Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento lavoro
Titolo: Revoca del trattamento pensionistico ai condannati per reati di terrorismo o di criminalità organizzata - A.C. 3541 Elementi per l'istruttoria legislativa
Riferimenti:
AC N. 3541/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 375
Data: 21/07/2010
Descrittori:
CONDANNE PENALI   CRIMINALITA' ORGANIZZATA
REATI DI TERRORISMO E DI EVERSIONE   REVOCA
TRATTAMENTO PREVIDENZIALE     
Organi della Camera: XI-Lavoro pubblico e privato

21 luglio 2010

 

n. 375/0

 

Revoca del trattamento pensionistico ai condannati per reati di terrorismo o di criminalità organizzata

A.C. 3541

Elementi per l’istruttoria legislativa

 

Numero del progetto di legge

3541 (Fedriga ed altri)

Titolo

Disposizioni concernenti la sospensione e la revoca del trattamento pensionistico per i soggetti sottoposti a misure restrittive della libertà personale o condannati per reati di terrorismo o di criminalità organizzata

Iniziativa

Parlamentare

Iter al Senato

No

Numero di articoli

2

Date:

 

presentazione

10 giugno 2010

assegnazione

13 luglio 2010

Commissione competente

XI Commissione (Lavoro)

Sede

Referente

Pareri previsti

I, II, V e XII

 


Contenuto

La proposta di legge C.3541 (Fedriga e altri) è volta a limitare i benefici previdenziali degli inquisiti e dei  condannati per reati di terrorismo e criminalità organizzata, nonché dei familiari condannati per concorso nel reato o per favoreggiamento.

 

L’articolo 1, comma 1, prevede la sospensione dell’erogazione di qualunque trattamento pensionistico nei confronti dei soggetti sottoposti a misure restrittive della libertà personale nell’ambito di procedimenti penali per i reati di Associazione con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico (art.270-bis), Attentato per finalità terroristiche o di eversione (art.280); Sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione (art.289-bis), Associazione di tipo mafioso (art.416-bis) e Strage (art.422).

 La sospensione opera, a prescindere dall’eventuale revoca delle misure restrittive della libertà personale, fino alla conclusione dell’ultimo grado processuale.

 

L’articolo 1, comma 2, prevede che coloro che sono stati condannati, con sentenza passata in giudicato, per i reati di cui al comma 1, perdono il diritto ad ogni trattamento pensionistico.

 

Il comma 3 prevede che la sospensione (ai sensi del comma 1) o la revoca (ai sensi del comma 2) dei trattamenti pensionistici operi anche nei confronti dei soggetti che abbiano già avuto accesso ai benefici.

 

L’articolo 2 prevede che i familiari condannati in via definitiva per concorso nel reato (art.110) o per favoreggiamento (art.378) dei soggetti di cui all’articolo 1 perdono il diritto alla pensione di reversibilità.

Relazioni allegate

Alla proposta di legge è allegata la relazione illustrativa.

Necessità dell’intervento con legge

L’intervento con legge si rende necessario in quanto il provvedimento interviene sulla disciplina relativa ai trattamenti pensionistici e alle sanzioni penali accessorie, ossia su materie regolate da fonti primarie.

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

La normativa oggetto della proposte di legge è riconducibile alla materie di potestà esclusiva statale “previdenza sociale”, di cui all’articolo 117, comma 2, lettera o), della Costituzione e “giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale” di cui all’articolo 117, comma 2, lettera l), della Costituzione.

 

Rispetto degli altri princìpi costituzionali

 

Le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 1, vanno valutate alla luce dell’articolo 24, comma 2 (“La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”) e dell’articolo 111, comma 6 (“Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati” della Costituzione, in quanto non indicano l’autorità giudiziaria (o amministrativa) competente alla sospensione del trattamento pensionistico, non prevedono la possibilità di impugnare i provvedimenti da essa adottati e non impongono l’obbligo di motivazione.

 

Le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 2, vanno valutate alla luce dell’articolo 36 della Costituzione  (“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionale alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”).

 

Al riguardo si ricorda che l’articolo 28, comma 2 (numero 5), del codice penale, prevedeva, per i soggetti nei confronti dei quali  fosse disposta l’interdizione perpetua dai pubblici uffici a seguito di sentenza penale di condanna, la perdita di stipendi, pensioni e assegni a carico dello Stato o di un altro ente pubblico. Con la sentenza n. 3 del 1966, la Corte costituzionale ha dichiarato tale disposizione in contrasto con gli articoli 3 e 36 della Costituzione, limitatamente alla perdita di trattamenti economici aventi titolo in un rapporto di lavoro.

Con particolare riferimento all’art. 36 la Corte osserva che «la retribuzione dei lavoratori - tanto quella corrisposta nel corso del rapporto di lavoro, quanto quella differita[1], a fini previdenziali, alla cessazione di tale rapporto, e corrisposta, sotto forma di trattamento di liquidazione o di quiescenza, a seconda dei casi, allo stesso lavoratore e ai suoi aventi causa - rappresenta, nel vigente ordine costituzionale (che, tra l'altro, l'art. 1 della Costituzione definisce fondato sul lavoro), una entità fatta oggetto, sul piano morale e su quello patrimoniale, di particolare protezione. L'art. 36 Cost. garantisce espressamente il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato ed in ogni caso sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa». Pertanto, la Corte, pur non intendendo «escludere in via assoluta la possibilità di misure del genere di quella in esame a carico di trattamenti economici traenti titolo da un rapporto di lavoro», non giudica conforme alla Costituzione che una sanzione siffatta venga collegata puramente e semplicemente all'entità della pena detentiva inflitta, che (come previsto dall’art. 29 del codice penale) accompagna automaticamente l’interdizione perpetua alla condanna all’ergastolo o alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni. Le argomentazioni della Corte non si estendono, invece, alle ipotesi relative a trattamenti economici non aventi titolo in un rapporto di lavoro (ad es. pensioni di guerra, pensioni di grazia e simili).

A seguito alla sentenza n. 3/1966, è stata approvata la legge n. 424 del 1966, che ha abrogato tutte le disposizioni che prevedevano, a seguito di condanna penale o di provvedimento disciplinare, la riduzione o la sospensione del diritto del dipendente al conseguimento e al godimento della pensione e di ogni altro assegno od indennità da liquidarsi in conseguenza della cessazione del rapporto di dipendenza.

L’indirizzo definito dalla Corte costituzionale con la sentenza n.3/1966 ha trovato sostanziale conferma nella successiva giurisprudenza costituzionale (sentt. 83/1979 e 288/1983).

 

Le disposizioni di cui all’articolo 1, comma  3, ove si prevede la revoca dei trattamenti pensionistici anche nei confronti dei soggetti che già li percepivano al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, vanno valutate alla luce dell’articolo 25, comma 2, Cost. (“Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”), che sancisce il principio della irretroattività della legge penale meno favorevole per il reo.

 

 

Incidenza sull’ordinamento giuridico

Attribuzione di poteri normativi

Non è prevista l’attribuzione di poteri normativi.

Coordinamento con la normativa vigente

Ove si consideri che il provvedimento in esame introduce nuove sanzioni accessorie, appare preferibile formulare le disposizioni come modifiche del codice di procedura penale.

Collegamento con lavori legislativi in corso

Non risultano lavori legislativi in corso sulla materia.

Formulazione del testo

Con riferimento all’articolo 1, comma 1, si osserva in primo luogo che la norma non chiarisce quale sia il soggetto competente a disporre la sospensione del trattamento pensionistico. In particolare, andrebbe chiarito se la sospensione viene disposta da un giudice nell’ambito del procedimento penale o dall’ente erogatore dei trattamenti (nel qual caso andrebbe prevista una forma di comunicazione tra autorità giudiziaria e ente erogatore).

In secondo luogo, la norma nulla dispone per il caso in cui il soggetto sottoposto a procedimento penale venga successivamente assolto con sentenza definitiva. In particolare, appare opportuno chiarire che la sentenza definitiva di assoluzione ricostituisce pienamente, con effetto retroattivo, il diritto ai benefici previdenziali sospesi (diritto ai trattamenti non percepiti con relativi interessi legali). Anche per tale ipotesi andrebbe individuato  il soggetto competente alla revoca della sospensione dei trattamenti in precedenza disposta. Inoltre, andrebbe chiarito se la revoca della misura restrittiva della libertà personale, cui accede la sospensione del trattamento previdenziale, comporta automaticamente il ripristino del trattamento medesimo.

In terzo luogo, andrebbe meglio specificata la portata dell’espressione “misure restrittive della libertà personale”, al fine di chiarire se in essa rientrino solo le misure cautelari (artt. 272 e ss. Cod. pen.) o anche le misure di sicurezza (art.199 e ss. Cod. pen.) e di prevenzione (leggi n.1423 del 1956, n.575 del 1965 e n.646 del 1982).

Infine, occorre valutare la ragionevolezza della lista di reati contemplati (art.270-bis, art.280, art.289-bis, art.416-bis e art.422), posto che il codice penale prevede ulteriori reati di terrorismo e criminalità organizzata, anche più gravi (a titolo esemplificativo si possono citare il reato di “Insurrezione armata contro i poteri dello Stato”, di cui all’articolo 280 c.p., punito con l’ergastolo e il reato di “Devastazione, saccheggio e strage”, con il fine di attentare alla sicurezza dello Stato, di cui all’articolo 285 c.p., anch’esso punito con l’ergastolo).

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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File: LA0354_0.doc



[1] Al riguardo si ricorda che la costante giurisprudenza costituzionale (25/1972; 188/1973; 26/1980; 288/1983) riconosce ai trattamenti previdenziali aventi titolo in un rapporto di lavoro il carattere di “retribuzione differita”, in quanto tali riconducibili alle tutele apprestate dall’articolo 36 Cost.