Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento finanze
Titolo: Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita A.C. 5291
Riferimenti:
AC N. 5291/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 676
Data: 10/09/2012
Organi della Camera: VI-Finanze

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita

A.C. 5291

 

 

 

 

 

 

 

n. 676

 

 

 

10 settembre 2012

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Finanze

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File: FI0698.doc

 


INDICE

 

Schede di lettura

§      Articolo 1 (Delega al Governo per la revisione del sistema fiscale).............. 3

§      Articolo 2 (Revisione del catasto dei fabbricati)........................................... 22

§      Articolo 3 (Stima e monitoraggio dell'evasione fiscale)............................... 39

§      Articolo 4 (Monitoraggio e riordino delle disposizioni in materia di erosione fiscale)  45

§      Articolo 5 (Disciplina dell’abuso del diritto ed elusione fiscale).................... 52

§      Articolo 6 (Gestione del rischio fiscale, governance aziendale e tutoraggio)64

§      Articolo 7 (Semplificazione).......................................................................... 72

§      Articolo 8 (Revisione del sistema sanzionatorio)......................................... 83

§      Articolo 9 (Rafforzamento dell’attività conoscitiva e di controllo)................. 92

§      Articolo 10 (Revisione del contenzioso tributario e della riscossione degli enti locali)    102

§      Articolo 11 (Unificazione dell'imposizione sui redditi di impresa e di lavoro autonomo e previsione di regimi forfetari per i contribuenti di minori dimensioni).............................. 110

§      Articolo 12 (Razionalizzazione della determinazione del reddito di impresa e della produzione netta)115

§      Articolo 13 (Razionalizzazione dell'imposta sul valore aggiunto e di altre imposte indirette)    136

§      Articolo 14 (Fiscalità ambientale)............................................................... 163

§      Articolo 15 (Giochi pubblici)........................................................................ 171

§      Articolo 16 (Procedura).............................................................................. 184

§      Articolo 17 (Oneri finanziari)....................................................................... 187


I sistemi fiscali in Francia, Germania, Regno Unito e Spagna alla luce delle più recenti misure adottate

Francia............................................................................................................ 191

§      Fiscalità delle persone................................................................................ 191

§      Fiscalità delle imprese................................................................................ 196

§      Fiscalità ambientale.................................................................................... 204

§      IVA e accise................................................................................................ 205

§      La «Taxe sur les transactions financières»............................................... 206

Germania........................................................................................................ 207

§      Fiscalità delle persone................................................................................ 207

§      Fiscalità delle imprese................................................................................ 208

§      IVA e accise................................................................................................ 209

Regno Unito.................................................................................................. 213

§      Fiscalità delle persone................................................................................ 213

§      Fiscalità delle imprese................................................................................ 215

§      IVA e accise................................................................................................ 216

Spagna........................................................................................................... 219

§      Fiscalità delle persone................................................................................ 219

§      Fiscalità delle imprese................................................................................ 220

§      Imposte a carico delle persone fisiche e giuridiche................................... 221

§      IVA, accise ed altre imposte indirette......................................................... 221

§      La riforma del finanziamento e della fiscalità delle Comunità autonome... 222

 

 


Schede di lettura


 

Articolo 1
(Delega al Governo per la revisione del sistema fiscale)

 

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti la revisione del sistema fiscale, secondo i princìpi e criteri direttivi indicati nella presente legge.

 

 

L’articolo 1 reca una delega al governo ad adottare, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore del disegno di legge in commento, uno o più decreti legislativi, recanti la revisione del sistema fiscale.

 

La relazione illustrativa chiarisce che la delega è volta a perseguire gli stessi obiettivi di crescita ed equità già messi in campo attraverso il decreto-legge n. 201 del 2011 (cosiddetto SalvaItalia). La proposta di riforma non si pone quindi come un intervento radicale, volto ad attuare un particolare modello teorico di tax design, ma intende intervenire per correggere alcuni aspetti critici del sistema per renderlo più favorevole alla crescita e all’equità.

 

La legislazione fiscale italiana è infatti il risultato di due esigenze contrapposte: da un lato, quelle, pressanti, di bilancio, volte a reperire, nell’immediato, il maggior gettito possibile; dall’altro, quelle, meno pressanti ma pur sempre necessarie, di sistema, volte a garantire, in prospettiva, un prelievo neutro ed equo.

 

In tale contesto, come si vedrà di seguito, nell’ultimo anno il legislatore italiano ha perseguito in primo luogo l’intento complessivo - al fine di incentivare la (stagnante) crescita economica del Paese - di spostare il baricentro dell’imposizione dal “lavoro” al consumo e al patrimonio.

 

E’ stato da più parti sostenuto, infatti (vedi, da ultimo, il Rapporto sulla finanza pubblica 2012, Il Mulino), che le imposte sul patrimonio immobiliare e, in misura più ridotta, quelle sui consumi, sono meno dannose per la crescita economica rispetto alle imposte sui redditi e il loro aumento – se associato ad una riduzione del costo del lavoro – consentirebbe di realizzare una “svalutazione fiscale”, aiutando la ripresa della domanda interna: l’aliquota nazionale si applica, infatti, alle importazioni mentre le esportazioni non sono imponibili. Poiché inoltre gli sgravi sul costo del lavoro si trasferiscono sui prezzi delle imprese nazionali, si determina una riduzione dei prezzi della produzione interna e un conseguente aumento di competitività. Per altro verso, misure di detassazione dei profitti (quali, ad esempio, l’Ace) dovrebbero favorire la ricapitalizzazione, in particolare delle banche.

 

Peraltro, come sottolineato anche dalla Corte dei conti nel Rapporto 2012 sul coordinamento della finanza pubblica, l’originale intenzione distributiva, recepita nel ddl delega per la riforma fiscale ed assistenziale del luglio 2011, è stata scavalcatadall’esigenza di porsi più ambiziosi obiettivi di rigore, veicolati in larghissima parte (D.L. 98 e 138 del 2011) attraverso la componente delle entrate. La nuova azione redistributiva posta a base dello spostamento di quote di prelievo nell’ambito degli imponibili dichiarati ha, così, potuto trovare solo una parziale attuazione nel D.L. 201/2011, nella misura in cui l’aumento impositivo che ha investito consumi e patrimoni si è tradotto in una riduzione molto limitata del prelievo sui redditi da lavoro e d’impresa.

Considerando sostanzialmente esauriti i margini finora offerti dalle entrate volontarie, a cominciare da quelle per giochi, e dall’efficientamento dell’attività di riscossione, la Corte suggerisce di puntare sull’ampliamento della base imponibile, assegnando alla lotta all’evasione ed all’elusione ed al ridimensionamento dell’erosione il compito di assicurare margini consistenti per un riequilibrio del sistema di prelievo al fine di poter almeno in parte conciliare rigore, equità e crescita.

 

In secondo luogo, alcuni interventi si sono rivolti verso un sistema di tassazione del reddito cosiddetto “duale”, in cui i redditi da capitale sono esclusi dalla progressività, che è limitata ai redditi da lavoro (dipendente e autonomo) e da impresa individuale.

La tassazione “piatta” è stata adottata anche per i canoni delle abitazioni locate: l’art. 3 del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, (federalismo municipale) ha istituito infatti la cosiddetta “cedolare secca” del 21 (o 19) per cento sui redditi derivanti da canoni di locazione, anche al fine di favorire l’emersione degli imponibili. Tale norma, introdotta con l’intento di favorire l’emersione dei redditi da locazione di immobili, non sembra peraltro aver ottenuto gli effetti sperati.

 

Sotto altro profilo, si ricorda che la legislatura è stata caratterizzata dalla approvazione e attuazione - quest’ultima non ancora conclusa - della legge sul federalismo fiscale (sulla quale vedi il box Il processo di attuazione del federalismo fiscale), con l’obiettivo di spostare le risorse dal centro al luogo di produzione della tassazione. Occorre tuttavia considerare che con il decreto legge n. 201 del 2011 (come modificato dal decreto-legge n. 16 del 2012) sono intervenute disposizioni che incidono su alcuni significativi assetti legislativi delineati dalla normativa federalista quali, in primo luogo, l’imposta municipale propria (IMU), il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), nonché la disciplina del fondo sperimentale d’equilibrio e del fondo perequativo, che al termine della fase transitoria costituirà la sede finanziaria di perequazione della nuova fiscalità comunale e provinciale.

Tali innovazioni sembrano in molti punti poter confliggere con la disciplina dettata in materia dai decreti legislativi attuativi della delega, o comunque necessitare di una ricomposizione del nuovo quadro finanziario risultante dalle modifiche dei flussi contabili determinati dalla nuova IMU introdotte dal decreto legge 201/2011; sembrerebbe pertanto necessario un intervento di razionalizzazione e coordinamento normativo.

Analoga valutazione sembra potersi esprimere rispetto al nuovo ordinamento delle province, sulle quali si è intervenuti con il medesimo decreto-legge n. 201 con la finalità di semplificare gli apparati politici e amministrativi e di ridurne i costi. Il decreto-legge n. 95 del 2012 ha quindi previsto un generale riordino delle province, la ridefinizione delle loro funzioni, nonché l’istituzione di 10 Città metropolitane e la contestuale soppressione delle province nel relativo territorio. La nuova regolamentazione comporta tuttavia che le stesse svolgano. Risultano pertanto possibili elementi di distonia rispetto al vigente assetto federalista con riguardo, ad esempio, alla necessaria correlazione tra le funzioni esercitate da ciascun livello territoriale di governo e le risorse ad esso attribuite.

Da tali considerazioni sembrerebbe emergere sul piano della normativa primaria la necessità di un intervento di coordinamento sulla vigente disciplina recata dai decreti legislativi n. 23 e n. 68 del 2011 sul fisco municipale, provinciale e regionale.

 

La Corte dei conti, nel citato Rapporto, ha altresì messo in evidenza un deludente andamento delle entrate tributarie, ascrivibile in larga parte alla stagnazione delle imposte dirette, a fronte del quale rileva un migliore andamento del gettito delle amministrazioni locali, per effetto del combinato, e ugualmente qualificante, contributo dell’imposizione diretta (4,8 per cento) e di quella indiretta (5 per cento). Hanno operato, su entrambi i versanti, le accelerazioni di gettito prodotte da una serie di “anticipazioni” del federalismo fiscale: dall’aumento dell’addizionale regionale all’IRPEF (+4 per cento rispetto al 2010, anche sull’onda dei piani sanitari di rientro imposti ad alcune regioni), a quello dell’imposta provinciale di trascrizione auto (14,7 per cento); dall’aumento dell’imposta sulle assicurazioni contro la RC auto che ha coinvolto massicciamente le province (+15 per cento), all’introduzione della tassa di soggiorno, che ha assicurato ai Comuni un gettito “fresco” per quasi 1,1 miliardi.

 

In questo quadro di riferimento, tra gli obiettivi delineati dal disegno di legge delega emerge la certezza del sistema tributario, da perseguire attraverso la definizione dell’abuso del diritto (articolo 5), la revisione delle sanzioni penali e amministrative (articolo 8), il miglior funzionamento del contenzioso attraverso lo snellimento dell’arretrato (articolo 10).

 

Si intende inoltre attuare una semplificazione sistematica dei regimi fiscali e degli adempimenti “inutilmente complessi” (articolo 7). Allo stesso tempo, la revisione del reddito d’impresa è volta a migliore la certezza e la stabilità del sistema fiscale (articolo 11).

 

La riforma fiscale è anche orientata a proseguire nel contrasto all’evasione e all’elusione nonché al riordino dei fenomeni di erosione fiscale (cosiddette tax expeditures), con l’obiettivo di eliminare distorsioni e rendere più efficiente il sistema economico. A questo fine sono previste misure volte a definire metodologie di stima dell’evasione e di monitoraggio dei risultati della lotta all’evasione stessa.

 

Attraverso la riforma del catasto degli immobili (articolo 2) si intende invece correggere le sperequazioni insite nelle attuali rendite, accentuate dall’aumento generalizzato disposto con il decreto-legge n. 201 del 2011.

 

Le misure in materia di tassazione ambientale sono ritenute necessarie sia sotto il profilo della riduzione delle emissioni nocive che per consentire una migliore distribuzione del carico fiscale, più compatibile con uno sviluppo sostenibile (cosiddetto “doppio dividendo”). Al fine di migliorare la qualità del prelievo tributario negli Stati membri, la Commissione europea ha indicato proprio le imposte ambientali, insieme a quelle sui consumi e sulla proprietà, tra gli strumenti in grado di attuare una redistribuzione virtuosa della composizione del prelievo, con impatto positivo sulla crescita.

La delega per la riforma fiscale e assistenziale già all’esame del Parlamento (AC 4566) e i provvedimenti adottati

Il 29 luglio 2011 il Governo Berlusconi ha presentato un disegno di legge recante una delega legislativa per la riforma fiscale e assistenziale (A.C. 4566), volto a razionalizzare e semplificare il quadro normativo vigente, il cui esame è stato avviato dalla Commissione Finanze della Camera dei deputati il 7 settembre 2011.

 

Si segnala che alcuni obiettivi della delega sono stati attuati attraverso provvedimenti d’urgenza adottati dal governo precedente e dal governo in carica, secondo quanto di seguito segnalato. Nell’ultimo anno, infatti, le condizioni del ciclo economico hanno evidenziato un progressivo deterioramento e una ripresa delle tensioni finanziarie sui mercati internazionali. In questo scenario, l’Italia ha proseguito nel percorso di risanamento dei conti pubblici, contemperando questa esigenza con interventi a favore della crescita economica e dell’equità. A tal fine, il legislatore italiano ha avviato un percorso per trasferire, come anticipato in precedenza, l’imposizione dal lavoro al consumo e al patrimonio.

La tassazione del patrimonio

Con il decreto-legge n. 201 del 2011, numerose misure hanno introdotto elementi di tassazione reale:

§       la tassazione degli immobili situati in Italia, sostanzialmente con la reintroduzione dell’imposta patrimoniale sulla prima casa, che era stata abolita nel 2008. A tale scopo, viene anticipata dal 2014 al 2012 l’operatività dell’Imposta municipale propria (IMU) – disciplinata dalle disposizioni attuative della delega sul federalismo fiscale – estendendo tale forma di prelievo alla “prima casa” dei contribuenti, seppure con aliquota agevolata e contemperata da una detrazione; l’articolo 91-bis del D.L. n. 1 del 2012 (cd. decreto liberalizzazioni) ha quindi stabilito che, dal 2013, l’esenzione da IMU per gli immobili di enti non commerciali adibiti a specifiche attività sia applicabile solo nel caso in cui le predette vengano svolte con modalità non commerciali;

§       l’imposta sugli immobili detenuti all’estero;

§       la modifica “a scaglioni” dell’imposta di bollo, introdotta con la manovra di agosto (D.L. 138/2011) sui soli conti bancari e che con la citata manovra di dicembre è stata estesa a fattispecie in precedenza escluse, ivi compresi i depositi bancari e postali, anche se rappresentati da certificati;

§       l'applicazione di un'imposta di bollo sulle attività rimpatriate mediante il cosiddetto "scudo fiscale";

§       la tassazione delle attività finanziarie detenute all’estero;

§       la tassazione di alcune manifestazioni di ricchezza, quali i veicoli di grossa cilindrata (potenziando quanto già disposto con la manovra di agosto), gli aerei e le imbarcazioni da diporto di maggiori dimensioni.

La tassazione dei redditi di natura finanziaria

Si prevedeva inoltre l’introduzione, nell’ambito dei provvedimenti attuativi della delega, di un nuovo regime fiscale per i redditi di natura finanziaria, superando la distinzione tra “redditi di capitale” e “redditi diversi” a favore di una unica categoria di “redditi finanziari”, assoggettati ad un’imposta sostitutiva con una stessa aliquota, non superiore al 20 per cento: tale misura è stata adottata con il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (articolo 2, commi da 6 a 34); per effetto delle modifiche operate, le precedenti aliquote del 12,50 per cento e del 27 per cento, previste sui redditi di capitale e sui redditi diversi, sono unificate al 20 per cento. Restano esclusi dall’ambito di applicazione della riforma, tra gli altri, i titoli di Stato ed equiparati, i titoli emessi da altri Stati (cd. white list, vale a dire i paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni), i titoli di risparmio per l’economia meridionale, i piani di risparmio a lungo termine e le forme di previdenza complementare (nonché le emissioni obbligazionarie delle società di progetto per finanziare gli investimenti in infrastrutture o nei servizi di pubblica utilità, assimilate ai titoli di stato dall’articolo 1 del D.L. 83 del 2012). Le predette norme hanno altresì definito le modalità con cui nel risparmio gestito (polizze assicurative, gestioni patrimoniali, fondi comuni mobiliari e fondi pensione) deve essere effettuata la tassazione dei titoli soggetti alla minore aliquota del 12,5%, al fine di non vanificare il trattamento di favore loro riservato; inoltre, le norme hanno accordato agli investitori la possibilità di affrancare le plusvalenze maturate al 31 dicembre 2011, allo scopo di evitare la tassazione con la maggiore aliquota del 20%.

L’intervento, oltre all’intento di armonizzare le aliquote dei redditi delle attività finanziarie, si è posto anche l’obiettivo di aumentare il livello di tassazione di tali redditi (per un importo stimato dalla relazione tecnica del decreto-legge n. 138 pari a due miliardi di euro).

L’imposizione sui consumi

Per quanto concerne l’IVA, il ddl di delega prospettava la revisione graduale delle aliquote, la riduzione delle forme di indetraibilità e delle distorsioni della base imponibile, il coordinamento della relativa disciplina con quella delle accise ed, infine, la razionalizzazione dei sistemi speciali in relazione alla particolarità dei settori interessati.

Il citato decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 ha disposto un progressivo aumento delle aliquote IVA: l’aliquota ordinaria è passata dal 20 al 21 per cento da agosto 2011, mentre a decorrere dal 1° luglio 2013 e fino al 31 dicembre 2013 (secondo le modifiche introdotte dal decreto-legge n. 95 del 2012) le aliquote del 10 e del 21 per cento verranno incrementate di 2 punti percentuali (passando rispettivamente al 12 e al 23 per cento). A decorrere dal 1° gennaio 2014, le suddette aliquote sono incrementate dell'1 per cento. Da tale data, pertanto, le aliquote sono rideterminate, rispettivamente, nella misura dell’11 e del 22 per cento. Il predetto incremento non si applica qualora entro il 30 giugno 2013 siano entrati in vigore provvedimenti legislativi in materia fiscale ed assistenziale aventi ad oggetto il riordino della spesa in materia sociale, nonché la eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale che si sovrappongono alle prestazioni assistenziali;.

Inoltre, con la legge di stabilità 2013 devono essere indicate le misure di attuazione del programma di razionalizzazione della spesa pubblica (previsto dall'articolo 1, comma 1-bis, del decreto legge n. 52 del 2012) e le disposizioni di eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale (previste dall'articolo 40, comma 1-quater, del decreto legge n. 98 del 2011), prevedendo che i risparmi e le maggiori entrate così ottenuti, assieme ai risparmi derivanti dal riordino di enti ed organismi statali disposti dall'articolo 12 del citato decreto-legge n. 95 del 2012, concorrano ad evitare il previsto aumento dal 1° luglio 2013 delle aliquote IVA.

Sono quindi modificati gli effetti positivi, ai fini dell'indebitamento netto, derivanti dalla norma in commento, che vengono rideterminati in 6.560 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2013.

 

In merito al riordino della disciplina delle accise, il ddl di delega prevedeva: a) la graduale rimodulazione delle aliquote delle singole accise; b) il coordinamento delle medesime aliquote con l’IVA, al fine di ridurne l’incidenza sui “prodotti essenziali” e la duplicazione dell’imposizione; c) la correzione degli effetti esterni negativi dell’imposizione su ambiente salute e benessere.

In tale ambito occorre ricordare gli aumenti delle aliquote di accisa sia sui prodotti energetici (aventi lo scopo, tra l’altro, di far fronte alle spese sostenute a seguito di eventi calamitosi che hanno colpito l’Italia nel corso del 2011), sia sui tabacchi lavorati (rispettivamente, tra gli altri, articolo 23, comma 50-quater, decreto-legge n. 98 del 2011, articolo 33 e 34, legge n. 183 del 2011, legge di stabilità per il 2012, articolo 15, decreto-legge n. 201 del 2011, articolo 3-bis, decreto-legge n. 16 del 2012, e, per i tabacchi, articolo 2, comma 3, del decreto-legge n. 138 del 2011, articolo 6, comma 2-quinquies, decreto-legge n. 216 del 2011). Da ultimo, il decreto-legge n. 74 del 2012 (articolo 3) dispone un aumento dell’accisa sulla benzina e sul gasolio usato come carburante, pari a 2 centesimi, finoal 31 dicembre 2012 volto ad alimentare il Fondo per la ricostruzione delle aree colpite dal sisma del 20-29 maggio 2012.

Il decreto-legge n. 59 del 2011 (articolo 1, comma1, lett.c), nn. 9 e 10) ha poi previsto che gli oneri di protezione civile, ove si ricorra al fondo di riserva spese impreviste, possano essere reintegrati anche mediante l’aumento dell’accisa sulla benzina e gasolio.

Infine, l’articolo 39 del decreto-legge n. 83 del 2012 reca - tra l’altro - i criteri di revisione del sistema delle accise sull’elettricità e sui prodotti energetici, da realizzare, entro il 31 dicembre 2012, con un decreto Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto col Ministro dello sviluppo economico.

Gli interventi sull’IRAP e sul costo del lavoro

Il ddl di delega prevedeva quindi la graduale eliminazione dell'IRAP, compensandone però la riduzione di gettito nei confronti delle regioni mediante nuovi trasferimenti o compartecipazioni, con prioritaria esclusione del costo del lavoro dalla base imponibile.

In tal senso si muovono le disposizioni recate dalla legge n. 183 del 2011 che hanno prorogato al 2012 il regime fiscale -oltre che contributivo - agevolato degli emolumenti correlati ad incrementi di produttività, che sotto il profilo tributario consiste nell’applicazione di un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali avente aliquota del 10 per cento. Il legislatore ha inoltre introdotto (con il decreto-legge n. 201 del 2011) norme che prevedono l’integrale deducibilità delle imposte dirette - IRES e IRPEF – dalla quota dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) dovuta dalle imprese in rapporto al costo del lavoro, ferma restando la deducibilità di parte (10 per cento) della medesima imposta dovuta in relazione agli interessi passivi e agli oneri assimilati. Inoltre, per favorire l’accesso al lavoro da parte di donne e giovani, è stata aumentata la misura della deduzione IRAP disposta in caso di assunzione di tali tipologie di lavoratori, con particolare attenzione alle regioni del Mezzogiorno (poi prorogata con il decreto-legge n. 5 del 2012).

Da ultimo, l’articolo 24 del decreto-legge n. 83 del 2012 ha introdotto un contributo tramite credito di imposta per le nuove assunzioni di profili altamente qualificati.

In tale ambito, occorre altresì richiamare l’aumento delle aliquote per il settore finanziario e assicurativo - a parziale compensazione dell’esenzione IVA di cui godono tali imprese - e le imprese concessionarie operato dalle manovre estive del 2011 (decreti-legge n. 98 e 138), controbilanciato in parte dall’Aiuto economico alla crescita (ACE) e dalla possibilità di trasformare le imposte dirette attive in crediti d’imposta (DTA, decreto-legge n. 201 del 2011).

L’aiuto alla crescita economica (ACE)

Il ddl di delega prevedeva altresì, nell’ambito della tassazione del reddito di impresa, un aiuto alla crescita economica (ACE), rendendo deducibile il rendimento del capitale di rischio, valutato tramite l'applicazione di un rendimento nozionale al nuovo capitale proprio.

Tale disposizione è stata introdotta dall’articolo 1 del decreto-legge n. 201 del 2011 in considerazione della esigenza di rilanciare lo sviluppo economico del Paese e fornire un aiuto alla crescita, mediante una riduzione della imposizione sui redditi derivanti dal finanziamento con capitale di rischio. Ciò è finalizzato anche a ridurre lo squilibrio del trattamento fiscale tra imprese che si finanziano con debito ed imprese che si finanziano con capitale proprio, e rafforzare, quindi, la struttura patrimoniale delle imprese e del sistema produttivo italiano.

 

Nell’ambito delle misure volte ad agevolare il finanziamento delle imprese, l’articolo 32 del decreto-legge n. 83 del 2012 consente alle società non emittenti strumenti finanziari quotati su mercati regolamentati o su sistemi multilaterali di negoziazione, diverse dalle banche e dalle micro-imprese, di emettere cambiali finanziarie e obbligazioni a condizione che l'emissione sia assistita da uno sponsor, l'ultimo bilancio dell'emittente sia assoggettato a revisione contabile, i titoli siano collocati esclusivamente presso investitori qualificati che non siano, direttamente o indirettamente, soci della società emittente e destinati alla circolazione esclusivamente tra tali investitori.

 

Si ricorda, infine, che l’articolo 32-bis del medesimo decreto-legge n. 83 del 2012 ha modificato la disciplina dell’IVA “per cassa”, rendendo tale regime opzionale e disponendo l’esigibilità dell’IVA “per cassa” alle operazioni effettuate da soggetti passivi con volume d’affari non superiore a due milioni di euro, in luogo dell’attuale soglia di duecentomila euro; si prevede che il diritto alla detrazione in capo al cessionario o al committente sorga al momento di effettuazione dell’operazione, anche se il corrispettivo non è stato ancora pagato (non più, dunque, al momento di effettivo pagamento del corrispettivo).

Le modifiche alle imposte a favore degli enti territoriali: imposta di scopo, imposta sui servizi, Tares, imposta di soggiorno, imposta di sbarco

Il ddl di delega disponeva poi la razionalizzazione delle cosiddette “imposte minori”: queste consistono in una pluralità di tributi e presupposti impositivi che ne rendono il sistema complesso in termini di gestione e di difficile applicazione per i contribuenti. A tale scopo si prevede una imposta sui servizi, che unifica in un'unica obbligazione fiscale e in un'unica modalità di prelievo i seguenti tributi: imposta di registro, imposte ipotecarie e catastali, imposta di bollo, tassa sulle concessioni governative, imposta sulle assicurazioni ed imposta sugli intrattenimenti.

In tale ambito, l'articolo 14del decreto-legge n. 201 del 2011 ha istituito, a decorrere dal 1° gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, nonché dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni. Il tributo è dovuto da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla tassazione le aree scoperte pertinenziali o accessorie a civili abitazioni e le aree comuni condominiali che non siano detenute o occupate in via esclusiva.

Il decreto-legge n. 16 del 2011 ha quindi consentito ai comuni di disciplinare con regolamento l’imposta di scopo, nel quadro della disciplina recata dalla legge finanziaria 2007, in luogo della revisione dell’imposta da effettuarsi con regolamento statale (D.P.R.). Il medesimo decreto-legge ha previsto altresì l’abrogazione della sospensione del potere di aumentare le aliquote e le tariffe dei tributi locali e regionali.

Interventi in materia di semplificazione

Infine, in materia di semplificazione, oltre ad una rideterminazione della disciplina dell'obbligazione fiscale che minimizzi lo sforzo che il contribuente è tenuto a sostenere per effettuare gli adempimenti fiscali, il ddl di delega prevedeva la revisione degli attuali regimi forfetari volti ad incentivare la nascita di nuove imprese, la revisione degli studi di settore al fine di cogliere in modo più puntuale la realtà dell'attività delle imprese e dei lavoratori autonomi, nonché l'introduzione di un concordato biennale volto a determinare preventivamente l'imposizione sul reddito di impresa e di lavoro autonomo.

Allo scopo di favorire la costituzione di nuove imprese da parte di giovani o di coloro che perdono il posto di lavoro, a decorrere dal 1° gennaio 2012 è stato modificato (articolo 27 del decreto-legge n. 98 del 2011) il regime fiscale semplificato dei cd. “contribuenti minimi” che si applica, per il periodo d'imposta in cui l'attività è iniziata e per i quattro successivi, esclusivamente alle persone fisiche che intraprendono un’attività d’impresa, arte o professione o che l’abbiano intrapresa dopo il 31 dicembre 2007. Pertanto, il beneficio del c.d. “forfettone” (una tassazione forfettaria del 20 per cento per i titolari di partite Iva e i lavoratori autonomi che a fine anno incassano meno di 30 mila euro) è riservato a coloro i quali hanno iniziato l'attività a partire da tale data o vorranno iniziarla adesso. Nello stesso tempo per questi ultimi il beneficio è aumentato: a decorrere dal 1° gennaio 2012, l’imposta sostitutiva dell'imposta sui redditi e delle addizionali regionali e comunali viene ridotta al 5 per cento.

L’articolo 10 del decreto legge n. 201del 2011 ha introdotto dal 2013 il nuovo regime della trasparenza rivolto ai soggetti che svolgono attività artistica, professionale o di impresa, in forma individuale o associata (escluse le società di capitali). Si tratta di un regime finalizzato a incoraggiare la trasparenza fiscale e l'emersione. La norma è congeniata in modo da abbinare la volontaria accettazione di adempimenti in grado di rafforzare fortemente i controlli e l'accertamento da parte del fisco a una serie di vantaggi di tipo premiale, quali: la drastica semplificazione degli adempimenti amministrativi; il tutoraggio prestato dall'Amministrazione fiscale, sia ai fini degli adempimenti Iva, sia ai fini degli adempimenti in qualità di sostituto d'imposta; una corsia preferenziale per i rimborsi e le compensazioni dei crediti Iva.

Da ultimo, l’articolo 13 del decreto-legge n. 83 del 2012 ha rafforzato la disciplina dello sportello unico per l’edilizia rendendolo l'unico punto di accesso per il privato per tutte le vicende amministrative riguardanti l'intervento edilizio ed il relativo titolo abilitativo. Lo sportello è tenuto ad acquisire altresì, anche mediante conferenza dei servizi, tutti gli atti di assenso comunque denominati delle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità.

Disposizioni contenute nel ddl delega all’esame della Commissione Finanze che non hanno trovato attuazione e non sono riproposte nel nuovo ddl

Non sono invece contenuti nel disegno di legge alcuni obiettivi perseguiti dal precedente ddl per la riforma fiscale.

In particolare, l’articolo 1 del ddl 4566 (vedi oltre) prevedeva una delega specifica volta all’adozione di un unico codice in materia tributaria. Al riguardo, da più parti, nel corso delle audizioni, era emersa l’esigenza di garantire la certezza del quadro normativo, la comprensibilità da parte del cittadino e delle imprese della portata delle disposizioni in campo tributario, il principio di irretroattività, la tutela dell’affidamento e della buona fede del contribuente, con la conseguente soluzione della questione riguardante l’abuso del diritto, nonché una drastica semplificazione del sistema.

L’attuale ddl non ha rinnovato, inoltre, la proposta di delega per la riqualificazione e il riordino della spesa in materia sociale, in parte contenuta nella riformulazione delle norme sull’aumento dell’Iva operate dal decreto-legge n. 95 del 2012 (vedi sopra), che ne demanda l’attuazione alla legge di stabilità 2013. Su tale questione, la più parte degli auditi - pur riconoscendo la possibilità di eliminare alcune sovrapposizioni tra le norme dei diversi livelli territoriali - aveva messo in evidenza la fragilità della rete dei servizi ed auspicato un incentivo all’integrazione delle prestazioni sanitarie, socio sanitarie e sociali nonché alla libertà di scelta dei cittadini per garantire in modo più efficace la finalizzazione delle risorse.

In tale ambito, tuttavia, l’articolo 5 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha demandato ad un DPCM – da emanare entro il 31 maggio 2012 - la revisione delle modalità di determinazione e dei campi di applicazione dell’ISEE. A tal fine viene rafforzata la rilevanzadegli elementi collegati alla ricchezza patrimoniale della famiglia e ai trasferimenti monetari, anche se esenti da imposizione fiscale, secondo i seguenti criteri:

§       tenere conto delle quote di patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia nonché dei pesi dei carichi familiari, in particolare dei figli successivi al secondo e delle persone disabili a carico;

§       migliorare la capacità selettiva dell’indicatore, valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita in Italia e all'estero, al netto del debito residuo per l'acquisto della stessa e tenuto conto delle imposte relative;

§       permettere una differenziazione dell’indicatore per le diverse tipologie di prestazioni;

§       rafforzare il sistema dei controlli;

§       istituire una banca dati delle prestazioni sociali agevolate, condizionate all’ISEE, presso l’Inps.

 

Da ultimo, l’articolo 16, commi 1-4 del decreto-legge n. 5 del 2012 ha rafforzato il Casellario dell’assistenza, per alimentare il quale gli enti erogatori di interventi e servizi sociali inviano all’INPS le informazioni sui beneficiari unitamente a quelle sulle prestazioni concesse, raccordando i flussi informativi del Sistema informativo servizi sociali, del Casellario dell’assistenza nonché dei dati relativi alle prestazioni sociali agevolate e dei dati sui controlli ISEE. Sono quindi rafforzate le misure per la verifica della fruizione di prestazione sociali agevolate e per il recupero di prestazioni previdenziali non dovute.

 

Non viene infine reiterata la delega per la determinazione dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) in base a tre aliquote (in luogo delle cinque attuali) del 20 per cento, del 30 per cento e del 40 per cento, da applicare ad un imponibile per quanto possibile non eroso dalle diverse agevolazioni introdotte nel corso degli anni, la cui copertura finanziaria era assicurata mediante l'eliminazione o la riduzione totale o parziale dei regimi di favore fiscale attualmente vigenti, fatta eccezione per i regimi introdotti in esecuzione di accordi internazionali, ovvero in ottemperanza alla normativa dell'Unione europea.

 

Il processo di attuazione del federalismo fiscale

Il processo di attuazione del federalismo fiscale è stato avviato con l’approvazione della legge delega n. 42 del 2009 che reca i principi e i criteri direttivi per l’attuazione dell'articolo 119 della Costituzione e delinea il nuovo quadro istituzionale dei rapporti finanziari tra i livelli di governo per il passaggio da un sistema di finanza derivata ad una maggiore autonomia di entrata e di spesa prevista per comuni, province, città metropolitane e regioni.

In tale quadro è previsto il superamento del sistema dei trasferimenti di risorse in base alla spesa storica e la graduale convergenza verso i costi e i fabbisogni standard in misura da garantire sull’intero territorio nazionale il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e delle funzioni fondamentali degli enti locali.

Si ricorda che il termine generale di 24 mesi per l’attuazione delle norme di delega, fissato dalla legge n. 42/2009 a partire dalla sua entrata in vigore (21 maggio 2009), è stato prorogato di 6 mesi, al 21 novembre 2011, da parte della legge 8 giugno 2011, n. 85, che ha novellato alcune disposizioni della citata legge delega. Vengono altresì prorogati, da 2 a 3 anni e da 36 a 48 mesi, i termini per l’adozione rispettivamente dei decreti legislativi correttivi ed integrativi e di quelli istitutivi delle singole città metropolitane. E’ stata inoltre prevista l’estensione da 60 a 90 giorni del termine per l’emanazione dei pareri da parte della Commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale e delle Commissioni bilancio, sopprimendo contestualmente la disposizione che prevedeva la possibilità di richiedere una proroga di 20 giorni del relativo termine.

In ottemperanza alla disposizione relativa all’adozione di un primo decreto legislativo entro il termine più breve di 12 mesi, scaduto il 21 maggio 2010, è stato inizialmente approvato il decreto legislativo concernente il c.d. Federalismo demaniale (D.Lgs. n. 85 del 2010) relativo all’attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio in attuazione dell’articolo 19 della legge delega.

Il decreto ha previsto in particolare l’attribuzione dei beni statali secondo criteri di territorialità, sussidiarietà, adeguatezza, semplificazione e capacità finanziaria, nonché correlazione con competenze e funzioni, stabilendo l’obbligo in capo all’ente territoriale della valorizzazione funzionale dei beni trasferiti e la possibilità di conferirli nell’ambito di fondi immobiliari ovvero di alienarli allo scopo di destinarne i proventi in quota-parte alla riduzione del debito dell’ente e dello Stato, ovvero a spese di investimento.

Successivamente all’adozione di tale primo provvedimento, sono stati definitivamente approvati altri decreti legislativi concernenti:

§       l’ordinamento transitorio di Roma Capitale (D.Lgs. n. 156 del 2010), che ne ha individuato gli organi (Assemblea capitolina, quale organo di indirizzo e controllo politico-amministrativo; Sindaco, quale responsabile dell’amministrazione di Roma capitale; e Giunta, quale organo di governo), in attesa dell’attuazione della disciplina delle città metropolitane;

§       la metodologia per la determinazione dei fabbisogni standard per gli enti locali (D.Lgs. n. 216 del 2010), che costituiscono i nuovi parametri cui ancorare il finanziamento delle funzioni fondamentali di comuni e province (funzioni generali di amministrazione, polizia locale, viabilità, istruzione pubblica ed altre) al fine di assicurare il graduale e definitivo superamento del criterio della spesa storica, prevedendo meccanismi di perequazione delle capacità fiscali in ordine al finanziamento delle altre funzioni;

§       il federalismo municipale (D.Lgs. n. 23 del 2011), volto a realizzare il passaggio dalla finanza derivata ad una maggiore autonomia tributaria e responsabilità impositiva dei comuni. Durante una prima fase transitoria nel triennio 2011-2013, si prevede, oltre che l’assegnazione diretta ai comuni di una compartecipazione all’IVA (in misura pari al 2,58 per cento del gettito dell'imposta sul valore aggiunto relativo all'anno 2011, ai sensi del DPCM 17 giugno 2011) ripartita sulla base dei consumi (peraltro, con l’articolo 13 del D.L. 201/2011 è stato disposto che per il triennio 2012-2014 il gettito in questione confluisca nel Fondo sperimentale di riequilibrio, secondo i cui criteri di distribuzione verrà destinato ai comuni), la devoluzione a tali enti di una quota statale del gettito derivante dalla fiscalità immobiliare, nonché l’attribuzione sia del gettito Irpef relativo ai redditi fondiari e sia di quote della nuova imposta sulle locazione (c.d. cedolare secca). I tributi - o loro quote - oggetto di devoluzione transiteranno in un Fondo sperimentale di riequilibrio da ripartire successivamente in base a determinati criteri quali il numero di abitanti ed i fabbisogni standard. Tali somme andranno a compensare la fiscalizzazione dei tributi erariali oggetto di devoluzione, oltre che, a partire dal 2012, il venir meno dell’addizionale comunale sull’energia elettricache verràsoppressa nelle regioni a statuto ordinario. Dal 2014 è prevista l’entrata a regime di un Fondo perequativo in cui confluirà l’intero gettito dei tributi devoluti, ferma restando l’attribuzione diretta ai comuni della predetta compartecipazione IVA, nonché l’istituzione di un’imposta municipale sugli immobili (IMU) in sostituzione dell’ICI e dell’Irpef, e delle relative addizionali, sui redditi fondiari non agrari con riferimento a immobili non locati, e di un’imposta municipale secondaria per compensare la soppressione di vari tributi di occupazione di spazi pubblici e sui mezzi pubblicitari.

Novità rilevanti sono altresì la facoltà dei comuni di istituire imposte di soggiorno e di scopo, nonché lo sblocco dell’aumento, ovvero dell’istituzione, dell’addizionale comunale all’IRPEF.

Alla fine di marzo 2011, inoltre, è stato approvato in via definitiva il decreto legislativo in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario (D.Lgs. n. 68 del 2011).

Il provvedimento individua le fonti di finanziamento delle regioni a statuto ordinario, disponendo la contestuale soppressione dei trasferimenti statali. In particolare, dal 2013, si prevede la rideterminazione dell’addizionale regionale all’Irpef (di cui l’articolo 28 del D.L. 201/2011 ha comunque aumentato dello 0,33% l’aliquota di base a decorrere dal 2011) - alla quale possono aggiungersi eventuali maggiorazioni regionali - e la corrispondente riduzione delle aliquote Irpef di competenza statale, al fine di mantenere inalterato il prelievo fiscale a carico del contribuente, in misura da garantire alle regioni entrate equivalenti alla soppressione sia dei trasferimenti statali che della compartecipazione regionale all’accisa sulla benzina. Alle regioni spetterà altresì una compartecipazione al gettito Iva che dal 2013 sarà fissata in misura pari al fabbisogno sanitario “in una sola regione” e attribuita in base al luogo effettivo di consumo.

Si prevede altresì la possibilità per le regioni, a carico del proprio bilancio, di ridurre l’aliquota IRAP fino al completo azzeramento, nonché di istituire detrazioni fiscali in favore delle famiglie, oltre alla soppressione, dal 2013, dei trasferimenti regionali di parte corrente diretti al finanziamento delle spese comunali, sostituita da una compartecipazione dei comuni ai tributi regionali, e prioritariamente all’addizionale regionale Irpef. Il relativo gettito confluirà, in una quota non superiore al 30%, ad un Fondo sperimentale di riequilibrio, di durata triennale. Il provvedimento fissa inoltre a regime, dal 2013, le fonti di finanziamento delle spese per i livelli essenziali delle prestazioni, costituite dalla compartecipazione all’Iva, dall’addizionale regionale Irpef, dall’Irap, dalle entrate proprie (principalmente i ticket) del settore sanitario e da quote di un Fondo perequativo istituito in ciascuna regione al fine di garantire l’integrale finanziamento delle predette spese computate anche in base ai valori di spesa storica, per poi convergere gradualmente verso i costi standard.

Il decreto contiene norme per la disciplina dell'autonomia di entrata delle province e delle città metropolitane e per la determinazione dei costi e fabbisogni standard nel settore sanitario, che riprende in buona parte il sistema di governance definito tra Stato e regioni con il Patto per la salute per gli anni 2010-2012.

 

Si segnala che il D.L. 138 del 2011 ha anticipato al 2012 la possibilità per le regioni e i comuni di aumentare le addizionali Irpef e ha anticipato gli effetti dell’articolo 17, comma 6 del D.Lgs. n. 68 del 2011, in materia di imposta provinciale di trascrizione (IPT), il quale consente che la tassazione degli atti soggetti ad IVA avvenga, anziché secondo una tariffa in somma fissa (150,81 euro), in misura modulata sulla base delle caratteristiche di potenza e portata dei veicoli soggetti ad immatricolazione.

 

In attuazione dell’articolo 15 della legge n. 42/2009, infine, il decreto istituisce la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, quale sede istituzionale di conciliazione degli interessi delle amministrazioni centrali e locali ai fini dell’attuazione del federalismo fiscale, cui sono affidati compiti di verifica e controllo dell’ordinamento finanziario delle regioni e degli enti locali.

Tale nuovo organo si affianca alla Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (COPAFF), già istituita con il DPCM del 3 luglio 2009, cui è stato attribuito il compito di acquisire ed elaborare gli elementi conoscitivi utili per la predisposizione dei contenuti dei decreti legislativi da approvare, nonché svolgere attività consultiva per il riordino dell’ordinamento finanziario di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.

E’ stato poi approvato il decreto legislativo di attuazione dell’articolo 16 della citata legge n. 42, in materia di risorse aggiuntive e interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali (D.Lgs. n. 88 del 2011), il quale, oltre ad intervenire sulla disciplina del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), che viene ridenominato come “Fondo per lo sviluppo e la coesione”, individua nuovi strumenti procedurali finalizzati a rendere più efficace la politica di riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese, stabilendo altresì specifiche regole di programmazione per un miglior utilizzo delle risorse finanziarie derivanti prioritariamente dal predetto Fondo, nonché dai finanziamenti a finalità strutturale dell’Unione europea e dai relativi cofinanziamenti nazionali.

Il successivo D.Lgs. n. 118 del 2011 in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei loro enti ed organismi è volto ad armonizzare i bilanci degli enti territoriali per renderli maggiormente confrontabili sulla base di principi riguardanti, tra l’altro, regole contabili uniformi, la raccordabilità dei sistemi contabili, la definizione di specifiche tassonomie per la riclassificazione dei dati, nonché la definizione di sistemi di indicatori di risultato semplici e misurabili, stabiliti secondo metodologie comuni ai diversi enti territoriali. In particolare si dispone che le regioni, gli enti locali ed i loro enti strumentali (aziende società, consorzi ed altri) adottino la contabilità finanziaria, cui devono affiancare, a fini conoscitivi un sistema di contabilità economico-patrimoniale. A tal fine viene prevista una fase sperimentale di due anni (poi regolamentata dal D.P.C.M. 28 dicembre 2011), al termine della quale verranno precisate le regole contabili definitive a regime dal 2014, con particolare riferimento, tra l’altro, ai contenuti del nuovo principio della competenza finanziaria.

La seconda parte del provvedimento, relativa ai principi contabili generali e applicati per il settore sanitario, reca inoltre una disciplina finalizzata ad assicurare l’uniformità dei conti sanitari delle regioni - che, com’è noto, assorbono la quasi totalità delle risorse regionali – nonché degli enti sanitari (aziende sanitarie locali, aziende ospedaliere, policlinici universitari ed altri). Al riguardo assume rilievo, nella nuova disciplina, l’esatta perimetrazione delle entrate e delle uscite relative al finanziamento del servizio sanitario, per consentire la confrontabilità tra le entrate e le spese iscritte nel bilancio regionale e le risorse indicate negli atti che determinano il fabbisogno sanitario della regione e che, correlativamente, ne individuano le fonti di finanziamento.

Il D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 149, recante meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni introduce, con la finalità di sostanziare i criteri di responsabilità ed autonomia che caratterizzano la nuova governance degli enti territoriali, elementi sanzionatori nei confronti degli enti che non rispettano gli obiettivi finanziari e sistemi premiali verso gli enti che assicurano qualità dei servizi offerti e assetti finanziari positivi. Con riferimento ai meccanismi sanzionatori, il provvedimento istituisce, per le regioni assoggettate a un piano di rientro della spesa sanitaria, l’obbligo di redigere un “inventario di fine legislatura regionale”. Vengono inoltre elencate le condizioni al cui verificarsi si determina la fattispecie di “grave dissesto finanziario” riferito al disavanzo sanitario, che determina la rimozione del presidente della Giunta regionale per “fallimento del proprio mandato di amministrazione dell’ente Regione”.

In relazione ai meccanismi premiali, inoltre, il provvedimento istituisce un sistema di premialità per gli enti “virtuosi” (regioni e gli enti locali che abbiano rispettato il patto di stabilità interno), che si attiva qualora l’obiettivo programmatico assegnato all’ente sia stato raggiunto, consentendosi in tal caso all’ente interessato di ridurre nell’anno successivo l’obiettivo di saldo finanziario ad esso assegnato. Tale riduzione è determinata in base alla valutazione della posizione di ciascun ente rispetto ad un insieme di indicatori economico-strutturali: grado di rigidità strutturale dei bilanci e di autonomia finanziaria, risultati dell’attività finanziaria, livello dei servizi e della pressione fiscale.

Con l'emanazione del secondo provvedimento su Roma capitale, costituito dal decreto legislativo 18 aprile 2012, n. 61, le cui disposizioni si aggiungono a quelle già dettate dal precedente decreto legislativo n. 156 del 2010, si è completata la disciplina del nuovo ente territoriale Roma capitale, in attuazione dell'articolo 24 della legge delega sul federalismo fiscale n.42 del 2009.

 

Si ricorda, infine, che il PNR 2012, nella Griglia delle misure adottate riporta, nella colonna relativa allo stato di avanzamento delle riforme, un giudizio di messa regime – impiegando a tal fine il termine “Operativo” - solo con riguardo al provvedimento sul federalismo demaniale (D.Lgs. n. 85/2010) ed a quello sull’armonizzazione dei sistemi contabili (D.Lgs. n. 118/2011), mentre per altri provvedimenti attuativi della legge n.42/2009 lo stato di avanzamento risulta alla fase “Legiferato” e “Programmatico” .

Nel PNR il federalismo fiscale è altresì considerato tra le riforme con effetti significativi sulla finanza pubblica, cui nel triennio 2012-2014 sono ascritti, in qualità di maggiori entrate e, in parte residuale, anche di minori spese importi positivi cifrabili, in termini di indebitamento netto, a poco meno di 35 miliardi di euro: tali importi derivano pressoché integralmente dall’IMU, per quasi 33 miliardi di euro, (10,7 miliardi nel 2012, 10,9 miliardi nel 2013 ed 11,3 miliardi nel 2014) e per circa 2 miliardi dall’a TARES.

 

Per completezza d’informazione, si richiamano, in estrema sintesi, i precedenti interventi di riforma del sistema fiscale.

 

I precedenti interventi di riforma del sistema fiscale

Nell’esperienza italiana del secondo dopoguerra, una prima importante fase riformatrice coincide con la cosiddetta riforma Vanoni, attuata tra il 1951 ed il 1954 con la legge 11 gennaio del 1951 n. 25 “Norme sulla perequazione tributaria e sul rilevamento fiscale tributario”, cui fece seguito, nel 1954, l’introduzione dell’imposta sulle società.

Tale riforma, più che modificare radicalmente la struttura del sistema di imposizione, che rimase caratterizzato da imposte dirette a carattere prevalentemente reale, cercò di affinarne gli strumenti. Mentre era limitata l’incidenza, in termini di gettito, delle imposte personali (complementare, progressiva e sulle società), la quota più consistente del gettito era assicurata dall’imposta sui redditi di ricchezza mobile, il cui presupposto era costituito dalla produzione di un reddito, in denaro o in natura, continuativo ovvero occasionale derivante da qualsiasi fonte non assoggettabile alle imposte sui terreni o sui fabbricati.

La nuova legge che, come si evince dal titolo stesso, mirava alla perequazione tributaria tra persone fisiche e persone giuridiche, si pose come obiettivo anche quello di combattere l’evasione fiscale già molto elevata in quegli anni cercando di stabilire un nuovo rapporto di fiducia tra contribuenti e amministrazione. Venne sancito infatti con modalità più rigorose l’obbligo annuale a carico dei contribuenti della dichiarazione dei redditi attraverso l’ampliamento dei poteri di accertamento dell’amministrazione finanziaria.

L’introduzione dell’imposta sulle società venne disposta con la legge 6 agosto del 1954 n. 603[1].

L’altro obiettivo che la riforma si prefiggeva era quello di procedere ad una codificazione in materia fiscale che mettesse ordine nel fitto panorama normativo che si era stratificato nel tempo. Tale obiettivo trovò parziale attuazione qualche anno più tardi, con l’emanazione del Testo unico delle imposte dirette (T.U. 29 gennaio 1958 n. 645) che oltre a riunire tutta la normativa della materia rappresenta anche il primo tentativo di dare una nozione legislativa a varie espressioni tecniche.

Tale sistema delle imposte dirette a carattere prevalentemente reale rimase in vigore fino alla riforma degli anni 1971-1973 che, come le successive riforme fiscali, è stata attuata mediante lo strumento della delega.

E’ il caso, in particolare:

§       della legge 9 ottobre 1971 n. 825 (c.d. legge Visentini), in attuazione della quale sono stati emanati, tra gli altri, il D.P.R. n. 597/73 (istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), il D.P.R. n. 633/72 (istitutivo dell’IVA), il D.P.R. n. 600/73 (disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), il D.P.R. n. 636/72 (revisione della disciplina del contenzioso tributario);

§       della legge 23 dicembre 1996, n. 662, in attuazione della quale sono stati emanati numerosi decreti legislativi, tra i quali il D.Lgs. n. 358/97 (in materia di fusioni e scissioni), D.Lgs. n. 460/97 (relativo agli enti non commerciali e alle ONLUS); il D.Lgs. n. 461/97 (in materia di redditi di capitale e diversi), il D.Lgs. n. 446/97 (istitutivo dell’IRAP e recante norme in materia di tributi locali); il D.Lgs. n. 464/97 (istitutivo della Dual income tax).

 

La richiamata legge delega 9 ottobre 1971 n. 825 avviò un nuovo un processo di riforma strutturale del sistema impositivo.

Venne introdotto il principio cardine dell’accertamento tributario analitico e l’estensione degli obblighi contabili a tutti i soggetti passivi tranne i lavoratori dipendenti.

L’imposta sulle persone giuridiche IRPEG, l’imposta sulle persone fisiche IRPEF, l’imposta locale sul reddito ILOR sostituirono le precedenti imposte a carattere reale. Tale nuova struttura del sistema, unitamente alla revisione delle aliquote, mirava ad una più equa realizzazione dei principi costituzionali della capacità contributiva e della progressività dell’imposizione sanciti dagli articoli 23 e 53 della Costituzione.

Attraverso una serie di decreti delegati emanati tra il 1973 e il 1974, oltre a ridurre fondamentalmente a tre le imposte dirette erariali, vennero aboliti i tributi gestiti dalla finanza locale con un accentramento del prelievo fiscale ( si passa alla c.d. finanza locale ”di trasferimento”).

Diversamente dalla riforma precedente, venne modificata radicalmente la struttura del gettito: l’imposizione personale progressiva, che aveva tradizionalmente garantito una quota relativamente esigua di gettito, divenne la parte preponderante fino a raggiungere, anche a causa degli effetti distorsivi del “fiscal drag”, i 3/5 del gettito totale.

Contemporaneamente, si determinò una riduzione delle imposte indirette sui consumi e sui trasferimenti la cui struttura venne anch’essa semplificata. Il principale tributo di questa categoria diventerà l’imposta sul valore aggiunto IVA (quasi il 70% del gettito), affiancata, per quanto riguarda il prelievo sui trasferimenti, dall’imposta di registro, dall’imposta sull’incremento di valore degli immobili INVIM, dall’imposta sulle successioni e donazioni ampiamente rivista e da una serie di tributi minori erariali e locali.

 

Più recentemente, una nuova stagione di riforme si è realizzata nel corso della XIII legislatura, in particolare in attuazione delle numerose deleghe conferite al Governo dalla legge n. 662 del 1996.

Quanto al merito delle varie riforme realizzate, in termini estremamente sintetici, si possono ricordare i seguenti aspetti:

a)    una parziale semplificazione degli adempimenti dei contribuenti, con la possibilità di presentare dichiarazioni unificate e di compensare crediti e debiti, cui si accompagna la riforma delle modalità di versamento delle imposte, con riferimento specifico alla riscossione mediante ruolo;

b)    l’istituzione di un nuovo tributo regionale, l’IRAP destinato, insieme alla compartecipazione delle regioni all’IVA e al rafforzamento della compartecipazione delle stesse all’IRPEF, ad avviare il processo di potenziamento dell’autonomia finanziaria delle regioni, cui si è accompagnata la contestuale soppressione di numerosi tributi "minori";

c)    il rafforzamento dell’autonomia regolamentare degli enti locali per quanto concerne la disciplina dei rispettivi tributi, nell’ambito del più generale riordino della finanza dei medesimi enti;

d)    l’introduzione di una disciplina organica, almeno sotto il profilo tributario, degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), volta a promuovere lo sviluppo del cosiddetto “terzo settore”;

e)    la revisione del regime dei redditi di capitale con il triplice obiettivo di ricondurre a tassazione le diverse tipologie di redditi, di avviare il processo di tendenziale uniformità di trattamento e di incentivare l’impiego del risparmio in modalità più evolute, anche ai fini della crescita dell’investimento azionario;

f)      la revisione della disciplina delle sanzioni tributarie penali e amministrative cui si accompagna la modifica della normativa di strumenti di definizione concordata delle controversie tra fisco e contribuenti (accertamento con adesione, conciliazione giudiziale) e la parziale riforma del contenzioso tributario;

g)    l’introduzione di un regime di tassazione agevolato sulla parte di reddito derivante dagli investimenti realizzati con risorse proprie o con capitale di rischio (la cosiddetta DIT - dual income tax), cui si è aggiunto un trattamento più favorevole, sia pure di durata limitata, dei nuovi investimenti. Ad analoghe finalità è ispirata la riforma del trattamento fiscale delle fusioni, delle scissioni e dei conferimenti, improntata al principio della neutralità fiscale, in considerazione dell’esigenza di non interferire nelle scelte aziendali per quanto riguarda l’assetto da assumere;

h)    la parziale revisione degli scaglioni e delle aliquote IRPEF, accompagnate alla riforma dei regimi di detrazione e deduzione degli oneri sostenuti, con particolare riferimento alle spese per famigliari a carico, agli oneri sostenuti per gli interventi di ristrutturazione degli immobili e alle spese sanitarie.

 

Un esteso disegno di riorganizzazione del sistema tributario è stato delineato dalla legge 7 aprile 2003, n. 80, che – su atto d’iniziativa governativa – conferiva la delega legislativa per la riforma del sistema fiscale statale. Il nuovo sistema fiscale si sarebbe dovuto basare su cinque imposte (articolo 1):

§       imposta sul reddito (IRE), con riduzione a due aliquote (23% per redditi sino a 100.000 euro e 33% per redditi oltre tale importo), previsione di una soglia di reddito esente da imposta, progressiva sostituzione delle detrazioni d’imposta con deduzioni dall’imponibile e clausola di salvaguardia in favore dei singoli contribuenti;

§       imposta sul reddito delle società (IRES), con aliquota unica del 33 per cento, caratterizzata fra l’altro da alcuni nuovi istituti (tassazione consolidata di gruppo; regime della trasparenza fiscale; regime forfetario di tonnage tax per la determinazione del reddito di alcune imprese marittime); esenzione, a determinate condizioni, per le plusvalenze da partecipazioni, con corrispondente indeducibilità delle relative minusvalenze, nonché esclusione da tassazione, nella misura del 95 per cento, degli utili distribuiti da società, anche non residenti; misure volte a contrastare la sottocapitalizzazione (c.d. thin capitalization); abrogazione della dual income tax (DIT);

§       imposta sul valore aggiunto (IVA), da riorganizzare – nel rispetto dell’ordinamento comunitario – con la riduzione delle forme di indetraibilità e delle distorsioni della base imponibile, la loro l’armonizzazione con il regime delle imposte dirette, la semplificazione degli adempimenti formali, il coordinamento con la disciplina delle accise e la razionalizzazione dei sistemi speciali; infine, la possibilità di determinare ogni anno, mediante la legge finanziaria, l'ammontare del volume d'affari detassabile qualora destinato dai consumatori finali a finalità etiche;

§       imposta sui servizi, nella quale concentrare le esistenti imposte di registro, ipotecarie e catastali, l’imposta di bollo, le tasse sulle concessioni governative e sui contratti di borsa nonché le imposte sulle assicurazioni e sugli intrattenimenti.

§       accisa, riformata secondo princìpi di efficienza e semplificazione, avendo riguardo a finalità ambientali, di equilibrio territoriale e di adeguamento alla liberalizzazione dei servizi.

Era inoltre prevista l’emanazione di un unico codice tributario, articolato in una parte generale, contenente i princìpi fondamentali del sistema fiscale, e una parte speciale, contenente la disciplina delle singole imposte.

Erano altresì previsti la graduale eliminazione dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), a tal fine indicandosi come prioritaria l’esclusione del costo del lavoro dalla base imponibile, e il coordinamento del sistema fiscale statale con la finanza decentrata.

Dai decreti legislativi relativi all’IRES, all’IVA, all’imposta sui servizi e alle accise non sarebbero potuti derivare oneri aggiuntivi per la finanza dello Stato. Era invece previsto che i decreti legislativi relativi all’IRE e alla soppressione dell’IRAP potessero recare oneri finanziari, da coprire mediante le variazioni dell’ammontare delle entrate indicate nel documento di programmazione economico-finanziaria e le disposizioni normative contenute nella legge finanziaria.

La delega è stata attuata soltanto parzialmente attraverso il decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344, che ha provveduto alla riforma dell’imposizione sul reddito delle società. Alcune iniziative contemplate nella delega – segnatamente i cosiddetti “moduli” della riforma dell’imposta sui redditi delle persone fisiche – sono state successivamente eseguite mediante legislazione ordinaria.

 

Si segnala, infine, che la 6^ Commissione Finanze e tesoro del Senato ha avviato il 2 agosto 2011 un'indagine conoscitiva sulla riforma fiscale. Sul sito della Commissione sono consultabili i resoconti delle audizioni effettuate e la documentazione acquisita (http://www.senato.it/commissioni/4568/106760/347014/sommarioindagini.htm).

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Raccomandazioni di politica economica

Nell’ambito della procedura del semestre europeo per il coordinamento ex ante delle politiche economiche nel 2012 è stato attribuito un rilievo centrale alla definizione di politiche fiscali nazionali orientate al risanamento delle finanze pubbliche e al rilancio della crescita.

In coerenza con tale approccio, le raccomandazioni per ciascun Paese, adottate formalmente dal Consiglio ECOFIN il 10 luglio 2012 recano indicazioni specifiche in merito alle politiche fiscali nazionali.

Le raccomandazioni, presentate dalla Commissione europea il 30 maggio 2012 in esito all’esame dei piani nazionali di riforma (PNR) e programmi di stabilità di ciascuno Stato membro, dopo una discussione preliminare in seno ai Consigli ECOFIN del 22 giugno e al Consiglio Occupazione e affari sociali del 21 giugno, sono state avallate politicamente dal Consiglio europeo del 28-29 giugno.

La Commissione valuterà quindi i progressi realizzati nella prossima analisi annuale della crescita, che dovrebbe essere pubblicata nel gennaio 2013.

Nelle raccomandazioni relative all’Italia, la Commissione europea rileva l’esigenza di:

§      proseguire la lotta contro l’evasione fiscale ed il lavoro nero;

§      ridurre il campo di applicazione delle esenzioni e delle deduzioni fiscali, nonché le aliquote ridotte IVA;

§      procedere in direzione dello spostamento del carico fiscale dal capitale e dal lavoro verso il consumo e i patrimoni, nonché promuovere una tassazione funzionale agli obiettivi ecologici.

Patto per la crescita e l’occupazione

Le politiche fiscali europea e nazionali hanno un rilievo centrale anche nel Patto per la crescita e l’occupazione concordato dal Consiglio europeo del 28-29 giugno 2012, che definisce un quadro organico per l'adozione di misure per l'adozione di misure, di natura legislativa e non legislativa, a livello nazionale, dell'UE e della zona euro.

In particolare, il Patto,sottolinea che la politica tributaria dovrebbe contribuire al risanamento di bilancio e alla crescita sostenibile, e rileva l’opportunità di proseguire i lavori sulle proposte della Commissione riguardanti la tassazione dell'energia (vedi infra, art. 15), la base imponibile consolidata comune per l'imposta sulle società (vedi infra, art. 13) e la revisione della direttiva sulla tassazione dei redditi da risparmio.

La proposta di modifica della direttiva 2003/48/CE in materia di tassazione dei redditi da risparmio, è stata presentata dalla Commissione nel novembre 2008 (COM(2008)727). Il Parlamento europeo si è espresso approvando, il 24 aprile 2009, una risoluzione che reca emendamenti alla proposta. Il dibattito in seno al Consiglio dell’UE è tuttora in corso.

Connesso alla proposta di modifica della direttiva è la proposta di mandato negoziale per la revisione degli accordi con i Paesi terzi (in particolare la Svizzera, con la quale vige un accordo del 2004) legati all’UE da accordi sulla tassazione del risparmio, presentata dalla Commissione nel giugno 2011, che mira ad adeguare le intese esistenti con tali Paesi con l’obiettivo di garantire l’equivalenza con le disposizioni contenute nella proposta di modifica della direttiva risparmio.

Al riguardo, la relazione sottolinea che il Governo italiano ha suggerito l’introduzione negli accordi in questione della clausola dello scambio di informazioni a richiesta, in linea con lo standard OCSE più aggiornato.


 

Articolo 2
(Revisione del catasto dei fabbricati)

 


1. Il Governo è delegato ad attuare, con i decreti legislativi di cui all'articolo 1, una revisione della disciplina relativa al catasto dei fabbricati attribuendo a ciascuna unità immobiliare il relativo valore patrimoniale e la rendita, applicando, in particolare, per le unità immobiliari urbane censite nel catasto dei fabbricati i seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) prevedere procedure di collaborazione con i comuni nel cui territorio sono collocati gli immobili;

b) definire gli ambiti territoriali del mercato immobiliare di riferimento;

c) operare con riferimento ai rispettivi valori medi ordinari espressi dal mercato nel triennio antecedente l'anno di entrata in vigore del decreto legislativo;

d) rideterminare le definizioni delle destinazioni d'uso catastali ordinarie e speciali, tenendo conto delle mutate condizioni economiche e sociali e delle conseguenti diverse utilizzazioni degli immobili;

e) determinare il valore patrimoniale medio ordinario secondo i seguenti parametri:

1) per le unità immobiliari a destinazione catastale ordinaria, mediante un processo estimativo che:

1.1) utilizza il metro quadrato come unità di consistenza, specificando i criteri di calcolo della superficie dell'unità immobiliare;

1.2) utilizza funzioni statistiche atte ad esprimere la relazione tra il valore di mercato, la localizzazione e le caratteristiche edilizie dei beni per ciascuna destinazione catastale e per ciascun ambito territoriale;

1.3) qualora i valori non possano essere determinati sulla base delle funzioni statistiche di cui al presente numero, applica la metodologia di cui al numero 2);

2) per le unità immobiliari a destinazione catastale speciale, mediante un processo estimativo che:

2.1) opera sulla base di procedimenti di stima diretta con l'applicazione di metodi standardizzati e di parametri di consistenza specifici per ciascuna destinazione catastale speciale;

2.2) qualora non sia possibile fare riferimento diretto ai valori di mercato, utilizza il criterio del costo, per gli immobili a carattere prevalentemente strumentale, e il criterio reddituale, per gli immobili per i quali la redditività costituisce l'aspetto prevalente;

f) determinare la rendita media ordinaria per le unità immobiliari mediante un processo estimativo che:

1) utilizza funzioni statistiche atte ad esprimere la relazione tra i redditi da locazione medi, la localizzazione e le caratteristiche edilizie dei beni per ciascuna destinazione catastale e per ciascun ambito territoriale, qualora sussistano dati consolidati nel mercato delle locazioni;

2) qualora non vi sia un consolidato mercato delle locazioni, mediante l'applicazione ai valori patrimoniali di specifici saggi di redditività desumibili dal mercato, nel triennio antecedente l'anno di entrata in vigore del decreto legislativo;

g) prevedere meccanismi di adeguamento periodico dei valori e delle rendite delle unità immobiliari urbane, in relazione alla modificazione dei parametri utilizzati per la definizione del valore patrimoniale e della rendita.

2. Il Governo è delegato, altresì, ad emanare, con i decreti legislativi di cui al comma 1, norme dirette a:

a) ridefinire le competenze e la composizione delle commissioni censuarie provinciali e della commissione censuaria centrale, assicurando la presenza in esse di rappresentanti dell'Agenzia del territorio, di professionisti e di docenti qualificati in materia di economia e di estimo urbano e rurale, di esperti di statistica e di econometria, nonché di magistrati appartenenti rispettivamente alla giurisdizione ordinaria e amministrativa e alle commissioni tributarie, anche al fine di prevedere procedure pregiudiziali per la definizione delle controversie;

b) assicurare la collaborazione tra l'Agenzia del territorio e i comuni;

c) prevedere per l'Agenzia del territorio la possibilità di impiegare, mediante apposite convenzioni, ai fini delle rilevazioni, tecnici indicati dagli ordini professionali;

d) garantire, a livello nazionale da parte dell'Agenzia del territorio, l'uniformità e la qualità dei processi e il loro coordinamento e monitoraggio, nonché la coerenza rispetto ai dati di mercato dei valori e dei redditi nei rispettivi ambiti territoriali;

e) utilizzare, in deroga alle disposizioni dell'articolo 74 della legge 21 novembre 2000, n. 342, adeguati strumenti di comunicazione, anche collettiva, per portare a conoscenza degli intestatari catastali le nuove rendite, in aggiunta alla notifica mediante affissione all'albo pretorio;

f) procedere alla ricognizione, al riordino, alla variazione e all'abrogazione delle norme vigenti che regolano il sistema catastale dei fabbricati;

g) individuare il periodo d'imposta dal quale sono applicate le nuove rendite e i nuovi valori patrimoniali;

h) prevedere, contestualmente all'efficacia impositiva dei nuovi valori, la modifica delle relative aliquote impositive, delle eventuali deduzioni, detrazioni o franchigie, finalizzata ad evitare un aggravio del carico fiscale medio, con particolare riferimento alle imposte sui trasferimenti.

3. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. A tal fine, per le attività previste dallo stesso articolo devono prioritariamente essere utilizzate le strutture e le professionalità esistenti nell'ambito delle amministrazioni pubbliche.


 

 

L’articolo 2 delega il Governo ad attuare una revisione della disciplina del catasto dei fabbricati attribuendo a ciascuna unità immobiliare il relativo valore patrimoniale e la rendita. Tra i principi e criteri direttivi da applicare per la determinazione del valore catastale delle unità immobiliari urbane censite al catasto fabbricati la delega indica, in particolare, la definizione degli ambiti territoriali del mercato immobiliare, nonché la determinazione del valore patrimoniale utilizzando la superficie dell’unità immobiliare in luogo del numero dei vani attualmente utilizzato.

 

Nel dettaglio, il comma 1 delega il Governo ad attuare una revisione del catasto dei fabbricati attribuendo a ciascuna unità immobiliare il relativo valore patrimoniale e la rendita, applicando per le unità immobiliari urbane censite al catasto fabbricati i principi e criteri direttivi di seguito descritti.

 

Normativa

Con il termine catasto sono indicati sia l'insieme delle operazioni volte a stabilire l'estensione, la qualità, la rendita e l'appartenenza dei beni immobili siti su un determinato territorio (accatastare), sia i documenti contenenti i risultati di tali operazioni. In sostanza il catasto ha lo scopo di individuare e registrare l'estensione e l'appartenenza dei beni immobili presenti in un determinato territorio.

 

Tralasciando l’evoluzione storica del catasto, alla nascita del Regno d’Italia erano presenti 22 differenti tipi di catasto, raggruppati in 9 compartimenti.

Con la legge n. 5784 del 1870 e con il R.D. n. 267 del 1871 il Governo provvide a costituire un catasto dei fabbricati a carattere nazionale, mentre con il R.D. n. 652 del 1939, convertito dalla legge n. 1249 del 1939, fu disciplinato l'accertamento generale dei fabbricati urbani, la rivalutazione del relativo reddito e la formazione del nuovo catasto edilizio urbano. Con il D.P.R. n. 1142 del 1949 fu emanato il regolamento per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano.

L’articolo 9 del D.L. n. 557 del 1993 ha disposto il censimento di tutti i fabbricati o porzioni di fabbricati rurali e la loro iscrizione, mantenendo tale qualificazione, nel catasto edilizio urbano, che assumerà la denominazione di “catasto dei fabbricati”. Sulla materia è quindi intervenuta la legge n. 662 del 1996 (art. 3, co. 154 e 155) e il D.P.R. n. 138 del 1998 recante norme per la revisione generale delle zone censuarie, delle tariffe d'estimo delle unità immobiliari urbane. Al riguardo si segnala che, tuttavia, la revisione è rimasta inattuata e pertanto la materia continua ad essere disciplinata dal D.P.R. n. 1142.

Il decreto del Ministro delle finanze n. 701 del 1994 ha disciplinato l'automazione delle procedure di aggiornamento degli archivi catastali e delle conservatorie dei registri immobiliari.

La legge 30 dicembre 2004, n. 311, all’articolo 1, commi da 374 a 375, ha previsto e disciplinato la facoltà di presentare mediante strumenti telematici gli atti di aggiornamento del catasto e di modifica delle rendite catastali: l’estensione progressiva di tale servizio a tutti gli atti nel catasto e nei registri immobiliari è prevista dall’articolo 1, comma 3, del D.L. 10 gennaio 2006, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 81 del 2006.

 

L'Agenzia del territorio, nata a seguito della riforma del Ministero dell'economia e delle finanze, è operativa dal 1° gennaio 2001 ed è un ente pubblico dotato di personalità giuridica e autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria. E' costituita da Direzioni centrali che hanno sede a Roma, da Direzioni regionali e da Uffici provinciali.

L'articolo 64 del D.Lgs. n. 300 del 1999 attribuisce all'Agenzia del territorio la competenza a svolgere i servizi relativi al catasto, i servizi topocartografici e quelli relativi alle conservatorie dei registri immobiliari, con il compito di costituire l'anagrafe dei beni immobiliari esistenti sul territorio nazionale sviluppando l'integrazione fra i sistemi informativi attinenti alla funzione fiscale ed alle trascrizioni in materia di diritti sugli immobili. L'Agenzia è chiamata ad operare in collaborazione con gli enti locali per favorire lo sviluppo di un sistema integrato di conoscenze sul territorio.

Il comma 1 dell'articolo 6 del decreto-legge n. 16 del 2011 (semplificazioni fiscali) ha soppresso la competenza dell’Agenzia in materia di offerta di servizi tecnico-estimativi direttamente sul mercato, sostituita con una attività di valutazione immobiliare e tecnico-estimativa a favore delle amministrazioni pubbliche. Lo svolgimento di tali servizi per le amministrazioni richiedenti è inquadrato nelle forme degli accordi di cui all’articolo 15 della legge sul procedimento amministrativo (legge n. 241 del 1990) e deve prevedere il rimborso dei costi sostenuti dall’Agenzia, sulla base di quanto stabilito nella convenzione tra il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia per l’erogazione dei servizi oggetto della convenzione medesima.

 

Si segnala che l’articolo 23-quater del decreto-legge n. 95 del 2012 ha previsto a decorrere dal 1° dicembre 2012 l’incorporazione dell’Agenzia del territorio all’interno dell’Agenzia delle entrate.Al riguardo, la risoluzione 8-00185 approvata dalla Commissione Finanze della Camera dei deputati il 4 luglio 2012 ha impegnato il Governo ad operare una complessiva riforma dell'organizzazione dell'Amministrazione finanziaria, anche attraverso una revisione del numero delle Agenzie ed una redistribuzione delle relative competenze, da realizzare nell'ambito della delega legislativa in commento.

a)   prevedere procedure di collaborazione con i comuni nel cui territorio sono collocati gli immobili;

Il decentramento delle funzioni catastali

L’articolo 65 del D.Lgs. n. 112 del 1998 ha identificato le funzioni in tema di catasto, servizi geotopografici e conservazione dei registri immobiliari che rimanevano in capo allo Stato, specificando, al successivo articolo 66, quelle che invece venivano attribuite agli enti locali. L’articolo 67 ha previsto l’istituzione di un organismo tecnico che avrebbe esercitato i compiti di competenza statale, nonché le funzioni conferite agli enti locali. Tale organismo è stato identificato dall’art. 64 del D.Lgs. n. 300 del 1999 nell’Agenzia del territorio. Tuttavia il decentramento delle funzioni catastali ai Comuni, attraverso appositi DPCM che individuavano le risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative da trasferire ai Comuni per l'esercizio delle funzioni in materia di catasto, incontrò notevoli difficoltà in sede di predisposizione dei processi attuativi. Pertanto, con la legge finanziaria 2007 (articolo 1, commi da 194 a 200 della legge n. 296 del 2006), il legislatore è intervento sulla materia definendo la seguente ripartizione di competenze, volta a superare la precedente rigidità:

§       l’attribuzione allo Stato delle metodologie catastali, di una parte della gestione operativa del catasto, comprensiva della gestione unitaria della banca dati del catasto nonché il controllo ed il coordinamento complessivo del sistema;

§       ai Comuni veniva affidata parte della gestione operativa, che i Comuni possono esercitare sia direttamente - in forma singola o associata tra Comuni che indirettamente, avvalendosi di una convenzione decennale con l’Agenzia del Territorio per tutte o parte delle funzioni.

Sostanzialmente i comuni sono responsabili della conservazione degli atti catastali, della loro utilizzazione e aggiornamento e ne è prevista la partecipazione al processo di determinazione degli estimi catastali ma è rimessa a loro la scelta del livello di complessità e completezza che intendono assumere nella gestione diretta delle funzioni catastali.

 

Con il D.P.C.M. 14 giugno 2007 e con il Protocollo d’intesa tra ANCI-Agenzia del territorio del 4 giugno 2007 sono state definite le modalità ed i termini per il graduale trasferimento di funzioni e conseguente ripartizione del personale tra gli enti (D.P.C.M. 27 marzo 2008).

Tuttavia tale processo di decentramento ha incontrato numerose difficoltà, sia per quanto riguarda il trasferimento del personale dalle sedi provinciali dell’Agenzia ai diversi comuni, sia per effetto di pronunce del giudice amministrativo in merito alla determinazione diretta da parte dei Comuni.

Conseguentemente il legislatore all’articolo 19, commi da 1 a 3, del D.L. n. 78 del 2010, ha disposto, a decorrere dal 1° gennaio 2011, l'attivazione dell’Anagrafe Immobiliare Integrata[2], per l'integrazione delle banche dati disponibili presso l'Agenzia del territorio, con l'individuazione dei soggetti titolari dei diritti reali, demandando a più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze la disciplina dell'accesso da parte dei comuni all'Anagrafe suddetta e le modalità di erogazione, effetti e diritti di rilascio di un'attestazione integrata ipotecario-catastale. I successivi commi 4, 5 e 6recano la disciplina delle modalità di accesso dei comuni alle banche dati dell'Agenzia del territorio (c.d. opzione base) e della gestione partecipata delle funzioni di accettazione e di registrazione degli atti da parte dei comuni e dell'Agenzia stessa (c.d. opzione evoluta), secondo quanto verrà disposto in un D.P.C.M. Si stabiliscono inoltre le funzioni in materia catastale che rimangono allo Stato e che verranno svolte dall'Agenzia del territorio.

b)   definire gli ambiti territoriali del mercato immobiliare di riferimento;

c)   operare con riferimento ai rispettivi valori medi ordinari espressi dal mercato nel triennio antecedente l’anno di entrata in vigore del decreto legislativo;

L’Osservatorio del mercato immobiliare

In base a quanto disposto dall’articolo 64 del D.Lgs. n. 300 del 1999, come modificato dal D.L. n. 16 del 2012, l’Agenzia del territorio gestisce l’Osservatorio del mercato immobiliare (OMI).

Precedentemente all’emanazione del citato D.L. n. 16 del 2012, l’Agenzia aveva anche competenza in materia di offerta di servizi tecnico-estimativi direttamente sul mercato.

L’Osservatorio cura la rilevazione e l’elaborazione delle informazioni di carattere tecnico-economico relative ai valori immobiliari, al mercato degli affitti e ai tassi di rendita e la pubblicazione di studi ed elaborazioni e la valorizzazione statistica degli archivi dell'Agenzia del territorio. Tra le sue attività ci sono anche l'analisi, la ricerca, lo sviluppo e la sperimentazione di profili teorici, applicativi e di innovazione nelle materie istituzionali, con specifico riferimento alla definizione dei valori immobiliari. Nella banca dati OMI, presente sul sito dell’Agenzia, sono pubblicate con cadenza semestrale le quotazioni relative agli 8.100 comuni dell’intero territorio nazionale, per diverse tipologie nell’ambito delle destinazioni residenziale, commerciale, terziaria e produttiva. Le quotazioni individuano un livello minimo e un livello massimo per unità di superficie riferite ad unità immobiliari ordinarie (quindi non sono considerate quelle di pregio o in stato di degrado) classificate in una determinata tipologia edilizia e situate in un determinato ambito territoriale omogeneo: la c.d. zona OMI. Come precisato sul sito e sul “Manuale operativo” i valori contenuti nella banca dati delle quotazioni immobiliari non possono intendersi sostitutivi della stima, ma sono soltanto di ausilio alla stessa, portando ad indicazioni di valore di massima.

d)   rideterminare le definizioni delle destinazioni d’uso catastali ordinarie e speciali, tenendo conto delle mutate condizioni economiche e sociali e delle conseguenti diverse utilizzazioni degli immobili;

La classificazione degli immobili

L’articolo 8 del R.D.L. n. 652 del 1939 dispone che per la determinazione della rendita catastale, le unità immobiliari sono distinte, a seconda delle loro condizioni estrinseche ed intrinseche, in categorie e ciascuna categoria in classi. Per ciascuna categoria e classe è determinata la relativa tariffa, la quale esprime in moneta legale la rendita catastale.

Ai sensi dell’articolo 7 del D.P.R. n. 1142 del 1949 gli immobili vengono classificati attraverso la suddivisione di ogni categoria – cioè delle specie essenzialmente differenti per le caratteristiche intrinseche che determinano la destinazione ordinaria e permanente delle unità immobiliari stesse - in tante classi quanti sono i gradi notevolmente diversi delle rispettive capacità di reddito, tenuto conto delle condizioni influenti sulla relativa rendita catastale, riferita all'unità di consistenza computata secondo le norme dell'art. 45 e seguenti. Le categorie ordinarie riguardano i gruppi da A a C.

Non si procede al classamento – e quindi si ha la destinazione speciale o particolare – per le categorie comprendenti unità immobiliari costituite da opifici costruiti per le speciali esigenze di una attività industriale o commerciale e non suscettibili di una destinazione estranea alle esigenze suddette senza radicali trasformazioni. Parimenti non si classificano le unità immobiliari che, per la singolarità delle loro caratteristiche, non siano raggruppabili in classi, quali stazioni per servizi di trasporto terrestri e di navigazione interna, marittimi ed aerei, fortificazioni, fari, fabbricati destinati all'esercizio pubblico del culto, costruzioni mortuarie, e simili (art. 8). Gli immobili a destinazione speciale sono ricompresi nel gruppo D, mentre quelli a destinazione particolare sono nei gruppi E e F.

Anche il D.P.R. n. 138 del 1998, di revisione generale delle zone censuarie, all’Allegato B, opera una distinzione tra unità immobiliare ordinarie (gruppi R, P e T) e speciali (gruppi V e Z), ma come già segnalato, la revisione non è stata attuata.

 

QUADRO GENERALE DELLE CATEGORIE – D.P.R. n. 1142 del 1949

Immobili a destinazione ordinaria

Gruppo A

A/1     Abitazioni di tipo signorile

A/2     Abitazioni di tipo civile

A/3     Abitazioni di tipo economico

A/4     Abitazioni di tipo popolare

A/5     Abitazioni di tipo ultrapopolare

A/6     Abitazioni di tipo rurale

A/7     Abitazioni in villini

A/8     Abitazioni in ville

A/9     Castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici

A/10   Uffici e studi privati

A/11   Abitazioni ed alloggi tipici dei luoghi

 

Gruppo B

B/1     Collegi e convitti, educandati; ricoveri; orfanotrofi; ospizi; conventi; seminari; caserme

B/2     Case di cura ed ospedali (senza fine di lucro)

B/3     Prigioni e riformatori

B/4     Uffici pubblici

B/5     Scuole e laboratori scientifici

B/6     Biblioteche, pinacoteche, musei, gallerie, accademie non sede in categoria A/9

B/7     Cappelle ed oratori non destinati all’esercizio pubblico del culto

B/8     Magazzini sotterranei per depositi di derrate

 

Gruppo C

C/1     Negozi e botteghe

C/2     Magazzini e locali di deposito

C/3     Laboratori per arti e mestieri

C/4     Fabbricati e locali per esercizi sportivi (senza fine di lucro)

C/5     Stabilimenti balneari e di acque curative (senza fine di lucro)

C/6     Stalle, scuderie, rimesse, autorimesse (senza fine di lucro)

C/7     Tettoie chiuse od aperte

 

II - Immobili a destinazione speciale

Gruppo D

D/1     Opifici

D/2     Alberghi e pensioni (con fine di lucro)

D/3     Teatri, cinematografi, sale per concerti e spettacoli e simili (con fine di lucro)

D/4     Case di cura ed ospedali (con fine di lucro)

D/5     Istituto di credito, cambio e assicurazione (con fine di lucro)

D/6     Fabbricati e locali per esercizi sportivi (con fine di lucro)

D/7     Fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un'attività industriale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni.

D/8     Fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un'attività commerciale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni.

D/9     Edifici galleggianti o sospesi assicurati a punti fissi del suolo, ponti privati soggetti a pedaggio.

D/10   Fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole.

 

III - Immobili a destinazione particolare

Gruppo E

E/1     Stazioni per servizi di trasporto, terrestri, marittimi ed aerei.

E/2     Ponti comunali e provinciali soggetti a pedaggio.

E/3     Costruzioni e fabbricati per speciali esigenze pubbliche

E/4     Recinti chiusi per speciali esigenze pubbliche.

E/5     Fabbricati costituenti fortificazioni e loro dipendenze.

E/6     Fari, semafori, torri per rendere d’uso pubblico l’orologio comunale

E/7     Fabbricati destinati all’esercizio pubblico dei culti.

E/8     Fabbricati e costruzioni nei cimiteri, esclusi i colombari, i sepolcri e le tombe di famiglia.

E/9     Edifici a destinazione particolare non compresi nelle categorie precedenti del gruppo E.

 

IV - Entità urbane

Gruppo F

F/1     Aree urbane.

F/2     Unità collabenti (unità fatiscenti o inagibili).

F/3     Unità in corso di costruzione.

F/4     Unità in corso di definizione.

F/5     Lastrici solari.

 

QUADRO GENERALE DELLE CATEGORIE – D.P.R. n. 138 del 1998

Unità immobiliari ordinarie

Gruppo R (Unità immobiliari a destinazione abitativa di tipo privato e locali destinati a funzioni complementari)

R/1     Abitazioni in fabbricati residenziali e promiscui.

R/2     Abitazioni in villino e in villa.

R/3     Abitazioni tipiche dei luoghi.

R/4     Posti auto coperti, posti auto scoperti su aree private, locali per rimesse di veicoli.

 

Gruppo P (Unità immobiliari a destinazione pubblica o di interesse collettivo)

P/1     Unità immobiliari per residenze collettive e simili.

P/2     Unità immobiliari per funzioni sanitarie.

P/3     Unità immobiliari per funzioni rieducative.

P/4     Unità immobiliari per funzioni amministrative, scolastiche e simili.

P/5     Unità immobiliari per funzioni culturali e simili.

 

Gruppo T (Unità immobiliari a destinazione terziaria)

T/1     Negozi e locali assimilabili.

T/2     Magazzini, locali da deposito e laboratori artigianali.

T/3     Fabbricati e locali per esercizi sportivi.

T/4     Pensioni.

T/5     Autosilos, autorimesse e parcheggi a raso di tipo pubblico.

T/6     Stalle, scuderie e simili.

T/7     Uffici, studi e laboratori professionali.

 

Unità immobiliari speciali

Gruppo V (Unità immobiliari speciali per funzioni pubbliche o di interesse collettivo)

V/1     Stazioni per servizi di trasporto terrestri, marittimi, aerei ed impianti di risalita.

V/2     Stabilimenti balneari e di acque curative.

V/3     Fiere permanenti, recinti chiusi per mercati, posteggio bestiame e simili.

V/4     Fabbricati destinati all'esercizio pubblico dei culti, cappelle ed oratori.

V/5     Ospedali.

V/6     Fabbricati, locali, aree attrezzate per esercizi sportivi e per divertimento, arene e parchi zoo.

V/7     Unità immobiliari a destinazione pubblica o di interesse collettivo, con censibili nelle categorie di gruppo P, per la presenza di caratteristiche non ordinarie ovvero non riconducibili, per destinazione, alle altre categorie del gruppo V.

 

Gruppo Z (Unità immobiliari a destinazione terziaria produttiva e diversa)

Z/1     Unità immobiliari per funzioni produttive.

Z/2     Unità immobiliari per funzioni produttive connesse all'agricoltura.

Z/3     Unità immobiliari per funzioni terziario-commerciali.

Z/4     Unità immobiliari per funzioni terziario-direzionali.

Z/5     Unità immobiliari per funzioni ricettive.

Z/6     Unità immobiliari per funzioni culturali e per lo spettacolo.

Z/7     Stazioni di servizio e per la distribuzione dei carburanti agli autoveicoli.

Z/8     Posti barca compresi in porti turistici.

Z/9     Edifici galleggianti o sospesi assicurati a punti fissi del suolo.

Z/10   Unità immobiliari a destinazione residenziale o terziaria, non censibili nelle categorie dei gruppi R e T, per la presenza di caratteristiche non ordinarie, ovvero unità immobiliari non riconducibili, per destinazione, alle altre categorie del gruppo Z.

e)   determinare il valore patrimoniale medio ordinario secondo i seguenti parametri:

1)  per le unità immobiliari a destinazione catastale ordinaria mediante un processo estimativo che:

1.1)       utilizza il metro quadrato come unità di consistenza, specificando i criteri di calcolo della superficie dell’unità immobiliare;

1.2)       utilizza funzioni statistiche atte ad esprimere la relazione tra il valore di mercato, la localizzazione e le caratteristiche edilizie dei beni per ciascuna destinazione catastale e per ciascun ambito territoriale;

1.3)       qualora i valori non possono essere determinati sulla base delle funzioni statistiche di cui al presente numero, applica la metodologia di cui al successivo n. 2;

2)  per le unità immobiliari a destinazione catastale speciale mediante un processo estimativo che:

2.1)       opera sulla base di procedimenti di stima diretta con l’applicazione di metodi standardizzati e di parametri di consistenza specifici, per ciascuna destinazione catastale speciale;

2.2)   qualora non sia possibile fare riferimento diretto ai valori di mercato, utilizza il criterio del costo per gli immobili a carattere prevalentemente strumentale, e il criterio reddituale per gli immobili per i quali la redditività costituisce l’aspetto prevalente.

 

 

La misura della consistenza dell'unità immobiliare

L’articolo 44 del D.P.R. n. 1142 del 1949 stabilisce che per ciascuna unità immobiliare accertata la consistenza sia determina computandola in base agli elementi unitari di misura quale risulta al momento dell'accertamento. L’articolo 45 specifica che per la misura della consistenza dell'unità immobiliare con destinazione ordinaria ad uso di abitazione si assume come elemento unitario il vano utile. Si considera vano utile quello che ha destinazione principale (camera, stanza, salone, galleria e simili), nell'uso ordinario della unità immobiliare. Il successivo articolo 46 specifica le modalità di computo dei vani accessori.

Per la misura della consistenza delle unità immobiliari con destinazione ordinaria ad uso di alloggi collettivi (collegi, ospizi, conventi, caserme, ospedali, prigioni e simili) di uffici pubblici, di scuole, di musei e simili, si assume come elemento unitario il metro cubo (art.48), mentre per le unità immobiliari con destinazione ordinaria ad uso negozi, botteghe, magazzini, locali di deposito, laboratori per arti e mestieri, stalle, scuderie, autorimesse, palestre, tettoie e simili, si assume come elemento ordinario il metro quadrato (art. 49).

Non si accerta la consistenza catastale per gli immobili a destinazione speciale o particolare. Tuttavia essi sono descritto in catasto mediante la elencazione dei loro elementi costituitivi (art. 53).

Si ricorda, peraltro, che il legislatore, già con D.L. n. 557 del 1993, all’articolo 9, comma 11, ultimo periodo, come modificato dall’articolo 1, comma 5, del D.L. n. 250 del 1995, aveva già previsto, per il futuro catasto dei fabbricati, l’assunzione del metro quadrato come parametro unitario di determinazione delle tariffe d’estimo delle unità immobiliari a destinazione ordinaria. Infatti l’articolo 3 del D.P.R. n. 138 del 1998 aveva stabilito che l'unità di consistenza delle unità immobiliari urbane a destinazione ordinaria indicate nel quadro generale di cui all'allegato B, fosse il metro quadrato di superficie catastale, specificando, all’Allegato C i criteri tecnici per la determinazione di tale superficie. Come già detto, la revisione generale delle zone censuarie e delle tariffe d’estimo risulta inattuata.

f)     determinare la rendita media ordinaria per le unità immobiliari mediante un processo estimativo che:

1)  utilizza funzioni statistiche atte ad esprimere la relazione tra i redditi da locazione medi, la localizzazione e le caratteristiche edilizie dei beni per ciascuna destinazione catastale e per ciascun ambito territoriale, qualora sussistano dati consolidati sul mercato delle locazioni;

2)  qualora non vi sia un consolidato mercato delle locazioni, mediante l’applicazione ai valori patrimoniali di specifici saggi di redditività desumibili dal mercato, nel triennio antecedente l’anno di entrata in vigore del decreto legislativo;

g)   prevedere meccanismi di adeguamento periodico dei valori e delle rendite delle unità immobiliari urbane, in relazione alla modificazione dei parametri utilizzati per la definizione del valore patrimoniale e della rendita.

La revisione delle tariffe d'estimo

La disciplina sul catasto edilizio urbano prevedeva la possibilità di revisione delle tariffe d'estimo in determinate zone censuarie e dei quadri di qualificazione e classificazione in caso di sopravvenute variazioni permanenti rispettivamente nello stato e capacità di reddito o nello stato delle unità immobiliari (art. 34 legge n. 1249/1939 e art. 13 D.P.R. n. 1142/1949).

Numerosi interventi legislativi hanno riguardato l'aggiornamento del catasto e la revisione delle tariffe d’estimo e della rendita catastale, a partire dalla legge delega di riforma del sistema tributario n. 825 del 1971.

Una prima innovazione fu introdotta con il D.P.R. n. 597 del 1973, che ha ribadito la necessità di revisione periodica dei redditi catastali e dunque delle tariffe d'estimo delle particelle e delle unità immobiliari urbane qualora per fatti sopravvenuti il rispettivo accatastamento non rispecchi più le condizioni economiche e di mercato dell'immobile.

Il D.P.R. n. 604 del 1973 ha disposto la revisione generale degli estimi dei terreni e dei fabbricati entro dieci anni a decorrere dall'entrata in vigore dello stesso (1° gennaio 1974): il termine, più volte prorogato, è stato attuato con D.M. 20 gennaio 1990 che ha determinato le nuove tariffe d'estimo delle unità immobiliari urbane per l'intero territorio nazionale (D.M. 27 settembre 1991).

In seguito alla dichiarazione di illegittimità degli estimi pubblicati con D.M. 27 settembre 1991 da parte del giudice amministrativo, la legge n. 75 del 1993 ha previsto la possibilità di ricorso da parte dei comuni per il riesame delle tariffe e la perimetrazione delle zone censuarie ed ha affermato la validità provvisoria degli estimi annullati sino alla nuova revisione generale, che avrebbe dovuto essere attuata con i decreti legislativi attuativi della delega prevista, prima dalla legge n. 549 del 1995 (ma mai emanati), e poi dalla legge n. 662 del 1996. Infatti l’articolo 3, comma 154, della legge n. 662 del 1996, che ha disposto, con uno o più regolamenti, la revisione generale delle zone censuarie, delle tariffe d'estimo, della qualificazione, della classificazione e del classamento delle unità immobiliari e dei terreni e dei relativi criteri nonché delle commissioni censuarie, secondo determinati principi, tra i quali:

§       attribuzione ai comuni di competenze in ordine alla articolazione del territorio comunale in microzone omogenee, secondo criteri generali uniformi.

§       individuazione delle tariffe d'estimo di reddito facendo riferimento, al fine di determinare la redditività media ordinariamente ritraibile dalla unità immobiliare, ai valori e ai redditi medi espressi dal mercato immobiliare con esclusione di regimi legali di determinazione dei canoni;

§       intervento dei comuni nel procedimento di determinazione delle tariffe d'estimo, attraverso le Conferenze di servizi;

§       attribuzione della rendita catastale alle unità appartenenti alle varie categorie ordinarie con criteri che tengono conto dei caratteri specifici dell'unità immobiliare, del fabbricato e della microzona ove l'unità è sita.

In attuazione di tale disposizione è stato emanato il D.P.R. n. 138 del 1998, che all’articolo 1 ha disposto la revisione delle zone censuarie, mentre all’articolo 2 ha previsto l’articolazione del territorio comunale in microzone, cioè quella porzione di territorio che presenta omogeneità nei caratteri di posizione, urbanistici, storico-ambientali, socio-economici, nonché nella dotazione dei servizi ed infrastrutture urbane. In ciascuna microzona le unità immobiliari sono uniformi per caratteristiche tipologiche, epoca di costruzione e destinazione prevalenti; essa individua ambiti territoriali di mercato omogeneo sul piano dei redditi e dei valori, ed in particolare per l'incidenza su tali entità delle caratteristiche estrinseche delle unità immobiliari. Si prevedeva che il comune provvedesse alla delimitazione delle microzone entro 9 mesi dall’entrata in vigore del decreto: in caso di inattività le delimitazione sarebbe stata effettuata nei successivi 120 giorni dagli uffici del Dipartimento del territorio del Ministero delle finanze (ora Agenzia del territorio).

Sulla materia è poi intervenuto l’articolo 1, comma 335 e seguenti della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria 2005), disponendo che, in caso di unità immobiliari di proprietà privata site in microzone comunali, per le quali il rapporto tra il valore medio di mercato e il corrispondente valore medio catastale ai fini dell'applicazione dell'ICI si discosti significativamente dall'analogo rapporto relativo all'insieme delle microzone comunali la revisione parziale del loro classamento è richiesta dai comuni agli Uffici provinciali dell'Agenzia del territorio. L'Agenzia del territorio, esaminata la richiesta del comune e verificata la sussistenza dei presupposti, attiva il procedimento revisionale con provvedimento del direttore dell'Agenzia medesima[3]. Con determinazione del direttore dell’Agenzia del territorio del 16 febbraio 2005 sono state emanate le linee guida materia di classamenti catastali di unità immobiliari di proprietà privata.

 

Come evidenziato il processo di aggiornamento delle zone censuarie, ma soprattutto di aggiornamento delle tariffe d’estimo, non è stato di facile ed immediata realizzazione. Tuttavia il legislatore si è trovato, nei casi di imposizione di tributi a carico del comparto immobiliare, ma anche riferito alla fiscalità complessiva, di fronte alla necessità di intervenire facendo riferimento anche a principi di equità fiscale. Conseguentemente, mentre per altri settori fiscali (imposte dirette o indirette) è potuto intervenire direttamente, per quanto riguarda la rendita catastale e il conseguente valore catastale, si è trovato di fronte a situazioni il cui valore non corrispondeva a quello di mercato. Pertanto, ai fini dell'applicazione delle imposte, ha provveduto, con l’articolo 3, comma 38, della legge n. 662 del 1996, ad una rivalutazione delle rendite catastali urbane nella misura del 5 per cento.

 

Numerose disposizioni hanno previsto l’applicazione di un moltiplicatore alle rendite catastali dei fabbricati e dei terreni per stabilire il valore minimo da dichiarare ai fini dell’imposta di registro, dell’imposta sulle successioni e le donazioni e delle connesse imposte ipotecarie e catastali. Il moltiplicatore è stato applicato altresì per determinare la base imponibile dell’ICI.

 

Da ultimo, con il comma 4 dell’articolo 13, del D.L. n. 201 del 2011, ai fini della determinazione dell’imposta municipale sugli immobili (IMU), si è stabilito che per i fabbricati iscritti in catasto, il valore è costituito da quello ottenuto applicando all'ammontare delle rendite risultanti in catasto, vigenti al 1° gennaio dell'anno di imposizione, rivalutate del 5 per cento ai sensi dell'articolo 3, comma 48, della legge n. 662/1996, i seguenti moltiplicatori:

a)     160 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale A e nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, con esclusione della categoria catastale A/10;

b)     140 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale B e nelle categorie catastali C/3, C/4 e C/5;

b-bis)   80 per i fabbricati classificati nella categoria catastale D/5;

c)     80 per i fabbricati classificati nella categoria catastale A/10;

d)     60 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale D, ad eccezione dei fabbricati classificati nella categoria catastale D/5; tale moltiplicatore è elevato a 65 a decorrere dal 1° gennaio 2013;

e)     55 per i fabbricati classificati nella categoria catastale C/1.

 

 

Il comma 2 delega, altresì, il Governo ad emanare (adottare) norme dirette a:

a)   ridefinire le competenze e la composizione delle Commissioni censuarie provinciali e della Commissione censuaria centrale, assicurando la presenza in esse di rappresentanti dell’Agenzia del territorio, di professionisti e docenti qualificati in materia di economia ed estimo urbano e rurale, esperti di statistica ed econometria, nonché a magistrati appartenenti rispettivamente alla giurisdizione ordinaria e amministrativa e a commissioni tributarie anche al fine di prevedere procedure pregiudiziali di definizione delle controversie;

Le Commissioni censuarie sono state istituite dalla legge n. 153 del 1943 e la loro attività è ora disciplinata dal D.P.R. n. 650 del 1972 (artt. 16 e ss.).

Sono attualmente previste la Commissione censuaria centrale, con sede a Roma, e le Commissioni censuarie provinciali. Le Commissioni hanno lo scopo di coadiuvare l’Agenzia del territorio nei lavori di formazione, di revisione e di conservazione del catasto terreni e del catasto edilizio urbano.

La Commissione censuaria centrale è composta di un presidente, di venti membri effettivi e di sei membri supplenti.

Essa si articola in due distinte sezioni, ciascuna delle quali è retta da un presidente di sezione: la prima ha competenza in materia di catasto terreni, la seconda ha competenza in materia di catasto edilizio urbano.

Il presidente della commissione censuaria centrale è nominato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro per le finanze.

I membri effettivi ed i membri supplenti sono nominati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale.

Con successivo decreto ministeriale vengono nominati, su proposta del presidente della commissione censuaria centrale, i presidenti di sezione, scelti fra i membri effettivi delle rispettive sezioni.

Fanno parte di entrambe le sezioni:

a)    i direttori generali dei dipartimenti del territorio e delle entrate;

b)    il direttore centrale del catasto;

c)    il direttore centrale dei servizi tecnici erariali;

d)    due ingegneri, con qualifica dirigenziale, della direzione centrale del catasto e due membri scelti tra magistrati amministrativi ovvero tra avvocati dello Stato con qualifica non inferiore a magistrato di cassazione o equiparata.

Fanno parte soltanto della prima sezione un direttore generale del Ministero delle politiche agricole, cinque membri effettivi e tre supplenti scelti tra professori universitari in materia di economia ed estimo rurale. Dei membri predetti tre effettivi e i tre supplenti sono scelti nell'ambito dei nominativi designati rispettivamente dalle regioni, dall'Unione province italiane (UPI) e dall'Associazione nazionale comuni d'Italia (ANCI),.

Fanno parte soltanto della seconda sezione un direttore generale del Ministero dei lavori pubblici, cinque membri effettivi e tre supplenti scelti tra professori universitari in materia di economia ed estimo urbano. Dei membri predetti tre effettivi e i tre supplenti sono scelti nell'ambito dei nominativi designati rispettivamente dalle regioni, dall'UPI e dall'ANCI

 

Le commissioni censuarie provinciali sono costituite di un presidente, di dieci membri effettivi e di quattro membri supplenti.

La commissione censuaria provinciale è presieduta dal presidente della commissione tributaria provinciale o da un presidente di sezione della medesima commissione nominato, su sua proposta, dal presidente del tribunale civile e penale avente sede nel capoluogo della provincia.

La commissione si articola in due sezioni composte ciascuna di cinque membri effettivi e due supplenti; alla prima sezione è attribuita la competenza in materia di catasto terreni; alla seconda la competenza in materia di catasto edilizio urbano.

La presidenza delle due sezioni è attribuita ai due membri effettivi più anziani.

I membri effettivi e supplenti sono scelti dal presidente del tribunale civile e penale avente sede nel capoluogo della provincia fra un numero almeno doppio di esperti designati:

1)  dall'amministrazione finanziaria, per quattro membri effettivi e due supplenti;

2)  dal consiglio provinciale, sentiti i comuni, per quattro membri effettivi e due supplenti;

3)  dagli ordini e collegi delle categorie professionali, competenti in materia catastale, per due membri effettivi.

Il presidente della commissione attribuisce a due membri effettivi le funzioni di presidente di sezione.

Nella regione Valle d'Aosta le designazioni di competenza della giunta dell'amministrazione provinciale sono effettuate dalla giunta regionale; nella regione Trentino-Alto Adige sono effettuate, per le rispettive circoscrizioni, dalla giunta della provincia di Trento e dalla giunta della provincia di Bolzano; nella regione siciliana, dopo che saranno costituiti i liberi consorzi dei comuni, dalle giunte dei consorzi stessi.

La designazione dei membri effettivi e supplenti è fatta come segue:

a)    per la prima sezione: tra i tecnici ed esperti in economia ed estimo rurale;

b)    per la seconda sezione: tra i tecnici ed esperti in economia ed estimo urbano.

b)   assicurare la collaborazione tra l’Agenzia del territorio ed i comuni;

Il citato articolo 19 del D.L. n. 78 del 2010, prevedendo l’attivazione, a decorrere dal 1° gennaio 2011, dell'Anagrafe Immobiliare Integrata, costituita e gestita dall'Agenzia del territorio, determina specifiche forme di collaborazione con i comuni. L’accesso gratuito all'Anagrafe Immobiliare Integrata sarà garantito ai comuni sulla base di un sistema di regole tecnico-giuridiche emanate con uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Tali decreti devono assicurare comunque ai comuni la piena accessibilità ed interoperabilità applicativa delle banche dati con l’Agenzia del territorio, relativamente ai dati catastali, anche al fine di contribuire al miglioramento ed aggiornamento della qualità dei dati, secondo le specifiche tecniche e le modalità operative stabilite con i medesimi decreti.

Si ricorda, inoltre, che l’Agenzia del territorio, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 59, comma 7-bis, del D.Lgs. n. 82 del 2005 (Codice dell’amministrazione digitale), al fine di garantire i flussi informativi con gli enti locali, ha realizzato il Sistema di Interscambio - le cui modalità operative e di accesso sono state disciplinate con decreto del direttore dell’Agenzia del territorio del 13 novembre 2007 (Definizione delle regole tecnico economiche per l’utilizzo dei dati catastali per via telematica da parte dei sistemi informatici di altre amministrazioni) – nonché il Portale per i comuni, cioè un canale telematico semplificato per la fornitura dati ai comuni ed alle comunità montane che ne facciano richiesta, relativamente ai loro ambiti territoriali e fini istituzionali. L’articolo 37, comma 54, del D.L. n. 223 del 2006 ha specificato che i costi a loro carico per la circolazione e fruizione della base dei dati catastali dovranno essere unicamente quelli di connessione. I Comuni possono ricevere: informazioni utili per il controllo delle superfici degli immobili ai fini della tassa sullo smaltimento dei rifiuti; gli esiti delle attività di rilassamento di singole unità immobiliari richieste dai comuni; i dati sugli accatastamenti catastali (Docfa) pervenuti nel mese; i dati relativi a variazioni sulla titolarità di un immobile (a fini IMU). Attraverso il Portale i comuni potranno, altresì, trasmettere all’Agenzia informazioni sulle notifiche inviate agli interessati per l’accatastamento

c)   prevedere la possibilità per l’Agenzia del territorio di impiegare, mediante apposite convenzioni, ai fini delle rilevazioni, tecnici indicati dagli ordini professionali;

Considerata la mole di attività da svolgere, si prevede la possibilità di utilizzare, attraverso apposite convenzioni, personale esterno all’Agenzia del territorio al fine di effettuare le rilevazioni. Sebbene l’articolo 18 del disegno di legge in esame affermi che dai decreti attuativi della presente delega non possono derivare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, il ricorso a personale tecnico esterno all’amministrazione sembrerebbe configurare un onere finanziario.

d)   garantire, a livello nazionale da parte dell’Agenzia del territorio, l'uniformità e la qualità dei processi e il loro coordinamento e monitoraggio, nonché la coerenza rispetto ai dati di mercato dei valori e dei redditi nei rispettivi ambiti territoriali;

La disposizione pone al centro del processo di revisione del catasto dei fabbricati l’Agenzia del territorio, quale soggetto garante sull’intero territorio nazionale dell’uniformità dei processi operativi per la determinazione dei nuovi valori catastali dei fabbricati, tenendo conto dei dati di mercato e delle diverse situazioni territoriali.

Al riguardo si ricorda l’iniziale formulazione dell’articolo 66 del D.Lgs. n. 112 del 1998 che fu oggetto di un profondo confronto politico, che determinò, unitamente ad altri fattori, il blocco del trasferimento delle funzioni catastali agli enti locali. Il testo originario, infatti - pur mantenendo allo Stato la predisposizione di procedure innovative per la determinazione dei redditi dei terreni e degli immobili urbani ai fini delle revisioni generali degli estimi e del classamento - attribuiva ai comuni le funzioni relative alla conservazione, utilizzazione e aggiornamento degli atti del catasto terreni e del catasto edilizio urbano, nonché alla revisione degli estimi e del classamento. Così formulata la norma i singoli enti locali avrebbero potuto modificare estimi e classamento, anche a scopi elettorali, determinando sperequazioni con le altre realtà locali.

e)   utilizzare, in deroga alle disposizioni recate dall'articolo 74 della legge 21 novembre 2000, n. 342, adeguati strumenti di comunicazione anche collettiva per portare a conoscenza degli intestatari catastali le nuove rendite, in aggiunta alla notifica mediante affissione all’albo pretorio;

L’articolo 74 della legge n. 342 del 2000 (Misure in materia fiscale) dispone, al comma 1, che a decorrere dal 1° gennaio 2000, gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, a cura dell'ufficio del territorio competente, ai soggetti intestatari della partita. Dall'avvenuta notificazione decorre il termine di 60 giorni (art. 21 D.Lgs. n. 5246/1992) per proporre il ricorso al giudice tributario. Dell'avvenuta notificazione gli uffici competenti danno tempestiva comunicazione ai comuni interessati.

f)     procedere alla ricognizione, riordino, variazione e abrogazione delle norme che attualmente regolano il sistema catastale dei fabbricati;

Alla luce di quanto disposto dai principi e criteri direttivi enunciati al comma 1 relativamente alla revisione del catasto dei fabbricati, la presente disposizione risulta esserne una conseguenza logica, in quanto essendosi la normativa stratificata nel corso dei decenni a partire dal 1939, risulta necessario che il Governo provveda alla predisposizione di una sorta di testo unico, al fine di raccogliere tutte le disposizioni vigenti sulla materia, disponendo, peraltro, l’espressa abrogazione delle norme ormai superate.

Al riguardo, vista la vastità della materia, sarebbe altresì utile la predisposizione di un testo unico compilativo, cioè frutto di una ricognizione e raccolta di tutte le disposizioni catastali, comprendendovi quindi anche il catasto dei terreni, addivenendo a una sorta di “codice catastale”.

g)   individuare il periodo d’imposta dal quale sono applicate le nuove rendite e i nuovi valori patrimoniali;

Vista la complessità del riordino del catasto dei fabbricati è necessario indicare l’anno di applicazione del regime delle nuove rendite e dei valori patrimoniali, sia quale garanzia nei confronti del contribuente ai sensi dell’articolo 3 (Efficacia temporale delle norme tributarie)della legge n. 212 del 2000 (Statuto del contribuente), sia quale termine operativo per l’Amministrazione finanziaria per la revisione del sistema catastale dei fabbricati.

h)   prevedere, contestualmente alla efficacia impositiva dei nuovi valori la modifica delle relative aliquote impositive, delle eventuali deduzioni, detrazioni o franchigie, finalizzate ad evitare un aggravio del carico fiscale medio con particolare riferimento alle imposte sui trasferimenti.

Allo scopo di non determinare un aggravio del carico fiscale medio, viene prevista la modifica delle aliquote impositive, delle deduzioni, detrazioni o franchigie.

La formulazione della norma risulta essere generica e generalistica – e quindi potrebbe essere riferita sia alle imposte dirette che a quelle indirette - anche se viene fatto uno specifico riferimento alle imposte sui trasferimenti.

Si ricorda, infatti, che relativamente all’acquisto della ”prima casa”, nel caso che il venditore dell'immobile sia un privato non soggetto ad IVA, si applica l'imposta di registro del 3% (invece che del 7% sul valore dichiarato), mentre le imposte ipotecaria e catastale è determinata nella misura fissa di 168 euro ciascuna. Nel caso di acquisto da impresa "costruttrice" o "ristrutturatrice" entro 4 anni dalla data di ultimazione dei lavori, si dovrà pagare l'IVA ridotta al 4% (invece che del 10%) e le imposte di registro, ipotecaria e catastale, in misura fissa pari a 168 euro ciascuna. Qualora l’acquisto avvenga dopo 4 anni dalla ultimazione dei lavori l’IVA ridotta ammonta al 3%.

 

Si segnala, inoltre, che l’articolo 10 del D.Lgs. n. 23 del 2011 (federalismo municipale) reca la disciplina dei tributi applicabili ai trasferimenti immobiliari a decorrere dal 1° gennaio 2014, stabilendo che l’imposta di registro si applichi nella misura del 9% agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere, agli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento (compresa la rinuncia agli stessi) ai provvedimenti di espropriazione per pubblica utilità ed ai trasferimenti coattivi. Se il trasferimento riguarda case di abitazione, sempre che non si tratti di un immobile appartenente alle categorie catastali A1, A8 e A9 (immobili signorili, ville e castelli), la misura dell’aliquota è pari al 2% ove ricorrano le condizioni indicate dalla nota II-bis) dell'articolo 1 della Tariffa. In tali casi l’imposta non potrà essere inferiore a 1.000 euro. Il successivo comma 3, in conseguenza delle modifiche apportate al TU sull’imposta di registro e delle nuove aliquote di imposta, esenta i predetti trasferimenti immobiliari dalle altre imposte indirette, nonché tutti gli atti e le formalità direttamente conseguenti, posti in essere per effettuare gli adempimenti presso il catasto ed i registri immobiliari. Infine il comma 4 dispone la generale abolizione di tutte le esenzioni e le agevolazioni tributarie anche previste da leggi speciali.

 

Il comma 3 reca, infine, una norma di garanzia ai fini dei saldi di bilancio, stabilendo che dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica: conseguentemente per le attività previste dall’articolo in commento dovranno essere utilizzate prioritariamente le strutture e le professionalità già esistenti nell’ambito delle amministrazioni pubbliche.


 

Articolo 3
(Stima e monitoraggio dell'evasione fiscale)

 


1. Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui all'articolo 1, norme dirette a:

a) definire una metodologia di rilevazione dell'evasione fiscale, riferita a tutti i principali tributi, basata sul confronto tra i dati della contabilità nazionale e quelli acquisiti dall'anagrafe tributaria, utilizzando, a tal fine, criteri trasparenti e stabili nel tempo, dei quali deve essere garantita un'adeguata pubblicizzazione;

b) prevedere che i risultati siano calcolati e pubblicati con cadenza annuale;

c) istituire presso l'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) una commissione, senza diritto a gettoni di presenza, rimborsi o compensi, composta da un numero massimo di quindici esperti indicati dal predetto Istituto, dal Ministero dell'economia e delle finanze nonché dagli altri Ministeri e amministrazioni interessati.

2. Il Governo redige annualmente, all'interno della procedura di bilancio, un rapporto sulla strategia seguita e sui risultati conseguiti in materia di misure di contrasto dell'evasione fiscale.


 

 

L’articolo 3 conferisce delega al Governo al fine di introdurre nell’ordinamento disposizioni dirette a:

a)  definire una metodologia di rilevazione dell’evasione, riferita a tutti i principali tributi, basata sul confronto tra i dati di contabilità nazionale e quelli acquisiti dall’anagrafe tributaria, utilizzando, a tal fine, criteri trasparenti, stabili nel tempo, cui garantire una adeguata pubblicizzazione.

b)  prevedere che i risultati siano calcolati e pubblicati a cadenza annuale;

c)  istituire presso l’ISTAT una Commissione indipendente composta da un numero massimo di 15 esperti indicati dall’ISTAT, dal Ministero delle economia e delle finanze e da altri Ministeri ovvero amministrazioni interessate. I componenti non hanno diritto a gettoni di presenza, rimborsi o compensi.

Si osserva che la disposizione si limita a fissare il numero massimo di componenti della Commissione, senza specificare quanti possano, in primis, essere indicati dall’ISTAT e dal MEF.

La disposizione fa peraltro un generico riferimento “ad altri Ministeri o amministrazioni interessate”: sarebbe necessario indicare quali altri soggetti abbiano competenza in materia di lotta all’evasione (Ministero dell’interno, Banca d’Italia).

Inoltre non appare chiaro se le diverse Agenzie fiscali possono autonomamente indicare esperti o vi provvede direttamente il MEF in quanto dicastero di riferimento.

 

Il comma 2 dispone che il Governo rediga annualmente, all’interno della procedura di bilancio, un rapporto sulla strategia seguita e sui risultati conseguiti sul fronte delle misure di contrasto all’evasione.

 

Facendo riferimento alla ”procedura di bilancio”, sembrerebbe intendersi che tale rapporto venga presentato alle Camere.

 

Per quanto riguarda la lotta all’evasione, una classica fonte di informazione risulta essere il Rapporto annuale della Guardia di finanza[4]

 

Nell’audizione del 31 gennaio 2012 presso la VI Commissione finanze della Camera sulle tematiche relative all'azione di contrasto all'evasione fiscale ed ai rapporti tra fisco e contribuenti, il Direttore dell'Agenzia delle entrate, Befera ha sottolineato che in base alla prima analisi dei risultati conseguiti nel 2011, l'attività di recupero dell'evasione si è ulteriormente rafforzata rispetto agli anni precedenti, facendo registrare un trend estremamente positivo. I risultati monetari conseguiti testimoniano un netto miglioramento della qualità e, quindi, dell'efficacia della complessiva azione di contrasto agli inadempimenti tributari. A seguito delle attività di accertamento per tutti i settori impositivi, di controllo formale delle dichiarazioni dei redditi e degli atti delle dichiarazioni sottoposte a registrazione, nonché di liquidazione delle dichiarazioni, sono state recuperate nel 2011 entrate per almeno 11,5 miliardi di euro. In continuità con le strategie adottate a partire dal 2009, i predetti risultati sono il frutto della valenza strategica attribuita all'analisi e alla valutazione del rischio di evasione e di elusione tarata sulle peculiarità locali, ai fini della selezione delle posizioni da sottoporre a controllo riferita a ciascuna macrotipologia di contribuenti.

Sono stati eseguiti oltre 700.000 accertamenti ai fini dell'IVA, dell'IRAP e dell'imposta di registro, di cui 300.000 automatizzati, circa 1 milione di controlli formali sulle dichiarazioni dei redditi e oltre 300.000 controlli sulle agevolazioni in materia di registro. Gli accertamenti assistiti dalle indagini finanziarie risultano in costante crescita (sono ormai oltre 11.500) e hanno fatto registrare un'ottima performance, in quanto le maggiori imposte accertate hanno superato il miliardo di euro.

 

Nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla riforma fiscale in corso presso la 6° Commissione Finanze e tesoro del Senato[5], il presidente dell’ISTAT, Giovannini; ha illustrato il Rapporto finale[6] sull’attività del Gruppo di lavoro sull’Economia non osservata e i flussi finanziari, istituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze in vista della riforma fiscale. Come riportato nell’intervento “l’entità del valore aggiunto prodotto nell’area del sommerso economico è stimata per il 2008 in una forbice compresa tra 255 e 275 miliardi di euro, ovvero tra il 16,3% e il 17,5% del PIL.”

La stima del valore aggiunto del sommerso economico rappresenta una base di partenza naturale per realizzare una rappresentazione fiscale dell’evasione, anche se non corrisponde direttamente alle base imponibili evase. Il rapporto mostra come sia possibile, con approcci diversi, risalire dalle stime del valore aggiunto del sommerso alle basi imponibili potenziali per ciascuna imposta e alla stima dei gettiti corrispondenti. Da questi, per differenza con i gettiti effettivamente versati, si ottiene la stima del cd tax gap.”

In occasione dell’audizione svolta presso la Commissione Finanze della Camera il 21 settembre 2011 nell’ambito dell’esame del disegno di legge 4566 più volte citato, il presidente Giovannini ha altresì indicato alcune delle proposte operative elaborate dal citato gruppo di lavoro: predisporre un Rapporto annuale sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva;

§       migliorare le stime Istat sull’economia non osservata;

§       pervenire ad una stima ufficiale dell’evasione contributiva e assicurativa,

§       migliorare le azioni di contrasto e di aumento della compliance, anche attraverso incentivi all’uso della moneta elettronica;

§       mettere in comune delle informazioni sul sistema delle imprese e dei risultati delle azioni di controllo tra le diverse amministrazioni;

§       utilizzare in modo appropriato metodologie di tipo statistico-induttivo per migliorare i meccanismi di selezione dei comportamenti anomali per PMI e lavoro autonomo;

§       incentivare la compartecipazione degli enti locali all’attività di accertamento;

§       potenziare gli studi di settore, il redditometro per l’insieme delle persone fisiche, nonché il tutoraggio preventivo per le imprese medio-grandi;

§       ridurre i margini di discrezionalità dei singoli governi nel varare condoni in materia fiscale e contributiva;

§       ridurre il numero di partite IVA;

§       rafforzare il contrasto d’interessi tra contribuenti;

§       lanciare campagne di informazione volte ad enfatizzare il comportamento dei contribuenti onesti.

 

Da ultimo si segnala la pubblicazione di uno studio della Banca d’Italia[7], che stima l'economia sommersa, costituita da attività legali tenute nascoste principalmente per evitare il pagamento di imposte e contributi; l'altra componente dell'economia irregolare è costituita dalle attività illegali. Nello studio viene proposta una rivisitazione del metodo fondato sull'ipotesi che gli scambi al di fuori dell'economia regolare siano realizzati in larga misura attraverso il ricorso al contante per evitarne la tracciabilità. Dai risultati si evince che nel periodo 2005-2008 l'incidenza media dell'economia sommersa è pari al 16,5% del PIL; il dato corrispondente per le attività illegali è del 10,9%.

 

Sotto il profilo legislativo, si ricorda che l’articolo 12 del D.Lgs. n. 149 del 2011, attuativo della legge delega n. 42 sul federalismo fiscale (cd. decreto Sanzioni e premi), prevede che con accordo fra Governo, Regioni, province e comuni, conseguito in sede di Conferenza unificata, sentita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, sono stabilite annualmente le modalità per la ricognizione delle capacità fiscali effettive e potenziali dei singoli territori, tenendo conto del rapporto tra i dati fiscali dichiarati e i dati elaborati dall'Istituto Nazionale di Statistica. Con il medesimo accordo sono altresì definiti:

a)  un programma pluriennale di attività di contrasto dell'evasione fiscale finalizzato alla convergenza della capacità fiscale effettiva alla capacità fiscale potenziale mediante la definizione delle modalità di concorso dei singoli enti dei vari livelli di governo;

b)  gli obiettivi intermedi che debbono essere raggiunti da ciascun ente nell'ambito delle attività previste dal programma di cui alla lettera a);

c)  le misure premiali o sanzionatorie in relazione al raggiungimento degli obiettivi di cui alla lettera b).

 

A tale propostosi segnala che la formulazione originaria dell’articolo 12 (Atto 365) prevedeva che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, fossero stabilite annualmente le modalità per la determinazione del livello di evasione fiscale relativo ad ogni singola Regione, tenendo conto del rapporto tra i dati fiscali dichiarati e i dati elaborati dall'Istituto Nazionale di Statistica, così come previsto dal Regolamento (CE) 25 giugno 1996, n. 2223, resi omogenei per quanto riguarda definizioni e classificazioni, e integrati da eventuali ulteriori indicatori statistici di fonte istituzionale.

 

I recenti interventi legislativi in tema di lotta all'evasione e tax compliance

L'attenzione del legislatore si è rivolta al fronte della tracciabilità dei pagamenti, sia riducendo (articolo 12 del D.L. n. 201/2011) a 1.000 euro la soglia massima per l’utilizzo del contante e dei titoli al portatore, sia introducendo (articolo 2, comma 5 del D.L. n. 138/2011) una sanzione accessoria a carico dei professionisti cui siano state contestate reiterate violazioni dell’obbligo di emettere il documento certificativo dei corrispettivi, che consiste nella sospensione dell’iscrizione all’albo o all’ordine. Nel medesimo filone si muovono le disposizioni (articolo 2, comma 36-vicies del medesimo D.L. n. 138) che assoggettano all’obbligo di emissione di ricevuta o scontrino fiscale anche le prestazioni rese, sul litorale demaniale, da parte dei titolari dei relativi provvedimenti amministrativi di concessione. Sono previste inoltre (successivo articolo 2, comma 36-vicies bis) riduzioni delle sanzioni dovute per la violazione di alcuni obblighi di dichiarazione e documentazione (in materia di imposte dirette e di IVA) a carico di specifiche categorie di imprese di medio-piccole dimensioni, purché nelle dichiarazioni esse indichino gli estremi identificativi dei rapporti con operatori finanziari in corso nel periodo d’imposta e che, per tutte le operazioni attive e passive effettuate nell'esercizio dell'attività, siano utilizzati esclusivamente strumenti di pagamento diversi dal denaro contante.

Si ricordano infine le disposizioni antielusive volte a colpire (articolo 2, commi da 36-terdecies a 36-duodevicies del D.L. n. 38/2011) l’uso di beni intestati fittiziamente a società, ivi compresa l’indeducibilità dei costi relativi ai beni concessi ai soci o ai familiari per un corrispettivo annuo inferiore al valore di mercato. E’ stata novellata (articolo 2, comma 36-vicies semel) inasprendola, la disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e IVA, con l’intento generale di eliminare disposizioni di favore o abbassare la soglia di imposta evasa a partire dalla quale scatta l'applicazione delle sanzioni penali.

Nel corso del 2011 sono state apportate numerose modifiche anche alla disciplina in materia di poteri di controllo e indagine da parte degli organi dell'Amministrazione finanziaria: in primo luogo sono stati rafforzati i poteri del fisco in sede di indagini finanziarie, in particolare consentendo (articolo 23 del D.L. 98 del 2011) agli uffici di acquisire informazioni anche da società ed enti di assicurazione per quanto riguarda le attività di natura finanziaria; sono state introdotte inoltre norme volte a razionalizzare l’attività di indagine, mediante accesso, sull’industria finanziaria. Sempre nell'ottica di rafforzare i poteri del fisco:

§       è stata introdotta (dal citato D.L. 201 del 2011) la fattispecie penale di esibizione o trasmissione di atti o documenti falsi, ovvero di fornitura di dati e notizie non rispondenti al vero in tutto o in parte, in occasione di richieste formulate dall’Amministrazione finanziaria nell’esercizio dei poteri di accertamento delle imposte dirette e dell’IVA;

§       è stato imposto agli operatori finanziari, dal 1° gennaio 2012, di comunicare periodicamente all’anagrafe tributaria anche tutte le movimentazioni relative ai rapporti finanziari intrattenuti con i contribuenti; il D.L. 95 del 2012 ha previsto inoltre che tali informazioni siano utilizzabili anche per semplificare gli adempimenti dei cittadini sulla compilazione della dichiarazione sostitutiva unica valida ai fini ISEE, nonché in sede di controllo sulla veridicità dei dati dichiarati nella medesima.

 

Sotto il profilo della tax compliance, il contribuente è stato progressivamente incentivato a scegliere la rateizzazione dei debiti tributari, con una serie di misure volte a eliminare, per quanto possibile, gli adempimenti a carico del soggetto passivo di imposta (quale, ad esempio, il gravoso obbligo di prestare idonea garanzia per accedere al beneficio della dilazione). E’ stata altresì prevista la possibilità (D.L. 16/2012) di ottenere un piano di ammortamento a rata crescente fin dalla prima richiesta di dilazione; inoltre, ai contribuenti ammessi alla rateizzazione viene estesa la possibilità di partecipare alle gare per l’affidamento di appalti e concessioni di lavori, forniture e servizi.

Al fine di superare le difficoltà operative segnalate dagli operatori economici, il D.L. 16/2011 ha semplificato gli adempimenti previsti a carico dei soggetti passivi IVA in relazione alla comunicazione delle operazioni rilevanti, soggette all’obbligo di fatturazione, di importo superiore ai 3.000 euro (cd. “spesometro”), reintroducendo – di fatto – l’elenco clienti-fornitori.

Per favorire la tax compliance dei soggetti a maggior rischio di evasione, l'articolo 10 del D.L. n. 201 del 2011 ha introdotto norme volte, complessivamente, a promuovere la trasparenza e l'emersione di base imponibile. Sono infatti (articolo 10, commi da 1 a 8) riconosciuti benefici fiscali nei confronti di artisti, professionisti, persone fisiche e società di persone esercenti attività imprenditoriali, a condizione che essi adempiano a una serie di obblighi di trasparenza.

L’articolo 8 del D.L. n. 16 del 2012 contiene ulteriori misure di contrasto all’evasione fiscale: si segnala la nuova disciplina dei cd. "costi da reato", ai sensi della quale le ipotesi di indeducibilità sono circoscritte a costi e spese direttamente utilizzati per il compimento di fatti, atti o attività qualificabili come delitto non colposo. E’ inoltre ottimizzato il procedimento relativo alla chiusura delle partire IVA inattive mentre, in tema di accertamenti esecutivi, si introducono specifici obblighi informativi a carico dell’agente della riscossione nei confronti dei contribuenti.

 

Nella citata audizione del 31 gennaio 2012, il Direttore dell’Agenzia delle entrate ha altresì tracciato gli obiettivi per il 2012:in tale ambito, l’Agenzia intende rivolgere la propria attività a incrementarne ulteriormente la qualità e la capacità dissuasiva, attraverso la selezione mirata dei soggetti da sottoporre a controllo, sulla base dell'analisi del rischio effettuata per ciascuna macrotipologia di contribuenti. Questo obiettivo potrà essere conseguito anche grazie alle recenti previsioni normative, quali l'accertamento sintetico (il nuovo «redditometro»), il cosiddetto «spesometro», le nuove funzionalità dell'archivio dei rapporti finanziari e il tutoraggio dei grandi contribuenti.”

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Il 27 giugno la Commissione europea ha presentato una comunicazione relativa a “Misure concrete per combattere la frode e l’evasione fiscale, incluse le relazioni con i Paesi terzi” (COM(2012)351).

Secondo le stime della Commissione l'economia sommersa in tutti gli Stati membri è pari a circa un quinto del PIL (circa 2.000 miliardi di euro).

La comunicazione definisce una iniziativa a tre livelli intesa a combattere l'evasione e la frode, e precisamente:

§       livello nazionale: gli Stati membri sono invitati a migliorare le loro capacità amministrative a livello di riscossione delle imposte, come indicato nelle già citate raccomandazioni specifiche per Paese in materia di politica economica. Le autorità nazionali dovrebbero inoltre facilitare la possibilità di mettersi in regola, ad esempio prevedendo programmi di denuncia volontaria;

§       livello dell’UE: ad avviso della Commissione, è essenziale un accordo tra gli Stati membri riguardo alla modifica della direttiva sulla tassazione dei redditi da risparmio (vedi supra, art. 1). Inoltre viene proposta l’introduzione di un numero europeo di identificazione fiscale transfrontaliera, un meccanismo di reazione rapida in caso di frode sull’IVA nonché norme e sanzioni europee minime per la frode e l'evasione;

§       livello internazionale: si ritengono fondamentali i mandati chiesti dalla Commissione al fine di negoziare con i principali Paesi terzi (Svizzera, Andorra, Monaco, Liechtenstein and San Marino) accordi più incisivi in materia di tassazione dei risparmi.

La Commissione preannuncia inoltre la presentazione, entro la fine del 2012, di un’apposita iniziativa sui paradisi fiscali, nonché un piano d’azione contenente misure per affrontare i responsabili di pianificazioni fiscali aggressive.


 

Articolo 4
(Monitoraggio e riordino delle disposizioni in materia di erosione fiscale)

 


1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 3, comma 2, il Governo redige altresì annualmente, all'interno della procedura di bilancio, un rapporto sulle spese fiscali, intendendo per tali qualunque forma di esenzione, esclusione, riduzione dell'imponibile o dell'imposta ovvero regime di favore, sulla base di metodi e di criteri stabili nel tempo, che consentano anche un confronto con i programmi di spesa, eventualmente prevedendo l'istituzione di una commissione composta da un numero massimo di quindici esperti indicati dal Ministero dell'economia e delle finanze e dalle altre amministrazioni interessate, senza diritto a gettoni di presenza, rimborsi o compensi.

2. Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui all'articolo 1, norme dirette a ridurre, eliminare o riformare le spese fiscali che appaiono, in tutto o in parte, ingiustificate o superate alla luce delle mutate esigenze sociali o economiche ovvero che costituiscono una duplicazione, ferma restando la priorità di tutela della famiglia, della salute, delle persone economicamente o socialmente svantaggiate, del patrimonio artistico e culturale, della ricerca e dell'ambiente. Il Governo è altresì delegato a procedere, con gli stessi decreti legislativi, in funzione delle maggiori entrate ovvero delle minori spese realizzate con l'attuazione del presente articolo, alla razionalizzazione e alla stabilizzazione dell'istituto della destinazione del 5 per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche in base alle scelte espresse dai contribuenti.


 

 

L’articolo 4 dispone la redazione annuale di un rapporto sulle spese fiscali, cioè su tutte le forme di esenzione, esclusione, riduzione dell’imponibile o dell’imposta, e regime di favore, prevedendo l’eventuale costituzione di una Commissione indipendente composta da un numero massimo di 15 esperti. Il Governo è delegato ad adottare decreti legislativi volti a ridurre, eliminare o riformare le spese fiscali che appaiono ingiustificate o superate, fermo restando determinate priorità socio-economiche, nonché a razionalizzare e stabilizzare l’istituto della destinazione del 5 per mille dell’IRPEF.

 

In particolare, il comma 1 prevede che il Governo, fermo quanto previsto dal precedente articolo 3, comma 2, - vale a dire l’impegno a predisporre annualmente, all’interno della procedura di bilancio, un rapporto sulla strategia seguita e sui risultati conseguiti sul fronte delle misure di contrasto all’evasione - rediga annualmente, all’interno della procedura di bilancio, un rapporto sulle spese fiscali, sulla base di metodi e criteri stabili nel tempo, che consentano anche un confronto con i programmi di spesa.

Secondo la disposizione per spese fiscali si intendono qualunque forma di esenzione, esclusione, riduzione dell’imponibile o dell’imposta, regime di favore.

Viene prevista l’eventuale costituzione di una Commissione indipendente composta da un numero massimo di 15 esperti indicati dal Ministero dell’economia e delle finanze e dalle altre Amministrazioni interessate, i quali tuttavia non percepiranno gettoni di presenza, rimborsi o compensi.

Si osserva che la disposizione si limita a fissare il numero massimo di componenti della Commissione, facendo peraltro un generico riferimento a “altre amministrazioni interessate”, senza fornire alcuna specifica indicazione.

Inoltre non appare chiaro se le diverse agenzie fiscali possono autonomamente indicare esperti o vi provvede direttamente il MEF in quanto dicastero di riferimento.

 

Contemporaneamente alla redazione del rapporto annuale, il comma 2 delega il Governo ad introdurre norme dirette a ridurre, eliminare o riformare le spese fiscali (cioè esenzioni, detrazioni, deduzioni, ecc) che appaiono, in tutto o in parte, ingiustificate o superate alla luce delle mutate esigenze sociali o economiche o che costituiscono una duplicazione. La disposizione prevede che, nella predisposizione dei decreti legislativi, il Governo tenga conto delle priorità di tutela della famiglia, della salute, delle persone economicamente o socialmente svantaggiate, del patrimonio artistico e culturale, della ricerca e dell’ambiente.

 

Si segnala al riguardo che il decreto-legge n. 95 del 2012 (articolo 21) prevede che con la legge di stabilità per l’anno 2013 si provveda, tra l’altro, all’eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale (di cui all’art. 40, co1-quater, D.L. 98/2011), anche al fine di evitare l’aumento, dal 1° luglio 2013, delle aliquote IVA.

 

La ricognizione delle spese fiscali

Con il termine di erosione fiscale si intendonotutti gli scostamenti previsti dalla normativa (inclusi i regimi sostitutivi di favore) rispetto al principio generale dell’imposizione fiscale, che in qualche modo trascende rispetto alla legislazione vigente e fa riferimento a un modello ideale di sistema fiscale ispirato a principi generali.

 

Ai sensi dell’articolo 21, comma 11, lettera a), della legge n. 196 del 2009, lo stato di previsione delle entrate del bilancio dello Stato reca una nota integrativa che da conto degli effetti finanziari connessi alle disposizioni normative vigenti, con separata indicazione di quelle introdotte nell'esercizio, recanti esenzioni o riduzioni del prelievo obbligatorio, con l'indicazione della natura delle agevolazioni, dei soggetti e delle categorie dei beneficiari e degli obiettivi perseguiti. Si tratta perciò di un ambito più ristretto rispetto a quello considerato nel concetto di erosione fiscale.

Gli Allegati A e B allo stato di previsione dell’entrata del disegno di legge di bilancio per il triennio 2012-2014 (BLV) contengono l’indicazione di 266 misure agevolative per complessivi 139,4 miliardi di euro per il 2012.

Il citato decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 ha disposto un progressivo aumento delle aliquote IVA: l’aliquota ordinaria è passata dal 20 al 21 per cento da agosto 2011, mentre a decorrere dal 1° luglio 2013 e fino al 31 dicembre 2013 (secondo le modifiche introdotte dal decreto-legge n. 95 del 2012) le aliquote del 10 e del 21 per cento verranno incrementate di 2 punti percentuali (passando rispettivamente al 12 e al 23 per cento). A decorrere dal 1° gennaio 2014, le suddette aliquote sono incrementate dell'1 per cento. Da tale data, pertanto, le aliquote sono rideterminate, rispettivamente, nella misura dell’11 e del 22 per cento. Il predetto incremento non si applica qualora entro il 30 giugno 2013 siano entrati in vigore provvedimenti legislativi in materia fiscale ed assistenziale aventi ad oggetto il riordino della spesa in materia sociale, nonché la eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale che si sovrappongono alle prestazioni assistenziali.

Inoltre, con la legge di stabilità 2013 devono essere indicate le misure di attuazione del programma di razionalizzazione della spesa pubblica (previsto dall'articolo 1, comma 1-bis, del decreto legge n. 52 del 2012) e le disposizioni di eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale (previste dall'articolo 40, comma 1-quater, del decreto legge n. 98 del 2011), prevedendo che i risparmi e le maggiori entrate così ottenuti, assieme ai risparmi derivanti dal riordino di enti ed organismi statali disposti dall'articolo 12 del citato decreto-legge n. 95 del 2012, concorrano ad evitare il previsto aumento dal 1° luglio 2013 delle aliquote IVA.

Sono quindi modificati gli effetti positivi, ai fini dell'indebitamento netto, derivanti dalla norma in commento, che vengono rideterminati in 6.560 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2013.

 

Il disegno di legge di delega per la riforma fiscale e assistenziale presentato dal ministro Tremonti il 29 luglio 2011 (A.C. 4566), nel determinare, all’articolo 2, l'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) in base a tre aliquote (in luogo delle cinque attuali) del 20%, del 30% e del 40% - da applicare ad un imponibile per quanto possibile non eroso dalle diverse agevolazioni introdotte nel corso degli anni - poneva la copertura finanziaria della rimodulazione delle aliquote mediante l'eliminazione o la riduzione totale o parziale dei regimi di favore fiscale attualmente vigenti, indicate nell’allegato 1 (478 misure), fatta eccezione per i regimi introdotti in esecuzione di accordi internazionali, ovvero in ottemperanza alla normativa dell'Unione europea. Inoltre l’articolo 11 stabiliva che dall'attuazione della legge di delega, e in particolare dal riordino della spesa in materia sociale, nonché dall'eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale che si sovrappongono alle prestazioni assistenziali, dovessero derivare effetti positivi, ai fini dell'indebitamento netto, non inferiori a 4 miliardi di euro per l'anno 2013 e a 20 miliardi annui a decorrere dall'anno 2014.

 

Da ultimo, il 22 novembre 2011 è stata presentata la relazione finale del Gruppo di lavoro sull’erosione fiscale[8] costituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze con la partecipazione di 32 organizzazioni sindacali, associazioni di categoria e ordini professionali, coordinato da Vieri Ceriani.

 

Partendo come base dall’elenco delle agevolazioni contenute nel disegno di legge di bilancio per il 2011 (242 misure), il Gruppo di lavoro lo ha integrato considerando ulteriori misure e regimi, fino a indicare nell’elenco ben 720 misure per un ammontare di 253,7 miliardi di euro, articolate come esposto nella successiva tabella riepilogativa per tipologia di agevolazione:

 

Agevolazioni a favore delle persone fisiche, di cui:

104,864

- Agevolazioni per la casa

9,489

- Agevolazioni per la famiglia

21,056

- Agevolazioni per lavoro e pensioni

58,095

- Agevolazioni per erogazioni liberali e al terzo settore

0,130

- Altre agevolazioni (comprese)

0,216

- Agevolazioni fiscalità finanziaria

15,878

Agevolazioni in materia di enti non commerciali

0,392

Agevolazioni reddito impresa

31,954

Misure che legano l'imponibile alla rendita catastale

63,955

Agevolazioni in materia di accisa

2,372

Agevolazioni in materia di IVA

40,944

Agevolazioni in materia di bollo, registro e imposte ipocastali

4,015

Misure in materia di imposte sulle assicurazioni private

1,229

TOTALE AGEVOLAZIONI ERARIALI

249,725

Agevolazioni enti territoriali (ICI, IPT, TOSAP, ecc)

4,029

TOTALE AGEVOLAZIONI ERARIALI E LOCALI

253,754

 

 

La Relazione finale sottolinea che “il riformatore non potrà esimersi da una disamina e da un vaglio attento delle singole misure, per decidere riguardo alla loro conservazione, soppressione o riduzione. Alcune misure incluse nell’elenco delle spese fiscali servono a rendere il nostro ordinamento compatibile con quello comunitario e con gli accordi internazionali. Altre misure, come le detrazioni Irpef per il lavoro dipendente o per i familiari a carico, costituiscono aspetti strutturali dell’attuale sistema impositivo e appare opportuno che la loro eventuale abolizione (o riduzione, o riformulazione) sia inserita nell’ambito di riforme di più ampia portata, che ne contemperino gli effetti e ne considerino tutte le implicazioni. Altre misure sono volte ad evitare doppie imposizioni; per altre l’eventuale soppressione potrebbe comportare problemi di compatibilità con principi costituzionalmente garantiti; altre ancora hanno finalità di semplificazione, o intendono favorire l’emersione di imponibili. Pertanto il Gruppo di lavoro ha provveduto a classificare le diverse agevolazioni secondo i seguenti criteri di classificazione:

 

1. Misura che evita doppie imposizioni

Questo codice è stato applicato nei casi in cui si potrebbero verificare duplicazioni di imposte sui redditi. Ad esempio, in caso di: esclusione dall’Irpef degli assegni periodici per il mantenimento dei figli, spettanti al coniuge separato; deduzione dall’Irpef degli assegni periodici corrisposti al coniuge; riduzione dell’imponibile per dividendi e plusvalenze da partecipazione in società di capitali; esenzione dei redditi dei fondi comuni (mobiliari e immobiliari), che sono tassati in capo al sottoscrittore delle quote.

 

2. Misura che garantisce la compatibilità con l’ordinamento comunitario e il rispetto di accordi internazionali

Riguarda, ad esempio: esenzioni o esclusioni in materia di IVA e accise previste dalle Direttive; esenzioni da ritenute o rimborso di ritenute su dividendi, interessi e canoni verso non residenti comunitari previsti dalle Direttive; deduzioni o esenzioni a favore della Chiesa cattolica previste dai Patti Lateranensi.

 

3. Misura che garantisce il rispetto di principi di rilevanza costituzionale

Si è data un’interpretazione restrittiva a questo criterio di classificazione, prendendo in considerazione solo i principi che hanno più strettamente attinenza con la specifica materia tributaria: in particolare, uguaglianza, conformità alla capacità contributiva, progressività (Artt. 3 e 53 Cost.). Inoltre a questo codice è stato attribuito il significato di segnalare l’eventuale insorgere di problemi di compatibilità con i principi costituzionali nel caso estremo di soppressione integrale della misura in esame. Ad esempio, nel caso di abolizione integrale delle detrazioni per familiari a carico, o di soppressione totale di deduzioni forfettarie di costi di produzione del reddito (in assenza di possibilità di deduzione analitica degli stessi costi), o ancora di abrogazione della deducibilità di contributi obbligatori.

 

4. Misura finalizzata a interventi di welfare

Si tratta di misure rivolte all’individuo, in qualità di contribuente Irpef o di consumatore, in campo previdenziale, sanitario, assistenzialee dell’istruzione. Le misure fiscali classificate con questo codice sono, nella maggioranza dei casi, sostituibili con interventi di spesa.

 

5. Misura volta a garantire la concorrenzialità rispetto a paesi terzi

Si tratta di misure volte a garantire la concorrenzialità rispetto a paesi extra-UE, adottate nel quadro di politiche comuni, o di aiuti di stato ammessi. Riguarda, in particolare, misure relative al settore dei trasporti, concernenti accise o imposte dirette (ad esempio, la tonnage tax per il naviglio iscritto nel registro internazionale)

 

6. Misura volta alla semplificazione del sistema

Questo codice è stato attribuito a diversi tipi di misure, volte a: escludere da Irpef contribuenti con redditi marginali (ad esempio, fondiari); stabilire imposte sostitutive su redditi da attività finanziarie; determinare deduzioni forfettarie di costi ai fini delle imposte sul reddito; disporre esenzioni per amministrazioni pubbliche o soggetti preposti alla riscossione di tributi.

 

7. Misura a rilevanza territoriale

Misure che interessano aree economicamente svantaggiate, zone di montagna, ecc.

 

8. Misura a rilevanza sociale

Si tratta di misure a favore delle ONLUS e del terzo settore, della cooperazione, nonché di individui o famiglie, diverse da quelle di cui al punto 4 (welfare). Sono state censite con questo codice, ad esempio, le misure a favore della casa, quelle che incoraggiano l’occupazione (anche in modo selettivo), le aliquote IVA ridotte sui consumi ritenuti più necessari.

 

9. Misura a rilevanza settoriale

Misura che interessa uno specifico settore produttivo (ad esempio: agricoltura, trasporti, banche, assicurazioni, ecc.).

 

10. Misura volta a favorire l’emersione degli imponibili

Questo codice è stato attribuito a misure volte, anche attraverso la creazione di conflitti di interesse, a favorire l’emersione di imponibili. Ad esempio: detrazioni Irpef per ristrutturazione di edifici, per interventi di riqualificazione energetica, per affitti a canone concordato.

 

11. Misura volta alla tutela dell’ambiente e del patrimonio artistico, paesaggistico e culturale e ad incoraggiare la ricerca e lo sviluppo

 

12. Misura la cui soppressione può comportare l’esenzione dell’imponibile

Questo codice segnala che la mera soppressione della misura, non accompagnata da altri interventi normativi, comporterebbe l’esenzione dell’imponibile

 

13. Misura rivolta a imprese o esercenti arti e professioni, non limitata a un singolo settore produttivo

Misura che interessa una pluralità di settori produttivi, rivolta a imprese o esercenti arti e professioni

 

14. Misura volta a favorire le nuove iniziative, la riorganizzazione e la capitalizzazione delle imprese

Questo codice è stato assegnato a misure come: il regime dei minimi rivolto alle nuove iniziative produttive; l’esenzione per le somme destinate alle riserve indivisibili delle cooperative; alle rivalutazioni e ai riallineamenti; alle reti di imprese.

 

L’Allegato 2 alla Relazione finale contiene la valutazione degli effetti finanziari delle misure che costituiscono esenzioni e riduzioni del prelievo obbligatorio, regimi sostitutivi di favore e agevolazioni rispetto al regime fiscale vigente, ovvero scostamenti previsti dalla legislazione rispetto al principio generale dell’imposizione fiscale (erosione).

Nella Sezione I sono presenti 8 schede relative alle misure con un consistente impatto in termini di gettito. Le schede illustrano i contenuti della disposizione, le fonti informative utilizzate e la metodologia di quantificazione.

Nella Sezione IIsono presentate 169 schede sintetiche relative a ulteriori misure per le quali è stata possibile effettuare la valutazione ex-post degli effetti di gettito. Per le restanti misure l’assenza di dati fiscali e la carenza di informazioni non ha reso possibile la stima degli effetti finanziari.

 

Da ultimo, si ricorda che la Corte dei conti, nel corso dell’audizione del 13 marzo 2012nell’ambito dell’indagine conoscitiva della Commissione bilancio della Camera sul documento della Commissione Europea: “Analisi annuale della crescita per il 2012”, ha sottolineato che “la praticabilità di un’operazione di trasformazione del sistema per conferirgli un assetto “europeo” in grado di rilanciare competitività, efficienza e crescita economica resta subordinata, oltre che all’attuazione di una severa politica di contenimento e di riduzione della spesa, all’ampliamento strutturale della base imponibile soggetta a tassazione, affrontando in modo deciso le due grandi questioni della politica fiscale del nostro paese: l’erosione e l’evasione. Il recupero di gettito atteso da una revisione dei regimi di agevolazione e di esenzione è stato “ipotecato” più volte e in diverse direzioni. Da ultimo, tuttavia, ne è stata ridimensionata l’urgenza, avendo voluto eliminare, con l’aumento dell’aliquota ordinaria dell’IVA, ogni incertezza intorno al completamento della manovra estiva. Il proposito di destinare a copertura degli equilibri di bilancio una quota crescente (dai 4 miliardi del 2012, ai 16 del 2013, ai 20 del 2014) di gettito da recuperare dalla riduzione delle agevolazioni non è stato tuttavia accantonato.

Anche per questo è la lotta all’evasione che costituisce la leva più significativa a disposizione del policy maker per consentire di combinare due obiettivi della politica fiscale: garantire gli equilibri del bilancio pubblico e ridistribuire l’onere del prelievo.”

 

Infine il medesimo comma 2 delega il Governo a procedere, in funzione delle maggiori entrate ovvero delle minori spese realizzate con l’attuazione del presente articolo, alla razionalizzazione e stabilizzazione dell’istituto della destinazione del 5 per mille dell’imposta sul reddito IRPEF sulla base delle scelte dei contribuenti.

 

Il 5 per mille IRPEF

Istituito dall’articolo 1, comma 337 e ss., della legge finanziaria per il 2006 (legge n. 266 del 2005) a titolo sperimentale e poi confermato annualmente (da ultimo relativamente all’esercizio finanziario 2012 in relazione alle dichiarazioni dei redditi 2011 dall’articolo 33, comma 11, della legge n. 183 del 2011), attraverso tale strumento il contribuente può destinare una quota pari al 5 per mille del proprio gettito IRPEF ad una serie di finalità, indicando per talune scelte anche il codice fiscale del soggetto beneficiario; per il periodo di imposta 2011 si tratta delle seguenti finalità:

§      sostegno del volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), delle associazioni di promozione sociale iscritte negli appositi registri nazionale, regionale e provinciale, delle associazioni e fondazioni riconosciute che operano in determinati settori;

§      finanziamento della ricerca scientifica e dell'università;

§      finanziamento della ricerca sanitaria;

§      sostegno alle attività sociali svolte dal comune di residenza del contribuente;

§      sostegno delle associazioni sportive dilettantistiche in possesso del riconoscimento ai fini sportivi rilasciato dal CONI a norma di legge, che svolgono una rilevante attività di interesse sociale;

§      sostegno alle attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici (art. 23, comma 46, D.L. n. 98 del 6/7/2011).

 

Anche per l’esercizio 2011 si applica quanto disposto dal D.P.C.M. 23 aprile 2010 relativamente alle modalità operative per le finalità e le liste dei soggetti ammessi al riparto della quota del 5 per mille per l’anno finanziario 2010.

 

L’articolo 33 della legge n. 183 del 2011, al comma 11, ultimo periodo, quantifica nell’importo di 400 milioni le risorse complessivamente destinate alla liquidazione della quota del 5 per mille IRPEF nel 2012.

 


 

Articolo 5
(Disciplina dell’abuso del diritto ed elusione fiscale)

 


1. Il Governo è delegato ad attuare, con i decreti legislativi di cui all'articolo 1, la revisione delle vigenti disposizioni antielusive al fine di introdurre il principio generale del divieto dell'abuso del diritto, esteso ai tributi non armonizzati, in applicazione dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) definire la condotta abusiva come uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d'imposta, ancorché tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione;

b) garantire la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un diverso carico fiscale e, a tal fine:

1) considerare lo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali come causa prevalente dell'operazione abusiva;

2) escludere la configurabilità di una condotta abusiva se l'operazione è giustificata da ragioni extrafiscali non marginali; stabilire che costituiscono ragioni extrafiscali anche quelle che non producono necessariamente una redditività immediata dell'operazione ma rispondono ad esigenze di natura organizzativa e determinano un miglioramento strutturale e funzionale dell'azienda del contribuente;

c) prevedere l'inopponibilità degli strumenti giuridici di cui alla lettera a) all'amministrazione finanziaria e il conseguente potere della stessa di disconoscere il relativo risparmio di imposta;

d) disciplinare il regime della prova ponendo a carico dell'amministrazione finanziaria l'onere di dimostrare il disegno abusivo e le modalità di manipolazione e di alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati nonché la loro mancata conformità a una normale logica di mercato, prevedendo, invece, che gravi sul contribuente l'onere di allegare l'esistenza di valide ragioni extrafiscali alternative o concorrenti che giustifichino il ricorso a tali strumenti;

e) prevedere, a pena di nullità, una formale e puntuale individuazione della condotta abusiva nella motivazione dell'accertamento fiscale;

f) prevedere specifiche regole procedimentali che garantiscano un efficace contraddittorio con l'amministrazione finanziaria e salvaguardino il diritto di difesa in ogni fase del procedimento di accertamento e in ogni stato e grado del giudizio tributario;

g) prevedere che, in caso di ricorso, le sanzioni e gli interessi sono riscuotibili dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale.


 

 

L’articolo 5 introduce il principio generale del divieto dell’abuso del diritto, del quale viene fornita una prima definizione che comprende la fattispecie dell’elusione ed è applicabile a tutti i tributi: costituisce abuso del diritto l’uso distorto di strumenti giuridici allo scopo prevalente di ottenere un risparmio d’imposta, ancorché tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione. Resta salvaguardata la legittimità della scelta tra regimi alternativi espressamente previsti dal sistema tributario.

 

In particolare, il governo è delegato ad attuare la revisione delle vigenti disposizioni antielusive al fine di introdurre il principio generale di divieto dell’abuso del diritto, esteso ai tributi non armonizzati. A tal fine sono dettati numerosi principi e criteri direttivi.

 

Si ricorda, preliminarmente, che l’abuso del diritto in materia tributaria è un istituto di origine giurisprudenziale ed è generalmente individuato in quelle operazioni prive di spessore economico che l’impresa mette in atto con l’obiettivo principale di ottenere risparmi di imposta attraverso l’utilizzo distorto di schemi giuridici. Ognuno di questi schemi singolarmente appare perfettamente legittimo, mentre l’illegittimità deriva dal fatto che essi nel complesso sono messi in atto unicamente per ottenere vantaggi fiscali. L’abuso del diritto rientra tra gli istituti cosiddetti antielusivi.

 

La relazione illustrativa afferma che le esperienze maturate in altri paesi (come Francia e Germania) mostrano che la codificazione dell’abuso del diritto è la strada maestra per dare alle imprese un quadro di certezza e stabilità normativa e amministrativa. In questi paesi si è intervenuti legislativamente per ampliare la portata delle norme anti-elusive esistenti e per rafforzare, al contempo, le garanzie procedurali per i contribuenti, in particolare le imprese. La definizione di un quadro normativo chiaro ha effetti positivi anche per l’amministrazione finanziaria che può svolgere con maggiore rapidità ed efficacia la sua funzione di contrasto dell’elusione, indirizzando la propria attenzione sui casi meno dubbi e riducendo così le possibilità di contenzioso e l’incertezza sulle sanzioni.

 

La norma di delega è volta quindi a riequilibrare il rapporto tra lo strumento anti-elusione e la certezza del diritto, messa in discussione dalla prassi amministrativa di sindacare ex post le scelte dei contribuenti sulla base di orientamenti non noti al momento in cui le operazioni sottoposte a controllo sono già decise ed effettuate.

Pertanto, da un lato è stabilito il generale divieto di utilizzare in modo distorto gli strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, ancorché tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione (lettera a)). Dall’altro lato è riconosciuto al contribuente il diritto di scelta tra diverse operazioni comportanti un diverso carico fiscale, purché essa non sia volta unicamente ad ottenere indebiti vantaggi fiscali; viene riconosciuta l’ammissibilità dell’operazione qualora essa sia giustificata da ragioni extrafiscali “non marginali”; costituiscono ragioni extrafiscali anche quelle che non producono necessariamente una redditività immediata dell’operazione ma rispondono ad esigenze di natura organizzativa e consistono in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda del contribuente (lettera b)).

La fattispecie abusiva è inopponibile all’amministrazione finanziaria, la quale può disconoscere immediatamente l’indebito risparmio d’imposta (lettera c)).

In una prima versione del disegno di legge si prevedeva l’esclusione della rilevanza penale della condotta che integra l’abuso del diritto. Sul punto si segnala che la Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 7739 del 2012 ha affermato la rilevanza penale dell’elusione attuata attraverso il ricorso a qualsiasi forma di abuso del diritto. In particolare, la Cassazione ha affermato che è configurabile il reato di cui all’articolo 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000 (infedele dichiarazione, oltre una certa soglia di imposta non dichiarata) quando la condotta del contribuente, risolvendosi in atti e negozi non opponibili all’Amministrazione finanziaria, comporti comunque una dichiarazione non veritiera.

Si evidenzia che il successivo articolo 8 del disegno di legge delega (alla cui scheda si rimanda), nell’elencare i criteri direttivi per la revisione del sistema sanzionatorio, esplicita che verrà dato più rilievo al reato per comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazione falsa, nonché all’individuazione dei confini tra le fattispecie di elusione e quelle di evasione fiscale e delle relative conseguenze sanzionatorie. Si prevede, inoltre, la revisione del regime della dichiarazione infedele.

È prevista una implementazione della disciplina procedurale sotto i seguenti profili:

§      il regime della prova: a carico dell’amministrazione è posto l’onere di dimostrare il disegno abusivo e le modalità di manipolazione e di alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati nonché la loro non conformità ad una normale logica di mercato; a carico del contribuente grava l’onere di allegare l’esistenza di valide ragioni extrafiscali che giustificano il ricorso degli strumenti giuridici utilizzati (lettera d));

§      la motivazione dell’accertamento: nell’atto di accertamento, a pena di nullità, deve essere formalmente e puntualmente individuata la condotta abusiva (lettera e));

§      il contradditorio e il diritto di difesa: devono essere garantiti in ogni fase del procedimento di accertamento ed in ogni stato e grado del giudizio tributario (lettera f));

§      l’esecutività della sentenza: in caso di ricorso, le sanzioni e gli interessi sono riscuotibili dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale (lettera g)).

 

Tali criteri erano progressivamente emersi nel corso del dibattito svolto in Parlamento in tema di abuso del diritto, su iniziativa dei gruppi parlamentari, il quale ha evidenziato l’opportunità di una norma generale anti-abuso per tutte le imposte, non vincolata da un’elencazione tassativa di fattispecie; l’assimilazione tra elusione fiscale e abuso del diritto; la fissazione di regole procedurali volte a garantire il contribuente in ciascuna fase del confronto con l’Amministrazione.

Tra gli atti di indirizzo parlamentari presentati alla Camera dei deputati che impegnano il Governo ad assumere iniziative legislative volte a disciplinare il divieto di abuso del diritto si segnalano:

§       le mozioni Leo n. 1-00843 e Donadi 1-00846, approvate il 7 febbraio 2012;

§       l’interrogazione a risposta immediata in Commissione Fugatti n. 5-05602, del 25 ottobre 2011;

§       l’ordine del giorno Strizzolo 9/2561-A/165, accolto come raccomandazione dal Governo il 27 luglio 2009.

Il dibattito svolto nella Commissione Finanze della Camera ha evidenziato come sia necessario un intervento normativo, al fine di definire in maniera esplicita il concetto di “abuso del diritto” all’interno del diritto positivo, rendendo distinguibile il risparmio d’imposta legittimo dal vantaggio fiscale indebito. E’ stata inoltre sottolineata la necessità che un principio generale anti-abuso, allo stato ancora mancante, si applichi a tutte le imposte, non sia vincolato da un’elencazione tassativa di fattispecie elusive e venga realizzata una piena assimilazione, a livello normativo, tra elusione fiscale e abuso. La distinzione tra risparmio d’imposta legittimo e vantaggio fiscale indebito dovrebbe far leva sul concetto di aggiramento delle norme tributarie. La norma generale dovrebbe essere provvista di garanzie procedurali a favore del contribuente: attraverso la puntuale regolazione del principio potrebbero essere rimossi alcuni fattori di criticità emersi in sede giurisprudenziale, legati, fra l’altro, alla rilevazione d’ufficio dell’abuso e all’incertezza sulle sanzioni applicabili.

 

Da ultimo, nel corso dell’esame del decreto legge n. 16 del 2012 (semplificazioni fiscali) sono state presentate proposte emendative volte a prevedere, in caso di elusione fiscale, l'applicazione di sanzioni non penali bensì amministrative, con lo scopo di restituire tranquillità ai contribuenti, ripristinando la certezza del diritto e delimitando con criteri certi l'area del legittimo risparmio di spesa. In particolare l’articolo aggiuntivo Leo 8.03 mirava a disciplinare l’elusione fiscale e l’abuso del diritto tributario, rendendo inopponibili al fisco le operazioni volte ad aggirare prescrizioni tributarie al fine di ottenere riduzioni di imposta, in contrasto con lo scopo della norma tributaria. Era definita come legittimo risparmio di imposta la scelta del contribuente tra diverse fattispecie previste dall’ordinamento che pur avendo un differente regime tributario producono effetti economici sostanzialmente equivalenti.

Le proposte sono state peraltro ritirate a seguito dell’impegno del Governo a definire la questione nell’ambito del disegno di legge delega in commento, attraverso “un provvedimento organico, adeguatamente approfondito e tecnicamente funzionale, che contribuisca a stabilizzare la situazione del Paese, senza che siano necessari ulteriori interventi correttivi”.

La normativa vigente: l'articolo 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973.

Nell’ordinamento giuridico italiano non è presente una clausola antielusiva generale. La prima manifestazione normativa di contrasto alle pratiche abusive è quella dell’articolo 10 della legge n. 408 del 1990: “È consentito all’amministrazione finanziaria disconoscere i vantaggi tributari conseguiti in operazioni di concentrazione, trasformazione, scorporo, cessione di azienda, riduzione di capitale, liquidazione, valutazione di partecipazioni, cessione di crediti e cessione o valutazione di valori mobiliari poste in essere senza valide ragioni economiche allo scopo esclusivo di ottenere fraudolentemente un risparmio di imposta”.

Successivamente per le stesse fattispecie è subentrato l’articolo 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 (inserito dall’articolo 7 del D.Lgs. n. 358 del 1997) che costituisce attualmente la norma antielusiva di riferimento, nell’ambito della disciplina dell’accertamento delle imposte sui redditi, anche se applicabile ad un numero chiuso di operazioni.

La norma dispone l’inopponibilità all'amministrazione finanziaria degli atti, fatti e negozi, anche collegati tra loro, se:

§       privi di valide ragioni economiche;

§       diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario;

§       volti ad ottenere un vantaggio fiscale indebito (riduzione d’imposta o rimborso).

L'amministrazione finanziaria disconosce i vantaggi tributari conseguiti mediante i suddetti atti, fatti e negozi, applicando le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile all'amministrazione.

Le norme antielusive si applicano in un numero circoscritto di casi. Si tratta principalmente di operazioni straordinarie delle società:

a)  trasformazioni, fusioni, scissioni, liquidazioni volontarie e distribuzioni ai soci di somme prelevate da voci del patrimonio netto diverse da quelle formate con utili;

b)  conferimenti in società, nonché negozi aventi ad oggetto il trasferimento o il godimento di aziende;

c)  cessioni di crediti;

d)  cessioni di eccedenze d'imposta;

e)  operazioni di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 544 (ossia fusioni, scissioni, conferimenti d'attivo e scambi di azioni, nonché il trasferimento della residenza fiscale all'estero da parte di una società);

f)    operazioni aventi per oggetto partecipazioni sociali (quote o azioni) o valute estere e classificazioni di bilancio;

f-bis)cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate tra i soggetti ammessi al regime della tassazione di gruppo (di cui all'articolo 117 del TUIR);

f-ter)pagamenti di interessi e canoni corrisposti a soggetti residenti in Stati membri dell'Unione europea, qualora detti pagamenti siano effettuati a soggetti controllati direttamente o indirettamente da uno o più soggetti non residenti in uno Stato dell'Unione europea;

f-quater)   pattuizioni intercorse tra società controllate e collegate (ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile), una delle quali avente sede legale in uno Stato o territorio diverso da quelli che consentono un adeguato scambio di informazioni a fini fiscali (cd. paesi white list, articolo 168-bis del TUIR), aventi ad oggetto il pagamento di somme a titolo di clausola penale, multa, caparra confirmatoria o penitenziale.

L’amministrazione, a pena di nullità, prima di emanare l’avviso di accertamento deve chiedere al contribuente dei chiarimenti, da inviare per iscritto entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta. In tale richiesta devono essere indicati i motivi per cui si reputano applicabili le disposizioni antielusive.

L’avviso di accertamento deve essere specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente. L’amministrazione applica le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile all'amministrazione. Le imposte o le maggiori imposte così accertate sono iscritte a ruolo, unitamente ai relativi interessi, dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale.

I soggetti diversi dai destinatari delle norme antielusione che hanno partecipato alle operazioni abusive e che hanno pagato imposte a seguito dei comportamenti disconosciuti dall'amministrazione finanziaria possono richiedere il rimborso delle imposte pagate proponendo, a tal fine, istanza di rimborso all'amministrazione entro un anno dal giorno in cui l'accertamento è divenuto definitivo o è stato definito mediante adesione o conciliazione giudiziale. L’amministrazione provvede nei limiti dell'imposta e degli interessi effettivamente riscossi a seguito di tali procedure.

Infine, la norma dispone la disapplicazione delle norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall'ordinamento tributario, ove il contribuente dimostri che, nella particolare fattispecie, tali effetti elusivi non potevano verificarsi. A tal fine il contribuente deve presentare istanza al direttore regionale delle entrate competente per territorio, descrivendo compiutamente l'operazione e indicando le disposizioni normative di cui chiede la disapplicazione.

L’abuso del diritto nell’elaborazione giurisprudenziale.

La necessità di codificare a livello legislativo l’istituto dell’abuso del diritto nasce a seguito della formazione, in seno alla Corte di Cassazione, di un indirizzo giurisprudenziale secondo il quale sono inopponibili all'erario tutte le operazioni che configurano fattispecie di abuso del diritto in materia tributaria.

In un primo momento (anni 2000-2002), la Corte di Cassazione, posta innanzi alla questione dell’elusione fiscale e, in particolare, dei limiti entro cui essa può dar luogo ad atti che vengano dichiarati privi di efficacia nei confronti della Amministrazione, ha qualificato come elusivi, quindi irrilevanti nei confronti del fisco, solo quei comportamenti che tali sono definiti da una legge vigente al momento in cui essi sono venuti in essere (cfr. Cass. 3 aprile 2000, n. 3979; 3 settembre 2001, n. 11351; 7 marzo 2002, n. 3345.

Tale orientamento è stato messo successivamente in discussione a seguito della sentenza Halifax della Corte di Giustizia UE (causa C-255/02, depositata il 21 febbraio 2006) nella quale, in sostanza, sono stati riqualificati a fini Iva i comportamenti del contribuente, in ragione della natura “abusiva del diritto” degli stessi. La Corte di Giustizia in quell’occasione ha precisato che, per parlarsi di comportamento abusivo le operazioni controverse devono - nonostante l'applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della legislazione comunitaria e della legislazione nazionale di recepimento - procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all'obiettivo perseguito da quelle stesse disposizioni. Deve altresì risultare, da un insieme di elementi obiettivi, che le dette operazioni hanno essenzialmente lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale. Si sottolinea, tuttavia, che la giurisprudenza comunitaria è limitata ai tributi armonizzati (IVA e dazi doganali): si veda, da ultimo, la sentenza della Corte di Giustizia del 29 marzo 2012, causa C-417/10.

Si è quindi registrata un’evoluzione interpretativa da parte della Corte di Cassazione, concretizzatosi in alcune pronunce della fine del 2005 (Cass. n. 20398 del 21 ottobre 2005, n. 20816 del 26 ottobre 2005 e n. 22932 del 14 novembre 2005). In particolare, la sentenza n. 20816/2005 ha enunciato il principio di diritto secondo cui l'Amministrazione finanziaria, quale terzo interessato alla regolare applicazione delle imposte, è legittimata a dedurre (prima in sede di accertamento fiscale e poi in sede contenziosa) la simulazione assoluta o relativa dei contratti stipulati dal contribuente, o la loro nullità per frode alla legge, ivi compresa la legge tributaria (art. 1344 c.c.); la relativa prova può essere fornita con qualsiasi mezzo, anche attraverso presunzioni.

La Corte dunque, anche con riferimento ai “tributi non armonizzati” (ovvero soggetti alla piena normativa degli ordinamenti giuridici dei singoli Stati membri) ha avanzato il principio del disconoscimento o della riqualificazione fiscale degli atti, fatti e negozi posti in essere dal contribuente, in presenza di presupposti integranti i profili dell’elusione o comunque dell’abuso di diritto.

Dalla sentenza n. 22392 del 2005 si ricavano i requisiti oggettivi che caratterizzano il comportamento abusivo ai fini fiscali:

§       l’uso distorto, anche se formalmente lecito, degli strumenti giuridici da parte del contribuente;

§       la presenza di un vantaggio fiscale;

§       l’assenza di valide ragioni economiche.

Dal 2006 e fino alla fine del 2008, la Corte di Cassazione ha affermato il divieto dell’abuso del diritto facendo principalmente rinvio alla giurisprudenza comunitaria. L’esigenza di un chiarimento delle Sezioni Unite in materia tributaria sull’abuso del diritto era stato da tempo invocata, sia dalla dottrina sia dalla giurisprudenza, per delineare e conformare interpretazioni differenti, soprattutto per i giudici di merito, ai fini di una individuazione di presupposti oggettivi certi su cui fondare la pianificazione fiscale nell’esercizio dell’attività d’impresa.

Nel 2008 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con tre sentenze (n. 30055, n. 30056 e n. 30057 del 23 dicembre 2008), si sono pronunciate sulla questione, enunciando alcuni fondamentali principi di diritto:

§       esiste nell’ordinamento tributario un generale principio antielusivo, la cui fonte va rinvenuta non nella giurisprudenza comunitaria, quanto piuttosto negli stessi principi costituzionali che informano l'ordinamento tributario italiano, segnatamente nell’articolo 53 della Costituzione che afferma i principi di capacità contributiva (comma 1) e di progressività dell'imposizione (comma 2). Tali principi costituiscono il fondamento sia delle norme impositive in senso stretto, sia di quelle che attribuiscono al contribuente vantaggi o benefici di qualsiasi genere. In virtù di tale principio generale il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall'utilizzo distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale “in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale”;

§       l’esistenza di questo principio non contrasta né con le successive norme antielusive sopravvenute, che appaiono “mero sintomo” dell’esistenza di una regola generale, né con la riserva di legge di cui all’articolo 23 della Costituzione, in quanto il riconoscimento di un generale divieto di abuso non si traduce nell’imposizione di ulteriori obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, ma solamente nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione delle norme fiscali;

§       l’inopponibilità del negozio abusivo all'erario è rilevabile d’ufficio, anche in sede di legittimità. La Corte ricorda che, per costante giurisprudenza, sono infatti rilevabili d'ufficio le eccezioni poste a vantaggio dell'amministrazione in una materia, come quella tributaria, da essa non disponibile.

Una sostanziale e incisiva rivisitazione della nozione dell’abuso del diritto in materia tributaria si è avuta infine con la sentenza n. 1372 del 21 gennaio 2011 della Corte di Cassazione. In tale occasione la Corte ha affermato che “l’applicazione del principio deve essere guidata da una particolare cautela, essendo necessario trovare una linea giusta di confine tra pianificazione fiscale eccessivamente aggressiva e la libertà di scelta delle forme giuridiche, soprattutto quando si tratta di attività d’impresa. Tale esigenza è particolarmente sentita nei tempi recenti, nei quali si assiste ad un uso sempre più disinvolto dei cd. tax shelterse quindi ad una ricerca comune a tutte le esperienze giuridiche, di individuare adeguate forme di contrasto, anche all’infuori di una codificazione della clausola generale anti abuso”. Pertanto il carattere abusivo deve essere escluso per la compresenza, non marginale di ragioni extrafiscali che non si identificano necessariamente in una redditività immediata ma possono essere anche di natura meramente organizzativa e consistere in miglioramento strutturale e funzionale dell’impresa. Infatti “il sindacato dell’amministrazione finanziaria non può spingersi ad imporre una misura di ristrutturazione diversa tra quelle giuridicamente possibili (e cioè una fusione) solo perché tale misura avrebbe comportato un maggior carico fiscale”.

Anche dal punto di vista dell’onere della prova la sentenza n. 1372/2011 contiene un’affermazione rilevante: l’applicazione del principio dell’abuso del diritto comporta per l’amministrazione finanziaria l’onere di provare le anomalie o le inadeguatezze delle operazioni intraprese dal contribuente cui compete allegare le finalità perseguite, diverse dal mero vantaggio consistente nella diminuzione del carico tributario.

Da ultimo, come detto sopra, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7739 del 2012 ha affermato la rilevanza penale dell’elusione attuata attraverso il ricorso a qualsiasi forma di abuso del diritto. In particolare, il reato di cui all’articolo 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000 (infedele dichiarazione, oltre una certa soglia di imposta non dichiarata) è stato ritenuto configurabile quando la condotta del contribuente, risolvendosi in atti e negozi non opponibili all’Amministrazione finanziaria, comporti comunque una dichiarazione non veritiera.

La Corte dei conti, nel rapporto per il 2012 sul coordinamento della finanza pubblica, ha affermato che la disciplina dell’abuso del diritto discendente dall’elaborazione giurisprudenziale ha corroborato l’azione di contrasto dei comportamenti elusivi svolta dall’amministrazione finanziaria, inducendo in numerosi casi i grandi contribuenti a definire bonariamente la pretesa tributaria, con evidenti benefici sul piano sanzionatorio e della certezza dei rapporti giuridici. Tutto ciò ha dato luogo a notevoli effetti positivi in termini di entrate erariali, tanto che gran parte dei risultati finanziari conseguiti dall’attività di accertamento degli ultimi anni deriva essenzialmente dall’attività antielusiva svolta nei confronti delle grandi imprese.

L’abuso del diritto in dottrina

La dottrina ha definito l’abuso del diritto come l’utilizzo di singole disposizioni dell’ordinamento giuridico secondo modalità che, pur rispettando la lettera delle specifiche norme utilizzate, portano a un risultato difforme o addirittura antitetico rispetto ai principi e alle finalità che sottendono all’ordinamento giuridico di cui quelle stesse norme sono parte (cfr. E. Zanetti, “Abuso del diritto: in particolare sulla rilevabilità d’ufficio e sull’applicazione delle sanzioni” , in “Il fisco” n. 38 del 18 ottobre 2010, pag. 1-6123).

In ambito tributario, l’abuso del diritto consiste nell’utilizzo, anche combinato, delle norme di dirittopositivo che disciplinano il sistema fiscale, al fine di ottenererisparmi di imposta che, seppure coerenti rispetto alla lettera delle specifiche norme di riferimento, risultano contrarialle logiche e ai principi cui è informato l’intero ordinamento tributario.

In dottrina, in particolare, si è discusso dell’opportunità di considerare tra gli elementi qualificanti della fattispecie l’assenza di “valide ragioni economiche” nell’operazione effettuata dal contribuente. Si tratta di un elemento, come visto, considerato essenziale dalla giurisprudenza della Cassazione.

In particolare tale requisito è contestato quando è la stessa legge tributaria a prevedere regimi fiscali alternativi i quali hanno a loro volta giustificazioni puramente fiscali, disgiunte dal risultato pratico dell’operazione. Tipico, ad esempio, è il caso dell’articolo 176 del TUIR dove la “non elusività” della scelta di cedere le partecipazioni della società conferitaria dell’azienda anziché vendere l’azienda medesima è espressamente stabilita dalla legge. Si tratta, quindi, di regimi diversificati per ragioni di ordine puramente fiscale che non possono che condurre a scelte orientate da valutazioni di natura fiscale e, come tali, non sindacabili in base al parametro delle “valide ragioni economiche”.

Vi sono tuttavia ipotesi in cui esistono regimi fiscali differenziati rispetto a operazioni anch’esse praticamente equivalenti la cui ragione giustificatrice non è facilmente individuabile o perché indeterminata fin dall’origine, o perché divenuta tale nel tempo. Si fa riferimento alla possibilità per le società agricole di optare per la tassazione su base catastale, riconosciuta solo alle società di persone e alle società a responsabilità limitata, ma non alle società per azioni, e ciò in modo del tutto indipendente da qualsiasi altra caratteristica strutturale (volume d’affari, numero dei soci, regole organizzative interne, ecc.). Fin quando la linea di discrimine era individuata nel carattere “personale” della società, si poteva ipotizzare che il legislatore avesse voluto limitare il beneficio alle sole ipotesi in cui l’attività agricola era più direttamente riferibile alle persone fisiche. Ma l’inclusione fra i soggetti che possono esercitare l’opzione anche delle società a responsabilità limitata rende la discriminazione incomprensibile. Sembra allora desumibile che la scelta della forma societaria da assumere può legittimamente dipendere da motivi puramente fiscali senza che ciò implichi alcun abuso di diritto (cfr. Guglielmo Fransoni, «Appunti su abuso di diritto e “valide ragioni economiche”», in "Rassegna Tributaria" n. 4 del 2010, pag. 932). Si veda inoltre Andrea Manzitti, “L’abuso del diritto va sottratto all’equivoco”, in “Il Sole 24 Ore” del 14 aprile 2012. Si riporta, inoltre, l’opinione critica di chi sostiene che l’espressione “abuso del diritto” confonda fenomeni totalmente diversi quali la simulazione e l’elusione (G. Falsitta, “Manuale di diritto tributario”, Padova 2010).

Le proposte di legge volte a codificare e disciplinare nell’ordinamento tributario la fattispecie dell’abuso del diritto

Nel corso dell’attuale legislatura sono state presentate delle proposte di legge volte a codificare e disciplinare nell’ordinamento tributario la fattispecie dell’abuso del diritto (A.C. 2521 Leo, A.C. 2578 Strizzolo e A.C. 2709 Jannone). Tutte le proposte di legge propongono di modificare il citato articolo 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973.

L’ A.C. 2521 (Leo) propone l’integrale sostituzione del citato articolo 37-bis del D.P.R. 600/1973. In primo luogo, viene parzialmente riformulata la definizione delle fattispecie inopponibili all’Amministrazione finanziaria. Si mantiene la previsione dell’inopponibilità di atti, fatti e negozi – anche collegati tra loro – privi di valide ragioni economiche e volti ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi altrimenti indebiti.

Rispetto all’attuale formulazione, si specifica che la predetta inopponibilità si applica solo a condizione che i comportamenti indicati siano diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario.

Si prevede che alla riqualificazione sul piano fiscale operata dall'amministrazione finanziaria corrisponda l'inapplicabilità di qualsiasi sanzione penale.

In materia di avviso di accertamento al contribuente si ribadisce la previa necessità di richiesta di chiarimenti al contribuente, anche per lettera raccomandata che, rispetto alla formulazione vigente, si propone sia spedita con avviso di ricevimento. Si intende inoltre estendere le predette garanzie per il contribuente a ogni contestazione avente a oggetto l'elusione, l'aggiramento o l'abuso di norme tributarie. Si ribadisce, inoltre, l’obbligo di motivazione a pena di nullità, in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente.

In nessun caso le disposizioni antielusive possono essere applicate d'ufficio dal giudice, in qualsiasi stato e grado del giudizio, in mancanza di specifica e motivata contestazione nell'avviso di accertamento impugnato, con le modalità e con le garanzie per il contribuente stabilite nella norma proposta. Tale previsione è estesa ad ogni contestazione avente ad oggetto l'elusione, l'aggiramento o l'abuso di norme tributarie.

Infine, si prevede l’applicazione delle norme in materia di abuso alle imposte sui redditi e indirette, alle tasse e a ogni altra prestazione avente natura tributaria, anche a carattere locale, ampliando di fatto l’ambito applicativo attualmente vigente. Si intende, pertanto, rendere censurabili, anche sulla base delle conclusioni interpretative cui è pervenuta la Corte di cassazione, ai sensi della normativa proposta, tutti i comportamenti elusivi o abusivi indipendentemente dal comparto impositivo di riferimento.

Si prevede, infine l’efficacia retroattiva alla novella introdotta, derogando alle disposizioni poste a tutela dei diritti del contribuente dall'articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212. Considerata la natura delle norme che la presente proposta di legge mira ad introdurre, la loro applicazione retroattiva ai rapporti ancora pendenti (ossia per i quali non sia intervenuta una sentenza definitiva) alla data di entrata in vigore della legge evita - per quanto possibile - disparità nell'applicazione di norme aventi un carattere solo formalmente innovativo, ma sostanzialmente volte a consolidare e precisare alcuni elementi di garanzia nell'applicazione delle già vigenti misure antielusive.

L’A.C. 2578 (Strizzolo) interviene sull'articolo 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, apportando alcune modifiche alle disposizioni vigenti. Si specifica che la finalità di aggiramento di obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario si può concretare anche mediante abuso del diritto, e pur se non venga violata alcuna specifica disposizione di legge.

Si definisce inoltre la fattispecie di abuso del diritto a fini antielusivi, da intendersi – in recepimento dell’indirizzo giurisprudenziale consolidato nel tempo - come l'utilizzo distorto o artificioso di una o più disposizioni di legge, precipuamente finalizzato a ottenere vantaggi fiscali illegittimi o, comunque, contrari alle finalità perseguite dalla normativa tributaria.

È fatta salva per il contribuente la facoltà di scegliere le forme giuridiche negoziali o i modelli organizzativi che comportano l'applicazione del regime d'imposizione più favorevole.

Infine l'obbligo di motivazione specifica dell’avviso di accertamento non deve più riguardare le giustificazioni del contribuente, bensì le circostanze di fatto per le quali si ritiene applicabile il disposto delle disposizioni antielusive, tenendo conto delle suddette giustificazioni del contribuente.

Anche l’A.C. 2079 (Jannone), con analoghe finalità, intende intervenire sull'ordinamento tributario vigente per contrastare il cosiddetto abuso di diritto, intervenendo sull'articolo 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, recando disposizioni analoghe a quelle previste dall’A.C. 2578.

Vengono altresì fatte salve le operazioni relative agli utili percepiti dall'usufruttuario, quando la costituzione o la cessione del diritto di usufrutto è stata effettuata da soggettinon residenti privi di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato, se poste in essere prima del 10 settembre 1992 (data di entrata in vigore del decreto-legge 9 settembre 1992, n. 372).

L’abuso del diritto in Europa

Il tema dell’abuso del diritto è stato affrontato anche in altri paesi (ad esempio, Francia e Germania), dove si è intervenuti legislativamente, con modifiche a norme antielusive già esistenti, di cui si è ampliata la portata. Le nuove normative prevedono un rafforzamento delle garanzie procedurali per i contribuenti.

In Francia è prevista una norma generale anti-abuso che si caratterizza per essere una disposizione procedurale, la quale definisce il concetto di abuso del diritto solo in via strumentale, al fine di delimitare le modalità a disposizione dell’Amministrazione finanziaria per contrastarlo. A partire dal 2006, alcune pronunce giurisprudenziali del Consiglio di Stato francese, insieme a quelle della Corte di Giustizia europea, hanno alimentato il dibattito sull’abuso del diritto, alla base del cd. “rapporto Fouquet”, predisposto da una commissione ministeriale. In estrema sintesi, il rapporto evidenziava come il contrasto all’abuso del diritto doveva essere affrontato in termini di maggiore certezza giuridica e di maggiori garanzie procedurali per il contribuente nei confronti delle pretese dell’Amministrazione. Il legislatore francese, seguendo quanto suggerito dal “rapporto Fouquet”, ha modificato la legislazione in materia di abuso del diritto; le nuove norme si applicano a partire dal 1° gennaio 2009. Si è passati a una clausola generale anti-abuso basata su una definizione più ampia del concetto di abuso, mantenendo invariate le garanzie procedurali dei contribuenti, che ne escono anzi rafforzate grazie alla nuova composizione del comitato consultivo. E’ infatti previsto un “comitato sull’abuso del diritto fiscale”, che, per tutelare gli interessi e le posizioni dei contribuenti, è composto non solo da membri di nomina governativa, come avveniva in passato, ma anche da componenti rappresentanti delle professioni contabili e giuridiche.

In Germania già la legge generale tributaria tedesca del 1977 prevedeva una clausola generale anti-abuso, che non definiva però il concetto di abuso del diritto; la sua vaghezza era di ostacolo tanto ai contribuenti quanto alle autorità fiscali. Nel corso degli anni, la Corte federale tributaria tedesca (Bundesfinanzhof, o BFH) ha cercato di colmare questa lacuna; nelle sue pronunce sono state spesso considerate abusive quelle strutture che apparivano inusuali, artificiose e non finalizzate al perseguimento di valide ragioni economiche. Nel 2008 si è deciso di introdurre una definizione di abuso del diritto: questo si verifica solo quando il contribuente sceglie una struttura legale “inadeguata” rispetto al fatto economico, che comporta per lui o per un terzo, in confronto ad una forma adeguata, un beneficio fiscale non previsto dalla legge. L’abuso non si concretizza se il contribuente dimostra che la forma giuridica scelta risponde a ragioni extrafiscali meritevoli di tutela. L’onere della prova circa l’appropriatezza o meno delle strutture utilizzate è a carico delle autorità fiscali tedesche. Dinanzi alla contestazione di inappropriatezza degli schemi utilizzati, il contribuente potrà replicare dimostrando che l’operazione è comunque motivata da rilevanti ragioni di natura non tributaria.

In Gran Bretagna non è presente una disciplina generale sulla frode alla legge o sull’elusione. Ciò significa che, in linea di principio, nell’ambito di tale ordinamento, non è di per sé illecito strutturare un negozio giuridico con modalità tali da eludere l’applicazione di determinate disposizioni di legge, anche qualora si tratti di leggi che vietano l’utilizzo di strutture poste in essere al fine di non pagare i tributi.

Nel Regno Unito, pertanto, non esiste, ai fini fiscali, una norma di legge che abbia carattere generale, mentre esistono, per un certo numero di imposte e per specifiche finalità, una serie di norme speciali finalizzate ad evitare che, in relazione ad una determinata fattispecie, si possa “abusare” di un certo incentivo fiscale.

Al riguardo, occorre evidenziare che il sistema giuridico inglese ha sempre attribuito maggiore rilievo alla “sostanza” di un negozio giuridico, piuttosto che alla sua “forma”. Di conseguenza, se la qualificazione giuridica che le parti hanno attribuito al negozio (es. una donazione) non corrisponde agli effetti concretamente voluti dalle parti (es. quelli di un “prestito”), le Corti faranno esclusivo riferimento all’effettiva intenzione delle parti.

In tale contesto spetta al contribuente provare che non è dovuta l’imposta relativa ad una determinata operazione e, in taluni casi, lo stesso può addurre che la transazione è ispirata da ragioni di bona fides commerciale e che non persegue lo scopo principale di ottenere vantaggi fiscali. Dal canto proprio, l’Amministrazione ha ampi poteri di accertamento dei comportamenti elusivi posti in essere dai contribuenti e ciò spiega la possibilità, in relazione a molte disposizioni di ampio tenore, di ricorrere a procedure di clearance (una sorta di interpello), finalizzate ad evitare l’applicazione delle norme antielusive.

In Spagna la normativa finalizzata a contrastare la c.d. Fraude a la Ley tributaria non ha mai avuto una concreta applicazione, richiedendo la normativa fiscale, fin dall’origine, l’accertamento dell’“intenzione ingannatoria”, difficilmente accertabile nei fatti.

L’elusione in ambito internazionale si manifesta come quell’arbitraggio che si realizza ogni qual volta il contribuente pone in essere un’operazione transnazionale con l’intento di trarre vantaggio dalle diverse tipologie e modalità di imposizione esistenti nei vari Paesi, in maniera da ridurre al minimo il proprio carico impositivo (c.d. “arbitraggio fiscale dannoso”). Ciò risulta possibile proprio perché gli ordinamenti giuridici dei vari Stati risultano estremamente diversi tra loro.

Lo sfruttamento delle differenze esistenti negli ordinamenti fiscali europei deve, tuttavia, fare i conti con i principi del diritto fiscale internazionale e del suo ruolo nell’interpretazione delle leggi nazionali e delle Convenzioni fiscali contro la doppia imposizione, nel rispetto dei limiti della sovranità statale e della giurisdizione nazionale in materia fiscale. In tal senso, infatti, lo stesso Commentario al Modello di Convenzione OCSE opportunamente modificato nel 2003, dispone all’art. 1 che “…laddove la disposizione contro l’abuso fiscale siano incardinate alle regole fondamentali della legislazione nazionale che determinano i fatti generatori dell’imposta, le stesse non sono influenzate dalle convenzioni in quanto dette regole sono estranee alla materia considerata dalle convenzioni fiscali. Pertanto, di regola non vi sarà conflitto tra tali disposizioni e le disposizioni delle convenzioni fiscali (…)”.


 

Articolo 6
(Gestione del rischio fiscale, governance aziendale e tutoraggio)

 


1. Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui all'articolo 1, norme che prevedono forme di comunicazione e di cooperazione rafforzata tra le imprese e l'amministrazione finanziaria, nonché, per i soggetti di maggiori dimensioni, la previsione di sistemi aziendali strutturati di gestione e di controllo del rischio fiscale, con una chiara attribuzione di responsabilità nel quadro del complessivo sistema dei controlli interni.

2. Nell'introduzione delle norme di cui al comma 1 il Governo può, altresì, prevedere incentivi sotto forma di minori adempimenti per i contribuenti e di riduzioni delle eventuali sanzioni.

3. Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui all'articolo 1, disposizioni per revisionare e per ampliare il sistema di tutoraggio al fine di garantire una migliore assistenza ai contribuenti, in particolare a quelli di minori dimensioni e operanti come persone fisiche, per l'assolvimento degli adempimenti, per la predisposizione delle dichiarazioni e per il calcolo delle imposte.

4. Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui all'articolo 1, disposizioni per la revisione della disciplina degli interpelli, allo scopo di garantirne una maggiore omogeneità, anche ai fini di una migliore tutela giurisdizionale e di una maggiore tempestività nella redazione dei pareri.


 

 

L’articolo 6 delega il Governo ad introdurre norme volte alla costruzione di un migliore rapporto tra fisco e contribuenti attraverso forme di comunicazione e cooperazione rafforzata.

Le imprese di maggiori dimensioni dovranno costituire sistemi di gestione e controllo del rischio fiscale, con una chiara attribuzione di responsabilità nel sistema dei controlli interni. A fronte di ciò saranno previsti minori adempimenti per i contribuenti, con la riduzione delle eventuali sanzioni (commi 1 e 2).

È previsto, inoltre, l’ampliamento del tutoraggio dell’amministrazione finanziaria nei confronti dei contribuenti, in particolare quelli di minori dimensioni e operanti come persone fisiche, ai fini dell’assolvimento degli adempimenti, della predisposizione delle dichiarazioni e del calcolo delle imposte (comma 3).

Infine si prevede la revisione della disciplina degli interpelli, per garantirne una maggiore omogeneità anche ai fini di una migliore tutela giurisdizionale ed una maggiore tempestività nella redazione dei pareri (comma 4).

Comunicazione e cooperazione rafforzata tra le imprese e l’amministrazione finanziaria (c.d. “enhanced relationship”)

La relazione governativa afferma che la ricerca di più efficaci strategie di azione da parte delle amministrazioni fiscali passa, come suggerito dall'OCSE, attraverso l'introduzione di incentivi per i contribuenti più corretti e di disincentivi per quelli che scelgono di perseverare in comportamenti di aggressive tax planning. In questo contesto, diventa cruciale la costruzione di un migliore rapporto fisco-contribuenti ("enhanced relationship"), basato su dialogo, fiducia reciproca, collaborazione, piuttosto che sul confronto conflittuale.

Le esperienze di altri paesi dimostrano la validità di relazioni collaborative tra fisco e contribuenti, nonché con i consulenti fiscali, atteso il ruolo di intermediazione da essi svolto. La costruzione di un migliore rapporto tra le parti contribuisce alla creazione di un quadro ordinamentale più affidabile, in grado di favorire gli investimenti delle imprese.

 

Va rilevato che il recente decreto legge «salva Italia» (n. 201 del 2011, articolo 10, commi 1-13) ha già in parte anticipato tale previsione, introducendo, dal 2013, il nuovo regime della trasparenza rivolto ai soggetti che svolgono attività artistica, professionale o di impresa, in forma individuale o associata (escluse le società di capitali). Si tratta di un regime finalizzato a incoraggiare la trasparenza fiscale e l'emersione.

La norma è congeniata in modo da abbinare la volontaria accettazione di adempimenti in grado di rafforzare fortemente i controlli e l'accertamento da parte del fisco (in particolare sono previsti: l'invio telematico all'amministrazione finanziaria dei corrispettivi, delle fatture emesse e ricevute; la tracciabilità delle operazioni bancarie di tutti i movimenti finanziari di importo superiore a 1.000 euro; l'accesso diretto alle evidenze sulle disponibilità finanziarie) a una serie di vantaggi di tipo premiale, quali: la drastica semplificazione degli adempimenti amministrativi; il tutoraggio prestato dall'amministrazione fiscale, sia ai fini degli adempimenti Iva, sia ai fini degli adempimenti in qualità di sostituto d'imposta; una corsia preferenziale per i rimborsi e le compensazioni dei crediti Iva; l’esclusione degli accertamenti basati sulle presunzioni semplici per i contribuenti non soggetti all’accertamento basato sugli studi di settore; la riduzione di un anno dei termini di decadenza per l’attività di accertamento delle imposte dirette.

Gestione del rischio fiscale

Per i soggetti di maggiori dimensioni il Governo è delegato a disciplinare sistemi aziendali strutturati di gestione e controllo del rischio fiscale, con una chiara attribuzione di responsabilità nel quadro del complessivo sistema dei controlli interni.

La relazione governativa ritiene necessario favorire nelle imprese la diffusione di modelli della funzione fiscale basati non più esclusivamente sulla "minimizzazione degli oneri fiscali", ma su una vera e propria "gestione del rischio di compliance fiscale". L'adozione di questi modelli implica che le imprese costruiscano una "mappa" dei rischi di compliance fiscale, approntino meccanismi di gestione e controllo dei medesimi rischi e definiscano una chiara attribuzione delle responsabilità, nel quadro del complessivo sistema dei controlli interni e di governance aziendale.

Queste nuove modalità di gestione dei rischi costituiscono la piattaforma su cui innestare nuove e più evolute forme di verifica da parte del fisco. L'enfasi del controllo si sposterebbe sulla verifica dell'affidabilità e coerenza del sistema di gestione e controllo dei rischi fiscali dell'impresa, in un rapporto di interlocuzione con gli organi di gestione aziendale e con gli auditors. Le verifiche dovranno in ogni caso tenere conto dell'esigenza di minimizzare gli impatti sull'ordinario svolgimento dell'attività d'impresa.

 

Si ricorda che l’articolo 27 del D.L. n. 185 del 2008 ha introdotto, con riferimento ai controlli fiscali nonché alle procedure di liquidazione automatica e di controllo formale, una specifica disciplina per i contribuenti di grandi dimensioni.

La macrotipologia dei "grandi contribuenti" comprende i contribuenti con volume d'affari, ricavi o compensi superiori a cento milioni di euro. In via generale, tale soglia di riferimento deve essere individuata considerando, per ciascun periodo d’imposta, il valore più elevato tra i seguenti dati, indicati nelle dichiarazioni presentate ai fini delle imposte sui redditi e ai fini Iva:

§      i ricavi (articolo 85, comma 1, lett. a) e b), del Tuir)

§      l’ammontare lordo complessivo dei compensi derivanti dall’esercizio di arti e professioni (articolo 53, comma 1, del Tuir)

§      il volume d’affari (articolo 20 del D.P.R. n. 633/1972)

All’interno della tipologia di contribuenti sopra descritta, vi è la sottocategoria delle "imprese di più rilevante dimensione", ossia quelle che nell’anno d’imposta considerato presentano un volume d’affari o ricavi non inferiore a centocinquanta milioni di euro (duecento milioni fino al 31/12/2010 e trecento fino al 31/12/2009). Tale soglia è funzionale all’individuazione dei contribuenti sottoposti all’ulteriore attività di tutoraggio, ed è destinata a sovrapporsi alla soglia di identificazione dei grandi contribuenti entro il 31 dicembre 2011.

I grandi contribuenti sono soggetti alle seguenti attività di controllo da parte delle Direzioni regionali:

a)   attività di liquidazione (articoli 36-bis del D.P.R. 600/1973 e 54-bis del D.P.R. 633/1972) relativa ai periodi d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 2006 e successivi;

b)   controllo formale previsto dall'articolo 36-ter del D.P.R. n. 600 del 1973, relativamente ai periodi d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 2006 e successivi;

c)   controllo sostanziale con riferimento al quale, alla data del 1° gennaio 2009, siano ancora in corso i termini previsti dall'articolo 43 del D.P.R. 600/1973 e dall'articolo 57 del D.P.R. 633/1972;

d)   recupero dei crediti inesistenti utilizzati in compensazione (articolo 17 del D.Lgs. 241/1997) con riferimento ai quali, alla data di entrata in vigore del D.L. 185/2008, siano in corso i termini per il relativo recupero;

e)   gestione del contenzioso relativo a tutti gli atti di competenza delle strutture stesse;

e-bis)     il rimborso in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto, relativo ai periodi d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 2006 e successivi.

L’Agenzia delle Entrate, per mezzo degli uffici delle Direzioni regionali, attiva, di norma entro l’anno successivo a quello di presentazione delle dichiarazioni, un controllo sostanziale a carico delle imprese di più rilevante dimensione, sia in materia di imposte dirette che di Iva. Tale controllo viene attivato in base alle risultanze di specifiche analisi di rischio concernenti il settore produttivo di appartenenza dell'impresa o, se disponibile, il profilo di rischio della singola impresa, dei soci, delle partecipate e delle operazioni effettuate, desunto anche dai precedenti fiscali. L’attività di tutoraggio consiste, pertanto, in un monitoraggio dei comportamenti di queste imprese, attraverso l’utilizzo di approcci differenziati in considerazione delle caratteristiche di tale tipologia di soggetti. A ciascun contribuente tutorato viene attribuito un livello di rischio differente per grado e tipologia, funzionale all’individuazione della più adeguata modalità istruttoria da utilizzare nel controllo.

Nel corso dell’audizione presso la Commissione finanze della Camera del 31 gennaio 2012, il direttore dell’Agenzia delle entrate Attilio Befera ha affermato che nel 2012 l’istituto del “tutoraggio” dei soggetti di grandi dimensioni è entrato a pieno regime: la platea dei soggetti si è estesa a tutti quelli con volume d’affari o ricavi non inferiori a 100 milioni di euro. I grandi contribuenti nei cui confronti sarà svolto il tutoraggio passano quindi dai circa 2.000 del 2011 agli oltre 3.100 del 2012.

Con riferimento ai grandi contribuenti l’Agenzia delle entrate ha reso noto di aver intrapreso da tempo, anche attraverso il ruling internazionale, un percorso ispirato alla strategia delle cosiddette “enhanced relationships”. Tale strategia, fortemente raccomandata a livello OCSE (e finora pienamente sposata solo da pochi Paesi) consiste nella ricerca di un dialogo con le grandi aziende finalizzato alla prevenzione piuttosto che alla repressione delle violazioni fiscali, mediante il confronto preventivo su tematiche di particolare impatto, quali, per citare le principali, quelle che attengono al transfer pricing o a operazioni di finanza strutturata che potrebbero risultare connotate da profili elusivi o abusivi.

 

Si rammenta che il D.Lgs. n. 231 del 2001 (Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica) ha introdotto nel nostro ordinamento una forma di responsabilità amministrativa delle società e degli enti per gli illeciti penali commessi dai propri amministratori e dipendenti che si verifica per tutti quei reati commessi a vantaggio o nell’interesse dell’organizzazione stessa, da parte dei soggetti in posizione di vertice, oppure dai soggetti subordinati ai funzionari in posizione di vertice, qualora il reato sia stato commesso poiché questi ultimi non hanno osservato diligentemente gli obblighi di direzione e vigilanza.

Per non incorrere in tale responsabilità le imprese e gli enti interessati possono dotarsi di un modello di gestione e prevenzione dei reati corruttivi previsto dal D.Lgs. 231/2001; in tal caso tale responsabilità viene esclusa, evitando pesanti sanzioni a carico dell’Ente. In particolare l’articolo 6 dispone che l'ente non risponde se prova che:

§       l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;

§       il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;

§       le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;

§       non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui alla lettera b).

In dottrina è stato osservato che la necessità di creare modelli organizzativi per evitare l'applicazione di sanzioni in relazione a comportamenti illeciti sempre più comuni (quali i reati connessi con la sicurezza del lavoro) è stata interpretata dalle imprese e dagli enti interessati prevalentemente in modo negativo, quale ulteriore adempimento generatore di costi e responsabilità di cui se ne poteva fare certamente a meno. Questo modo di interpretare la normativa ha portato le stesse a creare modelli organizzativi "di facciata" senza vedere in questi alcuna utilità diretta sul piano gestionale e strategico. La giurisprudenza, con sanzioni gravi, ha punito questo tipo di approccio disattendendo il modello, in quanto non creato a misura sull'impresa, ma copiato da un prototipo soggettivamente inefficace.

I modelli organizzativi di cui alla citata normativa possono essere inquadrati a fondamento di un sistema integrato di controlli che consentano di gestire in modo efficiente e puntuale qualsiasi forma di rischio (compreso quello fiscale), offrendo all'imprenditore, ai soci e alla governance aziendale un vero e proprio sistema capace di monitorare l'attività dell'impresa.

 

Il comma 2 prevede che nella introduzione delle norme relative alla comunicazione e cooperazione rafforzata tra imprese e amministrazione finanziariae alla gestione del rischio fiscale, il Governo possa, altresì, prevedere incentivi sotto forma di minori adempimenti per i contribuenti e di riduzione delle eventuali sanzioni.

 

Il comma 3 contieneuna delega al Governo per introdurre disposizioni per revisionare ed ampliare il ‘tutoraggio’ al fine di garantire una migliore assistenza ai contribuenti, in particolare quelli di minori dimensioni e operanti come persone fisiche, per l’assolvimento degli adempimenti, la predisposizione delle dichiarazioni e il calcolo delle imposte

Il tutoraggio può essere definito come il complesso di attività che vengono svolte da parte dell’Agenzia delle entrate a favore dei contribuenti, in rapporto diretto con loro. Tale servizio gratuito è stato istituito a favore delle imprese che usufruiscono del regime fiscale agevolato per le nuove iniziative produttive, previsto dal’articolo 13 della legge n. 388 del 2000 (c.d. forfettino).

Si tratta del regime fiscale opzionale della durata massima di 3 periodi d'imposta utilizzabile da chi intraprende una nuova attività e che consente di versare un'imposta sostitutiva dell'IRPEF e delle relative addizionali (regionale e comunale) del 10%. Per potersi avvalere di questo regime devono ricorre le seguenti condizioni:

§      non si deve aver esercitato attività d'impresa/lavoro autonomo negli ultimi 3 anni;

§      l'attività che si andrà ad esercitare non deve costituire, in alcun modo, mera prosecuzione di altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo, anche occasionale;

§      nel caso di prosecuzione di un'attività d'impresa svolta in precedenza da altro soggetto, l'ammontare dei relativi ricavi (non ragguagliato ad anno) realizzati nel periodo d'imposta precedente quello d'inizio della nuova impresa non deve essere superiore ad € 30.987,41 per le imprese aventi per oggetto prestazioni di servizi ovvero ad € 61.947,83 per le imprese aventi ad oggetto altre attività.

§      l'imprenditore/lavoratore autonomo deve regolarmente adempiere gli obblighi previdenziali, assicurativi ed amministrativi.

 

L’assistenza si svolge, prevalentemente, attraverso collegamenti telematici tra il contribuente e il sistema informativo dell’Agenzia e, in tutti i casi in cui l’informazione richiesta non può essere trattata in maniera automatica, mediante rapporti diretti con l’ufficio o tramite la posta elettronica. Gli uffici locali aiutano i contribuenti negli adempimenti tributari e forniscono consulenza nelle materie relative all’applicazione del regime fiscale agevolato.

La procedura informatica a disposizione dei contribuenti consente di comunicare i dati necessari per la elaborazione della contabilità e per il conseguente obbligo di dichiarazione, permettendo agli uffici territorialmente competenti di monitorare i dati trasmessi dai contribuenti.

 

Il comma 4 prevede che il Governo introduca disposizioni per la revisione della disciplina degli interpelli, al fine di garantirne una maggiore omogeneità, e in tal modo una migliore tutela giurisdizionale, ed una maggiore tempestività nella redazione dei pareri.

L’interpello è l’istanza del contribuente volta ad ottenere, prima di porre in essere il comportamento giuridicamente rilevante o di dare attuazione alla norma oggetto del quesito, il parere dell’amministrazione finanziaria in ordine alla interpretazione di una norma tributaria obiettivamente incerta rispetto ad un caso concreto e personale riferibile all’istante.

Le istanze di interpello all’Agenzia delle entrate concernenti i tributi gestiti dalla stessa sono raggruppabili, sotto il profilo procedurale, in tre distinte categorie:

§      l’interpello cosiddetto ordinario, presentato ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente): consiste nella facoltà, da parte di ciascun contribuente, di porre quesiti alla Direzione regionale dell'Agenzia delle entrate, se vi sono obiettive condizioni di incertezza nella normativa fiscale relativamente a casi concreti e personali.

La risposta deve essere resa nel termine di centoventi giorni; in caso di silenzio sull’istanza si forma l’assenso sulla soluzione interpretativa prospettata dal contribuente; il parere dell’Agenzia non vincola il contribuente ma gli uffici dell’amministrazione finanziaria i quali, salva la possibilità di rettificare il parere, non possono emettere atti impositivi e/o sanzionatori difformi dal contenuto della risposta fornita in sede di interpello, limitatamente al quesito oggetto di interpello ed in ogni caso nel presupposto che i fatti accertati coincidano con quelli rappresentati nell’originaria istanza.

Rientrano, inoltre, in questa categoria

§       le istanze per la continuazione del consolidato nazionale a seguito di talune operazioni straordinarie che, in genere, determinano l’interruzione della tassazione di gruppo (articolo 124, comma 5, del TUIR);

§       le istanze per verificare la sussistenza dei requisiti necessari ai fini dell’opzione per il consolidato mondiale (articolo 132, comma 3, del TUIR);

§       le istanze per la disapplicazione del regime della c.d. participation exemption sulle partecipazioni acquisite per il recupero dei crediti bancari (articolo 113, comma 1, del TUIR: partecipazioni acquisite nell’ambito degli interventi realizzati per il recupero dei crediti o derivanti dalla conversione in azioni di nuova emissione dei crediti verso imprese in temporanea difficoltà finanziaria);

§       le istanze volte a dimostrare, da parte delle imprese impegnate in processi di ricerca e sviluppo, il possesso degli ulteriori requisiti di cui all’articolo 1, comma 54, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, necessari per escludere l’applicazione del limite di utilizzazione dei crediti d’imposta di cui al medesimo articolo 1, comma 53, della stessa legge.

§       le istanze di disapplicazione della disciplina sulle Controlled Foreign Companies presentate ai sensi degli articoli 167 e 168 del Tuir; attraverso tale interpello il soggetto residente dimostra preventivamente, fornendo le informazioni necessarie e allegando idonea documentazione, la sussistenza dei presupposti per ottenere la disapplicazione della normativa sulle imprese estere partecipate, relativamente a ciascuna controllata estera;

§      l'interpello cosiddetto speciale, istituito dall’articolo 21 della legge n. 413 del 1991, volto ad ottenere un parere sul carattere potenzialmente elusivo di alcune operazioni o sulla corretta classificazione di alcune spese. Tale interpello può avere per oggetto soltanto determinate operazioni (trasformazioni, fusioni, ecc.), considerate potenzialmente elusive.

Rientrano, inoltre, in questa categoria le istanze, presentate ai sensi dell’articolo 110, comma 10, del TUIR per ottenere la deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con soggetti residenti o domiciliati nei territori o Stati diversi da quelli che consentono un adeguato scambio di informazioni (articolo 168-bis del Tuir);

§      l'interpello cosiddetto disapplicativo, previsto dall'art. 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973. Mediante tale interpello, il contribuente può chiedere la disapplicazione di una norma antielusiva speciale.

Rientrano, inoltre, in questa categoria le istanze presentate dalle società non operative (articolo 30, comma 4-bis, della legge 23 dicembre 1994, n. 724)

Tutte le tipologie di interpello, a pena d’inammissibilità, devono essere presentate in via preventiva, ossia prima della scadenza del termine ordinario di presentazione della dichiarazione per quei comportamenti che trovano attuazione nella dichiarazione stessa. L’istanza deve contenere la rappresentazione del caso concreto prospettato dal contribuente. L’istante deve esporre in modo chiaro e documentare in maniera esaustiva tutti gli elementi utili a ricostruire la fattispecie in relazione alla quale l’Agenzia è chiamata a formulare il proprio parere.

Le istruzioni specifiche sulla trattazione delle istanze di interpello sono contenute nella Circolare n. 32/E dell’Agenzia delle entrate del 14 giugno 2010. La Circolare n. 42/E del 5 agosto 2011 contiene, inoltre, le istruzioni sulla trattazione delle richieste di consulenza giuridica.


 

Articolo 7
(Semplificazione)

 


1. Il Governo è delegato a provvedere, con i decreti legislativi di cui all'articolo 1:

a) alla revisione sistematica dei regimi fiscali e al loro riordino, al fine di eliminare complessità superflue;

b) alla revisione degli adempimenti, con particolare riferimento a quelli superflui o che diano luogo, in tutto o in parte, a duplicazioni, ovvero che risultino di scarsa utilità per l'amministrazione finanziaria ai fini dell'attività di controllo e di accertamento o comunque non conformi al principio di proporzionalità;

c) alla revisione, a fini di semplificazione, delle funzioni dei sostituti d'imposta e di dichiarazione, dei centri di assistenza fiscale e degli intermediari fiscali, con potenziamento dell'utilizzo dei sistemi informatici.


 

 

L’articolo 7 delega il Governo a riformare nell’ottica della semplificazione gli attuali regimi fiscali; dovranno essere semplificati anche gli adempimenti, specialmente quelli che si ritengono superflui ai fini del controllo e dell’accertamento da parte dell’amministrazione finanziaria, o comunque non conformi al principio di proporzionalità. Infine dovranno essere semplificate anche le funzioni dei sostituti d'imposta, dei Caf e degli intermediari, attraverso il potenziamento dell'utilizzo dell'informatica.

a)   Revisione dei regimi fiscali

La lettera a) del comma 1 delega il Governo a rivedere sistematicamente e a riordinare gli attuali regimi fiscali, al fine di eliminare complessità superflue. L'attuale sistema fiscale è caratterizzato da numerosi regimi contabili e da diversi regimi speciali di applicazione di singole imposte.

Il regime fiscale di un’impresa può essere definito come l’insieme di documenti da tenere e formalità da osservare per essere in regola con il fisco e per il calcolo esatto del risultato d’esercizio, anche ai fini della compilazione del bilancio e della dichiarazione dei redditi. Prima che dalle norme fiscali, gli imprenditori sono obbligati a tenere la contabilità dal codice civile (articoli 2214-2220).

 

I regimi fiscali vigenti

L’ordinamento contempla diversi regimi fiscali:

a)    regime ordinario, disciplinato dall’articolo 13 e seguenti del D.P.R. n. 600 del 1973.

b)    regime semplificato per le imprese minori, disciplinato dall’art. 18, D.P.R. n. 600/1973 (si veda anche l’articolo 9 del D.L. n. 69/89 e l’articolo 32 del D.P.R. n. 633 del 1972, recentemente modificato dall’articolo 3 del D.L. n. 16 del 2012);

c)    regime agevolato per le nuove iniziative imprenditoriali e di lavoro autonomo (c.d. forfettino), disciplinato dall’art. 13, L. 388/2000 e dal provvedimento Agenzia Entrate 14 marzo 2001;

d)    regime dei contribuenti minimi (c.d. forfettone), disciplinato dall’art. 1, commi da 96 a 117, L. 244/2007;

e)    regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità (nuovo regime dei “minimi”), disciplinato dall’articolo 27 del D.L. n. 98 del 2011;

f)      nuovo regime della trasparenza, articolo 10, commi 1-13, del D.L. n. 201 del 2011.

Regime di contabilità ordinaria

Sono sottoposti al regime di contabilità ordinaria:

§       le società e gli enti commerciali soggetti all’imposta sul reddito delle società (IRES);

§       gli imprenditori individuali e le società di persone quando i ricavi dell’anno precedente o quelli previsti per le imprese di nuova costituzione superano:

- € 400.000 in caso l’attività consista in prestazioni di servizi

- € 700.000 in caso di altre attività (tali soglie sono state così elevate dall’articolo 7 del D.L. n. 70 del 2011).

Tale regime è facoltativo per tutte le imprese che non rientrano nei casi sopra elencati. Se si vuole adottare questo regime è necessario effettuare fiscalmente un’opzione, consistente nel tenere il “comportamento concludente”, cioè nell’applicare materialmente il regime e comunicare la scelta eseguita, contrassegnando la relativa casella, nella successiva dichiarazione IVA inerente l’anno per il quale si è utilizzato il regime ordinario.

In tale regime sono obbligatorie le seguenti scritture contabili:

a)    il libro giornale e il libro degli inventari;

b)    i registri prescritti ai fini IVA;

c)    le scritture ausiliarie (conti di mastro) in cui registrare gli elementi patrimoniali e reddituali che concorrono alla formazione del reddito;

d)    le scritture ausiliarie di magazzino;

e)    il registro dei cespiti.

Regime di contabilità semplificata per le imprese minori

Possono accedere al regime semplificato in esame le imprese che realizzano ricavi annui non superiori:

§       a € 400.000 se esercenti prestazioni di servizi;

§       a € 700.000 se esercenti attività diverse (cessione di beni, produzione, ecc.).

La contabilità semplificata è il regime naturale degli artisti e dei professionisti, a prescindere dal volume d’affari. E’ fatta salva, in ogni caso, la facoltà del contribuente di optare per l’applicazione del regime ordinario.

Le agevolazioni per i contribuenti in regime semplificato riguardano il profilo degli adempimenti contabili; sono previste, infatti, semplificazioni rispetto al regime ordinario quali, ad esempio, l’esonero dall’obbligo di redigere il bilancio di esercizio e della tenuta del libro giornale. Sono obbligatori i seguenti registri:

a)    registri IVA (fatture emesse, corrispettivi e fatture di acquisto). Su tali registri devono essere annotate anche le operazioni non soggette ad IVA ma rilevanti per la determinazione del reddito;

b)    registro dei beni ammortizzabili. In alternativa, il contribuente può provvedere a specifiche annotazioni relative ai beni strumentali da ammortizzare nel registro IVA degli acquisti;

c)    libro unico del lavoro, qualora il contribuente si avvalga, nell’attività d’impresa, di lavoratori dipendenti o assimilati.

Ulteriori libri o registri possono essere richieste da leggi speciali con riferimento a specifiche attività svolte.

Regime agevolato per le nuove iniziative imprenditoriali e di lavoro autonomo
(c.d. forfettino)

Possono accedervi le persone fisiche che avviano una nuova attività limitatamente ai primi 3 periodi d’imposta ed in possesso dei seguenti requisiti:

a)    non aver esercitato negli ultimi 3 anni un’attività d’impresa o professionale, anche in forma associata;

b)    l’attività non deve costituire una mera prosecuzione di altra attività precedentemente svolta dal medesimo soggetto sotto forma di lavoro dipendente o autonomo;

c)    l’ammontare dei ricavi o compensi non deve essere superiore a 30.987,41 euro per le imprese esercenti prestazioni di servizi e per i lavoratori autonomi, ovvero a 61.974,83 euro per le imprese aventi per oggetto altre attività. I medesimi limiti operano, con riferimento al periodo d’imposta precedente quello di inizio della nuova impresa, nei casi in cui venga rilevata un’impresa già esistente;

d)    siano regolarmente adempiuti gli obblighi previdenziali, assicurativi e amministrativi.

Sul piano tributario, al reddito imponibile - determinato applicando le regole del regime semplificato - si applica un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali fissata in misura pari al 10 per cento.

In materia di IVA viene previsto il solo pagamento annuale dell’imposta, esonerando il contribuente dagli obblighi di liquidazione e versamento periodico nonché di pagamento dell’acconto IVA.

Rimane, invece, invariata la disciplina in materia di IRAP.

Gli adempimenti contabili sono limitati a:

§       conservazione dei documenti ricevuti ed emessi;

§       fatturazione e certificazione dei corrispettivi;

§       presentazione delle dichiarazioni annuali;

§       versamento annuale dell'IVA;

§       versamento dell'imposta sostitutiva entro i termini stabiliti per il versamento a saldo dell'imposta sul reddito delle persone fisiche;

§       adempimenti previsti per i sostituti d’imposta, qualora sia datore di lavoro ovvero riceva fatture con ritenute d’acconto.

Sono invece esonerati dai seguenti obblighi:

§       registrazione e tenuta delle scritture contabili rilevanti ai fini delle imposte sui redditi, dell'IRAP e dell'IVA;

§       liquidazioni, versamenti periodici e versamento dell’acconto annuale IVA;

§       versamento delle addizionali comunali e regionali all'imposta sul reddito delle persone fisiche.

Ai soggetti che adottano il regime agevolato per le nuove iniziative imprenditoriali e di lavoro autonomo l’Agenzia delle entrate fornisce, dietro richiesta, un servizio di assistenza per l’adempimento degli obblighi contabili e fiscali previsti dalla legge.

L’assistenza è fornita prevalentemente attraverso il servizio telematico e, in ogni caso, è prestata attraverso rapporti diretti tra contribuente e ufficio locale dell’Agenzia (tutoraggio dei contribuenti assistiti). A tal fine il contribuente è tenuto a munirsi di un’apparecchiatura informatica con determinate caratteristiche minime, per l’acquisto della quale è possibile usufruire di un credito d’imposta fissato in misura pari al 40% del prezzo di acquisto e comunque per un importo non superiore a 309,97 euro.

Regime degli ex minimi

Il regime dei contribuenti minimi è stato istituito, con decorrenza 1° gennaio 2008, dall’articolo 1, commi da 96 a 117, della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per l’anno 2008), con funzione di agevolare, sia sotto l’aspetto degli adempimenti contabili ed amministrativi che sotto quello del carico fiscale, le persone fisiche che esercitano attività economicamente marginali.

Rientrano nel regime dei “minimi” le imprese individuali e i professionisti che nell’anno precedente:

§       hanno conseguito ricavi o compensi non superiori a 30mila euro;

§       non hanno avuto lavoratori dipendenti o collaboratori (anche a progetto);

§       non hanno effettuato cessioni all’esportazione;

§       non hanno erogato utili da partecipazione agli associati con apporto di solo lavoro;

§       nel triennio precedente non hanno effettuato acquisti di beni strumentali per un ammontare superiore a 15mila euro (per quelli utilizzati soltanto in parte nell’ambito dell’attività di impresa o di lavoro autonomo si considera un valore pari al 50% dei relativi corrispettivi);

§       iniziano l’attività e presumono di possedere i primi due requisiti sopra descritti.

Il limite dei 30mila euro di ricavi o compensi deve essere rapportato all’anno. Il regime dei minimi non si applica alle imprese individuali e ai professionisti che si avvalgono di regimi speciali Iva (per esempio, agenzie di viaggio e turismo, vendita di sali e tabacchi, ecc.); ai non residenti; a chi, in via esclusiva o prevalente, effettua attività di cessioni di immobili (fabbricati e terreni edificabili) e di mezzi di trasporto nuovi; a chi, contestualmente, partecipa a società di persone, associazioni professionali o a società a responsabilità limitata a ristretta base proprietaria che hanno optato per la trasparenza fiscale.

Chi aderisce al regime dei minimi paga (al posto di Ires, Iva, Irap e addizionali) un’imposta sostitutiva del 20% sul reddito calcolato come differenza tra ricavi o compensi e spese sostenute, comprese le plusvalenze e le minusvalenze dei beni relativi all’impresa o alla professione. Il reddito si determina applicando il principio di cassa, che comporta un’immediata e integrale rilevanza dei costi, anche quelli inerenti i beni strumentali.

Dal reddito si possono dedurre per intero i contributi previdenziali, compresi quelli corrisposti per i collaboratori dell’impresa familiare fiscalmente a carico e quelli per i collaboratori non a carico, ma per i quali il titolare non ha esercitato il diritto di rivalsa. E’ ammessa la compensazione di perdite riportate da anni precedenti. Le perdite fiscali successive possono essere portate in diminuzione dal reddito conseguito nei periodi d´imposta seguenti, ma non oltre il quinto. I contribuenti a cui si applica il regime dei minimi sono esonerati dagli adempimenti ai fini Iva. Le fatture devono essere emesse senza l’addebito dell’Iva; inoltre, l’Iva pagata sugli acquisti non è detraibile e, pertanto, si trasforma in un costo deducibile dal reddito.

I contribuenti a cui si applica il regime dei minimi sono esclusi dall’applicazione degli studi di settore.

I contribuenti “minimi” sono esonerati dagli obblighi di registrazione e di tenuta delle scritture contabili. Restano obbligatorie soltanto:

§       la numerazione e la conservazione delle fatture d’acquisto e delle bollette doganali

§       la certificazione dei corrispettivi

§       la conservazione dei documenti emessi e ricevuti

§       l’integrazione delle fatture di acquisto intracomunitario o in regime di reverse charge

Tale regime è stato riformato dall’articolo 27 del D.L. 98 del 2011, il quale ha introdotto il nuovo regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità (nuovi “minimi”: si veda oltre): la platea dei potenziali beneficiari è stata ristretta a coloro che hanno intrapreso una nuova attività a partire dal 31 dicembre 2007; contestualmente l’imposta sostitutiva è stata portata al 5 per cento.

Per gli ex minimi il comma 3 dell’articolo 27 ha disposto che dal 1° gennaio 2012, le persone fisiche che, pur avendo le caratteristiche originariamente prescritte, non possiedono gli ulteriori requisiti previsti dal nuovo regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità (ovvero ne fuoriescono), rientrano in un regime semplificato intermedio: sono esonerati dagli obblighi di registrazione e di tenuta delle scritture contabili, nonché dalle liquidazioni e dai versamenti periodici Iva. Sono altresì esenti dall'Irap (si veda, al riguardo, il provvedimento dell’Agenzia delle entrate n.185825 del 22 dicembre 2011).

Tale regime agevolato esonera dai seguenti obblighi:

§       registrazione e tenuta delle scritture contabili rilevanti ai fini delle imposte sui redditi, dell'imposta regionale sulle attività produttive e dell'imposta sul valore aggiunto;

§       tenuta del registro dei beni ammortizzabili qualora, a seguito di richiesta dell'amministrazione finanziaria, forniscano, ordinati in forma sistematica, gli stessi dati previsti dall’articolo 16 del D.P.R. n. 600 del 1973;

§       liquidazioni e versamenti periodici dell'imposta sul valore aggiunto;

§       versamento dell'acconto annuale dell'imposta sul valore aggiunto;

§       presentazione della dichiarazione ai fini dell’imposta sulle attività produttive, di cui all’articolo 19 del D.Lgs. n. 446 del 1997 e versamento della relativa imposta.

Restano fermi i seguenti adempimenti:

§       conservazione dei documenti ricevuti ed emessi, ai sensi dell'articolo 22 del D.P.R. n. 600 del 9173;

§       fatturazione e certificazione dei corrispettivi, qualora non ricorrano le condizioni di esonero previste per le attività di cui all’articolo 2 del D.P.R. n. 696 del 1996;

§       comunicazione annuale dei dati IVA di cui all’articolo 8-bis del D.P.R. n. 322 del1998, qualora il volume d’affari sia uguale o superiore a euro 25.822,84;

§       presentazione delle dichiarazioni annuali ai fini delle imposte dirette e dell’imposta sul valore aggiunto;

§       versamento annuale dell'imposta sul valore aggiunto;

§       versamento dell'acconto e del saldo dell'imposta sul reddito delle persone fisiche;

§       versamento dell’acconto e del saldo delle addizionali comunali e regionali all’'imposta sul reddito delle persone fisiche;

§       adempimenti dei sostituti d'imposta previsti dall'articolo 25 del D.P.R. n. 600 del 1973 e dall’articolo 5 del D.P.R. n. 322 del 1998;

§       comunicazione telematica delle operazioni rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto prevista all’articolo 21, comma 1, del D.L. n. 78 del 2010;

§       comunicazione all’Agenzia delle entrate, ai sensi dell’articolo 1 del D.L. n. 40 del 2010, dei dati relativi alle operazioni effettuate nei confronti di operatori economici aventi sede, residenza o domicilio in Paesi a fiscalità privilegiata.

L’Agenzia delle entrate, con la circolare n. 8/E del 16 marzo 2012, ha chiarito che i contribuenti che applicano tale regime contabile agevolato sono soggetti agli studi di settore. Peraltro nella circolare si legge che nei confronti dei soggetti marginali “la ragionevole certezza che il particolare strumento accertativo possa portare a distorsioni applicative deve comportare, in linea generale, l’adozione della massima cautela nel relativo utilizzo, privilegiando, ove il controllo sia comunque ritenuto opportuno, modalità istruttorie diverse”.

I contribuenti “ex minimi” possono optare per l'applicazione del regime contabile ordinario. L'opzione, valida per almeno un triennio, è comunicata con la prima dichiarazione annuale da presentare successivamente alla scelta operata. Trascorso il periodo minimo di permanenza nel regime ordinario, l'opzione resta valida per ciascun anno successivo, fino a quando permane la concreta applicazione della scelta operata.

Regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità (nuovi “minimi”)

L’articolo 27 del D.L. n. 98 del 2011 ha riformato il regime dei minimi restringendo la platea dei destinatari del c.d. “forfettone” (disciplinato dall’articolo 1, commi da 96 a 117, della legge 244/2007 e sopra descritto) solamente a coloro che intraprendono una nuova attività ovvero che l’abbiano iniziata a partire dal 31 dicembre 2007, per il periodo d'imposta in cui l'attività è iniziata e per i quattro successivi. A decorrere dal 1° gennaio 2012 l’imposta sostitutiva dell'imposta sui redditi e delle addizionali regionali e comunali è ridotta al 5 per cento (in luogo del 20 per cento). Per i giovani questo periodo di aliquota ridotta può essere maggiore di cinque anni, ma non oltre il periodo di imposta di compimento del trentacinquesimo anno di età.

L’obiettivo dichiarato è quello di favorire la costituzione di nuove imprese da parte di giovani ovvero di coloro che perdono il lavoro. La norma, a tal fine, riforma e concentra gli attuali regimi forfettari: pertanto rientra in tale nuovo regime anche il regime agevolato per le nuove iniziative imprenditoriali e di lavoro autonomo (c.d. forfettino), disciplinato dall’articolo 13 della legge n. 388/2000.

Possono accedervi le persone fisiche che esercitano attività d’impresa o di lavoro autonomo e che, oltre a possedere i descritti requisiti previsti per il c.d. forfettone (articolo 1, commi da 96 a 99 della legge n. 244 del 2007), siano in possesso dei seguenti requisiti:

§       il contribuente non deve aver esercitato attività artistica, professionale ovvero d'impresa (anche in forma associata o familiare) nei tre anni precedenti l’inizio dell’attività;

§       l'attività da esercitare non deve costituire una mera prosecuzione di altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo, salvo il caso in cui l'attività precedentemente svolta consista nel periodo di pratica obbligatoria per l'esercizio di arti o professioni;

§       nel caso di prosecuzione di un'attività d'impresa precedentemente svolta da altro soggetto, l'ammontare dei ricavi realizzati nel periodo d'imposta precedente quello di riconoscimento del beneficio non deve aver superato i 30.000 euro.

A tale regime si applicano le agevolazioni previste dal c.d. “forfettone” (articolo 1, commi da 96 a 117, della legge 244/2007, sopra descritto). Inoltre l'imposta sostitutiva dell'imposta sui redditi e delle addizionali regionali e comunali prevista dal comma 105 dell'articolo 1 della legge n. 244 del 2007 è ridotta al 5 per cento. Sono pertanto confermate l’esenzione dall’Irap, la non applicazione dell’Iva e le agevolazioni contabili.

I ricavi e i compensi relativi al reddito oggetto del regime, non sono assoggettati a ritenuta d’acconto da parte del sostituto di imposta. A tal fine i contribuenti rilasciano un’apposita dichiarazione, dalla quale risulti che il reddito cui le somme afferiscono è soggetto ad imposta sostitutiva

Sul fronte Iva, i contribuenti sono esonerati dalle comunicazioni sia delle operazioni rilevanti Iva (lo spesometro) sia dei dati delle operazioni con soggetti black list, mentre devono fare, come tutti gli altri, richiesta di inserimento nell'archivio Vies se vogliono fare acquisti intracomunitari (si veda, al riguardo, il provvedimento dell’Agenzia delle entrate n. 185820 del 22 dicembre 2011 e la circolare n. 24/E del 2011).

b)   Revisione degli adempimenti

La lettera b) del comma 1 delega il Governo a rivedere gli adempimenti per i contribuenti, con particolare riferimento a quelli superflui o che diano luogo, in tutto o in parte, a duplicazioni, o risultino di scarsa utilità per l’amministrazione finanziaria ai fini dell’attività di controllo e di accertamento, o comunque che non siano conformi al principio di proporzionalità.

Il numero degli adempimenti previsti dall’ordinamento è elevato e talvolta determina duplicazioni (si pensi a quanto avviene per le comunicazioni Iva: intracomunitarie, spesometro e black list) o è nella sua concreta attuazione molto complesso (si pensi alla predisposizione e alla presentazione delle dichiarazioni dei redditi). Il disegno di legge in esame si propone di semplificare gli adempimenti, specialmente quelli che si ritengono superflui o duplicati. Si ricorda, infatti che negli ultimi due anni, al fine di contrastare l'evasione fiscale, sono notevolmente aumentati a carico delle imprese gli obblighi di comunicazione di dati all'amministrazione finanziaria. Si segnalano, di seguito, i principali.

 

Spesometro

L’articolo 21 del D.L. n. 78 del 2011 ha introdotto l’obbligo di comunicare all’Agenzia delle entrate le operazioni Iva di un determinato valore. L’obiettivo del legislatore è quello di rafforzare gli strumenti a disposizione dell’amministrazione finanziaria, necessari alla prevenzione e al contrasto dei comportamenti fraudolenti in materia di Iva (frodi “carosello” e false fatturazioni) e in ambito di imposizione sul reddito.

La comunicazione telematica ha per oggetto le operazioni rilevanti ai fini Iva (imponibili, non imponibili, esenti) e si applica esclusivamente ai soggetti passivi di tale imposta che effettuano cessioni di beni e prestazioni di servizi, rilevanti agli effetti del tributo, nel territorio dello Stato.

Dal 1° gennaio 2012, per le operazioni per le quali è previsto l’obbligo di emettere fattura è stata eliminata la soglia minima di 3.000 euro: infatti il D.L. n.16 del 2012 ha stabilito che la comunicazione deve essere inviata, per ciascun cliente e fornitore, con riferimento a tutte le operazioni (attive e passive) effettuate.

Le operazioni per le quali non è previsto l’obbligo di emissione della fattura devono essere comunicate solo se di importo superiore a 3.600 euro, comprensivo dell’imposta sul valore aggiunto.

Sono escluse dall’obbligo di comunicazione:

§       le importazioni;

§       le esportazioni (art. 8, comma 1, lettere a e b del D.P.R. 633/72);

§       le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate e ricevute, registrate o soggette a registrazione, nei confronti di operatori economici aventi sede, residenza o domicilio in Paesi cosiddetti black list;

§       le operazioni già comunicate all’Anagrafe tributaria (per esempio, fornitura di energia elettrica, servizi di telefonia, contratti di assicurazione, atti di compravendita immobili, eccetera);

§       le operazioni intracomunitarie (per le quali è già previsto l’invio dei modelli Intra).

Comunicazione delle operazioni intercorse con operatori economici black list

L’articolo 1 del D.L. n. 40 del 2010, al fine di contrastare le frodi fiscali internazionali, in particolar modo le frodi “carosello” attuate attraverso società costituite fittiziamente (c.d. “cartiere”), ha introdotto, per i soggetti passivi IVA, l’obbligo di comunicare all’Agenzia delle entrate tutte le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate e ricevute, registrate o soggette a registrazione, nei confronti di operatori economici aventi sede, residenza o domicilio in Paesi a fiscalità privilegiata di cui al D.M. 4 maggio 1999 e al D.M. 21 novembre 2001 (Paesi black list).

Al riguardo il D.L. n. 16 del 2012 ha introdotto, ai fini dell’obbligo di comunicazione, la soglia minima di 500 euro per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi.

La circolare dell’Agenzia delle entrate n. 53/E del 2010 ha chiarito che tale comunicazione non è dovuta da parte dei contribuenti rientranti nei regimi dei minimi e delle nuove iniziative produttive.

Archivio VIES

A fini di adeguamento alla normativa europea in materia di operazioni intracomunitarie e di contrasto delle frodi, l’articolo 27 del D.L. n. 78 del 2010 ha introdotto specifiche misure volte a garantire un più stretto monitoraggio dei contribuenti che effettuano operazioni intracomunitarie e l’affidabilità dei dati relativi alle controparti negli scambi commerciali: tutti i soggetti che intraprendono l’esercizio di un’impresa, arte o professione nel territorio dello Stato o vi costituiscano stabile organizzazione, devono manifestare, al momento della presentazione della dichiarazione di inizio attività, la volontà di porre in essere operazioni intracomunitarie.

I contribuenti “minimi” (articolo 1, commi 96 e seguenti, della legge n. 244/2007) possono effettuare acquisti intracomunitari di beni e servizi (ex articolo 1, comma 100, legge 244/2007) e, in relazione a tali acquisti, essi sono tenuti a compilare l’elenco riepilogativo delle operazioni intracomunitarie. Come precisato dalla circolare dell’Agenzia delle entrate n. 39/E del 2011, anche tali contribuenti devono, pertanto, manifestare la volontà di effettuare operazioni intracomunitarie all’atto della presentazione della dichiarazione di inizio attività o successivamente, al fine di ottenere l’inclusione nell’archivio Vies.

Provvedimenti normativi in tema di semplificazione degli adempimenti fiscali adottati nel corso della XVI Legislatura

L’esigenza di semplificazione dei rapporti tra fisco e contribuente è stata perseguita lungo l’arco della presente legislatura; tale intento si è manifestato, in particolare, nelle modifiche operate alla normativa che concerne gli adempimenti.

In primo luogo, specifici interventi hanno eliminato alcuni obblighi in precedenza posti a carico dei contribuenti, tra cui l’obbligo di indicare il codice fiscale nelle girate degli assegni bancari (articolo 32, comma 1 del D.L. n. 112 del 2008) e quello, posto a carico delle imprese della grande distribuzione e del commercio al minuto, di inviare per via telematica i corrispettivi giornalieri – con la conseguente immissione in commercio esclusivamente di misuratori fiscali idonei alla trasmissione telematica (articolo 16, comma 2 del D.L. 185 del 2008).

Altre modifiche hanno interessato la disciplina, contenuta nel codice civile, relativa al libro soci e alla registrazione del passaggio di quote nelle società a responsabilità limitata. In particolare, con l’articolo 16 del D.L. 185/2008 è stato soppresso l’obbligo di tenuta del libro soci per le s.r.l. Pertanto, ai fini della iscrizione nel Registro delle imprese degli atti di trasferimento di quote societarie si applica la disciplina - precedentemente introdotta in via opzionale dall’articolo 36 del D.L. 112/2008 - che consente l’iscrizione in via telematica, con sottoscrizione in firma digitale da parte di dottori commercialisti ed esperti contabili. Ulteriori semplificazioni in materia di adempimenti civilistici riguardano la vidimazione, la numerazione e la bollatura dei registri contabili.

Il cd. "decreto sviluppo" (D.L. 70/2011) ha introdotto numerose misure volte a semplificare gli adempimenti dei contribuenti. Si ricordano tra l'altro:

§       l'elevazione degli importi delle fatture emesse che possono essere annotate in un unico documento riepilogativo;

§       la semplificazione degli adempimenti dichiarativi relativi alle detrazioni IRPEF per redditi da lavoro dipendente e carichi di famiglia;

§       la proroga dei termini per i versamenti e gli adempimenti che scadono di sabato o di giorno festivo al primo giorno lavorativo successivo;

§       la semplificazione delle comunicazioni necessarie per usufruire delle detrazioni IRPEF per le ristrutturazioni edilizie.

Specifiche misure di semplificazione degli adempimenti sono state introdotte, da ultimo, con il citato il decreto-legge n. 16 del 2012. Tra le principali misure si ricordano in primo luogo le disposizioni di salvaguardia per i contribuenti che abbiano tardivamente effettuato gli adempimenti e le comunicazioni richiesti dalla legge per accedere ad agevolazioni o a regimi fiscali speciali. E’ stato inoltre stabilito che gli adempimenti fiscali e i versamenti delle imposte aventi scadenza calendarizzata in uno dei primi 20 giorni del mese di agosto possono essere effettuati entro il giorno 20 dello stesso mese.

Allo scopo di alleggerire gli adempimenti delle imprese, è stata esonerata dall’obbligo di emissione della fattura l’attività di organizzazione di escursioni, visite della città, giri turistici, gite ed eventi similari, effettuate dalle agenzie di viaggi e turismo.

c)   Revisione delle funzioni dei sostituti d’imposta, dei Caf e degli intermediari fiscali

La lettera c) del comma 1 delega il Governo a riformare, nell’ottica della semplificazione, le funzioni dei sostituti d’imposta e di dichiarazione, dei Centri di assistenza fiscale e degli intermediari fiscali, con il potenziamento dell’utilizzo dell’informatica.

Il sostituto d’imposta è "chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, per fatti o situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di acconto" (articolo 64, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973). In sostanza si tratta del datore di lavoro o dell’ente pensionistico che per legge sostituisce il contribuente nei rapporti col fisco, trattenendo le tasse relative a compensi, salari, pensioni.

La sostituzione può avvenire:

§       a titolo d'imposta, quando il sostituto deve pagare l’intera imposta, con l'azzeramento del debito del sostituito, il quale è libero da qualsiasi altro adempimento (ad esempio nel caso di premi e vincite, nel qual caso chi eroga il premio opera una ritenuta a carico del vincitore a titolo d'imposta, oppure in caso di distribuzione di dividendi soggetti alla cosiddetta "cedolare secca" vale a dire a titolo d'imposta quando la partecipazione non è qualificata);

§       a titolo di acconto, quando l'obbligazione del sostituito non si estingue, ed egli rimane soggetto passivo dell'imposta (ad esempio nel caso del datore di lavoro che opera le trattenute IRPEF sullo stipendio del lavoratore; si parla di acconto perché il lavoratore sarà tenuto al pagamento dell'IRPEF derivante da redditi diversi da quello da lavoro dipendente).

Oltre alla certificazione unica (modello Cud) dei redditi di lavoro dipendente, equiparati e assimilati che datori di lavoro ed enti pensionistici sono tenuti a consegnare a dipendenti e pensionati, altre certificazioni devono essere rilasciate per attestare le somme corrisposte e le relative ritenute operate nel corso dell’anno. In particolare, tutti i soggetti che erogano compensi e somme per prestazioni di lavoro autonomo e provvigioni inerenti a rapporti di commissione, di agenzia, di mediazione, di rappresentanza di commercio e di procacciamento di affari, devono consegnare, a chi tali somme ha percepito, una certificazione, redatta in forma libera e sottoscritta dal sostituto d’imposta, dalla quale risultino, oltre i dati identificativi di quest’ultimo, la causale, l’ammontare lordo delle somme corrisposte e l’importo delle ritenute effettuate.

Un ulteriore obbligo di certificazione ricade sui soggetti tenuti alle comunicazioni per i titoli azionari e su quelli che hanno corrisposto utili, ossia: società ed enti emittenti, casse incaricate del pagamento degli utili o di altri proventi equiparati, intermediari aderenti al sistema di deposito accentrato gestito dalla Monte Titoli Spa, rappresentanti fiscali in Italia degli intermediari non residenti aderenti al sistema Monte Titoli Spa e degli intermediari non residenti che aderiscono a sistemi esteri di deposito accentrato aderenti al sistema Monte Titoli Spa, società fiduciarie, imprese di investimento e agenti di cambio, ogni altro sostituto d’imposta che interviene nella riscossione di utili o proventi equiparati derivanti da azioni o titoli, associanti.

 

La disciplina dei Centri di assistenza fiscale (Caf), inizialmente prevista dalla legge n. 413 del 1991, è stata oggetto di molteplici modifiche ed è attualmente dettata dal D.Lgs. n. 241 del 1997, successivamente integrato dal D.Lgs. n. 490 del 1998.

Ai Caf sono riservate determinate attività di consulenza e di assistenza in materia tributaria, fra le quali le attività relative alla dichiarazione annuale dei redditi dei lavoratori dipendenti ed assimilati (il cosiddetto Modello 730 per la dichiarazione dei redditi e il modello UNICO)

I CAF possono essere costituiti solamente dai soggetti ed alle condizioni indicati dagli articoli 32 e 33 del D.Lgs. n. 241/1997; si tratta in particolare di organizzazioni sindacali di lavoratori dipendenti e pensionati, organizzazioni territoriali da esse delegate, aventi complessivamente non meno di 50.000 aderenti, ovvero di sostituti di imposta, aventi almeno 50.000 dipendenti, o di associazioni di lavoratori promotrici di istituti di patronato, aventi complessivamente non meno di 50.000 aderenti.

I Centri devono essere costituiti nella forma di società di capitali: il loro oggetto sociale deve indicare lo svolgimento dell'attività di assistenza fiscale già indicata: essi operano previa autorizzazione del Ministero delle finanze. Inoltre è previsto che i Centri designino uno o più responsabili dell'assistenza fiscale da individuare tra gli iscritti nell'albo dei Dottori commercialisti o in quello dei Ragionieri liberi professionisti, anche assunti con rapporto di lavoro subordinato.

I Centri di assistenza fiscale sono, inoltre, abilitati in forma esclusiva a svolgere le altre attività relative alla liquidazione della dichiarazione del Modello 730, comprendenti, oltre alla consegna al contribuente di copia della dichiarazione elaborata e del prospetto di liquidazione delle imposte, la comunicazione ai sostituti d'imposta del risultato delle dichiarazioni stesse ai fini del conguaglio in sede di ritenuta d'acconto e l'invio all'amministrazione finanziaria delle dichiarazioni dei redditi. Per lo svolgimento di dette attività i Centri di assistenza fiscale ricevono un compenso statale di 14 euro per ogni dichiarazione vistata e trasmessa.

Per intermediari fiscali si intendono i professionisti, le associazioni di categoria, i Caf, abilitati a trasmettere per conto di terzi la dichiarazione fiscale.

L’articolo 3, comma 3, del D.P.R. n. 322 del 1998 (Regolamento recante modalità per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all'imposta regionale sulle attività produttive e all'imposta sul valore aggiunto, ai sensi dell'articolo 3, comma 136, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), ai fini della presentazione delle dichiarazioni in via telematica mediante il servizio telematico Entratel, considera soggetti incaricati della trasmissione delle stesse:

a)    gli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro;

b)    i soggetti iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la sub-categoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o diploma di ragioneria;

c)    le associazioni sindacali di categoria tra imprenditori indicate nell'articolo 32, comma 1, lettere a), b) e c), del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, nonché quelle che associano soggetti appartenenti a minoranze etnico-linguistiche;

d)    i centri di assistenza fiscale per le imprese e per i lavoratori dipendenti e pensionati;

e)    gli altri incaricati individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.


 

Articolo 8
(Revisione del sistema sanzionatorio)

 


1. Il Governo è delegato a procedere, con i decreti legislativi di cui all'articolo 1, alla revisione del sistema sanzionatorio penale secondo criteri di predeterminazione e di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti, prevedendo: la punibilità con la pena detentiva compresa fra un minimo di sei mesi e un massimo di sei anni, dando rilievo, tenuto conto di adeguate soglie di punibilità, alla configurazione del reato per i comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all'utilizzo di documentazione falsa; l'individuazione dei confini tra le fattispecie di elusione e quelle di evasione fiscale e delle relative conseguenze sanzionatorie; la revisione del regime della dichiarazione infedele e del sistema sanzionatorio amministrativo al fine di meglio correlare, nel rispetto del principio di proporzionalità, le sanzioni all'effettiva gravità dei comportamenti; la possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni amministrative anziché penali.

2. Il Governo è delegato, altresì, a definire, con i decreti legislativi di cui all'articolo 1, la portata applicativa della disciplina del raddoppio dei termini, prevedendo che tale raddoppio si verifichi soltanto in presenza di effettivo invio della denuncia, ai sensi dell'articolo 331 del codice di procedura penale, effettuato entro un termine correlato allo scadere del termine ordinario di decadenza.


 

 

L’articolo 8 reca i principi e criteri direttivi per la revisione del sistema sanzionatorio penale (comma 1), che deve essere attuata secondo criteri di predeterminazione e proporzionalità, dando rilievo alla configurazione del reato tributario per i comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e utilizzo di documentazione falsa.

 

Sono inoltre previste una più puntuale definizione delle fattispecie di elusione e quelle di evasione fiscali e delle relative conseguenze sanzionatorie nonché la revisione del regime della dichiarazione infedelee del sistema sanzionatorio amministrativo al fine di meglio correlare le sanzioni all’effettiva gravità dei comportamenti.

 

Viene poi chiarita (comma 2) la portata applicativa della disciplina del raddoppio dei termini, prevedendo che tale raddoppio si verifichi soltanto in presenza di effettivo invio della denuncia entro un termine correlato allo spirare del termine ordinario di decadenza.

Più in dettaglio, il comma 1, nel definire i principi e criteri direttivi per la revisione del sistema sanzionatorio penale, oltre alla predeterminazione e proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti, prevede:

§       la punibilità con la pena detentiva compresa fra un minimo di sei mesi e un massimo di sei anni, dando rilievo, tenuto conto di adeguate soglie di punibilità, alla configurazione del reato per i comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all'utilizzo di documentazione falsa;

§       l'individuazione dei confini tra le fattispecie di elusione e quelle di evasione fiscale e delle relative conseguenze sanzionatorie;

§       la revisione del regime della dichiarazione infedele e del sistema sanzionatorio amministrativo al fine di meglio correlare, nel rispetto del principio di proporzionalità, le sanzioni all'effettiva gravità dei comportamenti.

 

I reati tributari e le sanzioni penali

La violazione tributaria costituisce reato quando la legge, considerandola di particolare gravità, non ritiene sufficienti le sanzioni amministrative e quindi applica quelle, più severe, previste dal codice penale.

Le sanzioni penali hanno natura personale e pertanto si applicano esclusivamente alle persone fisiche. Per le violazioni commesse da società o da altri enti collettivi, la sanzione è applicata ai soggetti (persone fisiche) che ne hanno la rappresentanza legale (presidente, amministratore delegato, ecc.), o ai soggetti ai quali sia comunque imputabile il reato commesso. Si rammenta peraltro che il D.Lgs. n. 231 del 2001 ha introdotto nel nostro ordinamento una forma di responsabilità amministrativa delle società e degli enti per gli illeciti penali commessi dai propri amministratori e dipendenti che si verifica per tutti quei reati commessi a vantaggio o nell’interesse dell’organizzazione stessa, da parte dei soggetti in posizione di vertice, oppure dai soggetti subordinati ai funzionari in posizione di vertice, qualora il reato sia stato commesso poiché questi ultimi non hanno osservato diligentemente gli obblighi di direzione e vigilanza.

I principali reati tributari sono connessi alle dichiarazioni fiscali e agli inadempimenti contabili e documentali (sono invece escluse le violazioni in ambito Irap o relative ad altre imposte indirette al di fuori dell’Iva) e sono disciplinati dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 concernente la disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e Iva. Tale provvedimento ha introdotto nell’ordinamento un sistema formato da un ristretto numero di fattispecie, di natura esclusivamente delittuosa, tutte caratterizzate da dolo specifico finalizzato ad evadere le imposte, oltre a prevedere, per le fattispecie di cui agli articoli 3, 4 e 5 (dichiarazione fraudolenta o infedele e omessa dichiarazione), una soglia di rilevanza penale che aggancia l’intervento punitivo al superamento di predeterminati limiti quantitativi, espressione di un effettivo evento di danno conseguente all’evasione.

In particolare, il D.Lgs. n. 74 del 2000 individua i seguenti principali reati tributari:[9]

§      dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti; la dichiarazione fraudolenta si distingue per l'elemento della "frode", consistente in comportamenti ulteriori (documentazione falsa o contraffatta, mezzi fraudolenti di qualsiasi natura) rispetto alla mera presentazione di una dichiarazione non veritiera (art. 2, commi 1, 2 e 3);

§      dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3);

§      dichiarazione infedele, che coincide con la mancata dichiarazione di elementi attivi (o di elementi passivi fittizi) di ammontare particolarmente rilevante (art. 4);

§      dichiarazione omessa, che si configura solo una volta superata una soglia di punibilità (art. 5);

§      emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8);

§      occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10);

§      omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis);

§      omesso versamento dell’Iva dovuta in base alle risultanze della dichiarazione annuale entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo (art. 10-ter);

§      indebita compensazione (art. 10-quater);

§      pagamenti parziali, ovvero la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (che si configura con il compimento di atti idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva, quali una vendita simulata a soggetto terzo) (art. 11, comma 1);

§      pagamenti parziali, ovvero quando, al fine di ottenere per se o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, si indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi (art. 11, comma 2).

 

La condanna per uno qualsiasi dei reati sanzionati penalmente comporta l’irrogazione delle seguenti pene accessorie: interdizione dagli uffici di rettivi delle persone giuridiche e delle imprese, incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione; interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria; interdizione dall’ufficio di componente di commissione tributaria; pubblicazione della sentenza a norma dell’articolo 36 del codice penale.

 

Da ultimo, l’articolo 2, comma 36-vicies semel, del decreto-legge n. 138 del 2011 ha novellato il D.Lgs. n. 74 del 2000 con l’intento generale di:

a)       eliminare disposizioni di favore;

b)       abbassare la soglia di imposta evasa a partire dalla quale scatta l'applicazione delle sanzioni penali.

 

In questa direzione vanno le seguenti novelle:

§      all'articolo 2 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) viene soppressa la disposizione che attualmente riduce l'entità della reclusione (da 6 mesi a 2 anni anziché da un anno e 6 mesi a 6 anni) se l'ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a 154.937,07 euro (lettera a);

§      all'articolo 3 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) viene ridotta la soglia di imposta evasa che fa scattare la sanzione penale da 77.468,53 euro a 30.000 euro e, analogamente, la soglia relativa all'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione da 1.549.370,70 euro a 1.000.000 di euro (lettere b) e c);

§      all'articolo 4 (dichiarazione infedele) le suddette soglie vengono ridotte rispettivamente da 103.291,38 euro a 50.000 euro e da 2.065.827,60 euro a 2.000.000 di euro (lettere d) ed e);

§      all'articolo 5 (omessa dichiarazione) la soglia di imposta evasa che fa scattare la sanzione penale è ridotta da 77.468,53 euro a 30.000 euro (lettera f);

§      all'articolo 8 (emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) viene soppressa la disposizione che riduce l'entità della reclusione (da 6 mesi a 2 anni anziché da un anno e 6 mesi a 6 anni) se l'importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti è inferiore a euro 154.937,07 (lettera g).

 

Ulteriori novelle al decreto legislativo n. 74 del 2000 riguardano le circostanze del reato, il procedimento applicabile e le pene accessorie.

In particolare, con la lettera h) è aggiunto un comma all’articolo 12 (pene accessorie) del decreto legislativo. Tale disposizione è volta ad escludere l’applicazione dell’istituto della sospensione condizionale della pena (di cui all’art. 163 c.p.) qualora nella commissione di uno dei delitti previsti dagli articoli da 2 a 10[10] del D.Lgs. n. 74 del 2000, l'imposta evasa (o non versata):

§      sia superiore a 3 milioni di euro;

§      sia superiore al 30% del volume d’affari dell’evasore.

Le due condizioni devono ricorrere congiuntamente. Si osserva peraltro che la previsione congiunta delle due condizioni sembrerebbe mitigare la posizione dei soggetti evasori che hanno un grande volume di affari. Essi, infatti, potranno avvalersi della sospensione condizionale della pena, pur sottraendo all’erario somme anche notevolmente superiori ai 3 milioni di euro, in conseguenza della previsione del tetto del 30% del volume di affari.

 

Le lettere i) ed m) intervengono sull’articolo 13 (circostanza attenuante e pagamento del debito tributario) prevedendo:

§       la riduzione sino ad un terzo (anziché sino alla metà) delle pene stabilite per i delitti previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi sono stati estinti mediante pagamento (lett. i);

§       l’applicabilità del c.d. patteggiamento per i reati previsti dal decreto legislativo solo se ricorrono le circostanze attenuanti (dell’aver estinto il debito prima del dibattimento e dell’aver pagato anche le sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme tributarie).

 

La lettera l) novella l'articolo 17 (interruzione della prescrizione) elevando di un terzo i termini di prescrizione per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del decreto legislativo n. 74/2000[11].

 

Si stabilisce inoltre la riduzione delle sanzioni per le fattispecie meno gravi, ovvero l’applicazione di sanzioni amministrative anziché penali.

 

 

Le sanzioni tributarie amministrative

La riforma della disciplina delle sanzioni tributarie amministrative è stata operata con i D.Lgs. n. 471 (Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi), 472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie) e 473 (Revisione delle sanzioni amministrative in materia di tributi sugli affari, sulla produzione e sui consumi, nonché di altri tributi indiretti) del 1997.

In particolare, l’articolo 2 del D.Lgs. n. 472 (recante la disciplina delle sanzioni tributarie amministrative) afferma espressamente il principio della personalità della responsabilità, stabilendo, al comma 2, che la sanzione deve essere riferibile alla persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione e, all'articolo 27, che le violazioni riferite dalle disposizioni vigenti a società, associazioni o enti si intendono riferite alle persone fisiche che ne sono autrici. Secondo l’articolo 11 del medesimo provvedimento, peraltro, la persona fisica, la società, l'associazione o l'ente nell'interesse dei quali ha agito l'autore della violazione (dipendente, amministratore o rappresentante) nell'esercizio delle sue funzioni, sono obbligati solidalmente al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata, sempre facendo salvo il diritto di regresso. Fino a prova contraria, si presume autore della violazione chi ha sottoscritto ovvero compiuto gli atti illegittimi.

Dal 1° aprile 1998 (data di entrata in vigore della nuova disciplina sanzionatoria) le vecchie sanzioni tributarie non penali (distinte in "pena pecuniaria" e "soprattassa") sono state sostituite dalla "sanzione amministrativa", consistente generalmente nel pagamento di una somma di denaro cosiddetta "sanzione pecuniaria". La misura delle sanzioni è stabilita per le singole imposte dalle specifiche norme; può essere graduata, tra un minimo e un massimo, come percentuale da applicare all’ammontare del tributo, ovvero prefissata come importo variabile sempre tra un minimo e un massimo. Le misure stabilite dalla legge sono aggiornabili ogni tre anni con decreto ministeriale, tenendo conto degli indici Istat.

A questa possono aggiungersi, in determinati casi, sanzioni accessorie come ad esempio, la sospensione dell'attività commerciale, nei casi di ripetuta violazione delle norme su ricevute e scontrini fiscali, ovvero l'interdizione dalla partecipazione a gare o dall'esercizio di cariche sociali.

Se però la violazione fiscale configura una fattispecie di reato, si rendono applicabili anche le sanzioni penali.

Le regole in base alle quali si applicano le sanzioni possono essere riassunte nei seguenti punti:

1.    le sanzioni hanno carattere personale e riguardano solo chi ha commesso l'infrazione (principio di personalità) salvo l'applicabilità dell'art. 7 del D.L. 269/2003 (vedi punto 6). Le sanzioni, quindi, non si trasmettono agli eredi;

2.    la somma irrogata a titolo di sanzione non produce in nessun caso interessi;

3.    nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in forza di una legge entrata in vigore prima della violazione (principio di irretroattività);

4.    le leggi intervenute dopo il fatto si applicano se più favorevoli al contribuente (principio del favor rei), a condizione che il provvedimento di irrogazione non sia divenuto definitivo. Perciò, se il fatto commesso non è più qualificato come illecito da una norma successiva, le sanzioni non saranno più applicabili, a meno che non siano già divenute definitive. In questo caso, se rimane un debito residuo, questo non sarà più dovuto (ma non sarà restituito quanto già pagato). Se la nuova norma punisce il fatto con una sanzione più mite, si applica quest'ultima, sempre a condizione che il provvedimento di irrogazione non sia divenuto definitivo;

5.    non può essere assoggettato a sanzione chi, al momento in cui ha commesso il fatto, non aveva la capacità di intendere e di volere in base ai criteri indicati nel codice penale (principio di imputabilità) né coscienza e volontà della propria condotta (dolo o colpa);

6.    se l'autore della violazione ha agito nell'interesse di una società o ente con personalità giuridica, quest'ultimo soggetto è responsabile del pagamento della sanzione. Ad esempio, in caso di violazione commessa dall'amministratore, è responsabile la società, nei cui confronti verrà emessa la sanzione. Questa disposizione, introdotta con l'art. 7 del D.L. 269/2003, introduce il principio della riferibilità esclusiva alla persona giuridica della sanzione amministrativa relativa al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica e quindi capovolge la logica della norma precedente, fondata sul principio di personalità della sanzione mutuato dal diritto penale, per cui il soggetto nel cui interesse veniva commessa la violazione era responsabile solidalmente con il suo autore materiale. Il vecchio principio si applica per tutte le violazioni contestate fino al 2 ottobre 2003, il nuovo per tutte quelle che alla suddetta data non risultano ancora contestate, o per le quali la sanzione non sia stata irrogata, indipendentemente dalla data in cui siano state commesse.

Le sanzioni non si applicano:

§       nei casi di obiettiva incertezza sulla portata delle disposizioni;

§       quando la violazione deriva da equivocità dei modelli o delle richieste di informazioni dell'Amministrazione finanziaria;

§       quando le violazioni derivano da ignoranza della legge tributaria non evitabile. Non sono inoltre punibili le violazioni che non arrecano pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta e sul versamento dei tributi (disposizione aggiunta per effetto dello Statuto del contribuente, che ha introdotto il divieto di sanzionare le violazioni puramente formali);

§       non è punibile il fatto commesso per causa di forza maggiore;

§       in caso di concorso di più violazioni o di violazioni continuate, anche in tempi diversi, si applica un'unica sanzione. In particolare, nel caso in cui le violazioni attengono ad un solo periodo d'imposta, la sanzione viene determinata applicando quella prevista per la violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio. La sanzione base viene previamente aumentata di un quinto nel caso in cui la violazione rileva rispetto a più tributi. Se invece violazioni della stessa indole vengono commesse in più periodi d'imposta, si applica la sanzione prevista per la violazione più grave aumentata dalla metà al triplo. In ogni caso, la sanzione concretamente irrogata non può essere superiore a quella risultante dal cumulo delle varie sanzioni previste per le violazioni commesse, e comunque i cumuli delle sanzioni devono essere tali da mantenere l'ammontare delle sanzioni ad un livello proporzionale all'entità del comportamento deviato, di modo che sia possibile estinguerle senza venire espulsi dal processo produttivo.

Le sanzioni sono ridotte in caso di ravvedimento spontaneo (cd. "ravvedimento operoso"), di accettazione della sanzione o di rinuncia a impugnazioni e ricorsi (in acquiescenza, accertamento con adesione e conciliazione, secondo le specifiche normative).

Le sanzioni devono essere sempre adeguate all'effettivo danno subito dall'erario e all'entità soggettiva ed oggettiva delle violazioni, in modo da assicurare uniformità di disciplina per violazioni analoghe. Se circostanze eccezionali rendono manifesta la sproporzione tra l'entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa può essere ridotta fino alla metà del minimo.

 

In ogni caso, le sanzioni possono essere irrogate con due procedimenti distinti: l'atto di contestazione (art. 16 D.Lgs. 472/97) e l'irrogazione immediata (art. 17).

L'atto di contestazione deve indicare, a pena di nullità (art. 16, comma 2):

§       i fatti attribuiti al trasgressore;

§       gli elementi probatori;

§       le norme applicate;

§       i criteri per la determinazione delle sanzioni e della loro entità;

§       l'indicazione dei minimi edittali.

L'atto di contestazione deve altresì indicare (art. 16, comma 6):

§       l'invito al pagamento delle somme dovute nel termine di sessanta giorni dalla sua notificazione e, ancora, l'invito a produrre nello stesso termine le deduzioni difensive;

§       l'indicazione dell'organo al quale proporre impugnazione immediata.

Entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento, il contribuente può:

§       versare un terzo della sanzione contestata, definendo così la controversia ed evitando eventuali sanzioni accessorie;

§       presentare deduzioni difensive o, in alternativa, ricorrere in commissione tributaria (in quest'ultimo caso l'atto di contestazione si considera provvedimento di irrogazione).

La presentazione di deduzioni difensive preclude il ricorso in commissione tributaria e, d'altro canto, l'ufficio ha da quel momento un anno di tempo per irrogare le sanzioni con apposito atto motivato (anche in relazione alle deduzioni stesse), e solo 120 giorni per notificare eventuali misure cautelari.

In alternativa al suddetto procedimento, ma solo per le sanzioni collegate al tributo cui si riferiscono, l'ufficio può provvedere all'irrogazione contestuale all'avviso di accertamento o di rettifica, motivato a pena di nullità. Anche in questo caso il contribuente (cioè, ciascuno dei destinatari del provvedimento anche in solido) può, entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento, definire il provvedimento pagando un terzodella sanzione irrogata. La definizione si riferisce esclusivamente alle sanzioni e non comporta acquiescenza rispetto al tributo (che comporta invece, oltre alla riduzione delle sanzioni, la rinuncia all'impugnazione e la definitività del provvedimento di accertamento).

Possono essere irrogate mediante iscrizione a ruolo, senza previa contestazione, le sanzioni riguardanti l'omesso o ritardato pagamento dei tributi, anche se risultanti da liquidazioni eseguite d'ufficio in base alle dichiarazioni presentate dai contribuenti. Per queste ultime non è ammessa la definizione agevolata.

E’ ammessa la definizione agevolata con il pagamento di un quarto delle sanzioni:

§       con atto di contestazione per la violazione di norme tributarie

§       con atto contestuale ad avviso di accertamento o di rettifica per le sanzioni collegate al tributo cui si riferiscono.

Non è ammessa la definizione agevolata delle sanzioni:

§       con iscrizione a ruolo per gli omessi o ritardati pagamenti dei tributi.

Il comma 2 dell’articolo 8 è volto a chiarire la portata applicativa della disciplina del raddoppio dei termini, prevedendo che tale raddoppio si verifichi soltanto in presenza di effettivo invio della denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale effettuato entro un termine correlato allo spirare del termine ordinario di decadenza.

 

Si ricorda che la disciplina dei termini di accertamento era regolamentata dall’originaria formulazione dell’articolo 57 del D.P.R. n. 633/72 la quale ne statuiva la decadenza entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, ovvero del quinto anno per le sole ipotesi di omissione della dichiarazione. Tale disciplina, con decorrenza dal 4 luglio 2006, è stata modificata ed integrata dall’articolo 37, comma 25 del decreto legge 223 del 2006, convertito in legge n. 248 del 4 agosto 2006, che ha modificato l’articolo 57 citato aggiungendo un terzo comma in base al quale le due tipologie di termini di decadenza degli accertamenti sono raddoppiate in caso di violazione che comporta l’obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale, quindi nel caso in cui un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio apprenda la notizia che è stato commesso uno dei reati tributari previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.

Al riguardo merita segnalare che lo Statuto dei diritti del contribuente (articolo 3, comma 3, della legge 212/2000), in funzione del diritto di difesa del contribuente, pone il generale divieto di proroga dei termini di decadenza.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 247 del 2011, ha dichiarato costituzionalmente legittima la normativa che dispone il raddoppio dei termini per l'accertamento in presenza di un reato tributario, anche se la contestazione della violazione penale scatta quando i termini ordinari di accertamento sono già scaduti. Compete al giudice tributario, ove richiesto, accertare se l'amministrazione contesti il reato tributario solo per fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento. Secondo la Corte, il raddoppio dei termini consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia o dall’inizio dell’azione penale; l’obbligo di denuncia (comportante il raddoppio dei termini di accertamento) sorge anche ove sussistano cause di non punibilità impeditive della prosecuzione delle indagini penali ed il cui accertamento resti riservato all’autorità giudiziaria penale. In presenza di una contestazione sollevata dal contribuente, l’onere di provare detti presupposti è comunque a carico dell’amministrazione finanziaria, dovendo questa giustificare il più ampio potere accertativo attribuitole.

Inoltre, nella sentenza si fa riferimento all’obbligo di conservazione delle scritture e dei documenti contabili ai fini dell’accertamento tributario: ne consegue che il contribuente ha l’obbligo di conservare le scritture ed i documenti contabili fino alla definizione degli accertamenti relativi e quindi non può essere esonerato da tale obbligo fino alla scadenza del termine di otto anni in presenza di regolare presentazione della dichiarazione dei redditi.

La sentenza citata ha sollevato numerose perplessità tra le associazioni dei contribuenti. Secondo Assonime, a titolo di esempio, la lettura della Corte Costituzionale mostrerebbe una ratio legis piuttosto anomala in un ordinamento complessivamente orientato a principi di garanzia che trovano una chiara indicazione sia nella Costituzione stessa sia nello Statuto del contribuente, che pur non essendo norma costituzionale riveste, in ogni caso, una riconosciuta valenza orientativa nell’interpretazione (vedi, al riguardo, la circolare n. 20 del 29 luglio 2011).

L’esigenza di un intervento legislativo era stato anche sollecitato da alcuni deputati della Commissione Finanze della Camera nel corso dell’audizione del Direttore dell'Agenzia delle entrate sulle tematiche relative all'azione di contrasto dell'evasione fiscale ed ai rapporti tra fisco e contribuenti del 31 gennaio 2012. In tale circostanza, era stata rilevata la necessità di riaffermare il principio della certezza del diritto e di porlo a presidio di tutto il sistema tributario.

 

La norma in commento intende pertanto circoscrivere l’ambito di applicazione del raddoppio dei termini, stabilendo che tale raddoppio si verifichi soltanto in presenza di effettivo invio della denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale effettuato entro un termine correlato allo spirare del termine ordinario di decadenza.


 

Articolo 9
(Rafforzamento dell’attività conoscitiva e di controllo)

 


1. Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui all'articolo 1, norme per il rafforzamento dei controlli, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) rafforzamento dei controlli mirati da parte dell'amministrazione finanziaria, utilizzando in modo appropriato e completo gli elementi contenuti nelle banche dati e prevedendo, ove possibile, sinergie con altre autorità pubbliche, al fine di migliorare l'efficacia delle metodologie di controllo;

b) previsione dell'obbligo di garantire l'assoluta riservatezza nell'attività conoscitiva e di controllo fino alla completa definizione dell'accertamento; effettiva osservanza, nel corso dell'attività di controllo, del principio di ridurre al minimo gli ostacoli al normale svolgimento dell'attività economica del contribuente, garantendo in ogni caso il rispetto del principio di proporzionalità; rafforzamento del contraddittorio nella fase di indagine e subordinazione dei successivi atti di accertamento e di liquidazione all'esaurimento del contraddittorio procedimentale;

c) potenziamento e razionalizzazione dei sistemi di tracciabilità dei pagamenti, prevedendo espressamente i metodi di pagamento sottoposti a tracciabilità;

d) potenziamento dell'utilizzo della fatturazione elettronica.


 

 

L’articolo 9 indica i principi e i criteri da perseguire nell’introduzione di norme volte al rafforzamento dei controlli fiscali. Si intende dunque prevedere il rafforzamento dei controlli mirati, possibilmente in sinergia con altre autorità pubbliche. Si prevede l’obbligo di garantire la riservatezza nell’attività conoscitiva e di controllo fino alla completa definizione dell’accertamento il quale, nel corso dell’attività di controllo, deve essere ispirato al principio di riduzione al minimo degli ostacoli al normale svolgimento dell’attività economica del contribuente. Deve inoltre essere rispettato il principio di proporzionalità e rafforzato il contraddittorio con il contribuente. Si prevede quindi che, nella riforma dell’attività dei controlli, siano espressamente previsti i metodi di pagamento sottoposti a tracciabilità e che sia potenziato l’utilizzo della fatturazione elettronica.

 

Il potenziamento dell’attività di accertamento dei tributi

Lo sforzo del legislatore fiscale di rafforzare e rendere più efficiente l’attività di accertamento dei tributi si è concretato, negli ultimi anni, in una serie di interventi volti sia all’inasprimento che all’intensificazione dei controlli.

In tale contesto, all’Agenzia delle entrate è stato affidato un ruolo centrale nel coordinamento del servizio di accertamento e riscossione, attraverso l’ottimizzazione delle risorse, l’incremento della capacità operativa in specifici settori e la collaborazione con altri enti.

In particolare, il D.L. n. 16 del 2012 (articolo 8, commi 24 e 24-bis) ha disposto la possibilità di espletare concorsi per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti dell'Agenzia delle entrate, dell’Agenzia delle dogane e dell’ Agenzia del territorio, salva la facoltà di affidamento a tempo determinato ai propri funzionari delle medesime posizioni ed ha consentito alla Guardia di Finanza di effettuare un piano straordinario di assunzioni nel ruolo di ispettori, anche utilizzando le vacanze organiche esistenti.

Inoltre, nella prospettiva del federalismo fiscale è stato previsto un maggior coinvolgimento degli enti territoriali nell’attività di accertamento e riscossione, sia dalle disposizioni del D.L. 78/2010, sia dalle norme in materia di federalismo municipale. Il decreto-legge n. 138 del 2011 ha previsto ulteriori disposizioni volte complessivamente ad incentivare la partecipazione dei comuni all’attività di accertamento tributario. In particolare, per il triennio 2012-2014, è stato attribuito ai comuni l’intero ammontare del maggior gettito ottenuto a seguito dell'intervento degli stessi nell’attività di accertamento.

Nel corso del biennio 2011-2012 la disciplina in materia di poteri di controllo e indagine da parte degli organi dell'Amministrazione finanziaria ha subito numerose modifiche, volte al complessivo rafforzamento dei predetti strumenti.

In primo luogo, sono stati rafforzati i poteri del fisco in sede di indagini finanziarie, consentendo (ai sensi dell’articolo 23, comma 24 del D.L. n. 98 del 2011) agli uffici di acquisire informazioni anche da società ed enti di assicurazione, per quanto riguarda le attività da essi svolte aventi natura finanziaria; sono state inoltre introdotte disposizioni di razionalizzare delle indagini, svolte mediante accesso, sull’industria finanziaria. Il medesimo provvedimento ha altresì previsto una serie di disposizioni in materia di studi di settore dirette, tra l’altro, a modificare il contenuto degli atti di accertamento nel caso di congruità alle risultanze degli studi di settore e ad innalzare del 50 per cento la misura delle sanzioni per l'ipotesi di omessa presentazione del modello per la comunicazione dei dati rilevanti.

L'attenzione del legislatore si è poi rivolta al fronte della tracciabilità dei pagamenti, mediante la riduzione (articolo 12 del D.L. 201/2011) a 1000 euro della soglia massima per l’utilizzo del contante e dei titoli al portatore e con l’introduzione (articolo 2, comma 5 del D.L. 138/2011) di una sanzione accessoria a carico dei professionisti cui siano state contestate reiterate violazioni dell’obbligo di emettere il documento certificativo dei corrispettivi, che consiste nella sospensione dell’iscrizione all’albo o all’ordine. Nel medesimo filone si muovono le disposizioni (articolo 2, comma 36-vicies del medesimo D.L. 138) che assoggettano all’obbligo di emissione di ricevuta o scontrino fiscale anche le prestazioni rese, sul litorale demaniale, da parte dei titolari dei relativi provvedimenti amministrativi di concessione.

Il decreto-legge n. 201 del 2011 ha poi introdotto la fattispecie penale (articolo 11, comma 1) di esibizione o trasmissione di atti o documenti falsi in occasione di richieste formulate dall’Amministrazione finanziaria nell’esercizio dei poteri di accertamento. L’articolo 8 del D.L. 16 del 2012 contiene ulteriori misure di contrasto all’evasione fiscale: si segnala la nuova disciplina dei cd. "costi da reato", ai sensi della quale le ipotesi di indeducibilità sono circoscritte a costi e spese direttamente utilizzati per il compimento di fatti, atti o attività qualificabili come delitto non colposo, alle specifiche condizioni di legge.

 

In particolare, i principi e i criteri di delega elencati dall’articolo in esame sono i seguenti:

a)   rafforzamento dell’utilizzo da parte dell’Amministrazione finanziaria di controlli mirati utilizzando in modo appropriato e completo gli elementi contenuti nelle banche dati e prevedendo, laddove possibile, sinergie con altre autorità pubbliche nell’ottica di migliorare l’efficacia delle metodologie di controllo;

Controlli mirati e sinergie tra autorità preposte all’accertamento

Tra le principali disposizioni volte a istituire o rafforzare forme di controllo mirato con riguardo a specifiche tipologie di contribuenti, di attività o di agevolazioni fiscali, si ricorda anzitutto l’insieme di norme relative alle procedure di accertamento (articolo 27, commi da 9 a 15 del D.L. n. 185 del 2008) nei confronti di imprese di grandi dimensioni, ossia quelle con un volume d'affari o ricavi non inferiori a trecento milioni di euro. L’articolo 12 del D.L. n. 78 del 2009 ha poi previsto l’istituzione da parte dell'Agenzia delle entrate, in coordinamento con la Guardia di finanza, di una unità speciale per il contrasto della evasione ed elusione internazionale, per l'acquisizione di informazioni utili alla individuazione dei predetti fenomeni illeciti ed il rafforzamento della cooperazione internazionale. Specifici interventi di potenziamento dei controlli doganali e di quelli in materia di giochi sono stati previsti dal D.L. n. 16 del 2012; il medesimo provvedimento (articolo 8, comma 8) dispone che l’Agenzia delle entrate e la Guardia di Finanza, in sede di pianificazione degli accertamenti fiscali da essi compiuti, tengano conto anche delle segnalazioni non anonime di violazioni tributarie, incluse quelle relative all’obbligo di emissione della ricevuta o dello scontrino fiscale

Numerose sono altresì le disposizioni che prevedono sinergie tra autorità preposte ai controlli fiscali o contributivi, nonché quelle volte a favorire i flussi informativi: l’articolo 7, comma 2, lettera h) del D.L. 70 del 2011 consente alle Agenzie fiscali, agli enti di previdenza e assistenza obbligatoria e al Ministero del lavoro e delle politiche sociali di stipulare, nei limiti delle risorse disponibili in base alla legislazione vigente, apposite convenzioni con le Amministrazioni pubbliche, gli enti pubblici economici e le Autorità amministrative indipendenti per acquisire, in via telematica, nel rispetto dei principi di cui alla vigente normativa in materia di privacy, i dati e le informazioni personali - anche sensibili e in forma disaggregata - che gli stessi detengono per obblighi istituzionali, al fine di ridurre gli adempimenti dei cittadini e delle imprese e rafforzare il contrasto alle evasioni e alle frodi fiscali e contributive, nonché per accertare il diritto e la misura delle prestazioni previdenziali, assistenziali e di sostegno al reddito. L’articolo 5 del D.L. 201 del 2011, accanto alla revisione dell’ISEE, ha affidato a un provvedimento del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, di definire le modalità con cui viene rafforzato il sistema dei controlli dell’ISEE, anche attraverso la condivisione degli archivi cui accedono la pubblica amministrazione e gli enti pubblici e prevedendo la costituzione di una banca dati delle prestazioni sociali agevolate, condizionate all’ISEE. Il medesimo provvedimento (all’articolo 11, comma 2) ha imposto agli operatori finanziari, dal 1° gennaio 2012, di comunicare periodicamente all’anagrafe tributaria anche tutte le movimentazioni relative ai rapporti finanziari intrattenuti con i contribuenti. Le informazioni così comunicate sono utilizzate dall'Agenzia delle entrate per l’elaborazione con procedure centralizzate di specifiche liste selettive di contribuenti a maggior rischio di evasione nonché – ai sensi del D.L. 95 del 2012 - anche per semplificare gli adempimenti dei cittadini sulla compilazione della dichiarazione sostitutiva unica valida ai fini ISEE e in sede di controllo sulla veridicità dei dati dichiarati nella medesima.

L’articolo 11, comma 6 del D.L. n. 201 del 2011, nell’ambito dell’attività di scambio di informazioni tra Agenzia delle Entrate e INPS relativamente ai soggetti non residenti ed ai percipienti utili da contratti di associazione in partecipazione, dispone che l’INPS fornisca all'Agenzia delle entrate ed alla Guardia di finanza i dati relativi alle posizioni di soggetti destinatari di prestazioni socio-assistenziali, affinché vengano considerati ai fini della effettuazione di controlli sulla fedeltà dei redditi dichiarati, basati su specifiche analisi del rischio di evasione.

In merito ai profili di riservatezza, con il provvedimento n. 145 del 17 aprile 2012 l'Autorità Garante per la privacy ha espresso il proprio parere sullo schema di provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate riguardante le modalità con le quali le banche dovranno comunicare a fini di controllo fiscale all'Agenzia le informazioni relative ai conti correnti bancari (saldo iniziale e finale, importi totali degli accrediti e degli addebiti delle numerose tipologie di operazioni effettuate), indicando le specifiche misure di sicurezza necessarie alla protezione dei dati dei cittadini.

In particolare, si è sottolineata la necessità di integrare lo schema di provvedimento con l'individuazione di adeguate misure di sicurezza, di natura tecnica e organizzativa, anche in relazione al trattamento posto in essere dagli operatori finanziari per la comunicazione annuale, volte a garantire che, qualora la trasmissione non avvenga con interconnessione application-to-application tra i rispettivi sistemi informativi. Tra le misure richieste dal Garante, si richiamano in questa sede gli opportuni meccanismi di cifratura e di sicurezza dei dati, volti a proteggere le informazioni e ad assicurare l'integrità del contenuto dei files, nonché l’uso di protocolli informatici sicuri per le eventuali trasmissioni interne all'operatore finanziario. Il Garante richiede inoltre che i soggetti incaricati del trattamento relativo alle comunicazioni all'archivio dei rapporti finanziari siano scelti dagli operatori finanziari sulla base di elevati requisiti di idoneità soggettiva, preferibilmente tra soggetti che abbiano un rapporto stabile con essi.

Inoltre, si richiede all'Agenzia deve predisporre l'uso di canali di comunicazione diversi e alternativi al servizio Entratel, soprattutto per le comunicazioni da parte di soggetti detentori di una elevata quantità di dati come i gruppi bancari; ove l'Agenzia ritenga di utilizzare il predetto servizio telematico Entratel, ovvero altro canale telematico, si richiede l’introduzione di misure e accorgimenti volti – tra l’altro - ad assicurare che l'operatore finanziario possa inviare il file, già cifrato all'origine, in un'unica soluzione e che venga effettuata la certificazione digitale delle postazioni client o altra misura equivalente. Sono previsti ulteriori requisiti in ordine alla sicurezza delle postazioni periferiche, come l'utilizzo di strumenti software integrativi idonei a rilevare altre qualità inerenti la sicurezza (antivirus, programmi di protezione contro il malware etc.) e l’utilizzo di sistemi di autenticazione informatica basati su tecniche di strong authentication, consistenti nell'uso contestuale di almeno due differenti tecnologie di autenticazione per tutti gli utilizzatori del sistema. L'Agenzia, a prescindere dalla modalità di trasmissione prescelta, deve assicurarsi che il procedimento di cifratura del file da trasmettere da parte dell'operatore finanziario possa avvenire già contestualmente alla estrazione dei dati dai sistemi, o, quantomeno, nella fase immediatamente successiva, preferibilmente con l'utilizzo di strumenti automatici che non prevedano l'intervento di un operatore. Laddove siano previsti casi di trattamento dei dati oggetto della comunicazione integrativa annuale ulteriori rispetto a quanto previsto nello schema di provvedimento in esame, l'Agenzia deve sottoporre alla verifica preliminare del Garante tale circostanza. Infine, si richiede che nello schema di provvedimento siano esplicitati i periodi di conservazione dei dati necessari e che, in ogni caso, allo scadere di tale periodo deve essere disposta l'integrale e automatica cancellazione degli stessi.

L'Autorità ha, inoltre, dato parere favorevole ad un altro schema di provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate riguardante le modalità tecniche di accesso da parte dei Comuni alle banche dati e di trasmissione delle dichiarazioni dei contribuenti ai fini della partecipazione dei Comuni stessi all'accertamento fiscale e contributivo; anche in tal caso sono state richieste misure tecniche e organizzative a protezione dei dati dei cittadini, con l'integrazione dello schema con la definizione delle modalità di accesso alle banche dati dell'Agenzia del territorio e dell'Inps. Limitatamente a questo aspetto, il Garante ha chiesto che lo schema gli venga nuovamente sottoposto.

b)   previsione dell’obbligo di garantire l’assoluta riservatezza nell’attività conoscitiva e di controllo fino alla completa definizione dell’accertamento; effettiva osservanza, nel corso dell’attività di controllo, del principio di ridurre al minimo gli ostacoli al normale svolgimento dell’attività economica del contribuente, garantendo in ogni caso il rispetto del principio di proporzionalità; rafforzamento del contraddittorio nella fase di indagine e subordinazione dei successivi atti di accertamento e liquidazione all’esaurimento del contraddittorio procedimentale;

I principi che presiedono all’attività di controllo fiscale

L’articolo 14 della Costituzione, nello stabilire il principio di inviolabilità del domicilio, autorizza all’effettuazione di ispezioni, perquisizioni e sequestri nei soli casi e modi stabiliti dalla legge e secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale. In particolare, si prevede una riserva di legge per la disciplina degli accertamenti e delle ispezioni effettuate, tra l’altro, a fini economici e fiscali. L’articolo 52 del D.P.R. n. 633/1972 reca la disciplina sostanziale di accessi, ispezioni e verifiche in materia di IVA, applicabile anche alle imposte sui redditi in virtù del richiamo operato dall’articolo 33 del D.P.R. n. 600/1973 .

In sintesi, gli impiegati dell'Amministrazione finanziaria possono essere autorizzati ad accedere ai locali destinati all'esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l'accertamento e per la repressione dell'evasione e delle altre violazioni. Gli impiegati che eseguono l'accesso devono essere muniti di apposita autorizzazione che ne indichi lo scopo, rilasciata dal capo dell'ufficio da cui dipendono. L'accesso nei locali destinati all'esercizio di arti o professioni deve essere eseguito in presenza del titolare dello studio o di un suo delegato. Per accedere in locali che siano adibiti anche ad abitazione è necessaria anche l'autorizzazione del procuratore della Repubblica. È in ogni caso necessaria l'autorizzazione del procuratore della Repubblica o dell'autorità giudiziaria più vicina per procedere durante l'accesso a perquisizioni personali e all'apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili e per l'esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale.

Di ogni accesso deve essere redatto processo verbale da cui risultino le ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte ricevute. Il verbale deve essere sottoscritto dal contribuente o da chi lo rappresenta ovvero indicare il motivo della mancata sottoscrizione. Il contribuente ha diritto di averne copia. Alle condizioni di legge, l’Amministrazione finanziaria può effettuare accessi anche presso le pubbliche amministrazioni, per rilevare direttamente dati e notizie, nonché presso le banche e l'Amministrazione postale.

Le suddette disposizioni sono da integrarsi con quanto previsto dallo Statuto del contribuente (articolo 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212), ai sensi del quale tutti gli accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all'esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali sono effettuati sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo. Essi si svolgono, salvo casi eccezionali e urgenti adeguatamente documentati, durante l'orario ordinario di esercizio delle attività e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento delle attività stesse nonché alle relazioni commerciali o professionali del contribuente.

La permanenza degli operatori civili o militari dell'amministrazione finanziaria, dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell'indagine individuati e motivati dal dirigente dell'ufficio. Gli operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell'ufficio, per specifiche ragioni.

Il periodo di permanenza presso la sede del contribuente di cui al primo periodo, così come l'eventuale proroga ivi prevista, non può essere superiore a quindici giorni lavorativi contenuti nell'arco di non più di un trimestre, in tutti i casi in cui la verifica sia svolta presso la sede di imprese in contabilità semplificata e lavoratori autonomi. In entrambi i casi, ai fini del computo dei giorni lavorativi, devono essere considerati i giorni di effettiva presenza degli operatori civili o militari dell'Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente. In particolare (comma 5 dell’articolo 12 dello Statuto - modificato, da ultimo, dall’articolo 7, comma 2, lettera c) del decreto-legge n. 70 del 2011) la permanenza degli operatori civili o militari dell'amministrazione finanziaria, dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell'indagine individuati e motivati dal dirigente dell'ufficio. Gli operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell'ufficio, per specifiche ragioni. Sono previsti termini di permanenza inferiori (così come dell'eventuale proroga), ovvero non superiori a quindici giorni lavorativi, contenuti nell'arco di non più di un trimestre, ove la verifica sia svolta presso la sede di imprese in contabilità semplificata e lavoratori autonomi.

In entrambe le ipotesi (termini ordinari e abbreviati), ai fini del computo dei giorni lavorativi devono essere considerati i giorni di effettiva presenza degli operatori civili o militari dell'Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente.

Il contribuente, nel caso ritenga che i verificatori procedano con modalità non conformi alla legge, può rivolgersi anche al Garante del contribuente (organo collegiale costituito presso le articolazioni regionali degli uffici erariali avente compiti di rivolgere richieste di documenti o chiarimenti agli uffici competenti, con poteri di raccomandazione e accesso agli uffici medesimi secondo la disciplina dell'articolo 13 dello Statuto).

Per effetto delle modifiche operate dal citato D.L. 70/2011 (articolo 7, comma 2, lettera d)), le tutele in materia di accesso disposte dall’illustrato articolo 12 dello Statuto dei diritti del contribuente sono estese anche alle attività di controllo o ispettive svolte dagli enti di previdenza e assistenza obbligatoria.

c)   potenziamento e razionalizzazione della tracciabilità dei pagamenti prevedendo espressamente i metodi di pagamento sottoposti a tracciabilità;

Le più recenti disposizioni in materia di tracciabilità dei pagamenti

L’articolo 12 del D.L. 201/2011 ha ridotto da 2.500 a 1.000 euro la soglia massima per l’utilizzo del contante e dei titoli al portatore, con finalità di contrasto al riciclaggio e all’evasione fiscale. Nell’ottica dello snellimento burocratico e della semplificazione, inoltre, diverse norme (medesimo articolo 12 del D.L. n. 201 del 2011; articolo 16 del D.L. n. 5 del 2012) hanno esteso al bacino delle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici (anche previdenziali) l’obbligo di effettuare pagamenti mediante strumenti diversi dal contante. Da ultimo, l'articolo 3 del D.L. n. 16 del 2012 ha previsto una deroga al tetto per l'uso del contante per determinate transazioni legate al turismo effettuate da cittadini non europei; per usufruire della deroga è necessario seguire un'apposita procedura.

d)   potenziamento dell’utilizzo della fatturazione elettronica.

La possibilità di emettere e conservare le fatture in solo formato digitale è stata introdotta nell’ordinamento europeo dalla direttiva 2001/115/CE del Consiglio del 20 dicembre 2001 (confluita nella direttiva sul sistema comune dell’IVA, Direttiva 2006/112/CE), recepita in Italia con il D.Lgs. 20 febbraio 2004 n. 52 (nonché con il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 23 gennaio 2004, recante le modalità di assolvimento degli obblighi fiscali relativi ai documenti informatici e alla loro riproduzione in diversi tipi di supporto, e con la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 45/E del 2005).

In particolare, a seguito dello sviluppo del settore informatico, il legislatore comunitario ha dettato regole comuni in merito all'utilizzo della fattura elettronica e alla sua conservazione, anche al fine di salvaguardare l'esigenza di controllo delle Amministrazioni dei Paesi membri. Per realizzare questo processo di modernizzazione e armonizzazione, la citata direttiva è intervenuta ad integrare le disposizioni vigenti prevedendo, in linea generale, le indicazioni da apporre sulla fattura e, in particolare, per quanto attiene alla fatturazione tramite strumenti elettronici, alle modalità di emissione e di conservazione.

In estrema sintesi, le novità della direttiva recepite in Italia concernono la possibilità di emettere la fattura elettronica e di trasmettere la fattura anche tramite strumenti informatici; la possibilità di emettere fattura, in forma cartacea o elettronica, da parte di un cliente o di un terzo, anche se residenti in un Paese con il quale non esistono strumenti giuridici che disciplinano la reciproca assistenza; gli elementi obbligatori da indicare nella fattura; la possibilità di emettere, nei confronti di uno stesso cliente, un'unica fattura per cessioni o prestazioni distinte effettuate nello stesso giorno; l'obbligo di annotare in fattura che la stessa è compilata dal cliente, ovvero, per conto del cedente o prestatore, da un terzo. Il D.Lgs. n. 52 del 2004 ha inoltre modificato la disciplina concernente la tenuta e la conservazione dei registri e dei documenti rilevanti, nonché la disciplina in materia di accessi, ispezioni e verifiche da parte dell’Amministrazione finanziaria: in particolare, è stata resa possibile la conservazione delle fatture in forma elettronica in un Paese estero con il quale esistono strumenti giuridici che disciplinano la reciproca assistenza.

Ai sensi della normativa interna, la fattura può essere emessa in forma cartacea (fattura analogica) oppure in formato elettronico, nonché essere trasmessa e conservata secondo i sistemi tradizionali, ovvero nel rispetto degli obblighi previsti dall’apposita normativa riguardante i documenti digitali. Come chiarito dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate 19 ottobre 2005, n. 45/E, la fattura elettronica consiste in un documento informatico a rilevanza fiscale, di tipo “statico e non modificabile”, vale a dire, un documento emesso in modo tale che il suo contenuto non risulti alterabile né durante le fasi di accesso e conservazione del medesimo, né successivamente. La trasmissione elettronica della fattura può avere luogo unicamente previo accordo con il destinatario della medesima, al fine di garantire che entrambe le parti siano dotate dei mezzi necessari per la gestione informatica della contabilità e, quindi, assicurare che siano rispettati i vincoli che imposti dalla legge per la conservazione dei documenti, connessi con la fatturazione elettronica. La fattura elettronica deve contenere un riferimento temporale (indicando data e ora di formazione del documento mediante un’operazione che rispetti precise procedure di sicurezza) e la firma elettronica qualificata dell’emittente, attraverso l’apposizione del riferimento temporale e della firma elettronica - ovvero mediante l’utilizzo di sistemi EDI di trasmissione elettronica della fattura - il soggetto emittente deve garantire il rispetto dei seguenti requisiti: attestazione della data, autenticità dell’originale e integrità del contenuto. Se mancano detti requisiti, la fattura è considerata analogica, a prescindere dalle modalità di formazione e trasmissione della medesima e dovrà quindi essere materializzata su supporto cartaceo.

Il 13 luglio 2010 il Consiglio ha adottato la direttiva 2010/45/UE che modifica, per quanto concerne le norme in materia di fatturazione, la direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune dell’IVA: essa stabilisce nuove norme IVA per la fatturazione elettronica ed elimina gli ostacoli alla sua adozione, disponendo la parità di trattamento tra fatture elettroniche e su carta e garantendo che a queste ultime non vengano imposti ulteriori requisiti.

Ai sensi del novellato articolo 233 della direttiva 2006/112/CE, le imprese saranno libere di inviare e ricevere fatture elettroniche a condizione che effettuino “controlli di gestione che creino una pista di controllo affidabile tra una fattura e una cessione di beni o una prestazione di servizi”, così come avviene attualmente con le fatture su carta.

La direttiva consente inoltre di emettere “fatture semplificate” per importi inferiori ai 100 euro. Sono introdotte disposizioni di omologazione a livello europeo del contenuto della fattura, sia cartacea che in forma elettronica, con l'obiettivo di renderne uniforme l'utilizzo e la comprensione da parte dell'emittente e del destinatario, ancorché identificati ai fini IVA in Stati membri diversi dell'Unione.

La direttiva prende spunto da una relazione della Commissione Europea che ha evidenziato alcune difficoltà inerenti la fatturazione elettronica e ha richiamato l'attenzione su altri settori in cui occorre semplificare le norme IVA al fine di migliorare il funzionamento del mercato interno. Al fine di armonizzare e garantire la certezza del diritto, sono stabilite regole più precise per individuare gli obblighi che le imprese devono seguire in tema di fatturazione: normalmente si applicheranno le norme dello Stato membro in cui si considera effettuata la cessione di un bene o la prestazione di un servizio. Le disposizioni incoraggiano, inoltre, il ricorso alla fatturazione elettronica mediante la soppressione degli ostacoli giuridici alla trasmissione e all’archiviazione dei documenti dematerializzati. La direttiva introduce un principio in base al quale ogni soggetto passivo stabilisce il modo in cui assicurare l'autenticità dell'origine, l'integrità del contenuto e la leggibilità della fattura: i soggetti passivi, pertanto, non saranno obbligati a ricorrere ad una particolare tecnologia di fatturazione elettronica. Per motivi di certezza, viene riconosciuta agli Stati membri la possibilità di richiedere che la conservazione elettronica delle fatture sia obbligatoriamente accompagnata dalla conservazione di quei dati che garantiscono l'autenticità dell'origine e l'integrità del contenuto di ciascuna fattura. Viene introdotta una diversa definizione di fattura elettronica. La precedente definizione (“trasmissione o messa a disposizione per via elettronica dei dati di fatturazione”) è sostituita con “fattura emessa e ricevuta in formato elettronico”. Si afferma dunque la piena parificazione tra le fatture cartacee e quelle elettroniche.

Sono modificati gli obblighi relativi alle informazioni che devono figurare sulle fatture per permettere un miglior controllo dell'imposta, garantire un trattamento più uniforme alle cessioni di beni/prestazioni di servizi e contribuire a promuovere la fatturazione elettronica.

Le norme dovranno essere recepite dagli Stati membri entro il 31 dicembre 2012 per rendere applicabili le nuove disposizioni dal successivo 1° gennaio 2013.

La Direttiva 2010/45/UE è contenuta nell’Allegato B del disegno di legge comunitaria 2011 (A.S. 3129, attualmente all’esame dell’Aula del Senato).

Nella Comunicazione del 2 dicembre 2010 COM(2010) 712 definitivo, dal titolo Sfruttare i vantaggi della fatturazione elettronica in Europa, la Commissione Europea ha sottolineato come - a scapito dei consumatori e delle imprese - le norme che regolano la fatturazione elettronica in Europa sono ancora frammentate lungo i confini nazionali e la maggior parte del potenziale della fatturazione elettronica è ancora da sfruttare. Per di più, lo scambio di fatture elettroniche rimane troppo complesso e costoso, soprattutto per le PMI (il 42% delle grandi imprese dichiarava di ricevere o inviare fatture elettroniche, il tasso d’adozione era inferiore tra le PMI, ovvero il 22%).

La Commissione ha rilevato in merito che l’adozione in massa della fatturazione elettronica nell’UE porterebbe a notevoli vantaggi economici: anzitutto, il passaggio dalla fatturazione su carta a quella elettronica permetterebbe di risparmiare circa 240 miliardi di euro in sei anni; inoltre, grazie allo stretto legame che unisce i processi di fatturazione e di pagamento, la creazione dell’area unica dei pagamenti in euro (AUPE) offre un trampolino di lancio per l’istituzione di regimi europei di fatturazione elettronica interoperabili; si auspica quindi, entro il 2020, che la fatturazione elettronica diventi il principale modo di fatturazione in Europa. Si intende dunque garantire la certezza del diritto e un contesto tecnico chiaro per la fatturazione elettronica in modo da favorirne l’adozione in massa; incoraggiare e promuovere lo sviluppo di soluzioni di fatturazione elettronica aperte e interoperabili basate su una norma comune, prestando particolare attenzione alle esigenze delle PMI; sostenere l’adozione della fatturazione elettronica mediante l’istituzione di strutture organizzative, come ad esempio fori nazionali multilaterali per la fatturazione elettronica e un forum europeo multilaterale delle parti interessate.

Le note esplicative della direttiva 2010/45UEin tema di fatturazione elettronica sono state pubblicate il 5 ottobre 2011 dal Directorate-General Taxation and Customs Union della Commissione europea.

In primo luogo, in ordine alla definizione di fattura elettronica (articolo 217 della direttiva n. 2006/112/CE, come modificato dalla direttiva n. 2010/45/UE), le note precisano che quest’ultima, allo stesso modo della fattura cartacea (“paper invoice”), deve contenere tutti gli elementi previsti dalla direttiva n. 2006/112/CE. Inoltre, è necessario che la fattura medesima venga emessa e sia ricevuta in formato elettronico, con scelta del formato determinata dai soggetti passivi. Non tutte le fatture create in formato elettronico possono essere considerate una "fattura elettronica"; le fatture create in formato elettronico, per esempio tramite un software di contabilità o un software di elaborazione di testi, ma inviate e ricevute su carta non sono fatture elettroniche. D'altro canto, le fatture create in formato cartaceo, scannerizzate, inviate e ricevute tramite posta elettronica possono essere considerate fatture elettroniche.

Per quanto concerne invece l’autenticità dell’origine (novellato articolo 233, par. 1 della direttiva n. 2006/112/CE) essa è oggetto di obbligo sia per la persona che riceve il bene o il servizio, sia per il soggetto che effettua la cessione o la fornitura; analoga garanzia grava sui predetti soggetti in ordine all’integrità del contenuto della fattura. La fattura deve essere inoltre leggibile da parte dell’essere umano. Deve dunque presentare uno stile redazionale che ne consenta l’immediata comprensione, su carta e in video, senza la necessità di ricorrere ad un’attività interpretativa del contenuto.

Sono inoltre specificate le tecnologie utilizzabili per garantire l’autenticità dell’origine e l’integrità del contenuto di una fattura elettronica, ovvero :

§       la firma elettronica avanzata;

§       la trasmissione elettronica di dati (EDI).

Le Note precisano comunque che le suindicate opzioni sono soltanto esempi di tecnologie utilizzabili per garantire l’autenticità dell’origine e l’integrità del contenuto di una fattura. Laddove la fattura elettronica non presenti i requisiti per la firma elettronica avanzata e la trasmissione elettronica dei dati, l’autenticità dell’origine e l’integrità del contenuto possono comunque essere garantiti attraverso “controlli di gestione che creino una pista di controllo affidabile tra una fattura e una cessione di beni o una prestazione di servizi” (articolo 233, par. 1 della direttiva n. 2006/112/CE, come modificato dalla direttiva). Infine, l’autenticità dell’origine, l’integrità del contenuto e la leggibilità della fattura devono essere garantiti “dal momento dell’emissione fino al termine del periodo di archiviazione della fattura”.

 


 

Articolo 10
(Revisione del contenzioso tributario e della riscossione degli enti locali)

 


1. Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui all'articolo 1, norme per il rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente, nonché per l'accrescimento dell'efficienza nell'esercizio dei poteri di riscossione delle entrate degli enti locali, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) previsione di misure acceleratorie della definizione delle controversie di competenza delle commissioni tributarie, prevedendo a tal fine procedure pregiudiziali per la definizione delle liti di modesta entità;

b) estensione della conciliazione giudiziale alla fase di appello e al giudizio di revocazione;

c) miglioramento dell'efficienza delle commissioni tributarie attraverso una ridistribuzione territoriale del personale giudicante;

d) riordino della disciplina della riscossione delle entrate degli enti locali, al fine di assicurare, in particolare, certezza, efficienza ed efficacia nell'esercizio dei loro poteri di riscossione, competitività, certezza e trasparenza nei casi di esternalizzazione delle relative funzioni, nonché forme di garanzia sulla trasparenza, sull'effettività e sulla tempestività dell'acquisizione da parte degli enti locali delle entrate riscosse.


 

 

L’articolo 10 delega il Governo all’introduzione di norme aventi lo scopo di rafforzare la tutela giurisdizionale del contribuente e rendere più efficienti i poteri di riscossione delle entrate degli enti locali.

Al fine di raggiungere il primo obiettivo, il Governo dovrà prevedere misure acceleratorie delle controversie, prevedendo l’estensione dell’ambito operativo della conciliazione giudiziale nel processo tributario; dovrà essere migliorata l’efficienza delle commissioni tributarie attraverso una ridistribuzione territoriale dei giudici.

Il riordino della riscossione delle entrate locali dovrà improntarsi a criteri di certezza, efficienza ed efficacia, di competitività, certezza e trasparenza nei casi di esternalizzazione dei poteri di riscossione, nonché di garanzia quanto alla trasparenza, effettività e tempestività dell’acquisizione da parte degli enti locali delle entrate riscosse.

 

Nel dettaglio, l’articolo 10 delega il Governo all’introduzione di norme aventi i seguenti scopi:

§      rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente;

§      efficientamento dei poteri di riscossione delle entrate degli enti locali.

Il processo tributario

I principi e i criteri direttivi afferenti al rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente sono i seguenti:

a)   previsione di misure acceleratorie della definizione delle controversie di competenza delle commissioni tributarie, prevedendo a tal fine procedure pregiudiziali di definizione delle liti di modesta entità;

b)   estensione della conciliazione giudiziale alla fase di appello e al giudizio di revocazione;

Lo stato del contenzioso tributario e le misure di accelerazione

La Relazione di monitoraggio sullo stato del contenzioso tributario e sull’attività delle commissioni tributarie per l’anno 2010, con riguardo all’evoluzione del contenzioso, evidenzia un lieve incremento del numero dei ricorsi presentati nelle Commissioni tributarie nel 2010, rispetto all’anno precedente (+0,25 per cento); se presso le Commissioni tributarie provinciali si è registrato un leggero calo (-2,12 per cento), nelle regionali si è avuto un deciso aumento (+11,47 per cento).

Per quanto riguarda gli enti impositori contro i quali i ricorsi sono stati presentati, il 61,26 per cento dei ricorsi pervenuti presso le CT provinciali ha avuto quale controparte l’Agenzia delle entrate, il 14,42 per cento Regioni, Province e Comuni, il 10,59 per cento Equitalia, il 2,76 per cento l’Agenzia del territorio e solo lo 0,87 per cento l’Agenzia delle dogane. In valori assoluti rispetto al 2009, il numero dei ricorsi presentati in primo grado contro l’Agenzia delle entrate diminuisce per il 2,72 per cento, quello relativo alle Regioni, Province e Comuni diminuisce del 6,7 per cento, così come quello relativo agli Altri Enti locali (-12,89 per cento), mentre si incrementa il contenzioso avverso Equitalia (+16,8 per cento) e l’Agenzia del territorio (+28,93 per cento).

In ordine alla tipologia dei tributi oggetto dei ricorsi presentati nelle CT, si evidenzia che nel 2010 l’Irpef/Ires raggiunge circa il 19 per cento del totale, l’Irap, anche in combinazione con altre imposte, raggiunge il 21 per cento, l’Iva presa singolarmente o in combinazione con altre imposte raggiunge il 7 per cento del totale. Rispetto al 2009 non si registrano sostanziali variazioni. Relativamente ai tributi locali, i ricorsi presentati aventi ad oggetto l’Ici raggiungono il 7 per cento del totale, i tributi sullo smaltimento dei rifiuti l’8% e quelli connessi alle tasse auto il 5 per cento circa.

Relativamente alla natura giuridica dei ricorrenti, che hanno presentato ricorso nel 2010, è costituita da persona fisica per il 74,59% in CTP e il 64,44% in CTR. Tra i soggetti diversi dalle persone fisiche, le società di capitali rappresentano, rispettivamente, il 18% ed il 25,94% del totale dei pervenuti. Per quanto attiene il settore economico, il commercio (20,97%), le attività manifatturiere (16,88%) e le costruzioni (15,49%) raffigurano i settori più rappresentati tra i ricorsi/appelli proposti nel 2010.

In ordine allo stato delle controversie la Relazione, esaminando i dati dei ricorsi pendenti al 31 dicembre 2010, registra un incremento degli stessi rispetto a quelli del 2009 pari al 4,67 per cento. L’analisi del quadriennio 2007-2010 evidenzia un andamento crescente dei ricorsi pendenti (+13,99 per cento) rispetto al minimo storico raggiunto il 31 dicembre 2007, che inverte la tendenza, registrata dal 1997 in poi, ad una riduzione dei ricorsi pendenti.

Circa la composizione per “anzianità” dei ricorsi pendenti presenti presso le CT nel 2010, si registra che il 69,31 per cento dei ricorsi/appelli giacenti ha meno di due anni di anzianità, il 19,25 per cento è compreso tra 2 e 5 anni e il restante 11,45 per cento riguarda ricorsi con anzianità maggiore ai cinque anni. In particolare, le Commissioni tributarie regionali detengono un numero di appelli con anzianità media inferiore ai 2 anni pari al 77,73 per cento dei pendenti, mentre nelle provinciali tali ricorsi rappresentano il 67,64 per cento del totale. La suddetta differenza percentuale trova conferma nel dato della anzianità media dei pendenti che nelle regionali risulta pari a 2 anni e 1 mese, in luogo di 2 anni e 10 mesi per le provinciali.

La Relazione dedica inoltre particolare attenzione all’analisi del tempo medio delle varie fasi del procedimento giurisdizionale tributario. Partendo dal tempo medio di presentazione del ricorso al Presidente delle CT, fase di competenza degli Uffici di segreteria, si registra per le CT provinciali un tempo medio di 2,5 giorni e per le CT regionali di 2,7 giorni.

Con riguardo al tempo medio di assegnazione dei ricorsi dal presidente della CT alla sezione competente, si rileva per le CT provinciali 76 giorni e per le CT regionali 51,7 giorni. Relativamente al tempo medio di deposito del decreto del Presidente di sezione (inammissibilità e/o estinzione), si evince che nelle CT provinciali esso è pari a 335,9 giorni e nelle CT regionali a 366,9 giorni. Altra questione analizzata è quella del tempo medio che intercorre dalla data della richiesta della sospensione dell’atto impugnato a quella della decisione in merito alla sospensione. Per le CT provinciali la media è pari a 180,3 giorni, mentre per le CT regionali risulta è pari a 118,7 giorni. Per il tempo medio di deposito del dispositivo della sentenza, calcolato con riguardo alla data dell’ultima udienza, nelle CT provinciali esso è 52,1 giorni e nelle CT regionali è 55,9 giorni. Per il tempo medio di comunicazione del dispositivo, fase di competenza degli Uffici di segreteria delle CT, si rileva un valore medio pari a 3,3 giorni nelle CTP e 2,7 giorni nelle CTR.

Con riguardo al tempo medio del processo, intercorrente tra la data di presentazione del ricorso e la data di spedizione del dispositivo della sentenza, si registra presso le CT provinciali circa 2 anni e 3 mesi di tempo medio, mentre presso le CT regionali è pari a circa 1 anno e 8 mesi.

 

Le disposizioni in materia di contenzioso tributario introdotte durante la legislatura hanno perseguito, in primo luogo, il fine di agevolare lo smaltimento delle liti fiscali pendenti (articolo 55 del D.L. 112/2008; articolo 3 del D. L. 40/2010 e, da ultimo, articolo 39, comma 12 del D.L. 98 del 2011), introducendo in particolare forme di definizione agevolata delle controversie “minori” (dal valore non superiore a 20.000 euro).

Da ultimo, il D.L. n. 216 del 2011 (art. 29, comma 16-bis) ha prorogato il termine per accedere alla definizione agevolata delle liti fiscali pendenti: in particolare, il termine della pendenza della lite dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio è stato differito dal 1° maggio 2011 al 31 dicembre 2011. Conseguentemente il termine per il versamento delle somme che consentono l’accesso alla procedura, scaduto il 30 novembre scorso, è stato fissato al 31 marzo 2012.

Il citato decreto-legge n. 98 del 2011 (articolo 39, comma 9) ha introdotto l’istituto della mediazione tributaria.

In particolare, per quanto riguarda il reclamo, per le controversie di valore non superiore a ventimila euro relative ad atti dell’Agenzia delle entrate, notificati a decorrere dal 1° aprile 2012, da esperire in via preliminare ogni qualvolta si intenda presentare un ricorso, pena l’inammissibilità dello stesso. In ambito tributario – ove peraltro vige il principio della indisponibilità dei diritti - la mediazione applicabile è unicamente quella prevista dall’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992, secondo cui per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, relative ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate, chi intende proporre ricorso è tenuto preliminarmente a presentare reclamo. Si tratta di uno strumento deflativo del contenzioso, con il quale si prevede la presentazione obbligatoria di un’istanza che anticipa il contenuto del ricorso: con essa il contribuente chiede l’annullamento totale o parziale dell’atto sulla base degli stessi motivi di fatto e di diritto che intenderebbe portare all’attenzione della Commissione tributaria provinciale nella eventuale fase giurisdizionale. E’ in facoltà del contribuente inserire nell’istanza anche una proposta di mediazione. L’Agenzia delle entrate ha pubblicato la circolare 9/E del 17 marzo 2012, avente ad oggetto i chiarimenti e le istruzioni operative sulla mediazione tributaria, con la quale ha in particolare chiarito l’ambito applicativo del nuovo strumento, operativo al momento solo in una fase antecedente il contenzioso (dunque prima dell’instaurazione del primo grado di giudizio).

In particolare, il contribuente deve esperire la fase amministrativa ogni qual volta intenda impugnare uno degli atti individuati dall’articolo 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, emesso dall’Agenzia delle entrate, e il valore della controversia non sia superiore a ventimila euro.

Ne deriva che sono oggetto di mediazione le controversie relative a:

§       avviso di accertamento;

§       avviso di liquidazione;

§       provvedimento che irroga le sanzioni;

§       ruolo;

§       rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni

§       pecuniarie e interessi o altri accessori non dovuti;

§       diniego o revoca di agevolazioni o rigetto di domande di

§       definizione agevolata di rapporti tributari;

§       ogni altro atto emanato dall’Agenzia delle entrate, per il quale la

§       legge preveda l’autonoma impugnabilità innanzi alle Commissioni

§       tributarie.

L’agenzia ritiene oggetto di mediazione anche il rifiuto tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie e interessi o altri accessori non dovuti, sulla base delle seguenti considerazioni.

c)   miglioramento dell’efficienza delle commissioni tributarie attraverso una ridistribuzione territoriale del personale giudicante.

Il dimensionamento delle Commissioni tributarie e le misure di razionalizzazione

Già dal 2007 il legislatore tributario persegue l’obiettivo di ridistribuire territorialmente e razionalizzare l’impianto delle Commissioni Tributarie.

L’articolo 1, comma 351, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) ha introdotto norme volte a “delocalizzare” la Commissione Tributaria Centrale (CTC), con l’obiettivo di accelerare il processo di smaltimento delle controversie ancora pendenti. Si è infatti disposto che, a partire dal 1° maggio 2008, il numero delle sezioni giudicanti della CTC fosse ridotto a 21, ciascuna con sede presso ogni Commissione tributaria regionale e presso le Commissioni tributarie di secondo grado di Trento e Bolzano. Alle sezioni regionali della CTC, oltre ai giudici già in organico presso la stessa CTC, sono stati applicati giudici in servizio presso le CTR e le CTP della relativa regione.

Il medesimo articolo 1, comma 352, stabilisce anche che i processi pendenti dinanzi alla CTC siano attribuiti alla sezione regionale nella cui circoscrizione ha sede la commissione che ha emesso la decisione impugnata. Tali sezioni sono divenute, per effetto della disposizione normativa, competenti, in via esclusiva, alla trattazione delle liti pendenti.

Al fine di accelerare lo smaltimento del contenzioso pendente dinanzi alla CTC e garantire che le attività delle 21 sezioni delocalizzate sia esaurita entro la data fissata dalla legge (originariamente fissata al 31 dicembre 2012 dal D.L. n. 40 del 2010 e posposta al 31 dicembre 2013 dall’articolo 29, comma 16-decies del D.L. n. 216 del 2011), il Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria, con delibera n. 2684 del 30 novembre 2010, ha fissato il carico di lavoro minimo in n. 130 ricorsi per giudice ad anno ed approvato le graduatorie regionali per l’applicazione alle sezioni della CTC dei giudici (n. 447) delle CTP.

La citata Relazione di monitoraggio sullo stato del contenzioso tributario e sull’attività delle commissioni tributarie per l’anno 2010 rileva che l’applicazione ha riguardato n. 308 giudici, residenti nelle stesse regioni della sezione regionale di applicazione, mentre gli altri 139, non utilmente collocabili nelle graduatorie regionali, dovranno dichiarare la disponibilità all’applicazione anche presso le regioni diverse da quelle di residenza.

La predetta Relazione fornisce inoltre alcuni dati in ordine alle sezioni giudicanti presso le Commissioni tributarie provinciali e regionali al 31 dicembre 2010. Tali dati sono confrontati con il numero delle sezioni previste dal decreto ministeriale 11 aprile 2008, che ha rideterminato in diminuzione il numero delle sezioni e degli organici delle CTP e CTR, ai sensi dell’articolo 1, comma 353, della legge 24 dicembre 2007, n. 244. Tale norma ha affidato a uno o più decreti del Ministro dell’economia e delle finanze la determinazione:

§       del numero delle sezioni e degli organici di ciascuna commissione tributaria provinciale e regionale (tenuto conto delle rilevazioni statistiche del flusso medio dei processi relativi agli anni 2006 e 2007);

§       delle modalità di attuazione delle disposizioni di riordino della Commissione Tributaria Centrale (di cui ai commi 351 e 352).

Nella Relazione si evidenzia che in entrambi i gradi di giudizio (CTP e CTR) il numero delle sezioni attive è superiore a quello previsto dal D.M. 11 aprile 2008. Nel territorio nazionale, quindi, le sezioni dovrebbero passare da complessive 901, attive al 31 dicembre 2010, a complessive 778, con una diminuzione totale di 123 sezioni.

In particolare:

§       nell’area Nord-Est le sezioni dovrebbero diminuire di 69 unità;

§       nell’area Nord-Ovest le sezioni dovrebbero diminuire di 94 unità

§       nell’area Centro le sezioni dovrebbero diminuire di 27 unità;

§       nell’area Sud le sezioni dovrebbero aumentare di 31 unità;

§       nell’area Isole le sezioni dovrebbero aumentare di 36 unità.

In particolare, si evidenzia che presso le CTP di Torino, di Bari e di Bologna sono attive rispettivamente 11, 9 e 8 sezioni in più rispetto a quanto previsto dal decreto ministeriale. Di contro, alcune Commissioni presentano delle carenze: ad esempio, presso la CTP di Napoli mancano 35 sezioni e presso la CTP di Catania ne mancano 19. Presso le CTR, la CTR della Lombardia ha 18 sezioni attive più del previsto; mentre le CTR della Campania, del Lazio e della Sicilia hanno rispettivamente 9, 8 e 6 sezioni in meno rispetto alla previsione ministeriale.

 

Anche nella XVI legislatura è stato perseguito l’obiettivo di razionalizzare l'attività e il personale degli organi giurisdizionali: si segnala in merito quanto disposto dal già citato articolo 39 del decreto-legge 98 del 2011 (come modificato dal decreto-legge 138 del 2011) che ha inteso rafforzare le cause di incompatibilità dei giudici tributari e incrementare la presenza nelle Commissioni tributarie regionali di giudici togati. Al fine di coprire 960 posti vacanti presso le commissioni tributarie a decorrere dal 1° gennaio 2012, è stato tra l’altro predisposto un bando riservato a magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili che non prestino già servizio presso le predette commissioni.

Per quanto concerne la disciplina dell’incompatibilità, le nuove norme sanciscono che sono incompatibili con l’esercizio delle funzioni di giudice tributario coloro che in qualsiasi forma, anche se in modo saltuario o accessorio ad altra prestazione, esercitano la consulenza tributaria, detengono le scritture contabili e redigono i bilanci, ovvero svolgono attività di consulenza, assistenza o di rappresentanza, a qualsiasi titolo e anche nelle controversie di carattere tributario, di contribuenti singoli o associazioni di contribuenti, di società di riscossione dei tributi o di altri enti impositori. Sono altresì incompatibili con il ruolo di giudice tributario coloro che sono iscritti in albi professionali, elenchi, ruoli, e il relativo personale dipendente, individuati nell’articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 - che disciplina l’assistenza tecnica - ed esercitano, anche in forma non individuale, le attività individuate in precedenza, nonché i coniugi, i conviventi o i parenti fino al secondo grado o gli affini in primo grado di coloro che sono iscritti in albi professionali, ovvero esercitano le attività sopraindicate nella regione e nelle province confinanti. Infine, non possono essere componenti dello stesso collegio giudicante, oltre a coniugi, parenti e affini entro il quarto grado, come già stabilito all’articolo 8, anche i conviventi. La stessa disposizione stabilisce che, nel caso di mancata rimozione nel termine indicato delle cause di incompatibilità, i giudici decadono.

L’articolo 12, comma 4-bis del decreto-legge n. 16 del 2012 ha istituito il ruolo unico nazionale dei componenti delle Commissioni tributarie presso il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria; in esso nel quale sono inseriti i componenti delle commissioni tributarie provinciali e regionali, nonché i componenti della commissione tributaria centrale.

 

 

Ulteriori disposizioni di natura procedimentale

In questa sede si ricordano, infine, gli interventi legislativi coi quali si è perseguito –nell’ottica della razionalizzazione del contenzioso – il più ampio intento di allineare la disciplina del processo tributario a quella della giustizia civile: in primo luogo, un elemento di novità è costituito l’estensione (operata con l’articolo 37, comma 6 del citato decreto-legge n. 98 del 2011) dell'obbligo di versamento del contributo unificato - previsto dal Testo unico sulle spese di giustizia - anche al processo tributario, nell'ammontare e con le regole previste dal medesimo Testo unico, tendenzialmente sulla base del valore della controversia; inoltre, a decorrere dal 17 settembre 2011, l’articolo 2 del decreto-legge 31 agosto 2011, n. 138 prevede, per la parte ricorrente, l’obbligo di depositare, all’atto della costituzione in giudizio, la nota contenente la richiesta di iscrizione al ruolo del contributo unificato nel registro generale dei ricorsi e degli appelli. Detta richiesta consente agli uffici di segreteria delle commissioni tributarie di rilasciare al ricorrente il corrispondente numero di ruolo del registro generale. Tale modifica allinea il processo tributario a quello ordinario e amministrativo, venendo incontro all’esigenza di avvicinare i vari sistemi di giustizia presenti in Italia. Con il Decreto ministeriale 27 dicembre 2011 sono stati modificati gli importi dovuti per il rilascio di copie di atti e documenti da parte delle Commissioni tributarie. I nuovi importi si applicano dal 1° marzo 2012. In particolare, il provvedimento prevede per la copia cartacea il versamento di 1,50 euro per le prime 4 pagine; devono essere aggiunti 9 euro se si richiede anche il visto di conformità.

Nell’ambito delle politiche per l’informatizzazione della pubblica amministrazione, la Direzione della giustizia tributaria del Dipartimento delle finanze ha avviato un progetto per la scansione e acquisizione nella banca dati del contenzioso tributario e delle sentenze di merito emesse dalle commissioni tributarie. Ogni sentenza verrà catalogata e i dati relativi saranno informatizzati. Questo permetterà sia agli addetti ai lavori, giudici e personale della giustizia tributaria, sia a commercialisti e avvocati patrocinatori del contribuente, di effettuare ricerche tematiche e di redigere la sentenza o il ricorso in modo più preciso.

Infine, il citato D.L. n. 16 del 2012 (ai commi 3 e 4 dell'articolo 12) modifica la disciplina dell’esecuzione delle sentenze del giudice tributario, in particolare delle sentenze concernenti le operazioni catastali, prevedendo che l'aggiornamento degli atti catastali al passaggio in giudicato della sentenza che accoglie totalmente o parzialmente il ricorso del contribuente. Nel contempo, al fine di assicurare la conoscibilità dell'iter giurisdizionale concernente i ricorsi in materia di operazioni catastali, si prevede comunque l'annotazione delle sentenze, non ancora passate in giudicato, nei suddetti atti catastali, secondo modalità da stabilire con provvedimento del Direttore dell'Agenzia del territorio.

Da ultimo, si ricorda che con il decreto del 26 aprile 2012 del MEF (pubblicato sulla G.U. n. 102 del 3 maggio) è avviata l'informatizzazione del processo tributario. Il decreto, infatti, stabilisce le regole tecniche che permettono, nell'ambito del processo tributario, l'utilizzo della posta elettronica certificata (P.E.C.) per le comunicazioni.

La riscossione delle entrate locali

Per quanto riguarda il conferimento di una delega al Governo per il miglioramento dell’efficienza dei poteri di riscossione delle entrate degli enti locali, il disegno di legge prevede – quali princìpi e criteri direttivi – che si effettui il riordino della disciplina della riscossione delle entrate degli enti locali, al fine di assicurare, in particolare, certezza, efficienza ed efficacia dei loro poteri di riscossione, nonché competitività, certezza e trasparenza nei casi di esternalizzazione delle relative funzioni e, infine, forme di garanzia quanto alla trasparenza, effettività e tempestività dell’acquisizione da parte degli enti locali delle entrate riscosse.

 

La revisione del sistema della riscossione delle entrate locali

Si ricorda che sostanziali novità in tema di riscossione delle entrate degli enti locali sono state recentemente introdotte dall’articolo 7, comma 2, lettere da gg-bis) a gg-septies) del decreto-legge n. 70 del 2011. In particolare, è stato previsto che Equitalia Spa e le società da essa partecipate cessino di effettuare le attività di accertamento, liquidazione e riscossione - spontanea e coattiva – delle entrate, tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da essi partecipate dal 31 dicembre 2012 (termine così fissato dall’articolo 10, comma 13-octies del D.L. 201 del 201 ). Di conseguenza, è stata prorogata (articolo 10, comma 13-novies del D.L. 201 del 2011) alla stessa data (31 dicembre 2012) l’operatività delle vigenti disposizioni in materia di gestione delle entrate locali (contenute in particolare nell’articolo 3, commi 24, 25 e 25-bis del D.L. n. 203 del 2005).

Dal momento di tale cessazione, spetterà dunque ai comuni effettuare la riscossione spontanea e coattiva delle entrate tributarie e patrimoniali e, ove optino per l’affidamento del servizio a soggetti esterni, essi dovranno procedere nel rispetto delle norme in materia di evidenza pubblica. Per effetto delle modifiche operate dal D.L. n. 16 del 2012 (articolo 5, comma 8-bis), nel caso di affidamento del servizio a soggetti esterni, la riscossione delle entrate dovrà essere effettuata mediante l'apertura di uno o più conti correnti di riscossione, postali o bancari, intestati al soggetto affidatario e dedicati alla riscossione delle entrate dell'ente affidante, sui quali dovranno affluire tutte le somme riscosse.

Nell’esercizio dell’attività di riscossione i comuni potranno avvalersi (lettera gg-quater) dello strumento dell’ingiunzione fiscale (disciplinata dal regio decreto n. 639 del 1910) e delle procedure di riscossione coattiva erariale (di cui al titolo II del D.P.R. n. 603 del 1973) in quanto compatibili.

Inoltre, dal 31 dicembre 2012 (articolo 29 comma 8-bis del D.L. n. 216 del 2011) anche la società Riscossione Sicilia spa - così come Equitalia Spa e le partecipate – cesserà di effettuare le attività di accertamento, liquidazione e riscossione spontanea e coattiva delle entrate, tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da essi partecipate.

In materia si ricorda che, per effetto delle norme contenute nel D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150 (articolo 32), dal 12 ottobre 2011 le controversie in materia di opposizione all'ingiunzione fiscale per il pagamento delle entrate patrimoniali degli enti pubblici sono regolate dal rito ordinario di cognizione, di cui al libro II del Codice di procedura civile.

Anche i decreti legislativi di attuazione della legge sul federalismo fiscale recano disposizioni in materia di riscossione delle entrate locali; in particolare, l’articolo 11 del D.Lgs. n. 149 del 2011 prevede che i criteri generali per la gestione organica dei tributi siano definiti dalle province con l'Agenzia delle entrate; il successivo articolo 12 affida all’accordo fra Governo, Regioni, province e comuni la definizione di un programma pluriennale di attività di contrasto dell'evasione fiscale, gli obiettivi intermedi che debbono essere raggiunti da ciascun ente nell'ambito delle suddette attività antievasione e le misure premiali o sanzionatorie in relazione al raggiungimento degli obiettivi stessi.

Da ultimo si ricorda che l’articolo 1, comma 12-bis del D.L. n. 138 del 2011 attribuisce ai comuni, per gli anni 2012-2014, l’intera quota del maggior gettito relativo a tributi statali accertato a seguito dell'intervento del comune.

 


 

Articolo 11
(Unificazione dell'imposizione sui redditi di impresa e di lavoro autonomo e previsione di regimi forfetari per i contribuenti di minori dimensioni)

 


1. Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui all'articolo 1, norme per la ridefinizione dell'imposizione sui redditi, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) assimilazione dell'imposizione su tutti i redditi d'impresa commerciale o di lavoro autonomo, compresi quelli prodotti in forma associata, dei soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e dell'imposta sul reddito delle società (IRES), assoggettandoli a un'imposta unica e, in particolare, prevedendo che siano deducibili dalla base imponibile della predetta imposta unica le somme prelevate dall'artista o professionista e dai soci o associati ovvero dall'imprenditore e dai soci e che le predette somme concorrano alla formazione del reddito complessivo imponibile ai fini dell'IRPEF dell'artista o professionista e dei soci o associati ovvero dell'imprenditore e dei soci;

b) istituzione, per i contribuenti di minori dimensioni, di regimi che prevedano il pagamento forfetario di un'unica imposta in sostituzione di quelle dovute, purché con tendenziale invarianza dell'importo complessivo dovuto, coordinandoli con analoghi regimi vigenti;

c) previsione di possibili forme di opzionalità.


 

 

L’articolo 11 reca i principi e i criteri direttivi cui deve uniformarsi il Governo nell’introdurre norme per la ridefinizione dell’imposizione sui redditi: in particolare, i decreti legislativi devono prevedere l’assimilazione dell’imposizione su tutti i redditi d’impresa commerciale o di lavoro autonomo, da assoggettare a un’imposta unica; devono disporre l’introduzione di regimi forfettari per i contribuenti di minori dimensioni, coordinandoli con analoghi regimi vigenti; devono introdurre possibili forme di opzionalità per i contribuenti.

Unificazione della tassazione del reddito d’impresa

In particolare, il comma 1, lettera a), prevede che il Governo emani norme volte all’assimilazione dell’imposizione su tutti i redditi d’impresa commerciale o di lavoro autonomo, compresi quelli prodotti in forma associata, dagli attuali soggetti passivi dell’IRPEF e dell’IRES, assoggettandoli a un’imposta unica.

 

L’assetto della tassazione del reddito di impresa nel TUIR

La disciplina del reddito di impresa, nel sistema del “nuovo” TUIR (Testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, come modificato a seguito delle riforme del 2003 relative all’imposta sul reddito delle società) è articolata e complessa. Come per le altre categorie di reddito modellate dal Testo unico, tale disciplina è scomponibile in due gruppi di norme: il primo dedicato ad identificare la fonte del reddito ed il secondo volto a disciplinarne il calcolo. Per effetto delle riforme del 2003 (D.Lgs. n. 344 del 2003, che ha novellato la disciplina dell’imposta sul reddito delle società - IRES), la disciplina relativa al calcolo del reddito d’impresa è stata trasferita nell’alveo della disciplina IRES (era in precedenza racchiusa all’interno dell’IRPEF). L’articolo 56 del TUIR prevede infatti che il reddito d'impresa sia determinato secondo le disposizioni della sezione I del capo II del titolo II del medesimo Testo Unico, salve le specificità della disciplina IRPEF. In particolare, alcune norme relative alle società e agli enti commerciali valgono anche per le società in nome collettivo e in accomandita semplice.

Conseguentemente, il vigente sistema italiano prevede due forme di imposizione sui redditi (IRPEF ed IRES) in relazione alla natura giuridica del soggetto passivo.

In tale ottica, è dunque sottoposta ad IRPEF la persona fisica che percepisce reddito da attività di impresa (commerciale o derivante dalle attività indicate all’articolo 55 del TUIR) o che produce redditi di lavoro autonomo (redditi derivanti da arti e professioni e redditi a questi assimilati), sussistendone i requisiti richiesti dal TUIR. I redditi prodotti da società di persone sono tassati in capo ai soci e dunque anch’essi soggetti a IRPEF.

Ai sensi dell’articolo 73 del TUIR, le società e gli enti equiparati – in quanto soggetti aventi personalità giuridica distinta da quella dei soci, secondo la normativa civilistica – sono soggette a tassazione per il reddito prodotto nell’esercizio della propria attività. Dunque, i redditi prodotti da società di capitali e dai soggetti assimilati, nonché dagli enti commerciali sono soggetti a IRES.

 

In particolare, si dispone che i decreti legislativi emanati dal Governo prevedano che non siano sottoposte all’imposizione sui redditi di impresa (mediante deducibilità dalla base imponibile) le somme prelevate dall’artista, dal professionista o dai soci o associati, ovvero dall’imprenditore o dai soci; parallelamente, si prevede che tali somme concorrano alla formazione del reddito complessivo imponibile ai fini IRPEF.

 

Come sottolinea in proposito la relazione illustrativa, alcuni sistemi fiscali prevedono che le attività di impresa individuali (ivi compresa l’attività professionale) siano tassate separatamente dalla persona fisica. Esso sono sottoposte, come le grandi imprese, all’imposta sulle società. In tal modo, il reddito che l’individuo trae dalla propria attività (“somme prelevate”) a titolo di remunerazione del proprio lavoro viene considerato un costo per l’impresa medesima, come tale deducibile dall’imposta sulle società, ed invece assoggettato alla tassazione sulla persona fisica. La relazione propone dunque di ribattezzare l’imposta sul reddito delle società – IRES in “imposta sul reddito imprenditoriale – IRI

Separando la tassazione dell’impresa da quella della persona fisica - a prescindere dalla forma giuridica con la quale l’attività imprenditoriale è esercitata - e introducendo un’aliquota proporzionale sulla tassazione d’impresa, più bassa di quelle previste per l’IRPEF, secondo la relazione si avrebbero le seguenti conseguenze:

§       analoga tassazione di tutte le attività di impresa, indipendentemente dalla forma giuridica;

§       tassazione degli utili non distribuiti con l’aliquota prevista per l’imposta sull’attività di impresa, il che favorirebbe la patrimonializzazione delle imprese, specie di quelle piccole e medie, incentivando - in generale - il reinvestimento degli utili all’interno dell’azienda;

§       evidenziazione del contributo lavorativo dell’imprenditore all’azienda, applicando alle somme tratte dall’imprenditore per i propri bisogni personali e familiari una tassazione sostanzialmente simile a quella prevista per il lavoro dipendente; ciò consentirebbe di introdurre elementi di equità orizzontale IRPEF sui diversi tipi di lavoro svolto dalle persone fisiche (dipendente, autonomo, imprenditoriale).

Tale intervento si pone dunque in linea con quanto previsto dall’articolo 1 del D.L. n. 201 del 2011, che ha introdotto l’istituto dell’ACE – aiuto alla crescita economica –consentendo di dedurre dal reddito imponibile la componente derivante dal rendimento nozionale di nuovo capitale proprio.

Istituzione di regimi forfettari

In secondo luogo, la lettera b) del comma 1 prevede che con i decreti legislativi di attuazione siano istituiti, per i contribuenti di minori dimensioni, regimi che prevedano il pagamento a forfait di un’unica imposta in sostituzione di quelle dovute, purché a tendenziale invarianza dell’importo complessivo dovuto; tali nuovi regimo dovranno essere coordinati con analoghi regimi vigenti.

Dal tenore letterale della norma, sembra dunque evincersi che per particolari categorie di contribuenti (di “minori dimensioni”) dovrà essere prevista un’unica forma di imposizione sul reddito, anche nel caso in cui i soggetti passivi esercitino attività di impresa (la quale, nel nuovo sistema, verrebbe tassata separatamente dall’IRPEF).

 

Il nuovo assetto dei regimi forfettari e dei cd. “minimi”

L'articolo 27 del decreto-legge n. 98 del 2011, per favorire la costituzione di nuove imprese, in particolare da parte di giovani ovvero di coloro che perdono il lavoro, ha disposto la riforma e la concentrazione degli attuali regimi di tassazione forfettaria.

Sono state dunque apportate significative modifiche al regime fiscale semplificato per i cosiddetti “contribuenti minimi”: a decorrere dal 1° gennaio 2012 esso trova applicazione per il periodo d'imposta in cui l'attività è iniziata e per i quattro successivi, esclusivamente in rapporto alle persone fisiche che intraprendono un’attività d’impresa, arte o professione o che l’abbiano intrapresa dopo il 31 dicembre 2007. Pertanto, la platea dei beneficiari del c.d. “forfettone” (una tassazione forfettaria del 20 per cento per i titolari di partite Iva e i lavoratori autonomi che a fine anno incassano meno di 30 mila euro e che presentano specifiche caratteristiche) è stata ridotta a coloro i quali hanno iniziato l'attività negli ultimi tre anni e mezzo o vorranno iniziarla in futuro. Nello stesso tempo, per questi ultimi il beneficio è aumentato: a decorrere dal 1° gennaio 2012, l’imposta sostitutiva dell'imposta sui redditi e delle addizionali regionali e comunali viene ridotta al 5 per cento (in luogo del precedente 20 per cento).

Per effetto delle nuove norme, il regime di vantaggio si applica anche oltre il quarto periodo d’imposta successivo a quello di inizio dell’attività, ma non oltre il periodo d’imposta di compimento del trentacinquesimo anno d’età. In sostanza, il regime fiscale agevolato si estende fino ai trentacinque anni, anche oltre il limite temporale dei cinque anni, per chi abbia iniziato l’attività imprenditoriale in giovane età. Rimane fermo, peraltro, che chi intraprende un’attività o l’abbia intrapresa dopo il 31 dicembre 2007, avendo più di trentacinque anni di età, potrà godere del beneficio in esame entro il limite dei cinque anni.

Condizioni per l’accesso al beneficio, come disciplinato dall’articolo 27, sono le seguenti:

a)    il contribuente non deve aver esercitato attività artistica, professionale ovvero d'impresa (anche in forma associata o familiare) nei tre anni precedenti l’inizio dell’attività;

b)    l'attività da esercitare non deve costituire una mera prosecuzione di altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo, salvo il caso in cui l'attività precedentemente svolta consista nel periodo di pratica obbligatoria per l'esercizio di arti o professioni;

c)    nel caso di prosecuzione di un'attività d'impresa precedentemente svolta da altro soggetto, l'ammontare dei ricavi realizzati nel periodo d'imposta precedente quello di riconoscimento del beneficio non deve aver superato i 30.000 euro.

Il regime fiscale semplificato per i contribuenti cosiddetti minimi è stato in origine introdotto dalla legge finanziaria 2008 (articolo 1, commi da 96 a 117 della legge n. 244 del 2007) come regime “naturale”, con la facoltà di optare per l’applicazione dell’IVA e delle imposte sul reddito nei modi ordinari. Tra i principali tratti peculiari del regime agevolato si ricorda l’esclusione dall’IRAP, la tassazione forfettaria (ridotta al 5 per cento), l’applicazione della “franchigia IVA”, l’esclusione dagli studi di settore e la riduzione degli adempimenti contabili.

L’articolo 27, comma 3, si occupa invece dei soggetti che, per effetto dei nuovi limiti posti dal D.L. n. 98 del 2011 fuoriescono dal regime dei contribuenti minimi, pur avendo le caratteristiche originariamente delineate dalla finanziaria 2008. Essi sono in ogni caso esentati dall’IRAP e sono esonerati dagli obblighi di registrazione e di tenuta delle scritture contabili, rilevanti ai fini delle imposte dirette e dell'IVA, nonché dalle liquidazioni e dai versamenti periodici rilevanti ai fini dell'IVA; essi devono comunque conservare i documenti ricevuti ed emessi e assolvono, se prescritti, agli obblighi di fatturazione e di certificazione dei corrispettivi. Tali soggetti possono comunque optare per il regime contabile ordinario.

Come chiarito dai due provvedimenti dell’Agenzia delle entrate del 22 dicembre 2011, emanati in attuazione delle illustrate disposizioni, si avrà dunque un duplice regime fiscale di vantaggio per i contribuenti minori:

§       il regime dei “nuovi” minimi previsto dalla legge finanziaria 2008, alle condizioni specificamente enunciate dall’articolo 27 del D.L. n. 98/2011 e per il limitato periodo di tempo ivi previsto, con riduzione al 5 per cento della tassazione forfettaria;

§       il regime di cui all’articolo 27, comma 3 per i soggetti che, fuoriuscendo dal regime dei contribuenti minimi per effetto del D.L. 98/2011, presentano le caratteristiche originariamente delineate dalla finanziaria 2008, che usufruiscono solo parzialmente dell’agevolazione.

Si ricorda infine che l’articolo 13 della legge n. 388 del 2000 (in vigore dal 1° gennaio 2001) prevedeva un regime fiscale agevolato per le nuove iniziative imprenditoriali e di lavoro autonomo, con un’imposta sostitutiva dell’IRPEF del 10% e l’esonero dagli obblighi di registrazione e di tenuta delle scritture contabili, rilevanti ai fini delle imposte dirette, dell'IRAP e dell'imposta sul valore aggiunto (IVA), nonché dalle liquidazioni e dai versamenti periodici rilevanti ai fini dell'IVA previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1998, n. 100. Stante la formulazione dell’articolo 27 e alla luce di quanto rilevato anche in dottrina (cfr. Nuovi requisiti d’accesso per i contribuenti minimi, di Salvatore Digregorio Natoli, in “il fisco” n. 7 del 13 febbraio 2012, pag. 2-1049), tale regime sembra superato dall’intento riformatore del D.L. n. 98 del 2011.

Opzionalità

Da ultimo, la lettera c) del comma 1 contempla, quale principio di delega, la possibilità di prevedere forme di opzionalità in favore dei contribuenti.

In assenza di ulteriori precisazioni da parte della norma in esame, appare opportuno chiarire se tali “forme di opzionalità” siano riferibili alla scelta tra regime dei minimi e regime ordinario (di cui alla lettera b) dell’articolo in esame) ovvero, più in generale, ad una possibile scelta in ordine alla tassazione del reddito di impresa (di cui alla lettera a)).

 


 

Articolo 12
(Razionalizzazione della determinazione del reddito di impresa e della produzione netta)

 


1. Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui all'articolo 1, norme per ridurre le incertezze nella determinazione del reddito e della produzione netta e per favorire l'internazionalizzazione dei soggetti economici operanti in Italia, in applicazione delle raccomandazioni degli organismi internazionali e dell'Unione europea, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) introduzione di criteri chiari e coerenti con la disciplina di redazione del bilancio, in particolare per determinare il momento del realizzo delle perdite su crediti, ed estensione del regime fiscale previsto per le procedure concorsuali anche ai nuovi istituti introdotti dalla riforma del diritto fallimentare e dalla normativa sul sovraindebitamento, nonché alle procedure similari previste negli ordinamenti di altri Stati;

b) revisione della disciplina impositiva riguardante le operazioni transfrontaliere, con particolare riferimento all'individuazione della residenza fiscale, al regime di imputazione per trasparenza delle società controllate estere e di quelle collegate, al regime di rimpatrio dei dividendi provenienti dagli Stati con regime fiscale privilegiato, al regime di deducibilità dei costi di transazione commerciale dei soggetti insediati in tali Stati, al regime di applicazione delle ritenute transfrontaliere, al regime di tassazione delle stabili organizzazioni all'estero e di quelle di soggetti non residenti insediate in Italia, nonché al regime di rilevanza delle perdite di società del gruppo residenti all'estero;

c) revisione dei regimi di deducibilità degli ammortamenti, delle spese generali e di particolari categorie di costi, salvaguardando e specificando il concetto di inerenza e limitando le differenziazioni tra settori economici.


 

 

L’articolo 12 reca i princìpi e criteri direttivi per l’introduzione di norme volte a ridurre le incertezze nella determinazione del reddito e della produzione netta e per favorire l’internazionalizzazione dei soggetti economici operanti in Italia, in applicazione delle raccomandazioni derivanti dagli organismi internazionali e dalla Unione Europea.

 

In particolare si prescrive l’introduzione di criteri chiari e coerenti con la disciplina di redazione del bilancio, estendendo il regime fiscale oggi previsto per le procedure concorsuali anche ai nuovi istituti introdotti dalla riforma fallimentare e dalla normativa sul sovraindebitamento; la revisione della disciplina impositiva delle operazioni transfrontaliere; la revisione dei regimi di deducibilità degli ammortamenti, delle spese generali e di particolari categorie di costi.

 

Le raccomandazioni dell’Unione Europea

L’analisi annuale della crescita per il 2012 – documento presentato dalla Commissione europea il 23 novembre 2011, con il quale è stato avviato il semestre europeo per il coordinamento ex ante delle politiche economiche - attribuisce un particolare rilievo al contributo che le politiche fiscali dei singoli Stati membri e il miglioramento del coordinamento fiscale nell'UE possono offrire per combinare gli obiettivi di risanamento di bilancio con quelli di sostegno alla crescita. A tale scopo all’indagine è allegata una apposita relazione della Commissione europea che dà attuazione all’invito del Consiglio europeo del 24 giugno 2011 a riferire sui progressi compiuti nelle discussioni strutturate riguardanti le politiche fiscali nell'ambito del patto Euro Plus.

In merito all’imposizione societaria, la Commissione Europea ritiene che gli Stati membri che impongono un carico fiscale relativamente elevato sul reddito delle imprese dovrebbero cercare di evitarne un aumento nella congiuntura economica attuale, in quanto ciò potrebbe compromettere l’accumulo di capitale e ridurre gli investimenti. In materia di tassazione delle imprese, si segnala la proposta di direttiva relativa ad una base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (COM(2011)121), che intende agevolare l’attività transfrontaliera delle imprese attraverso la creazione di un regime opzionale per calcolare la base imponibile di una società o di un gruppo e l’introduzione di uno sportello unico per la presentazione delle dichiarazioni dei redditi. La proposta è stata approvata in prima lettura dal Parlamento europeo, con emendamenti, il19 aprile 2012.

Nel documento finale approvato (DOC XVIII, n. 41 del 25 maggio 2011) all’esito dell’esame della predetta proposta, la Commissione Finanze ha espresso alcuni rilievi.

Da un lato ha evidenziato che il consolidamento fiscale previsto dalla proposta permetterebbe di superare numerosi problemi di doppia tassazione e che verrebbero ridotti in misura rilevante gli oneri regolamentari per le società europee con attività transnazionale. Tuttavia, nel documento finale si sottolinea che i contenuti della proposta non sembrano ancora sufficienti a raggiungere risultati veramente significativi, poiché si limitano a prevedere la creazione a livello europeo di meccanismi di “consolidamento” fiscale senza affrontare alcuni aspetti dell'armonizzazione fiscale, quali, soprattutto, la definizione di aliquote comuni o l'individuazione di un livello minimo e massimo entro il quale i singoli Stati sono tenuti a fissare le aliquote d'imposta applicabili alle imprese. Si rileva come il regime comune previsto dalla proposta di direttiva abbia portata limitata, in quanto concerne esclusivamente il calcolo della base imponibile tra imprese consociate e ha natura opzionale.

La Commissione rileva poi che la proposta di direttiva inciderebbe in misura marginale sulle distorsioni determinate dalla previsione, in alcuni Stati membri, di aliquote molto basse e di altre regole volte a mantenere un livello di imposizione sulle società nettamente inferiore al livello generalmente applicato nei medesimi Paesi.

Accanto alla valutazione positiva della possibilità - concessa dalla proposta ai gruppi di imprese che optino per l'applicazione della base imponibile consolidata comune - di interagire con una sola amministrazione fiscale in tutta l'Unione europea, si osserva che, qualora ciò non si accompagnasse ad una più forte armonizzazione dei regimi tributari sotto il profilo sostanziale (segnatamente per quanto riguarda il livello delle aliquote), l’innovazione comporterebbe il rischio di favorire ulteriormente fenomeni di vero e proprio shopping fiscale, riducendo ancora di più la capacità, in molti casi già piuttosto limitata, degli Stati, di esercitare la leva tributaria come strumento di politica economica.

Si obietta poi che la proposta di direttiva sembra conformata più che altro sulle caratteristiche delle imprese di maggiori dimensioni, delle imprese transnazionali e dei gruppi di imprese, mentre non tiene conto adeguatamente delle esigenze delle imprese di dimensioni medie, piccole e piccolissime, che costruiscono invece l'ossatura fondamentale del sistema economico-imprenditoriale italiano.

Di conseguenza, la Commissione ha invitato il Governo ad adoperarsi nelle competenti sedi decisionali dell'Unione europea al fine, tra l’altro, di rendere obbligatoria - anziché facoltativa - l'applicazione della base imponibile consolidata; affinché siano fissate regole comuni di applicazione generale della base imponibile dell'imposta a tutte le società di capitali; al fine di accompagnare la definizione di una base imponibile comune alla fissazione di una o più aliquote minime di imposta, sul modello dell'IVA e delle accise.

Inoltre, il Governo è invitato a sottoporre alle Camere una valutazione approfondita dell'impatto sul gettito tributario della proposta di direttiva, comparandolo anche agli effetti potenziali delle ipotesi di introduzione di una base imponibile unica ed obbligatoria per l'imposta sulle società e di fissazione di aliquote minime.

Redazione del bilancio ed estensione del regime fiscale delle procedure concorsuali.

La lettera a) individua anzitutto, tra i principi e criteri direttivi per l’attuazione della delega, l’introduzione di criteri di tassazione chiari e coerenti con la disciplina di redazione del bilancio, in particolare per determinare il momento del realizzo delle perdite su crediti.

La norma prevede inoltre l’estensione del regime fiscale previsto per le procedure concorsuali anche ai nuovi istituti introdotti dalla riforma fallimentare e dalla normativa sul sovraindebitamento, nonché alle procedure similari previste in altri ordinamenti.

 

 

Il dibattito sul realizzo delle perdite sui crediti

Dal momento che l’insolvenza del debitore può dar luogo a perdite sui crediti, la legge consente al creditore di rinunciare al credito o cederlo a terzi. La disciplina delle perdite sui crediti a fini fiscali (ai sensi dell’articolo 101, comma 5, del TUIR) è stata oggetto di modifiche ad opera dell’articolo 33, comma 5 del D.L. 83 del 2012 (cd. “decreto sviluppo”), che ha esteso le ipotesi di deducibilità ex lege delle perdite su crediti. (cfr. infra).

Prima della citata novelle, le perdite erano deducibili dall’imponibile:

- se risultanti da elementi certi e precisi;

- ove derivanti da procedure concorsuali; solo in relazione a queste ultime, dunque, la legge riconosceva immediatamente la sussistenza dei requisiti di “certezza” e “precisione” della perdita, detraibile senza bisogno di attendere la conclusione delle procedure stesse.

Come sottolineato anche dalla Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 16/E del 23 gennaio 2009, la richiamata norma subordina la deducibilità delle perdite su crediti a rigide prescrizioni, prevedendo che le stesse rilevino fiscalmente solo se risultano (comprovate) da “elementi certi e precisi”, fatta eccezione per i casi di assoggettamento del debitore a procedure concorsuali, all’avvio delle quali le condizioni di deducibilità devono intendersi “automaticamente” riconosciute.

 

La disposizione in commento intende estendere del regime fiscale previsto per le procedure concorsuali anche ai nuovi istituti introdotti dalla riforma fallimentare e dalla normativa sul sovraindebitamento, nonché alle procedure similari previste in altri ordinamenti.

 

Per effetto del citato articolo 33, comma 5 del D.L. 83 del 2012 (cd. “decreto sviluppo”) è stato consentito al creditore di dedurre immediatamente le perdite sui crediti derivanti da un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (ai sensi dell’articolo 182-bis della legge fallimentare). L’accordo si considera concluso dalla data del decreto di omologazione del Tribunale.

 La disposizione ha introdotto poi ulteriori ipotesi di deducibilità ex lege delle perdite sui crediti; in particolare, i requisiti di deducibilità sono integrati (in quanto le perdite risultino da elementi “certi e precisi”) anche nelle seguenti ipotesi:

§      se il credito è di modesta entità, decorsi sei mesi dalla scadenza; il credito è di “modesta entità” se inferiore o pari a 5.000 euro per le imprese di più rilevante dimensione e 2.500 euro per le altre imprese;

§      ove il diritto alla riscossione del credito sia prescritto;

§      per i soggetti che redigono il bilancio in base a principi contabili internazionali, nel caso di cancellazione di crediti dal bilancio per opera di eventi estintivi.

 

La disciplina delle crisi da sovraindebitamento

Con la legge n. 3 del 2012, al fine di contrastare l'usura e l'estorsione, il legislatore – oltre a intervenire sulla disciplina dell'accesso ai Fondi di solidarietà a favore delle vittime di tali fenomeni – ha introdotto una nuova tipologia di concordato per comporre le crisi di liquidità del singolo debitore, al quale non si possono applicare le ordinarie procedure concorsuali.

L’iter legislativo che ha condotto all’approvazione della legge n. 3 del 2012 è iniziato al Senato nel settembre 2008 con l’esame in Commissione giustizia dell’AS 307. Approvato da quel ramo del Parlamento nell’aprile 2009, il provvedimento è giunto all’esame della Camera (AC. 2364) dove la Commissione giustizia l’ha approvato in sede legislativa il 26 ottobre 2011, apportando però modificazioni che hanno determinato la necessità di un ulteriore esame al Senato (AS 307-B) .

Nelle more della definitiva approvazione del testo, il Governo ha ritenuto di dover accelerare l’introduzione dell’innovativo procedimento per la risoluzione delle crisi da sovraindebitamento, emanando il decreto-legge n. 212 del 2011, il cui testo riproduceva sostanzialmente le disposizioni già approvate dalla Camera.

La consapevolezza dello stato ormai avanzato dell’iter dell’AS 307-B ha indotto il Senato – chiamato ad esaminare il disegno di legge di conversione del decreto-legge in prima lettura – ad anteporre alla conversione l’approvazione del disegno di legge di iniziativa parlamentare. La legge n. 3 del 2012, pubblicata nella G.U. del 30 gennaio 2012, è entrata in vigore il 29 febbraio 2012.

Con la legge pubblicata, ma non ancora entrata in vigore, la Commissione Giustizia del Senato ed il Governo hanno ritenuto di poter utilizzare l’iter di conversione del decreto-legge per correggere alcuni aspetti della legge 3/2012. Ciò spiega le ampie modifiche che il Senato aveva apportato al testo originario del decreto-legge, giunte all’esame della Camera con l’AC 4933 e da quest’ultima espunte dal disegno di legge di conversione, a causa dell'eccessiva ristrettezza dei tempi a disposizione per esaminare novelle così importanti (come si evince dal resoconto della Commissione del 7 febbraio 2012). E' dunque entrato in vigore il testo della legge 3/2012, senza modifiche.

La legge n. 3 del 2012 interviene su due fronti: da un lato, modifica la disciplina vigente al fine di superare i problemi emersi nella sua applicazione; dall’altro, in una più generale prospettiva preventiva, introduce una nuova tipologia di concordato per comporre le crisi di liquidità di debitori, ai quali non si applicano le ordinarie procedure concorsuali. Viene a tal fine disciplinato l’innovativo istituto della composizione delle crisi da sovraindebitamento, definito come una situazione di perdurante squilibrio economico fra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, nonché la definitiva incapacità del debitore di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni; tale situazione può determinarsi a carico di famiglie o di imprenditori non soggetti alle procedure fallimentari. Si tratta, in sostanza, della mancanza, protratta nel tempo, di risorse economiche per far fronte agli impegni assunti, analogamente a quanto può causare il fallimento dell'imprenditore commerciale.

Il provvedimento delinea una procedura modellata sull’istituto del concordato fallimentare: la legge contempla lo strumento dell’accordo con i creditori, su proposta del debitore, sulla base di un piano di ristrutturazione dei debiti che assicuri il regolare pagamento dei creditori estranei. Rispetto a questi ultimi, il piano può anche prevedere una moratoria dei pagamenti (con esclusione dei crediti impignorabili) sempre che il piano risulti idoneo ad assicurare il pagamento alla scadenza del nuovo termine e l'esecuzione del piano venga affidata ad un liquidatore nominato dal giudice.

La fase successiva è finalizzata all’omologazione da parte del giudice dell’accordo, che presuppone l’accettazione da parte dei creditori il quali rappresentino almeno il 70 per cento dei crediti e prevede il coinvolgimento degli “organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento”. Questi ultimi, costituiti ad hoc da enti pubblici e iscritti in apposito registro, svolgono in generale attività di assistenza al debitore per superare la crisi di liquidità, nonché di soluzione delle eventuali difficoltà insorte nell’esecuzione dell’accordo e di vigilanza sull’esatto adempimento dello stesso.

Il Governo ha presentato alla Camera il disegno di legge AC 5117, con il quale intende modificare la suesposta procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento. In particolare, il disegno di legge intende introdurre un ulteriore procedimento per la composizione delle crisi da sovraindebitamento del consumatore, definito come il debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni prevalentemente per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. La proposta intende consentire al consumatore - con l'ausilio degli organismi di composizione della crisi – di proporre al giudice un piano di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti. L'omologazione del piano da parte del giudice sarà fondata su un giudizio di meritevolezza della condotta del debitore (basato sulla ragionevolezza della prospettiva di adempimento delle obbligazioni) e sulla sua mancanza di colpa nella determinazione del sovraindebitamento. In caso di contestazioni da parte dei creditori, il giudice procederà all'omologazione soltanto se riterrà che il singolo credito possa essere meglio soddisfatto dal piano rispetto a quanto non sarebbe in caso di liquidazione del patrimonio del debitore.

Quanto al procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento del debitore - attualmente disciplinato dalla citata legge n. 3/2012 - il disegno di legge propone di ridurre al 60% (in luogo dell'attuale 70%) la soglia prevista per il raggiungimento dell'accordo tra debitore non consumatore e creditori.

Inoltre, il disegno di legge detta una serie di disposizioni comuni ad entrambi i procedimenti incidendo sul contenuto del piano (sia esso prospettato dal debitore in prospettiva di un accordo, sia invece formulato dal consumatore), prevedendo la possibilità di un pagamento anche non integrale dei creditori privilegiati (con l'esclusione di determinati crediti tributari e previdenziali, dei quali è possibile la sola dilazione di pagamento). Per quanto riguarda invece la posizione dei creditori rimasti estranei all'accordo proposto dal debitore, il disegno di legge ritiene che siano sufficientemente tutelati dalla valutazione - dell'organismo di composizione della crisi e poi del tribunale - sulla convenienza dell'accordo di ristrutturazione rispetto alla liquidazione dei beni del debitore.

La proposta introduce poi la possibilità di una procedura alternativa, di liquidazione di tutti i beni del debitore, anche se consumatore e subordina al verificarsi di determinate condizioni e a uno specifico giudizio del tribunale l'effetto di esdebitazione per i crediti non soddisfatti.

L’articolo 33 del decreto-legge n. 83 del 2012 ha modificato in più punti la legge fallimentare per favorire la continuità aziendale. In particolare:

§       è esteso ad alcune tipologie d’immobile a uso non abitativo l’elenco degli atti sottratti alla revocatoria fallimentare;

§       è modificata la decorrenza dei termini per l’azione revocatoria nel caso in cui il fallimento segua alla domanda di concordato preventivo;

§       la domanda per il concordato preventivo deve contenere anche i bilanci degli ultimi tre esercizi;

§       nel procedimento relativo alla domanda di concordato preventivo sono introdotti alcuni oneri informativi in capo al debitore, alcuni casi di inammissibilità della domanda laddove analoga domanda non sia stata accolta negli ultimi due anni, termini più brevi laddove sia pendente il procedimento per la dichiarazione di fallimento;

§       nel procedimento relativo alle adesioni alla proposta di concordato preventivo, sono introdotte maggiori garanzie informative per i creditori che non hanno esercitato il voto;

§       è modificato il procedimento nel giudizio di omologazione relativo al concordato preventivo;

§       è modificata la disciplina dei crediti prededucibili nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti;

§       è soppressa la clausola sull’applicabilità delle disposizioni sul concordato preventivo al concordato con continuità aziendale;

§       è modificato il procedimento relativo alla moratoria del pagamento dei creditori muniti di privilegio nel concordato con continuità aziendale;

§       è integrato l’elenco delle operazioni che, in esecuzione di procedure concorsuali, non configurano il reato di bancarotta;

§       è estesa l’applicabilità degli accordi sui trasferimenti d’azienda alle aziende interessate dal concordato preventivo o dall’accordo di ristrutturazione del debito.

 

 

 

 

La disciplina delle crisi da sovraindebitamento in Francia e in Germania
(a cura del Servizio Biblioteca)

In Francia un sistema organico di norme presiede al regolamento stragiudiziale delle situazioni di sovraindebitamento (surendettement) dei privati fin dal 1989. Il surendettement è caratterizzato dall’impossibilità manifesta del debitore in buona fede di far fronte all’insieme dei suoi debiti non professionali esigibili e in scadenza e si riferisce pertanto solo ai debiti contratti nella gestione familiare, senza alcun rapporto con la sua attività economica, cui il soggetto non riesca a far fronte. Il sistema, ora contenuto nel Code de la Consommation, artt. da L330-1 a L334-3 e artt. da R331-1 a R331-6-1, prevede una procedura di conciliazione per la ripianificazione del debito dei privati distinta dalle procedure concorsuali per le imprese.

La procedura ha carattere negoziale e si perfeziona infatti in un accordo, di natura contrattuale, tra il debitore ed i suoi creditori.

La procedura di surendettement si svolge davanti alla “Commission départemental de surendettement des particuliers”. La Commissione è un organo amministrativo ed ogni Département ha una Commission de surendettement, composta da otto membri, cinque con poteri decisionali e due con poteri consultivi, presieduti dal Prefetto o da un suo rappresentante, con sede presso la filiale locale della Banque de France.

La procedura è avviata su iniziativa del debitore in “buona fede” che si trovi in una situazione compromessa, ma con risorse economiche o con un attivo realizzabile che permettano un recupero. La “buona fede”, presunta salvo prova contraria, del debitore comporta una sua collaborazione attiva nel fornire, senza reticenze o falsità, informazioni sulla sua situazione patrimoniale. Tuttavia la determinazione dell’ambito d’intervento della Commissione è lasciata alla piena discrezionalità del debitore che può restringere le informazioni ai soli debiti per i quali egli abbia richiesto la procedura senza che la Commissione possa estendere la sua indagine a tutta la situazione debitoria.

La presentazione della domanda comporta, dopo che la Commission ne abbia accertata la ricevibilità, l’iscrizione del debitore nel Fichier national des incidents de remboursement des crédits accordés aux personnes phisiques (FICP). Gestito dalla Banque de France, il Fichier consente agli organismi di credito, con una semplice consultazione, di individuare in via preventiva i debitori in difficoltà finanziarie. L’iscrizione dura al massimo dieci anni e, in ogni caso, per tutto il tempo necessario all’attuazione del piano di recupero della situazione debitoria.

La procedura di surendettement si divide in tre fasi: la composizione amichevole (phase amiable), la composizione “controllata” (phase de recommandation) e la fase di “congelamento” della situazione debitoria (phase d’insolvabilité).

Nella prima fase la Commission cerca una “composizione amichevole” e svolge il ruolo di “mediatore” tra le parti nella prospettiva dell’elaborazione di un piano convenzionale di risanamento del debito, approvato dal debitore e dai suoi principali creditori. La Commission interviene soprattutto per quanto riguarda la determinazione dell’ammontare del debito e della tempistica per la concreta realizzazione delle misure di “rientro” della situazione debitoria (ad es., ridefinizione delle scadenze dei pagamenti, dilazione dei debiti, riduzione dei tassi d’interesse). In questa fase l’accordo su un Plan de redressement ha natura contrattuale tra il debitore e i suoi creditori che lo sottoscrivono insieme al Presidente della Commission, nella sua funzione di “arbitro”. Il giudice dell’esecuzione, dopo verifica del rispetto delle regole, omologa l’accordo e dà ad esso forza esecutiva “erga omnes” .

In caso di dissenso di alcuni creditori dal Piano di copertura del debito negoziato, la Commission può decidere se perfezionare il Plan solo con alcuni creditori e lasciare che gli altri avviino un procedimento di esecuzione individuale o continuare con la fase successiva della composizione “controllata”.

Nella seconda fase la Commission, su incarico da parte del debitore, procede a predisporre autonomamente un piano di copertura del debito, tenendo conto delle informazioni in suo possesso. Il Plan, così elaborato, viene trasmesso al giudice dell’esecuzione per il controllo di legittimità e, se non ci sono contestazioni, per l’omologazione.

La terza fase può aprirsi nel caso la Commission accerti l’insufficienza o la mancanza di risorse economiche “minime” per la sopravvivenza del debitore e della sua famiglia secondo uno standard di vita “normale”. La Commission può procedere al “congelamento del debito”, concedendo una “moratoria” non superiore a due anni. Al termine del periodo di congelamento, se la situazione economica del debitore è migliorata, verrà nuovamente programmato un nuovo Piano di recupero entro otto anni al massimo, mentre, se la situazione non è cambiata, la Commission potrà proporre la cancellazione parziale dei debiti, una volta accertata l’impossibilità involontaria di farvi fronte. La cancellazione dei debiti, soggetta anch’essa ad omologazione del giudice, è una misura della quale il debitore può usufruire una seconda volta solo dopo otto anni.

Il giudice dell’esecuzione è competente sia per la procedura di surendettement, sia per la procedura di rétablissement personnel e le relative contestazioni.

Quando il debitore si trovi invece in una situazione irrimediabilmente compromessa, senza possibilità di recupero attraverso le misure di ripianificazione del debito sopramenzionate, può sollecitare l’apertura di una procedura di “risanamento personale” (rétablissement personnel). La procedura, che ha funzione liquidatoria e si profila come una vera e propria “procedura concorsuale liquidatoria”, può essere avviata anche dalla Commission o dal giudice dell’esecuzione con il consenso del debitore quando ne siano accertati i presupposti.

Il procedimento, sotto il controllo dell’autorità giudiziaria, inizia con un provvedimento di apertura del giudice dell’esecuzione, prosegue con la nomina eventuale di un mandatario per redigere uno stato passivo e di un liquidatore per la vendita dei beni e si conclude con il provvedimento di chiusura. Per tutto il periodo della procedura sono sospese le esecuzioni personali che riprenderanno alla fine del procedimento se il giudice chiuderà la procedura, non perché sia stato realizzato l’attivo sufficiente a pagare i creditori, ma per mancanza di attivo.

In Germania, fino alla riforma del 1994, il diritto concorsuale tedesco poneva come proprio unico obiettivo quello di soddisfare nel miglior modo possibile gli interessi dei creditori. La normativa tedesca sulle insolvenze (Insolvenzordnung - InsO) del 5 ottobre 1994 ha introdotto una disciplina speciale sull’insolvenza delle persone fisiche, volta a favorire accordi tra debitori e creditori e a liberare e riabilitare il debitore insolvente.

La Insolvenzordnung prevede tre distinte procedure: le prime due - la procedura di esdebitazione e, in via subordinata, la procedura di insolvenza semplificata - sono destinate esclusivamente ai debitori persone fisiche (che, nel caso specifico, la legge definisce “consumatori”) che non svolgano né abbiano svolto in passato un’attività economica autonoma o, qualora tale attività sia stata esercitata, solo se i “rapporti patrimoniali” siano limitati e predeterminabili (überschaubar) e se non vi siano crediti da lavoro nei loro confronti (§ 304); la terza – la procedura della liberazione dai debiti residui - è destinata a tutte le persone fisiche insolventi e non solo ai debitori “consumatori”, previsti al § 304 della legge.

Presupposto per accedere alla procedura di esdebitazione è che il debitore, nei sei mesi antecedenti, abbia tentato inutilmente di raggiungere un accordo extragiudiziale (außergerichtliche Schuldenbereinigung) con i creditori. Tale procedura, non disciplinata dalla Insolvenzordnung, consiste nel sottoporre, da parte del debitore-consumatore, ai creditori una proposta di accordo su un piano di transazione stragiudiziale (außergerichtlicher Schuldenbereinigungsplan). Per attivare il procedimento, il debitore deve rivolgersi a un avvocato o agli uffici pubblici a ciò preposti (Schuldberatungsstellen). Infatti, qualora, il tentativo di composizione stragiudiziale fallisca, solo queste “persone o istituzioni idonee” (geeignete Personen und Stellen), individuate dai Länder, possono rilasciare un certificato che attesti che il debitore aveva sottoposto ai creditori un accordo di conciliazione.

La procedura di esdebitazione (Verbraucherinsolvenzverfahren), regolata al § 305 della legge, ha inizio con una richiesta scritta di accordo giudiziale che il debitore deve elaborare e depositare presso l’autorità giudiziaria. Alla domanda (Insolvenzantrag) devono essere allegati la proposta di transazione stragiudiziale e i motivi per i quali non è stata accettata, il piano di esdebitazione giudiziale (gerechtlicher Schuldenbereinigungplan), l’elenco dei beni patrimoniali e dei debiti dell’insolvente ed eventualmente la richiesta di liberazione dai debiti residui (Restschuldbefreiung) (305, comma 1).

Poiché il piano proposto dal debitore ai creditori si fonda sul principio dell’autonomia privata (Grundsatz der Privatautonomie), la legge non stabilisce alcuna direttiva in ordine al suo contenuto. In ogni caso, la proposta deve tener conto degli interessi dei creditori (§ 305, comma 1, n. 4).

In questa fase preliminare, il giudice, dopo aver ascoltato il debitore, può respingere la proposta di accordo ed avviare la procedura di insolvenza semplificata qualora ritenga che il piano transattivo non sarà accettato dai creditori (§ 306, comma 1). Diversamente, il piano di esdebitazione e l’elenco dei beni patrimoniali e dei debiti dell’insolvente vengono comunicati ai creditori che dispongono al massimo di quattro settimane di tempo per esprimere la propria posizione su entrambi gli atti e per verificare le informazioni in essi contenute (307, comma 1). Decorso il termine delle quattro settimane, il debitore può, sulla base delle indicazioni e delle posizioni dei creditori, modificare o integrare il piano e la lista dei debiti entro un termine stabilito dal tribunale (§ 307, comma 3).

Durante la fase di composizione giudiziale, la procedura dell’insolvenza semplificata è sospesa ex lege per un periodo massimo di tre mesi.

Qualora il piano di esdebitazione venga approvato dai creditori, l’accordo raggiunto assumerà la forma di una transazione (Vergleich), ai sensi del § 794, comma 1, n. 1, del Codice di procedura civile (Zivilprozeßordnung) (308, comma 1).

Nel caso in cui l’accordo sul piano di rientro non venga raggiunto, si apre la procedura d’insolvenza semplificata (vereinfachtes Insolvenzverfahren), regolata agli §§ 311 e seguenti della Insolvenzordnung. Il compito di valorizzare la massa fallimentare del debitore viene svolto, nei limiti stabiliti dal § 313, comma 3, da un amministratore fiduciario (Treuhänder) nominato dal giudice. Il fiduciario, che non rappresenta il debitore ma assume una posizione neutrale (Partei kraft Amtes), redige un prospetto (Insolvenztabelle) nel quale sono indicati i creditori, l’ammontare e la causa del loro credito. Il giudice può disporre, dietro richiesta del fiduciario e sentiti i creditori, la rinuncia totale o parziale alla liquidazione della massa fallimentare. In tal modo, al debitore insolvente viene data la possibilità di alienare, entro un termine massimo, il proprio patrimonio pignorabile e di versare al fiduciario l’importo corrispondente al valore della massa fallimentare. Compito del fiduciario sarà quello di distribuire l’importo tra i creditori. In questi casi, si parla di ripartizione semplificata (vereinfachte Verteilung) (§ 314, comma 1, n. 1).

Infine, la Insolvenzordnung prevede, agli §§ 286 e seguenti, la procedura della liberazione dai debiti residui (Restschuldbefreiungsverfahren), applicabile a tutte le persone fisiche insolventi e non solo ai debitori qualificabili come consumatori ai sensi del § 304 della legge.

Nella richiesta di liberazione dei debiti residui, che deve essere allegata alla domanda di avvio della procedura di esdebitazione, il debitore deve dichiarare di essere disposto a cedere, per un periodo di sei anni decorrenti dall’apertura del procedimento, la parte pignorabile dei suoi crediti per rapporti di lavoro all’amministratore fiduciario. Il presupposto della procedura è che il patrimonio fallimentare sia stato già liquidato ma che il suo valore non sia stato sufficiente a soddisfare le richieste dei creditori. Sulla richiesta di liberazione dei debiti decide il giudice che la accoglie se non si verifica alcuna delle condizioni indicate nel § 290 della Insolvenzordnung. La liberazione dai debiti residui avviene non immediatamente ma dopo sei anni di “buona condotta” (Wohlverhaltensphase) qualora il debitore ottemperi agli obblighi indicati nel § 295: svolgere un’attività lavorativa adeguata; cedere al fiduciario la metà dei patrimoni ereditati; comunicare al fiduciario ogni cambio di residenza.

La revisione della disciplina impositiva vigente delle operazioni transfrontaliere

La lettera b)impone al Governo di sottoporre a revisione la disciplina impositiva delle operazioni transfrontaliere, con particolare riferimento a specifici aspetti delle predette operazioni:

§      individuazione della residenza fiscale;

§      regime di imputazione per trasparenza delle società controllate estere e di quelle collegate:

§      regime di rimpatrio dei dividendi provenienti dagli Stati con regime fiscale privilegiato e regime di deducibilità dei costi di transazione commerciale dei soggetti insediati in tali Stati;

Le operazioni transfrontaliere

Si ricorda che a fini IRPEF (articolo 2, commi 2 e ss.gg. del TUIR) si considerano residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. Si considerano inoltre residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato. Per quanto riguarda i soggetti IRES (articolo 73 del TUIR) si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno, in alternativa, la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello Stato. Tali criteri sono alternativi ed è sufficiente che venga soddisfatto anche uno solo di essi perché il soggetto possa considerarsi residente ai fini fiscali nel territorio dello Stato. Per le società e gli enti il cui patrimonio è investito in misura prevalente in quote di fondi di investimento immobiliare chiusi e quelle che detengono direttamente partecipazioni di controllo in società di capitali ed enti commerciali residenti (“esterovestizione”), al sussistere di specifiche condizioni, il TUIR stabilisce delle presunzioni legali di sede o di residenza, salvo prova contraria (presunzioni semplici; articolo 73, commi 5-bis e 5-ter del TUIR). In particolare, l'Amministrazione finanziaria può presumere ("salvo prova contraria") l'esistenza nel territorio dello Stato della sede dell'amministrazione di società ed enti che detengono direttamente partecipazioni di controllo in società di capitali ed enti commerciali residenti, quando, alternativamente: a) sono controllati, anche indirettamente, da soggetti residenti nel territorio dello Stato; b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione o altro organo di gestione equivalente, formato in prevalenza da consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

 

In relazione al regime della trasparenza sulle società estere controllate e collegate, esso è attualmente contenuto negli articoli 167 e 168 del TUIR.

Ai sensi del citato articolo 167, ove un soggetto residente in Italia controlli, direttamente o indirettamente, un’impresa residente o localizzata in uno Stato o territorio “a fiscalità privilegiata”, rientrante nell’elenco di paesi black list, i redditi conseguiti dalla partecipata estera sono tassati separatamente per trasparenza in capo al socio residente, dopo che essi sono stati ricalcolati secondo le disposizioni ordinarie per la determinazione del reddito d’impresa (disciplina sulle cd. controlled foreign companies, o CFC rule). Non vi è tassazione per trasparenza se il soggetto controllante residente chiede e ottiene - presentando interpello - la disapplicazione della disciplina CFC. L’ordinamento consente la disapplicazione a due condizioni, operanti in modo autonomo e indipendente l’una dall’altra, che sono state modificate da ultimo dall’articolo 13 del decreto legge n. 78/2009.

La prima condizione sussiste ove il soggetto controllante residente dimostri che la partecipata estera svolge un'effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello stato o territorio di insediamento; per le attività bancarie, finanziarie e assicurative quest'ultima condizione si ritiene soddisfatta quando la maggior parte delle fonti, degli impieghi o dei ricavi originano nello Stato o territorio di insediamento (articolo 167, comma 5, lettera a)). Per la dimostrazione della prima esimente, il socio residente nel territorio dello Stato deve provare il radicamento della propria partecipata nel Paese o territorio estero di insediamento. Il comma 5-bis dell’articolo 167 - introdotto dal Dl 78/2009 - dispone che questa condizione non può essere invocata quando i proventi della società estera sono costituiti per oltre il 50% da passive income o derivano dalla prestazione di servizi infragruppo.

La seconda “esimente” si ha quando il soggetto controllante residente dimostra che dal possesso delle partecipazioni non consegue l'effetto di localizzare i redditi in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze emanato ai sensi dell'articolo 168-bis.

L’articolo 13 del D.L. 78/2009 ha altresì introdotto nell’articolo 167 del TUIR i commi 8-bis e 8-ter, che non si applicano alle società estere collegate di cui al successivo articolo 168. Il comma 8-bis estende la disciplina CFC ai soggetti controllati esteri localizzati in Stati o territori compresi nella cosiddetta white list, e beneficiano di una tassazione inferiore di oltre la metà rispetto a quella cui sarebbero stati soggetti qualora residenti in Italia e che abbiano conseguito in prevalenza passive income o proventi derivanti dalla prestazione di servizi infragruppo. Qualora si verifichino entrambe le condizioni indicate dal comma 8-bis, il comma 8-ter assicura comunque al socio controllante residente la possibilità di dimostrare, mediante la procedura di interpello di cui all’articolo 11 della legge 212/2000, che la propria controllata estera non rappresenta una costruzione artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale.

L’articolo 168 estende il criterio di imputazione per trasparenza - salvo quanto disposto al citato comma 8-bis - anche alle ipotesi di collegamento, ossia al caso in cui il soggetto residente in Italia detiene, direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per interposta persona, una partecipazione non inferiore al 20 per cento agli utili di un'impresa, di una società o di altro ente, residente o localizzato in Stati o territori con regime fiscale privilegiato; tale percentuale è ridotta al 10 per cento nel caso di partecipazione agli utili di società quotate in borsa. Tale norma non si applica per le partecipazioni in soggetti non residenti negli Stati o territori predetti relativamente ai redditi derivanti da loro stabili organizzazioni assoggettati a regimi fiscali privilegiati. La legge (articolo 168, commi 2 e 3 ) fissa contestualmente i criteri per la determinazione forfettaria dei redditi del soggetto non residente oggetto di imputazione.

 

Come chiarito dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 51/E del 6 ottobre 2010, la disciplina degli utili provenienti da Paesi a fiscalità privilegiata è in linea generale contenuta negli articoli 47, comma 4 e 89, comma 3, del TUIR (così come modificati dall’articolo 36 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223) relativi rispettivamente al regime di imposizione dei dividendi percepiti dai soggetti IRPEF e all'imposizione dei dividendi percepiti dai soggetti IRES.

A prescindere dalla natura della partecipazione detenuta (qualificata o non qualificata), tali disposizioni prevedono una deroga all’ordinaria disciplina di tassazione degli utili da partecipazione, assoggettando ad imposizione integrale, anziché parziale, gli utili provenienti da società o enti localizzati in Paesi o territori aventi regime fiscale privilegiato, come individuati dal D.M. 21 novembre 2001, a meno che gli stessi non siano già stati imputati al socio, per trasparenza, ai sensi degli articoli 167, comma 1, e 168 del TUIR, ovvero sia stata data dimostrazione, in seguito all’esercizio di interpello- secondo le modalità del comma 5, lett. b) del medesimo articolo 167 - che dalle partecipazioni non è stato conseguito, sin dall’inizio del periodo di possesso, l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati. Il legislatore intende comprendere nell’ambito applicativo dei citati articoli anche gli utili distribuiti da una società conduit europea, ma provenienti da Paesi o territori a fiscalità privilegiata.

L’Agenzia ha chiarito, con specifico riferimento alle società, che il descritto regime di imposizione integrale si applica anche nel caso di dividendi distribuiti da società conduit “figlie” - ai sensi della Direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, n. 90/435/CE (cosiddetta direttiva madri e figlie) - della società italiana che percepisce i dividendi, quando la fattispecie considerata ricade nell’ambito applicativo dell’articolo 1, comma 2, della citata direttiva. La norma appena richiamata prevede, infatti, che la direttiva madri e figlie non pregiudica l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi. Al riguardo, peraltro, si ricorda che la sentenza della Corte di Giustizia relativa alla causa C-196/04 (c.d. Cadbury-Schweppes) tende a riconoscere (punto 55) la legittimità delle norme antiabuso nazionali nei limiti in cui le stesse abbiano “lo scopo di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili” societari. Nella predetta pronuncia viene, altresì, precisato che “la constatazione dell’esistenza di una tale costruzione, richiede (…) oltre ad un elemento soggettivo consistente nella volontà di ottenere un vantaggio fiscale, elementi oggettivi dai quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dall’ordinamento comunitario, l’obiettivo perseguito dalla libertà di stabilimento (n.d.r. vale a dire l’esercizio effettivo di un’attività economica in un altro Stato membro) non è stato raggiunto” (cfr. sentenza Cadbury-Schweppes, punto 64).

La vigente disciplina nazionale adotta l’approccio case by case raccomandato da una consolidata giurisprudenza dalla Corte europea, in quanto nell’articolo 89, comma 3, del TUIR è espressamente prevista la possibilità di presentare istanza di interpello per ottenere la disapplicazione del regime di tassazione integrale dei dividendi, previa dimostrazione che dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a fiscalità privilegiata.

L’Agenzia delle Entrate ha inoltre rilevato come l'applicazione del regime di tassazione integrale degli utili black list non presenti particolari problemi operativi nell’ipotesi di holding intermedie - qualificabili come mere conduit company - che posseggono partecipazioni esclusivamente in società black list, per le quali l’intero utile distribuito è generato nel paradiso fiscale in cui sono localizzate le partecipate, ma come vi siano maggiori difficoltà nell’ipotesi di holding o società conduit che detengono partecipazioni anche in società residenti in Paesi considerati a fiscalità ordinaria o che non si limitano alla mera detenzione di partecipazioni ma svolgono esse stesse un’effettiva attività economica; in tali casi si pone il problema di individuare la fonte degli utili erogati, individuando alcuni criteri operativi in mancanza di un criterio espresso previsto dal legislatore: in particolare, si ritiene che la società conduit debba documentare di volta in volta la provenienza degli utili (se da Stati o territori a fiscalità privilegiata, o meno) distribuiti al socio residente.

Inoltre, la Circolare n. 51/E ha chiarito i rapporti esistenti tra la disciplina CFC e quella delle società estere controllate (articoli 167 e 168 del TUIR) nell’ipotesi in cui tra la società residente e quella localizzata in un Paese a fiscalità privilegiata sussista un rapporto di controllo o di collegamento qualificato. Il coordinamento tra la disciplina CFC e quella prevista dalle norme in esame è assicurato dall’articolo 167, comma 7, TUIR ai sensi del quale “gli utili distribuiti, in qualsiasi forma, dai soggetti non residenti di cui al comma 1 (le società controllate residenti in Paesi o territori black list) non concorrono alla formazione del reddito dei soggetti residenti fino all’ammontare del reddito assoggettato a tassazione, ai sensi del medesimo comma 1, anche negli esercizi precedenti”.

La disposizione ha la finalità di evitare la doppia imposizione sugli utili distribuiti dalla CFC nell’ipotesi in cui il suo reddito sia stato precedentemente tassato per trasparenza in capo al socio italiano, previa rideterminazione dello stesso secondo le disposizioni fiscali italiane.

Coerentemente con la citata finalità, l’imposizione per trasparenza del reddito della partecipata black list esaurisca il prelievo fiscale in relazione al medesimo reddito: in altri termini, se gli utili distribuiti dalla CFC originano da un reddito precedentemente tassato per trasparenza in capo al socio italiano, gli stessi non vanno nuovamente tassati in capo al medesimo soggetto. Viceversa, nell’ipotesi in cui oggetto di distribuzione siano utili provenienti da riserve pregresse, vale a dire da riserve di utili costituite in periodi d’imposta in cui non c’è stata alcuna tassazione per trasparenza, gli stessi concorrono alla determinazione del reddito imponibile per l’intero ammontare ai sensi degli articoli 47, comma 4, e 89, comma 3, del TUIR.

Concorrono, comunque, per l’intero ammontare alla formazione del reddito imponibile del socio residente i dividendi provenienti da una sua partecipata estera nei confronti della quale sia stata ottenuta la disapplicazione della CFC rule a seguito della dimostrazione della “prima esimente”.

Diversamente, a norma dei più volte menzionati articoli 47, comma 4, e 89, comma 3, sono tassati solo per il 5 per cento del loro ammontare i dividendi provenienti da una società in relazione alla quale sia avvenuta la dimostrazione che “siano rispettate le condizioni di cui alla lettera c) del comma 1 dell’articolo 87” del TUIR. Tale prova va fornita mediante interpello da presentarsi secondo le modalità di cui all’articolo 167, comma 5, lettera b) del TUIR e ha ad oggetto la dimostrazione che “dalle partecipazioni non sia stato conseguito, fin dall’inizio del periodo di possesso, l’effetto di localizzare i redditi…” in Stati o territori a fiscalità privilegiata.

In altri termini, nel caso in cui, in sede di interpello CFC, l’Amministrazione finanziaria non rilevi la sussistenza della seconda esimente, tale risposta negativa produce effetti anche ai fini della disciplina fiscale applicabile ai dividendi provenienti dalla medesima CFC.

Viceversa, l’eventuale parere favorevole in merito alla sussistenza della citata esimente rileva anche ai fini della disciplina dei dividendi provenienti da società black list, ma solo a condizione che l’Amministrazione finanziaria riscontri, in concreto, la sussistenza dell’ulteriore requisito previsto per la disapplicazione del regime di cui agli articoli 47, comma 4, o 89, comma 3, del TUIR (e, cioè, che l’effetto di delocalizzazione dei redditi nel paradiso fiscale non è stato conseguito “sin dall’inizio del periodo di possesso” delle partecipazioni).

Come evidenziato dalla dottrina (Tassabilità dei dividendi provenienti indirettamente da “black list”: problematiche applicative - di Marco Bargagli e Marco Thione, in “il fisco” n. 23 del 6 giugno 2011, pag. 1-3656), le disposizioni così introdotte hanno ingenerato problematiche applicative sia in capo all’Amministrazione finanziaria, nell’espletamento dei suoi poteri istruttori, sia in capo al contribuente nazionale ispezionato. In particolare, i principali nodi operativi riguardano il rapporto con la disciplina delle “controlled foreign companies – CFC” (articolo 167 del TUIR), sul quale è intervenuta l’Agenzia delle Entrate con la richiamata circolare n. 51/E: in relazione al caso di utili formati da proventi di diversa natura e provenienza, la società intermedia conduit dovrà documentare di volta in volta la provenienza degli utili distribuiti al socio residente. Il contribuente dovrà, altresì, fornire idoneo dettaglio anche nel caso in cui le riserve di utile della legal entity estera intermedia, che vengono distribuiti alla casa madre italiana, si siano formate in differenti esercizi d’imposta, sia con proventi derivanti da controllate residenti in Paesi “black list”, sia in Paesi a fiscalità ordinaria. In mancanza di adeguato supporto documentale che fornisca la provenienza dell’utile, nonché l’esercizio di formazione della provvista, si ritengono distribuiti al socio italiano, in via prioritaria e fino a concorrenza, gli utili di provenienza dal Paese a fiscalità privilegiata. Infine, la dottrina evidenzia che vi sono ulteriori problemi di natura istruttorio/informativa rilevabili in ragione della necessità di individuare la provenienza dei dividendi, la natura degli stessi e la data di formazione delle riserve che vengono distribuite: nel caso di strutture partecipative molto articolate, l’analisi potrebbe rivelarsi complessa.

L’articolo 110, commi da 10 a 12-bis, del TUIR reca la disciplina della deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con imprese residenti ovvero localizzate in Stati o territori extra-comunitari con regime fiscale privilegiato, nonché dalle prestazioni di servizi rese dai professionisti domiciliati in detti Stati o territori. La disciplina riguarda le operazioni intercorse tra imprese residenti (dunque, come sottolineato dal CNDEC nello studio del 20 aprile 2012, sono esclusi da tale disciplina gli enti non commerciali, i lavoratori autonomi e i privati) e imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all'Unione europea aventi regimi fiscali privilegiati (ivi comprese, come chiarito nel paragrafo 9.1 della Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 51/E del 2010, anche le stabili organizzazioni in Paesi black list di società residenti in Italia o in Paesi a fiscalità ordinaria). Il comma 12-bis dell’articolo 110 estende la disciplina alle operazioni intercorse con i professionisti domiciliati nei suddetti Stati e territori.

In particolare, il TUIR disciplina l’indeducibilità delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni sostenute dai soggetti residenti esercenti attività di impresa nel territorio dello Stato, intercorse con imprese o professionisti domiciliati fiscalmente in Stati o territori black list (ovvero quelli individuati, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, ovvero della mancanza di un adeguato scambio di informazioni, ovvero di altri criteri equivalenti).

L’Agenzia delle entrate (citata circolare n. 51/E del 2010, paragrafo 9.2) estende il concetto di “spese e altri componenti negativi” a “[…] qualunque componente negativo derivante da transazioni commerciali poste in essere con fornitori black list”; alcuni problemi applicativi – come rilevato dal CNDEC – sono sorti con riferimento a transazioni commerciali ed operazioni intercorse con i soli fornitori, oppure con tutti gli operatori black list. Si è rilevato come il riferimento alle transazioni commerciali effettuato dalle Entrate sembrerebbe escludere i componenti negativi relativi a transazioni di natura finanziaria, anche se la norma fa genericamente riferimento alle “transazioni; quanto ai rapporti con fornitori black list, non è chiaro se i componenti negativi di reddito debbano essere necessariamente realizzati in occasione del perfezionamento di un’operazione con fornitore black list oppure se debbano essere separatamente indicati anche i componenti negativi “derivanti” da operazioni intercorse con soggetti black list e, quindi, non necessariamente fornitori, ma anche clienti, intermediari, ecc.. In questo secondo caso, potrebbero essere interessate dalla disciplina in esame anche operazioni attive poste in essere con clienti black list che diano origine a componenti negativi di reddito, quali – per esempio – le perdite su crediti.

Il successivo comma 11 dell’articolo 110 del TUIR consente alle imprese residenti in Italia di dedurre le spese e gli altri componenti negativi sotto la condizione che venga dimostrata “la credibilità commerciale e l’effettiva operatività del fornitore estero localizzato nel territorio a fiscalità privilegiata o, in alternativa, la convenienza economica delle operazioni poste in essere” (citata circolare 51/E del 2010, al paragrafo 9.3). La legge norma prevede dunque che le componenti siano deducibili in presenza di due circostanze “esimenti”, alternative tra loro:

a)    il fornitore estero svolge prevalentemente un’attività commerciale effettiva;

b)    le operazioni intercorse con il fornitore estero rispondono ad un effettivo interesse economico e le stesse hanno avuto concreta esecuzione.

Tali circostanze possono essere dimostrate dal contribuente in sede di controllo ovvero mediante presentazione di interpello.

§      al regime di applicazione delle ritenute transfrontaliere;

Problematiche afferenti ai redditi transfrontalieri: UE e OCSE

Il 29 febbraio 2012, la Commissione europea ha avviato una consultazione pubblica sulla questione dello sfruttamento delle asimmetrie tra gli ordinamenti tributari dei vari Paesi (Paesi membri e Paesi terzi), suscettibili di generare fenomeni di "doppia non imposizione".

Scopo della consultazione non è, infatti, di rilevare ipotesi in cui la tassazione sia effettuata in un solo paese (per esempio, perché l’attività svolta dal soggetto passivo è sottoposta a imposizione in un altro paese), ma solo di casi doppia non tassazione, ovvero casi nei quali il combinato disposto delle regole di due paesi conduce alla non tassazione.

Nell'ambito della consultazione, la Commissione affronta le principali tematiche in materia di mancata tassazione dei redditi transfrontalieri, concentrandosi sull’imposizione diretta (tassazione dei redditi societari, tassazione sul reddito dei non residenti, regime fiscale dei capital gains, etc.).

In particolare, le domande poste dalla consultazione riguardano le “entità ibride”, gli strumenti finanziari ibridi e l'utilizzo di convenzioni internazionali che determinano situazioni di non tassazione del reddito.

Per “entità ibride” si intendono le entità giuridiche trattate in modo differente in diverse giurisdizioni; il ricorso a strumenti finanziari ibridi concerne l’uso di strumenti che coinvolgono due o più Stati esteri e che, nei singoli ordinamenti giuridici interessati, sono fiscalmente trattati in modo diverso (a titolo di esempio, un medesimo strumento può essere qualificato come capitale di prestito in uno Stato e come capitale di rischio in un altro). Per quanto concerne l’uso delle convenzioni internazionali, il documento di consultazione pone il caso in cui uno stesso reddito venga qualificato differentemente alla stregua di due legislazioni nazionali che abbiano sottoscritto convenzioni internazionali e che esso sfugga alla imposizione in entrambi i paesi.

Ulteriori aspetti esaminati afferiscono alla materia del transfer pricing, degli Advance Pricing Arrangements, alle transazioni con parti correlate residenti in Paesi a bassa fiscalità, al trattamento fiscale che in alcuni Paesi è riconosciuto al cosiddetto "passive income" (interessi attivi e royalties), alle convenzioni contro le doppie imposizioni con Paesi terzi.

Anche l’OCSE, nell'ambito del cosiddetto "Aggressive Tax Planning Steering Group" del Comitato Affari Fiscali ha pubblicato il report "Hybrid Mismatch Arrangements: Tax Policy and Compliance Issues" nel quale, oltre a illustrare il fenomeno e le operazioni che sfruttano le differenze nel trattamento fiscale di strumenti finanziari ibridi, entità ibride e trasferimenti ibridi tra i vari ordinamenti, segnala i risultati dei Paesi che si sono impegnati nel contrasto a tali forme di pianificazione fiscale aggressiva. Viene citata anche l'Amministrazione fiscale italiana che ha, di recente, effettuato diverse contestazioni, che hanno portato a incassi per oltre 1,5 miliardi di euro.

Da ultimo, si ricorda che i rappresentanti delle autorità fiscali di alcuni Paesi membri dell'OCSE si sono riuniti a Montreal dall'8 al 10 maggio 2012 per discutere il problema della doppia esenzione involontaria causata dall'utilizzo degli hybrid mismatch arrangements (regolazioni ibride da disallineamento fiscale). L'incontro è stato organizzato dall'Agenzia delle Entrate del Canada (CRA - Canada Revenue Agency) in collaborazione con l'OCSE.

 

Al fine di superare le problematiche afferenti alla tassazione transfrontaliera, il legislatore italiano – anche in recepimento delle disposizioni dettate in sede europea – è intervenuto a regolare la materia: da ultimo si ricorda il D.Lgs. n. 47 del 2012, recante l’attuazione della direttiva 2009/65/CE in materia di organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM), che ha apportato modifiche alla disciplina fiscale delle ritenute sui redditi di capitale derivanti dalla partecipazione ad OICVM italiani, al fine di evitare salti d'imposta o effetti discorsivi.

In particolare, l’articolo 3 modifica la legge n. 77 del 1983 in materia di fondi comuni d'investimento mobiliare al fine di uniformare le disposizioni riguardanti la determinazione dei redditi di capitale derivanti dalla partecipazione agli OICVM di diritto estero a quelle previste per i fondi di diritto italiano; viene altresì precisato che, per i fondi non armonizzati istituiti negli Stati membri dell'Unione europea e negli Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo inclusi nella white list, la vigilanza prudenziale deve essere riferita al soggetto gestore e non al fondo, come stabilito dalla direttiva 2011/61/UE sui fondi alternativi, il cui recepimento è previsto entro il 21 luglio 2013.

§      regime di tassazione delle stabili organizzazioni all’estero e di quelle insediate in Italia di soggetti non residenti;

Stabile organizzazione

Il concetto di “stabile organizzazione” assume importanza in relazione alla possibilità di tassare il reddito d’impresa nello Stato in cui questo è prodotta.

Con la riforma del diritto societario operata per mezzo del D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344 è stata introdotta nell’ordinamento nazionale la definizione di “stabile organizzazione” ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP, in parte mutuandola dall’articolo 5 del Modello di Convenzione OCSE.

La definizione di legge di “stabile organizzazione” è recata dall’articolo 162 del TUIR: ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP, l'espressione “stabile organizzazione” designa una sede fissa di affari per mezzo della quale l'impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato. Si ratta di una definizione generale, cui la norma richiamata affianca una serie di ipotesi considerate “stabili organizzazioni” tout court, per effetto della loro menzione ex lege (ad es. sede di direzione, succursale, ufficio etc.) nonché ipotesi in cui tale istituto non si configura. (ad es. la disponibilità a qualsiasi titolo di elaboratori elettronici e relativi impianti ausiliari che consentano la raccolta e la trasmissione di dati ed informazioni finalizzati alla vendita di beni e servizi). Costituisce in alternativa una “stabile organizzazione dell'impresa” il soggetto, residente o non residente, che nel territorio dello Stato abitualmente conclude in nome dell'impresa stessa contratti diversi da quelli di acquisto di beni.

In ordine alle modalità di determinazione del reddito della stabile organizzazione, il TUIR, all’articolo 151, si ispira al principio di territorialità, secondo cui per le società ed enti commerciali non residenti il reddito complessivo da assoggettare a tassazione è costituito esclusivamente dai redditi che si considerano prodotti nello Stato, con la sola esclusione dei redditi esenti da imposta e quelli assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o ad imposta sostitutiva. Il successivo articolo 152 prevede che, in presenza di una stabile organizzazione italiana, il reddito complessivo di un soggetto non residente si determini secondo le disposizioni relative alla determinazione dell’imposta sul reddito delle società.

La dottrina (cfr. E. Cacciapuoti, I rapporti tra casa madre e stabile organizzazione: tra valore di mercato e costo storico, in “Rassegna tributaria” n. 1 di gennaio-febbraio 2010, pag. 173) ha rilevato che le norme del Testo Unico lasciano irrisolti numerosi problemi interpretativi e applicativi relativi alla determinazione del reddito di una stabile organizzazione, sia che si tratti di un soggetto estero che opera in Italia, sia ove si presenti la necessità per un soggetto italiano di determinare la base imponibile della propria stabile organizzazione estera, ai fini del calcolo del credito per le imposte pagate all’estero.

Il 12 ottobre 2011, il Comitato per gli Affari Fiscali dell’OCSE ha pubblicato un documento di consultazione pubblica[12] in ordine alla definizione di “stabile organizzazione” nel modello di Convenzione fiscale OCSE. Il 29 febbraio sono stati pubblicati i commenti ricevuti sull’argomento.

§      regime di rilevanza delle perdite di società del gruppo residenti all’estero.

Il consolidato fiscale mondiale

Con la riforma del TUIR operata dal D.Lgs. 344/2003 sono stati introdotti nel nostro ordinamento il regime opzionale del consolidato fiscale nazionale (articoli da 117 a 129 del Testo Unico) e del consolidato fiscale mondiale. In estrema sintesi, l’adesione a tali regimi consente di determinare l’IRES in modo unitario con riferimento al gruppo societario cui appartengono i soggetti interessati, effettuando la somma algebrica dei redditi complessivi netti, opportunamente rettificati, di ciascuno dei soggetti aderenti. I vantaggi offerti da tale meccanismo consistono, in generale, nella possibilità di compensare infragruppo, tra l’altro, gli utili e le perdite.

L'opzione per il consolidato mondiale (artt. 130-142 del TUIR) in particolare consente di estendere la tassazione di gruppo anche a società non residenti: alla società controllante in Italia vengono imputati per trasparenza i redditi e le perdite delle controllate estere in proporzione alla quota di partecipazione complessiva. Redditi e perdite delle controllate estere sono ricalcolati in base alle norme tributarie nazionali. Nel consolidato mondiale l’opzione è vincolante per almeno cinque esercizi della controllante ed eventuali rinnovi sono validi per altri tre esercizi. Per mezzo del consolidato mondiale, la consolidante può includere nella propria base imponibile le perdite delle controllate estere e delle imposte versate da queste nello Stato estero. In questo modo le controllate estere vengono trattate dal fisco italiano alla stregua di stabili organizzazioni all’estero dell’impresa italiana (articolo 131 del TUIR).

In merito si ricorda che l’opzione per il regime del consolidato mondiale implica che non si applichino le disposizioni di cui all'articolo 167 (cd. “regime CFC – controlled foreign companies) relativamente alle controllate estere il cui imponibile viene incluso in quello della società controllante. Si rinvia al riquadro precedente per l’illustrazione di tale regime.

 

La problematica della rilevanza delle perdite delle società residenti all’estero è stata affrontata dalla Corte di giustizia europea; essa, in mancanza di un corpus organico armonizzato di principi in materia di imposizione sul reddito delle società (per le proposte attualmente in discussione, cfr. il riquadro Le raccomandazioni dell’Unione Europea), ha provveduto a individuare un insieme di regole cui parametrare la legittimità del diritto interno in materia. La Corte ha affrontato il tema alla luce della libertà di stabilimento (articolo 49 del TFUE, ex articolo 43): esso, nell’ottica dei giudici comunitari, è finalizzato a garantire che una società costituita ai sensi delle leggi di uno Stato membro abbia il diritto di svolgere la propria attività nel territorio dell’Unione attraverso rami d’azienda, controllate e succursali, senza che gli ordinamenti nazionali possano riservare un trattamento normativo differenziato fondato sull’ordinamento giuridico del Paese in cui esse abbiano la sede principale; tuttavia, secondo un orientamento consolidato, in determinate ipotesi talune misure restrittive possono ritenersi legittime, in quanto perseguono lo scopo di evitare l’abuso di questi principi (cd. shopping fiscale) con eventuali finalità di elusione o evasione dell’imposta (cfr. la scheda di lettura dell’articolo 6 del disegno di legge in esame), purché sia rispettato il principio di proporzionalità tra la misura introdotta dallo Stato membro e lo scopo perseguito (cfr. sentenza Marks&Spencer , c C-446/03). In linea di principio, dunque, lo scomputo delle perdite dovrebbe avvenire nello stato di residenza della società che le ha prodotte e, in via sussidiaria, nello Stato della capogruppo. Tale soluzione, come rilevato dalla dottrina, pone oneri gravosi in capo alla società che intende fruire delle perdite di una società del gruppo; essa dovrebbe provare che quest’ultima non abbia la possibilità di farle valere nel proprio Stato di residenza, al fine di evitare che la medesima perdita sia dedotta due volte in via definitiva.

 

In ordine ai principi e criteri direttivi che devono presiedere ad una riforma della disciplina fiscale delle operazioni transfrontaliere, si rileva che - nell’attuale quadro normativo internazionale - sembrerebbe opportuno che il legislatore tenesse specificamente in considerazione, tra i principi e i criteri direttivi per l’esercizio della delega, anche la necessità di rispettare gli accordi internazionali e gli specifici vincoli che discendono dall’appartenenza all’Unione Europea.

§      revisione dei regimi di deducibilità degli ammortamenti, delle spese generali e di particolari categorie di costi, salvaguardando e specificando il concetto di inerenza e limitando le differenziazioni tra settori economici.

Il principio di inerzia

La disciplina in materia di determinazione del reddito d’impresa (e di lavoro autonomo) contempla, tra i principi e i criteri per l’individuazione e quantificazione dei costi da dedurre in sede di dichiarazione, il principio di inerenza. Il riferimento normativo, per quanto riguarda il reddito di lavoro autonomo, è all’articolo 54, comma 1, del TUIR, mentre per la determinazione del reddito d’impresa si fa riferimento all’articolo 109, comma 5 del predetto Testo Unico, ai sensi del quale le spese e gli altri componenti negativi sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito. In sostanza, affinché un componente negativo sia preso in considerazione ai fini del computo del reddito d’impresa, esso deve essere inerente all’attività imprenditoriale.

In ordine a talune tipologie di spesa – stante la difficoltà nell’ascriverle all’interesse aziendale o a quello personale del contribuente/socio – la legge detta, con finalità di certezza del rapporto tributario, specifiche regole e percentuali di deducibilità (ad es. per le spese relative ad apparecchi terminali per servizi di comunicazione elettronica, quelle per rappresentanza, prestazioni alberghiere, veicoli a motore etc.). Per le componenti negative per le quali non sono rinvenibili così precise indicazioni, il principio di inerenza è stato oggetto di interpretazione da parte dell’Amministrazione finanziaria, della dottrina e della giurisprudenza.

In particolare, nel corso del tempo è stata avallata un’interpretazione ampia del principio di inerenza, intendendosi per tale la correlazione fra onere sostenuto e attività produttiva di reddito imponibile (cfr. le note ministeriali del 25 ottobre 1980, n. 9/2113, del 7 luglio 1983, n. 30/9/944, del 12 febbraio 1985, n. 9/1603 e del 28 ottobre 1998, n. 158/E), non più legata ai ricavi dell’impresa, ma all’attività della stessa. Sono quindi deducibili i costi relativi all’attività dell’impresa e riferiti ad attività ed operazioni che concorrono a formare il reddito d’impresa.

Analogo orientamento emerge dai pronunciamenti della Corte di Cassazione (cfr. sent. n 4554 del 25 febbraio 2010 e ord. n. 19489 del 13 settembre 2010); per qualificare un costo come deducibile dal reddito d’impresa non è necessario che sia stato sostenuto per ottenere una ben precisa e determinata componente attiva di quel reddito, ma è sufficiente che esso sia correlato in senso ampio all’impresa in quanto tale, e cioè sia stato sostenuto al fine di svolgere una attività potenzialmente idonea a produrre utili. Per quanto concerne l’onere della prova in ordine alla sussistenza dell’inerenza di determinati componenti negativi, esso – per consolidata interpretazione - incombe sul contribuente (Corte di Cassazione, sentenze del 24 febbraio 2006, n. 4218, del 22 settembre 2006, n. 20521 , del 10 novembre 2006, n. 24075 e del 29 dicembre 2006, n. 27619).

Si rammenta che il principio di inerenza trova applicazione ai fini della detraibilità dell’IVA, così come ai fini della determinazione della base imponibile IRAP, pur con modalità applicative in parte diverse rispetto alla disciplina delle imposte sui redditi (cfr. circolare 36/E del 2009 dell’Agenzia delle Entrate).

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Il 16 marzo 2011 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva relativa ad una base imponibile comune consolidata per la tassazione delle società (common consolidated corporate tax base, CCCTB, COM(2011)121).

Il regime comune prevede, in particolare, regole per il calcolo dei risultati fiscali di ciascuna società (o succursale), il consolidamento di tali risultati, qualora vi siano altri membri del gruppo, e la ripartizione della base imponibile consolidata tra ciascuno Stato membro ammissibile. Non sarebbero invece armonizzate le aliquote d’imposta, che rimarrebbero di esclusiva competenza nazionale pur incoraggiando la Commissione una leale concorrenza tra gli Stati membrial riguardo.

 

La proposta viene esaminata secondo una procedura legislativa speciale, che prevede l’unanimità in seno al Consiglio dell’UE e il mero parere del Parlamento europeo.

Il 19 aprile 2012 il PE ha approvato una risoluzione che reca emendamenti alla proposta di direttiva: in particolare, il PE chiede che la CCCTB si applichi, in un una fase transitoria, soltanto alle società cooperative europee, che hanno una natura transfrontaliera. Dopo cinque anni, verrebbe applicata a tutte le imprese europee, eccetto le piccole e medie imprese (PMI), che potrebbero optare per un regime della CCCTB su base volontaria. Per le PMI, il Parlamento europeo chiede che la Commissione si adoperi per ridurre i costi amministrativi e creare quindi le condizioni necessarie affinché le imprese attive su scala transfrontaliera possano trarre beneficio dall'adesione al regime della CCCTB.

La proposta di direttiva è stata esaminata dalla XIV Commissione, che ha adottato il 4 maggio 2011 un documento ai fini della valutazione di conformità con il principio di sussidiarietà, nonché dalla VI Commissione finanze della Camera, che ha adottato il 25 maggio 2011 un documento finale nel quale si invita il Governo ad adoperarsi nelle sedi decisionali dell'Unione europea affinché sia resa obbligatoria, anziché facoltativa, l'applicazione della base imponibile consolidata, al fine di assicurare una maggiore convergenza dei sistemi impositivi nazionali, non subordinandola ad un mero calcolo di convenienza da parte delle imprese interessate


 

Articolo 13
(Razionalizzazione dell'imposta sul valore aggiunto e di altre imposte indirette)

 


1. Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui all'articolo 1, norme per il recepimento della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) razionalizzazione, ai fini della semplificazione, dei sistemi speciali in funzione della particolarità dei settori interessati;

b) attuazione del regime del gruppo dell'imposta sul valore aggiunto (IVA) previsto dall'articolo 11 della direttiva 2006/112/CE.

2. Il Governo è delegato, altresì, ad introdurre, con i decreti legislativi di cui all'articolo 1, norme per la revisione delle imposte di registro, di bollo, ipotecarie e catastali, sulle concessioni governative, sulle assicurazioni e sugli intrattenimenti, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) semplificazione degli adempimenti e razionalizzazione delle aliquote;

b) accorpamento o soppressione di fattispecie particolari.


 

 

L’articolo 13 detta i principi e i criteri direttivi per l’attuazione della delega in materia di IVA, che deve avvenire attraverso la semplificazione dei sistemi speciali nonché l’attuazione del regime del gruppo IVA.

 

Il Governo è inoltre delegato ad introdurre norme per la revisione delle imposte c.d. minori, vale a dire le imposte di registro, di bollo, ipotecarie e catastali, sulle concessioni governative, sulle assicurazioni e sugli intrattenimenti, attraverso la semplificazione degli adempimenti, la razionalizzazione delle aliquote nonché l’accorpamento o la soppressione di fattispecie particolari.

 

Nel dettaglio, il comma 1 delega il governo ad introdurre norme per il recepimento della direttiva 2006/112/CE in materia di IVA.

 

Si ricorda, preliminarmente, che il 6 dicembre 2011 la Commissione europea ha presentato una comunicazione sulla nuova strategia dell'UE in materia di imposta sul valore aggiunto (COM(2011)851[13]) che fa seguito alla consultazione svolta sul Libro verde presentato il 1° dicembre 2010 (sul quale, vedi oltre).

 

Ad avviso della Commissione, il nuovo sistema IVA dovrebbe perseguire i seguenti tre obiettivi principali:

§      riduzione degli oneri amministrativi delle imprese, per agevolare il commercio transfrontaliero, attraverso l'introduzione dello "sportello unico" e la standardizzare delle dichiarazioni IVA;

§      ampliamento della base imponibile e limitazione del ricorso alle aliquote ridotte;

§      potenziamento degli attuali meccanismi antifrode, tra cui Eurofisc, per ridurre la perdita di entrate dovute all'IVA non versata.

 

La Commissione sottolinea inoltre che la questione del passaggio ad un sistema IVA basato sull'imposizione nel paese di origine non è più rilevante. Pertanto, l'IVA continuerà ad essere riscossa nel paese di destinazione (ossia il paese in cui ha sede l'acquirente).

 

Il 15 maggio 2012 il Consiglio ECOFIN ha approvato le conclusioni sulla nuova strategia UE in materia di IVA. Il Consiglio, tra le altre cose:

§      sostiene la proposta di creare di uno sportello unico IVA entro il 2015;

§      invita la Commissione a chiarire meglio il valore legale e le funzioni del portale web sull'IVA che verrebbe creato al fine di fornire informazioni in più lingue su questioni come la registrazione, la fatturazione, le dichiarazioni IVA, le aliquote IVA, nonché gli obblighi speciali e limitazioni del diritto a detrazione;

§      concorda sull'opportunità di esaminare nel dettaglio il vigente regime IVA dei servizi pubblici, al fine di promuovere una migliore concorrenza tra settore pubblico e settore privato;

§      prende atto che la Commissione è a favore di un uso limitato delle aliquote ridotte da parte degli Stati membri.

 

Si ricorda inoltre che anche l’articolo 3 del ddl di delega fiscale all’esame del Parlamento (AC4566) contiene i principi e i criteri direttivi per la riforma dell’IVA. In particolare, si prospetta, nel rispetto dell’ordinamento comunitario:

§       la revisione graduale delle aliquote;

§       la riduzione delle forme di indetraibilità e delle distorsioni della base imponibile;

§       il coordinamento della disciplina IVA con quella delle accise;

§       la razionalizzazione dei sistemi speciali in relazione alla particolarità dei settori interessati.

 

Già l'articolo 5, comma 1, lettera c), della legge n. 80/2003 prevedeva la razionalizzazione dei sistemi speciali Iva in funzione della particolarità dei settori interessati. Tale delega è rimasta, peraltro, inattuata.

 

 

Le aliquote IVA

In materia di aliquote, l’articolo 97 della direttiva 2006/112/CE (cosiddetta direttiva IVA, vedi oltre) stabilisce che l’aliquota normale d’imposta fissata da ciascun paese membro non può essere, fino al 31 dicembre 2010, inferiore al 15%.

Gli articoli 98 e 99 consentono agli Stati membri la facoltà di applicare una o due aliquote ridotte. Tale facoltà è ammessa esclusivamente per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi delle categorie individuate nell’allegato III della direttiva. In ogni caso, la misura dell’aliquota ridotta non può essere inferiore al 5%. In deroga alle regole normali, alcuni Stati membri sono stati autorizzati a mantenere delle aliquote ridotte, comprese le aliquote “ultraridotte” e le aliquote zero, in alcuni ambiti.

La direttiva 5 maggio 2009, n. 2009/47/CE è intervenuta sulla direttiva 2006/112/CE apportando, tra l’altro, modifiche all’allegato III della direttiva 2006/112/CE al fine di ampliare l’ambito delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi che possono essere assoggettate alle aliquote ridotte. Nel secondo considerando della direttiva 2009/47/CE viene evidenziato che la Commissione europea, nella sua Comunicazione sulle aliquote IVA diverse dall’aliquota IVA normale presentata al Consiglio e al Parlamento europeo nel luglio 2007, ha concluso che l’applicazione di aliquote ridotte ai servizi prestati localmente non pone problemi per il buon funzionamento del mercato interno e può, in presenza di determinate condizioni, produrre effetti positivi in termini di creazione di occupazione e di lotta all’economia sommersa.

In Italia, le aliquote IVA sono disciplinate dall’articolo 16 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, recante l’istituzione e la disciplina dell’imposta sul valore aggiunto. Nel dettaglio, accanto all’aliquota normale (incrementata dal 20 al 21 per cento dai commi da 2-bis a 2-quater dell'articolo 2 del decreto-legge n. 138 del 2011) si prevede un’aliquota ridotta del 10 per cento e un’aliquota “super-ridotta” del 4 per cento per le operazioni aventi per oggetto i beni e i servizi elencati nella Tabella A allegata al citato D.P.R. n. 633.

In particolare, nella parte III della Tabella A vi è l’elenco dettagliato dei beni e dei servizi assoggettati ad aliquota del 10 per cento. La parte II della Tabella A reca invece l’elenco dettagliato dei beni e dei servizi assoggettati ad aliquota del 4 per cento.

Si fa presente, inoltre, che l’ordinamento prevede anche alcuni specifici regimi agevolati e forfetari di applicazione dell’IVA.

Il citato decreto-legge n. 138 del 2011 prevede inoltre che a decorrere dal 1° luglio 2013 e fino al 31 dicembre 2013 (secondo le modifiche introdotte dal decreto-legge n. 95 del 2012) le aliquote del 10 e del 21 per cento verranno incrementate di 2 punti percentuali (passando rispettivamente al 12 e al 23 per cento). A decorrere dal 1° gennaio 2014, le suddette aliquote sono incrementate dell'1 per cento. Da tale data, pertanto, le aliquote sono rideterminate, rispettivamente, nella misura dell’11 e del 22 per cento. Il predetto incremento non si applica qualora entro il 30 giugno 2013 siano entrati in vigore provvedimenti legislativi in materia fiscale ed assistenziale aventi ad oggetto il riordino della spesa in materia sociale, nonché la eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale che si sovrappongono alle prestazioni assistenziali.

Inoltre, con la legge di stabilità 2013 devono essere indicate le misure di attuazione del programma di razionalizzazione della spesa pubblica (previsto dall'articolo 1, comma 1-bis, del decreto legge n. 52 del 2012) e le disposizioni di eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale (previste dall'articolo 40, comma 1-quater, del decreto legge n. 98 del 2011), prevedendo che i risparmi e le maggiori entrate così ottenuti, assieme ai risparmi derivanti dal riordino di enti ed organismi statali disposti dall'articolo 12 del citato decreto-legge n. 95 del 2012, concorrano ad evitare il previsto aumento dal 1° luglio 2013 delle aliquote IVA.

Sono quindi modificati gli effetti positivi, ai fini dell'indebitamento netto, derivanti dalla norma in commento, che vengono rideterminati in 6.560 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2013.

 

 

Le aliquote ridotte assolvono una funzione redistributiva: contribuiscono alla progressività del sistema tributario tassando ad aliquota inferiore consumi “necessari” e sono state, pertanto, classificate tra le misure a rilevanza sociale nel Rapporto finale del Gruppo di lavoro sull’erosione fiscale, istituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze in vista della riforma fiscale.

 

Il sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto

La politica fiscale dell'UE ha il compito di sostenere i principi del mercato unico e della libera circolazione dei capitali, garantendo che le norme nazionali in materia di fiscalità siano coerenti con gli obiettivi generali dell'Unione a favore dell'occupazione e che queste norme non comportino un vantaggio sleale per le imprese di un paese rispetto ai concorrenti di un altro.

 

L'imposta sul valore aggiunto (IVA) rappresenta una parziale eccezione e richiede un maggiore coordinamento al livello dell'Unione europea, dal momento che è fondamentale per assicurare il corretto funzionamento del mercato unico ed una concorrenza leale al suo interno. L'UE ha pertanto stabilito norme comuni e un limite minimo per le aliquote IVA applicabili.

Agli Stati membri resta comunque un considerevole margine di manovra nella fissazione delle rispettive aliquote IVA. Ciò è dovuto in particolare alla mancanza di aliquote massime, all'applicazione facoltativa di una o due aliquote ridotte, alla possibilità lasciata agli Stati membri di scegliere le categorie di beni o servizi che beneficiano di aliquote ridotte (all'interno di un vasto elenco di prodotti che include alimentari e farmaci), nonché alle deroghe temporanee accordate a determinati paesi UE a particolari condizioni.

Inoltre, le norme sull'IVA e le aliquote rispettano il principio europeo per cui le decisioni sulle questioni fiscali possono essere adottate soltanto all'unanimità, e questo al fine di salvaguardare l'autonomia nazionale.

 

Il sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto si applica ai beni e ai servizi acquistati e venduti ai fini del consumo in ambito europeo. Il principio del sistema comune d'IVA consiste nell'applicare ai beni ed ai servizi un'imposta generale sui consumi esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi, qualunque sia il numero delle operazioni intervenute nel processo di produzione e di distribuzione antecedente alla fase d'imposizione. A ciascuna operazione, l'IVA, calcolata sul prezzo del bene o del servizio all'aliquota applicabile al bene o servizio in questione, è esigibile previa detrazione dell'ammontare dell'imposta che ha gravato direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo.

 

La direttiva 2006/112/CE ha proceduto alla rifusione delle norme che costituiscono il sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto, contenute principalmente nella direttiva 77/388/CEE del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari (cosiddetta “sesta direttiva IVA”), più volte modificata nel corso degli anni da numerose direttive.

La direttiva 2006/112/CE costituisce pertanto una sorta di testo unico di tutte le norme sul sistema comune di IVA, razionalizzando e coordinando le numerose e sostanziali modifiche intervenute nel tempo.

Il nuovo testo è entrato in vigore dal 1° gennaio 2007 in tutti i Paesi dell’Unione europea.

La direttiva 2006/112/CE si compone di 414 articoli, raggruppati in 15 titoli e 12 allegati. La rifusione, come previsto espressamente nel terzo considerando, ha apportato solo poche modifiche sostanziali alla legislazione esistente. La maggior parte dei cambiamenti sono strutturali e redazionali e servono a rendere il testo più chiaro e comprensibile, ovvero a correggere errori e divergenze linguistiche. I riferimenti agli articoli abrogati si intendono fatti alla nuova direttiva 2006/112/CE, secondo una tavola di concordanza contenuta nell'allegato XII della stessa. Tuttavia, oltre alla rielaborazione del testo, sono state introdotte alcune modifiche sostanziali recependo anche sentenze della Corte di giustizia.

Tra le modifiche sostanziali vi è quella contenuta nell’articolo 44, che precisa che la territorialità delle prestazioni di servizi effettuate da un intermediario che agisce in nome e per conto terzi (intermediario con rappresentanza) sia sempre da ricondurre al luogo in cui avviene l'operazione principale cui si riferisce la prestazione, salvo il caso in cui il destinatario della prestazione sia identificato ai fini Iva in uno Stato membro diverso da quello nel cui territorio è effettuata l'operazione principale. In questo caso, la rifusione si è rifatta alla sentenza del 27 maggio 2004, relativa alla causa C-68/03, che si era pronunciata al riguardo.

Altra modifica sostanziale riguarda la definizione di prodotti soggetti ad accisa ai fini dell’applicazione della disciplina dell’IVA. L'articolo 2, paragrafo 3, della nuova direttiva ha specificato che sono considerati prodotti soggetti ad accisa i prodotti energetici, l'alcole e le bevande alcoliche e i tabacchi lavorati, quali definiti dalle disposizioni comunitarie in vigore” ma non il gas fornito dal sistema di distribuzione di gas naturale e l'energia elettrica”: per questi ultimi valgono norme speciali circa il luogo della cessione.

L'articolo 59 della direttiva, in relazione alla territorialità delle prestazioni di telecomunicazione, rende obbligatorio l'utilizzo della regola dell'utilizzazione o dell'impiego effettivi per i servizi forniti a cittadini extra-comunitari che non siano soggetti passivi d'imposta. In questo modo, viene adottato lo stesso criterio previsto per le prestazioni di commercio elettronico.

 

Territorialità dell’IVA

Il decreto legislativo n. 18 del 2010 ha apportato modifiche alla disciplina IVA, con decorrenza 1° gennaio 2010, al fine di recepire le direttive comunitarie in materia di territorialità delle prestazioni (2008/8/CE), rimborsi IVA (2008/9/CE) e contrasto alle frodi negli scambi intracomunitari (2008/117/CE).

 

La direttiva 2008/8/CE del Consiglio del 12 febbraio 2008 interviene in materia di individuazione del luogo delle prestazioni di servizi rese in ambito comunitario, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, modificando, a tal fine, la citata “direttiva IVA” 2006/112/CEE.

La direttiva 2008/8/CE è stata emanata per tenere conto dell’evoluzione avvenuta nel settore dei servizi ed interviene sulle modalità di individuazione del paese nel quale si considera effettuata la prestazione di un servizio.

 

Come emerge dal terzo considerando, la disciplina introdotta con la direttiva 2008/8/CE è volta ad introdurre un principio generale in base al quale il luogo di imposizione per tutte le prestazioni di servizi dovrebbe essere il luogo in cui avviene il consumo effettivo.

Al fine di introdurre il principio dell’imposizione nel luogo in cui avviene il consumo, sono stabiliti due criteri di ordine generale che trovano applicazione laddove non sono disposte specifiche deroghe. In particolare:

§       per i servizi resi nei confronti di soggetti passivi IVA, la prestazione si intende effettuata nel luogo in cui è stabilito il soggetto committente;

§       per i servizi resi nei confronti di privati, le prestazioni sono tassate nel luogo di stabilimento del prestatore del servizio stesso.

Territorialità dell’imposta (articoli da 7 a 7-septies del D.P.R. n. 633/1972)

L’individuazione del Paese nel quale si considera effettuata la prestazione è effettuata sulla base del seguente principio generale:

§       per le prestazioni rese nei confronti di soggetti passivi IVA, l’imposta deve essere assolta nel Paese ove è stabilito il committente (business to business- B2B);

§       per le prestazioni rese nei confronti di soggetti privati, la tassazione deve avvenire nel Paese di stabilimento del prestatore del servizio (business to consumer- B2C).

 

In deroga al sopra indicato principio generale, sono individuati criteri applicabili a talune tipologie di prestazioni di servizi specifiche. In particolare:

a)    per i servizi resi per immobili, la prestazione si considera effettuata nel Paese nel quale è ubicato l’immobile. Rientrano in questa categoria, a titolo esemplificativo, le perizie, le intermediazioni delle agenzie, i campeggi, le prestazioni professionali per l’esecuzione dei lavori;

b)    per i servizi di trasporto di passeggeri, il principio della territorialità è correlato al tragitto percorso. In particolare, l’imposta è determinata in proporzione alla distanza percorsa in Italia;

c)    per i servizi di ristorazione e di catering, ai fini della territorialità si distingue se sono resi o meno a bordo di una nave, aereo, o treno nel corso di un trasporto di passeggeri all’interno della Comunità. Nel primo caso, le prestazioni si considerano effettuate in Italia se il luogo di partenza del trasporto è in Italia; negli altri casi le prestazioni si considerano effettuate in Italia se sono materialmente eseguite all’interno del territorio dello Stato;

d)    per i servizi di locazione di mezzi di trasporto la prestazione si considera effettuata nel Paese nel quale i mezzi di trasporto sono messi a disposizione del destinatario purché siano utilizzati all’interno del territorio della Comunità europea. Tale principio si applica alle locazioni, anche finanziarie, ai noleggi e simili dei mezzi di trasporto;

e)    le prestazioni rese a privati per servizi pubblicitari, di consulenza e assistenza tecnica o legale, bancari, di elaborazione dati e simili, non si considerano effettuate in Italia quando sono rese a committenti privati domiciliati e residenti fuori dalla Comunità europea;

f)      le prestazioni culturali, artistiche, educative, sportive, scientifiche, ricreative e simili, ivi comprese le fiere e le esposizioni, si considerano effettuate in Italia quando sono materialmente svolte nello Stato (decorrenza 1° gennaio 2011);

g)    le prestazioni di intermediazione si considerano effettuate in Italia quando l’operazione principale oggetto di intermediazione è effettuata in Italia (decorrenza 1° gennaio 2013).

Modello INTRASTAT (articolo 49 del D.L. n. 331/1993)

Al fine contrastare le frodi IVA intracomunitarie, il D.Lgs. n. 18/2010 è intervenuto sugli obblighi, a carico dei soggetti passivi IVA che effettuano prestazioni di servizio in ambito comunitario, concernenti la compilazione e l’invio del modello Intrastat.

Le principali modifiche relative agli elenchi riepilogativi delle operazioni intracomunitarie effettuate da un soggetto IVA italiano (modello Intrastat) riguardano:

§       l’ambito oggettivo, in quanto viene esteso l’obbligo di dichiarazione alle prestazioni di servizi effettuate in ambito comunitario, fatte salve le deroghe espressamente indicate;

§       la periodicità degli elenchi, relativamente alla quale specifiche modalità sono state disciplinate dal D.M. economia e finanze 22 febbraio 2010 e dalla Determinazione 22 febbraio 2010 n. 22778 del Direttore dell'Agenzia delle dogane di concerto con il Direttore dell'Agenzia delle entrate e d'intesa con l'Istituto Nazionale di statistica. In particolare, il D.M. ha stabilito che ciascun elenco deve essere presentato con cadenza trimestrale per i soggetti che hanno realizzato, nei quattro trimestri precedenti e per ciascuna categoria di operazioni[14], un ammontare trimestrale non superiore a 50.000 euro ovvero con cadenza mensile per i soggetti che superano la predetta soglia; è stata pertanto abolita la presentazione annuale del modello Intrastat;

§       le modalità di invio, in quanto la presentazione degli elenchi deve avvenire esclusivamente in via telematica entro il giorno 25 del mese successivo a quello del periodo di riferimento.

 

Modifiche alla direttiva IVA

La direttiva 2009/47/CE del Consiglio del 5 maggio 2009 reca modifiche alla direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda le aliquote ridotte dell’imposta sul valore aggiunto.

Ai sensi del secondo considerando della direttiva, la Commissione, nella sua comunicazione sulle aliquote IVA diverse dall’aliquota IVA normale presentata al Parlamento europeo e al Consiglio nel 2007, ha concluso che l’applicazione di aliquote ridotte ai servizi prestati localmente non pone reali problemi per il buon funzionamento del mercato interno e può, a determinate condizioni, avere effetti positivi in termini di creazione di occupazione e di lotta contro l’economia sommersa. È dunque opportuno offrire agli Stati membri la possibilità di applicare aliquote IVA ridotte ai servizi ad alta intensità di lavoro che sono oggetto delle disposizioni temporanee applicabili fino al termine del 2010 nonché ai servizi di ristorazione e catering.

Il quarto considerando precisa inoltre che la direttiva 2006/112/CE può essere modificata per consentire l’applicazione di aliquote ridotte o di un’esenzione, rispettivamente, in un numero limitato di situazioni specifiche per motivi sociali o sanitari nonché per precisare e adeguare al progresso tecnologico il riferimento ai libri nell’allegato III di tale direttiva. Le premessa della direttiva enuncia le finalità e i principali elementi di novità che essa apporta.

 

La direttiva 2009/69/CE del Consiglio del 25 giugno 2009 modifica la direttiva 2006/112/CE in relazione all'evasione fiscale connessa all'importazione.

L'importazione di beni è esente dall'imposta sul valore aggiunto (IVA) se ad essa fa seguito una cessione o un trasferimento di tali beni a un soggetto passivo in un altro Stato membro. Le condizioni alle quali è concessa la suddetta esenzione sono fissate dagli Stati membri. L'esperienza tuttavia dimostra che le divergenze nell'applicazione di questa disposizione sono sfruttate dagli operatori per evitare il pagamento dell'IVA sui beni importati in tali circostanze. Per prevenire detto sfruttamento la direttiva specifica, per determinate operazioni, una serie di condizioni minime a livello comunitario per l'applicazione di tale esenzione.

 

La direttiva 2009/132/CE del Consiglio del 19 ottobre 2009 ha determinato l'ambito d'applicazione dell'articolo 143, lettere b) e c), della direttiva 2006/112/CE in materia di esenzione dall'IVA di talune importazioni definitive di beni.

Si ricorda poi la direttiva 2009/162/UE del Consiglio del 22 dicembre 2009 che modifica varie disposizioni della direttiva 2006/112/CE.

Le principali modifiche sono introdotte sulle disposizioni relative all'importazione e al luogo di tassazione delle cessioni di gas e di energia elettrica. In particolare, la direttiva 2006/112/CE non applicava il regime speciale derivante dalla direttiva 2003/92/CE relativamente alle norme sul luogo di cessione di gas e di energia elettrica alle importazioni e cessioni di gas trasportato mediante i gasdotti che non fanno parte della rete di distribuzione e soprattutto ai gasdotti transfrontalieri. La direttiva si prefigge quindi di chiarire che il regime speciale si applica alle importazioni e alle cessioni di gas effettuate mediante ogni sistema del gas naturale situato nel territorio della Comunità o ogni rete connessa a un siffatto sistema. Si introduce altresì una procedura semplificata di consultazione preliminare del comitato IVA, volta a garantire che la Commissione e gli altri Stati membri vengano correttamente informati in presenza di riduzione di aliquota da parte di uno Stato membro in questo settore estremamente sensibile.

A norma dell'articolo 131 e dell'articolo 143, lettere b) e c), della direttiva 2006/112/CE, gli Stati membri esentano le importazioni definitive di beni che fruiscono di una franchigia doganale diversa da quella prevista dalla tariffa doganale comune. Pur ritenendo auspicabile la più stretta unità possibile tra il regime doganale e quello applicabile in materia d'imposta sul valore aggiunto, è tuttavia opportuno tener conto, ai fini dell'applicazione di quest'ultimo regime, delle differenti finalità e strutture dei dazi doganali, da un lato, e dell'imposta sul valore aggiunto, dall'altro. La direttiva prevede quindi un regime dell'imposta sul valore aggiunto differente per le importazioni nella misura necessaria a soddisfare gli obiettivi dell'armonizzazione fiscale. Le esenzioni all'importazione possono essere concesse solo qualora esse non rischino di falsare le condizioni di concorrenza sul mercato interno. Inoltre, alcune franchigie applicate negli Stati membri sono state istituite da convenzioni tra alcuni Stati membri e paesi terzi le quali, in considerazione del loro oggetto, riguardano soltanto lo Stato membro firmatario. Non è proficuo determinare sul piano comunitario le condizioni di concessione di siffatte franchigie. È sufficiente autorizzare gli Stati membri interessati a mantenerle.

 

Successivamente, la direttiva 2010/23/UE del Consiglio del 16 marzo 2010 ha modificato la direttiva 2006/112/CE per quanto concerne l’applicazione facoltativa e temporanea del meccanismo dell’inversione contabile alla prestazione di determinati servizi a rischio di frodi.

Ai sensi del secondo considerando della direttiva, tenuto conto della gravità delle frodi in materia di IVA, è opportuno che gli Stati membri siano autorizzati, a titolo temporaneo, ad applicare un meccanismo in base al quale l’obbligo di versare l’IVA spetti al soggetto al quale sono trasferite le quote di emissioni di gas a effetto serra definite all’articolo 3 della direttiva 2003/87/CE e altre unità che possono essere utilizzate per conformarsi alla stessa direttiva.

La direttiva 2010/45/UE del Consiglio del 13 luglio 2010 reca modifiche alla direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda le norme in materia di fatturazione.

In particolare, oltre ad introdurre alcuni chiarimenti tecnici in materia di fatturazione elettronica, la direttiva, per aiutare le piccole e medie imprese che hanno difficoltà a pagare l'IVA all'autorità competente prima di aver ricevuto i pagamenti dai loro acquirenti/destinatari, dà agli Stati membri la possibilità di autorizzare la contabilizzazione dell'IVA tramite un regime di contabilità di cassa che consenta al fornitore/prestatore di pagare l'IVA all'autorità competente quando ha ricevuto il pagamento relativo alla cessione/prestazione e che stabilisca il suo diritto a detrazione quando paga una cessione/prestazione. In tal modo, gli Stati membri potranno introdurre un regime facoltativo di contabilità di cassa che non andrà a incidere negativamente sui flussi di cassa legati alle loro entrate IVA.

 

La direttiva 2010/88/UE del Consiglio del 7 dicembre 2010 che proroga la durata dell'obbligo di applicazione di un'aliquota normale minima fino al 31 dicembre 2015.

 

L'Unione europea, infine, con Regolamento 15 marzo 2011, n. 282, è intervenuta sulla disciplina in materia di territorialità IVA al fine di assicurare una omogeneità nell'applicazione tra i paesi membri delle disposizioni previste dalla direttiva 2008/8/CE. In particolare, viene fornita una definizione di stabile organizzazione (art. 53) e vengono forniti chiarimenti in merito all'applicazione dell'imposta rispetto alla fornitura di specifici servizi tra i quali si segnalano il commercio elettronico, le traduzioni di testi e la radiodiffusione televisiva delle partite di calcio.

Da ultimo, il Regolamento di esecuzione n. 79/2012 della Commissione Europea del 31 gennaio 2012 reca le modalità d'applicazione di talune disposizioni del regolamento n. 904/2010 del Consiglio relativo alla cooperazione amministrativa e alla lotta contro la frode in materia d'imposta sul valore aggiunto.

 

Il Libro verde sul futuro dell’IVA

Il Libro verde sul futuro dell’IVA, presentato dalla Commissione europea il 1° dicembre 2010 (COM(2010)695), ha avviato un riesame complessivo del sistema vigente dell’imposta in vista di una sua riforma organica volta al conseguimento di cinque principali obiettivi:

§       rafforzare la coerenza tra il regime dell’IVA e il mercato unico;

§       incrementare il gettito dell’imposta e respingere gli attacchi fraudolenti verificatisi negli ultimi anni, anche al fine di sostenere il processo di risanamento del bilancio negli Stati membri;

§       ridurre i costi di conformità alle norme e di riscossione per i contribuenti;

§       adattare la disciplina dell’imposta ai cambiamenti dell’ambiente economico e tecnologico;

§       contribuire alla realizzazione della strategia “Europa 2020” per la crescita e l’occupazione e, più in generale, il rilancio dell’economia europea dopo la crisi.

 

La Commissione europea ritiene necessario un riesame complessivo del sistema IVA in quanto gli interventi specifici di semplificazione e modernizzazione operati nell’ultimo, pur producendo risultati positivi, non sono più adeguati a fronte delle varie criticità emerse; sottolinea, inoltre, che la riforma dell’IVA rientra tra le iniziative indicate nell’Atto per il mercato unico al fine di creare un ambiente giuridico e fiscale favorevole alle imprese.

 

Nel documento finale sul Libro verde approvato il 18 ottobre 2011, la VI Commissione Finanze ha formulato alcune indicazioni sui criteri di riforma dell’IVA, tra le quali si ricordano: la razionalizzazione del sistema delle aliquote, al fine di porre le basi per definire un'unica aliquota normale e un'unica aliquota agevolata per beni e servizi considerati meritevoli di tale beneficio a livello comunitario, eliminando quelle differenziazioni nazionali che attualmente determinano effetti distorsivi della concorrenza, assicurando peraltro che tale opera di omogeneizzazione non determini spinte inflazionistiche; l’istituzione di un regime speciale IVA a favore delle piccole e medie imprese, basato su una soglia comune di accesso, al fine di ridurre gli oneri amministrativi per le piccole e medie imprese derivanti dall'applicazione del regime IVA generale; la riduzione degli oneri amministrativi connessi all'assolvimento dell'imposta; la prosecuzione dell’azione di contrasto al gravissimo fenomeno dell'evasione fiscale in materia di IVA, anche attraverso l’estensione dell'obbligo di fatturazione elettronica delle operazioni IVA.

Nella risoluzione Pescante ed altri (6-00043) sul programma legislativo della Commissione europea per il 2010, approvata il 13 luglio 2010, la Camera sottolineava l’opportunità di promuovere la razionalizzazione della disciplina dell'imposta sul valore aggiunto, attraverso la progressiva soppressione delle deroghe concesse a singoli Stati membri e la definizione di un unico elenco di beni e servizi assoggettabili ad aliquote ridotte.

Al riguardo si ricorda che secondo il rapporto sull’IVA allegato al Libro verde, la complessità del sistema provoca un mancato introito da IVA, dovuto a frodi IVA, mancati pagamenti, errori, ecc., che per il 2009 può essere prudentemente stimato pari al 6,9% del PIL e al 12% delle entrate IVA dell’Ue. Ciò significa un’evasione pari a circa 118,8 miliardi di euro. Secondo il rapporto, in Italia la percentuale salirebbe al 22%, per un totale di circa 29 miliardi di euro di IVA evasa rispetto ad un gettito complessivo pari a oltre 130 miliardi di euro.

Interventi sulla disciplina dell’IVA nella XVI legislatura

L’articolo 7 del decreto-legge n. 185 del 2008 ha esteso la possibilità di effettuare cessioni di beni e prestazioni di servizi per le quali l’IVA diventa esigibile al momento dell’effettiva riscossione del corrispettivo ai soggetti che realizzano un volume d’affari non superiore a 200.000 euro. La norma consente di evitare l’anticipazione del versamento dell’IVA da parte del cedente, qualora il pagamento dei corrispettivi avvenga in un momento successivo a quello dell’effettuazione delle operazioni (esigibilità per cassa). L’articolo 3-bis del decreto-legge n. 5 del 2009 ha previsto la possibilità di estendere il beneficio ad altri soggetti ed in particolare ai fornitori delle grandi imprese in amministrazione straordinaria.

 

L’articolo 31 del decreto-legge n. 185 del 2008 ha modificato l’aliquota IVA applicata ad alcuni servizi televisivi. In particolare, ha escluso l’applicazione dell’aliquota IVA agevolata (10%) su alcuni canoni di abbonamento che interessano la radio e le televisioni a pagamento gestite da privati facendoli rientrare nell’ambito di applicazione dell’aliquota ordinaria (20%).

 

Con la legge n. 88 del 2009 (legge comunitaria 2008) sono stati recepiti alcuni obblighi comunitari in materia di IVA, quali:

§       il regime di territorialità per le prestazioni di intermediazione intracomunitarie;

§       la definizione di valore normale e il suo utilizzo ai fini della determinazione della base imponibile, con particolare riferimento alle cessione di immobili;

§       la disciplina dei rimborsi per i soggetti non residenti;

§       l’ambito di definizione delle operazioni intracomunitarie.

Ulteriori interventi riguardano la disciplina delle prestazioni ausiliarie infragruppo nei settori creditizio e assicurativo.

 

Tra le novità introdotte con il decreto-legge n. 78 del 2009 si segnalano le disposizioni finalizzate a contrastare gli abusi in materia di utilizzo in compensazione dei crediti IVA; l’ambito di tali misure è stato esteso dal D.L. n. 16 del 2012 (articolo 8) riducendo a 5.000 euro (dall’originario ammontare di 10.000 euro) l’ammontare dei crediti IVA liberamente compensabili con altri tributi prima della presentazione delle relative prove documentali e consentendo di compensare esclusivamente mediante i servizi telematici dell’Agenzia delle entrate i crediti superiori a 5.000 euro, anziché quelli superiori a 10.000 euro. Lo stesso decreto, inoltre, estende la facoltà di rateizzare il pagamento dell’IVA risultante dalla dichiarazione annuale ai soggetti che evidenziano un debito d’imposta a seguito di adeguamento agli studi di settore.

 

Il decreto-legge n. 135 del 2009 ha introdotto misure di adeguamento della normativa italiana a quella comunitaria al fine di concludere alcune procedure d'infrazione aperte dall'Unione europea. Tra queste si segnala l'articolo 11, ai sensi del quale le imprese non residenti che hanno una stabile organizzazione in Italia non possono più chiedere il rimborso dell'IVA corrisposta sugli acquisti la quale, invece, dovrà essere portata in detrazione dalla stabile organizzazione in Italia.

 

Il decreto legislativo n. 18 del 2010 reca attuazione delle direttive 2008/8/CE, per quanto riguarda il luogo di prestazione di servizi, 2008/9/CE, che stabilisce norme dettagliate per il rimborso dell’IVA ai soggetti passivi non stabiliti nello Stato membro di rimborso ma in un altro Stato membro, e 2008/117/CE, relativa al sistema comune di IVA per combattere la frode fiscale connessa alle operazioni intracomunitarie. Alcune delle modifiche introdotte in materia di territorialità dell'IVA nelle prestazioni di servizi hanno trovato, di fatto, attuazione con decorrenza dal 1° gennaio 2010 secondo quanto indicato nella circolare n. 58/E emanata il 31 dicembre 2009 dall'Agenzia delle entrate. Inoltre, l'Agenzia delle entrate ha fornito ulteriori chiarimenti in merito al periodo transitorio, decorrente dal 1° gennaio 2010, nella successiva circolare n. 14/E emanata il 18 marzo 2010.

 

Il decreto-legge n. 40 del 2010 (decreto incentivi) ha introdotto misure di contrasto all'evasione IVA con particolare riferimento alle c.d. "frodi carosello" effettuate mediante soggetti operanti in alcuni Paesi a regime fiscale agevolato (black list). A tal fine è stato introdotto l'obbligo di inviare una comunicazione in via telematica all'Agenzia delle entrate per ciascuna operazione (cessioni di beni e prestazioni di servizi) effettuata e ricevuta nei confronti di operatori economici operanti nei Paesi inclusi nella black list. Il Ministro dell'economia può, con apposito decreto non regolamentare, estendere od escludere l'obbligo con riferimento a specifici Paesi indipendentemente dall'inclusione degli stessi nella black list (in proposito si veda, da ultimo, il DM 27 luglio 2010); egli, inoltre, può imporre l'obbligo anche con riferimento a settori di attività ovvero a specifiche tipologie di soggetti.

 

L'Unione europea, con Regolamento 15 marzo 2011, n. 282, è nuovamente intervenuta sulla disciplina in materia di territorialità IVA, al fine di assicurare una omogeneità nell'applicazione tra i paesi membri delle disposizioni previste dalla citata direttiva 2008/8/CE. In particolare, viene fornita una definizione di stabile organizzazione (articolo 53 del Regolamento) e vengono forniti chiarimenti in merito all'applicazione dell'imposta rispetto alla fornitura di specifici servizi tra i quali si segnalano il commercio elettronico, le traduzioni di testi e la radiodiffusione televisiva delle partite di calcio.

 

In materia di depositi IVA, il D.L. 70/2011 ha subordinato l'introduzione di merci nei suddetti depositi alla prestazione di idonea e commisurata garanzia, esonerando da tale prestazione i soggetti autorizzati dalle norme doganali e gli operatori economici titolari di apposita certificazione. In proposito, il 20 ottobre 2011 la VI Commissione Finanze ha approvato la risoluzione 7-00713, che impegna il Governo ad adottare iniziative idonee a semplificare le modalità di accesso al beneficio dell'esonero della prestazione della suddetta garanzia in favore di soggetti solvibili. Sulla materia è altresì intervenuto il D.L. n. 16 del 2012, al fine di precisare che specifiche prestazioni di servizi relative a beni consegnati al depositario costituiscono ad ogni effetto introduzione nel deposito IVA - e non sono quindi assoggettabili al tributo - indipendentemente dai tempi di giacenza o dallo scarico del mezzo di trasporto.

 

Allo scopo di favorire la costituzione di nuove imprese da parte di giovani o di coloro che perdono il posto di lavoro, l'articolo 27 del decreto-legge n. 98 del 2011 ha modificato il regime fiscale semplificato per i cosiddetti contribuenti minimi: esso si applica, per il periodo d'imposta in cui l'attività è iniziata e per i quattro successivi, esclusivamente alle persone fisiche che intraprendono un’attività d’impresa, arte o professione o che l’abbiano intrapresa dopo il 31 dicembre 2007. Pertanto la platea dei beneficiari del c.d. “forfettone” (che prevede una tassazione forfettaria del 20 per cento per i titolari di partite Iva e i lavoratori autonomi che a fine anno incassano meno di 30 mila euro) è ridotta a coloro i quali hanno iniziato l'attività negli ultimi tre anni e mezzo o vorranno iniziarla adesso. Il suddetto regime fiscale si applica anche oltre il quarto periodo d’imposta successivo a quello di inizio dell’attività, ma non oltre il periodo d’imposta di compimento del trentacinquesimo anno d’età. Nello stesso tempo, per questi ultimi il beneficio è aumentato: a decorrere dal 1° gennaio 2012, l’imposta sostitutiva dell'imposta sui redditi e delle addizionali regionali e comunali viene ridotta al 5 per cento (in luogo del 20 per cento). Per tali soggetti l’applicazione del nuovo regime dei minimi non potrà eccedere il periodo d’imposta in corso al 2015, nel caso in cui abbiano iniziato l’attività nel 2011.

 

Come già detto, l'articolo 2, comma 2-bis del D.L. 138 del 2011 ha disposto un progressivo aumento delle aliquote IVA: l’aliquota ordinaria è passata dal 20 al 21 per cento da agosto 2011, mentre a decorrere dal 1° luglio 2013 e fino al 31 dicembre 2013 (secondo le modifiche introdotte dal decreto-legge n. 95 del 2012) le aliquote del 10 e del 21 per cento verranno incrementate di 2 punti percentuali (passando rispettivamente al 12 e al 23 per cento).. A decorrere dal 1° gennaio 2014, le suddette aliquote sono incrementate dell'1 per cento. Da tale data, pertanto, le aliquote sono rideterminate, rispettivamente, nella misura dell’11 e del 22 per cento. Il predetto incremento non si applica qualora entro il 30 giugno 2013 siano entrati in vigore provvedimenti legislativi in materia fiscale ed assistenziale aventi ad oggetto il riordino della spesa in materia sociale, nonché la eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale che si sovrappongono alle prestazioni assistenziali. Inoltre, con la legge di stabilità 2013 devono essere indicate le misure di attuazione del programma di razionalizzazione della spesa pubblica (previsto dall'articolo 1, comma 1-bis, del decreto legge n. 52 del 2012) e le disposizioni di eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale (previste dall'articolo 40, comma 1-quater, del decreto legge n. 98 del 2011), prevedendo che i risparmi e le maggiori entrate così ottenuti, assieme ai risparmi derivanti dal riordino di enti ed organismi statali disposti dall'articolo 12 del citato decreto-legge n. 95 del 2012, concorrano ad evitare il previsto aumento dal 1° luglio 2013 delle aliquote IVA.

Sono quindi modificati gli effetti positivi, ai fini dell'indebitamento netto, derivanti dalla norma in commento, che vengono rideterminati in 6.560 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2013.

 

Nella seduta del 18 ottobre 2011 la VI Commissione Finanze ha approvato il documento finale relativo al "Libro verde sul futuro dell'IVA", presentato dalla Commissione europea il 1o dicembre 2010 (COM(2010)695 definitivo) per rivedere complessivamente il sistema vigente dell'IVA, al fine di conseguire, tra gli altri obiettivi, il rafforzamento della coerenza tra il regime dell'IVA e il mercato unico, l'incremento del gettito dell'imposta e il contrasto ai fenomeni di frode.

 

L'articolo 8 della legge comunitaria 2010 (legge n. 217 del 2011) reca numerose modifiche alla disciplina IVA, concernenti tra l'altro le cessioni transfrontaliere di energia elettrica e gas; i rimborsi; i beni importati in libera pratica; le cessioni di navi e aerei.

 

Il D.L. "Liberalizzazioni" (D.L. n. 1 del 2012, articolo 93) consente al prestatore/cedente di rivalersi della maggiore imposta dovuta a seguito di accertamento, nei confronti del cessionario/committente che può esercitare il diritto alla detrazione. Il medesimo provvedimento ( articolo 57) per ridurre gli oneri a carico delle imprese edili mediante l’estensione del beneficio della compensazione dell’IVA, modifica il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 per assoggettare a imposta le operazioni relative ad interventi su fabbricati destinati ad alloggi sociali; al medesimo fine, si prevede inoltre la possibilità per le imprese che operano nel settore immobiliare di optare per la contabilizzazione separata in relazione alle operazioni di cessione di immobili abitativi in esenzione.

 

L’articolo 8 del D.L. n. 16 del 2012 interviene sulle norme che regolano la cancellazione delle partite IVA inattive, al fine di introdurre una disciplina più articolata per l’individuazione e la cancellazione delle suddette, con specifiche forme di contraddittorio tra l’Agenzia delle entrate ed il contribuente. Dispone inoltre che siano messi a disposizione del pubblico servizi diretti a fornire informazioni sullo stato di attività delle partite IVA e sulle generalità dei titolari.

Il medesimo provvedimento ha inoltre elevato le soglie per essere considerati contribuenti minori ai fini delle semplificazioni degli obblighi di fatturazione e registrazione, allineandole a quelle attualmente previste per poter accedere alla contabilità semplificata e per effettuare i versamenti IVA con periodicità trimestrale., ed ha esteso anche alle cessioni di contratti di locazione finanziaria l’applicazione dell’IVA sul cd. “margine”, ovvero sulla differenza tra il prezzo dovuto dal cessionario del bene e quello relativo all'acquisto, a specifiche condizioni. Sono stati quindi esentati dall’IVA collegi universitari gestiti da enti che operano esclusivamente con la finalità di ospitare gli studenti universitari.

Da ultimo, l'articolo 9 del decreto-legge n. 83 del 2012 consente di assoggettare all'imposizione IVA le operazioni relative a cessioni e locazioni di abitazioni effettuate dai costruttori anche oltre il limite dei cinque anni dall’ultimazione dei lavori.

 

 

Tra i principi e criteri direttivi per l’attuazione della delega si ricorda, in primo luogo, la razionalizzazione, ai fini della semplificazione dei sistemi speciali, in funzione della particolarità dei settori interessati (lettera a)).

 

La disposizione sembra prefigurare un adattamento dei regimi speciali, vigenti in alcuni settori, alla disciplina generale, al fine di evitare che le particolarità dei singoli settori producano distorsioni nell’applicazione dell’imposta ovvero oneri maggiori rispetto a quelli derivanti dal regime ordinario.

 

Si ricorda che l’esigenza di procedere al riordino e alla progressiva riduzione dei regimi speciali è stata sottolineata anche dalla Commissione europea nel Libro verde sul futuro dell’IVA – Verso un sistema IVA più semplice, solido ed efficiente (COM(2010) 695).

 

 

 

 

I regimi speciali IVA

Il criterio generale di determinazione dell’imposta sul valore aggiunto delineato dalle direttive comunitarie è oggetto di precise deroghe, puntualmente e tassativamente individuate dal legislatore comunitario. In particolare, per determinati settori di attività, sia per la peculiare rilevanza socio-economica di quel settore, sia per la necessità di razionalizzare e semplificare il momento impositivo, sono stati previsti alcuni regimi speciali nei quali l’imposta dovuta, ad esempio, non viene determinata in modo analitico, ma con criteri forfetari. Tra i principali regimi speciali si ricordano il regime per gli spettacoli, per le agenzie di vendita all’asta e per quelle di viaggio e turismo, per il commercio dei beni mobili usati, per le associazioni sportive dilettantistiche, per le prestazioni dei gestori di telefoni posti a disposizione del pubblico, nonché per la vendita di qualsiasi mezzo tecnico, per fruire dei servizi di telecomunicazione, fissa o mobile, e di telematica, nonché per le imprese agricole e per l’editoria, secondo quanto di seguito brevemente indicato.

Il regime speciale IVA per le PMI

Il Libro verde IVA ricorda, tra l’altro, che tanto lo Small business act quanto la Strategia per la crescita e l’occupazione UE 2020 auspicano un regime speciale a favore delle PMI atto a ridurre gli oneri amministrativi risultanti dall’applicazione delle normali disposizioni in materia di IVA: le imprese aventi un fatturato annuo inferiore a una determinata soglia possono beneficiare dell’esenzione IVA. Tuttavia, questi regimi costituiscono una risposta frammentaria al fatto che i costi di conformità dell’IVA sono proporzionalmente più elevati per le piccole imprese che per quelle grandi, soprattutto se esercitano la loro attività in tutta l’UE. La soluzione più ovvia, ad avviso della Commissione consisterebbe nell’istituire un regime esteso a tutta l’UE, caratterizzato da una soglia comune.

Il regime speciale IVA applicabile alle imprese agricole

Oltre ai regimi per le piccole imprese, un regime speciale è stato introdotto negli anni Settanta per gli agricoltori. In estrema sintesi, l’articolo 34 del D.P.R. n. 633/1972 prevede una serie di agevolazioni variabili in funzione della tipologia e del volume d’affari del contribuente, ove ne sussistano i requisiti soggettivi. Si tratta di un regime opzionale, per cui l’imprenditore (individuale, società di capitali o di persone) può scegliere anche per l’applicazione del regime IVA ordinario (articolo 34, comma 3). La principale caratteristica del regime speciale riguarda le modalità di calcolo dell’IVA dovuta per le cessioni di prodotti agricoli o ittici. Il regime si applica in presenza di cessioni riguardanti prodotti e animali elencati nella tabella A, parte I allegata al D.P.R. n. 633/1972.

In particolare, le disposizioni prevedono che l’IVA assolta sugli acquisti (da portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 del citato D.P.R. n. 633/1972) sia “forfetizzata”, ossia sia calcolata in una misura pari all’importo che risulta dall’applicazione di determinate “percentuali di compensazione” all’insieme delle operazioni imponibili effettuate. Di conseguenza, tale modalità forfettaria di calcolo della detrazione esclude che l’imprenditore detragga l’IVA effettivamente pagata sugli acquisti.

Le percentuali di compensazione sono stabilite, per gruppi di prodotti, con decreto del Ministro delle finanze di concerto con il Ministro per le politiche agricole (DM 12 maggio 1992 come successivamente modificato; da ultimo, con DM 23 dicembre 2005).

Il comma 2 del richiamato articolo 34 definisce i criteri soggettivi per l’applicazione del predetto regime, considerando produttori agricoli:

§       gli imprenditori agricoli così come definiti dal codice civile (articolo 2135: soggetti che svolgono attività di coltivazione del fondo, di selvicoltura, di allevamento di animali e attività connesse) e quelli che esercitano attività di pesca in acque dolci, di piscicoltura, di mitilicoltura, di ostricoltura e di coltura di altri molluschi e crostacei, nonché di allevamento di rane;

§       gli organismi agricoli di intervento, o altri soggetti per loro conto, che effettuano cessioni di prodotti in applicazione di regolamenti della Unione europea concernenti l'organizzazione comune dei mercati dei prodotti stessi;

§       le cooperative e loro consorzi di imprenditori agricoli che utilizzano, per lo svolgimento delle attività di cui all'articolo 2135 del codice civile, prevalentemente prodotti dei soci; le associazioni e loro unioni costituite e riconosciute ai sensi della legislazione vigente, che effettuano cessioni di beni prodotti prevalentemente dai soci, associati o partecipanti, nello stato originario o previa manipolazione o trasformazione, nonché gli enti che provvedono per legge, anche previa manipolazione o trasformazione, alla vendita collettiva per conto dei produttori soci.

All’interno del regime speciale IVA è previsto un regime agevolato dei cd. “conferimenti”, ossia dei passaggi di beni dalle imprese agricole socie alle cooperative, alle associazioni tra produttori o ad altri organismi associativi, che vengono considerati come cessioni di beni. In particolare, al posto delle aliquote ordinarie (articolo 34, comma 1, ultimo periodo), alle cessioni effettuate da produttori agricoli ad organismi associativi che hanno scelto il regime speciale si applicano le percentuali di compensazione. Dunque le cooperative in regime speciale operano la detrazione forfetizzata per la cessione dei suddetti prodotti agricoli e ittici.

Inoltre, l’articolo 34, comma 6 prevede un regime di esonero dall’IVA in favore dei produttori che nell’anno precedente hanno realizzato (in caso di inizio di attività, che prevedono di realizzare) un volume d’affari non superiore a 7.000 euro, costituito per almeno due terzi da cessioni di prodotti ittici/agricoli. Essi sono esonerati dal versamento dell’imposta e da tutti gli obblighi documentali e contabili, compresa la dichiarazione annuale, fermo restando l’obbligo di conservazione di fatture e bollette doganali. Alle cessioni effettuate da tali soggetti (articolo 34, comma 1) si applicano le aliquote corrispondenti alle percentuali di compensazione.

Il regime speciale per il settore dell’editoria

Il regime speciale per il settore dell’editoria è dettato dall’articolo 74, comma 1, lettera c) del D.P.R. n. 633 del 1972. La disciplina in questione si caratterizza per l’applicazione di un’imposta “monofase”, condensata in capo ad un unico soggetto passivo, la quale assorbe quella inerente ad ogni altra operazione relativa al commercio delle pubblicazioni. Si stabilisce, infatti, che per il commercio di giornali quotidiani, di periodici, di libri, dei relativi supporti integrativi e di cataloghi, l'imposta è corrisposta, con aliquota del 4%, dagli editori sulla base del prezzo di vendita dell'imposta al pubblico, in relazione al numero delle copie vendute. In alternativa, l'imposta può essere applicata in relazione al numero delle copie o consegnate o spedite, diminuito della resa forfetaria del 60 per cento per i libri e per i giornali cataloghi, quotidiani e periodici, esclusi quelli pornografici e ceduti con supporti integrativi o altri beni. L’articolo 52, comma 75 della legge n. 388/2001 ha portato al 70 % per i libri e dell’80 % per i giornali quotidiani e periodici la diminuzione della resa forfetaria in questione.

 Si ricorda, al riguardo, che nel documento finale sul Libro verde IVA approvato il 18 ottobre 2011, la VI Commissione finanze ha formulato alcune indicazioni sui criteri di riforma dell’IVA, tra le quali si ricorda l'armonizzazione del regime IVA dei prodotti culturali, mediante applicazione dell'aliquota ridotta anche ai prodotti musicali e agli audiovisivi, nonché ai prodotti dell'editoria elettronica e agli audiolibri, che sono attualmente soggetti ad un trattamento fiscale deteriore rispetto ad altri prodotti di analogo rilievo culturale.

La lettera b) riguarda l’attuazione del regime del gruppo IVA previsto dall’articolo 11 della direttiva 2006/112/CE.

 

Regime del gruppo IVA

L’articolo 11 della direttiva n. 2006/112/CE (direttiva IVA) ha stabilito che, previa consultazione del comitato consultivo dell'imposta sul valore aggiunto, ogni Stato membro può considerare come un unico soggetto passivo le persone stabilite nel territorio dello stesso Stato membro che siano giuridicamente indipendenti, ma strettamente vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi.

Uno Stato membro che esercita l'opzione prevista al primo comma, può adottare le misure necessarie a prevenire l'elusione o l'evasione fiscale mediante l'esercizio di tale disposizione.

Per quanto riguarda la normativa nazionale vigente, si ricorda che nell’articolo 73, ultimo comma, del D.P.R. 633/1972 è previsto un sistema di compensazione che agevola i gruppi societari.

La disciplina è diversa dalle disposizioni comunitarie contenute nell’art. 11 della direttiva 2006/112: mentre la direttiva comunitaria riconosce un unico soggetto passivo giuridico e fiscale, pur in presenza di soggetti giuridici indipendenti, il nostro ordinamento mantiene l’autonomia delle singole società interessate, le quali:

§       partecipano alla compensazione ma conservano sempre e comunque la propria autonomia giuridica e fiscale;

§       sono singolarmente soggette a tutti gli obblighi di legge in qualità di contribuenti d’imposta;

§       restano sotto l’esclusiva competenza degli Uffici delle entrate nella cui circoscrizione hanno il loro domicilio fiscale per quanto concerne il controllo delle dichiarazioni, le rettifiche e l’irrogazione delle sanzioni.

Le norme comunitarie, invece, implicano che la normativa nazionale che adotta l’IVA di gruppo autorizzi i soggetti, in particolare le società, caratterizzati da vincoli di carattere finanziario, economico e organizzativo, a non essere più considerati soggetti passivi distinti ai fini dell’IVA per essere ritenuti unico soggetto passivo.

In questo senso, qualora uno Stato membro applichi questa disposizione, il soggetto o i soggetti giuridicamente dipendenti alla luce della disposizione non possono essere considerati soggetti passivi in base alla normativa. Ne consegue che l’assimilazione a un soggetto passivo unico esclude che detti soggetti, giuridicamente dipendenti, continuino a presentare separatamente dichiarazioni e a essere individuati, tanto all’interno quanto all’esterno del loro gruppo, soggetti passivi, atteso che unicamente il soggetto passivo unico è autorizzato a presentare le dichiarazioni d’imposta. L’art. 11 della direttiva 2006/112 presuppone quindi necessariamente, qualora uno Stato membro ne faccia applicazione, che, per effetto della normativa nazionale di trasposizione, il soggetto passivo sia unico e che al gruppo sia assegnato un unico numero di partita IVA.

 

Il Governo è inoltre delegato ad introdurre norme per la revisione delle imposte di registro, di bollo, ipotecarie e catastali, sulle concessioni governative, sulle assicurazioni e sugli intrattenimenti, attraverso la semplificazione degli adempimenti, la razionalizzazione delle aliquote nonché l’accorpamento o la soppressione di fattispecie particolari (comma 2).

 

Si ricorda preliminarmente che l’articolo 4 del ddl di delega fiscale all’esame del Parlamento (AC 4566) prevedeva la razionalizzazione - mediante l’istituzione di una imposta sui servizi - del settore delle cosiddette “imposte minori” attraverso l’unificazione in un'unica obbligazione fiscale e in un'unica modalità di prelievo dei seguenti tributi: imposta di registro; imposte ipotecarie e catastali; imposta di bollo; tassa sulle concessioni governative; imposta sulle assicurazioni; imposta sugli intrattenimenti.

 

Altre imposte indirette

L'imposta di registro

L'imposta di registro, regolata dal Testo unico dell'imposta di registro (D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131) è dovuta al momento della registrazione di determinati atti giuridici presso l'Agenzia delle Entrate. Essa si presenta come tributo avente natura di tassa, quando è correlata all'erogazione di un servizio da parte della pubblica amministrazione, di imposta quando è determinata in proporzione al valore economico dell'atto o del negozio. Il legislatore pone quale presupposto dell'imposta di registro la richiesta della registrazione dell'atto o del negozio. In virtù di tale presupposto gli atti rilevanti si articolano in: atti soggetti a registrazione in termine fisso; atti soggetti a registrazione in caso d'uso; atti non soggetti a registrazione. In base alla peculiarità dell’atto che deve essere registrato, l’imposta può essere predeterminata dalla legge, proporzionale in percentuale al valore dell’atto da registrare, o fissa, a prescindere dal valore dell’atto.

L’imposta ipotecaria e l’imposta catastale

L’imposta ipotecaria e l’imposta catastale sono regolate dal Testo unico delle disposizioni concernenti le imposte ipotecaria e catastale (D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347) e hanno per oggetto i trasferimenti immobiliari, sia a titolo gratuito sia a titolo oneroso. Si applicano per autotassazione e versamento diretto.

L’imposta ipotecaria ha come presupposto le formalità di trascrizione, iscrizione, rinnovazione e annotazione nei pubblici registri immobiliari. La base imponibile, per i trasferimenti a titolo oneroso e per le donazioni, è la stessa accertata ai fini dell’imposta di registro; per i beni trasmessi per successione a causa di morte è determinata secondo le disposizioni del testo unico sull’imposta di successione. L’ammontare della tassa ipotecaria e del tributo speciale catastale e i tributi speciali catastali (D.L. n. 533/54) varia in funzione della tipologia di servizio richiesto. Gli importi sono indicati, rispettivamente, nella tabella allegata al D.Lgs. n. 347/90 e nella Tabella A allegata al D.L. n. 533/1954.

L’imposta catastale ha come presupposto l’esecuzione delle volture catastali. La voltura è l’annotazione con la quale, a seguito del trasferimento di un bene, viene mutata nei registri catastali l’intestazione del bene stesso dal precedente possessore a quello attuale. E’ anche essa un’imposta proporzionale e ha la stessa base imponibile dell’imposta ipotecaria.

La stipulazione degli atti sopra indicati comporta l’obbligo di eseguire alcune formalità presso la Conservatoria dei pubblici registri immobiliari (imposta ipotecaria) nonché il compimento di variazioni degli atti del Catasto (imposta catastale). La misura dell’imposta è determinata in misura fissa in alcuni casi (ad es. è stabilita in 168 euro ciascuna per l’acquisto della prima casa), ovvero in misura proporzionale applicando alla base imponibile l’aliquota indicata nella Tariffa allegata al D.Lgs. n. 347/90 e corrispondente alla tipologia di atto stipulato.

L'imposta di bollo

L'imposta di bollo è una imposta applicata alla produzione, richiesta o presentazione di determinati documenti, regolata dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642. Sono soggetti all'imposta di bollo gli atti, i documenti e i registri indicati nella tariffa allegata al D.P.R. L'imposta non si applica agli atti legislativi e, se non espressamente previsti nella tariffa, agli atti amministrativi dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni e loro consorzi. L'imposta di bollo può essere fissa o proporzionale. Per gli atti, documenti e registri soggetti a bollo solo in caso d'uso l'imposta è dovuta nella misura vigente al momento in cui se ne fa uso.

Si ricorda che l’articolo 6 della citata legge delega n. 80 del 2003 – che riproduce in una formulazione pressoché identica l’articolo in commento – annoverava, tra i tributi che dovevano confluire nella nuova tassa sui servizi, la tassa sui contratti di borsa, nel frattempo abolita dall’art. 37 del D.L. 248/2007.

Al riguardo, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che restano soggetti all’imposta fissa di registro gli atti pubblici e le scritture private aventi per oggetto la negoziazione di quote di partecipazione in società o enti, nonché soggetti all’imposta di bollo gli atti relativi al trasferimento di quote sociali, sottoposti a registrazione mediante procedure telematiche.

Si ricorda, da ultimo, che i decreti-legge n. 98 e 201 del 2011 e n. 16 del 2012 intervenendo sull’articolo 13 della Tariffa allegata al D.P.R. n. 642 del 1972, hanno modificato la disciplina dell'imposta di bollo sulle comunicazioni relative ai depositi di titoli, bancari e postali, rimodulando gli importi in funzione degli ammontari depositati.

La tassa sulle concessioni governative

La tassa sulle concessioni governative è disciplinata dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641. Oggetto della tassa sulle concessioni governative sono i provvedimenti amministrativi e gli altri atti elencati nell'annessa tariffa, vale a dire le concessioni, le autorizzazioni, le licenze, ecc., che di volta in volta vengono rilasciate dagli organi dell'Amministrazione pubblica per consentire agli interessati di compiere taluni atti e esercitare determinati diritti. L'articolo 2 del D.P.R. n. 641/72 indica le specie di tassa alle quali l'atto amministrativo può essere assoggettato dal momento della sua formazione e fino a che dura la sua efficacia: 1. la tassa di rilascio, la quale è dovuta quando viene emanato l'atto e va corrisposta «non oltre la consegna di esso all'interessato»; 2. la tassa di rinnovo, la quale è dovuta sugli atti che, giunti a scadenza, vengono di nuovo posti in essere; 3. la tassa per il visto e quella per la vidimazione debbono essere corrisposte al momento dell'espletamento della indicate formalità; 4. la tassa annuale, il cui obbligo di pagamento sorge alle scadenze fissate dalla legge per mantenere l'efficacia dell'atto. Sono previsti particolari casi di esenzione, quali quello relativo ad atti e i provvedimenti concernenti le ONLUS, nonché gli atti costitutivi, gli statuti ed ogni altro atto necessario per l'adempimento di obblighi dei movimenti o partiti politici, derivanti da disposizioni legislative o regolamentari.

L’imposta sulle assicurazioni

L’imposta sulle assicurazioni, disciplinata dalla legge 29 ottobre 1961, n. 1216, si applica ai premi versati dai contraenti. In particolare, sono soggette alle imposte stabilite nell'annessa tariffa ordinaria, di cui all’allegato A alla citata legge n. 1216:

a)    le assicurazioni riguardanti beni immobili o beni mobili in essi contenuti che non siano in transito commerciale, quando i beni immobili sono situati nel territorio della Repubblica;

b)    le assicurazioni riguardanti veicoli, navi od aeromobili immatricolati o registrati in Italia;

c)    le assicurazioni aventi durata inferiore o pari a quattro mesi e relative a rischi inerenti ad un viaggio o ad una vacanza, quando sono stipulate nel territorio della Repubblica;

d)    le assicurazioni riguardanti le merci trasportate da o verso l'Italia, quando sono stipulate per conto di soggetti domiciliati o aventi sede nel territorio della Repubblica e sempreché per dette assicurazioni non sia stata pagata imposta all'estero;

e)    le assicurazioni contro i danni diverse da quelle indicate alle precedenti lettere a), b), c) e d), quando il contraente ha nel territorio della Repubblica il proprio domicilio ovvero, se trattasi di persona giuridica, la sede o lo stabilimento cui si riferisce il contratto o cui sono addette le persone assicurate;

f)      le assicurazioni sulla vita, quando il contraente ha nel territorio della Repubblica il proprio domicilio o, se trattasi di persona giuridica, la sede o lo stabilimento cui sono addette le persone assicurate.

L’imposta varia dal 2,5% (polizze infortuni e malattie) sino al 21,25% (polizze incendio e furto). Tale imposta non si applica ai contratti di assicurazione sulla vita ed ai contratti di capitalizzazione stipulati a partire dal 1° gennaio 2001.

Da ultimo, l’articolo 5, comma 2, del decreto-legge n. 16 del 2012 ha anticipato versamento in acconto dell’imposta di bollo virtuale da parte delle assicurazioni al 16 maggio di ogni anno.

L’imposta sugli intrattenimenti

L’imposta sugli intrattenimenti è disciplinata dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 60, che reca gli adempimenti concernenti sia le attività soggette all'imposta sugli intrattenimenti di cui alla tariffa allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 640, sia le manifestazioni spettacolistiche e assimilate, soggette all'imposta sul valore aggiunto, elencate nella Tabella C allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Il citato decreto legislativo ha riformato il regime tributario degli spettacoli, dei giochi e degli intrattenimenti, secondo i seguenti criteri-guida: a) abolizione dell'imposta sugli spettacoli e istituzione della nuova imposta sugli intrattenimenti limitatamente a tre categorie di attività e precisamente: esecuzione di musica non dal vivo, con esclusione dei concerti musicali, vocali e strumentali soggetti ad Iva; utilizzazione degli apparecchi da divertimento o intrattenimento; ingresso nelle case da gioco e nei luoghi specificamente riservati all'esercizio delle scommesse, nonché esercizio del gioco nelle case da gioco e negli altri luoghi a ciò destinati. b) riconduzione di tutte le altre attività spettacolistiche nel regime Iva ordinario. E' soggetto d'imposta chiunque organizza gli intrattenimenti e le altre attività di cui alla tariffa allegata al D.P.R. ovvero esercita case da gioco. La base imponibile è costituita dall'importo dei singoli titoli di accesso venduti al pubblico per l'ingresso o l'occupazione del posto o dal prezzo comunque corrisposto per assistere o partecipare agli intrattenimenti ed alle altre attività elencati nella tariffa, al netto dell'imposta sul valore aggiunto in quanto dovuta.

 

Dalla formulazione letterale della disposizione e dalla stessa relazione non appare, peraltro, chiaro se la razionalizzazione e la concentrazione delle imposte sopra richiamate sarà operata mediante la soppressione delle medesime e la contestuale introduzione di una nuova ed unica imposta sui servizi ovvero attraverso la razionalizzazione e l’armonizzazione della disciplina delle imposte stesse.

Tenuto conto della diversità dei presupposti e della struttura delle imposte sopra richiamate, non appare inoltre chiaro, in assenza di specifici principi e criteri direttivi al riguardo, quali saranno gli elementi caratterizzanti del sistema di imposizione sui servizi di cui la disposizione in esame prospetta l’introduzione.

 

Le imposte indirette nel federalismo fiscale municipale

Si segnala inoltre che il D.Lgs. n. 23 del 2011 sul federalismo fiscale municipale ha disciplinato l’assetto delle competenze fiscali tra Stato ed enti locali, a decorrere, in una prima fase di avvio triennale, dal 2011, e poi a regime a decorrere dal 2014, con l’introduzione, in sostituzione di tributi vigenti, dell’imposta municipale (IMU), successivamente modificata dal decreto-legge n. 201 del 2011, che ne ha – tra l’altro – anticipato, invia sperimentale, l’entrata in vigore al 2012. La nuova disciplina incide quindi su alcune delle disposizioni sopra richiamate nei termini di seguito indicati.

 

In sintesi, dal 2011 vengono attribuiti ai Comuni:

§      l’intero gettito dell’Irpef sui redditi fondiari (escluso il reddito agrario) e quello relativo alle imposte di registro e bollo sui contratti di locazione immobiliare;

§      una quota, pari al 30%, del gettito delle imposte di registro, ipotecarie e catastali sugli atti di trasferimento immobiliare ed una quota, pari al 21,7% nel 2011 ed al 21,6% dal 2012, del gettito della cedolare secca sugli affitti, che assorbe anche le imposte di registro e bollo sui contratti; l’intero gettito relativo alle imposte ipotecarie e catastali versate in corrispondenza di atti soggetti ad IVA rimane peraltro attribuito allo Stato.

I gettiti in questione affluiscono ad un Fondo sperimentale di riequilibrio, di durata triennale, finalizzato a realizzare in forma progressiva e territorialmente equilibrata la devoluzione dei gettiti medesimi ai Comuni.

Vengono inoltre modificate le aliquote di tassazione delle transazioni immobiliari, che sono individuate al 2 per cento nel caso di prima casa di abitazione ed al 9 per cento nelle restanti ipotesi (le attuali aliquote sono stabilite rispettivamente al 3 ed al 10 per cento, comprese alcune imposte indirette che vengono eliminate). Le nuove aliquote dell’imposta di registro sostituiscono inoltre, a decorrere dal 2014 – data di entrata in vigore delle stesse – l’imposta di bollo e le imposte ipocatastali, nonché i tributi speciali e le tasse ipotecarie.

A decorrere dal 2014, in sostituzione dell’imposta comunale sugli immobili e dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e relative addizionali dovuta per i redditi fondiari relativi ai beni non locati attribuite ai Comuni, si applicano le seguenti forme di prelievo:

a)       l’imposta municipale propria (IMU);

b)       l’imposta municipale secondaria.

Ai comuni spetta inoltre una compartecipazione pari al trenta per cento dei tributi applicati ai trasferimenti immobiliari. Dal 2014 l’imposta di registro si applica nella misura del 9 per cento agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere, agli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento (compresa la rinuncia agli stessi), ai provvedimenti di espropriazione per pubblica utilità ed ai trasferimenti coattivi. Se il trasferimento investe case di abitazione, diverse da immobili signorili, ville e castelli, la misura dell’aliquota è pari al 2 per cento, al ricorrere delle condizioni di legge, ferma restando una misura minima di imposta pari a 1000 euro.

Il D.Lgs. reca infine specifiche norme per le regioni a statuto speciale.

 

Il decreto legislativo n. 23 del 2011 (articolo 2), in materia di federalismo fiscale municipale, ha disciplinato l'assetto delle competenze fiscali tra Stato ed enti locali, prevedendo, tra l'altro, l'attribuzione ai Comuni del gettito relativo alle imposte di registro e bollo sui contratti di locazione immobiliare, nonché una quota, pari al 30 per cento, del gettito delle imposte di registro, ipotecarie e catastali sugli atti di trasferimento immobiliare ed una quota, pari al 21,7 per cento nel 2011 ed al 21,6 per cento dal 2012, del gettito della cedolare secca sugli affitti, che assorbe anche le imposte di registro e bollo sui contratti. Tale norma ha trovato attuazione con il D.M. 21 giugno 2011.

 

Appare pertanto necessario coordinare, in sede di esercizio di delega, tale previsioni con quelle dettate dall'articolo in commento.

 

L’imposta di scopo

L’imposta di scopo è stata regolata dall’articolo 1, commi 145-151, della legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007), che prevede la possibilità per i comuni di istituire, con regolamento, un’imposta di scopo per finanziare la realizzazione di opere pubbliche.

In particolare, la norma rimette ad un regolamento comunale, emanato ai sensi dell’articolo 52 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, l’istituzione dell’imposta (comma 145), che deve essere destinata esclusivamente alla parziale copertura delle spese per la realizzazione di specifiche opere pubbliche, secondo le tipologie individuate dal comma 149:

a)    opere per il trasporto pubblico urbano;

b)    opere viarie, con esclusione della manutenzione straordinaria ed ordinaria delle opere esistenti;

c)    opere particolarmente significative di arredo urbano e di maggior decoro dei luoghi;

d)    opere di risistemazione di parchi e giardini;

e)    opere di realizzazione di parcheggi pubblici;

f)      opere di restauro;

g)    opere relative a nuovi spazi per eventi e attività culturali, allestimenti museali e biblioteche;

h)    opere di realizzazione e manutenzione straordinaria dell’edilizia scolastica;

i)      opere di conservazione dei beni artistici e architettonici.

 

Il regolamento comunale istitutivo dell’imposta deve indicare (comma 146):

a)       l’opera pubblica da realizzare;

b)       l’ammontare della spesa da finanziare;

c)       l’aliquota di imposta;

d)       l’applicazione di esenzioni, riduzioni o detrazioni in favore di determinate categorie di soggetti;

e)       le modalità di versamento degli importi dovuti.

 

Soggetto passivo dell’imposta è il proprietario di fabbricati, aree fabbricabili, terreni agricoli, situati nel territorio del Comune, o titolare di diritto di usufrutto, uso, abitazione, superficie, enfiteusi. Per gli immobili concessi in locazione finanziaria, soggetto passivo è il locatario. Nel caso di concessione su aree demaniali, soggetto passivo è il concessionario.

Per quanto non espressamente contemplato nel regolamento si applicano le disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di imposta comunale sugli immobili (ICI), con particolare riferimento alle riduzioni di imposta (artt. 8 e 9 del D.Lgs. 504/1992) e alle esenzioni di imposta (art. 7 dello stesso decreto).

Dal 2008 al 2011 è rimasta esente dall'imposta di scopo l'unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo e relative pertinenze ammesse dal Regolamento Comunale.

Il gettito complessivo dell’imposta di scopo non può essere superiore al 30 per cento dell’ammontare della spesa dell’opera pubblica da realizzare (comma 150). In caso di mancato inizio dell’opera pubblica entro due anni dalla data prevista dal progetto esecutivo, i comuni sono tenuti, entro i due anni successivi, a rimborsare i versamenti effettuati dai contribuenti (comma 151).

Con Decreto direttoriale 25 marzo 2009 (in G.U. 31 marzo 2009, n. 75) è stato approvato il modello di bollettino di c/c postale per il versamento dell’imposta.

Secondo quanto riportato dal sito dell’Agenzia delle entrate, alla data del 6 maggio 2008 (ultimo aggiornamento disponibile), i comuni che avevano deliberato l'Imposta di scopo erano pari a 20.

 

Su tal disciplina è intervenuto l’articolo 6 del citato D.Lgs. sul federalismo municipale in modo tale da prevedere:

a)    l’individuazione di opere pubbliche ulteriori rispetto alle tipologie definite dalla normativa vigente;

b)    l’aumento sino a dieci anni della durata massima di applicazione dell’imposta;

c)    la possibilità che il gettito dell’imposta finanzi l’intero ammontare della spesa dell’opera pubblica da realizzare.

Il comma 1 prevede quindi che la revisione dell’imposta di scopo – nei termini sopra richiamati – sia effettuata con regolamento governativo da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, d’intesa con la Conferenza Stato-città autonomie locali entro il 31 ottobre 2011, mentre il comma 2 fa salvo l’obbligo di restituzione nel caso di mancato inizio dell’opera entro due anni dalla data prevista dal progetto esecutivo.

Il comma 1-quater dell’articolo 4 del decreto-legge n. 16 del 2012 ha quindi modificato ulteriormente la disciplina dell’imposta, con le seguenti modifiche all’articolo 6 del D.Lgs. n. 23 del 2011:

§       novellando il comma 1 dell’articolo 6, si consente ai comuni di disciplinare con regolamento l’imposta di scopo, nel quadro della disciplina recata dalla legge finanziaria 2007, in luogo della revisione dell’imposta da effettuarsi con regolamento governativo (D.P.R.);

§       si sostituisce integralmente il comma 2 disponendo che, a decorrere dall’entrata in vigore dell’IMU sperimentale (e cioè dal 2012), l’imposta di scopo si applichi o, se istituita, continui ad applicarsi con riferimento alla base imponibile e secondo la disciplina vigente. Il comune è quindi autorizzato ad adottare i provvedimenti correttivi eventualmente necessari per assicurare il rispetto delle disposizioni di cui ai commi da 145 a 151 dell’articolo 1 della legge finanziaria 2007 sopra descritte.

 

L’imposta di soggiorno

L’articolo 4 del D.Lgs. 23 del 2011 (federalismo municipale) attribuisce ai comuni la facoltà di istituire una imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio.

Si ricorda preliminarmente che l'articolo 12 della legge delega sul federalismo fiscale (legge n. 42/2009) reca principi e criteri direttivi in materia di coordinamento e di autonomia di entrata e di spesa degli enti locali. In particolare, la lettera d) del comma 1 prevede che il Governo disciplini i c.d. "tributi comunali di scopo", qualificati come "tributi propri", i quali possono essere anche più d'uno. Conseguentemente, la norma prevede che il legislatore delegato, valorizzando l'autonomia tributaria, attribuisca al comune la possibilità di stabilire e applicare uno o più tributi riferiti a particolari scopi quali:

§       la realizzazione di opere pubbliche;

§       investimenti pluriennali nei servizi sociali;

§       il finanziamento degli oneri derivanti da eventi particolari quali:

a)  flussi turistici,

b)  mobilità urbana.

 

Ai sensi del comma 1 dell’articolo in commento l’imposta può essere istituita da:

§       comuni capoluogo di provincia;

§       unioni dei comuni;

§       comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte.

 

L’imposta, istituita con deliberazione del consiglio, è applicabile secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo sino a 5 euro per notte di soggiorno. Il relativo gettito è destinato a:

§       interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive;

§       interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali;

§       relativi servizi pubblici locali.

Ai sensi del comma 2, l’imposta di soggiorno può sostituire in tutto o in parte gli eventuali oneri imposti agli autobus turistici per la circolazione e la sosta nell’ambito del territorio comunale.

Resta ferma la facoltà di disporre limitazioni alla circolazione nei centri abitati ai sensi dell’articolo 7 del Nuovo codice della strada (decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285). Si tratta sostanzialmente di limitazioni alla circolazione per motivi di sicurezza pubblica o inerenti alla sicurezza della circolazione, di tutela della salute, esigenze di carattere militare, incolumità pubblica ovvero per urgenti e improrogabili motivi attinenti alla tutela del patrimonio stradale o ad esigenze di carattere tecnico, accertate e motivate esigenze di prevenzione degli inquinamenti e di tutela del patrimonio artistico, ambientale e naturale.

Il comma 3 affida a un regolamento governativo (adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400 , d'intesa con la Conferenza Stato-città autonomie locali), da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la disciplina generale di attuazione dell’imposta di soggiorno. I comuni, con proprio regolamento (da adottare ai sensi dell'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, sentite le associazioni maggiormente rappresentative dei titolari delle strutture ricettive), hanno la facoltà di disporre ulteriori modalità applicative del tributo, nonché di prevedere esenzioni e riduzioni per particolari fattispecie o per determinati periodi di tempo. Nel caso di mancata emanazione del regolamento governativo, i comuni possono comunque adottare gli atti necessari per l’applicazione dell’imposta.

 

Imposta di sbarco

L’articolo 4, comma 2-bis, del decreto-legge n. 16 del 2012, aggiungendo il comma 3-bis all’articolo 4 del D.Lgs. n. 23 del 2011 (federalismo municipale) consente ai comuni delle isole minori, ovvero a quelli nel cui territorio insistono isole minori, di istituire, in alternativa all’imposta di soggiorno, un’imposta di sbarco, destinata a finanziare interventi in materia di turismo, di fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali e dei servizi pubblici locali.

Essa si applica nella misura massima di 1,50 euro ed è riscossa dalle compagnie di navigazione che forniscono collegamenti marittimi di linea unitamente al prezzo del biglietto. L'imposta non è dovuta:

§       dai soggetti residenti nel comune;

§       dai lavoratori (intendendosi persone che si recano nell’isola per motivi di lavoro);

§       dagli studenti pendolari (cioè studenti non residenti che si recano nell’isola per motivi di studio);

§       dai componenti dei nuclei familiari dei soggetti che risultino aver pagato l'imposta municipale propria (IMU) e che sono parificati ai residenti (cioè dai possessori di seconde case presenti sull’isola e relativo nucleo familiare).

La disposizione precisa inoltre che la compagnia di navigazione è responsabile del pagamento dell'imposta, con diritto di rivalsa sui soggetti passivi, della presentazione della dichiarazione e degli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale.

In caso di omessa o infedele presentazione della dichiarazione da parte del responsabile d'imposta (compagnia di navigazione) si applica la sanzione amministrativa dal 100 al 200 per cento dell'importo dovuto. In caso di omesso o parziale versamento dell'imposta si applica la sanzione amministrativa pari al 30 per cento di ogni importo non versato (art. 13, D.Lgs. n. 471/1997). Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a 15 giorni, la suddetta sanzione, oltre alle riduzioni previste in caso di ravvedimento ai sensi dell’articolo 13 del D.Lgs. n. 472 del 1997, è ulteriormente ridotta ad un importo pari ad un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo.

I comuni possono prevedere nel proprio regolamento modalità applicative del tributo, nonché eventuali esenzioni e riduzioni per particolari fattispecie o per determinati periodi di tempo.

 

Potere degli enti locali di variare le aliquote e le tariffe dei tributi locali

Si ricorda, infine, che l’articolo 4, comma 4, del decreto-legge n. 16 del 2012 ripristina il potere di regioni ed enti locali di variare le aliquote e le tariffe dei tributi locali e regionali, a decorrere dall'anno di imposta 2012; questo potere era stato sospeso, fino all'attuazione del federalismo fiscale.

In particolare la legge finanziaria per il 2003 (L. n. 289/2002, articolo 3, comma 1, lettera a)) aveva disposto la sospensione della possibilità per le regioni (e i comuni) di disporre maggiorazioni dei due tributi principali: l’addizionale regionale (e comunale) all’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e l’aliquota dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP). Quella norma ‘sospendeva’ gli aumenti eventualmente deliberati successivamente al 29 settembre 2002, fino a quando non fosse raggiunto un raccordo tra Stato, regioni ed enti locali sull’attuazione del federalismo fiscale. Dopo successive proroghe disposte dalle leggi finanziarie che si sono succedute, il termine era stato fissato al 31 dicembre 2006. Dall’esercizio 2007, regioni e comuni hanno avuto di nuovo la possibilità di aumentare l’addizionale IRPEF e l’aliquota dell’IRAP (le sole regioni). Con il D.L. n. 98/2008 (art. 1, comma 7) è stata nuovamente disposta, a decorrere dall'esercizio 2009, la sospensione del potere di regioni ed enti locali di deliberare aumenti delle aliquote di tributi, ma a differenza di quanto già avvenuto con la legge finanziaria per il 2003, la sospensione degli aumenti è estesa alla generalità “dei tributi, delle addizionali, delle aliquote” attribuiti con legge dello Stato alle regioni e al complesso degli enti locali ovvero, in sostanza, a tutte le entrate tributarie degli enti territoriali. La norma disponeva la sospensione fino alla “definizione dei contenuti del nuovo patto di stabilità, in funzione della attuazione del federalismo fiscale”.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Il 6 dicembre 2011 la Commissione ha presentato una comunicazione sulla nuova strategia dell’UE in materia di imposta sul valore aggiunto (COM(2011)851), che fa seguito alla consultazione svolta sul Libro verde conclusasi il 31 maggio 2011.

Ad avviso della Commissione, il nuovo sistema IVA dovrebbe perseguire i seguenti tre obiettivi principali:

§       riduzione degli oneri amministrativi a carico delle imprese, per agevolare il commercio transfrontaliero, attraverso l’introduzione dello "sportello unico" e la standardizzare delle dichiarazioni IVA;

§       ampliamento della base imponibile e limitazione del ricorso alle aliquote ridotte;

§       potenziamento degli attuali meccanismi antifrode, per ridurre la perdita di entrate dovute all'IVA non versata.

La Commissione sottolinea invece che la questione del passaggio ad un sistema IVA basato sull'imposizione nel Paese di origine non è più rilevante. Pertanto, l'IVA continuerà ad essere riscossa nel Paese di destinazione (ossia il Paese in cui ha sede l'acquirente).

Il 15 maggio 2012 il Consiglio ECOFIN ha approvato le conclusioni sulla nuova strategia UE in materia di IVA, in cui, tra le altre cose:

§       sostiene la proposta di creare di uno sportello unico IVA entro il 2015;

§       invita la Commissione a chiarire meglio il valore legale e le funzioni del portale web sull'IVA che verrebbe creato al fine di fornire informazioni in più lingue su questioni come la registrazione, la fatturazione, le dichiarazioni IVA, le aliquote IVA, nonché gli obblighi speciali e le limitazioni del diritto a detrazione;

§       concorda sull'opportunità di esaminare nel dettaglio il vigente regime IVA dei servizi pubblici, al fine di promuovere una migliore concorrenza tra settore pubblico e settore privato;

§       prende atto che la Commissione è a favore di un uso limitato delle aliquote ridotte da parte degli Stati membri.

 

Sempre in materia di imposta sul valore aggiunto, il 31 luglio la Commissione europea ha presentato una proposta di modifica della direttiva 2006/112/CE relativa a un sistema comune d’imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda un meccanismo di reazione rapida contro le frodi in materia di IVA (COM(2012)428).

La normativa vigente prevede che, in caso di frodi IVA, gli Stati membri possano agire solo in base a complessi regimi di deroga. Lo scopo della proposta è di introdurre nella direttiva IVA una base giuridica che, in situazioni molto specifiche, consenta agli Stati membri di adottare misure immediate, con una procedura denominata "meccanismo di reazione rapida" (Quick Reaction Mechanism – QRM).

In particolare, si propone che, in casi di frode improvvisa e massiccia nel settore dell'IVA che potrebbero dare origine a perdite finanziarie gravi e irreparabili, la Commissione adotti (secondo la procedura di comitatologia) atti di esecuzione che autorizzano uno Stato membro a introdurre le seguenti misure particolari di deroga alla direttiva 2006/112/CE:

§       la designazione del soggetto passivo come soggetto debitore dell'IVA nell'ambito di determinate cessioni di beni e prestazioni di servizi;

§       qualsiasi altra misura determinata dal Consiglio dell’UE, che delibera all'unanimità su proposta della Commissione.

La proposta verrà esaminata secondo la procedura legislativa speciale (già procedura di consultazione), che prevede l’unanimità in seno al Consiglio e la mera consultazione del Parlamento europeo.


 

Articolo 14
(Fiscalità ambientale)

 


1. In considerazione delle politiche e delle misure adottate dall'Unione europea per lo sviluppo sostenibile e per la green economy, nonché della proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2003/96/CE che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità, di cui alla comunicazione COM(2011)169, il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui all'articolo 1, nuove forme di fiscalità, finalizzate a preservare e a garantire l'equilibrio ambientale e a rivedere la disciplina delle accise sui prodotti energetici in funzione del contenuto di carbonio, adottando, in coerenza con le previsioni della predetta proposta di direttiva, il principio dell'esclusione dalla carbon tax dei settori regolati dalla direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 2003, che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità, e prevedendo che il gettito riveniente dall'introduzione della carbon tax sia destinato prioritariamente al finanziamento del sistema di incentivazione delle fonti di energia rinnovabili e degli interventi volti alla tutela dell'ambiente, in particolare alla diffusione delle tecnologie a basso contenuto di carbonio. La decorrenza degli effetti delle disposizioni contenute nei decreti legislativi previsti dal presente articolo è coordinata con la data di recepimento, nei Paesi membri dell'Unione europea, della disciplina armonizzata stabilita in materia al livello della medesima Unione europea.


 

 

L’articolo 14 delega il Governo ad introdurre nuove forme di fiscalità al fine di preservare e garantire l’equilibrio ambientale (green taxes); si prevede inoltre la revisione della disciplina delle accise sui prodotti energetici in funzione del contenuto di carbonio, come previsto dalla proposta di Direttiva del Consiglio europeo in materia di tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità. Il gettito derivante dall’introduzione della carbon tax è destinato prioritariamente alla revisione del sistema di finanziamento delle fonti rinnovabili.

 

I settori regolati dalla direttiva 2003/87/CE che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra sono esplicitamente esclusi dall’applicazione della carbon tax.

 

Al fine di non penalizzare, sotto il profilo della competitività, le imprese italiane rispetto a quelle europee, l’entrata in vigore delle disposizioni riguardanti la fiscalità ambientale sarà coordinata con la data di recepimento della disciplina armonizzata decisa a livello europeo.

 

La relazione illustrativa precisa che dalla tassazione ambientale non conseguiranno aumenti di pressione fiscale: anch’essa è infatti finalizzata alla redistribuzione del carico fiscale esistente e alla revisione del finanziamento degli interventi per le fonti rinnovabili. Queste misure si collocano, peraltro, pienamente dentro l'obiettivo complessivo di spostare il peso fiscale 'dalle persone alle cose' e, più in generale, dal lavoro alle rendite.

 

Si ricorda che già nel DEF 2012 il governo ha indicato, tra le misure per un fisco più equo e orientato alla crescita, lo spostamento della tassazione verso imposte meno discorsive sulla crescita, come quelle ambientali, contribuendo al contempo alla riduzione delle emissioni inquinanti e al finanziamento delle fonti di energia rinnovabili.

 

Si segnala inoltre che lo studio dell’Agenzia Europea per l’Ambiente, Environmental Tax Reform in Europe: implications for income distribution and opportunities for eco-innovation[15], mette in evidenza come i governi potrebbero diminuire le tasse sul reddito, spingere l’innovazione e tagliare le emissioni introducendo tasse specifiche e molto ben mirate sulle singole attività inquinanti, reinvestendo il ricavato nel far crescere l’economia del futuro attraverso le nuove fonti e il risparmio energetico, i mezzi alternativi, e la riconversione delle linee di produzione nella direzione di nuovi prodotti a minore impatto ambientale.

 

Nel corso dell’audizione presso la 6^ Commissione Finanze e tesoro del Senato nell’ambito dell'indagine conoscitiva sulla riforma fiscale, la Banca d’Italia ha messo in evidenza il ruolo della tassazione ambientale per la ripresa di un percorso di sviluppo che non si ripercuota negativamente sull’ambiente. Si suggerisce, in primo luogo, l’introduzione di imposte disegnate in modo da internalizzare i costi esterni associati all’impatto ambientale. Inoltre, si segnala come l’imposta ambientale fornisca un incentivo allo sviluppo di tecnologie innovative che facilitano la riduzione dell’impatto ambientale delle attività di produzione e consumo, accrescendo le prospettive di una crescita guidata dai cosiddetti settori verdi. Si propone, quindi, di destinare il gettito alla riduzione di imposte più discorsive – come quelle sui fattori produttivi – oppure al finanziamento di misure atte a limitare gli effetti negativi del consumo di risorse ambientali (investendo in tecnologie verdi o per il ripristino del capitale naturale).

 

L’Istituto Bruno Leoni, in un rapporto, intitolato “Europa 2020. Una proposta alternativa” suggerisce l’introduzione della carbon tax, che viene ritenuta più trasparente e meno distorsiva del cap & trade (vale a dire l’attuale sistema dello scambio delle quote di emissione), in quanto più stabile e prevedibile, nonché meno soggetta alle interferenze politiche. All’introduzione di una carbon tax – secondo il rapporto - dovrebbero corrispondere la razionalizzazione della tassazione fiscale e degli incentivi e disincentivi regolatori alle varie fonti. Il gettito dell’imposta dovrebbe essere impiegato per ridurre l’Irpef, in modo da restituire ai consumatori quel potere d’acquisto che gli viene sottratto.

 

Si segnala peraltro che Confindustria ha espresso le proprie perplessità in merito all’eventuale introduzione di nuove tasse nell’attuale momento di crisi economica che, in ogni caso, dovrebbero essere coordinata a livello europeo per non generare svantaggi competitivi.

 

Le tasse ambientali

Il regolamento 691/2011/Ue, entrato in vigore l’11 agosto 2011, vincola gli Stati membri a comunicare annualmente i dati relativi a emissioni atmosferiche, tasse ambientali e contabilità dei flussi di materia a livello macroeconomico. In particolare, il regolamento istituisce un quadro comune per la raccolta, la compilazione, la trasmissione e la valutazione di conti economici ambientali europei quali conti satellite del Sistema europeo dei conti. Vengono, in quest’ottica, forniti agli Stati membri metodologia, regole, definizioni, classificazioni e regole contabili comuni, destinate ad essere utilizzate in sede di compilazione dei conti economici ambientali.

L’imposta ambientale viene definitiva come un’imposta la cui base imponibile è costituita da una unità fisica (o un equivalente di un’unità fisica) di qualcosa che produce sull’ambiente un impatto negativo specifico e dimostrato e che è classificata come imposta nel SEC 95.

 

Ai sensi del medesimo regolamento, le tasse ambientali comprendono:

§       le tasse sull'energia, vale a dire quelle sui prodotti energetici utilizzati sia per i trasporti (benzina e diesel) che per i bisogni industriali e domestici (petrolio gas, carbone ed elettricità);

§       le tasse sui trasporti si riferiscono a quelle legate alla proprietà ed all'utilizzo dei veicoli a motore ed anche quelle su altri mezzi di trasporto come gli aerei ed i servizi di trasporto connessi (sono sia una tantum che periodiche come la tassa annuale di circolazione);

§       le tasse sull'inquinamento riguardano quelle sulle emissioni in atmosfera misurate o stimate (ad eccezione delle tasse sulla CO2), le tasse sull'acqua e per la gestione dei rifiuti.

§       le tasse sulle risorse riguardano l'estrazione e l'utilizzo delle risorse naturali come gas e petrolio, ma anche licenze per caccia e pesca.

 

Facendo una panoramica sul quadro europeo, con riferimento a dati 2008, Eurostat (Environmental statistics and accounts in Europe) spiega che le tasse sull'energia rappresentano la più forte proporzione di tasse ambientali in tutti gli Stati membri ad eccezione di Malta. Le proporzioni più elevate di tasse sull'energia sono state osservate in Lituania, Lussemburgo e in Repubblica Ceca (93% del totale delle tasse ambientali ciascuno) e in Slovacchia (90%). Le più forti proporzioni di tasse sui trasporti si trovano a Cipro (50% del totale delle tasse sull'ambiente), a Malta (48%) e in Irlanda (47%), mentre le proporzioni più elevate di tasse sull'inquinamento e le risorse vengono osservate in Danimarca (31%), in Olanda (17%) e in Estonia (14%)”.

In Italia le tasse ambientali rappresentano il 2,4% del Pil: 78,3% per imposte sull’energia, 20,4% per quelle sui trasporti e solo l’1,3% per ciò che riguarda inquinamento e impiego delle risorse.

 

In tale ambito, l'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha istituito, a decorrere dal 1° gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, nonché dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni. Il tributo è dovuto da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla tassazione le aree scoperte pertinenziali o accessorie a civili abitazioni e le aree comuni condominiali che non siano detenute o occupate in via esclusiva.

 

Atri esempi di tassazione ambientale riguardano:

§       l'imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili civili, il cui gettito è destinato prioritariamente al completamento dei sistemi di monitoraggio acustico e al disinquinamento acustico e all'eventuale indennizzo delle popolazioni residenti delle zone A e B dell'intorno aeroportuale, di cui all’articolo 90 della legge n. 342 del 2000, trasformata in imposta regionale, a decorrere dal 2013, dal D.Lgs. n. 68 del 2011 in materia di federalismo regionale;

§       il tributo speciale per il conferimento dei rifiuti in discarica, introdotto con l’art.3, comma 24, della legge 28 dicembre 1995 n. 549. Il 20 per cento del gettito derivante dall'applicazione del tributo affluisce in un apposito fondo della regione destinato a favorire la minore produzione di rifiuti, le attività di recupero di materie prime e di energia, con priorità per i soggetti che realizzano sistemi di smaltimento alternativi alle discariche, nonché a realizzare la bonifica dei suoli inquinati, ivi comprese le aree industriali dismesse, il recupero delle aree degradate per l'avvio ed il finanziamento delle agenzie regionali per l'ambiente e la istituzione e manutenzione delle aree naturali protette;

§       la tassa sulle emissioni di anidride solforosa (SO2) e di ossidi di azoto (NOx) istituita, a carico dei grandi impianti di combustione, dall'art. 17, comma 29, della L. 449/1997.

 

La tassazione energetica

In materia di tassa sull’energia, la direttiva 2003/96/CE, che ha ristrutturato il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità, anche al fine di recepire il protocollo di Kyoto, ha ampliato l’ambito delle accise armonizzate, al fine di estenderlo in generale a tutti i “prodotti energetici” (tra cui il gas naturale) e l’elettricità, introducendo dunque livelli minimi di tassazione anche per i suddetti prodotti. Di conseguenza, con il D.Lgs. n. 26/2007, di recepimento della direttiva 2003/96/CE, il Testo Unico delle Accise – TUA, di cui al D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504). è stato oggetto di profonde modifiche.

In merito alla proposta di revisione della direttiva sulla tassazione dell'energia, (COM(2011)169), volta principalmente a distinguere tra tassazione dell'energia collegata ad emissioni di CO2 e tassazione dell'energia basata sul contenuto energetico dei prodotti; a rivedere i livelli minimi di imposizione; a fissare livelli minimi di tassazione nazionale; ad abolire il trattamento fiscale differenziato per il gasolio usato come carburante per usi commerciali ovvero per usi non commerciali; a razionalizzare il sistema delle esenzioni in materia, l'Italia - secondo quanto emerge dalla Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea nel 2011 (Doc. LXXXVII, n. 5) - ha manifestato diverse perplessità, in particolare per quanto riguarda la rigidità del nuovo calcolo della tassazione, nonché in merito all'abolizione di alcune agevolazioni.

 

In tale settore, si ricordano gli aumenti delle aliquote di accisa sui prodotti energetici (aventi lo scopo, tra l’altro, di far fronte alle spese sostenute a seguito di eventi calamitosi che hanno colpito l’Italia nel corso del 2011). Il comma 50-quater dell’articolo 23 del decreto-legge n. 98 del 2011 ha confermato dal 1° gennaio 2012 gli aumenti delle aliquote di accisa sui carburanti disposte dalla determinazione del Direttore dell’Agenzia delle Dogane n. 77579 del 28 giugno 2011, con maggiori entrate attese pari a 2 miliardi di euro. La legge di stabilità per il 2012 (articolo 33, comma 30 della legge 12 novembre 2011, n. 183) ha disposto l’aumento dell’aliquota dell’accisa sulla benzina, sulla benzina senza piombo e sul gasolio utilizzato come carburante in misura tale da determinare maggiori entrate pari a 65 milioni di euro per l’anno 2012, a copertura degli oneri derivanti dalle norme sulle modalità agevolate di ripresa della riscossione di tributi e contributi nelle zone dell'Abruzzo colpite dagli eventi sismici dell'aprile 2009. Aumenti delle accise sui carburanti (compreso il GPL e il gas naturale per autotrazione), operativi già dal mese di dicembre 2011, sono stati disposti dall'articolo 15 del D.L. 201 del 2011.

Da ultimo, l’articolo 3-bis de decreto-legge n. 16 del 2012 ha disposto, dal 1° giugno 2012,l’eliminazione dell’esenzione d’accisa sull’energia elettrica utilizzata in opifici industriali aventi un consumo mensile superiore a 1.200.000 kWh. Viene conseguentemente rideterminata la misura dell’accisa sull’elettricità utilizzata nei luoghi diversi dalle abitazioni, differenziandola sulla base del consumi. Sono a tal fine introdotti specifici obblighi di comunicazione periodica dei consumi all’Agenzia delle dogane. L’articolo 39 del decreto-legge n. 83 del 2012 prevede una nuova definizione delle imprese energy intensive basata sulla normativa europea e finalizzata alla revisione delle accise sull’energia e sugli oneri generali di sistema gravanti su tali imprese, da realizzare, entro il 31 dicembre 2012, con un decreto Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto col Ministro dello sviluppo economico.

 

L’Ires sul settore energetico

L’articolo 81 del decreto-legge n. 112 del 2008 ha introdotto un'addizionale all'imposta sui redditi nei confronti delle società che operano nel settore petrolifero, ivi compreso il settore dell’energia elettrica, con volume di ricavi superiore a 10 milioni di euro e un reddito imponibile superiore a 1 milione di euro. L’aliquota, fissata in origine al 5,5% e successivamente elevata al 6,5% (articolo 56 della l. n. 99 del 2009, “collegato energia”), è stata da ultimo innalzata al 10,5% per i periodi di imposta dal 2011 al 2013 (ai sensi dell'articolo 7, comma 3 del decreto-legge n. 138 del 2011). E' stata ampliata la platea di soggetti passivi cui si applica tale addizionale, estesa - tra l'altro - anche alle imprese operanti nel trasporto e distribuzione del gas naturale.

La legge n. 7 del 2009 (ratifica trattato Italia-Libia) ha introdotto una ulteriore addizionale IRES al 4% (la cui disciplina è stata modificata dall'articolo 25-bis del decreto-legge n. 216 del 2011) per le imprese operanti nel settore degli idrocarburi con determinati requisiti, tra cui una capitalizzazione superiore a 20 miliardi di euro.

 

Le detrazioni per la riqualificazione energetica degli edifici

L’art. 1, commi da 344 a 349, della legge n. 296 del 2006 ha stabilito la detrazione del 55 per cento delle spese sostenute per gli interventi sugli immobili intesi a favorire il risparmio energetico, prevedendo limiti massimi di spesa distinti a seconda della tipologia di interventi effettuati e la rateazione in più anni.

Da ultimo, l’articolo 4 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha prorogato le detrazioni fino al 31 dicembre 2012, estendendole alle spese per interventi di sostituzione di scaldacqua tradizionali con scaldacqua a pompa di calore dedicati alla produzione di acqua calda sanitaria, ed ha stabilito che a decorrere dal 2013 la detrazione sia assimilata alla detrazione del 36 per cento per le ristrutturazioni edilizie di cui all’art. 1 della legge n. 449 del 1997. Tale detrazione, resa permanente dal medesimo provvedimento mediante l’introduzione del nuovo articolo 16-bis del testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), che riepiloga la disciplina concernente gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, spetta su di un ammontare massimo di spesa di 48.000 euro per ciascuna unità immobiliare ed è fruibile in rate annuali di pari importo, il cui numero è fissato tenendo anche conto dell’età del contribuente.

L’articolo 11 del decreto-legge n. 83 del 2012 ha disposto quindi l’innalzamento della detrazione a fini Irpef dal 36 al 50% e del limite dell’ammontare complessivo da 48.000 a 96.000 euro in relazione alle spese per le ristrutturazioni edilizie sostenute dal 26 giugno 2012 (data di entrata in vigore del decreto) fino al 30 giugno 2013.

 

Gli incentivi per le fonti rinnovabili

Da ultimo, sono stati firmati i due decreti interministeriali che definiscono i nuovi incentivi per l'energia fotovoltaica (cd. Quinto Conto Energia) e per le rinnovabili elettriche non fotovoltaiche (idroelettrico, geotermico, eolico, biomasse, biogas). In particolare sono previsti:

§       un ampliamento del budget di spesa, per un totale di 500 Milioni di Euro annui - pari a ulteriori 10 Miliardi di Euro di spesa su 20 anni - suddivisi tra Fotovoltaico (200 Milioni) e Non-Fotovoltaico (300 Milioni);

§       una forte semplificazione delle procedure per l’iscrizione ai registri;

§       l’innalzamento delle soglie di accesso ai registri per tutte le categorie rilevanti. In particolare, per il fotovoltaico, vengono esentati dai registri gli impianti a concentrazione, quelli innovativi e quelli realizzati da Amministrazioni pubbliche, oltre a quelli in sostituzione di amianto fino a 50 KW. Inoltre, sono esentati gli impianti tra 12 e 20 KW che richiedono una tariffa ridotta del 20%;

§       un premio per gli impianti fotovoltaici realizzati in sostituzione di coperture in amianto e per quelli con preponderante uso di componenti europei;

§       un incremento degli incentivi per alcune specifiche tecnologie che presentano una forte ricaduta sulla filiera nazionale, ad esempio: geotermico innovativo, fotovoltaico a concentrazione e innovativo;

§       una rimodulazione dei termini di pagamento dei certificati verdi;

§       la conferma della priorità di accesso al registro per gli impianti realizzati dalle aziende agricole.

 

 

Gettito delle tasse ambientali Italia, 1990-2009 (milioni €)

 

Anno                                        Tasse Ambientali

1990                                             22.353

1991                                             27.474

1992                                             29.000

1993                                             29.435

1994                                             31.128

1995                                             34.121

1996                                             35.038

1997                                             36.361

1998                                             36.759

1999                                             39.373

2000                                             37.863

2001                                             37.886

2002                                             37.447

2003                                             40.103

2004                                             39.368

2005                                             40.149

2006                                             41.342

2007                                             41.450

2008                                             39.499

2009                                             41.293

Fonte:     Istat 2011[16]

 

 

 

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Il 13 aprile 2011 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva sulla tassazione dell’energia (COM(2011)169), che mira ad adeguare i meccanismi del mercato interno alle nuove esigenze ambientali.

In particolare, le imposte sull'energia vigenti sarebbero divise in due componenti:

§       una parte, basata sulle emissioni di CO2rilasciate dal prodotto energetico, ammonterebbe a 20 euro per tonnellata di CO2;

§       l'altra basata sul contenuto energetico (energia effettiva generata dal prodotto misurata in gigajoule (GJ)), corrisponderebbe a 9,6 euro/GJ per i carburanti per motori, e 0,15 euro/GJ per i combustibili per riscaldamento. Essa si applicherebbe a tutti i carburanti e combustibili utilizzati per i trasporti e il riscaldamento.

La direttiva entrerebbe in vigore a partire dal 2013. Per allineare completamente la tassazione del contenuto energetico sono previsti lunghi periodi transitori, fino al 2023, in modo da lasciar tempo al settore di adeguarsi al nuovo regime.

La proposta segue una procedura legislativa speciale, che prevede la mera consultazione del Parlamento europeo e l’unanimità in seno al Consiglio dell’UE.

Il 19 aprile 2012 il PE ha espresso il proprio parere sulla proposta prospettando alcuni emendamenti che, prevedono, tra le altre cose, di mantenere invariato il vantaggio fiscale di cui beneficia il diesel in molti Paesi membri, rispetto alla benzina, al fine di evitare un aumento del prezzo del diesel (che tuttavia produce più emissioni di CO2 rispetto alla benzina).

La proposta è stata esaminata dal Consiglio ECOFIN del 22 giugno, dal quale è emerso un sostanziale accordo tra i Paesi membri circa la fissazione di aliquote minime per la tassazione dei prodotti energetici, lasciando ai singoli Governi la discrezionalità per quanto concerne la ripartizione tra le componenti dell’imposta (CO2 e contenuto energetico).

Procedure di contenzioso
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Il 27 novembre 2008 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora per violazione della direttiva 2003/96/CE sulla tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità, in relazione all'applicazione di una aliquota di accisa ridotta da parte della Regione Friuli Venezia Giulia.

La Commissione rileva che l’art 3, comma 15 della legge 549/1995, consente alle regioni e alle Province autonome la possibilità di applicare una riduzione del prezzo alla pompa delle benzine, a favore dei cittadini residenti. La riduzione si limita alla differenza di prezzo alla pompa rispetto a quello praticato negli Stati confinanti, e la riduzione fiscale è inversamente proporzionale alla distanza dei punti vendita dal confine. Gli artt. 10 e 11 della legge regionale 47/1996 definiscono le modalità di copertura del costo della riduzione. In base a tali disposizioni, i fornitori di carburante compensano la riduzione dei prezzi a vantaggio dei gestori delle stazioni servizio. L’amministrazione regionale, a sua volta, rimborsa ai fornitori di carburante gli importi versati ai gestori delle stazioni.

La Commissione ritiene che tale sistema costituisca una riduzione, tramite rimborso, dell’accisa, non consentita dalla direttiva 2003/96/CE, che si basa su un importo nazionale unico per prodotto e per uso.


 

Articolo 15
(Giochi pubblici)

 


1. Il Governo è delegato ad attuare, con i decreti legislativi di cui all'articolo 1, il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici, in applicazione dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) raccolta sistematica e organica delle disposizioni vigenti in funzione della loro portata generale ovvero della loro disciplina settoriale, anche di singoli giochi;

b) adeguamento delle disposizioni di cui alla lettera a) ai più recenti princìpi, anche di fonte giurisprudenziale, stabiliti al livello dell'Unione europea;

c) coordinamento formale delle disposizioni raccolte ai sensi della lettera a) e abrogazione espressa delle disposizioni incompatibili ovvero non più attuali;

d) riordino delle disposizioni vigenti in materia di disciplina del prelievo erariale sui singoli giochi, distinguendo espressamente quello di natura tributaria in funzione delle diverse tipologie di gioco pubblico, nonché in materia di disciplina relativa alle corse ippiche.

2. Il Governo è inoltre delegato a prevedere, con i decreti legislativi di cui all'articolo 1, norme volte a:

a) introdurre specifiche disposizioni intese a prevenire, curare e recuperare i fenomeni di ludopatia, sulla base di linee di indirizzo tecnico-scientifiche e con la realizzazione di progetti specifici, finanziati con il gettito di idonee sanzioni, nonché vincolando a tale scopo una specifica quota del Fondo sanitario nazionale, da ripartire con delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) in attuazione dell'articolo 1, comma 34, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;

b) prevedere disposizioni per contrastare forme di pubblicità del gioco non conforme a quello considerato lecito ai sensi della legislazione vigente e, comunque, per vietare su ogni mezzo di comunicazione forme di pubblicità ingannevole ovvero che non indichino, anche sui documenti rappresentativi, l'alea della vincita;

c) prevedere disposizioni per tutelare i minori dalla pubblicità dei giochi e per garantire comunque, anche contrastando diverse forme di attrazione, il rispetto del divieto di partecipazione a giochi con vincite di denaro, disciplinando altresì l'ubicazione dei locali adibiti a giochi pubblici nel territorio.


 

 

L’articolo 15 conferisce delega al Governo per il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

a)   raccolta sistematica ed organica delle disposizioni vigenti in funzione della loro portata generale ovvero della loro disciplina settoriale, anche di singoli giochi;

La disciplina dei giochi pubblici, intendendosi in senso più ampio giochi e scommesse, è contenuta in numerose disposizioni legislative, nonché in decreti del direttore dell’Azienda autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) che si sono stratificate negli anni. Soltanto nella presente legislatura si è in presenza di continui interventi legislativi, finalizzati da un lato a contrastare il fenomeno del gioco illegale, e dall’altro, talvolta, a reperire maggiori entrate per la copertura degli oneri recati dalle manovre di finanza pubblica.

La legge comunitaria per il 2008 (legge n. 88 del 2009), al fine di contrastare la diffusione del gioco irregolare ed illegale è intervenuta sulla materia dei giochi a distanza (giochi on line), prevedendo 200 nuove concessioni novennali da assegnare secondo specifici requisiti e condizioni. In particolare, i nuovi concessionari sono tenuti a operare tramite il sistema centrale dell’AAMS, mentre il giocatore deve stipulare con il concessionario un apposito contratto di “conto di gioco”.

Anche la ricostruzione delle zone terremotate dell’Abruzzo (D.L. n. 39 del 2009) è stata parzialmente finanziata intervenendo nel settore dei giochi.

Il D.L. n. 78 del 2009 è intervenuto sulla materia agli articoli 15-bis e 15-ter, con la previsione di un piano straordinario di contrasto al gioco illegale. Il successivo articolo 21 reca norme sul rilascio di concessioni per le lotterie nazionali ad estrazione istantanea e differita.

Nel D.L. n. 40 del 2010 sono state introdotte disposizioni in materia di esercizio dell'attività di gioco e di riorganizzazione e potenziamento dell'AAMS.

Con la legge di stabilità per il 2011 (articolo 1, commi da 64 a 82 della legge n. 220 del 2010) si è inteso rafforzare l’azione di contrasto al gioco gestito e praticato in modo illegale e a tutelare i consumatori - in particolar modo i minori di età - e, al contempo, si è intervenuti per recuperare base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale.

Con l'articolo 24 del D.L. n. 98 del 2011 sono state adottate numerose disposizioni in materia di giochi, sia sotto l’aspetto del prelievo fiscale - quali la liquidazione automatica dell’imposta unica dovuta sulle scommesse e sui giochi a distanza (commi 1-7) o la determinazione forfetaria del prelievo erariale unico (commi 17 e 18) - che relativamente alle competenze di accertamento in materia di giochi pubblici (commi da 8-16) e ai requisiti per la partecipazione a gare e per il rilascio di concessioni in materia di giochi (commi 24-27), nonché alla conduzione di esercizi di gioco pubblico (comma 28) e l’iscrizione all’elenco degli operatori (comma 41). Sono altresì previste norme sul divieto di gioco per i minori (commi 19-23), sull'obbligo di segnalare da parte degli operatori bancari, finanziari e postali il trasferimento di somme verso operatori di gioco illegali (commi 29-31), nonché sulle procedure selettive di affidamento in concessione della rete telematica degli apparecchi da divertimento ed intrattenimento (commi 35 e 36) e la messa a gara di ulteriori 7.000 punti vendita di giochi in luoghi pubblici (commi 37 e 38). Viene istituito il Bingo a distanza (comma 33) e regolamentato il “poker sportivo” (ovvero i tornei non a distanza di poker: comma 34), e sono previste nuove formule di gioco per il Lotto e i giochi numerici a totalizzatore nazionale, tra cui l'introduzione, in via definitiva, del concorso speciale del gioco Enalotto (commi 39 e 40). Inoltre si stabilisce che una quota pari al 3 per cento delle spese annue per la pubblicità dei prodotti di gioco venga destinata al rifinanziamento della Carta acquisti (comma 32).

Il D.L. n. 138 del 2011 ha attribuito all'AAMS il compito di emanare con propri decreti entro il 12 ottobre 2011 disposizioni in materia di giochi pubblici utili al fine di assicurare maggiori entrate. In attuazione di questa norma è stato emanato il decreto 12 ottobre 2011 dell'AAMS che individua le seguenti linee di intervento:

§      Lotto e 10&Lotto, con rimodulazione dell’orario di raccolta, dell’importo delle giocate, dell’incremento del payout, l’introduzione di nuove sorti e concorsi a tema in concomitanza con particolari eventi o festività di rilievo nazionale.

§      SuperEnalotto e Win for Life, con una nuova modalità di estrazione del SuperEnalotto condivisa con altri paesi europei con un’unica estrazione settimanale autonoma e distinta dalle altre e il restyiling del gioco Win for life.

§      Lotterie a consumo, con l'avvio della gara sulle lotterie a consumo effettuate con il resto della spesa nei grandi supermercati (c.d. Resto in gioco).

§      applicazione di un prelievo sulle vincite pari al 6% sulla parte delle vincite eccedenti i 500 euro relative alle VLT, Gratta e Vinci e SuperEnalotto (e giochi accessori, comprensivi della modalità online, come il Win for Life, e il “Si vince tutto"). Il prelievo del 6% non riguarderà le seguenti categorie di gioco: scommesse ippiche e sportive, Bingo, lotterie tradizionali (Lotteria Italia) e tutti i giochi a distanza (esclusi quelli sopra menzionati) che restano soggetti all’attuale normativa di settore.

Da ultimo, il D.L. n. 16 del 2012 reca, all’articolo 10, numerose disposizioni per il potenziamento dell’accertamento in materia di giochi nonché misure per la tracciabilità dei pagamenti.

b)   adeguamento delle disposizioni contenute alla lettera a) ai più recenti principi, anche di fonte giurisprudenziale, stabiliti a livello europeo;

I servizi di gioco d'azzardo sono disciplinati dall'articolo 56 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) relativo alla libera prestazione dei servizi, conformemente al quale gli operatori autorizzati in uno Stato membro possono fornire i propri servizi ai consumatori di altri Stati membri, a meno che questi ultimi non impongano, solo in via eccezionale, restrizioni proporzionate e giustificate da ragioni imperative di interesse pubblico, quali la tutela dei consumatori o il mantenimento dell'ordine pubblico.

A tale proposito nel “Libro verde sul gioco d’azzardo on line[17] vengono richiamati alcuni princìpi guida stabiliti in materia dalla Corte di giustizia, che tra l’altro ha:

§       riconosciuto alcuni motivi imperativi di interesse generale, quali la tutela dei consumatori e la prevenzione della frode e dell'istigazione a sperperare al gioco, nonché la generale esigenza di mantenere l'ordine pubblico. Ha sottolineato altresì che tutti i problemi sociali riconosciuti possono giustificare un sufficiente margine di discrezionalità da parte delle autorità nazionali nel determinare la tipologia di servizi offerti in questo settore necessari per la tutela dei consumatori e dell'ordine pubblico;

§       stabilito che questo tipo di servizi e le restrizioni transfrontaliere che possono derivare dall'approccio normativo in materia devono determinare una riduzione effettiva delle opportunità di gioco d'azzardo ed essere applicati in modo uniforme e sistematico a tutte le offerte di servizi disponibili nel territorio. Qualora le autorità di uno Stato membro incitino i consumatori a partecipare a lotterie, giochi d'azzardo e scommesse a beneficio finanziario delle casse pubbliche, non potranno essere invocate preoccupazioni di ordine pubblico relative alla necessità di ridurre le possibilità di scommettere per giustificare le restrizioni che dovranno essere proporzionate e applicate senza discriminazioni. Inoltre, la procedura di rilascio della licenza dovrà rispettare i princìpi di parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza;

§       in virtù delle caratteristiche specifiche dei servizi di gioco d'azzardo on-line, gli Stati membri possono adottare misure volte a restringerne o disciplinarne la prestazione al fine di combattere la dipendenza dal gioco e proteggere i consumatori contro i rischi di frode e criminalità.

Sul Libro verde la VI Commissione Finanze nella seduta del 10 novembre 2011 ha approvato un documento finale nel quale, tra l’altro, si invita il Governo ad adoperarsi affinché:

§       siano rinforzati tutti gli strumenti per un più rigoroso contrasto di tutte le forme di gioco illegali o prive di titolo pubblico, al fine di rispondere alle prioritarie esigenze di tutelare i diritti dei consumatori, in specie dei minori, di assicurare l'ordine pubblico e di garantire gli interessi erariali;

§       sia ribadita la fondatezza e la compatibilità con i principi dell'Unione europea dell'assetto concessorio adottato dall'ordinamento italiano, in particolare al fine di evitare che l'ingresso indiscriminato nel mercato italiano di operatori di gioco on-line basati in altri Stati membri possa determinare un indebolimento degli strumenti regolatori posti a tutela dei consumatori, oltre a rappresentare una forma di concorrenza sleale nei confronti degli operatori nazionali, sottoposti ad un regime di requisiti ed obblighi molto più rigoroso;

§       in tale contesto, sia definitivamente riconosciuto il diritto di ciascuno Stato membro dell'Unione europea ad assoggettare gli operatori titolari di un'autorizzazione o concessione rilasciata da altro Stato membro che offrano servizi di gioco d'azzardo via internet anche in quest'ultimo Stato, a requisiti ed obblighi riconducibili alla tutela di interessi pubblici, quali: la valutazione delle qualifiche professionali e dell'integrità degli operatori stessi; la protezione dei consumatori contro i rischi di frode; il contrasto alle infiltrazioni del settore da parte della criminalità organizzata; la lotta alle diverse forme di dipendenza patologica dal gioco;

§       sia adottata una nozione di «servizio di gioco d'azzardo on-line» ampia, che ricomprenda servizi quali le scommesse sportive anche nel settore ippico, i giochi da casinò, le scommesse con spread (o spread betting), i giochi multimediali o promozionali, i servizi di gioco d'azzardo gestiti da e a beneficio di associazioni di beneficenza e organizzazioni senza scopo di lucro, le lotterie;

§       si promuovano misure comuni per perseguire le frodi sportive legate alle scommesse sportive e per prevenire e rimuovere i conflitti di interesse tra gli operatori del settore delle scommesse e i club sportivi, le squadre e gli atleti in attività;

§       si valuti l'opportunità di estendere a livello europeo il divieto assoluto, già vigente in alcuni Stati membri, tra i quali l'Italia, di partecipazione ai giochi d'azzardo on-line da parte dei minori;

§       in tale ambito, si elaborino norme comuni in materia di pubblicità dei giochi d'azzardo - televisiva o a mezzo stampa scritta, ivi inclusi comunicazioni e promozioni commerciali on-line e forme di marketing diretto - che tutelino sufficientemente i minori e i consumatori vulnerabili;

§       siano rafforzati i meccanismi di identificazione dei titolari dei conti di gioco.

 

Per quanto riguarda il diritto derivato dell’UE, sebbene i servizi di gioco d'azzardo non siano disciplinati da una normativa settoriale specifica e siano stati esclusi da una serie di atti legislativi orizzontali quali la direttiva 2006/123/CE sui servizi nel mercato interno, in quanto essi non rappresentano un normale servizio (come peraltro ribadito in diverse occasioni dalla Corte di giustizia europea) o la direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico, essi sono comunque soggetti alle disposizioni delle direttive 2010/13/UE sui servizi di media audiovisivi, 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali, 1997/7/CE sulla vendita a distanza, 2005/60/CE sul riciclaggio di proventi di attività criminose, 1995/46/CE sulla protezione dei dati personali, 2002/58/CE sulla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche, e 2006/112/CE sul sistema comune d'imposta sul valore aggiunto.

Nel corso degli anni le modalità di partecipazione ai bandi di gara per l’assegnazione delle concessioni per le diverse tipologie di gioco sono state più volte oggetto di giudizio sia in sede comunitaria, che da parte delle autorità nazionali (Consiglio di Stato e TAR).

Da ultimo il D.L. n. 16 del 2012, all’articolo 10, comma 9-octies, recependo la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 16 febbraio 2012 nelle cause riunite C-72/10 e C-77/10 (cd “Costa-Cifone”) dispone che, in considerazione della scadenza (30 giugno 2012) di circa 1.000 concessioni ippiche e/o sportive, l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato bandisca con immediatezza, comunque non oltre il 31 luglio 2012, una gara per la selezione dei soggetti che raccolgono scommesse su eventi sportivi, anche ippici nel rispetto, almeno, dei seguenti criteri:

a)    possibilità di partecipazione per i soggetti che già esercitano attività di raccolta di gioco in uno degli Stati dello Spazio economico europeo, avendovi la sede legale ove operativa, sulla base di valido ed efficace titolo abilitativo rilasciato secondo le disposizioni vigenti nell'ordinamento di tale Stato e che siano altresì in possesso dei requisiti di onorabilità, affidabilità ed economico-patrimoniale individuati dall'AAMS;

b)    attribuzione di concessioni, con scadenza al 30 giugno 2016, per la raccolta, esclusivamente in rete fisica, di scommesse su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi presso agenzie, fino a un numero massimo di 2.000, aventi come attività esclusiva la commercializzazione di prodotti di gioco pubblici, senza vincolo di distanze minime fra loro ovvero rispetto ad altri punti di raccolta, già attivi, di identiche scommesse;

c)    previsione, quale componente del prezzo, di una base d'asta di 11.000 euro per ciascuna agenzia;

d)    sottoscrizione di una convenzione di concessione di contenuto coerente con ogni altro principio stabilito dalla citata sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 16 febbraio 2012, nonché con le compatibili disposizioni nazionali vigenti in materia di giochi pubblici;

e)    possibilità di esercizio delle agenzie in un qualunque comune o provincia, senza limiti numerici su base territoriale ovvero condizioni di favore rispetto a concessionari già abilitati alla raccolta di identiche scommesse o che possono comunque risultare di favore per tali ultimi concessionari;

f)      rilascio di garanzie fideiussorie.

c)   coordinamento formale delle disposizioni raccolte ai sensi della lettera a) ed abrogazione espressa delle disposizioni incompatibili ovvero non più attuali;

Tale criterio dovrebbe essere coordinato con quello esposto al punto a), cioè la raccolta sistematica ed organica delle disposizioni vigenti in funzione della loro portata generale ovvero della loro disciplina settoriale, anche di singoli giochi. In sostanza, vista la mole di disposizioni di rango primario che si sono stratificate, a partire dal R.D.L. n. 1933 del 1938 di riforma delle leggi sul lotto pubblico, e dei numerosi decreti del direttore dell’AAMS intervenuti nell’ultimo decennio è sicuramente necessario provvedere alla elaborazione di un testo unico delle norme sui giochi.

d)   riordino della disciplina del prelievo erariale sui singoli giochi, distinguendo espressamente quello di natura tributaria in funzione delle diverse tipologie di gioco pubblico, nonché della disciplina relativa alle corse ippiche;

Prelievo erariale unico

La disposizione richiama la disciplina del prelievo erariale sui singoli giochi, volendo riferirsi a tutte le entrate affluenti al bilancio dello Stato dal comparto dei giochi. Infatti il prelievo erariale – così definito - è previsto per alcune tipologie di gioco, quali il gioco del Bingo, mentre per gli apparecchi da gioco esiste il prelievo erariale unico (PREU). Per talune scommesse dell’ippica nazionale, l’articolo 1, comma 498, della legge finanziaria 2005 (legge n. 311/2004) dispone che il 6% della raccolta sia ripartito come entrate erariali. Per lelotterie (differite ed istantanee) viene destinata all’erario la quota residuale tra il valore dei biglietti venduti, l’aggio ai rivenditori, il compenso al concessionario, il pay out, il compenso AAMS e le spese di gestione. Analogo differenziale è previsto per il gioco del lotto (c.d. differenziale per il banco), in quanto, la raccolta viene contabilizzata quale entrata lorda del bilancio dello Stato: considerando poi per il pagamento delle vincite contabilizzato nella spesa del bilancio, si determina l’utile erariale finale. Tale utile, tuttavia varia nel tempo, in quanto ad un aumento della raccolta non corrisponde automaticamente un aumento dell’utile erariale poiché potrebbero aumentare anche le vincite; analogamente ad una diminuzione della raccolta l’utile erariale potrebbe aumentare in caso di diminuzione delle vincite.

 

Apparecchi da gioco

L’articolo 39 del D.L. n. 269 del 2003, al comma 13 ha stabilito che agli apparecchi e congegni di cui all'articolo 110, comma 6, del TULPS (R.D. n. 773/1931) collegati in rete, si applichi un prelievo erariale unico fissato (originariamente) in misura del 13,5% delle somme giocate, dovuto dal soggetto al quale l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) ha rilasciato il nulla osta.

Successivamente l’articolo 30-bis del D.L. n. 185 del 2008 ha stabilito che, con decorrenza dal 1° gennaio 2009, il prelievo erariale unico di cui all'articolo 39, comma 13, del D.L. n. 269/2003 fosse determinato applicando, in capo ai singoli soggetti passivi d'imposta, determinate aliquote per scaglioni riferiti alla raccolta delle somme giocate, varianti dal 12,6% all’8%:

Da ultimo, con il decreto direttoriale AAMS 12 ottobre 2011 (G.U. n. 265 del 14 novembre 2011), in attuazione di quanto disposto dall’articolo 2, comma 3, del D.L. n. 138 del 2011, sono stati individuati gli interventi in materia di giochi pubblici utili per assicurare le maggiori entrate previste dal citato articolo 2, comma 3, rinviando a successivi provvedimenti da adottare entro il 31 dicembre 2012 le disposizioni di dettaglio per la concreta applicazione delle disposizioni contenute nel decreto direttoriale stesso relativamente al gioco del Lotto (art. 2), a nuove modalità dei giochi numerici a totalizzatore nazionale (art. 3).

L’articolo 5 del decreto direttoriale dispone la variazione della misura del prelievo erariale unico (PREU).

In particolare la misura del prelievo sugli apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, lettera b), del R.D. n. 773 del 1931 (c.d. videolotteryVLT), è variata, ai sensi del comma 1, come segue:

§       a decorrere dal 1° gennaio 2012 si applica un prelievo del 4% sull'ammontare delle somme giocate e una addizionale pari al 6% sulla parte della vincita eccedente i 500 euro;

§       a decorrere dal 1° gennaio 2013, ferma l'addizionale sulle vincite eccedenti l'importo di 500 euro, il prelievo sull'ammontare delle somme giocate è del 4,5%.

 

La misura del PREU sugli apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, lettera a), del R.D. n. 773 del 1931 (c.d. newslot), viene variata, ai sensi del comma 2, come segue:

§       a decorrere dal 1° gennaio 2012 e fino al 31 dicembre 2012, al fine di consentire i necessari adeguamenti tecnologici dei suddetti apparecchi, necessari per dare attuazione alla variazione della quota destinata alle vincite di cui alla successiva lettera b), si applica un prelievo dell'11,80% sull'ammontare delle somme giocate;

§       a decorrere dal 1° gennaio 2013 la percentuale destinata alle vincite (pay-out) è fissata in misura non inferiore al 74% e, per gli anni 2013 e 2014, si applica un prelievo del 12,70% sull'ammontare delle somme giocate;

§       a decorrere dal 1° gennaio 2015, il prelievo sulla raccolta di gioco è fissato nella misura del 13% delle somme giocate.

 

Bingo

Il decreto del Ministro delle finanze 31 gennaio 2000, n. 29, determinava l’ammontare del prelievo erariale sul gioco del Bingo nella misura del 20% delle somme giocate. Al fine di rilanciare il gioco attraverso un aumento della quota destinata al montepremi, il D.L. n. 39 del 2009, art. 12, lett. p-bis), disponeva, in via sperimentale, una riduzione della quota destinata al prelievo erariale all’11% della raccolta. Da ultimo, l’articolo 10, comma 9-septies, del D.L. n. 16 del 2012 ha posto a regime tale variazione.

 

Nella successiva tavola sono posti a raffronto, per ciascuna tipologia di gioco, la base imponibile e le diverse aliquote di quota destinata all’erario:

 

GIOCHI

BASE IMPONIBILE

ALIQUOTA

 

 

 

LOTTO

 

 

Lotto tradizionale

 

"differenziale per il banco"

10 e Lotto

 

"differenziale per il banco"

GIOCHI NUMERICI A TOT. NAZ

 

 

Superenalotto

raccolta

53,62%

Superstar

raccolta

38,27%

Vinci per la vita – Win for Life

raccolta

23,27%

LOTTERIE

 

 

Lotterie differite

 

valore residuale

Lotterie istantanee

 

valore residuale

GIOCHI A BASE SPORTIVA

 

 

Concorsi pronostici

ammontare della somma giocata al netto di diritti fissi e compensi ai ricevitori

33,84%

Scommesse a quota fissa

ammontare della somma giocata per ciascuna scommessa

da 3% a 2% fino a 7 eventi; da 8% a 5,50% oltre 7 eventi

Scommesse a totalizzatore

ammontare della somma giocata per ciascuna scommessa

20,00%

GIOCHI A BASE IPPICA

 

 

Ippica Nazionale

ammontare della somma giocata per ciascuna scommessa

6,00%

Scommesse ippiche

quota di prelievo stabilita per ciascuna scommessa

15,70%

V7

posta di gioco

15,00%

BINGO

 

 

Bingo

prezzo di vendita delle cartelle

11,00%

APPARECCHI

 

 

Apparecchi comma 6a (AWP)

somme giocate

2012:               11,80%
2013 – 2014:       12,70%
dal 2015:        13,00%

Apparecchi comma 6b (VLT)

importo totale della raccolta di gioco costituita dalle somme puntate per attivare ogni singola partita

2012:              4,00%
dal 2013:       4,50%

Apparecchi comma 7

imponibile medio annuo forfetario

8,00%

GIOCHI DI ABILITA' A DISTANZA (SKILL GAMES)

 

 

Giochi di abilità a distanza

somma giocata

3,00%

GIOCHI DI CARTE E GIOCHI DI SORTE A QUOTA FISSA

 

 

Poker cash
Giochi da casinò

quota raccolta non restituita al giocatore (margine lordo del concessionario)

20,00%

 

 

 

Le corse ippiche

L’articolo 3, comma 77, della legge n. 662 del 1996, ha previsto che l'organizzazione e la gestione dei giochi e delle scommesse relativi alle corse dei cavalli siano riservate ai Ministeri delle finanze e per le politiche agricole, i quali possono provvedervi direttamente ovvero a mezzo di enti pubblici, società o allibratori da essi individuati.

Ai sensi del successivo comma 78 è stato emanato con il D.P.R. 8 aprile 1998, n. 169 il regolamento recante il riordino della disciplina organizzativa, funzionale e fiscale dei giochi e delle scommesse relativi alle corse dei cavalli, nonché per il riparto dei proventi.

In particolare il D.P.R. n. 169 del 1998 ha attribuito all’Unione nazionale incremento razze equine (UNIRE)[18] le competenze del Ministero per le politiche agricole in merito all’incremento e al miglioramento delle razze equine, all'organizzazione delle corse dei cavalli, alla valutazione dell'idoneità delle strutture degli ippodromi e degli impianti di allevamento, allenamento ed addestramento e alla determinazione degli stanziamenti a premi. L'esercizio delle scommesse sulle corse di cavalli, che si svolgono in Italia e all'estero, tanto negli ippodromi quanto fuori di essi, è esclusivamente riservato al Ministero delle finanze e al Ministero per le politiche agricole. A tal fine sulla base dei criteri e delle modalità stabiliti d'intesa con il Ministero per le politiche agricole, il Ministero delle finanze esercita il totalizzatore nazionale, cui vengono, in tempo reale, direttamente riversati i dati relativi alle scommesse, e vigila sulla regolarità delle gare e del gioco.

Le competenze dell’allora Ministero delle finanze sono ora svolte dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS).

L’articolo 2 del D.P.R. n. 169 reca le disposizioni in tema di concessioni per l'esercizio delle scommesse, mentre all’articolo 4 sono indicate le tipologie di scommesse consentite: a totalizzatore nazionale o a quota fissa, rinviando ad un decreto (ora direttoriale) l’individuazione delle singole scommesse. Infine l’articolo 12 indica le finalità di intervento dell’UNIRE, a cui destinare annualmente quote adeguate dei proventi derivati dalle scommesse.

 

Si segnala che l’articolo 10, del D.L. n. 16 del 2012, al comma 3, prevede che con regolamento venga modificato il D.P.R. 169 del 1998 al fine di:

§       rilanciare il settore dell’ippica, che da ultimo registra una diminuzione del numero delle scommesse;

§       assicurare il regolare svolgimento delle competizioni;

§       organizzare la gestione dei giochi secondo efficienza ed economicità;

§       prevedere criteri trasparenti e conformi al diritto europeo per la scelta dei concessionari;

§       assicurare il coordinamento tra il Ministero dell’economia e delle finanze ed il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali;

§       garantire una ripartizione delle risorse che consenta all’Agenzia per lo sviluppo del settore ippico (ASSI) di svolgere i propri compiti istituzionali;

§       prevedere misure organiche per la promozione della salute e del benessere del cavallo.

 

Il comma 2 delega, altresì, il Governo a:

a)   introdurre specifiche disposizioni volte a prevenire, curare e recuperare i fenomeni di ludopatia sulla base di linee di indirizzo tecnico-scientifiche. La disposizione prevede inoltre la realizzazione di progetti specifici, che saranno finanziati sia con il gettito derivante da apposite sanzioni, sia a valere su una quota appositamente vincolata del Fondo sanitario nazionale, ripartita con delibera CIPE, su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni;

Ludopatia

La legge di stabilità 2011 (legge n. 220 del 2010), all’articolo 1, comma 70, primo periodo, ha previsto che con decreto interdirigenziale dell’AAMS e del Ministero della salute fossero adottate, d'intesa con la Conferenza unificata, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge stessa, linee d'azione per la prevenzione, il contrasto e il recupero di fenomeni di ludopatia conseguente a gioco compulsivo. Lo schema di decreto, trasmesso nel mese di giugno 2011, è tuttora all’esame della Conferenza unificata.

Successivamente è intervenuto l’articolo 24 del D.L. n. 98 del 2011, il quale, al comma 23, ha disposto che, ai fini del miglior conseguimento degli obiettivi di tutela del giocatore e di contrasto ai fenomeni di ludopatia connessi alle attività di gioco, l’AAMS, nell'ambito degli ordinari stanziamenti del proprio bilancio, avvii, in via sperimentale, anche avvalendosi delle strutture operative del partner tecnologico, procedure di analisi e verifica dei comportamenti di gioco volti ad introdurre misure di prevenzione dei fenomeni ludopatici.

Per quanto riguarda i giochi on line, si ricorda che la legge n. 88 del 2009 (legge comunitaria 2008) all’articolo 24, comma 17, prevede che i concessionari adottino ovvero mettano a disposizione strumenti ed accorgimenti per l’autolimitazione ovvero per l’autoesclusione dal gioco, l’esclusione dall’accesso al gioco da parte di minori, nonché l’esposizione del relativo divieto in modo visibile negli ambienti virtuali di gioco gestiti dal concessionario (lettera e). Inoltre la successiva lettera h) attraverso il c.d. conto di gioco crea una sorta di autolimitazione obbligatoria per il giocatore, in quanto al momento dell’apertura del conto stabilisce i propri limiti di spesa settimanale o mensile, con conseguente inibizione dell’accesso al sistema in caso di raggiungimento della soglia predefinita. Per i giocatori è prevista anche la facoltà di auto-esclusione dal sito del concessionario, con conseguente impedimento ad un nuovo accesso. Peraltro, attraverso l’anagrafe dei conti di gioco, viene monitorata l’attività di ciascun giocatore, in quanto all’apertura del conto il giocate deve fornire il proprio codice fiscale (che viene incrociato con la banca dati SOGEI al fine di verificarne l’effettiva esistenza) e il sistema di controllo permette di tracciare e memorizzare in modo nominativo tutte le transazioni di gioco dei giocatori italiani.

 

Si ricorda che è in corso di svolgimento da parte della XII Commissione Affari sociali della Camera dei deputati una indagine conoscitivasugli aspetti sociali e sanitari della dipendenza dal gioco d'azzardo.

Si segnala che il 19 aprile 2012 la Conferenza delle Regioni ha approvato una relazione sul gioco d'azzardo patologico da presentare alla Commissione Affari sociali della Camera nell'ambito di tale indagine conoscitiva. Nel documento le Regioni fanno notare come non esiste un quadro normativo di riferimento che definisca il gioco d'azzardo patologico come un problema di salute e ne stabilisca la responsabilità della cura. Di conseguenza le iniziative di "prevenzione, cura e assistenza alle persone con problemi di gioco d'azzardo patologico (Gap) e dei loro familiari, non essendo inserite nei Lea, sono state lasciate alla sensibilità di alcuni amministratori regionali e di professionisti del settore, sia appartenenti alle Aziende Sanitarie Locali che al privato sociale".

b)   prevedere disposizioni per contrastare forme di pubblicità del gioco non conforme a quello considerato lecito a legislazione vigente e comunque vietare su ogni mezzo di comunicazione forme di pubblicità ingannevole ovvero che non indichino l’alea della vincita;

Pubblicità

L’AAMS non promuove la pubblicità dei prodotti dei giochi pubblici, in quanto essa viene effettuata direttamente dai concessionari, anche se il logo di AAMS figura in esse.

Come riportato nel documento depositato dal direttore delle strategie e dei giochi dell’AAMS, Antonio Tagliaferri, audito il 12 aprile 2012 dalla XII Commissione Affari sociali della Camera dei deputati nell’ambito dell’indagine conoscitivasugli aspetti sociali e sanitari della dipendenza dal gioco d'azzardo “i messaggi istituzionali utilizzati dall’Amministrazione sono stati, infatti, diretti unicamente alla sensibilizzazione sul gioco responsabile, legale, sulla tutela dei giovani ed in particolare sul divieto di gioco ai minori. Le campagne informative su questi fronti sono sempre state affidate ad esperti del settore educativo, pubblici e privati, con l’unico intento di far penetrare un messaggio di responsabilità e di cautela, mai quello di incentivo al gioco soprattutto da parte dei giovani. L’Amministrazione, in ogni caso, per evitare qualunque equivoco, ha richiesto recentemente ai concessionari di eliminare dai loro messaggi pubblicitari i loghi di AAMS e sostituirli con il numero di concessione ministeriale, per consentire comunque ai consumatori di riconoscere e distinguere i prodotti di gioco legale da quelli che non lo sono, mentre il logo istituzionale dell’Amministrazione e quello del gioco legale e responsabile possono rimanere sulla comunicazione istituzionale a carattere sociale, nonché sulle schedine di gioco.”

In merito alle misure finalizzate ad impedire o disincentivare forme di pubblicità insidiosa dei vari giochi, il documento precisa che l’AAMS, in previsione di specifici indirizzi futuri, già nel febbraio 2009 ha invitato i concessionari a porre particolare attenzione ai contenuti dei messaggi pubblicitari posti in essere anche alla luce dei principi del codice di autodisciplina della comunicazione commerciale. In particolare, al fine di garantire una comunicazione responsabile mirata a veicolare il concetto di legalità e finalizzata a disincentivare qualsiasi manifestazione di gioco eccessivo e/o patologico, è stato raccomandato ai concessionari di assicurare che i messaggi promozionali all’utenza includessero sempre un diretto ed esplicito riferimento al giocare in modo responsabile non compulsivo.

Il documento sottolinea che l’AAMS, a legislazione vigente, non ha poteri di intervento diretto, né di tipo censorio né di carattere sanzionatorio, sulla pubblicità dei prodotti di gioco. Eventuali modifiche legislative concernenti il comparto non rientrano nella competenza di AAMS e dovrebbero, comunque, essere attentamente ponderate, in quanto un divieto generalizzato di pubblicità – come avviene, ad esempio, per il settore dei tabacchi – potrebbe essere considerato lesivo della libertà d’impresa dalle aziende del settore (specialmente considerando che negli altri Paesi europei tale divieto non esiste, come invece è per i prodotti da fumo); peraltro, una, sia pure ridotta e controllata, forma pubblicitaria dei giochi è ritenuta utile al fine di consentire ai consumatori di poter distinguere l’offerta di giochi legali da quella di giochi illegali e alle aziende che operano legalmente nel settore di farsi conoscere e presentarsi alla luce del sole, a differenza degli operatori del mercato nero.

In ogni caso, da quando è entrata in vigore la legge che vieta ai minori i giochi con vincita in denaro, AAMS ha chiesto ai concessionari di riportare su tutta la comunicazione pubblicitaria sia di prodotto che sociale l’avvertenza scritta o, per gli spot televisivi e radiofonici, espressa a voce che si tratta di gioco vietato ai minori di 18 anni o equivalente.

Infine, il documento sottolinea che, premesso che la decisione di vietare la pubblicità o di regolamentarla rientra nelle competenze dell’organo politico, è intenzione di AAMS, sentite anche le associazioni maggiormente rappresentative, farsi promotrice di una sorta di codice di autoregolamentazione pubblicitaria da parte dei concessionari, al fine di “raccomandare” loro una condotta basata sui canoni della ordinaria diligenza e sui principi della correttezza, della trasparenza e della buona fede fornendo ai consumatori informazioni esatte e complete circa le modalità di gioco e le probabilità di vincita. In particolare, AAMS ritiene che siano da espellere o da attenuare tutte quelle forme di pubblicità che possano, anche indirettamente, promuovere una cultura secondo cui la risoluzione dei problemi sociali e familiari passi attraverso il gioco ovvero che abbiano forte valore diseducativo in ordine all’utilizzo del tempo libero da parte dei giovani, con adeguate forme di avviso sui rischi connessi al gioco medesimo.

c)   prevedere disposizioni per tutelare i minori dalla pubblicità dei giochi e garantire, anche contrastando le diverse forme di attrazione, il rispetto del divieto di partecipazione ai giochi con vincite in denaro, disciplinando altresì l’ubicazione dei locali adibiti a giochi sul territorio.

Tutela dei minori

Alcune disposizioni sulla materia erano precedentemente contenute all’articolo 110, commi 8 e 8-bis, del R.D. n. 773 del 1931. Con l’articolo 24 del D.L. n. 98 del 2011 il legislatore, oltre a ribadire al comma 20 il divieto di consentire la partecipazione ai giochi pubblici con vincita in denaro ai minori di 18 anni, ha provveduto - ai successivi commi 21 e 22 - ad inasprire le sanzioni. In particolare:

§       il titolare dell'esercizio commerciale, del locale o, comunque, del punto di offerta del gioco che consente la partecipazione ai giochi pubblici a minori di 18 anni è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 20.000 euro (in precedenza da 500 a 1.000 euro);

§       indipendentemente dalla sanzione amministrativa pecuniaria e anche nel caso di pagamento in misura ridotta della stessa, la violazione prevista dal presente comma è punita con la chiusura dell'esercizio commerciale, del locale o, comunque, del punto di offerta del gioco da 10 fino a 30 giorni (in precedenza fino a 15 giorni); il titolare dell'esercizio commerciale, del locale o, comunque, del punto di offerta del gioco, all'interno dei predetti esercizi, identifica i giocatori mediante richiesta di esibizione di un idoneo documento di riconoscimento;

§       per i soggetti che nel corso di un triennio commettono tre violazioni, anche non continuative, è disposta la revoca di qualunque autorizzazione o concessione amministrativa;

§       in caso di utilizzo degli apparecchi e dei congegni da gioco (slot machine, VTL), il trasgressore è altresì sospeso, per un periodo da uno a tre mesi, dall'elenco dei soggetti incaricati della raccolta delle giocate, e conseguentemente i concessionari per la gestione della rete telematica non possono intrattenere, neanche indirettamente, rapporti contrattuali funzionali all'esercizio delle attività di gioco con il trasgressore.

 

Si segnala che l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato in collaborazione con la Polizia di Stato, ha sviluppato il progetto educativoGioco on-line: rischi e pericoli” al fine di porre l’accento sul divieto per i minori di partecipare a tutte quelle forme di gioco che prevedono vincite in denaro, e di sensibilizzare circa i rischi e i pericoli che derivano da un accesso irresponsabile o improprio al gioco on line.

 

 

Si segnala, infine che l’articolo 3 del decreto-legge 27 giugno 2012, n. 87, ha previsto l’incorporazione dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) nell’Agenzia delle dogane. Al riguardo, la risoluzione 8-00185 approvata dalla Commissione Finanze della Camera dei deputati il 4 luglio 2012ha impegnato il Governo ad operare una complessiva riforma dell'organizzazione dell'Amministrazione finanziaria, anche attraverso una revisione del numero delle Agenzie ed una redistribuzione delle relative competenze, da realizzare nell'ambito della delega legislativa in commento.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

La Commissione europea ha adottato, il 24 marzo 2011, un Libro verde (COM(2011)128) sui problemi specifici di ordine pubblico e i rischi sociali connessi alla crescita nell’UE dell’offerta di servizi di gioco d'azzardo online, e sugli strumenti normativi e tecnici necessari per garantire la tutela dei consumatori e l'ordine pubblico. Sul Libro verde è stata svolta una consultazione che si è conclusa il 31 luglio 2011.

Le questioni affrontate nel Libro verde sono volte a valutare se una maggiore cooperazione a livello UE possa consentire di conseguire più efficacemente gli obiettivi della politica nazionale relativa ai giochi d’azzardo online. Si precisa, tuttavia, che è fatto salvo l'ampio margine di discrezionalità degli Stati membri nel determinare l'approccio normativo in materia, entro i limiti dei princìpi stabiliti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea.

Il 10 novembre 2011 la VI Commissione finanze, in esito all’esame del Libro verde ai sensi dell’articolo 127 del Regolamento della Camera, ha approvato un documento finale che, unitamente al parere della XIV Commissione Politiche dell’UE, è stato trasmesso alle Istituzioni europee nell’ambito del “dialogo politico” informale.

 

Nel programma di lavoro della Commissione europea per il 2012, si preannuncia l’adozione di una comunicazione sui giochi d'azzardo on-line che terrà conto delle risposte ricevute nell'ambito della consultazione svolta sul Libro verde. In particolare, il documento dovrebbe soffermarsi sulle sfide principali poste dalla coesistenza di modelli regolamentari nazionali nel mercato interno e sulle iniziative da prendere a livello nazionale e dell'UE.


 

Articolo 16
(Procedura)

 


1. Gli schemi dei decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono trasmessi alle Camere ai fini dell'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia, che sono resi entro trenta giorni dalla data di trasmissione. Il termine è prorogato di dieci giorni, su espressa richiesta delle Commissioni stesse al Presidente della rispettiva Camera, qualora ciò si renda necessario per la complessità della materia o per il numero dei decreti legislativi. Qualora sia stata chiesta la proroga e limitatamente alle materie per cui essa sia concessa, i termini per l'esercizio della delega sono prorogati di dieci giorni. Trascorso il termine previsto per l'emissione del parere o quello eventualmente prorogato, il decreto può essere comunque emanato.

2. Il Governo è autorizzato ad adottare uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni correttive e integrative dei decreti legislativi di cui alla presente legge, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi medesimi, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi previsti dalla presente legge e con le modalità di cui al presente articolo.

3. Nei decreti legislativi di cui all'articolo 1, il Governo provvede all'introduzione delle nuove norme mediante la modifica o l'integrazione dei testi unici e delle disposizioni organiche che regolano le relative materie, provvedendo ad abrogare espressamente le norme incompatibili.

4. Il Governo è delegato ad adottare, entro il termine di cui all'articolo 1, uno o più decreti legislativi recanti le norme eventualmente occorrenti per il coordinamento formale e sostanziale dei decreti legislativi emanati ai sensi della presente legge con le altre leggi dello Stato e per l'abrogazione delle norme incompatibili.


 

 

L’articolo 16 reca disposizioni sulla procedura per l’emanazione dei decreti legislativi attuativi, che, ai sensi dell’articolo 1, il Governo deve adottare entro 9 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Le competenti Commissioni parlamentari hanno 30 giorni (prorogabili di altri 10) per l’espressione del parere, trascorsi i quali esso si intende favorevole.

Il Governo, nei 18 mesi successivi dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto attuativo, può adottare eventuali decreti correttivi e integrativi.

Nel predisporre i decreti legislativi attuativi, il Governo dovrà intervenire attraverso modifiche o integrazioni dei testi unici e delle disposizioni organiche che regolano le relative materie, provvedendo contestualmente ad abrogare espressamente le norme incompatibili. Potrà altresì adottare uno o più decreti legislativi recanti il coordinamento formale e sostanziale dei decreti legislativi con le altre leggi dello Stato e per l’abrogazione delle norme incompatibili.

 

In dettaglio, il comma 1 prevede che gli schemi dei decreti attuativi della delega siano trasmessi alle Camere per l’espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia, che sono resi entro 30 giorni dalla data di trasmissione, con la possibilità di una proroga di 10 giorni, su espressa richiesta delle Commissioni stesse alle rispettive Camere, qualora ciò si renda necessario per la complessità della materia o il numero dei decreti legislativi.

 

Qualora sia stata chiesta la proroga e limitatamente alle materia per cui essa sia concessa, i termini per l’esercizio della delega (nove mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa) sono prorogati di dieci giorni.

 

Trascorso il termine previsto per l’emissione del parere – comprensivo dell’eventuale proroga – senza che le Commissioni esprimano il prescritto parere, esso può essere comunque emanato.

 

Ai fini di semplificazione della procedura, si potrebbe valutare l’opportunità di assegnare alle Commissioni parlamentari un termine unico di quaranta giorni per l’espressione del parere.

 

Il comma 2 autorizza il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni correttive e integrative dei decreti legislativi di cui alla presente legge entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi medesimi, nel rispetto dei principi e dei criteri direttivi previsti dalla presente legge e con le stesse modalità di cui al presente articolo.

 

Ai sensi del comma 3 il Governo, nel predisporre i decreti legislativi attuativi della delega previsti dall’articolo 1, dovrà intervenire attraverso modifiche o integrazioni dei testi unici e delle disposizioni organiche che regolano le relative materie, provvedendo contestualmente ad abrogare espressamente le norme incompatibili.

 

Infine il comma 4 delega il Governo ad adottare, entro il medesimo termine di nove mesi indicato all’articolo 1, uno o più decreti legislativi recanti le norme eventualmente occorrenti per il coordinamento formale e sostanziale dei decreti legislativi adottati ai sensi della presente legge con le altre leggi dello Stato e per l’abrogazione delle norme incompatibili.

 

Le precedenti deleghe fiscali

Il disegno di legge recante delega al Governo per la riforma del sistema fiscale statale, presentato nel luglio 2011 dal ministro pro-tempore Tremonti (A.C. 4566), prevedeva (articolo 9) la costituzione entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, di una apposita Commissione bicamerale, composta da 15 deputati e 15 senatori[19].

La nomina dei componenti la Commissione sarebbe stata effettuata, rispettivamente, dal Presidente della Camera dei deputati e dal Presidente del Senato, nel rispetto della proporzione esistente tra i gruppi parlamentari, su designazione degli stessi.

La Commissione avrebbe dovuto esaminare gli schemi dei decreti legislativi delegati, predisposti in attuazione della delega, ai fini dell’espressione di un parere, nel termine di 30 giorni dalla trasmissione degli schemi dei decreti. Si prevedeva la possibilità di una proroga di 20 giorni (non rinnovabile), concessa dai Presidenti delle Camere su richiesta della Commissione, per l’adozione del parere in relazione alla complessità della materia, oppure nel caso di trasmissione di più schemi di decreto contemporaneamente.

Decorso il termine ordinario (30 giorni) e l’eventuale proroga (20 giorni) senza che la Commissione bicamerale avesse espresso il parere, esso si intendeva espresso favorevolmente.

 

Tale procedura risultava sostanzialmente identica alle disposizioni contenute nella delega fiscale di cui all’articolo 3, commi 13, 15 e 16, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (collegato alla finanziaria 1997). In quel caso, la Commissione bicamerale, comunemente definita “Commissione dei Trenta”, fu istituita il 30 aprile 1997.

L’articolo 3, comma 18, della legge n. 662 prevedeva inoltre l’istituzione eventuale di sottocommissioni per l’esame preliminare di singoli schemi di decreto.

 

La legge delega n. 80 del 2003, prevedeva, che gli schemi dei decreti legislativi adottati dal Governo, ciascuno dei quali deve essere corredato di relazione tecnica sugli effetti finanziari delle disposizioni in esso contenute, fossero trasmessi alle Camere ai fini dell'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario, da rendere entro 30 giorni dalla data di trasmissione dei schemi stessi, prevedendo una eventuale proroga di 20 giorni.

La legge n. 80 prevedeva una ulteriore procedura nel caso che il Governo non intendesse conformarsi alle condizioni eventualmente formulate nei pareri parlamentari, esclusivamente con riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, attraverso una nuova trasmissione - entro 30 giorni dall’espressione dei pareri - alle Camere dei testi, corredati dai necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni competenti, che sono espressi entro 30 giorni dalla data di trasmissione. Sia in caso di procedura ordinaria, che in caso di nuova trasmissione, decorso il termine senza che le Commissioni abbiano espresso i pareri di rispettiva competenza, i decreti legislativi possono essere comunque adottati.

L’istituzione di una Commissione bicamerale, composta da 15 senatori e 15 deputati era prevista dal comma 6 dell’articolo 11 della legge n. 80 del 2003 relativamente all’esame dello schema di decreto legislativo recante il codice “fiscale” previsto dall’articolo 2. La Commissione avrebbe dovuto esprimere tale parere entro il termine di 45 giorni, eventualmente prorogabile di altri 20 giorni.

 

Per quanto riguarda l’emanazione di norme correttive ed integrative dei decreti legislativi di attuazione l’articolo 3, comma 17 della legge n. 662 del 1996 aveva previsto un termine di due anni da computarsi in relazione all’entrata in vigore di ogni singolo decreto legislativo.

 


 

Articolo 17
(Oneri finanziari)

 

1. Dai decreti legislativi di cui all'articolo 1 non devono derivare nuovi o maggiori oneri o diminuzioni di entrate a carico della finanza pubblica.

 

 

L’articolo 17 stabilisce che dai decreti delegati di attuazione della delega non possono derivare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato.

 

Si ricorda, peraltro, che il 29 luglio 2011 il precedente governo (Governo Berlusconi) aveva già presentato un disegno di legge recante una delega legislativa per la riforma fiscale e assistenziale, volto a razionalizzare e semplificare il quadro normativo vigente, il cui esame è stato avviato dalla Commissione Finanze della Camera dei deputati il 7 settembre 2011.

 

Tale disegno di legge stabiliva che dall'attuazione della legge di delega, e in particolare dal riordino della spesa in materia sociale, nonché dall'eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale che si sovrappongono alle prestazioni assistenziali, derivassero effetti positivi, ai fini dell'indebitamento netto, non inferiori a 4.000 milioni di euro per l'anno 2013 e a 20.000 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2014.

 

Successivamente, il comma 1-terdell’articolo 40 del decreto-legge n. 98 del 2011 (manovra) – nella sua formulazione originaria – disponeva la riduzionedel 5% nel 2012 e del 20% a decorrere dal 2013 dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale riportati nell’allegato C-bis al decreto.

Per i casi nei quali tale riduzione non fosse stata suscettibile di diretta ed immediata applicazione, con uno o più decreti del Ministro dell’economia e delle finanze si sarebbero stabilite le modalità tecniche per l’attuazione con riferimento ai singoli regimi interessati.

L’originario comma 1-quater prevedeva poi che tale disposizione non si applicasse qualora entro il 30 settembre 2012 fossero adottati provvedimenti legislativi in materia fiscale ed assistenziale aventi ad oggetto il riordino della spesa in materia sociale, nonché la eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione e agevolazione fiscale che si sovrappongono alle prestazioni assistenziali, tali da determinare effetti positivi (cioè riduzioni), ai fini dell’indebitamento netto, non inferiori a 4 miliardi di euro per il 2012 ed a 20 miliardi di euro annui a decorrere dal 2013.

 

L’articolo 18 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha quindi sterilizzato gli effetti del citato articolo 40 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, sostituendo la copertura ivi indicata con un aumento dell’IVA.

In particolare, a decorrere dal 1° luglio 2013 e fino al 31 dicembre 2013 (secondo le modifiche introdotte dal decreto-legge n. 95 del 2012) le aliquote del 10 e del 21 per cento verranno incrementate di 2 punti percentuali (passando rispettivamente al 12 e al 23 per cento). A decorrere dal 1° gennaio 2014, le suddette aliquote sono incrementate dell'1 per cento. Da tale data, pertanto, le aliquote sono rideterminate, rispettivamente, nella misura dell’11 e del 22 per cento. Il predetto incremento non si applica qualora entro il 30 giugno 2013 siano entrati in vigore provvedimenti legislativi in materia fiscale ed assistenziale aventi ad oggetto il riordino della spesa in materia sociale, nonché la eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale che si sovrappongono alle prestazioni assistenziali;.

Inoltre, con la legge di stabilità 2013 devono essere indicate le misure di attuazione del programma di razionalizzazione della spesa pubblica (previsto dall'articolo 1, comma 1-bis, del decreto legge n. 52 del 2012) e le disposizioni di eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale (previste dall'articolo 40, comma 1-quater, del decreto legge n. 98 del 2011), prevedendo che i risparmi e le maggiori entrate così ottenuti, assieme ai risparmi derivanti dal riordino di enti ed organismi statali disposti dall'articolo 12 del citato decreto-legge n. 95 del 2012, concorrano ad evitare il previsto aumento dal 1° luglio 2013 delle aliquote IVA.

 

Sono inoltre modificati gli effetti positivi, ai fini dell'indebitamento netto, derivanti dalla norma in commento, che vengono rideterminati in 6.560 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2013.

 


I sistemi fiscali in Francia, Germania, Regno Unito e Spagna alla luce delle più recenti misure adottate

Appendice (a cura del Servizio Biblioteca - Ufficio Legislazione Straniera)


Francia

Fiscalità delle persone

Imposta sul reddito delle persone fisiche

L’imposta sul reddito è disciplinata dall’art. 1A e ss. del Code général des impôts (Codice generale delle imposte).

Con la legge finanziaria per il 2011 (Loi n. 2010-1657 du 29 décembre 2010 de finances pour 2011- LF 2011) è stato recentemente modificato il calcolo dell’imposta sul reddito.

Il nuovo art. 197 del Code général des impôts, modificato dalla Loi n. 2010-1657, stabilisce attualmente le seguenti aliquote, in base alla suddivisione dei contribuenti in quattro fasce di reddito:

 

Reddito (in euro)

Aliquota

Da 0 a 5.963

0%

Dalla frazione superiore a 5.963 fino a 11.896

5,5%

Dalla frazione superiore a 11.896 fino a 26.420

14%

Dalla frazione superiore a 26.420 fino a 70.830

30%

Per la frazione superiore a 70.830

41%

 

Alla fine del 2011 il Governo francese ha approvato una serie di misure per ridurre il deficit pubblico, tra cui l’introduzione di un “contributo eccezionale sugli alti redditi”. La legge finanziaria per il 2012 (Loi n. 2011- 1977 du 28 décembre 2011 de finances pour 2012 – LF 2012) ha fissato al 3 per cento il tasso del contributo da applicare sulla frazione di reddito fiscale superiore a 250.000 euro per le persone celibi, nubili, vedove o divorziate, a 500.000 euro per le coppie in regime matrimoniale o di PACS. Il tasso del contributo è innalzato al 4 per cento sulla frazione del reddito fiscale di riferimento superiore a 500.000 euro per le persone celibi, nubili, vedove o divorziate, e a 1 milione per le coppie in regime matrimoniale o di PACS. Il contributo, provvisorio, dovrebbe applicarsi fino all’anno d’imposizione fiscale, nel corso del quale il deficit pubblico sia pari a zero.

Quoziente familiare

In base al meccanismo del “quoziente familiare” (quotient familial), disciplinato dagli artt. 194-195 del Code général des impôts, il contribuente è assoggettabile all’imposta sul reddito per l’insieme degli utili e redditi dei membri della famiglia fiscale (foyer fiscal), composta dal contribuente, dall’eventuale coniuge (o dal partner per i PACS), dagli eventuali figli minori, nonché dalle eventuali persone invalide conviventi a carico.

Per determinare il quoziente familiare occorre determinare il numero delle quote (o parti, rappresentative dei carichi di famiglia) che spettano a ciascun tipo di contribuente (ad es. il celibe, lo sposato, il divorziato, il vedovo), del quale sono considerate le persone a carico.

Il quoziente familiare è il risultato della divisione del reddito complessivo del foyer fiscal per il numero delle quote che ad esso spettano. Il numero delle quote incide in modo considerevole nel determinare l’imposta sul reddito da liquidare.

Nello specifico l’imposta è calcolata figurativamente sul quoziente familiare, quindi solo su una quota del reddito complessivo, ma l’effettivo del carico fiscale risulta poi dal prodotto delle “imposte individuali” per il numero delle parti (o quote) che compongono la famiglia fiscale.

L’art. 194 del Codice generale delle imposte presenta una tabella in cui è indicato il numero delle quote da prendere in considerazione per la divisione del reddito complessivo del foyer fiscal:

Situazione della famiglia

Numero delle parti (o quote)

Celibe, divorziato o vedovo senza figli a carico

1

Coniugato senza figli a carico

2

Celibe o divorziato con un figlio a carico

1,5

Coniugato o vedovo con un figlio a carico

2,5

Celibe o divorziato con due figli a carico

2

Coniugato o vedovo con due figli a carico

3

Celibe o divorziato con tre figli a carico

3

Coniugato o vedovo con tre figli a carico

4

Celibe o divorziato con quattro figli a carico

4

Coniugato o vedovo con quattro figli a carico

5

Celibe o divorziato con cinque figli a carico

5

Coniugato o vedovo con cinque figli a carico

6

Celibe o divorziato con sei figli a carico

6

 


Si consideri ad esempio una coppia di coniugi con due figli a carico.

In base al meccanismo del quoziente familiare, a questa famiglia fiscale saranno attribuite tre quote (una quota per ogni coniuge e una mezza quota per ciascun figlio).

Ipotizzando che il reddito complessivo della coppia sia di 55.000 euro, l’imposta calcolata, senza tener conto del quoziente familiare, sarebbe approssimativamente di 10.934 euro.

Il calcolo della tassa, sulla base delle aliquote previste per l’imposta sul reddito, sarebbe infatti il seguente:

Aliquote per fasce di reddito

Calcolo dell’imposta (in euro)

0% su 5.963 euro

0

5,5% su 5.932 euro (11.896-5.964)

326

14% su 14.523 euro (26.420-11.897)

2.033

30% su 28.582 (55.000- 5.963 -5.932-14.523)

8.575

Totale

10.934

Per calcolare il quoziente familiare di questa famiglia fiscale occorre dividere il reddito complessivo del foyer fiscal (55.000 euro) per tre (le tre quote che gli spettano). Si otterrà un quoziente di 18.333 euro.

Su tale ammontare si applicano allora le “imposte individuali”, utilizzando i medesimi scaglioni:

Aliquote per fasce di reddito

Calcolo dell’imposta (in euro)

0% su 5.963 euro

0

5,5% su 5.932 euro (11.896-5.964)

326

14% su 6438 euro (18.333-5.963 -5.932)

901

Totale

1.227

In base al meccanismo del quoziente familiare, tale ammontare deve essere quindi moltiplicato per il numero delle quote per ottenere il carico fiscale complessivo, che risulterà quindi di 3.681 euro (1.227 x 3).

Come si può constatare, applicando il quoziente familiare, il carico fiscale complessivo è inferiore all’ammontare che l’imposta sul reddito avrebbe senza l’introduzione di tale meccanismo. Inoltre, tanto più alto sarà il reddito complessivo, maggiore sarà il beneficio ottenibile. Per evitare di favorire i redditi più alti, il legislatore ha limitato il vantaggio dell’applicazione del quoziente, fissando un tetto (plafond). In base a tale meccanismo, determinati contribuenti, il cui reddito eccede un dato importo, possono avere un vantaggio di imposta che non può superare una certa cifra. Il vantaggio massimo è fissato per ogni mezza quota o quota che compone il proprio foyer fiscal[20].

Imposte sul patrimonio

La prima Legge finanziaria correttiva per il 2011 del 29 luglio 2011 (I LFR 2011) ha introdotto la riforma della fiscalità del patrimonio. La riforma ha alleggerito la tassazione della detenzione del patrimonio a favore di una tassazione più pesante della trasmissione del patrimonio ed ha proceduto alla modifica dell’impôt de solidarité sur la fortune - ISF e alla soppressione dello “scudo fiscale”, dispositivo che limitava l’ammontare complessivo delle imposte dirette pagate da un contribuente.

a)   Imposta di solidarietà sul patrimonio

L'imposta di solidarietà sul patrimonio (impôt de solidarité sur la fortune - ISF) [21] è un’imposta prevista nell’ordinamento francese, ma assente nella maggior parte degli altri paesi del mondo. Al pagamento dell’ISF sono tenute le persone fisiche e le coppie sulla base del loro patrimonio netto che comprende i beni immobili, gli attivi professionali (che possono essere esonerati a determinate condizioni), i beni mobili, altri beni materiali (gioielli, cavalli, automobili, yachts, barche da diporto, aerei da turismo, etc.), diritti e titoli (valori mobiliari, buoni del Tesoro, buoni di risparmio, etc.).

Le precedenti disposizioni prevedevano 6 aliquote d’imposta per scaglioni a partire da un patrimonio di 800.000 euro. La recente riforma del luglio 2011 ha soppresso le prime tranches d’imposta. Applicabile sul patrimonio detenuto al 1° gennaio 2011, la riforma della tabella (barème) delle aliquote dell’ISF permetterà ai francesi con un patrimonio inferiore a 1,3 milioni di euro di non pagare più l’ISF dal 2012[22].

L’ISF comprenderà 2 aliquote d’imposta per scaglioni di patrimonio:

§       0,25% tra 1,3 e 3 milioni di euro (con pagamento dell’ISF contemporaneamente all’Imposta sul reddito IR);

§       0,50% per i patrimoni superiori a 3 milioni di euro (con obbligo di riempire una dichiarazione ISF).

Per limare gli effetti negativi delle soglie sarà messo a punto un dispositivo di detrazione (décote) per i patrimoni compresi tra 1,3 e 1,4 milioni di euro e tra 3 e 3,2 milioni di euro.

Occorre segnalare che dal 2010 è stato previsto un dispositivo che permette ai sottoscrittori di fondi d’investimento a favore delle PMI di beneficiare di una riduzione del 25% sull’imposta sul reddito o del 50% sull’ISF (LF 2010, art. 20). Le riduzioni d’IR e d’ISF per i sottoscrittori di capitali delle PMI e di entreprises innovantes sono state ulteriormente definite: si applicano soltanto alle partecipazioni a società in difficoltà d’accesso al finanziamento in fondi privati o in fase di crescita (inizio attività o espansione) (LF 2011, art. 38).

b)   Modifiche patrimoniali a titolo gratuito e successioni

Secondo la riforma del luglio 2011, le donazioni in franchigia d’imposta saranno possibili ogni 10 anni, invece che ogni 6 (I LFR 2011, art. 7). Inoltre è stata mantenuta la sola riduzione del 50% per i donatori al di sotto dei 70 anni di età, mentre è stata soppressa la riduzione del 30% per i donatori tra i 70 e gli 80 anni (I LFR 2011, art. 8).

Sono stati infine elevati di 5 punti i due ultimi scaglioni d’imposta, rispettivamente dal 35 e 40% al 40 e 45%, applicati alle successioni più importanti[23], alle donazioni consentite tra consanguinei in linea diretta e alle donazioni tra coniugi o tra partenaires legati da PACS (I LFR 2011, art. 6).

Imposte fondiarie

In Francia sono previste due tipologie di imposte fondiarie:

§       la tassa fondiaria sulle proprietà costruite (TFPB);

§       la tassa fondiaria sulle proprietà non costruite (TFPNB).

Queste tasse contribuiscono alla formazione delle risorse fiscali dei comuni.

La tassa fondiaria sulle proprietà costruite (taxe foncière sur les propriétés bâties – TFPB) è disciplinata dal Code général des impôts, artt. 1380 e ss.

La tassa fondiaria sulle proprietà non costruite (taxe foncière sur les propriétés non bâties – TFPNB) è disciplinata dal Code général des impôts, artt. 1393 e ss.

Con riferimento all’imposta fondiaria sulle proprietà costruite (taxe foncière sur les propriétés bâties), l’art. 31 della prima Legge finanziaria correttiva per il 2011 (I LFR 2011) stabilisce alcune modifiche. È in particolare stabilito che i contribuenti tenuti a pagare la tassa fondiaria sulle proprietà costruite (TFPB) con valore di abitazione principale possono godere di uno sgravio fiscale. Hanno diritto a tale beneficio i contribuenti il cui reddito non superi una determinata somma, stabilita all’art. 1417, comma II, del Codice generale delle imposte (l’ammontare totale dei redditi dell’anno precedente a quello in cui è calcolata l’imposta fondiaria non deve essere superiore a 23.572 euro per la prima parte (o quota) del quoziente familiare, aumentata di 5.507 euro per la prima mezza parte supplementare e di 4.334 euro per ogni altra mezza parte considerata per il calcolo dell’imposta sul reddito). Lo sgravio fiscale è uguale alla frazione della quota dell’imposta dovuta superiore al 50% dei redditi del contribuente (Code général des impôts, nuovo art. 1391 B ter, come modificato dall’art. 31 della LFR 2011).

Il proprietario o l’inquilino di un locale ad uso abitativo è inoltre tenuto al pagamento di una speciale imposta, chiamata tassa d’abitazione (taxe d’habitation ), disciplinata dal Code général des impôts, artt. 1407 e ss. Anche questa imposta contribuisce alla formazione delle risorse fiscali dei comuni.

Fiscalità delle imprese

Le più recenti riforme hanno cercato di utilizzare la leva tributaria per migliorare la competitività delle imprese e modellare un “ambiente fiscale” ad esse più favorevole. In particolare la Legge finanziaria per il 2011 (LF 2011) e la IV Legge finanziaria correttiva per il 2010 (IV LFR 2010) hanno disegnato una vera e propria riforma della fiscalità delle imprese, coinvolte, tra l’altro, nel finanziamento del bilancio per il 2011 e della riforma delle pensioni.

Il regime fiscale delle imprese è disciplinato essenzialmente dal Code général des impôts, artt. 205 e ss.

Le società francesi sono assoggettate, in particolare, all’imposte sul reddito d’impresa, sugli immobili, sulla formazione professionale, sull’apprendistato, sui piani di costruzione edile, nonché ad un’imposta fissa (imposition forfaitaire annuelle - IFA) e al contributo economico territoriale che ha sostituito l’imposta locale sugli affari (taxe professionnelle)[24].

La riforma fiscale delle imprese ha toccato in particolare l’imposizione fiscale dei risultati d’impresa, la fiscalità fondiaria e il regime dell’IVA (per quest’ultimo aspetto si rinvia allo specifico paragrafo sull’IVA), oltre ad abolire, dal 1° gennaio 2010, la taxe professionnelle[25].

Imposta sulle società (IS)

All'imposta sul reddito delle società (impôt sur les sociétés – IS) sono assoggettate le società di capitali, le società civili che esercitano attività industriali o commerciali e le associazioni che svolgono attività con scopo di lucro.

Le società francesi possono optare per un regime d’integrazione fiscale, il “regime di gruppo”, che permette ad una società francese (società-madre) d’integrare nei suoi utili imponibili quelli delle sue filiali francesi (società-figlie) delle quali controlli almeno il 95% del capitale. In questo caso la società madre paga l’IS sull’insieme degli utili del gruppo (Code général des impôts, artt. 223A e ss.).

Anche la nuova figura dell’imprenditore individuale a responsabilità limitata (EIRL), istituita nel 2010[26], può optare tra l’imposta sul reddito (IR) e l’imposta sulle società (IS).

L’IS è calcolata principalmente sul totale degli utili annuali realizzati dalla società nei suoi stabilimenti in Francia, in base al principio di territorialità.

Oltre ai redditi di esercizio derivanti dall’attività dell’impresa, altri elementi compongono la base imponibile, tra i quali: ammortamenti, rimanenze, accantonamenti, erogazioni liberali (deducibili almeno in parte), spese di viaggio, vitto, alloggio e rappresentanza (deducibili), spese per mezzi di trasporto, telefoni fissi o mobili (deducibili), appartamenti e terreni non strumentali (deducibili), compensi degli amministratori (deducibili in parte)[27], acquisti di beni e servizi dai “paradisi fiscali”[28], interessi, dividendi, plusvalenze e, tra le altre, spese per la ricerca e lo sviluppo che comportano per una quota percentuale un credito d’imposta, c.d. Credit d’impôt recherche (CIR)[29]. Sono inoltre deducibili altre imposte e tasse relative all’attività, quali le imposte indirette, diverse dall’IVA, su beni e servizi acquistati dalla società in quanto parte del costo d’acquisto, e l’IVA a credito non recuperabile. Viceversa non sono deducibili l’imposta sul reddito e l’addizionale del 3,3%.

Per cifre d’affari annuali[30] superiori o uguali a 7.630.000 euro il tasso d’imposta IS è pari al 33,33% dell’insieme degli utili imponibili. Le imprese con ricavi superiori a tale cifra sono tenute in ogni caso al pagamento di un’addizionale, a titolo di contributo sociale, del 3,3% dell’imposta sulla fascia di reddito che eccede i 763 000 euro (portando così l’aliquota effettiva al 34,43%).

In caso di cifra d’affari annuale inferiore a 7.630.000 euro, il tasso d’IS dipende da condizioni legate al capitale della società:

§       se il capitale è stato versato interamente dagli associati ed è detenuto per almeno il 75% da persone fisiche, il tasso d’imposta è del 15% sui primi 38.120 euro di utili e del 33,33% per gli utili restanti;

§       se il capitale non è stato versato interamente dagli associati ed è detenuto per meno del 75% da persone fisiche, il tasso d’imposta è del 33,33% degli utili[31].

 

La riforma ha previsto inoltre una maggiore trasparenza fiscale del regime d’imposizione delle società di persone (società in nome collettivo, società familiare a responsabilità limitata, società civili professionali e così via) mettendo fine alle doppie imposizioni e alle ottimizzazioni fiscali generate dal precedente sistema[32]. La riforma, che comporterà la scomparsa delle società di persone come soggetto fiscale, si applicherà agli esercizi contabili e ai periodi d’imposizione aperti a partire dal 1° gennaio 2012 (IV LFR 2010, art. 13).

Inoltre sono previste dalla riforma:

§       l’estensione del regime d’imposizione dei redditi accessori, già previsti in materia di utili industriali, commerciali e agricoli, alle società di persone titolari di utili non commerciali (IV LFR 2010, art. 13);

§       l’estensione del regime delle zone franche d’oltremare alle società che facciano parte di un gruppo fiscale integrato con l’applicazione di una riduzione sul risultato imponibile per gli esercizi a partire dal 1° gennaio 2011 (IV LFR 2010, art. 51).

Nell’ambito delle misure varate alla fine del 2011 per ridurre il deficit pubblico, la IV Loi de finances rectificative pour 2011 (IV LFR 2011, art. 30) ha previsto un aumento eccezionale dell’imposta sulle società (IS) con una maggiorazione del 5 per cento dell’ammontare dell’imposta sulle società dovuta dalle imprese che realizzino una cifra d’affari superiori a 250 milioni di euro; tale misura graverà sull’imposta da pagare nel 2012 e nel 2013, a titolo degli esercizi, rispettivamente, del 2011 e del 2012.

Fiscalità fondiaria delle imprese

Le imprese sono tenute, come le famiglie, al pagamento della taxe foncièrerelativa alle proprietà costruite (TFPB) e non costruite (TFPNB). Tali tasse sono dovute dalle imprese sui beni immobili di cui siano proprietarie (es. i locali commerciali, gli stabilimenti, etc.) e il valore locativo catastale contribuisce alla formazione parziale della base di calcolo dell’imposta. Per quanto riguarda la fiscalità fondiaria delle imprese sono state modificate dal 2011 le modalità di calcolo dei valori locativi dei locali commerciali delle imprese in 5 dipartimenti-campione, attraverso l’abbandono del riferimento ad un locale-tipo e l’adozione di una griglia tariffaria, al fine di adeguare le basi imponibili ai valori di mercato (IV LFR 2010, art. 34). La riforma dovrebbe essere estesa a tutto il territorio a partire dal 2014.

Imposta forfettaria annuale

L'imposition forfaitaire annuelle (IFA)è un’imposta diversa dall’imposta sulle società (IS) che deve essere pagata anche in assenza di utili d’impresa (Code général des impôts, artt. 223-septies-223-decies ). In linea di principio ogni impresa soggetta all’IS è anche tenuta al pagamento dell’IFA. Tuttavia diversi tipi d’impresa sono dispensate dall’IFA in ragione dell’attività svolta o di particolari esoneri fiscali di cui godono (ad esempio: gli organismi senza fini di lucro, soggetti all’IS solo sui redditi del loro patrimonio; le nuove società il cui capitale sia costituito almeno per il 50% da apporti in denaro, esonerate per i primi tre anni di attività; nuove società impiantate in particolari zone del territorio o nelle zone franche urbane, esonerate temporaneamente dall’IS; centri di gestione e associazioni autorizzate, jeunes entreprises innovantes, imprese partecipanti ad un progetto di ricerca e sviluppo etc.).

L’IFA costituisce un onere deducibile dal risultato imponibile all’IS, a titolo dell’esercizio contabile in corso al 1° gennaio dell’anno di esigibilità dell’imposta. A titolo dell’esercizio 2011, soltanto le imprese la cui cifra d’affari (CA), maggiorata dei prodotti finanziari, è superiore a 15 milioni di euro sono assoggettabili all’IFA.

L’attuale ammontare dell’imposta, diviso per scaglioni di cifra d’affari (CA), è il seguente:

§       tra 15 milioni e 75 milioni di euro di CA, l’IFA è di 20.500 euro[33];

§       tra 75 milioni e 500 milioni di euro di CA, l’IFA è di 32.750 euro;

§       per cifre d’affari superiori a 500 milioni di euro, l’IFA è di 110 000 euro.

La soppressione dell’IFA, inizialmente prevista per il 2011, è stata rinviata al 2014 (LF 2011, art.20).

Incentivi fiscali: il Credito d’imposta “Ricerca” (CIR)

Secondo uno studio del KPMG[34], la Francia era già nel 2008 al 2° posto per le attività di Ricerca e Sviluppo, con un tasso effettivo negativo di 25,7% grazie al Credit d’impôt recherche (CIR), contro il 13,8% del Regno Unito e il 33,5% della Germania (che non ha il CIR, ma accorda delle sovvenzioni – vedi infra).

Il dispositivo del rimborso immediato del credito d’imposta per la “ricerca” -Credit d’impôt recherche (CIR)[35]-, rafforzato per il periodo 2009-2010 a sostegno delle jeunes entreprises innovantes (JEI) e delle entreprises de croissance “Gazelles” indebolite dalla crisi economica, è stato più volte prorogato, esteso alle PMI in difficoltà economica e messo a punto negli anni successivi.

La Loi de finances 2011 (art. 41)ha trasformato da temporaneo a permanente il CIR e ha precisato i contorni di questo particolare credito d’imposta. In particolare:

§       ha rivisto il calcolo forfettario delle spese di funzionamento (rientrano attualmente nella base di accertamento (assiette) del CIR il 50% delle spese del personale e delle dotazioni per l’ammortamento);

§       ha fissato un tetto massimo alle spese eleggibili a titolo di CIR fino al triplo delle spese direttamente supportate dall’impresa;

§       ha ridotto i tassi di credito, maggiorati nei primi due anni di applicazione del dispositivo (rispettivamente al 40% e al 35%);

§       ha previsto la deduzione delle spese d’intermediazione in proporzione ai vantaggi ottenuti o eccedenti l’assiette del CIR.

Particolari incentivi fiscali

Altri incentivi fiscali che ammettono regimi di totale o parziale esonero fiscale sul reddito sono previsti per le jeunes entreprises innovantes (JEI), il cui capitale sia posseduto per il 50% da persone fisiche, per le PMI in stato di crisi localizzate in determinate aree, per le società soggette a incentivi regionali per lo sviluppo in determinate aree geografiche (ad es. Corsica, Territori d’oltremare, zone urbane depresse, etc.) e per altre tipologie di piccole e medie imprese.

La riforma della fiscalità delle imprese del 2011 ha comportato in particolare:

§       la proroga, per un periodo ridotto a 8 anni complessivi (dai precedenti 14), e riorganizzazione del regime fiscale delle imprese create o “riprese” (riservato alle imprese con meno di 10 dipendenti) nelle zones de revitalisation rurale (ZRR) o delle zones d’aide à finalité régionale (AFR), che prevede un esonero completo d’imposta per i primi 5 anni di vita della nuova impresa, esonero che decresce parzialmente nei successivi 3 anni (LF 2011, art. 129);

§       un credito d’imposta a favore di cointeressenze in imprese con meno di 50 dipendenti, del quale è stato innalzato (LF 2011, art.131) il tasso dal 20 al 30% e ridefinita la base di accertamento (assiette) come la differenza tra l’ammontare dei premi versati per l’esercizio in corso e la media dei premi versati secondo l’accordo di interessenza precedente o comunque all’ammontare dei premi dovuti a titolo dell’esercizio precedente, con valutazioni a livello di ogni società per le società membri di un gruppo fiscale;

§       agevolazioni fiscali per gli auto-imprenditori come, ad esempio, la semplificazione del calcolo della soglia della cifra d’affari (IV LFR 2010, art. 54).

Altri incentivi fiscali: il Credito d’imposta per il “Prestito a tasso zero rafforzato - PTZplus ”

Negli anni recenti sono state introdotte diverse modifiche al “Prestito a tasso zero - PTZ”, creato nel 1995 per favorire l’accesso alla prima casa. Il dispositivo è stato sostituito dal 2011 da un nuovo “Prestito a tasso zero rinforzato – PTZ plus”. La Loi de finances 2011 (LF 2011, art. 90) ha creato, tra l’altro, un nuovo credito d’imposta a favore degli istituti di credito che accordano un “PTZ plus” alle persone fisiche per la costruzione o l’acquisto della loro residenza principale[36]. A partire dal 1° gennaio 2011 il nuovo dispositivo “PTZ plus” e il relativo credito d’imposta hanno sostituito il precedente “PTZ” [37]. Gli interessi del PTZ non possono più essere parzialmente dedotti dall’imposta sul reddito delle persone, ma in compenso il beneficio di tale prestito non è più condizionato ad un livello minimo di risorse ed è ammesso in qualunque luogo si trovi l’alloggio. Anche il credito d’imposta “PTZ plus è la contropartita della rinuncia da parte degli istituti di credito agli interessi (l’ammontare del credito è uguale alla differenza tra la somma attualizzata delle mensilità dovute a titolo dello “PTZplus” e la somma attualizzata delle somme percepite per un prestito di uguale ammontare e di uguale durata a condizioni normali secondo il tasso alla data di emissione dell’offerta di prestito). Le disposizioni per gli istituti di credito si applicano ai prestiti emessi dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2014.

Gli istituti di credito abilitati a rilasciare i prestiti sono convenzionati con lo Stato e le condizioni di attribuzione e le modalità del prestito sono fissate ogni anno con decreto, al quale è allegato uno studio d’impatto, finalizzato a limitare il costo annuale del credito d’imposta “PTZ plus” ad un massimo di 2,6 miliardi di euro.

Un’ulteriore riforma del “PTZ plus è stata introdotta dalla Legge finanziaria 2012 (LF 2012, art. 86) che ha ridotto l’ammontare complessivo destinato al finanziamento di questo dispositivo ed ha previsto un’ammissione al prestito riservata soltanto alle operazioni di compra-vendita relative ad alloggi di nuova costruzione o ad alloggi già esistenti venduti dai locatori « sociali » ai relativi conduttori.

Altre imposte dirette per le imprese

Sono infine da segnalare, tra le altre modifiche più recenti:

§       l’applicazione di un’eccezionale “exit taxe” del 10% sulle riserve di capitale in franchigia d’imposta per le imprese d’assicurazione (LF 2011, art. 23);

§       l’adattamento della tassa sui veicoli delle società ad un nuovo concetto di “veicolo da turismo” per l’applicazione di diversi dispositivi fiscali (LF 2011, art. 24);

§       la creazione di una tassa di “rischio sistemico” sulle banche, che istituisce, a partire dal 2011, una tassa computata sulle esigenze minime in fondi propri, richieste dalla regolamentazione prudenziale e dovute ad un tasso dello 0,25% dalle imprese del settore finanziario per le quali l’ammontare di tali esigenze superi i 500 milioni di euro (LF 2011, art. 42);

§       la creazione di un contributo eccezionale a carico delle imprese del settore petrolifero (I LFR 2011, art. 16);

§       una “exit taxe” sulle plus-valenze sulla cessione delle partecipazioni significative per i contribuenti che trasferiscono il loro domicilio fiscale fuori dal territorio francese (I LFR 2011, art. 48).

Fiscalità locale a carico delle imprese

Dal 1° gennaio 2010 la taxe professionnelle è stata soppressa e sostituita dalla nuova contribution économique territoriale (CET), composta da due tasse a carico delle imprese, la cotisation foncière des entreprises (CFE) e la cotisation sur la valeur ajoutée des entreprises (CVAE), che contribuiranno al finanziamento delle collettività territoriali (LF 2010, art.2). A compensare il mancato introito fiscale derivante alle collettività territoriali dalla riforma,è stata creata anche una imposition forfaitaire sur les entreprises de reseaux (IFER) (LF 2010, art.2, comma 3).

a)   Contributo economico territoriale

Al pagamento della cotisation foncière des entreprises - CFE sono tenute, in linea di principio e salvo i diversi casi di esonero e di riduzione della base imponibile, tutte le persone fisiche e le società che esercitano un’attività professionale autonoma e indipendente al 1° gennaio 2010. L’impresa è obbligata al pagamento della CFE in ogni comune dove disponga di locali o terreni. I comuni sono i soli beneficiari dei proventi della CFE.

La CFE, tassa auto dichiarativa, è calcolata sul valore locativo dei beni immobili assoggettabili alla tassa fondiaria, utilizzati dall’impresa per i bisogni della sua attività nel corso del periodo di riferimento. Il valore locativo corrisponde alla somma stabilita dall’amministrazione fiscale per il calcolo dell’imposta fondiaria[38].

Sono tenuti invece alla cotisation sur la valeur ajoutée des entreprises - CVAE, salvo i diversi casi di esonero, le persone fisiche e le società che esercitino in Francia un’attività professionale autonoma a titolo abituale al 1° gennaio dell’anno d’imposizione e realizzino una cifra d’affari superiore a 152.500 euro.

La CVAE è ripartita tra i comuni (26,5%), i dipartimenti (48,5%) e le regioni (25%).

La CVAE, tassa auto dichiarativa come la CFE, è pari all’1,5% del valore aggiunto prodotto dall’impresa nel corso dell’anno per il quale l’imposta è dovuta (o nel corso dell’ultimo esercizio di dodici mesi compiuti nel corso di quell’anno, se l’esercizio non coincide con l’anno di calendario). Il valore aggiunto corrisponde alla differenza tra la cifra d’affari realizzata e gli acquisti di beni e oneri fiscali deducibili. Non vengono considerati ai fini del calcolo i prodotti e gli oneri finanziari ed eccezionali.

Il valore aggiunto considerato per il calcolo della CVAE è in ogni caso fissato ad un tetto massimo di:

§       80% della cifra d’affari (CA) per l’impresa che realizzi una CA pari o inferiore a 7.600.000 euro;

§       85% della cifra d’affari (CA) per l’impresa che realizzi una CA superiore a 7.600.000 euro.

b)   Imposta forfettaria sulle imprese di rete

L'imposition forfaitaire sur les entreprises de réseaux - IFER[39] è stata invece creata per limitare i guadagni delle grandi imprese di rete che beneficiano appieno della soppressione della tassa professionale (sebbene la loro attività sia assai poco “delocalizzabile”), nonché per limitare il costo della soppressione della tassa professionale per i conti pubblici. La nuova imposta dovrebbe comportare un gettito di circa 1,5 miliardi di euro. Beneficiari dell’imposta sono le collettività territoriali e i loro raggruppamenti, a partire dal 2011.

L’IFER riguarda le imprese in tre settori economici – energia, trasporti ferroviari e telecomunicazioni – e si basa su sette categorie d’impianti, aventi ciascuno proprie regole di base imponibile e di calcolo:

§       per il settore energia sono soggetti all’IFER gli impianti eolici e idroeolici, le centrali nucleari o termonucleari; gli impianti fotovoltaici e idraulici; i trasformatori elettrici;

§       per il trasporto ferroviario è soggetto all’IFER il materiale rotabile destinato al trasporto passeggeri;

§       per il settore telecomunicazioni sono soggetti all’IFER le stazioni radioelettriche e i trasmettitori principali.

Fiscalità ambientale

Tra le diverse iniziative assunte nell’ambito del Grenelle de l’environnement del 2007, una misura significativa è stata rappresentata dall’istituzione di una tassa ecologica per le automobili (LF 2008).

In vigore dal 2008 il bonus/malus ecologico per l’acquisto di autoveicoli “puliti” ha completato il dispositivo messo a punto con la riforma, varata nel 1998, del calcolo della potenza fiscale dei veicoli, che tiene conto anche delle emissioni di biossido di carbonio (CO2), e con la successiva “supertassa CO2”[40]. I veicoli nuovi più “puliti” possono beneficiare di un bonus ecologico, una defiscalizzazione finanziata, in parte, dal malus, supertassa calcolata in base alle emissioni di biossido di carbonio/Km, pagata sui veicoli più “inquinanti” del parco automobili francese (di norma veicoli usati)[41]. Dal 1° gennaio 2009 i veicoli più inquinanti sono inoltre soggetti ad un malus annuale di 160 euro.

Dopo una prima modifica del bonus/malus ecologico già nel 2011, che aveva ridotto i vari premi del bonus e abbassato le soglie per l’applicazione del malus, di 5 gr. di CO2/km per il 2011 e poi di altri 10 grammi supplementari dal 1° gennaio 2012, la Legge finanziaria 2012 (LF 2012, artt. 55 e 56) ha ulteriormente ridimensionato il dispositivo per ridurne il relativo costo per lo Stato. Sono state aumentate le soglie dei malus ecologici più elevati, per i veicoli di gamma alta - il malus di 1.100 euro è portato a 1.300 euro, il malus di 1.600 euro è portato a 2.300 euro, il malus di 2.600 euro è portato a 3.600 euro – e, dal 2° gennaio 2012, è stata abbassata a 190 grammi di CO2/Km la soglia oltre la quale viene applicato il malus annuale.

IVA e accise

La Taxe sur la Valeur Ajoutée (TVA)è disciplinata dal Code général des impôts, artt. 256 e ss; sono previste attualmente quattro tariffe.

L’aliquota ordinaria è attualmente fissata al 19,60% (Code général des impôts, art. 278). La prima legge finanziaria correttiva per il 2012 del 14 marzo 2012 (I LFR 2012, art. 2)ha tuttavia previsto, a partire dal 1° ottobre 2012, l’aumento del tasso normale dell’IVA dal 19,60 al 21, 20 per cento.

Un’aliquota ridotta al 5,5% è prevista per le operazioni riguardanti la produzione e lo scambio di determinati prodotti considerati di prima necessità – prodotti alimentari, abbonamenti a gas ed energia elettrica e alle reti di fornitura di energia, presidii e servizi destinati ai portatori di handicap (Code général des impôts, artt. da 278-0 bis).

Un’aliquota ridotta intermedia al 7% è stata introdotta dal 1° gennaio 2012 (IV LFR 2011, art. 13-III e I LFR 2012, art. 2)per le operazioni, beni e servizi assoggettate in precedenza alla riduzione dell’IVA al 5,5 %, ma non considerati “di prima necessità” (Code général des impôts, artt. da 278 bis a 279 bis).

Un’aliquota ridotta al 2,1% è applicabile per determinate prestazioni, ad esempio ai diritti di ingresso alla prima rappresentazione di un determinato spettacolo artistico e all’acquisto di determinati prodotti farmaceutici (Code général des impôts, artt. da 281-quater a 281-nonies).

Nell’ambito della riforma della fiscalità a favore delle imprese del 2011, è stata data una nuova definizione della cifra d’affari e del valore aggiunto necessari al calcolo dell’IVA e delle riduzioni ed esoneri facoltativi della cotisation foncière des entreprises - CFE e della cotisation sur la valeur ajoutée des entreprises - CVAE (LF 2011, art.108).

È stato inoltre messo a punto un sistema di consolidamento in seno a determinati gruppi fiscali anche per il pagamento dell’IVA. Con il nuovo sistema una sola società di un gruppo fiscale, assoggettato all’IVA, potrà dichiararsi soggetto d’imposta anche per il pagamento dell’IVA dovuta dagli altri membri del gruppo, con il loro accordo. Tale società opererebbe così una forma di compensazione, dichiarando e pagando solo l’ammontare netto dovuto dal gruppo, e potrebbe eventualmente sollecitare e ottenere il rimborso del credito d’imposta dell’IVA di tutto il gruppo (IV LFR 2010, art. 50). Le disposizioni sono entrate in vigore dal 1° gennaio 2012, con la possibilità, in quella data, di scegliere il nuovo sistema che comunque sarebbe applicato a partire dal primo giorno del primo esercizio contabile successivo.

Per ciò che riguarda le accise, sono previste diverse imposte sulla fabbricazione, vendita e circolazione di determinati prodotti di consumo, come ad esempio i prodotti del tabacco e le bevande alcoliche. Tali imposte sono denominate comunemente “accises” e sono disciplinate dal Code général des impôts (artt. 302 B e ss).

È inoltre prevista una “tassa interna di consumo” sui prodotti energetici, tra cui i prodotti petroliferi. La tassa è percepita dalla dogana. Le tariffe della tassa sono fissate dal Code des douanes (art. 265).

La «Taxe sur les transactions financières»

La prima Legge finanziaria correttiva per il 2012 (I LFR 2012, art. 5) ha previsto e disciplinato la tassazione delle transazioni finanziarie con l’obiettivo di assicurare una giusta partecipazione del settore finanziario allo sforzo di raddrizzamento dei conti pubblici, anticipando l’introduzione di un dispositivo analogo a livello europeo. A partire dal 1° agosto 2012, saranno applicate in Francia (Code général des impôts, artt. 235 ter ZD - 235 ter ZD ter) tre tasse relative a: le acquisizioni a titolo di capitale di società quotate in borsa con sede in Francia la cui quotazione di borsa sia superiore a 1 miliardo di euro al 1° gennaio dell’anno d’imposizione; le operazioni finanziarie ad “alta frequenza”; gli acquisti di credit default swaps di uno Stato sovrano.


Germania

Fiscalità delle persone

Imposta sul reddito delle persone fisiche

In Germania, l’imposta sul reddito delle persone fisiche (Einkommensteuer) è disciplinata dall’Einkommensteuergesetz - EStG (Legge sull’imposta sul reddito) nel testo coordinato dell’8 ottobre 2009, modificato da ultimo il 22 giugno 2011. L’imposta ha carattere progressivo e si applica alle seguenti tipologie di reddito:

§      proventi derivanti da attività agricole e forestali (§§ 13-14a EStG);

§      redditi derivanti da attività commerciali o industriali (§§ 15–17 EStG);

§      redditi da lavoro autonomo (§ 18 EStG);

§      redditi da lavoro dipendente (§§ 19–19a EStG);

§      redditi da capitale (§ 20 EStG);

§      proventi da noleggio e leasing (§ 21 EStG);

§      altri proventi (§§ 22–23 EStG).

 

La seguente tabella riassume le aliquote dell’imposta sul reddito per l’anno 2011:

 

Reddito (in euro)

Aliquota

Da 0 a 8.004

0%

Da 8.005 a 52.881

14%

Da 52.882 a 250.730

42%

Oltre 250.730

45%

 

Su tale imposta è applicata, inoltre, un’addizionale di solidarietà sociale (Solidaritätszuschlag) pari al 5,5% (Solidaritätszuschlaggesetz, art. 4).

Ai sensi dell’articolo 106, commi 3 e 5, della Legge fondamentale, le entrate derivanti dall’imposta sul reddito spettano alla Federazione, ai Länder e ai comuni. Questi ultimi ricevono il 15% del gettito dell’imposta sul reddito, mentre il restante 85% è diviso a metà (42,5% ciascuno) tra il Governo federale e i governi dei singoli Länder. Responsabile dell’accertamento e del prelievo dell’imposta sul reddito delle persone fisiche è l’ufficio delle imposte (Finanzbezirk) del distretto in cui è domiciliato il contribuente.


Fiscalità delle imprese

Il sistema riguardante la tassazione delle imprese (Unternehmensbesteuerung) comprende tre categorie di imposte: imposta sui redditi delle società; imposta sul giro d’affari; imposta sul patrimonio.

Imposta sui redditi delle società

L’imposta sui redditi di impresa (ditta individuale, società di persone e società di capitali) è riscossa in tutta la Germania in modo uniforme.

I redditi delle ditte individuali e delle società di persone sono tassati sulla base del “principio della trasparenza” (Transparenzprinzip), in quanto sono assoggettati all’imposta sul reddito (Einkommesteuer) dei soci dell’impresa stessa, ai sensi del § 15, comma 1, periodo 1, n. 2, della Legge sull’imposta sul reddito (Einkommesteuergesetz). Il socio, dunque, sarà chiamato al pagamento dell’imposta sul reddito sulla base delle sue entrate derivanti dalla società di persone.

La tassazione delle società di capitali si basa, invece, sul “principio della separazione” (Trennungsprinzip); gli utili sono assoggettati all’imposta sui redditi delle persone giuridiche (Körperschaftsteuer), ai sensi dell’omonima legge federale (Körperschaftsteuergesetz).

L’aliquota fiscale ordinaria è del 15%; analogamente a quanto previsto per le persone fisiche, anche sull’imposta che grava sulle società è applicata un’addizionale di solidarietà sociale (Solidarietätszuschlag) pari al 5,5%, che porta quindi l’aliquota effettiva al 15,83%.

Anche i dividendi sono soggetti a tassazione. Quelli percepiti da persona fisica non titolare di reddito d’impresa sono soggetti ad una ritenuta a titolo d’imposta con aliquota effettiva del 26,38% (percentuale del 25% aumentata dall’addizionale 5,4%). Per i dividendi percepiti da persona fisica titolare di reddito d’impresa è stabilita, invece, una tassazione del 60%, secondo le aliquote previste per le persone fisiche. I dividendi percepiti da persona giuridica sono esenti da tassazione, ad eccezione di una somma pari al 5% dei dividendi lordi percepiti, a titolo di spese indeducibili.

Imposta locale sugli affari

Le società che esercitano un’attività d’impresa sono inoltre soggette all’imposta locale sugli affari, disciplinata dall’omonima Legge (Umsatzsteuergesetz). L’imposta è calcolata applicando all’aliquota base del 3,5% un moltiplicatore che varia, a seconda delle zone, dal 200% al 490%. L’imposta locale sugli affari non è deducibile dall’imposta sul reddito.

Imposta sui patrimoni immobiliari

Le proprietà immobiliari, sia possedute a titolo privato sia appartenenti al patrimonio aziendale, sono soggette all’imposta locale applicata al valore fiscale dell’immobile. L’imposta è calcolata applicando all’aliquota base dello 0,35% un moltiplicatore che varia, a seconda delle zone, dal 280% all’810%. L’imposta sugli immobili è deducibile dall’imposta sul reddito e dall’imposta locale sugli affari.

Oltre al sistema di tassazione appena delineato, si segnalano – in riferimento agli ultimi anni - due provvedimenti legislativi che hanno interessato la fiscalità societaria, il primo contenente misure di sgravio fiscale, il secondo l’estensione della eco-tassa ad imprese esentate fino a quel momento.

La legge per l’accelerazione della crescita economica, del 22 dicembre 2009 (Gesetz zur Beschleunigung des Wirtschaftswachstums (Wachstumsbeschleunigungsgesetz), ha introdotto alcune misure finalizzate alla semplificazione e all’alleggerimento della gestione fiscale delle piccole e medie imprese:

§      possibilità di dedurre gli interessi fiscali passivi. La soglia di esenzione per il limite degli interessi (Zinsschranke) sulla durata è di tre milioni di euro. Sono considerati deducibili gli interessi passivi che, al netto degli interessi attivi, non eccedano il limite del 30% del EBITDA (utile al lordo di interessi, imposte e ammortamento);

§      possibilità di dedurre ulteriormente le perdite subite a causa del risanamento economico. Anche i nuovi soci possono dedurre le perdite, purché reinvestano nell’impresa o mantengano i posti di lavoro;

§      possibilità di ammortizzare nell’esercizio i beni di valore inferiore a 410 euro. In alternativa è concessa una singola posizione contabile (Sammelposten) per tutti i beni di valore compreso tra 150 e 1000 euro.

La legge finanziaria per il 2010(Gesetz über die Feststellung des Bundeshaushaltsplans für das Haushaltsjahr 2010 -Haushaltsgesetz 2010) ha introdotto l’eco-tassa anche per le imprese che prima ne erano esentate, mentre le compagnie aeree vengono coinvolte nel meccanismo fiscale legato al bilancio di emissioni di anidride carbonica, anticipando così una misura che sarà prevista a livello europeo dal 2013.

La manovra coinvolge le imprese, sia attraverso l’introduzione di una tassa sui carburanti (come compensazione del ricorso all’energia atomica), sia attraverso la partecipazione, a partire dal 2012, del settore bancario ai costi della crisi finanziaria, con la reintroduzione del privilegio fiscale nella procedura fallimentare e con l’obbligo per la Deutsche Bahn (le ferrovie tedesche) di versare un consistente dividendo allo Stato.

IVA e accise

L’imposta sul valore aggiunto (Umsatzsteuer) è regolata in Germania, in ottemperanza con le direttive comunitarie in materia, dalla Umsatzsteuergesetz (UStG), del 26 novembre 1979, modificata da ultimo il 21 luglio 2011 (BGBl. I. S. 1501).[42]

L’aliquota ordinaria dell’IVA è pari al 19% (art. 12 comma 1 UStG) ed è stata progressivamente innalzata nel corso degli anni, salendo in particolare dal 16 al 19% a partire dal 1° gennaio 2007.

L’aliquota ridotta del 7% (art. 12 comma 2 UStG) è riservata ad alcune tipologie di beni e attività commerciali:

§      fornitura di cibo;

§      latte e bevande a base di latte;

§      fornitura di libri, giornali e riviste;

§      trasporto pubblico su percorsi inferiori a 50 km

§      trasferimento, concessione ed esercizio dei diritti derivanti dal diritto d'autore;

§      prestazioni di odontotecnici e dentisti, quali installazioni di protesi e apparecchi ortodontici;

§      biglietti per concerti, spettacoli teatrali e musei, proiezione di film, spettacoli circensi e altre manifestazioni artistiche;

§      prestazioni della associazioni senza scopo di lucro.

Per le aziende è possibile anche pagare l’IVA sottoponendosi ad un calcolo forfettario, senza quindi dover calcolare l’importo in base alle singole fatture, risultante dall’applicazione dell’aliquota del 7% al fatturato dell’azienda (art. 23 UStG).

Sono del tutto esenti dall’IVA alcune specifiche prestazioni (art. 4 UStG), tra le quali:

§      forniture verso paesi extraeuropei;

§      forniture ad aziende comunitarie;

§      vendite e servizi sottoposti alla normativa sulle assicurazioni, scommesse e lotterie, servizi postali;

§      buona parte dei servizi bancari agli individui;

§      servizi postali;

§      trasporto aereo e marittimo;

§      affitto e cessione di terreni;

§      attività medica e ospedaliera, tranne alcune prestazioni odontoiatriche.

Sono inoltre esentate dal pagamento dell’IVA le piccole aziende, il cui fatturato nell’anno solare precedente non abbia oltrepassato i 17.500 euro e che non preveda di superare i 50.000 euro nell’anno in corso (art. 19 UStG).

Secondo i dati dell’istituto federale di statistica, le entrate derivanti dalla riscossione dell’IVA nel 2010 hanno raggiunto la cifra di 136 miliardi di euro, contribuendo in questo modo ad oltre un quarto delle entrate fiscali tedesche[43].

Le accise sono regolate da norme specifiche, a seconda della tipologia di beni a cui si applicano. Originariamente tali imposte gravavano su categorie di beni di lusso, mentre ora colpiscono numerose tipologie di beni di consumo quotidiano e generalizzato. La normativa tedesca, in particolare, prevede la tassazione di combustibili fossili e nucleari, energia, caffè, tabacco e alcolici.

La competenza normativa in materia di accise è della Federazione (Bund) (Grundgesetz, art. 106, comma 1, n. 2,), in quanto è quest’ultima a riscuoterne i proventi. Un’eccezione è rappresentata dalla tassa sulla birra, di competenza regionale. Le tasse sui consumi locali sono invece di competenza dei Länder e il loro gettito va agli enti locali.

Quella che produce il maggior gettito è l’accisa sui combustibili[44]. Fino al 2006 riguardava solo i combustibili fossili, successivamente si è deciso di applicarla anche ai combustibili derivanti da oli vegetali, biodiesel, bioetanolo e idrocarburi sintetici prodotti da biomassa. L’energia elettrica viene tassata separatamente.

Secondo i dati statistici aggiornati al 2010, la tassa sui combustibili, con quasi 40 miliardi di gettito, rappresenta il 7,5% delle entrate fiscali tedesche.[45]

Le altre accise, in ordine di rilevanza, sono quelle che gravano sul tabacco (13,5 miliardi di euro), sull’energia (6 miliardi), sui superalcolici (1,6 miliardi) e sul caffè (1 miliardo). La tassa sulla birra, l’unica – come ricordato - ad essere riscossa dai Länder, produce un gettito di circa 700 milioni di euro.


Regno Unito

Fiscalità delle persone

Imposta sul reddito delle persone fisiche (Income tax)

L’imposta sul reddito (Income tax), attualmente disciplinata dall’Income Tax Act 2007, si applica al reddito complessivo delle persone fisiche residenti nel Regno Unito, ovunque i redditi siano stati prodotti (c.d. world-wide principle). Tale imposta si applica a differenti tipologie reddituali quali – solo per citare i principali - i redditi da lavoro dipendente e da lavoro autonomo, i redditi da pensioni, i redditi da locazione, i dividendi, i capital gains e i redditi percepiti dai trust. Viceversa, hanno diritto all’esenzione le seguenti tipologie: redditi derivanti da assegni di mantenimento ai figli; redditi da interessi su rimborsi fiscali; indennità di maternità; pensioni corrisposte alle vedove di guerra; pensioni di invalidità per i disabili.

Ai fini della determinazione della Income tax, il periodo di imposta nel Regno Unito va dal 6 aprile di ogni anno al 5 aprile dell’anno successivo.

L’imposta è soggetta ad aliquote progressive, per scaglioni di reddito, fino a un massimo del 50%. Per ciascuna categoria di reddito la normativa interna prevede specifiche regole di determinazione del reddito complessivo, partendo dai compensi lordi percepiti ed applicando ad essi le deduzioni personali stabilite per legge.

La seguente tabella riporta le aliquote delle imposte sul reddito delle persone fisiche per l’anno fiscale 2011-2012:

 

Scaglioni di reddito (in sterline)

Aliquote sui redditi diversi da quelli di capitale

Aliquote sui redditi da capitale

Aliquote sui dividendi

Da 0 a 2.560

(Scaglione base per i redditi da capitale)

-

10%

-

Da 0 a 35.000

(Scaglione base)

20%

20%

10%

Da 35.001 a 150.000

40%

40%

32,5%

Oltre 150.000

50%

50%

42,5%

 

Inoltre, per ogni anno di imposta, tutti coloro che risultano fiscalmente residenti nel Regno Unito hanno diritto alla cosiddetta Personal Allowance, che consiste in una detrazione di imposta sul reddito personale dal livello di reddito complessivo, purché questo non superi le 100.000 sterline. Per le due fasce di età più avanzate (65-74 anni; dai 75 in avanti) tale detrazione viene aumentata, a condizione che il reddito complessivo non superi le 24.000 sterline. A partire dall’anno fiscale 2011-2012 le tre soglie di reddito deducibile (quella ordinaria e quelle previste per le persone anziane) sono state elevate di 1000 sterline la prima e di 450 sterline ciascuna delle altre due.

La seguente tabella riassume le Personal Allowances per l’anno di imposta 2011/2012[46]:

 

Personal Allowance
(in sterline)

Limite di reddito
(in sterline)

7.475 (ordinaria)

100.000[47]

9.940 (65-74 anni di età)

24.000

10.090 (oltre 75 anni di età)

24.000

 

La riscossione delle imposte avviene in modo differente, a seconda che il dichiarante sia un lavoratore dipendente o un lavoratore autonomo.

Nel primo caso si applica il cosiddetto sistema PAYE (Pay As You Earn), in base al quale il lavoratore dipendente riceve la propria retribuzione al netto delle ritenute d’acconto prelevate dal datore di lavoro, mentre il saldo definitivo, a credito o a debito, viene determinato annualmente in occasione della presentazione della dichiarazione dei redditi. Analogo criterio viene seguiti per i redditi da pensione.

Per i lavoratori autonomi o nel caso di operazioni fiscali complesse è invece prevista la modalità dell’autodichiarazione (self assessment), che comporta la compilazione e l’invio della propria dichiarazione dei redditi (anche in formato elettronico) all’HM Revenue & Customs (HMRC)[48], (il Dipartimento britannico delle Entrate e delle Dogane).

Tassazione delle rendite finanziarie (Capital gains tax)

Con la prima manovra finanziaria del 2010 approvata dal nuovo Parlamento[49] (Finance (No. 2) Act 2010, del 27 luglio 2010), è stata elevata al 28% l’aliquota della tassa sulle rendite finanziarie (Capital gains tax) per i percettori di redditi elevati (higher taxpayers e additional rate taxpayers), ossia per coloro ai quali si applicano le due aliquote più alte dell’imposta sul reddito (rispettivamente, 40% e 50%). Per gli altri percettori di reddito (basic taxpayers), ossia per quanti dichiarano un reddito inferiore alle 35.000 sterline, l’aliquota della tassa sui capital gains resta pari al 18%. Anche per i redditi provenienti dallo svolgimento di determinate attività economiche sono previste più elevate soglie di esenzione fiscale (fino a 5 milioni di sterline di reddito imponibile per i casi in cui sono applicabili le esenzioni note come Entrepreneur’s relief).

Fiscalità delle imprese

Imposta sul reddito delle persone giuridiche (Corporation tax)

L’imposta sulle società (Corporation tax) è applicata sugli utili delle società di capitali (le companies, enti dotati di piena personalità giuridica ai sensi del Company Act), delle stabili organizzazioni di società non residenti nel Regno Unito (per la quota di utili attribuibile ad esse), delle società cooperative, nonché sui profitti generati da enti di beneficenza o da altri enti privi di personalità giuridica.

Analogamente alle persone fisiche, anche le società sono soggette alla tassa sui capital gains (nel caso delle società, la tassa è denominata “Corporation tax on chargeable gains”), che si applica altresì ad ogni profitto scaturente dall’attività di negoziazione ed investimento (ad eccezione dei dividendi).

Per le società, l’esercizio fiscale va dal 1° aprile di ogni anno al 31 marzo dell’anno successivo. Se, come spesso accade, il periodo contabile di una società non coincide con l’esercizio fiscale, è necessario ripartire gli utili tra i due esercizi fiscali di riferimento, considerato che il contribuente è tenuto a pagare l’imposta entro nove mesi dalla fine del periodo contabile, mentre la dichiarazione dei redditi va presentata entro dodici mesi dalla stessa data.[50]

Tra le misure di agevolazione alle imprese, annunciate nel 2010 dal nuovo Governo Cameron ed orientate a creare le condizioni per la ripresa economica nazionale, è stata previsto un abbassamento della Corporation tax di quattro punti percentuali, dal 28% al 24%, nell’arco di quattro anni, a decorrere dall’aprile 2011. Il minor gettito è bilanciato dalla riduzione della capital allowance, ossia delle detrazioni in conto capitale di cui si avvalgono le imprese.

È inoltre prevista l’applicazione di un’aliquota ridotta, pari al 20%, per le piccole imprese (small companies) con profitti non superiori a £ 300.000. Le società che rilevano utili superiori alla soglia suddetta, ma inferiori alla soglia minima prevista per l’applicazione dell’aliquota ordinaria (£ 1.500.000), hanno diritto di scomputare dall’imposta, calcolata mediante l’applicazione dell’aliquota ordinaria, un tasso marginale di riduzione denominato Marginal Rate Relief, dipendente dalla tipologia di attività esercitata, dal periodo contabile e dal reddito imponibile dichiarato.

La diminuzione del primo punto (dal 28% al 27%) è stata introdotta dal Finance (No. 2) Act 2010, mentre l’ultima legge finanziaria (Finance Act 2011, del 19 luglio 2011) ha ridotto l’imposta del secondo punto, portando così l’aliquota all’attuale 26% per l’anno fiscale 2011-2012 (art. 4 della legge).

Inoltre, l’art. 5 del Finance Act 2011 ha già previsto l’ulteriore (e penultima, secondo il piano del Governo) riduzione dell’1% per l’anno 2012-2013.

IVA e accise

L’imposta sul valore aggiunto (Value Added Tax – VAT) è stata introdotta nel Regno Unito nel 1973 in seguito all’ingresso del Paese nella Comunità Europea. La VAT è attualmente disciplinata dalla Value Added Tax 1994.

Dal punto di vista procedurale, il sistema si basa sull’istituto della rivalsa dell’Iva relativa agli acquisti, che si contrappone all’imposta dovuta sulle operazioni attive compiute, mentre per i soggetti passivi l’obbligo di registrazione ai fini Iva scatta quando il volume di affari, conseguito nei 12 mesi precedenti e relativo alle operazioni imponibili effettuate all’interno del Regno Unito, supera il limite delle 73mila sterline. Qualora il contribuente ritenga che il superamento del suddetto limite sia una circostanza del tutto eccezionale e temporanea, lo stesso potrà richiedere una deroga all’obbligo di registrazione ai fini IVA attraverso la presentazione di un’apposita istanza all’HMRC, nella quale andrà indicato e motivato in dettaglio il carattere di eccezionalità e temporaneità delle operazioni compiute.

L’art. 3 del Finance (No. 2) Act 2010 ha aumentato di 2,5 punti l’aliquota ordinaria IVA, che è dunque salita dal 17, 5% al 20% a decorrere dal 4 gennaio 2011.

La legislazione britannica prevede inoltre un’aliquota ridotta, pari al 5%, per i seguenti beni e servizi:

§      sedili auto per bambini;

§      carburante per uso domestico;

§      materiali e installazioni a risparmio energetico;

§      materiali per il riscaldamento;

§      fornitura di gas;

§      ristrutturazione di immobili e modifiche alla destinazione d’uso degli edifici;

§      prodotti sanitari femminili.

Sono invece esenti dalla VAT alcune tipologie di beni e servizi, tra le quali:

§      prodotti per l’infanzia;

§      prodotti editoriali (libri e giornali);

§      alimenti;

§      locazione di terreni e fabbricati;

§      servizi di istruzione ed educazione;

§      servizi medici;

§      servizi postali forniti dalla Royal Mail.

 

Al fine di contrastare le frodi nel settore delle accise, dal 1° ottobre 2006 il Regno Unito impone l’applicazione di speciali contrassegni sulle bevande alcoliche destinate al mercato interno. Pertanto tutti prodotti alcolici, vini o vini fabbricati con aggiunta di alcole, aventi una gradazione uguale o superiore a 30% vol. e contenuti in recipienti di capacità da 35 cl o superiori, dovranno essere muniti di un particolare “sigillo” (stamp duty) volto a dimostrare l’avvenuto pagamento dell’accisa.

Sempre sul versante della lotta alle frodi fiscali, il Finance (No. 3) Act 2010, del 16 dicembre 2010 (in vigore dal 1° aprile 2011) ha previsto nuove misure di rafforzamento dei poteri di controllo per porre un freno all’evasione delle accise (art. 29 e allegato 13).


Spagna

Fiscalità delle persone

Imposta sul reddito delle persone fisiche

L’imposta sul reddito delle persone fisiche (Impuesto sobre la Renta de las Personas Físicas-IRPF) è disciplinata dalla Ley 35/2006 e dal relativo regolamento contenuto nel Real Decreto 439/2007.

La Ley 39/2010, de 22 de diciembre, de Presupuestos Generales del Estado para el año 2011(legge di bilancio per il 2011) ha aggiunto due nuove aliquote alle quattro previste dalla legge del 2006 (art. 63): una quinta aliquota del 44% per i redditi superiori a 120.000,20 euro e una sesta aliquota del 45% per i redditi superiori a 175.000,20 euro.

In sintesi, le aliquote IRPF per il 2011 sono le seguenti:

Reddito (in euro)

Aliquota

Da 0 a 17.707,20

24%

Da 17.707,21 a 33.007,20

28%

Da 33.007,21 a 53.407,20

37%

Da 53.407,21 a 120.000,20

43%

Da 120.000,21 a 175.000,20

44%

Oltre 175.000,20

45%

La seconda disposizione finale del Real Decreto-ley 20/2011, de 30 de diciembre, de medidas urgentes en materia presupuestaria, tributaria y financiera para la corrección del déficit público ha aggiunto una trentacinquesima disposizione aggiuntiva alla citata legge 35/2006, stabilendo delle addizionali temporanee alle predette aliquote rispettivamente dell0 o,75%, del 2%, del 3%, del 4%, del 5%, del 6% e del 7% (distinguendo in quest’ultimo caso i redditi tra 175.000,21 e 300.000,20 euro ed oltre tale cifra). Pertanto le aliquote IRPF complessive per il 2012 e per il 2013 sono le seguenti:

 

Reddito (in euro)

Aliquota

Da 0 a 17.707,20

24,75%

Da 17.707,21 a 33.007,20

30%

Da 33.007,21 a 53.407,20

40%

Da 53.407,21 a 120.000,20

47%

Da 120.000,21 a 175.000,20

49%

Da 175.000,21 a 300.000,20

51%

Oltre 300.000,20 euro

52%

Imposta patrimoniale

L’imposta patrimoniale (Impuesto sobre el Patrimonio), disciplinata dalla Ley 19/1991, è stata di fatto soppressa a decorrere dal 1° gennaio 2008. L’art. 33 della legge, come modificato dalla Ley 4/2008, ha disposto infatti un bonus del 100% sulla quota intera dell’imposta per i soggetti passivi obbligati al pagamento.

Tuttavia il Real Decreto-ley 13/2011, de 16 de septiembre, por el que se restablece el Impuesto sobre el Patrimonio, con carácter temporal, ripristinando la precedente versione dell’art. 33 (quella vigente fino al 2008), ha mantenuto tale imposta con carattere temporaneo per gli anni 2011 e 2012. Il 1° gennaio 2013, salvo ovviamente ulteriori modifiche che dovessero essere approvate nel frattempo, tornerà infatti in vigore il testo dell’art. 33 così come formulato dalla Legge 4/2008 e verrà dunque sancita la definitiva abolizione dell’imposta.

L’imposta grava sui contribuenti con redditi superiori a 700.000 euro, con un’esenzione di 300.000 euro per il valore dell’abitazione principale (vivienda habitual) ed è applicata con aliquote comprese tra lo 0,2% e il 2,5%. Il gettito proveniente dalle nuove imposte è riscosso dai Governi delle Comunità autonome, che sono anche autorizzati a modificare le aliquote e le soglie di esenzione.

Fiscalità delle imprese

Tassazione dei redditi d’impresa

L’Impuesto sobre sociedades è regolata dal Real Decreto Legislativo 4/2004.

L’aliquota dell’imposta sul reddito delle società è dal 2008 del 30%. Per il periodo impositivo iniziato il 1° gennaio 2011, alle piccole e medie imprese (Empresas de Reducida Dimensión) con fatturazione fino a 10 milioni di euro è applicabile un’aliquota ridotta del 25% per la base imponibile fino a 300.000 euro (restando del 30% per la quota che supera tale cifra). Analogamente alle imprese con fatturazione fino a 5 milioni di euro e con meno di 25 dipendenti sono applicabili due aliquote ridotte: 20% fino a 300.000 euro, 25% per la restante base imponibile. Tale ultima misura è stata estesa anche al 2012 dal citato decreto-legge 20/2011.

L’art. 9 del Real Decreto-Ley 9/2011 ha introdotto alcune novità in materia di imposta sulle società. Le misure adottate sono rivolte soprattutto alle grandi aziende e non comportano aumenti impositivi, modificando solo alcuni aspetti, quali i pagamenti frazionati.

Imposte a carico delle persone fisiche e giuridiche

Imposta sugli immobili

L’Impuesto sobre Bienes Inmuebles (IBI) è disciplinata dalla Ley Reguladora de las Haciendas Locales di cui al Real Decreto Legislativo 2/2004 (artt. 60 e ss.), nonché dalla Ley del Catastro Inmobiliario di cui al Real Decreto Legislativo 1/2004.

Essa è dovuta dalle persone fisiche e giuridiche proprietarie di immobili; l’aliquota varia a seconda del comune interessato.

Il citato decreto-legge 20/2011 ha disposto un incremento del gravame del 10% per gli immobili con revisione catastale anteriore al 2012.

Imposta sulle attività produttive

L’Impuesto sobre Actividades Económicas è un’imposta comunale che grava su tutte le attività economiche di persone fisiche e giuridiche ed è disciplinata dal Real Decreto Legislativo 1175/1990 e dalla Ley Reguladora de las Haciendas Locales di cui al Real Decreto Legislativo 2/2004 (artt. 78 e ss.). Essa consiste in un importo forfettario stabilito dall’ente territoriale competente a seconda del territorio in cui si esercita l’attività, a cui si aggiungono o sottraggono dei coefficienti correttivi.

IVA, accise ed altre imposte indirette

L’Impuesto sobre el valor añadido (IVA) è regolata dalla Ley 37/1992 e dal relativo regolamento di cui al Real Decreto 1624/1992.

A partire dal 1° luglio 2010, essa comprende tre aliquote: 18% (ordinaria); 8% (ridotta), prevista tra l’altro per alcuni prodotti alimentari e sanitari e per il trasporto passeggeri, 4% (superridotta) per i prodotti di prima necessità, come verdure, latte, pane, frutta, e per libri, riviste e specialità farmaceutiche. In precedenza le aliquote previste erano rispettivamente: 16%, 7% e 4%.

Il Real Decreto-Ley 9/2011 ha disposto, alla quarta disposizione transitoria, che per il periodo compreso tra il 20 agosto 2011 e il 31 dicembre 2011 si applichi l’aliquota superridotta del 4% (in luogo di quella dell’8%) alle consegne di immobili residenziali (inmuebles destinados a vivienda). Tale ultima misura è stata estesa anche al 2012 dal citato decreto-legge 20/2011.

Esistono inoltre diverse accise (Impuestos especiales), previste dalla Ley 38/1992 e dal relativo regolamento di cui al Real Decreto 1165/1995. Tra queste, le imposte speciali di fabbricazione su alcool e bevande alcoliche, idrocarburi, prodotti del tabacco, elettricità.

Sempre nell’ambito dell’imposizione indiretta, da quasi 20 anni è in vigore l’imposta sui trasferimenti patrimoniali (Impuesto sobre Transmisiones Patrimoniales y Actos Jurídicos Documentados), disciplinata dal Real Decreto Legislativo 1/1993 e dal relativo regolamento di cui al Real Decreto 828/1995. Essa prevede tre aliquote: 7%, per i beni immobili e diritti reali su immobili; 4%, per beni mobili o semimobili; 1%, per diritti reali di garanzia, prestiti e cessione di crediti.

La riforma del finanziamento e della fiscalità delle Comunità autonome

In Spagna, le Comunità autonome godono di “autonomia finanziaria, per lo sviluppo e l’esecuzione delle loro competenze con riguardo ai principi di coordinamento con la finanza statale e di solidarietà fra tutti gli spagnoli” (art. 156 della Costituzione). Le entrate delle Comunità sono “costituite da:

a)   imposte cedute totalmente o parzialmente dallo Stato, addizionali su imposte statali e altre partecipazioni nelle entrate statali;

b)   proprie imposte, tasse e contributi speciali;

c)   contributi di un fondo di compensazione interterritoriale e altre assegnazioni a carico del Bilancio generale dello Stato;

d)   rendite derivanti dal loro patrimonio ed entrate di diritto privato;

e)   proventi di operazioni di credito” (art. 158 Cost.).

A partire dagli anni ’90 sono state attuate alcune riforme del sistema fiscale, ispirate ai principi del federalismo fiscale, che hanno ridotto la dipendenza dai trasferimenti statali. L’autonomia finanziaria è stata ampliata con la cessione di maggiore tributi statali, inclusi i relativi poteri impositivi. I tributi ceduti sono di titolarità nazionale, ma lo Stato ha effettuato una cessione alle Comunità di alcune competenze.

Da ultimo, la Legge 22/2009, a carattere ordinario, ha disciplinato il nuovo sistema di finanziamento delle quindici Comunità di regime comune (con esclusione solamente dei Paesi baschi e della Navarra) e delle Città autonome di Ceuta e di Melilla, mentre la Legge organica 3/2009 ha apportato le dovute modifiche alla precedente Legge organica 8/1980 sul finanziamento delle Comunità autonome.

In aggiunta ai principi costituzionali dell’autonomia finanziaria delle Comunità autonome, del coordinamento con la finanza statale e della solidarietà tra i cittadini, sanciti dall’art. 156 della Costituzione e sviluppati dalla legge organica 8/1980, la Legge organica 3/2009 ha aggiunto altri due principi:

1)   la garanzia di un livello base equivalente nel finanziamento dei servizi pubblici fondamentali, indipendentemente dalla Comunità autonoma di residenza;

2)   la corresponsabilità delle Comunità autonome e dello Stato, in accordo con le loro competenze in materia di entrate e di spese pubbliche.

L’attuazione del primo principio si realizza mediante la creazione del Fondo di Garanzia dei Servizi Pubblici Fondamentali (Fondo de Garantía de Servicios Públicos Fundamentales), che ha il fine di assicurare alle diverse Comunità le medesime risorse per abitante, con riguardo a servizi pubblici fondamentali come l’istruzione, la sanità e i servizi sociali essenziali. L’introduzione del nuovo fondo determina la modifica del preesistente Fondo di Sufficienza (Fondo de Suficiencia), che viene destinato a coprire la differenza tra le necessità di spesa di ogni singola Comunità e la somma di tutte le loro risorse tributarie e dei trasferimenti che esse ricevono dal Fondo di Garanzia dei Servizi Pubblici Fondamentali; cambia anche la denominazione del fondo, rinominato Fondo di Sufficienza Globale (Fondo de Suficiencia Global), in quanto destinato ad assicurare le necessità di finanziamento delle Comunità in relazione a tutte le competenze esercitate.

Il principio della corresponsabilità fiscale tra Stato e Comunità autonome riceve invece un’ulteriore spinta dall’aumento della quota di tributi statali ceduti alle Comunità autonome e dal conseguente ampliamento delle competenze normative ad esse assegnate. In particolare:

§       la cessione parziale dell’IRPF (Impuesto sobre la Renta de las Personas Físicas) passa dal 33% al 50%;

§       la cessione parziale dell’IVA (Impuesto sobre el Valor Añadido) passa dal 35% al 50%;

§       la percentuale di cessione delle diverse Imposte di Fabbricazione (Impuestos Especiales de Fabricación) passa dal 40% al 58% (accise sui tabacchi, sugli alcolici e gli altri prodotti intermedi e sugli idrocarburi).

Un altro punto degno di menzione nella legge organica 3/2009 è costituito dalla definizione delle incompatibilità tra tributi locali e statali: non si fa più riferimento alla “materia imponibile” ma più limitatamente al “fatto imponibile”, al fine di ridurre la conflittualità tra Stato e Comunità autonome nella ripartizione dei tributi.

A sua volta la legge 22/2009, oltre a completare e a trattare in dettaglio, per la sua parte, i punti della riforma esposti, ha disciplinato due nuovi fondi di convergenza autonomica (fondos de convergencia autonómica), creati con risorse aggiuntive dello Stato, sempre al fine di garantire l’uguaglianza tra i cittadini e favorire l’equilibrio economico e territoriale delle Comunità autonome.

In dettaglio, sono stati istituiti: il Fondo di Competitività (Fondo de Competitividad), inteso a rafforzare l’equità e l’efficienza nel finanziamento delle necessità dei cittadini e ridurre le differenze nelle risorse pro capite tra le Comunità, incentivando al contempo l’autonomia e la capacità fiscale delle regioni; il Fondo di Cooperazione (Fondo de Cooperación), che ha il fine ultimo di equilibrare e armonizzare lo sviluppo regionale, stimolando la crescita della ricchezza e la convergenza tra le Comunità autonome in termini di reddito.

La legge 22/2009, infine, con riguardo alla cessione di altri tributi statali, introduce alcune modifiche relative all’imposta sui trasferimenti patrimoniali e gli atti giuridici documentati, alla tassa sulle riffe, tombole, scommesse e combinazioni aleatorie, all’imposta sull’elettricità e all’imposta speciale su determinati mezzi di trasporto.

In attuazione del nuovo sistema di finanziamento regionale, si è resa quindi necessaria l’approvazione nel 2010 di quindici leggi di modifica degli statuti di autonomia delle singole Comunità autonome[51], al fine di recepire il nuovo regime generale di cessione dei tributi dello Stato, che prevede l’aumento della quota di gettito ceduto alle regioni in relazione ad alcune imposte. In particolare è stata inserita, in ciascuno degli statuti delle Comunità, la cessione parziale dell’IRPF al 50%, la cessione parziale dell’IVA al 50% (ad eccezione delle Isole Canarie) e la percentuale di cessione delle diverse imposte di fabbricazione al 58%.

È stato infine ceduto interamente alle comunità autonome il gettito relativo alle seguenti imposte: imposta sul patrimonio, imposta sulle successioni e donazioni, imposta sui trasferimenti patrimoniali e gli atti giuridici documentati, imposta speciale sull’elettricità, imposta speciale su determinati mezzi di trasporto (ad eccezione delle Canarie), imposta sulle vendite al dettaglio di determinati idrocarburi (ad eccezione delle Canarie), tributi su giochi e scommesse.

Approvazione della Legge organica in materia di stabilità di bilancio e sostenibilità finanziaria

La Ley Orgánica 2/2012, de 27 de abril, de Estabilidad Presupuestaria y Sostenibilidad Financiera ha dato attuazione all’art. 135 della Costituzione, come modificato nel 2011, in materia di stabilità di bilancio.

La legge fissa i principi vincolanti per i pubblici poteri, a cui deve adeguarsi la politica di bilancio del settore pubblico orientata alla stabilità di bilancio e alla sostenibilità finanziaria, nonché i relativi procedimenti di effettiva applicazione. Tale politica concerne le pubbliche amministrazioni: l’Amministrazione centrale (Stato e organi dell’Amministrazione centrale), le Comunità autonome, gli enti locali, le amministrazioni della Sicurezza sociale, nonché enti pubblici imprenditoriali, società commerciali e altri enti di diritto pubblico dipendenti dalle pubbliche amministrazioni. I principi stabiliti dalla legge sono i seguenti: stabilità di bilancio, sostenibilità finanziaria, pluriannualità, trasparenza, efficienza nell’assegnazione e utilizzazione delle risorse pubbliche, lealtà istituzionale. Lo Stato e le Comunità autonome potranno incorrere nel deficit strutturale solo in caso di catastrofi naturali, recessione economica grave o situazioni di emergenza straordinaria che sfuggono al controllo delle pubbliche amministrazioni e pregiudicano considerevolmente la loro situazione finanziaria o la sostenibilità economica o sociale, previa approvazione da parte della maggioranza assoluta del Congresso dei deputati.

Il Governo potrà, infine, sottoporre al vaglio del Tribunale costituzionale tutte le disposizioni normative e le risoluzioni adottate dagli organi delle Comunità autonome, nonché gli stessi bilanci di ciascuna Comunità, che violino i principi del nuovo articolo 135 della Costituzione.

 



[1]     L’imposta colpiva nella misura del 7,5 per mille il patrimonio imponibile e nella misura del 15% la parte del reddito superiore al 6% del patrimonio.

[2]     L’Anagrafe Immobiliare Integrata costituisce un archivio informatizzato dei beni immobili, riguardante le caratteristiche intrinseche degli stessi (ubicazione, consistenza, rappresentazione grafica, valore fiscale) ed i diritti reali, di godimento e di garanzia, con l'indicazione dei relativi soggetti titolari. L’integrazione delle informazioni riguarda la rappresentazione degli immobili, la loro collocazione sul territorio, le variazioni delle caratteristiche oggettive nonché i dati sul possesso e sui vincoli che gravano sugli immobili. Per garantire la correttezza delle informazioni, gli aggiornamento si basano, non solo sulle dichiarazione delle parti, ma sul riscontro con i documenti e le banche dati certificate di riferimento.

[3]     I processi di revisione del classamento e delle rendite delle unità immobiliari di proprietà privata sono stati avviati con Determinazione 30 novembre 2005, per il comune di Milano; con Det. 30 novembre 2005, per il comune di Ferrara; con Det. 30 novembre 2005 per il comune di Casale Monferrato; con Det. 31 maggio 2006 per il comune di Cervia; con Det. 31 maggio 2006 per i comuni di Perugia, Spello e Spoleto; con Det. 31 maggio 2006 per il comune di Orvieto; con Det. 31 maggio 2006 per il comune di Bari; con Det. 30 novembre 2006 per i comuni di Mirandola e Ravarino; con Det. 31 maggio 2007 per il comune di Atri; con Det. 30 novembre 2007 per il comune di Todi; con Det. 26 maggio 2010 per il comune di Bassano del Grappa; con Det. 29 novembre 2010 per il comune di Lecce; con Det. 30 novembre 2010 per il territorio di Roma Capitale.

[4]     http://www.finanze.gov.it/export/download/novita2012/RapportoAnnuale2011_Dati.pdf

[5]     http://www.senato.it/commissioni/4568/106760/347014/sommarioindagini.htm

[6]     http://www.tesoro.it/documenti/open.asp?idd=28962

[7]     Ardizzi, Petraglia, Piacenza, Turati: La misurazione dell’economia sommersa attraverso l’approccio della domanda di circolante: una reinterpretazione della metodologia con un’applicazione all’Italia, Tema di discussione n. 864, aprile 2012.

[8]     http://www.tesoro.it/documenti/open.asp?idd=28892

[9]     Per una descrizione analitica dei medesimi reati, si veda il sito dell’Agenzia delle entrate: http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/content/Nsilib/Nsi/Documentazione/Reati+tributari/

[10]    Si tratta delle seguenti fattispecie: art. 2, Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; art. 3, Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici; art. 4, Dichiarazione infedele; art. 5, Omessa dichiarazione; art. 8, Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; art. 10, Occultamento o distruzione di documenti contabili.

[11]    Si tratta delle seguenti fattispecie: art. 2, Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; art. 3, Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici; art. 4, Dichiarazione infedele; art. 5, Omessa dichiarazione; art. 8, Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; art. 10, Occultamento o distruzione di documenti contabili.

[12]    Il documento di consultazione ed I pareri sono reperibili al seguente indirizzo internet: http://www.oecd.org/document/52/0,3746,en_2649_33747_49679284_1_1_1_1,00.html

[13]http://ec.europa.eu/taxation_customs/resources/documents/taxation/vat/key_documents/communications/com_2011_851_en.pdf

[14]    Si tratta di quattro categorie di operazioni: acquisti di beni, acquisti di servizi, cessione di beni, prestazioni di servizi. E’ sufficiente superare il limite di una sola categoria per ricadere nell’obbligo mensile di presentazione degli elenchi.

[15]    http://www.eea.europa.eu/publications/environmental-tax-reform-in-europe

[16]    http://www.istat.it/it/archivio/8805

[17]    Il 10 novembre 2011 la Commissione Finanze della Camera dei deputati ha approvato il Libro verde della Commissione UE.

[18]    Ora soppresso e trasformato in Agenzia per lo sviluppo del settore ippico (ASSI) dall'articolo 14, comma 28, del decreto-legge n. 98/2011.

[19]    Si ricorda che la costituzione di una Commissione parlamentare bicamerale per l’esame di decreti legislativi attuativi è stata, da ultimo, prevista dalla legge 5 maggio 2009, n. 42, recante delega al Governo in materia di federalismo fiscale.

[20]    Cfr. la scheda informativa “il quoziente familiare” sul sito Service public.it: http://vosdroits.service-public.fr/particuliers/F2705.xhtml#N100CF. Cfr. anche Luca Conte Papuzzi, “In Francia il quoziente familiare riduce la progressività” (2007), articolo pubblicato sul sito “Fisconelmondo.it”: http://www.famiglienumerose.org/news_files/Francia_qfam.pdf.

[21]    L’ISF è un’imposta dichiarativa e auto-liquidata. Entro il 15 giugno le persone assoggettate all’ISF devono esse stesse fare una stima dettagliata del valore dei loro beni al 1° gennaio dell’anno di riferimento, calcolare l’ammontare dell’imposta e inviare la loro dichiarazione, accompagnata dal pagamento all’ordine del Tesoro Pubblico, al servizio delle imposte delle imprese da cui dipende il loro domicilio. Per un approfondimento sull’attuale ISF si segnala la scheda su L’impôt de solidarité sur la fortune sul portale Impots.gouv.fr.

[22]    È stato calcolato che con la riforma circa 300.000 francesi non saranno più tenuti all’ISF.

[23]    Per un approfondimento sulla fiscalità applicata ai diritti di successione e le relative riduzioni ammesse si segnala la scheda del portale d’informazione giuridica Net-IRIS relativa al Barème des droits de succession.

[24]    Per una descrizione generale dell’imposizione fiscale delle società in Francia, si segnala dallo studio Deloitte - Confindustria, Imposizione societaria - Regimi fiscali a confronto, giugno 2011, il capitolo dedicato alla Francia (pp. 25-33).

[25]    La taxe professionnelle è stata abolita dalla Loi de finances 2010, n.2009-1673 (LF 2010). Accusata dagli imprenditori di penalizzare i loro investimenti e di favorire le “delocalizzazioni”, la taxe era versata dalle imprese e serviva a finanziare soprattutto le collettività territoriali ed altri organismi, quali le camere di commercio o le camere dei mestieri. Per le imprese gli effetti della riforma sono stati immediati. Per le collettività territoriali, l’attuazione si sta realizzando in due tappe: nel 2010 le collettività territoriali hanno percepito il prodotto della tassa professionale con la garanzia di un gettito non inferiore a quello percepito nel 2009, in modo che i bilanci 2010 non fossero colpiti dalla riforma; a partire dal 2011, le collettività territoriali beneficiano delle nuove imposte a loro favore, per un ammontare totale almeno equivalente a quello delle precedenti entrate fiscali.

[26]    Loi n. 2010-658 du 15 juin 2010 relative à l’entrepreneur individuel à responsabilité limité. Il nuovo dispositivo previsto dalla legge permette all’imprenditore di dichiarare, al registro di commercio o al repertorio dei mestieri, secondo il caso, la lista dei beni che egli intende destinare all’attività professionale, distinguendoli dal suo patrimonio personale. La riforma permette quindi di proteggere il patrimonio personale dell’imprenditore in caso di difficoltà.

[27]    Nell’ambito delle uscite deducibili dal reddito imponibile delle società figurano, tra gli altri, i gettoni di presenza per gli amministratori non dipendenti della società ed altre forme di compenso e remunerazioni, deducibili per una parte. Tali deducibilità sono state progressivamente ridotte, ad esempio dal 2009 la deduzione fiscale delle liquidazioni (parachutes dorés) concesse dalle società anonime quotate in borsa ai presidenti, direttori generali, amministratori delegati o membri dei direttivi è stata limitata solo ad una quota di tali liquidazioni che non deve superare, per ogni beneficiario, sei volte il tetto annuale della sicurezza sociale (LF 2009, art. 21).

[28]    Dal 1° gennaio 2010 sugli acquisti (prima deducibili) da Paesi “non cooperativi”, ossia Paesi extracomunitarisenza accordi di scambio d’informazioni con la Francia, viene applicata una ritenuta alla fonte del 50%.

[29]    Vedi infra.

[30]    La cifra d’affari (CA) rappresenta la somma degli affari (escluse le tasse) realizzati dall’impresa con i terzi nell’esercizio della sua normale attività professionale normale e corrente. La CA permette di apprezzare la dimensione dell’impresa e corrisponde alla somma delle vendite di merci, prodotti fabbricati, delle prestazioni di servizi e dei prodotti delle attività collegate.

[31]    I dati sono tratti dalla pagina web su l’impôt des sociétés del portale dell’amministrazione fiscale francese Impots.gouv.fr.

[32]    La riforma armonizza il regime delle società di persone con quello degli altri Paesi UE attraverso la determinazione del reddito imponibile e un’imposizione fiscale calcolati sui risultati d’impresa a livello di associati (a differenza del precedente sistema che operava il calcolo fiscale a livello di società, ma l’imposizione a livello di associato).

[33]    Fino a 15 milioni di euro l’IFA non è dovuta.

[34]    KPMG, Choix concurrentiels 2008. Guide pour la localisation des entreprises à l’échelle internationale : comparaison de la compétitivité de 10 pays pour les coûts d’implantation et d’activités d’une entreprise (Allemagne, Australie, Canada, Etats-Unis, France, Japon, Italie, Mexique, Pays-Bas, Royaume-Uni)

[35]    In Francia il credito d’imposta “ricerca” (crédit d’impôt recherche - CIR) è un’agevolazione fiscale destinata ad incoraggiare le imprese in materia di R&S. Il CIR consiste in una riduzione d’imposta calcolata in funzione delle spese di R&S dell’impresa. L’eccedenza del CIR non ancora impegnato fa nascere un credito nei confronti dello Stato che l’impresa può utilizzare.

[36]    Il prestito “PTZplus” non può essere concesso che per l’abitazione principale e a persone fisiche che non siano state proprietarie di alloggio nei due anni precedenti l’emissione dell’offerta di prestito. La legge prevede alcune eccezioni per i titolari di una carta d’invalidità, per coloro che beneficiano di un sussidio per handicappati o per le vittime di catastrofi che abbiano reso inabitabile la loro residenza principale. Per approfondimenti sul precedente “PTZ” e sull’attuale “PTZplus” si segnala il sito internet PTZplus.

[37]    Il precedente credito d’imposta sugli interessi del credito sopportati per l’acquisto o la costruzione dell’abitazione principale (il cui rimborso era previsto secondo il precedente dispositivo) si applica ancora solo ai prestiti oggetto di un’offerta emessa prima del 1° gennaio 2011, con riserva che l’abitazione venga acquistata al più tardi entro il 30 settembre 2011 o, entro la stessa data, venga avviato il cantiere di costruzione.

[38]    Ulteriori informazioni sulle due tasse del contributo economico territoriale sono reperibili nelle pagine web dedicate a La cotisation foncière des entreprises e alla cotisation sur la valeur ajoutée des entreprises sul sito dell’Agence pour la creation d’entreprises - APCE.

[39]    Per un approfondimento sull’IFER e sui possibili effetti dell’applicazione dell’imposta si segnala L’imposition forfaitaire sur les entreprises de reseaux (IFER), Allegato IX al Rapport Durieux, presentato a maggio 2010 al termine di una Mission voluta dai Ministri dell’economia e del Bilancio su l’Evaluation des effets de la réforme de la taxe professionnelle sur la fiscalité des collectivités locales et sur les entreprises.

[40]    La nuova tassa ecologica ha sostituito la “Supertassa CO2”, istituita nel 2004 per penalizzare i veicoli più inquinanti.

[41]    Il governo francese sperava che il bonus/malus fosse “neutro” in termini fiscali, ma il successo della misura è stato tale da far lievitare i costi a carico dello Stato francese, con l’aumento, tra l’altro, della vendita delle piccole autovetture meno inquinanti e la diminuzione degli acquisti delle automobili di grossa cilindrata.

[42]    Uno studio approfondito ed aggiornato riguardante l’IVA in Germania e negli altri paesi europei, in funzione di una sua possibile riforma, è stato commissionato dal Ministero delle Finanze ad un gruppo di economisti delle Università di Erlangen-Nürberg, Saarland e Mainz. Il volume, dal titolo Analyse und Bewertung der Strukturen von Regel- und ermäßigten Sätzen bei der Umsatzbesteuerung unter sozial-, wirtschafts-, steuer- und haushaltspolitischen Gesichtspunkten, è stato pubblicato nel settembre 2010 ed è consultabile all’indirizzo http://www.bundesfinanzministerium.de/nn_54192/DE/Presse/Pressemitteilungen/Finanzpolitik/2010/09/20100923-PM33-Gutachten,templateId=raw,property=publicationFile.pdf.

[43]    Istituto statistico federale, Entrate fiscali tedesche negli ultimi 3 anni, http://www.destatis.de/jetspeed/portal/cms/Sites/destatis/Internet/DE/Content/Statistiken/FinanzenSteuern/Steuern/Steuerhaushalt/Tabellen/Content75/KassenmaessigeSteuereinnahmen,templateId=renderPrint.psml

[44]    Testo vigente della Energiesteuergesetz è disponibile all’indirizzo http://www.gesetze-im-internet.de/energiestg/index.html.

[45]    Statistico federale, Entrate fiscali tedesche, cit. Uno studio sull’evoluzione delle entrate fiscali derivanti dalla tassa sui combustibili è stato pubblicato dal Ministero delle Finanze nel 2009, ed è consultabile all’indirizzo

http://www.bundesfinanzministerium.de/nn_4192/DE/BMF__Startseite/Service/Downloads/Abt__IV/060,templateId=raw,property=publicationFile.pdf.

[46]    Il sistema fiscale britannico prevede anche altre personal allowances, come, ad esempio, quelle per i non vedenti.

[47]    A partire dall’anno fiscale 2010-2011, laddove il reddito superi le 100.000 sterline, la detrazione subisce una riduzione di una sterlina per ogni due sterline che superino il suddetto tetto massimo. La medesima riduzione è prevista per le detrazioni riservate agli anziani.

[48]    L’attuale Dipartimento è stato costituito nell’aprile 2005 ed è sorto dalla fusione dei due organismi precedenti, l’Inland Revenue e il HM Customs & Excise.

[49]    Nel corso del 2010 sono state approvate tre leggi finanziarie (nei mesi, rispettivamente, di aprile, luglio e dicembre), ma in realtà il primo Finance Act 2010 (8 aprile 2010) è stato approvato dal precedente Parlamento pochi giorni prima del suo scioglimento e pertanto, come precisato nel corpo della scheda, il provvedimento in questione (pur indicato nel titolo come seconda legge finanziaria) rappresenta la prima finanziaria approvata dalle nuove Camere costituitesi in seguito alle elezioni del maggio 2010. Alla fine del 2010 è stata approvata una seconda manovra finanziaria, denominata pertanto Finance (No. 3) Act 2010.

[50]    Ad esempio, se il periodo contabile di una società va dal 1 settembre 2010 al 31 agosto 2011, i primi sette mesi (212 giorni) saranno di competenza del periodo fiscale 2010-2011 e la società dovrà quindi pagare l’imposta sui 212/365 del reddito imponibile al tasso previsto per l’anno fiscale 2010-2011, mentre i restanti cinque mesi (153 giorni) saranno ascritti al periodo fiscale 2011-2012 e dunque ai 153/365 del reddito imponibile si applicherà l’aliquota prevista per l’anno d’imposta 2011-2012.

[51]    Si tratta delle leggi da 16/2010 a 30/2010, pubblicate sul Bollettino ufficiale dello Stato del 16 luglio 2010: http://www.boe.es/boe/dias/2010/07/17/index.php.