Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Altri Autori: Servizio Biblioteca - Ufficio Legislazione straniera
Titolo: Conferenza di Busan sull'efficacia degli aiuti allo sviluppo (29 novembre ' 1° dicembre 2011)
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 298
Data: 25/11/2011
Descrittori:
ASSISTENZA ALLO SVILUPPO     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari
Nota: Questo dossier contiene materiale protetto dalla legge sul diritto d'autore, pertanto la versione html è parziale. La versione integrale in formato pdf può essere consultata solo dalle postazioni della rete Intranet della Camera dei deputati (ad es. presso la Biblioteca)

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Conferenza di Busan
sull’efficacia degli aiuti allo sviluppo

(29 novembre – 1° dicembre 2011)

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 298

 

 

 

 

25 novembre 2011

 


Servizi responsabili:

Servizio StudiDipartimento Affari esteri

( 066760-4939 / 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it

Servizio Biblioteca

( 066760-3476 / 066760-3805 – * bib_segreteria@camera.it

 

 

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: es0964.doc


INDICE

 

Contenuti della Conferenza (a cura del Ministero degli Affari Esteri)

§      IV High Level Foum sull’efficacia degli aiuti, Busan, Corea del Sud, 29 novembre – 1° dicembre 2011  1

§      Agenda della Conferenza  2

§      Progetto di conclusioni della Conferenza  3

Schede di lettura

Il IV Forum di Alto livello sull’efficacia degli aiuti  (Busan, 29.11 - 01.12 2011)73

§      L’attività del Comitato permanente sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio  77

Il modello italiano di cooperazione allo sviluppo  79

§      Quadro normativo  80

§      Le risorse dell’APS italiano  81

§      Le iniziative legislative di riforma nelle ultime legislature  83

La cooperazione allo sviluppo in Francia, Germania, Regno Unito e Spagna (a cura del Servizio Biblioteca)87

§      Francia  87

§      Germania  93

§      Regno Unito  97

§      Spagna  104

Attività parlamentare

§      Indagine conoscitiva sugli obiettivi di sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite – Documento conclusivo approvato dalla III Commissione (1° febbraio 2011)109

§      Mozioni Di Pietro ed altri n. 1-00391, Tempestini ed altri n. 1-00621, Pezzotta ed altri n. 1-00623, Antonione, Dozzo, Sardelli ed altri n. 1-00625, Pisicchio ed altri n. 1-00629, Di Biagio e Della Vedova n. 1-00712 e Oliveri ed altri n. 1-00726: Iniziative per garantire la trasparenza delle informazioni relative all’aiuto pubblico allo sviluppo, approvate dalla Camera dei deputati nella seduta del 26 ottobre 2011  121

Pubblicistica

§      I. Viciani ‘Cooperazione italiana ‘ceduta’ all’UE’, in: www.affarinternazionali.it, 12 dicembre 2010  137

§      H. Kharas, N. Unger ‘A Serious Approach to Development: Toward Success at the High Level Forum on Aid Effectiveness in Busan, Korea’, in: Global Economy and Development, aprile 2011  137

§      L. Chandy ‘It’s Compicated: the Challenge of Implementino the Paris Declaration on Aid Effectiveness’, in: Global Economy and Development, 22 settembre 2011  137

§      I. Viciani ‘La cooperazione italiana finisce ‘fuori classe’’, in: www.affarinternazionali.it, 29 settembre 2011  137

§      I. Viciani ‘Legge di stabilità – Colpo di grazia alla cooperazione italiana’, in: www.affarinternazionali.it, 27 ottobre 2011  137

§      I. Viciani ‘Il ruolo del nuovo ministro per la cooperazione’, in: www.affarinternazionali.it , 21 novembre 2011  137

Documentazione

§      ‘Aid Effectiveness 2005-10: Progress in implementing the Paris Declaration’, 4th High Level Forum on Aid Effetiveness, 29 Nov-1 Dec 2011  3

§      OCSE – DAC, Peer Review - Main Findings and Recommendations. Italy 2009, november 2009  3

§      ’The Paris Declaration on Aid Effectiveness and the Accra Agenda for Action – 2005/2008’3

§      L’Italia e la lotta alla povertà nel mondo: Fuori classe. Actionaid, settembre 2011  3

§      Ministero degli Affari Esteri – La cooperazione italiana allo sviluppo nel triennio 2011-2013 (Linee guida e indirizzi di programmazione)3

§      Posizione comune dell’UE per il quarto forum ad alto livello sull’efficacia degli aiuti3

 

 


SIWEB

Schede di lettura


 

Il IV Forum di Alto livello sull’efficacia degli aiuti
(Busan, 29.11 - 01.12 2011)

Dal 29 novembre al 1° dicembre 2011 si terrà a Busan, in Corea del Sud, il IV Forum di Alto livello sull’efficacia degli aiuti che dovrà valutare i progressi effettuati verso i target fissati nella Dichiarazione di Parigi del 2005, riconfermati dal Piano d’azione di Accra (2008), e programmare gli interventi futuri. Il Vertice di Busan fa seguito a quelli di Roma (2003), di Parigi (2005) e di Accra (2008).

Nel febbraio 2003 si sono riuniti a Roma i rappresentanti del Comitato per l’aiuto allo sviluppo dell’OCSE (DAC), i leader delle grandi banche multilaterali di sviluppo e delle maggiori organizzazioni internazionali, i rappresentanti dei paesi donatori e di quelli riceventi, per il Forum ad alto livello sull'armonizzazione degli aiuti conclusosi con la Dichiarazione di Roma per l’armonizzazione.

In quella sede per la prima volta furono inseriti in un documento scritto – impegnativo per i paesi donatori - i princìpi per l’efficacia degli aiuti. La Dichiarazione di Roma ha definito un programma ambizioso di rafforzamento dell’efficacia degli interventi d’aiuto allo sviluppo, mediante il coordinamento tra donatori, la complementarietà degli interventi e l’armonizzazione delle procedure di concessione degli aiuti.

Al Forum di alto livello di Roma ha fatto seguito il Forum di Parigi del 2005. La Paris Declaration è stata sottoscritta da oltre 100 tra donatori ed istituzioni finanziarie internazionali oltre che da paesi in via di sviluppo ai quali, per la prima volta, è stato chiesta un’assunzione di responsabilità diretta nella realizzazione delle attività di cooperazione. La Dichiarazione di Parigi ha stabilito i cinque princìpi cui la comunità internazionale deve uniformarsi, per rendere più efficace l’aiuto allo sviluppo:

§      Ownership: i Pvs esercitano la leadership riguardo le proprie politiche di sviluppo, le strategie e il coordinamento delle iniziative per lo sviluppo stesso. I paesi donatori sono responsabili nel sostenere e facilitare tale leadership.

§      Alignment: i paesi donatori allineano le attività alle strategie di sviluppo dei paesi beneficiari, utilizzando i loro sistemi locali.

§      Harmonisation: i paesi donatori coordinano la propria azione, semplificando le procedure e condividendo le informazioni per ridurre sovrapposizioni e duplicazioni.

§      Managing for results: le attività dei donatori e dei paesi beneficiari devono essere orientate al raggiungimento di risultati verificabili. I paesi donatori devono sostenere i Pvs nella realizzazione di meccanismi di monitoraggio che misurino i progressi rispetto agli elementi chiave delle strategie di sviluppo nazionali.

§      Mutual accountability: i paesi donatori e i paesi beneficiari sono reciprocamente responsabili per i progressi conseguiti nell’efficacia degli aiuti e per i risultati ottenuti in termini di sviluppo.

Tali obiettivi sono stati accompagnati da dodici indicatori di efficacia dell’aiuto, per verificare concretamente i progressi conseguiti. Sia i paesi donatori che i paesi partner, servendosi di tali indicatori, devono poter valutare congiuntamente e reciprocamente i progressi ottenuti nella realizzazione degli impegni assunti, in un’ottica di slegamento dell’aiuto che migliori l’efficacia e l’efficienza delle attività di cooperazione.

Si sono svolti tre cicli di monitoraggio degli indicatori: nel 2006 e nel 2008 i primi due e, dall’ultimo trimestre del 2010 fino al marzo 2011, il terzo ciclo. I risultati del monitoraggio, così come la valutazione dell’implementazione della Dichiarazione di Parigi da parte di un gruppo indipendente che include anche paesi partner, costituiranno materia di dibattito al Forum di Busan.

La valutazione dell’implementazione della Dichiarazione di Parigi sull’efficacia degli aiuti è parte integrante della Dichiarazione stessa. Una prima fase della valutazione, presentata al Forum di Alto Livello di Accra nel 2008, era prevalentemente focalizzata sui metodi per migliorare l’implementazione e non forniva giudizi circa l’effettiva efficacia; questo tema sarà invece al centro della seconda fase della valutazione e verrà affrontato a Busan.

L’Agenda di Accra, adottata nel 2008, aveva la funzione di rilanciare e approfondire la Dichiarazione di Parigi, sulla scorta dei progressi fino a quel momento effettuati, fissando alcuni punti cardine:

§      prevedibilità: i donatori forniranno ai paesi partner le informazioni circa gli aiuti che prevedono di accordare ai propri partner con 3-5 anni di anticipo;

§      sistemi nazionali: per fornire gli aiuti, saranno utilizzati prioritariamente i sistemi nazionali dei paesi partner invece di quelli dei paesi donatori;

§         condizionalità: i donatori forniranno gli aiuti non più imponendo condizioni sul modo e il momento di erogarli, ma basandosi sugli specifici obiettivi di sviluppo dei Paesi riceventi;

§         slegamento degli aiuti: i donatori attenueranno le restrizioni che impediscono ai paesi in via di sviluppo di acquistare merci e servizi da chiunque e dovunque riescano ad ottenere la qualità migliore al prezzo più basso.

L’Agenda di Accra poneva fortemente l’accento sulla costruzione delle capacità locali, necessarie alla gestione in proprio del futuro da parte dei singoli pvs.

 

Il Forum di Busan discuterà anche dei dati emersi dal monitoraggio dei Princìpi per il corretto impegno negli Stati Fragili (FSPs) , ossia in quegli Stati con una debole capacità di espletare le basilari funzioni di governo della popolazione e del territorio e che sono molto lontani dalla realizzazione degli Obiettivi del Millennio (fino al 75% del deficit nel raggiungimento).

I Princìpi per gli Stati Fragili, adottati dall’OCSE nel 2007, contengono una serie di linee guida per gli attori coinvolti nella cooperazione allo sviluppo, nel peacebuilding, nella costruzione delle istituzioni e delle strutture di sicurezza negli Stati fragili e in quelli nei quali si svolgono conflitti, che necessitano di un particolare, specifico approccio.

L’implementazione dei Princìpi per gli Stati Fragili è monitorata attraverso sondaggi a livello nazionale che hanno lo scopo di fare il punto sull’impegno internazionale nei paesi partecipanti. E’ attualmente in corso il secondo round di monitoraggio, al quale partecipano 14 paesi[1]: tutti, tranne la Somalia, partecipano anche alla valutazione circa l’implementazione della Dichiarazione di Parigi.

Nel primo rapporto di monitoraggio dei Princìpi negli Stati Fragili (anno 2009) riferito a sei paesi (Afghanistan, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Haiti, Sierra Leone e Timor Est) si leggeva che gli aiuti agli stati fragili rappresentavano il 30% circa del totale degli aiuti forniti dall’ODA (Official Development Assistance) e che le missioni delle Nazioni Unite in quei luoghi erano al loro massimo storico (116mila caschi blu: otto volte in più di quelli impiegati nel 1999).

Al Forum di Busan, i circa duemila delegati attesi avranno dunque  il compito di  esaminare il progresso globale sul miglioramento dell’efficacia degli aiuti, ma anche di fissare una nuova agenda per lo sviluppo. La riuscita del IV Forum dipenderà da molti fattori, a partire dalla possibilità di fissare nuove linee guida basate sul princìpio dell’eliminazione di tutte le politiche che ostacolano il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo.

 

Il tema dell’efficacia degli aiuti è di prioritaria importanza per la Cooperazione italiana: nelle Linee – guida e indirizzi di programmazione per il triennio 2011-2013  viene dichiarata l’intenzione di proseguire nella strada già intrapresa di adeguamento ai princìpi e criteri fissati a Parigi e ad Accrain materia di efficacia degli aiuti, nonostante la “netta riduzione dei fondi della Cooperazione del Ministero Affari Esteri” per il triennio in questione.

In  tale direzione, gli indirizzi di programmazione della politica di cooperazione sono sempre più improntati al princìpio del cosiddetto whole of country approach che, a partire dal momento della  Presidenza italiana del G8 nel 2009,  è sempre più praticato, con il coinvolgimento di un numero sempre maggiore di attori e di strumenti.

La Direzione Generale per la Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli Affari esteri ha elaborato un Piano Programmatico per l’efficacia degli aiuti (luglio 2009 - dicembre 2010) alla scadenza del quale si è decisa la prosecuzione delle attività ancora in corso, nonché la realizzazione di nuovi progetti, nella cornice di un “Secondo Piano programmatico per l’efficacia degli aiuti”. Nell’ambito del Primo Piano sono state realizzate una serie di attività tra le quali l’elaborazione di Linee guida settoriali e di marker di efficacia che, con l’attribuzione di un punteggio di merito ai singoli aspetti dei progetti di cooperazione, sono in grado di valutare le iniziative di cooperazione bilaterale intergovernativa sotto il profilo dell’efficienza. I risultati ottenuti dai due Piani efficacia (entrambi gestiti dal Gruppo Efficacia) saranno presentati al Foro di Busan.

 

Il 21 luglio 2010 il sottosegretario agli Affari esteri, Vincenzo Scotti, nel rispondere, presso la Commissione Esteri della camera, all’interrogazione 5-03062 Villecco Calipari sulle iniziative volte a migliorare l'efficacia degli aiuti italiani allo sviluppo, ha fornito un quadro dettagliato delle azioni realizzate nell’ambito del primo Piano Programmatico Nazionale per l'efficacia degli aiuti e di quelle ancora da realizzare, fra le quali una proposta su come assicurare ulteriormente il cosiddetto “slegamento dell'aiuto”, favorendo ancor di più l'acquisto di beni e servizi locali.

 

Si ricorda inoltre che nella seduta della Commissione esteri della Camera del 20 giugno 2011, è stata approvata la risoluzione d’iniziativa dell’on. Tempestini n. 8-00129sulla partecipazione italiana a banche e fondi di sviluppo a carattere multilaterale.

La risoluzione impegna il Governo ad una tempestiva presentazione della Relazione annuale sull'attività di banche e fondi di sviluppo a carattere multilaterale per il 2010 che consenta al Parlamento di effettuare un esame accurato circa gli impegni assunti dall’Italia all’interno delle singole istituzioni finanziarie internazionali, corredandola di tabelle relative ai singoli impegni finanziari assunti dall'Italia, sia per il 2010 che per il 2009, nonché di un approfondimento di natura strategica e programmatica sulla partecipazione dell'Italia alle banche e ai fondi di sviluppo a carattere multilaterale per il triennio 2011-2013, anche con riferimento alla presenza italiana ai livelli di management presso tali organismi.

 

Successivamente, la Commissione Esteri, nelle sedute del 7 e 13 luglio 2011, ha discusso una risoluzione (7-00585) dell’On. Barbi sulle politiche di cooperazione allo sviluppo, approvando la risoluzione conclusiva n. 8-00132, nella quale si impegna il Governo a “cogliere l'opportunità strategica della cooperazione delegata a livello europeo nell'ambito delle attività di cooperazione allo sviluppo”, mettendo in sinergia tutti i livelli istituzionali coinvolti e, conseguentemente, a valorizzare e mettere in sinergia i diversi livelli istituzionali, per “mantenere anche in futuro il tema della cooperazione delegata quale priorità dell'agenda politica dell'esecutivo”, migliorando e qualificando altresì a tal fine la presenza di personale italiano nelle sedi europee.

 

Nella seduta del 26 ottobre 2011, infine, l’Assemblea di Montecitorio ha concluso la discussione – iniziata il 18 aprile – di mozioni in ordine alle iniziative per garantire la trasparenza delle informazioni relative all’aiuto pubblico allo sviluppo: i documenti approvati impegnano il Governo, tra l’altro, a servirsi della rete Internet per dare la massima pubblicità alle iniziative e valutazioni prodotte dalla Direzione generale per la cooperazione sviluppo, incluse le relazioni al Parlamento del Dipartimento del Tesoro sui rapporti con le banche e fondi internazionali di sviluppo. L'Esecutivo dovrà inoltre, in accordo con gli orientamenti dell'Unione europea, adottare misure di ottimizzazione della trasparenza sulle risorse per la cooperazione allo sviluppo, anche dedicando apposite risorse, nonché aderendo all’Iniziativa internazionale per la trasparenza dell’aiuto (IATI) e approfittando del prossimo Forum di Busan sulla valutazione dell’efficacia degli aiuti per un’ulteriore puntualizzazione anche in ordine al tema della trasparenza. Oltre alla dimensione della trasparenza, il Governo è stato impegnato anche sul piano sostanziale a reintegrare le risorse da destinare all'aiuto allo sviluppo, con particolare riferimento a quelle gestite dalle Organizzazioni non governative, nonché ad esercitare una particolare sorveglianza sull'efficacia degli aiuti relativamente ai diritti delle donne, al cosiddetto slegamento dell'aiuto e alla finalizzazione effettiva per la riduzione della povertà del medesimo. Il Governo dovrà altresì riferire al Parlamento sullo stato di attuazione della partecipazione del nostro paese alla realizzazione degli Obiettivi del Millennio delle Nazioni Unite.

L’attività del Comitato permanente sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio

Nel corso di questa Legislatura è stato costituito – all’interno della Commissione affari esteri della Camera (III Commissione) un Comitato permanente, presieduto dall'on. Enrico Pianetta, dedicato a seguire da vicino i progressi verso il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. Il Comitato ha – fra gli altri – il compito di rendere più incisiva l’azione del Parlamento nei confronti del Governo italiano e delle organizzazioni internazionali per il rafforzamento delle politiche di contrasto alla povertà. L’Italia, infatti, ha fatto propri gli Obiettivi del Millennio quali linee guida della propria politica di cooperazione allo sviluppo e si è particolarmente adoperata per la realizzazione dell’Obiettivo 6 (lotta ad AIDS, e altre malattie) destinando rilevanti risorse al Fondo Globale per la lotta all'AIDS alla TBC e alla malaria.

Il Comitato permanente sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio ha svolto una serie di audizioni, per lo più nel quadro di una Indagine conoscitiva, volta ad approfondire l'attività posta in essere dalla comunità internazionale, ed in particolare dal Governo italiano, per il raggiungimento degli otto Obiettivi.

La prima fase dell’indagine si è conclusa il 24 giugno 2009 con l’adozione di un documento intermedio e con un Seminario interparlamentare organizzato dal Comitato permanente sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio in collaborazione con la Campagna del Millennio delle Nazioni Unite sul tema “Il ruolo dei Parlamenti nazionali per gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio”.

L'Indagine conoscitiva è terminata il 1° febbraio 2011 con l'approvazione di un documento conclusivo.

Il Comitato Permanente sugli obiettivi di Sviluppo del Millennio ha altresì esaminato la  Relazione del governo sull’attività di Banche e Fondi di sviluppo a carattere multilaterale che dà conto della partecipazione italiana a tali istituzioni. La Relazione per l’anno 2008 (Doc. LV, n.3-bis) è stata oggetto della seduta del 29 giugno 2010, mentre quella per il 2009 (Doc. LV, n. 4-bis) è stata discussa nelle sedute del 7 giugno e del 15 giugno 2011.

 

Nelle sedute del 3 giugno 2010 e del 10 giugno 2010, il Comitato ha esaminato il documento europeo relativo al Piano d'azione in dodici punti a sostegno degli obiettivi di sviluppo del millennio (COM(2010)159 def.) che individua una serie di azioni da mettere in atto per imprimere un’accelerazione volta al conseguimento degli otto Obiettivi di Sviluppo del Millennio, a cinque anni dalla scadenza del 2015.

 

Nella seduta del 5 ottobre 2010 , il Comitato permanente sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio ha svolto un dibattito sulle comunicazioni del Presidente relative alla missione a New York di una delegazione dello stesso Comitato per presenziare al Millennium Summit (20-22 settembre 2010). Il presidente ha dato conto dei contenuti dei diversi incontri avuti dalla delegazione parlamentare e della intenzione di realizzare un’iniziativa finalizzata a dare visibilità al lavoro di indagine in corso presso la Commissione.

 


Il modello italiano di cooperazione allo sviluppo

La politica italiana di cooperazione allo sviluppo ha assunto un assetto sistematico a partire dal 1979, data dalla quale la crescita qualitativa e quantitativa degli interventi in diverse aree geografiche ha reso necessario un riordino complessivo (legge 49/1987 vigente) della materia, tale da rendere la cooperazione allo sviluppo un aspetto essenziale della politica estera del nostro Paese.

La cooperazione bilaterale italiana agisce in base a criteri di priorità geografica e di concentrazione degli aiuti, realizzando piani di intervento integrati. Questi a loro volta possono limitarsi ad assistenza tecnica, ovvero estendersi alla messa in atto di progetti più complessi.

Uno degli aspetti più importanti della cooperazione italiana risiede nel trasferimento di conoscenze scientifiche e tecniche disponibili nel sistema produttivo nazionale e nella rete delle istituzioni di ricerca. Non va inoltre trascurato il ruolo delle Regioni e degli Enti locali (cosiddetta “cooperazione decentrata”), le cui iniziative sono coordinate al livello centrale in un’apposita struttura presso la Direzione generale della cooperazione allo sviluppo del ministero degli Affari Esteri.

Un’altra parte importante della politica di cooperazione allo sviluppo è attuata mediante collaborazione con organismi multilaterali internazionali. La partecipazione italiana alla dimensione multilaterale allo sviluppo si attua anzitutto mediante il cofinanziamento del capitale di varie banche e fondi di sviluppo; inoltre rileva particolarmente il sostegno al bilancio e alle attività di vari organismi internazionali, tra i quali fanno spicco gli Istituti specializzati dell’ONU. Non va poi dimenticato che l’Italia compartecipa agli stanziamenti per l’aiuto allo sviluppo determinati in sede di Unione Europea. Quasi un terzo dell’APS italiano è canalizzato tramite la Commissione Europea, per due distinte finalità: 1) quale quota-parte nazionale dovuta al Fondo Europeo di Sviluppo (FES/FED), per finanziare le attività previste dal nuovo accordo ACP-UE, firmato a Cotonou nel giugno 2000, e modificato da un successivo accordo del 2005. l’Italia si colloca, per il periodo 2008-2013 al quarto posto tra i paesi contributori (dopo Germania, Francia e Regno Unito) fornendo un contributo di 2,916 miliardi di Euro, pari al  12,86% dell’intero X FES.

Un ulteriore aspetto fondamentale della cooperazione allo sviluppo è rappresentato dal ruolo del settore privato nelle economie dei PVS. Va infatti notato che i flussi finanziari originati dall’APS a livello internazionale verso i PVS rappresentano soltanto un quinto del totale dei movimenti di capitali privati e degli investimenti diretti (IDE) verso i PVS.

 

Quadro normativo

La più recente regolamentazione organica in Italia in materia di cooperazione allo sviluppo, come sopra già ricordato, è rappresentata dalla legge 26 febbraio 1987, n. 49, "Nuova disciplina della cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo", la cui adozione fu sostenuta da un vasto consenso politico. La legge pone come fine della cooperazione allo sviluppo sia gli interventi di medio-lungo periodo, sia gli interventi straordinari.

Essa introduce inoltre una notevole innovazione definendo la cooperazione come "parte integrante della politica estera dell'Italia", differenziando così lo strumento della cooperazione dal ruolo di promozione dell'economia italiana sul mercato internazionale. A questo principio si affianca quello in base a cui la politica di cooperazione dell'Italia deve ispirarsi ai criteri sanciti dalle Nazioni Unite e dalla Comunità europea, riconoscendo così l'importanza della interrelazione tra i diversi strumenti di aiuto internazionale.

La legge disegna un complesso sistema di organi, procedure e strumenti caratterizzati da una forte autonomia e specialità rispetto alle norme generali. Essa traccia le linee portanti dell'intervento di cooperazione, rinviando la disciplina di dettaglio non solo ad atti normativi secondari del Governo (regolamento di esecuzione, adottato con DPR 12 aprile 1988, n. 177, e decreti ministeriali) ma anche alle delibere degli organi istituiti dalla legge stessa, ossia il Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo (CICS), organo ad hoc subentrato nelle funzioni già assegnate al CIPE prima e al CIPES poi, ed il Comitato direzionale.

I principali strumenti d'intervento per realizzare le iniziative di cooperazione bilaterale sono il dono e il credito d'aiuto. La scelta dello strumento da utilizzare nei singoli casi dipende essenzialmente dalle condizioni economiche del paese beneficiario e dal tipo e dimensione dell'intervento, secondo criteri stabiliti dal CICS con proprie delibere.

Da un punto di vista finanziario, i mezzi per provvedere rispettivamente ai doni ed ai crediti vengono destinati su base annuale, con legge finanziaria, a due diversi fondi: il Fondo speciale per la cooperazione allo sviluppo ed il Fondo rotativo presso il Mediocredito centrale. Entrambi i fondi sono dotati di una speciale autonomia che li sottrae alle procedure di contabilità ordinaria.

Ai sensi della legge n. 49 del 1987, l'attività di cooperazione si svolge attraverso due canali: quello degli accordi bilaterali tra l'Italia e i singoli paesi in via di sviluppo, di cui si è detto, e quello degli accordi multilaterali. Questo secondo canale raccorda la politica di cooperazione dell'Italia con quella svolta a livello internazionale dall’Unione europea e da organizzazioni internazionali (per lo più agenzie specializzate dell'ONU). Le singole nazioni partecipano alla politica internazionale degli aiuti ai paesi in via di sviluppo attraverso la contribuzione a banche o fondi internazionali oppure il versamento di contributi volontari o obbligatori agli organismi delle Nazioni Unite.

Anche la materia della partecipazione dell'Italia a banche e fondi di sviluppo a carattere multilaterale è disciplinata dalla legge 26 febbraio 1987, n. 49 "Nuova disciplina della cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo". In particolare, l'articolo 4 della legge n. 49, attribuisce al Ministro dell’economia, in conformità con i criteri stabiliti dal Comitato interministeriale e d'intesa con i Ministri degli esteri e dell’economia, la cura delle relazioni con tali banche e fondi di sviluppo, nonché il compito di assicurare la partecipazione finanziaria dell'Italia alle risorse di detti organismi e la concessione dei contributi obbligatori agli altri organismi multilaterali di aiuto ai paesi in via di sviluppo. La concessione di contributi volontari ad organismi multilaterali rientra invece tra le finalità proprie della cooperazione a dono ed è gestita dalla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri.

Pur senza giungere ad una riforma organica della disciplina della cooperazione allo sviluppo, a partire dalla fine del 1991 sono intervenute una serie di modifiche legislative, alcune delle quali fortemente incisive; la ratio che unifica molti degli interventi in questione è quella di ricondurre all'ordinario molte delle norme che caratterizzavano la specialità, ormai entrata in crisi, dell'intervento di cooperazione.

Si ricorda, infine, il tema della riduzione del debito estero dei Paesi in via di sviluppo, e in particolare la legge 25 luglio 2000, n. 209, recante “Misure per la riduzione del debito estero dei Paesi a più basso reddito e maggiormente indebitati”.

Il provvedimento è diretto a rendere operative le intese raggiunte dai Paesi creditori in ambito multilaterale in tema di trattamento del debito estero, nonché a favorire e promuovere misure destinate alla riduzione della povertà delle loro popolazioni. Per i soli Paesi aderenti all’Iniziativa HIPC (Paesi poveri altamente indebitati), tale annullamento può essere concesso a condizioni diverse da quelle concordate in ambito multilaterale.

Le risorse dell’APS italiano

Gli stanziamenti destinati all'aiuto pubblico allo sviluppo sono suddivisi tra numerosi capitoli degli stati di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministero degli Affari esteri. Si segnalano in particolare:

 

a)    La cooperazione a dono. Fino a tutto il 1994 i relativi stanziamenti erano assegnati al cap. 4620/esteri "Fondo speciale per la cooperazione allo sviluppo", che aveva carattere di gestione fuori bilancio; a partire dal bilancio 1995 il fondo è stato riportato a regime ordinario, ai sensi dell'art. 4 della legge 23 dicembre 1993, n. 559 "Disciplina della soppressione delle gestioni fuori bilancio nell'ambito delle Amministrazioni dello Stato". Gli stanziamenti del Fondo sono attualmente ripartiti tra 17 capitoli[2], tutti afferenti al Programma 4.2, Cooperazione allo sviluppo dello stato di previsione del Ministero degli affari esteri, nel quale tuttavia sono frammisti a numerosi altri capitoli.

La legge di stabilità 2012 ha previsto, in tabella C, i seguenti stanziamenti di competenza per la cooperazione a dono:

 

                                           (milioni di euro)

 

2012

2013

2014

86,5

139,4

124,9

 

 

 

Segue una breve serie storica di tali stanziamenti:

 

(milioni di euro)

 

legge

finanziaria

2006

legge

finanziaria

2007

legge

finanziaria

2008

legge

finanziaria

2009

legge

finanziaria

2010

legge di stabilitá

2011

proiez.

 

2012

 

392

 

647

 

732,8

 

321,8

 

327

 

176,3

 

179,7

 

 

 

b)    Fondo rotativo presso il Mediocredito centrale (ex cap. 7415/Ministero dell’economia e delle finanze). A valere su questo fondo erano erogati i crediti d'aiuto per programmi e progetti di sviluppo rispondenti alle finalità della legge e basati normalmente su accordi bilaterali. Faceva altresì capo al fondo rotativo il sostegno alle joint-ventures che rientrano nelle finalità della legge. Si rileva che già nel ddl di bilancio 2009 il capitolo risultava soppresso, non prevedendosi appostamenti a carico di esso nell’imminente esercizio finanziario.

 

c)    Le attività di cooperazione multilaterale, per le quali sono previsti appositi stanziamenti, si sostanziano nella partecipazione alle iniziative comunitarie e nei contributi obbligatori e nei finanziamenti a banche e fondi di sviluppo. Si tratta dei seguenti capitoli dello stato di previsione del MEF – afferenti al Programma 4.11, Politica economica e finanziaria in ambito internazionale -, con i relativi stanziamenti di competenza come da legge di bilancio 2012:

 

 

 

Capitolo

2012

2013

2014

1647-Esecuzione degli Accordi tra la UE e i Paesi ACP (Africa, Caraibi, Pacifico)            

470.000

470.000

470.000

1649 – Partecipazione italiana allo strumento finanziario internazionale per le vaccinazioni (IFFM)

27.500

27.500

27.500

7175 – Partecipazione italiana al finanziamento di banche e fondi internazionali di sviluppo [3]

-

-

-

 

Le iniziative legislative di riforma nelle ultime legislature

Il disegno normativo tracciato dalla legge n. 49 del 1987 si è tuttavia presto rivelato inadeguato.

Non solo si andava ampliando la cooperazione a diretta conduzione dell'Unione Europea (a seguito dell'introduzione nel Trattato di Maastricht di uno specifico Titolo avente ad oggetto la cooperazione allo sviluppo), ma soprattutto richiamavano attenzione i sospetti adombrati sulla gestione della cooperazione, tali da dare luogo a vicende giudiziarie e all'istituzione, nella XII legislatura, di un'apposita Commissione parlamentare d'inchiesta[4].

In quella temperie emerse per la prima volta, ad esempio, la proposta di affidare la gestione dei progetti di cooperazione ad una agenzia esterna, mantenendo alla struttura amministrativa statale il coordinamento, la decisione e la negoziazione.

Al contempo si susseguivano, sul piano normativo, più interventi legislativi, tali da erodere il regime di specialità disegnato dalla legge n. 49 del 1987 per la cooperazione.

Così, ad esempio, la disposizione della legge n. 49 che prevedeva in determinati casi il ricorso alla stipula di contratti in forma diretta e a trattativa privata per l'attuazione di iniziative di cooperazione, era abrogata da nuova disposizione (articolo 3 della legge 30 dicembre 1991, n. 412), che rendeva obbligatoria l'effettuazione di gare pubbliche secondo la normativa comunitaria (ad esclusione degli interventi straordinari e delle iniziative delle organizzazione non governative riconosciute idonee, secondo deroga poi estesa al settore delle attività di formazione e di ricerca dalla successiva legge 16 luglio 1993, n. 255). Ancora, il Fondo speciale per la cooperazione allo sviluppo (uno dei due strumenti finanziari previsto dalla legge n. 49 (l'altro è il Fondo rotativo presso il Mediocredito centrale) era soppresso (dall'articolo 4 della legge 23 dicembre 1993, n. 559), riconducendo quella gestione fuori bilancio alle ordinarie poste dello stato di previsione del Ministero degli affari esteri.

Infine, veniva soppresso il Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo (per effetto della legge 24 dicembre 1993, n. 537 e del d.P.R. 20 aprile 1994, n. 373), riconducendo l'indirizzo e la programmazione al CIPE, organo “generalista”.

Nella XIII legislatura, l'intento riformatore della legge n. 49 raccolse consensi presso ampia parte dello schieramento politico. Si giunse così all'approvazione presso il Senato prima e presso la Commissione esteri della Camera poi, di un disegno di legge di riforma della cooperazione allo sviluppo. Il successivo esame presso l'Assemblea fu tuttavia interrotto anche per l'intervenuta cessazione della legislatura.

Nella XIV legislatura furono presentati in Senato otto disegni di legge, ma i lavori del comitato ristretto istituito nell’ambito della Commissione esteri si chiusero senza la pubblicazione di un testo unificato. Dal raffronto dei progetti di riforma presentati, emerge come uno dei profili centrali e maggiormente dibattuti fosse già allora la collocazione istituzionale per così dire operativa della cooperazione, se posta entro una apposita Agenzia, o in un Ente per la cooperazione allo sviluppo ovvero in apposito dipartimento nell’ambito della Presidenza del Consiglio o ancora, mantenuta all'amministrazione degli affari esteri.

Nella XV legislatura, il tema della riforma della cooperazione allo sviluppo venne riproposto in Senato, oltre che con l’indagine conoscitiva deliberata nel gennaio 2007 dalla Commissione esteri (e conclusa il 26 febbraio 2008), con la presentazione di quattro disegni di legge di iniziativa parlamentare e, per la prima volta, di un disegno di legge governativo[5].

La collaborazione tra gruppi parlamentari e Governo in seno al Comitato ristretto ha dato vita, il 5 dicembre 2007, al testo unificato proposto dal relatore che si configurava non già come un disegno di legge delega – come era il ddl governativo – ma come un ddl ordinario contenente alcune deleghe su punti specifici.

Nonostante una generale condivisione di tale testo, alcuni membri del Comitato ristretto hanno continuato ad avanzare le loro riserve su alcuni aspetti cruciali della riforma, primo fra tutti, ancora una volta, l’istituzione e le caratteristiche dell’Agenzia per la cooperazione la cui istituzione era demandata, dall’art. 14 del testo unificato, a successivi decreti legislativi.

La Commissione ha stabilito quindi (5 dicembre 2007) di riprendere i lavori dell’indagine conoscitiva incentrando le successive audizioni sul testo base del relatore; a causa dello scioglimento anticipato delle Camere la Commissione non ha potuto portare a termine l’intero programma di audizioni né, di conseguenza, le successive fasi dell’iter del provvedimento.

 

Il testo unificato dei disegni di legge nn. 83, 517, 1260, 1398, 1537, 1599 e 1641

Il testo unificato di riforma della disciplina sulla Cooperazione allo sviluppo è composto di 20 articoli raggruppati in sei Capi.

Il Capo I delinea i principi fondamentali e le finalità della cooperazione allo sviluppo; viene riconfermato che essa è parte integrante della politica estera italiana e viene stabilita la finalità della costruzione di relazioni fondate sui principi di indipendenza e di partenariato.

Il Capo II (indirizzo politico, governo e controllo della cooperazione) stabilisce innanzitutto che la responsabilità politica è posta in capo al Ministro degli affari esteri e prevede l’elaborazione di un documento triennale di programmazione e di indirizzo, aggiornato annualmente, approvato dal Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro degli affari esteri con il parere delle competenti Commissioni parlamentari di Camera e Senato, della Conferenza unificata Stato, Regioni e autonomie locali e della Consulta per la cooperazione.

Inoltre, il Capo II istituisce un Vice Ministro competente ad hoc e un Fondo unico cui dovrebbero confluire tutte le risorse destinate all’APS, salvo quelle di competenza del Ministero dell’economia e delle finanze; istituisce anche un Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo (CICS), che costituisce la principale differenza rispetto all’impianto del disegno di legge di iniziativa governativa.

Il Capo III definisce gli ambiti di applicazione con riferimento ai contributi multilaterali, alle relazioni bilaterali, alle iniziative di carattere multibilaterale, all’emergenza umanitaria e alla questione della cooperazione decentrata.

Il Capo IV attribuisce al governo la delega per l’istituzione dell’Agenzia per la cooperazione e la solidarietà internazionale. Rispetto al ddl del governo, da cui prende spunto, il testo unificato si differenzia in parte nell’accentuare il carattere esecutivo dell’Agenzia stessa snellendone al contempo la struttura ed eliminando gli elementi che ne avrebbero potuto configurare un ruolo politico, che nel testo unificato del relatore spetta invece al Ministro degli esteri e al CICS.

Il Capo V è dedicato alla partecipazione della società civile nella realizzazione di programmi e progetti di cooperazione allo sviluppo, che deve avvenire sulla base del principio di sussidiarietà. Il Capo V conferisce una delega al governo ad adottare i decreti legislativi necessari a disciplinare il servizio civile prestato all'estero dai volontari internazionali e ad istituire una Consulta per la cooperazione allo sviluppo, rappresentativa dei soggetti della società civile, con il compito, tra l’altro, di fornire al Ministro degli esteri osservazioni e pareri su ogni aspetto della cooperazione e della solidarietà internazionale.

Il Capo VI, infine, contiene le clausole transitorie e finali.

 

 

 


La cooperazione allo sviluppo in
Francia, Germania, Regno Unito e Spagna
(a cura del Servizio Biblioteca)

 

Francia

La cooperazione allo sviluppo è una componente fondamentale della politica estera francese. Il dispositivo francese della cooperazione allo sviluppo è stato riformato nel 2004[6].

Le attuali linee-guida della cooperazione francese sono state fissate il 5 giugno 2009 dal Comité Interministériel de la cooperation internationale et du Développement (CCID)che ha deciso, in quella occasione, un insieme di misure per migliorare l’efficacia e la scelta degli obiettivi dell’aiuto francese, in un contesto segnato dai riflessi della crisi mondiale nei Paesi in via di sviluppo.

In Francia la cooperazione segue attualmente quattro indirizzi prioritari:

·         il sostegno ai paesi poveri attraverso il rafforzamento della capacità di scelta degli obiettivi e l’adeguamento delle modalità dell’azione francese di aiuto secondo forme differenziate di partenariato;

·         la cooperazione con i Paesi emergenti, dal Brasile alla Cina, vigilando sul posizionamento degli interessi economici e strategici francesi;

·         la partecipazione al finanziamento dell’azione europea e multilaterale al servizio di una migliore attenzione alle poste in gioco a livello globale;

·         l’aiuto ai paesi toccati dalle crisi, risultanti dalle catastrofi naturali o dai conflitti politico-militari.

L’insieme di queste azioni viene attuato nella prospettiva di stabilire accordi di associazione durevoli con i paesi in via di sviluppo, adattandosi alle loro diversità e valorizzando l’Aide publique au Développement (APD).

La recente creazione, in seno al Ministero degli Affari esteri, di una Direction Générale de la Mondialisation, du Développement et des Partenariats (DGM), nel marzo 2009, assicura in modo strategico l’approccio d’insieme delle relazioni francesi con i Paesi in via di sviluppo.

La cooperazione è organizzata intorno a tre ministeri che concentrano le funzioni di definizione, gestione e valutazione: il Ministère des Affaires Etrangères et Européennes,il Ministère de l’Economie, de l’Industrie et de l’Emploie,dal 2007, il Ministère de l’Immigration, de l’Integration, de l’Identité nationale et du Développement solidaire.

Le istanze e le istituzioni coinvolte sono:

·         il Secrétaire d’Etat chargé de la cooperation et de la francophonie,cheesercita una competenza trasversale di coordinamento dei differenti attori della cooperazione, sotto l’autorità del Ministro degli Affari esteri ed europei. Il Segretario di Stato è considerato il “capo fila” dell’APD francese;

·         il Comité Interministériel de la cooperation internationale et du Développement (CCID), che garantisce il coordinamento a livello interministeriale[7]. Il segretariato congiunto del CICID è assicurato dalla Direction Générale de la Mondialisation, du Développement et des Partenariats (DGM) del Ministero degli Affari esteri e dalla Direction Générale du Trésor et des politiques èconomiques (DGTPE) del Ministero dell’Economia, dell’Industria e dell’Occupazione. Si riunisce circa una volta al mese in presenza dell’Agence Française de Développement(AFD) e, dal 2007, del Ministero dell’immigrazione, dell’integrazione, dell’identità nazionale e dello sviluppo solidale;

·         la Conférence d’orientation stratégique et de programmation (COSP), che riunisce gli attori pubblici dell’aiuto francese sotto la presidenza del Segretario di Stato per la Cooperazione, stabilisce una programmazione di bilancio indicativa delle risorse, convalida i documenti-quadro di partenariato e rivede il portafogli delle operazioni in corso, dando concreta applicazione agli orientamenti decisi dal CICID;

·         la Direction Générale de la Mondialisation, du Développement et des Partenariats (DGM), che, oltre a garantire il co-segretariato del CICID, adempie anche altre funzioni di coordinamento con i diversi attori dell’aiuto[8];

·         la Direction Générale du Trésor et des politiques èconomiques (DGTPE), che assicura il co-segretariato del CICID attraverso il Servizio Affari multilaterali e sviluppo, diviso in due parti, bilaterale e multilaterale;

·         l’Agence Française de Développement (AFD) (ente pubblico con lo statuto di istituzione finanziaria specializzata), che è una banca di sviluppo nazionale, posta sotto la tutela del Ministero degli Affari esteri e del Ministero dell’Economia, dell’Industria e dell’Occupazione[9]. Presente in più di 50 paesi, l’AFD dà attuazione ai suoi interventi secondo l’attuale Plan d’Orientation Strategique (2007-2011). Nel 2008, l’AFD ha consacrato 3,5 miliardi di euro al finanziamento di azioni nelle tradizionali aree d’intervento e più di 1 miliardo di euro in favore dell’Oltremare francese;

·         France Coopération Internationale (FCI), un gruppo d’interesse pubblico, posto sotto la tutela del Ministero degli Affari esteri e del Ministero della Funzione pubblica, che assicura la consulenza francese alle missioni di assistenza tecnica, dà appoggio agli operatori francesi nell’ambito di finanziamenti multilaterali e anima la rete degli operatori francesi pubblici e privati.

A lato delle istituzioni pubbliche nazionali lavorano nel campo della cooperazione allo sviluppo francese altri attori, il cui ruolo è molto cresciuto negli ultimi anni:

·         il Conseil stratégique pour la coopération non governamentale, istanza di recente creazione, presieduta dal Ministro degli Affari esteri, che riunisce una ventina di personalità provenienti da diverse componenti della società civile con il compito di favorire il dialogo e la riflessione sulle questioni della solidarietà internazionale e su come affrontare le grandi sfide globali;

·         la Commission Coopération Développenment, commissione interministeriale presso il Ministero degli Affari esteri che riunisce in modo paritario rappresentanti delle amministrazioni e delle Organizzazioni non governative (ONG) ed assicura la realizzazione di progetti di cofinanziamento[10]. La Commissione ha il compito di favorire la concertazione tra i poteri pubblici e le Organizzazioni di solidarietà internazionale (OSI) coinvolte nella lotta contro la povertà e le disuguaglianze, l’aiuto allo sviluppo e l’azione umanitaria[11];

·         le Collettività territoriali, divenute attori privilegiati della cooperazione allo sviluppo[12]. Circa 1500 collettività territoriali (comuni, dipartimenti e regioni) partecipano alla cooperazione allo sviluppo attraverso cofinanziamenti e lo Stato sostiene attivamente la cooperazione decentrata. Le collettività si esprimono attraverso la Commission nationale de la Coopération Décentralisé (CNCD), presieduta dal Primo Ministro e composta in modo paritario da rappresentanti dei ministeri interessati e delle regioni, dipartimenti, città e loro raggruppamenti.

Anche il Parlamento francese è associato alla politica di cooperazione attraverso il controllo dell’azione del governo in questo settore. I suoi poteri in materia di adozione e di “seguito” dell’esecuzione delle leggi finanziarie sono stati rafforzati con la nuova legge sulle “lois de finance” del 1° agosto 2001 (c.d. LOLF)[13].

La cooperazione francese allo sviluppo, pur non limitandosi alla gestione di meri flussi finanziari o alla concessione di assistenza, si esprime tuttavia in gran parte attraverso il sistema dell’Aide publique au développement (APD).

L’APD può dare luogo a tre tipi di interventi: l’aiuto bilaterale (aiuto diretto da un paese ad un altro), l’aiuto europeo (attuato nel quadro dell’Unione europea) e l’aiuto multilaterale (attuato da organizzazioni e programmi internazionali).

L’aiuto bilaterale è concentrato su una zona di solidarietà prioritaria (ZSP), definita e periodicamente riveduta dal Comitato interministeriale per la cooperazione internazionale e lo sviluppo (CICID) che ne definisce le linee-guida. Per via dei legami storico-politici della Francia, i Paesi africani, l’insieme dei Paesi ACP e i Paesi francofoni sono oggetto di un’attenzione particolare. All’interno della ZSP, la cooperazione con il Paese si realizza attraverso un “accordo di partenariato e di sviluppo” che precisa in un arco pluriennale i settori di intervento e le modalità di attuazione dei progetti previsti. Al di fuori della ZSP, la cooperazione persegue essenzialmente obiettivi di presenza politica, culturale ed economica. L’aiuto bilaterale rappresenta di norma i tre quarti dell’aiuto francese allo sviluppo ed è ripartito secondo cinque modalità: aide humanitaire d’urgence (il più conosciuto al grande pubblico e consistente in contributi finanziari sotto forma di donazioni o prestiti); aide alimentaire; assistance technique (soprattutto consulenza e formazione); aide-projet (direttamente assegnato a progetti di sviluppo); aide-programme (consistente in differenti strumenti, quali l’aide-budgétaire globale o settoriale, l’alleggerimento dell’indebitamento, etc.). L’aiuto bilaterale è destinato soprattutto alla cooperazione tecnica e culturale, agli aiuti agli investimenti, nonché al sostegno economico e finanziario. Nel 2008, l’aiuto bilaterale francese ha raggiunto i 4.476 milioni di euro.

Per quanto riguarda l’aiuto europeo, l’Unione europea è il primo finanziatore nel mondo con circa il 60% dell’ammontare totale dell’aiuto, se si considera l’aiuto allo sviluppo erogato dall’UE e dai suoi Stati membri. Per aumentare l’impatto dell’aiuto europeo i paesi membri stanno cercando di sviluppare una politica di sviluppo integrata, secondo regole condivise (Consenso europeo per lo svilupppo[14]). Nel 2008 il contributo francese alla politica europea di sviluppo è stato di 1.753 milioni di euro.

Per ciò che concerne l’aiuto multilaterale, il contributo francese (comprensivo dell’aiuto nel quadro dell’UE, che ne costituisce il 57%) è stato di 3.087 milioni di euro nel 2008.

Con 7.562 milioni di euro di APD netto nel 2008, la Francia è il quarto Paese al mondo come volume totale di donazioni, mentre è il secondo dei Paesi del G8 come sforzo di aiuti in rapporto alla sua ricchezza nazionale, con lo 0,39 per cento del PIL dedicato all’APD[15].

Il principale strumento di finanziamento della cooperazione è il Fonds de solidarité prioritaire (FSP). Il Fondo ha il compito di finanziare, unicamente per donazione, l’aide-projet, ossia l’appoggio dato dal Ministero degli Affari esteri ai paesi della zona di solidarietà prioritaria (ZSP) in materia di sviluppo istituzionale, sociale, culturale e della ricerca. Il FSP è uno strumento privilegiato di partenariato con gli Stati, ma anche con gli altri finanziatori e la società civile. Istituzionale per vocazione, il Fondo può intervenire sull’insieme delle strutture nazionali di un paese: ministeri, collettività territoriali, enti pubblici. Contribuisce alla razionalizzazione dell’aiuto e favorisce l’attuazione di co-finanziamenti con altre organizzazioni internazionali (per esempio con l’UNICEF, l’OIL o l’OMS). Il Fondo, strumento di lotta contro la povertà, inserisce la società civile nel circuito della cooperazione sia direttamente, attraverso i suoi interventi a favore delle associazioni di solidarietà internazionale, sia indirettamente, attraverso i suoi progetti a favore dei più bisognosi. I contributi del Fondo finanziano progetti di sviluppo negoziati con gli Stati partners e sono sottoposti all’approvazione di un Comité des Projets.

I progetti sono di tre tipi:

·         progetti “Paese”, progetti bilaterali a favore dello sviluppo di un Paese “associato”;

·         progetti “inter-Stati”, di cui beneficia un gruppo di Paesi, di norma riuniti in un’organizzazione intergovernativa;

·         programmi di interesse generale, che assicurano contributi a temi settoriali trasversali di sviluppo.

All’APD tradizionale si aggiungono le nuove forme di “finanziamenti innovativi”, che designano meccanismi di finanziamento generanti risorse complementari all’APD tradizionale e sono caratterizzate da stabilità e prevedibilità.[16]In particolare, negli anni più recenti, tre meccanismi di finanziamento innovativo, l’UNITAID, l’IFFIM e l’AMC, hanno già permesso di mobilitare fino ad oggi circa due miliardi di dollari di finanziamento supplementare, stabile e prevedibile alla cooperazione allo sviluppo[17].

Germania

Il Ministero federale per la cooperazione economica e lo sviluppo (Bundesministerium für wirtschaftliche Zusammenarbeit und Entwicklung-BMZ)[18] è competente per la pianificazione e per l’attuazione della politica di cooperazione del Governo federale. I suoi compiti si concentrano nei seguenti ambiti:

·         definizione delle condizioni quadro;

·         sviluppo delle strategie di promozione bilaterali e multilaterali e sostegno dei programmi e progetti di sviluppo di paesi partners;

·         sostegno e promozione delle Organizzazioni non governative (NichtregierungsorganisationenNROs), operanti nel settore della cooperazione;

·         controllo preventivo e consuntivo dell’impiego dei fondi stanziati.

Sul versante parlamentare, il referente del Ministero è la Commissione permanente del Bundestag per la cooperazione economica e lo sviluppo (Ausschuss für wirtschaftliche Zusammenarbeit und Entwicklung)[19], che svolge una funzione istruttoria rispetto alle decisioni dell’Assemblea in materia di politica di cooperazione, formulando al riguardo apposite raccomandazioni (Beschlussempfehlung).

In particolare, il Parlamento federale interviene in due fasi distinte del circuito decisionale relativo alla cooperazione allo sviluppo: in primo luogo, al momento della ripartizione dei fondi disponibili, in sede di approvazione della Legge annuale di autorizzazione del piano economico del patrimonio separato-ERP (Gesetz über die Feststellung des Wirtschaftsplans des ERP-SondervermögensERP-Wirtschaftsplangesetz)[20]; successivamente, in sede di esame della Relazione sulla politica di cooperazione del Governo federale (Bericht zur Entwicklungspolitik der Bundesregierung), che il Governo trasmette al Parlamento ogni due anni[21].

Il quadro legislativo federale in materia di cooperazione allo sviluppo si articola in tre ambiti distinti: quello dell’aiuto finanziario ai paesi in via di sviluppo; quello della promozione degli investimenti privati nelle medesime aree; quello della disciplina dell’attività dei singoli operatori del settore.

La Legge sull’aiuto finanziario ai paesi in via di sviluppo mediante risorse finanziarie provenienti dal patrimonio separato – ERP (Gesetz über die Finanzierungshilfe für Entwicklungsländer aus Mitteln des ERP-Sondervermögens -ERPEntwicklungshilfegesetz)[22], del 9 giugno 1961, stabilisce, al § 1, che il Ministero federale dell’Economia, al fine di promuovere la cooperazione con i paesi in via di sviluppo, è autorizzato alla concessione di prestiti fino a 1.500 milioni di DM. Al riguardo, il § 3 della legge prevede espressamente che tali risorse finanziarie possano essere reperite attraverso:

·         il patrimonio separato – ERP, secondo la ripartizione indicata nella legge annuale di approvazione del relativo piano economico;

·         la costituzione di fondi mediante interessi sui crediti fino ad un massimo di 500 milioni di DM.

La Legge sulle misure fiscali per la promozione di investimenti di capitale privato in paesi in via di sviluppo (Gesetz über steurliche Massnahmen zür Forderung von privaten Kapitalanlagen in Entwicklungländer)[23],del 23 dicembre 1963, prevede che i contribuenti che effettuino investimenti di capitale nei paesi in via di sviluppo tramite un’impresa nazionale possano costituire una riserva nell’ambito dell’utile dell’impresa (§ 1).

Al riguardo, il § 6 della legge divide i paesi in via di sviluppo in due gruppi secondo il grado di sviluppo economico, mentre il § 1, comma 1, prevede che l’entità di tale riserva non possa eccedere il 100% e il 40% dell’importo complessivo dell’investimento di capitale, effettuato rispettivamente nei paesi del gruppo 1 e in quelli del gruppo 2. La legge detta, inoltre, le modalità di graduale estinzione di tale riserva negli anni successivi alla data della sua costituzione, secondo quote definite in relazione al paese beneficiario dell’investimento.

Fra le tipologie di investimenti di capitale (Kapitalanlagen) contemplate della legge, vi sono la partecipazione a società di capitali nei paesi in via di sviluppo, i prestiti, le quote di partecipazione in società di persone e l’apporto di beni patrimoniali. Le società o imprese devono occuparsi della produzione o fornitura di merci (escluse le armi), della riconversione di terreni agricoli, di agricoltura e del sostegno e sviluppo di attività commerciali.

La Legge che regolamenta la figura del cooperatore tecnico per i paesi in via di sviluppo (Entwicklungshelfer-Gesetz - EhfG)[24], del 18 giugno 1969, definisce, al § 1, tale figura come un prestatore d’opera senza fini di lucro che, nel quadro di cooperazioni multilaterali, opera per il progresso dei paesi emergenti. Il cooperatore tecnico (di nazionalità tedesca o della UE) dovrà essere assunto da un’istituzione attiva nel campo della cooperazione (Träger des Entwicklunsdienst),ovvero da una persona giuridica di diritto privato riconosciuta come tale dal Ministero federale per la cooperazione economica e lo sviluppo, per un periodo ininterrotto di almeno due anni.

Nel contratto di assunzione l’istituzione dovrà impegnarsi a fornire il denaro per il sostentamento dell’operatore e i beni materiali connessi allo svolgimento dei compiti assegnati (Unterhaltsleistungen),nonché le necessarie garanzie assicurative a favore dell’operatore e della sua famiglia. Alla scadenza del contratto, l’istituzione sarà inoltre tenuta a provvedere al reinserimento professionale dell’operatore di sviluppo.

In estrema sintesi, la procedura di elaborazione e di attuazione di un progetto di cooperazione prevede le seguenti fasi:

·         il Governo del paese in via di sviluppo o un altro soggetto elabora una proposta di progetto e ne propone il finanziamento al Governo federale;

·         il Ministero federale per la cooperazione economica e lo sviluppo valuta il progetto, in collaborazione con le organizzazioni statali specializzate che provvedono all’esame tecnico del progetto. Le maggiori organizzazioni competenti in questo ambito sono la Società tedesca per la cooperazione tecnica (Deutsche Gesellschaft für technische Zusammenarbeit) e l’Istituto di credito per la ricostruzione (Kreditanstalt für Wiederaufbau);

·         l’organizzazione competente, dopo aver esaminato il progetto, prepara una relazione al Ministero;

·         il Ministero federale per la cooperazione economica e lo sviluppo esamina la relazione e decide sull’operatività del progetto;

·         il Governo federale stipula un accordo con il governo del paese in via di sviluppo interessato;

·         il Ministero federale incarica l’organizzazione di sviluppare il progetto;

·         l’istituzione incaricata di seguire il progetto nel paese interessato procede alla sua realizzazione sotto il controllo degli organi competenti del paese stesso, della competente organizzazione tedesca e del Ministero federale[25].


Regno Unito

Il vigente quadro normativo e istituzionale della cooperazione allo sviluppo è il risultato di una riforma perseguita dal Governo britannico attraverso iniziative adottate nell’arco dello scorso decennio.

 

Il “Libro bianco” del 1997 e l’istituzione del DFID

Risale al 1997 l’istituzione del Department for International Development (DFID[26]), posto sotto la responsabilità di un Secretary of State e competente per le politiche governative intese a promuovere in sede internazionale lo sviluppo economico e la riduzione della povertà. Nel novero delle finalità istituzionali del Dipartimento (creato in sostituzione della precedente Overseas Development Administration, incardinata nel Ministero degli Esteri) rientrano l’instaurazione e lo sviluppo delle relazioni internazionali bilaterali e multilaterali con soggetti pubblici e privati (governi stranieri, organismi internazionali, imprese, associazioni esponenziali della società civile e del volontariato), con i quali intraprendere le iniziative necessarie alla realizzazione di obiettivi enunciati in Convenzioni e Risoluzioni delle Nazioni Unite e recepiti dal Governo britannico in specifici documenti programmatici.

Attraverso il DFID, il Regno Unito ha affrontato una spesa per la cooperazione di 5,5 miliardi di sterline nel periodo 2008/09 (di cui, rispettivamente, 3,3 miliardi per programmi bilaterali finanziati attraverso l’Unione Europea, la banca Mondiale e le agenzie ONU, e 2,2 miliardi per programmi multilaterali)[27], prevedendo di incrementarla complessivamente fino a 7,8 miliardi di sterline nel periodo 2010/11. Il Governo, inoltre, ha recentemente annunciato di voler aumentare gli stanziamenti per gli aiuti ai Paesi più poveri (come tali ora contrassegnati con il logo UKaid) dallo 0,36% del 2007/08 fino allo 0,7% nel 2013.

L’istituzione del Dipartimento suddetto ha il suo diretto antecedente (benché annunciata anche nel manifesto del Partito Laburista per le elezioni del maggio 1997) nel “Libro bianco” del 1997, intitolato Eliminating World Poverty: A Challenge for the 21st Century: White Paper on International Development[28], in cui si delineavano i principali obiettivi delle politiche di cooperazione allo sviluppo e si delimitavano gli ambiti di attività del nuovo dicastero.

Tra gli obiettivi indicati nel “Libro bianco” vi era in particolare quello, da conseguire entro il 2015, della riduzione della povertà su base mondiale attraverso il sostegno ad iniziative specifiche, nel presupposto della loro idoneità a ridurre il novero delle popolazioni che vivono in condizioni di estrema indigenza. Altro aspetto, cui il documento dava particolare rilievo per il buon esito degli interventi di cooperazione, era individuato nell'esistenza, nei Paesi beneficiari, di sistemi normativi e di prassi amministrative atti ad assicurare idonee condizioni politico-istituzionali (good governance). In relazione agli ordinamenti di quei Paesi, infatti, veniva affermata - sulla scorta di analoghe raccomandazioni espresse nel 1997 dalla Banca Mondiale (nel suo World Development Report) e dall'OCSE -, l'esigenza di adottare adeguate misure di contrasto della corruzione e dei fenomeni correlati, ritenuti suscettibili di scoraggiare gli investimenti, di innalzare il livello dei prezzi e di sviare la destinazione delle risorse verso iniziative improduttive, con negativi riflessi sull'occupazione. In mancanza di tali requisiti - ritenevano gli estensori del "Libro bianco" - la cooperazione avrebbe dovuto aver luogo solamente nel quadro di rapporti instaurati con organizzazioni non governative, enti locali ed associazioni della "società civile" [29].

Nel quadro degli interventi a beneficio dei Paesi poveri veniva dato risalto, oltre che alle misure a carattere assistenziale ed umanitario, alle iniziative dirette a promuovere l’autosufficienza economica di tali Paesi, da realizzare mediante il sostegno organizzativo fornito a progetti industriali, l'assistenza nel reperimento e nella gestione di risorse finanziarie, la consulenza prestata agli investitori; obiettivi che il Libro bianco includeva tra quelli da perseguire mediante accordi di partenariato economico (development partnership) con i Paesi destinatari degli interventi.

 

L’International Development Act 2002

Alle policies delineate nel “Libro bianco” del 1997 è stata conferita forza legislativa nel 2002 con l’International Development Act [30], le cui disposizioni hanno abilitato il già istituito Dipartimento a finanziare i progetti di cooperazione internazionale allo sviluppo, purché diretti alla riduzione della povertà o ad incrementare il benessere delle popolazioni di altri Stati o di Territori britannici d’oltremare, ad incentivare lo “sviluppo sostenibile” delle loro economie, ovvero ad alleviare, con interventi umanitari, le conseguenze negative provocate in tali Paesi da disastri o catastrofi naturali. A tale scopo il Ministro può anche adottare misure di sostegno nei confronti di enti (statutory bodies) od organizzazioni non governative la cui attività possa, a suo giudizio, contribuire alla realizzazione degli obiettivi accennati, nonché iniziative promozionali che possano favorire, nella pubblica opinione, la comprensione del fenomeno della “povertà globale”.

La nozione di “assistenza” ai Paesi terzi è definita dall’art. 5 della legge del 2002, che vi include gli aiuti di qualsivoglia natura, sia tecnica che finanziaria, compresa la fornitura di materiali e di know-how. Il testo legislativo conferma, inoltre, le forme di assistenza in materia educativa e culturale già svolte sotto l’egida della Commonwealth Scholarship Commission; amplia la gamma degli strumenti finanziari ai quali il Ministro (con l’assenso del Tesoro) può fare ricorso nel perseguire le note finalità; disciplina il regime dei conferimenti pubblici alle istituzioni finanziarie internazionali (quali la Banca Mondiale e la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo sviluppo), di cui la legge definisce anche lo status ai fini del diritto interno.

 

La Commonwealth Development Corporation

Un aspetto peculiare del sistema britannico è costituito dal conferimento di compiti rilevanti ad un istituto finanziario per lo sviluppo (Development Finance Institution) che, sebbene investito di una missione di interesse pubblico, opera con criteri privatistici e con lo statuto della società commerciale: l’ente in questione è la Commonwealth Development Corporation (CDC), che, istituita nel 1978[31] ed interamente controllata dal Dipartimento per la cooperazione in qualità di suo unico azionista, svolge la propria attività promuovendo gli investimenti nei Paesi poveri e rendendo accessibile il capitale di rischio alle imprese che vi si stabiliscono. L’intervento della CDC nei diversi settori economici, di norma, ha luogo senza l’effettuazione di investimenti diretti, ma attraverso l’allocazione di propri capitali in appositi fondi destinati a sostenere le imprese che investono nei settori economici emergenti di determinati Paesi; i fondi suddetti sono gestiti da fund managers con conoscenza dei mercati locali, dei loro rischi (ambientali, sociali, istituzionali) e delle loro opportunità[32].

Gli impegni finanziari della CDC sono effettuati avendo riguardo all’impatto ambientale e sociale delle iniziative  finanziate e alle condizioni istituzionali dei Paesi interessati, in conformità alle generali previsioni di un apposito “codice”[33]. Per la sua attività la CDC riceve, entro un limite predeterminato, finanziamenti dal Tesoro (public loans) ed a questi può fare ricorso per onorare le obbligazioni assunte; d’altra parte, in virtù del riconoscimento della personalità giuridica e per effetto della registrazione, essa è sottoposta al controllo degli organi pubblici di revisione (tra cui il National Audit Office, che ne riferisce al Parlamento) ed è tenuta ai comuni adempimenti societari.

Il modus operandi della Corporation contempla la predisposizione di indagini preliminari e di procedure di consultazione, affinché la definizione degli obiettivi e la redazione dei progetti di sviluppo avvengano in accordo con le autorità locali e nell'interesse della comunità residente. In ragione dei compiti particolari della Corporation, la legge istitutiva ne ha sottoposto l’operato a procedure di revisione e valutazione, prevedendo, a tale scopo, che essa risponda al Ministro competente – il quale può impartire direttive al riguardo - e riferisca anche alle Camere, alla conclusione di ciascun esercizio finanziario.

 

I documenti di indirizzo del 2005, del 2006 e del 2009

Nel decennio successivo all’istituzione del DFID il Governo del Regno Unito ha aggiornato le proprie politiche in materia di cooperazione allo sviluppo pubblicando ulteriori documenti programmatici e “Libri bianchi” sul tema.

Nel policy paper pubblicato nel 2005 (dal titolo Partnership for Poverty Reduction: rethinking conditionality[34]) si sono stabiliti, a distanza di cinque anni dall’avvio dell’iniziativa dei Millennium Development Goals (MDG) da parte dell’ONU[35], i termini di riferimento delle iniziative di cooperazione per quanto concerne gli assetti istituzionali dei Paesi beneficiari. Il documento ha segnato l’abbandono dell’impostazione (rivelatasi inefficace) diretta a condizionare gli aiuti all’adozione da parte di questi ultimi di determinati assetti di governo, nella convinzione che a ciascun Paese destinatario di programmi di cooperazione vada lasciata l’autonomia di definire le politiche idonee a perseguire gli obiettivi fissati nel quadro dei già richiamati MDG. E’ dunque iniziata una revisione della conditional policy applicata fino ad allora dal Regno Unito, al fine di conseguire un equilibrio tra l’autonomia delle politiche locali di sviluppo (ownership), l’effettiva rispondenza dell’utilizzazione degli aiuti alle loro finalità (accountability) e la prevedibilità degli aiuti da parte dei Paesi che li ricevono, in modo da consentire ad essi un’adeguata programmazione economica (predictability). Il nuovo approccio – esposto e motivato nel policy paper, pubblicato congiuntamente dal DFID, dal Tesoro e dal Ministero degli Esteri – è conforme, peraltro, ad orientamenti affermatisi nella comunità degli Stati donatori e recepiti nella dichiarazione di Parigi del 2 marzo 2005 sull’effettività degli aiuti[36].

In un successivo White Paper,  pubblicato nel 2006 dal Primo Ministro Blair (dal titolo Eliminating world poverty: making governance work for the poor[37]), è stato ribadito il fine ultimo di riduzione globale della povertà e sono stati fissati gli obiettivi per il quinquennio seguente, ponendo l’impegno del Governo, come già anticipato, di riservare entro il 2013 agli aiuti allo sviluppo lo 0,7% del prodotto interno lordo. Particolare attenzione è dedicata, nel documento, ai programmi destinati all’Africa subsahariana e, soprattutto, al tema del consolidamento delle istituzioni statali dei Paesi beneficiari dei programmi; a questo specifico riguardo si è prospettata l’adozione di criteri valutativi della qualità della governance dei Paesi destinatari degli aiuti, così da modulare gli interventi nelle forme più appropriate.

Un ulteriore “Libro bianco”, pubblicato nel 2009 ad esito di una consultazione pubblica promossa dal DFID (Eliminating World Poverty: Building our Common Future[38]), ha messo a fuoco il tema degli aiuti allo sviluppo nello scenario della globalizzazione e della interdipendenza tra le diverse aree geografiche mondiali. La povertà, il cambiamento climatico, la fragilità istituzionale e la conflittualità politica nei Paesi poveri sono individuati come problemi per la cui soluzione deve concentrarsi, nell’interesse comune di tutti gli Stati, lo sforzo prioritario dei Paesi più ricchi. Lo sviluppo, secondo questa impostazione, è un obiettivo che si misura rispetto alla prosperità delle popolazioni, alla loro sicurezza, all’equilibrio climatico, e risponde non più meramente a canoni morali, ma ad interessi condivisi dall’intera comunità internazionale.

Sulla base dell’analisi compiuta nel più recente “Libro bianco”, il Governo ha annunciato l’adozione di misure idonee a garantire l’efficacia degli aiuti forniti. Confermando il criterio già applicato, in base al quale i Paesi beneficiari dei programmi di aiuto sono designati avendo riguardo al reddito nazionale, all’ordine di grandezza della popolazione e alla sussistenza di presupposti per una corretta utilizzazione delle risorse, il Governo ha formulato il proposito di destinare, all’interno di ciascun programma di aiuto, una quota dei finanziamenti (pari al 5%) alle misure di tipo organizzativo ed istituzionale che possano assicurare la trasparenza e la accountability dei beneficiari.

 

La valutazione dei programmi di cooperazione

Il progressivo incremento delle risorse destinate dal Regno Unito alla cooperazione internazionale ha accentuato il ruolo della struttura del DFID (Evaluation Department) preposta alla valutazione circa l’impatto dei relativi programmi nei Paesi beneficiari. L’esigenza di disporre di valutazioni indipendenti e qualitativamente accurate, peraltro, è all’origine della creazione, nel dicembre 2007, di un apposito comitato, l’Independent Advisory Committee on Development Impact (IACDI). Con le proprie analisi, il comitato fornisce basi di informazione di cui si avvale il suddetto dipartimento per definire le strategie e priorità d’intervento del DFID [39].

 

 

Il controllo parlamentare

In materia di cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, peraltro, il legislatore ha recentemente inteso garantire, attraverso il controllo del Parlamento, una maggiore trasparenza circa l’utilizzazione dei fondi stanziati dal Governo. L’International Development (Reporting and Transparency) Act approvato nel 2006 ha completato, con le sue disposizioni, la disciplina del 2002 munendo di base legislativa l’obbligo referente verso il Parlamento del Ministro a capo del DFID e determinandone il contenuto. La legge dispone, infatti, che nella sua relazione annuale il Ministro fornisca indicazione specifica dei programmi di aiuto allo sviluppo posti in essere dal Governo, degli stanziamenti a tale scopo effettuati e dei criteri di utilizzazione dei fondi.

Sono stati così predisposti gli strumenti conoscitivi necessari ad un’analisi, da parte del Parlamento, della spesa complessivamente effettuata per la cooperazione internazionale (a cui il Regno Unito destina attualmente 6,5 milioni di sterline), nonché ad una valutazione dei progressi compiuti in relazione all’impegno (a cui ha aderito il Regno Unito) di riservare entro il 2015 lo 0,7% del prodotto interno lordo al perseguimento degli otto obiettivi dichiarati prioritari, nel 2000, dalle Nazioni Unite nel quadro dei Millennium Development Goals adottati nel 2000.

Tali obiettivi, giova ricordare, sono stati individuati nell’eliminazione dei casi più gravi di fame e povertà; nella generalizzazione dell’istruzione primaria; nella parità tra i sessi e nella tutela della condizione femminile; nella riduzione della mortalità infantile; nella tutela della salute delle donne in gravidanza; nella lotta all’AIDS, alla malaria ed altre malattie; nella sostenibilità ambientale; nell’assistenza allo sviluppo economico.

Nella relazione del Ministro devono, dunque, essere riportate informazioni puntuali riguardo il grado di realizzazione degli obiettivi suddetti, la coerenza rispetto a ciascuno di essi delle misure adottate, specie sotto il profilo della loro efficacia e trasparenza, nonché le iniziative riferite ai singoli ambiti regionali e ai differenti Paesi beneficiari, nel quadro degli accordi sia bilaterali che multilaterali conclusi dal Regno Unito.

 

Altre istituzioni

In materia di cooperazione internazionale è degno di nota il ruolo assolto, nel Regno Unito, da alcuni enti non governativi. Tra questi va menzionato almeno l’Overseas Development Institute (ODI), istituzione indipendente il cui patrocinio ha acquisito nel tempo notevole prestigio ed autorevolezza. Fine statutario dell’ODI è appunto quello di promuovere e di ispirare, attraverso la propria attività di ricerca in campo politico-economico, le iniziative sia pubbliche che private favorevoli ai Paesi più disagiati ed intese a ridurre in essi la povertà, ad alleviare le sofferenze della popolazione e ad assicurarvi uno sviluppo economico sostenibile [40].


Spagna

 

Ley 36/2010, de 22 de octubre, del Fondo para la Promoción del Desarrollo (BOE núm. 257)

(http://www.boe.es/boe/dias/2010/10/23/pdfs/BOE-A-2010-16131.pdf)

 

La legge 36/2010 riforma la disciplina degli aiuti allo sviluppo. Nel 1976 fu creato il Fondo de Ayuda al Desarrollo (FAD), con l’obiettivo di sostenere l’esportazione di beni e di servizi spagnoli e di favorire lo sviluppo dei Paesi beneficiari dei finanziamenti. Il FAD si è articolato mediante il finanziamento di crediti bilaterali seguendo le regole in materia di credito all’esportazione stabilite dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). In seguito il ruolo del FAD si è esteso ad iniziative di aiuto umanitario e di emergenza, contributi alle istituzioni finanziarie internazionali ed a fondi e programmi di aiuto delle organizzazioni internazionali. Questa diversificazione di funzioni e le sollecitazioni di alcune istituzioni internazionali hanno fatto emergere la necessità di una riforma del sistema di finanziamento allo sviluppo. Pertanto, la legge in esame istituisce un nuovo strumento denominato Fondo para la Promoción del Desarrollo (FONPRODE), con l’obiettivo di modificare il quadro normativo al fine di disporre di uno strumento finanziario adeguato di internazionalizzazione delle imprese, capace altresì di rispondere agli impegni in materia di aiuti allo sviluppo assunti dalla Spagna. Il Fondo è gestito dal Ministero degli Affari esteri e della cooperazione, attraverso la Segreteria di Stato alla cooperazione internazionale, con l’Agenzia spagnola di cooperazione internazionale in qualità di organo esecutivo. La creazione del FONPRODE persegue diverse finalità, tra cui:

a) dotare la politica spagnola di cooperazione internazionale per lo sviluppo di un canale finanziario adeguato ai requisiti di efficienza, coerenza e trasparenza che impone la gestione degli aiuti allo sviluppo;

b) permettere alla Spagna di aumentare il proprio contributo agli aiuti internazionali, consentendo così di arrivare entro il 2015 allo 0,7% del reddito nazionale lordo destinato alla cooperazione allo sviluppo;

c) escludere qualsiasi finalità commerciale dal FONPRODE e ricondurre gli aiuti all’esportazione di imprese spagnole all’estero all’interno degli strumenti specificamente creati allo scopo;

d) erogare aiuti finanziari nel rispetto delle raccomandazioni e delle indicazioni degli organismi multilaterali di sviluppo;

e) integrare pienamente il Fondo nella cooperazione, in maniera da divenire uno dei principali canali di esecuzione dei corrispondenti Piani della cooperazione spagnola;

f) utilizzare tale strumento nel finanziamento di quelle iniziative di cooperazione

giudicate più necessarie per dotare la cooperazione spagnola di una struttura di aiuto adeguata al suo status di importante Paese donatore.

Il Fondo finanzierà programmi e progetti di sviluppo, con carattere di donazione da Stato a Stato, nei Paesi meno sviluppati, nonché programmi di sviluppo e organismi multilaterali di sviluppo internazionali non finanziari di cui la Spagna fa parte, partecipando inoltre a fondi globali e fiduciari che si pongano come obiettivo la lotta alla povertà. Esso potrà altresì essere utilizzato per concedere crediti, prestiti e linee di finanziamento, compresi contributi a programmi di microfinanza, acquisizione temporanea di partecipazioni dirette o indirette a capitali in Paesi prioritari per la cooperazione spagnola.

La legge in oggetto di compone di tre capitoli, il primo dedicato alla creazione, natura, finalità, ambito di applicazione e principi di attuazione del FONPRODE (artt. 1-3), il secondo a gestione, procedimento di concessione e valutazione del Fondo (artt. 4-12), il terzo alle risorse del Fondo e alla figura dell’agente finanziario (artt. 13-17), cui seguono alcune disposizioni aggiuntive e finali.

In particolare l’art. 8 disciplina il Comitato esecutivo del FONPRODE, che è incaricato di studiare e valutare le proposte di finanziamento, mentre l’art. 12 dispone relativamente al controllo parlamentare, prevedendo che il Governo invii un rapporto annuale dettagliato al Congresso dei deputati e al Senato sull’operato del Fondo.

La sesta disposizione finale stabilisce che la legge entri in vigore dopo novanta giorni dalla sua pubblicazione nel BOE, salvo alcune disposizioni che entrano in vigore il giorno successivo alla medesima pubblicazione.

 

 


Attività parlamentare

 


Indagine conoscitiva sugli obiettivi di sviluppo del Millennio
delle Nazioni Unite.

 

DOCUMENTO CONCLUSIVO APPROVATO DALLA COMMISSIONE

 

 

 


1. Premessa.

La III Commissione (Affari esteri e comunitari), nella seduta del 30 settembre 2008, con determinazione unanime dell'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha deliberato lo svolgimento dell'indagine conoscitiva sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite, adottati dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2000 come impegni per la comunità internazionale ai quali improntare l'azione di cooperazione internazionale.

La Dichiarazione del Millennio, approvata nel 2000 da 186 Capi di Stato e di Governo nel corso della Sessione Speciale dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, fissa l'obiettivo del dimezzamento della povertà entro il 2015 e lo articola in otto finalità, vale a dire:

sradicare la povertà estrema e la fame (obiettivo n. 1);

garantire l'educazione primaria universale (obiettivo n. 2);

promuovere la parità dei sessi e l'autonomia delle donne (obiettivo n. 3);

ridurre la mortalità infantile (obiettivo n. 4);

migliorare la salute materna (obiettivo n. 5);

combattere l'HIV/AIDS (obiettivo n. 6);

garantire la sostenibilità ambientale (obiettivo n. 7);

sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo (obiettivo n. 8).

Fermo restando alla Commissione plenaria il compito di esaminare le risultanze dell'indagine conoscitiva, l'Ufficio di presidenza ha convenuto di affidarne l'organizzazione e lo svolgimento al Comitato permanente sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, già istituito il 2 luglio 2008 ai sensi dell'articolo 22, comma 4, del regolamento.

La duplice determinazione della Commissione di procedere all'istituzione di un Comitato permanente ad hoc e allo svolgimento di un'indagine conoscitiva sui temi degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio ha inteso esprimere un'attenzione rafforzata sulle questioni attinenti la tematica della cooperazione allo sviluppo a partire da uno specifico impegno sull'agenda governativa in occasione della presidenza italiana di turno del G8 nel 2009.

Cogliendo l'opportunità di tale importante responsabilità internazionale la Commissione ha pertanto aperto un filone di approfondimento istruttorio dedicato ai temi della lotta contro la povertà e all'impegno della comunità internazionale e dell'Italia sulle questioni dell'aiuto allo sviluppo sulla base di un orientamento condiviso in ordine al carattere prioritario di tali temi per l'azione esterna del nostro Paese nel quadro degli sforzi per la soluzione delle maggiori crisi internazionali.

Peraltro, fin dal 2000 l'Italia ha fatto propri gli Obiettivi del Millennio quali linee guida della sua politica di cooperazione allo sviluppo, distinguendosi nella comunità internazionale in particolare per l'impegno nel settore sanitario nell'ambito  del sesto Obiettivo. L'Italia riserva tradizionalmente un'attenzione particolare anche al settore dell'educazione e alle tematiche di genere, soprattutto nei contesti di fragilità e post-conflitto.

Quanto al contributo dell'agenda del Millennio all'azione della comunità internazionale per lo sviluppo, non c'è dubbio che gli Obiettivi del Millennio hanno contribuito a fare diventare patrimonio comune la consapevolezza che la sola crescita economica, anche sostenuta, non è sufficiente a garantire inclusione sociale. Inoltre, la globalizzazione ha inciso profondamente sui processi di aiuto allo sviluppo facendo risaltare la necessaria natura sia sovranazionale sia multinazionale dei problemi e le necessarie interdipendenze tra Paesi riceventi e donatori. In questo contesto la risposta implica indubbiamente approcci multilaterali non solo per l'entità delle risorse necessarie per affrontare e risolvere le questioni, ma anche per garantire la coerenza ed efficienza degli interventi.

In questo quadro ha fin dall'inizio assunto carattere prioritario l'Obiettivo n. 8, relativo allo sviluppo di un partenariato globale per lo sviluppo, che pone al primo posto la questione dell'institution building. Non è un caso che la maggiore dimensione onusiana impegnata per la realizzazione degli Obiettivi del Millennio, vale a dire lo United Nations Development Fund (UNDP), dedichi a tale versante il maggior numero di risorse e di lavoro. E non è un caso che tra i Paesi più in ritardo nel conseguimento degli Obiettivi rientrino i cosiddetti «Stati falliti» o «quasi falliti» (almost failed States), nei quali si registrano situazioni di conflitto o alti tassi di corruzione.

Appare quindi necessario un impegno dei Paesi in via di sviluppo per rendere efficienti e trasparenti le proprie amministrazioni, per risanare i conti pubblici riducendo al massimo clientele e corruzione e favorendo un ambiente che promuova anche gli investimenti privati. Per fare ciò bisogna sostenere i Paesi in via di sviluppo nella costruzione di istituzioni fondate sul principio della governance democratica e trasparente. Occorre inoltre un approccio specifico Paese per Paese e concentrarsi, insieme ai governi locali, sui settori in cui ciascuno Stato deve compiere i maggiori progressi.

Per la realizzazione degli Obiettivi del Millennio la chiave risiede nell'interazione tra Paesi donatori e Paesi riceventi. Centrale è pertanto la questione dell'efficacia degli aiuti: maggior coordinamento tra i donatori ed un costante monitoraggio che certifichi l'aderenza delle risorse ai risultati da conseguire e dia conto dei progressi costituiscono gli aspetti salienti soprattutto in un contesto internazionale gravemente segnato da una crisi economica generalizzata con sacche di stagnazione ed instabilità, da conseguenti tensioni interreligiose, crisi umanitarie e intere aree geopolitiche di conflitto mai pacificate, a partire da quella mediorientale.

Proprio a Roma è stato avviato, nel 2003, il processo che ha poi portato alla Dichiarazione di Parigi del 2005 e all'Agenda di Accra del 2008 sull'efficacia degli aiuti. Nel febbraio del 2003 i maggiori Paesi donatori, le organizzazioni multilaterali e i Paesi riceventi si incontrarono a Roma al primo «Forum di Alto Livello sull'armonizzazione» per definire i principi utili al miglioramento dell'efficacia degli aiuti. In quell'occasione si adottò la Dichiarazione di Roma che, pur riguardando il solo versante dei donatori, definì per la prima volta standard procedurali e best practices utili alla riduzione dei costi delle transazioni. Il tema dell'efficacia degli aiuti è diventato definitivamente prioritario per la cooperazione italiana con l'adozione delle Linee strategiche 2009-2011.

Al momento sono in corso i preparativi per la realizzazione del High Level Forum, da tenere a Seoul nel 2011, in cui si farà il punto sullo stato di attuazione della Dichiarazione di Parigi e si definirà l'agenda per i quattro anni successivi.

Infine, l'Africa subsahariana rimane l'area geografica più problematica, nonostante lo stabile miglioramento degli indicatori sociali di povertà che hanno contraddistinto la prestazione dell'intero continente africano. Questo induce semmai a radicare l'orientamento che l'Africa non  sia solo un problema ma parte della soluzione in virtù del grandissimo potenziale connesso alle risorse naturali, ad una popolazione assai giovane e dinamica e agli investimenti che grandi economie come quella cinese o indiana stanno realizzando ormai in modo sostenuto e costante. Proprio queste realtà economiche emergenti - i cosiddetti Paesi BRIC (Brasile, Cina, India ma anche Messico o Turchia) - rappresentano un dilemma per l'agenda del Millennio in quanto ad un tempo Paesi riceventi, ancora segnati da gravi problemi di povertà, e nuovi donatori sulla base però di logiche e standard non sempre coincidenti con quelli insiti nella filosofia degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio.

2. Programma dei lavori.

Il programma dell'indagine conoscitiva, deliberato dalla Commissione nel settembre del 2008, ha indicato come obiettivo generale quello dell'approfondimento sull'attività della comunità internazionale per il raggiungimento degli otto Millennium Development Goals (MDG).

Il programma ha in particolare previsto lo svolgimento di un'azione di monitoraggio sulle iniziative assunte dai Paesi del G8 anche alla luce degli indirizzi derivanti dai lavori dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e dalle riunioni tematiche, come ad esempio la Conferenza di Accra (Terzo forum sull'efficacia degli aiuti, settembre 2008) o la Conferenza internazionale di Doha (dicembre 2008) per la valutazione dello stato delle iniziative di finanziamento dello sviluppo, assunte nel quadro della Conferenza di Monterrey del 2002. Il programma ha menzionato espressamente l'analisi dell'interazione fra Paesi donatori e tra livello istituzionale, settore privato e società civile. Inoltre, conformemente agli indirizzi emersi nel Comitato permanente sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, l'indagine è stata indirizzata alla valutazione di iniziative, aspetti finanziari ed eventuali rapporti con istituzioni internazionali utili a qualificare la posizione dell'Italia sulle diverse questioni e ad individuare le modalità più opportune per dare maggiore visibilità, soprattutto nelle sedi europee, all'impegno italiano.

Il programma dei lavori d'indagine ha individuato gli interlocutori da audire nei rappresentanti del Governo italiano, nei vertici di organizzazioni ed agenzie internazionali competenti in materia, accademici ed esperti, esponenti di organizzazioni non governative, rappresentanti di organi di informazione ed esponenti del settore privato.

Considerata l'entità del lavoro da svolgere, il termine di conclusione dell'indagine conoscitiva, inizialmente fissato al 31 dicembre 2009, allo scadere dell'anno di presidenza del G8, è stato successivamente prorogato al 31 marzo 2010 in ragione dell'impossibilità di calendarizzare entro il termine previsto il fitto programma di audizioni di rappresentanti di organizzazioni internazionali e di personalità internazionali già invitate. Tale termine è stato quindi ulteriormente prorogato al 31 ottobre 2010 in considerazione dell'opportunità di proseguire l'attività di indagine fino alla Riunione di Alto Livello sugli Obiettivi del Millennio (il cd. Vertice del Millennio), convocata dal Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, dal 20 al 22 settembre 2010 a New York e in cui l'Italia, al pari degli altri Stati membri, ha portato il proprio piano d'azione per garantire la realizzazione degli Obiettivi entro la scadenza del 2015.

3. Organizzazione e articolazione dei lavori.

All'interno della predetta cornice programmatica i lavori dell'indagine si sono articolati in una serie di audizioni individuate in modo da delineare una visione il più possibile unitaria e coerente sulle questioni della lotta alla povertà senza trascurare una conoscenza di settore, per singoli obiettivi, nella consapevolezza che l'elencazione degli otto Obiettivi ha natura convenzionale e risponde ad un'esigenza di efficace comunicazione nei confronti dell'opinione  pubblica mondiale e dei destinatari politici degli indirizzi delle Nazioni Unite. L'approccio ai temi della povertà non può infatti che essere onnicomprensivo e deve anzi scongiurare ogni frammentazione degli interventi che possa condurre ad inefficienze se non a gravi omissioni.

Come già accennato, l'organizzazione dei lavori dell'indagine conoscitiva è stata scandita dai due maggiori eventi che hanno segnato il biennio di lavoro del Comitato permanente: la presidenza italiana di turno del G8 del 2009 e la preparazione del Vertice del Millennio delle Nazioni Unite del settembre 2010.

Il lavoro di indagine svolto nel 2009 ha consentito di acquisire un rilevante patrimonio conoscitivo, denso di spunti di lavoro sia ai fini dell'azione parlamentare che di quella governativa. Conseguentemente, anche in vista dello svolgimento del Vertice dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi del G8, tenutosi a L'Aquila dall'8 al 10 luglio 2009, la Commissione ha valutato opportuno procedere alla stesura di un documento intermedio (vedi allegato 1) sui lavori dell'indagine conoscitiva nell'intento di formulare specifiche proposte di lavoro da sottoporre alla valutazione del Governo italiano, impegnato nella organizzazione del Vertice. Tale documento è stato approvato dalla Commissione all'unanimità il 24 giugno 2009.

È da segnalare che, al fine di dare risalto ai contenuti di indirizzo recati dal documento intermedio, il 2 luglio 2009 si è svolto presso la Camera dei deputati un seminario interparlamentare, organizzato dal Comitato permanente sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio in collaborazione con la Campagna del Millennio delle Nazioni Unite - agenzia istituita nel 2000 dall'allora Segretario Generale Kofi Annan con un mandato sui temi della comunicazione istituzionale e con le società civili nazionali sui temi degli MDG - incentrato sul tema «Il ruolo dei Parlamenti nazionali per gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio». All'iniziativa hanno preso parte parlamentari italiani ed esteri provenienti da Europa, Asia e Africa, per discutere le best practices quanto all'azione di indirizzo e controllo svolta dai Parlamenti nazionali nei confronti degli Esecutivi. I lavori si sono conclusi con l'adozione di una Dichiarazione Finale (vedi allegato 2) consegnata al Ministero degli affari esteri italiano, on. Franco Frattini.

La successiva fase di lavoro, svoltasi tra il secondo semestre del 2009 e per tutto il 2010, ha consentito di completare il quadro conoscitivo sulle questioni generali in tema di cooperazione allo sviluppo in connessione sia alle politiche dell'Italia sia alle linee di tendenza sul piano internazionale. In tale fase si è soprattutto proceduto ad approfondimenti mirati ai singoli Obiettivi del Millennio.

Il lavoro d'indagine è stato quindi completato con la partecipazione di una delegazione del Comitato permanente1 al Vertice del Millennio, svoltosi a New York dal 20 al 22 settembre 2010 e in cui sono state definite le linee di azione della comunità internazionale per il raggiungimento degli Otto Obiettivi entro la confermata scadenza del 2015. A margine dei lavori del Vertice la delegazione ha preso parte ad un evento organizzato dall'Unione interparlamentare volto a definire il ruolo dei Parlamenti nazionali nel processo di realizzazione degli MDG. Peraltro, la stessa Uip ha condotto nel 2010, in collaborazione con la Campagna del Millennio dell'ONU, uno studio comparato sui singoli Parlamenti impegnati con esplicite iniziative istituzionali a favore degli MDG. In questo contesto, in cui l'Italia si è attestata come unico tra i Paesi donatori ad essersi attivato in tal senso (sia mediante l'istituzione del Comitato che con l'indagine conoscitiva), insieme ad altri cinque Parlamenti di Asia e Africa (Sudafrica, Mozambico, Kenya, Indonesia, India).

1 Hanno preso parte alla missione il presidente del Comitato, l'on. Enrico PIANETTA, e l'on. Mario BARBI. Alla missione hanno partecipato anche l'on. Francesco TEMPESTINI e l'on. Michaela BIANCOFIORE in rappresentanza della Commissione affari esteri.

Si riporta qui di seguito l'elenco delle audizioni complessivamente svolte:

Coordinatrice Esecutiva della Campagna del Millennio delle Nazioni Unite, Evelyn Herfkens (16 ottobre 2008);

Direttore della Campagna del Millennio delle Nazioni Unite, Salil Shetty (27 novembre 2008);

Rappresentante permanente d'Italia presso l'OCSE, ambasciatore Antonio Armellini (29 gennaio 2009);

rappresentanti di Social Watch (Jana Silverman, segretario internazionale di Social Watch, Jason Nardi, coordinatore della coalizione italiana di Social Watch, Sabina Siniscalchi, rappresentante della Fondazione culturale responsabilità etica, Farida Bena, responsabile dell'ufficio campagne UCODEP e OXFAM international, e Tommaso Rondinella, rappresentante dell'associazione Lunaria) (26 febbraio 2009);

Sindaco di Milano, Letizia Moratti, nella qualità di Commissario straordinario del Governo per la realizzazione dell'Expo Milano 2015 (26 febbraio 2009);

rappresentanti di ActionAid e di parlamentari della Tanzania e dell'Uganda (Laurent Wambura, HIV/AIDS officer, della Tanzania; Omari Shaban Kwaangw', parlamentare della Tanzania; Elizabeth Nakiboneka, HIV/AIDS officer, dell'Uganda; Nalwanga Sekalo Lukwago Rebecca, parlamentare dell'Uganda e Iacopo Viciani di ActionAid) (12 marzo 2009);

il direttore generale per la cooperazione allo sviluppo della Commissione europea, Stefano Manservisi (24 marzo 2009);

componenti della Commissione per l'aiuto allo sviluppo dell'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) (Laurence Dubois-Destrizais, Ministro plenipotenziario e consigliere per gli affari economici alla rappresentanza francese presso l'OCSE; Laurent Amar, Capodipartimento per le strategie di sviluppo del Ministero degli affari esteri francese; Helen Zorbala, Ministro plenipotenziario e Vicedirettore generale del Ministero degli affari esteri ellenico per la cooperazione allo sviluppo; Genny Bonomi, economista e policy analist presso il DipartimentoPeer Review and Evaluation dell'OCSE/DAC; Steve Darvill, Humanitarian Aid advisor dello stesso Dipartimento Peer Review and Evaluation dell'OCSE/DAC) (14 maggio 2009);

rappresentanti del Centro Studi di Politica Internazionale (CESPI) (José Luis Rhi-Sausi, Direttore, e Marco Zupi, Direttore scientifico) (20 maggio e 16 giugno 2009);

sherpa del Governo italiano per il G8, ambasciatore Giampiero Massolo (17 giugno 2009);

direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri, ambasciatore Elisabetta Belloni (29 luglio 2009);

vice direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale, ambasciatore Staffan de Mistura (22 ottobre 2009),

Amministratore dello United Nations Development Programme (UNDP), Helen Clark (12 novembre 2009);

rappresentanti di ActionAid Marco Simonelli eLivia Zoli (1o dicembre 2009);

direttore dell'Education for All international Coordination Team dell'Unesco, Olav Sejm e rappresentanti della Coalizione italiana per la Campagna globale per l'educazione Elena Avenati - Save the Children Italia, Farida Bena - Oxfam International e Ucodep, Marco Petrini, - Associazione MAGIS (Movimento e azione dei Gesuiti italiani per lo sviluppo), Daniela Invernizzi - ACRA (Associazione di Cooperazione rurale in Africa e America latina (15 giugno 2010);

rappresentanti dell'Organizzazione mondiale della sanità, della Partnership for Maternal, Newborn and Child Health e di Save the children, Flavia Bustreo, Mario Merialdi, e Francesco Aureli (1o luglio 2010);

direttore generale del Dipartimento del Tesoro, Vittorio Grilli (27 luglio 2010);

direttore esecutivo per l'Italia della Banca mondiale, Giovanni Majnoni (29 luglio 2010):

segretario generale del Comitato nazionale italiano permanente per il microcredito, Riccardo Maria Graziano (5 ottobre 2010).

4. Il 2009: il documento intermedio, la presidenza italiana del G8 e il Rapporto 2010 sugli MDG.

In questa sede appare opportuno richiamare brevemente le risultanze del documento intermedio, approvato dalla Commissione nel 2009, con cui si è inteso contribuire in modo costruttivo all'impegno italiano nell'anno di presidenza di turno del G8. Esso ha innanzitutto evidenziato il ruolo delle istituzioni parlamentari nel processo di realizzazione degli Obiettivi, traguardo che si conferma del tutto alla portata della nostra generazione. Il documento ha dato risalto alla necessità che anche nella sede parlamentare si applichi un approccio complessivo alle tematiche dello sviluppo tale da valutare le politiche di aiuto in modo complementare a quelle sul commercio globale, sull'ambiente e sulla promozione internazionale del sistema produttivo italiano. Leadership politica decisa, piani e politiche di sviluppo chiari, bilanci nazionali ben predisposti, lotta alla corruzione e un coinvolgimento di tutti i possibili attori coinvolti nella lotta contro la povertà sono ulteriori aspetti qualificanti della strategia di raggiungimento degli Obiettivi che il documento intermedio ha contribuito ad evidenziare.

Il documento, nel dare conto dello stato di attuazione degli impegni da parte dei maggiori Paesi europei, ha evidenziato il gap italiano quanto alla percentuale di Pil destinato agli aiuti allo sviluppo, ferma allo 0,19 per cento a fine 2007 nel quadro di una media dei Paesi OCSE/DAC pari allo 0,28. Il documento registrava anche il dato relativo alla presenza di nuovi donatori internazionali tra i Paesi di nuova industrializzazione, quali ad esempio la Cina e molti Paesi arabi, i quali pongono alla comunità internazionale quesiti sostanziali sulla capacità di collegare gli aiuti al perseguimento di determinati standard qualitativi non indifferenti alla questione dei diritti umani.

Nel segnalare taluni limiti connessi alla strategia di lotta alla povertà adottata dall'ONU con l'agenda del Millennio, il documento ha dipinto un quadro sull'Italia in cui emergono come dati salienti l'elevata quota di cooperazione veicolata attraverso il canale multilaterale (nel 2007 pari al 68 per cento del totale degli aiuti a fronte di una media OCSE/DAC del 30 per cento), un'elevata frammentazione degli aiuti e una marcata tendenza all'imprevedibilità delle risorse destinate alla cooperazione.

Un'acquisizione centrale del documento intermedio ha riguardato il contributo importante che l'Italia può dare al superamento della recessione globale a condizione che il nostro Paese rispetti con puntualità gli impegni presi in sede internazionale e mantenga inalterata la propria politica di attenzione alle questioni dei diritti umani.

Il documento ha quindi indicato talune questioni meritevoli di approfondimento e discussione, tra cui la riforma complessiva degli strumenti legislativi in materia di cooperazione allo sviluppo, l'attuazione di un'agenda concordata e più efficiente in linea con la Dichiarazione di Parigi, il potenziamento del quantum in particolare a favore dell'Africa, la valorizzazione in sede internazionale della specifica esperienza italiana in materia di cooperazione decentrata.

Il documento si è infine caratterizzato per una specifica valenza propositiva insita nelle linee di intervento indicate nella sua parte conclusiva. Tra queste è apparso significativo il tema della mutual accountability; il rapporto tra impegni e adempimenti; il binomio quantità/qualità degli  aiuti; infine, il ruolo dei Parlamenti nei confronti dei governi ma soprattutto dell'opinione pubblica.

In sostanziale armonia con le sollecitazioni della Commissione, la successiva acquisizione di rilievo istituzionale è stata rappresentata dalla Dichiarazione finale del Summit del G8 de L'Aquila con cui sono stati definiti taluni impegni per la realizzazione degli MDG. Nel quadro di una nuova filosofia di più stretta partnership con gli altri consessi economici mondiali, a partire dal G20, il Vertice ha definito una strategia globale di ripresa dalla crisi economica formulando la richiesta di una verifica nel 2010 circa lo stato di attuazione degli MDG. Dopo i previsti riferimenti alla necessità di sbloccare il negoziato del Doha Round e ai temi dell'instabilità dei prezzi dei prodotti energetici e agricoli, il Vertice ha varato talune iniziative utili al raggiungimento degli Obiettivi: mantenere aperti i mercati; dimezzare i costi di transazione dei soldi inviati dagli emigrati nei Paesi di origine; rafforzare la partnership con l'Africa per migliorare l'accesso all'acqua e ai servizi igienici; sostenere gli strumenti innovativi di finanziamento per la salute; dare all'agricoltura e alla sicurezza alimentare la giusta priorità in cima all'agenda internazionale, aumentando i finanziamenti multilaterali per aiutare le strategie ad ampio raggio dei singoli Paesi e migliorare la coordinazione dei meccanismi esistenti. Tra gli esiti del Vertice si richiama la Dichiarazione congiunta G8-Africa ma soprattutto l'impegno al reperimento di 20 miliardi di dollari entro i successivi tre anni tramite l'Iniziativa de L'Aquila di supporto alla sicurezza alimentare e allo sviluppo rurale dei Paesi più poveri.

Il contesto in cui si sono inseriti il contributo della Commissione e quello del Summit G8 è quello descritto nel Rapporto annuale sul monitoraggio degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, presentato il 23 giugno 2010 dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon sulla base dei dati relativi al 2009.

Preliminarmente si ricorda che il Segretario generale delle Nazioni Unite presenta un rapporto all'Assemblea generale sui progressi effettuati, basandosi sui dati forniti dagli indicatori aggregati a livello globale e regionale. Gli Obiettivi, i target e gli indicatori, come definiti nel 2002, sono stati usati fino al 2007, quando il quadro di monitoraggio degli Obiettivi di sviluppo è stato rivisto al fine di includere i quattro nuovi target decisi dal World Summit del 2005 e, conseguentemente, i nuovi indicatori. Il Rapporto 2010, come i precedenti, si basa su dati raccolti ed elaborati da Agenzie specializzate e da un Gruppo di esperti, sotto la direzione del Dipartimento degli Affari economici e sociali del Segretariato delle Nazioni Unite (UNDESA).

Il dato centrale registrato dal Rapporto 2010 riguarda il continuo progredire della comunità internazionale verso il raggiungimento degli MDG, nonostante la crisi economica globale, ma l'eccessiva lentezza dei progressi. Importanti risultati sono stati conseguiti nella riduzione della povertà estrema, nella lotta all'HIV/AIDS e alla malaria, nell'accesso all'acqua potabile. Minori successi si possono segnalare in aree critiche, quali il miglioramento della salute materna e l'accesso a servizi sanitari.

In particolare, la percentuale delle persone che vivono in povertà estrema (con meno di 1,25 dollari al giorno) è stata drasticamente ridotta negli ultimi due decenni: i tassi di povertà estrema, infatti, sono scesi dal 46 per cento del 1990 al 27 per cento del 2005 e con una previsione di continua diminuzione fino al 15 per cento nel 2015. Cina e Sudest asiatico sono le aree di maggior successo; altrove, i progressi sono stati più lenti. Nella stessa regione asiatica, permangono disparità enormi tra ricchi e poveri, e tra comunità urbane e rurali. Le bambine continuano a avere minori opportunità soprattutto nel settore educativo: una bambina che vive in una famiglia povera ha una possibilità quattro volte inferiore a quella di un bambino che si trova nella medesima situazione di frequentare la scuola. E se in America Latina e Caraibi sono stati compiuti importanti progressi sul fronte della salute infantile e dell'uguaglianza di genere,  in alcune regioni dell'Africa meno della metà delle donne ricevono assistenza medica al momento del parto.

Il Rapporto esorta ad aumentare gli sforzi su diversi fronti, soprattutto al fine di: creare posti di lavoro, incentivare lo sviluppo economico, incoraggiare la sicurezza alimentare, promuovere l'energia pulita e rafforzare la cooperazione tra Paesi ricchi e quelli poveri.

In occasione della presentazione del Rapporto il Segretario Generale ha annunciato l'istituzione di un MDG Advocacy Group, composto da 17 eminenti personalità della politica ma anche dell'alta finanza che lavoreranno per ampliare il sostegno al raggiungimento degli MDGs. Il Presidente rwandese Paul Kagame ed il Primo Ministro spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero presiedono congiuntamente il Gruppo, che ha tenuto in luglio la sua prima riunione.

5. L'attività di indagine tra 2009 e 2010. Le questioni pendenti a cinque anni dalla scadenza del 2015.

Alla luce del quadro delineato nel documento intermedio e nella prospettiva della definizione di un piano d'azione italiano per la realizzazione degli MDG entro il 2015, nella seconda parte dell'indagine si sono svolte numerose audizioni caratterizzate da un sguardo privilegiato ai singoli obiettivi, anche se è stata spesso ricordata la forte interdipendenza tra gli obiettivi: una maggiore disponibilità di cibo e reddito favorisce lo sviluppo dell'istruzione, che a sua volta ha ricadute positive sulla parità di genere, e la prevenzione delle malattie. Nello stesso tempo una popolazione sana è in grado di studiare e produrre meglio e così via. In un parte significativa di questo secondo ciclo di audizioni il Comitato ha focalizzato l'approfondimenti sui temi dell'Italia, con particolare attenzione all'interazione tra il Ministero degli affari esteri e il Ministero dell'economia e delle finanze nella decisione sul quantum e sul quomodo delle risorse destinate agli aiuti allo sviluppo.

Quanto al primo Obiettivo, è stato ricordato che in relazione alle situazioni di grave crisi alimentari si assiste al passaggio ad aiuti sotto forma di contributi finanziari rispetto a forniture dirette di alimenti che rischiano di innescare un processo negativo, abbassando la possibilità di produrre cibo. Per superare le difficoltà logistiche connesse a crisi particolarmente acute occorre sviluppare la produzione di sostanze ad altissimo valore nutrizionale. È stato auspicato un maggiore impegno del nostro Paese in questo campo, anche nell'ottica della prossima Expo 2015 di Milano dedicata all'alimentazione.

Oltre alla crisi economica sono stati evidenziati altri fattori che rischiano di pregiudicare i progressi fatti negli ultimi anni. In primo luogo l'incremento dei prezzi del cibo, solo parzialmente rientrato e che rischia di riesplodere. Punti critici per provvedere ad una adeguato quantità di cibo sono rappresentati dalle aree coltivate per i biocarburanti, dagli acquisti di vaste aree in molti Stati africani da parte di Paesi terzi e le vaste superfici non coltivate.

A questo si aggiungono i sempre più frequenti disastri naturali. È stato osservato che la Conferenza di Copenaghen rappresentava una sfida cruciale per lo sviluppo e il suo esito negativo rappresenta un'ulteriore motivo di preoccupazione.

È stato fatto notare con preoccupazione che la proporzione di aiuto pubblico allo sviluppo destinata allo sviluppo agricolo sia scesa dal 17 per cento nel 1980 a meno del 4 per cento; il tutto in una fase di rapido accrescimento della popolazione mondiale e di deciso incremento dell'instabilità climatica.

Passando al secondo Obiettivo, permane un ruolo centrale dell'educazione per lo sviluppo. Nessun Paese è mai salito per la scala dello sviluppo umano senza un costante investimento destinato all'educazione per favorire la costruzione di società più inclusive. Vi sono segnali che la situazione attuale sia peggiore di quanto facciano pensare alcuni indicatori. In particolare il forte incremento delle iscrizioni  ha avuto un impatto negativo sulla qualità dei risultati dell'apprendimento a causa di un numero insufficiente di insegnanti.

Occorre un corpo docente qualificato per fornire un apprendimento di qualità. Secondo alcune stime c'è bisogno globalmente di almeno 2 milioni di nuovi insegnanti. In relazione ad essi vi è poi un problema relativo non solo al livello delle retribuzioni, i salari o alla formazione, ma anche rispetto allo status degli insegnanti all'interno della società.

Gli Obiettivi legati ai temi della salute sono la riduzione della mortalità infantile (n.4), la riduzione della mortalità materna, l'accesso universale alla salute riproduttiva delle donne (n. 5) e la prevenzione della diffusione dell'HIV, della malaria e delle altre malattie trasmissibili, tra cui anche la tubercolosi (n. 6). La politica di cooperazione allo sviluppo italiana si è distinta in particolare nel settore sanitario e nel perseguimento dell'Obiettivo di sviluppo del Millennio 6 mentre vi sono ritardi significativi rispetto agli Obiettivi nn. 4 e 5. Per la prima volta la Dichiarazione finale del G8 a L'Aquila ha previsto due paragrafi sostanziali relativi a tale problematica e ha, dunque, segnalato ai capi di Stato l'esistenza di un problema importante su cui essi devono agire, nonché l'esistenza di un consenso già globale sulla salute materno-infantile, con i filoni portanti di una risposta globale.

Si stima che l'obiettivo 4, con i trend attuali, non sarà raggiunto prima del 2045. Si stima che circa 250 mila donne e almeno 5,5 milioni di bambini che oggi muoiono ogni anno potrebbero salvarsi con misure semplici e a basso costo come assistenza specializzata al momento del parto e, subito dopo, i vaccini, trattamenti per la polmonite, per la diarrea e per la malaria, allattamento esclusivo al seno.

In primo luogo è necessaria la formazione. Viene stimata la necessità di formare al meno un milione di operatori di comunità, cui si aggiungono 2,5 milioni di operatori sanitari più specializzati, come dottori, infermieri od ostetriche. Serve inoltre comunicazione per ottenere le informazioni necessarie sulle scelte che le donne e gli uomini possono compiere sulla loro salute riproduttiva. A tal fine è in particolare necessario formare gli operatori sanitari di comunità, principalmente donne, portatori di messaggi semplici ed efficaci. Azioni di questo tipo hanno prodotto risultati estremamente positivi in Paesi come il Bangladesh e l'Indonesia.

Si è notato che, nonostante negli ultimi dieci anni a livello globale i finanziamenti pubblici siano aumentati sulla salute, criticamente non è aumentato il finanziamento sulla pianificazione familiare, il family planning, soprattutto a livello di cooperazione allo sviluppo dei diversi Paesi mondiali. Abbiamo visto una stagnazione, per esempio, sull'accesso ai contraccettivi e alla capacità di ridurre la natalità eccessiva.

Quanto all'Obiettivo 6, oltre il 70 per cento dei malati si trova in un solo continente: l'Africa, e in Africa subsahariana in particolare. Nel 2001, nel corso del G8 di Genova, venne ideato e lanciato come strumento innovativo il Fondo globale per la lotta all'AIDS, alla tubercolosi e alla malaria che ha è arrivato a rappresentare quasi un quarto delle risorse impiegate per il contrasto a queste gravi patologie.

In tema di accesso universale ai farmaci si sono raggiunti dei grossi risultati. Le percentuali di coloro che avevano accesso ai trattamenti erano bassissime e ora siamo arrivati a percentuali molto alte. Va però segnalato che quasi la metà delle persone in cura esce dalla terapia prima di due anni, spesso per costi accessori apparentemente irrisori, come quello dei trasporti, ma che sono insostenibili per popolazioni che vivono con meno di un dollaro al giorno.

Le cure per l'AIDS stanno indebolendo i sistemi sanitari con scarse infrastrutture e risorse umane che non riescono a continuare a lavorare sulle normali patologie. È stato quindi espresso apprezzamento per l'incremento del sostegno del nostro Paese alle strutture sanitarie di base con personale qualificato.

Rimane in ogni caso essenziale rafforzare la prevenzione; allo stato attuale per  ogni due persone che entrano in terapia antiretrovirale ce ne sono contemporaneamente cinque che vengono infettate.

6. L'attività di indirizzo della Camera dei deputati.

Quanto al ruolo dell'Italia, l'indagine conoscitiva ha proposto a più riprese la questione delle carenze nella quantità di aiuti e in particolare la notevole riduzione del contributo del nostro Paese ad istituzioni quali il World Food Programme (WFP), l'UNDP e il Fondo globale per la lotta all'HIV, alla tubercolosi e alla malaria.

Sul tema il lavoro d'indagine ha garantito l'apporto conoscitivo necessario a sostegno di iniziative parlamentari volte a fornire specifici indirizzi all'azione del Governo, soprattutto in vista del Vertice del Millennio svoltosi nel settembre del 2010 a New York. Si richiamano a tal proposito le mozioni presentate da tutti i gruppi e approvate dall'Assemblea il 15 settembre 2010 al fine di impegnare il Governo, tra l'altro, a programmare, compatibilmente con le esigenze di risanamento della finanza pubblica, le modalità e i tempi per onorare tutti gli impegni internazionali specificamente assunti dall'Italia in materia di sviluppo, in particolare relativamente alla Convenzione di Londra sulla sicurezza alimentare, al Fondo globale per la lotta all'AIDS, alla tubercolosi e alla malaria, all'Aquila food security initiative e nei confronti di banche e fondi di sviluppo, nel contesto di un graduale piano di riallineamento dell'aiuto pubblico allo sviluppo italiano. Le mozioni hanno anche consentito di assumere l'indirizzo relativo alla razionalizzazione delle iniziative di cooperazione, mantenendo nel Ministero degli affari esteri il naturale fulcro di decisione politica e coordinamento, e alla promozione di misure che favoriscano il rafforzamento e l'aggiornamento delle risorse umane disponibili per la cooperazione italiana, in linea con quanto raccomandato dall'OCSE all'Italia nel 2009, a seguito della peer review. In quella sede il Governo si è assunto tra l'altro anche l'impegno relativo a dare priorità, coerentemente con il piano in dodici punti proposto dalla Commissione europea, ad un piano di azione annuale, realistico e verificabile, inteso al raggiungimento, progressivo e graduale, di una percentuale di prodotto interno lordo destinata all'aiuto pubblico allo sviluppo secondo gli obiettivi europei stabiliti.

Occorre, in generale, un approccio complessivo allo sviluppo che tenga conto del fatto che i processi di sviluppo vengono avviati non solo attraverso lo strumento dell'aiuto pubblico, per il quale occorre mettere a sistema in maniera più organica anche il contributo che proviene dagli enti locali, ma anche mediante altri strumenti quali gli investimenti, le politiche commerciali, la promozione del microcredito, le attività solidali e quant'altro.

In questo quadro si deve cercare di coordinare meglio gli aiuti a diverso livello. Importante è la collaborazione tra il Ministero dell'economia e delle finanze e il Ministero degli affari esteri che detiene la visione strategica che assicura anche l'efficacia e la qualità dell'aiuto.

In ogni caso la cooperazione a livello comunitario rappresenta una dimensione fondamentale per quanto riguarda l'aiuto allo sviluppo da parte del nostro Paese. Negli ultimi tre anni il valore medio della nostra contribuzione è stato di circa un miliardo di euro all'anno, pari a circa il 40 per cento dell'impegno complessivo del nostro Paese ai Paesi in via di sviluppo. Occorre quindi che il maggior coordinamento si effettui anche su scala europea.

La cooperazione può essere uno strumento atto a favorire una penetrazione dei mercati esteri, anche senza ricorrere al legamento dell'aiuto. Una nota positiva è rappresentata dall'ottima capacità delle imprese italiane di risultare aggiudicatarie nelle gare di appalto per la realizzazione di opere civili indette a fronte di finanziamenti della Banca mondiale.

Gli interventi infrastrutturali, soprattutto nel settore dell'acqua, dei servizi sanitari, della comunicazioni e della produzione  di energia elettrica, rappresentano sicuramente un precondizione per lo sviluppo.

È stato osservato che il presupposto di qualsiasi percorso significativo che possa contribuire a migliorare la performance dell'Italia nei confronti dello sviluppo, non può che passare attraverso una maggiore consapevolezza dell'opinione pubblica italiana dell'importanza dell'aiuto pubblico allo sviluppo e delle politiche di sviluppo come strumento di stabilità e sicurezza a livello globale e che il Parlamento può contribuire a diffondere tale consapevolezza.

Si pone però un problema di trasparenza e di chiarezza nel modo di comunicare, in primo luogo al Parlamento, i dati che riguardano gli impegni internazionali del nostro Paese ma degli impegni che abbiamo preso a lunga scadenza, di quelli che abbiamo mantenuto, di quelli che non siamo stati in grado di mantenere.

In conclusione, le carenze nella politica di cooperazione italiana, messe in luce dall'indagine conoscitiva e riprese già dal documento intermedio approvato dalla Commissione affari esteri nel 2009, riguardano aspetti importanti della nostra azione. Si tratta di profili relativi soprattutto alla quantità dell'aiuto italiano allo sviluppo, come già detto largamente inferiore agli impegni assunti a livello internazionale e circa la metà della media dei Paesi OCSE/DAC, oggi ulteriormente ridotta da un biennio di drastiche decurtazioni delle poste in bilancio e da cronici ritardi nella corresponsione delle quote a vario titolo dovute alle organizzazioni e ai fondi internazionali per lo sviluppo.

Tali limiti ed insufficienze, segnalate puntualmente dalla Peer review svolta nel 2009 dall'OCSE/DAC, attengono anche all'eccessivo peso della cooperazione multilaterale, all'inadeguatezza dell'attuale legislazione sulla cooperazione allo sviluppo, all'elevata frammentazione degli aiuti a causa della pluralità dei «donatori nazionali» pubblici, privi di una reale forma di coordinamento e perfino di un unico punto di riferimento.

Mentre si fanno sempre più urgenti nuovi importanti aspetti meritevoli di interventi legislativi o di una maggiore iniziativa politica: è il caso delle forme di cooperazione pubblico-privato, la cui necessaria valorizzazione passa per un'adeguata regolamentazione giuridica, e della dimensione europea rispetto alla quale l'Italia deve rafforzare la propria presenza e la capacità di incidere.

L'assenza di un impegno reale e rinnovato in questi settori è in contrasto con l'annuncio del Governo relativo alla presentazione di un Piano d'azione italiano per la realizzazione degli MDG entro il 2015 ovvero su auspicati piani annuali e graduali per riallineare il contributo dell'aiuto italiano allo sviluppo agli impegni internazionali assunti.

Dare seguito alle intenzioni manifestate dal Governo in Parlamento in occasione della discussione di diversi atti parlamentari di indirizzo e di controllo è condizione perché il nostro Paese possa recuperare la perdita di posizione internazionale in materia di aiuto allo sviluppo e svolgere una funzione più incisiva a livello internazionale attraverso una più efficace azione di cooperazione allo sviluppo.


 

 

 

 


 

 

Allegato A

 

Seduta n. 542 di mercoledì 26 ottobre 2011

 

MOZIONI DI PIETRO ED ALTRI N. 1-00391, TEMPESTINI ED ALTRI N. 1-00621, PEZZOTTA ED ALTRI N. 1-00623, ANTONIONE, DOZZO, SARDELLI ED ALTRI N. 1-00625, PISICCHIO ED ALTRI N. 1-00629, DI BIAGIO E DELLA VEDOVA N. 1-00712 E OLIVERI ED ALTRI N. 1-00726 CONCERNENTI INIZIATIVE PER GARANTIRE LA TRASPARENZA DELLE INFORMAZIONI RELATIVE ALL'AIUTO PUBBLICO ALLO SVILUPPO

 

Mozioni

 

 

La Camera,

premesso che:

uno degli impegni sottoscritti da tutti i donatori nel 2008 al III Forum di alto livello sull'efficacia dell'aiuto allo sviluppo è quello di garantire la massima accessibilità alle informazioni relative all'aiuto stesso e la massima trasparenza del medesimo, che consentirebbe ai Governi una maggiore capacità di programmazione, ai Parlamenti di esercitare uno scrutinio più puntuale e alle comunità e ai cittadini dei Paesi partner di effettuare un controllo capillare locale, vale a dire uno dei migliori antidoti alla corruzione;

un primo studio della Princeton university ha finalmente presentato i primi risultati statisticamente solidi del rapporto tra trasparenza degli aiuti che un Paese riceve e il livello interno di corruzione, confermando l'ipotesi iniziale: maggiori sono le informazioni disponibili sugli aiuti per il Paese, minore è il livello generale di corruzione. L'analisi ha potuto anche sostenere che una riduzione significativa delle informazioni porta a un deterioramento dei livelli di corruzione del Paese;

per dare seguito all'impegno sull'efficacia dell'aiuto, molti donatori si sono uniti per dare vita alla Iniziativa internazionale per la trasparenza dell'aiuto (international aid transparency Initiative - Iati) che ha lo scopo di garantire la massima accessibilità in tempo reale alle iniziative di aiuto allo sviluppo finanziate dai donatori con l'ambizione di avere certamente, come punto di riferimento, l'esperienza del database del Dac-Ocse (Development assistance committee), ma anche di superarne alcuni dei limiti attuali: il ritardo nella pubblicazione dei dati (con una media di oltre un anno di ritardo), la mancanza di dettagli sui risultati dei programmi e i pochi dettagli geografici che impediscono di situare correttamente le iniziative di sviluppo nei Paesi partner;

l'Italia non ha preso alcuna posizione sulla sua partecipazione o meno a questa Iniziativa internazionale per la trasparenza dell'aiuto;

i Governi di natura liberal-conservatore inglese e svedese hanno annunciato una politica di piena e aperta divulgazione della documentazione per tutti gli interventi di cooperazione allo sviluppo, che saranno tutti disponibili on line appena effettuata l'approvazione degli interventi;

negli ultimi tre anni era migliorata la trasparenza e l'accessibilità delle informazioni per la cooperazione della direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (Dgcs) del Ministero degli affari esteri, mentre le informazioni delle attività di cooperazione gestite dal Ministero dell'economia e delle finanze erano e sono ancora affidate esclusivamente alla relazione annuale al Parlamento che è resa disponibile dopo più di due anni. In entrambi i casi, le informazioni sono disponibili generalmente solo in italiano e ciò ne pregiudica la fruibilità nei Paesi partner;

dall'inizio del 2010, l'interruzione della pubblicazione dei bollettini elettronici della cooperazione ha quasi azzerato gli sforzi fatti in precedenza per aumentare la trasparenza della direzione generale per la cooperazione allo sviluppo; le informazioni pubblicate in precedenza sui bollettini non riportavano una descrizione dettagliata dell'iniziativa e soprattutto non permettevano alcuna ricerca;

in termini di accuratezza della reportistica internazionale, solo lo 0,6 per cento delle iniziative d'aiuto italiane non è classificato per settore, collocando il nostro Paese al quinto posto in termini di accuratezza. Tuttavia, la stessa attenzione non si presta quando si tratta di notificare l'aiuto legato. Il Development assistance committee rivela, infatti, che il 10 per cento delle iniziative italiane non sono valutate rispetto al criterio dello slegamento: un risultato tra i peggiori fra i 23 membri del Development assistance committee, secondo solo a Giappone e Germania. Secondo una recente valutazione sulla trasparenza basata sulla completezza della reportistica, l'Italia risulta penultima, prima del Portogallo, tra tutti i donatori bilaterali e multilaterali;

«Publish what you fund», la campagna della società civile per una maggiore trasparenza dell'aiuto, ha recentemente pubblicato il primo indice di trasparenza dei donatori (Paesi Ocse, agenzie delle Nazioni Unite e banche multilaterali di sviluppo). La valutazione sulla trasparenza si basa su tre criteri: impegno a garantire la trasparenza (intesa soprattutto come quantità delle informazioni disponibili nei database), trasparenza e comunicazione delle informazioni ai Paesi partner e reattività alle richieste d'informazioni o chiarimenti da parte degli utenti dei loro siti web;

la classifica complessiva sulla trasparenza dei donatori vede in testa la Banca mondiale e in coda il Giappone, in trentesima posizione. L'Italia occupa la ventisettesima posizione. Il nostro Paese è soprattutto penalizzato dalla difficoltà di trasmettere ai Governi partner informazioni sui futuri piani di spesa (complice un ciclo di bilancio per la cooperazione solo annuale che è soggetto a tagli continui e spesso imprevedibili) e dalla limitata reattività di risposta alle domande di chiarimento;

per rispondere alla crescente pressione dell'opinione pubblica globale sui risultati concreti che l'aiuto ha conseguito, i Paesi donatori finanziariamente più impegnati hanno creato unità di valutazione sistematica dell'impatto degli interventi. Ad esempio, la cooperazione danese ha una struttura di valutazione separata dall'Agenzia che esegue gli interventi di cooperazione, con uno staff di otto persone e un bilancio di 3 milioni di dollari l'anno. In altri casi si sono avviate vere campagne di comunicazione pubblica di massa per dimostrare che l'investimento di denaro pubblico ha prodotto risultati, come nel caso inglese con la campagna «UK Aid works»;

per l'Italia, dal 2002 non è stata prodotta alcuna valutazione sistematica diffusa pubblicamente. Un'unità di valutazione è stata ricostituita nel 2008 e ha approvato un piano di lavoro annuale dotato di un bilancio. Una valutazione è stata conclusa - ma non ancora caricata sul sito della cooperazione allo sviluppo - ma fino a oggi la citata unità non è stata dotata di un proprio bilancio che le garantisse l'effettiva operatività;

l'articolo 36 della legge di disciplina della cooperazione allo sviluppo (legge n. 49 del 1987) prevede che sia istituita presso la direzione generale per la cooperazione allo sviluppo una banca dati in cui siano inseriti tutti i contratti, le iniziative, i programmi connessi con l'attività di cooperazione disciplinata dalla presente legge e la relativa documentazione e stabilisce che l'accesso alla banca dati sia pubblico. Ad oggi nessuna banca dati è accessibile on line,

 

impegna il Governo:

 

a pubblicare on line in un unico sito tutte le valutazioni prodotte dalla direzione generale per la cooperazione allo sviluppo, a pubblicare on line dopo la presentazione in Parlamento, le relazioni del dipartimento del tesoro relativamente all'azione verso banche e fondi di sviluppo e i documenti strategici come le programmazioni pluriennali per Paese (stream);

a pubblicare on line, subito dopo la loro approvazione, tutte le iniziative di cooperazione allo sviluppo;

a sostenere - in linea con gli orientamenti a livello UE - l'adozione di misure per ottimizzare la trasparenza ed assicurare il massimo accesso alle informazioni sulle risorse di cooperazione allo sviluppo, facendo ricorso al consolidato sistema di rapportistica internazionale «Creditor Reporting System ++» (che costituisce lo standard internazionalmente accettato in ambito OCSE/DAC) e all'Iniziativa internazionale per la trasparenza dell'aiuto (IATI), compatibilmente con la disponibilità di adeguate risorse umane per adempiere alle necessarie competenze statistiche.

(1-00391)

(Nuova formulazione nel testo modificato) «Di Pietro, Evangelisti, Donadi, Borghesi, Leoluca Orlando, Di Stanislao, Cimadoro».

 

 

La Camera,

premesso che:

nel settembre 2008 tutti i donatori a livello globale, in occasione del III Forum di alto livello sull'efficacia degli aiuti atti a favorire il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio, svoltosi ad Accra, in Ghana, hanno lanciato un'importante iniziativa per la trasparenza degli aiuti internazionali allo sviluppo - l'international aid transparency Initiative (Iati) - nella convinzione di una relazione cruciale fra l'aumento dell'efficienza e dell'efficacia degli aiuti e la trasparenza accompagnata da una maggiore responsabilità nell'uso delle risorse pubbliche (agenda d'azione di Accra);

tale iniziativa, che riunisce i donatori, i Paesi partner e le organizzazioni della società civile, mira a rendere pubbliche le informazioni sul flusso degli aiuti allo sviluppo, anche al fine di pervenire al rispetto di standard comuni, di regole condivise e comparabili, rendere trasparenti i flussi di aiuti e massimizzare l'impatto delle risorse;

in seguito a consultazioni avvenute con i paesi partner e le organizzazioni della società civile, l'international aid transparency Initiative ha elaborato un codice di condotta, volto a rendere accessibili e pubbliche le informazioni circa il flusso di aiuti e di attività, ad aiutare i Governi dei Paesi in via di sviluppo e a migliorare la loro pianificazione; si tratta di una serie di prescrizioni comprensive di dettagli sugli aiuti di ciascun Paese, sui costi dei singoli progetti, sui loro obiettivi e su tutte le altre informazioni in materia di aiuti;

nel febbraio 2009, 16 donatori hanno firmato l'international aid transparency Iniziative: Paesi Bassi, Germania, Australia, Nuova Zelanda, Spagna, Norvegia, Finlandia, Irlanda, Svezia, Danimarca, la Commissione europea, la Banca mondiale, la United nations development programme (Undp), la fondazione Hewlett, la Gavi Alliance e il Regno Unito. Molti Paesi non hanno ancora aderito a questa importante iniziativa (sono solo 8 i Paesi membri dell'Unione europea aderenti) e anche l'Italia manca all'appello, non avendo ancora espresso alcuna posizione circa la sua adesione;

negli ultimi anni anche l'Unione europea si è impegnata in una riforma degli strumenti di finanziamento, sulla base dei principi stabiliti prima dalla Dichiarazione di Parigi sull'efficacia degli aiuti (2005) e in seguito dall'agenda per l'azione di Accra (2008), ponendo al centro delle sue sfide anche quello di rendere trasparenti gli aiuti, in particolare gli aiuti comunitari. In tale direzione la Commissione europea sta predisponendo un documento di lavoro su trasparenza e responsabilità, anche in vista del IV Forum ad alto livello sull'efficacia degli aiuti, che si svolgerà dal 29 novembre al 1o dicembre 2011 in Corea;

aumentare l'accessibilità e la disponibilità delle informazioni relative alla cooperazione allo sviluppo è un importante obiettivo che tutti gli Stati dovrebbero concretamente perseguire, in quanto ciò consentirebbe di operare un maggior controllo sul flussi degli aiuti, una maggiore capacità di programmazione, sia in riferimento ai settori di intervento che alle priorità, ma soprattutto incoraggerebbe i soggetti donatori a una maggiore responsabilità, con ricadute importanti sul piano della trasparenza, elemento che concorre a monitorare e a prevenire fenomeni distorsivi e corruttivi;

il tema è particolarmente nevralgico nell'attuale situazione di crisi globale economico-finanziaria che rende difficile per molti paesi, e in particolare per l'Italia, il mantenimento di un adeguato investimento pubblico per gli aiuti allo sviluppo. La trasparenza sulla spesa è fondamentale per una risposta convincente e necessaria a mantenere il sostegno pubblico alla cooperazione internazionale e per assicurare una maggiore consapevolezza da parte delle opinioni pubbliche e delle organizzazioni della società civile circa i risultati degli aiuti;

la massima accessibilità alle iniziative finanziate dai donatori e la trasparenza degli aiuti allo sviluppo risulta poi di particolare rilevanza, laddove emerge uno specifico rapporto fra modalità di aiuto e corruzione, con particolare riferimento agli aiuti che potrebbero distorcere l'impatto sullo sviluppo, incoraggiando, anche indirettamente, la propensione da parte dei Governi a usare i finanziamenti come diretto sostegno di bilancio, con conseguente diffusione di una bassa responsabilità e una maggiore dipendenza per gli aiuti forniti dall'alto. Una più efficace trasparenza sui dettagli dei programmi e sui risultati degli aiuti, dunque, contribuirebbe anche a superarne i limiti attuali;

in Italia, purtroppo, alcuni sforzi compiuti dalla direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero per gli affari esteri, volti ad aumentare la trasparenza, a produrre una sistematica valutazione dell'impatto degli interventi e a predisporre una pubblicazione accessibile all'opinione pubblica, risultano fortemente insufficienti, anche a causa dei tagli di bilancio operati con le ultime manovre finanziarie. Secondo una recente valutazione della trasparenza, basata sulla completezza della reportistica, l'Italia risulta classificata come penultima, prima del Portogallo, fra tutti i donatori bilaterali e multilaterali;

le informazioni delle attività di cooperazione gestite dal Ministero dell'economia e delle finanze risultano ancora più fortemente inadeguate, essendo affidate esclusivamente a una relazione annuale al Parlamento che giunge costantemente in ritardo, dopo due anni. Ad aggravare la situazione dal punto di vista della scarsa accessibilità e della scarsa trasparenza dei flussi informativi si aggiunge un altro elemento non secondario, ossia le informazioni risultano solo nella lingua italiana, precludendo così agli altri Paesi partner di poter fruire facilmente della pubblicazione dei dati,

 

impegna il Governo:

 

a sostenere - in linea con gli orientamenti a livello UE - l'adozione di misure per ottimizzare la trasparenza ed assicurare il massimo accesso alle informazioni sulle risorse di cooperazione allo sviluppo, facendo ricorso al consolidato sistema di rapportistica internazionale «Creditor Reporting System ++» (che costituisce lo standard internazionalmente accettato in ambito OCSE/DAC) e all'Iniziativa internazionale per la trasparenza dell'aiuto (IATI), compatibilmente con la disponibilità di adeguate risorse umane per adempiere alle necessarie competenze statistiche;

a pubblicare, subito dopo la loro approvazione, tutte le iniziative di cooperazione;

a pubblicare on line, dopo la presentazione in Parlamento, le relazioni del dipartimento del Tesoro relativamente all'azione verso banche e fondi di sviluppo;

a prevedere, nell'ambito dello stato di previsione del MAE, risorse appositamente dedicate a garantire trasparenza e accessibilità delle informazioni sull'APS;

a verificare in occasione del Quarto Forum ad alto livello sull'efficacia degli aiuti previsto per il prossimo autunno in Corea del Sud, i risultati ottenuti in materia di trasparenza degli aiuti.

(1-00621)

(Testo modificato nel corso della seduta) «Tempestini, Barbi, Maran, Amici, Fluvi, Narducci, Colombo, Corsini, Losacco, Pistelli, Porta, Touadi, Mogherini Rebesani».

 

La Camera,

premesso che:

i dati preliminari sullo stato dell'aiuto pubblico dell'Italia allo sviluppo, comunicati dall'Ocse, sono la dimostrazione del drammatico stato in cui versa la cooperazione allo sviluppo nel nostro Paese. L'aiuto italiano, stando ai dati forniti dall'Ocse/Dac, sarebbe sceso dallo 0,16 per cento allo 0,15 per cento del Prodotto interno lordo, con una contrazione in termini reali rispetto al 2009 dell'1,5 per cento, ma del 35 per cento rispetto al 2008;

rispetto ad una media dell'Unione europea del 6,7 per cento, l'Italia si conferma fanalino di coda dei Paesi dell'Unione europea al pari di Belgio e Danimarca, ma addirittura dopo la Grecia che, nonostante le difficoltà nella tenuta dei conti pubblici, continua a destinare lo 0,17 per cento del prodotto interno lordo all'aiuto pubblico allo sviluppo;

nonostante la crisi economica sono pochi i Paesi dell'Ocse che hanno tagliato gli aiuti: oltre all'Italia sono stati la Grecia, l'Irlanda e la Spagna, ma, a parte la Grecia, gli altri due Paesi destinano rispettivamente lo 0,53 per cento e lo 0,43 per cento del loro prodotto interno lordo all'aiuto pubblico allo sviluppo;

la scelta del Governo italiano potrebbe determinare un forte ridimensionamento della credibilità europea in materia di cooperazione allo sviluppo, nonostante gli sforzi di quei Paesi dell'Unione europea che hanno incrementato la quota di aiuti e di quelli che, nonostante la crisi economica, hanno mantenuto i livelli degli anni precedenti;

gli impegni presi dal nostro Paese, insieme a tutta la comunità internazionale, in occasione del G8 di Gleneagles del 2005, rischiano di essere compromessi se, come già affermato dall'Ocse, non vi saranno piani specifici che possano garantire l'allocazione delle risorse promesse per l'aiuto pubblico allo sviluppo;

è da rilevare che, dello 0,15 per cento del prodotto interno lordo italiano per l'aiuto allo sviluppo, lo 0,11 per cento è gestito dal Ministero dell'economia e delle finanze, ma non è dato di sapere come vengono gestite queste risorse (le informazioni delle attività di cooperazione gestite dal Ministero dell'economia e delle finanze sono ancora affidate esclusivamente alla relazione annuale al Parlamento, che è resa disponibile dopo più di due anni); inoltre, malgrado promesse e rassicurazioni, continuano i ritardi nei pagamenti dei progetti in corso alle organizzazioni non governative;

oltre alla scarsità delle risorse esiste un problema di trasparenza ed efficacia della spesa e degli aiuti ai Paesi poveri;

con la Dichiarazione di Parigi del marzo 2005 sull'efficacia dell'aiuto, 88 Paesi e 40 organizzazioni e partner internazionali hanno convenuto su cinque concetti chiave: rafforzare la leadership dei Paesi in via di sviluppo che devono decidere le proprie strategie di sviluppo e gestire le proprie risorse; allineare gli interventi dei Paesi donatori alle strategie nazionali di sviluppo elaborate dai Paesi beneficiari; lavorare insieme per intensificare l'efficacia degli aiuti; focalizzare i risultati dello sviluppo; donatori e Paesi in via di sviluppo sono responsabili l'un l'altro, nonché davanti alla popolazione, per i risultati ottenuti;

l'Unione africana ritiene che la corruzione costi alle economie africane oltre il 25 per cento del prodotto interno lordo annuo dell'Africa, ma per poter affrontare il problema della corruzione è necessario creare capacità nelle istituzioni centrali e locali per lottare contro la corruzione, in particolare alla luce della crescita dell'aiuto concesso sotto forma di aiuto di bilancio;

per rendere efficace l'aiuto, affinché generi cambiamenti concreti nella vita dei Paesi poveri, è necessario che esso risponda alle priorità delle strategie di lotta alla povertà dei Paesi partner e che sia gestito e controllato dalle istituzioni dei Paesi partner, garantendo comunque il continuo controllo dei cittadini. L'aiuto deve anche rafforzare il ruolo di controllo della società civile dei Paesi partner;

nonostante alcuni progressi, si riconosce che i risultati europei sono ancora insufficienti: l'aiuto degli Stati europei è poco trasparente, dà poca importanza ai gruppi delle donne con troppe condizioni non negoziabili e l'obiettivo principale di alcune iniziative d'aiuto è spesso non indirizzato alla lotta alla povertà;

nel dicembre 2010 il Ministro britannico per lo sviluppo internazionale (Dfid), Andrew Mitchell, ha esortato l'Unione europea ad adottare la Garanzia per la trasparenza degli aiuti, organismo fondato dal Regno Unito che impegna i Paesi partecipanti a fornire informazioni sui flussi degli aiuti e incoraggerà i partner internazionali ad aderirvi;

secondo il Ministro inglese occorre fornire una visione chiara e trasparente della spesa sugli aiuti, «in modo che ai contribuenti sia garantito come viene speso il loro denaro (...). L'Unione europea ha portato avanti molti progetti di successo, ma, in tempi di difficoltà economiche, è importante che i contribuenti del continente possano vedere la differenza reale nell'aiuto ai più poveri portata dai loro soldi»;

nonostante gli sforzi fatti per aumentare la trasparenza della direzione generale per la cooperazione allo sviluppo, si registra l'interruzione della pubblicazione dei bollettini elettronici della cooperazione dall'inizio del 2010 e il blocco dell'aggiornamento delle delibere elettroniche,

 

impegna il Governo:

 

ad assumere iniziative per un immediato reintegro della quota di risorse da destinare ai Paesi poveri e ad aumentare la percentuale di aiuto pubblico allo sviluppo destinata alle organizzazioni non governative, riallineandosi alla media degli altri donatori;

a fornire un'informazione più rapida e puntuale delle decisioni e dei finanziamenti definiti dal Ministero dell'economia e delle finanze in tema di aiuto pubblico allo sviluppo;

a promuovere l'approvazione della proposta della Commissione europea per l'introduzione di un meccanismo di monitoraggio tra Stati membri relativamente all'aiuto pubblico allo sviluppo;

ad accelerare, così come richiesto dalle organizzazioni non governative, la messa in opera delle riforme necessarie a garantire una maggiore efficacia degli aiuti, pubblicando annualmente i dati relativi ai progressi fatti, in particolare su: diritti delle donne (considerare l'uguaglianza di genere centrale per l'azione di cooperazione allo sviluppo); trasparenza (aumentare l'accessibilità e la disponibilità delle informazioni relative alla cooperazione allo sviluppo); aiuti vincolati e gare d'appalto (non condizionare la concessione di aiuti alla fornitura di beni o servizi del Paese donatore, favorire l'acquisto locale nel Paese partner e l'utilizzo della normativa d'appalto nazionale); destinazione dell'aiuto (assicurarsi che ogni iniziativa di aiuto sostenga la riduzione della povertà e non la promozione di interessi commerciali del donatore);

a partecipare all'Iniziativa internazionale per la trasparenza dell'aiuto (international aid transparency Initiative - Iati);

a riferire al Parlamento sullo stato di attuazione e di partecipazione dell'Italia agli obiettivi del millennio delle Nazioni Unite.

(1-00623)

«Pezzotta, Adornato, Volontè, Galletti, Compagnon, Ciccanti, Naro, Enzo Carra».

 

La Camera,

premesso che:

l'agenda internazionale dell'efficacia degli aiuti trova nella trasparente comunicazione dei dati sull'aiuto pubblico allo sviluppo e nello spirito della mutual accountability fra donatori e beneficiari fissato dalle Dichiarazioni di Parigi e Accra, un suo elemento centrale anche ai fini della prevedibilità dei flussi di aiuto;

solo una politica di cooperazione fattivamente ispirata ai criteri della massimizzazione dei risultati sul terreno, in piena intesa con i Paesi partner del sud del mondo, può continuare a motivare, anche in una fase di rigorosa messa sotto controllo dei conti pubblici, la destinazione di fondi pubblici ad attività di aiuto allo sviluppo;

l'Italia sarà chiamata a dare conto, insieme agli altri donatori, di quanto fatto nel campo della trasparenza e della valutazione dei risultati della propria attività di cooperazione, in occasione del IV Foro di alto livello sull'efficacia degli aiuti che si terrà a Busan (Corea del Sud) alla fine del 2011;

l'intero spettro delle attività di aiuto allo sviluppo del nostro Paese dovrebbe essere messo a sistema per evitare le dispersioni di risorse pubbliche a vario titolo erogate da diversi soggetti, senza reale impatto sul terreno, auspicabilmente coinvolgendo anche soggetti privati e della società civile in uno sforzo sinergico che contribuisca a rendere più leggibile e meglio comunicabile tutto il mondo italiano della cooperazione,

 

impegna il Governo:

 

a rendere tempestivamente accessibile on line ogni possibile informazione sugli interventi di cooperazione approvati dal comitato direzionale del Ministero degli affari esteri, subito dopo la loro delibera;

a ripristinare quanto prima la regolare pubblicazione del bollettino Dipco, come insostituibile strumento di trasparenza delle attività di cooperazione allo sviluppo;

a dotarsi di linee d'azione e di strumenti, anche finanziari, per avviare al più presto un'organica attività di valutazione dei risultati delle attività di cooperazione svolte ai sensi della legge n. 49 del 1987;

ad adottare iniziative di coordinamento che, nel rispetto della legislazione vigente, consentano di dare progressivamente vita a un vero e proprio «sistema Italia» della cooperazione, in linea con lo spirito della normativa vigente e del ruolo che la stessa affida al Ministero degli affari esteri in questo campo.

(1-00625)

«Antonione, Dozzo, Sardelli, Pianetta, Angeli, Biancofiore, Bonciani, Boniver, Renato Farina, Lunardi, Malgieri, Moles, Osvaldo Napoli, Nicolucci, Nirenstein, Picchi, Scandroglio, Zacchera, Pini».

 

La Camera,

premesso che:

nel settembre 2008, in occasione del «Terzo Forum di alto livello sull'efficacia degli aiuti allo sviluppo», i Paesi donatori hanno assunto l'impegno di garantire la massima accessibilità alle informazioni relative all'aiuto stesso e la massima trasparenza del medesimo;

tale iniziativa, dunque, mira a rendere pubbliche le informazioni relative alle politiche di dono e al flusso degli aiuti per lo sviluppo;

aumentare e facilitare la disponibilità delle informazioni e dei programmi intrapresi dai donatori è un obiettivo fondamentale da perseguire per la realizzazione di un'efficace politica di aiuto pubblico e di sviluppo;

in Italia il problema della trasparenza sugli interventi sulle politiche di dono e sull'accessibilità ai documenti ad esse relative risulta particolarmente grave;

le informazioni sulle attività di cooperazione gestite dal Ministero dell'economia e delle finanze risultano inadeguate, rimanendo ancora affidate esclusivamente alla relazione annuale al Parlamento, che giunge costantemente in ritardo;

tra l'altro, le informazioni sulle attività di cooperazione gestite dal Ministero degli affari esteri e dal Ministero dell'economia e delle finanze potrebbero essere disponibili non solo in lingua italiana, ma anche in lingua inglese, per non precludere agli altri Paesi di poter fruire facilmente della pubblicazione dei dati;

nell'ordinamento italiano, in base a quanto statuito dalla legge n. 241 del 1990, la trasparenza amministrativa costituisce un principio essenziale in base al quale le attività della pubblica amministrazione devono essere rese pubbliche e accessibili agli utenti;

solo rispettando il principio di trasparenza, che per lo più si concretizza in un facile accesso ai documenti amministrativi al fine di comprendere le motivazioni poste alle base degli stessi, le pubbliche amministrazioni italiane ottemperano agli impegni assunti e sottoscritti al «Terzo Forum di alto livello sull'efficacia degli aiuti allo sviluppo»;

attraverso il rispetto del dettato della legge n. 241 del 1990, si dà concreta effettività al principio canonizzato nell'articolo 97 della Carta costituzionale, dando, allo stesso tempo, seguito ad una politica di aiuto e di sviluppo maggiormente efficace,

 

impegna il Governo:

 

a migliorare la trasparenza dell'aiuto pubblico allo sviluppo dell'Italia finalizzato alle politiche di dono, garantendo la massima accessibilità alle iniziative e ai programmi intrapresi e coordinando le modalità suggerite in ambito internazionale con i principi della legislazione italiana, segnatamente quelli recati dalla legge n. 241 del 1990, e successive modificazioni;

ad operare, nell'ambito delle iniziative internazionali, perché le regole di trasparenza e di contrasto alla corruzione corrispondano agli standard legali del nostro Paese e risultino di immediata operatività;

a rivedere e predisporre, di conseguenza, proposte regolative, articolate e correlate alle norme sulla trasparenza amministrativa, nella forma di modelli di accesso agli aiuti allo sviluppo stabiliti nel nostro Paese;

a riferire in Parlamento sulle iniziative assunte, in vista della partecipazione al quarto Forum sull'efficacia degli aiuti e all'attuazione dell'agenda di azione di Accra.

(1-00629)

«Pisicchio, Tabacci, Mosella, Brugger».

 

La Camera,

premesso che:

la cooperazione allo sviluppo - nata dall'esigenza di garantire il rispetto della dignità umana, assicurare la crescita economica di tutti i popoli e aiutare i Paesi in via di sviluppo a rafforzare le rispettive istituzioni - rappresenta sempre più una componente essenziale della politica estera italiana, soprattutto alla luce delle «nuove» emergenze che richiedono interventi urgenti, in particolare, per il mantenimento della pace e la gestione dei flussi migratori;

l'aiuto pubblico allo sviluppo - pur non rappresentando, in termini quantitativi, la fonte principale di finanziamento dello sviluppo - svolge, tuttavia, un ruolo essenziale, in particolare nei Paesi meno avanzati (least developed Countries), di sostegno agli sforzi fatti localmente per adeguare le istituzioni e i mercati, affinché sappiano cogliere le opportunità di sviluppo che i processi di globalizzazione schiudono e, al tempo stesso, proteggere le fasce più deboli della popolazione;

ogni anno l'Ocse elabora le statistiche sul volume degli aiuti nell'anno precedente e, secondo una recente tabella che evidenzia il trend dell'aiuto pubblico allo sviluppo italiano dal 1990 al 2010, l'aiuto italiano sarebbe sceso dallo 0,16 per cento (nel 2009) allo 0,15 per cento (nel 2010) del reddito nazionale lordo;

tali dati certificano il drammatico stato in cui versa la cooperazione allo sviluppo nel nostro Paese e confermano le difficoltà rispetto al mantenimento degli impegni assunti in sede internazionale in materia di aiuto pubblico allo sviluppo (0,51 per cento la percentuale da raggiungere nel 2010, secondo quanto concordato in ambito di Unione europea), peraltro rafforzate dai drastici tagli recentemente effettuati dal Governo;

lo stesso Ministro degli affari esteri, in un'intervista che correda il rapporto 2011 di ActionAid su «L'Italia e la lotta alla povertà nel mondo» - che sarà presentato a Roma il 27 settembre 2011 - ha affermato che i tagli al bilancio della cooperazione «non giovano alla nostra posizione nei Paesi dove eroghiamo un volume di aiuti inferiore al passato e in organizzazioni internazionali dove il nostro peso relativo sta diminuendo»;

tali tagli rischiano di determinare un forte ridimensionamento della credibilità europea in materia di cooperazione allo sviluppo, nonostante gli sforzi di quei Paesi dell'Unione europea che hanno incrementato la quota di aiuti e di quelli che, nonostante la crisi economica, hanno mantenuto i livelli degli anni precedenti;

oltre alla scarsità delle risorse e al fatto che, sempre più di recente, il tema della cooperazione allo sviluppo sembra uscito dalle priorità dell'agenda di Governo, esiste un reale problema di trasparenza ed efficacia della spesa e degli aiuti ai Paesi poveri;

nel settembre 2008 tutti i donatori a livello globale - in occasione del III forum di alto livello sull'efficacia degli aiuti atti a favorire il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio, svoltosi ad Accra, in Ghana - hanno lanciato un'importante iniziativa per la trasparenza degli aiuti internazionali allo sviluppo - l'international aid transparency Initiative (Iati);

per dare seguito all'impegno sull'efficacia dell'aiuto, nel febbraio 2009, 16 donatori hanno firmato l'international aid transparency Initiative, che ha lo scopo di garantire la massima accessibilità in tempo reale alle iniziative di aiuto allo sviluppo finanziate dai donatori, con l'ambizione di avere certamente, come punto di riferimento, l'esperienza del database del Dac-Ocse (Development assistance committee), ma anche di superarne alcuni dei limiti attuali: il ritardo nella pubblicazione dei dati (con una media di oltre un anno di ritardo), la mancanza di dettagli sui risultati dei programmi e i pochi dettagli geografici che impediscono di situare correttamente le iniziative di sviluppo nei Paesi partner;

molti Paesi non hanno ancora aderito a questa importante iniziativa e, tra questi, vi è l'Italia, che non ha ancora espresso alcuna posizione circa la sua adesione;

negli ultimi anni anche l'Unione europea si è impegnata in una riforma degli strumenti di finanziamento, sulla base dei principi stabiliti prima dalla dichiarazione di Parigi sull'efficacia degli aiuti (2005) e in seguito dall'agenda per l'azione di Accra (2008), ponendo al centro delle sue sfide anche quello di rendere trasparenti gli aiuti, in particolare gli aiuti comunitari: in tale direzione la Commissione europea sta predisponendo un documento di lavoro su trasparenza e responsabilità, anche in vista del IV forum ad alto livello sull'efficacia degli aiuti, che si svolgerà dal 29 novembre al 1o dicembre 2011 in Corea del Sud;

aumentare l'accessibilità e la disponibilità delle informazioni relative alla cooperazione allo sviluppo è un importante obiettivo che tutti gli Stati dovrebbero concretamente perseguire, in quanto, senza dubbio, sussiste una relazione stretta fra l'aumento dell'efficienza e dell'efficacia degli aiuti e l'adozione di strumenti volti ad incrementarne la trasparenza;

l'adozione di meccanismi efficaci di controllo «diffuso» ed immediato sul flusso degli aiuti potrebbe, tra l'altro, incentivare una maggiore responsabilità nell'uso delle risorse pubbliche,

 

impegna il Governo:

 

ad assumere ogni iniziativa, anche economica, utile a rilanciare la politica di cooperazione, anche incrementando la percentuale di risorse destinate all'aiuto pubblico allo sviluppo, al fine di consentire un riallineamento alla media e agli standard di efficacia degli altri Paesi donatori dell'Unione europea;

a sviluppare misure utili a garantire la massima accessibilità alle iniziative e ai programmi intrapresi in materia di aiuti pubblici allo sviluppo;

ad aderire all'Iniziativa internazionale per la trasparenza dell'aiuto (international aid transparency Initiative - Iati);

a riferire al Parlamento sullo stato di attuazione e di partecipazione dell'Italia agli obiettivi del millennio delle Nazioni Unite.

(1-00712) «Di Biagio, Della Vedova».

 

 

La Camera,

premesso che:

tra il 29 novembre e il 1o dicembre 2011 si svolgerà il quarto Forum mondiale di Busan (in Corea del Sud) per l'efficacia degli aiuti allo sviluppo. A prendervi parte saranno i rappresentanti di Governi da tutto il mondo, Paesi donatori e Paesi in via di sviluppo, organizzazioni no profit e imprenditori del settore privato;

il Forum di Busan è il quarto appuntamento mondiale sull'efficacia degli aiuti, dopo Roma nel 2003, Parigi nel 2005 e Accra nel 2008. A Parigi sono stati delineati i principi dell'efficacia e stabiliti gli impegni a livello globale; ad Accra sono state coinvolte nel processo, in maniera diretta e concreta, le organizzazioni della società civile;

il tema centrale dell'aiuto pubblico allo sviluppo è costituito oggi dalla necessità di una maggiore trasparenza. Un maggior livello di informazioni consentirebbe un più facile coordinamento tra i diversi attori (Governi, istituzioni internazionali, organizzazioni non governative e altro) e faciliterebbe la pianificazione delle priorità d'intervento dei Paesi partner;

la trasparenza negli aiuti allo sviluppo costituisce la precondizione per una maggiore efficacia degli aiuti stessi. Con una maggiore trasparenza aumenterebbero le capacità di valutazione e le probabilità di apprendere da successi e fallimenti del passato, nonché si determinerebbe un maggiore controllo pubblico da parte dei contribuenti dei Paesi donatori e dei cittadini dei Paesi fruitori degli aiuti, riducendo di conseguenza corruzione e sprechi;

sedici Paesi donatori hanno firmato, nel febbraio 2009, l'Iniziativa internazionale per la trasparenza dell'aiuto (international aid transparency Initiative - Iati). L'Italia non ha ancora aderito a questa importante iniziativa;

nel giugno 2011, 97 organizzazioni della società civile di tutto il mondo si sono riunite e hanno lanciato una campagna denominata «Make Aid Transparent» che chiede ai Paesi donatori di aumentare il loro livello di trasparenza. Si tratta di aderire ad un codice di condotta condiviso che metta a disposizione on line informazioni sugli esborsi e previsioni d'esborso degli aiuti suddivise per settore e distretto geografico;

sulla base del primo indice di trasparenza dei donatori, di «Publish what you fund», l'Italia occupa la ventisettesima posizione in quanto a trasparenza delle informazioni relative ai propri aiuti allo sviluppo. Su trenta tipi d'informazione individuati come importanti per gli aiuti, l'Italia ne pubblica in modo sistematico soltanto quattro, trovandosi nella parte bassa della classifica assieme a Portogallo, Grecia, Polonia e Ungheria;

a questo si aggiunge che l'aiuto pubblico dell'Italia allo sviluppo nel 2010 è pari allo 0,15 per cento del prodotto interno lordo, percentuale (peraltro in continuo calo) di gran lunga inferiore a quella di qualsiasi altro Paese dell'Unione europea,

 

impegna il Governo:

 

al fine di migliorare l'efficacia dell'aiuto pubblico allo sviluppo, ad adottare ogni iniziativa affinché sia ridotta la corruzione e sia assicurata la trasparenza e vengano pubblicati puntualmente tutti i dati relativi agli aiuti pubblici del nostro Paese allo sviluppo;

a sostenere - in linea con gli orientamenti a livello UE - l'adozione di misure per ottimizzare la trasparenza ed assicurare il massimo accesso alle informazioni sulle risorse di cooperazione allo sviluppo, facendo ricorso al consolidato sistema di rapportistica internazionale «Creditor Reportin System ++» (che costituisce lo standard internazionalmente accettato in ambito OCSE/DAC) e all'Iniziativa internazionale per la trasparenza dell'aiuto (IATI), compatibilmente con la disponibilità di adeguate risorse umane per adempiere alle necessarie competenze statistiche;

a pubblicare, subito dopo la loro approvazione, tutte le iniziative di cooperazione;

a pubblicare on line, dopo la presentazione in Parlamento, le relazioni del dipartimento del Tesoro relativamente all'azione verso banche e fondi di sviluppo;

a continuare ad assumere ogni iniziativa utile a rilanciare la politica di cooperazione, incrementando, compatibilmente con i vincoli di bilancio e con il momento di forte difficoltà dei conti pubblici, la percentuale di risorse destinate all'aiuto pubblico allo sviluppo.

(1-00726)

(Testo modificato nel corso della seduta).«Oliveri, Lo Monte, Commercio, Lombardo, Brugger».

 

 

 


 



[1]  Burundi, Repubblica Centrafricana, Ciad, Comore, Costa d’Avorio, Repubblica democratica del Congo, Guinea-Bissau, Haiti, Liberia, Sierra Leone, Somalia, Sud Sudan, Timor Est, Togo.

 

[2]    Si tratta dei capitoli di cui nell'esposizione della tabella C del disegno di legge di stabilità.

[3] Si ricorda che la Legge di stabilità 2012 (legge n. 183/2011), all’articolo 33, comma 1 incrementa la dotazione del Fondo per le esigenze urgenti ed indifferibili, di cui all'articolo 7-quinquies, comma 1, del decreto-legge n. 5/2009 , di 1.143 milioni di euro per l'anno 2012 prevedendone la ripartizione con appositi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri tra le finalità indicate nell'elenco 2 allegato alla medesima. Tra tali finalità vi è la partecipazione italiana a banche e Fondi internazionali.

[4]    La Commissione parlamentare d’inchiesta sull'attuazione della politica di cooperazione con i paesi in via di sviluppofu istituita con legge 17 gennaio 1994, n. 46 e prorogata con legge 6 novembre 1995, n. 465; non giunse all'approvazione di una relazione conclusiva anche per l'anticipata cessazione della legislatura.

[5]    Si tratta dei ddl nn. 83, 517, 1260, 1398 e 1537. Entrarono in seguito a far parte della discussione congiunta di questi provvedimenti altri due disegni di legge (1599 e 1641) recanti materia riconducibile agli aiuti ai PVS.

[6]    Per ulteriori informazioni sul sistema della cooperazione allo sviluppo in Francia si segnalano sul sito web del Ministère des Affaires Etrangères et Européennes le pagine dedicate all’Aide au Développement: (http://www.diplomatie.gouv.fr/fr/actions-france_830/aide-au-developpement_1060/index.html.

[7]    Composto da tutti i Ministri e Segretari di Stato direttamente interessati dall’aiuto allo sviluppo (Affari esteri ed europei; Finanze; Immigrazione, Integrazione, Identità nazionale e sviluppo solidale; Educazione; Ricerca; Interni; Difesa; Ambiente; Cooperazione; Bilancio; Commercio estero; Oltre-mare) e presieduto dal Primo Ministro, il Comitato ha il compito di: definire gli orientamenti della politica internazionale e dell’APD, tenendo conto delle diverse componenti; determinare la zona di solidarietà prioritaria (ZSP) relativa ai paesi verso i quali si concentrerà l’aiuto pubblico; valutare la coerenza delle priorità geografiche e settoriali al fine di stabilire annualmente gli orientamenti di una politica globale; assicurare un controllo e una valutazione permanente della conformità delle politiche e degli strumenti dell’aiuto rispetto agli obiettivi fissati e ai mezzi impiegati.

[8]    Istituita con il Décret n. 2009-291, la nuova Direction ha il compito di: definire e attuare l’azione francese nei settori economici e societari nei confronti delle organizzazioni internazionali e delle organizzazioni intergovernative a vocazione mondiale; partecipare all’elaborazione e all’attuazione della cooperazione internazionale nel settore della “governance”; seguire le questioni economiche e finanziarie internazionali; contribuire, per conto del Ministro degli Affari esteri, alla definizione delle politiche relative ai beni pubblici mondiali; mobilizza le reti statali all’estero sui problemi di livello globale; assumere la responsabilità di programmi di bilancio relativi alla cooperazione internazionale e allo svilupppo definiti dalle lois de finances e di competenza del Ministero degli Affari esteri; esercitare la tutela sugli operatori della cooperazione internazionale francese ed elaborare le politiche e strategie degli operatori dell’APD, in particolare dell’Agence française de développement; assicurare il seguito dell’azione internazionale delle organizzazioni non governative; sostenere l’azione delle collettività territoriali nel quadro della “cooperazione decentrata”.

[9]    Operatore principale del sistema della cooperazione allo sviluppo, l’Agence interviene con due differenti modalità:

-          finanzia progetti produttivi pubblici e privati con propri contributi e contribuisce alla realizzazione di infrastrutture in alcuni settori (sanità, educazione, ambiente, turismo, telecomunicazioni e trasporti); gestisce i programmi di sviluppo o di risanamento strutturale concessi dallo Stato;

-          assicura, per conto dello Stato, il segretariato del Fonds français pour l’environnement mondial (FFEM) e gestisce gli aiuti finanziari per conto dei ministeri dell’economia e finanze, dell’industria e degli affari esteri.

Per ulteriori informazioni si segnala il sito web dell’Agenzia www.afd.fr.

[10]   Nel settore della cooperazione allo sviluppo operano circa mille ONG. La gestione operativa dei progetti presentati dalle ONG è assicurata dall’Agence Française de Développement.

[11]   Si segnala il sito della Commissione www.fci.gouv.fr.

[12]   La legge d’orientamento sull’amministrazione territoriale n. 1992-125  ha precisato le modalità di attuazione della cooperazione decentrata che si è sviluppata rapidamente negli ultimi anni.

[13]   Legge n. 2001-692. Anche nel quadro disegnato dal Libro bianco su La France et l’Europe dans le monde. Livre blanc sur la politique étrangère et européenne de la France 2008 - 2020 (luglio 2008) (http://lesrapports.ladocumentationfrancaise.fr/BRP/084000459/0000.pdf), il coinvolgimento del Parlamento è aumentato e deve rispondere ad un imperativo democratico. Tale “evoluzione è anche la conseguenza diretta del posto crescente che i problemi europei e internazionali occupano nella vita quotidiana dei Francesi… Il Parlamento deve essere associato in maniera più “stretta” alle grandi decisioni di politica estera e alla loro attuazione”.

[14]   La Dichiarazione congiunta sul Consenso europeo per lo Sviluppo del 20 dicembre 2005 è il testo fondante di una visione comune dell’UE (compresi i singoli Stati membri) in materia di sviluppo, nell’ambito della quale l’UE e gli Stati membri si sono impegnati ad attuare le loro politiche di sviluppo in uno spirito di complementarietà(http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2006:046:0001:0019:IT:PDF).

[15]Datitratti dal sito web del Ministère des Affaires Etrangères et Européennes nella pagina dedicata a Les chiffres de l’aide publique au développement de la France http://www.diplomatie.gouv.fr/fr/actions-france_830/aide-au-developpement_1060/aide-publique-au-developpement-apd_19762/aide-bilaterale_19765/les-chiffres-aide-publique-au-developpement-france_19875/index.html.

[16]   La principale sede di discussione e proposta in materia di finanziamenti innovativi èil Groupe Pilote sur les financements innovants pour le développement, il cui segretariato permanente è assicurato dalla Francia (si segnala il relativo sito web http://www.leadinggroup.org/rubrique1.html). Creato nel 2006, riunisce 59 Paesi , di diverso livello di sviluppo, e associa le principali organizzazioni internazionali (in particolare Banca mondiale, OMS, UNICEF e UNDF) e le ONG.

[17]   Nel 2005 l’iniziativa francese di una tassa sui biglietti aerei si è concretizzata in un dispositivo come l’UNITAID (http://www.unitaid.eu/index.php/fr)e ha permesso il coordinamento di Paesi diversi (tra gli altri Brasile, Cile, Norvegia e Regno Unito). Attualmente 12 Paesi partecipano a questo contributo di solidarietà e altri (tra i quali India e Cina) stanno studiando la possibilità di applicare una tassa simile nei propri ordinamenti. Altri due meccanismi innovativi si sono affermati negli ultimi anni: la International Finance Facility for Immunisation – IFFIM (http://www.iff-immunisation.org/), lanciata nel 2006 da Regno Unito, Francia, Spagna, Italia, Norvegia, Svezia e successivamente dal Sud-Africa per finanziare programmi di vaccinazioni per i bambinie la Advance Market Commitment - AMC (http://www.vaccineamc.org/resources.html)che ha l’obiettivo di accelerare lo sviluppo di nuovi vaccini contro lo pneumococco, assicurando il finanziamento del loro acquisto futuro sulla base di garanzie finanziarie fornite dai donatori.

[20]   Il patrimonio separato-ERP è regolato attualmente dalla Legge sull’aiuto finanziario ai paesi in via di sviluppo mediante risorse finanziarie provenienti dal patrimonio separato-ERP (ERP-Entwicklungshilfegesetz), del 9 giugno 1961, e dalla Legge sull’amministrazione del patrimonioseparato-ERP (Gesetz über die Verwaltung des ERP Sondervermögens)del 31 agosto 1953. Ogni anno il Parlamento approva, attraverso il ERP-Wirtschaftsplangesetz, il Piano economico generale relativo alla gestione delle entrate e delle spese del fondo. Una specifica voce di spesa è dedicata al sostegno finanziario per forniture e prestazioni a favore dei paesi in via di sviluppo. La Legge di approvazione del piano economico del “patrimonio separato-ERP” per l’anno 2009 (ERP-Wirtschaftsplangesetz 2009 - BGBl I Nr. 20 vom 23.04.2009) è consultabile all’indirizzo internet: http://bundesrecht.juris.de/erpwiplang_2009/index.html.

[21]   La tredicesima Relazione del Governo federale sulla politica di cooperazione (luglio 2008) è consultabile all’indirizzo internet: http://dip21.bundestag.de/dip21/btd/16/100/1610038.pdf.

[22]   Il testo delle legge, aggiornato all’ultima modifica del 2006, è reperibile all’indirizzo internet: http://www.gesetze-im-internet.de/bundesrecht/erpentwhig/gesamt.pdf.

[23] Il testo della legge, aggiornato all’ultima modifica, è reperibile alla pagina web: http://www.gesetze-im-internet.de/bundesrecht/entwhstg/gesamt.pdf.

[24]   La versione aggiornata della legge è consultabile all’indirizzo Internet: http://www.gesetze-im-internet.de/bundesrecht/ehfg/gesamt.pdf.

[25]   Informazioni più dettagliate sulla procedura di attuazione di un progetto di sviluppo sono reperibili alla pagina web: http://www.bmz.de/de/wege/bilaterale_ez/zwischenstaatliche_ez/index.html.

[26]   Il sito del Dipartimento è all’indirizzo di rete: http://www.dfid.gov.uk/. Il Dipartimento ha pubblicato nel 2009 dati statistici sulla spesa del Regno Unito per la cooperazione internazionale allo sviluppo: Statistics on International Development 2004/05-2008/09, http://www.dfid.gov.uk/Documents/publications/sid%202009/final-printed-sid-2009.pdf. L’organizzazione interna del Dipartimento e gli ambiti di competenza delle sue direzioni sono illustrate nella organizational chart disponibile sul suo sito Internet: http://www.dfid.gov.uk/Documents/aboutdfid/organogram.pdf.

[27]   La ripartizione interna della spesa per la cooperazione con riferimento ai singoli ambiti di intervento (nell’ordine: istituzioni e società civile, sanità, sviluppo economico, istruzione, assistenza umanitaria, servizi sociali, ricerca, risorse idriche e bonifiche, tutela ambientale)  è indica presso il sito Internet del DFID: http://www.dfid.gov.uk/About-DFID/Quick-guide-to-DFID/where-the-money-goes/ . Informazioni sui singoli programmi beneficiati dagli aiuti del Regno Unito sono rese disponibili dallo stesso Dipartimento (Project information: http://projects.dfid.gov.uk/home.asp) oppure si ricavano dalla base di dati AIDA (Accessible Information on Development Activities: http://aida.developmentgateway.org/).

[28]   Il testo del Libro bianco del 1997 è consultabile al seguente indirizzo di rete: http://www.dfid.gov.uk/Documents/publications/whitepaper1997.pdf.

[29]   E’ forse utile, a questo riguardo, rammentare che sulla questione del requisito della "good governance" nei Paesi beneficiari si soffermò anche l'esame parlamentare del “Libro bianco”, condotto dalla Commissione di merito della Camera dei Comuni (International Development Committe) e conclusosi con la pubblicazione di due Relazioni. Nella prima di esse (del 16 dicembre 1997) si assegnava rilievo particolare all'ordinamento dei Paesi destinatari, nel presupposto che la necessaria trasparenza e correttezza dell'azione amministrativa fosse sufficientemente garantita soltanto in presenza di un effettivo assetto democratico ("a vigorous working democracy") di quei Paesi. Inoltre, con le raccomandazioni (Recommendations) successivamente rivolte al Governo (contenute nel Second Special Report, del 18 marzo 1998), la Commissione parlamentare invitava quest'ultimo ad adoperarsi affinché, una volta avviata la cooperazione allo sviluppo in determinati Paesi, fosse assicurata la partecipazione delle locali istituzioni della società civile nonché il godimento, da parte della popolazione residente, dei diritti economici, sociali e culturali.

[31]   L’attività della Commonwealth Development Corporation (di cui può essere utile consultare il sito Internet, all’indirizzo: http://www.cdcgroup.com/default.aspx), sorta sull’esperienza della Colonial Development Corporation creata nel 1948, è disciplinata dalla legge istitutiva del 1978, più volte modificata nel corso degli anni: da ultimo, con il Commonwealth Development Corporation Act 1999 (http://www.opsi.gov.uk/acts/acts1999/ukpga_19990020_en_1). Una esposizione di case studies articolati per area geografica o per settore economico è disponibile all’indirizzo: http://www.cdcgroup.com/businesses.aspx.

[32]   La CDC ha predisposto una guida per la valutazione dei rischi destinata ai fund managers, il cui testo è disponibile all’indirizzo: http://www.cdcgroup.com/uploads/cdc-toolkit-hires.pdf.

[33]   Si tratta del CDC Investment Code, alle cui previsioni devono attenersi anche i gestori dei finanziamenti (fund managers): http://www.cdcgroup.com/uploads/cdcinvestmentcode.pdf.

[35]  In tema di Millennium Developments Goals è utile la sezione ad esso dedicata nel sito Internet del DFID: http://www.dfid.gov.uk/Global-Issues/Millennium-Development-Goals/.

[36]   Sulla Dichiarazione di Parigi del 2005, sulla correlata Agenda di Accra e sugli impegni assunti al riguardo dal Regno Unito per il 2010 si veda il rapporto del DFID, pubblicato nel luglio 2009: http://www.dfid.gov.uk/Documents/publications/beyond_accra.pdf.

[39]   La composizione, le competenze e le modalità operative dello IACDI sono illustrate presso il sito Internet del DFID, all’indirizzo: http://www.dfid.gov.uk/About-DFID/Finance-and-performance/Evaluation/The-Independent-Advisory-Committee-on-Development-Impact/Independent-Advisory-Committee-for-Development-Impact-IACDI-Terms-of-Reference/.