Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Altri Autori: Servizio Rapporti Internazionali
Titolo: Incontro della Commissione Affari esteri con una delegazione di parlamentari del Pakistan - Roma, 30 marzo 2011
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 214
Data: 29/03/2011
Descrittori:
COMMISSIONI E GIUNTE PARLAMENTARI   PAKISTAN
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari
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Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Incontro della Commissione Affari esteri con una delegazione di parlamentari del Pakistan

Roma, 30 marzo 2011

 

 

 

 

 

 

n. 214

 

 

 

29 marzo 2011

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri

( 066760-4939 / 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

Servizio Rapporti Internazionali

( 066760-3948 – * cdrin1@camera.it

 

 

 

 

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File: es0735.doc

 


INDICE

Introduzione - Il contesto della visita (a cura del Servizio Rapporti Internazionali)3

Recenti sviluppi del quadro pakistano  9

§      Allegato 1: Indicatori internazionali sul paese:21

§      Allegato 2: Le persecuzioni della minoranza cristiana e la legge antiblasfemia  23

Composizione della delegazione e biografie (a cura del Servizio Rapporti Internazionali)31

Pakistan: Scheda paese (a cura del Servizio Rapporti Internazionali)35

Rapporti bilaterali (a cura del Servizio Rapporti Internazionali)59

§      Focus: L’interscambio commerciale tra Italia e Pakistan  69

Rapporti parlamentari (a cura del Servizio Rapporti Internazionali)101

 

 

 

 

 

 

 


SIWEB

Recenti sviluppi del quadro pakistano

Al centro dell’agenda politica pachistana degli ultimi mesi è rimasto il legame tra la fragilità del quadro politico interno (che vede alla presidenza della Repubblica Ali Zardari, vedovo di Benazir Bhutto, e nel ruolo di primo ministro Yousaf Gilani, entrambi esponenti del partito del popolo pakistano) e la difficile situazione in Afghanistan.

 

Per approfondimenti sulla situazione politico-istituzionale pakistana si rinvia alla scheda-paese presente in questo dossier.

 

Come è noto, il Pakistan rappresenta un attore centrale nella ricerca di una soluzione alla crisi afghana. In particolare, secondo molte analisi[3], anche l’esito dei negoziati avviati, nell’autunno scorso, tra rappresentanti del governo afghano ed esponenti dell’insorgenza talebana, dipenderà in gran parte dall’atteggiamento che assumerà il Pakistan. Secondo questi interpreti, il Pakistan ha un tradizionale interesse strategico ad una propria zona di influenza in Afghanistan, per impedire che questi cada invece sotto l’influenza dello storico avversario del Pakistan, l’India. A questo riguardo, sono stati ripetutamente ipotizzati contatti tra i servizi segreti pakistani, l’ISI, e componenti significative dell’insorgenza in Afghanistan nell’ottica di un “utilizzo”, in una qualche misura, dell’insorgenza da parte del Pakistan al fine di tutelare i propri interessi in Afghanistan (secondo queste analisi, l’insorgenza afgana avrebbe, al pari di Al Qa’ida, “santuari” e rifugi significativi nelle aree tribali ad amministrazione federale e nella provincia nord-occidentale del Pakistan al confine con l’Afghanistan, oltre che nella città di Quetta, indicata come sede di una sorta di “governo in esilio” talebano, la Shura di Quetta). Ne consegue che qualsiasi trattativa tra governo afghano ed esponenti dell’insorgenza che prescinda dalla considerazione degli interessi strategici del Pakistan appare, allo stato, di esito incerto. Emblematica, al riguardo, appare la vicenda che ha riguardato nel corso del 2010 l’alto esponente talebano Mullah Baradar, componente della Shura di Quetta, ritenuto favorevole al dialogo con il governo Karzai (peraltro Baradar è un Pashtun Durrani appartenente allo stesso clan del presidente, i Popalzai). Il suo arresto da parte delle forze armate pachistane ad inizio anno è stato interpretato come un segnale dell’orientamento pachistano ad ostacolare i tentativi di dialogo tra governo Karzai e insorgenza, mentre il suo rilascio, avvenuto in settembre, potrebbe indicare un mutamento di atteggiamento del Pakistan al riguardo.

 

In questo quadro, nonostante le pressioni della comunità internazionale e, in particolare, degli USA, l’attività controinsurrezionale da parte delle forze di sicurezza pakistane, pure intensificatesi negli ultimi anni, è apparsa rivolgersi principalmente[4] contro le organizzazioni terroristiche che promuovono l’instaurazione di un regime di tipo talebano in Pakistan, come Tehrik-e-Taliban, mentre non si registrerebbero attività contro gruppi coinvolti nell’insorgenza talebana afghana come l’Haqqani Network e Lashkar-e-Tayyba, originariamente attivo nel Kashmir e ritenuto responsabile degli attacchi terroristici a Mumbai del novembre 2008 (alcune fonti indicano la crescente pericolosità di Lashkar-e-Tayyba, che potrebbe in un prossimo futuro minacciare direttamente interessi occidentali e contendere ad Al Qa’ida il primato di organizzazione terroristica mondiale più pericolosa). Le regioni delle aree tribali ad amministrazione federale, e in particolare quelle del Nord Waziristan, ritenute un rifugio per esponenti di Al Qa’ida sono oggetto di attacchi con aerei droni senza pilota USA che sono andati intensificandosi negli ultimi anni

 

I grafici seguenti ripresi dal Pakistan Index della Brookings Institution, aggiornato al 24 marzo 2011, riportano i dati sugli attacchi con aerei droni USA in Pakistan, nonché quelli sulle attività antiinsurrezionali del governo pakistano:

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal punto di vista strategico, continua poi a pesare, come già si è accennato, il contenzioso con l’India per il Kashmir (sia India che Pakistan sono in possesso dell’arma nucleare, in violazione del trattato di non proliferazione): i colloqui di pace, sospesi nel novembre 2008 a seguito dell’attentato terroristico di Mumbai, dovrebbero riprendere nell’estate. Nel contesto del contenzioso, il Pakistan ha richiesto agli USA la stipula di un accordo sulla cooperazione nel nucleare civile simile a quello tra USA e India del 2005.

 

In questo quadro, peraltro, le gravissime alluvioni dell’estate 2010 hanno portato sull’orlo del collasso il Pakistan. L’esteso straripamento dell’Indo, il fiume che attraversa da nord a sud il territorio pakistano, hanno devastato migliaia di chilometri quadrati di terre fertili, hanno costretto circa tre milioni di persone a sfollare ed hanno colpito complessivamente circa 20 milioni di pakistani (su una popolazione totale di oltre 187 milioni), con un bilancio di decessi superiore alle 1.600 unità.

Pesantissimi i danni alle dotazioni infrastrutturali del paese - compreso il vitale sistema di canalizzazione delle acque - in particolare nella provincia settentrionale di Khyber-Pakhtunkhwa, mentre il 20% del totale nazionale dei terreni coltivati è stato sommerso, con gravi conseguenze in settori agricoli vitali per l’economia del paese, dove l’agricoltura vale il 20% del PIL, quantificati in circa 2,8 miliardi di dollari.

Secondo stime di prima approssimazione effettuate dalla Banca Mondiale e dalla Asia Development Bank, l’entità complessiva dei danni derivanti dall’alluvione si aggira tra i 25 e i 40 miliardi di dollari, somme alle quali Islamabad non è in grado di fare fronte da sola. Il rafforzamento di linee di credito agevolato da parte di entrambe le istituzioni, i 250 milioni di dollari in aggiunta ai “consueti” 3 miliardi di dollari annui - equamente divisi tra settore militare e civile - offerti dagli Stati Uniti, da tempo il principale donatore del paese asiatico, e i 106 milioni di dollari promessi dall’alleata Arabia Saudita, insieme ad altre donazioni provenienti dalle agenzie ONU, hanno tamponato le emergenze ma rappresentano soltanto una frazione di quanto sarebbe necessario per un intervento di ricostruzione infrastrutturale.

A giudizio di taluni osservatori il Governo e l’apparato burocratico del paese non hanno risposto adeguatamente alla crisi determinata dall’alluvione, che ha così reso ancor più evidenti i problemi che assillano il Pakistan[5]. Secondo tale analisi sarebbe l’esercito guidato dal generale Ashfaq Parvez Kayani ad aver beneficiato in termini  politici della crisi, grazie al fatto di essersi capillarmente posizionato a capo di tutte le operazioni umanitarie, nelle quali ha impiegato oltre 70 mila soldati; la finalità sarebbe stata quella di ottenerne un ritorno in termini di credibilità per le Forze armate pakistane, i cui vertici tradizionalmente sono titolari di dossier cruciali quali il pieno controllo decisionale sulla politica di difesa e sicurezza, l’arsenale atomico e i rapporti con America, India e Afghanistan, al momento ritenute non intenzionate ad assumersi la responsabilità di governo diretto del Paese in un momento così difficile.

L’inadeguata risposta delle autorità civili ha provocato una perdita di fiducia nel governo da parte delle popolazione, fattore di per sé ritenuto in grado di alimentare la radicalizzazione di alcuni settori della società pakistana e di rafforzare la militanza islamica attiva in tutto il paese. D’altro canto, l’esercito, impegnato a fronteggiare lo stato di calamità, ha sospeso parte delle attività di contro insurrezione nel nord ovest del paese e in sud Waziristan, permettendo così ai militanti di infiltrare nuovamente zone precedentemente bonificate. Da ciò è derivato un incremento degli attacchi di droni statunitensi, che hanno provocato un elevato numero di vittime, condannati dalle autorità pakistane; da ultimo, il 17 marzo 2011 quando il generale Kayani ha definito "in completa violazione dei diritti umani" l’ultimo raidche ha causato il decesso di circa 40 persone,

 

Sugli assetti politici interni continua a pesare la presenza di movimenti terroristici fondamentalisti come quello di Tehrik-e-Taliban già sopra ricordato. Emblematica in tale senso è la vicenda dell’assassinio, il 4 gennaio 2011, di Salman Taseer, Governatore del Punjab, esponente di spicco del PPP (Pakistan People Party), ed editore del quotidiano Daily Times ad opera della sua stessa guardia del corpo, Malik Mumtaz Hussain Qadri; per espressa ammissione di Qadri l’omicidio trae fondamento nella campagna condotta da Taseer a favore di Asia Bibi, donna cristiana analfabeta condannata a morte per aver dissacrato il buon nome del Profeta nel corso di una lite con i vicini riguardo l’acqua potabile[6] (sulla vicenda si rimanda al box sulla vicenda di Asia Bibi nell’allegato 2 sulla libertà religiosa in Pakistan).

L’omicidio del governatore del Punjab e quello del ministro cristiano per le minoranze, Shahbaz Bhatti (2 marzo 2011)  riporta alla luce il timore occidentale circa l’affidabilità del personale addetto al programma nucleare pakistano (70.000 persone tra cui 8.000 scienziati, dei quali 2.000 definiti in possesso di know-how critico). Sebbene l’establishment militare pakistano rassicuri le controparti occidentali che il personale impiegato è sottoposto a costanti controlli bancari e a stretta sorveglianza, miranti a scoprire eventuali contatti con ambienti estremisti (va rammentato che gli Usa finanziano un apposito programma di screening psicologico in tale senso), sul dossier nucleare si avverte un punto di fragilità nei rapporti con gli USA.

In questo contesto, il 12 febbraio, si è inserita anche la richiesta di arresto per l’ex-presidente Musharraf, accusato di essere coinvolto nell’omicidio di Benazir Bhutto nel dicembre 2007.

 

Con riferimento al quadro politico si ritiene di interesse riportare i seguenti grafici sugli orientamenti dell’opinione pubblica pakistana (con riferimento specifico anche agli abitanti delle FATA, cioè le aree tribali ad amministrazione federale), riprodotti nel Pakistan Index della Brookings Institution del 24 marzo 2011:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Crescente appare infine la presenza nel contesto pakistano della Cina, storicamente alleata del Pakistan perché sospettosa dell’India a causa dell’annosa disputa confinaria[7]. Il gigante asiatico ha peraltro da tempo riorientato la propria strategia sul territorio pakistano con l’intenzione di trasformarlo, in virtù della posizione geografica, in un corridoio energetico e commerciale capace di veicolare materie prime e risorse energetiche verso l’insaziabile economia cinese. Nonostante l’ottimo stato di rapporti bilaterali sino-pakistani rassicuri le autorità sia civili sia militari di Islamabad, viene rilevato da taluni osservatori che la natura di tale relazione non è meno transazionale e strumentale di quella tra Pakistan e USA[8]; i cinesi, infatti, potrebbero mutare atteggiamento rispetto all’investimento - orientato anche all’espansione delle capacità nucleari - in Pakistan, qualora i ritorni dovessero essere minacciati dalla continua instabilità politica, privilegiando l’intesa con l’India, paese in forte ascesa politica ed economica. Non è infatti interesse della Cina sostenere un Pakistan instabile e nel nord ovest del quale, tra l’altro, definito una sorta di cenacolo globale del jihadismo, operano da anni anche militanti islamici cinesi provenienti dalla minoranza oppressa degli uighuri.

 

 

Si forniscono in allegato ulteriori elementi di informazione sulla situazione politica pakistana. In particolare:

-          in allegato 1 sono riportati alcuni indicatori internazionali sul paese;

-          in allegato 2 è svolto un approfondimento sulla condizione della libertà religiosa in Pakistan

 


Allegato 1: Indicatori internazionali sul paese[9]:

 

Libertà politiche e civili: “Stato parzialmente libero” (Freedom House); “regime ibrido” (Economist)

Indice della libertà di stampa: 151 su 178

Libertà religiosa: gravi limitazioni, violenza da parte delle istituzioni e violenza e intolleranza sociali  (ACS); Islam religione di Stato, crescente intolleranza verso le minoranze religiose (USA)

Corruzione percepita: 143 su 178

Variazione PIL 2009: + 3,36 per cento

Conflitto armato interno attivo

 

 

 

 


Allegato 2: Le persecuzioni della minoranza cristiana e la legge antiblasfemia

Nell’edizione 2011 dell’ Index mondial de persécution pubblicato annualmente a cura dell’ONG, di matrice cristiano-evangelica, Portes Ouvertes[10]il Pakistan occupal’11a posizione; il Dipartimento di Stato americano,a sua volta,loha classificato Paese CPC (Country of Particular Concern)[11].Il Pakistan, pertanto, viene in evidenza tra i paesi più pericolosi per i cristiani[12]. Nonostante la Repubblica islamica si dichiari formalmente laica e sebbene la Costituzione (1973) affermi il principio dell’uguaglianza tra i cittadini davanti alla legge, non mancano nell’ordinamento del paese centro asiatico leggi discriminatorie. In particolare, la legge anti-blasfemia.

 

La legge antiblasfemia

Introdotta nel 1986 dal dittatore Zia-ul-Haq, tale normativa è prevista alla sezione 296, paragrafi B e C del Codice penale pakistano. Con la finalità di difendere da offese e ingiurie l’Islam e il suo profeta Maometto, le norme puniscono con l’ergastolo chi offende il Corano e prevedono la condanna a morte per chi insulta il Profeta.

In Pakistan vigono, inoltre, le cd. Ordinanze Hudood, norme di diritto penale basate sul Corano approvate nel 1979, sotto la giunta militare del generale Zia-ul-Haq. Composte da quattro parti e destinate a regolare i temi della proprietà, dell'adulterio e delle proibizioni religiose, prevedono la flagellazione e la lapidazione per i comportamenti incompatibili con la legge islamica (adulterio, gioco d’azzardo, consumo di alcool).

Tali fonti normative rappresentano, come sottolineato dalle organizzazioni di soccorso alle minoranze cristiane, strumenti di discriminazione e violenza, nonché mezzi per procedere ad una radicale islamizzazione del Pakistan.

Nel Rapporto 2010 di Aiuto alla Chiesa che Soffre[13] si legge che le accuse a carico dei presunti blasfemi “sono spesso false o motivate da interessi meschini, generano scandali e spingono folle inferocite a farsi giustizia da sé” e che non mancano casi in cui giudici hanno comminato la pena di morte sotto la pressione di folle aizzate da mullah locali “anche senza alcuna prova contro gli accusati”. Secondo dati della Commissione per la giustizia e la pace dell’episcopato pakistano (Ncjp) dall’entrata in vigore della legge anti blasfemia nel 1986 al 2010 almeno 993 persone sono state incriminate con l’accusa di aver profanato il Corano o diffamato il profeta Maometto: 479 erano musulmani, 120 cristiani, 340 Ahmadi (corrente musulmana considerata eretica da sunniti e sciiti perché non riconosce Maometto come ultimo profeta), 14 indù e 10 di altre religioni.

Occorre osservare che, sebbene non vi siano state sino ad oggi esecuzioni capitali in applicazione della legge antiblasfemia, l’esistenza stessa di tale normativa consente abusi ed interpretazioni discriminatorie; proprio ad un utilizzo pretestuoso ed extragiudiziale della legge viene imputata la morte di almeno 50 cristiani dal 2001 ad oggi e quella in numero ancor maggiore di appartenenti alla minoranza musulmana degli ahmadi. La diffusione, dopo il 2001, del sentimento anti-occidentale conseguente l’intervento militare in Iraq e Afghanistan – sottolinea il Rapporto 2010 di ACS - ha ulteriormente acuito il problema della legge antiblasfemia. Lo stesso Governo pakistano ammette la gravità della questione quando, per voce del ministro per i diritti umani Syed Mumtaz Alam Gillaniintervenuto in Parlamento, pur con riferimento alla più vasta categoria dei diritti umani, ha indicato in oltre 11 mila i casi di violazione nell’ultimo triennio, 8mila dei quali ancora pendenti.

La vicenda di Asia Bibi

La legge antiblasfemia è salita agli onori della cronaca internazionale con la vicenda (iniziata al 19 giugno 2009) di Asia Bibi, cittadina pakistana di religione cristiana della provincia del Punjab (Pakistan orientale), denunciata per blasfemia e condannata alla pena capitale dal Tribunale distrettuale di Nankana. La condanna a morte della prima donna pakistana in base alla legge sulla blasfemia ha suscitato la reazione immediata della comunità internazionale, sollecitata anche da un appello del Pontefice Benedetto XVI (17 novembre). Contro tale sentenza, la famiglia di Asia Bibi ha presentato ricorso (8 novembre 2010) presso l'Alta Corte provinciale di Lahore, capitale della provincia del Punjab. Quanto alla reazione in Italia, la rete televisiva SAT-TV2000, vicina alla Conferenza episcopale, ha lanciato una campagna di mobilitazione dell’opinione pubblica internazionale, anche per richiamare l’attenzione sulle persecuzioni subite dai cristiani a causa della loro professione di fede. In difesa della libertà religiosa intesa come diritto fondamentale si sono attivate anche le autorità italiane. Il ministro degli esteri, Franco Frattini, in occasione della sua visita nella capitale pakistana Islamabad (11 novembre 2011) ha posto al centro dell’agenda degli incontri bilaterali la riaffermazione dell’interesse italiano per i diritti delle minoranze e per la libertà religiosa, ed ha chiesto al Governo pakistano un più efficace impegno in questo campo. Nel sollevare con le autorità pakistane il caso di Asia Bibi, il ministro Frattini, che ha definito la donna una nuova “Sakineh cristiana”, ha ottenuto dal ministro pakistano per le minoranze, Shahbaz Bhatti, l’assicurazione di un approfondimento delle accuse mosse alla Bibi, in vista del passaggio giudiziario presso l’Alta corte provinciale di Lahore. Il premier pakistano Syed Yousuf Raza Gilani ed il ministro degli esteri Mehmood Qureshi, dal canto loro,hanno garantito l’impegno a non consentire l’abuso della legge sulla blasfemia finalizzato alla discriminazione delle minoranze cristiane.
Come diffuso da fonti di stampa il 22 novembre 2010, in base alle risultanze dell’approfondimento
Asia Bibi è innocente. Nel consegnare il dossier al presidente Zardari, che lo aveva richiesto al fine di valutare la concessione della grazia, Bhatti, ha dichiarava di aver sostenuto con il presidente la necessità di modificare la legge sulla blasfemia “perché bisogna impedire che faccia vittime innocenti come è successo nel caso di Asia Bibi''.Durante l’incontro tra i due leaders politici pakistani sarebbe stata decisa l’istituzione di una commissione permanente per la messa a punto di una proposta di abrogazione o modifica della legge sulla blasfemia.

La reazione dei movimenti religiosi islamici pachistani propugnatori dell’esecuzione della sentenza capitale pronunciata dal tribunale distrettuale di Nankana nei confronti di Asia Bibi e del tutto contrari ad ogni ipotesi di modifica della  legge sulla blasfemia ha determinato un aspro scontro tra i poteri dello Stato, concretizzatosi anche in una disposizione risalente allo scorso dicembre dell’Alta Corte di Lahore, il massimo organo giudiziario della provincia pachistana, che chiedeva al premier e al presidente, il quale stava valutando tale ipotesi, di astenersi da qualsiasi azione mirante a far ottenere la grazia alla donna; la crisi si è successivamente avvitata in una spirale di violenza che ha avuto esito il 4 gennaio 2011 nell’omicidio, da parte di una guardia del corpo, del governatore del Punjab, Salman Taseer, personalmente  mobilitatosi a favore della grazia. In un clima nel quale, come rilevato dagli osservatori, si evidenzia la debolezza dell’esecutivo costretto a soddisfare la volontà dell’ala estremista del Paese per non sconvolgere gli equilibri di potere, anche laproposta di modifica della legge antiblasfemia volta ad eliminare la previsione della pena di morte per tale reato, è stata ritirata all’inizio di febbraio. La proposta era un’iniziativa della parlamentare Sherry Rehman, esponente del Pakistan People’s Party (PPP), il partito di maggioranza del premier Yousuf Raza Gilani: il riallineamento della Rehman, minacciata di morte dai fondamentalisti islamici, sulle posizioni del  PPP e del premier, nella valutazione degli analisti, ha chiuso la porta ad ogni discussione di modifica della legge. Anche la costituzione del Comitato per la promozione di emendamenti alla legge sulla blasfemia era stata smentita dallo stesso ministro cristiano per le minoranze religiose Shahbaz Bhatti nei primi giorni di febbraio. Come è noto, Bhatti è stato assassinato da talebani pakistani a Islamabad, il 2 marzo 2011.


Iniziative internazionali a tutela delle minoranze cristiane

Mentre rimane alta l’attenzione sugli sviluppi della vicenda della cittadina pakistana, in un’intervista rilasciata il 15 novembre 2010 al quotidiano online Il Sussidiario”, il Ministro Frattini  ha annunciato l’intenzione del Governo italiano di presentare, con il sostegno dei paesi europei, una risoluzione all’Assemblea generale dell’ONU per difendere la libertà religiosa, anche con riferimento ai cristiani perseguitati in Iraq e in tutto il Medio Oriente. Nella risoluzione, ha precisato il ministro, sarà sottolineata "l'assoluta inviolabilità del diritto a professare la propria religione e l'assoluta inviolabilità del diritto a esprimere il proprio credo, non solamente in privato ma anche con gesti pubblici". Il capo della diplomazia italiana ha rammentato la mobilitazione italiana in soccorso dei cristiani iracheni gravemente feriti nell’attentato alla cattedrale di Bagdad (31 ottobre 2010), ventisei dei quali sono stati trasportati in Italia per ricevervi le necessarie cure mediche, e la richiesta, formulata alle autorità sia Bagdad sia, successivamente, di Islamabad, di riservare ai cristiani quote nelle pubbliche amministrazioni locali e provinciali.

All’iniziativa italiana si è affiancata quella di un gruppo di parlamentari francesi che, il 22 dicembre 2010, ha lanciato un appello affinché la Francia diventi portavoce dei cristiani d’Oriente sostenendo un progetto di risoluzione nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu volto alla solenne riaffermazione dei diritti di tutte le minoranze a praticare liberamente e in sicurezza il proprio credo. I timori espressi dai sottoscrittori dell’appello hanno tragicamente trovato conferma nella strage - imputata ad elementi vicini ad Al Qaeda - del 31 dicembre 2010 ad Alessandria d’Egitto presso chiesa copta Al-Qiddissine, che ha causato la morte di 21 persone.

A livello comunitario si segnala che il 20 gennaio 2011 il Parlamento europeo ha approvato a larghissima maggioranza una risoluzione appoggiata da tutti i gruppi politici sull’urgente questione della libertà di religione nel mondo. La risoluzione sottolinea la necessità per l’Europa di schierarsi a favore dei diritti umani e della libertà religiosa, tenendo presente che un’elevata percentuale delle vittime del terrorismo di matrice islamica è cristiano. La risoluzione, inoltre “chiede all'Alto Rappresentante dell'Unione, alla luce dei recenti eventi e della necessità crescente di analizzare e comprendere l'evoluzione delle questioni culturali e religiose nelle relazioni internazionali e nelle società contemporanee, di predisporre in seno alla Direzione diritti umani del Servizio europeo per i rapporti esterni, una struttura permanente incaricata di seguire la situazione delle restrizioni governative e sociali della libertà religiosa e dei diritti ad essa correlati e di riferire annualmente in merito al Parlamento”.

Il 21 gennaio 2011, il Comitato dei Ministri dei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa ha adottato all’unanimità una dichiarazione sui recenti attacchi alle comunità cristiane e sulla necessità di difendere la libertà religiosa di tutti i credenti; nel documento si condannano tali atti, come pure tutte le forme di incitamento all’odio e alla violenza religiosa, e si sottolinea il diritto inalienabile alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione.

Sempre il  21 gennaio 2011, il Bureau dell’Assemblea Parlamentare dell’Unione del Mediterraneo, riunitasi a Roma, a Palazzo Madama, sotto la presidenza dei presidenti del Senato, Renato Schifani, e della Camera, Gianfranco Fini, ha rilasciato una nota di solidarietà agli Stati e alle popolazioni colpite dai recenti attacchi terroristici, ribadendo altresì l’impegno dell’Assemblea dell’Unione del Mediterraneo a porre la questione della libertà di culto e del dialogo religioso tra le proprie priorità.

Il 27 gennaio 2011, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha adottato la Raccomandazione 1957 (2011) che condanna le violenze contro i cristiani in Medio Oriente, basata sul rapporto dell’on. Luca Volontà. Nel rapporto si evidenzia tra l’altro che la sparizione delle comunità cristiane del vicino e medio oriente sarebbe un duro colpo per gli stessi musulmani moderati, che potrebbero essere in tal modo sopraffatti dai fondamentalisti.

Il 21 febbraio 2011, i Ministri degli affari esteri dell’Unione Europea hanno approvato un documento ufficiale in cui “condannano fermamente gli attacchi contro i cristiani ed i loro luoghi di culto, i pellegrini musulmani e le altre comunità religiose” ed esprimono “profonda preoccupazione per il numero crescente di manifestazioni di intolleranza e discriminazione fondate sulla religione, di cui sono testimonianza le violenze e gli atti di terrorismo condotti recentemente in diversi Paesi”.

 


Iniziative parlamentari italiane in materia di tutela di minoranza cristiane nel mondo

Il tema delle persecuzioni delle minoranze cristiane è all’attenzione della Camera. A larghissima maggioranza, il 12 gennaio 2011 è stata approvata la risoluzione in Assemblea n. 6-00052 presentata dall'on. Mazzocchi ed altri, riguardante iniziative volte a far cessare le persecuzioni nei confronti dei cristiani nel mondo.

Il documento richiama preliminarmente il messaggio del Pontefice Benedetto XVI del 1° gennaio 2011, "Libertà religiosa via per la pace", che denuncia la grave mancanza di libertà religiosa di cui soffrono tanti esseri umani tra i quali cristiani in molti paesi e sottolinea come il termine «cristianofobia», che descrive compiutamente questo fenomeno di portata universale, è stato adottato dall'ONU sin dal 2003 e dal Parlamento europeo nel 2007. La risoluzione impegna il Governo a far valere con ogni forma di legittima pressione diplomatica ed economica il diritto alla libertà religiosa, in particolare dei cristiani e di altre minoranze perseguitate, laddove risulti minacciata o compressa,per legge o per prassi, sia direttamente dalle autorità di governo sia attraverso un tacito assenso e l'impunità dei violenti; a far valere nelle relazioni diplomatiche ed economiche, bilaterali o multilaterali, la necessità di un effettivo impegno degli Stati per tolleranza e libertà religiosa, fino al diritto sancito alla «libertà di cambiare religione o credo»; a tener conto del rispetto dei diritti umani nei paesi con cui ci sono scambi economici, in coerenza e in applicazione degli articoli 8 e 19 della nostra Costituzione; a richiedere in ambito internazionale di concerto con i partner dell'Unione europea la rimozione delle limitazioni dei diritti umani, ed in particolare della libertà religiosa, in quei paesi dove vige la sharia; a proseguire nell'impegno perché la risoluzione sulla libertà religiosa sia effettivamente implementata negli Stati dell'ONU e ad istituire un «Osservatorio sulla condizione dei cristiani nel mondo» per monitorare e valutare l'applicazione di tali impegni.

 

Si segnala inoltre lo svolgimento in Aula dei seguenti atti:

 

 

·              Interpellanza urgente 2-00938 (primo firmatario Renato Farina) sui casi di Sakineh Mohammadi Ashtiani e Asia Bibi (27 gennaio 2011).

·              Interpellanza 2-00630 (primo firmatario Castagnetti) sulle ripetute violenze contro i cristiani di Mossul in Iraq (4 maggio 2010).

·              Interrogazione a risposta immediata 3-00834 (Vietti) incentrata sulle violenze nei confronti di comunità cristiane di Iraq, Pakistan, India, Nigeria, Vietnam, Filippine, Malaysia ed Egitto(13 gennaio 2010).

·              Interrogazione a risposta immediata 3-00393 (Pifferi) riguardante l’adozione di provvedimenti contro le persecuzioni religiose nei confronti delle minoranze cristiane nel mondo (18 febbraio 2009).

·              Interpellanza urgente 2-00197 (primo firmatario Renato Farina) sulla violenza contro i cristiani in Iraq (20 novembre 2008).

·              Discussione congiunta delle mozioni 1-00058 (primo firmatario Evangelisti), 1-00037 (primo firmatario Volonté) 1-00052 (primo firmatario Bertolini) e della Risoluzione in Assemblea 6-00010 (Cota e Gibelli) riguardanti la persecuzione dei cristiani, con particolare riguardo alla situazione in India (10 novembre 2008).

·              l'interpellanza urgente 2-00151 (primo firmatario Di Virgilio) in tema di iniziative in relazione ai ripetuti episodi di violenza e persecuzione nei confronti dei cristiani nel mondo (23 ottobre 2008).

 


Atti svolti presso la Commissione Esteri

 

·                  Interrogazione 5-03573 ( Polledri e Pini) sui soprusi e le violenze ai danni delle minoranze cristiane del Pakistan, non sempre raggiunte dagli interventi umanitari e di soccorso successivi all’alluvione che all’inizio di agosto 2010 ha colpito il paese (25 novembre 2010).

·                  interrogazione 5-02352 (Leoluca Orlando) sulla tutela della comunità cristiana residente nella provincia del Nord Kivu della Repubblica Democratica del Congo (20 gennaio 2010).

·                  Interrogazione 5-00281 (Migliori) sulla tutela delle comunità cristiane e della Chiesa cattolica in Turchia (5 novembre 2008).

 

Anche in diverse audizioni svolte nell'ambito dell’indagine conoscitiva sulla tutela dei diritti umani sono emerse in evidenza problematiche connesse al tema delle persecuzioni delle minoranze cristiane.

 

 

 

 


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Focus: L’interscambio commerciale tra Italia e Pakistan

Il saldo della bilancia commerciale con il Pakistan è stabilmente in attivo dal 2005, anno in cui il valore delle esportazioni italiane nel paese ha superato quello delle importazioni, rovesciando la tendenza al deficit riscontrata nel biennio precedente.

Il valore assoluto delle esportazioni italiane in Pakistan, inoltre, è aumentato sensibilmente nel periodo 2005-2010, passando da poco meno di 457 milioni di euro del 2005 agli oltre 568 milioni di euro del 2010 (e con un record, nel 2009, di 604.5 mln di euro). Il trend di robusta crescita dell’export italiano nel paese asiatico, percentualmente superiore al 24% tra i due estremi temporali considerati, ha denunciato tuttavia due momenti di variazione negativa, rispettivamente nel 2007, quando l’export ha subito una flessione del 4,5% rispetto all’anno precedente, e nel 2010, con un -6% sul 2009.

 

Sul lato delle importazioni dal Pakistan, il relativo valore assoluto è passato dai 409 milioni di euro del 2005 ai 489 milioni di euro del 2010, con un incremento percentuale di poco inferiore al 20%.

 

Nell’interscambio commerciale tra Italia e Pakistan un ruolo dominante è esercitato dal settore tessile-abbigliamento, che rappresenta il 64% delle importazioni dal Pakistan in Italia. Al riguardo, si ricorda che, a seguito delle alluvioni avvenute in Pakistan nell’estate 2010, la Commissione dell’Unione europea, il 7 ottobre 2010, ha elaborato una proposta di regolamento che concede preferenze commerciali di emergenza al Pakistan. La proposta prevede, tra le altre cose, l’esenzione dai dazi doganali all’importazione nell’Unione per tre anni, per 74 prodotti, 71 dei quali tessili o di abbigliamento. La proposta, sottoposta alla procedura legislativa ordinaria (codecisione) è all’esame della Commissione per il commercio internazionale del Parlamento europeo. La XIV Commissione Politiche per l’Unione europea della Camera ha avviato l’esame della proposta, ai sensi dell’art. 127 del Regolamento, nella seduta del 9 novembre 2010.

 

Nella pagina che segue viene riportata la scheda sintetica, aggiornata al 24 marzo 2011, rinvenibile sul sito web del Ministero per lo sviluppo economico[41] che presenta una sintesi esaustiva del quadro delle relazioni commerciali bilaterali italo-pakistane.




[1]    Accompagnato anche dal Segretario del Parlamento Federale per le Minoranze, on. Ramesh Lal, del PPP.

[2]    Paul Batti è un medico che si è laureato a Padova. Fino alla morte del fratello era residente a Treviso.

[3]    Cfr. ad esempio i documenti riportati in Servizio studi, La missione ISAF in Afghanistan. Approfondimenti (17 gennaio 2011)

[4]    In tal senso cfr. ad esempio i documenti riportati in Servizio studi, La missione ISAF in Afghanistan. Approfondimenti (17 gennaio 2011).

[5]    Ibidem.

[6]    OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE, Mediterraneo e Medio Oriente Focus  n. 5,   novembre 2010-gennaio 2011a cura del CeSI.

[7]    La Cina rivendica buona parte dello stato indiano dell'Arunachal Pradesh, che i cinesi chiamano Tibet meridionale, considerandolo storicamente appartenente al Tibet. A sua volta, l'India chiede la restituzione dell'Aksai Chin, un territorio un tempo facente parte del Kashmir, che è stato in parte conquistato dalla Repubblica Popolare nella guerra del 1962, e in parte ad essa ceduto dal Pakistan.

[8]    Si veda OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE, Focus  n. 5, cit.

[9]    Gli indicatori internazionali sul paese, ripresi da autorevoli centri di ricerca, descrivono in particolare: la condizione delle libertà politiche e civili secondo le classificazioni di Freedom House e dell’Economist Intelligence Unit; la posizione del paese secondo l’indice della corruzione percepita predisposto da Transparency International (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di minore corruzione percepita) e secondo l’indice della libertà di stampa predisposto da Reporters sans Frontières (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di maggiore libertà di stampa); la condizione della libertà religiosa secondo i due rapporti annuali di “Aiuto alla Chiesa che soffre” (indicato con ACS) e del Dipartimento di Stato USA (indicato con USA); il tasso di crescita del PIL come riportato dall’Economist Intelligence Unit; la presenza di situazioni di conflitto armato secondo l’International Institute for Strategic Studies (IISS). Per ulteriori informazioni sulle fonti e i criteri adottati si rinvia alla nota esplicativa presente in Le elezioni programmate nel periodo febbraio-aprile 2011 (documentazione e ricerche n. 85, 9 febbraio 2011).

[10]   Fondata nel 1955 da Frère André e basata in Olanda,  Portes Ouvertes si articola in 21 uffici siti in altrettanti paesi nei cinque continenti, ed opera in 60 paesi. Porte Aperte Italiaha sede a Isola della Scala, in provincia di Verona.

[11]   Sono classificati CPC, in un report annuale, i paesi i cui governi hanno commesso o tollerato violazioni enormi, sistematiche e protratte della libertà religiosa, compresi atti quali tortura, detenzioni prolungate senza imputazioni, sparizioni. La designazione di un paese a CPC comporta l’adozione, da parte del Presidente (che ne ha delegato il Segretario di Stato) di azioni adeguate

[12]   La popolazione del Pakistan, 184,4 milioni di abitanti stimati nel luglio 2010 (settimo paese al mondo per consistenza demografica), conta 1.098.000 cattolici. I cristiani, complessivamente, pesano il 2,2% della popolazione, i musulmani, prevalentemente sunniti, rappresentano il 96,2% del totale.

 

[13]   Aiuto alla Chiesa che Soffre, sorta nel 1947 per iniziativa del sacerdote olandese Werenfried van Straaten per soccorrere le migliaia di profughi che fuggivano dalla nascente Germania orientale, è riconosciuta dalla Santa Sede quale Opera di diritto pontificio e svolge la sua attività attraverso un Segretariato Internazionale (che ha sede in Germania) e 17 Segretariati nazionali in Europa, America ed Australia. La raccolta di risorse, che supera i 60 milioni di euro l’anno, finanzia la realizzazione di circa 6.000 progetti annuali a beneficio della Chiesa in 135 paesi situati in tutti i continenti. Negli ultimi tre anni a progetti in Pakistan sono stati destinati 1,2 milioni di euro.

 

[14]   Per la prima volta nella storia del Paese una donna è stata eletta Presidente dell’Assemblea Nazionale.

[15]   La provincia maggiormente danneggiata è stata quella più meridionale del Sind (75% del totale delle persone colpite dall’emergenza). Gravi danni si sono registrati anche nei confinanti Punjab e Baluchistan e, più a nord, nel Gilgit- Baltistan e nel Khyber- Pakhtunkhwa (ex NWFP).

[16]   Paul Batti è un medico che si è laureato a Padova. Fino alla morte del fratello era residente a Treviso.

[17]   E’ in ballo la realizzazione di due gasdotti regionali: il primo, denominato IPI, potrebbe collegare Iran-Pakistan ed India, qualoraquest’ultima superasse le attuali diffidenze(il gasdotto dovrà attraversare l’instabile Baluchistan). Iran e Pakistan hanno già suggellato il proprio impegno ad avviarne la realizzazione che dovrebbe portare il gas iraniano (21 milioni di metri cubi al giorno a partire dal 2014 e per almeno 25 anni) dal Golfo Persico fino alla provincia pakistana del Sind. Stante la perdurante perplessità indiana, la Cina si è detta interessata a subentrare nel progetto. Qualora il progetto decollasse, vi potrebbe essere un coinvolgimento della SAIPEM (ENI) per la realizzazione della parte pakistana. Il secondo gasdotto, denominato TAPI porterà il gas turkmeno in Afghanistan, Pakistan e India. I Ministri dell’energia dei quattro Paesi hanno firmato (dicembre 2010) un accordo di massima per la sua realizzazione (costo previsto in 10 miliardi di dollari finanziati dall’ADB, tempo di realizzazione stimato in 5 anni,  anche se resta l’incognita dei talebani che potrebbero impedirla).

[18]   South Asian association for Regional Cooperation (Pakistan, Bangladesh, Bhutan, India, Maldive, Nepal, Sri Lanka e dal 2007 anche Afghanistan)

Economic Cooperation Organization (Pakistan, Iran, Turchia, Afghanistan, Azerbaijan, Kazakistan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan)

[20]   Si è tenuta in ottobre la terza sessione del dialogo strategico USA-Pakistan che ha fatto segnare un avanzamento in tutti gli ambiti di collaborazione. Un risultato particolarmente significativo è stato l’annuncio di forniture militari per 2 miliardi di dollari in 5 anni (2012-2016), che seppur non ancora autorizzata, rappresenta un segnale politico di notevole importanza.

[21]   L’anno fiscale va dal 1^ luglio al 30 giugno

[22]   Gli indicatori di Business Climate non sono incoraggianti: il Transparency International Pakistan  classifica il Paese al 34° posto nella graduatoria dei paesi maggiormente corrotti nel mondo (era al 42° nel 2009); il Doing Business Report lo posizionandolo all’83° posto nel mondo ed il World Economic Forum Global Competitiveness Report 2010-11 lo pone al 123° posto (5 posti in meno rispetto all’anno precedente). Da notare che l’India è al 51°, lo Sri Lanka al 62° ed il Bangladesh al 107° posto.

[23]   Dati pakistani riferiti al periodo Luglio-Ottobre 2010

[24]   Il processo di approvazione dovrebbe dunque procedere in parallelo tra Bruxelles (dove la proposta sarà sottoposta a procedura legislativa ordinaria) e Ginevra (a causa del mancato assenso di alcuni Paesi, non è stato possibile includere la richiesta di waiver nell’agenda del Consiglio Generale WTO del 14 dicembre scorso. La Commissione è ora impegnata in consultazioni bilaterali per ottenere l’approvazione dell’India e degli altri Stati contrari.

[25]   La concessione del GSP+ consentirebbe al Pakistan l’accesso al mercato UE in sostanziale esenzione da dazi e quote. Per l’accesso del Pakistan al sistema è tuttavia necessaria una revisione dell’attuale regolamento, attraverso la modifica dei cosiddetti “criteri di vulnerabilità” Il Pakistan non è, infatti, al momento eleggibile poiché le sue esportazioni verso l’UE sono superiori all’1% delle esportazioni che complessivamente beneficiano del sistema. Occorrerebbe pertanto elevare tale soglia all’1,5%. Nel frattempo il Pakistan ha ratificato la convenzione internazionale sui diritti civili e politici e la convenzione sulla tortura, necessarie per un possibile accesso al GSP+. L’estensione al Pakistan dello schema preferenziale potrebbe avere effetti positivi sulle nostre esportazioni di macchinari (come accaduto in Bangladesh), oltre a rendere vantaggiosi gli investimenti in loco da parte di nostre imprese tessili interessate ad avvalersi proprio del meccanismo di incentivazione commerciale (come accaduto in Sri Lanka).

[26]   Nel settembre 2009, a margine dell’UNGA, si è svolta a New York una riunione del Gruppo a livello di Capi di Stato e di Governo co-presieduta dal Presidente Obama, dal Premier Brown e dal Presidente Zardari (per l’Italia erano presenti il Presidente Berlusconi ed il Ministro Frattini). Nell’occasione è stata, tra l’altro, istituita, su proposta USA, una “Task Force Energia” che opererà a Islamabad per mettere a punto un programma teso a far fronte alla grave crisi energetica che colpisce il Pakistan Il programma, preparato dal governo pakistano e dalla BAS, evidenzia la necessità di reperire 10 miliardi di dollari in investimenti pubblici e circa 15 miliardi in investimenti privati per i prossimi tre anni (gli americani investiranno per un miliardo di dollari), indispensabili per incrementare la capacità di 13.590 MV e superare le attuali carenze. ENI, prima impresa straniera produttrice di gas in Pakistan, ha valutato positivamente la strategia, osservando che particolare attenzione deve essere data alla creazione di un ambiente favorevole agli investimenti (incentivi a tutta la filiera, certezza del diritto).

[27]   Oltre che sulla situazione in seguito alle alluvioni, la discussione si è concentrata su temi cruciali per lo sviluppo del Pakistan: in primis, l’adozione di una strategia per il settore energetico e per la gestione delle risorse idriche (per la quale è stata istituita una apposita task force), ma anche riforme strutturali, capacity building istituzionale, in un’ottica di sviluppo di lungo periodo,e l’approvazione del Post Crisis Need Assessment, strategia volta a dare una risposta politica, economica e sociale alla crisi in atto nel Paese, nel cui quadro è inglobata anche la Malakand Strategy.

[28]   Si tratta di due crediti di aiuto, 40 milioni di euro per lo sviluppo rurale e 20 milioni per la formazione professionale, e di un dono di 2 milioni per la produzione di olio di oliva. Tutti concentrati nelle aree frontaliere con l’Afghanistan.

[29]   A cura del MAE.

[30]   Nell’occasione è stato firmato un MoU di collaborazione nel settore della difesa e si è tenuta, alla presenza dell’On. Ministro e del Vice Ministro Urso, oltre che dello stesso Zardari, una tavola rotonda con i più qualificati rappresentanti del mondo economico italiano e delle associazioni di categoria.

[31]   Una volta in vigore sostituirà i due Accordi attualmente in vigore, quello culturale e quello scientifico e tecnologico, firmati nel 1975.

[32]   I dati, di fonte pakistana, si riferiscono al periodo Luglio-Ottobre 2010.

[33]   Da notare che la SIMEST non è presente in Pakistan. La SACE dal 10 aprile 2009 classifica il Paese nella 7^ categoria di rischio (cui corrisponde il rischio maggiore). A fine 2009 è stata decisa l’adozione di un plafond ad esaurimento di 200 milioni di euro per limitare l’ulteriore esposizione e nel rispetto dei limiti posti dal FMI all’indebitamento non concessional. Al 30.06.10 le garanzie deliberate verso il Pakistan ammontavano a 898 milioni di Euro, le garanzie perfezionate in quota capitale ammontavano a 673 milioni di Euro, di cui 291 milioni già erogati.Nel 2011 l’ICE ha sostituito con un’antenna (a Teheran) il proprioUfficio a Karachi. A partire dal 2009 si sono costituite l’Italian Development Council a Karachi e l’Italy-Pakistan Business Association a Multan, primi nuclei di future camere di commercio. Altre organizzazioni imprenditoriali sono in preparazione a Lahore e Sialkot.

[34]   La Saipem segue con attenzione gli sviluppi del progetto per la realizzazione del già citato gasdotto IPI.

[35]   La prima Sessione della Commissione Mista si è tenuta a Roma nel marzo 2006 ed ha istituito quattro Gruppi di lavoro che opereranno nei settori dell’energia e delle infrastrutture, dell’agricoltura e delle industrie agro-alimentari, dell’Information Technology e del commercio e joint ventures.

[36]   Centro Alti Studi di Difesa

[37]   L’accordo del 2005, una volta in vigore, sostituirà le precedenti intese in materia, destinando nuovi fondi alle relazioni culturali e scientifiche bilaterali.

[38]   Realizzato per il tramite dell’ente pakistano PARSSA, è stato il primo progetto avviato nell’area da un donatore bilaterale e seguito per ora solo da un programma USAID. L’Italia si è così confermata quale interlocutore privilegiato in un’area tanto strategica, dove la nostra presenza è attiva da oltre 50 anni grazie all’impegno dell’ISIAO (nell’ambito della conversione del debito, l’Istituto sta peraltro ora avviando un progetto di recupero archeologico del valore di 2 milioni di euro).

[39]   Il tasso di concessionalità sarà dell’80%: tasso di interesse dello 0%, 24 anni di periodo di grazia e 38 anni di durata complessiva del credito. Condizioni che lo rendono praticamente assimilabile a un dono. Da parte pakistana è stato richiesto che il credito di aiuto venga destinato al sostegno dello schema di sussidi per le popolazioni colpite dalle inondazioni dell’estate scorsa. Analoga richiesta è stata avanzata nei riguardi della linea di credito della cooperazione italiana di 7,75 milioni di euro di cui all’accordo bilaterale del luglio 2005 (tale credito, inizialmente destinato al sostegno delle PMI pakistane, si è sinorarivelato inutilizzabile, poiché configurato sulla base di condizioni che ne rendono sconveniente l’accesso da parte del potenziale investitore).

[40]   Tutti e tre i programmi si concentrano nelle aree tribali di confine con l’Afghanistan: dopo i ritardi pakistani, è stato firmato nel gennaio 2011 l’accordo intergovernativo sul credito d’aiuto per lo sviluppo rurale. Si attende ancora invece l’assenso pakistano per la firma dell’accordo sul credito di aiuto per la formazione professionale.

[41]   http://www.mincomes.it/osservatorio_economico/asia/indicatori%20pakistan_24_03_2011.pdf