Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: Riunione delle Commissioni dei Parlamenti dell'UE competenti in materia di sviluppo e di diritti umani "La condizionalità dei diritti umani nella politica di sviluppo" - Bruxelles, 11 ottobre 2011
Serie: Documentazione per le Commissioni - Riunioni interparlamentari    Numero: 87
Data: 06/10/2011
Descrittori:
ASSISTENZA ALLO SVILUPPO   COMMISSIONI E GIUNTE PARLAMENTARI
DIRITTI DELL'UOMO   PIANI DI SVILUPPO
UNIONE EUROPEA     
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Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 


 

 

 

 

 

 

Documentazione per le Commissioni

riunioni interparlamentari

 

 

 

Riunione delle Commissioni dei Parlamenti dell’UE

competenti in materia di sviluppo e di diritti umani

La condizionalità dei diritti umani nella politica di sviluppo

 

Bruxelles, 11 ottobre 2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 87

 

6 ottobre 2011


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il dossier è stato curato dall’Ufficio rapporti con l’Unione europea
(' 066760.2145 *cdrue@camera.it)

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INDICE

 

 

Schede di lettura   1

Politica di condizionalità dell’Unione europea  3

La tutela dei diritti umani all’esterno dell’Unione europea  9

·          Basi giuridiche  9

·          Relazioni con i paesi terzi9

·          Finanziamento delle attività di promozione dei diritti umani12

·          Attività del Parlamento europeo  13

Quadro generale della politica di sviluppo dell’Unione europea  15

·          Strumenti giuridici e risorse  16

·          Il consenso europeo  18

·          Obiettivi di sviluppo del millennio  20

·          Il sostegno al bilancio  21

·          Il Libro verde sull’impatto della politica di sviluppo dell’UE   21

·          Aiuto al commercio  22

·          Accordo di Cotonou  24

 

Documenti27

·          Comunicazione congiunta “Una risposta nuova ad un vicinato in mutamento” - COM(2011)303                                                                                                    29

 

 

 



 

 

 

Schede di lettura

 


 


Politica di condizionalità dell’Unione europea

La tutela dei diritti umani è, a partire dal Trattato di Maastricht, uno degli obiettivi principali delle azioni esterne dell’Unione europea. Per quanto riguarda in particolare la cooperazione allo sviluppo, la promozione dei diritti umani e della democratizzazione costituisce parte integrante dell’impegno dell’UE in favore della riduzione della povertà e della prevenzione dei conflitti.

E’ proprio nel contesto europeo che si è affermata per la prima volta la condizionalità della cooperazione allo sviluppo al rispetto dei diritti umani, concetto con il quale si intende che le politiche e le azioni di sostegno dell’UE allo sviluppo sono condizionate al rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti umani da parte dei soggetti beneficiari.

Il primo esempio di applicazione della politica di condizionalità risale al 1977 quando l’UE sospese, a seguito di un massacro, gli aiuti forniti all’Uganda nell’ambito della I Convenzione di Lomé[1]; nel 1989 nella IV Convenzione di Lomé fu inserita una clausola che prevede la possibilità di stanziare risorse finanziarieper la promozione dei diritti umani negli Stati ACP (Africa, Caraibi e Pacifico) con il loro consenso; nel 1990in un accordo di cooperazione con l'Argentina, su richiesta del Paese venne inserita una clausola fondamentalecon la quale si afferma che l'accordo è basato sul rispetto dei diritti dell'uomo e dei principi democratici.

Nel corso di successivi aggiustamenti (tra i quali gli accordi con l’Albania nel 1992, con la Romania e la Bulgaria nel 1993), ha preso forma lo strumento principale attraverso il quale l’UE dà attuazione alla condizionalità dei diritti umani, vale a dire la clausola sugli “elementi essenziali”, che dal 1995 figura in tutti gli accordi di associazione e di partenariato e cooperazione, conclusi dall’Unione con i paesi terzi.

La clausola sugli “elementi essenziali”, che si applica attualmente a più di 120 paesi, stabilisce che il rispetto dei diritti fondamentali e dei principi democratici, sancito nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, informa le politiche interne ed esterne delle Parti e costituisce un elemento essenziale dell’accordo. Una dichiarazione interpretativa, o la clausola stessa, precisa che gli episodi di particolare gravità comportano la violazione di un "elemento essenziale" dell'accordo. Su tale base l’UE può prendere misure diverse, che vanno dal rifiuto del visto per membri del governo o altri responsabili al congelamento dei beni detenuti in paesi membri dell’UE, a cambiamenti dei programmi di cooperazione, compreso il rinvio di nuovi progetti o l'uso di altri canali di fornitura. Ad esempio, l'UE può sospendere la cooperazione con un governo, ma continuare a sostenere la popolazione locale attraverso progetti eseguiti da organizzazioni della società civile. La clausola offre anche la possibilità ultima di sospendere l’accordo.

Il fatto che l'Unione europea insista per incorporare negli accordi le clausole sugli elementi essenziali non significa però che essa intenda seguire un'impostazione negativa o punitiva. Come indicato dalla Commissione nella comunicazione “Il ruolo dell’Unione europea nella promozione dei diritti umani e della democratizzazione nei paesi terzi” (COM (2001) 252) del maggio 2001, scopo di queste clausole è piuttosto favorire il dialogo e le misure positive, come il sostegno comune alla democrazia e ai diritti umani, la ratifica e l'applicazione di strumenti internazionali imperniati sui diritti umani, nonché la prevenzione delle crisi, attraverso l'istituzione di relazioni coerenti a lungo termine. Il dialogo sui diritti umani che queste disposizioni consentono dovrebbe essere a doppio senso e l'UE dovrebbe essere pronta a discutere anche dei diritti umani e della democrazia all'interno dei suoi confini. In conseguenza dell'interesse di entrambe le parti a promuovere i diritti umani, il dialogo dovrebbe servire anche per scambiare opinioni su questioni tematiche quali la pena di morte, la tortura, il razzismo, la xenofobia e i diritti umani delle donne, che possono non applicarsi al paese partner in questione, non da ultimo nell'intento di costituire coalizioni e assicurare sostegno alle posizioni dell'UE in sedi internazionali tra cui l'ONU. Inoltre, il dialogo può permettere anche un utile scambio di opinioni sulla situazione dei diritti umani in altri paesi terzi, soprattutto se i partner dispongono di una conoscenza e una competenza maggiori.

Il ruolo centrale dei diritti umani è particolarmente evidente nel caso dell’Accordo di Cotonou. Si tratta di un accordo commerciale e di aiuti[2] che lega fino al 2020 l’Unione europea a 77 paesi in via di sviluppo dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico - il gruppo ACP. Come previsto dall’articolo 96 dell’accordo, il mancato rispetto dei diritti umani da parte di questi paesi può comportare la sospensione delle concessioni commerciali e la riduzione dei programmi di aiuto. L’Unione europea ritiene infatti che la riduzione della povertà, il principale obiettivo della sua politica di sviluppo, sarà possibile solo nell’ambito di strutture democratiche.

Disposizioni simili esistono anche in altri strumenti finanziari utilizzati dall’UE per fornire assistenza esterna, quali:

·         lo strumento di assistenza preadesione (IPA)[3]destinato ai paesi candidati e potenziali candidati;

Per quanto riguarda invece gli aiuti umanitari, la situazione è diversa. Infatti, il programma dell’UE di assistenza umanitaria di urgenza in tutto il mondo non è di norma soggetto a restrizioni a causa di violazioni dei diritti umani. Gli aiuti erogati in natura, sotto forma di denaro o di assistenza tecnica sono decisi al solo scopo di alleviare la sofferenza umana, sia essa causata da calamità naturali o dalla cattiva amministrazione di regimi oppressivi.

Finora, l'applicazione delle clausole sui diritti umani e la democrazia da parte della UE ha assunto due forme pratiche:

·      Istituzione di sottocommissioni incaricate di discutere la promozione dei diritti umani e della democrazia

Tali sottocommissioni sono state istituite nell'ambito degli accordi di associazione con il Marocco, la Giordania e la Tunisia; sottogruppi sui diritti umani sono stati formati anche in seno agli accordi di cooperazione con il Bangladesh (sottogruppo "governance e diritti umani") e il Vietnam (sottogruppo "cooperazione alla costruzione delle istituzioni, riforme amministrative, governance e diritti umani). Altri sottogruppi sono previsti, per esempio, nell'ambito degli accordi con il Laos e il Pakistan.

·      Consultazioni e adozione di misure appropriate in caso di inosservanza dei diritti umani e dei principi democratici

In 14 occasioni sono state intraprese consultazioni per inadempimento della clausola degli elementi essenziali. Reazioni negative nell'ambito delle clausole sui diritti umani e la democrazia sono state registrate solo in seno all'Accordo di Cotonou. Nello specifico, si sono tenute consultazioni in merito alle clausole di non esecuzione dei suddetti accordi con Togo (brogli elettorali: 1998 e democrazia, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali: 2004), Nigeria (colpo di Stato: 1999), Guinea-Bissau (colpo di Stato: 1999 e 2004), Comore (colpo di Stato: 1999), Costa d'avorio (colpo di Stato: 2000 e deficit democratico: 2001), Haiti (brogli elettorali: 2000), Fiji (colpo di Stato: 2000), Liberia (violazioni dei diritti umani, dei principi democratici, dello stato di diritto e grave corruzione: 2001), Zimbabwe (violazioni dei diritti umani, dei principi democratici e dello stato di diritto: 2002), Repubblica Centrafricana (colpo di Stato: 2003), e Guinea (deterioramento della democrazia e dello stato di diritto, inosservanza dei diritti umani e delle libertà fondamentali e mancanza di una valida governance economica: 2004). Misure appropriate sono

 state adottate nei confronti di Togo (sanzioni dal 1993), Haiti (dal 2001), Liberia (dal 2001), Zimbabwe (dal 2002) e Guinea (dal 2005).

Oltre a questi 14 casi di consultazione, dal 1989 al 1998 l’UE ha sospeso gli aiuti allo sviluppo, senza far riferimento alla clausola sui diritti umani e la democrazia, nei seguenti casi: Burundi (1993 e 1997), Repubblica Centrafricana (1991), Congo (1997), Gibuti (1991), Guinea equatoriale (1992 e 1994), Gambia (1994), Guinea-Bissau (1998), Haiti (1991), Kenya (1991), Liberia (1990), Nigeria (1996), Ruanda (1994), Sudan (1990) e Togo (1992).

Una forma di condizionalità in materia di diritti umani è prevista anche dal Sistema delle preferenze generalizzate dell’UE che, a partire dal 1971, consente di potenziare le esportazioni di prodotti originari dei paesi in via di sviluppo tramite la concessione di speciali preferenze tariffarie. Il sistema, disciplinato dal regolamento n. 732/2008/CE, prevede, in determinate circostanze, la revoca parziale o totale del regime tariffario preferenziale per prodotti originari di un paese beneficiario, in particolare per violazioni gravi e sistematiche dei principi sanciti nelle principali convenzioni delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) relativi ai diritti dell’uomo e dei lavoratori. Tale disposizione è stata applicata allo Sri lanka (Regolamento di esecuzione (UE) N. 143/2010 del 15 febbraio 2010) per il fatto che lalegislazione nazionale che ingloba il Patto internazionale sui diritti civili e politici, la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti e la Convenzione sui diritti del fanciullo non era effettivamente applicata.

Nella risoluzione del 16 dicembre 2010 sui diritti umani nel mondo, il Parlamento europeo ha sottolineato l'importanza e il carattere indispensabile delle clausole relative ai diritti umani e alla democrazia negli accordi tra l'UE ed i paesi non UE. La risoluzione invita ad un'attuazione più efficace delle clausole relative ai diritti umani, anche mediante l'introduzione di un meccanismo di attuazione collegato a parametri per misurare l'attuazione degli obblighi in materia di diritti umani. Inoltre il PE:

·      sottolinea l'importanza di seguire da vicino il comportamento in fatto di diritti umani dei paesi non UE che intrattengono relazioni commerciali con l'UE; sottolinea l'opportunità che tale opera di monitoraggio e valutazione comprenda consultazioni formali con la società civile riguardo all'impatto di tali accordi;

·      riafferma il principio della indivisibilità dei diritti umani e condanna i tentativi di considerare questo o quel diritto o motivo di discriminazione meno importante degli altri; invita la Commissione e il Consiglio a rispettare il principio della indivisibilità al momento di negoziare le clausole sui diritti umani con i paesi terzi;

·      sottolinea che, per rispettare i propri impegni internazionali in materia di diritti umani, l'UE dovrebbe includere sistematicamente negli accordi, tenendo conto della natura di questi ultimi e della situazione specifica di ciascun paese partner, clausole relative alla democrazia, alla legalità e ai diritti umani nonché agli standard sociali e ambientali; ritiene altresì che dette clausole dovrebbero permettere alla Commissione di sospendere quanto meno temporaneamente i vantaggi commerciali, compresi quelli derivanti dagli accordi di libero scambio, di propria iniziativa oppure su richiesta di uno Stato membro o del Parlamento europeo, qualora si raccolgano prove sufficienti in merito alla violazione dei diritti umani o delle disposizioni di diritto del lavoro; ritiene in ogni modo che l'UE debba chiaramente indicare quali idonee sanzioni potrebbero essere applicate ai paesi non UE che commettono gravi violazioni dei diritti umani ed applicarle effettivamente; reitera ancora una volta la sua richiesta alla Commissione e al Consiglio, e in particolare all'Alto Rappresentante, di rendere operante la clausola sui diritti umani contenuta nei vigenti accordi internazionali e quindi istituire un meccanismo di applicazione effettiva della clausola, secondo lo spirito degli articoli 8, 9 e 96 dell'accordo di Cotonou;

·      prende atto del funzionamento del sistema di preferenze generalizzate Plus (SPG+); ritiene tuttavia che tale sistema, che premia con notevoli benefici commerciali i paesi che osservano le convenzioni internazionali sui diritti umani e sui diritti del lavoratori, debba essere sorvegliato in modo più rigoroso e trasparente, anche ricorrendo a valutazioni d'impatto particolareggiate sui diritti umani, a un sistema di parametri coerenti ed equi e a consultazioni aperte al momento di accordare la preferenza, e che le preferenze commerciali debbano essere concesse solo ai paesi che hanno ratificato e attuato efficacemente le principali convenzioni internazionali in materia di sviluppo sostenibile, diritti umani – in particolare per quanto riguarda il lavoro minorile – e governance; sollecita un migliore monitoraggio dell'attuazione da parte della società civile, dei sindacati e delle comunità, tenendo in conto i successi e gli insuccessi registrati nell'affermazione dei diritti umani, inclusi i diritti sociali, economici, culturali e ambientali; sottolinea l'importanza di monitorare strettamente l'attuazione del patto sui diritti civili e politici (ICCPR) da parte del Pakistan, che è stato invitato a prendere parte al sistema SPG+;

·      sollecita la Commissione a presentare una proposta di regolamento che vieti l'importazione nell'UE di beni prodotti ricorrendo al lavoro forzato e in particolare al lavoro minorile, in violazione degli standard fondamentali in materia di diritti umani; sottolinea che un tale regolamento dovrebbe consentire all'UE di svolgere indagini su determinate dichiarazioni;

·      deplora il deludente follow-up delle clausole sui diritti umani contenute nell'accordo di Cotonou ed esorta l'Alto Rappresentante, la Commissione, il Consiglio e gli Stati membri a far pieno uso di dette clausole, sollevando sistematicamente i problemi in materia di diritti umani e la promozione degli stessi nei colloqui bilaterali e regionali con i partner ACP.

Uno dei riferimenti più recenti all’applicazione della politica di condizionalità da parte dell’UE è contenuto nella comunicazione di maggio 2011 “Una nuova risposta ad un vicinato in mutamento” (COM (2011) 303), con cui l’AR e la Commissione hanno inteso dare - anche a seguito dei recenti avvenimenti verificatisi nei paesi lungo il bacino meridionale del Mediterraneo - una nuova impostazione alla Politica europea di vicinato. Questa nuova impostazione deve fondarsi sulla responsabilità reciproca e su di un impegno condiviso a favore dei valori universali dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto. Come indicato nella comunicazione,Il sostegno dell'UE ai paesi vicini dipenderà, secondo un approccio “more for more” dai progressi nella costruzione e nel consolidamento della democrazia e dal rispetto dello Stato di diritto: più velocemente un paese progredirà nelle sue riforme interne, maggiore sarà il sostegno da parte dell'Unione europea. Per i paesi in cui non sono state effettuate riforme, l’UE procederà a riesaminare o, se necessario, ridurre i finanziamenti. D’altro canto, l’UE si atterrà alla sua politica di ridurre le relazioni con i governi coinvolti in violazioni dei diritti umani e delle regole democratiche, eventualmente facendo ricorso a sanzioni mirate e ad altre misure politiche.

 


La tutela dei diritti umani all’esterno dell’Unione europea

Basi giuridiche

Come disposto dagli articoli 2 e 3 del Trattato sull’Unione, l'Unione europea si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Nelle relazioni con il resto del mondo l'Unione afferma e promuove i suoi valori e interessi, contribuendo alla protezione dei suoi cittadini. Contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all'eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani, in particolare dei diritti del minore, e alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale, in particolare al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite.

L’UE, oltre che dalle proprie dichiarazioni sul rispetto dei diritti umani[6], è vincolata nelle sue azioni anche dalla Carta dei diritti fondamentali, proclamata nel 2000 in occasione della Conferenza intergovernativa di Nizza e alla quale il TUE attribuisce lo stesso valore giuridico dei trattati.

La tutela dei diritti umani costituisce dunque un obbligo dell’Unione europea sul piano interno e un obiettivo prioritario nelle relazioni esterne. La politica dell’Unione europea in materia di diritti umani è incentrata sui diritti civili, politici, economici, sociali e culturali. Essa è volta inoltre a promuovere i diritti delle donne e dei bambini, nonché quelli delle minoranze e degli sfollati. Un’altra priorità è costituita dalla lotta al terrorismo.

Relazioni con i paesi terzi

L’Unione europea ha a disposizione diversi strumenti per promuovere i diritti umani nei paesi terzi, in primo luogo gli strumenti tipici della PESC, vale a dire le decisioni del Consiglio, attraverso le quali vengono imposte misure restrittive – dal divieto di visto per l’ingresso nell’UE al congelamento dei beni eventualmente posseduti in Stati membri - nei confronti dei responsabili di violazioni gravi dei diritti umani (per esempio con la 2011/273/PESC sono state imposte misure restrittive nei confronti della Siria).

Altri strumenti sono quelli tipici della politica estera e diplomazia tradizionale, vale a dire rimostranze diplomatiche e dichiarazioni. Le rimostranze diplomatiche sono in genere di natura confidenziale, condotte dalla Presidenza o dall’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (AR), spesso attraverso le delegazioni dell’UE nei paesi terzi. In aggiunta, l’UE può rilasciare, attraverso l’AR, dichiarazioni in cui esprime la propria posizione rispetto ad eventuali violazioni dei diritti umani nei paesi terzi. Anche le conclusioni del Consiglio possono ugualmente affrontare la questioni dei diritti umani. Tali strumenti sono largamente utilizzati per richiamare i governi o altre parti al rispetto dei diritti umani e per manifestare preoccupazioni su diverse questioni, tra le quali la protezione dei difensori dei diritti umani, detenzioni illegali e sparizioni forzate, condanne alla pena capitale, casi di torture, protezione dei bambini e dei rifugiati, diritto a libere elezioni.

Tra gli strumenti adottati dall’UE in materia di tutela e promozione dei diritti umani si segnalano anche le iniziative e gli interventi nei consessi internazionali, a cominciare dalle Nazioni Unite, dal Consiglio d’Europa e dall’OSCE. A questo proposito, si ricordano, in particolare, il ruolo decisivo svolto dall’UE durante l’intero processo di istituzione del Consiglio per i diritti umani nell’ambito delle Nazioni Unite nonché il contribuito fornito per arrivare alla adozione della risoluzione su una moratoria internazionale in materia di pena di morte il 18 dicembre 2007 da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

A tale proposito si ricorda che un importante impulso alle iniziative dell’Unione europea è venuto dall’Italia che, tra l’altro, su mandato del Consiglio, ha collaborato con la Presidenza di turno dell’UE alla redazione della proposta di risoluzione presentata alle Nazioni Unite.

Linee guida

In aggiunta a quelli sopraindicati, nel corso del tempo l’UE ha disegnato nuovi strumenti nell’ambito della PESC, a cominciare da linee guida specifiche adottate per costituire il quadro generale della protezione e della promozione dei diritti umani nei paesi terzi e per consentire, se necessario, di assumere azioni comuni e di condurre interventi rapidi e coerenti in caso di violazioni. Si tratta delle otto linee guida sui diritti umani, dedicate a temi di particolare rilevanza e adottate dal Consiglio a partire dal 1998: pena di morte (1998, aggiornato nel 2008); dialoghi in materia di diritti umani con i paesi terzi (2001); tortura e altre pene o trattamenti crudeli disumani o degradanti (2001; aggiornamento del 2008); bambini e conflitti armati (2003, aggiornamento del 2008); difensori dei diritti umani (2004); promozione del diritto umanitario internazionale (2005); promozione e tutela dei diritti del bambino (2007); violenze contro le donne e lotta contro tutte le forme di discriminazione nei loro confronti (2008);

Dialoghi sui diritti umani

Nell’ambito delle sopraindicate linee guida, assumono particolare rilevanza quelle relative ai dialoghi in materia di diritti umani con i paesi terzi, sulla cui base l’UE si è impegnata in dialoghi specifici con diversi paesi (al momento oltre 30).

I temi da trattare nel quadro dei dialoghi sui diritti umani vengono determinati caso per caso. Tuttavia, devono sempre essere toccati alcuni argomenti principali, vale a dire:

-     la firma, ratifica e attuazione degli strumenti internazionali in materia di diritti umani;

-     la cooperazione con gli strumenti internazionali nel settore dei diritti umani;

-     la lotta contro la pena di morte;

-     la lotta contro la tortura;

-     la lotta contro ogni forma di discriminazione;

-     il rispetto dei diritti dei bambini;

-     il rispetto dei diritti delle donne;

-     la libertà di espressione;

-     il ruolo della società civile;

-     la cooperazione in materia di giustizia internazionale;

-     la prevenzione dei conflitti;

-     la promozione della democrazia e la buona gestione degli affari pubblici.

In linea generale, i dialoghi hanno lo scopo di: raccogliere informazioni sulla situazione dei diritti umani nel paese interessato; esprimere le preoccupazioni dell’UE sulle diverse questioni e ad identificare iniziative concrete per risolverle, in particolare attraverso progetti di cooperazione; discutere questioni di reciproco interesse; rafforzare la cooperazione in materia di diritti umani nei forum internazionali. Tali dialoghi possono essere utili anche per esporre ai governi standard internazionali e pratiche dell’UE. In molti casi, essi hanno consentito inoltre di identificare in una fase iniziale problemi che sarebbero potuti sfociare in conflitti.

La decisione di avviare un dialogo in materia di diritti umani con un paese terzo spetta al Consiglio dell'Unione e deve sempre essere preceduta da una valutazione della situazione. Quest'ultima tiene conto dell'atteggiamento del governo rispetto ai diritti umani, dell'impegno del paese riguardo agli strumenti internazionali interessati, della volontà di cooperazione con le procedure delle Nazioni Unite, dell'atteggiamento del governo nei confronti della società civile e dell'andamento della situazione generale in materia di diritti umani. La valutazione è basata sui rapporti in materia realizzati da organizzazioni non governative (ONG), dalle Nazioni Unite e da altre organizzazioni internazionali, dal Parlamento europeo e dalla Commissione europea.

Come indicato nelle linee guida, ogni dialogo sui diritti umani con un paese terzo deve essere valutato, se possibile, una volta l'anno, con l’eventuale partecipazione della società civile. La valutazione tiene conto degli obiettivi che l'Unione si era prefissata prima dell'inizio del dialogo. In base al risultato della valutazione, l'Unione può affinare il dialogo, decidere di proseguirlo tale e quale o porvi fine (se gli obiettivi delle linee direttive non sono raggiunti o se i risultati non sono soddisfacenti).

Finanziamento delle attività di promozione dei diritti umani

Dal 1994 al 2006, l’UE ha finanziato le attività in materia di promozione dei diritti umani, democratizzazione e prevenzione dei conflitti attraverso l’Iniziativa europea a favore della democrazia e dei diritti dell’uomo, un capitolo di bilancio specifico, istituito su iniziativa del Parlamento europeo.

A partire dal 1° gennaio 2007, nell’ambito della riforma dell’assistenza esterna attuata nel quadro delle prospettive finanziarie 2007-2013 e volta a sostituire gli strumenti finanziari destinati all’erogazione dell'aiuto ai Paesi terzi con un quadro più semplice ed efficace, l’Iniziativa europea è stata sostituita dallo strumento finanziario per la promozione della democrazia e dei diritti umani nel mondo (Regolamento (CE) n. 1889/2006, del 20 dicembre 2006).

L'assistenza fornita nel quadro di questo strumento mira in particolare:

Per assicurare l'efficacia e la coerenza degli interventi di aiuto, la Commissione garantisce uno stretto coordinamento tra le proprie attività e quelle degli Stati membri. Inoltre, l'assistenza prevista dal regolamento è coerente con la politica comunitaria sulla cooperazione allo sviluppo e con la politica estera dell'Unione europea nel suo complesso nonché complementare a quella erogata nell'ambito dei relativi strumenti comunitari di assistenza esterna e dell'accordo di partenariato con i paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP).

L'assistenza è attuata attraverso documenti di strategia e relative revisioni, programmi annuali di azione e provvedimenti speciali (che non sono previsti nei documenti di strategia e che possono essere adottati dalla Commissione). Sono previste anche misure ad hoc, con le quali la Commissione può destinare piccole sovvenzioni a difensori dei diritti umani che necessitino di protezione urgente.

Possono beneficiare di un finanziamento: organizzazioni della società civile, enti, istituzioni e organizzazioni pubblici non a scopo di lucro, organismi parlamentari a livello nazionale, regionale e internazionale. I finanziamenti comunitari possono assumere le forme seguenti: progetti e programmi, sovvenzioni finalizzate al finanziamento di progetti presentati dalle organizzazioni intergovernative internazionali e regionali, piccole sovvenzioni destinate a sostenere i difensori dei diritti umani, sovvenzioni destinate a sostenere i costi operativi dell'Ufficio dell'Alto commissario ONU per i diritti dell'uomo e del Centro interuniversitario europeo per i diritti dell'uomo e la democratizzazione (EIUC), contributi a fondi internazionali, risorse per le missioni di osservazione elettorale dell'UE, appalti pubblici.

La Commissione presenta in una relazione annuale i progressi realizzati nell'attuazione degli interventi di aiuto contemplati dal regolamento indicato. La dotazione finanziaria per la sua attuazione nel periodo 2007-2013 è di 1,104 miliardi di euro.

Attività del Parlamento europeo

La tutela dei diritti umani è una priorità assoluta del Parlamento europeo che, attraverso la commissione per gli affari esteri, si occupa direttamente della tutela dei diritti umani all’esterno dell’Unione. Inoltre,il Parlamento europeo viene informato dal Consiglio riguardo a qualsiasi decisione adottata circa la sospensione di accordi con un dato paese per violazione dei diritti umani.

Il Parlamento europeo dibatte regolarmente durante ciascuna tornata plenaria mensile casi di violazione dei dirittiumani, della democrazia e dello stato di diritto. Nel corso del tempo il Parlamento ha adottato una serie di risoluzioni che condannano i governi responsabili di violazioni deidiritti umani, che valutano la situazione di uno specifico paese in materia di diritti umani o che intervengono su singoli avvenimenti.

Il Parlamento europeo ha, infine, istituito nel 1988 il premio Sacharov per la libertà di pensiero, attribuito, ogni anno ad una personalità o un'organizzazione internazionale che, come il fisico nucleare russo Andrej Sacharov, Premio Nobel per la pace nel 1975, si sia distinta nel settore dei diritti dell'uomo. Il 15 dicembre 2010, il premio è stato attribuito dissidente cubano, Guillermo Farinas, che ha denunciato in tanti modi l'oppressione del regime castrista.

Il Parlamento europeo attribuisce grande attenzione alla situazione dei diritti umani nei diversi paesi, anche quando approva risoluzioni di carattere generale relative alle relazioni dell’UE con il singolo paese, in occasione della conclusione di un accordo o in vista di un Vertice bilaterale.

E’ il caso per esempio della risoluzione adottata il 6 giugno 2011, in vista del Vertice bilaterale UE-Russia di Nizhny Novgorod, in cui il PE esprime il proprio favore a rapporti commerciali e di cooperazione più ambiziosi con la Russia, ma soltanto se il paese offre garanzie sul rispetto dei diritti umani fondamentali, compresi i "giudizi di matrice politica" contro i leader dell'opposizione, mancanza di libertà dei mezzi d'informazione, divieto di cortei gay e occupazione militare illegale di territori georgiani.



Quadro generale della politica di sviluppo dell’Unione europea

L'obiettivo della politica di sviluppo dell’Unione europea consiste nella progressiva eliminazione della povertà e nell’integrazione dei paesi interessati nell'economia mondiale. A queste finalità economiche e sociali si affianca un progetto di tipo politico: contribuire a consolidare la democrazia e lo Stato di diritto, nonché a perseguire il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

La cooperazione allo sviluppo condotta dall’Unione europea è complementare alle politiche degli Stati membri (art. 208 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea) e, nella misura del possibile, si concerta con quelle di altri finanziatori a livello mondiale e organizzazioni internazionali (Banca mondiale, Fondo monetario internazionale). Si persegue inoltre l’obiettivo della coerenza tra la politica di sviluppo e le altre politiche comunitarie, tra le quali la politica agricola comune e la politica commerciale comune.

Attualmente, l'Unione europea è il principale partner dei paesi in via di sviluppo, in termini di aiuti, scambi commerciali e investimenti diretti. Insieme, la Comunità e gli Stati membri hanno fornito nel 2009 49 miliardi di euro di aiuti, pari al 56% del complesso degli aiuti internazionali pubblici allo sviluppo. L’UE ha inoltre fissato per gli Stati membri, entro il 2015, l’obiettivo dello 0,7 percento del PIL da destinare agli aiuti allo sviluppo,

La relazione annuale sui progressi compiuti nel finanziamento dello sviluppo relativa all’anno 2009 - il documento con cui la Commissione valuta ogni anno il rispetto degli impegni assunti dagli Stati membri e dall’UE in materia di finanziamento dello sviluppo - mostra che, a dispetto dell’impatto della crisi sulle economie dei paesi membri, l’aiuto ufficiale allo sviluppo ha continuato a crescere come percentuale del reddito nazionale lordo (RNL), raggiungendo lo 0.42 percento. Tre dei cinque paesi maggiori donatori sono membri dell’UE (Francia, Germania e Regno Unito) e quattro dei cinque paesi che hanno superato l’obiettivo dello 0.7 percento del PIL sono membri dell’UE (Danimarca, Lussemburgo, Paesi bassi e Svezia). Tuttavia, l’UE non ha raggiunto l’obiettivo collettivo dello 0,56 percento del PIL che si era riproposta per il 2010. Infatti, pur avendo raggiunto la cifra record di 53,8 miliardi di euro, pari a un rapporto APS/RNL dello 0,43%, e mobilitato più di 4,5 miliardi di euro supplementari nonostante la recessione economica, gli Stati membri sono rimasti al di sotto (15 miliardi di euro) del traguardo che si erano impegnati a raggiungere[7]. Occorre in proposito precisare che tale obiettivo si riferisce all’RNL cumulato degli Stati membri, mentre per ciascuno Stato dell’UE a 15 l’obiettivo era fissato allo 0,51 percento; i restanti 12 Stati membri dell’UE contribuivano all’obiettivo collettivo raggiungendo lo 0,17 percento del PIL nazionale.

Secondo la Commissione, soltanto se ciascuno Stato membro farà la sua parte, sarà possibile raggiungere l’obiettivo dell’0,7 per cento per il 2015.

Per quanto riguarda l’Italia – sulla base dei dati forniti dal Comitato di assistenza allo sviluppo dell’OCSE (Development assistance committee - DAC) nonché dalle risposte fornite dagli Stati membri al questionario dell’UE sul finanziamento allo sviluppo - la Commissione segnala per il 2010 lo 0.15 per cento del reddito nazionale lordo (con una diminuzione dell’1% rispetto all’anno precedente), il che richiederebbe un aumento dello 0.55 percento entro il 2015. Al momento l’Italia è lo Stato membro più in ritardo rispetto al raggiungimento degli obiettivi fissati.

 

 

1995

2000

2005

2010

Francia

0,55

0,30

0,47

0,50

Germania

0,31

0,27

0,36

0,38

Italia

0,15

0,13

0,29

0,15

Regno Unito

0,29

0,32

0,47

0,56

Spagna

0,24

0,22

0,27

0,43

Aiuto pubblico allo sviluppo (come percentuale sul PIL)

Strumenti giuridici e risorse

La cooperazione allo sviluppo dell’UE è fondata su una vasta gamma di strumenti giuridici e finanziari, che rispecchia la natura multiforme dei rapporti intrattenuti dall'Unione coi paesi interessati.

Il sistema convenzionale si basa sulla conclusione di accordi internazionali, in particolare di associazione nel quadro dell'articolo 217 del TFUE. Tali accordi possono essere multilaterali, ossia riguardare un vasto numero di controparti (ad esempio le convenzioni di Lomé), o bilaterali, nel caso in cui presiedano alle relazioni tra l’Unione e un paese specifico (ad esempio, ciascuno dei paesi del Maghreb).

Il sistema unilaterale si basa sull'articolo 207 del TFUE, che regola la politica commerciale comune, la quale costituisce la base del sistema di preferenze generalizzate concepito per facilitare l'accesso al mercato comunitario ai prodotti provenienti dai paesi in via di sviluppo.

Per quanto riguarda il finanziamento della cooperazione allo sviluppo, la fonte principale è rappresentata dal bilancio comunitario, attraverso lo strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo in vigore a partire dal 1° gennaio 2007 (regolamento (Ce) N. 1905/2006), nell’ambito del nuovo quadro regolamentare istituito, con le prospettive finanziarie 2007-2013, nell’intento di potenziare l'efficacia degli aiuti esterni dell’Unione europea.

Gli stanziamenti messi a disposizione tramite questo strumento sono ripartiti sulla base di un duplice approccio, geografico e tematico.

I programmi geografici intendono sostenere lo sviluppo dei paesi e delle regioni dell'America latina, dell'Asia, del Medio Oriente e del Sud Africa, e rafforzare la cooperazione con essi.

I programmi tematici - complementari a quelli geografici - sostengono azioni in materia di sviluppo umano e sociale; ambiente e gestione sostenibile delle risorse naturali, ivi compresa l’energia; sicurezza alimentare; migrazione e asilo. Uno specifico programma tematico è destinato a cofinanziare attività proposte e/o intraprese dalle organizzazioni della società civile e dalle autorità locali dei paesi partner nel settore dello sviluppo.

L'importo finanziario di riferimento per il periodo 2007-2013 ammonta a 16,897 miliardi di euro, pari all’1,73 percento del bilancio totale dell’UE.

Oltre al bilancio comunitario, gli interventi relativi alla cooperazione allo sviluppo si basano su due strumenti finanziari più specifici:

·      il Fondo europeo di sviluppo (FES), che si affida ai contributi degli Stati membri e che rappresenta lo strumento principale degli aiuti comunitari per la cooperazione allo sviluppo con gli Stati ACP (Africa, Caraibi e Pacifico), nonché con i paesi e territori d'oltremare. Dalla quarta convenzione di Lomé in poi, i finanziamenti a favore dei paesi ACP sono quasi esclusivamente a fondo perduto. Per il periodo 2008-2013 il 10° Fondo europeo di sviluppo (FES) costituisce il quadro finanziario, con una dotazione di 22,7 miliardi di euro;

·      la Banca europea per gli investimenti (BEI), che concede prestiti nel quadro delle proprie attività esterne.

Per quanto riguarda la gestione degli aiuti comunitari allo sviluppo, a partire dal maggio 2000 la Commissione ha realizzato un processo di riforma, mirante a:

Tra le novità introdotte vi è l’istituzione dell’Ufficio EuropeAid, responsabile della gestione dell’intero ciclo del progetto, dalla sua formulazione alla valutazione finale. La programmazione e la strategia sono invece svolte dalle Direzioni generali geografiche e tematiche. Inoltre, è stato introdotto uno strumento strategico per ciascun paese, al fine di garantire la coerenza dell’intervento ed il coordinamento tra donatori; è stato, altresì, attuato un maggior decentramento delle responsabilità gestionali.

Secondo quanto stabilito nella decisione del Consiglio che ha istituito il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) (2010/427/UE del 26 luglio 2010), la Commissione rimane responsabile della gestione degli strumenti finanziari[8].Nell’ambito dell’intero ciclo di programmazione, pianificazione ed attuazione dei citati strumenti finanziari, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e il SEAE collaboreranno con i competenti servizi della Commissione. In particolare, il servizio avrà la responsabilità di preparare le seguenti decisioni della Commissione: definizione degli stanziamenti di ciascuna regione e ciascun paese; papers strategici per paese e per regione; programmi nazionali e regionali.

Il consenso europeo

Il 20 dicembre 2005, il Presidente di turno dell’Unione europea e i Presidenti della Commissione e del Parlamento europeo hanno firmato la dichiarazione comune intitolata “Il consenso europeo sullo sviluppo”, presentata dalla Commissione il 13 luglio 2005[9].

L’obiettivo della dichiarazione è quello di definire la nuova politica di sviluppo dell’UE per contribuire alla riduzione della povertà, in linea con gli Obiettivi di sviluppo del Millennio (OSM). Il consenso europeo fornisce, per la prima volta in 50 anni di cooperazione allo sviluppo, un quadro comune di obiettivi, valori e princìpi che l’Unione europea – la Commissione e i 27 Stati membri – promuoverà come partner globale.

La nuova strategia proposta dalla Commissione riflette i cambiamenti intervenuti dall’adozione della precedente strategia che risale al novembre 2000: il maggiore consenso sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio, la questione della sicurezza dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre e l’aumentato impatto della globalizzazione.

Il consenso europeo esprime una nuova concezione di cooperazione allo sviluppo, con un migliore coordinamento e obiettivi comuni come pilastri; definisce lo sviluppo come elemento chiave dell’azione esterna dell’Unione e delle sue politiche commerciali; esplora i collegamenti tra queste politiche e altre aree come migrazione, ambiente ed occupazione.

In particolare, la prima parte illustra la visione dello sviluppo da parte dell’UE, definendo obiettivi, principi e valori comuni per la cooperazione allo sviluppo, tra i quali si segnalano: la promozione di un aiuto di maggiore entità e più efficace; la titolarità dei programmi e delle strategie da parte dei paesi in via di sviluppo; il dialogo politico approfondito su diritti umani, governance e democrazia; la partecipazione della società civile; l’uguaglianza di genere; l’attenzione agli Stati fragili. Il consenso europeo guiderà l’azione della Commissione e degli Stati membri nelle attività a favore dei paesi in via di sviluppo, in uno spirito di complementarietà.

L'UE continuerà a dare priorità al sostegno ai paesi meno avanzati e a quelli a reddito basso e medio. Le risorse saranno stanziate secondo criteri obiettivi e trasparenti, basati sulle necessità e sulle prestazioni dei paesi beneficiari. Tutta la programmazione nazionale e regionale della Comunità seguirà il principio della concentrazione, ossia la selezione di un numero limitato di settori di azione evitando la dispersione degli sforzi in settori troppo diversi.

La qualità degli aiuti sarà prioritaria per l'UE, che controllerà l'osservanza del suo impegno a garantire l'efficacia della sua azione. I principi fondamentali in questo contesto sono la titolarità nazionale, il coordinamento e l'armonizzazione dei donatori (già a partire dal livello locale), l'allineamento ai sistemi dei paesi destinatari e l'orientamento ai risultati. Saranno sviluppati meccanismi di aiuto di natura meno aleatoria e più prevedibili che consentiranno ai paesi partner di definire una programmazione efficace.

Come dichiarato nel consenso europeo, l'UE promuoverà un migliore coordinamento e una maggiore complementarità tra i donatori, puntando su una programmazione pluriennale congiunta, basata sulle strategie e sulle procedure dei paesi partner, su meccanismi comuni di attuazione, su missioni congiunte a livello di donatori e sul ricorso a dispositivi di cofinanziamento. Inoltre, al fine di conseguire gli OSM, l'UE favorirà la coerenza delle politiche di sviluppo in vari settori, in particolare in quello del commercio, della sicurezza e dell'immigrazione.

La seconda parte della dichiarazione definisce la rinnovata politica dello sviluppo dell’Unione europea, chiarendo il ruolo della Comunità e i modi per tradurre la visione in attività operativa.

La Comunità utilizzerà gli strumenti che si riveleranno più efficaci: favorirà un approccio differenziato basato sulle necessità, sulle priorità e sulle risorse proprie del paese. Gli obiettivi di sviluppo sono obiettivi a pieno titolo. La cooperazione allo sviluppo è uno dei principali elementi di un'ampia serie di azioni esterne che devono essere coerenti e complementari. I documenti di programmazione relativi alle strategie nazionali, regionali o tematiche riflettono questo insieme di politiche e ne garantiscono la coerenza.

Rispondendo alle necessità manifestate dai paesi partner, la Comunità sarà attiva principalmente nei seguenti settori: commercio e integrazione regionale; ambiente e gestione sostenibile delle risorse naturali; infrastrutture, comunicazioni e trasporti; risorse idriche e energia; sviluppo rurale, pianificazione del territorio, agricoltura e sicurezza alimentare; governance, democrazia, diritti umani e sostegno alle riforme economiche e istituzionali; prevenzione dei conflitti e della fragilità degli Stati; sviluppo umano; coesione sociale e occupazione.

Per alcune problematiche che rappresentano anche principi generali applicabili a qualsiasi tipo di iniziativa e che necessitano di uno sforzo multisettoriale, la Comunità rafforzerà l'approccio di integrazione ("mainstreaming"). Si tratta della democrazia, della governance, dei diritti dei minori e delle popolazioni autoctone, della parità uomo-donna, della sostenibilità ambientale e della lotta contro l'HIV/AIDS.

Le modalità dell'aiuto si conformeranno alle necessità e alla situazione specifica di ciascun paese. Per quanto possibile verrà privilegiato il sostegno al bilancio. La Comunità si avvarrà di un approccio basato su indicatori di risultato e di avanzamento.

Dopo la riforma dell'assistenza esterna, varata dalla Commissione nel 2000, altri miglioramenti continueranno ad essere apportati, ad esempio nei sistemi d'informazione, e sarà proseguito il processo di devoluzione alle delegazioni. Alla Commissione spetterà il compito di assicurare l'attuazione del "consenso europeo per lo sviluppo" nei programmi comunitari di sviluppo in tutti i paesi in via di sviluppo.

Obiettivi di sviluppo del millennio

Nell’ambito degli Obiettivi di sviluppo del millennio (OSM), fissati nel 2000 dalla comunità internazionale, l’Unione europea – in quanto maggior donatore di aiuto allo sviluppo - ha assunto una serie di impegni.

I contributi forniti dall’UE nei dieci anni trascorsi dalla Dichiarazione del millennio e i progressi compiuti a livello internazionale sono stati esposti dalla Commissione nel pacchetto presentato ad aprile 2010 e valutati dal Consiglio in vista del Vertice dell’ONU di settembre 2010, dedicato alla revisione degli OSM. 

Per favorire il raggiungimento di risultati concreti e orientati all'azione, il Consiglio ha proposto l'adozione delle seguenti azioni e politiche concrete:

a)      rafforzare la titolarità in vista della realizzazione degli OSM - I paesi in via di sviluppo sono i principali responsabili della realizzazione degli OSM. L'UE li invita a rafforzare la loro titolarità e leadership, segnatamente includendo gli OSM nelle strategie di sviluppo nazionali, agendo con trasparenza e responsabilità e includendo tutte le parti interessate (governi centrali e locali, organizzazioni della società civile e settore privato);

b)      concentrare gli sforzi - L'UE e gli Stati membri presteranno particolare attenzione ai paesi che registrano il maggiore ritardo, inclusi quelli in situazioni di conflitto e fragilità, e ai paesi in via di sviluppo che, attraverso le loro politiche e i loro piani di sviluppo, si impegnano risolutamente a perseguire progressi in materia di OSM entro il 2015;

c)      migliorare l'impatto delle politiche sullo sviluppo e sugli OSM - L'UE riconosce l'interdipendenza dei progressi riguardo ai vari OSM e l'impatto degli OSM in ritardo, quali la fame, l'assistenza sanitaria infantile e materna, le strutture igienico-sanitarie, l'accesso, l'inclusione e la qualità dell'istruzione per tutti i bambini;

d)      mobilitare finanziamenti maggiori e prevedibili a favore dello sviluppo;

e)      utilizzare più efficacemente le risorse per lo sviluppo.

Il sostegno al bilancio

Il sostegno al bilancio è uno dei meccanismi fondamentali per l’erogazione degli aiuti da parte della Commissione, in linea con i principi volti a rafforzare la titolarità a livello locale, promuovere la capacità di sviluppo nei paesi partner, garantire l’allineamento degli aiuti con le politiche nazionali e ridurre i costi di transazione degli aiuti.

Con il sostegno al bilancio i fondi sono trasferiti nella tesoreria nazionale del paese beneficiario, purché esso soddisfi le condizioni di pagamento concordate. Negli ultimi anni, il sostegno al bilancio (generale o settoriale) è andato acquisendo centralità a livello UE come strumento atto a sostenere politiche economiche e di bilancio sane e stimolare il processo di riforma dei paesi partner.

In tale contesto, il 19 ottobre 2010 la Commissione ha adottato un Libro verde sul futuro del sostegno al bilancio dell'UE a favore dei paesi terzi e ha lanciato un'ampia consultazione pubblica, che si è conclusa a fine dicembre 2010, e raccogliere elementi fattuali su come, in base agli insegnamenti tratti, si può garantire in futuro un uso migliore del sostegno al bilancio tanto a livello UE che degli Stati membri.

Gli obiettivi specifici del Libro verde sono: identificare le opportunità e le sfide, esaminare con precisione come sfruttare queste opportunità e affrontare le sfide, raccogliere pareri e contributi nell'intento di migliorare il nostro approccio al sostegno al bilancio.

Il Libro verde sull’impatto della politica di sviluppo dell’UE

Il 10 novembre 2010 la Commissione europea ha presentato il Libro verde La politica di sviluppo a sostegno della crescita inclusiva e dello sviluppo sostenibile – Potenziare l’impatto della politica di sviluppo dell’UE, sul cui contenuto ha avviato una consultazione pubblica aperta fino al 17 gennaio 2011.

Di fronte alla triplice sfida della crisi − economica, alimentare ed ambientale − ma anche alla luce dei risultati economici generalmente incoraggianti ottenuti dai paesi in via di sviluppo, la Commissione intende raccogliere opinioni su come l'Unione europea possa ottimizzare il suo sostegno per accelerare il cammino di tali paesi verso il conseguimento degli obiettivi di sviluppo del millennio ed oltre. Partendo dai traguardi già raggiunti, essa propone quattro principali aree di discussione, incentrate:

f)        sull’impatto degli aiuti UE, così che ogni euro speso, oltre a produrre il maggior valore aggiunto possibile e il miglior rapporto costi-benefici, crei anche il massimo effetto leva ed il più ampio patrimonio di opportunità per le generazioni future. Gli aiuti europei devono incentrarsi su settori ove il valore aggiunto sia chiaramente visibile. Si comincerà puntando su quattro requisiti fondamentali: lo sviluppo umano − incluse la sanità e l'istruzione − e la sicurezza, che sono i presupposti per lo sviluppo di ogni paese; la crescita e l'inclusione sociale, necessarie per qualunque impegno duraturo. Tali obiettivi implicano anche un sostegno a favore del buon governo, il coordinamento degli aiuti e la coerenza tra le varie politiche;

g)      sugli strumenti atti ad agevolare una crescita più inclusiva, Si tratta di stabilire se l'Unione europea debba esaminare l'eventualità di definire nuove strategie congiunte per una crescita inclusiva, di concerto con i singoli paesi in via di sviluppo o con gruppi regionali di tali paesi, coinvolgendo anche operatori del settore privato;

h)      sulla promozione dello sviluppo sostenibile. lo sviluppo basato sull'economia "verde" non va visto solo come onere, ma come vero e potente impulso alla creazione di opportunità. La Commissione solleva peraltro il problema dell'accesso alle fonti energetiche, che rappresenta uno dei presupposti per poter conseguire la maggior parte degli obiettivi di sviluppo del millennio: Essa rammenta che l'Africa ha un gran potenziale di energia rinnovabile non ancora sfruttato, che potrebbe essere utilizzato per garantire a milioni di persone l'accesso all'elettricità;

i)        sul conseguimento di risultati durevoli nei settori dell'agricoltura e della sicurezza alimentare.

Dopo la consultazione pubblica, aperta sia agli Stati membri dell'UE che ai paesi partner, la Commissione presenterà, nel 2011, una comunicazione su una politica di sviluppo dell'Unione europea più moderna.

Aiuto al commercio

Il 15 ottobre 2007 il Consiglio ha approvato una strategia UE di "aiuto per il commercio", volta a consentire a tutti i paesi in via di sviluppo, in particolare a quelli meno avanzati, di integrarsi meglio nel sistema mondiale di scambi e di utilizzare le attività commerciali in modo più efficace, contribuendo alla riduzione della povertà in un contesto di sviluppo sostenibile.

La strategia si compone di azioni articolate nei seguenti assi:

-          aumentare il volume collettivo dell'aiuto per il commercio dell'UE nell'ambito degli impegni ambiziosi in materia di sviluppo per aumentare gradualmente l'aiuto complessivo dell'UE;

-          rafforzare l'orientamento a favore dei poveri e la qualità dell'aiuto dell'UE per il commercio;

-          aumentare la capacità dei donatori a livello di UE e di Stati membri in linea con principi di efficacia dell'aiuto concordati a livello mondiale;

-          consolidare, incentivare e sostenere i processi di integrazione regionale ACP tramite un'ottica specifica nella strategia comune dell'UE in materia di aiuto per il commercio;

-          sostenere un'efficace attività di monitoraggio e di presentazione di relazioni riguardo all'aiuto per il commercio.

Si segnala inoltre che, nell’ambito dei negoziati del Doha round, la posizione negoziale dell’UE prevede anche l’approvazione di un significativo pacchetto sviluppo, che comprenda, tra l’altro, una soluzione alle distorsioni al commercio causate dai sussidi ai produttori di cotone da parte dei paesi sviluppati; l’accesso libero da quote e tariffe per tutti i paesi meno sviluppati al mercato dei paesi sviluppati; la garanzia che la reciprocità in termini di apertura al mercato non sia richiesta ai paesi meno sviluppati nell’attuale fase negoziale; un pacchetto globale di aiuti al commercio; misure speciali per aiutare i paesi più poveri ad attuare effettivamente il futuro accordo di Doha, senza danni di lungo termine alle loro economie.

Il sistema delle preferenze generalizzate

Il sistema delle preferenze generalizzate (SPG), applicato dalla CEE dal 1971 sulla base di una raccomandazione dell’UNCTAD (Conferenza delle Nazioni Unite su commercio e sviluppo), consente di potenziare le esportazioni di prodotti originari dei paesi in via di sviluppo tramite la concessione di speciali preferenze tariffarie. L’SPG applicato dall’UE è il più generoso fra tutti i sistemi adottati dai paesi sviluppati. Si segnala che sotto il regime SPG dell’UE tra il 1999 e il 2003 la percentuale delle importazioni dai paesi in via di sviluppo è cresciuta dal 33 al 40 per cento.

Dal 1° gennaio 2009 e fino al 31 dicembre 2013 l’SPG è disciplinato dal regolamento n. 732/2008/CE. Il nuovo schema introdotto già a partire dal 2006 comporta una semplificazione del sistema precedente, in quanto riduce il numero di regimi preferenziali da cinque a tre: un regime generale, un regime speciale di incentivazione per lo sviluppo sostenibile e il buon governo e un regime speciale per i paesi meno sviluppati (“EBA – Tutto fuorché le armi”). Tutti i paesi potranno beneficiare del regime generale ad eccezione di quelli classificati dalla Banca mondiale per tre anni consecutivi come paesi ad alto reddito e quelli che beneficino di trattamenti preferenziali nell’ambito di accordi con l’Unione. La copertura del regime generale è estesa ad ulteriori 300 prodotti, prevalentemente nei settori dell’agricoltura e della pesca. Il regime speciale di incentivazione per lo sviluppo sostenibile è destinato ai paesi in via di sviluppo più bisognosi e viene concesso immediatamente ai paesi che hanno ratificato e posto effettivamente in applicazione 16 convenzioni di base sui diritti umani e del lavoro nonché 7 delle convenzioni riguardanti il buon governo e la tutela dell'ambiente. Il regime “Tutto fuorché le armi” è destinato ai cinquanta paesi più poveri che avranno libero accesso al mercato comunitario per tutti i prodotti, ad eccezione delle armi.

Come nel sistema precedente, alcuni prodotti possono essere esclusi dall’applicazione di tariffe preferenziali, se diventano competitivi sui mercati europei. Il nuovo schema prevede un meccanismo più semplice per l’esclusione dei prodotti. In luogo dei criteri precedenti (quota delle importazioni preferenziali, indice di sviluppo, indice di specializzazione nelle esportazioni) si prevede un unico criterio: la quota del mercato comunitario, espressa come percentuale rispetto al totale delle importazioni preferenziali. In pratica i prodotti dei paesi beneficiari che, in un determinato settore, superano il 15 per cento del totale delle importazioni dell’Unione europea dai paesi SPG sono promossi e cessano di beneficiare dell’accesso preferenziale. La soglia è fissata al 12,5 per cento per i prodotti tessili.

Accordo di Cotonou

L’Accordo di Cotonou, che sostituisce la IV Convenzione di Lomè, scaduta a febbraio 2000, riunisce in una nuova partnership l’Unione europea e 77 paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP). Firmato il 23 giugno 2000 dopo un complesso negoziato, l’Accordo è entrato in vigore il 1° aprile 2003, a seguito del deposito degli strumenti di ratifica da parte della Comunità europea presso il segretariato dei paesi ACP. L'intento dell’Accordo è quello di stimolare e accelerare lo sviluppo economico, sociale e culturale degli Stati ACP, di contribuire alla pace e alla sicurezza e di favorire un clima politico stabile e democratico.

L'Accordo, che definisce il quadro della cooperazione finanziaria e getta le basi per la creazione di una serie di aree di libero scambio entro vent'anni, si fonda su cinque orientamenti politici:

Sul piano finanziario sono stati stanziati globalmente, per il periodo dal 2000 al 2007, 15.200 milioni di euro, di cui 13.500 provenienti dal 9° FES (Fondo europeo di sviluppo) e 1700 milioni forniti dalla Banca europea per gli investimenti (BEI). Per il periodo 2008-2013 il 10° Fondo europeo di sviluppo (FES) costituisce il quadro finanziario, con una dotazione di 22,7 miliardi di euro.

L'Accordo contiene disposizioni per favorire il dialogo politico tra le Parti e prevede una clausola relativa al rispetto dei diritti umani, dei principi democratici e dello Stato di diritto, che consente di prendere i provvedimenti opportuni nei confronti del paese interessato, senza l'obbligo di consultazioni preliminari.

L'Unione europea, in vista della creazione di una zona di libero scambio, si impegna ad aiutare i Governi dei paesi partner ad adeguarsi alle dinamiche dell'economia mondiale, in cambio anche di impegni sul fronte dell'immigrazione e del rispetto dei diritti umani.

L’accordo prevede una revisione quinquennale, la seconda delle quali si è conclusa nel 2010, aggiornando la cooperazione UE ACP sulla base delle nuove sfide: cambiamento climatico, sicurezza alimentare, integrazione regionale, fragilità degli stati e efficacia degli aiuti.

Gli APE

Il 17 giugno 2002 il Consiglio dell’Unione ha autorizzato la Commissione a negoziare accordi di partenariato economico (APE) con gli Stati aderenti all’Accordo di Cotonou[10]. Gli APE riguarderanno i temi del commercio e dello sviluppo e sono destinati a sostituire le previsioni in materia contenute nell’Accordo di Cotonou, perché queste ultime rappresentano una deroga temporanea alle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio.

I negoziati sono stati aperti ufficialmente a settembre 2002 a Bruxelles. Dopo una prima fase di colloqui con tutti i paesi ACP, che ha portato il 2 ottobre 2003 ad un’intesa preliminare sui temi generali, sono stati avviati i negoziati a livello regionale che si sono conclusi soltanto con i paesi dei Caraibi[11]. Essendo la deroga scaduta con il 1° gennaio 2008 e in assenza di un’alternativa compatibile con le regole dell’OMC, a fine 2007 la Commissione ha siglato APE ad interim con tutti gli altri gruppi regionali con l’obiettivo di trasformarli in accordi complessivi e definitivi.

 



 

Documenti

 



[1]  Le quattro Convenzioni di Lomé hanno costituito dal 1975 al 2000 il quadro della cooperazione allo sviluppo dell’UE con i paesi ACP (Africa, Caraibi e Pacifico)

[2]  Gli aiuti ammontano a 22.682 milioni di euro per il periodo 2008-2013.

[3]  Regolamento (CE) n. 1085/2006 del Consiglio, del 17 luglio 2006.

[4]  Regolamento (CE) n. 1638/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 2006.

[5]  Algeria, Armenia, Autorità palestinese della Cisgiordania e di Gaza, Azerbaigian, Bielorussia, Egitto, Federazione russa, Giordania, Georgia, Israele, Libano, Libia, Marocco, Moldova, Siria, Tunisina, Ucraina.

[6] Si segnalano: la Dichiarazione sui Diritti umani adottata al Consiglio europeo di Lussemburgo del 28 e 29 giugno 1991, la risoluzione su diritti umani, democrazia e sviluppo, adottata dal Consiglio il 28 novembre 1991; la Dichiarazione adottata dall’Unione il 10 dicembre 1998 in occasione del cinquantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani.

[7] I dati sono forniti dalla Commissione nella comunicazione del 19 aprile 2011 “Aumentare la responsabilità dell'UE relativamente al finanziamento dello sviluppo nei confronti della valutazione inter pares sull'aiuto pubblico allo sviluppo dell'UE” (COM (2011) 218)

[8] Oltre al Fondo europeo di sviluppo e allo Strumento per la cooperazione allo sviluppo, si tratta di: Strumento europeo per la democrazia e i diritti umani, Strumento per il vicinato dell'UE e il partenariato, Strumento per la cooperazione sulla sicurezza nucleare e Strumento per la cooperazione con i paesi industrializzati.

[9] COM (2005)311.

[10] Il Sudafrica, pur essendo firmatario dell’Accordo di Cotonou, non fa parte dei paesi che partecipano agli accordi APE, e le sue relazioni con l’Unione europea sono regolate dall’Accordo sugli scambi, la cooperazione e lo sviluppo che prevede la liberalizzazione del 95% degli scambi in dodici anni.

[11] L’accordo è stato siglato a dicembre 2007. Il 18 marzo 2008 la Commissione ha presentato la proposta di decisione del Consiglio relativa alla conclusione dell’APE con i paesi dei Caraibi (COM (2008) 156.