Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Altri Autori: Servizio Bilancio dello Stato , Servizio Biblioteca - Ufficio Legislazione straniera , Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale - A.C. 4620 e abb. - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 4594/XVI   AC N. 4646/XVI
AC N. 4526/XVI   AC N. 4620/XVI
AC N. 4205/XVI   AC N. 4525/XVI
AC N. 4596/XVI   AC N. 4607/XVI
Serie: Progetti di legge    Numero: 551
Data: 04/10/2011
Descrittori:
BILANCIO DELLO STATO   COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni
V-Bilancio, Tesoro e programmazione

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale

A.C. 4620 e abb.

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 551
(Edizione provvisoria)

 

 

 

4 ottobre 2011

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Istituzioni

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Servizio Studi – Dipartimento Bilancio

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Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

Servizio Bilancio dello Stato

Nota di verifica - dossier n. 343

( 066760-2174 / 066760-9455 – * bs_segreteria@camera.it

Servizio Biblioteca – Osservatorio della legislazione straniera

( 066760-2278 – * bib_segreteria@camera.it

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

§         La nota di sintesi e le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi.

§         Le parti relative ai profili di carattere finanziario sono state curate dal Servizio Bilancio dello Stato.

§         Le parti relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea e alle procedure di contenzioso sono state curate dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea.

§         Le parti relative alla legislazione comparata sono state curate dal Servizio Biblioteca.

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: AC0691.doc

 


INDICE

Il principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale

Il disegno di legge del governo (A.C. 4620)                                                   3

Il principio del pareggio di bilancio in Costituzione (art. 1)                                   3

L’equilibrio nella legge di bilancio e la copertura finanziaria delle leggi di spesa (art. 2)            17

Il pareggio del bilancio nelle Regioni e negli Enti locali (art. 3)                           47

I progetti di legge di iniziativa parlamentare                                               67

AC 4205 (Cambursano ed altri)                                                                         67

AC 4525 (Marinello ed altri)                                                                                67

AC 4526 (Beltrandi ed altri)                                                                                68

AC 4594 (Merloni ed altri ) e AC 4607 (A. Martino ed altri)                                 70

AC 4596 (Lanzillottta ed altri)                                                                             71

AC 4646 (Bersani ed altri)                                                                                  73

L’introduzione negli ordinamenti nazionali dei vincoli di finanza pubblica fissati dall’UE       75

La direttiva sui quadri nazionali di bilancio                                                         76

Il Patto euro plus                                                                                                 77

Le altre proposte di riforma della governance economica                                78

Il principio del pareggio di bilancio negli ordinamenti costituzionali di Francia, Germania e Spagna                                                                                                              83

Francia                                                                                                               83

Germania                                                                                                            87

Spagna                                                                                                               90

I precedenti tentativi di riforma dell’art. 81 Cost.                                        93

I lavori preparatori degli articoli 53, 81 e 119 Cost.                                     95

Articolo 53 Cost.                                                                                                 95

Articolo 81 Cost.                                                                                                 97

Articolo 119 Cost.                                                                                               99

 


Il principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale

 


 

Il disegno di legge del governo (A.C. 4620)

Il principio del pareggio di bilancio in Costituzione (art. 1)

Con l’art. 1 si introduce nell'articolo 53 della Costituzione la previsione secondo cui la Repubblica persegue l'equilibrio dei bilanci e il contenimento del debito delle pubbliche amministrazioni.

 

Nella relazione illustrativa si ritiene che “la collocazione più appropriata del principio del pareggio di bilancio sia nell'ambito dell'articolo 53 della Costituzione, cioè nella parte prima (diritti e doveri dei cittadini) e in particolare nel titolo IV, concernente i rapporti politici”. In particolare, si considera strettamente correlato il nuovo principio introdotto nella Costituzione alle disposizioni contenute negli attuali due commi dell'articolo 53, definite dalla relazione stessa norme fondamentali del sistema tributario, in quanto “la regola del pareggio di bilancio trova infatti la sua base nei princìpi dell'equità intergenerazionale e della sostenibilità delle politiche di bilancio”.

 

Il principio dell’equità intergenerazionale non è sancito dalla vigente Costituzione. Ad esso fa riferimento l’art. 1 del disegno di legge costituzionale in materia di "Partecipazione dei giovani alla vita economica, sociale, culturale e politica della Nazione ed equiparazione tra elettorato attivo e passivo”, come modificato nel corso dell’esame presso la Camera (AC 4358) e trasmesso al Senato (AS 2921). L’art. 1 del ddl novellal’articolo 31 della Costituzione aggiungendo, in fine, due commi secondo i quali la Repubblica promuove con appositi provvedimenti la partecipazione dei giovani alla vita politica, economica e sociale e informa le proprie scelte al principio di equità tra generazioni.

Il contesto normativo della novella

L’interpretazione dell’art. 53 nella giurisprudenza costituzionale

L’art. 53 Cost. costituisce quindi il contesto normativo in cui l’art. 1 inserisce la regola del pareggio di bilancio.

I vigenti due commi dell’art. 53 prevedono che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva (primo comma) e che il sistema tributario è improntato a criteri di progressività (secondo comma).

 

Fin dalla sentenza n. 128/1966, la Consulta ha affermato che il precetto costituzionale della progressività ha un fine politico sociale, attuabile “ricorrendo di preferenza a tipi di tributi i quali consentano di fare gravare maggiormente il carico sui redditi personali più elevati, e rendano quindi la partecipazione di ciascuno alle spese pubbliche adeguata alla capacità contributiva individuale”. Quindi la norma costituzionale non vieta che i singoli tributi siano ispirati a criteri diversi da quello della progressività, ma si limita a dichiarare che il sistema tributario deve avere nel suo complesso un carattere progressivo. Perciò “nella molteplicità e varietà di imposte, attraverso le quali viene ripartito fra i cittadini il carico tributario - non tutti i tributi si prestano, dal punto di vista tecnico, all'adattamento al principio della progressività, che - inteso nel senso dell'aumento di aliquota col crescere del reddito - presuppone un rapporto diretto fra imposizione e reddito individuale di ogni contribuente”.

Nella giurisprudenza costituzionale più recente, la capacità contributiva è intesa quale idoneità alla obbligazione di imposta, desumibile dal presupposto economico al quale l'imposta è collegata; essa può essere ricavata, in linea di principio, da qualsiasi indice rivelatore di ricchezza, secondo valutazioni riservate al legislatore, salvo il controllo di costituzionalità, sotto il profilo della palese arbitrarietà e manifesta irragionevolezza (sentenze n. 362 del 2000, n. 143 del 1995, n. 315 del 1994 e n. 42 del 1992).

 

I due commi dell’art. 53, secondo la giurisprudenza costituzionale, devono essere interpretati “in modo unitario e coordinato, e non per preposizioni staccate ed autonome le une dalle altre” (ord. n. 341/2000).

 

Ciò posto, “la universalità della imposizione, desumibile dalla espressione testuale "tutti" (cittadini o non cittadini, in qualche modo con rapporti di collegamento con la Repubblica italiana), deve essere intesa nel senso di obbligo generale, improntato al principio di eguaglianza (senza alcuna delle discriminazioni vietate: art. 3, primo comma, della Costituzione), di concorrere alle "spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva" (con riferimento al singolo tributo ed al complesso della imposizione fiscale), come dovere inserito nei rapporti politici in relazione all'appartenenza del soggetto alla collettività organizzata”. Il sistema tributario delineato dall’art. 53, che “non impone affatto una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie di imposizione tributaria; ma esige invece un indefettibile raccordo con la capacità contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressività” si pone come lo “svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla libertà ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarietà politica, economica e sociale (artt. 2 e 3 della Costituzione)” (ord. n. 341/2000 cit.). Dall’orientamento della Consulta emerge quindi un rapporto di strumentalità delle previsioni dell’art. 53 rispetto all’art. 3, comma secondo, Cost. e ai compiti della Repubblica ivi enunciati.

Il rapporto tra l’art. 53 Cost. e altre disposizioni costituzionali nella giurisprudenza della Consulta

In linea con l’illustrata lettura giurisprudenziale appare l’interpretazione dottrinaria del richiamo alle spese contenuto nel primo comma dell’art. 53, secondo la quale esso indicherebbe la ricaduta sul lato della spesa della decisione sull’entità dell’azione pubblica. L’assenza di espressa funzionalizzazione delle disposizioni dell’art. 53 appare riconducibile al fatto che il perimetro delle scelte dell’azione pubblica è costituito da altre disposizioni costituzionali, a partire da quelle contenute nei Principi fondamentali.

 

In particolare, con riferimento all’art. 3 Cost., nell'uso dello strumento fiscale lo Stato deve ispirarsi al fondamentale principio di eguaglianza sostanziale, in quanto “la rimozione degli ostacoli che di fatto limitano la libertà e l'eguaglianza dei cittadini non solo esige che le spese pubbliche abbiano a gravare in misura progressivamente maggiore sui soggetti economicamente privilegiati, ma presuppone altresì che a nessuno l'imposizione tributaria tolga quei mezzi che appaiono indispensabili alle fondamentali esigenze dell'uomo” (Corte cost. sent. 97/1968).

La Consulta riconduce al precetto costituzionale della progressività (che va riferita all'ordinamento tributario nel suo complesso, non al singolo tributo: sent.ze nn. 12/1960, 30/1964, 23/1968 e 159/85) “un fine politico sociale, che potrà essere attuato, nei limiti consentiti dalle particolari esigenze, ricorrendo di preferenza a tipi di tributi i quali consentano di fare gravare maggiormente il carico sui redditi personali più elevati, e rendano quindi la partecipazione di ciascuno alle spese pubbliche adeguata alla capacità contributiva individuale (sent. n. 128/1966); la valenza di tale fine è tale che deve “negarsi che la Costituzione stabilisca una riserva esclusiva di competenza legislativa dello Stato in tema di progressività dei tributi”, anzi “ai sensi dell'art. 53, secondo comma, Cost., la progressività è principio che deve informare l'intero sistema tributario ed è, quindi, legittimo che anche le Regioni, nell'esercizio del loro autonomo potere di imposizione, improntino il prelievo a criteri di progressività in funzione delle politiche economiche e fiscali da esse perseguite” (sent. 2/2006).

Il principio di uguaglianza è quindi declinato in relazione alla capacità contributiva (sent. 119/1981) e l'art. 53 della Costituzione è interpretato come specificazione del generale principio di uguaglianza (sent 258/2002). Ciò non esclude che l'ordinamento tributario sia ispirato al principio della polisistematicità (sentenza n. 430 del 1995), in ragione del quale per tributi diversi possono essere previste discipline diverse sicché rientra nella discrezionalità del legislatore adattare ai vari tributi istituti comuni, quali la prescrizione e la decadenza della pretesa fiscale, per cui eventuali differenze di regolamentazione non vulnerano di per sé sole il principio di eguaglianza (375/2002).

La capacità contributiva, quale idoneità alla obbligazione di imposta, desumibile dal presupposto economico al quale l'imposta è collegata, può essere ricavata, in linea di principio, da qualsiasi indice rivelatore di ricchezza, secondo valutazioni riservate al legislatore (Corte cost. sent. n. 362/2000).

La strumentalità delle disposizioni costituzionali relative all’entrata rispetto ai compiti della Repubblica

Dalla giurisprudenza costituzionale emerge la strumentalità delle disposizioni relative all’entrata contenute nell’art. 53 rispetto alle scelte pubbliche - che vengono così ad essere finanziate secondo i principi stabiliti da tale articolo, fondamentale dal punto di vista della “Costituzione fiscale” - i cui contenuti vanno determinati in relazione ad altre disposizioni costituzionali dalle quali risultano i compiti della Repubblica.

In questa prospettiva occorre verificare la possibilità di configurare, come previsto dal testo in esame, il perseguimento dell'equilibrio dei bilanci e del contenimento del debito delle pubbliche amministrazioni quale obiettivo dell’azione pubblica anziché come criterio di svolgimento. Ciò soprattutto in relazione alle posizioni soggettive cui si riferiscono i principi fondamentali della Costituzione, nei quali la giurisprudenza della Consulta individua “compiti della Repubblica” (sent. n. 215/1987 con riferimento agli artt. 2 e 3, secondo comma Cost.). Si potrebbe infatti valutare l’opportunità di sostituire le parole “persegue l'equilibrio dei bilanci” con le seguenti “ persegue i propri compiti assicurando l'equilibrio dei bilanci”.

 

In merito ai diritti fondamentali e al nucleo essenziale della loro tutela anche in relazione alle esigenze derivanti dal contenimento della spesa pubblica, può richiamarsi la giurisprudenza costituzionale relativa ai diritti fondamentali in alcune materie quali lo studio, la salute e le pensioni.

In tema di prestazioni in materia di istruzione, che ineriscono a diritti fondamentali dei destinatari, occorre continuità nella erogazione delle risorse finanziarie (sent. 50/2008). e la discrezionalità del legislatore, nell'individuazione delle misure necessarie a tutela dei diritti fondamentali, trova un limite invalicabile nel rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati ed è sindacabile sotto il profilo del rispetto del principio di ragionevolezza (sent. n. 80/2010, con riferimento al diritto del disabile all'istruzione).

Tuttavia (sent. n. 471/1996, con riferimento ai trattamenti pensionistici) non è esclusa la possibilità di un intervento legislativo che, per inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica, riduca in maniera definitiva un trattamento in precedenza previsto, considerato che esiste il limite delle risorse disponibili e che, in sede di manovra finanziaria di fine anno, spetta al Governo ed al Parlamento introdurre modifiche alla legislazione di spesa, ove ciò sia necessario per salvaguardare l'equilibrio del bilancio dello Stato e perseguire gli obiettivi della programmazione finanziaria (v. sentenze nn. 390 e 99 del 1995, n. 240 del 1994 e n. 119 del 1991).

Quanto alle prestazioni sanitarie “il diritto alla salute spetta ugualmente a tutti i cittadini e va salvaguardato sull'intero territorio nazionale. Non è pertanto casuale che la spesa in questione sia prevalentemente rigida e non si presti a venire manovrata, in qualche misura, se non dagli organi centrali di governo” e “là dove sono in gioco funzioni e diritti costituzionalmente previsti e garantiti, è infatti indispensabile superare la prospettiva del puro contenimento della spesa pubblica, per assicurare la certezza del diritto ed il buon andamento delle pubbliche amministrazioni, mediante discipline coerenti e destinate a durare nel tempo” Occorre una “considerazione bilanciata dell'equilibrio della finanza pubblica e dell'uguaglianza di tutti i cittadini nell'esercizio dei diritti fondamentali, tra cui indubbiamente va ascritto il diritto alla salute. La scelta di un sistema o di un altro appartiene all'indirizzo politico dello Stato, nel confronto con quello delle Regioni”. (in tale pronuncia, sent. n. 203/2008, veniva in considerazione l’applicazione dell’art. 117 Cost.; altra pronuncia in tal senso, ma precedente alla riforma del Titolo V, è la n. 245/1984).

Più recentemente (sent. n. 248/2011), si è configurato espressamente il diritto alle prestazioni sanitarie come “finanziariamente condizionato”, giacché «l’esigenza di assicurare la universalità e la completezza del sistema assistenziale nel nostro Paese si è scontrata, e si scontra ancora attualmente, con la limitatezza delle disponibilità finanziarie che annualmente è possibile destinare, nel quadro di una programmazione generale degli interventi di carattere assistenziale e sociale, al settore sanitario» (ex multis, sentenza n. 111 del 2005).

I vincoli economici e finanziari derivanti dall'appartenenza all'Unione europea.

La novella in esame prevede che il perseguimento dell'equilibrio dei bilanci e del contenimento del debito delle pubbliche amministrazioni avvenga in osservanza dei vincoli economici e finanziari che derivano dall'appartenenza all'Unione europea.

I valori di riferimento relativi al disavanzo e al debito sono fissati a livello europeo, oltre che nei trattati economici e monetari dell’Unione, nel Patto di stabilità e crescita, per i quali si rinvia al paragrafo “L’introduzione negli ordinamenti nazionali dei vincoli di finanza pubblica fissati dall’UE”.

La legge a procedura rafforzata

La novella introdotta nell’art. 53 rinvia ai principi e ai criteri stabiliti con legge approvata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera.

La previsione di tale rinvio è motivata dalla relazione illustrativa “dalla difficoltà di impiantare nel tessuto omogeneo della Costituzione aspetti definitori di grande complessità tecnica”. Inoltre, “la notevole rilevanza di tali aspetti giustifica, d'altro canto, la scelta di rafforzare la procedura di approvazione della legge in questione, che diverrà lo strumento per la definizione di una rafforzata struttura istituzionale della finanza pubblica”.

Ad eccezione del procedimento previsto dall’art. 138 Cost. per “le leggi di revisione costituzionale e altre leggi costituzionali” – procedimento cui occorre riferirsi per le leggi costituzionali previste dalla stessa Costituzione negli artt. 116 primo comma e 132 primo comma - nella Costituzione sono previste leggi assoggettate ad approvazione a maggioranza qualificata solo in materia di amnistia e indulto (art. 79 ) e di forme e condizioni particolari di autonomia regionale (art. 116 terzo comma). A tali previsioni si aggiunge la fattispecie prevista dall’art. 11 della legge costituzionale n. 3/2001[1].

La fonte normativa prevista dalla disposizione si colloca quindi nel sistema delle fonti del diritto in una posizione che la relazione illustrativa sembra qualificare come legge rinforzata, ma della quale andrebbe valutata la posizione nello stesso sistema delle fonti del diritto. L’intento evidenziato dalla medesima relazione è quello di rafforzare le istituzioni di finanza pubblica fondandone la base normativa su un consenso parlamentare più ampio di quello di maggioranza, la cui espressione viene riservata quindi alle Assemblee ampliando il novero dei casi di riserva di assemblea previsti dall’ultimo comma dell’art. 72 .

Quanto ai contenuti di tale legge, essa dovrebbe porsi come quadro di riferimento della contabilità e della finanza pubblica e definire il contenuto proprio della legge di bilancio ai sensi dell’art. 81 Cost., come novellato dall’art. 2 del ddl in esame. Inoltre i principi in essa contenuti devono essere rispettati dai bilanci degli enti di cui all’art. 119 Cost., secondo quanto prevede la novella a tale articolo introdotta dall’art. 3 del disegno di legge in esame. A tali contenuti delineati come necessari dalla formulazione del disegno di legge, sembrano aggiungersi anche disposizioni in tema di verifiche e misure di correzione.

 

Tuttavia, non appare chiaro l’ambito di competenza riservato a tale legge, in quanto, mentre nel testo della novella esso sembra limitato a principi e criteri, dalle considerazioni contenute nella relazione illustrativa, lo stesso ambito sembra estendersi a contenuti “di grande complessità tecnica”, perciò non ascrivibili a materia di principio. A tali contenuti dovrebbero quindi essere ricondotti anche profili di natura contabile, attualmente oggetto di approvazione parlamentare a maggioranza semplice, che, in base alle previsione della novella, subirebbero un irrigidimento procedurale da valutare dal punto di vista delle esigenze future di modifica.

Inoltre, anche alla luce del richiamo contenuto nella novella dell’art. 119 Cost. disposta dall’art. 3, andrebbero anche precisati i rapporti rispetto alla legislazione di coordinamento della finanza pubblica, affidata - in base all’art. 117 - alla potestà concorrente dello Stato e delle regioni.

(Per ulteriori rilievi in merito alla legge in questione si veda più avanti quanto osservato sotto il profilo economico finanziario).

 

Si osserva in relazione al comma in esame che la recente legge di contabilità e finanza pubblica n.196 del 2009, come da ultimo novellata dalla legge 7 aprile 2011, n.39, reca già un impianto generale volto, complessivamente, a incorporare nel sistema nazionale delle decisioni di bilancio i sopra richiamati “vincoli economici e finanziari che derivano dall’appartenenza all’Unione europea”.

L’articolazione del ciclo di bilancio, la denominazione ed il contenuto dei principali strumenti della programmazione economico-finanziaria sono stati, infatti, modificati al fine di assicurare in modo ancor più stringente la coerenza della programmazione finanziaria di tutte le amministrazioni pubbliche con le procedure e i criteri stabiliti in sede europea; i profili sostanziali e procedurali della normativa contabile nazionale sono stati, in particolare, allineati alle innovazioni nelle procedure europee di sorveglianza in campo fiscale e macro-economico e di coordinamento ex-ante delle politiche di bilancio degli Stati membri, che hanno condotto alla recente introduzione a livello comunitario del cosiddetto “Semestre europeo”.

In questa direzione, l’articolo 1, comma 1, della legge di contabilità nazionale, nel definire i princìpi generali di coordinamento della finanza pubblica, ha stabilito che tutte le amministrazioni pubbliche concorrono al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica definiti in ambito nazionale “in coerenza con le procedure e i criteri stabiliti dall'Unione europea e ne condividono le conseguenti responsabilità”.

Le procedure che regolano i rapporti con l'Unione europea in tema di finanza pubblica hanno quindi trovato un’enunciazione formale nell’ambito dell’articolo 9 della legge di contabilità, che nel disciplinare la presentazione al Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione europea del Programma di stabilità e del Programma nazionale di riforma, reca un esplicito rinvio ai termini e alle modalità previsti dal Codice di condotta sull'attuazione del patto di stabilità e crescita.

Al fine di assicurare un costante raccordo tra il Parlamento nazionale e le istituzioni dell'Unione europea nell'ambito del semestre europeo, il medesimo articolo prevede, altresì, che tutti gli atti, i progetti di atti e i documenti comunitari adottati in tale ambito contestualmente alla loro ricezione, siano trasmessi dal Governo alle Camere ai fini dell'esame a norma dei rispettivi regolamenti, nonché dell'esercizio delle attività di controllo parlamentare disciplinate dall'articolo 4 della legge di contabilità.

La legge di contabilità reca poi una serie di ulteriori previsioni che derivano dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea ovvero rispondono a interventi riformatori sollecitati dalle istituzioni comunitarie.

In coerenza con i criteri contabili assunti in sede europea ai fini del rispetto dei vincoli di finanza pubblica ivi stabiliti – che fanno riferimento a tutto il perimetro della pubblica amministrazione - la legge n.196/09 estende in primo luogo l’ambito di riferimento delle norme quadro di contabilità - rispetto a quanto in precedenza previsto dalla abrogata legge 468/1978 - al complesso delle amministrazioni pubbliche, introducendo altresì ulteriori elementi di novità che possono anch’essi esser letti come volti a rendere coerente la programmazione finanziaria nazionale con le regole stabilite in sede europea, quali ad esempio l’avvio di un processo di armonizzazione dei sistemi contabili delle pubbliche amministrazioni che tiene conto dei criteri contabili comunitari, l’adozione del metodo della programmazione almeno triennale delle risorse, delle politiche e degli obiettivi, la ripartizione degli obiettivi di finanza pubblica per i diversi sottosettori del conto della PA e l’indicazione nei documenti programmativi di previsioni di finanza pubblica a politiche invariate per i principali aggregati del conto economico della PA.

Nella medesima prospettiva, la legge di contabilità nazionale ha introdotto alcune significative disposizioni volte a rafforzare la disciplina fiscale in linea con le indicazioni formulate dalle istituzioni comunitarie ai fini della riduzione del deficit e del debito.

In particolare, in coerenza con la richiesta dell’Unione europea di destinare alla riduzione del deficit e del debito le eventuali maggiori entrate non previste a legislazione vigente, l’art. 11, comma 6, della legge n. 196 del 2009 – come modificato dall’articolo 3 della legge n. 39/2011 - consente l’utilizzo del risparmio pubblico a copertura degli oneri correnti della legge di stabilità unicamente per finanziare riduzioni di entrata e solo a condizione che risulti assicurato un valore positivo del risparmio pubblico.

Nella medesima logica s’inscrive il comma 1-bis dell’art. 17 della medesima legge di contabilità, il quale reca il divieto di utilizzare a copertura di nuovi oneri finanziari le maggiori entrate correnti che dovessero verificarsi in corso di esercizio rispetto a quelle iscritte nel bilancio di previsione derivanti da variazioni degli andamenti a legislazione vigente, nonché l’espressa previsione che l’eventuale “extra gettito” connesso ad un miglioramento del quadro economico possa essere destinato solo al miglioramento dei saldi di finanza pubblica.

 

Tali ultime previsioni, recentemente introdotte nella disciplina contabile, sebbene non configurino direttamente un vincolo al pareggio di bilancio, rappresentano criteri di prudenza cui ispirare la politica fiscale in una prospettiva di medio termine che possono essere inquadrati nell’ambito di quei principi di “equità intergenerazionale” e “sostenibilità delle politiche di bilancio” richiamati nella relazione governativa di accompagnamento al disegno di legge in esame.

 

Profili economico finanziari della novella

Il terzo comma dell’articolo 53 - introdotto dal disegno di legge in esame - annovera l’equilibrio dei bilanci ed il contenimento del debito delle pubbliche amministrazioni tra le finalità che la Repubblica persegue, in conformità ai vincoli derivanti dall’appartenenza all’Unione europea e sulla base di principi e criteri stabiliti con apposita legge, da approvare a maggioranza dei due terzi di ciascuna Camera.

La formulazione essenziale e sintetica, utilizzata sia dall’articolo in esame, che enuncia in termini generali un principio perseguito dalla Repubblica, sia dai due articoli seguenti, che articolano il predetto principio con riferimento al bilancio dello Stato e alle amministrazioni territoriali, appare finalizzata più che all’individuazione di precetti immediatamente applicativi, alla definizione di una cornice costituzionale sufficientemente ampia, tale da consentire diverse modalità di definizione dei predetti principi in sede applicativa.

 

A titolo esemplificativo, tra le molteplici scelte alternative, che potranno essere compiute in sede di disciplina attuativa dei principi costituzionali, si ricordano le seguenti (alcune delle quali saranno in seguito oggetto di specifica trattazione):

-          la platea dei soggetti istituzionali[2] tenuti a rispettare il vincolo di bilancio;

-          il carattere consolidato (per tutta la PA) o individuale (per i singoli enti) del vincolo stesso;

-          gli aggregati contabili da prendere in considerazione, riguardanti sia i saldi di bilancio (saldo nominale o strutturale, inclusione o esclusione delle partite finanziarie, possibilità o meno di poste fuori bilancio) che il debito (inclusione o esclusione dei debiti di fornitura);

-          i criteri contabili da utilizzare (competenza giuridica o economica, cassa o competenza mista);

-          l’arco temporale di riferimento (il singolo esercizio o un arco pluriennale di durata da definire con riferimento agli enti territoriali).

Quanto alla concreta articolazione dei termini utilizzati dalla norma costituzionale, si osserva che:

-        il termine “equilibrio”, riferito ai bilanci, può essere inteso come pareggio contabile o come saldo sostenibile in riferimento ad altri parametri, come il Pil o il patrimonio;

-        il termine “contenimento”, riferito al debito, può essere inteso come obbligo di riduzione dello stock di debito sotto una determinata soglia, ovvero come obbligo di riduzione progressiva del predetto stock [3], o ancora come limite alla dinamica dello stock di debito.

Il principio di equilibrio riferito al saldo complessivo di bilancio sembra escludere la possibilità che tale vincolo possa essere riferito al solo saldo primario[4]. Qualora il termine “equilibrio” debba essere inteso come pareggio contabile, ne conseguirebbe che, in presenza di uno stock di debito e di una conseguente componente di spesa per interessi, il saldo primario dovrebbe essere necessariamente in avanzo di un ammontare sufficiente a pareggiare la spesa per interessi, in modo tale da annullare il deficit e garantire il pareggio. L’assenza di un deficit comporterebbe l’invarianza nel tempo dello stock nominale di debito. In presenza di una condizione di crescita, anche moderata, del PIL, ne conseguirebbe la tendenza alla progressiva riduzione del rapporto debito/Pil. Tale tendenza non potrebbe arrestarsi nemmeno quando il predetto rapporto dovesse scendere sotto una determinata soglia (ad esempio quella del 60% definita in sede comunitaria), in quanto l’obbligo di equilibrio di bilancio sancito in costituzione (qualora esso vada inteso come pareggio contabile) non verrebbe meno. L’adozione del vincolo del pareggio, riferito al saldo complessivo di bilancio, implicherebbe quindi l’adozione implicita dell’obiettivo di progressivo annullamento del rapporto debito/Pil.

Diversamente accadrebbe qualora il termine “equilibrio” dovesse intendersi non nel senso del pareggio contabile tra entrate e spese, ma come saldo sostenibile con riferimento ad altri parametri, quali appunto lo stock esistente di debito, la crescita del Pil e lo stato dell’attivo patrimoniale delle pubbliche amministrazioni. Data la rilevanza delle implicazioni connesse alle diverse possibili interpretazioni delle disposizioni in esame, risulterebbe opportuno che emergesse in quale accezione vadano intesi i termini utilizzati dalle norme.

 

La cornice costituzionale delineata, pur consentendo un’ampia articolazione concreta dei principi definiti in termini generali dalle norme in esame, sembra comunque prefigurare alcune possibili linee di indirizzo per la normativa di attuazione. Di seguito si esaminano i profili finanziari connessi a tali possibili orientamenti attuativi, evidenziandone le conseguenti implicazioni, nonché gli eventuali aspetti problematici ad essi riferibili.

 

In base alla relazione illustrativa la norma intende introdurre nella Costituzione il principio del pareggio di bilancio relativamente all'aggregato delle pubbliche amministrazioni, correlandolo a un vincolo di contenimento del debito delle stesse pubbliche amministrazioni, in coerenza con le regole vigenti nell'Unione europea e derivanti dal Patto di stabilità e crescita[5].

 

 

Si rileva che la norma in esame individua il principio dell’equilibrio dei bilanci delle pubbliche amministrazioni mentre la relazione illustrativa identifica tale principio con quello del pareggio di bilancio relativamente all’intero settore delle pubbliche amministrazioni.

Si tratta tuttavia di nozioni differenti sia con riferimento al comparto di enti cui deve intendersi applicabile il vincolo di bilancio, sia con riferimento alla natura di tale vincolo, in relazione alle diverse accezioni cui i concetti di “equilibrio” e “pareggio” possono essere ricondotti.

 

Con riferimento al comparto di enti cui riferire la condizione di equilibrio (o pareggio) di bilancio si rileva che tale condizione di pareggio riferita all’indebitamento netto della p.a. deriva dall’equilibrio tra entrate e spese pubbliche a seguito delle operazioni di consolidamento effettuate ai fini della costruzione del conto economico della p.a. Pertanto un pareggio nell’ambito di tale conto potrebbe coesistere con condizioni di parziale disavanzo nei bilanci dei singoli enti che concorrono a definire, con i rispettivi flussi finanziari, il conto complessivo della p.a..

Qualora il principio trovi invece applicazione per ciascun ente dotato di autonomia di bilancio, non risulterebbe possibile, all’interno del settore delle pubbliche amministrazioni, compensare i disavanzi di taluni enti e/o sottosettori con avanzi esposti da enti e/o sottosettori più virtuosi.

 

Si osserva che il testo dell’articolo in esame sembra mutuare la terminologia adottata dalla normativa europea, riferendo il criterio di equilibrio ai bilanci delle “amministrazioni pubbliche”. Nei successivi articoli il medesimo criterio è posto con riferimento ai singoli enti e, in particolare, al bilancio dello Stato (art. 2) e ai bilanci degli enti territoriali (art. 3, comma 1, lettera a). Per questi ultimi resta peraltro impregiudicata la facoltà di indebitamento, sia pur con l’obbligo della contestuale definizione di piani di ammortamento e di rispettare, per il complesso di tali enti, il vincolo di equilibrio (art. 3, comma 1, lettera b).

Pertanto, benché il vincolo dell’equilibrio sia correttamente riferito, dagli articoli successivi, ai singoli enti in relazione ai rispettivi bilanci, il richiamo - contenuto nell’articolo 53 novellato - al perseguimento di un generale principio di equilibrio dei bilanci delle pubbliche amministrazioni e la presenza di rilevanti deroghe al criterio dell’equilibrio, in particolare per il sottosettore degli enti locali, sembrano implicare la necessità di un concorso dei singoli enti alla salvaguardia della stabilità finanziaria del complessivo settore della p.a..

 

Tale obbligo richiama le esigenze del coordinamento della finanza pubblica. Infatti, anche postulando una condizione in cui ciascun ente – fatte salve le deroghe previste – raggiunga una situazione di equilibrio del proprio bilancio, esigenze di contenimento del debito esistente e/o di risposta a shock esogeni potrebbero rendere necessari sforzi aggiuntivi di miglioramento del conto complessivo delle pubbliche amministrazioni.

 

Per quanto riguarda la natura del vincolo di bilancio, in relazione alle diverse accezioni cui i concetti di “equilibrio”, utilizzato dal testo normativo, e “pareggio” utilizzato dalla relazione introduttiva, possono essere ricondotti, si segnala che il primo concetto appare caratterizzato da una connotazione di carattere dinamico, connessa alla sostenibilità nel tempo del saldo considerato di “equilibrio”, mentre il secondo concetto attiene alla posizione contabile di uguaglianza tra entrate e uscite. Il saldo di equilibrio potrebbe non coincidere con il pareggio qualora altri fattori, quali lo stato della crescita del PIL o lo stock di debito accumulato, risultassero suscettibili di incidere sulla sostenibilità nel medio periodo di tale saldo.

Ad esempio, in linea teorica, in condizioni di crescita sostenuta del PIL e di stock di debito contenuto in rapporto al PIL, potrebbe risultare sostenibile nel medio periodo (e quindi di equilibrio) anche una posizione di deficit moderato: è sulla base di tali ipotesi che il trattato di Maastricht fissava rispettivamente al 3% e al 60% in rapporto al PIL le soglie consentite di deficit e debito.

Viceversa, in condizioni di crescita bassa o nulla e di uno stock di debito molto elevato, la condizione di pareggio del bilancio potrebbe risultare non sostenibile nel medio periodo (e quindi non di equilibrio) qualora l’inasprirsi della situazione critica sui mercati finanziari rendesse imprescindibile un intervento incisivo e prolungato volto a ricondurre lo stock di debito al di sotto di una soglia di sostenibilità.

 

L’interpretazione del concetto di equilibrio nell’accezione contabile di pareggio, adottata dalla relazione introduttiva, pur risultando apparentemente più rigorosa, potrebbe presentare elementi di rigidità tali da impedire ad esempio di richiedere alle singole amministrazioni e/o sottosettori di esporre anche avanzi di bilancio, qualora le condizioni della finanza pubblica dovessero renderlo necessario.

In particolare, con riferimento al comparto delle amministrazioni locali (cfr. infra), l’affermazione del principio costituzionale dell’equilibrio di bilancio, inteso come pareggio, e il parallelo processo di implementazione della riforma del titolo quinto della costituzione in chiave federalista sembrano lasciare indeterminata la modalità con la quale le amministrazioni locali potranno in futuro essere chiamate a concorrere alla formazione degli avanzi primari necessari ad assicurare gli equilibri complessivi di bilancio (di nuovo intesi come pareggio) del complesso delle pubbliche amministrazioni.

 

Si rileva inoltre che, stante la formulazione del nuovo comma introdotto all’art. 53 della Costituzione, la salvaguardia dell’equilibrio di bilancio non viene configurata come mero limite che il legislatore incontra nel disciplinare attività dei pubblici poteri volte a dare attuazione a principi e diritti enunciati nella prima parte della Costituzione, ma assume essa stessa una posizione equiordinata rispetto a questi ultimi.

 

Tale tema richiama la problematica - già accennata in tema di interpretazione dell’art. 53 Cost. in rapporto ad altre disposizioni costituzionali - dei diritti finanziariamente condizionati e dei limiti entro i quali il vincolo di bilancio si pone rispetto agli altri valori oggetto di tutela da parte delle disposizioni inserite nella prima parte della Costituzione.

Nel rendere effettiva tale tutela, il legislatore dovrà quindi operare un bilanciamento tra valori egualmente tutelati dall’ordinamento costituzionale; in tal senso, nell’individuare il livello minimo di garanzia dei diritti aventi una valenza economico-sociale, occorrerà necessariamente considerare le ragioni attinenti alla stabilizzazione finanziaria.

Nel solco tracciato dalle modifiche costituzionali in esame, appare rientrare l’orientamento normativo seguito in sede di attuazione della riforma del titolo V della Costituzione. In tale sede si è infatti affermata l’adozione di un approccio di tipo “top down”, nel quale la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che le singole amministrazioni sono tenute a garantire risulta condizionata “a monte” dall’ammontare delle risorse complessivamente disponibili per tale finalità.

 

Sempre con riferimento al testo in esame, si rileva che, a garanzia del corretto perseguimento del principio dell’equilibrio di bilancio, dovranno essere assicurate “verifiche a consuntivo e le eventuali misure di correzione”. L’inciso sembra riferirsi a quel complesso di procedure, già previste dalla legislazione in materia di contabilità e finanza pubblica, che prevedono attività di monitoraggio degli effetti finanziari di norme in vigore nonché degli andamenti complessivi di finanza pubblica e, in esito a tali procedure, meccanismi correttivi da porre in essere nel caso in cui si registrino oneri che eccedano le previsioni originarie ovvero scostamenti rispetto ad equilibri sanciti con gli strumenti di programmazione.

 

Nel rinviare in proposito a quanto osservato anche con riferimento al successivo art. 2, recante la riformulazione dell’art. 81 Cost., si richiamano, in particolare, le disposizioni recate dall’art. 17 della legge n. 196/2009, che, al comma 12, prevede un apposito monitoraggio per le norme di spesa che, investendo diritti soggettivi, sono corredate di apposita clausola di salvaguardia. Detta clausola dovrà prevedere modalità automatiche di ripristino degli equilibri finanziari – ossia misure di riduzione delle spese o di aumenti di entrata – nei casi in cui l’attività di monitoraggio rilevi scostamenti rispetto alle previsioni indicate dalle leggi al fine della copertura finanziaria.

La previsione di clausole effettive ed automatiche comporta quindi la possibilità di adottare direttamente le misure di riequilibrio finanziario definite nel testo stesso delle leggi, senza la necessità di un ulteriore intervento parlamentare[6].

Circa la tipologia di intervento che la clausola di salvaguardia deve definire in via preventiva, si osserva che i requisiti di effettività e di automaticità richiesti dalla legge n. 196 hanno indotto a ritenere che il meccanismo correttivo potesse consistere sia nell’individuazione di risorse aggiuntive da utilizzare al verificarsi dello scostamento (una sorta di copertura aggiuntiva di carattere eventuale) sia nella rideterminazione, in senso riduttivo, del quantum della prestazione in favore dei soggetti titolari di diritti e destinatari della norma originaria[7].

Quest’ultima ipotesi non ha trovato finora riscontro nella prassi applicativa della legge n. 196/2009. Le clausole poste a corredo di norme entrate in vigore dopo la predetta legge hanno infatti operato generalmente sul lato della copertura piuttosto che su quello della ridefinizione dell’onere e quindi delle prestazioni.

Si richiamano inoltre le previsioni del comma 13 del medesimo art. 17 della legge n. 196/2009, riguardanti, più in generale, le attività di monitoraggio poste in essere dal Governo rispetto agli andamenti complessivi di finanza pubblica. Il Ministro dell'economia e delle finanze, allorché riscontri che l'attuazione di leggi rechi pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, assume tempestivamente le conseguenti iniziative legislative al fine di assicurare il rispetto del vincolo costituzionale di copertura finanziaria delle leggi. La medesima procedura è applicata in caso di sentenze definitive di organi giurisdizionali e della Corte costituzionale recanti interpretazioni della normativa vigente suscettibili di determinare maggiori oneri.

 

Poiché nel testo in esame le misure di correzione sono indicate come eventuali, non sembrerebbe che si intenda con esso offrire un fondamento costituzionale agli automatismi insiti nella definizione delle clausole di salvaguardia, come attualmente definite dall’art. 17 della legge n. 196/2009. Tuttavia, andrebbe valutato se, per effetto della predetta assimilazione del principio dell’equilibrio finanziario agli altri principi tutelati dalla Repubblica ai sensi della parte prima della Costituzione, possa determinarsi un’evoluzione dei meccanismi correttivi già prefigurati dalla vigente normativa contabile, nella direzione di prevedere, in situazioni in cui il riconoscimento di diritti tutelati dall’ordinamento costituzionale entri in conflitto con esigenze di salvaguardia di equilibri di bilancio, anche la possibilità di una riduzione delle prestazioni che afferiscono a tali diritti in luogo della mera predisposizione di mezzi aggiuntivi di finanziamento.

Tenuto conto del grado di tutela accordato dall’ordinamento agli interessi coinvolti, si potrebbe immaginare che la soluzione di simili conflitti non sia interamente affidata a meccanismi automatici, ma preveda la possibilità, per il legislatore, di effettuare di volta in volta un nuovo bilanciamento tra diritti ed equilibri finanziari anche sulla base dei risultati che scaturiscono dal monitoraggio degli effetti concretamente prodotti dai singoli provvedimenti di entrata o di spesa.

 

In proposito andrebbe esplicitato se debba spettare alla legge quadro sulla finanza pubblica, prevista dal terzo comma in esame, stabilire le modalità attraverso le quali debbano essere apprestati i meccanismi correttivi previsti dal testo.

 

 

 


 

L’equilibrio nella legge di bilancio e la copertura finanziaria
delle leggi di spesa (art. 2)

 

L'articolo 2 novella interamente l’art. 81 della Costituzione che detta regole sulla finanza pubblica e sulla formazione del bilancio, le quali - con l’art. 119 per quanto riguarda regioni, province e comuni, nonché con altre disposizioni costituzionali quali quelle contenute negli artt. 41, 43 e 45 – concorrono a definire la disciplina costituzionale dei rapporti economici.

 

 

Il primo comma del novellato art. 81 Cost.

 

Il primo comma dell’art. 81, come riformulato dal progetto di legge in esame, pone un obbligo per il bilancio dello Stato di rispettare “l’equilibrio delle entrate e delle spese”.

Lo stesso comma, al secondo periodo, prosegue disponendo il divieto di “ricorrere all’indebitamento” ed enunciando successivamente una disposizione derogatoria del predetto divieto, per le ipotesi in cui si versi in fasi avverse del ciclo economico, nei limiti degli effetti da esso determinati, nonché in uno stato di necessità, dichiarato dalle Camere a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti.

 

 

Profili economico finanziari del primo comma della novella

 

Sotto il profilo formale, si segnala l’opportunità di riferire espressamente il criterio dell’equilibrio al rapporto tra entrate e spese e, quindi, ad un dato di saldo (piuttosto che alle entrate e alle spese distintamente considerate).

 

Sul punto appare comunque opportuno un chiarimento in quanto la formulazione letterale potrebbe intendersi anche riferita a situazioni di equilibrio separate e distinte nei diversi ambiti delle entrate e delle spese.

 

Ciò premesso, andrebbe comunque meglio precisato il rapporto tra la prima proposizione del comma in esame e quelle successive.

In particolare, la proposizione che vieta di “ricorrere all’indebitamento” potrebbe intendersi come ostativa del ricorso ad operazioni di indebitamento in senso stretto e porsi quindi come una mera conseguenza dell’obbligo di equilibrio già enunciato.

In alternativa, il divieto potrebbe considerarsi esplicativo di quanto in precedenza sancito, ossia indicativo dello specifico saldo da assumere come parametro di riferimento per la verifica del rispetto dell’equilibrio di bilancio.

 

Nel primo caso, si rileva che il nesso di consequenzialità ipotizzato sussiste qualora il divieto di indebitamento si intenda ovviamente limitato alle operazioni necessarie a finanziare squilibri tra entrate e spese iscritte bilancio dello Stato, al netto di poste finanziarie relative al rinnovo di titoli del debito pubblico.

Qualora la disposizione che vieta il ricorso all’indebitamento debba intendersi invece come esplicativa della precedente, e, quindi, indicativa del saldo cui va riferito il vincolo di equilibrio, andrebbe meglio precisato, più opportunamente nell’ambito della legge prevista dall’art. 1 del disegno di legge in esame, a quale saldo tale principio faccia riferimento.

 

In proposito, il richiamo – contenuto al terzo comma dell’art. 53, come riformulato – ai vincoli derivanti dall’appartenenza all’Unione europea ed il tenore della disposizione derogatoria che segue l’enunciazione del divieto di indebitamento – che ammette tale possibilità nelle fasi avverse del ciclo economico e nei limiti degli effetti da esso determinati – induce a ritenere che il saldo di riferimento possa invece essere rinvenuto nell’indebitamento netto calcolato secondo il sistema di contabilità europea (SEC 95).

 

Va rilevato tuttavia che tale sistema si ispira ai criteri della contabilità economica, anziché a quelli della contabilità finanziaria (competenza giuridica e cassa), in base ai quali è attualmente redatto il bilancio dello Stato. Ciò comporta che la traduzione in termini di contabilità europea e di indebitamento netto degli aggregati e dei saldi dei bilanci degli enti pubblici è frutto di procedimenti effettuati per lo più a consuntivo.

Inoltre tali risultati sono soggetti a revisioni anche a distanza di anni dalla conclusione degli esercizi finanziari di riferimento. Le revisioni dipendono solo in parte da riclassificazioni imposte dall’organismo statistico europeo, risultando anche la conseguenza di un ordinario processo di consolidamento, nel tempo, delle fonti e dei dati statistici.

 

Per consentire anche la verifica ex ante del rispetto del principio dell’equilibrio occorrerà quindi disporre di metodologie attendibili di riclassificazione degli aggregati significativi e dei saldi del bilancio dello Stato in termini coerenti con il sistema di contabilità europea. Tali problematiche potrebbero essere attenuate (ma solo in parte) con il potenziamento del bilancio di cassa, oggetto di apposita delega recata dalla legge di contabilità e finanza pubblica[8], tenuto conto che per talune voci di entrata e di spesa il criterio della cassa approssima meglio le modalità di contabilizzazione secondo i principi di contabilità economica europea.

 

L’interpretazione secondo la quale il saldo cui va riferito il vincolo di equilibrio è quello di indebitamento netto, presenterebbe in ogni caso profili di maggiore coerenza con la normativa europea e risolverebbe in parte la questione relativa all’effettiva estensione del divieto di ricorso ad operazioni di indebitamento in senso stretto.

 

Infatti l’indebitamento netto individua il saldo tra entrate e spese iscritte nel conto economico, che derivano quindi da operazioni di carattere economico poste in essere dall’operatore pubblico. Allorquando tale rapporto risulti in equilibrio (pareggio) o addirittura in avanzo (accreditamento netto), l’ente pubblico non dovrà ricorrere a risorse provenienti da altri settori e, in particolare, dal settore degli intermediari finanziari, per sostenere spese iscritte nel proprio conto economico, fatta salva la possibilità, sulla base delle deroghe previste, di finanziare disavanzi del saldo nominale dovuti esclusivamente alla fase avversa del ciclo economico o per “uno stato di necessità che non può essere sostenuto con le ordinarie decisioni di bilancio”.

Resterebbe invece impregiudicata la possibilità di ricorrere ad operazioni di indebitamento per far fronte ad impegni connessi al rinnovo dello stock di debito già in essere.

 

Tuttavia non risulterebbe in linea di principio escluso il ricorso ad operazioni di indebitamento necessarie a finanziarie operazioni non registrate nel conto economico della p.a., in quanto aventi una valenza prevalentemente finanziaria. La nozione di indebitamento netto, inteso secondo la definizione europea, dà infatti conto del rapporto tra flussi di entrata e di spesa determinati da operazioni di carattere economico poste in essere dagli operatori pubblici.

 

Pertanto qualora il divieto di ricorso ad operazioni di indebitamento debba intendersi come preclusione alla formazione di nuovo debito rispetto a quello già in essere, la condizione di equilibrio imposta in termini di indebitamento netto non risulterebbe sufficiente, in quanto non comprenderebbe l’eventuale eccedenza delle spese rispetto alle entrate dovuta ad operazioni di carattere finanziario (al netto di quelle necessarie al rinnovo del debito in scadenza).

La scelta di tale saldo come parametro per la verifica della condizione di pareggio potrebbe quindi prestarsi ad operazioni di carattere elusivo, dirette ad orientare la spesa pubblica verso operazioni a prevalente contenuto finanziario, non registrate ai fini dell’indebitamento (es: conferimenti di capitale, cartolarizzazioni, ecc.).

 

Il saldo di indebitamento non fornisce quindi indicazioni complete riguardo alla variazione annua del debito pubblico, la cui entità è determinata da ulteriori fattori che richiamano i flussi di fabbisogno.

 

Il saldo di fabbisogno - che può essere riferito al settore statale, al settore pubblico o al settore delle pubbliche amministrazioni – è considerato il saldo di finanza pubblica che fornisce più immediate indicazioni circa la possibile variazione annua dello stock di debito[9]. Esso differisce dall’indebitamento netto in primo luogo per il sistema contabile di riferimento, in quanto si basa su un criterio di cassa anziché di competenza economica. A differenza dell’indebitamento netto, inoltre, dà conto anche dei flussi generati da operazioni di carattere finanziario poste in essere dagli operatori pubblici, misurando la domanda complessiva di risorse finanziarie rivolta agli altri settori.

 

Con specifico riferimento al bilancio dello Stato, andrebbe quindi chiarito quale possa essere l’indicatore più prossimo a stimare la variazione di debito pubblico determinata dalle voci iscritte in tale bilancio.

Un parametro utile in tal senso potrebbe essere rappresentato - scontando comunque discrepanze relative ai criteri di classificazione contabile - dal saldo netto da finanziare espresso in termini di cassa. Tale saldo, riferito alle transazioni del conto economico e della parte attiva del conto finanziario (partite finanziarie), è utilizzato nel quadro dei raccordi contabili tra bilancio dello Stato e gestione di tesoreria, per la determinazione del fabbisogno del settore statale[10]. In proposito andrebbe comunque acquisito l’avviso del Governo.

 

Stante l’attuale formulazione delle modifiche apportate all’art. 81 Cost., sembrerebbe tuttavia che il criterio prescelto sia quello di assicurare un equilibrio

del saldo di indebitamento netto, calcolato secondo i criteri europei, al netto della componente ciclica.

 

Tale interpretazione sembra evincersi anche dalla relazione illustrativa, che evidenzia come il riferimento al ciclo economico sia coerente con le vigenti regole europee, che già prevedono, per il complesso delle pubbliche amministrazioni, il raggiungimento dell’obiettivo di medio termine (MTO)[11] consistente nel pareggio del saldo strutturale delle pubbliche amministrazioni, cioè dell'indebitamento netto depurato degli effetti ciclici e delle misure una tantum.

 

Con riferimento alla componente ciclica, si osserva che un saldo in pareggio depurato di tale componente equivale sostanzialmente ad una situazione di equilibrio over the cycle, in quanto richiede, nelle fasi favorevoli del ciclo, il conseguimento di avanzi del saldo nominale, compensati da disavanzi, di limitata entità, ammessi nelle fasi avverse.

Il richiamo al ciclo comporta pertanto che, in fase di programmazione, sulla base dell’andamento atteso delle variabili macroeconomiche, sia stimato il potenziale di crescita dell’economia rispetto al quale si posiziona la crescita effettiva nel periodo di riferimento[12]. Dalla stima di tali grandezze, dato un obiettivo di saldo strutturale pari a zero, si ricava il corrispondente valore obiettivo in termini nominali e, dato il tendenziale, la necessaria correzione.

Ove in corso di esercizio mutassero le previsioni di crescita e/o le stime circa l’efficacia delle misure adottate o più in generale circa l’andamento dei tendenziali di finanza pubblica, in misura tale da comportare uno scostamento del saldo strutturale rispetto al pareggio, ciò determinerebbe la necessità di intervenire con una manovra correttiva.

In ogni caso, scostamenti del saldo dovuti a errori di previsione nelle grandezze macroeconomiche[13] o finanziarie dovrebbero essere “recuperati” nell’esercizio successivo/i, secondo una procedura da individuare con norme di attuazione del disposto costituzionale.

 

Nell’eventualità che scostamenti rispetto agli obiettivi siano constatati ex post, si segnala che le modifiche introdotte non richiamano, né a livello di bilancio dello Stato (art. 81), né a livello di amministrazioni locali (art 119), l’obbligo di recupero degli scostamenti eventualmente registrati, lasciando indeterminato se, negli esercizi successivi, le amministrazioni centrali o locali siano meramente tenute a ripristinare le posizioni equilibrio loro richieste o siano invece tenute ad un obbligo di compensazione di disavanzi pregressi.

 

In assenza di una disposizione esplicitamente riferita alle conseguenze degli scostamenti rispetto agli obiettivi, sembrerebbe prevalere l’obbligo del mero rispetto degli equilibri di bilancio, che è l’unico principio espressamente affermato dalle modifiche costituzionali in esame. In mancanza di un obbligo tassativo, potrebbero infatti registrarsi resistenze nell’accollo, da parte ad esempio dei governi locali o centrali succeduti a quelli ritenuti responsabili degli scostamenti, degli obiettivi non conseguiti dagli amministratori precedenti. Si segnala in proposito il diverso orientamento registrato nelle riforme costituzionali in corso di adozione da parte di altri paesi europei [14].

 

Si osserva inoltre che un procedimento come quello sopra descritto - volto a depurare il saldo nominale dalla sua componente ciclica - richiede un certo grado di cautela, in quanto poggia su un’analisi, condotta anche dalla Commissione europea, che ha come presupposto la determinazione del PIL potenziale e dell'output gap. Tali grandezze sono soggette a frequenti revisioni, che implicano spesso un aggiornamento dell'intera serie dei saldi strutturali, compresi quelli relativi ad esercizi passati, modificando ex post il quadro informativo disponibile ed evidenziando contesti che, al momento della decisione, non apparivano caratterizzati nello stesso modo.

 

Si rileva altresì che il testo in esame, affermando in termini generali il principio dell’equilibrio di bilancio, provvede poi a disciplinare gli aspetti derogatori solo con riferimento alla fase avversa del ciclo, nella quale si prevede che, nei limiti degli effetti da essa determinati, a livello del bilancio dello Stato possano esporsi situazioni di deficit congiunturale. Non sono invece previste, specularmente, deroghe al principio dell’equilibrio di bilancio connesse all’esigenza che, nelle fasi favorevoli del ciclo, il bilancio dello Stato sia tenuto a mostrare l’emersione di posizioni di avanzo.

Tale asimmetria appare suscettibile di incidere negativamente sull’obiettivo di contenimento dello stock del debito: questo registrerebbe infatti incrementi nelle fasi avverse del ciclo che resterebbero cristallizzati negli esercizi successivi. In questi ultimi, infatti, benché in presenza di situazioni cicliche favorevoli, la mancata emersione di posizioni di avanzo non consentirebbe l’abbattimento compensativo degli incrementi di debito registrati nelle fasi avverse.

 

Si rileva, infine, che il testo del novellato articolo 81 fa esplicito riferimento solo ad una delle componenti rilevanti ai fini del calcolo del saldo strutturale (il ciclo economico), non prendendo in considerazione le misure temporanee e una tantum[15].

Il richiamo ad esse, implicito nei vincoli che derivano dall’appartenenza all’Unione europea – espressamente richiamati dal nuovo comma 1 dell’articolo 53 della Costituzione introdotto dall’articolo 1 del disegno di legge in esame - è già oggetto dell’articolo 10, comma 1, lettera e) della legge di contabilità n. 196 del 2009, che prevede l’indicazione nel DEF degli obiettivi programmatici al netto ed al lordo delle misure una tantum.

 

Va tuttavia considerato che la tassonomia delle una tantum non è ancora chiaramente definita dai regolamenti comunitari ed è soggetta a periodiche revisioni.

 

La normativa comunitaria non individua precisi criteri di definizione in base ai quali catalogare con certezza come una tantum le diverse misure di spesa o di entrata. Il Codice di condotta si limita a definire tali quelle misure che hanno un impatto transitorio sui saldi di bilancio e che non apportano variazioni significative all’evoluzione di lungo periodo della finanza pubblica[16].

Il testo in esame individua tuttavia, oltre all’ipotesi di ciclo avverso, un’ulteriore circostanza nella quale è consentito il disavanzo di bilancio. Detta deroga è infatti ammessa anche in presenza di uno “stato di necessità”, che non può essere sostenuto con le ordinarie decisioni di bilancio, da dichiarare in ragione di eventi eccezionali.

 

Tale formulazione sembra ricomprendere eventi, quali calamità naturali o gravi esigenze di carattere civile, economico e sociale tali da richiedere risorse finanziarie aggiuntive rispetto a quelle già disponibili in bilancio. Proprio la natura di estrema gravità ed eccezionalità della circostanza in questione potrebbe, infatti, in questo caso rendere non possibile (o opportuno proprio dal punto di vista economico) una manovra correttiva straordinaria.

 

Con riferimento alle calamità naturali, l’ipotesi derogatoria prevista dal testo in esame potrebbe coincidere con la nozione di spese una tantum individuate in sede europea ai fini del calcolo del saldo strutturale, parametro di riferimento nel quadro delle procedure di sorveglianza.

 

Secondo la disciplina europea infatti, non rilevano ai fini del rispetto dell’obiettivo di saldo le spese una tantum, sostenute ad esempio in occasioni calamità naturali, per fronteggiare situazioni di emergenza, Per dette spese, in teoria, potrebbe quindi essere ammesso un ricorso all’indebitamento senza violare la disciplina fiscale europea.

Viceversa, per quanto riguarda le misure una tantum che assumono portata migliorativa del saldo (entrate una tantum), la conformità alla predetta disciplina europea imporrebbe che non si tenesse conto delle risorse da esse derivanti al fine di verificare il rispetto del criterio dell’equilibrio e del connesso divieto di indebitamento.

 

Per quanto attiene alle altre ipotesi che integrano la categoria degli eventi eccezionali, in presenza dei quali, in base al testo in esame, può essere dichiarato lo stato di necessità, si rileva che non appare agevole la delimitazione del novero di tali situazioni. Si ricorda che anche la disciplina europea fa  riferimento a condizioni - definite di carattere temporaneo ed eccezionale -che dovranno essere valutate dalla Commissione e dal Consiglio al fine di verificare se sussista una situazione di deficit eccessivo.

Dal testo non si evince tuttavia se, con il riferimento ai predetti “eventi eccezionali”, si intenda rinviare proprio alla casistica individuata dalle norme europee.

 

Va inoltre considerato che le disposizioni derogatorie inserite nel secondo comma non trovano riscontro in quelle del novellato articolo 119, riguardanti gli equilibri di bilancio e i limiti all’indebitamento degli enti locali.

Non sembra pertanto che per questi ultimi il saldo di riferimento per il rispetto dell’obbligo di equilibrio debba intendersi quello di indebitamento al netto della componente ciclica. Sembra doversi ritenere, al contrario, che sia preclusa per tali enti la possibilità di attuare politiche anticicliche dalle quali discendano riflessi sugli equilibri di bilancio, restando tali politiche esclusivo appannaggio dello Stato (per i conseguenti aspetti problematici cfr. infra).

 

In proposito si segnala che il calcolo della componente ciclica del saldo effettuato dalle istituzioni europee si basa su metodologie complesse, la cui applicazione richiederebbe comunque un’attenta supervisione nel quadro delle procedure di coordinamento della finanza pubblica per garantire l’omogeneità e l’inderogabilità dei relativi criteri di calcolo.

 

 

Il secondo comma del novellato art. 81 Cost.

 

Il secondo comma dell’art. 81 Cost., nel nuovo testo proposto, riproduce con limitate modifiche le previsioni attualmente riportate al quarto comma del medesimo articolo, relative all’obbligo di copertura finanziaria delle leggi. In particolare il nuovo testo: si riferisce ad “ogni legge” e non ad ogni “altra” legge come previsto dal vigente testo, ove il riferimento alle altre leggi va colto in relazione a quelle di bilancio; dispone che ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri finanziari provveda ai mezzi per farvi fronte, anziché indicare i mezzi stessi.

 

 

L’interpretazione dottrinaria e della giurisprudenza costituzionale del quarto comma del vigente art. 81

 

Nel dibattito dottrinario sul quarto comma del vigente art. 81 Cost. si sono fronteggiate due letture di diverso segno: l’una che vi individua un divieto di finanziamento della spesa pubblica con ricorso all’indebitamento con l’effetto di garantire il pareggio di bilancio; l’altra che stabilisce una relazione tra decisione di spesa e indicazione di mezzi di copertura che non esclude il ricorso all’indebitamento per ottenere l’effetto di copertura. Né la prassi legislativa si è dimostrata nel tempo assolutamente univoca in materia.

Nella giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha affermato la propria competenza a sindacare leggi di spesa, per profili attinenti alla loro copertura finanziaria, ai sensi dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione, sono state evidenziate le divergenze dottrinarie di interpretazione di tale disposizione, giungendo a definirne un’interpretazione destinata a consolidarsi con la sent. n. 1/1966[17].

Con tale pronuncia si rilevava il contrasto tra l’orientamento che riteneva che l'obbligo di indicare i mezzi per far fronte a nuove o maggiori spese riguardasse esclusivamente le leggi che, promulgate dopo l'approvazione del bilancio preventivo, ne alterassero l'equilibrio; e l’orientamento secondo il quale l’obbligo si riferiva e doveva essere osservato nei confronti di qualsiasi altra legge che immutasse in materia di spese non già di fronte alla legge di bilancio, o non soltanto di fronte a questa, ma di fronte alla legislazione preesistente, in quanto l'insieme della vita finanziaria dello Stato non poteva essere artificiosamente spezzato in termini annuali, ma considerato nel suo insieme e nella sua continuità temporale. In questa pronuncia la Corte ha ritenuto che l'interpretazione cosiddetta estensiva dell'obbligo imposto dall'ultimo comma dell'art. 81 fosse quella conforme alla lettera e allo spirito della Costituzione considerando che la limitazione dell'obbligo della "copertura" al solo esercizio in corso si riducesse ad una vanificazione dell'obbligo stesso La coerenza di tale considerazione veniva valutata dalla pronuncia anche alla luce della collocazione costituzionale della disposizione, rilevando che l’inserimento nell’articolo relativo a bilanci e consuntivi, invece che in quello relativo all’iniziativa legislativa (art. 71 Cost.) non potesse produrre una riduzione “dell'ambito della sua sfera di applicazione, che è svincolato dall'"annualità" del bilancio”. Del resto, il legame tra il terzo e il quarto comma dell’art. 81 “non vuole significare che il quarto comma si ponga esclusivamente in relazione col bilancio in corso, ma soltanto questo: che una nuova o maggiore spesa per la quale la legge, che l'autorizza, non indichi i mezzi per farvi fronte, non può trovare la sua copertura mediante l'iscrizione negli stati di previsione della spesa, siano quelli già approvati e in corso di attuazione, siano quelli ancora da predisporre dal Governo e da approvare dalle Camere. Il significato del termine adoperato dal quarto comma: "ogni altra legge", non è tale che possa essere ricondotto, com'è stato sostenuto, ad ogni legge successiva al bilancio in corso e modificatrice in peius dell'equilibrio contabile di esso, ma, viceversa, attiene ad ogni altra legge che non sia la legge di bilancio, senza alcuna connessione cronologica con questa”. Quindi, “il precetto costituzionale attiene ai limiti sostanziali che il legislatore ordinario è tenuto ad osservare nella sua politica di spesa, che deve essere contrassegnata non già dall'automatico pareggio del bilancio, ma dal tendenziale conseguimento dell'equilibrio tra le entrate e la spesa”.

Non si può, pertanto, ritenere che “la norma contenuta nel quarto comma dell'art. 81 includa una precisa appropriazione di un'entrata ad una spesa”, perché l'indicazione dei mezzi per fronteggiare spese nuove o maggiori “si riduce a determinare e individuare un incremento dell'entrata che, in una visione globale del bilancio, nel quale tutte le spese si confrontano con tutte le entrate (effettive, straordinarie o per movimento di capitali che siano), assicuri il mantenimento dell'equilibrio complessivo del bilancio presente e di quelli futuri, senza pretendere di spezzarne l'unità”. L'obbligo della "copertura" “deve essere osservato dal legislatore ordinario anche nei confronti di spese nuove o maggiori che la legge preveda siano inserite negli stati di previsione della spesa di esercizi futuri” e deve essere caratterizzato da una “puntualità rigorosa nei confronti di spese che incidano sopra un esercizio in corso, per il quale è stato consacrato con l'approvazione del Parlamento un equilibrio (che non esclude ovviamente l'ipotesi di un disavanzo), tra entrate e spese, nell'ambito di una visione generale dello sviluppo economico del Paese e della situazione finanziaria dello Stato”.

Invece “una puntualità altrettanto rigorosa per la natura stessa delle cose non è richiesta dalla ratio della norma per gli esercizi futuri. Rispetto a questi, del resto, la legge di spesa si pone come autorizzazione al Governo, che la esercita non senza discrezionalità, nel senso che, nella predisposizione del bilancio, le spese possono essere ridotte o addirittura non iscritte nei capitoli degli stati di previsione della spesa, salvi sempre l'approvazione e il giudizio politico del Parlamento, quante volte l'esigenza dell'equilibrio finanziario e dello sviluppo economico-sociale consiglino una diversa impostazione globale del bilancio e la configurazione di un diverso equilibrio. Si deve pertanto ammettere la possibilità di ricorrere, nei confronti della copertura di spese future, oltre che ai mezzi consueti, quali nuovi tributi o l'inasprimento di tributi esistenti, la riduzione di spese già autorizzate, l'accertamento formale di nuove entrate, l'emissione di prestiti e via enumerando, anche alla previsione di maggiori entrate, tutte le volte che essa si dimostri sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, in un equilibrato rapporto con la spesa che s'intende effettuare negli esercizi futuri, e non in contraddizione con le previsioni del medesimo Governo, quali risultano dalla relazione sulla situazione economica del Paese e dal programma di sviluppo del Paese: sui quali punti la Corte potrà portare il suo esame nei limiti della sua competenza”.

Dalle considerazioni contenute in tale pronuncia emerge che il quarto comma dell'art. 81, non ha un significato meramente contabile, ma una portata sostanziale che attiene ai "limiti (...) che il legislatore ordinario è tenuto ad osservare nella sua politica di spesa” che va contrassegnata non da automatismi, ma da equilibri tendenziali”. Ricordando le parole dell’intervento dell’on. Einaudi la copertura finanziaria delle leggi,[18] costituisce l’”impronta di serietà” dei progetti di legge, oggetto dell’indicazione – e non di uno specifico provvedere – richiesta dal dettato costituzionale, in base all’emendamento proposto dall’on. Bozzi in sede costituente.

Questa ricostruzione interpretativa è stata ritenuta coerente dalla giurisprudenza costituzionale con il principio dell'unità del bilancio, poiché l'indicazione dei mezzi per fronteggiare spese nuove o maggiori individua un incremento dell'entrata in una visione globale del bilancio, nel quale tutte le spese si confrontano con tutte le entrate (sent. n. 384/91).

Per la copertura di spese future, la Consulta ha ammesso anche il ricorso alla previsione di maggiori entrate, tutte le volte che detta previsione si dimostri "sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, in un equilibrato rapporto con la spesa che si intende effettuare negli esercizi futuri, e non in contraddizione con le previsioni del medesimo Governo, quali risultano dalla relazione sulle situazione economica del Paese e dal programma di sviluppo del Paese: sui quali punti la Corte potrà portare il suo esame nei limiti della sua competenza" (sent. n. 1 del 1961 e sent. n. 384/91 cit.).

Questi indirizzi sono stati mantenuti dalla giurisprudenza costituzionale anche in seguito all’introduzione nell’ordinamento del bilancio pluriennale essendo l'art. 81, quarto comma, della Costituzione, “parametro di riferimento per valutare l'attendibilità delle deliberazioni di spesa anche di lunga durata e non solo per garantire l'equilibrio dei bilanci già approvati” In caso di oneri inderogabili gravanti su esercizi futuri, “l'art. 81, quarto comma, della Costituzione, lungi dal costituire un inammissibile vincolo per i Governi ed i Parlamenti futuri, tende anzi proprio ad evitare che gli stessi siano costretti a far fronte, al di fuori di ogni margine di apprezzamento, ad oneri assunti in precedenza senza adeguata ponderazione dell'eventuale squilibrio futuro”.

L'obbligo di una ragionevole e credibile indicazione dei mezzi di copertura anche per gli anni successivi è diretto ad indurre il legislatore ordinario a tener conto dell'esigenza di un equilibrio tendenziale fra entrate e spese la cui alterazione, in quanto riflettentesi sull'indebitamento, postula una scelta legata ad un giudizio di compatibilità con tutti gli oneri già gravanti sugli esercizi futuri.

Come chiarito dalla sent. 213/2008[19], la copertura finanziaria di oneri attuali mediante entrate future: a) deve essere credibile, sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, in equilibrato rapporto con la spesa che si intende effettuare in esercizi futuri; b) è aleatoria se non tiene conto che ogni anticipazione di entrate ha un suo costo. Inoltre, c) l'obbligo di copertura deve essere osservato con puntualità rigorosa nei confronti delle spese che incidono su un esercizio in corso e deve valutarsi il tendenziale equilibrio tra entrate ed uscite nel lungo periodo, valutando gli oneri già gravanti sugli esercizi futuri. Anche il legislatore regionale non può sottrarsi alla fondamentale esigenza di chiarezza ed equilibrio del bilancio cui l’art. 81 Cost. s’ispira, vincolante anche per le Regioni a statuto speciale[20].

Il rispetto dell’art. 81 quarto comma ha spesso costituito motivazione di rinvio dei Presidenti della Repubblica ex art. 74 Cost., a partire dal rinvio effettuato dal Presidente Einaudi con il messaggio del 15 aprile 1949.

 

 

Profili economico finanziari in tema di copertura delle leggi di spesa

 

Con riguardo al vigente testo costituzionale, si ricorda che il rispetto dell’obbligo di copertura finanziaria implica la necessità di una verifica della corrispondenza tra nuove spese e relativi mezzi di finanziamento, da effettuare fin dal momento della formazione delle norme onerose, ossia nell’ambito del procedimento di approvazione delle leggi (valutazione ex ante). Le modalità e gli strumenti per lo svolgimento di tale verifica sono stati disciplinati dai regolamenti parlamentari e da norme statali di diretta attuazione del disposto costituzionale dell’art. 81, quarto comma, Cost.

 

Tale disciplina ha delineato uno schema procedurale articolato (c.d. ciclo della quantificazione), finalizzato alla preventiva quantificazione degli oneri finanziari recati da proposte normative e dei relativi mezzi di copertura, nonché alla verifica tecnica - in sede parlamentare, nell’ambito del procedimento legislativo - dei dati, delle metodologie e dei risultati utilizzati a tali fini.

Per quanto attiene alla disciplina legislativa statale, si ricorda che l’art. 17 della legge n. 196/2009 ha ridefinito complessivamente la disciplina della materia, individuando, con norme di diretta attuazione dell’art. 81 Cost. quarto comma, le tipologie di copertura ammissibili. La norma individua inoltre le modalità di quantificazione degli oneri finanziari derivanti da proposte normative, delineando un procedimento complesso, incentrato sulla predisposizione, da parte del Governo, della relazione tecnica, e sulla verifica da parte del Parlamento dei dati e dei metodi utilizzati ai fini della stima degli oneri da sottoporre a copertura. Tra le principali innovazioni introdotte dalla legge del 2009, si segnalano l’obbligo di indicare nella relazione tecnica l’effetto delle singole norme non solo sul saldo del bilancio dello Stato, ma anche sul saldo di cassa delle amministrazioni pubbliche e sull'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni e di considerare tali effetti ai fini della definizione della copertura finanziaria dei provvedimenti legislativi.

 

L’ordinamento ha inoltre previsto modalità di monitoraggio e di verifica ex post da parte dell’Esecutivo, con forme di coinvolgimento degli organi parlamentari.

 

Si richiama nuovamente la disciplina recata dall’art. 17 della legge n. 196/2009. I commi 12 e 13 prevedono, per le norme corredate di clausola di salvaguardia finanziaria - diretta a compensare effetti che eccedano eventualmente le previsioni di spesa inizialmente stimate e soggette a copertura – un apposito monitoraggio, a seguito del quale il Ministro dell'economia e delle finanze adotta, sentito il Ministro competente, le misure indicate nella clausola di salvaguardia e riferisce alle Camere con apposita relazione (comma 12). E’ inoltre previsto che il Ministro dell'economia e delle finanze, allorché riscontri che l'attuazione di leggi rechi pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, assuma tempestivamente le conseguenti iniziative legislative al fine di assicurare il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione. La medesima procedura è applicata in caso di sentenze definitive di organi giurisdizionali e della Corte costituzionale recanti interpretazioni della normativa vigente suscettibili di determinare maggiori oneri.

 

Il nuovo testo costituzionale non sembra richiedere modifiche sostanziali della disciplina legislativa introdotta in attuazione del vigente art. 81, quarto comma, Cost. e delle modalità finora adottate per la verifica del rispetto dell’obbligo di copertura.

 

Come già ricordato, la valutazione relativa alla copertura finanziaria, effettuata ex ante, nella fase della formazione delle leggi – anche se sottoposta a riscontri successivi sia nel quadro dei controlli di legittimità sia nell’ambito delle procedure di monitoraggio ex post – riguarda il controllo dell’equilibrio “a margine” tra variazioni finanziarie di segno opposto prodotte dalle nuove norme.

L’entità di tali variazioni è valutata rispetto agli andamenti tendenziali sanciti dagli strumenti di programmazione e dalle relative deliberazioni parlamentari. Tali modalità di svolgimento del controllo preventivo di copertura tendono a limitare i possibili margini di discrezionalità nella valutazione degli equilibri finanziari insiti in ogni nuova decisione di spesa al fine di garantire, per un verso, la pari legittimazione dei titolari del potere di iniziativa legislativa a promuovere modifiche dell’ordinamento e, per altro verso, l’equilibrio tra Parlamento e Governo nella valutazione dei profili di sostenibilità finanziaria delle innovazioni legislative via via introdotte.

 

Una specifica considerazione riguarda il rapporto tra la regola di copertura finanziaria sancita al secondo comma dell’art. 81, come riformulato, e il principio del pareggio, enunciato al comma precedente.

 

Come emerge dall’illustrazione della consolidata interpretazione del vigente testo costituzionale, nell’esperienza applicativa è prevalso l’orientamento secondo il quale l’obbligo sancito dal vigente art. 81, al quarto comma, non implichi necessariamente un vincolo di pareggio di bilancio. Il vincolo di copertura, ponendosi come norma sulla produzione legislativa, costituisce piuttosto una modalità per conformare ai principi costituzionali la decisione di spesa al fine di salvaguardare gli equilibri finanziari complessivi, come definiti dalla legge annuale di bilancio. Pertanto, l’obbligo costituzionale è stato generalmente configurato come necessità di una verifica della corrispondenza dell’equilibrio tra i nuovi oneri (maggiori spese/minori entrate) determinati dalle norme in via di formazione e i mezzi di finanziamento da esse stesse apprestati, ferma restando la discrezionalità nell’impostazione della politica complessiva di bilancio, mediante gli strumenti programmatici e legislativi a ciò deputati.

 

La riforma in esame, dopo aver introdotto espressamente un obbligo complessivo di pareggio, ribadisce quindi la necessità del rispetto del vincolo di copertura, da verificare con riferimento a ciascuna legge di spesa.

 

Non sembra quindi inficiato lo schema concettuale di riferimento finora seguito per la valutazione dei nuovi oneri e per la verifica della congruità dei mezzi finanziari predisposti per farvi fronte. La regola della copertura finanziaria ex ante dovrebbe continuare a costituire un presidio a tutela dei saldi e a garanzia della coerenza delle leggi approvate in corso di esercizio con gli strumenti che definiscono l’orizzonte programmatico pluriennale. Infatti, in un ordinamento che riconosce una diffusa iniziativa legislativa, in assenza di idonei sistemi di verifica del rispetto del vincolo di copertura per ciascuna decisione di spesa la stabilità del saldo complessivo di bilancio potrebbe risultare fortemente compromessa.

 

Per quanto attiene all’analisi testuale delle innovazioni apportate al vigente testo costituzionale, si rileva in primo luogo che l’obbligo di copertura viene riferito ad “ogni legge”, laddove l’attuale formulazione del quarto comma dell’articolo 81 lo riferisce ad “ogni altra legge”, ossia ad ogni legge diversa da quella di approvazione del bilancio, oggetto delle previsioni del terzo comma del medesimo art. 81.

 

La mancata applicazione, nel vigente testo costituzionale, dell’obbligo di copertura alla legge di bilancio va collegata alla sua natura di legge cosiddetta “formale”, con la quale, stante il disposto del citato terzo comma, non è possibile stabilire nuovi tributi e nuove spese.

Il testo costituzionale opera quindi una distinzione tra leggi di bilancio, che non innovano l’ordinamento, ma recepiscono gli effetti delle norme vigenti, fissando, per ciascun esercizio finanziario, le conseguenti previsioni spesa e di entrata, e le “altre leggi”, che possono invece modificare tali previsioni. A queste leggi viene tuttavia richiesto di non alterare i saldi complessivi fissati con le leggi di bilancio e di provvedere quindi, nell’ipotesi in cui prevedano nuove o maggiori spese, ad indicare i mezzi finanziari per farvi fronte.

 

La rigidità di questo schema di riferimento è stata, soprattutto negli ultimi anni, attenuata da una serie di previsioni, che hanno attribuito alla legge di bilancio margini di intervento per modificare anche previsioni di spesa determinate da fattori legislativi (cfr. Infra)[21].

 

In ultima analisi, lo scopo della regola di copertura finanziaria appare quindi quello di neutralizzare gli effetti delle nuove leggi di spesa sugli equilibri finanziari complessivi sanciti dalla legge di bilancio. Per tale ragione, l’obbligo si è inteso implicitamente esteso alle leggi che, determinando una riduzione di entrate, appaiono parimenti suscettibili di incidere sui saldi di bilancio generando nuovi oneri.

 

La nuova formulazione proposta dal disegno di legge in esame non esclude espressamente dall’obbligo di copertura finanziaria le leggi di bilancio; detto vincolo, d’altro canto, non sembrerebbe in linea di principio “assorbito” dall’obbligo di equilibrio tra entrate e spese sancito dal primo comma del novellato art. 81.

 

Infatti, ove dovesse trovare conferma l’ipotesi interpretativa di un’estensione dell’obbligo di copertura alla legge di bilancio, nell’ambito del procedimento di formazione della medesima occorrerebbe prevedere - oltre che una valutazione complessiva degli equilibri tra entrate e spese, da effettuare alla stregua del saldo assunto a tali fini quale parametro di riferimento - anche una verifica di congruità analoga a quella realizzata nell’ambito del ciclo di quantificazione degli oneri e delle coperture (cfr. infra).

 

Una simile estensione della regola di copertura sembrerebbe dover riguardare in primo luogo previsioni di bilancio che innovino rispetto a voci di entrata e spesa già autorizzate da norme vigenti. Allo stesso modo, il procedimento di approvazione della legge di bilancio potrebbe anche essere considerato la sede per una verifica complessiva delle quantificazioni sottostanti le previsioni tendenziali di entrata e di spesa definite sulla base della vigente normativa.

 

Andrebbe quindi chiarito se la nuova formulazione del disposto costituzionale implichi un’implicita estensione dell’obbligo di copertura alle leggi di bilancio ed, eventualmente, entro quali limiti. Detti limiti dipenderanno naturalmente anche dal contenuto proprio della legge di bilancio, come definiti dalla legge di cui al terzo comma dell’art. 53 Cost., introdotto dall’articolo 1 del disegno di legge in esame.

 

Sempre sul piano delle modifiche testuali al vigente testo costituzionale, si rileva che la nuova formulazione proposta individua l’oggetto dell’obbligo di copertura nei “nuovi o maggiori oneri finanziari” che ogni legge importi, laddove il testo vigente fa riferimento alle “nuove o maggiori spese”.

La sostituzione del termine “spese” con “oneri” recepisce quanto elaborato nel quadro della prassi applicativa dell’art. 81, quarto comma, della Costituzione, che ha operato una sostanziale assimilazione delle “nuove o maggiori spese” alle “minori entrate” ai fini dell’applicazione delle procedure di verifica dell’impatto sui saldi di finanza pubblica e di congruità dei mezzi di copertura. Sia le variazioni sul lato delle entrate sia quelle sul lato della spesa, allorquando determinino effetti peggiorativi dei predetti saldi, sono quindi identificati nella categoria degli “oneri” da sottoporre a copertura.

 

L’utilizzo dell’espressione ”oneri finanziari” pone tuttavia alcune questioni in merito alle modalità di contabilizzazione dei predetti effetti peggiorativi e dei mezzi idonei a compensarli.

Infatti, per contabilità finanziaria si intende generalmente il sistema contabile basato sulla registrazione dei flussi di entrata e spesa in termini di competenza giuridica (accertamenti sul lato delle entrate e impegni sul lato della spesa) o di cassa (rispettivamente, incassi e pagamenti). La recente evoluzione delle modalità di copertura ha ormai recepito, prima in via di prassi e quindi sul piano legislativo, l’esigenza che, al momento della definizione di norme onerose – ossia suscettibili di determinare nuovi o maggiori oneri -, sia quantificato l’impatto delle stesse e verificato l’equilibrio rispetto ai relativi mezzi di finanziamento, non soltanto con riferimento ai saldi del bilancio dello Stato espressi in termini di contabilità finanziaria (competenza giuridica e cassa), ma anche con riguardo ai saldi relativi al più ampio aggregato delle pubbliche amministrazioni. Tra tali saldi viene in particolare in rilievo l’indebitamento netto della p.a., definito secondo il sistema di contabilità europea, che si ispira ad un criterio di contabilità economica, anziché finanziaria.

 

Si ricorda, da ultimo, l’art. 17, commi 3 e 4, della citata legge n. 196/2009, cheha previsto specificiobblighi informativi nella predisposizione dei disegni di legge di iniziativa governativa, quali quello di allegare alla relazione tecnica un prospetto riepilogativo degli effetti finanziari di ciascuna disposizione ai fini del saldo netto da finanziare (riferito al bilancio dello Stato), del saldo di cassa nonché dell’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche; inoltre, la relazione tecnica deve sempre evidenziare gli effetti di ciascuna disposizione sugli andamenti tendenziali del saldo di cassa e dell’indebitamento netto, per verificare il rispetto degli equilibri di finanza pubblica, ed indicare inoltre i criteri per la quantificazione e la compensazione di tali effetti.

 

Andrebbe quindi verificato se l’utilizzo dell’espressione “oneri finanziari” risulti compatibile con l’attuale estensione dell’obbligo e delle modalità di quantificazione e copertura.

Sotto il profilo del coordinamento con la regola del pareggio di bilancio, si rileva che qualora il saldo cui applicare il vincolo di equilibrio dovesse essere individuato, per ciascun ente interessato e/o per il complesso del settore delle pubbliche amministrazioni, nell’indebitamento netto, definito secondo i criteri di contabilità europea (SEC 95), la valutazione dell’equilibrio delle coperture sui tre saldi – già affermato dalla legge n. 196/2009 – dovrebbe intendersi ulteriormente rafforzato a garanzia della stabilità dei saldi di bilancio.

 

Occorrerebbe in proposito valutare se la verifica di compensatività tra nuovi oneri e relativi mezzi di copertura, espressi in termini di indebitamento netto, debba o meno tener conto anche degli effetti imputabili al ciclo economico e dei raccordi tra saldo nominale e saldo strutturale, finora non ritenuti determinanti nel quadro delle procedure parlamentari di controllo circa il rispetto del vincolo di copertura. In tal caso occorrerebbe tener conto delle metodologie e dei criteri di valutazione utilizzati dagli organi europei per definire l’impatto di singole misure sul saldo strutturale, alcuni dei quali non sempre chiaramente codificati (es: classificazione delle misure una tantum) ed altri ad elevata valenza tecnica, come ad esempio le metodologie di valutazione degli effetti del ciclo economico sul saldo di indebitamento. In proposito si rinvia a quanto evidenziato con riferimento al primo comma dell’art. 81 Cost., come novellato dal testo in esame.

 

Sempre sul piano delle modifiche testuali, rispetto alla vigente formulazione dell’art. 81, quarto comma, si rileva l’introduzione del termine “provvede” per definire l’obbligo di reperimento dei mezzi di copertura, in luogo dell’espressione “deve indicare” riprodotta nel testo vigente.

 

La relazione illustrativa evidenzia come tale modifica semantica sia volta a “rafforzare il principio della copertura finanziaria delle singole leggi di spesa” e richiama in proposito i lavori dell’Assemblea costituente. In proposito, si richiama quanto riportato nella prima parte della presente scheda, riferita ai lavori preparatori dell’art. 81 Cost.

 

Dovrebbe intendersi sancito, in tal modo, il criterio già elaborato in applicazione del vigente testo dell’art. 81, in base al quale il reperimento dei mezzi di copertura di norme onerose non può essere rinviato a provvedimenti da adottare in tempi successivi (es: legge di stabilità o successivi provvedimenti di manovra) e il controllo del rispetto del vincolo di non onerosità va effettuato con riguardo a ciascun provvedimento di spesa.

 

Una disciplina specifica è attualmente prevista per la quantificazione e la copertura di oneri connessi a deleghe legislative, di cui tratta l’art. 17, comma 2, della legge n. 196/2009.

 

Tale norma, recependo sul piano legislativo principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale e alcuni criteri delineati dalla recente prassi di copertura delle leggi di delega, ha espressamente sancito il principio in base al quale le leggi di delega comportanti oneri devono recare i mezzi di copertura finanziaria necessari per l’adozione dei relativi decreti legislativi. Qualora, in sede di conferimento della delega, per la complessità della materia trattata, non sia possibile procedere alla determinazione degli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi, a tale quantificazione si procede al momento dell’adozione dei singoli decreti. L’individuazione dei mezzi di copertura deve in ogni caso precedere l’entrata in vigore dei decreti medesimi.

Il principio di carattere generale enunciato dalla norma della legge n. 196/2009 risponde a quello da tempo elaborato dalla giurisprudenza costituzionale (v. sentenza n. 226/1976), in base al quale, per il combinato disposto del terzo e quarto comma dell'art. 81 Cost., spetta la legislatore delegante disporre in ordine alla copertura della spesa derivante dall’esercizio della delega. La stessa Corte ha tuttavia evidenziato che, “qualora eccezionalmente non fosse possibile, in sede di conferimento della delega, predeterminare rigorosamente in anticipo i mezzi per finanziare le spese che l'attuazione della stessa comporta” è sufficiente che il Governo venga a ciò espressamente delegato, con determinazione di principi e criteri direttivi. Nei predetti casi, dando attuazione ai principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale, il legislatore delegante ha, di volta in volta, stabilito criteri di delega, anche enunciati sotto forma di clausole di neutralità finanziaria, volti a definire gli equilibri finanziari interni a ciascun provvedimento da adottare nell’esercizio della delega.

 

Andrebbe valutato se la richiamata disciplina contenuta nell’art. 17, comma 2, della legge n. 196/2009 possa ritenersi coerente anche con la nuova formulazione del disposto costituzionale – che impone di provvedere ai mezzi per far fronte ai nuovi oneri, anziché ad indicarli – alla luce della specificità che riveste l’adempimento dell’obbligo di quantificazione e copertura nel quadro del procedimento di delega legislativa.

 

 

Il terzo comma del novellato art. 81 Cost.

 

Il terzo comma dell’articolo in esame, al primo periodo, riproduce, nella sostanza, il primo comma del vigente articolo 81 della Costituzione, stabilendo che “le Camere approvano ogni anno con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo”.

 

La norma conferma pertanto la disciplina dei rapporti costituzionali fra Governo e Parlamento e le loro relative attribuzioni in ordine alla decisione di bilancio, ribadendo, inoltre, i principi della annualità del bilancio e della sua decisione parlamentare[22], dell'obbligo di rendicontazione, della unità ed unitarietà del bilancio, nonché il principio della esclusività della competenza del Governo in relazione alla predisposizione ed alla presentazione alle Camere del disegno di legge di bilancio.

 

Rispetto alla disciplina vigente, va tuttavia evidenziato come la formulazione del comma 3 in esame faccia riferimento al “bilancio”, e non più ai “bilanci”, come disposto dall’attuale comma 1 dell’articolo 81 Cost. Tale formulazione appare tesa a superare taluni dubbi interpretativi formulati in passato su questo punto specifico della norma costituzionale, che sembrava porsi in contrasto con il suddetto principio dell’unitarietà del bilancio. Va peraltro segnalato come il riferimento contenuto nel testo costituzionale ai "bilanci", anziché al bilancio, possa essere originato dalla circostanza che ai tempi della costituente si faceva riferimento ai bilanci dei singoli ministeri e non al bilancio dello Stato, intervenuto successivamente; tale locuzione è stata comunque intesa quale obbligo di redigere un bilancio articolato al suo interno in partizioni corrispondenti ai singoli ministeri. Il termine “ bilancio”, usato al singolare, è peraltro ripetuto in altre parti dello stesso art.81, e, precisamente, nel secondo e nel terzo comma.

 

Il secondo periodo del comma 3 demanda alla legge approvata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, di cui all’articolo 53 Cost., la definizione del contenuto proprio della legge di approvazione del bilancio.

 

Al riguardo, va subito evidenziato come la modifica in oggetto sia volta a superare i vincoli costituzionali all'ampiezza delle determinazioni assumibili con la legge di bilancio, discendenti dal disposto del vigente terzo comma dell’articolo 81 – (“Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese") - che non viene riproposto nelle norme in esame, e in base al quale nel sistema di contabilità nazionale si è in un primo tempo affermato il principio per cui le Camere, in sede di approvazione del disegno di legge di bilancio, possono solamente variare, entro certi limiti, gli importi iscritti nei singoli capitoli, ma non anche aumentare o modificare le imposte che sono regolate da apposite leggi e neppure alterare le leggi generali di autorizzazione delle spese (sul punto cfr. oltre).

 

Sulla natura della legge di bilancio nel nostro ordinamento costituzionale la dottrina ha espresso valutazioni divergenti.

Da una parte, vi è stato chi ha ravvisato nel divieto di introdurre con legge di bilancio nuovi tributi e nuove spese il principio del valore formale della legge di bilancio, che si configurerebbe come una legge che si limita a “fotografare” le entrate e le spese pubbliche, senza poter modificare il contenuto sostanziale di un atto legislativo preesistente, ossia il titolo giuridico in base al quale un’entrata o una spesa possono essere iscritte tra le poste di bilancio. Secondo quest’orientamento, la legge di bilancio può essere qualificata, a seconda dei diversi approcci: a) come legge di approvazione, la cui funzione consiste essenzialmente nell’approvare il progetto di bilancio presentato dal Governo, non modificandone la natura ma integrandone gli effetti: b) come legge di autorizzazione, dato che tale legge avrebbe la natura sostanziale di atto amministrativo con cui il Parlamento autorizza il Governo a condurre la gestione finanziaria e a riscuotere le entrate e a erogare le spese. La tesi della natura formale della legge di bilancio ha trovato conforto in passato in alcune pronunce della Corte Costituzionale. In particolare, nella sentenza n. 7 del 1959, la Corte, che si esprimeva in ordine ad una legge del Trentino Alto-Adige, ha evidenziato che “la legge del bilancio…é una legge formale che non può portare nessun innovamento nell'ordine legislativo, sì che da essa non possono derivare né impegni, né diritti (…)diversi da quelli preesistenti alla legge stessa”. Secondo tale indirizzo, la legge di bilancio é efficace soprattutto nei rapporti fra l'Assemblea e l’Esecutivo e ha la funzione, propria di questo tipo di leggi, d'autorizzare il Governo ad esercitare le facoltà che già gli competono in ordine alle varie leggi preesistenti, cioè a riscuotere le entrate e a pagare le spese secondo il programma rappresentato dal bilancio di previsione. In tal modo l'Assemblea esercita un controllo sull'indirizzo politico-amministrativo del Governo.

Contrapposta alla corrente dottrinaria che propende per una qualificazione della legge di bilancio come legge di carattere formale, vi è l’altra teoria secondo cui tale legge avrebbe invece anche natura sostanziale, configurandosi come un atto di programmazione finanziaria e a contenuto normativo, che condiziona l’efficacia di tutte le altre leggi di entrata e di spesa, le quali non potrebbero essere eseguite senza l’approvazione del bilancio. Benché espresse in simboli numerici, le disposizioni della legge di bilancio recherebbero, infatti, effetti giuridici al pari di ogni altro atto normativo e tramite la legge di bilancio si esplicherebbe l’attività di indirizzo politico economico proposta dal Governo e approvata dal Parlamento, a cui in sede di approvazione del bilancio sono riconosciuti, seppur entro determinati limiti, poteri emendativi. La Costituzione, infatti, ha riconosciuto al Parlamento un’ampia facoltà di concorrere alla formazione sostanziale del bilancio attraverso il potere emendativo. Inoltre, la decisione di bilancio è divenuta l’atto più importante di programmazione finanziaria ed espressione tipica dell’indirizzo politico-economico, con puntuali ricadute sia sui rapporti fra le diverse pubbliche amministrazioni, sia sui rapporti fra la P.A. e i soggetti terzi[23]. In questa prospettiva, il divieto di introdurre "nuovi tributi", con la legge di approvazione del bilancio, sarebbe diretto ad impedire che il Parlamento possa approvare nuovi oneri a carico dei contribuenti senza una adeguata ponderazione delle complesse ricadute che accompagnano l’istituzione di nuovi tributi; il divieto di introdurre “nuove spese” rifletterebbe, invece, l’intento del costituente di garantire una ordinata gestione finanziaria, evitando l’introduzione in bilancio di spese non previste da una preesistente disposizione legislativa sostanziale. In tale quadro si innesta l’evoluzione del sistema delle decisioni di bilancio, che alla luce del divieto costituzionale in oggetto, ha visto l’introduzione, con la riforma della legge di contabilità intervenuta nel 1978, di appositi strumenti atti ad assicurare la programmazione degli interventi di politica economica e una loro puntuale attuazione attraverso modifiche alla legislazione di entrata e di spesa, ossia la legge finanziaria e il documento di programmazione economico-finanziaria.

 

 

Il Governo, nella relazione di accompagnamento alla proposta di legge, evidenzia in proposito come l'impianto dell'attuale terzo comma dell'articolo 81 debba essere modificato proprio per superare “l'ormai obsoleta concezione della legge di bilancio quale legge meramente formale (correlata al divieto di introdurre con tale legge nuove spese e nuove entrate), sostituendo a questa previsione un rinvio alla legge quadro sulla finanza pubblica per la definizione del contenuto proprio della legge di bilancio, con l'obiettivo di salvaguardare la tipicità di tale strumento”.

 

Al riguardo si osserva come la natura di legge formale che parte della dottrina tradizionale attribuiva alla legge di bilancio debba essere oggi riconsiderata alla luce delle più recenti innovazioni intervenute nella disciplina contabile, che hanno condotto a un’ampia valorizzazione della legge di bilancio come strumento sostanziale di attuazione della politica economica.

 

In questo senso, la norma in esame può essere inquadrata nell’ambito della recente evoluzione del sistema delle decisioni di bilancio, che attraverso la nuova legge di contabilità e finanza pubblica – n.196 del 2009 - ha inteso espandere le potenzialità decisionali del bilancio, accentuandone le caratteristiche di strumento di attuazione degli indirizzi di politica economica e finanziaria.

 

A fronte di un ridimensionamento del contenuto proprio della legge finanziaria – ora denominata legge di stabilità – la nuova disciplina contabile, confermando e sistematizzando alcuni interventi adottati precedentemente in via sperimentale[24], ha infatti inteso rafforzare le tre funzioni tipicamente attribuite al bilancio:

 

·         quella informativa, attraverso una riclassificazione funzionale delle voci di spesa – ripartite in missioni e programmi – volta a rendere Parlamento e cittadini più informati in ordine alle dimensioni, ai flussi e alle destinazioni delle risorse finanziarie pubbliche;

·         quella allocativa, attraverso un ampliamento delle potenzialità decisionali del bilancio da realizzare sia concentrando l’attenzione parlamentare sui programmi di spesa – che da quest’anno sono divenuti le nuove unità di voto - sia prevedendo, entro determinati limiti, la possibilità di incidere, con le rimodulazioni presentate a bilancio, sulla legislazione sostanziale di spesa;

·         quella esecutiva, attraverso l’attribuzione di una maggiore flessibilità ai centri decisionali nell’utilizzo delle risorse, anche al fine di agevolare, attraverso la possibilità di effettuare variazioni di bilancio in corso d’anno, una gestione del bilancio più strategica e orientata agli obiettivi e ai risultati.

 

E’ opportuno dunque evidenziare come già la nuova legge di contabilità abbia introdotto disposizioni che appaiono idonee a superare definitivamente l’accennata disputa dottrinaria in ordine alla natura giuridica della legge di bilancio, la quale si configura oggi come una legge di carattere sostanziale, dal momento che con essa possono essere modificate, seppur entro precisi limiti, anche singole autorizzazioni di spesa disposte con atti di rango legislativo.

 

In particolare, si ricorda che ai sensi dell’articolo 23, comma 3, della legge di contabilità e finanza pubblica n. 196 del 2009, con il disegno di legge di bilancio, per motivate esigenze e nel rispetto dei saldi di finanza pubblica, possono essere rimodulate in via compensativa all'interno di un programma o tra programmi di ciascuna missione le dotazioni finanziarie relative ai fattori legislativi, fermo restando il divieto di utilizzo degli stanziamenti di conto capitale per finanziare spese correnti. In apposito allegato allo stato di previsione della spesa dovranno pertanto essere indicate le autorizzazioni legislative di cui si propone la modifica e il corrispondente importo.

 

In via generale, per meglio comprendere i termini della questione, è opportuno ricordare che ai sensi dell'articolo 21 della legge di contabilità, nell'ambito delle dotazioni previste in relazione a ciascun programma di spesa, sono distinte le spese correnti, con indicazione delle spese di personale, e le spese d'investimento. Sino all'esercizio della delega per il completamento della revisione della struttura del bilancio dello Stato - di cui all'articolo 40 della legge - in appositi allegati agli stati di previsione della spesa sono indicate, per ciascun programma, per macroaggregato e distinte per capitolo, le spese rimodulabili e quelle non rimodulabili. Ai sensi del comma 6 del citato articolo 21 le spese non rimodulabili sono quelle per le quali l'amministrazione non ha la possibilità di esercitare un effettivo controllo, in via amministrativa, sulle variabili che concorrono alla loro formazione, allocazione e quantificazione. Esse corrispondono alle spese definite «oneri inderogabili», in quanto vincolate a particolari meccanismi o parametri che regolano la loro evoluzione, determinati sia da leggi sia da altri atti normativi. Rientrano tra gli oneri inderogabili le spese obbligatorie, ossia:

§      le spese relative al pagamento di stipendi, assegni, pensioni e altre spese fisse;

§      le spese per interessi passivi;

§      le spese derivanti da obblighi comunitari e internazionali;

§      le spese per ammortamento di mutui, nonché quelle così identificate per espressa disposizione normativa[25].

Le spese rimodulabili, di cui al comma 7 dell’articolo 21, si dividono invece in:

a)       fattori legislativi, spese autorizzate da espressa disposizione legislativa che ne determina l'importo, considerato quale limite massimo di spesa, e il periodo di iscrizione in bilancio;

b)       spese di adeguamento al fabbisogno, ossia spese non predeterminate legislativamente che sono quantificate tenendo conto delle esigenze delle amministrazioni.

 

Per quanto concerne in particolare il procedimento di formazione del bilancio, il citato articolo 23 della legge di contabilità dispone, al comma 1, che in sede di formulazione degli schemi degli stati di previsione, tenuto conto delle istruzioni fornite annualmente con apposita circolare dal Ministero dell'economia e delle finanze, i Ministri indicano, anche sulla base delle proposte dei responsabili della gestione dei programmi, gli obiettivi di ciascun Dicastero e quantificano le risorse necessarie per il loro raggiungimento anche mediante proposte di rimodulazione delle stesse risorse tra programmi appartenenti alla medesima missione di spesa. Le proposte sono formulate sulla base della legislazione vigente, con divieto di previsioni basate sul mero calcolo della spesa storica incrementale. Il comma 2 attribuisce un potere di verifica al Ministro dell'economia e delle finanze, il quale è chiamato a verificare successivamente la congruità e la coerenza tra gli obiettivi perseguiti da ciascun Ministero e le risorse richieste per la loro realizzazione, tenendo anche conto dello stato di attuazione dei programmi in corso e dei risultati conseguiti negli anni precedenti in termini di efficacia e di efficienza della spesa. A tal fine il Ministro dell'economia e delle finanze tiene conto anche delle risultanze illustrate nella nota integrativa al rendiconto delle risultanze delle attività svolte dai nuclei di analisi e valutazione della spese, nonché del Rapporto sulla spesa delle Amministrazioni dello Stato. Il comma 3 dell’articolo 23 prevede, come sopra accennato, che le spese derivanti da fattori legislativi possano, per motivate esigenze, essere rimodulate in via compensativa all'interno di un programma o tra programmi di ciascuna missione con il disegno di legge di bilancio, fermo restando il rispetto dei saldi di finanza pubblica. Gli schemi degli stati di previsione di entrata e di spesa, verificati in base a quanto previsto al citato comma 2, formano il disegno di legge del bilancio a legislazione vigente predisposto dal Ministro dell'economia e delle finanze. La legge di bilancio sarà formata apportandovi le variazioni determinate dalla legge di stabilità.

 

Per quanto concerne le variazioni di bilancio in corso d’anno, si ricorda che ai sensi dell’articolo 33, comma 4, della legge di contabilità, nel rispetto dell'invarianza dei saldi di finanza pubblica, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze possono essere adottate variazioni compensative tra le dotazioni finanziarie interne a ciascun programma, relativamente alle spese per adeguamento al fabbisogno nell'ambito delle spese rimodulabili, su proposta dei Ministri competenti, fermo restando il divieto di utilizzo degli stanziamenti di spesa in conto capitale per finanziare spese correnti.

Inoltre, ai sensi del comma 3 del medesimo articolo 33, variazioni compensative tra le dotazioni finanziarie relative a programmi di una stessa missione, possono essere proposte con il disegno di legge di assestamento, limitatamente all'esercizio in corso e con le modalità indicate dal sopra illustrato comma 3 dell'articolo 23.

 

E’ opportuno, infine, rammentare come la più recente legislazione contabile abbia sensibilmente esteso il perimetro della flessibilità di bilancio nella fase di gestione, prevedendo la possibilità di variare con atto amministrativo autorizzazioni di spesa disposte in via legislativa - modificando in tal modo decisioni in materia di bilancio e di leggi di spesa assunte, in conformità al vigente ordinamento contabile, dal Parlamento – nonché di incidere, sempre con atti di rango secondario, su spese di carattere obbligatorio – derivanti ad esempio da oneri contrattuali - qualificate dalla legge di contabilità come non rimodulabili.

 

In particolare, il decreto legge 13 agosto 2011 n. 138[26], ha disposto, all’articolo 1, comma 02, una deroga alla norme di flessibilità delle dotazioni finanziarie di bilancio – di cui al citato articolo 23 della legge di contabilità e finanza pubblica n. 196 del 2009 -, finalizzata a consentire alle Amministrazioni centrali maggiori margini di manovra per il conseguimento degli obiettivi di progressiva riduzione della spesa corrente primaria in rapporto al PIL, fissati al comma 01 del medesimo articolo.

In questa direzione, è stato disposto che, limitatamente al quinquennio 2012-2016, nel rispetto dell'invarianza dei saldi di finanza pubblica, possano essere rimodulate le dotazioni finanziarie di ciascuno stato di previsione con riferimento a tutte le spese indicate dall'articolo 21, commi 6 e 7, della legge n. 196/09, comprese dunque anche le spese non rimodulabili quali, ad esempio, quelle relative al pagamento di stipendi, assegni, pensioni e altre spese fisse. La misura della suddetta variazione delle dotazioni finanziarie dei Ministeri deve essere tale da non pregiudicare il conseguimento delle finalità definite dalle relative norme sostanziali. Essa, inoltre, non può comunque essere superiore:

·       al 20 per cento delle risorse finanziarie complessivamente stanziate qualora siano interessate autorizzazioni di spesa di fattore legislativo;

·       al 5 per cento qualora siano interessate le spese non rimodulabili.

Entro questi limiti, dunque, nel rispetto dei saldi di finanza pubblica, possono essere variate con atto amministrativo le dotazioni finanziarie degli stati di previsione della spesa di ciascun Ministero.

Tali variazioni, che non possono comunque disporre l’utilizzo di stanziamenti di spesa in conto capitale per finanziare spese correnti, sono disposte con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta del Ministro competente.

Il decreto di variazionedeve essere trasmesso al Parlamento per l'espressione del parere - entro quindici giorni - da parte delle Commissioni competenti per materia e per i profili di carattere finanziario; decorso inutilmente il termine senza che le Commissioni abbiano espresso detti pareri, i decreti possono essere adottati. In conseguenza di tale nuova e più estesa configurazione della flessibilità di bilancio, la norma in esame ha soppresso la previgente disciplina sperimentale di flessibilità di bilancio contenuta al comma 14 dell'articolo 10 del decreto-legge n. 98 del 6 luglio 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.[27]

 

Nel complesso, si osserva come le esigenze di contenimento della spesa, derivanti dalla necessità di rispettare gli obiettivi di bilancio concordati in sede europea, e le consistenti riduzioni delle dotazioni finanziarie dei Ministeri che ne sono conseguite, abbiano indotto il legislatore a introdurre nell’ordinamento contabile disposizioni volte a favorire una sempre più estesa flessibilità, sia ex ante, in fase di programmazione e allocazione delle risorse in sede di formazione del disegno di legge di bilancio, sia ex post, nella fase di gestione delle poste contabili.

 

Tale impostazione se, da una parte, appare volta a preservare la funzionalità delle amministrazioni in presenza di una forte contrazione delle risorse a disposizione, risultando altresì coerente con l’esigenza di affermare una gestione del bilancio più strategica e orientata ai risultati della spesa pubblica – superando un approccio incrementale nelle decisioni di bilancio basato sul mero calcolo della spesa storica - dall’altra potrebbe far emergere talune problematiche dal punto di vista sistematico, in particolare laddove, consentendo una estesa flessibilità ex post nella gestione delle poste di bilancio, sottrae al Parlamento ampi margini di decisioni discrezionali ad esso riservati ai sensi del vigente ordinamento costituzionale.

In ogni caso, va rilevato come la tendenza del legislatore, che si registra da diversi anni, appaia volta a spostare a un livello sempre maggiore la decisioni parlamentari di bilancio: dagli oltre 6000 capitoli di bilancio soggetti all’approvazione del Parlamento fino alla legge di riforma del 1997[28], si è infatti passati ai circa 650 macroaggregati-unità previsionali di base del bilancio di previsione 2010, sino ai circa 170  programmi di spesa che hanno rappresentato le nuove unità di voto parlamentare del bilancio di previsione per il 2011.

In questo quadro, la proposta di riforma costituzionale in esame, apre un varco alla possibilità di riformare in radice, attraverso la legge di contabilità soggetta a maggioranza qualificata di cui al nuovo comma 3 dell’articolo 53, il vigente assetto contabile, prevedendo, in ipotesi, il superamento dell’attuale dualismo legge di stabilità - legge di bilancio e l’accorpamento, in un unico strumento legislativo, di natura sostanziale e al contempo autorizzatoria, delle funzioni di programmazione, allocazione e gestione delle risorse.

In questa ipotesi, che si collocherebbe in una linea di continuità con l’evoluzione recentemente registrata della disciplina contabile, i programmi, affidati a unico centro di responsabilità amministrativa, con le relative sottostanti autorizzazioni legislative di spesa, suscettibili di modifica parlamentare, si configurerebbero come l’oggetto fondamentale delle deliberazioni in materia di bilancio.

Questa possibile evoluzione del sistema, che sembra non potersi escludere sul piano teorico, da un lato andrebbe valutata sotto il profilo dell’art. 75 Cost. che sottrae a referendum abrogativo la legge di bilancio (cfr. Corte costituzionale sent. n.n. 1 e 2 del 1994 che fa riferimento al contenuto tipico non solo della legge di bilancio, ma anche alla legge finanziaria); dall’altro, non sembra tuttavia corrispondere all’intenzione del legislatore proponente, ove si consideri che nella relazione governativa di accompagnamento alla proposta di legge viene evidenziato come il rinvio alla legge quadro sulla finanza pubblica per la definizione del contenuto proprio della legge di bilancio abbia “l'obiettivo di salvaguardare la tipicità di tale strumento”.

Ad ogni modo, si rileva come la formulazione proposta del nuovo comma 3 dell’articolo 81 della Costituzione, nel riaffermare il “diritto al bilancio” del Parlamento, lasci comunque del tutto impregiudicate le possibili scelte del legislatore ordinario in ordine al contenuto proprio degli strumenti della programmazione economica-finanziaria e alle modalità in cui potrà essere declinato il ruolo del Parlamento e del Governo nel sistema delle decisioni di bilancio.

 

 

Il quarto comma del novellato art. 81 Cost.

 

Il quarto comma riproduce il secondo comma del vigente articolo 81, che ha costituzionalizzato l’istituto dell’esercizio provvisorio del bilancio, disponendo che esso ”non può essere concesso se non per legge e periodi non superiori complessivamente a quattro mesi".

 

Ai sensi della vigente disciplina contabile, la data del 31 dicembre segna la chiusura dell’esercizio finanziario; se, entro tale data, non è avvenuta l’approvazione del bilancio da parte delle Camere, viene a mancare al Governo il potere di accertare e riscuotere le entrate e di erogare le spese. L’istituto dell’esercizio provvisorio è stato dunque introdotto proprio per ovviare a tale evenienza, nella quale il Governo si troverebbe nell’impossibilità giuridica di svolgere la sua azione, con i conseguenti riflessi sull’attività finanziaria ed amministrativa.

 

La disciplina che regola nel nostro sistema di bilancio l’istituto dell’esercizio provvisorio è contenuta nel’art. 32 della nuova legge di contabilità e finanza pubblica n.196 del 2009 - che riproduce l’articolo 16 della vecchia legge n.468/78 – il quale, dopo aver ripetuto testualmente, al primo comma, la norma costituzionale, stabilisce, al secondo comma, che “durante l’esercizio provvisorio la gestione del bilancio è consentita per tanti dodicesimi della spesa prevista da ciascun capitolo quanti sono i mesi dell’esercizio provvisorio, ovvero nei limiti della maggiore spesa necessaria, qualora si tratti di spesa obbligatoria e non suscettibile di impegni o di pagamenti frazionati in dodicesimi”. Il terzo comma specifica che “ le limitazioni di cui al comma precedente si intendono riferite sia alle autorizzazioni di impegno che a quelle di pagamento”.

L’esercizio provvisorio è inteso come il complesso dei fatti gestori che l’esecutivo pone in essere per un periodo limitato dell’anno finanziario in virtù di un’autorizzazione temporanea; è stato, pertanto, osservato che l’esercizio provvisorio rappresenta una deroga al principio dell’annualità del bilancio.

Le leggi che autorizzano l’esercizio provvisorio si limitano a legittimare il Governo ad esercitare provvisoriamente la gestione del bilancio, sino a quando non sia approvato per legge e non oltre il termine concesso, secondo gli stati di previsione presentati alle Camere e con le disposizioni e modalità previste nei relativo disegno di legge.

Per la sua intrinseca natura di istituto straordinario, l’esercizio provvisorio del bilancio dovrebbe trovare rara applicazione, anche se dalla data di entrata in vigore della Costituzione 42 leggi hanno autorizzato l’esercizio provvisorio.

La concessione dell’esercizio provvisorio di bilancio è sottoposta a due limiti: uno formale (la necessità della legge), l’altro temporale (il periodo massimo di quattro mesi). Come per il disegno di legge di bilancio, è da escludere la possibilità che tale autorizzazione possa essere delegata al Governo o attuata con decreto legge o approvata da Commissioni parlamentari in sede deliberante.

Per ciò che concerne il secondo limite indicato dalla norma costituzionale, si evidenzia, inoltre, che esso consente, per uno stesso esercizio, più autorizzazioni all’esercizio provvisorio, purché esse non superino complessivamente i quattro mesi. La legge di autorizzazione all’esercizio provvisorio è stata qualificata come esempio di legislazione vincolata: nella presentazione da parte del Governo, nell’approvazione da parte del Parlamento ed anche nel suo contenuto (come per la legge del bilancio, non possono, infatti, ivi stabilirsi nuovi tributi e nuove spese).

 

 

 


Il pareggio del bilancio nelle Regioni e negli Enti locali (art. 3)

L’articolo 3 interviene in materia di finanza delle amministrazioni locali, modificando il primo e il sesto comma dell’articolo 119 della Costituzione.

La modifica al primo comma è volta, secondo quanto specificato nella relazione illustrativa “a ribadire che l'autonomia finanziaria degli enti territoriali diversi dallo Stato è subordinata al rispetto della regola generale di pareggio del bilancio enunciata per il complesso delle pubbliche amministrazioni dal novellato articolo 53, terzo comma”. La modifica al sesto comma è invece, sempre secondo la relazione “più puntuale, in quanto fissa la regola generale applicabile al comparto delle amministrazioni locali, in base alla quale può essere consentito al singolo ente il ricorso all'indebitamento, esclusivamente per finanziare spese di investimento, ma secondo precise modalità e nel rispetto di alcuni vincoli. In particolare, il ricorso all'indebitamento è subordinato alla contestuale definizione di piani di ammortamento, tali da garantire un equilibrio intertemporale tra il disavanzo dell'anno di realizzazione dell'investimento e i successivi avanzi necessari per ammortizzarlo. La facoltà individuale di ricorrere all'indebitamento, comunque, soggiace al vincolo che il complesso degli enti medesimi, a livello aggregato, rispetti i princìpi di equilibrio richiesti dall'Unione europea”.

Il contesto normativo della novella

L’attuale formulazione dell’art. 119 Cost., è frutto della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, introdotta con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, che ha ridefinito i rapporti tra Stato, regioni ed enti locali anche in materia tributaria e, più in generale, nel settore della finanza pubblica. Tale riforma costituzionale era volta a modificare il previgente impianto finanziario e tributario di regioni ed enti locali caratterizzato dalla finanza “derivata”, in cui le risorse agli enti territoriali venivano trasferite dal bilancio dello Stato, il quale dettava una disciplina uniforme dei diversi tributi, con limitate eccezioni volte a consentire a regioni ed enti locali di pervenire ad autonome scelte impositive.

Il nuovo art. 119 rimodella dunque il sistema di finanziamento degli enti territoriali, con l’intento di rafforzarne l’autonomia finanziaria.

Un'autorevole sintesi delle disposizioni dell'art. 119 può essere ritenuta quella che proviene dalla stessa Corte costituzionale (sentenza n. 423/2004): "..in base al nuovo testo dell’articolo 119, le Regioni – come gli enti locali – sono dotate di «autonomia finanziaria di entrata e di spesa» (primo comma) e godono di «risorse autonome» rappresentate da tributi ed entrate propri, nonché dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al proprio territorio (secondo comma). E per i territori con minore capacità fiscale per abitante, la legge dello Stato istituisce un fondo perequativo «senza vincoli di destinazione» (terzo comma). Nel loro complesso tali risorse devono consentire alle Regioni ed agli altri enti locali «di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite» (quarto comma). Non di meno, al fine di promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, di rimuovere gli squilibri economici e sociali, di favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona o di provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato può destinare «risorse aggiuntive» ed effettuare «interventi speciali» in favore «di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni» (quinto comma)".

 

Nei primi quattro commi, dunque, è delineata la modalità di finanziamento delle attività degli enti territoriali. Il modello individua tali fonti di finanziamento nei tributi ed entrate propri, nella compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibili al territorio dell’ente, nel fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Nel quarto comma dell’art. 119, si stabilisce che “le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane ed alle regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite”. Da tale norma è ricavabile la necessità che il legislatore costruisca un sistema finanziario tale che ciascun ente sia nelle condizioni di fornire alla comunità locale amministrata un livello appropriato di servizi. Il livello appropriato di servizi, e l’individuazione di chi sia legittimato a deliberare in proposito, risulta dall’art. 117 (co. 2, lettera m) dove è detto che lo Stato ha legislazione esclusiva nella “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, ed in cui è scritto (co. 2, lettera p) che spetta alla legislazione esclusiva dello Stato la disciplina delle “funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane”.

Il comma 5 dell’articolo, specifica un’attività di intervento finanziario dello Stato a integrazione delle risorse ordinarie degli enti territoriali. Essa è riferita in ultima analisi a finalità di solidarietà e di sviluppo che integrano e si aggiungono, ma non sostituiscono, quanto è previsto a salvaguardia dei diritti fondamentali garantiti nei commi precedenti.

Il comma 6, regola, tra l’altro, con norma generale la capacità di indebitamento ‘autonoma’ degli enti territoriali limitandola alle spese di investimento.

L’attuazione del federalismo fiscale

La XVI legislatura è stata caratterizzata dall’avvio di un processo di riforma della finanza regionale e locale, complessivamente volto a dare concreta attuazione al principio dell’autonomia finanziaria degli enti territoriali sancito dal nuovo Titolo V della parte seconda della Costituzione, introdotto a seguito della riforma del 2001.

In questa prospettiva, dopo un iter parlamentare durato quasi un anno, è stata approvata la legge 5 maggio 2009, n. 42, recante una ampia delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione.

 

Il nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie delineato dalla legge è incentrato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull’attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa a comuni, province, città metropolitane e regioni, nel rispetto dei principi di solidarietà e di coesione sociale.

In questo quadro, tra gli obiettivi principali sottesi alla legge vi è quello del passaggio dal sistema dei trasferimenti fondato sulla spesa storica a quello dell’attribuzione di risorse basate sull’individuazione dei fabbisogni standard necessari a garantire sull'intero territorio nazionale il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e delle funzioni fondamentali degli enti locali. A tal fine, la legge stabilisce in modo puntuale la struttura fondamentale delle entrate di regioni ed enti locali, definisce i principi che regoleranno l’assegnazione di risorse perequative agli enti dotati di minori capacità di autofinanziamento e delinea gli strumenti attraverso cui sarà garantito il coordinamento fra i diversi livelli di governo in materia di finanza pubblica.

Nel disciplinare i principi fondamentali del sistema di finanziamento delle autonomie territoriali, la legge distingue le spese che investono i diritti fondamentali di cittadinanza, quali sanità, assistenza, istruzione e quelle inerenti le funzioni fondamentali degli enti locali - per le quali si prevede l’integrale copertura dei fabbisogni finanziari - rispetto a quelle che, invece, vengono affidate in misura maggiore al finanziamento con gli strumenti propri della autonomia tributaria, per le quali si prevede una perequazione delle capacità fiscali, ossia un finanziamento delle funzioni che tiene conto dei livelli di ricchezza differenziati dei territori.

Per le suddette funzioni concernenti i diritti civili e sociali, spetta allo Stato definire i livelli essenziali delle prestazioni, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale in condizione di efficienza e di appropriatezza; ad essi sono associati i costi standard necessari alla definizione dei relativi fabbisogni; le altre funzioni o tipologie di spese decentrate saranno invece finanziate secondo un modello di perequazione che dovrebbe concretizzarsi in un tendenziale avvicinamento delle risorse a disposizione dei diversi territori, senza tuttavia alterare l’ordine delle rispettive capacità fiscali.

Un diverso trattamento, intermedio rispetto alle precedenti funzioni, è previsto per il trasporto pubblico locale, nonché per gli interventi speciali di cui al quinto comma dell’art. 119 della Costituzione.

Per quanto riguarda le modalità di finanziamento delle funzioni, si afferma, quale principio generale, che il normale esercizio di esse dovrà essere finanziato dalle risorse derivanti dai tributi e dalle entrate proprie di regioni ed enti locali, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e dal fondo perequativo.

Nell’ambito della cornice delineata dalla legge n. 42, il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi, nel termine di 30 mesi ( a seguito della proroga disposta con la legge n. 85/2011 del termine originario della delega, stabilito in 24 mesi) dalla data di entrata in vigore della legge medesima, che verrà a scadere al 21 novembre 2011. Un termine più breve, di 12 mesi, è previsto dall’articolo 2, comma 6, della legge n. 42 per “almeno uno dei decreti legislativi da emanare”, in ottemperanza del quale è stato approvato il decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85 sul c.d.”federalismo demaniale, più avanti richiamato. Un termine di 3 anni (2 anni nel testo iniziale della legge) è stabilito per l’adozione dei decreti legislativi correttivi ed integrativi , mentre è fissato in 4 anni ( rispetto ai 3 anni inizialmente previsti) quello per i decreti legislativi istitutivi delle singole città metropolitane. Va infine segnalato che il predetto termine di 30 mesi vale anche per l’adozione da parte delle regioni a statuto speciale e delle province autonome delle norme di attuazione degli statuti speciali concernenti il concorso di tali enti al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà, nonché al patto di stabilità interno e agli obblighi posti dall’ordinamento europeo, a norma dell’articolo 27 della medesima legge delega.

In attuazione delle delega, risultano finora emanati otto decreti legislativi, di seguito sinteticamente richiamati:

 

·       il decreto legislativo 28 maggio 2010, n.85, recante disposizioni in materia di “federalismo demaniale” volte a consentire l’attribuzione di beni statali a comuni, province, città metropolitane e regioni, secondo i criteri di territorialità, sussidiarietà, adeguatezza, semplificazione, capacità finanziaria, correlazione con competenze e funzioni e valorizzazione ambientale. L'ente territoriale, a seguito dell'attribuzione, dispone del bene nell'interesse della collettività rappresentata ed è tenuto a favorirne la "massima valorizzazione funzionale". I beni trasferiti possono peraltro anche essere inseriti dalle regioni e dagli enti locali in processi di alienazione e dismissione;

·       il decreto legislativo 17 settembre 2010, n.156, recante l’attuazione della delega per la disciplina dell’ordinamento transitorio di Roma Capitale, limitatamente agli organi di governo, ossia l’Assemblea capitolina, la Giunta capitolina e il Sindaco;

·       il decreto legislativo 26 novembre 2010, n.216, recante disposizioni per la determinazione dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province. Il decreto definisce il percorso metodologico per la determinazione dei fabbisogni standard delle funzioni fondamentali delle autonomie territoriali, la cui realizzazione è affidata alla Società per gli studi di settore SOSE SpA, che potrà avvalersi dell’Istituto per la finanza e per l’economia locale (IFEL), nonché dell’ISTAT. L’entrata in vigore dei fabbisogni standard avverrà in modo graduale, dopo un periodo transitorio nel corso del quale saranno determinati i fabbisogni standard per ogni raggruppamento di funzioni fondamentali, con un’entrata a regime per tutte le funzioni nel 2017;

·       il decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale. Il provvedimento interviene principalmente sull’assetto delle competenze fiscali tra Stato ed enti locali, a decorrere dal 2011, in una prima fase di avvio triennale, e poi a regime a decorrere dal 2014, con l’introduzione, in sostituzione di tributi vigenti, dell’imposta municipale (IMU). In particolare ai comuni vengono dal 2011 attribuiti, in quota intera o parziale, alcuni tributi del comparto immobiliare di spettanza dello Stato, oltre al gettito di una imposta di nuova istituzione, la cedolare secca sugli affitti, e dell’imposta di soggiorno, anche essa di nuova istituzione. Per quanto concerne l’imposta municipale (IMU), essa è introdotta a decorrere dal 2014, in sostituzione, per la componente immobiliare, dell’Irpef dovuta per i redditi fondiari relativi ai beni non locati, nonché dell’ICI, ed ha per presupposto il possesso di immobili diversi dall’abitazione principale, cui pertanto non si applica, incluse le pertinenze;

·       il decreto legislativo 6 maggio 2011, n.68, recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario. Con riferimento all’autonomia di entrata delle regioni, il provvedimento individua le fonti di finanziamento delle regioni a statuto ordinario ed opera la contestuale soppressione dei trasferimenti statali. A tal fine si dispone che a decorrere dal 2013 ( termine poi anticipato al 2012 ai sensi del D.L. 138/2011) venga rideterminata l’addizionale regionale all’Irpef, con corrispondente riduzione delle aliquote Irpef di competenza statale. Secondo un criterio analogo, nei rapporti tra regioni e comuni si dispone la soppressione, dal 2013, dei trasferimenti regionali di parte corrente (e, ove non finanziati con indebitamento, anche di conto capitale) diretti al finanziamento delle spese comunali, sostituendola con una compartecipazione dei comuni ai tributi regionali, prioritariamente all’addizionale regionale Irpef. Alle regioni spetta altresì una compartecipazione al gettito Iva, che per gli anni 2011 e 2012 viene calcolata in base alla normativa vigente, mentre dal 2013 sarà fissata in misura pari al fabbisogno sanitario “in una sola regione”. Le regioni possono altresì diminuire l’aliquota Irap, con oneri a carico dei propri bilanci. Per quanto concerne l’autonomia di entrata delle province (e delle città metropolitane) essa si incentra ai tributi connessi al trasposto su gomma, vale adire l’imposta sulle assicurazioni per la responsabilità civile (RC auto) e l’imposta provinciale di trascrizione; a tali enti è inoltre attribuita una compartecipazione provinciale all’Irpef, a compensazione, dal 2012, della soppressione dei trasferimenti statali alle province, nonché dell'addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, (anch'essa soppressa, con attribuzione del gettito allo Stato). In ordine al settore sanitario, si dettano disposizioni volte a precisare le regole di finanziamento dei relativi fabbisogni, stabilendosi tra l’altro i criteri di computo del fabbisogno sanitario nazionale standard. Il decreto istituisce, infine, la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica;

·       il decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, recante disposizioni in materia di risorse aggiuntive e di interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali. Il provvedimento interviene sulla disciplina del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), che viene ridenominato come “Fondo per lo sviluppo e la coesione”, e individua nuovi strumenti procedurali finalizzati a rendere più efficace la politica di riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese, stabilendo altresì specifiche regole di programmazione per un miglior utilizzo delle risorse finanziarie. Queste ultime devono essere aggiuntive rispetto agli interventi ordinari e finalizzate alla rimozione degli squilibri e alla promozione dello sviluppo; esse derivano prioritariamente dal Fondo per lo sviluppo e la coesione, le cui dotazioni sono stabilite dalla politica regionale nazionale, nonché dai finanziamenti a finalità strutturale dell’Unione europea e dai relativi cofinanziamenti nazionali. L’utilizzo delle risorse deve essere effettuato sulla base del criterio della programmazione pluriennale, la quale deve in ogni caso assicurare una ripartizione del Fondo per lo sviluppo e la coesione nella quota dell’85 per cento alle regioni del Mezzogiorno e del restante 15 per cento alle regioni del Centro-Nord;

·       il decreto legislativo 23 giugno 2011, n.118, recantedisposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio, volte a garantire la trasparenza e la comparabilità dei dati di bilancio, sia con riferimento ai bilanci degli enti territoriali, dei loro enti ed organismi strumentali, sia relativamente ai conti del settore sanitario;

·       il decreto legislativo 6 settembre 2011, n.149, recante la disciplina dei meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni. Quanto ai meccanismi sanzionatori, oltre alla redazione da parte del Presidente della Giunta di una “relazione di fine legislatura regionale”, si individua la fattispecie di “grave dissesto finanziario”, che può comportare la rimozione del presidente della regione, cui si applicano per un periodo decennale la sanzione dell’incandidabilità ed altre sanzioni interdittive, queste ultime applicabili anche nei confronti dei dirigenti responsabili. Meccanismi analoghi operano per gli enti locali, per i quali si prevede la relazione di fine mandato, la sanzione dell’incandidibilità per il sindaco o per il presidente di provincia, nonché (in tal caso anche per gli altri amministratori responsabili) divieti di assunzione di altre cariche. Meccanismi sanzionatori di natura finanziaria sono altresì stabiliti per gli enti che non rispettino il patto di stabilità interno. Di converso, per gli enti medesimi è istituito, qualora risultino contabilmente virtuosi, un meccanismo di premialità, con cui si attenuano i vincoli finanziari per essi posti nel patto citato. La virtuosità viene determinata sulla base della posizione di ciascun ente rispetto ad un insieme di indicatori economico-strutturali.

 

Sulla base dei decreti finora emanati può ritenersi che sotto il profilo della normazione primaria il percorso attuativo della delega si sia in gran parte realizzato, in quanto l’unico decreto legislativo formalmente mancante appare quello relativo alle funzioni ed alle risorse umane e materiali previste dall’articolo 24, comma 5, lettera a), della legge n. 42 del 2009, alla cui futura emanazione fa espressamente rinvio il D.Lgs. 17 settembre 2010, n.156 in materia di’ordinamento transitorio di Roma Capitale. Potrebbero altresì intervenire ulteriori decreti legislativi per l’istituzione delle città metropolitane, all’esito della procedura in tal senso prevista dall’articolo 23 della delega, il cui termine di attuazione, peraltro, è per tale norma stabilito in 48 mesi dall’entrata in vigore della legge n. 42. Va tuttavia segnalato che i decreti legislativi sopra richiamati prevedono un ampio numero di provvedimenti di rango secondario o di carattere amministrativo, volti a dare attuazione ovvero a implementare le norme emanate, la maggior parte dei quali devono essere ancora adottati.

L’interpretazione dell’art. 119 nella giurisprudenza costituzionale

Sin dalla sentenze n. 16/2004 e n. 17/2004 la Corte attesta che il novellato art. 119 è un saldo riferimento per un modello di finanziamento della finanza regionale incentrato sul sistema della compartecipazione a quote dei tributi statali e non più su trasferimenti a carico del bilancio dello Stato. La Corte non ritiene possibile la prosecuzione di una pratica di trasferimento diretto di risorse dal bilancio dello Stato per scopi determinati dalla legge statale, in base a criteri stabiliti, nell’ambito della stessa legge, dall’amministrazione dello Stato; tale pratica ha trovato nel passato frequente impiego sulla base della premessa per cui la finanza locale (nella specie la Corte era chiamata su un tema concernente i Comuni), era materia rimessa alla legislazione statale e alla gestione amministrativa del Ministero dell’interno, ma oggi (sentenza n. 16/2004) risulta del tutto estranea al quadro costituzionale delineato dal nuovo articolo 119 della Costituzione.

La Corte ha stabilito, con giurisprudenza che essa stessa valuta univoca e costante (sentenza n. 105/2007), che la legittimità della destinazione di fondi a finalità specifiche, operata da leggi dello Stato, è condizionata dalla finalizzazione dei finanziamenti ad opere o servizi di competenza statale. Al contrario, la finalizzazione a scopi rientranti in materia di competenza residuale delle Regioni o anche di competenza concorrente comporta la illegittimità costituzionale delle norme statali (sentenza n. 105/2007, n. 231/2005, n. 118/2006, n. 424/2004 e n. 370/2003). La Corte si spinge anche oltre nell'asserire che l’art. 119 Cost. vieta al legislatore statale di prevedere, in materie di competenza legislativa regionale residuale o concorrente, nuovi finanziamenti a destinazione vincolata, anche a favore di soggetti privati (sentenze n. 168/2008, n. 63/2008, n. 50/2008, n. 45/2008, n. 137/2007, n. 160/2005, n. 77/2005 e n. 51/2005).

Anche il vincolo di destinazione rispetto ad entrate costituite da erogazioni liberali disposte direttamente in favore delle Regioni, al di fuori degli indirizzi e dei limiti resi necessari dal coordinamento della finanza pubblica, è lesiva dell’autonomia finanziaria delle autonomie territoriali (sentenze n. 387/2007, n. 169/2007, n. 157/2007, n. 105/2007 e n. 95/ 2007).

Il fine è quello di evitare che la previsione di interventi finanziari dello Stato a favore degli enti territoriali, vincolati nella destinazione, si risolva in uno «strumento indiretto ma pervasivo di ingerenza» dello Stato nell’esercizio delle funzioni degli enti territoriali. Si tratta del ben noto legame tra funzioni e risorse, la cui insufficiente considerazione finirebbe per svuotare, attraverso l'indisponibilità delle seconde, l'efficace esercizio delle prime.

Sulla scorta di questi princípi, è stata riconosciuta l’illegittimità costituzionale di una serie di Fondi nazionali, per lo più istituiti dalle leggi finanziarie, che intervenivano in ambiti riservati alla legislazione regionale anche in via concorrente

La ripartizione di competenze normative in tema di finanza pubblica

Per comprendere meglio l’assetto della finanza territoriale disegnato dall’art. 119 occorre integrarlo con la lettura della ripartizione delle competenze legislative effettuate dall’art. 117 Cost.

L’art. 117 Cost prevede:

- potestà legislativa esclusiva allo Stato in ordine al “sistema tributario e contabile dello Stato”;

- potestà legislativa concorrente delle regioni in ordine al “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”;

- la competenza legislativa residuale della regione in materia di tributi regionali e locali.

 

Secondo il riparto di competenza legislativa operato dall’art. 117 Cost., Stato e regioni possiedono una propria competenza finanziaria e quindi una propria potestà normativa di imposizione da esercitare nell’ambito delle rispettive competenze sostanziali.

Nel caso di materie oggetto di legislazione concorrente, come previsto dal terzo comma dell’art. 117 Cost., “spetta alle regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”; mentre l’art. 119 Cost, al comma secondo, prevede che regioni ed enti locali “stabiliscono e applicano” i tributi propri “secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”. Lo Stato, dunque, nel caso di materie oggetto di legislazione concorrente può intervenire solo attraverso la determinazione dei principi fondamentali.

In varie occasioni, la Corte ha avuto modo di fornire indicazioni relative alla ripartizione di competenze normative in materia di «finanza pubblica» (articoli 117, terzo comma, e 119 della Costituzione).

Di rilievo si presenta quindi la definizione, contenuta nella sentenza n. 414/2004, dell'"armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica". La Corte ha ritenuto che essa si configura non tanto quale “materia” in senso proprio, quanto piuttosto come “competenza funzionale”, alla stregua di altri ambiti di legislazione concorrente (es. ambiente), in quanto non individua propriamente oggetti, bensì peculiari e strategiche finalità in vista delle quali la potestà legislativa statale, trova, di volta in volta, il proprio fondamento costituzionale, a garanzia dell'equilibrio finanziario complessivo della Repubblica, pur salvaguardando il margine di autonomia delle diverse componenti in cui essa si articola.

L'incidenza del "coordinamento finanziario" è evidente: lo testimonia anche la sentenza n. 120/2008, dove si rileva che il necessario concorso delle Regioni e degli enti locali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, adottati con l’adesione al patto di stabilità, postula che il legislatore statale possa intervenire (nel caso di specie: sui coefficienti di riduzione della spesa già definiti, qualora lo richieda il complessivo andamento del disavanzo dei conti pubblici) con il solo limite della palese arbitrarietà e della manifesta irragionevolezza della variazione.

Tale rilevante peso del "coordinamento della finanza pubblica" ha reso necessario circostanziare attentamente la nozione: con la sentenza n. 169/2007 è stato affermato che, per qualificare la disposizione denunciata quale principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, occorre verificare la sussistenza dei requisiti di esclusiva attinenza dell'intervento legislativo statale all'equilibrio di finanza pubblica e in secondo luogo del rispetto dell'autonomia degli enti territoriali.

La lettura “finalistica” del coordinamento della finanza pubblica (sentenze n. 4/2004, n. 17/2004, n. 36/2004 e n. 37/2004) da una parte, ed il riferimento agli impegni comunitari dall’altra, hanno costituito due argini piuttosto robusti ove far operare i diversi vincoli imposti, per lo più dalle diverse leggi finanziarie annuali, alle autonomie territoriali nell’ambito del c.d. “patto di stabilità interno”.

Su questo terreno ha inciso anche il condizionamento esercitato dagli obblighi comunitari derivanti, in via diretta o mediata (alla stregua del citato “patto”), dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea in materia finanziaria: la Corte è ben consapevole (sentenze n. 36/2004 e n. 417/2005) che in siffatta materia anche un principio di coordinamento, naturalmente adottato entro l’ambito della discrezionalità del legislatore statale, può costituire in concreto anche un’ingerenza non poco penetrante nell’autonomia degli enti.

Da una parte, dunque, la Corte (sentenze n. 376/2003, n. 260/2004, n. 35/2005 e n. 417/2005) ha sottolineato il rilievo della natura e del carattere “finalistico” dell’azione di coordinamento (v. anche sentenza n. 36/2004), che può comportare la previsione a livello centrale non solo delle norme fondamentali, ma altresì di poteri puntuali eventualmente necessari perché la finalità di coordinamento, per sua natura eccedente le possibilità di intervento dei livelli territoriali sub-statali, possa essere concretamente realizzata.

D’altra parte, tuttavia, il Giudice delle leggi non ha mancato di sottolineare l’illegittimità di norme statali che non possono essere considerate principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica: ponendo un precetto specifico e puntuale sull’entità della spesa, norme siffatte sono una indebita invasione dell’area riservata dall’art. 119 Cost. alle autonomie territoriali, alle quali la legge statale può prescrivere criteri ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica), ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi: misure analitiche comprimono illegittimamente l’autonomia finanziaria, ed esorbitano dal compito di formulare i soli princípi fondamentali della materia (sentenze n. 159/2008, n. 169/2007, n. 157/2007, n. 121/2007, n. 36/2004, n. 390/2004, n. 417/2005 n. 449/2005, n. 88/2006 e n. 95/2007).

Il principio di leale collaborazione esercita naturalmente un'innegabile influenza anche nel descritto ambito, come in via generale nel complesso dei rapporti Stato-Regioni (cfr., tra le sentenze più recenti, la n. 121/2007).

La Corte ha pure rilevato (sentenze n. 121/2007 e n. 376/2003) che il coordinamento finanziario può richiedere, per la sua stessa natura, anche l’esercizio di poteri di ordine amministrativo, di regolazione tecnica, di rilevazione di dati e di controllo.

Un collegamento tra l'incisività "del coordinamento finanziario" ed il divieto di trasferimenti a destinazione vincolata emerge dalla sentenza n. 387/2007 dove il vincolo è nuovamente censurato, ma in quanto avvenga al di fuori degli indirizzi e dei limiti resi necessari dal coordinamento della finanza pubblica.

 

Con riferimento al riparto di competenze in materia di finanza pubblica, occorre rilevare che il comma terzo dell’art. 53 Cost. come novellato dal disegno di legge in esame affida ad una legge, approvata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera,la definizione del quadro di riferimento della contabilità e della finanza pubblica, del contenuto proprio della legge di bilancio ai sensi dell’art. 81 Cost., come novellato dall’art. 2 del ddl in esame. Inoltre i principi in essa contenuti devono essere rispettati dai bilanci degli enti di cui all’art. 119 Cost., secondo quanto prevede la novella a tale articolo introdotta dall’art. 3 del disegno di legge in esame.

 

Al riguardo andrebbe valutata l’opportunità di specificare i rapporti tra l’articolo 117, comma terzo, che attribuisce alla competenza concorrente di Stato e regioni la legislazione di coordinamento della finanza pubblica, e la legge di cui all’art. 53, comma terzo Nello specifico andrebbe chiarito se la competenza in merito al coordinamento sia attribuita alla competenza esclusiva statale, esercitata peraltro con una procedura rinforzata e dunque sia da ritenere superata la previsione di cui all’articolo 117 comma terzo. Se così non fosse si verrebbero a configurare due livelli di coordinamento, uno a livello esclusivo statale ed uno oggetto di potestà concorrente dei quali non è chiaro l’ambito di applicazione.

Il sesto comma dell’articolo 119

L'art. 119, sesto comma, secondo periodo, consente agli enti territoriali di ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento: benché la norma appaia tra le più direttamente operative tra quelle contenute nell'art. 119 - disponendo in sostanza un chiaro vincolo - la Corte ha osservato (sentenza n. 425/2004 ) che le nozioni di “indebitamento” e “spese di investimento" non hanno un contenuto che possa determinarsi a priori, in modo assolutamente univoco, sulla base della sola disposizione costituzionale, attraverso una interpretazione esaustiva e vincolante per tutti della Corte, una volta per sempre. Si tratta - precisa la Corte - di nozioni che si fondano su principi della scienza economica, ma che non possono non dare spazio a regole di concretizzazione connotate da una qualche discrezionalità politica. La Corte ritiene non potersi ammettere che ogni ente faccia in proprio le scelte di concretizzazione delle predette nozioni. Trattandosi di far valere un vincolo di carattere generale, che deve valere in modo uniforme per tutti gli enti, solo lo Stato può legittimamente provvedere a tali scelte, purché vi sia un intervento di rango legislativo, essendo illegittima una sostanziale delegificazione.

Il sesto comma dell’art. 119 Cost. legittima anche (sentenza n. 320/2004) la possibilità di configurare sanzioni per comportamenti confliggenti con il divieto ivi affermato. Con la sentenza n. 179/2007, la Corte ha confermato il controllo della Corte dei Conti, anche per assicurare il rispetto del vincolo in materia di indebitamento posto dall'ultimo comma dell'art. 119 Cost.

L’ambito di applicazione dell’articolo 119

Per quanto concerne l’applicazione dell’art. 119 Cost. nei confronti delle Autonomie a statuto speciale, la Corte si è espressa in varie occasioni e su diversi aspetti.

Già la sentenza n. 425/2004, sul sesto comma dell'articolo 119 Cost (cfr. il capitolo precedente), ha affrontato il tema del regime di autonomia finanziaria delle Autonomie speciali. In quella sede la Corte ha, in primo luogo, premesso che il limite all'indebitamento non introduce nuove restrizioni all'autonomia regionale, ma enuncia espressamente un vincolo che già nel previgente regime il legislatore statale ben poteva imporre anche alle Regioni a statuto speciale, in attuazione del principio unitario (art. 5 della Costituzione) e dei poteri di coordinamento della finanza pubblica, nonché del potere di dettare norme di riforma economico-sociale vincolanti anche nei confronti della potestà legislativa primaria delle Regioni ad autonomia differenziata.

In secondo luogo, la Corte si è mostrata ben consapevole del fatto che i vincoli alla potestà legislativa primaria delle Regioni ad autonomia differenziata non trovano più applicazione, in forza della clausola di salvaguardia dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, negli ambiti nei quali le Regioni ordinarie abbiano acquisito potestà più ampie. Ma la Consulta non ritiene che ciò accada in ambiti, come quello dei principi di coordinamento finanziario, in cui l'autonomia delle Regioni ordinarie incontra tuttora gli stessi o più rigorosi limiti. La Corte afferma quindi che la finanza delle Regioni a statuto speciale è parte della “finanza pubblica allargata” nei cui riguardi lo Stato "aveva e conserva poteri di disciplina generale e di coordinamento, nell'esercizio dei quali poteva e può chiamare pure le autonomie speciali a concorrere al conseguimento degli obiettivi complessivi di finanza pubblica, connessi anche ai vincoli europei", come quelli relativi al cosiddetto patto di stabilità interno (cfr. sentenza n. 36/2004).

La posizione della Corte è riemersa con chiarezza nella sentenza n. 190/2008: il vincolo del rispetto dei princípi statali di coordinamento della finanza pubblica, connessi ad obiettivi nazionali condizionati anche dagli obblighi comunitari, che grava sulle Regioni ad autonomia ordinaria in base all’art. 119 della Costituzione si impone anche alle Province autonome nell’esercizio dell’autonomia finanziaria di cui allo statuto speciale (sentenze n. 82/2007 e n. 88/ 2006): vi è, pertanto, sotto questo aspetto, una sostanziale coincidenza tra limiti posti alla autonomia finanziaria delle Regioni ad autonomia ordinaria dall’art. 119 della Costituzione e limiti posti all’autonomia finanziaria delle Autonomie dallo statuto speciale (sentenze n. 169/2007, n. 82/2007, n. 417/2005, n. 353/2004, n. 345/2004, n. 36/2004, n. 416/1995 e n. 267/2006). L'orientamento descritto vale anche per quanto riguarda i profili di spesa (secondo la sentenza n. 82/2007).

Proprio la sentenza n. 82/2007, da ultimo citata, ribadisce però che gli obblighi imposti alla Autonomie speciali devono essere contemperati e coordinati con la speciale autonomia in materia finanziaria di cui godono, in forza dei loro statuti. Il metodo dell’accordo deve considerarsi quindi un’espressione della descritta autonomia finanziaria e del contemperamento di tale principio con quello del rispetto dei limiti alla spesa imposti dal cosiddetto “patto di stabilità” (sentenza n. 353/2004), metodo che deve essere tendenzialmente preferito ad altri, dato che la necessità di un accordo tra lo Stato e gli enti ad autonomia speciale nasce dall'esigenza di rispettare l'autonomia finanziaria di questi ultimi. Il metodo dell’accordo deve risultare tuttavia compatibile con il rispetto degli obiettivi del patto di stabilità, della cui salvaguardia anche le Regioni speciali devono farsi carico.

E' noto che le Autonomie a statuto speciale godono di specifici regimi finanziari, la cui ratio (sentenza n. 381/1990) è da ricondurre all'esigenza di porre a disposizione di Regioni e Province autonome, cui la Costituzione e gli Statuti assegnano più ampie e significative competenze, risorse finanziarie maggiori, e comunque più adeguate alla più elevata quantità e qualità delle attribuzioni loro spettanti.

In tale ambito, va ricordata la sentenza n. 102/2008, con la quale la Corte si è pronunciata su una serie di imposte regionali istituite dalla Regione Sardegna.

La sentenza conferma in sostanza che il vincolo all’esercizio della potestà impositiva regionale posto dallo Statuto sardo (armonia con i principi del sistema tributario dello Stato) è condizione di maggiore autonomia rispetto a quello dell’ “osservanza dei principi fondamentali di coordinamento del sistema tributario”, previsto per le Regioni a statuto ordinario. Secondo la Corte, infatti, il limite dell’armonia con i principi del sistema tributario consente alla Regione Sardegna di valutare essa stessa la coerenza del proprio sistema tributario rispetto a quello statale, conformando i propri tributi agli elementi essenziali, allo “spirito” di quest’ultimo nel suo complesso ed alla ratio dei singoli istituti che lo compongono.

Da segnalare infine la sentenza n. 145/2008, con la quale la Corte si è espressa nel senso che le Regioni a statuto speciale e le Province autonome debbano concorrere alla produzione di un risparmio per il bilancio dello Stato anche mediante l'assunzione dell'esercizio di funzioni statali, nonché sul riconoscimento alla Regione siciliana della retrocessione di una certa quota del gettito delle accise sui prodotti petroliferi immessi in consumo nel territorio regionale.

Profili economico finanziari della novella

L’articolo in esame apporta alcune modifiche all’articolo 119 della Costituzione.

La formulazione proposta appare, anche con riferimento alle amministrazioni locali, essenziale e sintetica, in quanto finalizzata alla definizione di una cornice costituzionale ampia e flessibile. Nell’ambito di tale cornice possono individuarsi alcune linee di indirizzo, riferibili in particolare alle amministrazioni territoriali, ulteriori rispetto a quelle di carattere generale precedentemente esaminate.

Principio di integrità dei bilanci

Tra le scelte operate emerge in primo luogo l’adozione dei saldi di bilancio come parametro fondamentale di riferimento cui ancorare la regola fiscale dell’equilibrio. I vincoli sono infatti espressi in termini di “equilibrio dei bilanci”, formulazione che sembra implicare l’obbligo di considerare la gestione finanziaria degli enti appartenenti alla pubblica amministrazione, incluse le amministrazioni locali, nella sua interezza.

 

Ne conseguono implicazioni particolarmente significative per le amministrazioni locali. In primo luogo da tale principio sembra discendere l’obbligo di riferire le regole fiscali non a singole poste di bilancio bensì al complesso delle voci di entrata e di spesa nelle quali si articola la gestione finanziaria delle amministrazioni pubbliche interessate.

 

Le regole fiscali di carattere parziale adottate in passato e in parte ancora vigenti, riguardanti in particolare l’imposizione di vincoli alla dinamica delle sole spese[29] o la previsione di divieti all’utilizzo della leva fiscale[30], non sembrerebbero quindi sufficienti a perseguire le finalità insite nel nuovo assetto costituzionale.

 

Non è chiaro in proposito se la nuova formulazione del primo comma dell’articolo 119 debba interpretarsi come un divieto costituzionale in merito alla possibilità di imposizione dei predetti vincoli parziali o se invece ne consenta comunque l’ammissibilità, in aggiunta al vincolo dell’equilibrio di bilancio. Quest’ultimo dovrà, in ogni caso, essere perseguito, indipendentemente dalla presenza di ulteriori vincoli parziali.

 

La vigente formulazione della citata disposizione, che si limita a riconoscere un’autonomia di entrata e di spesa alle amministrazioni locali citate, senza porre condizioni a tale autonomia, non esclude che queste ultime possano essere poste dalle norme di legge in ragione di altri principi affermati in Costituzione (tra cui quelli inerenti il coordinamento della finanza pubblica). La formulazione proposta, invece, richiamando un’unica condizione limitativa dell’autonomia finanziaria delle amministrazioni locali, potrebbe prestarsi ad un’interpretazione restrittiva, tale da escludere la possibilità per la legge ordinaria di imporre altre condizioni limitative dell’autonomia finanziaria delle amministrazioni locali, diverse da quella espressamente indicata dalla Costituzione.

Principio di equilibrio dei bilanci

L’adozione del principio di equilibrio dei bilanci appare suscettibile di un’ulteriore implicazione particolarmente rilevante per il comparto delle amministrazioni locali. Tale principio, se inteso nel senso di pareggio (cfr. supra), sembra infatti escludere che alle predette amministrazioni possa essere richiesto di esporre situazioni di avanzo di bilancio, al fine di compensare eventuali situazioni di disavanzo delle amministrazioni centrali e, in particolare, dello Stato. Ciascun ente e (nel caso delle amministrazioni locali) sottosettore sembra chiamato dal dettato costituzionale ad esporre una situazione di equilibrio di bilancio e a rispondere unicamente di tale situazione, mentre non è previsto un principio che chiami i singoli comparti a farsi carico di eventuali compensazioni di squilibri altrui. Ne conseguono alcune implicazioni particolarmente significative.

 

La prima riguarda la compatibilità con il nuovo disposto costituzionale delle regole dettate negli anni passati – e in parte ancora vigenti – dal patto di stabilità interno che, in molti casi, ha imposto vincoli di avanzo contabile sia a livello di singole amministrazioni locali sia a livello di comparto.

La seconda implicazione riguarda le modalità, compatibili con il nuovo dettato costituzionale, mediante le quali ottenere il concorso delle amministrazioni locali alle manovre di finanza pubblica.

Tradizionalmente, infatti, le leve tramite le quali si è ottenuto tale concorso sono state, da un lato, il patto di stabilità interno, che imponeva alle amministrazioni vincoli contabili finalizzati a conseguire risparmi incrementali rispetto ai risultati raggiunti negli esercizi pregressi, dall’altro, la riduzione progressiva dei trasferimenti[31]. La prima tipologia di intervento, nella misura in cui imponga obiettivi diversi dall’equilibrio di bilancio, sembrerebbe sostanzialmente inibita dal nuovo dettato costituzionale. La seconda tipologia di intervento sembrerebbe invece inibita dai provvedimenti di attuazione della legge delega sul federalismo fiscale (L. 42/2009), che hanno riconosciuto alle amministrazioni locali la titolarità di fonti tributarie proprie, sostitutive dei trasferimenti erariali, salvo quelli aventi finalità perequative[32]. Non sembra infatti che la sottrazione di risorse a tali ultimi fondi, destinati solo ad una parte delle amministrazioni locali con finalità perequative, possa rappresentare la modalità ordinaria con la quale ottenere il concorso delle amministrazioni locali alle manovre di finanza pubblica.

 

Quanto ad eventuali variazioni delle compartecipazioni delle amministrazioni locali, non sembra che tali misure possano prestarsi ad un utilizzo frequente in sede di definizione delle manovre annuali.

 

Le due principali modalità con le quali le amministrazioni locali sono state chiamate, nell’ultimo decennio, a concorrere al conseguimento dell’equilibrio complessivo del settore delle pubbliche amministrazioni potrebbero quindi apparire non più in linea con il nuovo impianto costituzionale e il parallelo processo di attuazione del federalismo fiscale. Potrebbe pertanto rendersi necessaria l’individuazione di modalità alternative con le quali le amministrazioni locali possano in futuro essere chiamate a concorrere alla formazione degli avanzi primari necessari ad assicurare gli equilibri di bilancio del complesso delle pubbliche amministrazioni.

Principio di equilibrio di bilancio al livello del sottosettore delle Amministrazioni Locali

La modifica apportata al comma 1 dell’art. 119 sancisce il principio dell’equilibrio dei bilanci, come condizione nel rispetto della quale le amministrazioni locali possono godere dell’autonomia finanziaria loro attribuita. Tale principio sembra far riferimento ad un vincolo imposto singolarmente a ciascun ente interessato, relativo al proprio saldo di bilancio. La modifica apportata al secondo periodo del sesto comma dello stesso articolo 119 - che condiziona la facoltà di accedere all’indebitamento di ciascuna amministrazione locale al rispetto, da parte del complesso delle stesse amministrazioni, del principio di equilibrio di bilancio e di contenimento del debito – sembra di fatto prevedere una deroga estremamente ampia rispetto a quanto affermato al comma 1, configurando una golden rule a livello delle singole amministrazioni locali. Per effetto dei principi enunciati, infatti, queste ultime risulterebbero tenute esclusivamente al pareggio in termini di saldo di parte corrente, mentre potrebbero finanziare con indebitamento la spesa per investimenti, a condizione che sia rispettato l’equilibrio di bilancio per il complessivo sottosettore delle amministrazioni locali.

 

Ne consegue, come già evidenziato, l’esigenza di un forte coordinamento ex ante al fine di stabilire i limiti entro i quali è riconosciuta a ciascun ente la facoltà di indebitarsi. Occorre infatti che tale facoltà non confligga con l’esigenza di garantire l’equilibrio complessivo a livello di sottosettore.

 

Un’altra implicazione del vincolo di equilibrio di bilancio riferito congiuntamente agli enti che compongono il sottosettore delle amministrazioni locali sembra riguardare il divieto apparente di compensazioni incrociate tra la posizione di bilancio dello Stato centrale e quella delle amministrazioni locali.

La formulazione letterale della condizione di equilibrio di bilancio e di contenimento del debito, contenuta nella modifica apportata al secondo periodo del comma 6 dell’art. 119 in esame, sembra far riferimento, non ai singoli comparti delle amministrazioni locali (ovvero comuni, province, città metropolitane e regioni), bensì all’intero sottosettore di amministrazioni locali, considerato nel suo insieme, che riunisce tutti i predetti enti. Tale formulazione appare idonea a consentire compensazioni incrociate tra posizioni di avanzo di alcuni comparti e di disavanzo di altri, conformemente a quanto già previsto dalla legislazione vigente. Tale normativa consente infatti alle regioni di formulare compensazioni sia orizzontali, tra enti del medesimo comparto, sia verticali tra la propria posizione di bilancio e quella degli enti territoriali del proprio territorio.

 

La citata formulazione sembra invece escludere la possibilità di compensazioni incrociate tra gli obiettivi di equilibrio di bilancio dello Stato centrale e quelli riferiti alle singole amministrazioni locali.

Andrebbe a tal proposito valutato se, ad esempio, possa risultare conforme al nuovo dettato costituzionale la previsione contenuta nell’art. 5-bis del DL 138/2011 che consente l’estensione degli spazi di spesa delle regioni soggette all’obiettivo 1 al fine di ampliare la spendibilità delle risorse di provenienza comunitaria, con compensazione a carico del bilancio dello Stato. Il dettato delle modifiche proposte non configura un divieto rispetto a tale compensazione, ma preclude la possibilità di indebitamento da parte delle amministrazioni locali nel caso in cui tale compensazione si verifichi, in quanto non verrebbe rispettata la condizione di equilibrio di bilancio riferito al sottosettore delle amministrazioni locali.

Principio di equilibrio in termini intertemporali

L’ulteriore condizione, posta dalla modifica introdotta al secondo periodo del comma 6 dell’art. 119 in esame, al fine di poter accedere all’indebitamento per il finanziamento della spesa per investimenti, attiene all’obbligo di definizione contestuale di piani di ammortamento. Finalità della disposizione sembra quella di imporre, alle amministrazioni che accedono all’indebitamento per finanziare la spesa per investimenti, la costituzione in taluni esercizi di posizioni di avanzo, a compensazione dei disavanzi esposti negli esercizi in cui hanno effettuato gli investimenti con risorse rivenienti dall’accensione di prestiti. In tal modo, le singole amministrazioni interessate rispetterebbero il vincolo dell’equilibrio di bilancio espresso in termini intertemporali, su un arco pluriennale di esercizi. Allo stesso tempo si consentirebbe il conseguimento in ciascun esercizio di un equilibrio complessivo a livello di comparto amministrativo, per effetto delle compensazioni che si determinerebbero tra enti territoriali in avanzo ed enti in disavanzo.

 

Non è chiaro se la formulazione letterale della disposizione, che fa riferimento alla definizione di piani di ammortamento connessi alle operazioni di indebitamento, risulti idonea a garantire la compensazione intertemporale dei disavanzi di ciascun ente, condizione questa necessaria anche per il rispetto del vincolo di equilibrio a livello di sottosettore.

Infatti i piani di ammortamento, connessi al rimborso delle diverse posizioni debitorie accese, appaiono finalizzati ad accantonare contabilmente in bilancio le risorse necessarie al fine garantire ai soggetti creditori la certezza delle scadenze alle quali avverrà il rimborso. Affinché tale vincolo di accantonamento contabile risulti sufficiente a soddisfare anche l’altro vincolo di compensazione a livello di sottosettore, le risorse accantonate nei piani di ammortamento dovrebbero riflettersi in posizioni di avanzo complessivo nei saldi di bilancio dei singoli enti, tali da consentire ad altri enti del medesimo sottosettore di ricorrere, nei limiti di tali avanzi, all’indebitamento.

Centralizzazione delle politiche anticicliche

A differenza di quanto previsto dalle modifiche introdotte all’articolo 81, con riferimento al bilancio dello Stato, le modifiche introdotte all’articolo 119, riferite al comparto delle amministrazioni locali, non prevedono come titolo giustificativo dell’accesso all’indebitamento la necessità di far fronte alle fasi avverse del ciclo economico o agli eventi eccezionali connessi ad uno stato di necessità. Naturalmente tali eventi potranno comunque giustificare l’accesso all’indebitamento, purché ricorrano le condizioni previste dall’articolo 119, ovvero che si tratti di finanziamento di spesa per investimenti, che vengano contestualmente definiti dei piani di ammortamento del debito e che si verifichi contestualmente l’equilibrio di bilancio e il contenimento del debito a livello di comparto. Tali ultime condizioni potrebbero peraltro essere precluse proprio in caso di fase avversa del ciclo, durante la quale anche le amministrazioni locali potrebbero registrare un deterioramento delle proprie posizioni di bilancio, connesso all’operare degli stabilizzatori automatici, presenti in parte anche a livello locale (si pensi ad un possibile calo delle entrate tributarie e ad un possibile incremento delle spese sociali e assistenziali).

 

Le amministrazioni locali si vedrebbero conseguentemente inibito l’accesso all’indebitamento per finanziare la spesa di investimento proprio quando quest’ultima risulterebbe necessaria per finanziare, anche a livello locale, interventi di natura anticiclica.

Aspetti di principio non regolamentati

Da ultimo appare opportuno segnalare alcuni aspetti connessi alle tematiche trattate dalle modifiche costituzionali proposte, che non trovano una regolamentazione nel disegno di legge in esame, pur potendo risultare rilevanti per la tenuta organica della riforma proposta.

 

Assenza dell’esplicita enunciazione di un obbligo di concorso delle amministrazioni locali alle manovre di finanza pubblica, in presenza di equilibri di bilancio a livello locale.

 

Le norme in esame, nel momento in cui affermano il mero obbligo dei diversi comparti amministrativi all’equilibrio, non chiariscono su quali basi potrà essere eventualmente richiesto, ove necessario, un concorso di tutti gli enti al conseguimento dei rilevanti avanzi primari richiesti al fine di compensare la quota di spesa per interessi che grava in larga misura sulle amministrazioni centrali.

Da questo punto di vista occorrerebbe valutare se risulti sufficiente il principio enunciato all’art. 53, terzo comma, come riformulato, ovvero se si renda necessaria una più esplicita affermazione dell’obbligo, per ciascun comparto amministrativo, di concorrere agli obiettivi di bilancio e di contenimento del debito riferiti al complesso della P.A. Ciò al fine di evitare l’insorgenza di possibili conflitti circa la legittimità della richiesta di eventuali sforzi aggiuntivi, rivolta a singole amministrazioni che già assolvono all’obbligo costituzionale di equilibrio del proprio bilancio.

 

Assenza di un principio cui ancorare le modalità di riparto tra i diversi comparti delle pubbliche amministrazioni dello sforzo fiscale richiesto dalle manovre di finanza pubblica.

 

L’assenza di un criterio oggettivo e condiviso, cui ancorare le modalità di riparto delle manovre di finanza pubblica tra i diversi comparti delle amministrazioni pubbliche, è stata all’origine di elementi di conflitto tra i diversi comparti in merito alle modalità di distribuzione del predetto sforzo fiscale. In molti casi il riparto è stato ancorato a parametri dimensionali correlati alla spesa dei diversi enti, ma spesso tale criterio è stato sottoposto a critiche in quanto ritenuto punitivo nei confronti di enti che, indipendentemente dalla loro dimensione, non mostrano elementi di disequilibrio nei rispettivi bilanci. E’ stato quindi spesso richiesto che i criteri di riparto fossero ancorati all’entità comparata delle diverse posizioni di deficit di bilancio, sia attuali che pregresse, o ad altri parametri che individuino il grado di virtuosità delle singole amministrazioni.

I criteri di riparto individuati dalle ultime manovre di finanza pubblica, operate dal DL 98 e 138 del 2011, con effetti anche sulla manovra prevista dal DL 78/2010, distribuiscono il carico cumulato delle tre manovre citate tra i soli enti non appartenenti alla prima classe di virtuosità, escludendo invece quelli che a tale classe appartengono. Questi ultimi sono infatti tenuti esclusivamente al rispetto dell’equilibrio di bilancio.

Tali criteri di riparto potrebbero rivelarsi non compatibili con i principi sanciti dalle modifiche costituzionali proposte: infatti poiché tali modifiche impongono il criterio del pareggio, è da verificare se il raggiungimento di tale obiettivo per i singoli enti garantisca, tenuto conto dell’entità dei disavanzi in essere[33], la dimensione quantitativa della manovra richiesta complessivamente a ciascun comparto, dalle normative sopra richiamate.

Ulteriori profili problematici potrebbero inoltre emergere in ordine all’effettiva sostenibilità, da parte degli enti appartenenti a classi di virtuosità diverse dalla prima, dell’ulteriore quota di manovra posta a loro carico.

Al fine di definire un assetto coerente delle modalità di distribuzione delle manovre di finanza pubblica, risulterebbe quindi utile l’indicazione, anche in linea di principio, di un criterio regolatore, coerente con la nuova cornice costituzionale. Ciò in considerazione dell’introduzione nel testo costituzionale del principio dell’equilibrio dei bilanci, che potrebbe di fatto interferire con i criteri di riparto adottati dalle leggi ordinarie.

 

Si segnala in proposito che l’art. 53 Cost. - che, nella formulazione vigente, riguarda la capacità contributiva – e/o la relativa normativa di attuazione potrebbero rappresentare una sede idonea per disciplinare i criteri di capacità contributiva anche delle amministrazioni locali rispetto alle necessità richieste dagli obiettivi generali di finanza pubblica.

 

 

 


 

I progetti di legge di iniziativa parlamentare

AC 4205 (Cambursano ed altri)

La proposta di legge C. 4205 interviene a modificare il solo articolo 81 della Costituzione, prevedendo alcuni commi aggiuntivi al vigente articolato.

In particolare, la proposta prevede che debba essere garantito l’equilibrio annuale del bilancio, vietando il ricorso al debito pubblico. È poi previsto un vincolo di destinazione per le entrate derivanti dal debito, che possono essere utilizzate esclusivamente per finanziare investimenti.

Per dare attuazione a tali disposizioni, è prevista una riserva di legge. Il ricorso a tale fonte si rende necessario anche per individuare gli investimenti da effettuare nel corso di ogni esercizio finanziario.

In relazione al terzo comma dell’articolo unico della pdl, si segnala che in Costituzione non è mai utilizzata l’espressione “legge ordinaria”, non essendo necessaria tale specificazione, implicita nel semplice riferimento alla “legge”.

Del resto l’articolo 81, primo comma, che non è oggetto di intervento della proposta di legge, prevede una riserva di legge formale per l’approvazione dei bilanci, richiedendo che sia il Parlamento a provvedere ed escludendo che il Governo abbia possibilità di intervenire con atto con forza di legge.

AC 4525 (Marinello ed altri)

Anche la proposta di legge C. 4525 – che riprende il testo della pdl S. 3365 presentata nel corso della XIII legislatura – ha ad oggetto l’articolo 81, che viene integralmente sostituito.

Nella formulazione proposta dell’articolo 81 si introduce, al primo comma, un principi di economicità in base al quale le spese dello Stato e degli enti pubblici non possono essere superiori alle previsioni di entrata iscritte in bilancio.

Spetta alle Camere non più approvare, bensì esaminare annualmente il bilancio dello Stato e il rendiconto consuntivo, insieme con il bilancio consolidato della pubblica amministrazione e i rendiconti consuntivi patrimoniali presentati dal Governo.

Il nuovo quarto comma dell’articolo 81 introduce una riserva di legge in materia di contabilità pubblica; infatti, rinvia ad una legge ad hoc la disciplina dei contenuti dei bilanci e dei rendiconti dello Stato e degli enti pubblici, nonché dei limiti delle decisioni di entrata e di spesa. Tale legge è dotata di una peculiare forza passiva, in quanto non può essere modificata, abrogata o derogata da leggi che contengono disposizioni di spesa o di entrata. I principi contenuti in tale legge si applicano anche alle regioni ed agli enti locali.

Nessuna modifica rispetto al testo vigente dell’art. 81 è prevista rispetto alla disciplina dell’esercizio provvisorio del bilancio.

Nell’impianto della proposta risulta, inoltre, centrale l’introduzione di un vincolo in Costituzione al livello generale dell’imposizione al fine, evidenziato nella relazione illustrativa, di impedire un nuovo processo di espansione della spesa pubblica tramite il ricorso alla leva fiscale e, contestualmente, di alleggerire il sistema fiscale. Tale vincolo è realizzato attraverso la norma, di cui al comma quinto, che impone una maggioranza parlamentare qualificata, pari a due terzi, per stabilire nuove imposte od aumentare quelle già esistenti.

Il sesto comma autorizza il Governo a proporre ricorso per conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale, qualora ritenga che una legge regionale comporti il peggioramento dell’equilibrio annuale e pluriennale dei conti dello Stato e delle amministrazioni pubbliche. I termini per la presentazione del ricorso sono quelli ordinari di 60 giorni, con decorrenza dalla pubblicazione della legge regionale.

Per aversi conflitto di attribuzione tra Stato e regione, la lesione della sfera di competenza non può derivare da una legge o da un atto avente forza di legge, poiché, nel qual caso, si ricadrebbe nell’ipotesi di una controversia di legittimità costituzionale ex articolo 127 della Costituzione, ma da un atto avente natura non legislativa.

 

Gli ultimi due commi dell’articolo 81, nella proposta C. 4525 prevedono, in primo luogo, un potere di veto del Governo sull’approvazione parlamentare di leggi o singoli emendamenti che comportino nuove o maggiori spese. Inoltre, si dispone la riduzione proporzionale, entro i limiti della legge di autorizzazione, delle maggiori spese derivanti dall’attuazione di leggi, regolamenti o decreti, ovvero di sentenze definitive degli organi giurisdizionali o della Corte costituzionale.

AC 4526 (Beltrandi ed altri)

La proposta di legge costituzionale C. 4526 è volta a modificare l’articolo 81 della Costituzione, prevedendo alcuni commi aggiuntivi al vigente articolato, nonché ad introdurre i nuovi articoli 81-bis e 81-ter.

In primo luogo, la proposta, oltre a sottolineare la necessità di garantire la corretta disciplina di bilancio e attuare i principi di matrice europea concernenti il raggiungimento e il mantenimento dell’equilibrio economico, prevede che i saldi complessivi di bilancio siano definiti dal Governo senza possibilità di modifiche parlamentari.

Viene costituzionalizzato il principio del pareggio strutturale di bilancio affermando che i bilanci di Stato e enti territoriali nonché di tutti gli altri enti pubblici debbono conformarsi a tale principio, anche a consuntivo. Ad ogni modo, si prevedono due ordini di eccezioni al suddetto principio, da approvare con legge a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera (con il vincolo comunitario del limite massimo d’indebitamento non può superare al 3% del PIL) ammettendo la possibilità di ricorrere al deficit spending a fronte di calamità naturali o situazioni economiche e sociali straordinarie epurché sia data priorità agli stanziamenti in conto capitale rispetto a quelli di parte corrente; ulteriori deroghe ai predetti limiti possono essere disposte con legge approvata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera.

Contrariamente a quanto attualmente previsto dall’art. 81, comma 3, si ammette che con la legge di approvazione del bilancio si possano stabilire nuovi o maggiori tributi e spese, indicando i mezzi con cui fare fronte alle spese per tutta la loro durata.

Come rilevato con riferimento al ddl AC 4620, la legge di bilancio, assumendo il carattere di legge non più solo meramente formale bensì diretta ad incidere in modo sostanziale sulle decisioni di politica fiscale sembrerebbe destinata a sostituire gli altri strumenti, quale, in primis, la legge di stabilità e i vari provvedimenti collegati, sino ad oggi autorizzati a modificare la legislazione sostanziale vigente. Inoltre, come pure rilevato in relazione al citato ddl questa possibile evoluzione del sistema, che sembra non potersi escludere sul piano teorico, andrebbe valutata sotto il profilo dell’art. 75 Cost. che sottrae a referendum abrogativo la legge di bilancio (cfr. Corte costituzionale sent. n.n. 1 e 2 del 1994 che fa riferimento al contenuto tipico non solo della legge di bilancio, ma anche alla legge finanziaria);

Nel momento in cui s’intende realizzare una siffatta modifica, sembra opportuno ricordare che l’atipicità della legge di bilancio risiede, altresì, nella sua forza passiva in quanto, non solo ha un’efficacia temporale limitata all’anno cui si riferisce ma la stessa non è abrogabile in toto da una legge successiva. A ciò si aggiunga che la medesima non può essere oggetto di referendum, ai sensi dell’art. 75, comma 2, Cost., il che testimonia la forza passiva potenziata della legge di bilancio

Oltre a quanto sopra riportato s’introducono i principi di trasparenza e conoscibilità dei bilanci nei riguardi dell’opinione pubblica e si prevede che la legge di contabilità disciplini le modalità per la verifica del rispetto della regola a consuntivo e gli eventuali meccanismi sanzionatori in caso violazione del principio.

Con l’articolo 81-bis viene introdotto un rimedio giurisdizionale contro la violazione del principio di copertura finanziaria delle leggi di spesa, prevedendo la possibilità di un ricorso in via principale alla Corte costituzionale, assegnando il potere di promuovere l’azione a un quinto dei componenti di ciascuna Camera e alla Corte dei conti.

L’articolo 81-ter prevede l’istituzione del Consiglio di stabilità, con il compito di vigilare, sorvegliare e analizzare le dinamiche di finanza pubblica e di controllo delle politiche di bilancio. Come evidenziato dalla relazione illustrativa, tale organo sarà deputato ad un controllo di merito circa la buona gestione della politica di bilancio, complementare a quello attualmente svolto dalla Corte dei conti. Più specificamente, al Consiglio di stabilità viene imposto un doppio onere di pubblicità: sia di informazione periodica al Parlamento, sia mediante la pubblicazione degli esiti dell’attività di vigilanza e controllo dei conti pubblici nel proprio sito internet.

AC 4594 (Merloni ed altri ) e AC 4607 (A. Martino ed altri)

Le proposte di legge costituzionale C. 4594 e C. 4607 presentano identico contenuto, fatta eccezione per una difformità di cui si darà conto, per cui vengono considerate congiuntamente.

Si compongono entrambe di cinque articoli, di cui il primo provvede a introdurre nella Costituzione il principio dell'equità tra generazioni nelle materie economico-finanziarie, integrando in questo senso l'articolo 23, considerato il fondamento dell’obbligatorietà del rapporto tributario.

I successivi tre articoli delle proposte modificano, rispettivamente, gli articoli 81, 117 e 119 della Costituzione.

L’oggetto principale delle proposte di revisione costituzionale è però rappresentato dalle modifiche all'articolo 81, previste dall’articolo 2, che consistono nella introduzione di cinque nuovi commi (dal quinto al nono).

Il vincolo del pareggio di bilancio è espresso al nuovo comma quinto per le amministrazioni pubbliche, lo Stato e le regioni, anche ponendo l’esplicito divieto di ricorso all’indebitamento. Le modalità di applicazione del principio ai diversi livelli di governo vengono affidate ad una legge che deve in ogni caso garantire i vincoli derivanti dalla UE e gli obblighi internazionali assunti dall'Italia.

Il nuovo sesto comma associa al criterio del pareggio un secondo vincolo, espresso dal rapporto tra spesa totale delle amministrazioni pubbliche e prodotto interno lordo che non può superare il 45 per cento.

Le eventuali violazioni di entrambi i vincoli devono essere compensate nella legge di bilancio entro il successivo triennio.

Definito l’oggetto e l’ambito di applicazione, i commi ottavo e nono dell’articolo 81, nella versione emendata, ammettono la possibilità di deroga ai vincoli posti e disciplinano le relative procedure.

In particolare, la legge di bilancio può comportare il ricorso all’indebitamento a condizione che venga approvata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera e che contenga il piano di ammortamento. Anche il limite di spesa delle amministrazioni pubbliche, introdotte al nuovo comma sesto, può essere superato, nel rispetto di alcune procedure: qualora la legge preveda spese superiori al 45 per cento del pil, senza contestualmente incrementare le entrate mediante ricorso all’indebitamento, è necessaria l’approvazione a maggioranza dei due terzi ed il relativo piano di ammortamento, entro il cui termine deve essere garantito il rispetto del vincolo. Qualora la legge preveda, invece, maggiori spese, ma anche maggiori entrate totali, è richiesta l’approvazione con la medesima maggioranza qualificata, nonché la sostituzione della maggiori entrate con l’indebitamento entro cinque anni dall’entrata in vigore della legge di bilancio, il piano di ammortamento e la previsione del rispetto del vincolo sulle spese entro la scadenza del piano di ammortamento.

La disciplina dei criteri del pareggio di bilancio viene completata dalla modifica, prevista dall’articolo 4 di entrambe le proposte, all’articolo 119, sesto comma, della Costituzione, con la quale si aggiunge l’esplicito richiamo al rispetto dei principi di cui al novellato articolo 81. Come sottolineato dalla relazione illustrativa, tale novella è funzionale a garantire la coerenza fra l'operare del vincolo a livello aggregato e il comportamento dei singoli enti di cui allo stesso articolo 119, primo comma.

Con due modifiche all’articolo 117, commi secondo e terzo, l’articolo 3 delle proposte in esame riconduce l'armonizzazione dei bilanci pubblici e il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario fra le materie di esclusiva competenza dello Stato, sottraendole alla concorrente competenza legislativa delle regioni.

Infine, l'articolo 5 delle proposte reca la decorrenza delle norme introdotte, fissando, in particolare, nel 2015 l'anno di entrata in vigore del principio del pareggio del bilancio e nel 2020 l'anno di entrata in vigore del limite di spesa.

AC 4596 (Lanzillottta ed altri)

La proposta di legge C. 4596 si compone di quattro articoli, che novellano gli articoli 81, 117, 119 e 120 della Costituzione.

L'articolo 1 contiene una serie di disposizioni integrative dell'articolo 81 della Costituzione.

In primo luogo, viene esplicitato al quarto comma dell'articolo 81 il divieto di utilizzare l'indebitamento per coprire nuove spese o maggiori entrate.

In secondo luogo, sono aggiunti cinque nuovi commi all'articolo 81 della Costituzione che introducono il principio del pareggio del bilancio annuale e pluriennale, calcolato al netto degli effetti del ciclo economico accertati dall'Unione europea. Secondo la relazione illustrativa, tale disposizione, da un lato, attenua la rigidità del vincolo, dall’altro, evita fenomeni di elusione del vincolo sottraendo la valutazione alla discrezionalità del governo. Si stabilisce inoltre che nel caso in cui il rendiconto accerti un disavanzo questo debba essere riassorbito nell’esercizio successivo attraverso interventi sulla spesa e sulla entrata. Al successivo ottavo comma, si ammette la possibilità di deroga al divieto di indebitamento nei soli casi di eccezionale gravità, previa notifica all’Unione europea ed indicando il piano di ammortamento non superiore al quinquennio. Perché la deroga sia costituzionalmente legittima, in tal caso, la legge di bilancio deve essere approvata a maggioranza dei due terzi.

Le integrazioni all’articolo 81, previste dalla proposta in esame, sono volte altresì a rafforzare le leggi di contabilità nel quadro delle fonti.

Il nuovo sesto comma prevede un procedimento aggravato per la legge generale della contabilità dello Stato, approvata a maggioranza dei due terzi da parte di ciascuna Camera. Alla legge generale di contabilità viene altresì rimessa la facoltà di determinare il livello massimo della pressione fiscale.

Inoltre, sono dotate di peculiare forza passiva le disposizioni della legge generale sulla contabilità e le disposizioni di attuazione dell’articolo 81, stabilendone la non derogabilità da parte di leggi ordinarie o dei regolamenti parlamentari.

Infine, l'ultimo comma del nuovo articolo 81 prevede una norma di chiusura a tutela dell’efficacia delle disposizioni del medesimo articolo.

In particolare, si introduce il ricorso in via di azione alla Corte costituzionale da parte della Corte dei conti, in caso di violazione delle disposizioni ivi contenute sia da parte della legge di bilancio, sia da parte di una legge di entrata o di spesa. Si prevede che la Corte dei conti possa agire anche su segnalazione di una minoranza parlamentare, pari ad un quinto dei componenti della Camera o del Senato.

I successivi articoli recano modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione al fine di rendere più stringenti le regole dei bilanci regionali e locali.

L'articolo 2 modifica l'articolo 117 della Costituzione – analogamente a quanto previsto dalle proposte di legge C. 4594 e 4607, già esaminate – per attribuire alla competenza esclusiva dello Stato la legislazione in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, che attualmente è inserita al comma terzo dell’articolo 117 tra le materie di legislazione concorrente dello Stato e delle regioni.

Le modifiche al sesto comma dell’articolo 119, introdotte dall’articolo 3 della proposta in esame, in parte modificano la disciplina vigente ed in parte introducono nuovi principi.

Quanto al primo punto, viene espunto ogni riferimento al patrimonio di regioni ed enti locali. Inoltre, il vincolo di indebitamento solo per investimenti, attualmente riferito, sia alle regioni che agli enti locali, viene modificato, consentendo ai comuni e alle città metropolitane di ricorrere all'indebitamento solo per finanziare investimenti infrastrutturali, ad eccezione delle operazioni di ricapitalizzazione delle società partecipate.

In tal modo è eliminato ogni riferimento all’indebitamento delle regioni e delle province, ai quali secondo la relazione illustrativa verrebbe estesa la regola del pareggio di bilancio.

In relazione al secondo punto, si estende alle regioni il giudizio di parificazione da parte della Corte dei Conti secondo modalità da stabilirsi con legge statale.

L’articolo 4 della proposta di legge novella il secondo comma dell’articolo 120 della Costituzione, inserendo nella ratio che legittima l’esercizio del potere sostitutivo del Governo nei confronti delle regioni e degli enti locali la necessità di rispettare le disposizioni previste dagli articoli 81 e 119 della Costituzione.

AC 4646 (Bersani ed altri)

La proposta di legge C. 4646 interviene sugli artt. 53, 81, 119 e 123 della Costituzione introducendo altresì nella parte seconda di essa un nuovo titolo, dedicato all’equilibrio di bilancio e composto di tre articoli (82-bis, 82-ter, 82-quater).

In primo luogo, aggiungendosi un comma all’articolo 53 si introduce in Costituzione il principio di equità tra le generazioni in ambito economico e sociale, il cui rispetto deve essere assicurato dalla Repubblica (articolo 1).

Con l’articolo 2 si modifica l’art. 81, aggiungendovi un nuovo primo comma in cui è esplicitato il principio della stabilità di bilancio, anche con riguardo ad eventuali scostamenti che si vengano a produrre nella gestione dello stesso, cui la Repubblica deve conformarsi.

Il nuovo terzo comma dell’art. 81 attribuisce la definizione del contenuto proprio della legge di bilancio ad una legge approvata con procedura rinforzata, ossia con la maggioranza dei tre quinti dei componenti di ciascuna Camera.

La definizione delle procedure finalizzate a garantire la stabilità del bilancio trova posto in un apposito titolo, nella parte seconda della Costituzione, dedicato all’equilibrio di bilancio, composto dagli artt. 82-bis, 82-ter e 82-quater (articolo 3). In particolare si prevede (nel nuovo art. 82-bis) che il Parlamento stabilisca, a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, il saldo strutturale coerente con l’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, cui devono conformarsi lo Stato e gli enti territoriali nell’approvazione dei rispettivi bilanci. E’ rimessa alla legge che definirà il contenuto tipico del bilancio, di cui all’art. 81, comma terzo, come novellato dalla proposta in esame, la definizione delle modalità di coordinamento tra Stato, regioni ed enti locali per il rispetto degli obblighi derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea. Sono poi regolati i casi in cui, sempre con legge approvata a maggioranza assoluta, è possibile derogare al saldo strutturale già determinato.

Il nuovo art. 82-ter impone l’approvazione a maggioranza qualificata, i tre quinti dei componenti di ciascuna Camera, sia per le leggi rinviate dal Presidente della Repubblica per violazione dell’articolo 81, sia per la conversione dei decreti legge in relazione al cui testo il Presidente della Repubblica abbia constatato una violazione dell’art. 81 comunicandola alle Camere. Un’ulteriore disposizione riguarda i decreti legislativi nel cui testo, all’atto di emanazione, il Presidente della Repubblica ravvisi una violazione dell’articolo 81. Si stabilisce in questo caso che il decreto legislativo può essere emanato solo in seguito a deliberazione a maggioranza dei tre quinti delle Camere.

Con riguardo a tale ultima disposizione occorrerebbe valutarne l’impatto sul sistema delle fonti. Si verrebbe infatti ad inserire nel procedimento di legislazione delegata una deliberazione parlamentare, a maggioranza qualificata, che verrebbe ad alterare il rapporto tra legislatore delegato e delegante delineato dall’art. 76 Cost., anche con riferimento alla responsabilità dell’adozione dell’atto.

Con il nuovo art. 82-quater si attribuisce la facoltà alla Corte dei conti di promuovere il giudizio di legittimità costituzionale su leggi e atti aventi forza di legge statali e regionali non conformi alle disposizioni dell’articolo 81.

L’articolo 4 della proposta apporta delle modifiche all’art. 119 Cost. stabilendo in primo luogo che l’autonomia finanziaria degli enti territoriali diversi dallo Stato è subordinata al rispetto dell’equilibrio dei rispettivi bilanci. In secondo luogo si vincola la facoltà di indebitamento per spese di investimento di regioni e enti locali al rispetto del principio della stabilità di bilancio.

L’articolo 5 modifica l’art. 123 Cost. nel senso di introdurre negli statuti regionali l’obbligo di individuare procedure atte a garantire l’equilibrio finanziario della regione stessa.

L’articolo 6, nel dettare le disposizioni transitorie, rimette ad una legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, l’attuazione delle disposizioni contenute nella proposta riforma costituzionale nonché la disciplina del metodo e procedimento di calcolo per la determinazione del saldo strutturale.

Non appare del tutto chiaro il contenuto della legge di attuazione da approvare a maggioranza assoluta. Il testo sembra infatti fare riferimento ad un contenuto ulteriore rispetto alla definizione del metodo di determinazione del saldo. Se si esclude tale aspetto però, le singole disposizioni della pdl in esame già rinviano a specifiche procedure di attuazione.

Sono infine stabiliti entrata in vigore e decorrenza dell’applicazione.

 

 

 


L’introduzione negli ordinamenti nazionali dei vincoli di finanza pubblica fissati dall’UE

Le disposizioni vigenti dei Trattati in materia di Unione economica e monetaria, il Protocollo sui disavanzi eccessivi e i regolamenti relativi al Patto di stabilità e crescita, non stabiliscono espressamente l’obbligo di introdurre negli ordinamenti nazionali regole, costituzionali o legislative, volte ad assicurare il rispetto dei valori di riferimento relativi al disavanzo e al debito fissati a livello europeo.

L’opportunità di una espressa previsione in ciascun ordinamento nazionale di regole volte ad assicurare il rispetto dei parametri fissati dall’Unione europea è emersa per la prima volta in occasione della predisposizione del nuovo quadro di governance economica dell’UE, avviata in seguito all’acuirsi della crisi economica e finanziaria e alla definizione della nuova strategia dell’Unione per la crescita e l’occupazione (Europa 2020).

 

In particolare, ad avviso della Commissione europea, l’esperienza recente (ed in particolare il caso della Grecia) ha dimostrato che l’adozione di disposizioni normative a livello dell'UE non è sufficiente per assicurare l'effettiva applicazione del quadro di coordinamento delle politiche di bilancio dell'UEM. La natura decentralizzata della politica di bilancio nell'UE richiede che i quadri di bilancio nazionali rispecchino gli obiettivi del quadro di coordinamento delle politiche di bilancio dell'UEM. Pertanto, pur nel rispetto delle esigenze e preferenze specifiche degli Stati membri, la Commissione ha proposto regole per assicurare un livello minimo di qualità e di coerenza con il quadro di bilancio dell'UEM.

 

Un primo esito di questa riflessione è stata l’inclusione nell’ambito della proposta di direttiva sui quadri nazionali di bilancio, presentata dalla Commissione europea il 29 settembre 2010, unitamente alle proposte di modifica del Patto di stabilità e di sorveglianza degli squilibri macroeconomici, dell’obbligo di inserire negli ordinamenti nazionali regole numeriche per assicurare l'osservanza degli obblighi in materia di bilancio fissati dal Trattato.

 

Tali proposte sono state approvate dal Parlamento europeo, come emendate in base ad un accordo con il Consiglio dell’UE, nella seduta del 28 settembre 2011, e adottate in via definitiva dal Consiglio il 4 ottobre.

 

Inoltre, nell’ambito del Patto europlus, adottato dai Capi di Stato e di governo dell’area euro l’11 marzo 2011, gli Stati dell’area euro ed alcuni altri stati membri dell’UE hanno assunto l’ulteriore obbligo di recepire nelle Costituzioni o nella legislazione nazionale le regole del Patto di stabilità e crescita.

La direttiva sui quadri nazionali di bilancio

La direttiva concernente i requisiti per i quadri di bilancio nazionali stabilisce una serie di regole minime comuni atte a garantire una disciplina uniforme di bilancio.

L’obiettivo della direttiva – enunciato anche nel preambolo della proposta – è di assicurare un’effettiva applicazione sia della parte preventiva sia di quella correttiva del patto di stabilità e crescita.

 

Ai sensi dell’articolo 3 della direttiva, gi Stati membri sono tenuti ad assicurare che i dati di bilancio di tutti i sottosettori della pubblica amministrazione, amministrazioni di Stati federati ed enti di previdenza e assistenza sociale, siano disponibili al pubblico tempestivamente e regolarmente.

Gli Stati membri dovrebbero, in particolare, pubblicare i dati di cassa su base mensile e una tavola di riconciliazione dei medesimi dati con il sistema SEC-95.

La direttiva impone altresì agli Stati membri di:

·      stabilire una pianificazione pluriennale (almeno triennale) del bilancio nazionale, con una indicazione di entrate e spese programmate e degli aggiustamenti richiesti per realizzare l’obiettivo di finanze pubbliche solide;

·      comprendere in ciascun quadro nazionale di bilancio l’intero sistema di finanza pubblica, in particolare nei Paesi con assetti decentrati: l’assegnazione delle responsabilità di bilancio tra i diversi livelli di governo dovrebbe essere chiaramente definita e soggetta ad adeguate procedure di controllo.

 

L’articolo 5 della proposta impone agli Stati membri di dotarsi di regole di bilancio numeriche che promuovano effettivamente l'osservanza dei rispettivi obblighi derivanti dal trattato nel settore della politica di bilancio. Tali regole includono:

a) il rispetto dei valori di riferimento relativi al disavanzo e al debito fissati conformemente al trattato;

b) l'adozione di un orizzonte di programmazione di bilancio pluriennale, che comprende il rispetto degli obiettivi di bilancio a medio termine.

 

In base all’articolo 6 della proposta, le regole di bilancio numeriche dovrebbero specificare i seguenti elementi:

a) la definizione degli obiettivi e l'ambito di applicazione delle regole;

b) il controllo effettivo e tempestivo dell'osservanza delle regole, basato su un'analisi affidabile e indipendente, eseguita da organismi indipendenti od organismi dotati di autonomia funzionale rispetto alle autorità di bilancio dello Stato membro;

c) le conseguenze in caso di mancata osservanza;

d) le clausole di salvaguardia che prevedono un numero limitato di circostanze specifiche in cui è consentito non rispettare temporaneamente la regola.

 

In base all’articolo 14 della proposta, gli Stati membri dovrebbero mettere in vigore le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva entro il 31 dicembre 2013. I Capi di stato e di Governo dei Paesi dell’Eurozona, riunitisi il 21 luglio 2011 per varare il nuovo piano di aiuti alla Grecia, hanno peraltro espresso l’impegno ad anticipare il recepimento della direttiva, una volta approvata, entro la fine del 2012.

Il Patto euro plus

Il Patto euro plus è stato approvato dai Capi di Stato o di governo della zona euro nella riunione dell’11 marzo 2011e avallato dalConsiglio europeo del 24-25 marzo,facendo seguito ad una iniziativa franco-tedesca (c.d. Patto per la convergenza e la competitività); hanno aderito al Patto – che resta aperto ad altri Stati membri - anche Bulgaria, Danimarca, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania.

Il Patto impegna gli Stati partecipanti ad adottare – in aggiunta a quanto previsto dalle proposte di riforma della governance economica europea – ulteriori misure necessarie per realizzare quattro obiettivi: concorrere ulteriormente alla sostenibilità delle finanze pubbliche; promuovere la competitività; stimolare l'occupazione; rafforzare la stabilità finanziaria. Specifico rilievo viene inoltre attribuito al coordinamento delle politiche fiscali.

Ogni anno gli Stati membri partecipanti converranno a livello di Capi di Stato e di Governo le azioni concrete da realizzare nei dodici mesi successivi, che dovranno riflettersi anche nei programmi nazionali di riforma e nei programmi di stabilità presentati ogni anno.

 

Il Patto non ha in sé natura giuridicamente vincolante ma – in quanto adottato dai Capi di stato e di Governo – è fonte di impegni al massimo livello politico di ciascuno Stato.

 

Nell’ambito delle misure volte a garantire la sostenibilità delle finanze pubbliche, il Patto prevede l’impegno degli Stati aderenti a recepire nella legislazione nazionale le regole di bilancio dell'UE fissate nel patto di stabilità e crescita.

Gli Stati membri hanno facoltà di scegliere lo specifico strumento giuridico nazionale cui ricorrere, purché esso abbia natura vincolante e sostenibile sufficientemente forte (ad esempio costituzione o normativa quadro).

Anche l'esatta forma della regola sarà decisa da ciascun Paese (ad esempio potrebbe assumere la forma di "freno all'indebitamento", regola collegata al saldo primario o regola di spesa), ma dovrebbe garantire la disciplina di bilancio a livello sia nazionale che subnazionale.

Il Patto precisa che la Commissione avrà la possibilità, nel pieno rispetto delle prerogative dei parlamenti nazionali, di essere consultata in merito alla precisa regola di bilancio prima dell'adozione in modo da assicurare che sia “compatibile e sinergica” con le regole dell'UE.

Le altre proposte di riforma della governance economica

La direttiva sui quadri nazionali di bilancio è parte, come già accennato, di un più ampio pacchetto legislativo di riforma della governance economica che comprende altre cinque proposte legislative relative al rafforzamento del Patto di stabilità e alla introduzione di una sorveglianza degli squilibri macroeconomici.

 

Il Parlamento europeo ha approvato le proposte, in prime lettura, il 28 settembre 2011, approvando numerosi emendamenti concordati con il Consiglio e la Commissione nell’ambito di riunioni trilaterali informali (c.d. triloghi).

Pertanto il Consiglio dovrebbe procedere alla approvazione definitiva delle proposte nella sessione del 4 ottobre 2011.

 

In particolare, tra le ultime modifiche che hanno contributo a realizzare il consenso finale si segnalano:

·         l’introduzione di una base giuridica del semestre europeo, richiamando, in particolare, l’art. 121, paragrafo 2, e l’art. 148, paragrafo 2 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE);

·         la creazione di un quadro formale di supervisione dei programmi di riforma nazionali;

·         un rafforzamento dei poteri sanzionatori, la cui competenza è demandata alla Commissione, fermo restando il potere del Consiglio di respingere le proposte avanzate dalla Commissione stessa;

·         una sanzione (0,2% del PIL) per le statistiche fraudolente dei dati su deficit e debito;

·         un deposito fruttifero come sanzione (0,1% del PIL) nel caso uno Stato membro non agisca per correggere uno squilibrio macroeconomico;

·         l’introduzione di un dialogo economico che consente alla commissione competente del PE di audire il Presidente del Consiglio dell’UE, la Commissione, il Presidente del Consiglio europeo o il Presidente dell'Eurogruppo, nonché un rappresentante dello Stato membro interessato dalle decisioni del Consiglio;

·         nella valutazione degli squilibri macroeconomici di uno Stato membro, verranno tenuti in debita considerazione anche gli avanzi elevati delle partite correnti, invitando gli Stati membri interessati ad individuare e ad attuare misure che contribuiscano a rafforzare la domanda interna e il potenziale di crescita.

Si illustrano di seguito gli aspetti essenziali della nuova legislazione.

 

Modifiche ed integrazioni del Patto di stabilità e crescita

Le modifiche al Patto di stabilità e crescita sono prospettate da tre proposte di regolamento incluse nel pacchetto.

 

Braccio preventivo

Il braccio preventivo del PSC viene fondato sul nuovo concetto di “politica di bilancio prudente”, incentrata sulla convergenza verso l'obiettivo a medio termine del pareggio di bilancio. A questo scopo gli Stati membri dovrebbero assicurare un miglioramento annuale della propria posizione di bilancio pari ad almeno lo 0,5%.

In base agli emendamenti approvati dal Parlamento europeo, per i Paesi con alto livello di debito superiore al 60% del PIL o che presentano rischi considerevoli in termini di sostenibilità del debito globale, il Consiglio potrebbe richiedere un aggiustamento superiore allo 0,5%. Nella valutazione il Consiglio deve tenere nella debita considerazione l'attuazione di riforme delle pensioni che introducono un sistema multipilastro comprendente un pilastro obbligatorio, finanziato a capitalizzazione.

Deviazioni significative da una politica di bilancio prudente, identificate in uno scostamento dello 0,5% rispetto al percorso di raggiungimento dell’obiettivo di medio termine. comporterebbero per lo Stato membro interessato l'obbligo di costituire un deposito fruttifero pari allo 0,2% del PIL. Il deposito, con gli interessi maturati, verrebbe restituito una volta che il Consiglio abbia verificato che la situazione di bilancio sia stata risanata.

 

Braccio correttivo

Le proposte della Commissione prevedono – tra le altre cose - che gli Stati il cui debito supera il 60% del PIL dovrebbero adottare misure per ridurlo ad un ritmo soddisfacente, definito come una riduzione di 1/20 dell’eccedenza, registrata nel corso degli ultimi tre anni, rispetto alla soglia del 60%.

 

La valutazione dell’andamento del debito, dovrebbe tuttavia tener conto anche di alcuni fattori di rischio, che, in base agli emendamenti approvati dal Parlamento europeo, risultano i seguenti: struttura delle scadenze del debito e le valute in cui è denominato, lo ”stock-flow adjustment[34] e la sua composizione , le riserve accantonate e gli altri attivi finanziari , le garanzie, in particolare collegate al settore finanziario e le eventualipassività implicite legate all'invecchiamento della popolazione e al debito privato, nella misura in cui possano rappresentare potenziali passività implicite per le amministrazioni pubbliche.

Per uno Stato membro soggetto a una procedura per i disavanzi eccessivi alla data di adozione del regolamento e per un triennio a decorrere dalla correzione del disavanzo eccessivo, il requisito del criterio del debito è considerato soddisfatto se lo Stato membro interessato compie progressi sufficienti verso l'osservanza come da valutazione contenuta nei pareri del Consiglio sul suo programma di stabilità o di convergenza. Nell'applicazione del parametro di riferimento relativo al debito occorre tenere conto dell'influenza della congiuntura sul ritmo di riduzione del debito. Inoltre, nella loro valutazione Commissione e il Consiglio devono tenere nella debita considerazione l'attuazione di riforme delle pensioni che introducono un sistema multipilastro comprendente un pilastro obbligatorio, finanziato a capitalizzazione, ed il costo netto del pilastro a gestione pubblica. In particolare si prendono in considerazione i criteri dell'intero sistema pensionistico creato dalla riforma, ossia se promuove la sostenibilità a lungo termine senza d'altra parte aumentare i rischi per la posizione di bilancio a medio termine.

Ai Paesi che registrano un disavanzo eccessivo si applicherebbe un deposito non fruttifero pari allo 0,2% del PIL realizzato nel’anno precedente, convertito in ammenda in caso di non osservanza della raccomandazione di correggere il disavanzo eccessivo.

 

Procedura per l’applicazione delle sanzioni

Secondo le proposte originarie della Commissione, la decisione di comminare le sanzioni, sia in relazione al braccio preventivo sia a quello correttivo, era adottata su proposta della Commissione che si considerava approvata dal Consiglio a meno che esso non la respingesse, entro dieci giorni dalla sua presentazione, con voto a maggioranza qualificata ("maggioranza inversa") degli Stati dell'area euro (non si tiene conto del voto dello Stato interessato). In caso di mancata restituzione, le entrate derivanti da queste ammende (o dagli interessi maturati sul deposito fruttifero) sarebbero state distribuite, sulla base dei rispettivi PIL, tra i Paesi membri dell’area euro non sottoposti ad alcuna procedura.

 

Gli emendamenti approvati Parlamento europeo confermano in parte i meccanismi sanzionatori proposti dalla Commissione, prevedendo che:

- la Commissione presenti al Consiglio una raccomandazione e non una proposta per la costituzione di un deposito infruttifero o infruttifero, in caso di disavanzi eccessivi;

- lo Stato membro interessato disponga di un periodo non superiore a sei mesi per adeguarsi (se la gravità delle circostanze lo giustifica, il termine può essere ridotto a tre mesi) alla raccomandazioni della Commissione prima che le sanzioni potessero essere applicate;

- la Commissione presenti, in caso di disavanzi eccessivi, una raccomandazione al Consiglio. Se lo Stato interessato non adotta alcuna delle misure raccomandate e il Consiglio non reagisce, la Commissione può presentare nuovamente la propria raccomandazione entro un mese;

- il Consiglio può rigettare la raccomandazione della Commissione a maggioranza semplice (anziché qualificata).

L’accordo, prevedere inoltre che:

- gli interessi maturati e le ammende riscosse siano assegnati al meccanismo di stabilità finanziaria dell'Unione anziché essere distribuiti tra gli Stati dell'eurozona il cui disavanzo non sia eccessivo e che non siano oggetto di una procedura per gli squilibri eccessivi.

- vengano comminate sanzioni (sempre sotto forma di deposito infruttifero pari allo 0,2% del PIL) agli Stati membri che presentino statistiche fraudolente in relazione ai dati su deficit e debito.

 

Sorveglianza sugli squilibri macroeconomici

La sorveglianza sugli squilibri macroeconomici, si articola in meccanismi sia presentivi sia correttivi.

Nell’ambito della parte preventiva la Commissione effettua una valutazione periodica dei rischi derivanti dagli squilibri macroeconomici in ciascuno Stato membro, operata nel contesto dell’esame dei Programmi nazionali di riforma, e dei Programmi di stabilità e convergenza.

 

La valutazione si basa su un quadro di riferimento composto da indicatori economici (scoreboard), la cui individuazione è rinviata ad una fase successiva, ma che – in base agli emendamenti approvati dal Parlamento europeo - comprenderebbero:

·         squilibri interni, compresi quelli che possono derivare dall'indebitamento pubblico e privato, dall'evoluzione dei mercati finanziari e dei valori mobiliari, compreso il settore immobiliare, dall'evoluzione del flusso dei prestiti nel settore privato e dall'evoluzione della disoccupazione;

·         squilibri esterni, compresi quelli derivanti dall'evoluzione delle posizioni delle partite correnti e degli investimenti netti degli Stati membri, dai tassi di cambio effettivi reali, dalle quote di mercato all'esportazione e dai cambiamenti dei prezzi e dei costi, nonché dalla competitività non legata ai prezzi, tenendo in conto le diverse componenti della produttività.

Sulla base della valutazione, la Commissione avvia un riesame approfondito riguardante gli Stati membri a rischio per individuare i problemi sottostanti e potrebbe rivolgere ai medesimi Stati un “allerta preventivo”. Per gli Stati membri che presentano gravi squilibri, tali da mettere a rischio il funzionamento dell'Unione economica e monetaria, il Consiglio adotterebbe raccomandazioni e avvierebbe una procedura per gli squilibri eccessivi. Lo Stato oggetto di tale procedura dovrebbe sottoporre un piano di azione correttivo al Consiglio, il quale fisserebbe un termine per l'adozione di misure correttive.

Con riguardo alla parte correttiva, lo Stato dell'eurozona che ometta ripetutamente di dare seguito alle raccomandazioni del Consiglio formulate al fine di porre fine ad una situazione di squilibrio, pagherebbe un'ammenda annua pari allo 0,1% del suo PIL. La decisione di comminare un’ammenda è proposta dalla Commissione e si considera approvata dal Consiglio a meno che esso non la respinga con voto a maggioranza qualificata “inversa" degli Stati membri dell’eurozona (non si tiene conto del voto dello Stato interessato). L’ammenda sarebbe restituita al Paese interessato qualora desse seguito alle raccomandazioni del Consiglio.

 

Analogamente a quanto concordato con riguardo alle sanzioni del Patto di stabilità, anche in questo gli emendamenti approvati dal Parlamento europeo hanno stabilito che, in caso di mancata restituzione, le entrate derivanti dalle ammende siano assegnati al fondo europeo di stabilità finanziaria. Inoltre, come nel caso delle norme in materia di disciplina di bilancio, l’ECOFIN conferma il meccanismo di maggioranza inversa, prevedendo tuttavia che il Consiglio possa modificare la raccomandazione della Commissione a maggioranza qualificata (mentre nella proposta iniziale della Commissione si prevedeva l’unanimità).

 

 

 

 


 

Il principio del pareggio di bilancio negli ordinamenti costituzionali di Francia, Germania e Spagna

Francia

In Francia la revisione costituzionale del 23 luglio 2008[35] ha di fatto già inscritto nell’art. 34 della Costituzione del 1958 “l’obiettivo di equilibrio dei conti delle amministrazioni pubbliche”, dichiarando che “gli orientamenti pluriennali delle finanze pubbliche sono definiti dalle leggi di programmazione[36]”. Il Consiglio costituzionale sarebbe pertanto già in grado di censurare eventuali disposizioni legislative contrarie a tale obiettivo. Tuttavia il Rapport Camdessus[37] , presentato al Primo Ministro il 21 giugno 2010, ha ritenuto insufficiente tale norma costituzionale, raccomandando di rafforzare le previsioni normative a garanzia dell’equilibrio dei conti pubblici e di renderle ancora più vincolanti, sull’esempio della revisione della Legge fondamentale tedesca del 2009 (seconda riforma del federalismo).

Nel marzo 2011 il Governo ha presentato un progetto di legge costituzionale relativo all’equilibrio delle finanze pubbliche, approvato in termini identici dai due rami del Parlamento francese, da ultimo in terza lettura dall’Assemblea nazionale il 13 luglio 2011 (Texte Adopté n. 722)[38].

La nuova legge costituzionale approvata dalle Camere non fissa direttamente regole finanziarie, ma modifica l’art. 34 istituendo una nuova categoria di leggi, le «leggi-quadro d’equilibrio delle finanze pubbliche (LCEFP)» che andranno a inserirsi, nella gerarchia delle fonti normative, tra le leggi organiche e le leggi ordinarie, incluse le annuali lois de finances e lois de financement de la sécurité sociale.

Le nuove leggi-quadro (LCEFP) sostituiranno le leggi di programmazione delle finanze pubbliche e dovranno determinare lo sforzo da imporre, su un periodo di tre anni, per un ritorno all’equilibrio dei conti pubblici, nonché il successivo mantenimento di un equilibrio di bilancio duraturo, nel rispetto degli impegni assunti dalla Francia a livello europeo[39].

I progetti di LCEFP e i progetti di lois de finances e di financement de la sécurité sociale dovranno sempre essere presentati in primo luogo all’Assemblea nazionale.

Le LCEFP si imporranno sui testi finanziari ordinari annuali i quali, se non rispetteranno lo sforzo programmato, potranno essere annullati dal Consiglio Costituzionale come contrari alla Costituzione.

Il progetto della legge costituzionale approvato dal Parlamento stabilisce in particolare (nuovo art. 61 Cost., commi 3 e 4) che le leggi finanziarie e le leggi di finanziamento della sicurezza sociale debbano essere sottoposte, prima della loro promulgazione, all’esame del Consiglio costituzionale in merito alla loro conformità alla relativa legge-quadro di equilibrio delle finanze pubbliche e che lo stesso Consiglio costituzionale esamini congiuntamente i due strumenti finanziari annuali prima del 31 dicembre dell’anno nel quale sono state approvate.

Le leggi finanziarie annuali non potranno essere adottate definitivamente in assenza della LCEFP applicabile al relativo esercizio annuale di riferimento e soltanto tali leggi potranno contenere disposizioni relative alla fiscalità (comprese quelle inerenti le imposte delle collettività territoriali) e alle entrate della sicurezza sociale, che non potranno pertanto più essere inserite in modo sparso in differenti testi legislativi[40].

Una volta entrate in vigore le modifiche costituzionali in oggetto, verrà così a configurarsi una piramide normativa in cima alla quale si trova la Costituzione, che fissa un obiettivo di equilibrio; a seguire, una legge organica - conforme alla Costituzione – che determina le modalità di elaborazione delle leggi-quadro di equilibrio delle finanze pubbliche (nuovo art. 34 Cost.), che a loro volta dovranno essere rispettose della Costituzione e delle leggi organiche; infine, le lois de finances e de financement de la sécurité sociale annuali dovranno rispettare Costituzione, leggi organiche e LCEFP. Il Consiglio costituzionale potrà quindi intervenire ad ogni livello della piramide a garantire la conformità costituzionale delle leggi finanziarie.

Nel rispetto dell’obiettivo di equilibrio fissato dalla Costituzione anche un deficit temporaneo dovrà essere accompagnato dalla definizione delle modalità relative al ritorno all’equilibrio.

Il testo approvato introduce, infine, il principio di una trasmissione sistematica all’Assemblea nazionale e al Senato dei programmi di stabilità, prima che siano inviati alla Commissione europea nel quadro della fase preventiva del Patto di stabilità e crescita (nuovo art. 88-8 Cost.).

Prima di entrare in vigore, il “principio” dell’equilibrio di bilancio, così delineato, dovrà tuttavia attendere l’approvazione definitiva del nuovo testo costituzionale, il cui ultimo passaggio è rappresentato o da una eventuale approvazione mediante consultazione referendaria ovvero, su convocazione del Parlamento per iniziativa del Presidente della Repubblica, con l’approvazione delle due Camere riunite in Congresso, che prevede la maggioranza dei tre quinti dei voti espressi (art. 89 Cost.)[41] . Il Parlamento francese dovrebbe essere convocato in seduta congiunta a Versailles per il prossimo autunno.

 

La struttura delle leggi delle finanze

L’art. 34 della Costituzione dispone attualmente che “le leggi delle finanze determinano le entrate e le spese dello Stato nelle condizioni stabilite da una legge organica”. Le regole relative alla predisposizione delle leggi finanziarie sono state profondamente modificate nel 2001 con la Loi organique n. 2001-692 relative aux lois de finances du 1° août 2001 (LOLF). La legge è stata successivamente in parte modificata dalla Loi organique n° 2005-779 du 12 juillet 2005 modifiant la loi organique n° 2001-692 du 1er août 2001 relative aux lois de finances.

La loi de finance è l’atto giuridico che dispone ed autorizza il bilancio dello Stato per un esercizio annuale. Determina nello specifico la natura, il montante e l’attribuzione delle entrate e delle spese dello Stato, nonché l’equilibrio di bilancio che ne deriva (art. 1 LOLF).

La loi de finance, cui può far seguito l’adozione di lois de finances rectificatives, si compone di due parti (art. 34 LOLF).

La prima parte («Condizioni generali di equilibrio finanziario») è relativa all’autorizzazione alla riscossione delle imposte, al calcolo delle entrate, alla determinazione delle spese, alla fissazione dei dati generali dell’equilibrio di bilancio.

La seconda parte («Mezzi delle politiche pubbliche e disposizioni speciali») stabilisce, per ciascuna missione del bilancio dello Stato, l’ammontare degli stanziamenti finanziari. Nella seconda parte è anche fissato il tetto massimo delle autorizzazioni di impiego delle risorse per ogni ministero.

Il bilancio dello Stato è strutturato su tre livelli: la missione (ministeriale o interministeriale); i programmi; le azioni (art. 7 LOLF).

Una “missione”, che è esclusivamente di iniziativa governativa, comprende un insieme di programmi che concorrono alla realizzazione di una politica pubblica definita, che può prevedere il coinvolgimento di più ministeri. Un “programma” comprende gli stanziamenti necessari per la realizzazione di una o più “azioni” che sono coordinate da uno stesso ministero.[42].

L’ultima loi de finance approvata, la loi n. 2010-1657 du 29 décembre 2010 de finances pour 2011, stabilisce per il 2011, per i ministri, a titolo di bilancio generale, la somma di 378.516.018.617 euro per “le autorizzazioni di impegno” e di 368.542.263.048 euro per “i crediti di pagamento” (art. 82). Nell’allegato “Etat B”, riferito all’art. 82 della legge n. 2010-1657, è stabilita la “Ripartizione per missione e programma degli stanziamenti del bilancio generale”.

 

Il contenuto delle “leggi-quadro di equilibrio delle finanze pubbliche”

L’art. 1 del progetto di legge costituzionale relativo all’equilibrio delle finanze pubbliche (TA n.722), recentemente approvato dalle Camere, dispone la modifica dell’art. 34 della Costituzione, introducendo la nuova categoria delle “leggi-quadro di equilibrio delle finanze pubbliche” (LCEFP). In particolare il nuovo art. 34 Cost., previsto nel progetto, stabilisce che le LCEFP, che determinano gli orientamenti delle finanze pubbliche per almeno tre anni, stabiliscano, per ogni anno, un tetto massimo di spese e alcune nuove misure riguardanti le entrate che dovranno essere rispettati dalla legge delle finanze e dalla legge di finanziamento della sicurezza sociale dell’anno di riferimento. Il nuovo art. 34 Cost., previsto nel progetto, stabilisce inoltre che una legge organica avrà il compito di definire il contenuto delle LCEFP. Tale legge organica potrà inoltre stabilire quali altre disposizioni delle LCEFP dovranno essere vincolanti per le leggi delle finanze e di finanziamento della sicurezza sociale. La legge organica definirà inoltre le condizioni nelle quali saranno compensati i differenziali constatati nel corso dell’esecuzione delle leggi delle finanze e di finanziamento della sicurezza sociale.

Germania

Prima delle due riforme costituzionali federaliste del 2006 e del 2009, il principio del pareggio di bilancio era menzionato nell’art. 110, comma 1, della Legge fondamentale, in cui, semplicemente, si stabiliva che nel bilancio preventivo le entrate e le spese dovessero essere pareggiate. L’effettiva costituzionalizzazione di tale principio è avvenuta con la novella dell’art. 109 (già modificato nella prima fase della riforma), l’introduzione del nuovo art. 109a e la modifica dell’art. 115.

Con la prima riforma del federalismo (Föderalismusreform I), del 28 agosto 2006, il nuovo comma 5 dell’art. 109 [Separazione di competenza tra la Federazione e i Länder; principi in materia di bilancio] ha sancito la responsabilità congiunta della Federazione e dei Länder per il rispetto degli obblighi della Germania in relazione al Patto di stabilità europeo, stabilendo che le sanzioni per la violazione delle disposizioni sulla conformità alla disciplina di bilancio, di cui all’art. 104 del Trattato che istituisce la Comunità europea (TCE)[43] , siano sostenute, rispettivamente, in misura del 65% dalla Federazione e del 35% dai Länder. Quest’ultima quota è ulteriormente ripartita in due fasce percentuali: è infatti previsto che tutti i Länder rispondano in via solidale del 35% in rapporto alla rispettiva popolazione, mentre il restante 65% ricada sui Länder che hanno causato la sanzione, in proporzione alla rispettiva responsabilità oggettiva.

Tra le successive modifiche dell’art. 109 introdotte con la seconda riforma del federalismo (Föderalismusreform II), del 29 luglio 2009, assume particolare rilevanza il nuovo comma 3, che impone come regola generale, sia alla Federazione sia ai Länder, il pareggio del bilancio senza ricorrere al prestito. Con tale disposizione, che di fatto introduce un freno all’indebitamento (Schuldenbremse)[44] , viene superata la c.d. golden rule, ossia la possibilità di ricorrere a forme di indebitamento per finanziare le spese in conto capitale, precedentemente prevista dall'art. 115[45] della Legge fondamentale e nelle Costituzioni di numerosi Länder. Le nuove disposizioni costituzionali stabiliscono infatti che, per rispettare i criteri fissati a livello comunitario, il bilancio della Federazione e dei Länder debba essere in equilibrio, con un ricorso all’indebitamento pubblico - consentito solo alla Federazione e non ai Länder - per un massimo dello 0,35% del PIL. Sono ammesse deroghe al principio generale solo nel caso di calamità naturali o in situazioni eccezionali di emergenza che esulano dal controllo dello Stato e compromettono gravemente la sua capacità finanziaria. In questi casi dovrà essere adottato un piano di rientro nei parametri stabiliti non appena cessino le circostanze eccezionali.

In applicazione dei principi enunciati dalla nuova formulazione dell’art. 109, è stato modificato anche l’art. 115 [Ricorso al credito]. Il nuovo comma 2 ribadisce, con riferimento al solo bilancio federale[46], che le entrate e le uscite, di norma, debbano essere portate in pareggio senza ricorrere al prestito e che tale principio venga salvaguardato se le entrate da prestiti non superino la soglia dello 0,35% del PIL (c.d. freno all’indebitamento). La nuova formulazione è poi particolarmente dettagliata: in presenza di andamenti congiunturali che deviano dalle condizioni di normalità, le nuove disposizioni impongono che si tenga conto in modo simmetrico degli effetti sul bilancio, sia nelle fasi di ripresa che nelle fasi di declino. In particolare, nelle circostanze in cui il bilancio federale richieda il ricorso ad un indebitamento pubblico superiore ai parametri stabiliti, gli scostamenti del ricorso effettivo al credito dalla soglia massima consentita vengono registrati su un apposito conto di controllo; gli addebiti che superano la soglia dell’1,5% rispetto al prodotto interno lordo nominale devono essere quindi ridimensionati, tenuto conto dell'evoluzione del ciclo congiunturale. Nelle situazioni derivanti da disastri naturali o emergenze straordinarie, la deroga dovrà essere autorizzata con una decisione adottata dal Bundestag a maggioranza assoluta. Tale deliberazione deve inoltre essere collegata a un piano di ammortamento e il rimborso dei prestiti accesi deve avvenire entro un lasso di tempo adeguato.

I limiti previsti nelle nuove disposizioni contenute negli articoli 109 e 115 sono accompagnati da un sistema volto a prevenire gli indebitamenti eccessivi, ovvero un meccanismo di early warning cooperativo. È stato infatti introdotto un nuovo art. 109a [Emergenze di bilancio], ai sensi del quale, al fine di evitare un’emergenza di bilancio, possono essere emanate con legge federale bicamerale (c.d. Zustimmungsgesetz, legge che richiede necessariamente anche il consenso da parte del Bundesrat) disposizioni che riguardano: il controllo continuo della gestione di bilancio della Federazione e dei Länder da parte di un organismo comune (Consiglio di stabilità - Stabilitätsrat); le condizioni e le procedure per l’accertamento di un’imminente emergenza di bilancio; i principi regolanti l’elaborazione e l’attuazione di programmi di risanamento intesi a prevenire emergenze di bilancio.

In attuazione dell’art. 109, il 10 agosto 2009 è stata approvata l’apposita legge federale di esecuzione volta ad istituire un Consiglio di stabilità e ad evitare emergenze di bilancio (Gesetz sur Errichtung eines Stabilitätsrates und zur Vermeidung von Haushaltsnotlagen). in vigore dal 1° gennaio 2010. Il Consiglio di stabilità, costituitosi il 28 aprile 2010, è composto dal Ministro federale delle finanze, dal Ministro federale dell’economia e dell’innovazione tecnologica e dai ministri finanziari dei singoli Länder. Le riunioni del Consiglio si svolgono a seconda delle necessità, ma non meno di due volte l’anno. Il principale compito del Consiglio di stabilità, che ha acquisito anche le competenze del disciolto Consiglio di pianificazione finanziaria (Finanzplanungsrat), consiste nel valutare la situazione economica della Federazione e dei Länder monitorando la loro gestione finanziaria, con particolare riguardo ai progressi compiuti nel risanamento dai cinque Länder (Brema, Berlino, Saarland, Sassonia-Anhalt e Schleswig-Holstein) che, ai sensi dell’art. 143d, comma 2, hanno ottenuto sovvenzioni supplementari[47] a causa del loro particolare dissesto finanziario. Le nuove disposizioni costituzionali prevedono che la concessione degli aiuti sia subordinata al rientro totale dei deficit di finanziamento entro la fine del 2020. A tale scopo il Consiglio elabora rapporti annuali, concordando le misure eccezionali da adottare nei casi di deroga ai parametri di risanamento previsti dalla riforma. Nella prossima riunione, che avrà luogo nel novembre 2011, è infatti previsto che siano concordati programmi di risanamento (Sanierungsprogramme) di durata quinquennale, che il Comitato di valutazione (Evaluationsausschuss) interno al Consiglio sta esaminando e discutendo nel dettaglio con i Länder interessati.

Per quanto riguarda, infine, l’entrata in vigore della nuova disciplina costituzionale di bilancio, il già citato art. 143d, comma 1, stabilisce che il freno sul debito sia applicato a partire dal bilancio per il 2011, ma prevede due periodi transitori di avvicinamento progressivo agli obiettivi, che termineranno nel 2016 per la Federazione e nel 2020 per i Länder.

 

Spagna

Il 26 agosto 2011 è stato presentato al Congresso dei deputati un disegno di legge volto a modificare l’art. 135 della Costituzione spagnola, al fine di inserirvi il principio della stabilità di bilancio. Esso è stato approvato il 2 settembre dal Congresso ed il 7 settembre dal Senato. Essendo decorsi quindici giorni dalla sua approvazione, senza che sia stato chiesto un eventuale referendum per ratifica da parte di un decimo dei membri di una delle due Camere, ai sensi dell’art. 167 della Costituzione, la riforma dell’art. 135 è stata pubblicata ed è entrata in vigore il 27 settembre (Reforma del artículo 135 de la Constitución Española, de 27 de septiembre de 2011).

Tale riforma prevede che tutte le amministrazioni pubbliche si adeguino al principio della stabilità di bilancio (estabilidad presupuestaria) (art. 135, comma 1) e che lo Stato e le Comunità autonome non possano incorrere in un deficit strutturale che superi i margini stabiliti dall’Unione europea (comma 2). Una legge organica fisserà il limite massimo del deficit strutturale dello Stato e delle Comunità autonome secondo il rispettivo prodotto interno lordo. Anche gli enti locali dovranno mantenere un equilibrio di bilancio (comma 2). Inoltre lo Stato e le Comunità dovranno essere autorizzati per legge all’emissione di debito pubblico (comma 3). Una legge organica darà attuazione ai principi contenuti nell’art. 135 (comma 5). Ai sensi della disposizione aggiuntiva unica della riforma costituzionale, la legge organica prevista dall’art. 135 della Costituzione dovrà essere approvata entro il 30 giugno 2012, essa prevederà i meccanismi che permettano di adempiere al limite di debito previsto dal comma 3 dell’art. 135, inoltre i limiti di deficit strutturali previsti dal comma 2 entreranno in vigore a decorrere dall’anno 2020.

Prima di tale riforma, la Costituzione spagnola non contemplava espressamente l’obbligo del pareggio di bilancio. L’art. 134, comma 2, della Costituzione[48], prevede che “il Bilancio Generale di previsione dello Stato sarà annuale, comprenderà la totalità delle spese ed entrate del settore pubblico statale, e in esso sarà indicato l’importo delle agevolazioni fiscali che interessino i tributi statali”. Il comma 4 aggiunge che “approvato il Bilancio Generale dello Stato, il Governo potrà introdurre progetti di legge che comportino aumento della spesa pubblica o diminuzione delle entrate relative al medesimo esercizio”; inoltre “ogni proposta o emendamento che comporti aumento dei crediti o diminuzione delle entrate di bilancio richiederà, per aver corso, l’accettazione del Governo” (comma 6), mentre “la Legge di Bilancio non può istituire imposte. Potrà modificarle qualora una legge tributaria sostanziale lo preveda” (comma 7).

Previsioni normative relative alla stabilità dei bilanci sono inoltre presenti a livello di legislazione ordinaria ed organica[49].

In materia di bilancio del settore pubblico[50] vige infatti il Real Decreto Legislativo 2/2007, de 28 de diciembre, por el que se aprueba el texto refundido de la Ley General de Estabilidad Presupuestaria[51], il cui art. 3 stabilisce il principio della stabilità di bilancio (estabilidad presupuestaria). L’art. 8 sancisce il perseguimento dell’obiettivo di stabilità di bilancio: nel primo semestre di ogni anno, il Governo, mediante accordo in Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, e previo rapporto del Consiglio di politica fiscale e finanziaria delle Comunità autonome (Consejo de Política Fiscal y Financiera de las Comunidades Autónomas)[52]e della Commissione nazionale dell’amministrazione locale (Comisión Nacional de Administración Local)[53], fissa l’obiettivo di stabilità di bilancio riferito ai tre esercizi successivi[54].

L’art. 14 disciplina la correzione della situazione di inadempienza dell’obiettivo di stabilità, prevedendo che, per il settore pubblico statale - nel caso di bilanci che presentino un deficit maggiore di quello fissato - il Governo rimetta al Parlamento un piano economico-finanziario di riequilibrio, contenente la definizione di politiche di entrate e di uscite da applicare per correggere la situazione, al massimo entro i tre esercizi di bilancio successivi.

L’art. 20 prevede l’obiettivo di stabilità di bilancio per gli enti locali, la cui proposta spetta al Ministro dell’economia e delle finanze; essa deve essere approvata dal Governo, previo rapporto della Commissione nazionale dell’amministrazione locale. Ai sensi dell’art. 22, gli enti locali che non abbiano rispettato l’obiettivo di stabilità fissato sono obbligati all’approvazione, da parte del rispettivo Consiglio, di un piano finanziario di riequilibrio entro un termine massimo di tre anni. In questo piano devono essere indicate le attività da realizzare e le misure da adottare in relazione alla regolazione, esecuzione e gestione delle spese e delle entrate, che permettano di garantire il ritorno a una situazione di stabilità di bilancio.

Per quanto concerne le Comunità autonome, è vigente inoltre la Ley Orgánica 5/2001, de 13 de diciembre, complementaria a la Ley General de Estabilidad Presupuestaria.

In particolare, l’art. 3 della legge organica è relativo al principio della stabilità di bilancio delle Comunità. Esso prevede che l’elaborazione, l’approvazione e l’esecuzione dei bilanci delle Comunità autonome si realizzi generalmente in equilibrio o in attivo. L’art. 7 prevede che, nel caso di rischio di inadempienza all’obiettivo di stabilità, il Governo possa formulare un’avvertenza alla Comunità autonoma, di cui è informato anche il Consiglio di politica fiscale e finanziaria delle Comunità autonome. L’inadempienza dell’obiettivo comporta la predisposizione di un piano economico-finanziario di riequilibrio entro i tre anni successivi. Ai sensi dell’art. 8, le Comunità autonome che abbiano approvato dei bilanci, con un deficit maggiore rispetto a quello fissato, sono obbligate ad elaborare un piano economico-finanziario di riequilibrio.

 

 

 

 


I precedenti tentativi di riforma dell’art. 81 Cost.

L’articolo 81 Cost. è stato oggetto di diverse ipotesi di modifica, prevalentemente nell’ambito di più generali progetti di riforma costituzionale.

 

La Commissione Bozzi nel 1985 propose una profonda revisione dell’articolo 81 Cost. prevedendo tra l’altro di costituzionalizzare:

§      il bilancio quinquennale;

§      il pareggio di parte corrente affermando che «…nei bilanci dello Stato e degli enti pubblici le spese correnti non possono superare il gettito delle entrate tributarie ed extratributarie»;

§      la prevalenza del voto palese sulle deliberazioni parlamentari che importino variazioni di entrate o di spese;

§      l’introduzione di una deliberazione parlamentare sul limite massimo dell’autorizzazione a contrarre prestiti per i 5 anni successivi.

 

Di portata più limitata, ma assai significative, le modifiche proposte dalla Commissione Parlamentare per le riforme istituzionali (De Mita-Iotti) del 1993, tra cui:

§      l’introduzione del principio dell’equilibrio finanziario del bilancio di parte corrente;

§      l’ammissibilità degli emendamenti della manovra nell’ambito dei saldi previamente fissati;

§      l’obbligo di copertura finanziaria per l’intero periodo di efficacia delle leggi di spesa, nel rispetto dei limiti al ricorso all’indebitamento fissati in bilancio.

La proposta prevedeva, per l’attuazione dell’articolo 81, una riserva di legge “rinforzata”, ossia di una legge che non avrebbe potuto essere abrogata o modificata dalle leggi di bilancio, né dalle leggi di spesa o di entrata.

 

La modifica dell’art. 81 Cost. è stata oggetto di esame anche da parte della bicamerale D’Alema del 1997.

Il documento trasmesso al Parlamento dalla Commissione il 4 novembre 1997 ha previsto che «Il ricorso all'indebitamento è ammesso solo per spese di investimento o in caso di eventi straordinari con conseguenze finanziarie eccezionali» e ha stabilito che «Le leggi in materia di contabilità pubblica non possono essere modificate da leggi di spesa o di entrata». Inoltre, ha proposto di introdurre la facoltà per il Governo di opporsi a disposizioni che comportano nuovi oneri. Le Camere possono superare l’opposizione del Governo unicamente con un voto a maggioranza assoluta dei componenti.

Viene poi disposta una differenziazione tra Camera e Senato in materia di esame dei progetti di leggi sulla finanza pubblica: questi sono esaminati prima dalla Camera e poi dal Senato, in composizione integrata con rappresentanti delle regioni e degli enti locali. Alla Camera spetta deliberare in via definitiva.

 

Tra le proposte di legge dirette specificatamente a modificare l’art. 81 Cost. si ricorda quella elaborata alla fine della XIII legislatura dal Ministro per le riforme istituzionali pro tempore Maccanico (ma non presentata alle Camere) finalizzata a riassorbire i contenuti della legge finanziaria all’interno della legge di bilancio, a richiamare i principi di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza, ed a consentire di superare l’opposizione del Governo alle leggi di spesa con una maggioranza qualificata.

 

Si riporta di seguito il testo della bozza di disegno di legge Maccanico:

Art. 81

Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo.

L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi.

La legge di bilancio definisce annualmente il quadro di riferimento della finanza pubblica in un orizzonte annuale e pluriennale in coerenza con gli obiettivi di sviluppo e di coesione della politica economica nazionale; definisce gli indirizzi delle politiche pubbliche per quanto riguarda le entrate e le conseguenti spese, stabilendo la ripartizione delle risorse per funzione e centri di responsabilità, con la indicazione degli obiettivi della gestione e dell’attività amministrativa in riferimento al livello dei servizi finali resi ai cittadini; definisce le previsioni di entrata e le autorizzazioni di spesa annuali dello Stato; assume le decisioni per la manovra annuale di bilancio introducendo le necessarie modificazioni quantitative per l’entrata, nel quadro dell’ordinamento tributario e contributivo, e le necessarie modulazioni alla legislazione di spesa; definisce i saldi del bilancio annuale dello Stato compatibili con l’equilibrio complessivo della finanza pubblica della Repubblica, nel rispetto dei principi di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza.

Non sono ammissibili emendamenti di modifica dei saldi di bilancio. I regolamenti parlamentari determinano limiti all’ammissibilità di altri emendamenti di iniziativa parlamentare.

Se il rendiconto presentato dal Governo per l’anno precedente comporta disavanzi aggiuntivi si provvede con la legge di bilancio successiva.

 

 

 


 

I lavori preparatori degli articoli 53, 81 e 119 Cost.

Articolo 53 Cost.

L’articolo 53, non presente nel progetto di Costituzione elaborato dalla Commissione dei 75, ha origine da differenti proposte di alcuni articoli aggiuntivi alla Prima parte della Costituzione riguardanti la materia tributaria e discussi dal plenum dell’Assemblea costituente nella seduta del 23 maggio 1947.

All’inizio della seduta, le diverse formulazioni del primo articolo aggiuntivo volto a introdurre il principio della capacità contributiva vennero unificate in una nuova formulazione – che sarà poi quella approvata - concordata tra gli on. Scoca, Luigi Meda, Grieco, Laconi e Edgardo Castelli ed accettata dalla Commissione dei 75.

Le proposte emendative nascevano dalla costatazione, rilevata dall’on. Scoca, della pressoché assenza nel progetto di Costituzione della materia finanziaria: la Costituzione non poteva però ignorare un “fenomeno generale, che tocca tutti in misura sempre più notevole”. Del resto anche lo Statuto albertino conteneva diverse disposizioni in proposito, alcune delle quali hanno fornito lo spunto per le proposte emendative presentate in Assemblea.

L’on. Ruini, presidente della Commissione dei 75, nel suo intervento in Assemblea, riassunse il contenuto della discussione in materia fiscale svolta in Commissione. In quella sede venne rappresentata l’esigenza di introdurre norme fiscali nella Carta fondamentale. Una prima questione affrontata fu quella della collocazione di tali norme. Alcuni membri manifestarono la preferenza per raggruppare le norme tributarie in una collocazione specifica: la Commissione non accolse questa impostazione, ma ritenne di distribuire razionalmente le diverse disposizioni “nel luogo dove dovevano essere collocare nella Costituzione”, ricordano, a proposito, che lo stesso Statuto albertino, invocato da Scoca, “non riunisce insieme le norme fiscali” ma “le colloca nelle varie posizioni, dove è necessario ed opportuno”.

Entrando nel merito dell’articolo, Ruini ricordò che la Commissione aveva nel corso dei lavori aveva esaminato la questione dei criteri direttivi dell’imposizione tributaria. Sul punto il Ministero della Costituente aveva raggiunto una conclusione negativa per l’inserzione di tali norme nella Costituzione e la Commissione non aveva ritenuto necessario introdurre concetti “già acquisiti e molto ovvi”. Tuttavia, le varie proposte presentate hanno indotto la Commissione ha prendere in considerazione la questione e arrivando alla conclusione di appoggiare la citata formulazione congiunta sopra citata, di carattere programmatico, in luogo delle proposte emendative originarie, più articolate e talvolta recanti disposizioni precettive.

L’on. Scoca mise in rilievo il carattere profondamente innovativo dell’articolo aggiuntivo rispetto allo Statuto: mentre, infatti, la Carta del 1848 enunciava il principio della generalità e dell’uniformità dell’imposta, collegandola alla regola della proporzionalità dell’imposta stessa, la nuova Costituzione avrebbe dovuto accogliere il principio opposto della progressività dell’imposta, “un principio informato a un criterio più democratico, più aderente alla coscienza della solidarietà sociale e più conforme alla evoluzione delle legislazioni più progredite”.

La formulazione originaria dell’emendamento Scoca risentiva di questa impostazione laddove prevedeva che “tutti debbono concorrere alle spese pubbliche in modo che l’onere tributario complessivo gravante su ciascuno risulti informato al criterio della progressività. Ciò a significare – chiarì Scoca – che la progressione applicata a livello globale aveva l’obiettivo di correggere l’iniquità derivanti soprattutto dalle imposte sui consumi.

Inoltre, l’articolo aggiuntivo Scoca prevedeva:

§         l’introduzione del reddito minimo necessario all’esistenza, anche in considerazione dei carichi di famiglia e l’esenzione, o la riduzione, delle imposte volte a garantire tale reddito minimo;

§      l’intangibilità del principio della generalità dell’imposta.

L’on. Scoca ritenne che le specificazioni contenute nella sua proposta fossero sufficientemente riassunte nell’articolo concordato con la Commissione, ad eccezione di una: l’articolo originario prevedeva che potessero essere stabilite eccezioni al principio di uguaglianza tributaria esclusivamente per “scopi di interesse pubblico” e con legge approvata a maggioranza assoluta dalle Camere.

L’Assemblea, su proposta di Ruini, convenne nel rinviare la discussione sul punto al momento di esaminare l’articolo relativo alla legge finanziaria. Tuttavia, in quella sede non risulta essere stato discusso tale argomento (seduta del 17 ottobre 1947).

L’on. Ruini, nell’intervento citato, chiarì alcuni punti fondamentali della discussione.

Innanzitutto, spiegò che il criterio della progressività dovesse essere inteso non applicabile a tutti i singoli tributi, bensì all’insieme del sistema tributario, ciò in quanto alcuni tributi, principalmente quelli diretti, non possono essere per loro natura applicati in modo progressivo.

In secondo luogo, caldeggiò la formula della capacità contributiva, ritenendo che in essa si dovesse considerare compreso anche il principio delle esenzioni e delle limitazioni per i meno abbienti proposto dall’on. Scoca.

In terzo luogo, in relazione alla proposta Castelli, volta a specificare che anche gli stranieri sono soggetti all’imposizione fiscale, chiarì che l’espressione “tutti”, presente nel testo concordato, riguardasse necessariamente anche i non cittadini, in coerenza con altre parti del testo costituzionale.

Da segnalare, infine, l’intervento dell’on. Corbino che, pur favorevole alla formulazione dell’articolo come concordata, rappresentò la necessità di passare dal sistema di tassazione duplice, basato su tributi reali e personali, ad un sistema di tassazione unico, in modo da garantire l’effettività dell’applicazione del principio di progressività.

A ciò replicò l’on. Ruini, ribadendo il concetto che il dettato costituzionale era testo a garantire la progressività del sistema fiscale nel suo complesso, senza dover ad ogni costo impedire la presenza di elementi di proporzionalità insiti nella natura di alcuni tributi.

Articolo 81 Cost.

L'articolo 81 della Costituzione detta i principi basilari della disciplina costituzionale in materia di bilancio e di finanza pubblica.

Nel corso dei lavori dell'Assemblea Costituente esso fu esaminato dalla Seconda Sottocommissione, nell'ambito della discussione sul problema dell'iniziativa legislativa, nella seduta del 24 ottobre 1946, e dalla Assemblea nella seduta del 17 ottobre 1947, in cui venne approvato.

Il primo comma ("Le Camere approvano ogni anno i bilanci ed il rendiconto consuntivo presentati dal Governo") disciplina i rapporti costituzionali fra Governo e Parlamento e le loro relative attribuzioni in ordine alla decisione di bilancio.

Da esso derivano i principi della annualità del bilancio e della sua decisione parlamentare e dell'obbligo di rendicontazione, e della unità ed unitarietà del bilancio. In realtà la formulazione della norma su questo punto specifico ha dato luogo a molteplici dubbi interpretativi, in quanto essa fa riferimento ai "bilanci" e appare perciò in contrasto con il principio suddetto. Il riferimento ai "bilanci" anziché al bilancio è per altro da intendersi quale obbligo di redigere un bilancio articolato al suo interno in partizioni corrispondenti ai singoli ministeri.

Il primo comma dell'articolo 81 introduce, inoltre, il principio della esclusività della competenza del Governo in relazione alla predisposizione ed alla presentazione alle Camere del disegno di legge di bilancio.

In seno alla Seconda Sottocommissione venne discusso il problema se dovesse spettare alla prima Camera (alla Camera dei deputati) la priorità nell'esame e nell'approvazione del bilancio; in questo senso si pronunciarono gli on. Nobile e Targetti. Prevalse invece la tesi favorevole all'attribuzione di eguali poteri alle due Camere anche in materia finanziaria, come conseguenza della perfetta parità ad esse riconosciuta.

Il secondo comma ("L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi") introduce l'istituto dell'esercizio provvisorio, volto da un lato a salvaguardare la continuità dell'azione governativa ed amministrativa nelle more dell'approvazione della legge di bilancio, e dall'altro a garantire la funzione di indirizzo riservata al Parlamento.

La formulazione definitiva del secondo comma dell'art. 81 deriva da un emendamento, presentato in sede di Assemblea Costituente dall'on. Bertone, al testo originario del progetto il quale prevedeva la concessione dell'esercizio provvisorio "una sola volta e per un periodo non superiore a quattro mesi". L'emendamento dell'on. Bertone aveva lo scopo di rendere possibili richieste di autorizzazione all'esercizio provvisorio anche per periodi più brevi. Esso venne favorevolmente accolto dall'on. Ruini (Presidente della Commissione per la Costituzione) in quanto idoneo ad impedire possibilità di equivoci, insite nel testo del progetto, circa il fatto che l'esercizio provvisorio non potesse essere chiesto ed accordato per un periodo inferiore a quattro mesi.

Il terzo comma ("Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese") pone un preciso vincolo all'ampiezza delle determinazioni assumibili con la legge di bilancio. Esso si pone in linea con una lunga serie di disposizioni legislative che avevano progressivamente limitato la capacità di innovare alla legislazione di entrata e di spesa per mezzo della legge di bilancio.

Nel corso della discussione in Assemblea, l'on. Buffoni propose la soppressione del terzo comma dell'art. 81 (già articolo 77 del progetto), non ritenendo opportuno statuire a livello costituzionale il principio del divieto di determinazione di aumenti di spesa al momento della approvazione di un capitolo di bilancio. Sulla proposta dell'on. Buffoni espresse parere contrario l'on. Ruini (Presidente della Commissione per la Costituzione) rilevando l'essere "una norma di correttezza contabile ammessa nei Paesi più ordinati, che sia tolta la possibilità di varare, confondendoli con i bilanci, omnibus di provvedimenti anche tributari" e ribadendo il principio per cui le Camere in sede di approvazione del bilancio possono solamente aumentare o diminuire le cifre iscritte nei singoli capitoli, ma non anche aumentare o modificare le imposte che sono regolate da apposite leggi e neppure alterare le leggi generali di autorizzazione delle spese.

Il quarto comma dell'art. 81 ("Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte") fu introdotto dalla Seconda Sottocomissione in sede di discussione dell'istituto dell'iniziativa legislativa.

Fu l'on. Einaudi a sottolineare l'opportunità di limitare al Governo l'iniziativa in materia di spesa, negandola ai membri delle due Camere (Seconda Sottocommissione, seduta del 24 ottobre 1946), in quanto l'esperienza dimostrava che "mentre una volta erano le Camere che resistevano alle pro- poste di spesa da parte del Governo, negli ultimi tempi spesso è avvenuto che proprio i deputati, per rendersi popolari, hanno proposto spese senza nemmeno rendersi conto dei mezzi necessari per fronteggiarle". In ragione di ciò, l'on. Einaudi prospettava due soluzioni: "o negare ai deputati delle due Camere il diritto di fare proposte di spesa, ovvero obbligarli ad accompagnarle con la proposta correlativa di entrata a copertura della spesa.".

L'on. Mortati (relatore), intervenendo dopo l'on. Einaudi, dichiarò di aver già predisposto un articolo del seguente tenore: "I progetti i quali importino oneri finanziari non potranno essere presi in esame ove non siano accompagnati dalla proposta relativa ai mezzi necessari per coprire la spesa corrispondente". La proposta degli on. Einaudi e Mortati ebbe il sostegno dell'on. Vanoni, il quale fece presente che identica norma era già contenuta nella legge sulla contabilità di Stato (l'art. 43 della legge di contabilità, R.D. n. 2240 del 1923) e che la Commissione di tecnici istituita presso il Ministero della Costituente per lo studio dei problemi in materia finanziaria aveva sottolineato a sua volta l'opportunità che nella Costituzione venisse sancito l'obbligo in parola, come garanzia della tendenza al pareggio di bilancio.

Gli on. Mortati e Vanoni proposero dunque una formula concordata, cui diede il suo assenso anche l'on. Einaudi, del seguente tenore: "Le leggi le quali importino maggiori oneri finanziari devono provvedere ai mezzi necessari per fronteggiarli".

Tale formula sembrò tuttavia eccessivamente drastica alla Sottocommissione, in quanto capace di invalidare, come rilevò l'on. Perassi, ogni legge che non rispondesse all'obbligo di provvedere ai mezzi con cui fare fronte alle spese. Venne quindi in ultimo accettata la proposta dell'on. Bozzi (attuale testo del quarto comma dell'art. 81) che, parafrasando l'art. 43 della legge sulla contabilità di Stato, impone l'obbligo per le proposte di nuove e maggiori spese e per le leggi che le approvano di "indicare" i mezzi necessari per far fronte alle spese stesse.

 

Articolo 119 Cost.

Il testo vigente dell’articolo 119 è stato interamente sostituito dalla L. cost. n. 3/2001 (art. 5), nell’ambito nella più ampia riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione relativa alle autonomie territoriali.

L’attuale formulazione del testo trova origine, nei suoi tratti essenziali, già nel disegno di legge governativo (AC 5830) che, insieme ad altre proposte di iniziativa parlamentare, venne discusso nel corso della XIII legislatura.

Infatti, già il testo del Governo stabiliva nel nuovo articolo 119 della Costituzione (art. 7) l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni “nell’ambito delle leggi dello Stato”. Si prevedeva, inoltre, l’applicazione da parte di Regioni ed enti locali di tributi ed entrate propri, nonché la compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. Veniva inoltre proposta l’istituzione del fondo perequativo senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale e la possibilità di interventi aggiuntivi da parte dello Stato. Infine, il testo del governo stabiliva che enti locali e Regioni hanno un proprio patrimonio e possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con formulazione identica a quella dell’attuale ultimo comma dell’articolo 119.

In sede parlamentare, le modifiche introdotte risultano pertanto circoscritte ad alcuni aspetti. Rispetto al citato ddl del governo, il testo unificato elaborato in seno al Comitato ristretto, e adottato come testo base dalla I Commissione Affari costituzionali nella seduta del 27 ottobre 1999, introduce il principio del finanziamento «integrale» delle funzioni di regioni ed enti locali. Un ulteriore mutamento intervenuto rispetto al testo di riforma proposto dal governo attiene alla scelta della Commissione di rafforzare il riconoscimento dell’autonomia finanziaria delle autonomie territoriali, eliminando ogni riferimento al ruolo della legge statale ordinaria nel comma primo dell’articolo 119. Nella relazione della I Commissione sul testo unificato per l’Assemblea è stato evidenziato in merito alla formulazione dell’articolo, «il fattivo contributo del gruppo di Forza Italia, e in particolar modo dell’onorevole Tremonti».

La discussione generale sul testo unificato delle proposte di riforma costituzionale in Assemblea registrava, sul punto del federalismo fiscale, la posizione critica in particolare della Lega. I temi maggiormente discussi (nelle sedute del 21 e del 26 settembre 2000) e oggetto delle proposte emendative presentate delle forze di opposizione, riunite nella Casa delle libertà e nella Lega, sono stati due.

Il primo atteneva alla distribuzione della potestà tributaria tra i diversi livelli di governo. In particolare, negli emendamenti 7.37, presentato dall’on. Tremonti e 7.111, presentato dall’on. Pisanu, respinti dalla Camera, era ben rappresentata la proposta della Casa delle libertà di basare il sistema fiscale su due livelli principali, uno statale e l’altro regionale, per l’esercizio delle funzioni legislative e amministrative nelle materie di esclusiva competenza, rispettivamente, dello Stato e delle regioni; e conseguentemente eliminare il principio della compartecipazione. Altri emendamenti erano tesi a predeterminare in Costituzione quote fisse di risorse fiscali attribuite ai diversi livelli di autonomia.

La seconda questione sulla quale si sono concentrate le proposte emendative riguardava i criteri in base ai quali esercitare la funzione perequativa: su questo tema, con numerose proposte, la Casa delle libertà aveva richiesto di introdurre nel testo una diversa specificazione dei vincoli, dei limiti e della destinazione del fondo perequativo di cui al terzo comma dell’articolo 119 - ad esempio prevedendo l’ammontare del gettito destinato alla perequazione o inserendo specifici vincoli di destinazione - nonché degli interventi aggiuntivi da parte dello Stato ai sensi del quinto comma.

In merito al limite all’indebitamento delle regioni e degli enti locali, sancito dall’ultimo comma dell’articolo 119, il dibattito si è incentrato sull’opportunità di estendere tale vincolo allo Stato.

All’esito della discussione, gli unici due emendamenti approvati dall’Aula sono stati presentati della Commissione. Con il primo (7.115) è stata integrata la previsione del secondo comma precisando che la potestà tributaria si esercita «in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario». Con il secondo (7.116), sub emendato dal Governo, è stata completata la norma di chiusura del “federalismo solidale”, di cui al quinto comma, con la previsione che le risorse aggiuntive e gli interventi speciali servono anche a promuovere la solidarietà sociale e l’effettivo esercizio dei diritti della persona, nonché a rimuovere gli squilibri economici e sociali.

Pertanto, il testo della riforma costituzionale dell’articolo 119, approvato dalla Camera in prima lettura nella seduta del 26 settembre, non ha subito alcuna modifica nelle letture successive.

Da ultimo, si segnala che nel corso del XIV legislatura, il Parlamento è tornato a riflettere sulla riforma costituzionale nell’ambito dell’indagine conoscitiva sugli effetti nell’ordinamento delle revisioni del Titolo V Cost., svolta dalla Commissione Affari costituzionali del Senato della Repubblica.

In tale sede e con specifico riferimento all’attuazione dell’articolo 119 Cost., è emersa la preoccupazione di riaffermare la corresponsabilità di tutti i livelli di governo nel mantenimento della stabilità. Secondo un’opinione affermata nel corso delle audizioni svolte nell’ambito dell’indagine[55], si sarebbe dovuto affermare il principio del pareggio del bilancio di ciascun ente al netto degli investimenti ed esaminare la possibilità di subordinare l’accesso all’indebitamento per gli investimenti al rispetto del vincolo di bilancio.

 

 

 

 



[1]Legge costituzionale 18 ottobre-2001 n. 3, Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione. L’art. 11, comma 1, prevede che, sino alla revisione delle norme del titolo I della parte seconda della Costituzione, i regolamenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica possono prevedere la partecipazione di rappresentanti delle Regioni, delle Province autonome e degli enti locali alla Commissione parlamentare per le questioni regionali. Il comma 2 stabilisce che, quando un progetto di legge riguardante le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e all'articolo 119 della Costituzione contenga disposizioni sulle quali la Commissione parlamentare per le questioni regionali, integrata ai sensi del comma 1, abbia espresso parere contrario o parere favorevole condizionato all'introduzione di modificazioni specificamente formulate, e la Commissione che ha svolto l'esame in sede referente non vi si sia adeguata, sulle corrispondenti parti del progetto di legge l'Assemblea delibera a maggioranza assoluta dei suoi componenti.

 

[2]    Tutte le pubbliche amministrazioni o solo quelle dotate di autonomia finanziaria. Per le amministrazioni locali si ricorda inoltre la possibilità di estendere o meno i predetti principi alle società partecipate, nonché agli enti formati dall’unione di diverse realtà amministrative locali.

[3]    Si vedano in proposito le implicazioni sul debito discendenti dalla scelta del saldo cui riferire il vincolo del pareggio (cfr. infra).

[4]    Saldo di bilancio al netto della spesa per interessi.

[5]Si ricorda in proposito che la disciplina europea ha definito regole fiscali sotto forma di limiti numerici per specifici indicatori di finanza pubblica: in particolare, sono state definite soglie massime per il saldo di indebitamento netto e per il debito delle pubbliche amministrazioni.

Entrambi gli indicatori sono definiti sulla base di criteri dettati dal sistema di contabilità europea (SEC 95) e fanno riferimento all’intero settore delle amministrazioni pubbliche, individuate sulla base del medesimo sistema contabile. In particolare, l’indebitamento netto è il saldo complessivo tra entrate e uscite nel conto economico delle pubbliche amministrazioni: esso indica quindi le risorse che è necessario acquisire per finanziare le attività del settore, con riferimento al complesso delle operazioni economiche poste in essere dagli enti che lo compongono. Per debito delle pubbliche amministrazioni si intende invece il debito consolidato lordo, ossia il valore nominale di tutte le passività in essere in un determinato momento, consolidato all’interno e tra i sotto-settori della p.a. e al lordo delle attività del settore.

 

[6] Il Parlamento è destinatario tuttavia della relazione del Ministro dell’economia e delle finanze,

che dà conto delle cause degli scostamenti e fornisce altresì elementi “anche ai fini della revisione dei dati e dei metodi utilizzati per la quantificazione”.

[7]Tale posizione è stata esplicitata nella circolare n. 22 del 2010 della Ragioneria generale dello Stato, in base alla quale la clausola potrà operare:

a) nell’ambito dello stesso onere previsto dalla norma, prevedendone la riduzione (ad esempio rivedendo l’ammontare della spesa/prestazione a favore del singolo soggetto interessato, oppure riducendo la platea dei beneficiari ridefinendo in maniera più stringente i requisiti di accesso al beneficio, ecc.);

b) al di fuori dell’onere previsto dalla norma, attraverso un incremento della copertura, rafforzando quella prevista nella clausola finanziaria o ricorrendo a diversa modalità. In quest’ultimo caso, la clausola di salvaguardia può agire nell’ambito dello stesso settore economico in cui opera il provvedimento ovvero in un altro settore, attraverso l’incremento di entrate o la riduzione di spese, eventualmente nell’ambito della stessa amministrazione/missione/programma.

[8] Art. 40 legge n. 196/2009.

[9] Per quanto riguarda il settore della p.a., il fabbisogno delle pubbliche amministrazioni viene considerato l’indicatore più prossimo a rilevare la variazione annua del debito della p.a. Le due grandezze tuttavia non coincidono del tutto. Le differenze tra le stesse sono dovute in primo luogo al diverso trattamento riservato ai depositi delle Amministrazioni pubbliche presso la Banca d'Italia; il fabbisogno è ottenuto infatti come variazione del debito al netto della variazione dei depositi presso la Banca d'Italia. Il fabbisogno e la variazione del debito differiscono inoltre per i diversi criteri contabili adottati nel computo delle due statistiche. In particolare: a) nel fabbisogno, con l'eccezione dei BOT, le emissioni di titoli sono valutate al "netto ricavo", mentre nel debito esse sono incluse al valore nominale; b) nel fabbisogno le passività denominate in valuta diversa da quella nazionale sono convertite al tasso di cambio vigente al momento della regolazione dell'operazione.

[10] Cfr. Ministero dell’economia e delle finanze- Dipartimento della Ragioneria Generale dello stato, I principali saldi di finanza pubblica, Strumenti e metodi, n. 1, pag. 37.

[11] Secondo quanto previsto dal Reg (CE) n. 1466/97, l'obiettivo di medio termine (MTO) consiste nel livello di indebitamento netto strutturale tale da garantire un margine di sicurezza rispetto al rischio di incorrere in un disavanzo eccessivo (superare il limite del 3 per cento imposto dai Trattati) e tale da assicurare un ritmo certo di avvicinamento ad una situazione di sostenibilità. Inoltre, il raggiungimento dell'MTO viene considerato necessario per lasciare spazio, nelle situazioni normali, ad interventi specifici di politica di bilancio, in particolare alla spesa per investimenti. Ciascuno Stato membro ha un MTO differenziato, che può divergere dal requisito di un saldo al pareggio o in attivo: in linea generale, esso dovrebbe essere compreso tra un disavanzo dell'1 per cento e un equilibrio o surplus di bilancio. Per l’Italia, l’MTO consiste nel pareggio di bilancio.

Secondo quanto previsto dal Patto di stabilità e crescita, i paesi membri devono presentare, con l'aggiornamento dei rispettivi programmi di stabilità, l’obiettivo di medio termine relativo alla propria posizione di bilancio, fissato in termini strutturali, nonché indicare il percorso di avvicinamento all'obiettivo indicato. L’MTO viene definito sulla base del potenziale di crescita dell’economia e del rapporto debito/PIL. Il percorso di avvicinamento si fonda su una regola comune di correzione annuale strutturale di 0,5 punti percentuali; la regola, tuttavia, può variare in base alla condizioni del ciclo economico (bad times, good times).

[12] Il PIL potenziale rappresenta il livello teorico massimo di produzione che un paese può raggiungere senza causare tensioni inflazionistiche. Esso esprime, pertanto, i fondamentali dell’economia e quindi la componente strutturale della crescita, cui si confronta l’andamento registrato in un determinato momento del ciclo economico. La deviazione del PIL effettivo rispetto al valore potenziale è rappresentato dall’output gap, che esprime la componente ciclica della crescita.

Il prodotto tra l’output gap e la stima della sensibilità al ciclo delle entrate e delle spese correnti costituisce la componente ciclica del saldo di bilancio. La sensibilità del saldo di bilancio all’andamento del PIL è un parametro il cui valore, individuato sulla base degli andamenti registrati nell’arco di un decennio, viene periodicamente aggiornato in sede europea; esso è attualmente pari per l’Italia a 0,5 (=somma delle elasticità delle entrate e delle spese).

Per ottenere l’indebitamento netto strutturale, occorre in primo luogo depurare il saldo nominale dalla sua componente ciclica: se negativa, tale componente si sottrae all’indebitamento netto nominale, migliorando il saldo in termini strutturali; viceversa in caso di componente ciclica positiva. L’indebitamento netto corretto per il ciclo va poi depurato delle misure una tantum (cfr infra), sottraendo sia le entrate che le spese identificate come straordinarie: in caso di prevalenza delle prime sulle seconde il saldo strutturale risulterà peggiore del saldo corretto per il solo ciclo, viceversa in caso di prevalenza delle spese sulle entrate.

      Il PIL potenziale non è direttamente osservabile, ma risulta, secondo la metodologia approvata dall’Ecofin e utilizzata dagli Stati membri per il calcolo degli indicatori strutturali richiesti dal Programmi di stabilità, dalla stima statistica prodotta utilizzando sia i valori effettivamente registrati a consuntivo negli anni precedenti sia il valore del PIL atteso nel periodo di previsione. Da ciò derivano due conseguenze: i) difficilmente il calcolo del PIL potenziale è in grado di cogliere appieno i punti di inversione del ciclo e gli effetti di cambiamenti strutturali; ii) la variazione del valore atteso del PIL per il periodo di previsione o le modifiche riguardanti i dati di consuntivo (conseguenti anche a revisioni contabili) determinano una revisione dell’output gap anche negli anni in cui non si è verificata alcuna variazione nella crescita effettiva (o attesa). A parità di parametro relativo alla sensibilità del bilancio al ciclo e di valore nominale dell’indebitamento netto effettivo (o atteso), si verifica pertanto una variazione nel saldo strutturale.

[13] In presenza, ad esempio, di un andamento del ciclo più favorevole rispetto alle previsioni iniziali, l’eventuale disavanzo programmato del saldo di bilancio in termini nominali si tradurrebbe in un disavanzo anche in termini strutturali.

[14] Cfr. in particolare la Spagna e la Germania.

[15] Ai fini del calcolo strutturale, l’indebitamento netto corretto per il ciclo va depurato delle misure una tantum (cfr infra), sottraendo sia le entrate che le spese identificate come straordinarie: in caso di prevalenza delle prime sulle seconde il saldo strutturale risulterà peggiore del saldo corretto per il solo ciclo, viceversa in caso di prevalenza delle spese sulle entrate.

[16] A fini esemplificativi il Codice di condotta include tra le una tantum la vendita di beni patrimoniali non finanziari, gli incassi derivanti da aste di vendita di licenze di proprietà pubblica, i condoni fiscali, gli incassi derivanti dal trasferimento di obblighi pensionistici e le spese di emergenza di breve periodo connesse a disastri naturali.

Un’analisi di maggior dettaglio è fornita da altre pubblicazioni della Commissione europea che, oltre a sottolineare l’esigenza che le misure in questione abbiano carattere non ricorrente, integrano la lista aperta del Codice di condotta con altre voci, aventi parimenti carattere meramente indicativo.

Esse includono, tra l’altro, le modifiche legislative di carattere temporaneo aventi effetti sulla tempistica degli incassi e dei pagamenti con effetti positivi sul bilancio, le modifiche di aliquote fiscali chiaramente annunciate come temporanee, gli effetti conseguenti a sentenze della Corte di giustizia europea, o a decisioni di altre istituzioni, sia nel caso che queste comportino incassi (come i rimborsi al governo di sussidi, a seguito di decisioni della Commissione), sia nel caso che ne derivino pagamenti (come i rimborsi di imposte dichiarate illegittime), le operazioni di cartolarizzazione con effetti positivi sul bilancio, le spese di breve periodo a carattere emergenziale connesse con grandi eventi eccezionali (come le azioni militari).

Viene infine sottolineata la necessità di una particolare cautela nell’includere tra le misure una tantum quelle aventi effetti peggiorativi sul deficit, al fine di evitare qualsiasi incentivo per gli Stati membri ad adottare, nell’ambito della legislazione di spesa, misure di carattere temporanee escluse nel calcolo dei saldi strutturali.

 

 

[17] I principi affermati si ritrovano in parte nelle sentt. n. 16, 37 del 1961, successivamente consolidati in sent. n. 47 del 1967, nn. 17, 22, 94 del 1968, n. 158 del 1969, n. 140 del 1976, n. 12 e 13 del 1987, n. 69 del 1989, n. 283 del 1991.

[18] Atti dell’Assemblea costituente del 24 ottobre 1946.

[19] Analoghi indirizzi sono contenuti nelle sentenze n. 68 e n. 67/2011, n. 100, n. 267, n. 195/2010 e n. 293/2009.

[20] Sent. 213/2008 cit. e 106/2011.

[21] Si ricorda in proposito che, ai sensi dell'articolo 21 della legge n. 196 del 2009, concernente il bilancio di previsione, le spese, nell'ambito di ciascun programma, si ripartiscono in spese non rimodulabili e spese rimodulabili. Le spese non rimodulabili sono quelle per le quali l'amministrazione non ha la possibilità di esercitare un effettivo controllo, in via amministrativa, sulle variabili che concorrono alla loro formazione, allocazione e quantificazione. Le altre spese sono considerate rimodulabili con il disegno di legge di bilancio. Rientrano in tale novero anche le spese derivanti da fattori legislativi, che possono quindi per motivate esigenze, in via compensativa, essere rimodulate con la legge di bilancio. Di recente l’art. 10, comma 14, del D.L. n. 98/2011 ha accentuato la cosiddetta “flessibilità” di bilancio, consentendone l’esercizio anche dopo l’approvazione della legge di bilancio. Sul punto, si rinvia alla scheda relativa al terzo e quarto comma dell’art. 81 Cost., come riformulati dal disegno di legge in esame.

 

[22]   La riserva di legge a favore delle assemblee legislative trova conferma nell’art. 75, secondo comma, Cost., il quale prescrive la non ammissibilità del referendum abrogativo per le leggi di bilancio.

[23] Il problema della natura giuridica (formale o sostanziale) della legge di bilancio si riallaccia alla c.d. teoria dualistica delle leggi, che avuto riguardo alla efficacia produttiva dei rapporti giuridici che ordinariamente accompagna le norme, individua due categorie di leggi: formali e sostanziali. La teoria in questione qualifica sostanziali le leggi che contengono vere e proprie norme di diritto e che, per essere tali creano ex novo rapporti giuridici tra gli operatori del diritto o modificano rapporti preesistenti e ritiene, invece, formali le altri atti che, pur avendo la veste giuridica della legge, contengono disposizioni che non creano o modificano rapporti giuridici. Tale teoria è contestata da quegli autori che, pur riconoscendo l’esigenza di leggi di questa seconda specie, ritengono che qualsiasi materia possa essere rivestita dalla forma di legge e che tutto ciò che è rivestito dalla forma di legge, nel modo prescritto dalla Costituzione, è norma in senso formale e sostanziale insieme, anche nei casi in cui manca l’elemento coercitivo, il quale non è da ritenersi condizione indispensabile per caratterizzare la norma giuridica. Il dibattito dottrinario in questione ebbe origine in Germania sul finire del secolo scorso; tra i fautori della natura di legge formale del bilancio fu, ad esempio, Gneist, il quale, prendendo in considerazione il diritto costituzionale anglosassone, ne trasse delle regole generali per tutti i Paesi europei, sostenendo che l’atto di approvazione del bilancio non rientra nella legislazione, né materiale, né formale, ma rappresenta semplicemente una funzione amministrativa, la quale ha per oggetto un’azione di controllo; alla teoria della scuola tedesca si contrappose la scuola francese, che attribuiva invece alla legge del bilancio la natura di legge sostanziale, in quanto implicava ogni anno la proroga di tutte le leggi finanziarie di entrata e di spesa preesistenti.

[24] Oltre alla nuova classificazione del bilancio in missioni e programmi, avviata in via sperimentale già nella scorsa legislatura, si ricorda, in particolare, l’articolo 60, comma 3, del D.L. 112/2008, convertito dalla legge n. 134/2008, il quale ha previsto - in via sperimentale per il solo esercizio 2009 - la possibilità di effettuare, nella legge di bilancio, rimodulazioni tra i programmi delle dotazioni finanziarie di ciascuna missione di spesa, ivi comprese le spese predeterminate per legge e con la sola eccezione delle spese di natura obbligatoria, in annualità e a pagamento differito (come ad esempio le spese per gli stipendi e la locazione di immobili). Ai sensi del citato comma 3, le rimodulazioni che potevano essere proposte nel disegno di legge di bilancio soggiacevano a taluni limiti, quali: il rispetto dell’invarianza dei saldi di finanza pubblica; un limite massimo del 10 per cento delle risorse stanziate per il macroaggregato “Interventi” e tra queste ultime e le risorse destinate al macroaggregato “funzionamento”; il divieto di utilizzo degli stanziamenti in conto capitale per finanziare spese correnti, in quanto intervento di dequalificazione della spesa. In ragione della possibilità di incidere, con le rimodulazioni presentate a bilancio, sulla legislazione sostanziale di spesa, in apposito allegato ciascuno stato di previsione della spesa del disegno di legge di bilancio sono state esposte le autorizzazioni legislative di spesa ed i relativi importi da utilizzare per ciascun programma, con le rimodulazioni effettuate dalle Amministrazioni. A seguito dell’applicazione della disciplina sopra esposta, le dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa sono state distinte in due parti: una concernente le “risorse rimodulabili”, il cui ammontare costituiva, per ciascun anno del triennio, un complessivo “tetto” di spesa in sede previsionale e gestionale, entro il quale le Amministrazioni, nei limiti suddetti, hanno potuto ripartire le risorse tra i programmi di competenza, tenendo conto delle priorità e delle finalità strategiche piuttosto che del livello della spesa storica; l’altra relativa alle “risorse non rimodulabili” tra i programmi, la cui quantificazione definitiva ha formato oggetto di proposta da parte della Amministrazioni e di revisione a cura della Ragioneria Generale ai fini della verifica della corretta applicazione dei parametri previsti dalla legge per la quantificazione medesima (es. competenze fisse al personale, spese per interessi ed altre classificabili come oneri inderogabili). Tale disciplina sperimentale è stata estesa anche al disegno di legge di bilancio per il 2010 dall'articolo 23, comma 21-quater del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito dalla legge 102/2009.

[25] Recentemente, l'articolo 10, comma 15, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 - convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, ha introdotto una disposizione interpretativa del secondo e terzo periodo del comma 6 dell’articolo 21 della legge di contabilità, finalizzata a precisare che nell'ambito degli “oneri inderogabili” rientrano esclusivamente le spese cosiddette obbligatorie, ossia le spese relative al pagamento di stipendi, assegni, pensioni e altre spese fisse, le spese per interessi passivi, le spese derivanti da obblighi comunitari e internazionali, le spese per ammortamento di mutui, nonché quelle vincolate a particolari meccanismi o parametri, determinati da leggi che regolano la loro evoluzione.

[26] Recante “Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo”, convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148.

[27] Si ricorda che tale ultima disposizione, pur derogando anch’essa alla disciplina ordinaria della flessibilità di bilancio prevista dalla legge di contabilità, presentava una portata più limitata rispetto al comma 02 sopra illustrato, in quanto consentiva in via sperimentale, per gli anni 2012, 2013 e 2014, la possibilità di adottare variazioni di carattere compensativo tra le dotazioni finanziarie relative alle sole spese rimodulabili nell'ambito di ciascun Ministero, anche se tra programmi diversi. Occorre, inoltre, ricordare come in considerazione della possibilità di effettuare, attraverso decreti ministeriali, seppur entro determinati limiti, rimodulazioni concernenti anche spese derivanti da disposizioni di legge, il comma 14 del D.L. n. 98/11 prevedeva delle clausole di garanzia. Infatti, nell’ipotesi in cui fossero state interessate autorizzazioni di spesa di fattore legislativo, i relativi decreti di variazione dovevano essere adottati previo parere favorevole delle competenti commissioni parlamentari; inoltre, qualora il Parlamento non avesse approvato le variazioni corrispondenti in sede di esame del disegno di legge di assestamento, i relativi decreti avrebbero perso efficacia fin dall’inizio.

[28] Adottata ai sensi del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, recante "Individuazione delle unita' previsionali di base del bilancio dello Stato, riordino del sistema di tesoreria unica e ristrutturazione del rendiconto generale dello Stato"

[29] Si veda in proposito, per le amministrazioni locali, l’attuale formulazione degli obiettivi del patto di stabilità interno per le regioni a statuto ordinario, come definiti dalla legge n. 220/2010, che fissano vincoli all’andamento delle spese finali e non al saldo complessivo di bilancio. La possibilità di operare una revisione di tali vincoli è stata peraltro recentemente prevista dall’art. 20, comma 1, del DL n. 98/2011, non ancora attuato.

[30] Tali divieti, rimasti in vigore per molti anni nei confronti delle amministrazioni locali, sono stati da ultimo rimossi dall’art. 1, comma 11, del DL n. 138/2011.

[31] Cfr. da ultimo il taglio previsto dall’art. 14, comma 2, del DL n. 78/2010.

[32] L’art. 20, comma 16 del DL 98/2011 individua proprio i fondi perequativi come l’unica fonte a valere sulla quale lo Stato può rivalersi per le somme ad esso dovute a qualsiasi titolo.

[33] Calcolati tenendo conto dai tagli operati dal D.L. n. 78/2010, da ripartire a carico dei soli enti non appartenenti alla prima classe di virtuosità.

[34] Ovvero, la differenza (in termini assoluti o in rapporto al PIL) fra la variazione annua dello stock di debito pubblico e il deficit annuale.

[35] Loi constitutionnelle n. 2008-724 du 23 juillet 2008.

[36]L’art. 34 della Costituzione recita infatti: « Les orientations pluriannuelles des finances publiques sont définies par des lois de programmation. Elles s’inscrivent dans l’objectif d’équilibre des comptes des administrations publiques ». Le attuali leggi di programmazione pluriennale permettono di definire una strategia coerente complessiva su un periodo di tre anni, declinando l’obiettivo del ritorno all’equilibrio dei conti pubblici, secondo gli impegni presi a livello europeo nel quadro del Patto di stabilità e crescita, e dando solennità all’impegno con un voto del Parlamento. Le leggi di programmazione riguardano tutte le amministrazioni pubbliche (Stato, Sicurezza sociale e collettività territoriali), comprendono il bilancio pluriennale dello Stato e integrano le riforme decise nell’ambito della Revisione generale delle politiche pubbliche (RGPP). La prima Legge di programmazione ha interessato il periodo 2009-2012, la seconda il triennio 2011-2014. Le seconda Loi de programmation des finances publiques pour les années 2011-2014 del 28 dicembre 2010 é stata successivamente attuata dalle due leggi finanziarie per il 2011 (Lois de finances e Lois de financement de la sécurité sociale).

[37]In occasione della prima sessione della “Conferenza sul deficit”, organizzata il 28 gennaio 2010, il Presidente della Repubblica ha chiesto la costituzione di un gruppo di lavoro per la formulazione di proposte per assicurare meglio, nel quadro della governance di bilancio e finanziaria francese, il rispetto dell’obiettivo di equilibrio dei conti pubblici”. Il Rapporto del 21 giugno 2010 costituisce il risultato finale del Gruppo di lavoro “sur la règle constitutionnelle d'équilibre des finances publiques”,presieduto da Michel Camdessus.

[38]Prima di diventare definitivamente legge, il testo dovrà essere approvato dal Parlamento riunito in seduta comune (maggioranza dei tre quinti dei voti espressi) o sottoposto ad una consultazione referendaria (cfr. capoverso conclusivo della scheda).

 

[39] Nel quadro del Patto di stabilità e crescita la Francia si è impegnata a tornare ad un deficit pubblico del 6% del PIL nel 2011, per passare al 4,6% nel 2012.

[40] Già la circolare del Primo Ministro del 4 giugno 2010 ha prescritto che l’insieme delle misure fiscali e delle misure relative alle entrate della sicurezza sociale figurassero nelle leggi finanziarie e di finanziamento della sicurezza sociale.

[41] Va rilevato che l’opposizione si è schierata contro il progetto di revisione costituzionale e che il raggiungimento della maggioranza qualificata dei tre quinti nel Congresso potrebbe incontrare qualche difficoltà.

[42] Cfr. la scheda informativa “Les lois de finances: spécificité, contenu, présentation” sul sito dell’Assemblea Nazionale francese:
http://www.assemblee-nationale.fr/connaissance/fiches_synthese/fiche_41.asp.

[43] Attuale art. 126 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

[44] Si tratta di una misura che mira a contrastare la tendenza alla forte crescita del debito pubblico. Secondo le analisi elaborate dai servizi di documentazione del Bundestag (in particolare l’Aktueller Begriff “Die Schuldenbremse des Grundgesetzes” n. 79/09 del 5 ottobre 2009 e l’Aktueller Begriff “Der Stabilitätsrat und Frühwarnsystem zur Vermeidung von Haushalstsnotlagen des Bundes und der Länder” n. 92/09 del 9 novembre 2009) negli ultimi 40 anni il rapporto tra debito pubblico e PIL è passato dal 20 al 60%. Nel 2008, l’anno precedente l’approvazione della seconda riforma del federalismo, l’indebitamento dello Stato aveva raggiunto circa 1,6 miliardi di euro e le spese per interesse ammontavano al 15% del bilancio federale. Anche il Tribunale costituzionale federale aveva constatato più volte la mancanza di regole atte a gestire l’indebitamento dei bilanci pubblici, sollecitando sia la Federazione che i Länder a stabilire obblighi e procedure per contrastare l’insorgenza di situazioni di emergenza finanziaria.

[45] La riforma ha infatti abrogato la seconda parte del comma 1 che recitava: “Le entrate provenienti da crediti non possono superare la somma delle spese previste nel bilancio per gli investimenti. Sono ammesse eccezioni solo per eliminare distorsioni dell’equilibrio economico generale. La disciplina di dettaglio è demandata ad una legge federale”.

[46] I dettagli sui bilanci dei Länder sono regolati nell’ambito dei loro poteri costituzionali, con il vincolo di rispettare l’obbligo di pareggio del bilancio sancito dalla costituzione federale.

[47] Gli aiuti di consolidamento (Konsolidierungshilfen) erogati dalla Federazione a questi cinque Länder ammontano ad un importo complessivo annuo di 800 milioni di euro per il periodo 2011-2019. Di tale importo 300 milioni di euro sono destinati a Brema, 260 milioni di euro al Saarland e 80 milioni di euro ciascuno a Berlino, Sassonia-Anhalt e Schleswig-Holstein. L’onere finanziario derivante dalla concessione di tali aiuti è - per dettato costituzionale - sostenuto in parti uguali dalla Federazione e dai Länder, nel caso di questi ultimi attingendo alla parte spettante del gettito dell'imposta sul valore aggiunto.

[48] Testo in italiano.

[49] Per un sintetico inquadramento del bilancio pubblico spagnolo, è utile la consultazione del documento “Il sistema di contabilità e bilancio dello Stato in Spagna”, di Patrizio Monfardini (2008).

[50] Rientrano nella definizione di “settore pubblico”: l’Amministrazione generale dello Stato, gli enti del Sistema della sicurezza sociale, l’Amministrazione delle Comunità autonome, gli enti locali, nonché gli enti o gli organismi autonomi dipendenti da tali amministrazioni che prestano servizi o producono beni non finanziati in via maggioritaria da entrate di tipo commerciale.

[51] Tale atto ha sostituito la Ley 18/2001, de 12 de diciembre, General de Estabilidad Presupuestaria, in vigore fino al 1° gennaio 2008.

[52] Il Consiglio di politica fiscale e finanziaria delle Comunità autonome è l’organo di coordinamento tra lo Stato e le Comunità autonome per dare attuazione ai principi di stabilità di bilancio previsti dalla legge. Di esso fanno parte il Ministro dell’economia e delle finanze, il Ministro della politica territoriale e della pubblica amministrazione e il responsabile delle finanze di ciascuna Comunità autonoma. Per maggiori informazioni, si veda la scheda informativa pubblicata sul sito del Ministero dell’economia.

[53] La Commissione nazionale dell’amministrazione locale è l’organo permanente per la collaborazione tra l’Amministrazione dello Stato e le amministrazioni locali. Per maggiori informazioni, si veda la scheda informativa pubblicata sul sito del Ministero della politica territoriale.

[54] L’obiettivo di stabilità di bilancio per il triennio 2012-2014 è stato fissato dal Governo al 4,4% per l’anno 2012 e al 3% per il 2013 (comunicato stampa del 24 giugno 2011). Per ulteriori informazioni è consultabile il testo del Programa de Estabilidad 2011-2014.

[55] A. Fazio, Governatore della Banca d’Italia, Res. Sten. 13° del 12 dicembre 2001, p. 12.