Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Bilancio dello Stato
Altri Autori: Servizio Commissioni
Titolo: (DOC 241) Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di ordinamento transitorio di Roma Capitale
Riferimenti:
SCH.DEC 241/XVI     
Serie: Note di verifica    Numero: 220
Data: 16/09/2010
Descrittori:
AREE METROPOLITANE   CENTRI URBANI
ROMA - Prov, LAZIO     
Organi della Camera: V-Bilancio, Tesoro e programmazione

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Atti del Governo

Ordinamento transitorio
di Roma capitale

Schema di D.Lgs. n. 241

(artt. 2 e 24, L. n. 42/2009)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 215

 

 

13 settembre 2010

 


Servizio responsabile: SERVIZIO STUDI

Dipartimento Bilancio

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Dipartimento Istituzioni

( 066760-3855 – * st_istituzioni@camera.it

 

Ha partecipato alla redazione del dossier il:

Servizio Bilancio dello Stato

Nota di verifica - dossier n. 220

( 066760-2174 / 066760-9455 – * bs_segreteria@camera.it

 

§       Le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi.

§       Le parti relative ai profili di carattere finanziario sono state curate dal Servizio Bilancio dello Stato.

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: BI0305.doc


INDICE

Schede di lettura

§      La norma di delega......................................................................................... 3

§      Articolo 1 (Oggetto)........................................................................................ 9

§      Articolo 2 (Organi di governo di Roma capitale).......................................... 11

§      Articolo 3 (Assemblea capitolina)................................................................. 12

§      Articolo 4 (Sindaco e Giunta capitolina)....................................................... 19

§      Articolo 5 (Status degli amministratori di Roma capitale)............................ 24

§      Articolo 6 (Clausola di invarianza finanziaria)............................................... 30

§      Articolo 7 (Disposizioni transitorie e finali).................................................... 31

 

Normativa di riferimento

§      L. 5 maggio 2009, n. 42 Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione (artt. 2, 24)39

 


Schede di lettura

 


La norma di delega

L’articolo 24 della legge n. 42 del 2009 detta norme sull’ordinamento transitorio, anche finanziario, di Roma capitale in attuazione dell’art. 114, terzo comma, della Costituzione[1]. - che riserva alla legge dello Stato il compito di definire l’ordinamento della città di Roma in relazione al ruolo di capitale della Repubblica - nonché in vista della sua costituzione in città metropolitana.

In particolare, l’articolo configura, in luogo del comune di Roma, un nuovo ente territoriale, denominato “Roma capitale”, l’ordinamento del quale è in parte direttamente introdotto dall’articolo medesimo (commi 2-4); in parte è rimesso ad uno o più decreti legislativi del Governo (commi 5-7) ed in parte è definito mediante richiamo ad altre leggi, vigenti o da adottare (commi 8-10).

Le disposizioni recate dall’articolo 24 hanno carattere transitorio o, per meglio dire, costituiscono una “normativa-ponte” in vista dell’attuazione di una disciplina organica delle città metropolitane che, ex articolo 23 della stessa legge n. 42/2009, sarà determinata con apposito decreto legislativo. A decorrere da allora, le disposizioni recate dall’articolo 24 non dovrebbero perdere efficacia ma andare, per così dire, a regime, intendendosi riferite alla città metropolitana di Roma capitale[2].

 

Per quanto riguarda la disciplina direttamente recata dall’articolo 24, il comma 2 prevede che l’ente “Roma capitale”, i cui confini territoriali coincidono con quelli del comune di Roma, è dotato di una “speciale autonomia” statutaria, amministrativa e finanziaria, nel rispetto dei limiti costituzionali.

Le finalità generali di tale più ampio ambito di autonomia sono chiarite dal suddetto comma nel senso che  l’ordinamento di Roma capitale dovrà garantire il migliore assetto delle peculiari funzioni che la capitale è chiamata svolgere in quanto sede degli organi costituzionali, nonché delle rappresentanze diplomatiche degli Stati esteri presenti presso la Repubblica italiana, presso lo Stato della Città del Vaticano e presso le istituzioni internazionali.

 

Il successivo comma 3 dispone l’attribuzione a Roma capitale, oltre che di quelle attualmente spettanti al comune di Roma, delle seguenti ulteriori funzioni amministrative:

§      concorso alla valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali e fluviali, previo accordo con il Ministero per i beni e le attività culturali (lettera a));

§      sviluppo economico e sociale di Roma capitale con particolare riferimento al settore produttivo e turistico (lettera b));

§      sviluppo urbano e pianificazione territoriale (lettera c));

§      edilizia pubblica e privata (lettera d));

§      organizzazione e funzionamento dei servizi urbani, con particolare riferimento al trasporto pubblico ed alla mobilità (lettera e));

§      protezione civile, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei ministri e la Regione Lazio[3] (lettera f));

§      ulteriori funzioni conferite dallo Stato e dalla Regione Lazio, ai sensi dell’art. 118, comma secondo, Cost. (lettera g)).

 

Il comma 4 rimette la disciplina dell’esercizio delle sopra elencate funzioni amministrative ad appositi regolamenti adottati dal consiglio comunale di Roma che, divenuto organo del nuovo ente territoriale, assume la denominazione di Assemblea capitolina. I predetti regolamenti:

§      devono essere conformi:

-       alla Costituzione;

-       ai vincoli derivanti dall’appartenenza all’Unione europea ed ai vincoli internazionali;

-       alla legislazione statale e regionale;

§      sono adottati nel rispetto dell’articolo 117, sesto comma, della Costituzione, che attribuisce e delimita la potestà regolamentare di Stato, Regioni ed enti locali.

§      sono redatti in conformità al “principio di funzionalità”: la relativa disciplina deve in altre parole risultare funzionale alle speciali attribuzioni amministrative attribuite a Roma capitale.

 

Il secondo periodo del comma 4 dispone che, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo (recte: di uno dei decreti legislativi) che, ai sensi del successivo comma 5, disciplineranno l’ordinamento transitorio di Roma capitale, l’Assemblea capitolina approva, con particolare riguardo al decentramento municipale, lo statuto di Roma capitale, la cui entrata in vigore è fissata il giorno successivo a quello di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. L’approvazione ha luogo ai sensi dell’articolo 6, commi 2, 3 e 4, del testo unico sugli enti locali (TUEL)[4].

I commi da 5 a 7 rimettono ad uno o più decreti legislativi, da adottarsi ai sensi dell’articolo 2 della medesima legge n. 42/2009, la disciplina dell’ordina­mento transitorio, anche finanziario, di Roma capitale.

Il testo originario della legge n. 42 prevedeva l’emanazione di “uno specifico decreto legislativo”. L’attuale formulazione della disposizione che prevede “uno o più decreti legislativi” è stata successivamente introdotta dall’articolo 1, comma 21, D.L. 30 dicembre 2009, n. 194 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010 n. 25).

Per un difetto di coordinamento della nuova disciplina con la precedente i commi 4, 6 e 7 continuano peraltro a fare riferimento ad un unico decreto legislativo , vincolando ad esso specifici contenuti, non presenti nell’atto in esame.

 

L’esercizio della delega deve conformarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi (comma 5):

§      specificazione delle nuove funzioni amministrative attribuite a Roma capitale in base al comma 3 e definizione delle modalità per il trasferimento all’ente delle risorse umane e dei mezzi necessari (lettera a));

§      assegnazione a Roma capitale di ulteriori risorse finanziarie, parametrate sulle nuove funzioni amministrative attribuite, nonché sulle specifiche esigenze di finanziamento derivanti dal ruolo di capitale della Repubblica, ferme restando le norme di legge sul finanziamento dei comuni (lettera b)).

 

In relazione alle nuove funzioni amministrative di Roma capitale, l’articolo 24 non chiarisce il rapporto tra le disposizioni dei commi 3 e 4, con le quali sono attribuite le nuove funzioni il cui esercizio deve essere disciplinato con i regolamenti dell’Assemblea capitolina, ed il comma 5, che prevede la specificazione delle suddette funzioni mediante decreto legislativo. Sembrerebbe comunque che la piena efficacia dell’attribuzione a Roma capitale delle funzioni individuate dal comma 3 – e quindi l’esercizio della funzione regolamentare in materia da parte dell’Assemblea capitolina - sia subordinata all’adozione del decreto legislativo che le specifica.

 

Ai sensi del comma 6, contenuto necessario della normativa delegato è la disciplina dei raccordi istituzionali, del coordinamento e della collaborazione tra il nuovo ente e lo Stato, la regione Lazio e la provincia di Roma nell’esercizio delle funzioni amministrative di cui al comma 3, nonché dello status dei membri dell’Assemblea capitolina.

 

Il comma 7 rimette, poi, alla normativa delegata, come ulteriore contenuto necessario, la statuizione dei princìpi generali per l’attribuzione alla città di Roma capitale di un proprio patrimonio, nel rispetto dei seguenti, specifici principi e criteri direttivi:

§      attribuzione di un patrimonio commisurato alle funzioni e alle competenze di Roma capitale;

§      trasferimento a titolo gratuito a Roma capitale dei beni appartenenti al patrimonio dello Stato non più funzionali alle esigenze dell’amministrazione centrale; fatta eccezione per quelle tipologie di beni, da individuare ai sensi dell’articolo 19, comma 1, lettera d), che non siano suscettibili di trasferimento in quanto “di rilevanza nazionale”, inclusi tra questi i beni appartenenti al patrimonio culturale nazionale.

 

Ai sensi del comma 8, le norme sull’ordinamento transitorio di Roma capitale - sia quelle di cui al medesimo articolo 24 che quelle da adottare con i decreti legislativi - non possono essere modificate, derogate od abrogate se non espressamente. La medesima disposizione integra, altresì, la disciplina di Roma capitale operando un generale rinvio, per quanto non disposto dall’articolo 24, alla disciplina concernente i comuni, contenuta nel testo unico sugli enti locali.

 

Le norme di delega stricto sensu intese sono dunque contenute nei commi da 5 a 7 dell’articolo 24, che non contengono specifici principi e criteri direttivi riferiti all’autonomia statutaria e agli organi di Governo di Roma capitale, disciplinati dal provvedimento in esame (con l’eccezione del comma 6, secondo periodo, che prevede la disciplina dello status dei membri dell’Assemblea capitolina).

Tali principi e criteri direttivi potrebbero, però, ritenersi desumibili dalle altre disposizioni dell’articolo in base ad una interpretazione sistematica.

Rispetto alla delega sull’ordinamento transitorio di Roma capitale, lo schema di decreto in esame disciplina esclusivamente, come detto, l’autonomia statutaria, gli organi di governo e lo status degli amministratori di Roma capitale (non solo quello dei membri dell’Assemblea capitolina, specificamente individuato dal comma 6).

La delega deve pertanto essere ancora attuata per ciò che attiene alla specificazione delle nuove funzioni amministrative di Roma capitale, all’assegnazione di nuove risorse, ai raccordi istituzionali con lo Stato, la Regione e la Provincia, nonché ai principi generali per l’attribuzione a Roma Capitale di un proprio patrimonio.

 

Si osserva altresì che, sulla base della formulazione testuale del comma 6, il raccordo istituzionale ed il coordinamento tra Roma capitale e gli altri enti territoriali dovrebbero essere previsti dallo stesso decreto che disciplina lo status dei membri dell’Assemblea capitolina. Lo schema di decreto in esame invece reca disposizioni relative allo status degli amministratori di Roma capitale, ma non contiene norma relative al raccordo con gli altri enti (che peraltro appaiono connesse all’attribuzione delle nuove funzioni).

 

Per quanto riguarda il procedimento di adozione dei decreti, la delega può essere esercitata nel termine di ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge n. 42, previsto, in via generale, dall’articolo 2 della medesima legge per i decreti di attuazione del federalismo fiscale. L’articolo 24, poi, dispone in via particolare per l’iter dei decreti sull’ordinamento di Roma capitale, il parere della Regione Lazio, del Comune di Roma e della Provincia di Roma.

In ordine allo schema di decreto in esame, si segnala che:

§      il Comune di Roma ha espresso parere favorevole, subordinato ad alcuni emendamenti, con ordine del giorno n. 81 del 19 luglio, approvato dal Consiglio comunale;

§      la Provincia ha espresso parere favorevole con mozione n. 252 del 26 luglio, approvata dal Consiglio provinciale;

§      la Regione Lazio ha comunicato, in data 26 luglio, parere favorevole, con una lettera informale della Presidente della regione, dopo aver acquisito per le vie brevi i pareri dei capigruppo del Consiglio regionale.

 

Inoltre, l’articolo 2, comma 3, della legge n. 42/2009, prevede sullo schema di decreto l’intesa in sede di Conferenza unificata. Questa è stata raggiunta nella seduta del 29 luglio 2010, a fronte dell’impegno del Ministro per le riforme per il federalismo di proporre al Consiglio dei ministri, al momento dell’approvazione definitiva del provvedimento, alcuni emendamenti, proposti dal Comune di Roma, relativi al numero dei municipi e alle indennità dei consiglieri.

Si precisa, infine, che a seguito dell’attuazione della disciplina delle città metropolitane – cui si giungerà secondo le procedure previste dall’articolo 23 della legge n. 42 – e a decorrere dall’istituzione della città metropolitana di Roma capitale, le disposizioni sull’ordinamento transitorio di Roma capitale previste dall’art. 24, ivi comprese quelle relative alle funzioni, si intendono riferite alla città metropolitana di Roma capitale (commi 9 e 10)[5].


 

Articolo 1
(Oggetto)

 

1. Il presente decreto reca disposizioni fondamentali dell’ordinamento di Roma capitale ai sensi dell’articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni.

2. Le norme di cui al presente decreto costituiscono limite inderogabile per l’autonomia normativa dell’Ente e possono essere modificate, derogate o abrogate dalle leggi dello Stato solo espressamente.

 

 

L’articolo 1, al comma 1, definisce l’oggetto del provvedimento, che reca disposizioni fondamentali dell'ordinamento di Roma Capitale, ai sensi dell'art. 24 della legge di delega sul federalismo fiscale (L. 5 maggio 2009, n. 42, su cui v. supra)

Si ricorda in proposito che, ai sensi dell’art. 114, terzo comma, Cost., Roma è la capitale della Repubblica e la legge dello Stato disciplina il suo ordinamento.

 

Il comma 2 dispone che le norme del decreto costituiscono un limite inderogabile per l'autonomia normativa dell'ente.

Esse inoltre possono essere modificate, derogate o abrogate dalle leggi dello Stato soltanto espressamente.

Tale disposizione – che ne riproduce una analoga già stabilita dal comma 8 dell’art. 24 della legge n. 42/2009 – si ispira al principio recato dall’art. 13 bis della legge n. 400/1988, introdotto dall’art. 3 della legge n. 69/2009 in tema di chiarezza dei temi normativi, secondo il quale occorre che “ogni norma che sia diretta a sostituire, modificare o abrogare norme vigenti ovvero a stabilire deroghe indichi espressamente le norme sostituite, modificate, abrogate o derogate”.

 

Tale principio costituisce un superamento delle norme sulla successione delle leggi nel tempo fissate dall’art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale (cd. preleggi).

L’art. 15 delle preleggi prevede infatti che le leggi sono abrogate, oltre che per dichiarazione espressa di una legge posteriore, anche per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l'intera materia già regolata dalla legge anteriore.

Comunque, l’ordinamento, già prima dell’entrata in vigore del citato art. 3 della legge n. 69/2009 recava disposizioni analoghe a quella in esame: valga per tutti il richiamo all’art. 1, comma 4, del TUEL, che stabilisce che le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe al testo unico se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni.

 

Occorre valutare l’efficacia e il fondamento di un siffatto vincolo così come le conseguenze della sua inosservanza, atteso che su norme formulate in tal modo si riverberano tutti i problemi che involgono l’ammissibilità di limiti posti alle leggi future dal legislatore ordinario.

La disposizione potrebbe anche essere intesa come una sorta di clausola di salvaguardia del provvedimento stesso, allo scopo di realizzare il principio della certezza del diritto, riducendo lo spazio di apprezzamento spettante all’interprete in ordine al giudizio sulla incompatibilità tra la disciplina anteriore e quella sopravvenuta.

 


 

Articolo 2
(Organi di governo di Roma capitale)

 

1. Sono organi di governo di Roma capitale l’Assemblea capitolina, la Giunta capitolina ed il Sindaco.

 

 

L’articolo 2 individua, quali organi di governo dell’ente territoriale Roma capitale, il Sindaco, la Giunta capitolina e l’Assemblea capitolina.

 

La disposizione riprende il modello dell’articolo 36, comma 1, del TUEL, che individua quali organi di governo del comune il Consiglio, la Giunta ed il sindaco (elencandoli peraltro in questo diverso ordine).

 

Mentre l’assunzione della denominazione di Assemblea capitolina da parte del consiglio comunale della città di Roma è già prevista dall’art. 24, comma 4, legge n. 42/2009, la denominazione di Giunta capitolina costituisce una novità introdotta dalla disposizione in esame.

 

I successivi articoli 3 e 4 dello schema in esame disciplinano i predetti organi.

 


 

Articolo 3
(Assemblea capitolina)

 


1. L’Assemblea capitolina è l’organo di indirizzo e di controllo politico-ammini­strativo.

2. L’Assemblea capitolina è composta dal Sindaco di Roma capitale e da quarantotto Consiglieri.

3. L’Assemblea capitolina è presieduta da un Presidente eletto tra i Consiglieri nella prima seduta, con votazione a scrutinio segreto. Al Presidente sono attribuiti i poteri di convocazione e direzione dei lavori e delle attività dell’Assemblea e gli altri poteri previsti dallo statuto e dal regolamento dell’Assemblea, che disciplinano altresì l’esercizio delle funzioni vicarie. La revoca dalla carica di Presidente è ammessa nei soli casi di gravi violazioni di legge, dello statuto e del regolamento dell’Assemblea, che ne disciplina altresì le relative procedure.

4. L’Assemblea capitolina disciplina con propri regolamenti l’esercizio delle funzioni di cui al comma 3 dell’articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, in conformità al principio di funzionalità rispetto alle attribuzioni di Roma capitale, secondo quanto previsto dal comma 4 del citato articolo 24.

5. L’Assemblea capitolina, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, approva lo statuto di Roma capitale che entra in vigore il giorno successivo alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Lo statuto disciplina, nei limiti stabiliti dalla legge, i municipi di Roma capitale, quali circoscrizioni di decentramento, in numero non superiore a dodici.

6. Lo statuto è deliberato con il voto favorevole dei due terzi dei Consiglieri assegnati. Qualora tale maggioranza non venga raggiunta, la votazione è ripetuta in successive sedute da tenersi entro trenta giorni e lo statuto è approvato se ottiene per due volte il voto favorevole della maggioranza assoluta dei Consiglieri assegnati. Lo statuto è pubblicato nelle forme e nei termini previsti dalle vigenti disposizioni di legge ed è inserito nella raccolta ufficiale degli statuti del Ministero dell’Interno. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche alle modifiche statutarie.

7. Lo statuto stabilisce i casi di decadenza dei Consiglieri per la non giustificata assenza dalle sedute e dalle relative votazioni dell’Assemblea capitolina.

8. Lo statuto ed i regolamenti di cui al comma 4 prevedono e disciplinano forme di monitoraggio e controllo, finalizzate a garantire, nell’esercizio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali, il rispetto degli standard e degli obiettivi di servizio definiti dai decreti legislativi di cui all’articolo 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42, nonché l’efficace tutela dei diritti dei cittadini.


 

 

L’articolo 3, comma 1, definisce l’Assemblea capitolina organo di indirizzo e controllo politico-amministrativo, riprendendo la definizione prevista dall’art. 42, comma 1, TUEL per il consiglio comunale.

 

Il comma 2 stabilisce che l'Assemblea capitolina è composta dal Sindaco di Roma capitale e da quarantotto Consiglieri.

La disposizione conferma quanto previsto dalla normativa vigente.

 

L’art. 37, comma 1, lett. a), TUEL prevede che il consiglio dei comuni con popolazione superiore ad un milione di abitanti è composto dal sindaco e da 60 membri.

La legge finanziaria 2010 ha peraltro disposto una riduzione del 20 per cento del numero dei consiglieri comunali[6] (art. 2, comma 184, L. 191/2009, modificato dall'art. 1, comma 1, D.L. 2/2010[7]). La riduzione si applica dal 2011, man mano che gli enti procedono al rinnovo degli organi (art. 1, comma 2, D.L. 2/2010).

In forza di queste previsioni il consiglio comunale di Roma sarà composto, a decorrere dal prossimo rinnovo, dal sindaco e da 48 membri. 

 

Ai sensi del comma 3, l'Assemblea capitolina è presieduta da un Presidente eletto tra i Consiglieri nella prima seduta, con votazione a scrutinio segreto. Al Presidente sono attribuiti i poteri di convocazione e direzione dei lavori e delle attività dell’Assemblea e gli altri poteri previsti dallo statuto e dal regolamento dell'Assemblea, che disciplinano altresì l'esercizio delle funzioni vicarie.

Le disposizioni interviene in un ambito attualmente disciplinato dall’art. 39, comma 1, TUEL.

 

In particolare, l’articolo 39, comma 1, TUEL prevede che i consigli dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti sono presieduti da un presidente eletto tra i consiglieri nella prima seduta del consiglio. Al presidente del consiglio sono attribuiti, tra gli altri, i poteri di convocazione e direzione dei lavori e delle attività del consiglio. Quando lo statuto non dispone diversamente, le funzioni vicarie di presidente del consiglio sono esercitate dal consigliere anziano (cioè il consigliere alle elezioni ha ottenuto la maggior cifra individuale).

 

La previsione dell’obbligo della votazione segreta per l’elezione del Presidente dell’Assemblea ha carattere innovativo rispetto al TUEL, che non detta disposizioni al riguardo.

Lo statuto del comune di Roma peraltro già prevede l’elezione con votazione segreta a mezzo schede del Presidente del consiglio comunale (art. 18, comma 6).

 

La revoca della carica di Presidente è ammessa nei soli casi di gravi violazioni di legge, dello statuto e del regolamento dell'assemblea, che ne disciplina altresì le relative procedure (comma 3, ultimo periodo).

Il TUEL non contempla disposizioni relative alla revoca del Presidente del consiglio comunale.

 

Il comma 4 stabilisce che l'Assemblea capitolina disciplina con propri regolamenti l'esercizio delle nuove funzioni amministrative attribuite a Roma capitale sulla base dell’art. 24, comma 3, della L. 42/2009, in conformità al principio di funzionalità rispetto alle attribuzioni di Roma capitale, secondo quanto previsto dal comma 4 del medesimo articolo.

La disposizione ripete peraltro il contenuto del citato articolo 24, comma 4, primo periodo, L. 42/2009.

 

In particolare, l’art. 24, comma 3, L. 42/2009 prevede che, oltre a quelle attualmente spettanti, sono attribuite a Roma capitale le seguenti funzioni amministrative:

a) concorso alla valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali e fluviali, previo accordo con il Ministero per i beni e le attività culturali;

b) sviluppo economico e sociale di Roma capitale con particolare riferimento al settore produttivo e turistico;

c) sviluppo urbano e pianificazione territoriale;

d) edilizia pubblica e privata;

e) organizzazione e funzionamento dei servizi urbani, con particolare riferimento al trasporto pubblico ed alla mobilità;

f) protezione civile, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei ministri e la regione Lazio;

g) ulteriori funzioni conferite dallo Stato e dalla regione Lazio, ai sensi dell’ articolo 118, secondo comma, della Costituzione.

L’art. 24, comma 4, primo periodo, prevede che l’esercizio delle funzioni di cui al comma 3 è disciplinato con regolamenti adottati dal consiglio comunale, che assume la denominazione di Assemblea capitolina, nel rispetto della Costituzione, dei vincoli comunitari ed internazionali, della legislazione statale e di quella regionale nel rispetto dell’ articolo 117, sesto comma, della Costituzione nonché in conformità al principio di funzionalità rispetto alle speciali attribuzioni di Roma capitale.

 

Si ricorda peraltro che, tra i principi ed i criteri direttivi della delega contenuta nell’articolo 24, comma 5, figura la specificazione delle nuove funzioni attribuite ai sensi del comma 3 e la definizione delle modalità per il trasferimento a Roma capitale delle relative risorse umane e dei mezzi (lettera a)). Il comma 6 del medesimo articolo 24 richiede altresì che nell’ambito dei decreti legislativi attuativi siano assicurati i raccordi istituzionali, il coordinamento e la collaborazione di Roma capitale con lo Stato, la regione Lazio e la provincia di Roma, nell’esercizio delle nuove funzioni.

 

In conformità ai principi dell’ordinamento relativi al sistema delle fonti e sulla base di una lettura sistematica della norma di delega, non sembra che il potere regolamentare in questione possa essere esercitato anche a prescindere dall’attuazione delle richiamate norme dell’articolo 24.

Dal momento che le nuove funzioni pertengono a materie ascritte alla competenza normativa dello Stato o delle regioni, dovrà inoltre essere chiarito, sul piano delle fonti del diritto, il rapporto tra i regolamenti dell’Assemblea capitolina e la vigente normativa statale e regionale.

 

Il comma 5 prevede che l'Assemblea capitolina, entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto in esame, approva lo statuto di Roma capitale, che entra in vigore il giorno successivo alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (primo periodo).

La disposizione riprende in sostanza l’articolo 24, comma 4, secondo periodo, L. 42/2009, secondo il quale l’Assemblea capitolina, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, approva, ai sensi dell’articolo 6, commi 2, 3 e 4, TUEL, con particolare riguardo al decentramento municipale, lo statuto di Roma capitale che entra in vigore il giorno successivo alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

La procedura di approvazione dello statuto prevista dall’art. 6, comma 4, TUEL è confermata dal comma 6, che prevede che lo statuto è deliberato con il voto favorevole dei due terzi dei consiglieri assegnati; qualora tale maggioranza non venga raggiunta, la votazione viene ripetuta in successive sedute da tenersi entro trenta giorni e lo statuto è approvato se ottiene due volte il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consiglieri.

Lo schema di decreto non riprende invece le disposizioni dell’articolo 6, commi 2 e 3, TUEL – che attengono, rispettivamente, al contenuto dello statuto e all’attuazione del principio di pari opportunità tra uomo e donna – che risultano comunque applicabili in virtù del richiamo generale alla normativa vigente operato dall’articolo 7, comma 1, dello schema di decreto in esame.

 

In particolare, l’art. 6, comma 2, TUEL prevede che lo statuto, nell'àmbito dei princìpi fissati dal testo unico, stabilisce le norme fondamentali dell'organizzazione dell'ente e, in particolare, specifica le attribuzioni degli organi e le forme di garanzia e di partecipazione delle minoranze, i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio. Lo statuto stabilisce, altresì, i criteri generali in materia di organizzazione dell'ente, le forme di collaborazione fra comuni e province, della partecipazione popolare, del decentramento, dell'accesso dei cittadini alle informazioni e ai procedimenti amministrativi, lo stemma e il gonfalone e quanto ulteriormente previsto dal presente testo unico.

Ai sensi del comma 3 del medesimo articolo, gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi della normativa vigente, e per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti.

Si ricorda altresì che in materia di potestà statutaria degli enti locali è intervenuto l’art. 4, L 131/2003, relativo all’attuazione dell'articolo 114, secondo comma, e dell'articolo 117, sesto comma, della Costituzione in materia di potestà normativa degli enti locali. I commi 1 e 2 di tale articolo prevedono, in particolare, che i Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà normativa secondo i princìpi fissati dalla Costituzione. La potestà normativa consiste nella potestà statutaria e in quella regolamentare. Lo statuto, in armonia con la Costituzione e con i princìpi generali in materia di organizzazione pubblica, nel rispetto di quanto stabilito dalla legge statale in attuazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, stabilisce i princìpi di organizzazione e funzionamento dell'ente, le forme di controllo, anche sostitutivo, nonché le garanzie delle minoranze e le forme di partecipazione popolare.

 

Lo statuto è pubblicato nelle forme e nei termini previsti dalle vigenti disposizioni di legge ed è inserito nella raccolta ufficiale degli statuti del Ministero dell'Interno (comma 5, secondo periodo).

Ai sensi della normativa vigente (art. 6, comma 5, TUEL) lo statuto viene pubblicato nel bollettino ufficiale della regione e affisso presso l’albo pretorio dell’ente per trenta giorni consecutivi; viene, inoltre, inviato al Ministero dell’Interno ai fini dell’inserimento nella raccolta ufficiale degli statuti.

Sono dunque previste diverse forme di pubblicità dello statuto: la pubblicazione in Gazzetta ufficiale, prevista dal comma 5, da cui comunque dipende l’entrata in vigore dello statuto, si aggiunge alla pubblicità già prevista dalla normativa vigente.

 

Come già previsto dal TUEL (art. 6, comma 4, ultimo periodo), il procedimento di approvazione dello statuto si applica anche alle modifiche statutarie (comma 6, ultimo periodo).

 

Lo statuto, disciplina, nei limiti stabiliti dalla legge, i municipi di Roma capitale, quali circoscrizioni di decentramento, in numero non superiore a dodici (comma 5, secondo periodo).

Occorre segnalare che la normativa vigente non prevede espressamente un limite massimo al numero delle circoscrizioni di decentramento in cui può essere articolato il territorio dei comuni con popolazione superiore a 250.000 abitanti. È comunque previsto che la popolazione media delle circoscrizioni non può essere inferiore a 30.000 abitanti (art. 17, comma 3, ultimo periodo, TUEL).

Il territorio del comune di Roma è attualmente articolato in diciannove municipi.

 

Si ricorda inoltre che l’articolo 24, comma 4, L. 42/2009, che costituisce la disposizione di delega, prevede che l’Assemblea capitolina, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, approva, con particolare riguardo al decentramento municipale, lo statuto di Roma capitale

 

La disciplina vigente sulle circoscrizioni di decentramento comunale è contenuta nell’art. 17 TUEL e nell’art. 2, comma 186, della legge finanziaria 2010[8].

Sulla base del combinato disposto di tali disposizioni, i comuni con popolazione superiore a 250.000 abitanti hanno facoltà di articolare il loro territorio in circoscrizioni di decentramento, quali organismi di partecipazione, di consultazione e di gestione di servizi di base, nonché di esercizio delle funzioni delegate dal comune (tale facoltà è stata invece soppressa per i comuni con popolazione compresa tra i 100.000 e i 250.000 abitanti). La popolazione media delle circoscrizioni, come già ricordato, non può essere inferiore a 30.000 abitanti. L'organizzazione e le funzioni delle circoscrizioni sono disciplinate dallo statuto comunale e da apposito regolamento Gli organi delle circoscrizioni rappresentano le esigenze della popolazione delle circoscrizioni nell'àmbito dell'unità del comune e sono eletti nelle forme stabilite dallo statuto e dal regolamento.

Nei comuni con popolazione superiore a 300.000 abitanti, lo statuto può prevedere particolari e più accentuate forme di decentramento di funzioni e di autonomia organizzativa e funzionale, determinando, altresì, gli organi di tali forme di decentramento, lo status dei componenti e le relative modalità di elezione, nomina o designazione. Il consiglio comunale può deliberare, a maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati, la revisione della delimitazione territoriale delle circoscrizioni esistenti e la conseguente istituzione delle nuove forme di autonomia ai sensi della normativa statutaria.

 

Si ricorda, inoltre, che è in corso l’esame presso il Senato un disegno di legge, già approvato dalla Camera, recante la cd. Carta delle autonomie, che interviene anche sulla disciplina delle circoscrizioni di decentramento[9].

 

In merito alla previsione di diminuzione del numero dei municipi, della quale lo statuto dovrà tenere conto, si evidenzia che lo schema in esame non reca alcuna disposizione transitoria in ordine all’entrata in vigore della prevista riduzione, a differenza di quanto stabilito dall’art. 7, comma 3, del medesimo schema per la riduzione del numero dei membri dell’Assemblea capitolina.

 

Ai sensi del comma 7, lo statuto stabilisce i casi di decadenza dei consiglieri per la non giustificata assenza dalle sedute e dalle relative votazioni dell'Assemblea capitolina.

Tale disposizione si rifà a quanto stabilito dall’art. 43, comma 4, TUEL, che prevede che lo statuto stabilisce i casi di decadenza per la mancata partecipazione alle sedute e le relative procedure, garantendo, il diritto del consigliere a far valere le cause giustificative.

 

Il comma 8 dispone infine che lo statuto ed i regolamenti di cui al comma 4 disciplinano le forme di monitoraggio e controllo finalizzate a garantire, nell'esercizio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali, il rispetto degli standard e degli obiettivi di servizio definiti dai decreti legislativi attuativi della delega sul federalismo fiscale, nonché l'efficace tutela dei diritti dei cittadini.

Tale disposizione non ha un diretto riscontro nel TUEL


 

Articolo 4
(Sindaco e Giunta capitolina)

 


1. Il Sindaco è il responsabile dell’amministrazione di Roma capitale, nell’ambito del cui territorio esercita le funzioni attribuitegli dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti quale rappresentante della comunità locale e quale ufficiale del Governo.

2. Il Sindaco di Roma capitale partecipa alle riunioni del Consiglio dei ministri all’ordine del giorno delle quali siano iscritti argomenti inerenti alle funzioni conferite a Roma capitale, in conformità di quanto previsto dall’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri.

3. La Giunta capitolina è composta dal Sindaco di Roma capitale, che la presiede, e da un numero massimo di Assessori pari ad un quarto dei Consiglieri dell’Assem­blea capitolina assegnati.

4. Il Sindaco di Roma capitale nomina i componenti della Giunta capitolina, tra cui un Vicesindaco, e ne dà comunicazione all’Assemblea capitolina nella prima seduta successiva alla elezione. Il Sindaco può revocare uno o più Assessori, dandone motivata comunicazione all’Assemblea.

5. Gli Assessori sono nominati dal Sindaco, anche al di fuori dei componenti dell’Assemblea capitolina, fra i cittadini in possesso dei requisiti di candidabilità, eleggibilità e compatibilità alla carica di consigliere dell’Assemblea. La nomina ad Assessore comporta la sospensione di diritto dall’incarico di Consigliere dell’As­semblea capitolina e la sostituzione con un supplente, individuato nel candidato della stessa lista che ha riportato, dopo gli eletti, il maggior numero di voti. La supplenza ha termine con la cessazione della sospensione e non comporta pregiudizio dei diritti di elettorato passivo del Consigliere supplente.

6. La Giunta collabora con il Sindaco nel governo di Roma capitale. Essa compie tutti gli atti rientranti nelle funzioni degli organi di governo che non siano riservati dalla legge all’Assemblea capitolina e che non ricadano nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del Sindaco o degli organi di decentramento.

7. La Giunta disciplina, con propri regolamenti e in conformità allo statuto, l’ordinamento generale degli uffici e dei servizi, in base a criteri di autonomia, funzionalità ed economicità di gestione, secondo principi di professionalità e responsabilità, in relazione all’esercizio delle funzioni conferite con gli appositi decreti legislativi.

8. Il voto dell’Assemblea capitolina contrario ad una proposta del Sindaco o della Giunta non comporta le dimissioni degli stessi.

9. Il Sindaco cessa dalla carica in caso di approvazione di una mozione di sfiducia votata per appello nominale dalla maggioranza assoluta dei componenti l’Assemblea. La mozione di sfiducia deve essere motivata e sottoscritta da almeno due quinti dei Consiglieri assegnati, senza computare a tal fine di Sindaco, e viene messa in discussione non prima di dieci giorni e non oltre trenta giorni dalla sua presentazione. Se la mozione viene approvata, la Giunta decade  e si procede allo scioglimento dell’Assemblea capi­tolina, con contestuale nomina di un commissario ai sensi dell’articolo 141 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

10. Al fine di garantire il tempestivo adempimento degli obblighi di legge o la puntuale attuazione delle linee program­matiche di mandato, il Sindaco può richiedere che le relative proposte di deliberazione siano sottoposte all’esame ed al voto dell’Assemblea capitolina con procedura d’urgenza, secondo le disposizioni stabilite dallo statuto e dal regolamento dell’Assemblea.


 

L’articolo 4 reca le norme concernenti il Sindaco e la Giunta capitolina.

 

Il comma 1 attribuisce al Sindaco la responsabilità dell'amministrazione di Roma Capitale, riconoscendogli le funzioni attribuitegli dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti in quanto rappresentante della comunità locale e quale ufficiale di Governo.

Restano dunque confermate in capo al Sindaco di Roma capitale, da una parte, le funzioni inerenti alla qualità di organo di vertice dell’amministrazione comunale (art. 50, comma 1, TUEL), dall’altra, le competenze connesse alla carica di Sindaco quale ufficiale di Governo e, dunque, organo decentrato dello Stato (artt. 14 e 54 TUEL).

 

Il comma 2 stabilisce che  il Sindaco di Roma Capitale partecipa alle riunioni del Consiglio dei Ministri all'ordine del giorno delle quali siano iscritti argomenti inerenti alle funzioni conferite a Roma Capitale, in conformità a quanto previsto dall'ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Nell’ambito della normativa sull’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri[10], non risultano norme specifiche relative alla partecipazione di rappresentanti delle amministrazioni territoriali alle riunioni del Consiglio dei Ministri.

Forme di partecipazione di questo tipo, soprattutto dei Presidenti delle regioni, sono peraltro già previste da diverse disposizioni di legge.

 

Ai sensi del comma 3, la Giunta capitolina è composta dal Sindaco, che la presiede, e da un numero massimo di assessori pari ad un quarto dei Consiglieri dell'Assemblea capitolina assegnati.

La normativa vigente, contenuta nella legge finanziaria 2010 (art. 2, comma 185, L. 191/2009[11]), prevede che il numero massimo degli assessori comunali è determinato, per ciascun comune, in misura pari a un quarto del numero dei consiglieri del comune, con arrotondamento all’unità superiore; nel numero dei consiglieri del comune è computato il Sindaco[12].

Sulla base della disciplina vigente, per il comune di Roma - cui spettano, oltre al sindaco, 48 consiglieri - il numero massimo degli assessori è pari a 13[13].

 

La disposizione del comma 3 non reca alcuna specificazione riguardo alla computabilità del sindaco nel numero dei consiglieri da prendere come base per il calcolo del numero massimo degli assessori (lasciando conseguentemente nel dubbio l’interprete) né riguardo al criterio di arrotondamento (con conseguente presumibile applicabilità del criterio dell’arrotondamento aritmetico).

 

Il numero massimo degli assessori della Giunta capitolina risulta dunque pari a 12, come confermato dalla relazione illustrativa, e dunque inferiore di un’unità rispetto a quanto previsto dalla normativa vigente[14].

Si evidenzia che lo schema in esame non reca alcuna disposizione transitoria in ordine all’entrata in vigore della prevista riduzione, a differenza di quanto stabilito dall’art. 7, comma 3, del medesimo schema per la riduzione del numero dei membri dell’Assemblea capitolina

 

Il comma 4 prevede che il Sindaco nomina i componenti della Giunta capitolina, tra cui il Vice Sindaco, dandone comunicazione all'Assemblea capitolina nella prima seduta successiva alla elezione. Il Sindaco può revocare uno o più assessori, dandone motivata comunicazione all'Assemblea.

La disposizione ricalca il contenuto dell’art. 46, commi 1 e 4, TUEL.

 

Il comma 5, primo periodo, stabilisce che gli assessori sono nominati dal Sindaco, anche al di fuori dei componenti dell'Assemblea capitolina, fra i cittadini in possesso dei requisiti di candidabilità, eleggibilità e compatibilità alla carica di consigliere dell'Assemblea.

Anche in tal caso, la disposizione riprende il contenuto del TUEL, in particolare dell’art. 47, comma 3.

 

Ai sensi del comma 5, secondo periodo, la nomina ad assessore comporta la sospensione di diritto dall'incarico di consigliere dell'Assemblea capitolina e la sostituzione con un supplente, individuato nel candidato della stessa lista che ha riportato, dopo gli eletti, il maggior numero di voti. Tale supplenza termina con la cessazione della sospensione e non comporta pregiudizio dei diritti di elettorato passivo del Consigliere supplente.

La norma presenta carattere innovativo rispetto alle disposizioni del TUEL. L’art. 64 TUEL, dopo aver sancito l’incompatibilità nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti tra le cariche di assessore e di consigliere (comma 1), dispone infatti la cessazione dalla carica, all'atto di accettazione della nomina, del consigliere che assume la carica di assessore nella rispettiva Giunta ed il subentro del primo dei non eletti.

 

Una ben diversa ipotesi di sospensione ex lege del consigliere comunale, con applicazione dell’istituto della supplenza, è prevista dal TUEL per coloro che hanno riportato una condanna non definitiva per determinati reati o nei cui confronti è stata applicata, con provvedimento non definitivo, una misura di prevenzione per taluni delitti o una misura di coercizione in via cautelare (art. 59 e 45, comma 2).

 

 

Il comma 6, primo periodo, prevede che la Giunta collabora con il Sindaco nel governo di Roma Capitale.

La disposizione riprende il contenuto dell’articolo 48, comma 1, TUEL, senza peraltro specificare che la Giunta opera attraverso deliberazioni collegiali.

 

Il comma 6, secondo periodo, dispone che la Giunta compie tutti gli atti rientranti nelle funzioni degli organi di governo che non siano riservati dalla legge all'Assemblea capitolina e che non ricadano nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del Sindaco o degli organi di decentramento.

La disposizione riprende il contenuto dell’art. 48, comma 2, TUEL, confermando il generale principio di carattere residuale che presiede al riparto di competenze tra gli organi di governo del comune, in virtù del quale la giunta compie tutti gli atti che non siano riservati dalla legge all’organo consiliare e che non ricadano nelle competenze del sindaco o degli organi di decentramento.

A differenza dell’art. 48, comma 2, non richiama espressamente, ai fini dell’individuazione degli atti rientranti nelle funzioni degli organi di governo, l’articolo 107, commi 1 e 2, TUEL[15], relativo al riparto di competenze tra organi di governo e dirigenza, e non prevede che la Giunta collabora con il sindaco e con il presidente della provincia nell'attuazione degli indirizzi generali del consiglio, riferisce annualmente al consiglio sulla propria attività e svolge attività propositive e di impulso nei confronti dello stesso.

 

Ai sensi del comma 7, la Giunta disciplina l'ordinamento generale degli uffici e dei servizi, con propri regolamenti e in conformità allo statuto, in base a criteri di autonomia, funzionalità ed economicità di gestione e nel rispetto dei principi di professionalità e responsabilità, in relazione all'esercizio delle funzioni conferite con gli appositi decreti legislativi.

La disposizione, come risulta dalla relazione illustrativa, riveste carattere innovativo rispetto alle disposizioni del TUEL, che riconosce al consiglio comunale la competenza all’individuazione dei criteri generali in materia di ordinamento degli uffici e dei servizi (art. 42, comma 2, lett. a)) e, conseguentemente, prevede che alla Giunta compete l'adozione dei regolamenti sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal consiglio.

 

Si valuti l’opportunità di un chiarimento in ordine all’espressione “in relazione all'esercizio delle funzioni conferite con gli appositi decreti legislativi”: la norma riveste infatti carattere generale, riguardando per l’appunto l’ordinamento generale degli uffici e dei servizi, laddove la richiamata espressione sembrerebbe limitarne l’applicabilità alle sole funzioni che saranno conferite con i decreti legislativi (si presume) attuativi della delega sul federalismo fiscale.

 

Il comma 8 stabilisce che il voto dell'Assemblea capitolina contrario ad una proposta del Sindaco o della Giunta non comporta le dimissioni degli stessi.

Il comma 9 prevede che il Sindaco cessa dalla carica in caso di approvazione di una mozione di sfiducia votata per appello nominale dalla maggioranza assoluta dei componenti l'Assemblea. La mozione deve essere motivata e sottoscritta da almeno due quinti dei Consiglieri assegnati, senza computare a tal fine il Sindaco, e viene messa in discussione non prima di dieci giorni e non oltre trenta giorni dalla sua presentazione. Se la mozione viene approvata, la Giunta decade e si procede allo scioglimento dell'Assemblea capitolina, con contestuale nomina di un commissario ai sensi dell'articolo 141 del TUEL.

I commi 8 e 9 riprendono pressoché testualmente l’articolo 52 TUEL.

 

l comma 10, con una disposizione di carattere innovativo, prevede infine che il Sindaco, al fine di garantire il tempestivo adempimento degli obblighi di legge o la puntuale attuazione delle linee programmatiche di mandato, può richiedere che le relative proposte di deliberazione siano sottoposte all'esame ed al voto dell'Assemblea capitolina con procedura d'urgenza, secondo le disposizioni stabilite dallo Statuto e dal regolamento dell'Assemblea.

 


 

Articolo 5
(Status degli amministratori di Roma capitale)

 


1. Sono amministratori di Roma capitale il Sindaco, gli Assessori componenti la Giunta ed i Consiglieri dell’Assemblea capitolina.

2. Al Sindaco, agli Assessori e ai Consiglieri dell’Assemblea capitolina si applicano, in materia di permessi e licenze da fruire per l’espletamento del mandato, le disposizioni del presente decreto. In nessun caso, comunque, gli oneri a carico dell’Ente per i permessi retribuiti dei lavoratori dipendenti da privati o dati pubblici economici possono mensilmente superare, per ciascun amministratore, l’importo pari alla indennità di rispettiva spettanza.

3. Gli amministratori di Roma capitale che siano lavoratori dipendenti possono essere collocati a richiesta in aspettativa non retribuita per tutto il periodo di espletamento del mandato.

4. Il Sindaco, il Presidente dell’As­semblea capitolina e gli Assessori componenti della giunta hanno diritto di percepire una indennità di funzione secondo le disposizioni del presente decreto. Tale indennità è dimezzata per i lavoratori dipendenti che non abbiano richiesto l’aspettativa.

5. I Consiglieri dell’Assemblea capi­tolina hanno diritto di percepire una indennità di funzione, determinata con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle finanze, in una quota parte dell’indennità di Sindaco, fissata dal medesimo decreto. La misura della predetta indennità tiene conto della complessità e specificità delle funzioni conferite a Roma capitale, anche in considerazione della particolare rilevanza demografica dell’Ente, nonché degli effetti previdenziali, assistenziali ed assicurativi nei confronti dei lavoratori dipendenti che siano collocati in aspettativa non retribuita conseguenti all’assunzione della carica di Consigliere dell’Assemblea capitolina. L’indennità è dimezzata per i lavoratori dipendenti che non abbiano richiesto l’aspettativa. Il regolamento per il funzionamento dell’Assemblea capitolina prevede l’applicazione di detrazioni dell’indennità in caso di non giustificata assenza dalle sedute della stessa.


 

 

L’articolo 5 reca disposizioni relative allo status degli amministratori di Roma capitale - ossia sindaco, assessori e consiglieri dell’Assemblea capitolina - definendone, in particolare, il regime dell’aspettativa, dei permessi e dell’indennità di funzione.

Tali disposizioni attuano una specifica norma di delega: l’articolo 24, comma 6, secondo periodo, L 42/2009 individua espressamente la disciplina dello status dei “membri dell’Assemblea capitolina” tra i contenuti della delega.

 

La specifica norma di delega riguarda peraltro esclusivamente i membri dell’Assemblea capitolina, ossia il sindaco ed i consiglieri, mentre l’articolo in esame si riferisce anche agli assessori. La norma di delega si inquadra peraltro nell’ambito di una delega che ha un oggetto più ampio, che riguarda l’intero ordinamento di Roma capitale.

Si ricorda in proposito che lo schema di decreto in esame (art. 4, comma 5) precisa che:

-        gli assessori possono anche non far parte dell’Assemblea capitolina;

-        nel caso in cui l’assessore faccia parte dell’ Assemblea capitolina, la nomina ad assessore comporta la sospensione di diritto dall'incarico di consigliere dell'Assemblea capitolina e la sostituzione con un supplente. 

 

In particolare, il comma 1 individua, come già detto, l’ambito di applicazione soggettivo dell’articolo in esame, definendo quali amministratori di Roma capitale:

§      il sindaco;

§      gli assessori componenti la Giunta;

§      i consiglieri dell’Assemblea capitolina.

Il comma 2 stabilisce, al primo periodo, che agli amministratori di Roma capitale si applicano le disposizioni dello schema di decreto in esame in materia di permessi e licenze da fruire per l’espletamento del mandato.

 

Nello schema di decreto non risulta peraltro alcuna disposizione in materia di licenze, mentre per quanto riguarda i permessi l’unico riferimento è la fissazione di un limite degli oneri a carico del comune per i rimborsi relativi ai permessi retribuiti (vedi immediatamente infra).

Non risulta pertanto chiara la disciplina applicabile. Tra le modifiche proposte dal parere del Consiglio comunale di Roma approvato con l’ordine del giorno del 19 luglio 2010, vi è sul punto un richiamo alla normativa vigente.

 

In materia di permessi, il secondo periodo del comma 2 fissa un tetto agli oneri a carico del comune di Roma per i rimborsi dovuti ai datori di lavoro per i permessi retribuiti dei lavoratori dipendenti (privati e di enti pubblici economici) che sono anche amministratori del comune. Il limite massimo per tali oneri è fissato all’ammontare dell’indennità di rispettiva spettanza per ciascun amministratore, calcolata mensilmente.

La disciplina vigente non prevede un limite massimo per le somme da rimborsare ai datori di lavoro.

 

La disciplina dei permessi e delle licenze degli amministratori locali è attualmente contenuta negli artt. 79 e 80 TUEL. L’art. 79 stabilisce il diritto di tutti i lavoratori dipendenti (pubblici e privati) di assentarsi dal servizio per lo svolgimento dei compiti istituzionali legati all’attività di amministratore locale. Ai sensi del successivo art. 80 gli oneri relativi ai permessi retribuiti dei lavoratori dipendenti da privati o da enti pubblici economici sono a carico dell’ente locale secondo le seguenti modalità: il datore di lavoro corrisponde regolarmente la retribuzione al lavoratore, comprensiva anche delle assenze dal servizio, e invia la relativa richiesta di rimborso all’ente locale di competenza; questo, entro 30 giorni è tenuto a rimborsare il datore di lavoro per le ore o giornate di effettiva assenza del lavoratore. Sono invece a carico del datore di lavoro gli oneri per i permessi dei lavoratori dipendenti dallo Stato e dagli enti pubblici diversi da quelli economici.

Si ricorda, inoltre, che il nuovo codice militare ha abrogato le disposizioni del testo unico degli enti locali relative alla possibilità per i militari di leva, richiamati o in servizio sostitutivo di usufruire di licenze per mandato elettivo negli enti locali (si veda l’art. 2268 del D.Lgs. 66/2010 che ha abrogato l’art. 79, co. 2 e 3, ultimo periodo del D.Lgs. 267/2000).

 

La fissazione del tetto riguarda non le retribuzioni connesse ai permessi, ma gli oneri a carico dell’ente. Ne discende che, nel caso in cui si ritenesse applicabile la disciplina del TUEL, l’amministratore locale dipendente privato o di enti pubblici economici continuerebbe ugualmente a fruire dei permessi retribuiti, ma i relativi oneri resterebbero a carico del datore di lavoro (che non potrebbe più fruire dei rimborsi) limitatamente alla eventuale parte eccedente l’indennità spettante agli amministratori.  Nulla sarebbe invece innovato con riferimento ai dipendenti dallo Stato e dagli enti pubblici diversi da quelli economici, in quanto per questi soggetti gli oneri per i permessi sono già integralmente a carico del datore di lavoro e non dell’ente nei cui organi sono eletti, con l’unica eccezione del caso in cui l’eletto sia dipendente del comune di Roma (in tale ipotesi potrebbe infatti sostenersi l’applicabilità del tetto).

 

Il comma 3 prevede che gli amministratori che siano lavoratori dipendenti possono essere collocati in aspettativa non retribuita per il periodo corrispondente all’espletamento del proprio mandato.

 

L’istituto dell’aspettativa non retribuita degli amministratori locali è contemplata dal TUEL che ne definisce in dettaglio le modalità, prevedendo innanzitutto che il periodo di aspettativa deve essere considerato come servizio effettivamente prestato e che, in caso di periodo di prova, costituisce legittimo impedimento. Un regime differenziato è previsto in relazione agli oneri previdenziali e assistenziali: per gli organi di vertice (sindaco, presidente di provincia, presidente del consiglio comunale e provinciale, assessori ecc.) sono a carico dell’ente locale, mentre i membri delle assemblee elettive (consiglieri comunali, provinciali e circoscrizionali) assumono a proprio carico tali oneri (artt. 81 e 89 TUEL).

 

Il comma in esame peraltro non disciplina nel dettaglio l’istituto dell’aspettativa non retribuita per gli amministratori di Roma capitale, ai quali dovrebbe presumibilmente applicarsi, in virtù del richiamo dell’articolo 7, comma 1, la disciplina generale del TUEL.

 

Il commi 4 prevede che il Sindaco, il Presidente dell'Assemblea capitolina e gli Assessori componenti della Giunta hanno diritto di percepire un’indennità di funzione, secondo le disposizioni dello schema di decreto in esame. Tale indennità è dimezzata per i lavoratori dipendenti che non richiedono l’aspettativa.

La normativa vigente già prevede la corresponsione di un’indennità di funzione per questi soggetti (art. 82 TUEL), dimezzata per il lavoratori che non optano per l’aspettativa.

 

Nel testo del decreto in esame non risultano peraltro disposizioni che indichino le modalità di determinazione dell’indennità spettante al Presidente dell’Assemblea capitolina e agli assessori (per il sindaco si rinvia al comma 5).

La relazione tecnico-normativa indica quale oggetto del decreto del Ministro dell’interno di cui al comma 5 l’indennità di funzione degli “amministratori” di Roma capitale e non solo dei consiglieri (parte III, n. 7).

 

Il comma 5 riconosce anche ai Consiglieri dell'Assemblea Capitolina il diritto di percepire una indennità di funzione, determinata con decreto del Ministero dell'Interno in una quota parte dell'indennità del Sindaco, fissata dal medesimo decreto. Il decreto ministeriale deve tener conto della complessità e della specificità delle funzioni conferite alla città di Roma, anche in relazione della sua particolare rilevanza demografica[16]. Inoltre, nella quantificazione dell’indennità si dovranno valutare gli effetti previdenziali, assistenziali e assicurativi nei confronti dei lavoratori dipendenti collocati in aspettativa non retribuita in conseguenza dell’elezione al consiglio comunale. Anche per l’indennità dei consiglieri è previsto un dimezzamentonei confronti dei lavoratori dipendenti non collocati in aspettativa. È infine prevista l’applicazione di detrazioni dell’indennità, da definirsi da parte del regolamento dell’Assemblea capitolina, in caso di assenze non giustificate dalle sedute.

La disposizione ha carattere innovativo rispetto alla vigente disciplina del TUEL (art. 82), che prevede per i consiglieri comunali la corresponsione di gettoni di presenza, il cui importo non può comunque superare un quarto dell’indennità massima prevista per il rispettivo sindaco.

 

In particolare, la disciplina degli emolumenti degli amministratori locali ha la sua base nell’art. 82 del testo unico sugli enti locali (D.Lgs. 267/2000)[17], come modificato dal D.L. 78/2010[18]. L’indennità che compete al sindaco e agli assessori ha natura diversa rispetto a quella spettante ai consiglieri. Mentre l’indennità di funzione è connessa alla carica, i gettoni di presenza sono corrisposti per l’effettiva partecipazione alle sedute del consiglio.

Il comma 1 dell’articolo 82, con riferimento ai comuni, attribuisce un’indennità di funzione ai seguenti componenti degli organi esecutivi e consiliari:

-        sindaco;

-        presidente del consiglio circoscrizionale nei soli comuni capoluogo di provincia;

-        presidente del consiglio comunale;

-        componenti degli organi esecutivi di comuni e loro articolazioni (circoscrizioni) ove previste.

L’indennità è dimezzata per gli amministratori locali che sono lavoratori dipendenti e che, non avendo richiesto l’aspettativa non retribuita, continuano a lavorare; questi soggetti percepiscono la retribuzione dal datore di lavoro e usufruiscono, per lo svolgimento delle funzioni connesse all’espletamento del mandato, dei permessi retribuiti previsti dall’art. 79 del D.Lgs. 267/2000 (vedi sopra).

Agli amministratori ai quali viene corrisposta l’indennità di funzione non è dovuto alcun gettone per la partecipazione a sedute degli organi collegiali del medesimo ente, né di commissioni che di quell’organo costituiscono articolazioni interne ed esterne (TUEL art. 82, co. 7).

Ai sensi del co. 2 dell’art. 82, hanno diritto a percepire un gettone di presenza per la partecipazione a consigli e commissioni i consiglieri comunali ed i consiglieri circoscrizionali delle città metropolitane. Il D.L. 78/2010 ha invece escluso dalla corresponsione dei gettoni di presenza i consiglieri circoscrizionali dei comuni capoluogo di provincia (ad esclusione di quelli delle città metropolitane)

La legge pone un tetto ai gettoni di presenza, che non possono comunque superare un quarto dell’indennità massima prevista per il rispettivo sindaco o presidente (TUEL art. 82, co. 2, secondo periodo).

Il citato D.L. 78/2010 ha anche eliminato la possibilità, ad opera degli statuti e dei regolamenti degli enti locali, di prevedere l’opzione dell’interessato per la trasformazione del gettone di presenza in un’indennità di funzione.

La corresponsione del gettone di presenza è comunque condizionata alla effettiva partecipazione del consigliere alle sedute del consiglio o delle commissioni (TUEL art. 82, co. 11).

Le indennità di funzione previste per gli amministratori locali non sono tra loro cumulabili. L’interessato deve optare per la percezione di una delle due indennità ovvero per la percezione del 50 per cento di ciascuna (TUEL art. 82, co. 5)

Gli amministratori locali che siano anche parlamentari nazionali o europei, o consiglieri regionali non possono percepire né i gettoni alcun emolumento, né l’indennità di funzione (TUEL art. 83).

La determinazione della misura base delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza è demandata (TUEL art. 82, co. 8) ad un regolamento ministeriale adottato con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il ministro dell’economia e finanze, sentita la Conferenza Stato-città e autonomie locali, nel rispetto di specifici criteri. Il vigente regolamento è stato approvato con il D.M. 4 aprile 2000, n. 119.

Negli ultimi anni, nel quadro delle misure per il contenimento della spesa pubblica, sono stati adottati alcuni provvedimenti recanti disposizioni di riduzione degli emolumenti degli amministratori locali.

Da ultimo, il citato D.L. 78/2010 (art. 5, comma 7) che affida ad un decreto del Ministro dell'interno sia una riduzione delle vigenti indennità, secondo fasce parametrali rapportate inversamente al fattore demografico, sia la quantificazione del gettone di presenza. La riduzione è valida almeno per un triennio.

In particolare, si prevede che, con decreto del Ministro dell'Interno, adottato ai sensi dell’art. 82, comma 8, del TUEL, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legge 78, gli importi delle indennità già determinate ai sensi dello stesso comma 8, siano ridotte, per un periodo non inferiore a tre anni, di una percentuale pari a:

-        il 3 per cento per i comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti e per le province con popolazione fino a 500.000 abitanti;

-        il 7 per cento per i comuni con popolazione tra 15.001 e 250.000 abitanti e per le province con popolazione tra 500.001 e un milione di abitanti;

-        il 10 per cento per i restanti comuni e per le restanti province.

-        Sono esclusi dall'applicazione della disposizione i comuni con meno di 1.000 abitanti.

L’emanando decreto ministeriale dovrà pertanto modificare il citato D.M. 119/2000 adottato in attuazione dell’articolo 82, comma 8, TUEL.

 


 

Articolo 6
(Clausola di invarianza finanziaria)

 

1. Dall’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

 

L’articolo 6 dispone che dall’attuazione del decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Si ricorda in proposito che l’art. 28, comma 4, della legge delega sul federalismo fiscale (L. 42/2009) prevede una clausola generale di salvaguardia finanziaria

 

In particolare, il citato comma 4 prevede che dalla legge delega sul federalismo fiscale e da ciascuno dei decreti legislativi previsti dall’articolo 2 (norma generale di delega) e dall’articolo 23 (delega sulle città metropolitane) non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Sul punto si rinvia alla successiva scheda relativa ai profili finanziari.

 


 

Articolo 7
(Disposizioni transitorie e finali)

 


1. Per quanto non espressamente previsto nel presente decreto, agli organi di Roma capitale ed ai loro componenti si applicano le disposizioni previste con riferimento ai comuni dalla parte prima del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali e da ogni altra disposizione di legge.

2. Nelle more dell’approvazione dello statuto di Roma capitale e del regolamento dell’Assemblea capitolina continuano altresì ad applicarsi le disposizioni dello statuto del comune di Roma e del regolamento del Consiglio comunale di Roma in quanto compatibili con le disposizioni del presente decreto.

3. Fino alla prima elezione dell’Assem­blea capitolina, successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto, il numero dei suoi membri resta fissato in sessanta oltre al Sindaco.

4. Fino all’approvazione dello statuto di Roma capitale e del regolamento dell’Assemblea capitolina, qualora, per il tempestivo adempimento degli obblighi di legge, il Sindaco richieda l’approvazione in via d’urgenza di una proposta di deliberazione, la Giunta, tenendo conto dei documenti presentati nel corso della discussione, può riformularne il testo originario. La proposta della Giunta, posta prioritariamente in votazione, ove approvata con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti l’Assemblea, determina la decadenza di ogni altro documento.


 

 

L’articolo 7 reca norme transitorie e finali.

 

In particolare, il comma 1 prevede, per quanto non espressamente disciplinato nello schema di decreto in esame, l’applicazione agli organi di Roma Capitale ed ai loro componenti delle disposizioni previste con riferimento ai comuni dalla parte prima del TUEL, relativa all’ordinamento istituzionale, e da ogni altra disposizione di legge.

 

Il rinvio generico alla normativa vigente per quanto non previsto dallo schema di decreto in esame potrebbe prestarsi a determinare dubbi in sede interpretativa. Ciò anche in considerazione del fatto che numerose disposizioni del decreto - come si è visto nel commento dei singoli articoli - riproducono, talora pressoché integralmente talora parzialmente, disposizioni già contenute nel TUEL, rendendo in tal modo dubbia l’applicabilità delle disposizioni che, pur disciplinando il medesimo ambito su cui interviene lo schema di decreto, non sono specificamente riprodotte.

Si valuti pertanto l’opportunità di inserire un rinvio specifico alle disposizioni applicabili.

 

Il comma 2 stabilisce che, nelle more dell’approvazione dello statuto di Roma capitale e del Regolamento dell’Assemblea capitolina le disposizioni dello Statuto del comune di Roma nonché il vigente regolamento del consiglio comunale continuano ad applicarsi in quanto compatibili con le disposizioni dello schema di decreto in esame[19].

 

Il comma 3 precisa che, fino alla prima elezione dell'Assemblea capitolina, successiva all’entrata in vigore dello schema di decreto in esame, il numero dei suoi membri, escluso il  sindaco, resta fissato in sessanta.

 

Il comma 4, infine, disciplina in via transitoria la procedura per l’approvazione delle deliberazioni urgenti, nelle more dell'approvazione dello Statuto di Roma capitale e del Regolamento dell'Assemblea capitolina.

Più specificamente si prevede che, qualora per il tempestivo adempimento degli obblighi di legge, il Sindaco richieda l'approvazione in via d'urgenza di una proposta di deliberazione, la Giunta, tenuto conto dei documenti presentati nel corso della discussione, può riformulare il testo originario. La proposta della Giunta, posta prioritariamente in votazione, ove approvata con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti l'Assemblea, determina la decadenza di ogni altro documento.


Profili finanziari

Nell’ambito delle norme contenute nello schema di decreto, come illustrate nella parte che precede, hanno rilievo finanziario in particolare le seguenti:

•    l’art. 3, che prevede che l’Assemblea capitolina sia composta dal Sindaco e da 48 consiglieri, nell’ambito dei quali è eletto il Presidente[20]. Il numero massimo dei municipi è fissato in dodici[21];

•    l’art. 4, che prevede che la Giunta sia composta dal Sindaco e da un numero massimo di Assessori pari ad un quarto dei consiglieri[22];

•    l’art. 5, riguardante lo status degli amministratori di Roma capitale, il quale:

     -    prevede il diritto per gli amministratori[23] a percepire un’indennità di funzione, da determinarsi con decreto ministeriale tenendo conto della complessità delle funzioni conferite a Roma capitale.

          E’ previsto inoltre che si tenga conto degli effetti previdenziali, assistenziali ed assicurativi nei confronti dei lavoratori dipendenti che siano collocati in aspettativa non retribuita[24];

     -    riconosce la facoltà, per gli amministratori che siano lavoratori dipendenti, di richiedere il collocamento in aspettativa non retribuita per tutto il periodo di espletamento del mandato. Qualora gli amministratori non si avvalgano di tale facoltà, l’indennità di loro spettanza è dimezzata ed è altresì previsto che gli oneri a carico del comune per i permessi retribuiti (da rimborsare ai datori di lavoro dei predetti amministratori non in aspettativa) non possano superare l’importo dell’indennità di rispettiva spettanza.

          Tale ultima disposizione appare funzionale a far sì che, per ciascun amministratore, sia che opti o meno per l’aspettativa, gli oneri a carico dell’Ente - per l’indennità (spettante all’amministratore in misura integrale nel caso di opzione per l’aspettativa e in misura pari alla metà in caso di mancata opzione) e per il rimborso al datore di lavoro dei permessi retribuiti nel caso di mancata opzione per l’aspettativa - non possano complessivamente superare l’importo dell’indennità.

•    l’art. 6, che contiene una clausola di invarianza riferita alla per la finanza pubblica;

•    l’art. 7, che contiene disposizioni transitorie che, tra l’altro, dispongono che il numero di consiglieri, fino alla prima elezione dell’Assemblea capitolina successiva alla data di entrata in vigore del provvedimento, resti fissato in sessanta oltre il sindaco.

 

La relazione tecnica afferma che, in virtù della clausola di invarianza finanziaria, prevista dall’articolo 6, eventuali nuovi o maggiori oneri, derivanti dalle disposizioni che prevedono un aumento delle indennità per il Sindaco, gli Assessori e i Consiglieri, non potranno comunque eccedere la misura dei risparmi derivanti da altre disposizioni del decreto, quali quelle che prevedono la riduzione del numero massimo dei municipi, e il contenimento degli oneri per indennità e permessi retribuiti spettanti agli amministratori non in aspettativa.

In particolare, la relazione sottolinea che risultano suscettibili di determinare risparmi di spesa, di ammontare non predeterminabile, le seguenti misure:

§      l’art. 3, comma 5, che fissa il numero massimo dei municipi in 12, mentre attualmente essi sono 19. La relazione sottolinea che dalla soppressione di 7 municipi deriveranno sia risparmi per il venir meno delle indennità connesse alle cariche di 7 Presidenti dei consigli di municipio, 7 Presidenti delle giunte e 28 Assessori municipali[25], sia risparmi per il venir meno di permessi, licenze, rimborsi omnicomprensivi in caso di viaggi, oneri previdenziali, assistenziali ed assicurativi;

§      l’art. 5, comma 2, che stabilisce un tetto per gli oneri per il rimborso, ai datori di lavoro, dei permessi retribuiti riconosciuti agli amministratori del comune di Roma, dipendenti da privati o enti pubblici[26];

§      l’art. 5, comma 5, terzo periodo, che prevede che l’indennità di funzione dovuta ai consiglieri dell’Assemblea capitolina sia dimezzata per i lavoratori dipendenti che non abbiano richiesto l’aspettativa[27].

 

Risultano invece suscettibili di determinare maggiori oneri, di ammontare variabile in ragione delle modalità con cui verrà data concreta attuazione alle singole misure, le seguenti disposizioni:

§      l’art. 5, comma 4, che prevede che l’indennità di funzione per il Sindaco, gli Assessori ed il Presidente dell’Assemblea capitolina sia fissata con decreto ministeriale, tenendo in debita considerazione alcuni parametri, tra cui gli effetti previdenziali, assistenziali ed assicurativi da riconoscere nei confronti dei lavoratori dipendenti che siano collocati in aspettativa non retribuita;

§      l’art. 5, comma 5, primo periodo, che prevede che l’indennità di funzione per i consiglieri dell’assemblea capitolina sia pari a quota parte dell’indennità del sindaco.

La relazione sottolinea comunque che l’incremento delle indennità sarà possibile solo nei limiti dell’effettivo conseguimento dei risparmi derivanti dalle disposizioni precedentemente menzionate.

 

In merito ai profili di quantificazione, fermo restando che i riflessi in termini di finanza pubblica del bilancio del Comune di Roma restano affidati al rispetto dei vincoli del patto di stabilità interno (il quale, in attesa dell’attuazione della L. 42/2009, viene definito[28] annualmente in sede di accordo tra il Comune e il Ministero dell’economia), appare comunque opportuno acquisire chiarimenti in merito ad alcuni aspetti.

 

Con riferimento alle norme recanti oneri, si segnala quanto segue:

- In primo luogo andrebbe chiarito se in base al testo in esame, il comune di Roma sia assoggettato o meno alle misure di contenimento degli oneri per gli emolumenti spettanti agli amministratori locali previsti dal citato DL 78/2010 (fra cui la misura che prevede la riduzione del 10 per cento per un triennio dell’indennità loro spettante[29], e il limite posto all’ammontare complessivo degli emolumenti percepiti da ciascun consigliere fissato, dal citato decreto legge[30], in un quarto dell’indennità spettante al sindaco). Appare inoltre opportuno che sia chiarito se il comune di Roma resti assoggettato alle altre disposizioni di risparmio previste dal predetto decreto-legge[31] - quali quelle riguardanti il contenimento delle spese per il personale, per le consulenze, per le spese di rappresentanza ecc - la cui applicabilità al comune di Roma non è esplicitamente esclusa da parte dello schema di decreto in esame;

- il provvedimento autorizza inoltre ad incrementare le indennità spettanti agli amministratori in questione, al fine di tenere conto della particolare complessità dei compiti loro richiesti, senza prevedere alcun tetto al predetto incremento, salvo quello dato dalla clausola di invarianza finanziaria prevista dall’articolo 6. In proposito appare opportuno che sia chiarito se il rispetto della predetta clausola riguardi in generale l’obbligo di mantenimento degli obiettivi di finanza pubblica da stabilirsi con il patto di stabilità interno, ovvero se la compensatività debba verificarsi fra le singole variazioni delle voci di spesa interessate dal provvedimento in esame. In tale ultimo caso, in assenza della previsione di una procedura di quantificazione, anche in sede di consuntivo, degli effetti derivanti dalle disposizioni in esame, sia con riferimento a quelle recanti maggiori oneri che a quelle recanti risparmi, andrebbe chiarito quali siano le modalità di verifica, del rispetto alla clausola di invarianza finanziaria degli effetti del provvedimento prevista dall’articolo 6.

 

Con riferimento alle disposizioni cui la relazione tecnica attribuisce effetti di risparmio, si segnala inoltre:

- in merito al tetto previsto per l’indennità e i rimborsi per permessi retribuiti, spettanti agli amministratori non in aspettativa, risulterebbe opportuno acquisire chiarimenti su quali siano gli elementi che determinano l’emersione di risparmi: in particolare andrebbe chiarito se, in assenza della disposizione in esame, si determinino attualmente, per gli amministratori non in aspettativa, oneri complessivi (per indennità e rimborsi di permessi retribuiti) maggiori rispetto a quelli riferibili agli amministratori in aspettativa;

- alcune delle misure cui la relazione tecnica attribuisce risparmi risultano già in parte incluse nella normativa vigente, sia pure, in alcuni casi, sotto forma di facoltà.

Cfr. ad esempio la riduzione dei rimborsi per permessi retribuiti agli amministratori locali, che risulta già inclusa[32] fra le misure che il comune di Roma può assumere per garantire l’equilibrio economico e finanziario della gestione ordinaria. Risultano inoltre già soppressi[33] i rimborsi forfetari omnicomprensivi per gli amministratori in viaggio per compiti connessi al loro mandato. Non vige invece un obbligo, per il comune di Roma, di riduzione del numero delle circoscrizioni di decentramento, già rientranti nei limiti previsti dall’art. 2, comma 186, lettera b) della L. 191/2006, restando comunque nella facoltà del Comune la riduzione del relativo numero.

Le restanti norme non modificano la legislazione vigente in materia di composizione del consiglio e della giunta. Pertanto tali disposizioni non presentano profili problematici di carattere finanziario.

 

 


Normativa di riferimento


L. 5 maggio 2009, n. 42
Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione
(artt. 2, 24)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 6 maggio 2009, n. 103.

 

Art. 2.
(Oggetto e finalità)

1.  Il Governo è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto l’attuazione dell’ articolo 119 della Costituzione, al fine di assicurare, attraverso la definizione dei princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e la definizione della perequazione, l’autonomia finanziaria di comuni, province, città metropolitane e regioni nonché al fine di armonizzare i sistemi contabili e gli schemi di bilancio dei medesimi enti e i relativi termini di presentazione e approvazione, in funzione delle esigenze di programmazione, gestione e rendicontazione della finanza pubblica. (3)

2.  Fermi restando gli specifici princìpi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni di cui agli articoli 5, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 15, 16, 17, 19, 20, 21, 22, 24, 25, 26, 28 e 29, i decreti legislativi di cui al comma 1 del presente articolo sono informati ai seguenti princìpi e criteri direttivi generali:

a)  autonomia di entrata e di spesa e maggiore responsabilizzazione amministrativa, finanziaria e contabile di tutti i livelli di governo;

b)  lealtà istituzionale fra tutti i livelli di governo e concorso di tutte le amministrazioni pubbliche al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica nazionale in coerenza con i vincoli posti dall’Unione europea e dai trattati internazionali;

c)  razionalità e coerenza dei singoli tributi e del sistema tributario nel suo complesso; semplificazione del sistema tributario, riduzione degli adempimenti a carico dei contribuenti, trasparenza del prelievo, efficienza nell’amministrazione dei tributi; rispetto dei princìpi sanciti dallo statuto dei diritti del contribuente di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212;

d)  coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell’attività di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale prevedendo meccanismi di carattere premiale;

e)  attribuzione di risorse autonome ai comuni, alle province, alle città metropolitane e alle regioni, in relazione alle rispettive competenze, secondo il principio di territorialità e nel rispetto del principio di solidarietà e dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all’ articolo 118 della Costituzione; le risorse derivanti dai tributi e dalle entrate propri di regioni ed enti locali, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e dal fondo perequativo consentono di finanziare integralmente il normale esercizio delle funzioni pubbliche attribuite;

f)  determinazione del costo e del fabbisogno standard quale costo e fabbisogno che, valorizzando l’efficienza e l’efficacia, costituisce l’indicatore rispetto al quale comparare e valutare l’azione pubblica; definizione degli obiettivi di servizio cui devono tendere le amministrazioni regionali e locali nell’esercizio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni o alle funzioni fondamentali di cui all’ articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione;

g)  adozione per le proprie politiche di bilancio da parte di regioni, città metropolitane, province e comuni di regole coerenti con quelle derivanti dall’applicazione del patto di stabilità e crescita;

h)  adozione di regole contabili uniformi e di un comune piano dei conti integrato; adozione di comuni schemi di bilancio articolati in missioni e programmi coerenti con la classificazione economica e funzionale individuata dagli appositi regolamenti comunitari in materia di contabilità nazionale e relativi conti satellite; adozione di un bilancio consolidato con le proprie aziende, società o altri organismi controllali, secondo uno schema comune; affiancamento, a fini conoscitivi, al sistema di contabilità finanziaria di un sistema e di schemi di contabilità economico-patrimoniale ispirati a comuni criteri di contabilizzazione; raccordabilità dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio degli enti territoriali con quelli adottati in ambito europeo ai fini della procedura per i disavanzi eccessivi; definizione di una tassonomia per la riclassificazione dei dati contabili e di bilancio per le amministrazioni pubbliche di cui alla presente legge tenute al regime di contabilità civilistica, ai fini del raccordo con le regole contabili uniformi; definizione di un sistema di indicatori di risultato semplici, misurabili e riferiti ai programmi del bilancio, costruiti secondo criteri e metodologie comuni ai diversi enti territoriali; al fine di dare attuazione agli articoli 9 e 13, individuazione del termine entro il quale regioni ed enti locali devono comunicare al Governo i propri bilanci preventivi e consuntivi, come approvati, e previsione di sanzioni ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera e), in caso di mancato rispetto di tale termine; (4)

i)  previsione dell’obbligo di pubblicazione in siti internet dei bilanci delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni, tali da riportare in modo semplificato le entrate e le spese pro capite secondo modelli uniformi concordati in sede di Conferenza unificata;

l)  salvaguardia dell’obiettivo di non alterare il criterio della progressività del sistema tributario e rispetto del principio della capacità contributiva ai fini del concorso alle spese pubbliche;

m)  superamento graduale, per tutti i livelli istituzionali, del criterio della spesa storica a favore:

1)  del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali di cui all’ articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, e delle funzioni fondamentali di cui all’ articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione;

2)  della perequazione della capacità fiscale per le altre funzioni;

n)  rispetto della ripartizione delle competenze legislative fra Stato e regioni in tema di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;

o)  esclusione di ogni doppia imposizione sul medesimo presupposto, salvo le addizionali previste dalla legge statale o regionale;

p)  tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria e amministrativa; continenza e responsabilità nell’imposizione di tributi propri;

q)  previsione che la legge regionale possa, con riguardo ai presupposti non assoggettati ad imposizione da parte dello Stato:

1)  istituire tributi regionali e locali;

2)  determinare le variazioni delle aliquote o le agevolazioni che comuni, province e città metropolitane possono applicare nell’esercizio della propria autonomia con riferimento ai tributi locali di cui al numero 1);

r)  previsione che la legge regionale possa, nel rispetto della normativa comunitaria e nei limiti stabiliti dalla legge statale, valutare la modulazione delle accise sulla benzina, sul gasolio e sul gas di petrolio liquefatto, utilizzati dai cittadini residenti e dalle imprese con sede legale e operativa nelle regioni interessate dalle concessioni di coltivazione di cui all’ articolo 19 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, e successive modificazioni;

s)  facoltà delle regioni di istituire a favore degli enti locali compartecipazioni al gettito dei tributi e delle compartecipazioni regionali;

t)  esclusione di interventi sulle basi imponibili e sulle aliquote dei tributi che non siano del proprio livello di governo; ove i predetti interventi siano effettuati dallo Stato sulle basi imponibili e sulle aliquote riguardanti i tributi degli enti locali e quelli di cui all’ articolo 7, comma 1, lettera b), numeri 1) e 2), essi sono possibili, a parità di funzioni amministrative conferite, solo se prevedono la contestuale adozione di misure per la completa compensazione tramite modifica di aliquota o attribuzione di altri tributi e previa quantificazione finanziaria delle predette misure nella Conferenza di cui all’ articolo 5; se i predetti interventi sono accompagnati da una riduzione di funzioni amministrative dei livelli di governo i cui tributi sono oggetto degli interventi medesimi, la compensazione è effettuata in misura corrispondente alla riduzione delle funzioni;

u)  previsione di strumenti e meccanismi di accertamento e di riscossione che assicurino modalità efficienti di accreditamento diretto o di riversamento automatico del riscosso agli enti titolari del tributo; previsione che i tributi erariali compartecipati abbiano integrale evidenza contabile nel bilancio dello Stato;

v)  definizione di modalità che assicurino a ciascun soggetto titolare del tributo l’accesso diretto alle anagrafi e a ogni altra banca dati utile alle attività di gestione tributaria, assicurando il rispetto della normativa a tutela della riservatezza dei dati personali;

z)  premialità dei comportamenti virtuosi ed efficienti nell’esercizio della potestà tributaria, nella gestione finanziaria ed economica e previsione di meccanismi sanzionatori per gli enti che non rispettano gli equilibri economico-finanziari o non assicurano i livelli essenziali delle prestazioni di cui all’ articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione o l’esercizio delle funzioni fondamentali di cui all’ articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione; previsione delle specifiche modalità attraverso le quali il Governo, nel caso in cui la regione o l’ente locale non assicuri i livelli essenziali delle prestazioni di cui all’ articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, o l’esercizio delle funzioni fondamentali di cui all’ articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, o qualora gli scostamenti dal patto di convergenza di cui all’ articolo 18 della presente legge abbiano caratteristiche permanenti e sistematiche, adotta misure sanzionatorie ai sensi dell’ articolo 17, comma 1, lettera e), che sono commisurate all’entità di tali scostamenti e possono comportare l’applicazione di misure automatiche per l’incremento delle entrate tributarie ed extra-tributarie, e può esercitare nei casi più gravi il potere sostitutivo di cui all’ articolo 120, secondo comma, della Costituzione, secondo quanto disposto dall’ articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e secondo il principio di responsabilità amministrativa e finanziaria;

aa)  previsione che le sanzioni di cui alla lettera z) a carico degli enti inadempienti si applichino anche nel caso di mancato rispetto dei criteri uniformi di redazione dei bilanci, predefiniti ai sensi della lettera h), o nel caso di mancata o tardiva comunicazione dei dati ai fini del coordinamento della finanza pubblica;

bb)  garanzia del mantenimento di un adeguato livello di flessibilità fiscale nella costituzione di insiemi di tributi e compartecipazioni, da attribuire alle regioni e agli enti locali, la cui composizione sia rappresentata in misura rilevante da tributi manovrabili, con determinazione, per ciascun livello di governo, di un adeguato grado di autonomia di entrata, derivante da tali tributi;

cc)  previsione di una adeguata flessibilità fiscale articolata su più tributi con una base imponibile stabile e distribuita in modo tendenzialmente uniforme sul territorio nazionale, tale da consentire a tutte le regioni ed enti locali, comprese quelle a più basso potenziale fiscale, di finanziare, attivando le proprie potenzialità, il livello di spesa non riconducibile ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali degli enti locali;

dd)  trasparenza ed efficienza delle decisioni di entrata e di spesa, rivolte a garantire l’effettiva attuazione dei princìpi di efficacia, efficienza ed economicità di cui all’ articolo 5, comma 1, lettera b);

ee)  riduzione della imposizione fiscale statale in misura corrispondente alla più ampia autonomia di entrata di regioni ed enti locali calcolata ad aliquota standard e corrispondente riduzione delle risorse statali umane e strumentali; eliminazione dal bilancio dello Stato delle previsioni di spesa relative al finanziamento delle funzioni attribuite a regioni, province, comuni e città metropolitane, con esclusione dei fondi perequativi e delle risorse per gli interventi di cui all’ articolo 119, quinto comma, della Costituzione;

ff)  definizione di una disciplina dei tributi locali in modo da consentire anche una più piena valorizzazione della sussidiarietà orizzontale;

gg)  individuazione di strumenti idonei a favorire la piena attuazione degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, con riguardo ai diritti e alla formazione della famiglia e all’adempimento dei relativi compiti;

hh)  territorialità dei tributi regionali e locali e riferibilità al territorio delle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali, in conformità a quanto previsto dall’ articolo 119 della Costituzione;

ii)  tendenziale corrispondenza tra autonomia impositiva e autonomia di gestione delle proprie risorse umane e strumentali da parte del settore pubblico; previsione di strumenti che consentano autonomia ai diversi livelli di governo nella gestione della contrattazione collettiva;

ll)  certezza delle risorse e stabilità tendenziale del quadro di finanziamento, in misura corrispondente alle funzioni attribuite;

mm)  individuazione, in conformità con il diritto comunitario, di forme di fiscalità di sviluppo, con particolare riguardo alla creazione di nuove attività di impresa nelle aree sottoutilizzate.

3.  I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, del Ministro per le riforme per il federalismo, del Ministro per la semplificazione normativa, del Ministro per i rapporti con le regioni e del Ministro per le politiche europee, di concerto con il Ministro dell’interno, con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione e con gli altri Ministri volta a volta competenti nelle materie oggetto di tali decreti. Gli schemi di decreto legislativo, previa intesa da sancire in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’ articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono trasmessi alle Camere, ciascuno corredato di relazione tecnica che evidenzi gli effetti delle disposizioni recate dal medesimo schema di decreto sul saldo netto da finanziare, sull’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche e sul fabbisogno del settore pubblico, perché su di essi sia espresso il parere della Commissione di cui all’ articolo 3 e delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario, entro sessanta giorni dalla trasmissione. In mancanza di intesa nel termine di cui all’ articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, il Consiglio dei ministri delibera, approvando una relazione che è trasmessa alle Camere. Nella relazione sono indicate le specifiche motivazioni per cui l’intesa non è stata raggiunta.

4.  Decorso il termine per l’espressione dei pareri di cui al comma 3, i decreti possono essere comunque adottati. Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, ritrasmette i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni e rende comunicazioni davanti a ciascuna Camera. Decorsi trenta giorni dalla data della nuova trasmissione, i decreti possono comunque essere adottati in via definitiva dal Governo. Il Governo, qualora, anche a seguito dell’espressione dei pareri parlamentari, non intenda conformarsi all’intesa raggiunta in Conferenza unificata, trasmette alle Camere e alla stessa Conferenza unificata una relazione nella quale sono indicate le specifiche motivazioni di difformità dall’intesa.

5.  Il Governo assicura, nella predisposizione dei decreti legislativi di cui al comma 1, piena collaborazione con le regioni e gli enti locali.

6.  Almeno uno dei decreti legislativi di cui al comma 1 è adottato entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Un decreto legislativo, da adottare entro il termine previsto al comma 1 del presente articolo, disciplina la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard sulla base dei livelli essenziali delle prestazioni di cui al comma 2 dell'articolo 20. Il Governo trasmette alle Camere, entro il 30 giugno 2010, una relazione concernente il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali e ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra lo Stato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali, con l'indicazione delle possibili distribuzioni delle risorse. Tale relazione è comunque trasmessa alle Camere prima degli schemi di decreto legislativo concernenti i tributi, le compartecipazioni e la perequazione degli enti territoriali. (2)

7.  Entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, possono essere adottati decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi previsti dalla presente legge e con la procedura di cui ai commi 3 e 4 (5) .

 

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(2) Comma modificato dall'art. 19-bis, comma 3, D.L. 25 settembre 2009, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla L. 20 novembre 2009, n. 166 e, successivamente, così sostituito dall'art. 2, comma 6, lett. c), L. 31 dicembre 2009, n. 196, a decorrere dal 1° gennaio 2010, ai sensi di quanto disposto dall'art. 52, comma 6 della medesima L. 196/2009.

(3) Comma così modificato dall'art. 2, comma 6, lett. a), L. 31 dicembre 2009, n. 196, a decorrere dal 1° gennaio 2010, ai sensi di quanto disposto dall'art. 52, comma 6 della medesima L. 196/2009.

(4) Lettera così sostituita dall'art. 2, comma 6, lett. b), L. 31 dicembre 2009, n. 196, a decorrere dal 1° gennaio 2010, ai sensi di quanto disposto dall'art. 52, comma 6 della medesima L. 196/2009.

(5) Vedi, anche, il D.Lgs. 28 maggio 2010, n. 85.

 

 

Art. 24
(Ordinamento transitorio di Roma capitale ai sensi dell’ articolo 114, terzo comma, della Costituzione)

1.  In sede di prima applicazione, fino all’attuazione della disciplina delle città metropolitane, il presente articolo detta norme transitorie sull’ordinamento, anche finanziario, di Roma capitale.

2.  Roma capitale è un ente territoriale, i cui attuali confini sono quelli del comune di Roma, e dispone di speciale autonomia, statutaria, amministrativa e finanziaria, nei limiti stabiliti dalla Costituzione. L’ordinamento di Roma capitale è diretto a garantire il miglior assetto delle funzioni che Roma è chiamata a svolgere quale sede degli organi costituzionali nonché delle rappresentanze diplomatiche degli Stati esteri, ivi presenti presso la Repubblica italiana, presso lo Stato della Città del Vaticano e presso le istituzioni internazionali.

3.  Oltre a quelle attualmente spettanti al comune di Roma, sono attribuite a Roma capitale le seguenti funzioni amministrative:

a)  concorso alla valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali e fluviali, previo accordo con il Ministero per i beni e le attività culturali;

b)  sviluppo economico e sociale di Roma capitale con particolare riferimento al settore produttivo e turistico;

c)  sviluppo urbano e pianificazione territoriale;

d)  edilizia pubblica e privata;

e)  organizzazione e funzionamento dei servizi urbani, con particolare riferimento al trasporto pubblico ed alla mobilità;

f)  protezione civile, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei ministri e la regione Lazio;

g)  ulteriori funzioni conferite dallo Stato e dalla regione Lazio, ai sensi dell’ articolo 118, secondo comma, della Costituzione.

4.  L’esercizio delle funzioni di cui al comma 3 è disciplinato con regolamenti adottati dal consiglio comunale, che assume la denominazione di Assemblea capitolina, nel rispetto della Costituzione, dei vincoli comunitari ed internazionali, della legislazione statale e di quella regionale nel rispetto dell’ articolo 117, sesto comma, della Costituzione nonché in conformità al principio di funzionalità rispetto alle speciali attribuzioni di Roma capitale. L’Assemblea capitolina, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 5, approva, ai sensi dell’ articolo 6, commi 2, 3 e 4, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, con particolare riguardo al decentramento municipale, lo statuto di Roma capitale che entra in vigore il giorno successivo alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

5.  Con uno o più decreti legislativi, adottati ai sensi dell’ articolo 2, sentiti la regione Lazio, la provincia di Roma e il comune di Roma, è disciplinato l’ordinamento transitorio, anche finanziario, di Roma capitale, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

a)  specificazione delle funzioni di cui al comma 3 e definizione delle modalità per il trasferimento a Roma capitale delle relative risorse umane e dei mezzi;

b)  fermo quanto stabilito dalle disposizioni di legge per il finanziamento dei comuni, assegnazione di ulteriori risorse a Roma capitale, tenendo conto delle specifiche esigenze di finanziamento derivanti dal ruolo di capitale della Repubblica, previa la loro determinazione specifica, e delle funzioni di cui al comma 3. (20)

6.  Il decreto legislativo di cui al comma 5 assicura i raccordi istituzionali, il coordinamento e la collaborazione di Roma capitale con lo Stato, la regione Lazio e la provincia di Roma, nell’esercizio delle funzioni di cui al comma 3. Con il medesimo decreto è disciplinato lo status dei membri dell’Assemblea capitolina.

7.  Il decreto legislativo di cui al comma 5, con riguardo all’attuazione dell’ articolo 119, sesto comma, della Costituzione, stabilisce i princìpi generali per l’attribuzione alla città di Roma, capitale della Repubblica, di un proprio patrimonio, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi specifici:

a)  attribuzione a Roma capitale di un patrimonio commisurato alle funzioni e competenze ad essa attribuite;

b)  trasferimento, a titolo gratuito, a Roma capitale dei beni appartenenti al patrimonio dello Stato non più funzionali alle esigenze dell’Amministrazione centrale, in conformità a quanto previsto dall’ articolo 19, comma 1, lettera d).

8. Le disposizioni di cui al presente articolo e quelle contenute nel decreto legislativo adottato ai sensi del comma 5 possono essere modificate, derogate o abrogate solo espressamente. Per quanto non disposto dal presente articolo, continua ad applicarsi a Roma capitale quanto previsto con riferimento ai comuni dal testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

9.  A seguito dell’attuazione della disciplina delle città metropolitane e a decorrere dall’istituzione della città metropolitana di Roma capitale, le disposizioni di cui al presente articolo si intendono riferite alla città metropolitana di Roma capitale.

10.  Per la città metropolitana di Roma capitale si applica l’ articolo 23 ad eccezione del comma 2, lettere b) e c), e del comma 6, lettera d). La città metropolitana di Roma capitale, oltre alle funzioni della città metropolitana, continua a svolgere le funzioni di cui al presente articolo (21).

 

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(20) Comma così modificato dall'art. 1, comma 21, D.L. 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 2010, n. 25.

(21) Vedi, anche, i commi da 14 a 17 dell'art. 14, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n. 122.

 


 

 



[1]     Ai sensi dell’art. 114, terzo comma, Cost., “Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento”.

[2]    Pertanto, si desume che, in via transitoria, l’ente “Roma capitale” è destinato ad assorbire il comune di Roma, mentre – a regime – esso rientrerà nel genus delle città metropolitane, ampliando le sue dimensioni territoriali presumibilmente all’ambito provinciale.

[3]     L'articolo 1 della legge n. 225 del 1992 stabilisce che il Servizio Nazionale della Protezione Civile è composto dalle amministrazioni dello Stato, centrali e periferiche, dalle regioni, dalle province, dai comuni, dagli enti pubblici nazionali e territoriali e da ogni altra istituzione ed organizzazione pubblica e privata presente sul territorio nazionale. Con la legge cost. n. 3 del 2001, la protezione civile è considerata materia di legislazione concorrente e, quindi di competenza regionale, nell'ambito dei principi fondamentali di indirizzo dettati dalla legge statale. Al coordinamento del Servizio nazionale e alla promozione delle attività di protezione civile, provvede il Presidente del Consiglio dei ministri, attraverso il Dipartimento della protezione civile.

[4]    Ai sensi dell’art. 6 del Testo unico sugli enti locali (D.Lgs. n. 269/2000), i comuni e le province adottano il proprio statuto (co. 1) che, nell'ambito dei princìpi fissati dal Testo unico, stabilisce le norme fondamentali dell'organizzazione dell'ente e, in particolare, specifica le attribuzioni degli organi e le forme di garanzia e di partecipazione delle minoranze, i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio (co. 2). Esso stabilisce norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna e per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti (co. 3). Gli statuti sono deliberati dai rispettivi consigli con il voto favorevole dei due terzi dei consiglieri assegnati. Qualora tale maggioranza non venga raggiunta, la votazione è ripetuta in successive sedute da tenersi entro trenta giorni e lo statuto è approvato se ottiene per due volte il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati. Tali disposizioni si applicano anche alle modifiche statutarie (co. 4).

[5]    Con riguardo alle scadenze temporali, si ricorda che mentre per la delega per la disciplina dell’ordinamento transitorio dell’ente territoriale Roma capitale il termine è fissato in 24 mesi (cfr. artt. 24, co. 5 e 2, co. 1, L. n. 42/2009), il termine per l’istituzione della città metropolitana è fissato in 36 mesi (art. 23, co. 5, L. n. 42/2009).

[6]    L’entità della riduzione è determinata con arrotondamento all’unità superiore. Ai fini della riduzione non è computato il Sindaco.

[7]    D.L. 25 gennaio 2010 n. 2, Interventi urgenti concernenti enti locali e regioni, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 marzo 2010, n. 42.

[8]    Le modifiche apportate implicitamente alla disciplina del TUEL dalla legge finanziaria 2010 si applicano a decorrere dal 2011, man mano che i comuni procedono al rinnovo degli organi (art. 1, comma 2, D.L. n. 2/2010).

[9]       L’esame di tale proposta, recante “Individuazione delle funzioni fondamentali di Province e Comuni, semplificazione dell'ordinamento regionale e degli enti locali, nonché delega al Governo in materia di trasferimento di funzioni amministrative, Carta delle autonomie locali, razionalizzazione delle Province e degli Uffici territoriali del Governo. Riordino di enti ed organismi decentrati" si è concluso in sede referente presso la Camera dei deputati in data 30 giugno 2010 (A.C. 3118); il testo è attualmente all’esame della 1ª Commissione permanente Affari Costituzionali del Senato in sede referente (A.S. 2259). Viene tra l’altro stabilito (art. 17) che gli organi delle circoscrizioni di decentramento non possono essere composti da un numero di componenti superiore a otto nei comuni con popolazione inferiore a 500.000 abitanti e da un numero di componenti superiore a dodici nei comuni con popolazione pari o superiore a 500.000 abitanti; mentre nei comuni con popolazione superiore a 250.000 abitanti, il limite del numero dei componenti degli organi delle circoscrizioni di decentramento si applica dalla data di cessazione degli organi delle circoscrizioni in carica alla medesima data.

[10]   L'attuale ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri è stabilito,  dalla Legge 23 agosto 1988, n. 400 e successive modificazioni (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) e dal decreto legislativo n. 303 del 1999 e dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 luglio 2002 (Ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei Ministri), aggiornato al D.P.C.M. 31 dicembre 2009.

[11]   Modificato dall'art. 1, comma 1-bis, lett. a) e b), D.L. 25 gennaio 2010, n. 2.

[12]   La disposizione si applica dal 2010, man mano che gli enti procedono al rinnovo degli organi (art. 1, comma 2, DL 2/2010). Tale disciplina ha superato quella contenuta nell’art. 47, comma 1, TUEL, in base alla quale la giunta comunale è composta dal sindaco e da un numero di assessori, stabilito dagli statuti, che non deve essere superiore a un terzo, arrotondato aritmeticamente, del numero dei consiglieri comunali e provinciali, computando a tale fine il sindaco e il presidente della provincia, e comunque non superiore a dodici unità.

[13]   Tale numero si ottiene partendo dal numero dei consiglieri comunali, comprensivo del sindaco (49), dividendolo per 4 e arrotondando all’unità superiore (49/4=12,25 che arrotondato all’unità superiore diventa 13).

[14]   A tale numero si arriva applicando il criterio dell’arrotondamento aritmetico; risulta invece ininfluente la computabilità del sindaco nel numero dei consiglieri dell’Assemblea capitolina.

[15]   In particolare, l’art. 107, commi 1 e 2, TUEL prevede che i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale.

[16]    Secondo i più recenti dati statistici (marzo 2010) la popolazione del comune di Roma è pari a 2.747.576 abitanti (ISTAT, Bilancio demografico mensile. Periodo gennaio-marzo 2010, 30 agosto 2010).

[17]   Tale disciplina non trova applicazione nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome che, in forza dell’autonomia normativa in materia di ordinamento degli enti locali loro riconosciuta, hanno emanato specifiche disposizioni.

[18]    D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (conv. L. 122/2010), Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica.

[19]   Si ricorda che lo Statuto del comune di Roma è stato approvato con deliberazione del consiglio comunale n. 122 del 17 luglio 2000 ed è entrato in vigore il 3 settembre 2000. Sono, poi, intervenute nel tempo diverse modificazioni sino all’ultima deliberazione del Commissario Straordinario n. 46 del 17 marzo 2008 (entrata in vigore il 20 aprile 2008).

      Si ricorda, altresì, che il regolamento del consiglio comunale di Roma è stato approvato con la deliberazione n. 100 approvata all’unanimità dal consiglio comunale nella seduta del 25 luglio 2002, modificata, da ultimo, con la deliberazione del consiglio comunale n. 17 del 19 febbraio 2009.

 

[20]   Il numero dei consiglieri fissato dal provvedimento in esame risulta conforme a quanto previsto dalla legge n. 191/2009.

[21]   Come specificato dalla relazione tecnica, il provvedimento in esame riduce di 7 unità il numero dei municipi, attualmente pari a 19.

[22]   Come segnalato nella parte descrittiva, in assenza di una disposizione specifica riguardante l’inclusione del Sindaco nella base di calcolo del numero degli assessori sembra determinarsi una riduzione di tale numero da 13 (come risultante dalla normativa vigente, che prevede l’arrotondamento per eccesso) a 12.

[23]   Ivi inclusi i consiglieri, per i quali attualmente è prevista, invece, l’attribuzione di gettoni di presenza in relazione alla partecipazione alle sedute degli organi collegiali.

[24]   La disposizione in esame, di carattere generale, risulta applicabile anche ai consiglieri in aspettativa per i quali la normativa vigente prevede invece che essi assumano a proprio carico l’intero pagamento degli oneri previdenziali e assistenziali.

[25]   La relazione ricorda che l’art. 27, comma 14, dello Statuto del Comune di Roma dispone che le giunte dei municipi siano composte, oltre che dai rispettivi presidenti, da ulteriori 4 assessori ciascuna.

[26]   La relazione ricorda in proposito che l’articolo 80 del TUEL non prevede attualmente un limite massimo per le somme da rimborsare al datore di lavoro.

[27]   La relazione ricorda che analoga disposizione non è prevista nel vigente art, 82, comma 2 del TUEL per i consiglieri comunali, ma soltanto per gli organi di cui al comma 1 del predetto art. 82 (sindaci, presidente, componenti degli organi esecutivi).

[28]   Ai sensi dell’art. 14, comma 16, del DL n. 78/2010.

[29]   Cfr. l’art. 5, comma 7.

[30]   Cfr. l’art. 5, comma 6.

[31]   La cui data di emanazione è successiva rispetto a quella della legge delega.

[32]   Cfr. l’art. 17, comma 16 del citato DL 78/10.

[33]   Cfr.  l’art. 5, comma 9 del citato DL 78.