Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento ambiente
Titolo: Disposizioni urgenti a tutela della salute,dell'ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale D.L. 207/2012 ' A.C. 5617-A Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 5617-A/XVI   AC N. 5617/XVI
Serie: Progetti di legge    Numero: 738    Progressivo: 1
Data: 18/12/2012
Organi della Camera: VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici
Altri riferimenti:
DL N. 207 DEL 03-DIC-12     

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Disposizioni urgenti a tutela della salute,dell’ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale

D.L. 207/2012 – A.C. 5617-A

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 738/1

 

 

 

18 dicembre 2012

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Ambiente

( 066760-4548 / 066760-9253 – * st_ambiente@camera.it

 

 

 

 

 

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File: D12207c.doc

 


INDICE

Schede di lettura

§      Art. 1 (Efficacia dell'autorizzazione integrata ambientale in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale)                                                                       3

§      Art. 1-bis (Valutazione del danno sanitario (Vds))                                         13

§      Art. 2 (Responsabilità nella conduzione degli impianti)                                 15

§      Art. 3 (Efficacia dell'autorizzazione integrata ambientale rilasciata in data 26 ottobre 2012 alla società ILVA S.p.A. Controlli e garanzie)                                                                   17

§      Art. 3-bis (Piano sanitario straordinario in favore del territorio della provincia di Taranto)    27

§      Art. 4 (Copertura finanziaria)                                                                         33

§      Art. 5 (Entrata in vigore)                                                                                35

 

 


Schede di lettura

 


Art. 1
(Efficacia dell'autorizzazione integrata ambientale in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale)

1.           In caso di stabilimento di interesse strategico nazionale, individuato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, quando presso di esso sono occupati un numero di lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione dei guadagni, non inferiore a duecento da almeno un anno, qualora vi sia una assoluta necessità di salvaguardia dell'occupazione e della produzione, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare può autorizzare, in sede di riesame dell'autorizzazione integrata ambientale, la prosecuzione dell'attività produttiva per un periodo di tempo determinato non superiore a 36 mesi ed a condizione che vengano adempiute le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame della medesima autorizzazione, secondo le procedure ed i termini ivi indicati, al fine di assicurare la più adeguata tutela dell'ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili.

2.           Nei casi di cui al comma 1, le misure volte ad assicurare la prosecuzione dell'attività produttiva sono esclusivamente e ad ogni effetto quelle contenute nel provvedimento di autorizzazione integrata ambientale, nonché le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame. E' fatta comunque salva l'applicazione degli articoli 29-octies, comma 4, e 29- nonies e 29-decies del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, e successive modificazioni.

3.           Fermo restando quanto previsto dagli articoli 29-decies e 29-quattuordecies del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dalle altre disposizioni di carattere sanzionatorio penali e amministrative contenute nelle normative di settore, la mancata osservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento di cui al comma 1 è punita con sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10 per cento del fatturato della società risultante dall'ultimo bilancio approvato. La sanzione è irrogata, ai sensi dell'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, dal prefetto competente per territorio.

4.           Le disposizioni di cui al comma 1 trovano applicazione anche quando l'autorità giudiziaria abbia adottato provvedimenti di sequestro sui beni dell'impresa titolare dello stabilimento. In tale caso i provvedimenti di sequestro non impediscono, nel corso del periodo di tempo indicato nell'autorizzazione, l'esercizio dell'attività d'impresa a norma del comma 1.

5. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare riferisce semestralmente al Parlamento circa l'ottemperanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame dell'autorizzazione integrata ambientale nei casi di cui al presente articolo.

5-bis. Il Ministro della salute riferisce annualmente alle competenti commissioni parlamentari sul documento di valutazione del danno sanitario, sullo stato di salute della popolazione coinvolta, sulle misure di cura e prevenzione messe in atto e sui loro benefìci.

 

Il comma 1 prevede che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare possa autorizzare, in sede di riesame dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA), la prosecuzione dell'attività produttiva di uno stabilimento industriale dichiarato “di interesse strategico nazionale” per un periodo di tempo determinato non superiore a trentasei mesi, a condizione che vengano adempiute le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame dell’autorizzazione, secondo le procedure e i termini ivi indicati, al fine di assicurare la più adeguata tutela dell'ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili.

 

L’esercizio del potere attribuito al Ministro si esplica in presenza dei seguenti presupposti:

§deve trattarsi di uno stabilimento individuato, con apposito D.P.C.M., come “stabilimento di interesse strategico nazionale”;

Relativamente alla dichiarazione di “interesse strategico nazionale” di un’area o di un sito si ricorda che nella legislazione nazionale esiste più di un esempio adottato negli ultimi anni.

Si ricorda, in particolare, che l’art. 2, comma 4, del D.L. 90/2008 (recante “Misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile”) ha dichiarato di interesse strategico nazionale “i siti, le aree, le sedi degli uffici e gli impianti comunque connessi all'attività di gestione dei rifiuti” ubicati nel territorio della Campania. Il successivo comma 5 ha poi previsto l’applicazione, per tali aree strategiche, dell’art. 682 del codice penale (“Ingresso arbitrario in luoghi ove l'accesso è vietato nell'interesse militare dello Stato”) per chiunque vi si introduce abusivamente o impedisce o rende più difficoltoso l'accesso autorizzato alle aree medesime.

La stessa dichiarazione e l’applicazione del citato art. 682 del c.p. è stata adottata, dall’art. 19 della L. 183/2011 (legge di stabilità 2012) per “le aree ed i siti del Comune di Chiomonte, individuati per l'installazione del cantiere della galleria geognostica e per la realizzazione del tunnel di base della linea ferroviaria Torino-Lione”.

§presso lo stabilimento sono occupati almeno 200 lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione dei guadagni, da almeno un anno;

§qualora vi sia una assoluta necessità di salvaguardare l'occupazione e la produzione.

L’analisi tecnico-normativo, allegata al decreto, sottolinea che il provvedimento è coerente con il quadro normativo nazionale, in particolare con il decreto legge 22 giugno 2012, n. 83[1], recante misure urgenti per la crescita del Paese. In proposito, si ricorda che l’articolo 2 del decreto legge n. 129 del 2012[2] riconosce l’area industriale di Taranto area in situazione di crisi industriale complessa ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 27 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83.

Si rammenta che l’articolo 27 del D.L. 83/2012 prevede che in caso di situazioni di crisi industriali complesse possano essere attivati i progetti di riconversione e riqualificazione industriale la cui finalità è quella di agevolare gli investimenti produttivi, anche di carattere innovativo, nonché la riconversione industriale e la riqualificazione economico produttiva dei territori interessati. Le situazioni di crisi industriali complesse si verificano quando specifici territori sono soggetti a recessione economica e perdita occupazionale di rilevanza nazionale derivante da:

-        una crisi di una o più imprese di media o grande dimensione con effetti sull’indotto;

-        una grave crisi di uno specifico settore industriale con elevata specializzazione nel territorio.

 

Il comma 2 dispone che le misure volte ad assicurare la prosecuzione dell'attività produttiva sono esclusivamente e ad ogni effetto:

§le misure contenute nel provvedimento di AIA;

§nonché le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame.

 

Al riguardo, si sottolinea che il comma 1 dell’articolo 1 prevede che il Ministro dell’ambiente possa autorizzare la prosecuzione dell’attività produttiva a condizione che vengano adempiute le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame dell’AIA, mentre il comma 2 dispone che le misure volte ad assicurare tale prosecuzione sono sia le misure contenute nel provvedimento di AIA sia le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame della medesima autorizzazione.

 

Viene comunque fatta salva l’applicazione degli articoli 29-octies, comma 4, 29-nonies e 29-decies del D.Lgs. 152/2006 (cd. Codice dell’ambiente).

Si ricorda che il comma 4 dell’art. 29-octies individua i casi in cui è comunque necessario il riesame dell’AIA. Tra di essi è compreso, ai sensi della lettera b) del comma 4, il caso in cui “le migliori tecniche disponibili hanno subito modifiche sostanziali, che consentono una notevole riduzione delle emissioni senza imporre costi eccessivi”.

Il riesame è, altresì, effettuato dall'autorità competente, anche su proposta delle amministrazioni competenti in materia ambientale, comunque quando:

1.      l'inquinamento provocato dall'impianto è tale da rendere necessaria la revisione dei valori limite di emissione fissati nell'autorizzazione o l'inserimento in quest'ultima di nuovi valori limite;

2.      la sicurezza di esercizio del processo o dell'attività richiede l'impiego di altre tecniche;

3.      nuove disposizioni legislative comunitarie o nazionali lo esigono.

Quanto agli altri articoli citati dal comma, si ricorda che l’art. 29-nonies disciplina le procedure da seguire in caso di modifiche degli impianti (sostanziali o meno), mentre l’art. 29-decies riguarda il rispetto delle condizioni contenute nell’AIA.

Il comma 3 introduce una misura sanzionatoria, aggiuntiva rispetto al quadro normativo previgente, stabilendo che, fermo restando quanto previsto dagli articoli 29-decies e 29-quattuordecies del Codice dell’ambiente e dalle altre disposizioni di carattere sanzionatorio (penali e amministrative) contenute nelle normative di settore, la mancata osservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame dell’AIA costituisce illecito amministrativo punito con sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10% del fatturato della società risultante dall'ultimo bilancio approvato.

Si ricorda che l’art. 29-decies del D.Lgs. 152/2006 prevede, ai commi 9-10, una serie di sanzioni amministrative (diffida, sospensione dell’attività, revoca dell’AIA e chiusura dell’impianto) in caso di inosservanza delle prescrizioni contenute nell’AIA.

L’art. 29-quattuordecies elenca, invece, le diverse ipotesi sanzionatorie (di natura sia contravvenzionale che amministrativa) collegate all’inosservanza degli obblighi imposti dalla disciplina dell’AIA.

Il comma 3 dispone altresì che la sanzione prevista è irrogata dal Prefetto competente per territorio.

Nel corso dell’esame in sede referente è stato soppresso, in quanto inesatto, il riferimento all’art. 16 della L. 689/1981, in quanto la competenza del prefetto è ricavabile dall'art. 17, comma 1, della medesima legge. La norma, così come modificata, rinvia genericamente alle disposizioni della L. 689/1981 senza precisare l’articolo di riferimento.

 

Ai sensi del comma 4 le disposizioni recate dal comma 1, che consentono allo stabilimento di proseguire l’attività alle condizioni indicate, trovano applicazione anche quando l'autorità giudiziaria abbia adottato provvedimenti di sequestro sui beni dell'impresa titolare dello stabilimento.

In tal caso, i provvedimenti di sequestro non impediscono, nel corso del periodo di tempo indicato nell'autorizzazione, l'esercizio dell'attività d'impresa.

 

Il sequestro preventivo (art. 321 c.p.p.) è una misura cautelare reale, finalizzata ad impedire che la libera disponibilità di "una cosa pertinente al reato" possa aggravare o protrarre le conseguenze dell'illecito, ovvero agevolare la commissione di altri reati (comma 1).

La funzione dell’istituto è, quindi, quella di inibire possibili attività illecite ponendo un vincolo di indisponibilità sui beni oggetto di sequestro. Nel necessario bilanciamento di interessi, il pericolo di aggravamento o protrazione delle conseguenze del reato ovvero la possibile agevolazione della commissione di altri illeciti giustifica la compressione di diritti individuali costituzionalmente garantiti come il diritto di proprietà privata e di libera iniziativa economica.

Le condizioni per la legittima adozione della misura, richiesta dal pubblico ministero e di competenza del giudice (il giudice del merito o, nella fase delle indagini preliminari, il GIP), consistono nella presenza contemporanea di due elementi:

•      il fumus delicti;

•      il periculum in mora.

In relazione al primo, va sottolineato che il sequestro non mira all’accertamento di un possibile reato ma presuppone che un reato sia stato commesso ovvero sussistano elementi che rendano anche solo ipotizzabile il reato per cui si procede (Cassazione, sent. n. 35312 del 2011). Diversamente che nella disciplina delle misure cautelari personali, per l’adozione della misura non rileva la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza ed ai fini della verifica della legittimità del provvedimento è preclusa ogni valutazione sulla sussistenza degli indizi di colpevolezza e sulla gravità degli stessi (Cassazione SS.UU. sent. n. 4 del 1993). La verifica del cosiddetto "fumus" del reato non può estendersi fino a far coincidere l'esame con un vero e proprio giudizio di colpevolezza, dovendo restar fuori dall'indagine il complesso degli elementi di valutazione che concorrono ai fini dell'accertamento della responsabilità dell'indagato, ed essendo sufficiente la semplice enunciazione, che non sia manifestamente arbitraria, di un'ipotesi di reato, in relazione alla quale si manifesti, almeno allo stato, la necessità di escludere la libera disponibilità della cosa pertinente a quel reato, stante il pericolo che siffatta libera disponibilità possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato.

Non rileva, ai fini della legittimità della misura, che l’illecito sia attribuito direttamente al soggetto nei cui confronti è adottato il sequestro. Si potranno, così, sequestrare beni di terzi estranei, prevalendo l’interesse generale alla tutela di prevenzione sociale della collettività ma il bene oggetto della misura deve essere, sebbene indirettamente, collegato al reato e, ove lasciato in libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti (Cassazione, sent. n. 32964 del 2009) .

Il collegamento che si viene a stabilire fra la misura cautelare e il reato circoscrive l'ambito di applicazione del sequestro preventivo, il quale "non deve in sostanza esorbitare dalla cornice dell'imputazione, non potendo l'autorità giudiziaria sostituirsi all'autorità amministrativa in attività di prevenzione non finalizzate contestualmente alla repressione del reato" (Amodio-Dominioni).[3]

In relazione, invece, al pericolo nel ritardo, esso deve intendersi non come generica ed astratta eventualità, ma come concreta, imminente ed elevata possibilità, desunta dalla natura del bene e da tutte le circostanze del fatto, che nel caso in cui il bene da sequestrare, pertinente al reato sia lasciato nella libera disponibilità del soggetto indagato, possa effettivamente assumere carattere strumentale ad un aggravamento e alla protrazione delle conseguenze del reato ipotizzato o agevolazione della commissione di altri reati (Cassazione, sent. n. 11769 del 2008). Non è di ostacolo aIl’adozione della misura cautelare la cessazione della condotta illecita ed il periculum in mora deve essere inteso, quindi, in senso oggettivo, come probabilità di danno futuro, ed il legame del bene sequestrato col reato commesso (ovvero a quelli di cui si paventa la realizzazione) non deve essere meramente occasionale ed episodico (Cassazione, sent. n. 35394 del 2011).

In relazione alla definizione di cosa pertinente al reato (che comprende anche il corpo del reato, Cassazione, sent. 17372 del 2009), detta nozione deve essere collegata alla finalità di impedire che la disponibilità della cosa da parte dell'indagato costituisca un pericolo di aggravamento o protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di altri reati, sempre che esista una relazione specifica e stabile tra la cosa sottoposta a sequestro e l'attività illecita e purché risulti probabile che, in caso di libera disponibilità della cosa, la condotta vietata venga reiterata (Cassazione, sent. n. 42982 del 2003). Quindi la definizione della "cosa pertinente al reato" va operata in relazione alla concreta vicenda oggetto del procedimento: in linea generale, può dirsi che è cosa pertinente al reato non solo quella che è servita per commettere il reato, ma anche quella indirettamente legata alla fattispecie illecita, in quanto strutturalmente funzionale alla possibile reiterazione dell'attività criminosa. Poiché, in astratto, ogni cosa può servire per commettere reati futuri, la sequestrabilità ai fini preventivi va limitata alle cose munite di una pericolosità intrinseca, ossia una specifica e strutturale strumentalità rispetto a possibili illeciti futuri.

Oggetto del sequestro preventivo di cui all’art. 321 può, quindi, essere qualsiasi bene - a chiunque appartenente, compresa persona estranea al reato - purché esso sia, anche indirettamente, collegato al reato e, ove lasciato in libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti. Tra i beni sequestrabili sono certamente compresi i beni aziendali; secondo Cassazione, sent. 29797 del 2001 è, ad esempio, legittimo il sequestro di un'intera azienda allorché vi siano indizi che anche taluno soltanto dei beni aziendali sia, proprio per la sua collocazione strumentale, in qualche modo utilizzato per la consumazione del reato, a nulla rilevando che l'azienda in questione svolga anche normali attività imprenditoriali.

L’art 104 delle norme di attuazione del c.p.p. (D.Lgs 271/1989) prevede che il sequestro preventivo sia eseguito: a) sui beni mobili e sui crediti, secondo le forme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento presso il debitore o presso il terzo in quanto applicabili; b) sui beni immobili o mobili registrati, con la trascrizione del provvedimento presso i competenti uffici; c) sui beni aziendali organizzati per l’esercizio di un’impresa, oltre che con le modalità previste per i singoli beni sequestrati, con l’immissione in possesso dell’amministratore, con l’iscrizione del provvedimento nel registro delle imprese presso il quale è iscritta l’impresa; d) sulle azioni e sulle quote sociali, con l’annotazione nei libri sociali e con l’iscrizione nel registro delle imprese; e) sugli strumenti finanziari dematerializzati, ivi compresi i titoli del debito pubblico, con la registrazione nell’apposito conto tenuto dall’intermediario ai sensi dell’articolo 15 del D.P.R. n. 398/2003 (TU in materia di debito pubblico).

Il successivo art. 104-bis, nel caso in cui il sequestro preventivo abbia per oggetto aziende, società ovvero beni di cui sia necessario assicurare l’amministrazione[4] , impone all’autorità giudiziaria la nomina di un amministratore giudiziario scelto nell’Albo nazionale degli amministratori giudiziari. Con decreto motivato, la custodia dei beni suddetti può, tuttavia, essere affidata dal giudice anche a soggetti diversi da quelli sopraindicati.

In merito alla possibilità di continuazione dell’attività produttiva durante il sequestro di compendio aziendale, va segnalata la sentenza della Cassazione n. 35801 del 2010. La Suprema Corte, con la citata decisione, ha rigettato il ricorso del PM avverso il decreto del GIP che, disponendo il sequestro preventivo dello stabilimento della Acciaieria Valsugana s.p.a., permetteva la prosecuzione dell'attività industriale, nominando un custode che - in attesa della messa a norma degli impianti di smaltimento fumi e polveri - veniva autorizzato a gestire l'impresa onde salvaguardare l'attuale livello occupazionale.

 

Il comma 2 dell’art. 321 prevede che il giudice possa, altresì, disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca[5] . il sequestro preventivo in questione, funzionale alla confisca, costituisce figura autonoma e specifica, distinto rimedio rispetto a quello regolato dal comma 1. La misura è, infatti, applicabile indipendentemente dalla sussistenza dei presupposti previsti dal sequestro preventivo tipico (pericolo che la libera disponibilità della cosa possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato, ovvero, agevolare la commissione di altri reati), essendo sufficiente il requisito della confiscabilità, non subordinata alla pericolosità sociale dell'agente. In altri termini, questa figura di sequestro non sottende alcuna prognosi di pericolosità connessa con la libera disponibilità delle cose medesime le quali, proprio perché confiscabili, sono di per sé oggettivamente pericolose indipendentemente dal fatto che si versi in materia di confisca obbligatoria o facoltativa.

Il comma 2-bis introduce la possibilità di disporre il sequestro preventivo dei beni di cui è consentita la confisca nel corso di procedimenti penali concernenti delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione

Il comma 3 dell’art. 321 concerne la possibile istanza di revoca del sequestro preventivo su richiesta del pubblico ministero o dell'interessato. L’istanza è giustificata dalla mancanza, anche per fatti sopravvenuti, delle condizioni di applicabilità previste dal comma 1[6] . Non possono, quindi, essere fatte valere con l’istanza di revoca ragioni attinenti la legittimità "ab origine" del sequestro stesso poiché per la valutazione di tali profili occorre tempestivamente ricorrere agli strumenti appositamente previsti dall'ordinamento, proponendo nei termini tassativamente fissati appello o richiesta di riesame del provvedimento. Nel corso delle indagini preliminari provvede lo stesso pubblico ministero con decreto motivato, che è notificato a coloro che hanno diritto di proporre impugnazione. Se la revoca è chiesta dall'interessato, il pubblico ministero, quando ritiene sia anche solo parzialmente da respingere, la trasmette al giudice, cui presenta richieste specifiche nonché gli elementi sui quali fonda le sue valutazioni. La richiesta è trasmessa non oltre il giorno successivo a quello del deposito nella segreteria.

Il comma 3-bis prevede una deroga alla disciplina della competenza all’adozione del sequestro preventivo. Infatti, durante la fase delle indagini preliminari, quando la situazione di urgenza rende impossibile attendere il provvedimento del giudice, il sequestro è disposto con decreto motivato dal pubblico ministero. Analoga possibilità è data altresì agli ufficiali di polizia giudiziaria ove, per la situazione di urgenza, non è possibile attendere il provvedimento del pubblico ministero al quale, nelle 48 ore successive, va comunque trasmesso il verbale dell'atto (questo termine temporale ha carattere perentorio, onde la sua inosservanza determina il dovere per l'organo inquirente di disporre la restituzione delle cose sequestrate; tuttavia, in considerazione dell'autonomia dei due provvedimenti, la decorrenza del lasso temporale indicato non preclude al P.M. la richiesta di imposizione del vincolo reale al G.I.P.). La situazione di urgenza che porta gli ufficiali di polizia giudiziaria a procedere al sequestro di iniziativa, può verificarsi sia nell'ipotesi in cui gli stessi agiscano di loro iniziativa, sia in quella in cui operino eseguendo un compito loro affidato dall'autorità giudiziaria.

Il PM, se non dispone la restituzione delle cose sequestrate, deve in ogni caso richiedere al giudice la convalida e l'emissione del decreto di sequestro preventivo entro 48 ore (dal sequestro, se disposto dallo stesso PM, o dalla ricezione del verbale, se la misura è stata eseguita dalla polizia giudiziaria).

Il comma 3-ter stabilisce la perentorietà dei termini di cui al comma 3-bis, alla cui inosservanza consegue la perdita di efficacia del sequestro; analogo effetto deriva dalla mancata emissione, entro 10 gg. dalla ricezione della richiesta, dell'ordinanza di convalida della misura da parte del giudice. Copia dell'ordinanza è immediatamente notificata alla persona alla quale le cose sono state sequestrate.

 

L’opposizione al decreto di sequestro preventivo può avvenire mediante richiesta di riesame (art. 322 c.p.p.).

Contro il decreto, infatti, l'imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre richiesta di riesame al tribunale, anche nel merito.

La richiesta di riesame, che non sospende l'esecuzione del provvedimento cautelare, è avanzata al tribunale competente entro 10 gg. dalla data di esecuzione del provvedimento che ha disposto il sequestro (o dalla diversa data in cui l’interessato ha avuto notizia dell’avvenuto sequestro). Entro 10 gg. dalla ricezione degli atti, il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il decreto (cd. tribunale della libertà), decide in composizione collegiale, con procedimento camerale.

Può, invece, ex art. 322-bis c.p.p., essere proposto appello (alternativo al riesame) avverso le ordinanze in materia di sequestro preventivo e contro il decreto di revoca del sequestro emesso dal pubblico ministero. Le ordinanze in materia di sequestro preventivo appellabili sono, tuttavia, quelle di natura non costitutiva (ovvero di modifica, sostituzione, revoca della misura o di rigetto delle relative istanze). Come per il riesame, la titolarità alla proposizione dell’appello appartiene al pubblico ministero, all'imputato e al suo difensore, alla persona alla quale le cose sono state sequestrate e a quella che avrebbe diritto alla loro restituzione. Giudice del gravame è, anche qui, il tribunale della libertà.

Le decisioni del tribunale della libertà, sia sulla richiesta di riesame che sull’appello, sono ricorribili per cassazione.

La sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, anche se impugnabili, determina il venir meno degli effetti cautelari ed il sequestro preventivo perde di efficacia (art. 323 c.p.p.); il giudice, se non deve ordinarne la confisca penale ex art. 240 c.p, dovrà ordinare la restituzione delle cose sequestrate all’avente diritto. Non si procede alla restituzione, invece, se a richiesta del PM o della parte civile, il giudice disponga che le cose siano mantenute sotto sequestro (che, di fatto, si trasforma in conservativo) a garanzia del pagamento della pena pecuniaria, delle spese di procedimento o altra somma dovuta all’erario. Se, al contrario, è pronunciata sentenza di condanna il sequestro rimane efficace solo quando la sentenza ha disposto anche la confisca delle cose sequestrate.

 

Il comma 5 impone al Ministro dell'ambiente di riferire semestralmente al Parlamento circa l’ottemperanza delle prescrizioni impartite nei casi di cui al presente articolo.

Nel corso dell’esame in sede referente il comma è stato modificato al fine di chiarire che le prescrizioni cui si fa riferimento non sono quelle contenute nell’AIA, come prevede il testo iniziale del decreto-legge, ma nel provvedimento di riesame dell’AIA medesima. Tale modifica appare opportuno, in considerazione del fatto che è infatti al rispetto delle prescrizioni di tale provvedimento di riesame che il comma 1 dell'articolo vincola la prosecuzione dell’attività produttiva.

 

Il comma 5-bis, inserito nel corso dell’esame in sede referente, prevede che il Ministro della salute riferisca annualmente alle competenti commissioni parlamentari:

       sul documento di valutazione del danno sanitario (VDS), disciplinato dal successivo articolo 1-bis;

       sullo stato di salute della popolazione coinvolta;

       sulle misure di cura e prevenzione attuate e loro benefici.

 


Art. 1-bis
(Valutazione del danno sanitario (Vds))

1. In tutte le aree interessate dagli stabilimenti di cui al comma 1 dell’articolo 1 e al comma 1 dell’articolo 3, l’azienda sanitaria locale e l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente competenti per territorio redigono congiuntamente, con aggiornamento almeno annuale, un rapporto di valutazione del danno sanitario (VDS) anche sulla base del registro tumori regionale e delle mappe epidemiologiche sulle principali malattie a carattere ambientale.

2. Con decreto del Ministro della salute, adottato di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabiliti i criteri metodologici utili per la redazione del rapporto di VDS.

 

 

L’articolo 1-bis, inserito durante l’esame in sede referente, introduce nella normativa nazionale disposizioni sul rapporto di valutazione del danno sanitario (VDS) analoghe a quelle introdotte, per la Regione Puglia, dalla L.R. 21/2012.

Si ricorda che la Legge della Regione Puglia n. 21 del 24 luglio 2012 (recante “Norme a tutela della salute, dell’ambiente e del territorio sulle emissioni industriali inquinanti per le aree pugliesi già dichiarate a elevato rischio ambientale”[7]), ha previsto, al fine di tutelare la salute dei cittadini e l’ambiente della Puglia, che l'Agenzia regionale dei servizi sanitari (AReS), l'Agenzia regionale per la prevenzione e la protezione dell'ambiente della Puglia (ARPA Puglia) e l'Azienda sanitaria locale (ASL) competente per territorio, sotto il coordinamento di ARPA Puglia, devono congiuntamente redigere, con cadenza almeno annuale, un rapporto di Valutazione del danno sanitario (VDS) anche sulla base del registro tumori regionale e mappe epidemiologiche sulle principali malattie a carattere ambientale. La VDS è realizzata nell'ambito delle competenze attribuite alla Regione in materia di protezione dell'ambiente e della salute delle popolazioni.

Per dare piena applicazione alle citate disposizioni è stato emanato, ai sensi dell’art. 2, comma 1, della medesima legge, il Regolamento regionale 3 ottobre 2012, n. 24[8].

Il campo di applicazione della citata legge, disciplinato dall’art. 1 comma 2 della stessa, si estende alle aree di Brindisi e Taranto, già dichiarate “aree a elevato rischio di crisi ambientale” e oggetto dei piani di risanamento approvati con decreti del Presidente della Repubblica in data 23 aprile 1998, nonché alle aree dichiarate siti di interesse nazionale (SIN) di bonifica ai sensi del D.Lgs. 152/2006.

Ai sensi dell’art. 1, comma 3, la legge si applica a tutti gli impianti soggetti ad AIA, situati nelle aree indicate.

Tale regolamento regionale n. 24/2012 disciplina quindi le modalità per la redazione del rapporto di VDS con riferimento agli impianti e alle aree indicati, fissando i criteri metodologici che le autorità incaricate della redazione del VDS (ARPA Puglia, AReS e ASL territorialmente competenti) devono seguire.

 

Il comma 1 dell'articolo in commento prevede l’obbligo di redazione, con aggiornamento almeno annuale, di un rapporto di valutazione del danno sanitario (VDS) anche sulla base del registro tumori regionale e delle mappe epidemiologiche sulle principali malattie a carattere ambientale.

Tale rapporto deve essere redatto per tutte le aree interessate dagli stabilimenti di interesse strategico nazionale, individuati ai sensi dell’art. 1, comma 1, del decreto, tra cui rientra, ai sensi del successivo art. 3, comma 1, l'impianto siderurgico della società ILVA S.p.A. di Taranto.

Viene altresì previsto che il rapporto VDS sia redatto congiuntamente dall'ASL (Azienda Sanitaria Locale) e dall’ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente) competenti per territorio.

 

Il comma 2 prevede l’emanazione, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione, di un decreto interministeriale, adottato di concerto dai Ministri della salute e dell'ambiente, volto a stabilire i criteri metodologici utili per la redazione del rapporto di VDS.

Si ricorda, inoltre, che il comma 5-bis dell’articolo 1, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, prevede che il Ministro della salute riferisca annualmente alle competenti commissioni parlamentari sul documento di valutazione del danno sanitario (VDS).

 


Art. 2
(Responsabilità nella conduzione degli impianti)

1. Nei limiti consentiti dal presente decreto, rimane in capo ai titolari dell'autorizzazione integrata ambientale di cui all'articolo 1, comma 1, la gestione e la responsabilità della conduzione degli impianti di interesse strategico nazionale anche ai fini dell'osservanza di ogni obbligo, di legge o disposto in via amministrativa, e ferma restando l'attività di controllo dell'autorità di cui all'articolo 29-decies, comma 3, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, e successive modificazioni.

 

L’art. 2 dispone che, nei limiti consentiti dal decreto, la gestione degli impianti di interesse strategico nazionale ai fini dell'attuazione delle prescrizioni contenute nell'AIA, nonché le responsabilità derivanti da ogni obbligo di legge o disposto in via amministrativa, restano in capo esclusivamente ai titolari dell'AIA medesima.

Viene altresì disposto che resta ferma l’attività di controllo prevista dall’art. 29-decies, comma 3, del D.Lgs. 152/2006.

 

Tale comma prevede che l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), per gli impianti di competenza statale, o le agenzie regionali e provinciali per la protezione dell'ambiente, negli altri casi, accertino, secondo quanto previsto e programmato nell'AIA, con oneri a carico del gestore:

a) il rispetto delle condizioni dell'AIA;

b) la regolarità dei controlli a carico del gestore, con particolare riferimento alla regolarità delle misure e dei dispositivi di prevenzione dell'inquinamento nonché al rispetto dei valori limite di emissione;

c) che il gestore abbia ottemperato ai propri obblighi di comunicazione e in particolare che abbia informato l'autorità competente regolarmente e, in caso di inconvenienti o incidenti che influiscano in modo significativo sull'ambiente, tempestivamente dei risultati della sorveglianza delle emissioni del proprio impianto.

 

In proposito, la relazione illustrativa sottolinea che i compiti di ISPRA vengono rafforzati “sia dalle previsioni contenute nell'AIA in ordine alla verifica trimestrale, sia attraverso l'attività di collaborazione con l'apposito Garante di cui al successivo articolo 3”. Si segnala, infatti, che l’articolo 1, comma 3, dell’AIA prescrive all’ILVA di trasmettere all’ente di controllo ogni tre mesi una relazione contenente un aggiornamento dello stato di attuazione degli interventi strutturali e gestionali previsti.


Art. 3
(Efficacia dell'autorizzazione integrata ambientale rilasciata in data 26 ottobre 2012 alla società ILVA S.p.A. Controlli e garanzie)

1.L'impianto siderurgico della società ILVA S.p.A. di Taranto costituisce stabilimento di interesse strategico nazionale a norma dell'articolo 1.

1-bis. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Governo adotta una strategia industriale per la filiera produttiva dell’acciaio.

2.           L'autorizzazione integrata ambientale rilasciata in data 26 ottobre 2012 alla società ILVA S.p.A. con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prot. n. DVA/DEC/2012/0000547, nella versione di cui al comunicato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 252 del 27 ottobre 2012, contiene le prescrizioni volte ad assicurare la prosecuzione dell'attività produttiva dello stabilimento siderurgico della società ILVA S.p.A. di Taranto a norma dell'articolo 1.

3.           A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, per un periodo di trentasei mesi la società ILVA S.p.A. di Taranto è immessa nel possesso dei beni dell'impresa ed è in ogni caso autorizzata, nei limiti consentiti dal provvedimento di cui al comma 2, alla prosecuzione dell'attività produttiva nello stabilimento ed alla conseguente commercializzazione dei prodotti ivi compresi quelli realizzati antecedentemente alla data di entrata in vigore del presente, ferma restando l'applicazione di tutte le disposizioni contenute nel medesimo decreto.

4.           Entro 10 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ai fini del monitoraggio dell'esecuzione delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione integrata ambientale di cui al comma 2, è nominato, per un periodo non superiore a tre anni, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro della salute, un Garante, di indiscussa indipendenza competenza ed esperienza, incaricato di vigilare sulla attuazione delle disposizioni del presente decreto. Se dipendente pubblico, il Garante viene collocato in posizione di fuori ruolo per tutta la durata dell'incarico.

5.           Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri è definito il compenso del Garante in misura non superiore a duecentomila euro lordi annui. Si applica l'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.

6. Il Garante, avvalendosi, senza oneri a carico della finanza pubblica, dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale nell’ambito delle competenze proprie dell’Istituto, con il supporto delle Agenzie regionali e provinciali per la protezione dell’ambiente (ARPAAPPA), di cui al decreto-legge 4 dicembre 1993, n. 496, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 gennaio 1994, n. 61, e sentendo le rappresentanze dei lavoratori, acquisisce le informazioni e gli atti ritenuti necessari che l’azienda, le amministrazioni e gli enti interessati devono tempestivamente fornire, segnalando al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e al Ministro della salute eventuali criticità riscontrate nell’attuazione della predetta autorizzazione e proponendo le idonee misure, ivi compresa l’eventuale adozione di provvedimenti di amministrazione straordinaria anche in considerazione degli articoli 41 e 43 della Costituzione. A tal fine il Garante promuove, anche in accordo con le istituzioni locali, iniziative di informazione e consultazione, finalizzate ad assicurare la massima trasparenza per i cittadini, in conformità ai princìpi della Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, con due allegati, fatta ad Aarhus, il 25 giugno 1998, resa esecutiva ai sensi della legge 16 marzo 2001, n. 108. La suddetta attività svolta dal Garante, nonché le criticità e le inadempienze riscontrate, sono parte integrante della relazione semestrale di cui al comma 5 dell’articolo 1.

 

 

L’articolo 3 disciplina l’efficacia dell’autorizzazione integrata ambientale rilasciata alla società ILVA S.p.A. in data 26 ottobre 2012 e il sistema dei controlli e delle garanzie che presiedono alla sua attuazione.

 

In particolare, il comma 1 dispone che l'impianto siderurgico della società ILVA S.p.A. di Taranto costituisce stabilimento di interesse strategico nazionale a norma dell'articolo 1, comma 1. Con tale disposizione la natura di interesse strategico dello stabilimento è dichiarata con norma di rango primario anziché con il D.P.C.M. di cui al medesimo articolo 1, comma 1.

 

La disposizione in esame assume quindi una connotazione provvedimentale e si inserisce in fattispecie incisa da provvedimenti giurisdizionali. In merito, si fa presente che la Corte costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi con riferimento alle cosiddette leggi-provvedimento e alle norme retroattive.

In particolare, con riferimento all'emanazione di leggi con efficacia retroattiva, secondo la giurisprudenza della Corte, il legislatore incontra una serie di limiti che attengono alla salvaguardia di fondamentali valori di civiltà giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza e di eguaglianza, la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto e il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza n. 282/2005; nello stesso senso, sentenze n. 376 del 2004, n. 291 del 2003 e n. 446 del 2002). In particolare, al legislatore è precluso intervenire, con norme aventi portata retroattiva, per annullare gli effetti del giudicato: se vi fosse un'incidenza sul giudicato, la legge non si limiterebbe a muovere, come ad essa è consentito, sul piano delle fonti normative, attraverso la precisazione della regola e del modello di decisione cui l'esercizio della potestà di giudicare deve attenersi, ma lederebbe i principi relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale e le disposizioni relative alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi (sentenza n. 282/2005, nello stesso senso sentenze sentenza n. 525 del 2000, n. 374 del 2000 e n. 15 del 1995).»

Inoltre, con riguardo al rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario, secondo la sentenza n. 93/2011, la retroattività della norma reca vulnus alle stesse, quando travolge gli effetti di pronunce divenute irrevocabili (sentenze n. 209 del 2010, n. 364 del 2007) e, comunque, nel caso in cui la disposizione non stabilisce una regola astratta, ma mira a risolvere specifiche controversie (ex plurimis, sentenza n. 94 del 2009), risultando diretta ad incidere sui giudizi in corso, per determinarne gli esiti (sentenza n. 170 del 2008).

Nella sentenza n. 364/2007, la Corte ha infine ritenuto che i limiti individuati dalla giurisprudenza costituzionale all’emanazione di norme retroattive siano comunque applicabili alle disposizioni idonee a travolgere provvedimenti giurisdizionali definitivi, anche se non configurate come retroattive in senso tecnico (nel caso di specie la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma che disponeva l’inefficacia di decreti ingiuntivi e sentenze divenute esecutive, nonché l’inefficacia dei conseguenti pignoramenti).

 

Per quanto riguarda altri precedenti interventi normativi incidenti su provvedimenti dell’autorità giudiziaria, si ricorda che:

•    il decreto-legge n. 61/2007 - recante interventi straordinari per superare l' emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e per garantire l'esercizio dei propri poteri agli enti ordinariamente competenti - prevede che il Commissario delegato può utilizzare, anche tramite requisizione, gli impianti, le cave dismesse o abbandonate, le discariche che presentano volumetrie disponibili, anche se sottoposti a provvedimento di sequestro da parte dell’Autorità giudiziaria. Si dispone direttamente la sospensione dell’efficacia di tale provvedimento dall’adozione del provvedimento di requisizione fino alla cessazione dello stato di emergenza;

•    il decreto-legge n. 90/2008, - recante misure straordinarie  per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile – attribuisce, all’art. 2, la qualifica di “aree di interesse strategico nazionale” ai siti, alle aree e agli impianti comunque connessi all'attività di gestione dei rifiuti . L’articolo 3 reca disposizioni finalizzate a definire - in via transitoria e fino al termine dello stato emergenziale - la competenza dell’autorità giudiziaria nei procedimenti penali relativi alla gestione dei rifiuti nella regione Campania. La nuova disciplina è applicabile anche ai procedimenti in corso per i quali non sia stata ancora esercitata l’azione penale. Inoltre, le misure cautelari già disposte dal PM o convalidate dal GIP perdono efficacia se non sono convalidate, entro 20 giorni dalla trasmissione degli atti, dal tribunale collegiale.

 

Si ricorda inoltre che il D.L. 28 aprile 2010, n. 62, recante temporanea sospensione di talune demolizioni disposte dall'autorità giudiziaria in Campania, prevedeva la sospensione fino al 30 giugno 2011 delle demolizioni di immobili destinati esclusivamente a prima abitazione, siti nel territorio della regione Campania, disposte a seguito di sentenza penale, purché riguardanti immobili occupati stabilmente da soggetti sforniti di altra abitazione e concernenti abusi realizzati entro il 31 marzo 2003.

Nel corso dell’esame presso la Camera, è stata approvata, nella seduta dell’8 giugno 2010, la questione pregiudiziale di costituzionalità Donadi ed altri n. 1.

La questione pregiudiziale, oltre a sottolineare la violazione del principio di uguaglianza conseguente all’applicazione del decreto nella sola regione Campania e l’assenza dei requisiti di necessità e urgenza prescritti dall’art. 77 Cost., rileva che la disciplina recata dal decreto “rappresenta inevitabilmente una violazione del principio della separazione dei poteri”, realizzando “una palese interferenza del legislatore che interviene su sentenze passate in giudicato, peraltro contro ogni principio della certezza del diritto e della pena con riferimento al delicato profilo del rapporto tra legislazione e giudicato”.

La pregiudiziale richiama altresì la lettera che il Presidente della Repubblica, aveva inviato al Presidente del Consiglio in data 6 febbraio 2009, precedentemente all'approvazione da parte del Consiglio dei ministri di un decreto-legge in relazione al caso di Eluana Englaro. In tale lettera, il Presidente della Repubblica rilevava come «il fondamentale principio della distinzione e del reciproco rispetto tra poteri e organi dello Stato non consente al legislatore di disattendere la soluzione che - nel caso di specie - sia stata già individuata da una decisione giudiziaria definitiva sulla base dei principi, anche costituzionali, desumibili dall'ordinamento giuridico vigente».

 

Risalendo più indietro nel tempo può essere richiamata la vicenda del decreto-legge 20 ottobre 1984, n. 694, recante misure urgenti in materia di trasmissioni radiotelevisive, che consentiva, fino alla approvazione della nuova disciplina del settore radio-televisivo e comunque per non oltre un anno, la prosecuzione delle attività delle singole emittenti radiotelevisive private. Il decreto interveniva dopo l’adozione di provvedimenti dell’autorità giudiziaria che inibivano lo svolgimento delle predette attività.

Il decreto-legge fu respinto dalla Camera nella seduta del 28 novembre 1984, a seguito dell’approvazione, con votazione segreta, di 7 questioni pregiudiziali di costituzionalità. Le questioni pregiudiziali evidenziavano la violazione degli articolo 3, 21, 41 e 43 della Costituzione, nonché il contrasto con il principio  della separazione tra potere legislativo e potere giudiziario, di cui agli articoli 70, 101, e 136 della Costituzione.

Sulla stessa materia intervenne peraltro successivamente il decreto-legge 6 dicembre 1984, n. 807, che dettava, fra l’altro, una analoga disciplina transitoria, valida fino alla data di entrata in vigore della legge generale sul sistema radiotelevisivo in materia di trasmissioni radiotelevisive. Il decreto fu convertito dalla legge 4 febbraio 1985, n. 10 

 

In merito all’eventualità di conflitti di attribuzione riferite a fattispecie incise sia da provvedimenti normativi sia da provvedimenti giurisdizionali, la competenza della Corte costituzionale in ordine alla risoluzione dei conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato si configura non come controllo su atti illegittimi, ma giudizio sulla esatta spettanza delle competenze. Come precisato infatti dalla Corte stessa il conflitto di attribuzioni non è “un giudizio sulla legittimità di atti”, ma è “garanzia dell’ordine costituzionale delle competenze quale che possa essere la natura dell’atto cui, in ipotesi, sia ascrivibile la lesione delle competenze medesime” (sent. 457/1999).

Per quanto attiene alla possibilità che il conflitto sorga in relazione ad atti legislativi o ad essi equiparati la giurisprudenza della Corte costituzionale ha subito rilevanti evoluzioni. La posizione iniziale (sent. 406 del 1989) in base alla quale la Corte escludeva la sindacabilità di un atto legislativo appare superata a partire dalle decisioni nn. 161 e 480 del 1995 nelle quali la Corte ha ammesso il conflitto avente ad oggetto un decreto legge. In particolare nella sentenza n. 161 del 1995 la Corte ha rilevato che “nei casi in cui il giudizio in via incidentale si riveli insufficiente il conflitto possa essere la forma necessaria per apprestare una difesa in grado di unire all’immediatezza l’efficacia”.

L'estensione della garanzia costituzionale del conflitto nei confronti di un «provvedimento provvisorio» adottato dal Governo sotto la propria responsabilità è stata giustificata in relazione al fatto che, in determinate ipotesi, l'impiego del decreto-legge può condurre a comprimere diritti fondamentali, a incidere sulla materia costituzionale, a determinare situazioni non più reversibili né sanabili anche a seguito della perdita di efficacia della norma.

Successivamente l’applicabilità del conflitto è stata estesa anche alla legge (ord. n. 480 del 1995) e al decreto legislativo (sent. n. 457 del 1999), con la precisazione contenuta nella sent. n. 221 del 2002, secondo cui la configurabilità del conflitto costituzionale di attribuzioni in relazione ad atti di valore legislativo va ammessa “tutte le volte in cui da essi possano derivare lesioni dirette dell’ordine costituzionale delle competenze e non esista un giudizio nel quale tale norma debba trovare applicazione e quindi possa essere sollevata la questione incidentale sulla legge”.

Il comma 1-bis dell'articolo 3, introdotto nel corso dell'esame da parte delle Commissioni riunite VIII e X, prevede che il Governo adotti, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, una strategia industriale per la filiera produttiva dell'acciaio.

 

Si segnala che la Commissione europea intende presentare entro la prima metà del 2013 un piano d’azione per la competitività del settore siderurgico. A tal fine il 19 settembre e il 6 dicembre 2012 ha riunito un gruppo di alto livello con i rappresentanti dell'industria e dei sindacati che ha individuato undici settori prioritari di intervento.

Il Piano d’azione dovrà affrontare, in particolare: concorrenza internazionale (compresi il protezionismo e le pratiche commerciali sleali); accesso alle materia prime; costi supplementari dovuti alla legislazione; attuazione della politica climatica dell'UE; obiettivi della politica climatica dell'UE dopo il 2020; costi per l'energia; politica dell'UE per un utilizzo efficiente delle risorse; carenze di competenze; possibilità di adeguamento delle capacità; ricerca ed innovazione; misure dal lato della domanda destinate a stimolare la ripresa nei settori chiave.

Il 13 dicembre il Parlamento europeo si è pronunciato sulla crisi dell’industria siderurgica UE votando due diverse risoluzioni nelle quali, a conclusione di un dibattito avviato con la Commissione il 20 novembre scorso, invita la Commissione e il Consiglio a sviluppare una nuova politica settoriale che stimoli la crescita e l'occupazione nel contesto della crisi economica e sia compatibile con la salute e la sicurezza di tutti i cittadini dell'UE:

•    in una prima risoluzione (2012/2905(RSP) su una nuova industria siderurgica sostenibile e competitiva nell’UE, sulla base di una petizione  concernente l'impianto siderurgico ILVA e l'allarme diossina a Taranto, presentata da un cittadino italiano, il PE invita le autorità italiane a garantire con estrema urgenza il recupero ambientale del sito dello stabilimento siderurgico contaminato, assicurando al contempo che i costi sostenuti in relazione alle azioni di prevenzione e di riparazione adottate siano coperti conformemente al principio "chi inquina paga", come stabilito all'articolo 8 della direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale;

•    in una seconda risoluzione (2012/2833(RSP) il PE accoglie favorevolmente l'iniziativa della Commissione di elaborare, entro il giugno 2013, un Piano europeo d'azione a favore della siderurgia, invitandola a presentarlo il prima possibile. Il PE invita altresì la Commissione ad inserire nel Piano d'azione un sistema di vigilanza preventiva sulle importazioni di prodotti siderurgici e tubi siderurgici, come quello stabilito dal regolamento n. 1241/2009, in scadenza il 31 dicembre 2012 . Infine, il PE invita la Commissione a monitorare da vicino gli sviluppi futuri in alcuni stabilimenti - tra i quali Terni, Piombino, Trieste - la cui integrità è a rischio, onde assicurare la competitività del settore siderurgico europeo e i livelli occupazionali.

Il Consiglio competitività del 10-11 dicembre 2012 nelle sue conclusioni ha accolto favorevolmente il piano d'azione della Commissione (COM(2012)582) inteso a rilanciare la politica industriale dell’’UE affinché essa raggiunga una quota del 20% del PIL entro il 2020, presentato dalla Commissione lo scorso ottobre, sottolineando l’importanza delle iniziative della Commissione finalizzate a predisporre un piano d’azione per il settore dell’acciaio. Inoltre il Consiglio ha espresso preoccupazione per i prezzi dell'energia relativamente più alti rispetto ad altre economie sviluppate, che penalizzano le industrie europee, in particolare i settori ad alta intensità energetica.

 

Il comma 2 stabilisce che le prescrizioni volte a consentire la prosecuzione dell'attività produttiva dello stabilimento ILVA di Taranto sono esclusivamente quelle contenute nel provvedimento di riesame dell’AIA emanato con D.M. Ambiente 26 ottobre 2012, n. DVA/DEC/2012/0000547, di cui al comunicato pubblicato nella G.U. n. 252 del 27 ottobre 2012[9]. Si provvede pertanto a attribuire valenza di norma di rango primario al provvedimento di riesame dell’autorizzazione.

 

Il comma 3, modificato nel corso dell’esame in sede referente, prevede che con decorrenza dalla data di entrata in vigore del decreto e per un periodo di 36 mesi, la società ILVA S.p.A. di Taranto:

           è immessa nel possesso dei beni dell'impresa;

           è in ogni caso autorizzata, nei limiti consentiti dal provvedimento di riesame dell’AIA, alla prosecuzione dell'attività produttiva nello stabilimento e alla commercializzazione dei prodotti, ferma restando l'applicazione di tutte le disposizioni contenute nel decreto.

 

Si fa notare che la prosecuzione dell’attività produttiva risulta così autorizzata con fonte legislativa e non con provvedimento del Ministro come previsto dall’articolo 1.

Si osserva, inoltre, che la prosecuzione dell’attività che, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, è disposta in sede di riesame dell’AIA, è stabilita con la norma in commento.

 

Nel corso dell’esame in sede referente è stato specificato, relativamente alla possibilità di commercializzazione dei prodotti, che tale possibilità riguarda anche quelli realizzati antecedentemente alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge.

 

Tale previsione aggiuntiva, che deriva da una proposta emendativa di iniziativa del Governo, incide sugli effetti del sequestro preventivo dei prodotti finiti da parte dell’autorità giudiziaria di Taranto.

Trattandosi presumibilmente di sequestro del prodotto del reato ai fini della confisca (art. 321, comma 2), il provvedimento, a differenza di quello di cui al comma 1 dell’art. 321, non presuppone alcuna prognosi di pericolosità connessa alla libera disponibilità dei beni; basta, quindi, il presupposto della confiscabilità. In tale ipotesi, il giudice può ritenere che il sequestro risponda all’esigenza di non consentire che le cose confiscabili possano essere modificate, deteriorate disperse, utilizzate o vendute.

 

Si osserva come la modifica introdotta nel corso dell’esame in sede referente – pur senza alcuna espressa qualificazione - interessa gli effetti del sequestro preventivo dei prodotti finiti e semilavorati (ritenuti corpo del reato) già emanato dalla autorità giudiziaria il 26 novembre scorso.

 

Ai sensi del comma 4, ai fini del monitoraggio dell'esecuzione delle prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame dell’AIA, viene prevista la nomina, per un periodo non superiore a tre anni, di un Garante di indiscussa indipendenza, competenza ed esperienza, incaricato di vigilare sull’attuazione delle disposizioni del decreto.

Tale nomina dovrà avvenire entro dieci giorni dall’entrata in vigore del decreto legge, con D.P.R. su proposta del Ministro dell'ambiente, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico e della salute, previa delibera del Consiglio dei Ministri.

Qualora il Garante sia un dipendente pubblico, verrà collocato in posizione di fuori ruolo per tutta la durata dell’incarico.

 

Si osserva che la norma provvede ad affidare a un Garante la vigilanza sull’attuazione del decreto anche ai fini di monitoraggio dell’esecuzione delle prescrizioni dell’AIA; in proposito, va comunque ricordato che, come già precedentemente rilevato, la normativa vigente in materia di AIA, e precisamente l’articolo 29-decies, comma 3, del Codice ambientale attribuisce all’ISPRA o alle agenzie regionali e provinciali per l’ambiente la competenza per l’accertamento, tra l’altro, del rispetto delle condizioni dell’autorizzazione integrata ambientale e della regolarità dei controlli a carico del gestore. Il comma 6, peraltro, prevede che il Garante si avvalga dell’ISPRA nello svolgimento dei suoi compiti.

 

Il comma 5 prevede che il compenso del Garante sia definito con apposito D.P.C.M.

Viene altresì fissato, per tale compenso, un tetto massimo di 200.000 euro lordi annui. Si applica l'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011.

 

L'art. 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011[10] (inserito in sede di conversione dalla legge n. 214 del 2011) prevede la definizione del trattamento economico di chiunque riceva emolumenti o retribuzioni dalle pubbliche amministrazioni attraverso, l’emanazione di un DPCM, previo parere delle Commissioni parlamentari, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge. Si ricorda che, ai sensi del comma 1 dell’art. 23-ter, tale definizione va effettuata adottando come parametro massimo di riferimento il trattamento economico del Primo presidente della Corte di cassazione che assume, quindi, la funzione di indice di riferimento costante per la definizione del trattamento economico di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con amministrazioni statali, compreso il c.d. personale non contrattualizzato[11].

In attuazione di quanto sopra disposto è stato emanato il DPCM 23 marzo 2012[12]che fissa il livello remunerativo massimo omnicomprensivo annuo degli emolumenti spettanti a coloro che hanno un rapporto di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali in euro 293.658,95, cifra equivalente a quella spettante per la carica al Primo Presidente della Corte di cassazione nell'anno 2011.

Va segnalato che tale ammontare sconta un effetto riduttivo derivante da disposizioni contenute nel D.L. 78/2012 - che hanno inciso il trattamento dei magistrati  - che dovrebbe essere annullato in conseguenza della declaratoria di illegittimità di tali disposizioni contenuta nella sentenza 233/2012 della Corte costituzionale.

 

Il comma 6, primo periodo, affida al Garante lo svolgimento delle seguenti attività, precisando che vi provveda senza oneri per la finanza pubblica, avvalendosi dell’ISPRA, nell’ambito delle competenze proprie dell’istituto (nonché, secondo quanto precisato nel corso dell’esame in sede referente, con il supporto delle agenzie ambientali ARPA-APPA), e sentite le rappresentanze dei lavoratori.

           acquisizione delle informazioni e degli atti ritenuti necessari, che i soggetti pubblici e privati cui sono richiesti sono tenuti a fornire tempestivamente;

           segnalazione al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri dell'ambiente e della salute, di eventuali criticità riscontrate nell’attuazione del provvedimento di riesame dell’AIA;

           proposizione delle misure idonee a risolverle, ivi compresi eventuali provvedimenti di amministrazione straordinaria, anche in considerazione degli articoli 41[13] e 43[14] della Costituzione.

 

 

Nel corso dell’esame in sede referente al comma in esame sono stati aggiunti, dopo il primo periodo, due nuovi periodi.

Il nuovo secondo periodo prevede che, per le finalità indicate dalla norma, il Garante promuova, anche in accordo con le istituzioni locali, iniziative di informazione e consultazione, finalizzate ad assicurare la massima trasparenza ai cittadini, nello spirito della Convenzione di Aarhus, ratificata dall'Italia con la L. 108/2001.

Si ricorda, in estrema sintesi, che la "Convenzione sull'accesso alle informazioni, la partecipazione dei cittadini e l'accesso alla giustizia in materia ambientale", firmata nella cittadina danese di Aarhus nel 1998, entrata in vigore il 30 ottobre 2001 e ratificata a livello nazionale con la citata L. 108/2001, si basa sul principio che un maggiore coinvolgimento e una più forte sensibilizzazione dei cittadini nei confronti dei problemi ambientali conduca ad un miglioramento della protezione dell'ambiente. Per raggiungere tale obiettivo, la Convenzione propone di:

    assicurare l'accesso del pubblico alle informazioni sull'ambiente detenute dalle autorità pubbliche;

    favorire la partecipazione dei cittadini alle attività decisionali aventi effetti sull'ambiente;

    estendere le condizioni per l'accesso alla giustizia in materia ambientale;

 

Il nuovo terzo periodo prevede che la suddetta attività svolta dal Garante, nonché le criticità e le inadempienze riscontrate, sono parte integrante della relazione semestrale che, ai sensi dell’art. 1, comma 5, il Ministro dell'ambiente deve trasmettere al Parlamento.

 


Art. 3-bis
(Piano sanitario straordinario in favore del territorio della provincia di Taranto)

1. Al fine di contrastare le criticità sanitarie riscontrate in base alle evidenze epidemiologiche nel territorio della provincia di Taranto,  per il quadriennio 2012-2015, è sospesa, in riferimento all’azienda sanitaria locale di Taranto, l’applicazione:

a) delle disposizioni relative alla limitazione del turn-over e al rispetto del vincolo di cui all’articolo 2, comma 71, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e alla limitazione di cui all’articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni;

b) delle disposizioni limitative dei posti letto, di cui al Piano di rientro e di riqualificazione del Sistema sanitario regionale 2010-2012, sottoscritto dalla regione Puglia;

c) delle disposizioni limitative degli accordi contrattuali con le strutture accreditate di cui al Piano di rientro e di riqualificazione del Sistema sanitario regionale 2010-2012, sottoscritto dalla regione Puglia.

2. Le disposizioni previste dal comma 1 hanno attuazione anche nel caso in cui si applichi alla regione Puglia, dal 2013, l’articolo 15, comma 20, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135.

3. All’onere derivante dal comma 2 si provvede mediante corrispondente prededuzione dal finanziamento complessivo di parte corrente del Servizio sanitario nazionale, che prevede apposita voce destinata allo scopo.

 

 

Al fine di contrastare le criticità sanitarie riscontrate nel territorio provinciale di Taranto, l’articolo 3-bis, introdotto nel corso dell’esame parlamentare, dispone, per la sola Azienda sanitaria locale di Taranto, la sospensione per il quadriennio 2012-2015, dei vincoli di spesa per il personale del SSN e di alcune delle misure e delle azioni legate al Piano di rientro e di riqualificazione sanitaria della Regione Puglia.

 

Il Rapporto Ambiente e salute a Taranto: evidenze disponibili e indicazioni di sanità pubblica contiene l'aggiornamento agli anni 2003-2009 dello Studio Sentieri relativo all'area di Taranto, i dati dell'analisi della mortalità, del biomonitoraggio e del rischio sanitario connesso alla qualità dell'aria. Dai risultati presentati emerge con chiarezza uno stato di compromissione della salute della popolazione residente a Taranto. Il quadro è coerente con quanto emerso dai precedenti studi descrittivi ed analitici di mortalità e morbosità.

Queste le misure proposte dal Ministero della Salute nell'ambito dell'AIA:

            l'adozione di un sistema di monitoraggio sanitario dell'efficacia delle prescrizioni;

            la costituzione di un apposito Osservatorio, con la partecipazione delle istituzioni locali (ARPA Puglia, ASL e AReS), nazionali (ISS ed ISPRA) ed internazionali (OMS), al quale affidare l'interpretazione dei dati e la comunicazione delle conclusioni all'autorità competente;

            la possibilità di rivedere l'AIA in funzione dei risultati del monitoraggio.

Il Ministero della Salute ha chiesto di allegare agli atti della Conferenza dei Servizi un protocollo redatto da ISS e OMS con le linee su cui dovrà essere sviluppato il progetto operativo del monitoraggio sanitario. In particolare, il protocollo prevede che il monitoraggio sia basato su una logica ante-post che consenta la verifica dell'efficacia delle azioni intraprese per comparazione e si articoli su tre direttrici: monitoraggio ambientale, biomonitoraggio e sorveglianza epidemiologica. Il monitoraggio ambientale affiancherà quello routinario dell'ARPA focalizzando l'attenzione sugli inquinanti presenti allo stato gassoso, nelle polveri fini e nelle deposizioni secche ed umide. Il biomonitoraggio sarà articolato su due coorti di numerosità adeguata di residenti a Taranto, selezionati anche sulla base di studi già effettuati nell'area e prenderà in considerazione i metalli, i contaminanti organici e la capacità di riparazione del DNA, come biomarcatore di suscettibilità individuale. Infine, la sorveglianza epidemiologica prenderà in esame gli effetti dei livelli giornalieri del PM10 e del PM2,5 sulla mortalità naturale, cardiovascolare, respiratoria e sui ricoveri ospedalieri, il rischio riproduttivo e l'incidenza della patologia oncologica in età pediatrica[15].

 

In particolare si prevede la sospensione:

a.      delle disposizioni relative alla limitazione del turn-over, dei vincoli di spesa per il personale degli enti del SSN[16] e della limitazione che dal 2011 ha previsto anche per gli enti del SSN di avvalersi di personale impiegato con contratti flessibili nei soli limiti del 50 per cento della spesa sostenuto nel 2009 per le stesse finalità[17];

Nel dettaglio, l’articolo 2, comma 71, della L. 191/2009 ridefinisce la disciplina sui vincoli alla spesa per il personale degli enti del Servizio sanitario nazionale, disponendo che gli enti del SSN devono adottare le misure necessarie a garantire che la spesa per il personale per ciascuno degli anni 2010, 2011 e 2012 sia ridotta dell'1,4 per cento rispetto a quella del 2004. Successivamente l’articolo 17, comma 3, del D.L. 98/2011 come modificato dal D.L. 95/2012[18] ha esteso le norme per il contenimento della spesa per il personale del SSN previste, dall'articolo 2, commi 71, 72 e 73, della legge finanziaria 2010, per il triennio 2013-2015. In particolare, il livello di spesa stabilito non può superare quello del 2004, ridotto dell'1,4 per cento, al netto dei rinnovi contrattuali successivi al 2004. Per il conseguimento del suddetto obiettivo da parte degli enti del SSN , rimane confermato che le Regioni adottano interventi sulla rete ospedaliera e sulla spesa per il personale (fondi di contrattazione integrativa; organizzazione delle strutture semplici e complesse, dirigenza sanitaria e personale del comparto sanitario). La Regione è ritenuta adempiente al raggiungimento degli obiettivi previsti, a seguito dell’accertamento eseguito dal Tavolo di verifica degli adempimenti. Per il 2012, e anche per gli anni 2013 e 2014, la Regione che non ha conseguito i risultati previsti, è adempiente, ove abbia almeno assicurato l’equilibrio economico. Già a partire dal 2013 è comunque previsto un regime più stretto. La Regione che non ha raggiunto gli obiettivi è infatti giudicata adempiente, se in equilibrio economico e se ha contenuto le spese per il personale, per un importo pari ad un terzo della percentuale prevista, per l'anno 2013, e a due terzi, per l'anno 2014, fino a giungere al conseguimento dell’obiettivo finale dell’1,4 per cento per l’anno 2015. Dal 2015, la Regione giudicata adempiente deve pertanto conseguire l’obiettivo finale dell’1,4 per cento.

L’articolo 9, comma 28, del D.L. 78/2010 ha disposto che, a decorrere dall'anno 2011, specifiche amministrazioni dello Stato possano avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009. Tali disposizioni costituiscono principi generali ai fini del coordinamento della finanza pubblica ai quali si adeguano le regioni, le province autonome, gli enti locali e gli enti del Servizio sanitario nazionale. A decorrere dal 2013 gli enti locali possono superare il predetto limite per le assunzioni strettamente necessarie a garantire l'esercizio delle funzioni di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore sociale; resta fermo che comunque la spesa complessiva non può essere superiore alla spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009.

 

b.      delle disposizioni limitative dei posti letto, di cui al Piano di rientro e riqualificazione sanitaria, sottoscritto con la Regione Puglia[19];

Fra le principali azioni previste dal Piano di rientro vi è il riordino della rete dei servizi, ovvero il potenziamento dell’assistenza territoriale in parallelo alla concentrazione e riorganizzazione dell’offerta ospedaliera. In tale contesto, si stima, entro il 31 dicembre 2012, una riduzione complessiva di 2.211 posti letto, per un risparmio di spesa non inferiore a 68,30 miliardi di euro.

 

c.      delle disposizioni limitative degli accordi contrattuali con le strutture accreditate di cui al Piano di rientro e riqualificazione sanitaria, sottoscritto con la regione Puglia.

Il Piano richiama e conferma le regole definite con DGR n. 1494 del 4 agosto 2009, relativamente ai criteri per razionalizzare la spesa per prestazioni erogate da strutture private accreditate in regime di: ricovero ordinario, di riabilitazione residenziale, semi-residenziale e specialistica ambulatoriale. Il piano di rientro ha, altresì, disposto tra le iniziative da intraprendere da parte della Regione, il monitoraggio degli accordi contrattuali stipulati dalle Aziende Sanitarie Locali con le strutture private accreditate, oltre al monitoraggio dei tetti di spesa fissati per le stesse strutture private accreditate. Gli indirizzi fissati dalla Regione vanno nella direzione di un miglioramento dell’appropriatezza e della riduzione della spesa in riferimento alla riduzione dei tetti di spesa del 2%.

 

Il comma 2 prevede che le disposizioni di cui al comma 1 siano attuate dal 2013 nel caso in cui si applichi alla Regione Puglia quanto disposto dall'articolo 15, comma 20, del D.L. 95/2012 che permette alle regioni sottoposte a piani di rientro e non commissariate di richiedere la prosecuzione del piano di rientro ai fini del completamento dei programmi operativi previsti dallo stesso piano (vale a dire degli interventi strutturali di riorganizzazione, riqualificazione e potenziamento del servizio sanitario regionale). La prosecuzione e il completamento del piano sono condizioni per l’attribuzione in via definitiva (in termini di competenza e di cassa) della quota di risorse finanziarie già subordinata, a legislazione vigente, alla piena attuazione del piano.

 

L’articolo 15, comma 20, del D.L. 95/2012 permette, dal 2013, la prosecuzione del piano di rientro alle regioni che, pur non avendo raggiunto gli obiettivi strutturali fissati dal Piano di rientro o dalla sua prosecuzione, soddisfino le condizioni previste dall'articolo 11, comma 1, del D.L. 78/2010.

L’articolo 11, comma 1, del D.L. 78/2010 riguarda le regioni sottoposte ai piani di rientro ma non sottoposte al commissariamento, per le quali, alla data del 31 dicembre 2009, non venga verificato positivamente il conseguimento degli obbiettivi strutturali e finali del Piano e che, tuttavia, rispettino lo standard dimensionale[20] di cui all’articolo 1, comma 77 della legge n. 191/2009 (legge finanziaria per il 2010). Alle regioni così individuate si consente di richiedere la prosecuzione del piano di rientro per una durata non superiore al triennio 2010-2012, ai fini del completamento dei programmi operativi (vale a dire degli interventi strutturali di riorganizzazione, riqualificazione e potenziamento del servizio sanitario regionale). La prosecuzione e il completamento del piano sono condizioni per l’attribuzione in via definitiva (in termini di competenza e di cassa) della quota di risorse finanziarie già subordinata, a legislazione vigente, alla piena attuazione del piano. Tale prescrizione si applica anche nell’ipotesi in cui la quota di risorse sia stata, in tutto o in parte, oggetto di anticipazione in favore della regione[21].

 

Il comma 3 prevede infine che all'onere derivante dal comma 2 si provveda mediante corrispondente prededuzione dal finanziamento complessivo di parte corrente del Servizio sanitario nazionale[22], con apposita voce destinata allo scopo.

 

 


Art. 4
(Copertura finanziaria)

1. Agli oneri derivanti dall'articolo 3, comma 5, pari a 200 mila euro, per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 432, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, nell'ambito della quota destinata alle azioni di sistema di cui alla delibera CIPE n. 8 del 20 gennaio 2012, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 121 del 25 maggio 2012. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio.

 

 

L’art. 4 provvede alla copertura degli oneri connessi alla remunerazione del Garante (pari a 200.000 euro, per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015), mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'art. 1, comma 432, della L. 266/2005, nell'ambito della quota destinata alle azioni di sistema di cui alla delibera CIPE n. 8 del 20 gennaio 2012 (in G.U. n. 121 del 25 maggio 2012). La relazione tecnica precisa che alla copertura degli oneri si provvede nell’ambito delle risorse destinate alle azioni di sistema, ivi inclusa l’assistenza tecnica e il monitoraggio, nella competenza del Ministero dell’ambiente di cui alla predetta delibera CIPE. Si tratta di risorse iscritte nello stato di previsione del Ministero dell’ambiente ai sensi dell’autorizzazione di spesa di cui al citato articolo 1, comma 432, che viene corrispondentemente ridotta.

 

Nella premesse della delibera CIPE 8/2012[23] si legge che “la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (finanziaria 2006), all’art. 1 comma 432, ha previsto l’iscrizione presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, a partire dall’anno 2006, del Fondo per le esigenze di tutela ambientale, con riserva del 50% da destinare ad interventi urgenti di difesa del suolo nelle aree a rischio idrogeologico e considerato in particolare che, per il triennio 2012-2014, sono iscritte, sul bilancio del detto Ministero, risorse pari a 16.128.808 euro per il 2012 e a 31.290.422 euro per ciascuno dei due anni successivi”. Tali risorse sono allocate nel capitolo 8531/Ambiente “Interventi per la tutela del rischio idrogeologico e relative misure di salvaguardia” “Fondo da ripartire per le esigenze di tutela ambientale”.

 


Art. 5
(Entrata in vigore)

1.           Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

 

L’articolo 5 prevede l'entrata in vigore del decreto-legge il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.

 



[1]    Convertito con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012.

[2]    Disposizioni urgenti per il risanamento ambientale e la riqualificazione del territorio della città di Taranto, convertito dalla legge 4 ottobre 2012, n. 171.

[3]    V. Commentario al codice di procedura penale, III, 1998, pag. 269.

[4]    Sono, tuttavia esclusi, i beni destinati ad affluire nel Fondo unico giustizia.

[5]    La confisca è una misura di sicurezza di natura patrimoniale consistente nell’espropriazione a favore dello Stato di cose in vario modo collegate alla Commissione di fatti costituenti reato. La misura assume nell’ordinamento una duplice natura: a) penale, ovvero di sanzione accessoria ad una sentenza di condanna; b) di prevenzione dei reati.  L’attuale disciplina della confisca si basa quindi sull’adozione da parte del legislatore italiano di due diversi “percorsi” miranti ad incamerare i patrimoni criminali: quello penale e quello preventivo, corrispondenti ad una sorta di “doppio binario”, adottato pur in presenza di un quadro normativo sovranazionale ancorato al modello penale. In particolare, per qual che riguarda la confisca penale, il codice penale prevede due distinte ipotesi (art. 240 c.p.): la prima, facoltativa (primo comma), stabilisce che il giudice, a seguito di condanna definitiva, può disporre la confisca delle cose che servirono o furono destinate a compiere il reato e di quelle che costituiscono il prodotto o il profitto dell’attività delittuosa; la seconda ipotesi (secondo comma) prevede la confisca obbligatoria delle cose che costituiscono il prezzo del reato e, anche se non viene pronunciata condanna, delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione e alienazione costituisce reato. L’evoluzione normativa in materia è caratterizzata dall’estensione del regime di obbligatorietà della misura e dall’ampliamento della gamma dei beni oggetto del provvedimento ablatorio (si pensi alla confisca obbligatoria ex art. 416-bis, settimo comma, c.p. nonché alla confisca di valori ingiustificati ex art. 12-sexies L. 356/1992).

[6]    Cassazione, sent. n. 40075 del 2010, ha ritenuto, ad esempio, che il sopravvenuto rilascio di un'autorizzazione regionale in variante per l'esercizio dell'attività di cava, pur non determinando il venir meno del reato edilizio commesso sino al conseguimento del titolo abilitativo regionale, comporta la caducazione delle condizioni di applicabilità del sequestro preventivo "medio tempore" disposto, attesa la cessazione del "periculum in mora". (Nella specie, l'autorizzazione regionale in variante riguardava un impianto mobile di frantumazione che determinava un'alterazione del suolo utilizzato come cava, insita nell'attività estrattiva).

[7]    www.regione.puglia.it/index.php?page=burp&opz=getfile&file=o-3.htm&anno=xliii&num=109

[8]    www.regione.puglia.it/web/files/2006-06/Pagine_da_N145_05_10_12.pdf

[9] Lo stesso provvedimento è disponibile anche sul sito del Ministero dell'ambiente, al link http://aia.minambiente.it/DettaglioAutorizzazionePub.aspx?id=5135.

[10]   Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici.

[11]   Le pubbliche amministrazioni che rientrano nel campo di applicazione della norma sono quelle indicate all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 165/2001, limitatamente a quelle statali; vi rientrano anche quelle il cui personale non è contrattualizzato ai sensi dell’articolo 3 del medesimo decreto legislativo.

[12]   Limite massimo retributivo per emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con le pubbliche amministrazioni statali.

[13]   Si riporta il testo dell’articolo 41 della Costituzione:

“L'iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

[14]   L’articolo 43 della Costituzione prevede che “a fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti, determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”.

[15]   Al proposito Comunicato stampa del Ministero della salute consultabile all’indirizzo:

http://www.salute.gov.it/dettaglio/phPrimoPianoNew.jsp?id=353

[16]   Ai sensi dell'articolo 2, comma 71, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010).

[17]   Di cui all'articolo 9, comma 28, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, convertito con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

[18]   L'articolo 15, comma 21, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 135, ha sostituito l'originario comma 3 con gli attuali commi 3, 3-bis e 3-ter.

[19]   Piano di rientro e di riqualificazione del Sistema Sanitario Regionale 2010-2012, 29 novembre 2010 e Allegato operativo. Il piano è stato approvato con legge regionale 9 febbraio 2011, n.2.

[20]   Lo standard dimensionale è rappresentato da un limite di disavanzo sanitario strutturale, rispetto al finanziamento ordinario e alle maggiori entrate proprie sanitarie, pari al 5 per cento ancorché coperto dalla regione, ovvero al livello inferiore al 5 per cento qualora gli automatismi fiscali o altre risorse di bilancio della regione non garantiscano con la quota libera la copertura integrale del disavanzo.

[21]    Ai sensi dell’articolo 6-bis, commi 1 e 2, del Decreto legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2 e dell’articolo 1, commi 2 e 3 del Decreto legge 7 ottobre 2008, n. 154, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2.

[22]   Si ricorda che la spesa corrente sanitaria per le prestazioni corrispondenti ai livelli essenziali di assistenza (LEA) è finanziata da entrate di natura tributaria (prevalentemente il gettito dell’IRAPed il gettito della Addizionale regionale all’IRPEF), dal contributo degli utenti alla spesa sanitaria (ticket) e dal Fondo sanitario nazionale che ha la natura di finanziamento perequativo ed è alimentato da una quota dell’IVA riscossa nelle regioni a statuto ordinario (così il D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 che ha istituito i due tributi e il D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 56 per la disciplina del Fondo perequativo e dell’aliquota IVA che lo finanzia).

[23]http://www.cipecomitato.it/it/il_cipe/delibere/download?f=E120008.pdf