fallica, Grimaldi, Iapicca, Pittelli, Pugliese, Soglia, Stagno d'Alcontres, Terranova».
(28 maggio 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    entro il 30 giugno 2012 con regolamento da adottare ai sensi dell'articolo 17 della legge n. 400 del 1998, si dovranno armonizzare i requisiti di accesso al sistema pensionistico del personale delle Forze di polizia, delle Forze armate e del comparto soccorso pubblico del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, tenendo conto delle peculiarità e delle esigenze dei settori sui quali si interverrà; questo è quanto prevede l'articolo 24, comma 18, della legge n. 400 del 1988;
    la specificità del ruolo delle Forze di polizia, delle Forze armate nonché del Corpo dei vigili del fuoco è riconosciuta ai fini pensionistici e previdenziali dall'articolo 19 della legge n. 183 del 2010;
    come è noto, per l'idoneità al servizio nelle Forze di polizia, nelle Forze armate e nel Corpo dei vigili del fuoco, nonché per le attività sia operative che addestrative, non si può prescindere dal requisito dell'età; tale elemento, insieme a quello del rischio operativo, non può non essere tenuto nel debito conto per quanto riguarda l'accesso e i requisiti necessari per godere dei diritti previdenziali;
    a livello europeo, proprio per la peculiarità e la specificità dei servizi prestati dalle Forze armate, dalle Forze di polizia e dal Corpo dei vigili del fuoco, i limiti di età, per avere diritto ai trattamenti di quiescenza anche anticipati, sono significativamente inferiori a quelli stabiliti nel nostro Paese;
    è previsto che si debba istituire un tavolo del Governo con i sindacati e il Cocer che definisca un percorso condiviso e concertato di stesura del regolamento che riconosca in maniera precisa ed effettiva la peculiarità e la specificità dei lavoratori delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo dei vigili del fuoco,

impegna il Governo:

   a istituire in tempi brevissimi il tavolo con i sindacati e il Cocer che definisca un percorso condiviso e concertato, previsto dal comma 18 dell'articolo 24 del decreto-legge «salva Italia», di stesura del regolamento che riconosca in maniera precisa ed effettiva la peculiarità e la specificità funzionale dei lavoratori delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo dei vigili del fuoco;
    a determinare un percorso, che coinvolga tutti i soggetti interessati, corredato da una tempistica certa, per giungere al riordino dei ruoli e delle carriere, relativo al personale interessato dal regolamento di armonizzazione, che tenga conto della specificità e della peculiarità funzionale del personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo dei vigili del fuoco, anche ai fini dei requisiti per l'accesso alla pensione.
(1-01059)
«Moffa, Mottola, Calearo Ciman, Catone, Cesario, D'Anna, Gianni, Lehner, Marmo, Milo, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini, Stasi, Taddei».
(29 maggio 2012)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE POLITICO-DIPLOMATICHE IN RELAZIONE ALLA VICENDA DEL CITTADINO RUSSO SERGEI MAGNITSKY

   La Camera,
   premesso che:
    il cittadino russo Sergei Magnitsky è deceduto in cella di isolamento nella Federazione Russa il 16 novembre 2009;
    la detenzione di Sergei Magnitsky è durata oltre 12 mesi ed è stata costellata da una serie di maltrattamenti, dinieghi di cure, torture e violenze fisiche denunciati dettagliatamente dallo stesso Magnitsky prima della sua morte e, successivamente, dai suoi difensori;
    la tragica vicenda di Magnitsky, avvocato che lavorava per un fondo di investimenti esteri in Russia, si inserisce all'interno di un procedimento giurisdizionale per «evasione fiscale», in cui il diritto di difesa e le garanzie di un giusto processo, principi che la Federazione Russa si è impegnata a rispettare con la ratifica della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, sono stati violati platealmente;
    in questo senso, si sono espressi nel corso degli ultimi anni e degli ultimi mesi, adottando risoluzioni parlamentari, il Parlamento olandese, il Congresso degli Stati Uniti, il Parlamento europeo e il Parlamento canadese, chiedendo alle autorità russe di individuare e processare i responsabili e i mandanti della morte di Magnitsky e chiedendo ai rispettivi Governi di sanzionare questi individui, sia attraverso il congelamento dei loro beni all'estero, sia non concedendogli il visto di ingresso nei rispettivi territori nazionali;
    i procedimenti avviati dalle autorità russe per accertare le cause del decesso di Magnitsky sono stati finora del tutto insoddisfacenti, arrivando pochi giorni fa, come riportato l'8 febbraio 2012 dal New York Times, al paradosso della riapertura di un processo per corruzione deciso proprio nei confronti di Magnitsky, dando così luogo al primo «processo ad un morto» nella storia della Federazione Russa;
    le denunce circostanziate, registrate e formulate dallo stesso Magnitsky nel corso della sua detenzione, hanno portato ad individuare con precisione le responsabilità dirette o indirette per i maltrattamenti, le torture, il diniego delle cure e, infine, per il decesso, 60 persone all'interno del sistema carcerario, sanitario, giudiziario e di governo della Federazione Russa, che non sono state finora oggetto di un giusto procedimento penale;
    a riprova della serietà della documentazione e delle denunce presentate dalla difesa di Magnitsky, a seguito di un'iniziativa dei senatori Benjamin Cardin (senatore democratico) e John Sidney Mc Cain (senatore repubblicano), il Dipartimento di Stato americano ha imposto ai 60 cittadini russi (la cosiddetta Cardi's list) il divieto di ingresso negli Stati Uniti,

impegna il Governo:

   a chiedere alla Federazione Russa, nell'ambito dei rapporti politici bilaterali con quel Paese, che l'accertamento delle responsabilità relative alla morte di Sergei Magnitsky, mentre era detenuto, possa avvenire in un processo rispettoso dei principi dell'indipendenza della magistratura, del diritto alla difesa e di un giusto processo, come sancito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ratificata dalla Federazione Russa;
   a non concedere visti di ingresso alle sessanta persone della cosiddetta Cardin's list come già è stato fatto dal Dipartimento di Stato americano;
   ad individuare, se ve ne sono, i beni appartenenti alle sessanta persone della Cardin's list in territorio o sotto giurisdizione italiana, e ad assumere le iniziative di competenza per pervenire ad un sostanziale blocco della disponibilità di tali beni.
(1-00899)
«Mecacci, Volontè, Evangelisti, Vernetti, Pistelli, Migliori, Rosato, Sereni, Misiani, Bernardini, Zamparutti, Maurizio Turco, Farina Coscioni, Beltrandi».
(29 febbraio 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    il 16 novembre 2009 Sergei Magnitsky è deceduto in un carcere, in una cella di isolamento del «sizo» (struttura di detenzione pre-processuale), nella Federazione Russa il 16 novembre 2009;
    Sergei Magnitsky lavorava per un fondo di investimenti esteri in Russia l’Hermitage capital managament che faceva capo al finanziere americano Bill Browder;
    per quanto risulta ai firmatari del presente atto di indirizzo, la detenzione a cui è stato sottoposto è durata oltre 12 mesi ed è stata costellata da una serie di maltrattamenti, denunciati dallo stesso Magnitsky prima della sua morte e riconosciuti dallo stesso Governo russo che ha individuato le responsabilità, dirette o indirette per i maltrattamenti, di 60 persone all'interno del sistema carcerario, sanitario e anche giudiziario, sottoponendole per questo a procedimento giudiziario;
    la vicenda ha suscitato scalpore, soprattutto per il fatto che l'avvocato 37enne era stato arrestato, secondo la versione di Hermitage, per aver scoperto una truffa da oltre 5 miliardi di rubli (circa 130 milioni di euro) a danno del fondo stesso e dello Stato russo, mentre l'accusa ufficiale per l'arresto era quella di frode fiscale;
    nel 2009 il capo del Comitato anticorruzione Kirill Kebanov ha assicurato che sarebbe stato fatto di tutto per assicurare i colpevoli alla giustizia, mentre Evgeni Arkhipov, presidente dell'Associazione degli avvocati per i diritti umani, ha dichiarato che: «il fatto che la vicenda Magnitsky sia trattata ora anche ai piani alti, lascia sperare che alla fine si possano davvero trovare i responsabili»; nel novembre del 2011 le autorità russe hanno dichiarato che al lavoro degli organi di forza pubblica si sarebbe affiancato anche quello dei rappresentanti del Consiglio per i diritti dell'uomo presso il Presidente russo;
    a seguito della vicenda di Sergei Magnitsky ed in relazione a questa, il presidente del comitato per le indagini presso l'ufficio della procura Aleksandr Bastrykin e il capo del consiglio presidenziale Mikhail Fedotov hanno firmato un accordo sulla cooperazione, rispetto al quale Leonid Poliakov, titolare della cattedra di politologia della Scuola suprema di economia, ha dichiarato: «Fedotov e Bastrykin hanno firmato un accordo secondo cui lo scambio di informazioni sarà effettuato in regime operativo. È un avvenimento di grande rilevanza. Ci poniamo lo scopo di mettere a punto un sistema di protezione delle persone finite in luoghi di isolamento temporaneo»;
    la questione, come detto, ha avuto un'importante eco internazionale, provocando attriti diretti tra Stati Uniti e Russia. Il Dipartimento di Stato americano ha deciso, infatti, di inserire i 60 cittadini russi indicati come responsabili dell'accaduto nella lista dei soggetti, a cui impedire il visto d'ingresso negli Stati Uniti. Decisione a cui ha fatto seguito quella russa dell'allora Presidente Dmitri Medvedev, che ha fatto sapere, tramite la sua portavoce Natalia Timakova, di «aver istruito il Ministero degli esteri russo perché prepari misure simili in relazione a cittadini americani». Ed inoltre, ha aggiunto: «Siamo sconcertati dalla posizione del Dipartimento di Stato Usa che, senza attendere la fine dell'indagine e una sentenza di un tribunale russo, ha assunto funzioni che sono atipiche. Tali misure non sono state prese neppure negli anni più difficili della guerra fredda»;
    anche altri soggetti istituzionali nazionali e internazionali hanno espresso la loro posizione al riguardo, adottando specifiche risoluzioni parlamentari. In particolare, il Parlamento olandese e il Congresso degli Stati Uniti hanno chiesto alle autorità russe di individuare e processare i responsabili e i mandanti della morte di Magnitsky e hanno chiesto ai rispettivi Governi di sanzionare questi individui, sia attraverso il congelamento dei loro beni all'estero, sia non concedendo loro il visto di ingresso nei rispettivi territori nazionali;
    anche il Parlamento europeo si è espresso sulla questione; in particolare, l'8 marzo 2012 l'Alta rappresentante/Vicepresidente Catherin Ashotn ha risposto a nome della Commissione europea ad una specifica interrogazione presentata nel gennaio del 2012, specificando che:
     «il Servizio europeo per l'azione esterna (Seae) e la Commissione europea hanno seguito attentamente questo caso e sono intervenuti attivamente sulla questione, sia a Bruxelles che nella delegazione dell'Unione europea a Mosca;
     il caso di Sergei Magnitsky è stato più volte sollevato con le autorità russe, anche al massimo livello. Recentemente, al vertice Unione europea-Russia del 15 dicembre 2011, l'Unione europea ha manifestato al Presidente Medvedev viva preoccupazione per la mancanza di progressi in relazione a questo caso, sottolineando la necessità che le autorità russe svolgano indagini credibili ed esaustive;
     tutte le domande poste dagli onorevoli parlamentari su questo caso sono state sollevate nell'ultima riunione di consultazione con la Russia sui diritti umani il 29 novembre 2011, senza, peraltro, ottenere una risposta chiara da parte russa. Recentemente, alcune di queste domande sono state formulate anche per iscritto, nel contesto dello scambio degli elenchi di singoli casi sensibili;
     la controparte russa ha informato il Servizio europeo per l'azione esterna (Seae) sullo svolgimento di una discussione in merito tra il Consiglio presidenziale per la società civile e i diritti umani e la commissione d'inchiesta. L'Unione europea è stata, altresì, informata sulla firma da parte della commissione d'inchiesta di un accordo generale di cooperazione con il Consiglio presidenziale, in base al quale, in tutti i casi di grande risonanza, i difensori dei diritti umani possono essere presenti durante le indagini;
     in generale, l'Unione europea ha accolto con favore l'indagine indipendente sul caso disposta dal Presidente Medvedev, di cui ha attentamente esaminato le conclusioni preliminari. Tuttavia, resta delusa dal fatto che finora solo i due medici della prigione siano stati incriminati nel caso e molte questioni rimangono senza risposta. L'Unione europea continua a esortare la Russia a portare a pieno compimento l'indagine ufficiale e invita il Governo russo a indagare in maniera corretta ed esaustiva su questo caso al fine di assicurare i responsabili alla giustizia senza ulteriori indugi»;
    è del tutto evidente che il rispetto dei diritti umani debba essere un obiettivo costante da perseguire con convinzione, in ogni occasione, e nei confronti di qualsiasi soggetto coinvolto. L'affermazione di tale principio deve essere tanto assoluta, quanto costante;
    per il perseguimento concreto ed efficace di tale obiettivo è, quindi, fondamentale procedere con coerenza e decisione nelle sedi opportune, al fine di evitare effetti diametralmente opposti all'obiettivo che si vuole e si deve perseguire;
    è necessario evitare che l'affermazione di un principio fondamentale come quello del pieno rispetto dei diritti umani sia strumentalizzato come oggetto di pressione, quanto non di confronto e conflitto diplomatico, finendo per essere così pretesto di nuove tensioni e lacerazioni. Per questo motivo tale principio deve essere affermato con coerenza nelle sedi internazionali proprie, che devono farsi garanti del suo rispetto,

impegna il Governo:

   ad intervenire, in sede comunitaria ed internazionale, affinché si prosegua nella legittima richiesta che sulla vicenda della morte di Sergei Magnitsky sia fatta piena luce e che tutti responsabili della sua morte siano affidati alla giustizia del loro Paese;
   ad intervenire, in sede comunitaria ed internazionale, con le modalità che riterrà più opportune, per ribadire che il diritto alla difesa e ad un giusto processo, sancito dalla Convenzione europea sui diritti dell'uomo, sia effettivamente rispettato da tutti i Paesi che hanno ratificato le Convenzione stessa;
   a farsi promotore, in sede comunitaria ed internazionale, delle opportune iniziative affinché tutti i Paesi che hanno ratificato la Convenzione europea sui diritti dell'uomo dimostrino la loro piena adesione ai suoi principi, a tal fine ipotizzando il potenziamento di strumenti di controllo, monitoraggio, comunicazione ed eventualmente sanzione in caso di violazione della Convenzione stessa.
(1-01056)
«Pianetta, Baldelli, Angeli, Biancofiore, Boniver, Crolla, Renato Farina, Malgieri, Migliori, Osvaldo Napoli, Nirenstein, Picchi».
(28 maggio 2012)