Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Focus settimanale - La crisi politica in Libia e negli altri paesi del Nord Africa e del Medio Oriente - Aggiornamento al 17 maggio 2011 - Documenti ufficiali, interpretazioni ed analisi - Parte I (Schede di lettura e documenti ufficiali)
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 208    Progressivo: 8
Data: 17/05/2011
Descrittori:
LIBIA   MEDIO ORIENTE
NORD AFRICA     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari
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Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Focus settimanale
La crisi politica in Libia e negli altri paesi del Nord Africa
e del Medio Oriente

 

Aggiornamento al 17 maggio 2011
Documenti ufficiali, interpretazioni ed analisi

 

 

 

 

 

 

n. 208/8

Parte I

Schede di lettura e documenti ufficiali

 

 

17 maggio 2011

 


Servizio responsabile:

Dipartimento Affari esteri

( 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it

 

 

 

 

 

 

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File: es0709h.doc


INDICE

Schede di lettura

Gli sviluppi della crisi libica (3-17 maggio)3

Gli altri contesti di crisi7

Documenti ufficiali

§         Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, Relazione del procuratore della Corte penale internazionale sulla situazione in Libia, seduta del 4 maggio 2011  15

§         Conclusione della seconda riunione del Gruppo di contatto sulla Libia, Roma 5 maggio 2011  15

§         Discorso del ministro degli Affari esteri di Israele, Avigdor Liberman, nella ricorrenza del giorno dell’indipendenza dello Stato d’Israle: dal sito: www.mfa.gov del 10 maggio 2011  15

§         Dichiarazione del primo Ministro britannico, David Cameron, e del presidente del Consiglio nazionale transitorio libico, Abdul Jalil, dal sito: www.number10.gov del 12 maggio 2011  15

§         Audizione del vicesegretario di Stato USA, James Steinberg, presso la Commissione Affari esteri del Senato sulla situazione in Libia, dal sito: www.state.gov del 12 maggio 2011  15

§         Comunicato stampa sull’incontro tra il consigliere per la Sicurezza nazionale statunitense, Tom Donilon, ed il Capo dell’esecutivo del Consiglio nazionale transitorio libico, Mahmoud Jabril, dal sito: www.whitehouse.gov del 13 maggio 2011  15

§         Comunicato stampa della NATO sull’attacco aereo nella città di Brega, dal sito: www.nato.int, 13 maggio 2011  15

§         Dichiarazione del Procuratore della Corte penale internazionale sulla richiesta di mandato di arresto per Muammar Gheddafi, Saif Al Islam Gheddafi ed Abdullah Al Sanousi, dal sito www.icc-cpi.int del 16 maggio 2011  15

§         NATO: stato delle operazioni – 16 maggio 2011, dal sito: www.nato.int15

§         Comunicato Stampa della NATO sulle operazioni marittime al largo di Misurata, 16 maggio 2011, dal sito: www.nato.int15

 


SIWEB

Schede di lettura

 


Gli sviluppi della crisi libica
(3-17 maggio
)

 

Per quanto riguarda la vicenda libica, nelle ultime due settimane il primo evento significativo è stato di carattere parlamentare: la Camera dei deputati, infatti, nelle sedute del 3 e del 4 maggioha iniziato e concluso la discussione di mozioni sull’impegno del nostro Paese in Libia, con particolare riferimento alla nuova fase di partecipazione dell’Italia ad attacchi aerei mirati in territorio libico.

I documenti approvati – una mozione della maggioranza e due delle tre presentate dalle forze di opposizione – impegnano rispettivamente il Governo, ad attivarsi immediatamente per giungere a una soluzione diplomatica della crisi libica, ponendo fine alla fase militare ed ai bombardamenti; ad escludere a qualunque titolo un’eventuale partecipazione italiana ad azioni di terra sul suolo libico; a fissare un termine temporale certo, da comunicare al Parlamento, entro cui concludere le azioni mirate contro specifici obiettivi militari selezionati sul territorio libico, stabilito d’intesa con le organizzazioni internazionali ed i Paesi alleati; a non aggravare, con i costi della partecipazione italiana alle operazioni di attacco aereo in Libia, la pressione tributaria, procedendo piuttosto ad una riduzione graduale della partecipazione italiana alle missioni internazionali – anche qui in accordo con le organizzazioni internazionali ed i Paesi alleati.

Le due mozioni delle opposizioni approvano la nuova fase di partecipazione italiana alle operazioni aeree in Libia, sulla base della necessità di proteggere la popolazione civili come stabilita nelle deliberazioni dell’ONU e già recepita in Italia dalla Camera e dal Senato con propri atti di indirizzo all’Esecutivo.

Per quanto riguarda la definizione temporale della cessazione degli attacchi aerei in Libia, va peraltro ricordato che il Segretario generale dell’Alleanza atlantica Rasmussen ha tenuto a precisare che la missione proseguirà fino al raggiungimento degli obiettivi, ovvero la fine degli attacchi contro i civili da parte delle truppe lealiste, il ritiro completo di ogni tipologia di unità combattente – inclusi i mercenari – e la creazione di condizioni di assoluta sicurezza per gli operatori incaricati di recare aiuti umanitari e soccorso alla popolazione libica. Del resto, dalle dichiarazioni di Rasmussen si ricava che anche da parte italiana vi è stata la conferma a proseguire pienamente nell’azione della NATO.

Il 5 maggio, preceduta da un incontro bilaterale tra il Ministro degli Esteri Frattini e il Segretario di Stato USA Hillary Clinton, si è tenuta a Roma la prevista la riunione del Gruppo di contatto sulla Libia, con la partecipazione dei rappresentanti di ventidue governi e di sei organizzazioni internazionali - incluso il Segretario generale della NATO.

Il vertice ha registrato una concordanza dei partecipanti per intensificare la pressione militare, economica e politica contro il regime di Gheddafi, ritenuto responsabile di azioni umane criminali contro il popolo libico meritevoli di punizione. In questo contesto le azioni militari tuttora in corso vengono viste come propedeutiche all’inizio di una transizione politica che rifletta la volontà del popolo libico, aprendo un processo di inclusione di tutte le parti sociali ed etniche del paese per dare vita a un’Assemblea nazionale che definisca una carta costituzionale da sottoporre a referendum, prima dello svolgimento di normali elezioni presidenziali e parlamentari.

Come prova di buona volontà sulla via democratica il Consiglio nazionale di transizione ha anticipato durante il vertice di Roma di voler procedere immediatamente ad elezioni a livello comunale nelle zone sotto il suo controllo. L’incontro di Roma ha inoltre visto le parti rispondere positivamente alla richiesta di aiuti finanziari urgenti da parte del CNT libico, individuando un meccanismo finanziario temporaneo per la raccolta di aiuti internazionali basata su doni e prestiti. Sullo sfondo rimane, gravata tuttavia di importanti problemi di diritto internazionale, la possibilità di uno scongelamento a favore degli insorti dei fondi libici bloccati all’estero. Analoga iniziativa è stata preannunciata da Hillary Clinton con riferimento ai circa trenta miliardi di dollari di beni libici congelati negli Stati Uniti.

Sul fronte dell’emergenza umanitaria è ulteriormente aumentata la massa di profughi in cerca di scampo dal conflitto fuggendo nei paesi vicini, sia verso la Tunisia che in direzione dell’Egitto. La Commissione europea ha stimato in circa seicentomila il numero di questi profughi, che tuttavia dall’8 maggio si sono visti di fatto rifiutare l’ingresso in Egitto, in seguito a una modifica dei requisiti necessari. Da quel momento la sola Tunisia si è trovata a doversi confrontare con l’imponente ondata di profughi, alla quale peraltro sembra si stia facendo fronte con grande senso di accoglienza e disponibilità. Il giorno successivo, il 9 maggio, la crisi libica non ha mancato di riflettersi a Firenze, nel corso di celebrazioni europee alle quali il presidente della Repubblica Napolitano è intervenuto con un videomessaggio in diretta: proprio in quella sede il Capo dello Stato ha individuato nella politica estera il lato veramente soddisfacente per l’Europa, che non è riuscita ad esprimere una posizione comune in occasione della crisi libica, dando nel complesso un’impressione di improvvisazione. In tal senso il ministro degli Esteri Frattini ha messo in guardia le istituzioni comunitarie rispetto al rischio di ritrovarsi divisi come europei, in posizione di retroguardia. Va peraltro segnalato che da Bruxelles l’alto rappresentante della politica estera della UE, Catherine Ashton, ha ribadito il carattere tempestivo della reazione europea alle crisi nordafricane, come attesterebbero le decisioni prese sia dal Consiglio europeo che dalla Commissione.

Dopo l’ultima apparizione televisiva del 30 aprile – in cui aveva tra l’altro minacciato l’Italia - ec il successivo bombardamento della casa del figlio minore Seif al Arab, con la morte del medesimo e di tre nipoti di Gheddafi, non si erano più avute notizie del rais libico: nella serata dell’11 maggio la televisione di Stato ha mostrato immagini del colonnello in un incontro nella capitale con alcuni capi tribali.

Sia la ricomparsa di Gheddafi, sia le affermazioni degli insorti - che hanno sostenuto di aver conquistato il controllo dell’aeroporto di Misurata, con evidenti vantaggi strategici - sono state accolte con beneficio d’inventario, anche se l’Alleanza atlantica ha riconosciuto un miglioramento della situazione militare sul terreno della martoriata città libica. Gli insorti hanno inoltre assicurato che anche nella capitale Tripoli si moltiplicano gli episodi di ribellione al governo di Gheddafi, e che tra questi vi sarebbe stata una distribuzione di volantini da parte degli studenti dell’università di Tripoli.

Un appello del Segretario generale delle Nazioni Unite per l’immediato cessate il fuoco, pur incontrando il parere favorevole della NATO, è stato decisamente respinto dagli insorti, privi di fiducia nel leader libico. Nella notte tra l’11 ed il 12 maggio si è verificato un episodio suscettibile di destare molti interrogativi, quando ad un posto di blocco degli insorti è stato fermato un veicolo con cinque cittadini francesi a bordo, uno dei quali è rimasto ucciso, mentre i rimanenti sono stati posti agli arresti. E’ stato ipotizzato trattarsi di mercenari o aspiranti guardie private desiderose di impiegarsi nel contesto di Bengasi, ma il mistero sulla vicenda rimane tuttora assai fitto.

Nel complesso si ha l’impressione di un lento disfacimento del regime libico, sia per la prolungata assenza del rais dalla scena – non controbilanciata sufficientemente dalla riapparizione televisiva dell’11 e dall’intervento radiofonico del 13 maggio; sia per l’affievolimento della capacità offensiva sul terreno delle truppe lealiste; sia, infine, per la crescita di prestigio del Consiglio nazionale di transizione, il cui numero due Mahmoud Jabril il 13 maggio è stato ricevuto alla Casa Bianca, incontrando il Consigliere alla sicurezza nazionale Donilon: pur giudicando prematuro il riconoscimento ufficiale del CNT, Donilon ha sostenuto trattarsi di un interlocutore legittimo e credibile del popolo libico. Washington ha controbilanciato la propria prudenza con alcune misure che dovrebbero consentire l’utilizzazione parziale a favore degli insorti delle grandi somme libiche congelate negli Stati Uniti. Il 14 maggio Jabril si è recato a Parigi, dove ha incontrato il presidente Sarkozy.

Il 15 maggio si è nuovamente levata la voce del pontefice Benedetto XVI, in modo più accorato, per fermare il conflitto armato in Libia ed aprire al più presto negoziati, in presenza di un numero troppo elevato di vittime, soprattutto tra i civili. Di fronte ai fedeli riuniti in Piazza San Pietro il Papa ha poi esortato le autorità e la popolazione della Siria a profondersi nel massimo sforzo per superare l’attuale critica situazione, per il ripristino di una convivenza ispirata alla concordia e all’unità civile del paese, tenendo conto delle legittime aspirazioni del popolo.

Il 16 maggio vi è stata l’ufficializzazione dell’ordine di arresto per Gheddafi, per il suo secondogenito Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti libici, da parte del procuratore della Corte penale internazionale, che si è detto in grado di dimostrare in modo diretto e consistente il ruolo centrale del rais libico negli attacchi perpetrati contro civili disarmati sia nelle loro case, sia in luoghi pubblici, e nel redigere liste di proscrizione di persone poi arrestate, torturate o scomparse. Il procuratore ha peraltro precisato che l’esecuzione dell’ordine di arresto rimane competenza delle autorità libiche.

Dopo la richiesta del procuratore, il caso si trova attualmente all’esame dei giudici della Divisione preliminare della Corte penale dell’Aja, presieduta dall’ex procuratore di Bolzano, Cuno Tarfusser. In questo contesto il ministro degli Esteri Frattini ha dichiarato profilarsi davvero la fine del regime libico, in ragione di messaggi riservati provenienti dall’entourage di Gheddafi, e miranti al raggiungimento di una soluzione politica che consenta l’uscita di scena del rais e della sua famiglia, e successivamente la formazione di un governo di riconciliazione nazionale comprensivo di esponenti della Tripolitania. Anche Mosca sembra impegnata alla ricerca di una soluzione politica, e ha annunciato l’arrivo a il 17 maggio di rappresentanti del regime libico.

L’impressione di un avvicinarsi della fine della crisi libica è corroborata dall’aumento degli attacchi aerei della NATO sui centri di controllo e di comando del regime, ripetutamente bombardati. Si è avuta inoltre notizia di azioni di propaganda che l’Alleanza atlantica starebbe perpetrando attraverso il canale radio dell’esercito libico, con messaggi volti a scoraggiare le truppe lealiste.


 

Gli altri contesti di crisi

 

Per quanto riguarda la situazione della Siria, nelle ultime due settimane è proseguita la repressione, che ha provocato ancora numerose vittime, attuata in buona parte assediando con mezzi militari diverse città. Ambienti degli oppositori hanno inoltre rilevato un qualche mutamento nella strategia repressiva del regime di Damasco, con tutta probabilità ispirata dall’alleato iraniano che l’aveva già sperimentata in occasione delle contestazioni della seconda metà del 2009, incentrata sul rastrellamento, raduno e “interrogatorio “dei dissidenti, volti a scoraggiare gli altri partecipanti alla contestazione.

Nel contempo il regime ha proseguito prospettando anche alcune aperture, come negli incontri del presidente Assad con esponenti delle comunità locali colpite, a detta delle autorità, da azioni di bande armate di criminali - non va infatti dimenticato che la principale giustificazione per la violenza dispiegata nel paese è stata sin dall’inizio quella di una presunta sollevazione integralista islamica e terroristica contro il legittimo governo.

Significativamente, tuttavia, alcuni coraggiosi notabili, come il sindaco di Enckhel, hanno sostenuto che il vero problema è il ritiro dell’esercito, poiché nelle loro città non vi sarebbe nessuna banda criminale armata a minacciarle. Il regime di Assad l’11 maggio ha inoltre annunciato la formazione di una commissione incaricata di redigere una bozza di nuova legge elettorale, e la consigliera presidenziale Shaaban ha incontrato gruppo di dissidenti appena rimessi in libertà.

Per quanto concerne l’attività repressiva, è stata portata avanti sicuramente con brutalità, anche se le singole notizie sono difficili da verificare, per l’espulsione di tutti i giornalisti stranieri operata già alcune settimane fa. Una recente (13 maggio) valutazione da parte dell’Alto commissariato ONU per i diritti umani parla di circa 850 civili uccisi dall’inizio della repressione, la quale è proseguita tutti i giorni in modo più o meno pesante, ma si è concentrata in modo particolare il 6 e il 13 maggio, in occasione delle manifestazioni convocate in concomitanza dei venerdì di preghiera, accanendosi poi perfino nei giorni successivi, come già avvenuto in aprile, contro la celebrazione dei funerali delle vittime. Vi sono state anche più volte segnalazioni di interruzione dei servizi Internet diretti ai telefoni cellulari, che fanno capo in buona parte a una compagnia privata di proprietà di un cugino del presidente Assad.

Va ricordato che il 10 maggio sono entrate in vigore le sanzioni dell’Unione europea - che al momento ancora escludono la figura del presidente Assad - contro tredici alte personalità siriane, che si vedranno negare il visto di ingresso per il territorio europeo e congelare i beni eventualmente in esso detenuti (tali misure si accompagnano all’embargo allo Stato siriano sulla vendita e fornitura di armi o attrezzature utilizzabili contro i dimostranti).

Un’altra conseguenza della situazione critica della Siria è stata la rinuncia di Damasco a candidarsi per un posto nel Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, presentendo una secca sconfitta in seno all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. D’altra parte la Siria ha trovato nella Federazione russa e nella Cina due validi alleati per impedire in seno al Consiglio di sicurezza l’adozione di qualsiasi sanzione, mentre le autorità di Damasco continuano a impedire alla delegazione ONU inviata per accertare la situazione di Daraa – sotto assedio dal 25 aprile - di svolgere il proprio compito, negandole l’accesso alla città. L’atteggiamento di Damasco è ben rappresentato dalla risposta che il rappresentante permanente siriano presso il Palazzo di vetro ha fornito al suo omologo italiano, l’ambasciatore Ragaglini, che chiedeva uno stop immediato delle repressioni e l’inizio del dialogo riformista: l’ambasciatore siriano ha replicato rivendicando per il proprio paese la primaria responsabilità di “proteggere i civili”.

Uno sviluppo nuovo e preoccupante della situazione siriana si è avuto poi il 15 maggio, con le manifestazioni per la cosiddetta “giornata del Disastro” - così è definito dagli arabi l’anniversario della costituzione nel 1948 dello Stato di Israele nel 1948 -: sia sul confine libanese che su quello siriano, infatti, folle di manifestanti hanno varcato il confine israeliano. La reazione dei militari di Tel Aviv non si è fatta attendere e ha condotto all’uccisione di dieci persone in ciascuna delle due aree. Alle proteste di Damasco gli israeliani hanno replicato accusando la Siria lo di aver organizzato lo sconfinamento, allo scopo di creare un diversivo dalla difficile situazione interna.

Per quanto concerne la situazione tunisina, soprattutto nella prima settimana di maggio si è assistito al riaccendersi della tensione, al quale ha contribuito anche una serie di dichiarazioni dell’ex ministro dell’interno Rajhi – per la verità successivamente ridimensionate -, secondo le quali la promozione a capo di Stato maggiore della difesa del generale Rashid Ammar, che ha mantenuto anche la precedente carica di capo di Stato maggiore dell’esercito, sarebbe finalizzata a predisporre un possibile colpo di Stato per la difesa del carattere laico del paese, nel caso in cui le prime elezioni dovessero registrare una vittoria dei partiti confessionali islamici.

Rajhi ha anche toccato il tema dei numerosi personaggi vicini al regime di Ben Ali tuttora ben presenti nei centri di potere. Le dichiarazioni dell’ex ministro hanno tra l’altro provocato una divisione nel fronte dei giovani rivoluzionari, una parte dei quali ha salutato con entusiasmo le prese di posizione di Rajhi, a fronte della contrarietà di molti altri. In ogni modo, già dal 5 maggio il centro di Tunisi era tornato ad essere teatro di manifestazioni antigovernative, in particolare dirette contro la sede del ministero dell’interno.

Politicamente, le parole d’ordine delle dimostrazioni sono tornate a chiedere di togliere di mezzo definitivamente ogni espressione del gruppo di potere costituitosi intorno a Ben Ali. Il fenomeno invero nuovo e inquietante che si è accompagnato a queste manifestazioni è stato quello del vandalismo di decine di giovani, difficilmente collegabili a motivazioni politiche, in maggioranza provenienti dalle periferie della capitale, intenti solo a fracassare ogni suppellettile e ogni vetrina alla loro portata. In taluni casi vi sono stati anche episodi di saccheggio. Il fenomeno ha già provocato contromisure sul piano della sicurezza da parte dei negozianti del centro della capitale, e, soprattutto, ha condotto all’imposizione del coprifuoco a partire dalle 21 del 7 maggio nell’area della cosiddetta Grande Tunisi.

Va inoltre segnalato come le forze dell’ordine abbiano fronteggiato le manifestazioni con estrema durezza, tanto che una decina di partiti politici riformisti e di sinistra hanno messo in guardia contro il pericolo di una deriva securitaria nel paese, prendendo ad esempio le violenze di cui sono stati fatti oggetto anche una quindicina di giornalisti che seguivano le manifestazioni. Non a caso, in questo clima, la nostra Ambasciata a Tunisi ha ritenuto di consigliare la massima prudenza ai connazionali nel paese.

L’8 maggio si è visto il risultato destabilizzante dei tre giorni di mobilitazione, che ha coinvolto anche piccoli centri nelle regioni più disagiate della Tunisia – nei quali si sono verificati veri e propri episodi di guerriglia urbana. Il Ministro dell’interno ha dovuto scusarsi con i vertici del sindacato nazionale dei giornalisti tunisini per il pestaggio di cui in precedenza. Nel complesso, è sembrato che la Tunisia sia tornata quasi ai livelli di tensione che avevano caratterizzato i giorni precedenti la caduta della dittatura. La situazione si è presentata con tale allarmante gravità che quattro giorni dopo il Consiglio dell’Alta istanza, un organismo creato dal Governo provvisorio per assicurare l’attuazione degli obiettivi delle rivoluzione dei gelsomini, ha chiesto un’indagine su cosa si nasconda dietro gli episodi di violenza dei giorni precedenti. Sembra infatti che dopo l’imposizione del coprifuoco la grande maggioranza degli arrestati siano risultati pregiudicati: ciò ha fatto ritenere che vi sia in atto una manovra ben studiata per far precipitare il paese nel caos più totale e impedire o fuorviare le previste elezioni.

Per quanto riguarda l’Egitto, l’unico evento di rilievo è stato l’arresto della moglie di Mubarak, Suzanne, coinvolta nell’inchiesta per arricchimenti illeciti che ha colpito la sua cerchia familiare: il 13 maggio è stata posta in stato di arresto precauzionale per due settimane, disponendone la reclusione nel carcere femminile di Qanater. Anche la signora Mubarak, tuttavia, come in precedenza più volte il marito, è stata colpita da una crisi cardiaca che ne ha reso necessario il ricovero urgente nell’ospedale di Sharm el Sheik.

Nello Yemen non si è avuto alcun segnale di sblocco della grave crisi istituzionale: nella notte tra 11 e 12 maggio almeno quindici persone sono state uccise dalle forze di sicurezza in varie città del paese, mentre manifestavano nuovamente per l’abbandono del potere da parte del presidente Saleh. Il presidente, si ricorda, aveva rifiutato in extremis di sottoscrivere l’accordo messo a punto con la mediazione del Consiglio di cooperazione del Golfo, che gli avrebbe consentito di nominare il suo successore e di sottrarsi ad ogni azione giudiziaria collegata all’esercizio del potere, accettando di dimettersi entro trenta giorni. Il presidente, che resiste al vertice del potere, ha organizzato per il 13 maggio una serie di contromanifestazioni a suo favore, mentre il numero di morti nella repressione avrebbe ormai raggiunto la soglia di 170.

In Algeria ben diversamente solida appare la posizione del presidente Bouteflika, il quale, forte degli introiti petroliferi del paese, ha deciso di rispondere alle richieste della popolazione aumentando del 70% gli stipendi di alcune categorie da tempo in agitazione, come quelle dei medici di base, dei farmacisti e dei dentisti. Va però precisato che le provvidenze elargite o promesse dal governo riguardano soprattutto settori dell’apparato statale. Bouteflika ha inoltre promesso di iniziare un percorso di riforme in senso democratico, e a questo scopo ha affidato al presidente della Camera alta Bensalah il compito di definire e iniziare con sollecitudine un percorso che sfoci in una serie di riforme istituzionali, collaborando allo scopo con i partiti e la società civile.

Sul fronte dell’immigrazione va intanto segnalato che prosegue in Francia la linea dura nei confronti delle migliaia di tunisini che sono riusciti a raggiungere il paese transalpino: continuano infatti ad essere operati numerosi fermi alla frontiera con l’Italia, mentre a Parigi è stato sgomberato un edificio fatiscente occupato dai tunisini ed a Nizza sono stati arrestati alcuni loro connazionali. Alcuni migranti sono stati anche rinchiusi in centri di detenzione a titolo amministrativo, ma per lo più viene loro rilasciato un foglio di via che li obbliga a lasciare la Francia entro una settimana. Secondo il ministro dell’interno francese 60-70 persone al giorno stanno lasciando il paese.

Il 6 maggio, al largo delle coste di Tripoli vi è stata un’altra tragedia, quando un barcone appena partito alla volta di Lampedusa è naufragato, con decine di morti accertati, ma, purtroppo, con la probabilità che abbiano perso la vita centinaia di persone.

Il ministro dell’interno Maroni ha sottolineato come si debba pervenire a una cessazione del conflitto libico, senza di che le sue previsioni pessimistiche fatalmente si avvereranno, con l’esodo di migliaia e migliaia di esseri umani dalla Libia verso le coste italiane. In positivo, il Ministro Maroni ha reso noto il primo fermo di un barcone di clandestini operato dalle autorità tunisine in attuazione dell’accordo con l’Italia.

L’8 maggio si contavano nuovamente a Lampedusa circa 1.500 migranti, sbarcati nei giorni precedenti, i quali, secondo dichiarazioni dello stesso Ministro dell’interno, sono profughi a tutti gli effetti – e dunque non soggetti alle procedure di rimpatrio -, in quanto partiti dalla Libia, che chiaramente è interessata da un grave conflitto armato. Lo stesso Maroni ha nuovamente sottolineato il blocco effettivo degli arrivi dalla Tunisia, alla quale l’11 maggio sono state consegnate dall’Italia quattro motovedette da quindici metri, per meglio operare il controllo sulle coste e prevenire le partenze di barconi verso Lampedusa.

Il Ministro ha precisato che gli equipaggi delle motovedette – a differenza di quanto previsto da precedenti accordi con la libia di Gheddafi – saranno solo tunisini, e che presto, oltre alle apparecchiature già donate a Tunisi, verranno forniti fuoristrada e motori fuoribordo, e verrà completato il ripristino di sette imbarcazioni tunisine in disuso. Rispondendo poi al ministro dell’interno tedesco Friedrich, il Ministro Maroni ha nuovamente evidenziato la necessità di un’azione concorde dell’Europa sul fronte dell’immigrazione, che a tutt’oggi a suo dire latita completamente. Mentre dovrebbe concretizzarsi anche nel varo di un ampio piano di sviluppo che consenta la stabilizzazione della difficile situazione nel Nordafrica.

Il 13 maggio si sono contati a Lampedusa altri 1.300 migranti sbarcati nei giorni precedenti, e il giorno successivo si è capito che un barcone arrivato nella notte con oltre duecento migranti era partito da un porto tunisino. Secondo testimonianze degli stessi migranti, mentre i controlli in mare di fronte alle coste tunisine sono stati effettivamente intensificati, rimane a terra totale libertà di organizzare imbarcazioni da spedire poi al momento giusto su tratti di mare meno sorvegliati. Sembra poi che parecchi migranti già rimpatriati si siano poi nuovamente imbarcati dalle coste tunisine.