Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento cultura | ||||||
Titolo: | Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare qualità ed efficienza del sistema universitario AA.C. 3687, 591, 1143, 1154, 1276, 1397, 1578, 1828, 1841, 2218, 2220, 2250, 2330, 2458, 2460, 2726, 2748, 2841, 3408 - Schede di lettura e testi a fronte | ||||||
Riferimenti: | |||||||
Serie: | Progetti di legge Numero: 387 | ||||||
Data: | 14/09/2010 | ||||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | VII-Cultura, scienza e istruzione |
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Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
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Documentazione per l’esame di |
Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare qualità ed efficienza del sistema universitario AA.C. 3687, 591, 1143, 1154, 1276, 1397, 1578, 1828, 1841, 2218, 2220, 2250, 2330, 2458, 2460, 2726, 2748, 2841, 3408 |
Schede di lettura e testi a fronte |
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n. 387 |
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14 settembre 2010 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Cultura ( 066760-3255 – * st_cultura@camera.it |
Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici: |
Servizio Studi – Dipartimento Bilancio ( 066760-2233 – * st_bilancio@camera.it Servizio Studi – Dipartimento Finanze ( 066760-9496 – * st_finanze@camera.it Servizio Studi – Dipartimento Attività produttive ( 066760-9574 – * st_attprod@camera.it
Servizio Studi – Dipartimento Lavoro ( 066760-4884 – * st_lavoro@camera.it Servizio Studi – Dipartimento Affari sociali ( 066760-3266 – * st_affarisociali@camera.it Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea ( 066760-2145 – * cdrue@camera.it |
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File: CU0231.doc |
INDICE
§ Premessa
Art. 1 A.C. 3687 - Princìpi ispiratori della riforma
Art. 2 A.C. 3687 - Organi e articolazione interna delle università (artt. 4, 5 e 6 A.C. 2458)
§ L’art. 2 dell’A.C. 3687 e il quadro normativo di riferimento
§ Gli artt. 4, 5 e 6 dell’A.C. 2458
Art. 3 A.C. 3687 - Federazione e fusione di atenei e razionalizzazione dell’offerta formativa
Art. 4 A.C. 3687 - Fondo per il merito
§ Il quadro normativo sul diritto allo studio
§ Il quadro normativo di riferimento
§ Gli artt. 1 e 2 dell’A.C. 1828
§ Gli artt. 7 e 12 dell’A.C. 2458
§ Gli artt. da 1 a 7, 11, 23 e 24 dell’A.C. 2460
§ Gli artt. 5, comma 2, lett. c), 25 e 26 dell’A.C. 2460
§ Il quadro normativo di riferimento
§ Gli artt. 9 e 10 dell’A.C. 2460
Art. 9 A.C. 3687 - Fondo per la premialità
Art. 10 A.C. 3687 - Competenza disciplinare
Art. 11 A.C. 3687 - Interventi perequativi per le università statali (art. 1, comma 6, A.C. 2458)
§ L’art. 1, comma 6, dell’A.C. 2458
Art. 12 A.C. 3687 - Università non statali legalmente riconosciute (art. 1, comma 2, A.C. 2458)
§ L’art. 1, comma 2, dell’A.C. 2458
§ L’art. 1, comma 5, dell’A.C. 2458
Art. 14 A.C. 3687 - Disciplina di riconoscimento dei crediti
Art. 15 A.C. 3687 - Settori concorsuali e settori scientifico-disciplinari (art. 8 A.C. 2458)
§ Il quadro normativo di riferimento
§ Gli artt. 16 e 17 dell’A.C. 3687
§ Gli artt. 3, 4, 6 e 7 dell’A.C. 1828
§ Gli artt. 9, 10, 11 e 13, nonché 15, comma 1, dell’A.C. 2458
§ Gli artt. 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19 e 20 dell’A.C. 2460
§ Il quadro normativo di riferimento
§ Gli artt. 3 e 16 dell’A.C. 2458
Art. 19 A.C. 3687 - Assegni di ricerca (art. 15, comma 2, A.C. 2458)
§ L’art. 15, comma 2, dell’A.C. 2458
§ L’art. 15, comma 3, dell’A.C. 2458
§ Gli artt. 8 e 22 dell’A.C. 2460
Art. 21 A.C. 3687 - Ricercatori a tempo determinato (art. 21 A.C. 2460)
Art. 22 A.C. 3687 - Collocamento a riposo dei professori e dei ricercatori
Art. 23 A.C. 3687 - Lettori di scambio
Art. 24 A.C. 3687 - Anagrafe degli studenti
Art. 25 A.C. 3687 - Norme transitorie e finali (art. 28 A.C. 2460)
A.C. 591 Tassone ed altri- Norme in materia di ricercatori operanti in territorio italiano
§ L’art. 1, commi 1, 3, 4, 7 e 8
§ L’art. 2
A.C. 2726 Carlucci - Istituzione del Fondo rotativo per il finanziamento degli studi universitari"
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
La proposta di legge A.C. 3687 risulta dalla approvazione, il 29 luglio 2010, dell’A.S. 1905, presentato dal Governo e modificato durante l’esame parlamentare, che ha assorbito gli A.A.S. 591, 874, 970, 1387, 1579.
Essa consta di 25 articoli, organizzati in 3 Titoli[1].
Il Titolo I (artt. 1-3) riguarda l’organizzazione del sistema universitario.
Il Titolo II (artt. 4-14) riguarda norme e delega legislativa in materia di qualità ed efficienza del sistema universitario.
Il Titolo III (artt. 15-25) reca norme in materia di personale accademico e riordino della disciplina concernente il reclutamento. Esso include anche le disposizioni finali e transitorie.
Le proposte di legge presentate alla Camera e abbinate – A.C. 591 (Tassone ed altri), 1143 (Ghizzoni ed altri), 1154 (Barbieri), 1276 (Grimoldi ed altri), 1397 (Barbieri), 1578 (Mario Pepe), 1828 (Narducci ed altri), 1841 (Grassi ed altri), 2218 (Picierno), 2220 (Fucci ed altri), 2250 (Garagnani ed altri), 2330 (Garavini ed altri), 2458 (Fioroni ed altri), 2460 (Goisis), 2726 (Carlucci), 2748 (La Loggia ed altri), 2841 (Lorenzin ed altri) e 3408 (Anna Teresa Formisano)presentano contenuti in parte afferenti a quelli presenti nella proposta approvata dal Senato, in parte ulteriori.
Da un punto di vista strutturale, si rileva che l’A.C. 2458 è articolata in 5 Capi. In particolare:
-il Capo I (artt. 1-3) concerne finanziamento e patrimonializzazione delle università;
-il Capo II (artt. 4-6) reca disposizioni in materia di autonomia statutaria e governo degli atenei;
- il Capo III (artt. 7- 13) reca disposizioni sullo stato giuridico dei professori e sui settori scientifico-disciplinari;
- il Capo IV (artt. 14-16) riguarda il dottorato di ricerca e le attività di ricerca post-dottorato;
-il Capo V (art. 17) riguarda il diritto allo studio.
Per quanto concerne le altre proposte, si enucleano, di seguito, i temi da esse trattati:
- le proposte di legge 1397, 1828, 2460 riguardano aspetti vari relativi allo stato giuridico, al reclutamento, alla valutazione dell’attività didattica e scientifica dei professori universitari (nella pdl 1397 si tratta dei professori universitari incaricati stabilizzati, nella pdl 2460 si tratta anche dei ricercatori);
- la proposta di legge 1154 reca disposizioni in materia di equiparazione dei diplomi universitari triennali alle corrispondenti lauree di primo livello;
- la proposta di legge 1841 reca disposizioni per il sostegno operativo e finanziario dell’attività nelle università statali;
- la proposta di legge 2726 prevede l’istituzione di un Fondo rotativo per il finanziamento degli studi universitari, mentrela proposta di legge 1276 reca norme in materia di pagamento delle tasse di iscrizione e dei contributi universitari;
- le proposte di legge 591, 1143, 2330, 2841 concernono aspetti vari in materia di progetti di ricerca e ricercatori;
- le proposte di legge 1578, 2218, 2220 e 3408 concernono aspetti vari in materia di accesso ai corsi universitari;
- la proposta di legge 2250 reca una delega al Governo per l’abolizione del valore legale del diploma di laurea;
- la proposta di legge 2748 reca disposizioni in materia di età pensionabile dei professori ordinari in servizio nelle libere università private riconosciute dallo Stato.
Nella prima parte del dossier saranno illustrati gli argomenti trattati nel progetto di legge approvato dal Senato, indicando gli articoli di altre proposte di legge abbinate eventualmente raffrontabili. Di queste ultime, terminata l’illustrazione riferita all’A.C. 3687, saranno sintetizzati i principali contenuti, in alcuni casi corredati da un testo a fronte presente in apposita sezione del dossier.
Gli ulteriori argomenti trattati nei progetti di legge abbinati saranno sinteticamente illustrati nella seconda parte del dossier.
Tutte le schede sono corredate del quadro normativo di riferimento che, in alcuni casi, in relazione all’ampiezza e alle caratteristiche dell’argomento, precede il commento e/o costituisce paragrafo autonomo.
Al presente dossier si affianca il dossier n. 387/1, che contiene i principali riferimenti normativi, nonché una selezione dottrinaria, in cui sono presenti anche alcuni contributi di diritto comparato.
L’articolo 1 indica i principi ispiratori della riforma che, come indicato dalle Linee guida per l’università[2], fanno riferimento ai concetti di:
- autonomia e responsabilità;
- valorizzazione del merito;
- combinazione di didattica e ricerca.
Si dispone, quindi, che le università sono sede primaria di libera ricerca e di libera formazione e sono luogo di apprendimento ed elaborazione critica delle conoscenze; esse, combinando in modo organico ricerca e didattica, operano per il progresso culturale, sociale ed economico della Repubblica (comma 1).
Al riguardo, le citate Linee guida, ricordato che l’Europa, attraverso la strategia di Lisbona, ha posto il traguardo di una società basata sulla conoscenza, evidenziano che “l’università e la ricerca, binomio inscindibile, sono una ricchezza fondamentale per l’Italia. Per tornare ad essere uno strumento davvero efficace di crescita e di promozione sociale e personale in un Paese avanzato, l’università deve cogliere con coraggio la richiesta di rinnovarsi, rendersi trasparente nella condotta e nei risultati, dimostrare con la forza dei fatti di saper progettare un futuro ambizioso”.
Ogni università opera ispirandosi ai principi di autonomia e di responsabilità (sull’autonomia, si veda infra, commento art. 2): al riguardo, si fa riferimento all’art. 33 della Costituzione e al Titolo V della parte II della Costituzione[3].
Inoltre, si stabilisce che gli atenei[4] che hanno conseguito la stabilità e sostenibilità del bilancio e risultati di livello elevato nel campo della didattica e della ricerca possono sperimentare propri modelli organizzativi e funzionali, comprese modalità di costituzione e composizione degli organi di governo diverse(da quelle indicate dal successivo articolo 2): ciò, sulla base di accordi di programma con il MIUR (sugli accordi di programma una ulteriore disposizione è recata dal comma 5), che con decreto di natura non regolamentare stabilisce i criteri per l’ammissione alla sperimentazione e le modalità di verifica periodica dei risultati conseguiti.
Al MIUR fa capo la definizione di obiettivi e indirizzi strategici per il sistema - nel rispetto della libertà di insegnamento e dell’autonomia - e, tramite l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario (ANVUR) per quanto di sua competenza, di conseguente verifica e valutazione dei risultati, secondo criteri di qualità, trasparenza e promozione del merito, anche sulla base delle migliori esperienze internazionali.
La distribuzione delle risorse pubbliche sarà coerente con gli obiettivi e gli indirizzi indicati e con l’attività svolta da ogni ateneo, nel rispetto del principio della coesione nazionale, nonché con la valutazione dei risultati (commi 2 e 4).
Si ricorda, preliminarmente, che già l’art. 1, comma 1, della legge n. 230 del 2005[5] ha affidato all’università il compito di coniugare in modo organico ricerca e didattica, stabilendo, altresì, che la gestione delle università si ispira ai princìpi di autonomia e di responsabilità nel quadro degli indirizzi fissati con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
Al comma 2, si valuti l’opportunità di sostituire le parole “diverse modalità di composizione e costituzione degli organi di governo” con le parole “modalità di composizione e costituzione degli organi di governo diverse da quelle indicate nell’articolo 2”.
Con riferimento all’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario, si ricorda che essa è stata istituita sulla base dell’art. 2, c. 138-142, del D.L. 262/2006[6], chele ha attribuito tre funzioni:
a) valutazione della qualità delle attività delle università e degli enti di ricerca, sulla base di un programma annuale approvato dal Ministro dell’università e della ricerca;
b) indirizzo e coordinamento delle attività di valutazione demandate ai nuclei di valutazione interna degli atenei e degli enti di ricerca;
c) valutazione dell’efficienza e dell’efficacia dei programmi statali di finanziamento e di incentivazione delle attività di ricerca e di innovazione.
Le medesime disposizioni hanno previsto che i risultati dell’attività valutativa costituiscono criterio di riferimento per l’assegnazione dei finanziamenti statali e hanno rimesso le modalità di funzionamento dell’organismo a regolamenti di delegificazione.
Con il DPR 64 del 2008 è stato adottato il regolamento didelegificazione recante organizzazione, funzionamento e organi di gestione dell’ANVUR che,tuttavia, ha demandato (art. 13) ad un ulteriore regolamento delegificato la determinazione della dotazione organica del personale di livello dirigenziale generale e non, nonché l'entità e la ripartizione del personale delle aree funzionali, non consentendo, quindi, l’effettiva operatività dell’Agenzia. Il DPR 64/2008 è stato, poi, abrogato dal DPR 76 del 2010.
Ai sensi dell’art. 2 di quest’ultimo, l'Agenzia opera in coerenza con le migliori prassi di valutazione dei risultati a livello internazionale. Sulla base dell’art. 3, essa valuta la qualità dei processi, i risultati e i prodotti delle attività di gestione, formazione e ricerca, compreso il trasferimento tecnologico[7]. L’Agenzia svolge, inoltre, funzioni di indirizzo dell’attività dei nuclei di
valutazione degli atenei, ad eccezione di quelle loro affidate dalle istituzioni di appartenenza,e predispone procedure uniformi per la rilevazione della valutazione dei corsi da parte degli studenti; elabora i criteri per la valutazione delle strutture e dei corsi di studio ai fini dell’accreditamento periodico, i requisiti per l’istituzione di nuove università o nuove sedi, e per l’attivazione dei corsi di studio, i parametri per l’allocazione dei finanziamenti statali – inclusa la determinazione dei livelli essenziali di prestazione e dei costi unitari riferiti a specifiche tipologie di servizi -; valuta l’efficienza dei programmi pubblici di finanziamento e i risultati degli accordi di programma. Ai sensi dell’art. 4, gli esiti della valutazione – che sono resi pubblici - costituiscono criterio di riferimento per l’assegnazione, da parte del Ministro, dei finanziamenti statali e di specifici fondi premiali a strutture che hanno conseguito risultati particolarmente significativi.
L'Agenzia ha personalità giuridica di diritto pubblico, è dotata di autonomia organizzativa, amministrativa e contabile, ed è sottoposta alla vigilanza del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e al controllo sulla gestione da parte della Corte dei conti.
Inoltre, il MIUR, nel rispetto delle competenze regionali, deve valorizzare il merito, rimuovere gli ostacoli all’istruzione universitaria e garantire l’effettiva realizzazione del diritto allo studio, ponendo in essere interventi per gli studenti capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, che vogliano iscriversi all’università (comma 3). Sul diritto allo studio, si ricorda che l’art. 5 dell’AC. 3687 prevede una specifica delega, mentre altre proposte di legge abbinate (in particolare, A.C. 1276, art. 17 A.C. 2458, A.C. 2726) prevedono specifici interventi.
Il comma 5 prevede la definizione di accordi di programma[8] tra le singole università o aggregazioni delle stesse ed il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, volti a favorire la competitività delle università “svantaggiate”.
Lo scopo degli accordi è il miglioramento della qualità dei risultati, tenuto conto degli indicatori di contesto relativi alle condizioni di sviluppo regionale.
Sembrerebbe opportuno puntualizzare il concetto di “università svantaggiate”, in particolare chiarendo se si intende fare riferimento alle università localizzate nelle aree sottoutilizzate.
Per quanto concerne le aree svantaggiate, ovvero c.d. depresse, recentemente ridefinite con il termine di “aree sottoutilizzate” – alle quali la disposizione potrebbe voler fare riferimento – si ricorda che tale espressione è utilizzata per indicare le zone che, a causa della loro particolare situazione economico-sociale, possono beneficiare di aiuti di Stato in deroga al generale principio di incompatibilità degli aiuti con il mercato comune. Le disposizioni di deroga maggiormente rilevanti sono quelle di cui all'articolo 87, paragrafo 3, lettere a) e c) del Trattato UE, che riguardano i cosiddetti “aiuti a finalità regionale”, in quanto stabiliscono la possibilità di aiuti di Stato volti a far fronte a difficoltà di carattere regionale. In particolare, per quanto riguarda l’individuazione delle aree sottoutilizzate ammesse nella nuova programmazione 2007-2013, nel novembre 2007 è stata approvata dalle autorità comunitarie la Carta degli aiuti di Stato a finalità regionale che individuale aree in deroga destinatarie altresì delle risorse comunitarie per il raggiungimento degli obiettivi della politica di coesione regionale.
In relazione all’obiettivo degli accordi di programma in esame, vale a dire favorire la competitività delle “università svantaggiate”, appare opportuno ricordare che, in base al Quadro strategico nazionale 2007-2013 che dispone la programmazione dell’allocazione delle risorse comunitarie cofinanziate a livello nazionale, è stato definito il Programma operativo nazionale (c.d. PON) Ricerca e Competitività 2007-2013, finanziato dal Fondo europeo di sviluppo regionale per le regioni dell’obiettivo Convergenza (Campania, Puglia, Calabria e Sicilia). Detto programma rappresenta uno strumento grazie al quale il sistema degli enti della ricerca può sviluppare la competitività, migliorando le condizioni socioeconomiche delle regioni interessate. L’ammontare complessivo delle risorse finanziarie del PON Ricerca e Competitività 2007-2013 è di 6.205 milioni di euro, di cui 3.102 assicurati dal finanziamento comunitario. L’obiettivo previsto dal comma 5 sembra, quindi, affiancarsi agli obiettivi definiti per l’attuazione del PON Ricerca e Competitività 2007-2013.
Esso, come si è detto ante, è attuato tenendo conto degli indicatori di contesto relativi alle condizioni di sviluppo regionale.
Tali indicatori vengono elaborati dall’Istat nell'ambito del progetto "Informazione statistica territoriale e settoriale per le politiche strutturali 2001-2008", al fine di supportare l'attività di monitoraggio e valutazione del Quadro comunitario di sostegno - QCS 2000-2006, attraverso la costruzione e l'aggiornamento di una base dati di indicatori socio-economici regionali. Nel dettaglio, la banca dati contiene circa 160 indicatori regionali (indicatori di contesto chiave e variabili “di rottura”), disponibili per tutte le regioni e per macroarea, articolati secondo assi di intervento ed ambiti prioritari[9].
L’articolo 2 dell’A.C. 3687 dispone in materia di organi e di articolazione interna delle università statali, dettando vincoli e criteri direttivi per la modifica degli statuti (ferme restando, ai sensi dell’art. 1, comma 2, la possibilità per le università di sperimentare modelli organizzativi propri in presenza di specifiche condizioni, nonché, per gli istituti ad ordinamento speciale, e pur nel rispetto dei parametri indicati, l’adozione di autonome modalità di organizzazione, ai sensi dell’art. 2, comma 3).
In particolare, esso: prevede un limite al mandato del rettore, passibile, inoltre, di mozione di sfiducia; distingue le funzioni attribuite al Senato accademico e al Consiglio di amministrazione; sostituisce la figura del direttore amministrativo con quella del direttore generale; stabilisce che i componenti del nucleo di valutazione devono essere in prevalenza esterni all’ateneo; dispone la semplificazione dell’articolazione interna, attribuendo un ruolo pregnante ai dipartimenti.
Disposizioni sul medesimo argomento recato dall’art. 2 (e in parte dall’art. 1) dell’A.C. 3687 sono recate dagli articoli 4, 5 e 6 dell’A.C. 2458. Per un raffronto testuale, si è redatto, in apposita sezione del dossier, un testo a fronte fra le norme indicate. Nel testo della scheda, quindi, dopo il commento dell’art. 2 dell’A.C. 3687, si evidenzieranno solo le principali differenze rispetto a quest’ultimo.
Ai sensi dell’art. 2 dell’A.C. 3687 gli statuti devono essere modificati entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, secondo principi di semplificazione, efficienza ed efficacia, nonché, ai sensi del comma 1, letteras), attuando il principio di trasparenza dell’attività amministrativa e, in particolare, di quello di accessibilità delle informazioni relative all’ateneo.
Ai sensi del comma 11, il rispetto dei principi di semplificazione, efficienza ed efficacia, unitamente a quello di razionale dimensionamento delle strutture, rientra tra i criteri di valutazione delle università valevoli ai fini dell’allocazione delle risorse, definiti con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, su proposta dell’ANVUR.
La modifica degli statuti è inquadrata, fatto salvo il rispetto dell’art. 33 Cost. e dell’art. 6 della L. n. 168 del 1989[10], nel complessivo processo di riordino della pubblica amministrazione, nell’ambito della quale si collocano le università ai sensi dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001.
A fini di semplificazione normativa, si valuti l’opportunità di riportare il principio di cui al comma 1, lettera s), nell’alinea del medesimo comma 1.
Di seguito, si riporta, anzitutto, un sintetico quadro di riferimento normativo generale, che meglio consente di inquadrare la problematica del governo delle università.
A seguire, il commento dell’art. 2 è organizzato per capitoli nell’ambito dei quali, al fine di delineare il quadro complessivo in cui si interviene con il provvedimento in esame, vengono riportate, di volta in volta, oltre alla normativa nazionale nel tempo intervenuta - e, in alcuni casi, di fatto superata dall’intervento degli statuti - anche, per la ragione appena indicata, alcune delle norme contenute negli statuti di quattro atenei statali, presi ad esempio quali atenei significativi, anche in base alla loro collocazione geografica (Università degli Studi di Milano[11]; Università di Bologna “Alma Mater Studiorum”[12]; Università degli Studi di Roma “La Sapienza”[13]; Università degli Studi di Napoli “Federico II”[14]).
La prima riforma complessiva dell’Università fu varata con R.D. 30 settembre 1923, n. 2102, e prese il nome dal Ministro proponente, Giovanni Gentile.
Il contenuto del regio decreto fu poi ripreso in gran parte dal Testo unico dell’istruzione superiore approvato con R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, il cui articolo 1, terzo comma, ha attribuito alle Università personalità giuridica e autonomia amministrativa, didattica e disciplinare, nei limiti stabiliti dal Testo unico e sotto la vigilanza dello Stato, esercitata dal Ministro dell'educazione nazionale.
Lo stesso R.D. ha disegnato l’organizzazione dell’ente e le modalità di scelta dei soggetti preposti agli organi di governo.
In particolare, ai sensi dell’art. 6, il governo delle università e degli istituti superiori appartienealle seguenti autorità:
§ rettore delle università e direttore degli istituti superiori;
§ corpo accademico (composto di tutti i professori di ruolo dell'Università o Istituto superiore presieduto dal professore più anziano[15]);
§ senato accademico;
§ Consiglio d'amministrazione;
§ presidi delle Facoltà e delle Scuole;
§ Consigli delle Facoltà e delle Scuole.
Al Consiglio d'amministrazione spettano il governo amministrativo e la gestione economica e patrimoniale dell'Università o dell'Istituto; alle altre autorità, ciascuna nell'ambito della propria competenza, le attribuzioni di ordine scientifico, didattico e disciplinare.
La vigilanza ministeriale, in base al T.U., si esplica, fra l’altro, nel potere di nomina di tutti gli organi di governo[16], nel potere di scioglimento del Consiglio di amministrazione per gravi motivi, con conseguente nomina di un commissario straordinario, nell’approvazione ed emanazione dello Statuto, nell’approvazione preventiva dei principali atti di gestione.
E’, poi, intervenuta la Costituzione, il cui art. 33, sesto comma, ha fissato il principio di autonomia universitaria, stabilendo che “le istituzioni di alta cultura, università e accademie hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”[17].
Quindi, la Costituzione ha rimesso al legislatore ordinario il compito di individuare tempi e modi per disciplinare i limiti dell’autonomia delle istituzioni universitarie.
Il processo di attuazione del disposto costituzionale è stato avviato con la già citata legge n. 168 del 1989, che:
§ ha affidato al Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica il compito di dare “attuazione all'indirizzo ed al coordinamento nei confronti delle università e degli enti di ricerca, nel rispetto dei principi di autonomia stabiliti dall'articolo 33 della Costituzione” (art. 1, comma 2). La stessa legge ha individuato, fra le funzioni di indirizzo e di coordinamento, quelle relative alla programmazione del sistema universitario, alla definizione di criteri oggettivi per la ripartizione delle risorse, al controllo di statuti e regolamenti di ateneo;
§ ha definito i profili dell’autonomia: in particolare, l’art. 6 ha sancito l’autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile delle università, disponendo che queste si danno ordinamenti autonomi con propri statuti e regolamenti. Si precisa, inoltre, che le università sono disciplinate, oltre che dai rispettivi statuti e regolamenti, esclusivamente da norme legislative che vi operino espresso riferimento, escludendo in maniera esplicita l’applicabilità di disposizioni emanate con circolare. Esse svolgono attività didattica e sono sedi primarie di ricerca scientifica e organizzano le relative strutture nel rispetto della libertà di insegnamento e della libertà di ricerca dei docenti e dei ricercatori, trattandone anche gli aspetti amministrativi, finanziari e di gestione;
§ ha rimesso ad una successiva legge l’attuazione dei principi di autonomia enunciati, quanto a termini e limiti (art. 6, comma 8), e ha stabilito (art. 16, comma 2) che, decorso un anno, in mancanza di tale legge, gli statuti delle università fossero emanati con decreto del rettore nel rispetto dei principi di autonomia dettati dall’art. 6 e con le procedure e le modalità ivi previste. In
particolare, ha stabilito una particolare composizione dell’organo chiamato a realizzare, con la deliberazione del primo statuto, l’autonomia[18].
Questavia alternativa, in mancanza della legge di attuazione dei principi di autonomia, è stata quella che, poi, si è in effetti realizzata[19].
La struttura organizzativa delle università, compresi gli organi di governo e le loro attribuzioni, è pertanto ora disciplinata dagli Statuti, deliberati dalle stessa università, previo controllo preventivo da parte del Ministro.
Lo stesso art. 16 della legge 168 del 1989 ha stabilito i contenuti essenziali degli statuti. Essi devono prevedere:
§ l’elettività del rettore;
§ una composizione del senato accademico rappresentativa delle facoltà istituite nell’ateneo;
§ criteri organizzativi che assicurino l’individuazione delle responsabilità e l’efficienza dei servizi[20];
§ l’osservanza delle norme sullo stato giuridico del personale docente, ricercatore e non docente;
§ l’adozione di curricula didattici coerenti ed adeguati al valore legale dei titoli di studio rilasciati dall’università[21];
§ una composizione del consiglio di amministrazione che assicuri la rappresentanza delle diverse componenti di personale previste dalla normativa vigente;
§ la compatibilità tra le soluzioni organizzative e le disponibilità finanziarie[22].
In seguito, il D.L. n. 120 del 1995[23], all’art. 6,ha stabilito che gli statuti definiscono la composizione degli organi collegiali assicurando la rappresentanza degli studenti in misura non inferiore al 15 per cento[24].
1. Organi delle università statali (commi 1 e 12)
Il comma 1 riguarda gli organi che devono essere previsti negli statuti, che la lettera a) individua, quale primo criterio direttivo, in:
§ rettore;
§ senato accademico;
§ consiglio di amministrazione;
§ collegio dei revisori dei conti;
§ nucleo di valutazione.
Non è citato il direttore generale la cui figura, però, viene poi disciplinata alle lettere m) ed n).
Gli ulteriori vincoli e criteri direttivi sono indicati nelle lettere da b) ad s).
1.1. Rettore (comma 1,lett. b), c), d))
Gli statuti attribuiscono al rettore (lett. b)):
§ la rappresentanza legale dell'università e le funzioni di indirizzo, di iniziativa e di coordinamento delle attività scientifiche e didattiche;
§ la responsabilità del perseguimento delle finalità dell'università secondo criteri di qualità e nel rispetto dei principi di efficacia, efficienza, trasparenza e meritocrazia;
§ la funzione di proposta del documento di programmazione strategica triennale di ateneo di cui all’art. 1-ter del D.L. 7 del 2005 – tenuto anche conto delle proposte e dei pareri del senato accademico – nonché di proposta del bilancio di previsione annuale e triennale e del conto consuntivo;
§ la funzione di proposta del direttore generale, nonché di iniziativa dei procedimenti disciplinari di cui all’art. 10 (per entrambi gli aspetti, si veda infra);
§ ogni altra funzione non espressamente attribuita ad altri organi.
La programmazione triennale – e la valutazione – del sistema universitario è disciplinata, a partire dal 2006, dall’art. 1-ter del D.L. n. 7 del 2005[25], che hasostituito la disciplina previgente recata dal DPR 25 del 1998[26].
Le università predispongono entro il 30 giugno di ogni anno piani triennali coerenti con le linee generali di indirizzo definite con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentiti la Conferenza dei rettori (CRUI), il Consiglio universitario nazionale (CUN) e il Consiglio nazionale degli studenti universitari (CNSU), e tenendo conto delle risorse acquisibili autonomamente.
I programmi individuano:
§ i corsi di studio da istituire e da attivare, nel rispetto dei requisiti minimi essenziali in termini di risorse strutturali ed umane, nonché quelli da sopprimere;
§ il programma di sviluppo della ricerca scientifica;
§ le azioni per il sostegno ed il potenziamento dei servizi e degli interventi a favore degli studenti;
§ i programmi di internazionalizzazione (per i quali si veda infra);
§ il fabbisogno di personale docente e non docente a tempo determinato e indeterminato, ivi compreso il ricorso alla mobilità.
I programmi delle università, ad eccezione del profilo relativo al fabbisogno di personale, sono sottoposti alla valutazione del MIUR e periodicamente monitorati sulla base di parametri indicati dal Ministro con il supporto del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (CNVSU), e previo parere della CRUI.
Sui risultati della valutazione il Ministro riferisce al Parlamento al termine di ciascun triennio.
Dei programmi delle università si tiene conto nella ripartizione del fondo per il finanziamento ordinario (FFO).
Le linee generali di indirizzo della programmazione delle università per il triennio 2007-2009 sono state definite con DM 3 luglio 2007, n. 362, la cui premessa chiarisce che, in virtù dell’art. 1, comma 2, della legge n. 168 del 1989, che prevede che il Ministero “dà attuazione all'indirizzo e al coordinamento nei confronti delle Università... nel rispetto dei principi di autonomia stabiliti dall'art. 33 della Costituzione”, la valutazione dei programmi universitari non può che essere effettuata ex post, mediante il monitoraggio e la valutazione dei risultati dell'attuazione dei medesimi, e non ex ante (ai fini della approvazione degli stessi).
L’art. 4 del DM stabilisce, poi, che i parametri e i criteri per il monitoraggio e la valutazione sono definiti mediante indicatori quali-quantitativi: al riguardo, è intervenuto il DM 18 ottobre 2007, n. 506[27].
Le risorse sono allocate sul cap. 1690 del bilancio del MIUR.
I risultati dell’attuazione dei programmi al termine del triennio 2007- 2009 sono stati resi noti con nota prot. 146 del 16 luglio 2009[28], mentre con Decreto Direttoriale 8 luglio 2009, prot. n. 82/2009[29]sono state ripartire le risorse per il 2009, pari a € 63.578.634,00[1]. La relazione sui risultati dell’attuazione dei programmi al termine del triennio 2007-2009 è stata trasmessa al Parlamento con lettera del 27 luglio 2010 (doc. CCXXXIV, n. 1)
Infine, con nota del 27 gennaio 2010, prot. 17, sono state fornite indicazioni operative relative alla programmazione per il triennio 2010-2012, per l’anno 2010: nelle more dell’adozione delle linee generali per il triennio indicato, trovano applicazione le linee generali che hanno disciplinato la programmazione 2007-2009.
Si evidenzia che l’art. 1-ter del D.L. 7 del 2005, esplicitamente citato, non reca l’aggettivo “strategico/a” con riferimento al documento di programmazione triennale.
L’intervento normativo è, quindi, caratterizzato dalla ridefinizione del ruolo del rettore, che, come evidenziava la relazione illustrativa dell’A.S. 1905, è “organo propulsore delle attività scientifiche e didattiche e dello sviluppo strategico dell’ateneo nel suo complesso”. Ciò, sempre secondo la relazione illustrativa indicata, “in modo tale che possa assumere la piena responsabilità nel perseguimento di tutte le finalità istituzionali dello stesso”.
La medesima relazione illustrativa, infatti, chiariva che l’intervento attuato tramite l’articolo 2 mira al bilanciamento dei poteri, nonché ad una più precisa definizione delle responsabilità.
Sempre gli statuti determinano le modalità di elezione del rettore tra i professori ordinari in servizio presso le università italiane (lett. c))[30].La formulazione lascerebbe intendere che l’ambito di eleggibilità non è circoscritto ai professori del medesimo ateneo.
Si valuti, dunque, l’opportunità di chiarire il passaggio.
Infine, gli statuti possono scegliere tra un mandato unico non rinnovabile, di durata massima di sei anni, o non più di due mandati, per un massimo di otto anni (lett. d)).
Nella legislazione nazionale il rettore, ai sensi dell’art. 6 del R.D. n. 674 del 1924[31]:
§ rappresenta l'università;
§ ha l'alta vigilanza sulle biblioteche e sugli stabilimenti dell'università;
§ esercita l'autorità disciplinare sul personale di ogni categoria addetto all'università;
§ provvede all'esecuzione delle deliberazioni del senato accademico e del consiglio di amministrazione;
§ cura l'osservanza di tutte le norme concernenti l'ordinamento universitario e dà esecuzione ai provvedimenti presi dal Ministro;
§ riferisce al Ministro, con relazione annuale, sul funzionamento dell'università;
§ esercita tutte le altre attribuzioni che gli sono demandate dalle norme generali e speciali concernenti l'ordinamento universitario.
Al rettore, inoltre, spetta presiedere il Senato accademico ed il Consiglio di amministrazione (artt. 9 e 10, R.D. n. 1592 del 1933) e adottare provvedimenti disciplinarinei confronti del personale tecnico ed amministrativo appartenente alle varie qualifiche funzionali (art. 16, comma 8, L. 168/1989). Ulteriori funzioni sono state poi affidate al rettore anche dal DPR 382/1980[32].
Ai sensi degli artt. 11 e 97 del DPR da ultimo citato, il rettore è eletto tra i professori ordinari e straordinari a tempo pieno della stessa università[33]. Il regime d'impegno a tempo definito è, infatti, incompatibile con le funzioni di rettore.
L’elettorato attivo spetta a ordinari, straordinari ed associati della stessa Università, nonché ai rappresentanti dei ricercatori nei consigli di facoltà, i quali scelgono il rettore a maggioranza assoluta dei votanti nelle prime tre votazioni e, in caso di mancata elezione, con il sistema del ballottaggio tra i due candidati che nell’ultima votazione hanno riportato il maggior numero dei voti[34].
Ai sensi dell’art. 2 del D.lgs.lgt. n. 264 del 1944[35], i rettori durano in carica un triennio e possono essere rieletti.
Gli Statuti di Milano e Roma stabiliscono che il rettore dura in carica 4 anni e può essere rieletto una sola volta. Le Università di Bologna e Napoli fissano la durata in carica in 4 anni, prevedendo che il rettore è immediatamente rieleggibile una sola volta.
1.2. Senato accademico (commi 1,lett. e), f), g), e 12, lett. a))
Gli statuti attribuiscono al Senato accademico la competenza (lett. e)):
§ a formulare proposte e pareri in materia di didattica e di ricerca, anche con riferimento al documento di programmazione strategica triennale di ateneo, nonché di attivazione o soppressione di corsi e sedi (su quest’ultimo aspetto, il comma 2, lett. c), prevede anche la proposta delle strutture di raccordo fra i dipartimenti, mentre la lett. g) del medesimo comma prevede il parere della commissione paritetica docenti-studenti, in entrambi i casi limitatamente ai corsi di studio);
§ ad approvare i regolamenti in materia di didattica e di ricerca, previo parere favorevole del consiglio di amministrazione;
§ a svolgere funzioni di coordinamento e di raccordo con i dipartimenti e con le strutture di cui al comma 2, lett. c);
§ a proporre una mozione di sfiducia al rettore – con una maggioranza di almeno i 3/4 dei suoi componenti –, non prima che siano trascorsi 2 anni dall'inizio del mandato del rettore[36];
§ ad esprimere parere sul bilancio di previsione annuale e triennale e sul conto consuntivo dell'università.
Il senato accademico è costituito su base elettiva. Il numero di membri – proporzionato alle dimensioni dell'ateneo – non deve superare 35 unità (incluso il rettore e una rappresentanza elettiva degli studenti), di cui almeno 2/3 terzi docenti di ruolo (inclusi i direttori di dipartimento[37]), eletti in modo da rispettare le diverse aree scientifico-disciplinari dell'ateneo (lett. f)).
La durata in carica del senato accademico è fissata in un massimo di quattro anni e il relativo mandato è rinnovabile per una sola volta (lett. g)).
In materia, il comma 12, lett. a), dell’articolo 2 in commento dispone che – a decorrere dalla data di entrata in vigore delle modifiche statutarie adottate dall’ateneo, perdono efficaciale disposizioni di cui all’art.16, comma 4, lett. b), della L. n. 168 del 1989, concernenti la composizione del senato accademico rappresentativa delle facoltà istituite nell’ateneo.
Ai sensi dell’art. 9 del R.D. n. 1592 del 1933, il Senato accademico è composto:
§ dal rettore dell’università, che lo presiede;
§ dai presidi delle Facoltà o Scuole dell’Università che rilasciano lauree valide per l’ammissione agli esami di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale.
Alle relative adunanze partecipa anche il direttore amministrativo, che esercita le funzioni di segretario e ha voto consultivo.
Ai sensi dell’art. 11 della L. n. 341 del 1990, il senato accademico delibera sul regolamento didattico di ateneo ed esercita funzioni consultive per deliberazioni di competenza del rettore o del consiglio di amministrazione[38].
La normativa nazionale non prevede un limite di durata del senato accademico.
Negli Statuti degli atenei presi ad esempio, il senato accademico è organo di programmazione, coordinamento e indirizzo delle attività didattiche e di ricerca dell'Università. Quanto alla composizione dell’organo, gli Statuti prevedono: § Milano: 23 membri[39] + i Presidi di Facoltà[40] + il Direttore amministrativo, che funge da segretario; § Bologna: 19 membri[41] + i Presidi di Facoltà[42] + il Direttore Amministrativo, che esercita anche le funzioni di segretario, con voto consultivo; § Roma: 50 membri[43] + il Direttore Amministrativo, che svolge le funzioni di segretario, con voto consultivo; § Napoli: 35 membri[44] + i Presidenti dei Poli[45] + i Presidi di Facoltà[46] + il Direttore Amministrativo, che svolge le funzioni di segretario, con voto consultivo.
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Con riferimento alla durata in carica, gli Statuti recano termini diversi tra loro. Nel caso delle università di Milano e Napoli, ad esempio, i membri elettivi del senato accademico durano in carica tre anni e possono essere immediatamente rieletti una sola volta[47]. L’università di Roma stabilisce che i componenti elettivi del senato accademico durano in carica tre anni e non possono essere rieletti per più di una volta[48]. |
1.3. Consiglio di amministrazione (commi 1, lett. h), i), l), e 12, lett. a))
Gli statuti attribuiscono al Consiglio di amministrazione (lett. h)):
§ funzioni di indirizzo strategico;
§ la competenza ad approvare la programmazione finanziaria annuale e triennale (si tratta di uno strumento previsto dall’art. 5, comma 4, lett. b))e del personale, nonché la competenza a vigilare sulla sostenibilità finanziaria delle attività;
§ la competenza a deliberare l'attivazione o soppressione di corsi e sedi;
§ la competenza ad adottare il regolamento di amministrazione e contabilità, nonché, su proposta del rettore e previo parere del senato accademico per gli aspetti di sua competenza, ad approvare il bilancio di previsione annuale e triennale, il conto consuntivo e il documento di programmazione strategica;
§ il dovere di trasmettere ai Ministeri dell’istruzione, dell’università e della ricerca e dell’economia e delle finanze il bilancio di previsione annuale e triennale e il conto consuntivo;
§ la competenza a conferire l'incarico di direttore generale;
§ la competenza disciplinare relativamente ai professori e ricercatori universitari, ai sensi dell’art. 10;
§ la competenza ad approvare la proposta di chiamata dei professori da parte del dipartimento, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera d).
Alla lettera h), è necessario citare, oltre che l’art. 17, comma 1, lettera d), anche l’art. 21, comma 2, lettera d), relativo alla chiamata dei ricercatori a tempo determinato.
Considerando, quindi, nell’insieme Senato Accademico e Consiglio di amministrazione, si evidenzia una netta distinzione delle funzioni dei due organi, con l’attribuzione, tra l’altro, al Cda di funzioni di indirizzo strategico, della competenza relativa all’istituzione di nuovi sedi o corsi e di quella relativa all’approvazione dei documenti di bilancio;al Senato accademico sono attribuite, in particolare, funzioni di proposta in materia di didattica e ricerca e funzioni deliberanti in materia di regolamenti di ateneo (ad eccezione del regolamento di amministrazione e contabilità) , nonché la competenza a proporre la mozione di sfiducia al rettore.
Ai sensi della lett. i), l’organo è composto da un numero massimo di 11 membri, inclusi il rettore – componente di diritto – ed una rappresentanza elettiva degli studenti (si ricorda che, ai sensi del comma 1, lett. n), alle sedute del consiglio di amministrazione partecipa, senza diritto di voto, il direttore generale).
La scelta o la designazione degli altri componenti avviene con modalità definite dagli statuti, anche mediante avvisi pubblici, tra personalità (italiane o straniere) in possesso di comprovata competenza in campo gestionale ovvero di un’esperienza professionale di alto livello.
Al contempo, si stabilisce che non deve appartenere ai ruoli dell’ateneo – per tutta la durata dell’incarico, e a decorrere dai tre anni precedenti alla designazione – un numero di consiglieri:
§ non inferiore a 3, se il Cda è composto da 11 membri;
§ non inferiore a 2, se i componenti del Cda sono meno di 11.
Fra i membri non appartenenti ai ruoli dell’ateneo non devono essere computati i rappresentanti degli studenti iscritti all’ateneo medesimo.
Gli statuti devono prevedere, altresì, che il presidente del consiglio di amministrazione sia il rettore o uno dei consiglieri esterni ai ruoli dell’ateneo, eletto dallo stesso consiglio.
Inoltre, al fine di garantire un rinnovo graduale dell’intero consiglio di amministrazione, è possibile prevedere il rinnovo non contestuale dei diversi membri.
La durata massima del consiglio di amministrazione è di 4 anni; anche la durata massima del mandato dei componenti è fissata in 4 anni, ad eccezione dei rappresentanti degli studenti, il cui mandato è, invece, biennale. In tutti i casi, il mandato è rinnovabile per una sola volta (lett. l)).
Si valuti l’opportunità di spostare l’ultimo periodo della lett. i) (rinnovo graduale del Cda) nella lett. l), relativa alla durata del mandato.
In materia, il comma 12, lett. a), dell’articolo 2 in commento dispone che – a decorrere dalla data di entrata in vigore delle modifiche statutarie adottate dall’ateneo, perdono efficaciale disposizioni di cui all’art. 16, comma 4, lett. f), della L. n. 168 del 1989, che prevedono che la composizione del consiglio di amministrazione (lett. f)) deve assicurare la rappresentanza delle diverse componenti (ordinari, associati, ricercatori, personale tecnico amministrativo, studenti).
Nell’ambito della legislazione nazionale, il R.D. n. 1592 del 1933 ha previsto che al Consiglio d'amministrazione spettano il governo amministrativo e la gestione economica e patrimoniale dell'università (art. 6). L’art. 58 del medesimo provvedimento, infatti, ha attribuito a tale organo la delibera del bilancio preventivo e del conto consuntivo.
Successivamente, lo schema-tipo di regolamento per l'amministrazione e la contabilità generale delle Università, approvato con il D.P.R. n. 371 del 1982[49], ha stabilito che il bilancio annuale di previsione è predisposto, sulla base delle linee programmatiche indicate dalle autorità accademiche, dal direttore amministrativo, coadiuvato dal direttore della ragioneria, ed è presentato dal rettore, con apposita relazione illustrativa, al consiglio di amministrazione per l’approvazione. Anche il conto consuntivo è accompagnato da una relazione illustrativa del rettore.
Tra le funzioni dell’organo, si ricordano anche le delibere del regolamento di ateneo per l'amministrazione, la finanza e la contabilità (art. 7, comma 9, L. n. 168 del 1989).
Sempre ai sensi della legislazione nazionale antecedente la L. 168 del 1989, fanno parte del Consiglio di amministrazione (per effetto del combinato disposto dell’art. 2 del R.D.L. 439/1937[50], dell’art. 9 del D.L. n. 580 del 1973[51], e dell’art. 96 del DPR n. 382 del 1980):
§ il rettore, che lo presiede;
§ il prorettore;
§ due rappresentanti del Governo;
§ il direttore amministrativo, che esercita le funzioni di segretario del Consiglio;
§ tre rappresentanti di enti locali;
§ un membro designato dalla regione in cui ha sede l'università;
§ due membri nominati dal Governo, su terne proposte dal CNEL, uno appartenente alla categoria dei lavoratori, uno a quella degli imprenditori[52];
§ un membro nominato dal Governo, su terna proposta dal CNR;
§ quattro rappresentanti dei professori di ruolo e tre rappresentanti dei professori associati;
§ due rappresentanti del personale non insegnante;
§ sei rappresentanti degli studenti.
Gli enti e i privati hanno diritto alla designazione di un proprio rappresentante in seno al consiglio, qualora versino all'Ateneo un contributo annuo non inferiore a 100 milioni di lire[53].
L’art. 2 del R.D.L. 439/1937 stabilisce che i componenti del Consiglio d’amministrazione durano in carica un biennio e possono essere riconfermati.
In proposito si ricorda che l’art. 6, comma 5, del D.L. n. 78 del 2010[54] prevede che “tutti gli enti pubblici, anche economici, e gli organismi pubblici, anche con personalità giuridica di diritto privato, provvedono all’adeguamento dei rispettivi statuti al fine di assicurare che, a decorrere dal primo rinnovo successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, gli organi di amministrazione e quelli di controllo, ove non già costituiti in forma monocratica, nonché il collegio dei revisori, siano costituiti da un numero non superiore, rispettivamente, a cinque e a tre componenti. (…) La mancata adozione dei provvedimenti di adeguamento statutario o di organizzazione previsti dal presente comma nei termini indicati determina responsabilità erariale e tutti gli atti adottati dagli organi degli enti e degli organismi pubblici interessati sono nulli”. Da tale previsione non risultano esplicitamente escluse le università.
Con riferimento agli Statuti degli atenei presi ad esempio, nell’Università di Bologna spetta alla Giunta di Ateneo presentare al Senato Accademico e al Consiglio di Amministrazione la proposta di bilancio preventivo (Statuto, art. 35, comma 6), mentre gli artt. 44, comma 2, e 15, comma 3, rispettivamente, dello Statuto dell’Università di Milano e dello Statuto dell’Università di Roma, attribuiscono al Direttore amministrativo il compito di predisporre il bilancio preventivo e il conto consuntivo. La deliberazione del bilancio di previsione e del conto consuntivo spetta comunque al Consiglio di Amministrazione[55].
Quanto ai componenti del Consiglio di amministrazione, gli Statuti prevedono un numero pari a:
§ Milano: 19 membri[56];
§ Bologna: 26 membri[57];
§ Roma: 21 membri[58];
§ Napoli: 29 membri[59].
Inoltre, nello Statuto dell’università di Milano i membri non elettivi del Consiglio non possono essere dipendenti dell'Ateneo. L’università di Bologna stabilisce che i membri designati dalla Regione e dal Comune, il rappresentante degli enti convenzionati con l'Ateneo per il funzionamento delle sedi decentrate e quello designato dagli Enti locali delle stesse sedi, nonché il rappresentante dei soggetti privati che si impegnino a contribuire al bilancio dell'Università non possono essere docenti universitari o dipendenti dell’Ateneo.
Quanto alla durata in carica, i diversi statuti prevedono:
§ Milano: i membri elettivi durano in carica tre anni e sono immediatamente rieleggibili una sola volta. I rappresentanti degli studenti durano in carica due anni e possono essere rieletti, purché abbiano conservato i requisiti per l'eleggibilità previsti dal Regolamento generale d'Ateneo, una sola volta.
§ Bologna: il CdA è rinnovato ogni tre anni. I membri del Consiglio possono svolgere non più di due mandati consecutivi.
§ Roma: i membri elettivi durano in carica tre anni e possono essere eletti non più di due volte consecutive.
§ Napoli: i membri elettivi durano in carica tre anni e sono immediatamente rieleggibili una sola volta. I rappresentanti degli studenti cessano con il decadere della loro appartenenza al Consiglio degli studenti di Ateneo.
1.4. Direttore generale (commi 1, lett. m) ed n), e 12, lett. b))
Ai sensi della lett. m), l’incarico di direttore generale – che sostituisce il direttore amministrativo – è conferito dal consiglio di amministrazione, su proposta del rettore, che lo sceglie tra personalità di elevata qualificazione professionale e comprovata esperienza pluriennale con funzioni dirigenziali.
L’incarico – regolato con contratto di lavoro di diritto privato – è a tempo determinato di durata non superiore a 4 anni, rinnovabile.
La definizione di criteri e parametri per la determinazione del trattamento economico spettante al direttore generale è demandata ad un decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, da emanarsi di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze (non è indicato il termine di emanazione).
In caso di conferimento dell’incarico a un dipendente pubblico, gli statuti devono prevedere il collocamento in aspettativa senza assegni, per tutta la durata del contratto.
La lett. n) stabilisce che il direttore generale partecipa alle sedute del consiglio di amministrazione, senza diritto di voto. A lui, sulla base degli indirizzi forniti dal medesimo Cda, sono affidati:
§ la complessiva gestione e organizzazione dei servizi, delle risorse strumentali e del personale tecnico-amministrativo dell’ateneo;
§ i compiti, in quanto compatibili, affidati ai dirigenti di uffici dirigenziali generalidall'art. 16 del già citato D.lgs. n. 165 del 2001[60].
Il direttore generale non figura nell’elenco degli organi indicati nella lett. a) del comma 1, anche se la relazione illustrativa al disegno di legge A.S. 1905 lo qualificava “organo di gestione”. Si valuti, dunque, se indicarlo fra gli organi, ovverose espungere le previsioni ad esso relative dal comma 1.
In materia, il comma 12, lett. b), dell’articolo 2 in commento dispone che – a decorrere dalla data di entrata in vigore delle modifiche statutarie adottate dall’ateneo, perdono efficaciale disposizioni di cui all’art. 17, comma 110, della L. n. 127 del 1997, che stabiliscono che il contratto di lavoro del direttore amministrativo è a tempo determinato, di durata non superiore a 5 anni, rinnovabile.
Nell’ambito della legislazione nazionale, l’art. 139 del R.D. 1592 del 1933 ha previsto che presso ciascuna Università è destinato un direttore amministrativo che sovrintende, in conformità alle disposizioni del rettore o direttore e delle autorità accademiche, a tutti i servizi amministrativi ed è responsabile dell'osservanza delle norme legislative e regolamentari.
Con riferimento alle norme che hanno delineato competenze e responsabilità del direttore amministrativo, il D.P.R. n. 371 del 1982 – oltre alla già ricordata predisposizione del bilancio annuale di previsione (si veda ante) – ha attribuito al direttore amministrativo, tra l’altro, il potere di firmare, congiuntamente al Rettore, le reversali di incasso (art. 12); di vigilare, nei limiti delle sue attribuzioni e sotto la sua personale responsabilità, sull’accertamento, riscossione e versamento delle entrate (art. 13); di assumere, su delega del CdA e nel rispetto dei limiti prestabiliti, gli impegni di spesa a carico dei singoli capitoli di bilancio (art. 14); di effettuare, sempre su delega del CdA ed entro limiti prestabiliti, spese in economia (art. 22) e di numerare e vidimare le scritture contabili (art. 24).
In seguito, l’art. 5 della L. n. 23 del 1986[61] ha previsto un regolamento – di fatto, mai emanato – che disciplinasse (in conformità ai principi contenuti nel DPR n. 748 del 1972[62]) le attribuzioni, le funzioni e le connesse responsabilità dei dirigenti superiori con funzioni di direttore amministrativo delle Università e degli istituti di istruzione universitaria. L’art. 11 della medesima legge ha previsto che alla copertura dei posti vacanti di dirigente superiore con funzioni di direttore amministrativo si provvede, di norma, previo trasferimento, a domanda, di funzionari di pari qualifica e funzionida altre sedi universitarie, che abbiano maturato tre anni di servizio nella sede di provenienza, ovvero mediante concorso.
L’art. 8, comma 1, della L. n. 370 del 1999[63] ha poi previsto che il trattamento economico dei direttori amministrativi delle università è determinato in conformità a criteri e parametri individuati con decreti del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, di concerto con i Ministri del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e per la funzione pubblica. A tale disposizione è stata data attuazione con D.M. 23 maggio 2001.
Gli statuti degli atenei presi ad esempio disciplinano nel dettaglio le attribuzioni del direttore amministrativo, oltre a stabilire durata e modalità di conferimento dell’incarico.
Nell’università di Milano, l'incarico di Direttore amministrativo – di durata di quattro anni, rinnovabile – è attribuito dal Consiglio di amministrazione, su proposta del Rettore, sentito il Senato accademico.
Nell’università di Roma, l’incarico è conferito dal rettore, su delibera conforme del senato accademico e del consiglio di amministrazione, a maggioranza assoluta dei presenti, per un periodo di quattro anni.
Lo Statuto dell’ateneo di Napoli prevede che l'incarico di Direttore Amministrativo è conferito dal Consiglio di Amministrazione, su proposta del Rettore, sentito il Senato Accademico, a un dirigente della stessa Università o, con motivata deliberazione, a un dirigente di altra amministrazione pubblica. Il contratto di lavoro – di tipo subordinato – dura cinque anni e può essere rinnovato.
1.5. Collegio dei revisori dei conti (comma 1, lett. o))
Il Collegio dei revisori dei conti ha tre componenti effettivi e due supplenti, di cui:
§ un membro effettivo, con funzioni di presidente, scelto tra i magistrati amministrativi e contabili e tra gli avvocati dello Stato;
§ un membro effettivo e uno supplente, designati dal Ministero dell'economia e delle finanze;
§ un membro effettivo e uno supplente, scelti dal MIUR tra i dirigenti e funzionari del Ministero stesso.
Si stabilisce, inoltre, che almeno due componenti devono essere iscritti al Registro dei revisori contabili.
L’incarico – conferito con decreto rettorale – dura quattro anni, è rinnovabile una sola volta, e non può essere conferito a personale dipendente della medesima università.
Delle disposizioni relative al numero dei membri dei collegi dei revisori dei conti recate dal D.L. 78 del 2010 si è già detto ante.
Con riferimento alla formulazione del testo, si segnala l’opportunità di sostituire le parole “Registro dei revisori contabili” con le parole “Registro dei revisori legali”.
Al riguardo, infatti, si ricorda che il D.lgs. n. 39 del 2010, di recepimento della direttiva 2006/43/CE, ha introdotto la figura del “revisore legale” in sostituzione del precedente “revisore contabile”, stabilendo che l’attività può essere svolta dalle persone fisiche e dalle società iscritte nel Registro dei revisori legali, o dai collegi sindacali, quali organi incaricati della revisione legale, nei casi previsti dal codice civile[64].
L’art. 98 del D.P.R. n. 371 del 1982 ha previsto che nelle università il collegio dei revisori dei conti provvede al riscontro degli annidi gestione, accerta la regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili, esamina il bilancio di previsione, le eventuali variazioni ad esso, ed il conto consuntivo redigendo apposite relazioni ed effettua verifiche di cassa; in particolare, redige apposite relazioni sul bilancio preventivo da allegare alla relazione rettorale, nonché la relazione illustrativa sullo schema di conto consuntivo contenente la attestazione circa la corrispondenza delle risultanze di bilancio con le scritture contabili e considerazioni in ordine alla regolarità della gestione.
La norma stabilisce anche che il collegio è nominato con decreto del Ministro della pubblica istruzione (ora MIUR), dura in carica tre anni e può essere riconfermato. Esso è composto da:
§ un magistrato della Corte dei conti che ne assume la presidenza[65], designato dal Presidente della Corte dei conti;
§ due funzionari effettivi ed uno supplente del Ministero del tesoro - Ragioneria generale dello Stato;
§ due funzionari effettivi ed uno supplente del Ministero della pubblica istruzione, dei quali almeno uno appartenente ai ruoli di ragioneria, scelti in casi motivati anche tra personale collocato a riposo di specifiche capacità.
I revisori dei conti possono assistere alle riunioni del consiglio di amministrazione. I regolamenti delle singole Università possono prevedere la obbligatorietà della presenza dei revisori alle riunioni del consiglio di amministrazione.
Successivamente, l’art. 1 del D.lgs. n. 286 del 1999[66] ha stabilito che le pubbliche amministrazioni, nell'ambito della rispettiva autonomia, si dotano di strumenti adeguati a garantire la legittimità, regolarità e correttezza dell'azione amministrativa (controllo di regolarità amministrativa e contabile). A tali controlli provvedono gli organi appositamente previsti dalle disposizioni vigenti nei diversi comparti della pubblica amministrazione, e, in particolare, gli organi di revisione, gli uffici di ragioneria, i servizi ispettivi. I membri dei collegi di revisione degli enti pubblici sono in proporzione almeno maggioritaria nominati tra gli iscritti all'albo dei revisori contabili.
Negli Statuti degli atenei presi ad esempio: § Milano: il Collegio dei revisori dei conti è nominato con mandato triennale dal Rettore, sentito il Consiglio d’amministrazione. E’ composto da sette membri, di cui uno, con funzioni di Presidente, scelto tra i magistrati della Corte dei Conti, uno fra i dirigenti del MEF, due tra i dirigenti del MIUR. Ad eccezione del Presidente, tutti gli altri componenti del Collegio devono essere iscritti al Registro dei Revisori contabili. § Bologna: Lo Statuto demanda al Regolamento per l'Amministrazione, la Finanza e la Contabilità la composizione del Collegio dei revisori dei conti, le modalità di designazione dei suoi membri, nonché quelle relative al suo funzionamento. In particolare, il Regolamento dispone che il Collegio è designato dal CdA e nominato per un triennio dal Rettore. Esso è composto da quattro membri effettivi ed uno supplente: due revisori effettivi sono scelti tra gli iscritti nel Registro dei Revisori Contabili; un revisore effettivo deve essere un magistrato della Corte dei Conti anche in quiescenza; l'altro membro effettivo ed il supplente devono comunque possedere comprovata qualificazione ed esperienza in materia[67]. § Roma: L’art. 13 dello Statuto istituisce il Collegio dei sindaci[68] – la cui composizione e le cui competenze sono determinate dal Regolamento generale dell'Università – quale organo interno di controllo dell'Ateneo[69]. § Napoli: il Collegio dei revisori dei conti è composto da cinque membri effettivi e due supplenti. Tre revisori effettivi sono designati dal Senato Accademico: uno tra i magistrati amministrativi o contabili di grado non inferiore a Consigliere, il quale assume le funzioni di presidente; uno tra gli iscritti nell'albo dei revisori ufficiali dei conti o altro ruolo equivalente sostitutivo; uno tra esperti di comprovata qualificazione in materia amministrativa e contabile che non abbiano rapporti di lavoro subordinato o autonomo con l'Università. Il Senato Accademico designa anche uno dei revisori supplenti, nell'ambito delle categorie di cui sopra. Duerevisori effettivi sono scelti dal Rettore: uno fra i dirigenti della Ragioneria generale dello Stato, ovvero esperti di comprovata qualificazione in materia amministrativa e contabile che non abbiano rapporti di lavoro autonomo o subordinato con l'Università; uno fra i dirigenti del MIUR. Il Rettore sceglie anche uno dei revisori supplenti, nell'ambito delle categorie di cui sopra. Il Collegio è nominato con decreto del Rettore, dura in carica quattro anni e i suoi componenti possono essere confermati. |
1.6. Nucleo di valutazione (comma 1,lett. p) e q))
Gli statuti prevedono che il Nucleo di valutazione è composto, ai sensi della già citata L. n. 370 del 1999,da soggetti di elevata qualificazione professionale, in prevalenza esterni all’ateneo; il coordinatore può essere individuato tra i professori di ruolo dell’ateneo (lett. p)).
Ai sensi del comma 2, lett. h), del Nucleo fa parte anche una rappresentanza degli studenti.
Il Nucleo ha funzioni di (lett. q)):
§ verifica della qualità e dell’efficacia dell’offerta didattica, tenuto conto di quanto previsto dall’art. 4 della L. n. 15 del 2009[70], e sulla base degli indicatori individuati dalle commissioni paritetiche docenti-studenti di cui al comma 2, lettera g), del presente articolo;
§ verifica dell'attività di ricerca svolta dai dipartimenti;
§ verifica della congruità del curriculum scientifico o professionale degli esperti titolari dei contratti di insegnamento di cui all'art. 20, comma 1, del progetto di legge.
I Nuclei di valutazione interna degli atenei sono stati istituiti, secondo le prescrizioni dell’art. 5, comma 22, della L. n. 537 del 1993[71], con il compito di verificare, mediante analisi comparative dei costi e dei rendimenti, la corretta gestione delle risorse pubbliche, la produttività della ricerca e della didattica, nonché l'imparzialità ed il buon andamento dell'azione amministrativa.
Il ruolo e le funzioni di tali organismi sono stati successivamente rafforzati con le disposizioni della L. n. 370 del 1999, il cui art. 1 ha previsto che il nucleo di valutazione di ateneo esplica funzioni di valutazione interna della gestione amministrativa, delle attività didattiche e di ricerca, degli interventi di sostegno al diritto allo studio, verificando, anche mediante analisi comparative dei costi e dei rendimenti, il corretto utilizzo delle risorse pubbliche, la produttività della ricerca e della didattica, nonché l'imparzialità e il buon andamento dell'azione amministrativa[72]. Il medesimo articolo ha demandato allo statuto delle università la disciplina dell’organo, stabilendo che esso è composto da un minimo di cinque ad un massimo di nove membri, di cui almeno due nominati tra studiosi ed esperti nel campo della valutazione anche in ambito non accademico.
Esso acquisisce periodicamente, mantenendone l'anonimato, le opinioni degli studenti frequentanti sulle attività didattiche.
Non è previsto, a livello di legislazione nazionale, un termine di durata dell’organo.
Negli Statuti degli atenei presi ad esempio:
§ Milano: il Nucleo di valutazione è composto da esperti di alta qualificazione, in maggioranza non dipendenti dell'Ateneo, designati dal Rettore, sentiti il Senato accademico e il CdA. All'atto della costituzione del Nucleo viene fissata la durata del mandato, comunque non superiore a tre anni, rinnovabile consecutivamente una sola volta.
§ Bologna: la costituzione del Nucleo di valutazione è definita con atto del CdA, sentito il Senato Accademico.
§ Roma: il Nucleo di valutazione è composto da un minimo di cinque ad un massimo di nove membri, di cui uno con funzioni di Presidente, scelti tra studiosi ed esperti, italiani e stranieri, nel campo della valutazione anche in ambito non accademico e competenti in una pluralità di settori metodologici e disciplinari. Almeno la metà dei componenti deve essere esterno all’Università. La carica di componente del Nucleo è incompatibile con quella di membro del CdA e del Senato Accademico. I componenti durano in carica tre anni e possono essere confermati una sola volta (art. 2, Regolamento del Nucleo di valutazione di ateneo[73]);
§ Napoli: il Nucleo di valutazione di Ateneo è composto da sette membri di cui almeno quattro esterni all'Ateneo e fra questi non meno di due esperti nel campo della valutazione anche in ambito non accademico.
1.7. Incompatibilità delle cariche (comma 1,lett. r))
Sono stabilite norme in materia di incompatibilità delle cariche per i componenti del senato accademico e del consiglio di amministrazione.
In particolare, sussiste il divieto di:
§ ricoprire altre cariche accademiche, fatta eccezione, limitatamente al senato accademico, per il rettore e, qualora risultino eletti a farne parte, i direttori di dipartimento;
§ essere componente di altri organi dell’università, salvo che del consiglio di dipartimento;
§ rivestire, per la durata del mandato, incarichi di natura politica;
§ nell’ambito di altre università italiane statali, non statali o telematiche, ricoprire la carica di rettore o far parte del consiglio di amministrazione o del senato accademico, del nucleo di valutazione o del collegio dei revisori dei conti;
§ svolgere, nell’ambito del MIUR o dell'ANVUR, funzioni inerenti la programmazione, il finanziamento e la valutazione delle attività universitarie.
La norma, infine, stabilisce la decadenza per i componenti del senato accademico e del consiglio di amministrazione che non partecipano con continuitàalle sedute dell'organo di appartenenza. Con riguardo alla locuzione “che non partecipino con continuità alle sedute”, si presume che la specificazione del principio sia rimessa ai singoli statuti.
Ai sensi della lettera i), il rettore è componente di diritto del Consiglio di amministrazione. Si valuti, pertanto, l’opportunità di aggiungere nella lettera r), dopo le parole “fatta eccezione per il rettore limitatamente al Senato accademico”, le parole “e al consiglio di amministrazione,”.
I vincoli e i criteri direttivi cui attenersi nelle modifiche statutarie riferite all’articolazione interna – che devono essere adottate sempre entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge – sono individuati dal comma 2.
Essi riguardano:
§ semplificazione dell’articolazione interna con attribuzione al dipartimento delle funzioni finalizzate allo svolgimento della ricerca scientifica, delle attività didattiche e formative, nonché delle attività rivolte all’esterno ad esse correlate o accessorie (lett. a). La relazione illustrativa al disegno di legge A.S. 1905 evidenziava che l’obiettivo di tale disposizione è quello di integrare maggiormente la gestione della didattica e della ricerca, attribuendo al dipartimento anche le attività didattiche e formative attualmente svolte dalle facoltà;
§ riorganizzazione dei dipartimenti, con la determinazione di un numero minimo di professori, ricercatori di ruolo e ricercatori a tempo determinato appartenenti a settori scientifico-disciplinari omogenei che deve afferire a ciascun dipartimento: il numero minimo è fissato in trentacinque unità, ovvero quarantacinque nelle università con oltre mille tra professori ericercatori di ruolo e a tempo determinato (lett. b)). Sempre la relazione illustrativa al ddl A.S. 1905 evidenziava che questa previsione è tesa ad ampliare le maglie dell’attuale assetto organizzativo, al fine di favorire il coordinamento fra i settori scientifico-disciplinari omogenei e di creare una base più ampia per la costituzione delle commissioni giudicatrici;
§ previsione di istituire strutture di raccordo,comunque denominate,fra più dipartimenti, raggruppati secondo criteri di affinità disciplinare (lett. c)). A tali strutture sono attribuite le funzioni di:
· coordinare e razionalizzare le attività didattiche, compresa la proposta di attivazione o soppressione di corsi di studio;
· gestire i servizi comuni;
· garantire l'inscindibilità delle funzioni assistenziali, di insegnamento e di ricerca dei docenti di materie cliniche – secondo modalità e nei limiti concertati con la Regione di ubicazione –, ove alle funzioni didattiche e di ricerca dei dipartimenti si affianchino, nell'ambito delle disposizioni statali in materia, funzioni assistenziali.
Si ricorda in proposito che l’articolo 5, comma 2, del D.lgs. 517/1999[74] stabilisce che le attività assistenziali svolte dai professori e dai ricercatori universitari si integrano con quelle di didattica e ricerca. In seguito, l’articolo 1, comma 2, della già citata legge 230/2005 ha previsto che i professori di materie cliniche esercitano funzioni assistenziali inscindibili da quelle di insegnamento e ricerca.
§ numero complessivo delle strutture di raccordo, comunque non superiore a dodici, proporzionale alle dimensioni dell’ateneo e connesso alla tipologia scientifico-disciplinare dello stesso (lett. d));
§ istituzione diun organo deliberante delle strutture di raccordo, del quale fanno parte i direttori dei dipartimenti in esse raggruppati e una rappresentanza elettiva degli studenti. Le funzioni di presidente sono attribuite ad un professore ordinario afferente alla struttura, eletto dall’organo stesso ovvero nominato secondo modalità determinate dallo statuto. L’incarico ha durata triennale, è rinnovabile una sola volta ed è incompatibile con le funzioni di direttore di dipartimento e coordinatore di corso di studio, di area didattica o di dottorato. La partecipazione all’organo non dà luogo alla corresponsione di compensi, emolumenti, indennità o rimborsi spese (lett. f));
§ possibilità, per le università con un organico di professori, di ricercatori di ruolo e ricercatori a tempo determinato inferiore a cinquecento unità, di darsi un’articolazione organizzativa interna semplificata, alla quale vengono attribuite unitariamente le funzioni assegnate, negli altri casi, ai dipartimenti e alle strutture di raccordo (lett. e));
§ istituzione in ogni dipartimento, ovvero in ogni struttura di raccordo, ovvero ancora in ogni struttura semplificata di cui alla lettera e), senza maggiori oneri a carico della finanza pubblica, di una commissione paritetica docenti-studenti (lett. g)). La commissione è competente a:
· svolgere attività di monitoraggio dell'offerta formativa e della qualità della didattica e individuare indicatori per la valutazione dei risultati delle stesse;
· formulare pareri sull'attivazione e la soppressione di corsi di studio.
La partecipazione alla commissione non dà luogo alla corresponsione di compensi, emolumenti, indennità o rimborsi spese.
Per quanto concerne la rappresentanza degli studenti (lett. h) e i)), si prevede, che:
§ è garantita la loro rappresentanza elettiva, in conformità a quanto previsto dal D.L. n. 120 del 1995 – ovvero, come già ricordato, in misura non inferiore al 15 per cento - nel Senato accademico, nel Consiglio di amministrazione, nel Nucleo di valutazione, nell’organo deliberante dellestrutture di raccordo, nella Commissione paritetica docenti-studenti;
§ l’elettorato passivo è attribuito agli iscritti per la prima volta (e non oltre il primo anno fuori corso)[75] ai corsi di laurea, laurea magistrale e dottorato di ricerca dell’università;
§ ogni mandato è di durata biennale ed è rinnovabile una sola volta;
§ essa è tutelata con l’introduzione di apposite misure, compresa la possibilità di accesso ai dati necessari per l’esplicazione dei compiti attribuiti, nel rispetto della normativa vigente[76].
Infine, si prevede il rafforzamento dell’internazionalizzazione, anche attraverso una maggiore mobilità dei docenti e degli studenti, programmi integrati di studio, iniziative di cooperazione universitaria per attività di studio e di ricerca (lett. l))[77].
Con riferimento alla lettera e), si evidenzia una necessità di chiarimento in relazione alla citazione della lettera b), che non prevede l’attribuzione di funzioni.
Con riferimento alla lettera h), per immediata percezione, sembrerebbe opportuno citare esplicitamentel’art. 6 del decreto-legge 21 aprile 1995, n. 120.
Infine, il criterio direttivo di cui alla lettera l) non sembrerebbe propriamente attenere all’articolazione interna degli atenei.
Si ricorda che la costituzione dei dipartimenti da parte delle università è regolata, anzitutto, dagli artt. 83 e ss. del DPR n. 382 del 1980. I dipartimenti – intesi come organizzazione di uno o più settori di ricerca omogenei per fini o per metodo e dei relativi insegnamenti anche afferenti a più facoltà o a più corsi di laurea della stessa facoltà – hanno il compito di promuovere e coordinare le attività di ricerca. Al dipartimento afferiscono – oltre al personale amministrativo, tecnico e bibliotecario e ausiliario – i professori e i ricercatori del settore di ricerca, degli insegnamenti e delle attività connesse al dipartimento stesso.
Sono organi del dipartimento il direttore, il consiglio e la giunta.
Il direttore ha la rappresentanza del dipartimento, presiede il consiglio e la giunta e cura l’esecuzione delle rispettive deliberazioni; con la collaborazione della giunta promuove le attività del dipartimento, vigila sull’osservanza nell’ambito del dipartimento delle leggi, dello statuto e dei regolamenti; tiene i rapporti con gli organi accademici, esercita tutte le altre attribuzioni che gli sono devolute dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti. A tale carica possono essere eletti unicamente i professori di prima fascia (ordinari e straordinari). Il direttore resta in carica tre anni e non può essere rieletto consecutivamente più di una volta. L’elettorato attivo spetta ai professori di ruolo e ai ricercatori, i quali scelgono il direttore a maggioranza assoluta dei votanti nella prima votazione e a maggioranza relativa nelle successive.
Ai sensi dell’art. 84 del medesimo DPR 382/1980, fanno parte del consiglio di dipartimento – oltre a una rappresentanza del personale non docente e degli studenti iscritti al dottorato di ricerca – i professori ufficiali, gli assistenti del ruolo ad esaurimento ed i ricercatori. Il consiglio di dipartimento può inoltre decidere la partecipazione al consiglio stesso, limitatamente alla organizzazione dell’attività didattica, di una rappresentanza elettiva degli studenti.
Un ulteriore intervento normativo è stato operato con l’art. 4, comma 2, secondo periodo, del D.L. n. 8 del 2002[78] che ha esteso ai professori di seconda fascia, nel caso vi sia indisponibilità di professori di ruolo di prima fascia, l’elettorato passivo per la carica di direttore di dipartimento.
Da ultimo, l’art. 8 del DDL A.S. 1167-b/bis, amplia le ipotesi in cui i professori di seconda fascia godono dell’elettorato passivo per la carica di direttore di dipartimento nelle università, inserendo nel sistema vigente la situazione nella quale il quorum previsto per l’elezione non venga raggiunto per due votazioni.
Ai sensi del comma 3, gli istituti di istruzione universitaria ad ordinamento speciale adottano, senza ulteriori oneri per la finanza pubblica, proprie modalità organizzative, ferme restando, però, le disposizioni recate dai commi 1 e 2 concernenti:
§ attribuzioni e durata in carica del rettore (lett. b) e d), comma 1);
§ attribuzioni, composizione e durata in carica del Consiglio di amministrazione (lett. h), i) ed l), comma 1);
§ il direttore generale (lett. m) ed n), comma 1);
§ il collegio dei revisori dei conti (lett. o), comma 1);
§ composizione e attribuzioni del nucleo di valutazione (lett. p) e q), comma 1);
§ la commissione paritetica docenti-studenti e, in generale, la rappresentanza degli studenti (lett. g), h) ed i), comma 2).
Gli Istituti universitari a ordinamento speciale sono stati disciplinati dal Titolo II del T.U. n. 1592 del 1933. Degli istituti previsti dal predetto T.U. restano ancora come tali, per quanto riguarda “l’Alta formazione”, la Scuola Normale Superiore di Pisa, nonché l’Università per stranieri di Perugia[79].
Successivamente, sono stati istituiti la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (S.I.S.S.A.) di Trieste (D.P.R. 6 marzo 1978, n. 102), la Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento “S. Anna” di Pisa (legge 14 febbraio 1987, n. 41), l’Università per stranieri di Siena (L. n. 204 del 1992, quale trasformazione della Scuola di lingua e cultura italiana per stranieri di Siena riconosciuta con L. n. 359 del 1976).
In seguito, inattuazione di quanto previsto dal D.P.R. 27 gennaio 1998, n. 25 (art. 2), sono stati istituiti, nell’ambito della programmazione del sistema universitario per il triennio 2004-2006 (di cui al DM 5 agosto 2004):
§ Istituto Universitario di Studi Superiori (I.U.S.S.) di Pavia (D.M. 8 luglio 2005);
§ Scuola IMT (Istituzioni, Mercati, Tecnologie) Alti Studi di Lucca (D.M. 18 novembre 2005);
§ Istituto Italiano di Scienze Umane di Firenze (D.M. 18 novembre 2005).
Da ultimo, si ricorda l’istituzione dell’Università per stranieri “Dante Alighieri” non statale legalmente riconosciuta, con sede a Reggio Calabria, quale istituto di istruzione universitaria con ordinamento speciale (D.M. 17 ottobre 2007, n. 504[80]).
Gli Istituti Universitari ad ordinamento speciale, al pari di tutte le Università, sono dotati di autonomia amministrativa, didattica e disciplinare e svolgono attività didattiche e di ricerca[81].
I commi 1 e 2 si riferiscono esplicitamente alle università statali, mentre il comma 3 non reca tale specifica. Poiché, come evidenziato, uno degli istituti superiori ad ordinamento speciale risulta essere non statale (Università per stranieri “Dante Alighieri” di Reggio Calabria), è opportuno chiarire se le disposizioni recate dal comma 3 si applichino allo stesso istituto.
Il comma 4 prevede l’adozione – da parte delle università che ne fossero prive – di un codice deontologico, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge.
La finalità, oltre a quelle già indicate dalla legge, consiste nell’individuazione di situazioni di conflitto di interesse e nella predisposizione di misure per il loro superamento.
Tra gli atenei presi ad esempio, un codice etico è stato adottato dall’Università di Bologna[82].
I commi da 5 a 7 concernono l’adozione dello statuto in fase di prima applicazione.
In particolare, il comma 5 prevede che, in prima applicazione, lo statuto è predisposto da un apposito organo – istituito con decreto rettorale, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica – composto da quindici membri:
§ il rettore, con funzioni di presidente;
§ due rappresentanti degli studenti;
§ sei membri designati dal senato accademico;
§ sei membri designati dal consiglio di amministrazione.
La partecipazione all'organo non dà luogo alla corresponsione di compensi, emolumenti, indennità o rimborsi spese.
Circa l’incompatibilità delle cariche, si dispone che – ad eccezione del rettore e dei rappresentanti degli studenti – i componenti dell’organo non possono far parte del senato accademico e del consiglio di amministrazione.
Lo statuto è adottato con delibera del senato accademico e previo parere favorevole del consiglio di amministrazione.
Il comma 6 stabilisce che in caso di mancato rispetto del termine – fissato dal comma 1 in sei mesi –, il MIUR assegna all’università un ulteriore termine di tre mesi, decorso inutilmente il quale il Ministro provvede a costituire, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, una commissione incaricata di predisporre le necessarie modifiche statutarie (adempimento per il quale non viene stabilito un termine).
La commissione è composta da tre membri, compreso il presidente, in possesso di adeguata professionalità.
Il comma 7 stabilisce che lo statuto adottato ai sensi dei commi 5 e 6 è trasmesso al MIUR, che esercita il controllo di cui all’art. 6 della L. 168 del 1989, ma entro 120 giorni dalla ricezione dello stesso (invece che entro 60).
Sembrerebbe opportuno chiarire se l’ultimo periodo del comma 5 si riferisca solo allo statuto adottato in sede di prima applicazione, come la collocazione testuale lascia intendere. In caso affermativo, si valuti la necessità di chiarire a chi spetti adottare, a regime, le eventuali modifiche successive dello stesso statuto.
Inoltre, con riferimento alla formulazione del testo, sembrerebbe necessario sostituire, al comma 5, le parole “quindici componenti, tra i quali” con le parole “quindici componenti, di cui”,poiché i membri indicati rappresentano la totalità e non una parte dell’organo. Nel comma 7, invece, la parola “Ministero” deve essere sostituita con la parola “Ministro”.
Ai sensi dell’art. 6, commi 9 e 10, della L. 168/1989, gli statuti e i regolamenti di ateneo – deliberati dagli organi competenti dell'università a maggioranza assoluta dei componenti – sono trasmessi al Ministro, il quale, entro il termine perentorio di sessanta giorni, esercita il controllo di legittimità e di merito nella forma della richiesta motivata di riesame. In assenza di rilievi, statuti e regolamenti di ateneo sono emanati dal rettore[83].
Al Ministro spetta il potere di rinviare – per una sola volta, con proprio decreto – gli statuti e i regolamenti all'università proponente, indicando le norme illegittime e quelle da riesaminare nel merito. Gli organi competenti dell'università possono non conformarsi ai rilievi di legittimità con deliberazione adottata dalla maggioranza dei tre quinti dei suoi componenti, ovvero ai rilievi di merito con deliberazione adottata dalla maggioranza assoluta. In tal caso il Ministro può ricorrere contro l'atto emanato dal rettore, in sede di giurisdizione amministrativa per i soli vizi di legittimità. Quando la maggioranza qualificata non sia stata raggiunta, le norme contestate non possono essere emanate.
I commi da 8 a 10 concernono la disciplina di avvicendamento e il regime di prorogatio degli organi universitari.
Ai sensi del comma 8, i competenti organi universitari, entro 30 giorni dalla data di pubblicazione dei nuovi statuti nella Gazzetta Ufficiale, avviano le procedure per la costituzione dei nuovi organi statutari. Non è previsto un termine finale.
Il comma 9 stabilisce che gli organi universitari decadono al momento della costituzione di quelli previsti dal nuovo statuto. Gli organi il cui mandato scade entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge restano in carica fino alla costituzione dei nuovi organi.
I rettori eletti o in carica il cui mandato scade successivamente alla data di entrata in vigore della legge, concludono comunque il loro mandato. Il mandato dei rettori che scade entro il termine di emanazione delle modifiche statutarie è prorogato fino al termine dell’anno accademico successivo.
Con riferimento all’ultima disposizione indicata, si evidenzia che il comma 1 dell’articolo in commento non prevede propriamente un termine per l’emanazione delle modifiche statutarie.
Il comma 10 stabilisce che, ai fini dell’applicazione delle disposizioni sui limiti di durata del mandato o delle cariche riferite al rettore, al senato accademicoe al consiglio di amministrazione, vengono considerati anche i periodi già espletati nell’ateneo alla data di entrata in vigore dei nuovi statuti.
L’art. 4 concerne gli statuti e i codici etici degli atenei.
Le principali differenze rispetto all’A.C. 3687 sono così individuabili:
§ deroghe ai termini e ai limiti dell’autonomia statutaria stabiliti dal Capo II del progetto di legge possono essere autorizzate dal MIUR solo per gli statuti delle istituzioni universitarie ad ordinamento speciale quando la richiesta sia motivata sulla base della specificità della relativa missione, o per gli statuti delle università con più di 2000 professori, quando la richiesta sia motivata sulla base di specifici problemi legati alle dimensioni dell’ateneo (comma 1). Come si è visto, invece, l’A.C. 3687 prevede, all’art. 1, comma 2, la sperimentazione di propri modelli funzionali e organizzativi da parte delle università che hanno conseguito la stabilità e sostenibilità di bilancio e risultati elevati nel campo della didattica e della ricerca, sulla base di accordi di programma con il MIUR. All’art. 2, comma 3, stabilisce che gli istituti universitari ad ordinamento speciale adottano proprie modalità di organizzazione, salve le previsioni sugli organi esplicitamente indicate.
§ Il termine entro cui le università adeguano statuti e regolamenti è un anno dalla data di entrata in vigore della legge (invece che sei mesi previsti dall’A.C. 3687). Diverse sono anche le conseguenze derivanti dal mancato adeguamento: si prevede, infatti, l’esclusione dalla ripartizione delle quote del FFO (comma 2).
§ L’organo competente a deliberare le modifiche statutarie è il Senato accademico (l’A.C. 3687 prevede, invece, un apposito organo) (comma 2).
§ Il codice etico è allegato allo statuto e riguarda la comunità universitaria, della quale fanno parte docenti, ricercatori, personale ausiliario, tecnico e amministrativo (ATA), studenti. Esso, tra l’altro, individua l’organo indipendente garante dell’applicazione delle sue norme e non è sottoposto a controlli ministeriali (comma 3).
Infine, l’art. 4 dispone l’abrogazione dell’art. 16 del D.L. 112 del 2008, che ha previsto la facoltà per le università di trasformarsi in fondazioni (comma 4).
L’art. 5 reca le disposizioni sugli organi.
Le principali differenze rispetto all’A.C. 3687 sono così individuabili:
§ Nell’ambito degli organi dell’ateneo, si distinguono gli organi di governo. Questi ultimi sono costituiti da rettore, senato accademico e consiglio di amministrazione, mentre i primi sono costituiti, oltre che dal collegio dei revisori dei conti e dal nucleo di valutazione – considerati anche dall’A.C. 3687 – dal consiglio degli studenti, dal direttore generale e dagli organi direttivi e collegiali delle strutture interne (comma 1).
§ le funzioni di iniziativa e coordinamento delle scelte strategiche sono attribuite al rettore, che ogni anno presenta una relazione sugli obiettivi dell’ateneo e sui risultati conseguiti (comma 2);
§ la durata e la rinnovabilità dei mandati del rettore sono determinati dallo statuto. La carica, peraltro, al pari delle altre (si veda il comma 14) non può essere ricoperta per più di 8 anni consecutivi. Sono indicati anche i principi che gli statuti devono seguire per la definizione, tra gli altri, della procedura elettorale. Non si riscontrano differenze con l’A.C. 3687 per quanto concerne l’elettorato passivo (comma 3).
§ Al senato accademico, presieduto dal rettore o da un presidente eletto al suo interno[84], spetta l’elaborazione e l’approvazione dei piani strategici delle attività e l’approvazione dello statuto e dei regolamenti di ateneo, nonché funzioni di controllo della qualità dei risultati delle attività. Inoltre, esso esprime un parere sulla relazione sui risultati conseguiti presentata dal rettore: se la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti esprime parere contrario, il rettore è dichiarato decaduto (comma 4).
§ Come per il rettore, anche per il senato accademico composizione, procedure elettorali, durata e rinnovabilità dei mandati e incompatibilità e ineleggibilità dei componenti sono determinati dallo statuto, nel rispetto dei principi specificamente indicati (comma 5) (peraltro, alcune disposizioni sulle incompatibilità sono recate dal comma 8).
§ Al consiglio di amministrazione compete l’assunzione delle decisioni riguardanti l’ateneo nel suo complesso, ad eccezione di quelle che fanno capo ad altri organi o strutture dell’ateneo, in attuazione dei piani strategici e degli indirizzi culturali definiti dal senato accademico (comma 6).
§ Il mandato del consiglio di amministrazione coincide con quello del rettore. Le condizioni di rinnovabilità e le incompatibilità sono definite dallo statuto (anche se poi alcune disposizioni sono recate dal comma 8). La composizione è stabilita dallo statuto sulla base dei criteri indicati: tra questi, la presenza del rettore - che lo presiede -, del direttore generale (quest’ultimo, nell’A.C. 3687 partecipa al CdA senza diritto di voto), di un numero massimo di ulteriori 10 persone (designate dal rettore, dal senato accademico e dal consiglio degli studenti). Tra i componenti, almeno un terzo esterno deve essere esterno al sistema universitario,ma con competenze specifiche sui temi universitari (comma 7).
§ Si dettano disposizioni sul consiglio degli studenti, i cui poteri, composizione, durata e rinnovabilità del mandato, incompatibilità e ineleggibilità, sono stabiliti dallo statuto, nel rispetto dei principi indicati (comma 9).
§ Per la scelta del direttore generale si prevede una selezione pubblica (comma 10).
§ Alcune differenze riguardano la scelta dei membri del collegio dei revisori dei conti (comma 11).
§ Per il nucleo di valutazione si prevede che i componenti designati dal senato accademico - in numero compreso fra 3 e 7 - sono scelti all’esterno dell’ateneo. Il nucleo è composto anche dal presidente, scelto fra i professori o i ricercatori dell’ateneo, e da un rappresentante del consiglio degli studenti (comma 12).
§ È disciplinata un’ipotesi di commissariamento dell’ateneo, nel caso di gravi violazioni delle norme relative alla gestione (comma 13) (come si vedrà, la pdl 3687 prevede il commissariamento, all’art. 5, in caso di dissesto finanziario).
§ Vi è, poi, una disposizione di chiusura, in base alla quale nessuna carica può essere ricoperta per più di 8 anni consecutivi (comma 14).
L’art. 6 reca disposizioni sulle strutture interne degli atenei.
Le principali differenze rispetto all’A.C. 3687 sono così individuabili:
§ Si prevede un unico livello di strutture interne, il cui ordinamento, le cui denominazioni - anche diverse per i diversi ambiti scientifici – il cui livello di autonomia e le cui dimensioni minime sono stabilite dallo statuto. Disposizioni specifiche sono dettate per le strutture dell’area medica (comma 1).
La disciplina in materia è contenuta nell’articolo 2 del già citato D.lgs. 517/1999 (Aziende ospedaliero-universitarie), in cui si ribadisce, al comma 6, che le aziende ospedaliero-universitarie concorrono alla realizzazione dei compiti istituzionali dell'università, in considerazione dell'apporto reciproco tra le funzioni del Servizio sanitario nazionale e quelle svolte dalle facoltà di medicina e chirurgia. Le attività assistenziali svolte perseguono l'efficace e sinergica integrazione con le funzioni istituzionali dell'università, sulla base dei princìpi e delle modalità proprie dell'attività assistenziale del Servizio sanitario nazionale.
§ Sono dettate disposizioni specifiche per la gestione dei corsi di studio: in particolare, si stabilisce che essi sono gestiti, anche in forma aggregata (ed esclusa la gestione amministrativa, rimessa alle strutture di cui al comma 1), da organi collegiali costituiti da professori e ricercatori, che assumono la responsabilità didattica e organizzativa, e da rappresentanti degli studenti. L’ordinamento dei corsi di studio e le condizioni minime per la loro attivazione sono stabiliti dallo statuto dell’ateneo, nel rispetto delle norme vigenti (comma 2).
§ Si affida agli statuti degli atenei la garanzia di forme di raccordo con le istituzioni rappresentative del territorio. Con legge regionale sono stabilite le forme di raccordo fra regione e università (comma 3).
L’art. 3, nell’ottica della razionalizzazione dell’offerta formativa - intesa nel senso ampio di qualità, efficienza ed efficacia dell’attività didattica, di ricerca e gestionale, e di distribuzione e utilizzazione ottimale delle sedi, delle strutture e delle risorse – disciplina la possibilità per le università di federarsi, anche limitatamente ad alcuni settori di attività o strutture, o di fondersi. La federazioneè possibile anche tra università ed enti o istituti operanti nel campo della ricerca e dell’alta formazione, nonché tra università e istituti tecnici superiori[85], sulla base di progetti coerenti con le caratteristiche dei partecipanti (commi 1 e 2).
La formulazione “enti o istituzioni operanti nei settori della ricerca e dell’alta formazione” sembrerebbe consentire la federazione o la fusione anche con enti di ricerca o strutture di alta formazione di carattere privato.
Si valuti l’opportunità di un chiarimento testuale.
La federazione o la fusione avvengono sulla base di un progetto analitico concernente anche la governance, deliberato dai competenti organi delle istituzioni interessate. Esso è approvato dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, e previa valutazione dell’ANVUR, entro tre mesi.
I risparmi derivanti dalla federazione o dalla fusione possono restare nelle disponibilità degli atenei, purché indicati nel progetto (commi 3 e 4).
Si valuti l’opportunità di chiarire se l’ultimo periodo del comma 3 voglia riferirsi esclusivamente ai casi in cui la federazione o fusione coinvolga solo atenei, ovvero anche ai casi in cui coinvolga altri soggetti ai sensi del comma 2.
Il 4 settembre 2010 è stata data notizia di un protocollo di intesa per la federazione degli atenei di Puglia, Basilicata e Molise[86][87].
I commi 5 e 6 dispongono in merito a procedure di mobilità e di trasferimento.
In particolare, il comma 5 prevede che il progetto di federazione o fusione dispone anche in merito ad eventuali procedure di mobilità di professori, ricercatori e personale tecnico-amministrativo. Tali procedure per i professori e i ricercatori avvengono ad istanza degli interessati. Se esse hanno esito negativo, il Ministro può provvedere a trasferire con proprio decreto il personale interessato: in tale ipotesi, egli può disporre l’eventuale concessione di incentivi economici a carico del FFO, sentito il Ministero dell’economia e delle finanze.
Ai sensi del comma 6, lo stesso meccanismo di mobilità e di trasferimento si applica a seguito dei processi di razionalizzazione dell’offerta formativa, con conseguente disattivazione di corsi di studio, facoltà e sedi decentrate, da attuarsi sulla base della programmazione triennale di cui all’art. 1-ter del D.L. n. 7 del 2005 (si veda ante, commento art. 2).
Un riferimento alla associazione di università come titolo preferenziale per l’assegnazione di finanziamenti è contenuto nell’art. 1, comma 4, dell’A.C. 1841, per il quale si rinvia alla relativa scheda.
Il comma 1 istituisce presso il MIUR un nuovo fondo, destinato alla promozione dell’eccellenza e del merito fra gli studenti universitari.
Non è specificato aquali tipologiedi corsi di studio (laurea, laurea magistrale, dottorato di ricerca, diploma di specializzazione) si intenda fare riferimento.
Si valuti, dunque, l’opportunità di chiarire a quali corsi di studio universitari si intenda fare riferimento.
Il fondo è destinato a:
§ erogare premi di studio;
§ fornirebuoni studio; una quota del buono – determinata in relazione ai risultati accademici conseguiti – è restituita, a partire dal termine degli studi, secondo tempi parametrati al reddito percepito;
§ garantire finanziamenti, sempre per le finalità sopra indicate. In altre parole – anche alla luce di quanto indicato successivamente – le disponibilità del fondo servono a garantire la solvibilità dei finanziamenti concessi dagli istituti (appositamente individuati, ai sensi del successivo comma 3, lettera n)) agli studenti.
A fronte della garanzia fornita dallo Stato, l’articolo in esame reca alcune disposizioni dirette a disciplinare la individuazione delle modalità e dei soggetti autorizzati ad effettuare il finanziamento[88].
I beneficiari delle provvidenze sono individuati:
§ mediante prove nazionali standard per gli iscritti al primo anno;
§ mediante criteri nazionali standard di valutazione per gli iscritti agli anni successivi al primo.
Si ricorda che l’art. 2, comma 2, lettera h), attribuisce l’elettorato passivo per la rappresentanza degli studenti all’interno di alcuni organi agli studenti iscritti per la prima volta ai corsi di laurea, laurea magistrale e dottorato di ricerca. Occorre valutare se analoga specifica – iscrizione per la prima volta –debba essere introdotta nel comma in esame.
Gli interventi previsti sono cumulabili con le borse di studio assegnate ai sensi dell’art. 8 della L. n. 390 del 1991[89] (per il quale si veda la scheda relativa all’art. 5) (comma 2).
Il comma 3 demanda la definizione della disciplina di attuazione a decreti interministeriali di natura non regolamentare, emanati dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-regioni (non è indicato un termine di emanazione).
In particolare, detti decreti stabiliscono:
§ i criteri di accesso alle prove nazionali standard e i criteri nazionali standard di valutazione (lett. a)). Dalla lettera della disposizione si deduce, quindi, che la Conferenza Stato-regioni si esprime in merito ai criteri di valutazione per gli iscritti agli anni successivi al primo, mentre per gli iscritti al primo anno si esprime solo sui criteri di accesso alle prove;
§ i requisiti di merito che gli studenti devono rispettare nel corso degli studi per mantenere il diritto a premi, buoni e finanziamenti garantiti (lett. f));
§ le caratteristiche dei premi e dei buoni, inclusi il relativo ammontare, nonché criteri e modalità (lett. b), c), d), g)):
· di attribuzione e utilizzo dei premi e dei buoni;
· per la loro eventuale differenziazione;
· di restituzione della quota dei buoni studio, prevedendo una graduazione della stessa in base al reddito percepito nell’attività lavorativa;
§ le caratteristiche dei finanziamenti garantiti, inclusi modalità di accesso e di utilizzo. In particolare, i finanziamenti prevedono un contributo a carico degli istituti finanziatori, fissato in misura pari all’1 per cento delle somme erogate e allo 0,1 per cento delle rate rimborsate dai debitori (lett. b), f), g), h));
§ l’ammontare massimo garantito per ciascuno studente in ogni anno, anche in ragione delle diverse categorie di studenti (lett. e);
§ i criteri e le modalità di utilizzo del fondo speciale e la sua ripartizione tra le varie destinazioni (premi, buoni e finanziamenti garantiti) (lett. i));
§ la predisposizione di idonee iniziative di divulgazione e informazione, nonché di assistenza a studenti e università, in merito alle modalità di accesso agli interventi (lett. l));
§ le modalità per monitorare, con idonei strumenti informatici, l’utilizzo delle risorse finanziarie del fondo, in termini di concessione di premi, buoni e finanziamenti erogati, di rimborso degli stessi, nonché di esposizione del fondo per quanto concerne le garanzie fornite per i finanziamenti concessi (lett. m);
§ le modalità di selezione con procedura competitiva dell’istituto o degli istituti finanziari fornitori delle provviste finanziarie (lett. n).
Con riferimento alla lett. b), si valuti l’opportunità di chiarire se con l’espressione “modalità di accesso ai finanziamenti garantiti” si intenda fare riferimento a modalità procedurali. Infatti, con riferimento all’individuazione dei beneficiari, sembrerebbe che valgano, anche per i finanziamenti, le modalità indicate nell’alinea del comma 1.
Con riferimento alla lett. e), occorrerebbe chiarire se ci si voglia riferire esclusivamente all’ammontare massimo dei finanziamenti - come farebbe pensare l’utilizzo dell’aggettivo “garantito” -, ovvero all’ammontare massimo complessivo consentito pertutti e tre gli strumenti previsti dal comma 1 (in tale seconda ipotesi sembrerebbe più appropriato l’utilizzo del termine “attribuibile”in luogo del termine “garantito”).
Con riferimento alla lett. f), ove il rispetto di determinati requisiti di merito rappresenti, come è verosimile ritenere, uno dei criteri di valutazione, si valuti l’opportunità di riportarne il contenuto nell’ambito della lettera a), quale specifica dei criteri nazionali standard di valutazione.
Infine, si valuti l’opportunità di riportare sotto un’unica lettera le previsioni secondo le quali si procede alla restituzione di una quota dei buoni studio, a partire dal termine degli studi, secondo tempi parametrati al reddito (comma 1, lett. b)) e si gradua la restituzione della quota in base al reddito percepito nell’attività lavorativa (comma 3, lett. c)).
Ai sensi del comma 4, il coordinamento operativo della somministrazione delle prove nazionali, da effettuare secondo i migliori standard tecnologici e di sicurezza, è svolto dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, secondo modalità indicate con decreto di natura non regolamentare del Ministro, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Il decreto disciplina anche le modalità di predisposizione e svolgimento delle prove nazionali e il contributo massimo richiesto agli studenti per la partecipazione alle prove, con l’esenzione per gli studenti privi di mezzi.
Gli oneri di gestione e le spese di funzionamento degli interventi del fondo sono a carico delle risorse finanziarie del medesimo fondo speciale (comma 5).
Il Ministro dell’economia e delle finanze, con propri decreti, determina, secondo criteri di mercato, il corrispettivo per la garanzia dello Stato, da imputare ai finanziamenti erogati(comma 6).
Con riferimento al comma 6, sarebbe opportuno indicare esplicitamente il soggetto tenuto al pagamento del corrispettivo. Inoltre, la parola “Ministero” deve essere sostituita con la parola “Ministro”.
Il comma 7 stabilisce che il fondo è alimentato con:
§ versamenti effettuati da privati, società, enti e fondazioni (anche vincolati a specifici usi, nel rispetto delle finalità del fondo), a titolo spontaneo e solidale;
§ eventuali trasferimenti pubblici,previsti da specifiche disposizioni, destinati esclusivamente ai premi di studio;
§ corrispettivi per la garanzia dello Stato – di cui al comma 6 –, destinati esclusivamente ai finanziamenti;
§ contributi a carico degli istituti finanziari – di cui al comma 3, lett. h) – e contributi versati dagli studenti per la partecipazione alle prove nazionali, da utilizzare esclusivamente a copertura degli oneri di gestione e delle spese di funzionamento del fondo.
Sembrerebbe opportuno coordinare il comma 7, che dispone destinazioni esclusive per alcune entrate, con il comma 3, lettera i), che affida ad un decreto interministeriale - da adottare sentita la Conferenza Stato-regioni - la determinazione della ripartizione delle risorse del fondo fra le destinazioni di cui al comma 1.
Il MIUR, di concerto con il MEF, promuove il concorso dei privati, anche con apposite convenzioni, e disciplina, con proprio decreto di natura non regolamentare, le modalità con cui i soggetti donatori possono partecipare allo sviluppo del fondo, anche costituendo un comitato consultivo – senza oneri per la finanza pubblica –, formato da rappresentanti dei Ministeri e dei donatori (comma 8).
Al comma 8, appare opportuno chiarire se il decreto ivi previsto sia un decreto interministeriale (nel qual caso, occorrerebbe sopprimere l’aggettivo “proprio”), ovvero se il concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze sia relativo solo all’attività di promozione.
Il comma 9 introduce un beneficio fiscale in favore delle persone fisiche che effettuano erogazioni liberali in denaro in favore del fondo per il merito di cui all’articolo in esame.
In particolare, si interviene sull’art. 10 del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR) al fine di includere tra gli oneri deducibili dal reddito imponibile ai fini IRPEF anche le somme versate nel predetto fondo.
In merito alla formulazione della norma, al fine di indicare più puntualmente nel TUIR a quale fondo per il merito si voglia fare riferimento – e non potendosi citare, in fase di approvazione, un numero di legge - , si suggerisce di inserire nell’art. 10, comma 1, lettera 1-quater, del medesimo TUIR, le parole “del Fondo per il merito degli studenti universitari”.
Si segnala che anche l’art. 17 dell’A.C. 2458 prevede l’istituzione di borse di studio nazionali per l’iscrizione e la frequenza di corsi universitari: in tal caso, il requisito del merito si affianca al requisito del reddito. Se ne dà conto nella scheda riferita alla delega concernente, fra l’altro, il diritto allo studio.
L’articolo 5 dell’A.C. 3687 reca una delega al Governo per l’adozione – nel termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge – di uno o più decreti legislativi, finalizzati alla riforma di differenti aspetti del sistema universitario.
La finalità complessiva è individuata dalla rubrica nel rilancio della qualità e dell’efficienza del sistema universitario, cui sono collegati 4 obiettivi.
In particolare, il primo obiettivo (comma 1, lett. a)) si articola in tre subobiettivi, proponendosi:
§ la valorizzazione della qualità e dell’efficienzadelle università (sullaqualità del sistema universitario interviene anche l’art. 13);
§ la valorizzazione dei collegi universitari legalmente riconosciuti;
§ la valorizzazione dei ricercatori.
Ai sensi dell’alinea del comma 3, nell’esercizio di questa delega il Governo deve attenersi, oltre che ai principi di riordino di cui all’art. 20 della L. n. 59 del 1997[90], ad altri principi e criteri direttivi specificamente indicati che, per consentire una migliore lettura, sono di seguito indicati con riferimento a ciascuno dei tre subobiettivi.
a1) Valorizzazione della qualità e dell’efficienza delle università (comma 1, lett. a), e comma 3, lett. a), b), c), d))
I principi e criteri direttivi specifici per l’intervento volto a valorizzare la qualità e l’efficienza delle università sono così individuati (comma 3):
§ introduzione di un sistema di accreditamento delle sedi e dei corsi di studio e di dottorato[91] basato sull’utilizzo di specifici indicatori (definiti ex-antedall’ANVUR) per la verifica del possesso, da parte degli atenei, di idonei requisiti didattici, strutturali, organizzativi, di qualificazione dei docenti e delle attività di ricerca, nonché di sostenibilità economico-finanziaria (lett. a));
§ introduzione di un sistema di valutazione periodica,basato su criteri e indicatori stabiliti ex-ante, da parte dell’ANVUR, dell’efficienza e dei risultati conseguiti nell’ambito della didattica e della ricerca dalle singole università e dalle loro articolazioni interne (lett. b)) (sul punto intervengono anche altre proposte di legge abbinate, delle quali si darà conto nella scheda relativa all’art. 13);
§ potenziamento del sistema di autovalutazione, da parte delle università, della qualità e dell’efficacia delle proprie attività, anche tramite i nuclei di valutazione e le commissioni paritetiche docenti-studenti (di cui all’art. 2, comma 2, lett. g)) (lett. c));
§ previsione di meccanismi premiali nella distribuzione delle risorse pubbliche, sulla base di criteri definiti ex-ante (comma 1, lett. a))e, in particolare, di meccanismivolti a garantire incentivicorrelati al conseguimento dei risultati relativi alla didattica e alla ricerca, a valere sul fondo di finanziamento ordinario delle università (FFO), nell’ambito delle risorse allo scopo annualmente predeterminate (lett. d)) (per una illustrazione relativa al FFO si veda la scheda relativa all’art. 11).
Con riferimento ai principi e criteri direttivi illustrati, si ricorda che il concetto di accreditamento periodico è stato introdotto dal DPR n. 76 del 2010 – di cui si è già dato conto nel commento relativo all’art. 1 – il cui art. 3, comma 1, lett. b), stabilisce che l’ANVUR definisce criteri e metodologie per la valutazione, in base a parametri oggettivi ecertificabili, delle strutture delle università e degli enti di ricerca, e dei corsi di studio universitari, ivi compresi i dottorati di ricerca, i master universitari e le scuole di specializzazione, ai fini dell'accreditamento periodico degli stessi da parte del Ministro, prevedendo comunque il contributo delle procedure di auto-valutazione[92].
a2) Valorizzazione dei collegi universitari legalmente riconosciuti (comma 1, lett. a), e comma 3, lett. e))
Il comma 1, lettera a), evidenzia chela valorizzazione riguarda anche i collegi storici. Ai sensi del comma 3, lettera e), i collegi universitari legalmente riconosciuti sono qualificati strutture a carattere residenziale, di rilevanza nazionale, di elevata qualificazione culturale, che assicurano agli studenti servizi educativi, di orientamento e di integrazione dell’offerta formativa degli atenei.
I principi e criteri direttivi per garantirne la valorizzazione sono così individuati:
§ previsione di requisiti e standard minimi – a carattere istituzionale, logistico e funzionale – necessari per il riconoscimento, da parte del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, dei collegi universitari;
§ successivo accreditamento riservato ai collegi legalmente riconosciuti da almeno cinque anni;
§ accesso ai finanziamenti statali riservato ai collegi accreditati[93].
Infine, si stabilisce cheil decreto legislativo in materia contenga il rinvio ad un decreto ministeriale che definiràla disciplina delle procedure di iscrizione, delle modalità di verifica del permanere dei requisiti richiesti e delle modalità di accesso ai finanziamenti statali riservati ai collegi accreditati.
Conclusivamente, quindi, si introduce il sistema di accreditamento per i collegi universitari, subordinando a quest’ultimo l’assegnazione dei finanziamenti statali.
Si valuti l’opportunità di un chiarimento sull’utilizzo del termine “iscrizione”, che sembrerebbe riferirsi alla predisposizione di un elenco.
I collegi universitari legalmente riconosciuti[94] sono 14 e gestiscono complessivamente 45 residenze in 14città. Sono istituzioni private, che esercitano funzioni di interesse pubblico, contribuendo ad ampliare l'offerta formativa universitaria mediante la realizzazione di progetti educativi destinati alla crescita intellettuale, professionale e umana degli studenti. Le attività sono prevalentemente svolte nell'ambito di strutture a carattere residenziale, nelle quali sono anche assicurati servizi tesi a facilitare il raggiungimento del titolo di studio universitario nei tempi previsti. Essi garantiscono, inoltre, sostegno agli studenti bisognosi e meritevoli, ampliando in tal modo le possibilità di accesso agli studi superiori. I Collegi realizzano attività didattiche, scientifiche, di orientamento e di tutorato e, sulla base di un'apposita intesa con la Conferenza permanente dei rettori (CRUI), stipulano convenzioni con le Università per il riconoscimento di alcune attività didattiche, alle quali vengono riconosciuti crediti accademici. Un apposito organismo, la Conferenza permanente dei Collegi Universitari legalmente riconosciuti (C.C.U.), svolge funzioni di rappresentanza edicoordinamento dei vari istituti[95].
Il fondamento giuridico del riconoscimento dei collegi è costituito dall’art. 191 del R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, che stabiliva che “le Opere e le fondazioni che hanno per fine l'incremento degli studi superiori e l'assistenza nelle sue varie forme agli studi nelle Università e negli Istituti di istruzione superiore, sono sottoposte alla vigilanza del Ministero della Pubblica Istruzione”. In altri termini, la vigilanza del Ministero veniva prevista proprio in virtù delle finalità istituzionali dei collegi universitari.
In seguito, l'art. 25, comma 3, della L. 390 del 1991 ha fatto salve le allora “vigenti disposizioni concernenti i collegi universitari legalmente riconosciuti e posti sotto la vigilanza del Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica” (nel frattempo subentrato al Ministero della Pubblica Istruzione).
La L. n. 338 del 2000[96] ha, poi, inserito i collegi universitari legalmente riconosciuti tra i soggetti destinatari di interventi di cofinanziamento statale per la realizzazione di strutture adeguate alla più ampia attuazione del diritto allo studio universitario[97].
Per completezza, si ricorda che l’art. 1, comma 603, della L. 296/2006 (Legge finanziaria 2007) equipara ai collegi universitari legalmente riconosciuti tutti i collegi universitari gestiti da fondazioni, enti morali, nonché enti ecclesiastici che abbiano le finalità di cui all’art. 1, comma 4, primo periodo, della L. 338/2000 (ossia, ospitare studenti universitari, nonché offrire anche agli altri iscritti alle università servizi di supporto alla didattica e alla ricerca e attività culturali e ricreative). Unica condizione per l’equiparazione di tali collegi è l’iscrizione nei registri delle prefetture. L’equiparazione consente di usufruire dei finanziamenti per interventi per gli alloggi e le residenze degli studenti universitari previsti dalla citata L. 338/2000[98].
a3) Valorizzazione della figura dei ricercatori (comma 1, lett. a), e comma 3, lett. f))
In relazione all’obiettivo di valorizzazione della figura dei ricercatori, il comma 3, lett. f), prevede la revisione del trattamento economico dei ricercatori non confermati a tempo indeterminato, nel primo anno di attività[99].
Ai sensi dell’articolo 25, comma 11, primo periodo, all’onere derivante si provvede, nel limite massimo di 10 milioni di euro per il 2010 e di 1 milione di euro per il 2011, mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’art. 5, comma 1, della già citata L. n. 370 del 1999, relativa al cofinanziamento di assegni di ricerca.
Sull’argomento, si ricorda che l’art. 8 del progetto di legge demanda la revisione del trattamento economico dei professori e dei ricercatori a uno o più regolamenti di delegificazione. Sembrerebbe, dunque, opportuno, per un maggiore ordine normativo, affidare la disciplina della materia ad un’unica tipologia di fonte.
b) Revisione della disciplina di contabilità degli atenei (comma 1, lett. b), e comma 4)
Il secondo obiettivo è finalizzato a:
§ garantire la coerenza della contabilità degli atenei con la programmazione strategica triennale;
§ garantire alla contabilità di ateneo maggiore trasparenza e omogeneità;
§ consentire l’individuazione della esatta condizione patrimoniale e dell’andamento della gestione dell’ateneo;
§ prevedere il commissariamento dell’ateneoin caso di dissesto finanziario.
I principi e criteri direttivi per l’esercizio di questa delega sono così individuati (comma 4):
§ introduzione della contabilità economico-patrimoniale e analitica e del bilancio consolidato di ateneo sulla base di principi contabili e schemi di bilancio stabiliti e aggiornati dal Ministero, di concerto con il MEF, sentita la CRUI, in conformità alla normativa vigente e in coerenza con i principi e criteri direttivi stabiliti dall’art. 2, comma 2, della L. n. 196 del 2009[100](lett. a, primo periodo));
Si ricorda, in primo luogo, che i principi e criteri direttivi stabiliti dall’articolo 2, comma 2, della legge n. 196 del 2009 sono volti all’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle amministrazioni pubbliche, ad esclusione di regioni ed enti locali, in funzione delle esigenze di programmazione, gestione e rendicontazione della finanza pubblica. La lett. d), in particolare, prevede l’affiancamento, ai fini conoscitivi, al sistema di contabilità finanziaria di un sistema e di schemi di contabilità economico-patrimoniale basati su comuni criteri di contabilizzazione. Il medesimo principio è peraltro ribadito all’articolo 40, comma 2, lett. n), per l’attuazione, mediante uno o più decreti legislativi, del completamento della riforma della struttura del bilancio dello Stato.
L’introduzione di un sistema di contabilità analitica presuppone che il sistema contabile di riferimento sia fondato sulle rilevazioni analitiche per centri di costo o per servizi, vale a dire in base ad unità organizzative individuate in coerenza con il centro di responsabilità amministrativa al quale appartengono. Ad ogni centro di costo è attribuita, mediante lo strumento del budget, la responsabilità di gestione di risorse assegnate in base a obiettivi programmati, dalla quale si generano costi oggetto di rilevazione della contabilità economica. Quest’ultima consente inoltre di effettuare verifiche a consuntivo per la misurazione delle risorse impiegate confrontata a standard di riferimento e ai risultati attesi rispetto ad obiettivi predefiniti[101].
Con riferimento al sistema di contabilità vigente per le università, inoltre, occorre sottolineare che, in base all'art. 7, comma 7, della legge n. 168 del 1989, tali enti godono di una piena autonomia finanziaria e regolamentare che consente loro di “adottare un regolamento di ateneo per l'amministrazione, la finanza e la contabilità, anche in deroga alle norme dell'ordinamento contabile dello Stato e degli enti pubblici, ma comunque nel rispetto dei relativi principi”.Le università possono pertanto optare tra un bilancio redatto in termini di competenza e un bilancio redatto in termini di cassa[102]. La citata normaconsentirebbe agli atenei di scegliere tra l'adozione di un sistema di contabilità finanziaria, che rappresenta tuttora quello prevalente, ovvero di contabilità economico-patrimoniale[103]. Secondo la più recente dottrina in materia[104], la contabilità economico-patrimoniale consente di accelerare il passaggio da una responsabilizzazione legale sui comportamenti di spesa ad una responsabilità gestionale sui risultati, facendo in tal modo fronte ai cambiamenti istituzionali ed organizzativi delle università italiane. Attualmente, tuttavia, solo pochi atenei adottano la contabilità economico-patrimoniale e redigono i propri bilanci secondo i principi economici, mantenendo un sistema economico integrato con la contabilità finanziaria[105]. Si ricorda infine che già le Linee guida per l’università formulate nel novembre 2008, nel tracciare le priorità del sistema universitario, avevano sottolineato la necessità di incentivare l’adozione della contabilità economico-patrimoniale quale strumento conoscitivo essenziale per gli atenei, finalizzata altresì all’individuazione di costi standard correlati al raggiungimento di precisi parametri qualitativi.
Con riferimento al bilancio consolidato di Ateneo, infine, si devono ricordare le norme contenute nel D.M. 5 dicembre 2000 che detta disposizioni sui criteri per la redazione dei conti consuntivi delle università, secondo le quali i conti di consuntivo, pur nell’autonomia che le singole università hanno di definire i propri bilanci, devono seguire uno standard che renda possibile l'analisi e la riclassificazione della spesa finale, nonchè il consolidamento dei conti del settore pubblico, garantendo l’omogeneità della redazione dei consuntivi delle diverse università[106]. Il citato decreto ministeriale, tuttavia, non prevede alcun obbligo di uniformità dei bilanci delle Università al piano dei conti proposto dal Ministero e non qualifica i bilanci universitari in termini di competenza o di cassa. Il documento, infatti, richiede solo che i conti degli Atenei vengano consolidati, integrando quindi i dati del bilancio universitario con quelli dei singoli dipartimenti;
§ estensione del sistema di tesoreria unica mista vigente ai dipartimenti e ai centri autonomi di spesa universitari (lett. a), secondo periodo);
Il sistema di tesoreria unica mista, disciplinato dall’art. 7 del D.lgs. 7 agosto 1997, n. 279, di riforma del sistema di Tesoreria unica introdotto dalla legge n. 720 del 1984[107], distingue il regime applicabile alle diverse entrate degli enti, prevedendo che soltanto le somme provenienti direttamente o indirettamente dal bilancio dello Stato debbano affluire nelle contabilità speciali infruttifere di Tesoreria unica. Le altre entrate sono escluse dal riversamento nella tesoreria statale; esse affluiscono direttamente e sono trattenute presso i tesorieri degli enti; tali entrate devono peraltro essere utilizzate prioritariamente rispetto alle somme giacenti in Tesoreria unica.
L’applicazione del sistema di tesoreria definito come “misto” è stata inizialmente limitata soltanto ad alcune specifiche fattispecie di enti, ed in particolare agli enti territoriali in considerazione del processo di rafforzamento della loro autonomia finanziaria. Se ne è tuttavia prevista la progressiva estensione.
In particolare, il regime di tesoreria unica mista è stato esteso, con decorrenza 1° gennaio 1999, alle Università statali, ai sensi dell’art. 29, comma 9, della legge n. 448/1998[108]. Invece, per quanto riguarda i Dipartimenti e gli altri centri con autonomia finanziaria e contabile delle Università, l’articolo 29, comma 10, della medesima legge n. 448/1998 ne ha previsto la graduale fuoriuscita dal sistema di Tesoreria unica, secondo le modalità precisate nella Circolare del Ministero del tesoro n. 44/1999.
In particolare, la norma ha disposto che, a decorrere dal 1° luglio 1999, tutte le entrate dei dipartimenti e degli altri centri con autonomia finanziaria e contabile delle università non siano più versate nella tesoreria statale, ma debbano essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti di tali enti. Le contabilità speciali ad esse intestate sono dunque state progressivamente chiuse, al momento dell’esaurimento delle disponibilità esistenti al 30 giugno 1999.
In sostanza, in base alla citata normativa, la gran parte dei dipartimenti e dei centri autonomi di spesa universitari risulta attualmente escluso dal sistema di Tesoreria unica di cui alla legge n. 720/1984.
§ adozione di un piano economico-finanziario triennale, al fine di garantire la sostenibilità di tutte le attività dell’ateneo (lett. b));
La ratio dell’introduzione del piano economico-finanziario triennale, che si affianca al documento del bilancio, appare quella di garantire l’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle amministrazioni pubbliche ed il rispetto del principio di programmazione economico-finanziaria, almeno triennale, che viene sancito dall’articolo 40, comma 2, lett. g), della richiamata legge n. 196/2009 di riforma della contabilità generale con riferimento alle amministrazioni dello Stato cui sono attribuite risorse per il raggiungimento di determinati obiettivi verificabili secondo parametri di efficacia, efficienza ed economicità.
§ comunicazione al Ministero dell’economia e delle finanze, con cadenza annuale, dei risultati della programmazione triennale riferiti al sistema universitario nel suo complesso, ai fini del monitoraggio degli andamenti della finanza pubblica. Si dispone inoltre che gli effetti derivanti dalle misure conseguenti al provvedimento in esame vengano compensati in modo adeguato nei piani triennali previsti alla successiva lett. d), volti, tra l’altro, a garantire la piena sostenibilità del riequilibrio dei rapporti di consistenza del personale (lett. c)).
La ratio di quest’ultima disposizione appare quella di garantire, mediante un piano triennale, la copertura di eventuali effetti finanziari negativi derivanti dall’attuazione delle norme contenute nel disegno di legge di riforma in esame.
§ predisposizione di un piano triennale diretto a riequilibrare – entro intervalli di percentuali definiti dal Ministero, e secondo criteri di piena sostenibilità finanziaria – i rapporti di consistenza del personale docente, ricercatore e tecnico-amministrativo, ed il numero dei professori e ricercatori nominati per chiamata diretta[109]; previsione che la mancata adozione,parziale o totale, del piano triennale comporti la non erogazione delle quote del finanziamento ordinario relative alle unità di personale che eccedono i limiti previsti(lett. d));
§ determinazione di un limite massimo all’incidenza complessiva delle spese per l’indebitamento e delle spese per il personale di ruolo e a tempo determinato, inclusi gli oneri per la contrattazione integrativa, sulle entrate complessive dell’ateneo, al netto di quelle a destinazione vincolata (lett. e)) (per la ricognizione normativa relativa ai limiti attualmente posti alla spesa per il personale degli atenei si veda la scheda relativa agli artt. 16 e 17);
§ introduzione del costo standard unitario di formazione per studente in corso – calcolato secondo indici commisurati alle diverse tipologie dei corsi di studio e ai differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l’Università – cui collegare l’attribuzione all’università di una percentuale della parte di FFO non assegnata ai sensi dell’art. 2 del D.L. n. 180 del 2008 (per la cui illustrazione si rimanda alla scheda relativa all’art. 13) e individuazione degli indici da utilizzare per la quantificazione di tale costo, sentita l’ANVUR (lett. f));
Si ricorda che il costo standard unitario rappresenta il valore medio della spesa che un’amministrazione deve sostenere con riferimento ad una singola unità prodotta. Nella fattispecie considerata dalla lett. f) in esame, la singola unità prodotta è rappresentata dalla formazione di ciascuno studente in corso. Nella più comune accezione, il costo standard è una quantificazione degli oneri che configurano la spesa finalizzata all’acquisizione di fattori da impiegare per l’offerta di una determinata prestazione o di un servizio. Il costo è parametrato in base ad uno standard di efficienza che l’intera organizzazione (o un suo singolo centro di responsabilità) intende raggiungere.
Il costo standard viene pertanto determinato in base ad un impiego programmato di risorse produttive necessarie al raggiungimento di determinati obiettivi. I costi standard presuppongono la verificabilità ex post mediante la comparazione degli stessi con i costi effettivamente sostenuti per l’offerta di una determinata prestazione.
§ previsione della declaratoria di dissesto finanziario nell’ipotesi in cui l’università non possa garantire l’assolvimento delle proprie funzioni indispensabili ovvero non possa fare fronte ai debiti liquidi ed esigibili nei confronti dei terzi (lett. g));
§ disciplina delle conseguenze del dissesto finanziario, con previsione dell’inoltro da parte del MIUR di preventiva diffida e sollecitazione a predisporre – entro un termine non superiore a centottanta giorni – un piano di rientro (da sottoporre all’approvazione dello stesso MIUR, di concerto con il MEF), da attuare nel limite massimo di un quinquennio, eprevisione delle modalità di controllo periodico della sua attuazione (lett. h));
§ previsione – nei casi di mancata predisposizione, mancata approvazione ovvero omessa o incompleta attuazione del piano di rientro – del commissariamento dell’ateneo e disciplina delle modalità di assunzione da parte del Governo (su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze) della relativa delibera e di nomina di uno o più commissari, ad esclusione del rettore, con il compito di provvedere alla predisposizione ovvero all’attuazione del medesimo piano (lett. i));
§ previsione di un apposito fondo di rotazione – distinto ed aggiuntivo rispetto alle risorse destinate al FFO –, a garanzia del riequilibrio finanziario degli atenei(lett. l)); gli eventuali maggiori oneri derivanti dalla costituzione del fondo di rotazione sono quantificati e coperti, ai sensi dell’art. 17, comma 2, della L. n. 196 del 2009 (si veda infra) (sul punto si veda anche quello che dispone l’art. 11 del progetto di legge).
Si ricorda che i Fondi di rotazione costituiscono una speciale forma di gestione fuori bilancio, vale a dire le acquisizioni di entrate o l’effettuazione di spese da parte dell’amministrazione dello Stato che non rientrano nelle procedure proprie del bilancio e che quindi non sono soggette alle normali procedure giuridico-amministrative di esecuzione dello stesso[110]. La legge n. 559 del 1993 ha in particolare previsto che le gestioni fuori bilancio attuate con i Fondi di rotazione siano sottoposte all’obbligo di rendicontazione ed al controllo della Ragioneria generale e della Corte dei Conti. Il Ministro dell’economia e delle finanze ha facoltà di disporre accertamenti nel corso della gestione. Si ricorda, inoltre, che l’articolo 93, comma 8, della legge finanziaria per il 2003 (legge n. 289 del 2002) ha previsto in capo alle amministrazioni statali l’obbligo di individuare le gestioni fuori bilancio per le quali permangono le caratteristiche proprie dei Fondi di rotazione, al fine di ricondurre unitariamente al bilancio dello Stato le gestioni che comunque interessano la finanza statale[111].
I criteri per l’individuazione delle predette gestioni attuate con i fondi di rotazione sono stati forniti con la Nota di indirizzo allegata alla direttiva del Ragioniere generale dello Stato del 24 marzo 2003, che ha evidenziato: 1) la natura pubblicistica dei fondi, in quanto le risorse finanziarie di tali fondi devono provenire dallo Stato o da altre pubbliche amministrazioni, incluse le istituzioni sovranazionali[112]; 2) l’autoalimentazione e vincolo di destinazione: i "rientri" di risorse al Fondo costituiscono fonte di autoalimentazione e sono vincolati al perseguimento delle finalità del fondo; 3) la natura dei rientri, i quali devono provenire dai beneficiari dei provvedimenti, a titolo di parziale o totale restituzione; 4) l’eventuale rotatività parziale: nel caso in cui i fondi siano misti, la parte rotativa è considerata esclusivamente per la quota delle erogazioni per le quali è previsto il rientro delle risorse.
In relazione alla lett. f), sarebbe opportuno chiarire se con l’espressione “di una percentuale della parte di fondo di finanziamento ordinario non assegnata ai sensi” si voglia fare riferimento alla quota del FFO ulteriore rispetto a quella assegnata ai sensi dell’art. 2 del D.L. 180 del 2008. In caso positivo, per non ingenerare dubbi sull’utilizzo delle parole “non assegnata”, si valuti l’utilizzo dell’espressione “di una percentuale del fondo di finanziamento ordinario, al netto della quota assegnata ai sensi”.
c) Introduzione, sentita l’ANVUR, di un sistema di valutazione ex-post delle politiche di reclutamento degli atenei, sulla base di criteri definiti ex-ante (comma 1, lett. c), e comma 5)
Per il conseguimento di questo terzo obiettivo è previsto un solo principio e criterio direttivo (comma 5), consistente nell’attribuzione di una quota non superiore al 10 per cento del FFO correlata alla valutazione delle politiche di reclutamento degli atenei.
La valutazione avviene in base a meccanismi elaborati dall’ANVUR, basati su:
§ produzione scientifica dei professori e dei ricercatori successiva alla loro presa di servizio ovvero al passaggio a diverso ruolo o fascia nell’ateneo;
§ percentuale di ricercatori a tempo determinato in servizio che non hanno trascorso l’intero percorso di dottorato e di postdottorato nella medesima università;
§ percentuale dei professori reclutati da altri atenei;
§ percentuale dei professori e ricercatori in servizio responsabili scientifici di progetti di ricerca internazionali e comunitari;
§ grado di internazionalizzazione del corpo docente.
Per completezza si ricorda che anche la valutazione dei programmi universitari, in base alle linee generali di indirizzo della programmazione delle università per il triennio 2007-2009 (DM 3 luglio 2007, n. 362), è stata effettuata ex post, in virtù, secondo la premessa del decreto, dell’art. 1, comma 2, della legge n. 168 del 1989, che prevede che il Ministero “dà attuazione all'indirizzo e al coordinamento nei confronti delle Università... nel rispetto dei principi di autonomia stabiliti dall'art. 33 della Costituzione”.
d) Revisione – in attuazione del titolo V della Parte II della Costituzione – della normativa in materia di diritto allo studio e definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) (comma 1, lett. d), e comma 6)
La relazione illustrativa al disegno di legge governativo (A.S. 1905) specificava che la revisione della normativa in materia di diritto allo studio si rende necessaria alla luce della riforma del titolo V della Costituzione che ha attribuito allo Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117, secondo comma, lett. m), Cost.), tra i quali – evidenziava la relazione – deve essere annoverato il diritto allo studio, incluso quello universitario. Sempre la relazione illustrativa evidenziava che nella sentenza n. 282 del 26 luglio 2002[113] la Corte costituzionale ha precisato che i LEP concernenti i diritti civili e sociali non rappresentano una “materia” in senso stretto, ma “una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle”.
Ai fini dell’esercizio di questa quarta delega, i principi e criteri direttivi sono i seguenti (comma 6):
§ definire i LEP, anche con riferimento ai requisiti di merito ed economici, in modo da assicurare gli strumenti ed i servizi per il conseguimento del pieno successo formativo degli studenti dell’istruzione superiore e rimuovere gli ostacoli di ordine economico, sociale e personale che limitano l’accesso ed il conseguimento dei più alti gradi di istruzione superiore agli studenti capaci e meritevoli, ma privi di mezzi (lett. a));
§ garantire agli studenti la più ampia libertà di scelta in relazione alla fruizione dei servizi per il diritto allo studio universitario (lett. b));
§ definire i criteri per l’attribuzione alle regioni e alle province autonomedi Trento e di Bolzano del Fondo integrativo per la concessione di prestiti d’onore e di borse di studio[114] (lett. c));
Con riferimento alla lett. c), in considerazione del fatto che, allo stato, c’è un DPCM che disciplina i criteri (si veda infra), sembrerebbe opportuno sostituire il termine “definire” con il termine “ridefinire”.
§ favorire il raccordo tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, le università e le diverse istituzioni che concorrono al successo formativo degli studenti, al fine di potenziare la gamma dei servizi e degli interventi posti in essere dalle predette istituzioni, nell’ambito della propria autonomia statutaria (lett. d));
§ prevedere la stipula di specifici accordi con le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, per la sperimentazione di nuovi modelli nella gestione e nell’erogazione degli interventi (lett. e));
§ definire le tipologie di strutture residenziali destinate agli studentiuniversitari e le caratteristiche peculiari delle stesse (lett. f)).
Come si è già evidenziato nella rubrica della scheda, interventi in materia di diritto allo studio sono recati da altre proposte di legge abbinate. Per meglio comprenderne la relativa portata normativa, si ritiene opportuno, esaurita l’illustrazione dell’art. 5 in commento, riportare una ricognizione normativa, seguita dalla descrizione delle stesse proposte.
Il comma 2 stabilisce che dall’attuazione delle deleghe relative al rilancio della qualità e dell’efficienza dell’università, alla revisione della disciplina in materia di contabilità e al sistema di valutazione ex-post delle politiche di reclutamento degli atenei non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, fatta salva l’istituzione del Fondo di rotazione a garanzia del riequilibrio finanziario degli atenei.
Per quanto concerne la delega per la revisione del diritto allo studio, si stabilisce che gli eventuali maggiori oneri devono essere quantificati e coperti ai sensi dell’art. 17, comma 2, della L. n. 196 del 2009.
L’art. 17, comma 2, della L. n. 196 del 2009 dispone che le leggi di delega comportanti oneri recano i mezzi di copertura necessari per l'adozione dei relativi decreti legislativi. Qualora, in sede di conferimento della delega, per la complessità della materia trattata, non sia possibile procedere alla determinazione degli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi, la quantificazione degli stessi è effettuata al momento dell'adozione dei singoli decreti legislativi. I decreti legislativi dai quali derivano nuovi o maggiori oneri sono emanati solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie. A ciascuno schema di decreto legislativo è allegata una relazione tecnica, predisposta ai sensi del comma 3, che dà conto della neutralità finanziaria del medesimo decreto ovvero dei nuovi o maggiori oneri da esso derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura.
Si segnala che, poiché dall’attuazione del comma 3, lettera f), deriva un nuovo onere (revisione del trattamento economico dei ricercatori non confermati a tempo indeterminato nel primo anno di attività), quantificato e coperto ai sensi dell’articolo 25, comma 11, al comma 2, è necessario sostituire le parole “ad eccezione di quanto previsto al comma 4, lettera l)” con le parole “ad eccezione di quanto previsto ai commi 3, lettera f), e 4, lettera l)”.
Il comma 7 prevede che gli schemi dei decreti legislativi sono adottati, su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, e, con riferimento alle disposizioni di cui al comma 6 (revisione della normativa in materia di diritto allo studio e definizione dei LEP), di concerto con il Ministro della gioventù.
Gli schemi, previa intesa con la Conferenza permanente Stato-regioni, sono trasmessi alle Camere per l’espressione del parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, le quali si esprimono entro quarantacinque giorni dalla data di trasmissione. Decorso tale termine, i decreti sono adottati anche in mancanza del parere.
Qualora il termine per l’espressione del parere parlamentare cada nei trenta giorni che precedono il termine per l’adozione dei decreti legislativi o successivamente a tale scadenza, quest’ultimo termine (fissato dal comma 1 in dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge) è prorogato di sessanta giorni.
In base al comma 8, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi, il Governo può adottare eventuali disposizioni integrative e correttive, con le medesime modalità e nel rispetto dei medesimi principi e criteri direttivi indicati dall’articolo 5.
Il diritto allo studio nella Costituzione
Le radici del diritto allo studio universitario sono rinvenibili negli artt. 3 e 34 della Costituzione.
Infatti, il secondo comma dell’articolo 3 affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
L’articolo 34 prevede, per la parte che qui interessa, che i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi e stabilisce che la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.
Occorre, inoltre, ricordare gli articoli 33 e 117, secondo comma, lett. m).
Il primo prevede, per la parte che qui interessa, che la Repubblica detta le norme generali sull’istruzione e che le istituzioni di alta cultura, università ed accademie hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti da leggi dello Stato.
Il secondo affida alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
La normativa vigente
La normativa vigente fa ancora riferimento, in larga parte, alla L. 390 del 1991[115] che, per la prima volta, ha introdotto indicazioni tese ad uniformare, a livello nazionale, l’applicazione dei criteri di individuazione dei destinatari degli interventi del diritto allo studio, superando la precedente frammentarietà registrata a livello regionale[116].
La ripartizione delle funzioni
La legge n. 390/1991 attribuisce allo Stato funzioni di indirizzo, coordinamento e programmazione in materia (art. 3). In particolare, l’art. 4 prevede che con DPCM, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’università e della ricerca scientifica, sentiti il CUN e la Consulta nazionale per il diritto agli studi universitari[117], sono stabiliti ogni tre anni:
§ i criteri per la determinazione del merito e delle condizioni economiche degli studenti, nonché per la definizione delle relative procedure di selezione ai fini dell’accesso ai servizi. Le condizioni economiche devono essere individuate sulla base della natura e dell’ammontare del reddito imponibile e dell’ampiezza del nucleo familiare;
§ le tipologie minime e i livelli degli interventi che devono attuare le regioni (v. infra);
§ gli indirizzi per la graduale riqualificazione della spesa a favore degli interventi riservati agli studenti capaci e meritevoli privi di mezzi.
Il DPCM deve essere emanato 6 mesi prima dell’inizio del primo dei tre anni accademici di riferimento, acquisito il parere della Conferenza permanente[118].
Il Ministro presenta al Parlamento ogni 3 anni un rapporto sull’attuazione del diritto allo studio universitario, tenuto conto dei dati trasmessi dalle regioni e dalle università sull’attuazione del diritto medesimo[119].
Alle regioni è attribuito il compito di attivare gli interventi volti a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale per la concreta realizzazione del diritto agli studi universitari.
A tal fine, la L. 390/1991 indica i principi cui deve conformarsi la disciplina legislativa regionale, che riguardano: la parità di trattamento degli studenti nell’accesso ai servizi e alle provvidenze; la partecipazione degli studenti ai costi dei servizi, fatta salva la gratuità o particolari agevolazioni disposte dagli enti per il diritto agli studi universitari in favore di studenti capaci e meritevoli privi di mezzi; la definizione di procedure selettive per l’accesso ai servizi che non siano fruibili da tutti gli studenti; la non cumulabità delle borse di studio, tranne che con quelle concesse per sostenere soggiorni all’estero; la possibilità di disposizioni particolari per l’accesso degli studenti disabili ai benefici e ai servizi.
Gli interventi regionali specifici, attuati nei limiti degli stanziamenti dei rispettivi bilanci, riguardano l’erogazione di servizi collettivi, quali mense, alloggi[120], trasporti; l’assegnazione di borse di studio (a tal fine, le regioni determinano annualmente la quota dei fondi da devolvere all’erogazione di borse di studio, che possono essere trasferiti alle università); l’orientamento al lavoro e l’assistenza sanitaria[121] (artt. 3, 7 e 8).
Al fine di uniformare gli interventi, le regioni promuovono incontri periodici (art. 9).
Alle università spetta il compito diorganizzare i propri servizi in modo da rendere effettivo e proficuo lo studio universitario. In particolare, ad esse è attribuito il compito di erogare le borse di studio nei casi in cui abbiano ricevuto i trasferimenti finanziari dalle regioni (art. 8[122]), di esonerare totalmente o parzialmente gli studenti meritevoli dal pagamento delle tasse di iscrizione, sulla base dei criteri definiti con il DPCM di cui si è detto ante, e di predisporre servizi adeguati[123] (art. 12), di
organizzare corsi intensivi per gli studenti svantaggiati (art. 14), di attivare collaborazioni part-time con gli studenti per attività connesse ai servizi resi (art. 13). Per una illustrazione più ampia di tali strumenti, si veda infra.
Le università possono concorrere agli interventi di competenza dello Stato e delle regioni, con oneri esclusivamente a carico dei propri bilanci (art. 15).
L’art. 25 della legge 390/1991 ha, poi, previsto che le regioni adeguassero la propria legislazione entro 2 anni dalla data di entrata in vigore della legge, in particolare costituendo per ogni università un organismo di gestione[124], dotato di autonomia amministrativa e gestionale, e prescrivendo che il relativo consiglio di amministrazione fosse composto da un ugual numero di rappresentanti della regione e dell’università[125].
Infine, l’art. 3, comma 4, della legge ha stabilito che le regioni, le università e gli enti aventi competenza per l’attuazione del diritto allo studio universitario collaborano fra loro, stipulando accordi e convenzioni per la realizzazione di specifiche attività.
Oltre alle università operano anche i Collegi universitari, di cui si è parlato ante.
Le tipologie di interventi[126]
Nell’ambito del diritto allo studio universitario, sono previste diverse tipologie di interventi rivolte, tra le altre, a studenti capaci e meritevoli privi di mezzi; studenti meritevoli; generalità degli studenti; studenti disabili; studenti che svolgono attività di ricerca e specializzazione.
Borse di studio
Le borse di studio possono essereconcesse dalle regioni e dalle province autonome, nonché dalle università.
La prima tipologia è attribuitaper concorso, bandito ogni anno dall’ente regionale per il diritto allo studio. Tutti gli studenti che risultano collocati nelle graduatorie predisposte dall’ente regionale hanno anche diritto all’esonero totale dal pagamento della tassa di iscrizione e dei contributi universitari.
Per gli iscritti per la prima volta al primo anno dei corsi di laurea, i benefici sono attribuiti sulla base della condizione economica[127]; per gli iscritti al primo anno dei corsi di laurea specialistica (ora, magistrale), è necessario anche aver ottenuto il riconoscimento di almeno 150 crediti. La seconda rata
è però corrisposta al conseguimento di un livello minimo di merito, stabilito dalle regioni e dalle province autonome, sentite le università, nell’ambito dei criteri indicati dall’art. 6 del già citato DPCM 9 aprile 2001.
Per gli iscritti agli anni successivi di tutti i corsi, idonei al beneficio nell’anno accademico precedente, il diritto viene mantenuto esclusivamente sulla base dei criteri di merito e dell’ammissione a ciascun anno di corso, senza un’ulteriore autocertificazione delle condizioni economiche.
Le borse di studio si distinguono in borse di studio per studente in sede, per studente pendolare e per studente fuori sede[128].
Secondo i dati resi disponibili dal Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario[129], nell’anno accademico 2007/2008 gli studenti beneficiari di una borsa di studio regionale sono stati 156.297, su un totale di 188.331 idonei, per un importo complessivo erogato di € 459.481.541,00[130].
Le borse di studio erogate dalle università sono a carico del relativo bilancio. Esse sono erogate, in via prioritaria, agli studenti risultati idonei nelle graduatorie definite dagli enti regionali, ma non beneficiari delle borse di studio regionali per carenza di fondi. Gli importi delle borse sono determinati applicando le stesse norme vigenti per le borse regionali.
Peraltro, le università possono assegnare borse di studio con finalità diverse dal sostegno degli studenti meritevoli privi di mezzi: esse, infatti, possono essere finalizzate, ad esempio, a premiare studenti particolarmente meritevoli, a contribuire allo sviluppo di tesi da svolgere fuori sede, ovvero ad assicurare il riequilibrio dell’offerta formativa ed una più proficua utilizzazione dei servizi di insegnamento[131].
Sempre le università, inoltre, possono assegnare per concorso, e secondo modalità autonomamente decise, borse per il perfezionamento dei laureati all’estero e per attività di ricerca e specializzazione dopo la laurea.
Prestiti d’onore e prestiti fiduciari
Il prestito d’onore è stato previsto dall’art. 16 della L. 390 del 1991 per sopperire alle esigenze di ordine economico connesse alla frequenza. Esso èrimborsato ratealmente, senza interessi, dopo il completamento o la definitiva interruzione degli studi e non prima dell’inizio dell’attività lavorativa[132]. La disciplina delle modalità per la concessione dei prestiti d’onore è affidata alle regioni che, nei limiti degli appositi stanziamenti di bilancio, provvedono alla concessione di garanzie sussidiarie sugli stessi e alla corresponsione degli interessi (art. 16, commi 1, 2 e 3).
Ad integrazione delle disponibilità finanziarie destinate dalle regioni, il comma 4 del medesimo art. 16 ha istituito presso il MIUR il Fondo di intervento integrativo per la concessione dei prestiti d’onore, stabilendo che il medesimo sia ripartito (fra le regioni che abbiano attivato le procedure per la concessione dei prestiti) con DPCM, sentita la Conferenza Stato-regioni, in misura non superiore, per ogni regione, allo stanziamento destinato dalla stessa per i prestiti d’onore[133].
Successivamente, il comma 89 dell’art. 1 della L. n. 662 del 1996[134] ha consentito la destinazione del Fondo di intervento integrativo anche alla erogazione di borse di studio previste dall'art. 8 della medesima L. n. 390 del 1991, modificandone conseguentemente la denominazione.
In seguito, l’art. 4, commi 99 e seguenti, della L. 350 del 2003 (L. finanziaria 2004) ha previsto la concessione di prestiti fiduciari per il finanziamento degli studi. A tal fine, il comma 100 ha istituito un Fondo finalizzato alla costituzione di garanzie sul rimborso dei prestiti fiduciari concessi dalle banche e dagli altri intermediari finanziari iscritti all’elenco speciale previsto dall’art. 107 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia[135], nonché alla concessione di contributi in conto interessi nel caso di studenti capaci e meritevoli privi di mezzi, con una dotazione pari a 10 milioni di euro per l'anno 2004. Ha, inoltre, stabilito che il Fondo può essere incrementato anche con i contributi di regioni, fondazioni e altri soggetti pubblici e privati. Di conseguenza, il comma 103 ha dispostol’abrogazione dei primi tre commi dell’art. 16 della L. 390 del 1991.
Successivamente la Corte costituzionale, con sentenza 13-21 ottobre 2004, n. 308, ha dichiarato l’illegittimità del citatocomma 103, nella parte in cui non prevede che l’abrogazione delle norme dell’art. 16 sopra indicato decorra dalla data di entrata in vigore della disciplina attuativa del prestito fiduciario. Con la medesima sentenza la Corte ha anche censurato la procedura di ripartizione individuata dal comma 101, per il mancato coinvolgimento delle regioni. La norma, infatti, affidando la gestione del fondo a Sviluppo Italia S.p.a., interamente partecipata dallo Stato, assegnava alle regioni un ruolo meramente consultivo. A seguito della decisione della Corte, un nuovo intervento normativo
(art. 6, comma 7, del D.L. 35/2005) ha disposto che il riparto avviene con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca sulla base dei criteri ed indirizzi definiti d’intesacon la Conferenza Stato-regioni. In attuazione di tale disposizione è stato emanato il DM 3 novembre 2005[136].
Contributi per la mobilità internazionale
A tali contributihanno diritto gli studenti già beneficiari di una borsa di studio, ai fini della partecipazione a programmi di mobilità internazionale sia nell’ambito dell’UE che fuori[137]. Le condizioni per ottenere il beneficio sono rappresentate dal fatto che si goda della borsa di studio nell’anno in cui si partecipa al programma e dalla circostanza che il periodo di studio sia riconosciuto in termini di crediti nell’ambito del corso di studi in Italia. Al riguardo, si ricorda che l’art. 1 del decreto-legge 105 del 2003 ha istituito il Fondo per il sostegno dei giovani e per favorire la mobilità studentesca[138].
Esonero dalle tasse di iscrizione e dai contributi universitari
L’esonero può essere totale o parziale. L’esonerototale è previsto a favore degli studenti beneficiari delle borse di studio e dei prestiti d’onore, nonché degli idonei non beneficiari, degli studenti in situazione di handicap con una invalidità pari o superiore al 66 per cento, degli studenti stranieri beneficiari di borsa di studio del Governo italiano nell’ambito dei programmi di cooperazione allo sviluppo e degli accordi intergovernativi culturali e scientifici, degli studenti che intendano ricongiungere la loro carriera dopo un periodo di interruzione degli studi di almeno due anni
accademici, delle studentesse per l’anno di nascita di ogni figlio, degli studenti che debbano interrompere gli studi per infermità gravi e prolungate[139].
Inoltre, le università possono concedere esoneri totali o parziali per studenti con invalidità inferiore al 66 per cento, per studenti che concludano gli studi nei tempi previsti, per studenti che abbiano conseguito nell’anno tutti i crediti previsti dal piano di studi, per studenti che svolgano un’attività lavorativa documentata[140][141].
Ulteriori interventi decisi da ogni università
Un’ulterioretipologia di benefici è costituita dagli interventi a favore degli studenti meritevoli, decisi da ogni università. Oltre agli esoneri già sopra visti, può trattarsi, ad esempio, di premi e di sussidi (sotto forma di buoni libro o buoni mensa).
Interventi particolari possono essere previsti per gli studenti in situazioni di handicap e per gli studenti stranieri.
Per i primi, il periodo di godimento dei benefici può essere esteso rispetto a quanto normalmente previsto, possono essere individuati requisiti di merito individualizzati, e l’importo della borsa di studio può essere aumentato al fine di consentire l’utilizzo di protesi e supporti per lo studio.
Per i secondi – che accedono ai benefici a parità di trattamento con gli studenti italiani – le regioni e le province autonome possono consentire l’accesso gratuito al servizio di ristorazione qualora vi siano situazioni di particolare disagio economico, ovvero possono riservare una percentuale di posti nelle graduatorie.
Si ricorda, infine, che una ulteriore fonte di finanziamento degli studi è rappresentata dal c.d. “part-time studentesco”, previsto dall’art. 13 della legge 390 del 1991. Si tratta di uno strumento disciplinato nei regolamenti universitari, che consiste in forme di collaborazione degli studenti ad attività connesse ai servizi resi, con esclusione di quelli inerenti alle attività di docenza, allo svolgimento degli esami e all’assunzione di responsabilità amministrative. L’assegnazione delle collaborazioni avviene nel limite del bilancio dell’università, sulla base delle graduatorie annuali per merito e per reddito, e comporta un corrispettivo. I regolamenti universitari devono rispettare alcuni principi, tra i quali quello per cui le prestazioni dello studente non possono superare un numero
massimo di 150 ore per ogni anno accademico. Ai sensi dell’art. 1, comma 4, del DPCM 9 aprile 2001, inoltre, tra gli studenti che presentano i requisiti le università concedono i benefici in via prioritaria, sulla base di graduatorie separate, agli studenti idonei non beneficiari delle borse di studio concesse dalle regioni e dalla province autonome nell’anno accademico precedente.
A fianco degli aiuti economici, vi sono poi i servizi erogati dalle università e dagli enti per il diritto allo studio, secondo modalità da essi stessi decise. Essi riguardano, generalmente, servizi abitativi, di ristorazione[142], di orientamento, sportivi, di assistenza sanitaria; iniziative culturali; agevolazioni per i trasporti.
Per alcuni di questi servizi sono attivi anche i collegi universitari statali e legalmente riconosciuti.
Secondo i dati elaborati dal MIUR[143], nell’a.a. 2007/2008 è stato soddisfatto quasi il 57 per cento delle domande di posti alloggio e di contributi per gli affitti, sia pure con una notevole variabilità regionale, che vede il Piemonte soddisfare il 96% delle richieste, a fronte del 18,6% del Lazio.
In valori assoluti[144], i posti alloggio sono risultati pari a 37.624 al 1 novembre 2008 e a 37.817 al 1 novembre 2009[145].
L’utilizzo delle mense universitarie è poco diffuso. Complessivamente – secondo i dati riportati nel lavoro del MIUR - in Italia vi sono 258 mense e nel 2007 mediamente ogni iscritto ha consumato in esse 13 pasti, anche in questo caso con variazioni sul territorio nazionale (nella provincia autonoma di Bolzano si sono registrati quasi 52 pasti annui per iscritto, mentre in Campania e Puglia i pasti sono stati 5).
I valori assoluti di pasti erogati nell’anno solare 2008 sono risultati pari a 22.466.853[146].
Accesso ai benefici
Per avere accesso ai benefici, gli studenti devono presentare un’autocertificazione, attestante le condizioni economiche proprie e dei componenti del nucleo familiare di appartenenza. In caso di dichiarazioni non veritiere è prevista una sanzione amministrativa consistente nel pagamento di un importo doppio rispetto a quello percepito e nella perdita del diritto ad ottenere altre erogazioni, salva, in ogni caso, l’applicazione delle norme penali per i fatti costituenti reato (artt. 22 e 23 L. 390/1991).
Gli studenti di nazionalità straniera fruiscono dei servizi e delle provvidenze nelle forme e nei modi previsti per i cittadini italiani (art. 20 L. 390/1991).
Le risorse per il diritto allo studio
Le fonti di finanziamento per il diritto allo studio universitario sono costituite:
· dalle risorse proprie delle regioni;
· dalla tassa regionale per il diritto allo studio, che è stata istituita dall’art. 3, comma 20, della legge 549 del 1995[147] al fine di incrementare le disponibilità finanziarie delle regioni finalizzate all'erogazione di borse di studio e di prestiti d'onore;
· dal Fondo statale integrativo per la concessionedei prestiti d’onore (si veda ante), che le regioni utilizzano una volta che abbiano impegnato i finanziamenti derivanti da risorse proprie e dal gettito della tassa regionale.
Il Fondo è ripartito con DPCM, sulla base dei seguenti criteri:
- il 50 per cento, in proporzione alla spesa che le regioni sostengono per la concessione delle borse di studio;
- il 35 per cento, in proporzione al numero di idonei nelle graduatorie per la concessione del diritto allo studio, con un coefficiente correttivo per gli studenti fuori sede, che sono “pesati” con un parametro raddoppiato (pari, cioè, a 2);
- il 15 per cento in proporzione al numero di posti alloggio gestiti dagli enti per il diritto allo studio.
L’importo assegnato a ciascuna regione non può essere superiore alle disponibilità finanziarie ottenute attraverso risorse proprie e entrate da tassa regionale relative all’anno precedente. Al fine di garantire un’adeguata e tempestiva programmazione degli interventi, ciascuna regione non può ottenere nel riparto del Fondo una somma inferiore all’80% di quella ottenuta l’anno precedente.
Secondo i dati elaborati dal MIUR[148], nel 2007 le borse di studio hanno assorbito quasi l’82 per cento delle risorse destinate ai sussidi, pari – con riferimento ai soli iscritti ai corsi di laurea, e con riferimento alle risorse erogate dagli enti per il diritto allo studio e dagli atenei - ad € 35.446.000.
Tra il 2006 e il 2007 la spesa per interventi relativi al diritto allo studio è cresciuta complessivamente del 5,8 per cento, mentre tra il 2003 e il 2007 ha registrato un incremento del 14,8 per cento.
Rispetto ad alcuni Paesi europei, l’Italia si colloca ad un livello medio di spesa, con una incidenza della spesa complessiva per DSU sul totale della spesa universitaria pari a 16,6 per cento, leggermente inferiore alla media dell’UE, pari a 17,3 per cento, ma superiore ai valori di Spagna (7,9%), Francia (8%), Portogallo (11,6%). Il valore italiano, dal 2001 al 2006, ha registrato un aumento del 4,2 per cento.
Ulteriori disposizioni normative statali
Oltre alla legge n. 390 del 1991 e ai DPCM attuativi, sono poi intervenuti, a livello statale, altri atti normativi, tra i quali lagià ricordata legge n. 338 del 2000, che ha dettato disposizioni in materia di alloggi e residenze per gli studenti universitari.
In particolare, la L. 338 del 2000 ha previsto il concorso dello Stato alla realizzazione di interventi necessari al recupero o all’adeguamento di immobili, ovvero alla costruzione degli stessi o all’acquisto di aree da utilizzare per la costruzione di alloggi e residenze universitarie da parte di regioni, province autonome, enti per il diritto allo studio, collegi e consorzi universitari, cooperative di studenti senza fini di lucro e organizzazioni non lucrative di utilità sociale operanti nel settore del diritto allo studio, a tal fine stanziando 60 miliardi di lire per ciascuno degli anni dal 2000 al 2001 e rimettendo alla legge finanziaria la determinazione dell’ammontare della spesa per gli anni successivi[149]. Il cofinanziamento si attua attraverso un contributo non superiore al 50% del costo totale.
La medesima legge ha disposto che gli alloggi e le residenze hanno la finalità di ospitare gli studenti universitari – con priorità per quelli capaci e meritevoli privi di mezzi - ma anche quella di offrire agli altri iscritti alle università servizi di supporto alla didattica e alla ricerca e attività culturali e ricreative. A tal fine, la definizione degli standard minimi qualitativi degli interventi, nonché le linee guida relative ai parametri tecnici ed economici per la loro realizzazione è stata affidata ad un decreto ministeriale (D.M. 9 maggio 2001, n. 118, e, poi, D.M. 22 maggio 2007, n. 43).
Per quanto riguarda la procedura, la legge ha disposto che i soggetti sopra citati elaborano progetti per la realizzazione degli interventi, attenendosi alle indicazioni individuate con decreto ministeriale (D.M. 9 maggio 2001, n. 16 e, poi, D.M. 22 maggio 2007[150]). Previa istruttoria di una apposita commissione istituita presso il MIUR, il Ministro individua i progetti ammessi al cofinanziamento e procede alla ripartizione dei fondi con un piano triennale.
Sono stati, quindi, adottati ilD.M. 10 dicembre 2004, prot. n. 40/2004[151], Piano degli interventi per alloggi e residenze per studenti universitari,il D.M. 30 luglio 2008 prot. n.41/2008[152], I° Piano triennale per il cofinanziamento di interventi di tipologia A1, A2, A3 ai sensi del D.M. 22 maggio 2007, e il D.M. 14 novembre 2008, prot. n. 72/2008[153], II° Piano triennale per il cofinanziamento di interventi di tipologia B, C, D, sempre ai sensi del D.M. 22 maggio 2007.
In seguito, sono stati adottati interventi normativi specifici, tra i quali si ricordano:
· l’art. 4, comma 2, del decreto legge 212 del 2002[154], che ha autorizzato, a decorrere dal 2002, la spesa di 10 milioni di euro per consentire il pagamento delle borse di studio agli studenti iscritti presso le università e gli istituti superiori non statali legalmente riconosciuti, al fine di assicurare l’uniformità di trattamento sul diritto agli studi universitari;
· l’art. 4, commi da 99 a 103, della legge n. 350 del 2003 che, come già si è detto, ha previsto la concessione di prestiti fiduciari.
Da ultimo, è intervenuto l’art. 3, commi 1 e 2, del decreto-legge n. 180 del 2008, che per il 2009 ha disposto una integrazione del fondo per il finanziamento dei progetti volti alla realizzazione di alloggi e residenze universitarie, di cui alla l. 338/2000, per un importo pari a 65 milioni di euro, eun incremento del fondo di intervento integrativo di cui all’art. 16 della l. 390/1991, per un importo pari a 135 milioni di euro[155].
L’articolo unico dell’A.C. 1276 intende consentire un ricalcolo della tassa di iscrizione e del contributo universitario versato nell’anno accademico precedente, in sede di versamento per l’anno accademico successivo, qualora nell’anno accademico precedente il reddito familiare sia diminuito (ad esempio, evidenzia la relazione illustrativa, per il decesso di un familiare). A tal fine, prevede che il Governo integri il DPR 306 del 1997[156] entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge.
Si ricorda che, ai sensi del DPR 306 del 1997, già prima citato, gli studenti contribuiscono alla copertura del costo dei servizi offerti dalle università mediante il pagamento di contributi e della tassa di iscrizione (il cui importo, originariamente fissato in lire 300.000, è rivalutato annualmente in base al tasso programmato di inflazione[157]). I contributi sono determinati autonomamente dalle università, in relazione ad obiettivi di adeguamento della didattica e dei servizi per gli studenti, nonché sulla base della specificità del percorso formativo. Le università graduano i contributi secondo criteri di equità e solidarietà, in relazione alle condizioni economiche degli iscritti, la cui valutazione è effettuata sulla base della natura e dell’ammontare del reddito e del patrimonio, nonché dell’ampiezza del nucleo familiare. La contribuzione studentesca non può eccedere il 20 per cento del FFO assegnato all’ateneo.
Per completezza, si ricorda che l’art. 7 del DPR prevede una sua revisione biennale ai sensi dell’art. 20, comma 8, lettera c), della L. n. 59 del 1997.
All’inizio del comma 2 si segnala la presenza di un refuso (Entro se mesi).
L’art. 17 dell’A.C. 2458 prevede che – a decorrere dal 2010 –il MIUR bandisca ogni anno borse di studio nazionali per l’iscrizione e la frequenza di corsi di laurea, corsi di laurea magistrale e corsi di dottorato di ricerca riservate a studenti meritevoli appartenenti alle famiglie meno abbienti che frequentano, rispettivamente, l’ultimo anno della scuola secondaria superiore, ovvero di un corso di laurea o di un corso di laurea magistrale (comma 1).
Per poter accedere alla selezione, l’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) della famiglia dello studente deve essere più basso del valore fissato nel bando (comma 2).
Per ogni tipologia di borsa di studio, è predisposta un’unica graduatoria nazionale di merito, sulla base dei risultati scolastici o universitari, secondo le indicazioni recate dal comma 3.
Le borse di studio sono assegnate nell’ordine della graduatoria, in due rate. Esse sono confermate negli anni successivi (per un massimo di sette rate semestrali per i corsi di laurea e di dottorato di ricerca e per un massimo di cinque rate semestrali per i corsi di laurea magistrale)qualora lo studente abbia conseguito i risultati di merito indicati nel comma 4. Si tratta, sostanzialmente, di un meccanismo simile a quello attualmente previsto per l’erogazione delle borse di studio concesse dalle regioni e dalle province autonome. A differenza, però, di questa fattispecie, lo studente che fruisce delle borse di studio di merito nazionali deve versare le tasse e i contributi previsti dall’università (comma 5).
Il numero e l’importo annuale delle borse è stabilito dal bando. Per il 2010 si prevede che il numero non può essere inferiore a 10.000 e l’importo annuale non può essere inferiore a 10.000 euro (comma 6).
Le borse di studio in questione sono incompatibili con ogni altra borsa di studio, tranne quelle destinate a sostenere lo studente per soggiorni di studio o di ricerca all’estero (comma 7), e sono esenti da ILOR e IRPEF (comma 8).
Il comma 9 reca le modalità di copertura finanziaria, quantificato in 100 milioni di euro a decorrere dal 2010, mentre con il comma 10 si autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
L’A.C. 2726 prevede l’istituzione di un fondo rotativo destinato a concedere finanziamenti agli studenti di nazionalità italiana delle università statali che rientrino nei limiti di reddito da individuare con regolamento interministeriale e rispondano ai requisiti di merito individuati dal progetto di legge (commi 1 e 2).
L’importo massimo individuale del prestito è pari a 3.600 euro per ogni anno accademico, che possono essere impiegati dal beneficiario anche per esigenze non connesse alla frequenza degli studi (commi 3 e 4).
L’importo totale del prestito è restituito ratealmenteal termine degli studi, e comunque non prima dell’avvio di una attività lavorativa. Se dopo sei anni dal completamento o dalla definitiva interruzione degli studi non si è intrapresa un’attività lavorativa, il prestito deve essere restituito con il tasso di interesse indicato dal progetto di legge (commi 5 e 6).
I soggetti pubblici e privati possono fare donazioni a favore del fondo, interamente deducibili ai fini delle imposte sui redditi (comma 7).
La disciplina di attuazione – che deve individuare anche i meccanismi di controllo – è affidata ad un regolamento adottato dal MIUR, di concerto con il MEF (comma 8).
Per finanziare il fondo si prevede l’istituzione di una imposta sulla produzione e sull’importazione di bevande realizzate con aggiunta di anidride carbonica o di altro gas, ad eccezione delle acque minerali e di altrebevande iviindicate (commi 9, 10 e 11).
Si evidenzia, preliminarmente, che disposizioni in materia di stato giuridico dei professori e dei ricercatori sono recate, oltre che dall’art. 6 dell’A.C. 3687:
§ dagli articoli 1 e 2 dell’A.C. 1828;
§ dagli articoli 7 e 12 dell’ A.C. 2458;
§ dagli articoli da 1 a 7, 11, 23 e 24 dell’A.C. 2460;
§ dall’articolo 1 dell’A.C. 2841.
Per un raffronto testuale si è redatto un testo a fronte tra le norme indicate. Nel testo della scheda, quindi, dopo il commento dell’art. 6 dell’A.C. 3687 si evidenzieranno solo le principali caratteristiche dei progetti di legge abbinati.
Al fine di una adeguata illustrazione delle novità, si ritiene opportuno premettere una ricognizione della normativa vigente.
Si segnala, infine, che l’A.C. 1397 reca disposizioni concernenti stato giuridico e trattamento economico dei professori incaricati stabilizzati; data la specificità della materia, si ritiene opportuno darne conto in un’apposita scheda, alla quale si rinvia.
Si ricorda, preliminarmente, che l’art. 3 del D.lgs.165/2001[158] - relativo al personale in regime di diritto pubblico - ha disposto, al comma 2, che il rapporto di impiego dei professori e dei ricercatori universitari resta disciplinato dalle disposizioni rispettivamente vigenti, in attesa della specifica disciplina che lo regoli in modo organico ed in conformità ai princìpi della autonomia universitaria.
Attualmente, pertanto, lo stato giuridico e il trattamento economico della docenza universitaria sono definiti dal già citato DPR 382/1980 e dalle norme intervenute successivamente, tra le quali la altrettanto citata L. 210 del 1998.
In particolare, il DPR citato ha articolato il ruolo dei professori universitari in due fasce, quella dei professori straordinari e ordinari[159], e quella dei professori associati - con compiti e responsabilità distinti, ma nell’unitarietà della funzione docente - e ha istituito il ruolo dei ricercatori universitari[160].
I professori di prima fascia all'atto della nomina conseguono la qualifica di straordinario per la durata di tre anni accademici (art. 6 del DPR 382/1980), al termine dei quali sono sottoposti al giudizio di apposita Commissione per la nomina ad ordinario[161]; in seguito, sono tenuti a presentare ogni tre anni, al consiglio della facoltà di appartenenza, una relazione sul lavoro scientifico svolto, corredata della relativa documentazione, della quale si tiene conto per l’assegnazione di fondi per la ricerca (art.18).
I professori associati, dopo un triennio dall'immissione in ruolo, sono sottoposti ad un giudizio di conferma basato sull'attività didattica e scientifica ed espresso da commissioni nazionali composte da tre docenti di ruolo, nominati dal Ministro su designazione, mediante sorteggio, del C.U.N., per ciascun raggruppamento disciplinare (art. 23)[162].
Entrambe le categorie di docenti hanno obblighi inerenti l’attività didattica e partecipano agli organi di gestione delle università. Lo stato giuridico dei professori associati è, infatti, disciplinato dalle norme relative ai professori ordinari, salvo che non sia altrimenti disposto (art. 22): ad esempio, alcune cariche accademiche sono riservate ai soli ordinari[163].
Alle due fasce della docenza è, inoltre, garantita libertà didattica e inamovibilità (artt. 7 e 8), fatta eccezione per le richieste di trasferimento.
I doveri didattici dei professoriordinarisono disciplinati dall’art. 10 del DPR 382/1980: essi devono assicurare la loro presenza per lo svolgimento di attività didattiche, compresa la partecipazione alle commissioni di esame e di laurea - nonché, ai sensi del quarto comma, i servizi di orientamento per gli studenti, con particolare riferimento alla predisposizione dei piani di studio - per non meno di 250 ore l’anno[164]. I professori a tempo pieno devono anche garantire la loro presenza per non meno di altre 100 ore annuali per lo svolgimento dell’insegnamento, di compiti di orientamento per gli studenti e di compiti organizzativi interni. Tutti i professori ordinari, inoltre, devono assicurare il loro impegno per la partecipazione agli organi collegiali e di governo dell’ateneo.
Ai sensi dell’art. 11, l’impegno dei professori ordinari è a tempo pieno o a tempo definito.
La scelta va esercitata con domanda da presentare al rettore almeno 6 mesi prima dell’inizio di ogni anno accademico e obbliga al rispetto dell’impegno assunto per almeno un biennio[165]. L’opzione può essere esercitata non oltre l’inizio del biennio precedente il collocamento fuori ruolo, salvo che dal regime di impegno a tempo pieno si opti per quello a tempo definito.
Il regime di impegno a tempo definito:
§ è incompatibile con le funzioni di rettore, preside, membro elettivo del consiglio di amministrazione, direttore di dipartimento e direttore dei corsi di dottorato di ricerca;
§ è compatibile con lo svolgimento di attività professionali e di attività di consulenza anche continuative esterne e con l’assunzione di incarichi retribuiti, ma non con l’esercizio del commercio e dell’industria.
Il regime di impegno a tempo pieno:
§ è incompatibile con lo svolgimento di qualsiasi attività professionale e di consulenza esterna, con l’assunzione di qualsiasi incarico retribuito e con l’esercizio del commercio e dell’industria. Sono fatte salve le perizie giudiziarie e la partecipazione ad organi di consulenza tecnico-scientifica dello Stato, degli enti pubblici territoriali e degli enti di ricerca, nonché le attività comunque svolte per conto dello Stato o di enti pubblici o di organismi a prevalente partecipazione statale purché prestate in quanto esperti e sempre che siano compatibili con lo svolgimento dei compiti istituzionali;
§ è compatibile con lo svolgimento di attività scientifiche e pubblicistiche, espletate al di fuori di compiti istituzionali, e didattiche, comprese quelle di partecipazione a corsi di aggiornamento, purché non corrispondano a nessun esercizio professionale[166].
Occorre peraltro ricordare che, in ordine allo svolgimento di attività extra-istituzionali da parte di pubblici dipendenti è, poi, intervenuto l’art. 53 del già citato d.lgs. 165 del 2001, che ha stabilito che tali dipendenti non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza. Con riferimento ai professori universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell'autorizzazione[167]. Lo stesso art. 53 ha anche previsto che le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici economici e i soggetti privati non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti di altre amministrazioni pubbliche senza la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi[168].
Tutta la normativa autorizzatoria non riguarda i docenti a tempo definito (né i ricercatori).
Il regime di impegno a tempo pieno o definito è stato confermato dalla già citata L. 230 del 2005 (art. 1, comma 16) che ha correlato il trattamento economico, secondo la struttura retributiva vigente, all’espletamento di attività didattiche per non meno di 350 ore annue (di cui, 120 di didattica frontale) per il rapporto a tempo pieno, e in non meno di 250 ore annue (di cui, 80 di didattica frontale) per il rapporto a tempo definito[169].
Sulla normativa in materia di congedi per attività di ricerca, si rinvia alla scheda sull’art. 7.
Come si è detto ante, il ruolo dei ricercatori universitari è stato istituito dall’art. 1 del D.P.R. 382/1980.
Anche i ricercatori sono soggetti alla conferma in ruolo tre anni dopo l’immissione, previa valutazione dell’attività scientifica e didattica da parte di una commissione nazionale composta, per ogni raggruppamento disciplinare, da tre professori di ruolo estratti su un numero triplo di docenti designati dal C.U.N. (art. 31). La Commissione si base anche su una motivata relazione del Consiglio di facoltà o del dipartimento. Se il giudizio è favorevole, il ricercatore è immesso nella fascia dei ricercatori confermati[170].
Le attribuzioni riservate ai ricercatori nell’ambito della didattica sono state inizialmente indicate dall’art. 32 del D.P.R. come “compiti didattici integrativi dei corsi di insegnamento ufficiali”: tra tali compiti sono comprese, in base alla disposizione citata, esercitazioni, collaborazione all’attività di ricerca degli studenti finalizzata alla stesura della tesi, sperimentazione di nuove modalità di insegnamento, attività di tutorato[171]. Lo stesso articolo stabilisce, inoltre, che, dopo la conferma in ruolo, i ricercatori possono partecipare a commissioni d’esame (come “cultori della materia”); possono svolgere seminari e cicli di lezioni all’interno di un corso già attivato, concordandoli con i titolari del corso; prendono parte ai programmi di ricerca delle proprie università accedendo direttamente a fondi nazionali o locali per la ricerca scientifica. I consigli di facoltà determinano all’inizio dell’anno accademico le modalità di esercizio delle funzioni didattiche e scientifiche. L’impegno complessivo per l’attività didattica è fissato in non più di 250 ore annue, alle quali si affianca l’eventuale impegno per le attività di organi collegiali, ove investito della relativa rappresentanza.
Con l’art. 1 del D.L. 57 del 1987[172], come modificato durante la conversione, è stata, poi prevista anche per i ricercatori confermati l’opzione fra il regime a tempo pieno e il regime a tempo definito[173] e il limite massimo di impegno previsto dall’art. 32 del DPR 382/1980 è stato portato, rispettivamente, a 350 e a 200 ore.
La disposizione citata ha, inoltre, disposto che:
§ l'ufficio di ricercatore è incompatibile con l'esercizio del commercio, dell'industria, o comunque di attività imprenditoriali e con altri rapporti di impiego pubblici e privati;
§ i ricercatori non possono svolgere, fino al superamento del giudizio di conferma, attività libero-professionali connesse alla iscrizione ad albi professionali, esterne alle attività proprie o convenzionate della struttura di appartenenza;
§ si applicano ai ricercatori le norme sulle situazioni di incompatibilità e sul collocamento in aspettativa obbligatoria previste dall'articolo 13 del DPR 382 del 1980.
In seguito, l’art. 12 della già citata L. 341 del 1990 - come modificato dall’art. 1, comma 11, della L. 4 del 1999[174] - ha superato il principio di affidamento ai ricercatori solo di attività integrativa: ha, infatti, disposto che i ricercatori – anche non confermati – adempiono ai compiti didattici in tutti i corsi di studio; guidano il processo di formazione culturale dello studente; possono essere componenti di commissioni di esame per i corsi di laurea, diploma, specializzazione, e sono relatori di tesi. Inoltre:
§ ha disposto che, ferma restando per i professori la responsabilità didattica di un corso relativo ad un insegnamento, le strutture didattiche attribuiscono ai professori e ai ricercatori,con il consenso dell'interessato, l'affidamento e la supplenza di ulteriori corsi o moduli;
§ ha sostituito il primo comma dell’art. 114 del DPR 382 del 1980, stabilendo che gli affidamenti e le supplenze possono essere conferiti esclusivamente a professori di ruolo e a ricercatori del medesimo settore scientifico-disciplinare o di settore affine, appartenenti alla stessa facoltà o, in mancanza, a professori di ruolo e a ricercatori di altra facoltà della stessa o di altra università[175].
Ancora dopo, l’art. 11-quater del già citato D.L. n. 120 del 1995 ha disposto che il primo comma dell’art. 114 del DPR 382/1980, come modificato dall’art. 12, comma 5, della L. 341/1990, va interpretato nel senso che le università, compatibilmente con le risorse disponibili nei propri bilanci, possono conferire affidamenti e supplenze retribuite ai ricercatori confermati, qualora l'impegno didattico conseguente superi quello stabilito nell'articolo 32 del medesimo DPR 382 del 1980.
Si è così, indirettamente, superato il principio che l’impegno orario richiesto ai ricercatori costituisca un massimo.
Da ultimo, l’art. 1, comma 11, della già citata legge 230/2005 ha stabilito che ai ricercatori (oltre che agli assistenti del ruolo ad esaurimento[176] e ai tecnici laureati) che hanno svolto tre anni di insegnamento ai sensi dell’art. 12 della L. 341 del 1990, (nonché ai professori incaricati stabilizzati[177]) sono affidati, con il loro consenso e fermo restando il rispettivo inquadramento e trattamento giuridico ed economico, corsi e moduli curriculari compatibilmente con la programmazione didattica definita dai competenti organi accademici, nonché compiti di tutorato e di didattica integrativa. Per la durata dell’incarico è attribuito il titolo di professore aggregato[178].
Si ricorda, infine, che, analogamente a quanto previsto per gli associati, i ricercatori confermati sono sottoposti a verifica triennale dell’attività scientifica e didattica (art. 33 DPR 382/1980); il giudizio è affidato al consiglio di facoltà e formulato sulla base di una relazione dell’interessato e dei pareri espressi dai consigli di corso di laurea per l’attività didattica e dai dipartimenti o dai consigli degli istituti nei quali egli ha operato per il lavoro scientifico. La presentazione di risultati scientifici originali e documentati è condizione per continuare ad accedere direttamente ai fondi per la ricerca.
Per il trattamento economico di professori e ricercatori universitari, si rinvia alla scheda relativa.
Il comma 1 dell’art. 6conferma – rispetto all’assetto normativo vigente – che il regime di impegno dei professori e dei ricercatori di ruolo è a tempo pieno o a tempo definito.
Definisce, inoltre un impegno orario complessivo che, per entrambe le categorie, è pari a 1500 ore nel caso del tempo pieno, e a 750 ore nel caso del tempo definito: tale impegno orario comprende la quantificazione figurativa delle attività di ricerca, di studio e di insegnamento, con i connessi compiti preparatori, di verifica e organizzativi.
Ai sensi del comma 4, l’opzione fra i due regimi è esercitata su domanda dell’interessato all’atto della presa di servizio o, nel caso di passaggio dall’uno all’altro regime, con domanda da presentare al rettore almeno 6 mesi prima dell’inizio dell’anno accademico dal quale far decorrere l’opzione. Il regime prescelto deve essere mantenuto per almeno un anno accademico (a fronte dell’attuale biennio).
Per una più organica trattazione normativa, si valuti l’opportunità di riportare il contenuto del comma 4 nel comma 1 o subito dopo il comma 1.
I commi 2 e 3 definiscono, rispettivamente, le attività che svolgono i professori e i ricercatori di ruolo e l’impegno orario che deve essere riservato per le attività didattiche e connesse alla didattica.
Per quanto concerne le attività, per entrambe le categorie si prevedono attività di ricerca e di aggiornamento scientifico.
Inoltre, entrambe le categorie, sulla base di criteri e modalità stabiliti con il regolamento di ateneo, devono riservare annualmente un determinato numero di ore a compiti di didattica (nel caso dei ricercatori, didattica integrativa) e di servizio agli studenti - inclusi l’orientamento e il tutorato - , nonché ad attività di verifica dell’apprendimento.
Per i professori, si tratta di un limite minimo, quantificato in non meno di 350 ore in regime di tempo pieno e non meno di 250 ore in regime di tempo definito: si conferma, quindi, l’impegno previsto dalla L. 230 del 2005.
Per i ricercatori si tratta, invece, di un limite massimo, quantificato in 350 ore nel regime di tempo pieno e in 200 ore in regime di tempo definito: si conferma, quindi, quanto previsto dal D.L. 57 del 1987.
Il comma 3, inoltre, fa salve le disposizioni recate dall’art. 1, comma 11, primo e secondo periodo, della legge n. 230 del 2005 (si veda ante).
Rispetto alla formulazione recata dalla legge 230, però, il comma in esame circoscrive l’ambito di applicabilità della disposizione citata, per ciò che concerne i ricercatori – e fermi restando i riferimenti alle altre categorie – ai ricercatori a tempo indeterminato.
Il comma 5, primo periodo, introduce la certificazione dell’effettivo svolgimento delle attività didattiche e di servizio agli studenti, rimettendo la definizione della relative modalitàal regolamento di ateneo. Il regolamento prevede anche la differenziazione dei compiti didattici in relazione alle diverse aree scientifico-disciplinarie alla tipologiadi insegnamento e in relazione al fatto che il docenteabbia specifici incarichi di responsabilità gestionale o di ricerca.
Il secondo periodo rimette alle università la competenza esclusiva a valutare le attività dei singoli docenti e ricercatori, utilizzando però, per quanto concerne la verifica dei risultati della attività di ricerca, criteri oggettivi definiti dall’ANVUR.
Ai sensi del comma 6, qualora la valutazione delle attività da parte delle università sia negativa, i professori e i ricercatori sono esclusi dalle commissioni di abilitazione, selezione e progressione di carriera del personale accademico, nonché dagli organi di valutazione dei progetti di ricerca.
Il comma 7 disciplina le incompatibilità.
Si conferma che la posizione di professore e ricercatore è incompatibile con l’esercizio del commercio e dell’industria: però, è fatta salva la possibilità di costituire società con caratteristiche di spin off o di start up universitari, ai sensi degli artt. 2 e 3 del D.lgs. 297/1999, anche assumendo in tale ambito responsabilità formali, nel rispetto di criteri da definire con decreto ministeriale (per la cui emanazione non è previsto un termine).
Si ricorda che il D.lgs. n. 297/1999[179] ha disciplinato gli interventi di sostegno alla ricerca industriale, alla connessa formazione e alla diffusione delle tecnologie derivanti dalle medesime attività. Ai fini dell'ammissione agli interventi di sostegno previsti, la ricerca industriale[180] può prevedere anche attività non preponderanti di sviluppo precompetitivo[181] per la validazione dei risultati.
L’articolo 2 elenca i soggetti ammissibili a tali interventi di sostegno, che devono avere stabile organizzazione sul territorio nazionale, tra i quali sono compresi (lett. e) società finalizzate all'utilizzazione industriale dei risultati della ricerca, per le attività di ricerca industriale e sviluppo precompetitivo, con la partecipazione azionaria, il concorso, o comunque con il relativo impegno di soggetti quali professori e ricercatori universitari, personale di ricerca dipendente da enti di ricerca, ENEA e ASI, nonché dottorandi di ricerca e titolari di assegni di ricerca. Sono, inoltre, compresi università, enti di ricerca anche a carattere regionale, ENEA ed ASI (lett. f), e i parchi scientifici e tecnologici istituiti con legge regionale (lett. f-bis).
L’articolo 3 riguarda le attività finanziabili per varie tipologie di interventi di sostegno, che possono essere:
§ sostegno su progetti o programmi di ricerca industriale e sviluppo precompetitivo;
§ sostegno all'occupazione nella ricerca industriale;
§ sostegno ad infrastrutture, strutture e servizi per la ricerca industriale.
In generale, con il termine spin off[182] si intende la costituzione di una nuova entità giuridica (società di capitali o a responsabilità limitata), a partire dalle risorse di una società preesistente o da altre imprese.
Obiettivo principale degli spin off è proprio quello di favorire il contatto tra le strutture di ricerca universitarie, il mondo produttivo e le istituzioni del territorio, per sostenere la ricerca e diffondere nuove tecnologie con ricadute positive sulla produzione industriale e il benessere sociale del territorio.
Le modalità di costituzione di uno spin off e il regime di autorizzazioni del personale dell'ateneo seguono i regolamenti interni delle università.
Per start up, solitamente, si indica in generale la fase di avvio d’impresa.
In proposito si segnala che, sebbene le terminologie di “spin off e start up universitari” rimandino chiaramente a nuove iniziative imprenditoriali fortemente collegate alla ricerca svolta dalle università ed il cui personale ha uno stretto legame con le università stesse, non si riesce a rinvenire in dottrina una definizione rigorosa ed univoca degli stessi. Con riguardo alla legislazione vigente, i termini appaiono utilizzati, a titolo di esempio, nell’art. 2, comma 554, lett. c), della L. finanziaria 2008 e nell’allegato A delle Linee generali di indirizzo della programmazione delle Università per il triennio 2007-2009 (D.M. 3-7-2007 n. 362).
Il medesimo comma 7 specifica chel’attività a tempo pieno è incompatibile con l’esercizio di attività libero-professionale.
Restano in ogni caso ferme le disposizioni degli articoli 13, 14 e 15 del DPR 382 del 1980 in materia di aspettativa obbligatoria per situazioni di incompatibilità, di aspettativa dei professori che passano ad altra amministrazione e di conseguenze derivanti dall’inosservanza del regime delle incompatibilità, fatte però salve le disposizioni per il personale universitario sanitario medico e non medico recate dal comma 11.
In particolare, l’art. 13 del DPR 382 del 1980stabilisce che il professore ordinario è collocato d’ufficio in aspettativa nei casi di elezione al Parlamento nazionale o europeo, nonché di nomina ad incarichi di Governo, a componente delle istituzioni dell’Unione europea, a componente di organi e istituzioni specializzate delle Nazioni Unite che comporti un impegno incompatibile, a presidente o vicepresidente del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, in organi regionali o provinciali (per le posizioni specificamente indicate), alle cariche di presidente e di amministratore delegato di enti pubblici, anche economici, e di società a partecipazione pubblica[183], a direttore, condirettore e vicedirettore di giornale quotidiano o a posizione corrispondente nell’informazione radio-televisiva, a presidente o segretario nazionale di partiti rappresentati in Parlamento, agli incarichi dirigenziali a tempo determinato.
Il medesimo articolo stabilisce, inoltre, che hanno diritto a chiedere una limitazione dell’attività didattica i professori di ruolo che ricoprono la carica di rettore, prorettore, preside di facoltà, direttore di dipartimento, di presidente di consiglio di corso di laurea, di componente del CUN[184], e definisce il regime applicabile, da un punto di vista giuridico ed economico, per i periodi di aspettativa.
L’art. 14 dispone che il professore universitario che assume un nuovo impiego con altra amministrazione statale o pubblica è collocato in aspettativa per tutto il periodo di prova richiesto per la conferma in ruolo. Al termine di tale periodo, egli può riassumere servizio presso l’università entro i successivi 30 giorni. Ove ciò non avvenga, decade dall’ufficio di professore[185]. Le stesse disposizioni si applicano agli assistenti del ruolo ad esaurimento.
L’art. 15 stabilisce che nel caso si assuma un nuovo impiego pubblico si cessa di diritto dall’ufficio di professore, salvo quanto indicato nell’art. 14. Nel caso di cumulo con impieghi privati, il rettore diffida l’interessato a cessare dalla situazione di incompatibilità. Decorsi quindici giorni dalla diffida senza che l’incompatibilità sia cessata, il professore decade dall’ufficio. La decadenza è disposta con decreto del Ministro su proposta del rettore, sentito il CUN. Peraltro, la circostanza che il professore abbia ottemperato alla diffida non preclude l’azione disciplinare.
I commi da 8 a 10 disciplinano le attività consentite ai professori e ai ricercatori (i primi due commi con riferimento al regime di tempo pieno, l’ultimo con riferimento al regime di tempo definito).
In particolare, il comma 8 stabilisce che i professori e i ricercatori a tempo pieno, fatto salvo il rispetto degli obblighi istituzionali, possono svolgere liberamente:
Previa autorizzazione del rettore, essi possono svolgere anche funzioni didattiche e di ricerca, nonché compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici e privati, purché non si determinino situazioni di conflitto di interesse con l’università di appartenenza e purché ciò sia compatibile con l’adempimento degli obblighi istituzionali.
Con riferimento al primo periodo del comma 8 se, come è possibile ritenere, si intende riferire la locuzione “anche retribuite” a tutte le attività in esso indicate, si dovrebbe procedere ad una sua diversa collocazione. Letteralmente, infatti, essa appare riferibile solo alle attività di valutazione e referaggio.
Con riferimento al secondo periodo del medesimo comma, sembrerebbe opportuno chiarire il riferimento ai “compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici e privati”, alla luce delle incompatibilità disposte dall’art. 13 del DPR 382 del 1980 (in particolare, quelle di cui al primo comma, numero 10) che, come sopra si è visto, è esplicitamente fatto salvo dal comma 7.
Il comma 9 prevede che i professori e i ricercatori a tempo pieno possono svolgere attività didattica e di ricerca anche presso un ateneo diverso da quello di appartenenza sulla base di una convenzione fra i due atenei.
La convenzione, che è finalizzata al conseguimento di obiettivi di comune interesse, stabilisce, con l’accordo dell’interessato, le modalità di ripartizione fra i due atenei dell’impegno annuo dello stesso interessato, degli oneri stipendiali e delle modalità di valutazione. Per un periodo complessivamente non superiore a 5 anni, l’impegno può essere svolto totalmente presso il secondo ateneo, che corrisponde gli oneri stipendiali. In questa ipotesi, l’interessato esercita il diritto di elettorato attivo e passivo presso il secondo ateneo.
Si dispone, infine, che ai fini della valutazione delle attività di ricerca(di cui al comma 5) e delle politiche di reclutamento degli atenei (di cui all’art. 5, comma 1, lett. c), l’apporto dell’interessato è ripartito in proporzione alla durata e alla quantità dell’impegno in ciascuno degli atenei.
Il comma 10 stabilisce che i professori e i ricercatori a tempo definito possono svolgere attività libero professionali e di lavoro autonomoanche continuative, purché non si determinino situazioni di conflitto di interesse rispetto all’ateneo di appartenenza.
Previa autorizzazione del rettore, che valuta la compatibilità con l’adempimento degli obblighi istituzionali, possono anche svolgere attività didattica e di ricerca presso università o enti di ricerca esteri. In tal caso, ai fini della valutazione delle attività di ricerca e delle politiche di reclutamento degli atenei, l’apporto dell’interessato è considerato in proporzione alla durata e alla quantità dell’impegno reso nell’ateneo di appartenenza.
Si stabilisce, infine, che lo statuto definisce eventuali situazioni di incompatibilità dei professori a tempo definito rispetto alle cariche accademiche.
Il comma 11 dispone che, per il personale universitario sanitario medico e non medico, in regime di tempo pieno ovvero di tempo definito, in caso di svolgimento delle attività assistenziali per conto del SSN, restano fermi lo speciale trattamento aggiuntivo, nonché la disciplina in materia di attività libero-professionale intramuraria ed extramuraria previsti dalle disposizioni in vigore, di seguito riassunte.
Natura del rapporto di lavoro del personale medico universitario che svolge attività assistenziale
L’articolo 102 del D.P.R. 328 del 1980 prevede che il personale docente universitario e i ricercatori che esplicano attività assistenziale presso le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura anche se gestiti direttamente dalle università, assumono i diritti e i doveri previsti per il personale di corrispondente qualifica del ruolo regionale del SSN, nel rispetto, tra l’altro, delle modalità definite in appositi schemi tipo di convenzione tra regioni ed università.
Al personale in questione è assicurata l'equiparazione del trattamento economico complessivo corrispondente a quello del personale delle unità sanitarie locali di pari funzione, mansione ed anzianità secondo le vigenti disposizioni.
L’articolo 5 del D.Lgs. 517/1999[186]ribadisce che l’attività assistenziale, integrata con quella didattica e di ricerca, è svolta da professori e ricercatori universitari, per il cui stato giuridico si applicano, per quanto attiene all'esercizio dell'attività assistenziale, al rapporto con le aziende e a quello con il direttore generale, le norme stabilite per il personale del SSN.
Il citato articolo 102 del D.P.R 102/1980 precisa, inoltre, che il rapporto di lavoro dei professori universitari che svolgono attività assistenziale può essere a tempo pieno o a tempo definito. L'opzione, reversibile in relazione a motivate esigenze didattiche e di ricerca, ha durata almeno biennale.
L’art. 5, comma 12, del D.lgs. 517/1999 ha previsto che lo svolgimento di attività libero professionale intramuraria per il personale docente in attività assistenziale comporti l’opzione per il tempo pieno, mentre lo svolgimento dell’attività extramuraria quella per il tempo definito ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. 382/1980.
L'opzione per l'attività assistenziale esclusiva, e conseguentemente l'opzione per il tempo pieno, è requisito necessario per l'attribuzione ai professori e ai ricercatori universitari di incarichi di direzione di struttura semplice e complessa o di gestione di direzione di specifici programmi.
Personale sanitario medico e non medico - Trattamento aggiuntivo
Per quanto riguarda il trattamento aggiuntivo, l’articolo 1 della legge 200/1974[187] ha riconosciuto una indennità per il personale universitario in servizio presso le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura convenzionati con gli enti ospedalieri o gestiti direttamente dalle università. Successivamente, l’articolo 95 della legge 312/1980 ha ribadito che tale indennità
compete al personale dei policlinici universitari a gestione diretta ed a quello delle cliniche universitarie convenzionate, come indicato nelle relative convenzioni. La previsione del trattamento di equiparazione è stata unificata, per il personale universitario medico e non medico, purché in servizio presso strutture a carattere assistenziale, dall’articolo 31 del D.P.R. 761/1979[188] che dispone per il personale universitario in servizio presso i policlinici, le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura convenzionati con le Regioni e con le Unità Sanitarie Locali, la corresponsione di un’indennità nella misura occorrente per equiparare il relativo trattamento economico a quello del personale del SSN di pari funzioni, mansioni ed anzianità. Successivamente il decreto interministeriale 9 novembre 1982, relativo all’approvazione degli schemi tipo di convenzione tra la regione e l’università e tra università e SSN, ha previsto, nell’allegato D, le tabelle di corrispondenza del personale universitario che presta servizio presso le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura convenzionati, al personale del SSN di pari funzioni e mansioni. Dall’allegato si desume che non sussiste alcuna differenza tra personale laureato e non, poiché ciò che è rilevante ai fini dell’equiparazione è la qualifica rivestita. Come precisato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 136/1997, l'indennità non ha un contenuto corrispettivo dell'attività assistenziale prestata in aggiunta a quella didattica, ma esprime un semplice carattere perequativo, essendo finalizzata soltanto ad equiparare il trattamento economico del personale sanitario docente a quello del personale medico ospedaliero di pari funzioni e anzianità.
Il sistema di determinazione del trattamento economico ora illustrato è stato in parte superato dal disposto dell’articolo 6 del D.lgs. 517/1999, che prevede trattamenti aggiuntivi graduati in relazione alle responsabilità connesse ai diversi tipi di incarico (indennità di posizione) ed in relazione ai risultati ottenuti nell’attività gestionale ed assistenziale (indennità di risultato). Il secondo comma dell’art. 6 del D.lgs. 517/1999 mantiene fermo il sistema economico di equiparazione in godimento nel
momento dell’entrata in vigore del decreto legislativo fino all’applicazione delle disposizioni in materia di indennità previste appunto dal nuovo sistema.
Come, di recente, affermato dalla sentenza del Consiglio di Stato, VI sezione, n. 1090/2009, tale sistema è sostitutivo del precedente, e non aggiuntivo, con la conseguenza che deve essere escluso che il trattamento aggiuntivo di cui all’articolo 6, comma 1, D.lgs. 517/1999 possa essere percepito in aggiunta al trattamento perequativo di cui all’articolo 31 D.P.R. 761/1979.
Il comma 12 dispone che i professori e i ricercatori sono tenuti a presentare una relazione triennale sul complesso delle attività svolte (didattiche, di ricerca e gestionali), unitamente alla richiesta di attribuzione dello scatto stipendiale previsto dagli articoli 36 (per i professori) e 38 (per i ricercatori) del DPR 382 del 1980 (si veda la scheda relativa all’art. 8).
Stabilisce, altresì, che la valutazione dell’impegno didattico, di ricerca e gestionale complessiva ai fini dell’attribuzione dello scatto triennale di cui all’art. 8 è di competenza delle singole università, secondo quanto stabilito nei regolamenti di ateneo (si ricorda che il precedente comma 5 esplicita la competenza esclusiva delle università a valutare positivamente o negativamente le attività dei singoli docenti e ricercatori).
In caso di valutazione negativa, la richiesta di attribuzione dello scatto può essere rinnovata dopo che sia trascorso almeno un anno accademico.
Nel caso di mancata attribuzione dello scatto, la somma corrispondente è conferita al Fondo di ateneo per la premialità di professori e ricercatori, disciplinato dall’art. 9.
L’art. 1 dispone l’organizzazione della docenza universitaria in un ruolo unico dei professori articolato in 3 fasce: i rapporti funzionali e le differenze stipendiali tra le fasce sono stabiliti con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, emanato ai sensi dell’art. 17, comma 3, della L. 400 del 1988, entro 3 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, previo parere delle Commissioni parlamentari.
L’art. 2 prevede che, in sede di prima applicazione, nella prima fascia sono inquadrati i professori ordinari e straordinari; nella seconda fascia sono inquadrati i professori associati, confermati e non confermati; nella terza fascia sono inquadrati i ricercatori e gli assistenti ordinari.
L’art. 7 istituisce la terza fascia dei professori universitari, nella quale sono inquadrati di diritto i ricercatori universitari confermati che sono stati affidatari o supplenti di insegnamenti universitari nei corsi di laurea o di laurea specialistica o magistrale, anche in un altro ateneo, per almeno 3 anni, anche non consecutivi, nell’ultimo decennio. I ricercatori che non hanno il requisito del servizio, o che non sono confermati, sono inquadrati a domanda, previo giudizio favorevole del senato accademico dell’università di appartenenza sulla loro attività scientifica e didattica. Conseguentemente, la disposizione stabilisce che il ruolo dei ricercatori universitari è posto ad esaurimento (comma 1).
I ricercatori che hanno operato presso un ateneo diverso da quello di attuale appartenenza possono chiedere di essere inquadrati presso l’ateneo dove hanno insegnato. L’istanza è accolta previe deliberazioni favorevoli del senato accademico e del consiglio di amministrazione di tale ateneo (comma 2).
Nelle more della ridefinizione dello stato giuridico e del trattamento economico dei professori universitari, lo stato giuridico e il trattamento economico dei professori di terza fascia sono quelli previsti per i ricercatori universitari (comma 3). Ad essi è riconosciuto il titolo di professori aggregati e si applicano, fra l’altro, le disposizioni recate dal comma 16 dell’art. 1 della L. 230 del 2005, che ne stabilisce l’impegno didattico (si veda ante) (comma 4).
Infine, il comma 5 richiama, ai fini della maturazione del triennio richiesto per l’inquadramento di diritto nella terza fascia, le disposizioni dell’art. 13, quarto comma, del DPR 382 del 1980, relativo alla utilità del periodo di aspettativa obbligatoria per situazioni di incompatibilità.
Si anticipa qui che una diversa soluzione per i ricercatori è proposta dall’art. 21 dell’A.C. 3687.
Le disposizioni recate dall’art. 12 riguardano esclusivamente l’impegno a tempo pieno o parziale dei professori universitari (e non anche dei ricercatori).
L’impegno lavorativo dei professori è, di norma, a tempo pieno ed esclusivo. Essi possono però chiedere di optare per il regime a tempo parziale per periodi non inferiori ad un anno. Come nell’A.C. 3687, si considera un totale figurativo di 1500 ore annue: nel caso del tempo parziale, però, la definizione del tempo lavorativo – che l’A.C. 3687 quantifica in 750 ore (ossia, la metà del complessivo) – è rimessa all’interessato, con l’unica indicazione che esso non può esser inferiore al 20% del totale figurativo (alla percentuale indicata è commisurato il trattamento economico). L’attività professionale e gli impegni di lavoro autonomo svolti nel restante tempo non devono comportare conflitti di interesse con l’università di appartenenza (comma 1). Non vi sono indicazioni circa le ore da dedicare alle attività didattiche (si ricorda che per i professori di terza fascia l’art. 7 prevede, invece, l’applicabilità del comma 16 dell’art. 1 della L. 230 del 2005 – si veda ante).
I commi 2 e 3 disciplinano le incompatibilità gravanti sulla figura del professore universitario. Ai professori è consentito – purché senza detrimento delle attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate – lo svolgimento di attività di studio, insegnamento, ricerca e collaborazione scientifica in favore di terzi, nell’ambito di contratti o convenzioni stipulati dall’università di appartenenza. In particolare, i professori a tempo pieno possono svolgere attività culturali, editoriali e comunicative retribuite in favore di università, enti di ricerca, case editrici ed altre istituzioni culturali italiane e straniere, nonché, previa autorizzazione dell’università, incarichi professionali retribuiti di studio, di insegnamento, di ricerca e di collaborazione scientifica, conferiti da enti pubblici o da soggetti privati, purché con carattere di saltuarietà e di durata limitata e a condizione che l’attività non rappresenti detrimento delle attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate e che non si verifichino conflitti di interesse con l’università di appartenenza.
Il comma 4 fa salve le disposizioni che regolano l’attività assistenziale dei professori medici chirurghi (si veda ante).
L’art. 1 stabilisce che, per il conseguimento dei loro fini istituzionali, le università si avvalgono di professori e ricercatori universitari di ruolo.
L’art. 2 istituisce il ruolo unico dei professori universitari (comma 1) e dispone che allo stesso si accede mediante pubblici concorsi su base nazionale con cadenza triennale, regolati dalle disposizioni vigenti per l’accesso alla fascia dei professori ordinari (comma 2). In realtà, come meglio si vedrà nella scheda corrispondente, gli articoli 13 e 14 della proposta di legge in titolo recano una nuova procedura di reclutamento, diversa da quella attuale.
Dispone, inoltre, che anche lo stato giuridico e il trattamento economico dei professori del ruolo unico sono disciplinati dalle norme vigenti per i professori ordinari (comma 3). Anche per questo aspetto, in realtà, come si vedrà nel prosieguo di questa scheda, gli articoli successivi della proposta di legge propongono disposizioni nuove.
In sede di prima attuazione, sono inquadrati nel ruolo unico i professori ordinari e associati che hanno maturato un’anzianità giuridica non inferiore a 9 anni (comma 4). I professori associati che non hanno maturato tale anzianità conservano lo stato giuridico ed economico in godimento e maturano il diritto all’inquadramento nel ruolo unico all’atto del raggiungimento del requisito richiesto. Pertanto, si dispone che la fascia dei professori associati è trasformata in contingente ad esaurimento (comma 5). Non vi sono disposizioni corrispondenti relative ai professori ordinari che non hanno maturato l’anzianità richiesta.Il comma 6 contiene disposizioni per il coordinamento formale delle norme vigenti.
Ai sensi dell’art. 3, le operazioni di inquadramento nel ruolo unico sono effettuate dalle università entro 3 mesi dalla data di entrata in vigore della legge. Entro i successivi 6 mesi le università determinano il relativo organico, globalmente e per ogni settore scientifico-disciplinare, all’interno di ogni facoltà, in relazione alle esigenze didattiche e scientifiche delle strutture. Su richiesta dei docenti e in ragione delle esigenze di tali strutture, gli inquadramenti possono essere aggiornati dopo 3 anni di insegnamento (commi 1 e 2).
Nella predisposizione del bilancio annuale le università determinano la quota da destinare alle spese per il personale. Gli eventuali maggiori oneri derivanti dall’inquadramento nel ruolo unico possono esser coperti utilizzando le quote di riequilibrio del FFO (comma 3). Ai sensi del comma 4, tali disposizioni acquistano efficacia dal 1° gennaio 2010.
L’art. 4 dispone che la progressione in carriera dei professori universitari si sviluppa in 6 classi, cui corrisponde la progressione economica di cui all’art. 9. Alle classi successive alla prima (in cui il professore è inquadrato all’atto della nomina in ruolo) si accede ogni 4 anni, previa procedura di valutazione ai sensi dell’art. 11 (commi 1 e 2).
Le disposizioni recate dagli articoli 5, 6 e 7 riguardano esclusivamente i professori universitari di ruolo.
Nell’art. 5 si opera, anzitutto, una ricognizione delle disposizioni del DPR 382 del 1980 applicabili, per quanto non diversamente disposto dal progetto di legge, e di quelle abrogate (comma 1). Non è citato in alcuno dei due gruppi di disposizioni l’art. 11 del DPR indicato, relativo, come ante si è visto, al regime a tempo pieno e a tempo definito. Non è, dunque, chiaro, se la proposta di legge intenda o meno mantenere questa distinzione.
Si indicano, inoltre, le attività che spettano al professore universitario e, in particolare, si prevede:
§ l’obbligo di svolgere attività di ricerca scientifica che deve essere periodicamente documentata (comma 2, lett. a);
§ la possibilità di fruire di periodi di congedo retribuito per attività di ricerca, di aggiornamento scientifico e di insegnamento all’estero, nel limite massimo di due anni in ogni decennio (comma 2, lett. c- sull’argomento, l’A.C. 3687 dispone all’art. 7);
§ la possibilità di essere distaccati presso terzi per lo svolgimento di attività di ricerca e di partecipare a spin-off (comma 2, lett. d));
§ lo svolgimento di compiti di assistenza sanitaria (comma 2, lett. e)).
Ulteriori disposizioni riguardano la partecipazione agli organi accademici e l’elettorato attivo (comma 2, lett. b) e comma 3).
Si prevede, inoltre, che la destinazione dei posti di ruolo, le chiamate degli idonei, nonché i trasferimenti sono deliberati dai dipartimenti (con la partecipazione dei medesimi professori universitari) (comma 4) e che le università riservano l’esercizio delle funzioni di direzione e di coordinamento ai professori universitari selezionati mediante criteri stabiliti dagli statuti, basati sui meriti acquisiti e sui risultati raggiunti negli ambiti indicati e, a parità di merito, sull’anzianità di ruolo (comma 5).
L’art. 6 prevede l’obbligo di tenere lezioni per almeno 3 giorni a settimana, per un numero di ore adeguato alla natura e alla complessità dell’insegnamento (comma 1). In particolare, sia per i corsi di laurea, che per i corsi di laurea magistrale, si prevede lo svolgimento di almeno 60 ore di lezioni e di almeno 60 ore di esercitazioni[189](o, nel caso dei corsi di laurea magistrale, attività seminariali)ogni anno (commi 2 e 3). Nei corsi di formazione post-universitaria occorre svolgere almeno 80 ore di attività seminariali e almeno 30 ore di lezioni (comma 4).
I docenti devono, inoltre, documentare almeno 300 ore di attività connesse agli obblighi didattici (comma 5).
Come nell’A.C. 3687, si dispone la documentazione dell’attività dei docenti, a tal fine prevedendo un registro annuale da consegnare alle autorità accademiche alla fine dell’anno, pena l’irrogazione della sanzione della censura (comma 6).
L’art. 7 stabilisce chei professori di ruolo possono esercitare, previa autorizzazione del rettore, l’attività libero professionale (come ante si è visto, la proposta di legge non distingue fra impegno a tempo pieno e tempo definito: al riguardo, si ricorda che l’A.C. 3687 stabilisce, invece, che l’esercizio di attività libero professionali è incompatibile con il regime di tempo pieno), nonché svolgere incarichi per conto di amministrazioni pubbliche e attività di docenza retribuita a favore di terzi (commi 1 e 2).
L’autorizzazione è revocata qualora emergano situazioni di conflitto di interesse o intervengano valutazioni negative. In caso di attività libero professionale non saltuaria o di incarichi particolarmente impegnativi in termini di tempo, i professori sottoscrivono con l’università di appartenenza un contratto di diritto privato che prevede la riduzione dal 40 al 60% del carico didattico e, corrispondentemente, del trattamento economico. In vigenza di tale contratto i professori non possono ricoprire cariche accademiche (comma 3).
Si stabilisce, inoltre, che gli atenei regolano le attività professionali e gli incarichi dei professori di ruolo in conformità ai criteri generali definiti ogni quadriennio con decreto ministeriale previo parere, fra gli altri, delle competenti Commissioni parlamentari (comma 4).
L’art. 23 articola il ruolo dei ricercatori universitari – di cui si prevede l’istituzione (si ricorda, peraltro, che il ruolo è stato istituito dall’art. 7 della L. 28 del 1980 e dall’art. 1 del DPR 382 del 1980) – nei tre diversi profili di ricercatore universitario, primo ricercatore universitario e dirigente di ricerca universitario (commi 1 e 2).
Come per i professori universitari, la progressione di carriera si sviluppa in 6 classi, cui corrisponde la progressione economica. All’atto della nomina in ruolo si è inquadrati nella prima classe con la qualifica iniziale di ricercatore universitario, mentre alle classi successive si accede previa valutazione ai sensi dell’art. 11 (comma 3).
I commi 4 e 5 disciplinano i requisiti per l’accesso al secondo e al terzo profilo, mentre il comma 6 prevede che ogni ricercatore è inquadrato in un’area scientifico disciplinare, secondo affinità stabilite dal senato accademico.
Ai sensi del comma 10 dell’art. 24, l’accesso a ciascun profilo del ruolo avviene esclusivamente previo conseguimento dell’abilitazione e con pubblico concorso ai sensi degli articoli 13 e seguenti.
L’art. 24 prevedeuna delega al Governo per la disciplina dello status giuridico ed economico dei ricercatori universitari di ruolo secondo i principi e criteri direttivi desumibili dal progetto di legge, da esercitare entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (comma 11).
Ai ricercatori è garantita la libertà di ricerca (comma 1): per le ricerche programmate nel dipartimento di appartenenza o nelle strutture universitarie i ricercatori devono svolgere le attività necessarie per il conseguimento degli obiettivi previsti, fatti salvi i casi di obiezione di coscienza (comma 2).
Essi possono anche svolgere ricerca libera. Inoltre,le università favoriscono la partecipazione dei ricercatori ad attività finalizzate allo sviluppo delle competenze scientifiche presso gli enti di ricerca italiani o stranieri (comma 3), nonché l’accesso alle fonti di finanziamento nazionali e internazionali. Essi sono autonomi nella gestione della spesa, che devono rendicontare (comma 6).
I ricercatori hanno diritto a pubblicare i risultati delle loro ricerche - che devono documentare - salvo vincoli di riservatezza posti dai regolamenti universitari (commi 4 e 6). Gli stessi regolamenti disciplinano:
§ eventuali controversie su diritti d’autore e brevetti e determinano, sulla base delle disposizioni vigenti, la misura e le modalità del riconoscimento dei diritti morali e patrimoniali su opere e invenzioni prodotte durante l’attività di ricerca (comma 5);
§ l’utilizzo di periodi di congedo retribuito o di aspettativa per studio o per collaborazioni con altri enti di ricerca, anche stranieri o privati (comma 7).
I ricercatori hanno il diritto di partecipare agli organi di governo degli atenei (comma 8) e hanno propri organismi di rappresentanza elettiva, con compiti di proposta e consulenza sulla programmazione della ricerca (comma 9).
Come nel caso dei professori universitari, non vi sono riferimenti al regime di tempo pieno e di tempo definito.
Infine, l’art. 11 (raffrontabile con l’art. 6, commi 5, secondo periodo, 6 e 12 dell’A.C. 3687) prevede che ai fini della progressione di classe stipendiale e dell’assegnazione delle indennità di funzione e di risultato, nonché del bonus meritocratico (di cui agli articoli 9 e 10: si veda scheda riferita all’art. 8 dell’A.C. 3687) i professori e i ricercatori devono presentare ogni tre anni una relazione -corredata di relativa documentazione - sul lavoro didattico e scientifico svolto (comma 1). Il comma 2 concerne la pubblicazione di tali relazioni.
La produttività scientifica dei professori e dei ricercatori universitari costituisce parte integrante della valutazione triennale delle università di cui all’art. 12 (comma 3).
In caso di giudizio negativo, i professori e i ricercatori sono soggetti al blocco della carriera e dello stipendio e non possono presentare, per i successivi 4 anni, domanda per l’ottenimento di fondi pubblici, né possono ricoprire una serie di cariche accademiche o essere membri di commissioni di esame nei pubblici concorsi per professori o ricercatori. In caso di giudizio negativo reiterato, essi sono trasferiti ad altre carriere del pubblico impiego secondo criteri stabiliti con decreto del Ministro, sentite le organizzazioni sindacali e il CUN (comma 4).
L’articolo unico dell’A.C. 2841 propone alcune modifiche alla disciplina vigente in materia di stato giuridico dei ricercatori universitari.
Le prime due modifiche intervengono sull’art. 1 del già citato D.L. n. 57 del 1987 e sono volte:
§ a consentire che l’opzione fra il regime a tempo pieno e quella a tempo definito sia possibile per tutti i ricercatori, e non solo per quelli confermati (comma 1, lett. a);
§ ad abrogare il divieto per i ricercatori, fino al superamento del giudizio di conferma, di svolgere attività libere professionali connesse alla iscrizione ad albi professionali, esterne alle attività proprie o convenzionate della struttura di appartenenza[190] (comma 1, lett. b).
La terza modifica riguarda la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro a decorrere dal compimento dell’anzianità massima contributiva di quaranta anni prevista, per gli anni 2009, 2010 e 2011, per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, dall’art. 72, comma 11, del D.L. 112 del 2008. In particolare, come già stabilito per i professori universitari ed altre categorie, si propone di escludere dall’applicabilità di tale normativa anche i ricercatori universitari (comma 2).
L’articolo 7 dell’A.C. 3687 si riferisce alla mobilità sia dei professori che dei ricercatori universitari.
Nell’A.C. 2460, l’art. 5, comma 2, lett. c), riguarda i periodi di congedo retribuiti per attività all’estero dei professori universitari di ruolo, mentre l’art. 25 concerne la mobilità dei ricercatori delle università e degli enti pubblici di ricerca. Conseguentemente, l’art. 26 reca disposizioni per la definizione e la revisione periodica delle aree scientifico-disciplinari degli enti pubblici di ricerca per l’armonizzazione delle procedure di mobilità. Si darà perciò sinteticamente conto anche di quest’ultimo in questa scheda.
I commi 1 e 2 dell’A.C. 3687 riguardano esclusivamente i professori e propongono una disciplina definita “in deroga”a quella recata dall’art. 17 del DPR 382 del 1980: quest’ultima continuerà a rimanere vigente poiché non sostituita da quella recata dal progetto di legge in esame il quale, di fatto, introduce un istituto ulteriore.
Si valuti, dunque, preliminarmente l’utilizzo dell’espressione “in deroga” e, da un punto di vista sostanziale, il coordinamento fra le due diverse tipologie di mobilità, con particolare riferimento alla loro eventuale cumulabilità.
L’art. 17 del DPR 382 del 1980 stabilisce che, al fine di favorire piena commutabilità fra insegnamento e ricerca, il rettore con proprio decreto può autorizzare i professori ordinari, ovvero i professori associati confermati, a domanda e sentito il consiglio della facoltà interessata, a dedicarsi periodicamente ad esclusive attività di ricerca scientifica in istituzioni di ricerca italiane, estere o internazionali, complessivamente per non più di due anni accademici in un decennio[191][192].
Tali periodi sono validi ai fini della carriera e del trattamento economico, nonché per il conseguimento del triennio di straordinariato.
L’art. 17 fa peraltro salve le disposizioni che concernono il collocamento a disposizione del Ministero degli affari esteri per incarichi di insegnamento o altri incarichi all’estero dei professori di ruolo e stabilisce che i professori che insegnino o svolgano attività scientifica nelle università dei paesi UE, o presso centri internazionali di ricerca, possono essere soggetti, in quanto compatibile, alla normativa che disciplina l’attività di docenti e ricercatori in quelle istituzioni, se più favorevole. In tali casi, i professori possono essere collocati fuori ruolo con decreto del Ministro della pubblica istruzione, di concerto con i Ministri del tesoro e degli affari esteri, che disciplinerà anche il regime giuridico ed economico del periodo di attività all’estero.
In ogni caso, il docente ha diritto a riassumere il proprio ufficio quando cessa il rapporto con l’università o l’ente estero.
In materia, si ricorda anche l’art. 1, comma 4, della L. 230 del 2005, ai sensi del quale durante il periodo di ricerca all’estero di cui all’art. 17 del DPR 382 del 1980 l’interessato è abilitato senza restrizione alcuna alla presentazione di richieste e all'utilizzo dei fondi per lo svolgimento delle attività.
L’articolo 7 in esame prevede che i professori universitari, a domanda, possono essere collocati in aspettativa senza assegni per un periodo massimo di cinque anni, anche consecutivi, per lo svolgimento di attività presso soggetti pubblici e privati, anche operanti in sede internazionale, i quali provvedono al trattamento economico e previdenziale (comma 1).
In assenza di specifiche, quindi, sembra che la disposizione si applichi a tutti i professori e non solo ai professori ordinari e agli associati confermati cui, come si è visto, si riferisce l’art. 17 del DPR 382 del 1980, e che possa riguardare ogni genere di attività e non solo quella di ricerca e di insegnamento.
Si valuti l’opportunità di chiarire gli aspetti evidenziati.
Ai sensi del comma 2, il collocamento in aspettativa è disposto dal rettore, sentite le strutture cui il docente afferisce, e ad esso si applicano le disposizioni recate dai commi quarto, quinto e sesto dell’art. 13 del DPR 382 del 1980.
I commi richiamati si collocano nell’ambito dell’articolo - illustrato nella precedente scheda sullo stato giuridico - che disciplina l’aspettativa obbligatoria per situazioni di incompatibilità.
Il quarto comma stabilisce che il periodo di aspettativa, anche quando quest’ultimo è senza assegni, è utile ai fini della progressione di carriera, del trattamento di quiescenza e di previdenza, nonché della maturazione dello straordinariato.
Il quinto comma stabilisce che quando l’incarico per il quale è corrisposta l’aspettativa senza assegni non comporta, da parte dell’ente, la corresponsione di una indennità di carica, si applicano, dal momento in cui è cominciata a decorrere l’aspettativa stessa, le disposizioni in materia di posizione e trattamento dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici, eletti a cariche presso enti autonomi territoriali, recate dalla legge n. 1078 del 1966.
Il sesto comma stabilisce che i professori collocati in aspettativa:
Lo stesso comma 2 ammette la ricongiunzione dei periodi contributivi relativi alle attività in precedenza richiamate, a domanda del soggetto interessato.
Nel caso in cui l’incarico sia espletato presso organismi operanti in sede internazionale, la ricongiunzione dei periodi contributivi è a carico dell’interessato, salvo che l’ordinamento dell’amministrazione di destinazione non disponga altrimenti.
L’istituto della ricongiunzione, disciplinato dalla L. 29/1979, si configura nell’unificazione dei periodi di assicurazione maturati dal lavoratore in diversi settori di attività. Lo scopo è quello di ottenere un'unica pensione, generalmente di importo più elevato di quello che risulterebbe dalla somma delle pensioni nelle singole gestioni, calcolata su tutti i contributi versati. La ricongiunzione può essere chiesta dai lavoratori dipendenti pubblici e privati e dai lavoratori autonomi che hanno contributi in diversi settori di attività, o dai loro superstiti.
La legge ha razionalizzato e generalizzato il criterio della ricongiunzione, ponendo in taluni casi l’onere del trasferimento a carico del lavoratore.
Con la riunificazione dei periodi l’interessato può:
§ far confluire nell’Assicurazione Generale Obbligatoria tutti i periodi di assicurazione e chiedere la pensione in tale assicurazione. L’operazione in questo caso è totalmente gratuita;
§ unificare i diversi periodi nell’Ente previdenziale in cui l’interessato è iscritto al momento della domanda di ricongiunzione. In questo caso la ricongiunzione è generalmente a titolo oneroso;
§ far confluire i periodi in un terzo Ente, dove l’interessato è stato iscritto in passato. In questo caso, il lavoratore deve possedere, nell’Ente cui vuol fare confluire i periodi, almeno 8 anni di contribuzione. Anche in questo caso la ricongiunzione è generalmente a titolo oneroso.
La ricongiunzione può essere chiesta, in linea di massima, una sola volta. Può essere chiesta una seconda volta se il lavoratore può far valere, successivamente alla prima ricongiunzione, 10 anni di contributi di cui almeno 5 di lavoro effettivo, altrimenti al momento del pensionamento e solo presso la gestione nella quale era stata effettuata la precedente ricongiunzione.
Merita ricordare che in seguito alla nuova disciplina della totalizzazione, introdotta dal D.lgs. n. 42/2006, emanato in attuazione della delega contenuta nell'articolo 1, commi 1, lettera d), 2, lettera o), e 46, della legge 23 agosto 2004, n. 243, dal 1° gennaio 2006 è stata estesa a tutti i lavoratori la totalizzazione gratuita dei periodi assicurativi, cioè la possibilità di cumulare tutta la contribuzione versata in diverse gestioni pensionistiche. La riforma rende possibile la totalizzazione sia alle pensioni di vecchiaia sia a quelle di anzianità[194].
Si ricorda che, ai sensi del paragrafo 11, lett .f), della lettera circolare 20 aprile 2001, Regole e raccomandazioni tecniche per la formulazione dei testi legislativi, “Nei riferimenti esterni a testi recanti commi non numerati la citazione dei commi stessi è fatta sempre con riferimento al numero ordinale”. Pertanto, poiché gli articoli del DPR 382 del 1980 non sono numerati, i commi dell’art. 13 citati dovrebbero essere denominati “quarto, quinto e sesto” e non “4, 5 e 6”.
I commi 3 e 4 riguardano sia i professori che i ricercatori.
In particolare, il comma 3 reca misure volte ad incentivare la mobilità interuniversitaria, disponendo che possono essere attribuiti incentivi finanziari, a carico del Fondo di finanziamento ordinario, ai professori e ai ricercatori che prendono servizio in atenei con sede in altra regione rispetto a quella della sede di provenienza,o nella stessa regione se previsto da un accordo di programma approvato dal Ministero, ovvero,a seguito di procedure di fusione o federazione fra atenei, in sede diversa da quella di appartenenza. Si ricorda che gli incentivi per quest’ultima fattispecie sono già previsti dall’art. 3, comma 5.
Si evidenzia, al riguardo, che l’art. 6, comma 4, dell’A.C. 1828 (illustrato nella scheda relativa al reclutamento) prevede la possibilità di corrispondere incentivi alle università che promuovono la mobilità nazionale e internazionale nel reclutamento dei docenti.
Il comma 4 stabilisce che, in caso di cambiamento di sede, i professori e i ricercatori (sia di ruolo che a tempo determinato) responsabili di progetti di ricerca finanziati da soggetti diversi dall’università di appartenenza conservano la titolarità dei progetti e dei relativi finanziamenti, a condizione che ciò sia scientificamente possibile e che ci sia l’accordo del committente della ricerca.
Il comma 5, infine, prevede l’intervento di un decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca (per la cui emanazione non è previsto un termine) che stabilisca criteri e modalità per favorire, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, la mobilità interregionale dei professori che hanno prestato servizio presso corsi di laurea o sedi soppressi a seguito di procedure di razionalizzazione dell’offerta.
Al comma 5, la parola “soppresse” dovrebbe essere sostituita con la parola “soppressi”.
Come si è già accennato nella scheda riferita alla’rt. 6 dell’A.C. 3687, l’art. 5, comma 2, lett. c), dell’A.C. 2460 prevede che i professori universitari di ruolo possono fruire di periodi di congedo retribuito per attività di ricerca, di aggiornamento scientifico e di insegnamento all’estero, nel limite massimo di due anni ogni decennio. Ciò:
I periodi sono computati per intero ai fini della progressione di carriera e del trattamento di quiescenza e di previdenza.
Si ricorda, peraltro, che il comma 1 dello stesso articolo 5 richiama l’applicabilità dell’art. 17 del DPR 382 del 1980, rispetto al quale non sembra introdurre sostanziali novità.
L’art. 25 prevede, invece, anzitutto, la possibilità di impiego di ricercatori universitari presso enti pubblici di ricerca (per una ricognizione in materia si veda la scheda riferita agli assegni di ricerca) e di ricercatori di questi ultimi presso le università (comma 1). Sembra trattarsi di un’ipotesi di chiamata diretta.
Per entrambi i casi è prevista l’osservanza delle norme sul trasferimento, rispettivamente, dei ricercatori universitari di ruolo e degli ricercatori degli enti di ricerca.
Al riguardo si ricorda che, ai sensi dell’art. 3 della L. 210 del 1998 – di cui l’art. 25, comma 8, lett. b), dell’A.C. 3687 propone l’abrogazione – la competenza sui trasferimenti appartiene alle università. La previsione è stata anche confermata dall’art. 13 del d.lgs. 164 del 2006, abrogato dall’art. 9 dell’A.C. 3687[195].
Il comma 2 prevede, inoltre, la mobilità dei ricercatori fra gli enti pubblici di ricerca, mentre il comma 3 equipara i ricercatori di tali enti ai ruoli di ricercatore universitario, a tal fine richiamando il secondo comma dell’art. 63 del DPR 382 del 1980, che promuove il raccordo fra università ed enti pubblici di ricerca.
Il comma 4, infine, prevede che, ai fini della mobilità, la contrattazione armonizza il trattamento economico del personale (degli enti pubblici di ricerca) a quello del corrispondente profilo di ricercatore universitario, come regolato dall’art. 23 (si veda la scheda sullo stato giuridico).
Ai fini di cui all’art. 25, l’art. 26 prevede che gli enti pubblici di ricerca, sulla base di criteri generali determinati con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge procedano alla definizione delle aree scientifico-disciplinari - a tal fine viene richiamato l’art. 17, comma 99, della L. 127 del 1999, riferito alle università -, nonché alla definizione delle modalità di revisione periodica delle stesse – che deve avere cadenza non inferiore a 6 anni – e delle modalità di variazione di afferenza alle aree sulla base delle richieste degli interessati (commi da 1 a 3).
La congruenza della definizione delle aree e delle revisioni è verificata dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, che con proprio decreto stabilisce le correlazioni tra i settori scientifico-disciplinari universitari e le aree scientifico-disciplinari degli enti pubblici di ricerca (comma 5). Inoltre, il Ministro, fermo restando il potere di indirizzo e di direttiva dei rispettivi organi vigilanti, provvede anche a verificare, fra l’altro, che i regolamenti siano omogenei fra i vari enti (comma 7).
Si osserva che mentre il comma 1 prevede che i regolamenti definiscono le aree scientifico-disciplinari, il comma 2 prevede che i medesimi regolamenti stabiliscono le modalità di definizione delle aree. Occorre, inoltre, valutare, il termine di due mesi previsto per l’intervento dei regolamenti, che devono essere preceduti da un decreto ministeriale.
I regolamenti degli enti individuano anche gli organismi scientifici preposti agli adempimenti previsti dall’articolo. Tali organismi devono anche predisporre e aggiornare liste di esperti esterni per ogni area scientifico-disciplinare (comma 4).
Il comma 6, infine, reca disposizioni per l’accesso ai ruoli degli enti pubblici di ricerca, per i profili corrispondenti a quelli previsti dall’art. 23, comma 2. L’accesso avviene esclusivamente per pubblico concorso nazionale. I concorsi sono banditi indicando le aree scientifico-disciplinari alle quali si riferiscono, secondo procedure disciplinate con regolamenti degli enti.
L’art. 36 del DPR 382/1980 aggancia il trattamento dei professori universitari a quello della dirigenza statale[196]; in particolare, dispone che ai professori appartenenti alla I fascia all’atto del conseguimento della nomina ad ordinario è attribuita la classe di stipendio corrispondente al 48,6% della retribuzione di dirigente generale di I fascia dello Stato, comprensiva dell’eventuale indennità di funzione. Fino al conseguimento della nomina ad ordinario (ovvero, durante i tre anni di straordinariato), lo stipendio è pari al 92% di quello attribuito agli ordinari[197].
La progressione economica si sviluppa in sei classi biennali di stipendio pari ciascuna all’8% della classe attribuita all’atto della nomina ad ordinario ovvero del giudizio di conferma ad associato ed in successivi scatti biennali del 2,50 per cento calcolati sulla classe di stipendio finale.
In base al medesimo articolo 36, lo stipendio spettante ai professori appartenenti alla II fascia è pari al 70 per cento di quello spettante, a parità di posizione, ai professori di I fascia.
La misura del trattamento economico previsto dalle precedenti disposizioni è poi maggiorata del 40% a favore dei professori universitari che abbiano optato per il regime di impegno a tempo pieno.
Ulteriori assegni o incrementi, con particolare riguardo ai professori che optano per il tempo pieno, sono stati attribuiti dall’art. 39 (Assegno aggiuntivo) del DPR 382/1980[198] e dall’art. 8 della legge 79/1984[199].
L’art. 38 del DPR 382/1980 dispone che al ricercatore universitario all'atto dell'immissione in ruolo e fino al conseguimento del giudizio favorevole per l’immissione nella fascia dei ricercatori confermati è attribuito lo stipendio corrispondente al parametro 300e gli aumenti biennali del 2,50 per cento calcolati su tale parametro. Dispone, inoltre, che la progressione economica dei ricercatori universitari confermati si sviluppa in sette classi biennali di stipendio, pari ciascuna all'8% del parametro 330 ed in successivi scatti biennali del 2,50%, calcolati sulla classe finale. Ogni punto parametrale corrisponde a 18.000 lire annue lorde.
In seguito, l’art. 1, comma 2, del già citato D.L. 7/2005 ha disposto che, dopo il primo anno di effettivo servizio e fino al giudizio di conferma, il trattamento economico dei ricercatori è pari al 70 per cento di quello dei professori di seconda fascia a tempo pieno di pari anzianità.
Occorre peraltro ricordare ulteriori interventi normativi.
Anzitutto, l’art. 24 della legge 448/1998[200] (collegata alla manovra finanziaria 1999) ha introdotto un meccanismo di adeguamento automatico annuale del complesso della retribuzione (stipendio, indennità integrativa speciale ed assegni fissi e continuativi) dei docenti e dei ricercatori universitari (oltre che di altre categorie di personale non contrattualizzato) in ragione degli incrementi medi, calcolati dall'ISTAT, conseguiti nell'anno precedente dalle categorie di pubblici dipendenti contrattualizzati sulle voci retributive, ivi compresa l'indennità integrativa speciale, utilizzate dal medesimo Istituto per l'elaborazione degli indici delle retribuzioni contrattuali.
La percentuale di adeguamento è determinata entro il 30 aprile di ciascun anno con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri per la funzione pubblica e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica[201] (sul punto, si vedano, infra, le disposizioni recate dal D.L. 78 del 2010).
In seguito, nell’ottica del contenimento della spesa pubblica, l’articolo 69 del D.L. n. 112/2008[202] ha differito una tantum di 12 mesi - con effetto dal 1° gennaio 2009 - la maturazione dell’aumento biennale o della classe di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti per tutte le categorie di personale in regime di diritto pubblico di cui all’articolo 3 del D.lgs. 165/2001, limitatamente alla misura del 2,5%. Il periodo di differimento è utile anche ai fini della maturazione degli ulteriori successivi aumenti biennali o classi di stipendio[203].
Ancora in seguito, l’art. 3-ter del D.L. 180/2008 ha subordinato, a partire dal 1° gennaio 2011, gli scatti biennali spettanti a docenti e ricercatori ai sensi degli artt. 36 e 38 del D.P.R. 382/1980 all’accertamento da parte dell’autorità accademica della effettuazione, nel biennio precedente,di pubblicazioni scientifiche[204]; in assenza di queste, ai sensi del comma 3 - di cui ora si dispone l’abrogazione - l’entità dello scatto viene dimezzata[205].
Da ultimo, l’art. 9, comma 21, del D.L. 78 del 2010, convertito con modificazioni dalla L.122/2010, ha disposto che per gli anni 2011, 2012 e 2013 non si applicano al personale in regime di diritto pubblico ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. 165 del 2001 i meccanismi di adeguamento retributivi previsti dall’art. 24 della L. 448 del 1998. Per tale personale, gli anni indicati non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio. Sempre per gli stessi anni, le progressioni di carriera, comunque denominate, eventualmente disposte, hanno effetto esclusivamente a fini giuridici. Tale ultima previsione vale anche, per gli anni indicati, per il personale contrattualizzato.
L’art. 103 del DPR 382 del 1980 stabilisce che essa è attivabile sulla base di domanda da presentare entro un anno dalla conferma in ruolo.
Ai professori di ruolo, all’atto della nomina ad ordinario, è riconosciuto, ai fini della carriera:
Ai professori associati, all’atto della conferma in ruolo o della nomina in ruolo, è riconosciuto, ai fini della carriera:
Ai ricercatori universitari, all’atto della immissione nella fascia dei ricercatori confermati, è riconosciuto, ai fini della carriera:
Per tutte le categorie indicate, i servizi svolti contemporaneamente non sono fra loro cumulabili e, in ogni caso, i riconoscimenti non possono superare complessivamente il limite massimo di 8 anni.
Valgono anche i servizi prestati presso università non statali; i periodi trascorsi all’estero, ovvero presso l’Istituto universitario europeo di Firenze, per incarichi di insegnamento universitario o per ricerche presso centri qualificati, sono equiparati al servizio prestato come professore incaricato o, per le attività di ricerca, come ricercatore universitario. Sono equiparati al servizio prestato come ricercatore universitario anche i periodi di attività di ricerca svolta presso gli enti pubblici di ricerca.
L’art. 8 dell’A.C. 3687 prevede l’adozione, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, di due regolamenti di delegificazione per la revisione del trattamento economico dei professori e dei ricercatori universitari (si ricorda che su un aspetto del trattamento economico dei ricercatori interviene anche l’art. 5, comma 3, lett. f), del progetto di legge, prevedendo l’intervento di un decreto legislativo. Si rinvia all’osservazione ivi formulata).
I regolamenti sono adottati su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentito il Ministro dell’economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti (quest’ultimo, peraltro, già esplicitamente contemplato dal testo vigente dell’art. 17, comma 2, della L. n. 400 del 1988) (comma 4).
Ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, come modificato dall’art. 5 della legge n. 69 del 2009[209], i regolamenti di delegificazione sono adottati con DPR, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio di Stato e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, che si pronunciano entro trenta giorni dalla richiesta, per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l’esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l’abrogazione delle norme vigenti con effetto dalla data di entrata in vigore delle norme regolamentari.
Il primo regolamento riguarda il trattamento economico dei professori e dei ricercatori già in servizio e di quelli vincitori dei concorsi indetti fino alla data di entrata in vigore della legge (comma 1).
Le norme generali regolatrici della materia sono così individuate:
§ trasformazione della attuale progressione biennale per classi e scatti di stipendio in progressione triennale;
§ invarianza complessiva della progressione;
§ decorrenza della trasformazione dal primo scatto successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge.
Si specifica, inoltre, che il regolamento deve essere adottato anche tenendo conto delle disposizioni recate dal D.L. 78 del 2010.
Il D.L. 78 del 2010 è stato convertito il 30 luglio 2010, quindi successivamente all’approvazione del progetto di legge da parte del Senato. Ora, è necessario aggiungere, dopo le parole “2010, n. 78”, le parole “convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122”.
Il secondo regolamento riguarda il trattamento economico dei professori e dei ricercatori assunti sulla base delle nuove regole (nel caso dell’A.C. 3687, dettate dagli articoli 15, 16 e 21, comma 5). In particolare, si dispone la rimodulazione, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, della progressione economica e dei relativi importi, che potrà anche essere su base premiale (comma 3).
Le norme generali regolatrici della materia sono così individuate:
§ per i professori di prima fascia, abolizione del periodo di straordinariato (che – si ricorda – ai sensi dell’art. 6, primo comma, del DPR 382 del 1980 corrisponde ai primi 3 anni di attività);
§ per i professori di seconda fascia, abolizione della conferma (di cui all’art. 23 del DPR 382 del 1980);
§ eliminazione delle procedure di ricostruzione di carriera (di cui all’art. 103 del DPR 382 del 1980) e conseguente rivalutazione del trattamento iniziale;
§ previsione della possibilità, per i professori e i ricercatori nominati secondo il regime previgente (ossia, quelli cui è dedicato il comma 1) di optare per questo nuovo regime.
Come sopra evidenziato, ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 400 del 1998, la legge che attribuisce al Governo il potere regolamentare deve individuare le norme da abrogare.
Il comma 2 dispone l’abrogazione del comma 3 dell’art. 3-ter del D.L. 180 del 2008, ai sensi del quale la mancata effettuazione di pubblicazioni scientifiche nel biennio precedente comporta il dimezzamento dello scatto biennale.
L’art. 9 disciplina direttamente il trattamento economico dei professori e dei ricercatori universitari (sia pur poi prevedendo, al comma 8, una revisione triennale dell’importo con decreto interministeriale), disponendo che esso è composto di una parte fissa e di una parte variabile (comma 1) (per la situazione normativa attuale, si veda ante).
La parte di retribuzione fissa corrisponde al trattamento economico di base, ed è costituita dallo stipendio tabellare (comprensivo dello stipendio base, dell’indennità integrativa speciale e della retribuzione di anzianità) e dall’indennità di funzione di cui all’art. 10 (comma 2).
La parte di retribuzione variabile è costituita dal contratto individuale di diritto privato di cui all’art. 8 (per il quale si veda la scheda riferita all’art. 20 dell’A.C. 3687), dall’indennità di risultato di cui all’art. 10 ed, esclusivamente per i ricercatori universitari di ruolo, dal bonus meritocratico di cui allo stesso art. 10 (comma 3).
I commi da 4 a 7 disciplinano la misura dello stipendio base annuo, il trattamento economico spettante all’atto dell’inquadramento nella prima classe stipendiale e la misura degli incrementi corrispondenti alle classi successive, nonché gli scatti biennali di anzianità, pari al 2,50%, dopo il conseguimento dell’ultima classe stipendiale.
Il comma 8,come si è già accennato, prevede una revisione triennale, con decreto interministeriale, dell’importo del trattamento economico, sulla base degli incrementi retributivi conseguiti dai dirigenti statali di seconda fascia, mentre il comma 9 reca la disciplina in sede di prima attuazione.
Il comma 10, infine, affida alla legge finanziaria la determinazione delle somme necessarie per il riequilibrio del trattamento economico.
L’art. 10 disciplina l’indennità di funzione, l’indennità di risultato e il bonus meritocratico.
L’indennità di funzione corrisponde ad un trattamento retributivo aggiuntivo graduato in relazione alle responsabilità connesse ai diversi tipi di incarico. L’entità è determinata con decreto interministeriale (comma 1).
L’indennità di risultato corrisponde ad un trattamento retributivo aggiuntivo graduato in relazione ai risultati ottenuti (comma 2).
Il bonus meritocratico è pari a 3 classi di stipendio ed è elargito, per un massimo di tre volte nel corso della carriera, ai ricercatori universitari di ruolo per l’eccellenza scientifica raggiunta. A tal fine, il MIUR bandisce ogni quattro anni una gara di merito, nella quale può essere giudicato meritevole non più di un terzo degli appartenenti allo stesso settore scientifico disciplinare (comma 3).
L’art. 9, richiamando l’art. 1, comma 16, della legge n. 230 del 2005 e – testualmente – in attuazione dello stesso – istituisce un Fondo di ateneo per la premialità di professori e ricercatori, nonché, per alcune ipotesi, del personale tecnico-ammministrativo.
In particolare, si prevedono due differenti meccanismi premiali, uno connesso alla attività di professori e ricercatori e uno, eventuale, connesso alla acquisizione di commesse o di finanziamenti privati anche da parte del personale tecnico-amministrativo.
Il Fondo è alimentato con le somme relative agli scatti stipendiali non attribuite a causa di valutazione negativa, di cui all’art. 6, comma 12, del progetto di legge.
Sono previsti anche altri possibili canali per alimentare il Fondo.
A livello centrale, il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, con decreto, può attribuire ulteriori somme ad ogni università, in proporzione alla valutazione dei risultati effettuata dall’ANVUR.
A livello locale, ogni ateneo può integrare il Fondo con una quota dei proventi delle attività svolte in conto terzi o con finanziamenti pubblici o privati.
In questo secondo caso, l’ateneo, con proprio regolamento, può prevedere compensi aggiuntivi per il personale docente e tecnico amministrativo che contribuisce all’acquisizione di commesse conto terzi o di finanziamenti privati, nei limiti delle risorse che non derivano da finanziamenti pubblici e, comunque, in misura non superiore al 10% della commessa o del finanziamento acquisito.
Il comma 16 dell’art. 1 della legge n. 230 del 2005 – cui si è già accennato nella scheda relativa allo stato giuridico - conferma il trattamento economico dei professori universitari articolato a seconda che sia scelto il regime a tempo pieno o a tempo definito e specifica che il trattamento stesso è correlato all'espletamento delle attività scientifiche e all'impegno per le altre attività, fissato per il rapporto a tempo pieno in non meno di 350 ore annue di didattica, di cui 120 di didattica frontale, e per il rapporto a tempo definito in non meno di 250 ore annue di didattica, di cui 80 di didattica frontale (primo e secondo periodo). Le ore di didattica frontale possono variare sulla base dell'organizzazione didattica e della specificità e della diversità dei settori scientifico-disciplinari e del rapporto docenti-studenti, sulla base di parametri definiti con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca (terzo periodo). Il quarto periodo prevede, altresì, che ai professori a tempo pieno è attribuita una eventuale retribuzione aggiuntiva nei limiti delle disponibilità di bilancio, in relazione agli impegni ulteriori di attività di ricerca, didattica e gestionale, oggetto di specifico incarico, nonché in relazione ai risultati conseguiti, secondo i criteri e le modalità definiti con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sentiti il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per la funzione pubblica. Il quinto periodo stabilisce, infine, che per il personale medico universitario, in caso di svolgimento delle attività assistenziali per conto del Servizio sanitario nazionale, resta fermo lo speciale trattamento aggiuntivo previsto dalle vigenti disposizioni.
Quindi, il riferimento al comma 16 dell’art. 1 della legge n. 230 del 2005, contenuto nell’art. 9 in esame, è al quarto periodo dello stesso. Inoltre, rispetto a tale disposizione, le novità sembrano così enucleabili:
§ La platea dei destinatari comprende anche i professori a tempo definito, nonché i ricercatori;
§ Sono introdotti compensi aggiuntivi – che in questo caso possono riguardare anche il personale tecnico amministrativo – collegati all’acquisizione di commesse o di finanziamenti privati.
In relazione alle novità introdotte, si valuti l’utilizzo dell’espressione “in attuazione dell’art. 1, comma 16, della legge 4 novembre 2005, n. 230”. In ogni caso, sembrerebbe opportuno precisare che ci si riferisce al quarto periodo del comma citato.
Si ricorda che in qualche modo connesse all’argomento trattato dall’articolo in esame appaiono le disposizioni recate dall’art. 10, comma 3, dell’A.C. 2460, di cui si è parlato nella scheda relativa all’art. 8 dell’A.C. 3687.
L’articolo 10 ridefinisce l’assetto delle competenze in materia di sanzioni disciplinari. In particolare, stabilisce che presso ciascuna università è costituito un collegio di disciplina,finora istituito a livello nazionale, nell’ambito del CUN. Inoltre, prevede che le sanzioni sono irrogate dal Consiglio di amministrazione di ciascun ateneo e non più dal rettore.
Conseguentemente, si abroga l’articolo 3 della L. n. 18 del 2006[210] (comma 6).
In materia di sanzioni disciplinari, il R.D. n. 1592 del 1933 – come modificato, in particolare, dalla L. n. 18 del 2006 –ha disposto che ai professori di ruolo possono essere inflitte, secondo la gravità delle mancanze, le seguenti punizioni disciplinari (art. 87):
§ la censura[211];
§ la sospensione dall'ufficio e dallo stipendio fino ad un anno[212];
§ la revocazione;
§ la destituzione senza perdita del diritto a pensione o ad assegni;
§ la destituzione con perdita del diritto a pensione o ad assegni.
In seguito, l’art. 12 della L. n. 311 del 1958[213] ha stabilito che ai professori universitari di ruolo si applicano, in quanto non contrastanti con le disposizioni di cui al Testo unico sull’istruzione, anche alcune disposizioni recate dal Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato (DPR 10 gennaio 1957, n. 3). Si tratta degli articoli 85 - Destituzione di diritto -, 91 - Sospensione cautelare obbligatoria -, 96 - Computo della sospensione cautelare -, 97 - Revoca della sospensione - e 98 -Sospensione dalla qualifica a seguito di condanna penale[214].
Ancora successivamente, la L. n. 424 del 1966 [215] ha abrogato tutte le disposizioni che prevedevano, a seguito di condanna penale o di provvedimento disciplinare, la riduzione o la sospensione del diritto del dipendente dello Stato o di altro Ente pubblico al conseguimento e al godimento della pensione e di ogni altro assegno od indennità da liquidarsi in conseguenza della cessazionedel rapporto di dipendenza[216].
Novità sono intervenute anche per quanto concerne l’autorità competente ad adottare i relativi provvedimenti. Occorre, infatti, ricordare che gli artt. 88 e 89 del Testo unico delle leggi sull’istruzione superiore fanno esplicito riferimento al Ministro. In particolare, essi prevedono che la censura è inflitta per iscritto dal Ministro o dal rettore dell'Università o direttore dell'Istituto, udite le giustificazioni del professore. Ai rettori e direttori essa è inflitta esclusivamente dal Ministro. Le punizioni diverse dalla censura sono inflitte dal Ministro su conforme parere di una Corte di disciplina.
Successivamente, la legge 24 dicembre 1993, n. 537, ha disposto, all’art. 5, comma 9, che le funzioni del Ministero relative allo stato giuridico ed economico dei professori universitari e dei ricercatori sono attribuite alle università di appartenenza, che le esercitano nelle forme stabilite dallo statuto. Ciò ha comportato, quindi, che il potere di attivare procedimenti sanzionatori ed adottare i conseguenti provvedimenti è passato dal Ministro al rettore. Qualora, per la gravità dei fatti, si proponga una sanzione superiore alla censura, l’atto è comunque adottato dal rettore, ma è necessario il parere conforme di una Corte di disciplina[217], oggi rappresentata dal Collegio di disciplina nell’ambito del CUN.
L’art. 3 della L. n. 18 del 2006[218], infatti, ha disposto che il procedimento disciplinare nei confronti dei professori e dei ricercatori universitari è effettuato da un Collegio di disciplina eletto dal CUN al suo interno. Il Collegio è composto da cinque membri effettivi ed altrettanti membri supplenti, di cui, in entrambi i casi, tre professori ordinari, uno associato e un ricercatore[219]. Il Collegio di disciplina è presieduto dalPresidente del CUN, che fa parte del collegio quale membro effettivo, e delibera con la maggioranza dei voti dei componenti. In caso di parità di voti prevale il voto del presidente. Il procedimento disciplinare si svolge nel rispetto del principio del contraddittorio.
Ai sensi del medesimo articolo, per ogni fatto che possa dar luogo all’irrogazione di una sanzione più grave della censura tra quelle previste dall’art. 87 del Testo unico delle leggi sull’istruzione superiore, l’azione disciplinare innanzi al collegio spetta al rettore competente, entro 30 giorni dalla notizia dei fatti, senza pregiudizio per il ricorso ad altre sedi di giudizio civile e penale.
La sanzione è inflitta dal rettore, su conforme parere del collegio, entro 30 giorni dalla ricezione del parere.
Il procedimento disciplinare si estingue ove non intervenga la pronuncia del collegio di disciplina entro 180 giorni dalla data di ricezione degli atti trasmessi dal rettore. Tale termine è sospeso fino alla ricostituzione dell’organo disciplinare, nel caso incui siano in corso operazioni di rinnovo del CUN che ne impediscano il regolare funzionamento. Il termine è altresì sospeso (per non più di due volte e per un periodo non superiore a 60 giorni relativamente a ciascuna sospensione) ove il collegio ritenga di dover acquisire ulteriori atti o elementi per motivi istruttori. Il rettore è tenuto a dare esecuzione alle richieste istruttorie.
Il rettore sospende cautelarmente dall’ufficio e dallo stipendio la persona sottoposta a procedimento disciplinare, anche su richiesta del collegio, in qualunque momento del procedimento, in relazione alla gravità dei fatti contestati e alla verosimiglianza della contestazione.
Il comma 1 dell’articolo in commento stabilisce che presso ciascuna università è costituito un collegio di disciplina composto – secondo modalità definite dagli statuti – esclusivamente da professori universitari e ricercatori a tempo indeterminato, in regime di tempo pieno, competente a svolgere la fase istruttoria dei procedimenti disciplinari e ad esprimere parere conclusivo. La partecipazione al collegio non dà luogo alla corresponsione di compensi, emolumenti, indennità o rimborsi spese.
Il collegio di disciplina opera secondo il principio del giudizio fra pari, nel rispetto del contraddittorio.
In accordo con quanto disposto all’art. 2, comma 1, lett. b), il comma 2 prevede che l’avvio del procedimento disciplinare spetta al rettore. Questi, per ogni fatto che possa dar luogo all’irrogazione di una sanzione più grave della censura, tra quelle previste dall’art. 87 del R.D. n. 1592 del 1933, trasmette al collegio di disciplina gli atti entro 30 giorni dalla conoscenza dei fatti, formulando proposta motivata.
Sulla proposta del rettore, il collegio di disciplina esprime il proprio parere entro 30 giorni – sia in relazione alla rilevanza dei fatti sul piano disciplinare, sia in relazione al tipo di sanzione da irrogare –, uditi il rettore o un suo delegato, nonché il professore o il ricercatore sottoposto ad azione disciplinare, eventualmente assistito da un difensore di fiducia.
Il collegio, quindi, trasmette gli atti al Consiglio di amministrazione per l’assunzione (in accordo con l’art. 2, comma 1, lett. h)) delle conseguenti deliberazioni. Il procedimento davanti al collegio resta disciplinato dalla normativa vigente (comma 3).
Si valuti l’opportunità di chiarire a quali disposizioni si intenda fare riferimento per la disciplina del procedimento davanti al collegio.
Entro 30 giorni dalla ricezione del parere del collegio di disciplina e uniformandosi ad esso, il consiglio di amministrazione infligge la sanzione, ovvero dispone l’archiviazione del procedimento (comma 4).
Il comma 5 dispone che il procedimento si estingue ove la decisione del consiglio di amministrazione non intervenga entro 180 giorni dalla trasmissione degli atti. Tale termine è sospeso fino alla ricostituzione del collegio di disciplina ovvero del consiglio di amministrazione, nel caso in cui le operazioni volte alla formazione dell’organo siano in corso e ne impediscano il regolare funzionamento.
Il termine è, altresì, sospeso – per non più di due volte, ciascuna per un periodo non superiore a 60 giorni – nel caso in cui, per motivi istruttori, il collegio ritenga di dover acquisire ulteriori atti o documenti.Il rettore è tenuto a dare esecuzione alle richieste istruttorie avanzate dal collegio.
Rispetto alla normativa vigente, quindi, l’estinzione del procedimento per decorrenza di 180 giorni è riferita all’assenza dell’intervento della decisione del consiglio di amministrazione e non più alla assenza del parere del collegio di disciplina.
Si valuti l’opportunità di disciplinare le conseguenze del mancato intervento del parere del collegio di disciplina nei termini prefissati.
Inoltre, poiché al comma 5, secondo periodo, si citano due organi, la locuzione “formazione dello stesso” dovrebbe essere sostituita con “formazione degli stessi”.
L’art. 11 prevede che a decorrere dal 2011 una quota pari almeno all’1,5 per cento del FFO e delle risorse eventualmente assegnate per il funzionamento del sistema universitario (il riferimento sembra essere a risorse assegnate una tantum) è ripartita fra le università che, sulla base delle differenze percentuali del valore del FFO consolidato del 2010, presentino un situazione di sottofinanziamento superiore al 5 per cento rispetto al modello per la ripartizione teorica del medesimo FFO elaborato dagli organi di valutazione del sistema universitario.
Il fine è quello di accelerare il processo di riequilibrio delle università statali, tenuto conto della esigenza di assicurare la copertura delle spese fisse del personale di ruolo (comma 1).
Si ricorda, al riguardo, che l’art. 5, comma 4, lett. e), del progetto di legge indica fra i criteri direttivi per l’esercizio della delega concernente la contabilità universitaria la determinazione di un limite massimo all’incidenza complessiva delle spese per il personale di ruolo e a tempo determinato sulle entrate complessive dell’ateneo (per la ricognizione normativa relativa ai limiti posti alla spesa per il personale degli atenei si veda la scheda riferita agli artt. 16 e 17).
Ai sensi del comma 2, la ripartizione della percentuale indicata nel comma 1 è effettuata con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca.
Si ricorda che l’art. 5 della già citata L. 537 del 1993 ha previsto che a decorrere dal 1994 i mezzi finanziari destinati dallo Stato alle università sono iscritti in tre distinti capitoli dello stato di previsione del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica:
§ fondo per il finanziamento ordinario delle università, relativo alla quota a carico del bilancio statale delle spese per il funzionamento e le attività istituzionali delle università, ivi comprese le spese per il personale docente, ricercatore e non docente, per l'ordinaria manutenzione delle strutture universitarie e per la ricerca scientifica, ad eccezione della quota destinata ai progetti di ricerca di interesse nazionale[220] e della spesa per le attività sportive universitarie;
§ fondo per l'edilizia universitaria e per le grandi attrezzature scientifiche, relativo alla quota a carico del bilancio statale per la realizzazione di investimenti per le università in infrastrutture edilizie e in grandi attrezzature scientifiche, ivi compresi i fondi destinati alla costruzione di impianti sportivi;
§ fondo per la programmazione dello sviluppo del sistema universitario, relativo al finanziamento di specifiche iniziative, attività e progetti, ivi compreso il finanziamento di nuove iniziative didattiche.
La disposizione ha previsto che nel FFO sono comprese una quota base, da ripartirsi tra le università in misura proporzionale alla somma dei trasferimenti statali e delle spese sostenute direttamente dallo Stato per ciascuna università nell'esercizio 1993, e una quota di riequilibrio, da ripartirsi sulla base di criteri determinati con decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, sentito il CUN e la CRUI, relativi a standard dei costi di produzione per studente, al minore valore percentuale della quota relativa alla spesa per il personale di ruolo sul FFO e agli obiettivi di qualificazione della ricerca. Ha, altresì, stabilito che, a partire dal 1995, la quota base è progressivamente ridotta e la quota di riequilibrio è aumentata almeno di pari importo[221][222]. La quota di riequilibrio concorre al finanziamento a regime delle iniziative realizzate in conformità ai piani di sviluppo. Il riparto della quota di riequilibrio è finalizzato anche alla riduzione dei differenziali nei costi standard di produzione nelle diverse aree disciplinari ed al riallineamento delle risorse erogate tra le aree disciplinari, tenendo conto delle diverse specificità e degli standard europei.
L’importo del FFO è determinato annualmente in tabella C della legge finanziaria ed il riparto fra atenei è effettuato con decreto ministeriale[223].
Dal 2004 per il riparto annuale del FFOè stato adottato, con DM 24 luglio 2004, n. 246[224], un modello teorico predisposto dal Comitato per la valutazione del sistema universitario[225]. In sintesi, il modello tiene conto dei seguenti elementi:
§ 30%: domanda da soddisfare (numero di iscritti);
§ 30%: risultati di processi formativi (CFU acquisiti dagli studenti);
§ 30%: risultati della ricerca scientifica; il “potenziale di ricerca” è calcolato in base al numero di docenti, ricercatori, borsisti, assegnisti, ecc., opportunamente pesati secondo la categoria di appartenenza e ulteriormente ponderati per indicatori di partecipazione e di successo nella richiesta di fondi PRIN nel triennio precedente, cui si aggiunge il numero di ricercatori “virtuali” calcolato in base ai fondi esterni ottenuti dall’ateneo per attività di ricerca;
§ 10%: incentivi speciali.
Occorre, tuttavia, aggiungere che, a causa della situazione di crescente squilibrio finanziario delle università, il FFO è stato allocato, nonostante il modello CNVSU, quasi esclusivamente sulla base delle quote storiche di spesa. A questo riguardo, nel documento curato dalla Commissione tecnica per la finanza pubblica (CTFP)[226], “Misure per il risanamento finanziario e l’incentivazione dell’efficacia e dell’efficienza del sistema universitario”, pubblicato il 31 luglio 2007 dal Ministero dell’economia e delle finanze, p. 8[227], si evidenzia che ciò ha determinato Università finanziate in eccesso (fino al 36%) e Università finanziate per difetto (fino al 43,1%)[228].
Per completezza, e rinviando per una disamina più ampia alla scheda riferita all’art. 1, si ricorda che, ai sensi dell’art. 3 del DPR 76 del 2010, attualmente il compito di elaborare, su richiesta del Ministro, i parametri per l’allocazione dei finanziamenti statali è affidata all’ANVUR.
L’art. 1, comma 6, dell’A.C. 2458 prevede di destinare a specifici obiettivi di sviluppo dell’ateneo, di miglioramento della qualità e di riequilibrio territoriale una quota del FFO, così determinata:
§ 5 per cento per gli anni 2010 e 2011;
§ 7,5 per cento per gli anni 2012 e 2013;
§ 10 per cento per gli anni successivi.
La quota indicata è ripartita fra le università statali come cofinanziamento ministeriale annuale ad accordi di programma pluriennali stipulati fra l’università interessata, la regione e il MIUR per il conseguimento degli obiettivi sopra indicati. Essa è corrisposta annualmente in misura non superiore al 50 per cento dei costi effettivamente sostenuti e non è consolidabile.
(Per ulteriori disposizioni riguardanti il FFO recate dall’art. 1 dell’A.C. 2458, si veda l’apposita scheda).
L’articolo 12, comma 1, al fine di incentivare la qualità delle attività didattiche e di ricerca delle università non statali, stabilisce che una quota non inferiore al 10% dei contributi di cui alla L. n. 243 del 1991[229], da incrementare progressivamente, è ripartita sulla base di criteri determinati con decreto del MIUR, sentita l’ANVUR, tenuto conto degli indicatori previsti, per le medesime finalità, per le università statali dall’art. 2 del D.L. 180 del 2008 (che viene novellato dall’art. 13 del progetto di legge).
Il comma 2 stabilisce che gli incrementi sono disposti annualmente con decreto del MIUR, in misura compresa fra il 2 per cento e il 4 per cento. La misura dell’incremento è determinata tenendo conto delle risorse complessivamente disponibili e dei risultati conseguiti nel miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza nell’utilizzo delle risorse. Si tratta degli stessi fattori previsti, per le università statali, dall’art. 13, comma 1, lett. b).
Al comma 1, poiché - a differenza dell’art. 2, comma 1, del D.L. 180 del 2008 - non viene indicato l’anno a decorrere dal quale si applicheranno le nuove disposizioni, non appare corretta la locuzione “con progressivi incrementi negli anni successivi”. Inoltre, in fine occorre aggiungere le parole “, come modificato dall’art. 13 della presente legge”.
Si ricorda che le università non statali - previste originariamente con la dizione di “università libere” dal R.D. n. 1592 del 1933 - sono attualmente disciplinate essenzialmente dalla già citata L. n. 243 del 1991 e dal D.P.R. 27 gennaio 1998, n. 25[230].
In particolare, la L. n. 243/1991 ha chiarito, all’art. 1, che anche le università non statali “operano nell’ambito delle norme dell’articolo 33, ultimo comma, della Costituzione e delle leggi che le riguardano, nonché dei principi generali della legislazione in materia universitaria in quanto compatibili“.
In tal modo sono state estese a questa categoria di atenei le norme sull’autonomia statutaria e regolamentare introdotte a partire dalla L. n. 168/1989. Al pari delle università statali, le università non statali sono sottoposte “all’indirizzo e al coordinamento” del Ministero, possono essere soppresse (secondo quanto previsto dall’art. 2, comma 5, del D.P.R. n. 25/1998 e dall’art. 212 del R.D. n. 1592 del 1933) ove l’attività svolta non sia coerente con quanto richiesto dall’ordinamento, e sono ricomprese nell’ambito della programmazione del sistema universitario[231].
Le modalità di istituzione degli atenei sono ora disciplinate dall’art. 2, comma 5, lett. c), del D.P.R. n. 25/1998 che prevede che questa, nonché l’autorizzazione al rilascio di titoli aventi valore legale, è disposta con decreto del Ministro, contestualmente all’approvazione dello statuto e del regolamento didattico di ateneo, di cui alla L. n. 341/1990.
Con riferimento al triennio 2007-2009, le linee generali di indirizzo, come si è visto in altra scheda, sono state definite con il D.M. 3 luglio 2007, n. 362. Il medesimo decreto, all’art. 5 - Istituzione di nuove Università non statali, stabilisce che soggetti pubblici o privati possono presentare proposte concernenti l'istituzione di nuove Università non statali legalmente riconosciute autorizzate a rilasciare titoli di studio aventi valore legale che prevedano corsi di laurea e di laurea magistrale, in aree disciplinari di particolare interesse nazionale e comunitario relative a classi di corsi di studio appositamente individuate con successivo decreto del Ministro da inviare alla Corte dei conti, il quale definisce anche le modalità e il termine di presentazione delle proposte stesse, nonché, avvalendosi del CNVSU, i parametri e i criteri per la loro valutazione.
Da ultimo, è intervenuta la nota MIUR n. 91 del 5 maggio 2009[232] concernente i requisiti necessari per le università non statali.
La già citata L. n. 243/1991 ha anche previsto – agli articoli 2 e 3 – l’assegnazione di contributi statali alle università e agli istituti superiori non statali legalmente riconosciuti che abbiano ottenuto l’autorizzazione a rilasciare titoli di studio universitario aventi valore legale, ai sensi dell’art. 6 della L. 7 agosto 1990, n. 245 (poi abrogato dall’art. 4 del DPR 25 del 1998).
Relativamente alle modalità di concessione dei contributi statali, l’ateneo interessato presenta annualmente al Ministro i bilanci e la specifica documentazione relativa alla struttura e al funzionamento dell’università (numero di studenti, facoltà, scuole, patrimonio immobiliare, ecc.). Il contributo è assegnato secondo criteri oggettivi e il Ministro può chiedere chiarimenti sui dati forniti e disporre ispezioni per accertare la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge.
Con DM 18 giugno 2009, n. 67[233], sono stati definiti i criteri per la ripartizione delle risorse destinate alle università non statali per l’anno 2009. Nella premessa del DM si evidenzia che il modello per la ripartizione teorica del fondo di finanziamento ordinario alle università, predisposto dal Comitato Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario (Doc 1/04), e successive modifiche , di cui il D.M. 152 del 2008 prevede l'applicazione, per una quota di risorse, per l'ulteriore triennio 2008-2010, risulta applicabile anche per le Università non statali con finalità di riequilibrio. Lo stanziamento è stato complessivamente pari a € 88.101.454 (cap. 1692).
La disposizione indicata prevede un incremento annuale delle risorse destinate alle università non statali, con la stessa decorrenza – 2010 – e sulla base dei medesimi criteri previsti dal comma 1 dello stesso articolo per il FFO. Pertanto, è previsto un incremento annuo in misura almeno pari, per una quota del 20%, al tasso programmato di inflazione per l’anno di riferimento e, per la restante quota dell’80%, alla percentuale di adeguamento retributivo annuale per il personale non contrattualizzato.
L’articolo 13 novella l’art. 2 del D.L. 180 del 2008, recante identica rubrica.
E’ utile, pertanto, ricordare preliminarmente che la norma di cui si propone la novella prevede, al comma 1, che, a decorrere dal 2009, una quota non inferiore al 7 per cento del Fondo di finanziamento ordinario delle università (FFO) e del fondo straordinario di cui all’art. 2, comma 428, della legge finanziaria 2008[234], destinata ad incrementarsi progressivamente negli anni successivi, sia ripartita fra le università in base alla qualità dell’offerta formativa e dei risultati dei processi formativi (lett. a), alla qualità della ricerca scientifica (lett. b), alla qualità, efficacia ed efficienza delle sedi didattiche (lett. c). Ai sensi del comma 2,le modalità di ripartizione delle risorse di cui al comma 1 sono definite con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, la cui adozione era prevista, in sede di prima applicazione, entro il 31 marzo 2009, sentiti il Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca (CIVR) e il Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (CNVSU)[235]. Il medesimo comma prevede, inoltre, che il fattore di valutazione riferito alla sedi didattiche non si considera in sede di prima applicazione.
Alla ripartizione della quota relativa al 2009 si è proceduto con il Decreto Ministeriale 23 settembre 2009 n. 45, recante i criteri di ripartizione del FFO per l'anno 2009. Su un importo complessivo pari a € 6.935.098.839, alle finalità di cui all’art. 2, comma 1, del D.L. 180/2008 sono stati destinati 523,50 milioni di euro, ripartiti secondo i criteri indicati nell’allegato 1 del DM[236].
La prima novella proposta (lett. a) riguarda la lett. c) del comma 1 dell’art. 2 del D.L. 180/2008 e precisa che con riferimento alla qualità, efficacia ed efficienza delle sedi didattichesono presi in considerazione:
Si valuti se il secondo elemento indicato (numero ed entità dei progetti di ricerca) non debba essere più appropriatamente riferito alla lettera b) del comma 1 dell’art. 2 del D.L. 180/2008, invece che alla lettera c).
La seconda novella proposta (lett. b) inserisce nell’art. 2 del D.L. 180/2008 il comma 1-bis, che prevede che gli incrementi della quota indicata nel comma 1 sono disposti annualmente con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in misura compresa fra lo 0,5 per cento e il 2 per cento del FFO. La misura dell’incremento è determinata tenendo conto delle risorse complessivamente disponibili e dei risultati conseguiti nel miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza nell’utilizzo delle risorse.
Per completezza di ricorda che l’art. 5 del progetto di legge prevede una delega volta a valorizzare, fra l’altro, la qualità e l’efficienza delle università, anche attraverso un sistema di valutazione periodica dei risultati conseguiti nella didattica e nella ricerca, alla quale sono correlati incentivi.
L’articolo 5 si riferisce, al comma 1, alla valutazione della qualità dell’attività didattica e scientifica dei docenti assunti sulla base delle nuove disposizioni recate dagli articoli 3 e 4. La valutazione è effettuata ogni 3 anni dall’ANVUR e deve tenere conto della valutazione espressa dai rappresentanti degli studenti.
Qualora la valutazione sia negativa, il MIUR, in sede di ripartizione del FFO, detrae dalla quota spettante all’università, per ogni docente valutato negativamente, un importo pari al trattamento economico complessivo medio dei docenti universitari. La progressione stipendiale del docente resta bloccata per sei anni ed è abolita qualora il docente sia stato valutato negativamente per tre volte consecutive (comma 2).
Il comma 3 reca disposizioni per l’inquadramento nella fascia superiore (fra le tre previste dall’art. 2: si veda la scheda riferita all’art. 6 dell’A.C. 3687), stabilendo che quando un docente di seconda o terza fascia ottiene due valutazioni positive consecutive e il riconoscimento della maturità scientifica nazionale (di cui all’art. 3) per la fascia superiore rispetto a quella di appartenenza, può essere inquadrato nella stessa senza concorso.
Il comma 5 dell’art. 1 prevede che una quota del FFO è ripartita fra le università statali in ragione della qualità dei risultati ottenuti nelle attività didattiche e di ricerca, sulla base di parametri stabiliti preventivamente e su base pluriennale dall’ANVUR. La quota è pari al:
§ 10 per cento per gli anni 2010 e 2011;
§ 15 per cento per gli anni 2012 e 2013;
§ 20 per cento per gli anni successivi.
Le assegnazioni sono annuali e non consolidabili.
Dal punto di vista del coordinamento con la normativa vigente, la disposizione non fa riferimento all’art. 2 del D.L. 180 del 2008.
L’art. 12 prevede una valutazione triennale dell’efficienza delle singole università, considerate nelle loro articolazioni interne, effettuata in relazione alla didattica e alla ricerca. La valutazione è effettuata sulla base di criteri fissati con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, anche diversi per le differenti aree scientifico-disciplinari. Essi devono, comunque, comprendere:
§ l’entità e la qualità della didattica, valutata anche dagli studenti;
§ i risultati qualitativi e quantitativi dell’attività di ricerca, in relazione a standard internazionali (commi 1 e 2).
Dal comma 3 si deduce che la valutazione è effettuata dall’ANVUR: si prevede, infatti, che essa trasmetta i dati al Ministro.
In relazione ai risultati della valutazione, e sulla base delle proposte formulate dall’ANVUR, il Ministro applica parametri correttivi per la destinazione delle risorse finanziarie alle singole università(comma 4).
Si ricorda che si tratta di contenuti già presenti nel DPR 76 del 2010, illustrato nella scheda riferita all’art. 1 dell’A.C. 3687.
L’articolo 14 interviene sui crediti formativi riferiti alle conoscenze e alle abilità professionali, certificate ai sensi della normativa vigente in materia, nonché alle altre conoscenze e abilità maturate in attività formative di livello post-secondario, riducendo da 60 a 12 il relativo numero e stabilendo che il riconoscimento deve essere operato esclusivamente sulla base delle competenze dimostrate da ogni studente, escludendo forme di riconoscimento attribuite collettivamente.
A tal fine, il comma 1 novella l’art. 2, comma 147, del D.L. n. 262 del 2006[237] (si veda infra).
La disciplina generale sul riconoscimento dei crediti è attualmente recata dall’art. 1, comma 1, lett. l), e dall’art. 5 del DM 270 del 2004.
Ai sensi di tali disposizioni, per credito formativo universitario (CFU) si intende la misura del volume di lavoro di apprendimento, compreso lo studio individuale, richiesto ad uno studente[238]. Al CFU corrispondono, di norma, 25 ore di impegno complessivo per studente[239]. La quantità media di impegno complessivo di apprendimento svolto in un anno da uno studente a tempo pieno è convenzionalmente fissata in 60 crediti[240][241]. Le università possono riconoscere come CFU, secondo criteri predeterminati, le conoscenze e abilità professionali certificate ai sensi della normativa vigente in materia, nonché altre conoscenze e abilità maturate in attività formative di livello postsecondario alla cui progettazione e realizzazione l'università abbia concorso.
Il comma 2 affida ad un decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, adottato ai sensi dell’art. 17, comma 3, della L. 400 del 1988[242] (non è previsto un termine di adozione), sentiti i Ministri competenti, la definizione delle modalità attuative e delle eventuali deroghe alle disposizioni di cui al comma 1, che devono essere adeguatamente motivate. Queste ultime possono riferirsi anche al limite massimo di crediti riconoscibili per le attività formative svolte nei cicli di studio presso gli istituti di formazione della pubblica amministrazione, nonché alle altre conoscenze e abilità maturate in attività formative di livello post-secondario, alla cui progettazione e realizzazione l’università abbia concorso.
E’ utile ricordare, al riguardo, che l’art. 22, comma 13, della L. n. 448 del 2001 (legge finanziaria 2002) ha riconosciuto al personale delle amministrazioni pubbliche che abbia superato il previsto ciclo di studi presso le rispettive scuole di formazione, ivi compresi gli istituti di formazione delle Forze di polizia ad ordinamento militare e civile e delle Forze armate, l'Istituto di perfezionamento della Polizia di Stato, la Scuola di polizia tributaria della Guardia di finanza e la Scuola superiore dell'economia e delle finanze, un credito formativo per il conseguimento dei titoli di studio universitari, stabilendo che le modalità di riconoscimento siano individuate con apposite convenzioni stipulate tra le amministrazioni interessate e le università.
In seguito, l’art. 2, comma 147, del D.L. 262 del 2006, novellando tale disposizione, ha trasformato questa previsione in possibilità. Il medesimo comma 147, inoltre, al di fuori della novella, e quindi con previsione di carattere generale, ha stabilito che le conoscenze e le abilità professionali, nonché le altre conoscenze e abilità maturate in attività formative di livello post-secondario da riconoscere quali crediti formativi siano disciplinate dalle università nel proprio regolamento didattico e ne ha fissato in ogni caso il numero - come sopra detto -, in un massimo di 60.
Ai sensi del comma 3, infine,il decreto di cui al comma 2 definisce anche i criteri per il riconoscimento dei crediti acquisiti dallo studente a conclusione dei percorsi realizzati dagli Istituti tecnici superiori nell’ambito dei progetti attuati con le università attraverso le federazioni di cui all’art. 3 del progetto di legge.
Occorre valutare se la previsione di un DM, di cui al comma 3, non possa risultare in qualche modo lesiva della competenza attribuita ai regolamenti didattici di ateneo dall’art. 2, comma 147, del D.L. 262 del 2006, in merito alla valutazione di attività formative di livello post-secondario[243] in termini di crediti formativi.
L’art. 15 introduce nell’ordinamento universitario i settori concorsuali nell’ambito dei quali vengono ricondotti gli attuali settori scientifico-disciplinari.
In particolare, il comma 1 prevede che entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentito il CUN[244], sono definiti i settori concorsuali per il conseguimento dell’abilitazione disciplinata dall’art. 16.
I settori concorsuali sono raggruppati in macrosettori concorsuali. Inoltre, ogni settore concorsuale può essere articolato in settori scientifico-disciplinari, che sono utilizzati esclusivamente per la chiamata dei professori, per il conferimento di assegni di ricerca, per la stipula di contratti per attività di insegnamento, ovvero di contratti di ricerca a tempo determinato, e per la definizione degli ordinamenti didattici[245].
Il comma 2 prevede una consistenza minima per i settori concorsuali: infatti, a ciascuno di essi afferiscono almeno 50 professori di prima fascia in sede di prima applicazione e almeno 30 a regime.
Il comma 3 stabilisce che il decreto di cui al comma 1 definisce le modalità di revisione dei settori concorsuali e dei settori scientifico-disciplinari, da attuarsi almeno ogni 5 anni.
Attualmente i settori scientifico-disciplinari sono raggruppamenti degli insegnamenti universitari, effettuati sulla base di criteri di omogeneità scientifica e didattica. Essi sono utilizzati per il reclutamento ed i trasferimenti dei professori e dei ricercatori e per la composizione delle commissioni di valutazione; per l’attribuzione dei crediti formativi universitari; per la valutazione della ricerca scientifica.
L’aggregazione degli insegnamenti in settori, disposta originariamente dall'art. 14 della già citata L. 341/90, è stata effettuata una prima volta con il D.P.R. 12 aprile 1994, integrato dal DPR 6 maggio 1994, e più volte ridefinita. In particolare, la legge 127/1997,contestualmente all’avvio dellariforma universitaria ed alla ridefinizione dei corsi di laurea (c.d. “3+2”)ha previsto (art. 17, comma 99) che, con uno o più decreti del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, su proposta del Consiglio universitario nazionale, si provvedesse, secondo criteri di affinità scientifica e didattica, all'accorpamento e al successivo aggiornamento dei settori scientifico-disciplinari, anche al fine di stabilire la pertinenza della titolarità ai medesimi settori, nonché i raggruppamenti concorsuali.
Ai sensi di tale disposizione sono stati adottati una serie di decreti ministeriali. Quello che ancora ad oggi costituisce la base alla quale sono riferite le modifiche intervenute fino al 2005 è il D.M. 4 ottobre 2000[246]. Esso ha identificato 14 aree[247] nell’ambito delle quali sono raggruppati i settori (oltre 200); per ciascuno di essi (allegato B) viene fornita una declaratoria (ovvero l’esplicitazione degli studi compresi nel settore medesimo) ed una tavola delle corrispondenze ed affinità (allegati C e D[248]).
Si ricorda, infine, che, ai sensi dell’art. 1, c. 1, lett. i), del DM 270/2004, gli ambiti disciplinari sono insiemi di settori scientifico-disciplinari culturalmente e professionalmente affini.
L’art. 8 dell’A.C. 2458 prevede che il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca ridetermini con proprio decreto, sentito il CUN e sulla base delle migliori pratiche internazionali, i settori scientifico-disciplinari in numero non superiore a 100 e comunque garantendo un adeguato numero di professori in servizio in ogni settore.
L’articolo in questione modifica, quindi, la procedura per l’aggiornamento dei settori scientifico disciplinari con riferimento al ruolo del CUN (che, come sopra si è visto, ai sensi dell’art. 17, comma 99, della L. 127 del 1997, ha un ruolo di proposta).
E, quindi, preferibile, ai sensi del paragrafo 3, lettera a), della Circolare 20 aprile 2001, Regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi, novellare l’art. 17, comma 99, della L. 127 del 1997.
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Si ricorda, per completezza, che l’art. 26 dell’A.C. 2460 (del quale si è dato conto nella scheda riferita all’art. 7 dell’A.C. 3687) prevede la definizione di aree scientifico-disciplinari degli enti pubblici di ricerca.
Gli articoli 16 e 17 del progetto di legge approvato dal Senato prevedono l’istituzione dell’abilitazione scientifica nazionale quale requisito per l’accesso alla prima e alla seconda fascia del ruolo dei professori e disciplinano la chiamata degli stessi. Per la connessione esistente, se ne opererà, quindi, un commento congiunto, preceduto dalla ricognizione normativa di riferimento.
Disposizioni sul medesimo argomento trattato dagli articoli 16 e 17 dell’A.C. 3687 sono recate:
· dagli articoli 3, 4, 6 e 7 dell’A.C. 1828;
· dagli articoli 9, 10 e 11, 13, nonché 15, comma 1, dell’A.C. 2458;
· dagli articoli 13-20 dell’A.C. 2460.
Per un raffronto testuale, si è redatto un testo a fronte fra le norme indicate. Nel testo della scheda, quindi, dopo il commento degli articoli 16 e 17 dell’A.C. 3687 si evidenzieranno solo le principali differenze rispetto a quest’ultimo.
L’art. 1, comma 105, della L. 30 dicembre 2004, n. 311 ha previsto che, a decorrere dall'anno 2005, le università adottano programmi triennali del fabbisogno di personale docente, ricercatore e tecnico-amministrativo, a tempo determinato e indeterminato, tenuto conto delle risorse a tal fine stanziate nei rispettivi bilanci. I programmi sono valutati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ai fini della coerenza con le risorse stanziate nel fondo di finanziamento ordinario, fermo restando che la spesa per il personale di ciascun ateneo non deve superare il limite del 90% della quota del FFO, già fissato dall’art. 51, comma 4, della legge n. 449 del 1997[249].
L’art. 1, commi 1 e 2, del D.L. 180/2008 ha poi stabilito che le università statali che alla data del 31 dicembre di ogni anno abbiano superato il livello massimo di spesa per il personale di ruolo non possonoprocedere all’indizione di procedure concorsuali e di valutazione comparativa, né all’assunzione di personale.
Sono fatte salve, tuttavia:
§ le disposizioni che escludono dal computo del 90% gli incrementi retributivi derivanti da adeguamenti disposti a favore del personale non contrattualizzato (docenti e ricercatori) e dall’applicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro del personale tecnico e amministrativo, nonché un terzo dei costi del personale docente e non docente impiegato in funzioni assistenziali in convenzione con il Servizio sanitario nazionale[250]; la validità di tali esclusioni, poi, è stata prorogata al 31 dicembre 2009 (art. 1, comma 1-bis del D.L.) e, da ultimo, al 31 dicembre 2010[251];
§ le assunzioni relative alle procedure concorsuali per ricercatore - espletate o in corso di espletamento per il 2007 e per il 2008[252] - tra le quali, in particolare, quelle finanziate con gli stanziamenti disposti dall’art. 1, c. 650, della L. finanziaria 2007.
Sempre al fine di contenimento della spesa, sono state introdotte limitazioni al turn over nelle università.
L’art. 66, comma 13, primo periodo, del già citato D.L. n. 112/2008, (come modificato dall’art. 1, comma 3, del D.L. 180/2008) ha previsto che - fermi restando i limiti in materia di programmazione triennale di cui all’art. 1, c. 105, della l. finanziaria per il 2005 - per il triennio 2009-2011 le università possono procedere, per ogni anno, ad assunzioni di personale nel limite di un contingente corrispondente ad una spesa pari al 50 per cento di quella relativa al personale a tempo indeterminato cessato dal servizio nell’anno precedente[253]. Tale quota è destinata per una quota non inferiore al 60% all’assunzione di ricercatori a tempo indeterminato e di contrattisti[254], e per una quota non superiore al 10% all’assunzione di professori ordinari[255].
Il medesimo comma 13 ha previsto, inoltre, che per il 2012 nei confronti delle università si applica quanto previsto dal comma 9 – la cui applicabilità, originariamente prevista a decorrere dal 2012, è stata posticipata al 2014 dell’art. 9, comma 7, del D.L. 78 del 2010 – ai sensi del quale, previo esperimento delle procedure di mobilità, si può procedere ad assunzioni a tempo indeterminato nel limite di un contingente corrispondente ad una spesa pari al 50% di quella relativa al personale cessato nell’anno precedente, fermo restando, in ogni caso, che il numero delle unità ad assumere non può eccedere il 50% delle unità cessate nell’anno precedente.
Per quanto specificamente concerne i ricercatori, occorre anche ricordare le disposizioni recate dalla legge finanziaria per il 2007 (L. 296/2006).
L’art. 1, commi 647-650, infatti, ha stabilito che, in attesa della riforma dello stato giuridico dei ricercatori universitari, il Ministro dell'università e della ricerca, con proprio decreto (da emanare entro il 31 marzo 2007), disciplinasse nuove modalità di svolgimento dei concorsi per ricercatore (comma 647) e che il medesimo provvedimento definisse un numero aggiuntivo di posti di ricercatore da coprire con concorsi banditi entro il 30 giugno 2008 (comma 648). A tal fine, il comma 650 ha autorizzato la spesa nel limite di 20 milioni di euro per l'anno 2007, di 40 milioni di euro per l'anno 2008 e di 80 milioni di euro a decorrere dall'anno 2009.
In relazione alla mancata adozione del decreto ministeriale previsto, successive disposizioni[256] hanno disposto la disapplicazione, rispettivamente per il 2007 e il 2008, dell’art. 1, comma 648, della L. finanziaria 2007 e, per consentire comunque l’assunzione di ricercatori, hanno finalizzato le risorse già stanziate per il 2007 e per il 2008 al reclutamento di ricercatori secondo le norme vigenti[257].
Le risorse stanziate per il 2009 (80 milioni di euro, dei quali 40 per nuove assunzioni e 40 per continuare a coprire l’onere recato dalle assunzioni disposte nel 2007 e nel 2008), essendosi verificata, nel frattempo, la condizione richiesta dall’art. 1, comma 648, della legge finanziaria 2007, ovvero la modifica dei meccanismi concorsuali[258], sono state ripartite tra gli atenei con DM 24 novembre 2009 prot. n. 212/2009[259], ferma restando l’esclusione delle università che ogni anno abbiano superato il livello massimo di spesa per il personale di ruolo.
Come già si è evidenziato nella scheda riferita allo stato giuridico, il ruolo dei professori universitari è stato articolato dal DPR 382 del 1980 in due fasce, quella dei professori ordinari e straordinari, e quella dei professori associati.
Lagià citata L. 210 del 1998 ha attributo alle università l’espletamento delle procedure per la copertura dei posti vacanti di professori ordinari, di professori associati e di ricercatori, sulla base di un regolamento, emanato con DPR 117/2000[260].
Il meccanismo ivi delineato autorizza le singole università all’indizione dei bandi, nell’ambito delle disponibilità di bilancio, e prevede la valutazione comparativa dei candidati. Quest’ultima si basa sulla valutazione dei titoli e delle pubblicazioni - nonché, per i professori associati, su una prova didattica e sulla discussione dei titoli, mentre, per i professori ordinari, su una prova didattica (qualora non provengano dalla fascia degli associati) - e sulla valutazione dell’attività didattica e dei servizi prestati nelle università ed enti di ricerca in Italia e all’estero.
Successivamente, la già citata L. n. 230 del 2005 ha previsto un nuovo sistema di reclutamento, articolato in due stadi (conseguimento della c.d. idoneità scientifica nazionale, successivo superamento di una valutazione comparativa indetta dai singoli atenei)[261] e nuove modalità di costituzione delle commissioni giudicatrici[262] ed ha conferito al Governo una delega per la completa definizione delle procedure, disponendo l’abrogazione degli artt. 1 e 2 della L. n. 210 del 1998, relativamente ai docenti di prima e seconda fascia, a decorrere dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi.
In attesa della attuazione della legge 230/2005 (attesa che ha determinato per circa due anni un sostanziale blocco dell’accesso ai ruoli di professore universitario[263]), sono intervenute alcune disposizioni (art. 12, comma 2, del d.l. n. 248 del 2007 eart. 4-bis, c. 16, del d.l. n. 97 del 2008, già citati) che hanno previsto la possibilità di riattivare le procedure di valutazione comparativa per professori ordinari e associati applicando i meccanismi della L. n. 210 del 1998 e del relativo regolamento di attuazione fino al 31 dicembre 2009 e consentendo agli atenei di emanare i bandi entro il 30 novembre 2008.
Si è disposto, inoltre, (art. 4-bis, comma 16, del citato D.L. 97/2008) che per i concorsi indetti dopo il 30 giugno 2008 si applica l’art. 1, comma 2-bis, del decreto-legge n. 7 del 2005, ai sensi del quale la proposta della commissione giudicatrice è limitata ad un solo idoneo per ogni posto bandito. Viceversa, per i concorsi indetti entro il 30 giugno 2008, i relativi bandi potevano prevedere l’assegnazione di due idoneità (ai sensidell’art. 2, c. 1, lett. f), della L. 210/1998).
Per completezza, si ricorda che l’art. 11 del ddl A.S. 1167-B/BIS, in stato di relazione, prevede l’abrogazione di alcune disposizioni della L. 210/1998 e del regolamento applicativo (DPR 117/2000). Si tratta:
§ dell’art. 2, comma 1, lett. d), della L. 210/1998 e dell’art. 2, comma 6, del DPR 117/2000 che consentono ai regolamenti di ateneo di fissare un limite al numero di pubblicazioni scientifiche presentabili per la partecipazione a ciascuna procedura di valutazione comparativa, sia con riguardo ai docenti che ai ricercatori;
§ dell’art. 2, comma 1, lett. l), della L. 210/1998 e dell’art. 2, comma 10, del DPR 117/2000 che prescrivono ai medesimi regolamenti di limitare il numero di domande di partecipazione a valutazioni comparative i cui bandi abbiano termini di scadenza nello stesso anno solare[264].
Per quanto concerne la procedura di reclutamento dei ricercatori universitari, l’art. 2 della L. n. 210 del 1998 ha stabilito che, oltre alla valutazione dei titoli e delle pubblicazioni, sono previste due prove scritte (una delle quali sostituibile con una prova pratica) e un colloquio. Ai fini della valutazione comparativa, il regolamento emanato con DPR n. 117 del 2000 ha precisato i criteri per la valutazione delle pubblicazioni scientifiche e del curriculum complessivo del candidato e i titoli da valutare.
Successivamente l’art. 1, comma 7, della L. n. 230/2005 ha previsto che le modalità indicate dalla L. 210 del 1998 sono applicate al reclutamento dei ricercatori fino al 30 settembre 2013. Ha, inoltre, stabilito che in tali procedure sono valutati come titoli preferenziali il dottorato di ricerca e le attività svolte in qualità di assegnisti e contrattisti ai sensi dell'art. 51, comma 6, della legge n. 449 del 1997, di borsisti post dottorato ai sensi della legge n. 398 del 1989, nonché di contrattisti reclutati ai sensi del comma 14 del medesimo art. 1.
Un ulteriore intervento sulle procedure concorsuali è stato effettuato dall’art. 1, comma 7, del D.L. n. 180 del 2008. Esso ha previsto che per le procedure bandite successivamente alla data della sua entrata in vigore (10 novembre 2008) la valutazione è effettuata sulla base dei titoli, illustrati e discussi davanti alla commissione, e delle pubblicazioni dei candidati, ivi inclusa la tesi di dottorato, utilizzando parametri, riconosciuti anche in ambito internazionale, individuati con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca.A sua volta, l’art. 9, comma 2, del DDL A.S. 1167-b/bis prevede che la discussione pubblica con la commissione abbia ad oggetto titoli e pubblicazioni dei candidati.
In attuazione del D.L. 180 del 2008 è intervenuto il DM 28 luglio 2009, n. 89, che ha precisato gli elementi da utilizzare per la valutazione dei titoli – confermando, peraltro, i titoli preferenziali già individuati dall’art. 1, comma 7, della legge n. 230/2005, nonché i criteri per la valutazione delle pubblicazioni[265]. Il medesimo decreto ha anche stabilito che le commissioni giudicatrici prendono in considerazione esclusivamente pubblicazioni o testi accettati per la pubblicazione secondo le norme vigenti, nonché saggi inseriti in opere collettanee e articoli editi su riviste in formato cartaceo o digitale, con l'esclusione di note interne o rapporti dipartimentali, e che le medesime commissioni sono chiamate a valutare la consistenza complessiva della produzione scientifica del candidato, l’intensità e la continuità temporale della stessa.
Delle disposizioni in corso di esame circa il numero delle pubblicazioni scientifiche si è già detto ante.
Ai sensi della L. n. 210 del 1998 e del DPR n. 117 del 2000, le commissioni giudicatrici per le valutazioni comparative per la copertura di posti di professore ordinario o associato sono costituite da cinque membri: uno designato dalla facoltà che ha richiesto il bando, gli altri eletti dai docenti del corrispondente settore scientifico-disciplinare.
Il componente designato viene scelto prima dello svolgimento delle elezioni, con deliberazione del consiglio di facoltà, nei termini seguenti:
§ per le valutazioni comparative concernenti posti di professore ordinario, il consiglio di facoltà, nella composizione ristretta ai soli professori ordinari, designa un professore ordinario;
§ per le valutazioni concernenti posti di professore associato, il consiglio di facoltà, nella composizione ristretta ai professori ordinari e associati, designa un professore ordinario o associato.
I professori designati, anche se appartenenti ad altre facoltà o università, devono afferire al settore scientifico-disciplinare oggetto del bando ovvero, in mancanza di designabili, ai settori affini preventivamente determinati con decreto del Ministro, su proposta del CUN.
I membri elettivi della Commissione sono così individuati:
§ quattro professori ordinari, per le valutazioni comparative concernenti posti di professore ordinario;
§ due professori ordinari e due professori associati, per le valutazioni comparative concernenti posti di professore associato.
L’elettorato passivo spetta ai professori ordinari e associati, appartenenti al settore scientifico-disciplinare oggetto del bando, non in servizio presso l’ateneo che ha indetto la procedura di valutazione comparativa (c.d. membri esterni).
L’elettorato attivo è attribuito, per la corrispondente fascia o ruolo, ai professori ordinari e associati appartenenti al settore scientifico-disciplinare oggetto del bando.
Ogni elettore può esprimere una sola preferenza. Risultano eletti i professori che hanno ottenuto più voti, secondo distinte graduatorie per fascia. A parità di voti, prevale il più anziano nel ruolo di appartenenza. A parità di anzianità di ruolo, prevale il più anziano di età[266].
Con riferimento alle procedure di valutazione comparativa della prima e della seconda sessione 2008, il D.L. 180/2008 ha poi dettato una disciplina transitoria.
In particolare, l’art. 1, comma 4, tenendo fermo il numero dei membri, ha previsto che le commissioni di concorso relative alle procedure indicate siano composte da:
§ un professore ordinario nominato dalla facoltà che ha richiesto il bando (su questo punto non si registrano novità rispetto alla L. 210/1998);
§ quattro professori ordinari che non appartengano alla facoltà che ha richiesto il bando, sorteggiati in una lista di commissari eletti fra i professori ordinari afferenti al settore scientifico-disciplinare oggetto del medesimo bando, in numero triplo rispetto al numero dei commissari complessivamente necessari nella sessione.
L’elettorato attivo,sia per i posti di professore ordinario, che per quelli di professore associato,è attribuito ai soli professori ordinari e straordinari appartenenti al medesimo settore scientifico-disciplinare. L’elettorato passivo spetta ai soli professori ordinari appartenenti al settore scientifico-disciplinare del bando.
Il comma 4 dell’art. 1 del D.L. 180/2008 disciplina, inoltre, due specifiche ipotesi.
In primo luogo, qualora il settore scientifico-disciplinare sia costituito da un numero di professori ordinari pari o inferiore al necessario, la lista ècostituita da tutti gli appartenenti al settore ed è eventualmente integrata (per il numero di commissari necessario) mediante l’elezione di membri appartenenti a settori affini. Qualora poi il numero dei professori ordinari appartenenti al settore scientifico-disciplinare oggetto del bando, come integrato dai professori ordinari appartenenti ai settori affini, risulti comunque inferiore al numero necessario, si procede direttamente al sorteggio. In entrambi i casi, si prevede che il sorteggio sia effettuato in modo da garantire, ove possibile, che almeno due dei commissari sorteggiati appartengano al settore disciplinare oggetto del bando.
Infine, si prevede che, ove possibile, ciascun commissario partecipi, per ogni fascia e per ogni settore, ad una sola commissione per ciascuna sessione.
Ai sensi della L. n. 210 del 1998 e del DPR n. 117 del 2000, le commissioni giudicatrici per il reclutamento di ricercatori sono costituite mediante designazione di un professore di ruolo, ordinario o associato, da parte della facoltà che ha richiesto il bando e mediante elezione dei restanti componenti.
Il componente designato viene scelto prima dello svolgimento delle elezioni, con deliberazione del consiglio di facoltà, nella composizione comprendente i professori ordinari e associati e i ricercatori[267].
I membri elettivi della Commissione sono costituiti da un professore ordinario (se la facoltà ha designato un professore associato) o da un professore associato (se la facoltà ha designato un professore ordinario), nonché da un ricercatore confermato.
L’elettorato attivo è attribuito, per la corrispondente fascia o ruolo, ai professori e ai ricercatori confermati appartenenti al settore scientifico-disciplinare oggetto del bando.
La commissione può indicare un solo vincitore per ciascun posto di ricercatore.
L’art. 1, comma 5, del D.L. 180/2008, in attesa del riordino delle procedure di reclutamento dei ricercatori, ha quindi previsto che fino al 31 dicembre 2009 – termine poiprorogato al 31 dicembre 2010[268] - le commissioni per il reclutamento di ricercatori siano composte da:
§ un professore ordinario o un professore associato nominato dalla facoltà che ha richiesto il bando;
§ due professori ordinari non appartenenti alla facoltà che ha richiesto il bando, sorteggiati in una lista di commissari eletti fra i professori ordinari appartenenti al settore scientifico-disciplinare oggetto del medesimo bando, in numero triplo rispetto al numero dei commissari complessivamente necessari nella sessione.
L’elettorato attivo è costituito dai professori ordinari e straordinari appartenenti al medesimo settore scientifico-disciplinare. Il sorteggio è effettuato in modo da assicurare, ove possibile, che almeno uno dei commissari sorteggiati appartenga al settore disciplinare oggetto del bando.
Pertanto, rispetto alla normativa pregressa, le modifiche principali recate dal D.L. 180 del 2008 hanno riguardato:
§ l’introduzione del meccanismo del sorteggio per la scelta dei due membri esterni della commissione, sulla base di una lista di eletti;
§ il fatto che i membri esterni sono necessariamente professori ordinari (in base alla disciplina pregressa, è previsto un professore ordinario o un professore associato);
§ l’attribuzione dell’elettorato attivo per la scelta dei membri esterni ai soli professori ordinari e straordinari (mentre la disciplina pregressa lo attribuisce ai professori e ai ricercatori confermati).
Ai sensi del comma 6-bis dell'articolo 1 del medesimo D.L. n. 180 del 2008, con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 20 febbraio 2009[269]è stata nominata una commissione nazionale, composta da sette professori ordinari designati dal CUN nel proprio seno[270], chiamata a sovrintendere allo svolgimento delle operazioni di votazione e di sorteggio per la formazione delle commissioni per le valutazioni comparative di professori e ricercatori.
Per entrambe le tipologie di valutazione comparativa, le modalità di svolgimento delle elezioni e le modalità del sorteggio sono state poi specificate, ai sensi dell’art. 1, comma 6, del D.L. 180/2008, con un decreto di natura non regolamentare, adottato il 27/3/2009.
Per completezza, si evidenzia che ulteriori disposizioni del D.L. 180/2008 prevedono:
§ l’esercizio dell’elettorato attivo e passivo da parte di professori (I e II fascia) chenon usufruiscono del periodo di trattenimento in servizio previsto dall’art. 16 del d.lgs. 503/1992 (si veda infra, commento art. 22) fino al 1° novembre successivo al compimento del 72° anno[271] (art. 1, comma 8-bis);
§ l’esclusione dall’elettorato passivo nelle commissioni di valutazione comparativa per professori e ricercatoriche nel precedente triennio non abbiano effettuato pubblicazioni scientifiche valutabili secondo parametri ministeriali (art. 3-ter, c. 4)[272].
Ai sensi dell’art. 16, comma 1, l’abilitazione scientifica nazionale attesta la qualificazione scientifica necessaria per l’accesso alla prima e alla seconda fascia del ruolo dei professori, ha durata quadriennale e richiede requisiti differenti per le due fasce. Nel comma 4 si ribadisce che il conseguimento dell’abilitazione non costituisce titolo di idoneità, né dà alcun diritto per il reclutamento in ruolo o per promozioni se non nell’ambito delle procedure previste dall’art. 17.
Le modalità di espletamento delle procedure finalizzate al conseguimento dell’abilitazione sono disciplinate entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge con uno o più regolamenti di delegificazione (ex art. 17, comma 2, della L. 400/1988) adottati su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione (comma 2). I regolamenti sono adottati nel rispetto dei criteri (rectius: norme generali regolatrici della materia) indicati nel comma 3.
Le norme generali regolatrici della materia cui i regolamenti di delegificazione devono attenersi riguardano:
§ l’indizione con frequenza annuale di procedure di abilitazione distinte per settori concorsuali, da concludersi entro 5 mesi, attraverso l’individuazione, a tal fine, di idonee modalità, anche informatiche (lett. c) e d);
§ l’attribuzione dell’abilitazione con un giudizio motivato fondato sulla valutazione dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche. Il giudizio contiene anche una sintetica descrizione del contributo individuale alle attività di ricerca e sviluppo svolte ed è espresso sulla base di criteri e parametri definiti con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca (per l’adozione del quale non è previsto un termine), distinti per funzioni e per area disciplinare (lett. a), la cui adeguatezza e congruità deve essere verificata ogni 5 anni, con conseguente revisione (lett. b). Ai sensi della lettera g), i criteri e i parametri individuati per la valutazione dei candidati valgono anche per la valutazione del curriculum dei professori ordinari che chiedano di far parte delle commissioni giudicatrici. Inoltre, ai sensi della lett. h), la commissione può acquisire pareri scritti pro veritate sull’attività scientifica dei candidati da parte di esperti revisori che abbiano le stesse caratteristiche dei professori ordinari che fanno parte delle commissioni giudicatrici;
§ la preclusione, in caso di mancato conseguimento dell’abilitazione, a partecipare alle procedure indette nei due anni successivi per l’abilitazione alla stessa funzione o a quella superiore (lett. l);
§ la valutazione dell’abilitazione come titolo preferenziale per l’attribuzione dei contratti di insegnamento di cui all’art. 20, comma 2 (lett. m);
§ la garanzia della pubblicità degli atti (inclusi i pareri pro veritate di cui alla lett. h) e dei giudizi espressi dalle commissioni giudicatrici (lett. d);
§ l’istituzione per ogni settore concorsuale di un’unica commissione nazionale di durata biennale (lett. e), g), h))) per le procedure di abilitazione alle funzioni di professore di prima e di seconda fasciasenza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica e dei singoli atenei e a carico delle disponibilità di bilancio degli atenei. Ogni commissione è formata da 5 membri, di cui:
· 4 sorteggiati all’interno di una lista di professori ordinari appartenenti allo stesso settore concorsuale che abbiano presentato domanda, corredata della documentazione relativa alla propria attività scientifica, in particolare riferita all’ultimo quinquennio, siano stati valutati positivamente ai sensi dell’art. 6, comma 5, e abbiano un curriculum, reso pubblico per via telematica, coerente con i criteri e i parametri di cui alla lettera a) dell’art. 16. Il sorteggio assicura che della commissione faccia parte almeno un commissario per ogni settore scientifico-disciplinare, compreso nel settore concorsuale, al quale afferiscano almeno 30 professori ordinari;
· 1 sorteggiato all’interno di una lista di studiosi ed esperti di pari livello operanti presso università di un paese aderente all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), curata dall’ANVUR;
§ il divieto che della commissione faccia parte più di un commissario della stessa università e la possibilità che i commissari in servizio presso università italiane siano parzialmente esentati, ove lo richiedano, dalla attività didattica (lett. f);
§ la determinazione con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze (per la cui adozione non è fissato un termine), del compenso spettante ai commissari in servizio all’estero (lett. f). Si tratta di una deroga rispetto a quanto prevede la lett. e), ultimo periodo, ai sensi della quale la partecipazione alla commissione non dà luogo alla corresponsione di compensi, emolumenti e indennità;
§ il divieto per i commissari di far parte contemporaneamente di più di una commissione di abilitazione, nonché il divieto, per tre anni dalla conclusione del mandato, di far parte di commissioni relative a qualunque settore concorsuale (lett. i);
§ lo svolgimento delle procedure presso università dotate di strutture idonee e l’individuazione delle modalità per la scelta delle stesse. Le università in questione assicurano le strutture e il supporto di segreteria nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili e sostengono gli oneri relativi al funzionamento delle commissioni: di tali oneri si tiene conto nella ripartizione del fondo di finanziamento ordinario (lett. n).
Conseguentemente, ai sensi dell’art. 25, comma 9, del progetto di legge, a decorrere dalla data di entrata in vigore dei regolamenti è abrogato il già citato d.lgs. n. 164 del 2006.
Ai sensi dell’art. 17, comma 1, le università disciplinano la chiamata dei professori di prima e seconda fascia con proprio regolamento, nel rispetto dei principi enunciati dalla Carta europea dei ricercatori[273] e dei criteri specifici enunciati nello stesso comma 1.
Questi ultimi sono così individuati:
§ pubblicità del procedimento sui siti dell’ateneo, del MIUR e dell’Unione europea; specificazione del settore concorsuale e di un eventuale profilo esclusivamente mediante indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari; informazioni dettagliate su funzioni, diritti, doveri, trattamento economico e previdenziale (lett. a);
§ ammissione al procedimento di (lett. b):
· studiosi in possesso dell’abilitazione per il settore concorsuale e per le funzioni previste dal procedimento, ovvero per funzioni superiori, purché non siano già titolari delle medesime;
· professori di prima e di seconda fascia già in servizio alla data di entrata in vigore della legge;
· studiosi stabilmente impegnati all’estero in attività di ricerca o insegnamento a livello universitario in posizioni di livello pari a quelle oggetto del bando, sulla base di tabelle di corrispondenza definite dal Ministro, sentito il CUN.
Inoltre, ai sensi dell’art. 25, comma 7, del progetto di legge, richiamato dall’art. 17, comma 2, lett. b), ai fini dei procedimenti di chiamata, l’idoneità conseguita ai sensi della legge n. 210 del 1998 è equiparata all’abilitazione limitatamente al periodo di durata della stessa, ossia entro il termine di tre anni, decorrente dalla data del provvedimento di accertamento della regolarità formale degli atti della commissione che li ha proposti;
§ valutazione delle pubblicazioni scientifiche e del curriculum degli studiosi di cui alla lettera b), nonché possibilità di accertare anche le competenze linguistiche del candidato necessarie in relazione alle caratteristiche plurilingue dell’ateneo o alle esigenze didattiche dei corsi in lingua estera (lett. c);
§ formulazione della proposta di chiamata da parte del dipartimento con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei professori di prima fascia. Come già indicato nell’art. 2, comma 1, lett. h), la proposta è approvata con delibera del consiglio di amministrazione (lett. d).
Ai sensi del comma 2, i procedimenti di chiamata dei professori di prima e seconda fascia, nonché quelli per l’attribuzione dei contratti per ricercatori a tempo determinato di cui all’art. 21, sono effettuati sulla base della programmazione triennale prevista dalle disposizioni vigenti (si veda ante), nonché della previsione, recata dall’art. 5, comma 4, lett. d), di predisposizione di un piano triennale diretto a riequilibrare i rapporti di consistenza del personale docente, ricercatore e tecnico amministrativo, e il numero dei professori e ricercatori che abbiano fruito della chiamata diretta di cui all’art. 1, comma 9, della L. 230 del 2005. La programmazione assicura la sostenibilità nel tempo di tutti gli oneri stipendiali, nonché la copertura finanziaria degli oneri derivanti dall’inquadramento nel ruolo dei professori associati dei ricercatori a tempo determinato che abbiano conseguito l’abilitazione scientifica nazionale, ove valutati positivamente, ai sensi dell’art. 21, comma 5, nel terzo anno di contratto.
Gli oneri derivanti dalla chiamata dei professori e dall’attribuzione dei contratti per ricercatore a tempo determinato di cui all’art. 21 possono essere a totale carico di altri soggetti pubblici e di soggetti privati. A tal fine, è necessaria la previa stipula di una convenzione di durata almeno pari a 15 anni per i professori e per i ricercatori titolari del secondo contratto di cui all’art. 21, comma 5, del progetto di legge, oppure di durata almeno pari a quella del contrattoper i ricercatori(comma 3).
Il comma 4 reca disposizioni finalizzate a consentire l’accesso ai ruoli di professore a soggetti esterni all’ateneo. In particolare,stabilisce che ogni università statale, nell’ambito della programmazione triennale, vincola le risorse corrispondenti ad almeno un quinto dei posti disponibili di professore di ruolo alla chiamata di coloro che nell’ultimo triennio non hanno prestato servizio, o non sono stati titolari di assegni di ricerca o iscritti a corsi universitari nella stessa università.
Il comma 5 disciplina la partecipazione e lo svolgimento di attività di ricerca presso le università. Le stesse sono riservate a:
§ professori e ricercatori universitari, anche a tempo determinato;
§ titolari di assegni di ricerca;
§ studenti dei corsi di dottorato di ricerca e, nell’ambito di specifiche attività formative, studenti di corsi di laurea magistrale;
§ professori a contratto;
§ personale tecnico amministrativo in servizio a tempo indeterminato presso le università, purché abbia specifiche competenze nel campo della ricerca;
§ dipendenti di altre amministrazioni pubbliche, di enti pubblici o privati, di imprese, o titolari di borse di studio o di ricerca bandite dai soggetti indicati, sulla base di apposite convenzioni. In tal caso, sull’università non devono gravare oneri finanziari, ad eccezione dei costi diretti relativi allo svolgimento dell’attività di ricerca e degli eventuali oneri assicurativi.
Il comma 6 stabilisce che alla partecipazione ai progetti di ricerca finanziati dall’Unione europea o da altre istituzioni straniere e allo svolgimento delle relative attività si applicano le norme previste dai relativi bandi.
In conseguenza della nuova disciplina, l’art. 25, comma 8, lett. c), del progetto di legge abroga il comma 8 dell’art. 1 della L. 230 del 2005. Lo stesso articolo detta alcune disposizioni transitorie.
All’art. 16:
§ al comma 2, è necessario sostituire la parola “criteri” con le parole “norme generali regolatrici della materia” (in conformità con quanto prevede l’art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988);
§ al comma 3, lett. e), primo periodo, si osserva che l’inciso “, senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica ed a carico delle disponibilità di bilancio degli atenei,” sembrerebbe confliggere, letteralmente, con quanto disposto alla lettera n), laddove si stabilisce che le università presso le quali si svolgono le procedure sostengono gli oneri relativi al funzionamento di ciascuna commissione. Inoltre, sempre alla lett. e), ultimo periodo (la partecipazione alla commissione non dà luogo alla corresponsione di compensi), è opportuno esplicitare che è fatto salvo quanto previsto alla lett. f), ultimo periodo (corresponsione di un compenso ai commissari in servizio all’estero);
§ al comma 3, lett. g), la formulazione del primo periodo lascerebbe intendere che della lista possano far parte tutti i professori ordinari che hanno presentato domanda, mentre così non è ai sensi del secondo periodo. Si valuti, dunque, l’utilizzo di una diversa formulazione;
§ al medesimo comma 3, si valuti l’opportunità di spostare il contenuto del secondo periodo della lett. h) – che riguarda la valutazione dei candidati – nella lett. a), mentre il contenuto del terzo periodo della medesima lettera potrebbe costituire un inciso nell’ultimo periodo della lett. d).
All’art. 17:
§ al comma 1, lett. b), occorre indicare la tipologia dell’atto che il Ministro deve adottare per definire le tabelle di corrispondenza menzionate;
§ al comma 1, lett. c), appare opportuno chiarire se quando si utilizza l’espressione “studiosi di cui alla lettera b)” siano esclusi i professori di prima e di seconda fascia già in servizio. Ove non sia così, la parola “studiosi” potrebbe più opportunamente essere sostituita con la parola “soggetti”;
§ al comma 3, dal punto di vista della formulazione del testo, occorrerebbe valutare l’opportunità di esplicitare che il riferimento al “contratto per i ricercatori” è alla tipologia di contratto di cui all’art. 21, comma 3, lettere a) e b);
§ si valuti l’opportunità di individuare una diversa collocazione per i commi 5 e 6, che non concernono la chiamata dei professori. Il paragrafo 2, lettera a), della circolare 20 aprile 2001, Regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi normativi prevede, infatti, che “La ripartizione delle materie all'interno dell'atto è operata assicurando il carattere omogeneo di ciascuna partizione, ivi compreso l'articolo, nonché di ciascun comma all'interno dell'articolo”.
L’art. 3 prevede che l’ammissione ai concorsi per l’accesso alle tre fasce della docenza (disciplinate dall’art. 2, illustrato nella scheda riferita allo stato giuridico) sono consentite a chi, italiano o straniero, abbia conseguito il riconoscimento della maturità scientifica attraverso una procedura di valutazione effettuata da nuclei nazionali di valutazione. I nuclei sono composti da 9 membri, di cui 5 eletti fra i professori universitari di ruolo (con la procedura indicata al comma 2), e 4 sorteggiati nell’ambito di una lista di esperti. Il 50% degli esperti è costituito da personalità di chiara fama e comprovata capacità di ricerca provenienti da paesi dell’Unione europea, indicati dall’autorità scientifica locale corrispondente al CNR (comma 1). I nuclei hanno durata triennale e i membri, al termine del mandato, non possono essere rieletti o sorteggiati per le tre tornate successive (comma 5).
I criteri per la valutazione sono stabiliti con decreto ministeriale, previo parere delle Commissioni parlamentari (comma 3 e art. 1, comma 2). In ogni caso, per conseguire la maturità, è necessario il giudizio favorevole di almeno 7 dei 9 membri (comma 4). Ai sensi del comma 6, la valutazione è espressa tramite un punteggio al quale contribuiscono in parti uguali gli indici bibliometrici internazionali, le prestazioni didattiche e il giudizio dei membri del nucleo. Come nel caso dell’A.C. 3687, la maturità ha validità quadriennale e non dà alcun diritto all’assunzione (comma 4).
L’art. 4 affida alle singole università l’indizione dei concorsi (comma 1) e disciplina esclusivamente due aspetti:
§ la composizione della commissione, formata da sei membri, in parte nominati dall’università (uno dei quali sorteggiato nell’ambito della lista di esperti di cui all’art. 3), in parte sorteggiati dalla lista nazionale dei professori di ruolo del settore disciplinare relativo al concorso bandito (comma 2);
§ la proposta della commissione al termine della procedura, che è limitata ad un solo idoneo per ogni posto bandito (comma 3).
Si ricorda che quest’ultima previsione è già recata, per i concorsi indetti dopo il 30 giugno 2008, dall’art. 4-bis, comma 16, del D.L. 97 del 2008.
L’art. 6 prevede che i criteri generali volti a disciplinare le modalità del reclutamento sono definiti ogni anno con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sulla base di una relazione sulle modalità di reclutamento adottate dalle singole università, che l’ANVUR deve trasmettere annualmente. I criteri fanno particolare riferimento alla mobilità dei docenti e prevedono incentivi per le università che nel reclutamento dei docenti promuovono la mobilità nazionale e internazionale.
L’art. 7, infine, dispone l’abrogazione della L. 230 del 2005, del D.lgs. 164 del 2006 e di tutte le disposizioni che prevedono il ricorso a procedure straordinarie di reclutamento.
Per quanto concerne l’abilitazione scientifica nazionale (art. 10), anzitutto, non si prevede l’intervento di ulteriori atti normativi di disciplina della materia (l’A.C. 3687 prevede, invece, l’intervento di uno o più regolamenti di delegificazione e indica una serie di norme generali regolatrici della materia su aspetti che nell’A.C. 2458 non sono contemplati). Altri aspetti differenti, rispetto all’A.C. 3687, riguardano:
§ la durata triennale (invece che biennale) della Commissione incaricata di valutare i curricula e i titoli scientifici dei candidati (comma 1);
§ il diverso meccanismo di composizione della Commissione, formata da 5 membri, professori universitari di prima fascia (quindi, sono compresi anche i professori straordinari, mentre l’A.C. 3687 – che, all’art. 8, prevede l’abolizione del periodo di straordinariato - contempla solo i professori ordinari) attivi nella ricerca, tutti presenti in una lista compilata dall’ANVUR formata da quanti, in possesso dei requisiti indicati, lo richiedono documentando le loro pubblicazioni scientifiche nell’ultimo quinquennio. Tre di questi membri sono eletti dai professori universitari del settore scientifico-disciplinare e due sono sorteggiati (comma 2) (l’A.C. 3687 prevede, invece, a parità di numero di membri, due differenti meccanismi di sorteggio);
§ la previsione che la Commissione valuti le domande sulla base di criteri qualitativi e quantitativi determinati all’inizio di ogni triennio: non è indicato chi debba formulare questi criteri, ma si esplicita che essi tengono conto anche delle indicazioni fornite da società scientifiche nazionali e internazionali (comma 4) (l’A.C. 3687 affida la disciplina di questo aspetto ad un decreto del MIUR e non sembra prevedere un intervento di definizione periodico);
§ il termine per la conclusione del procedimento, fissato in 60 giorni dalla data di presentazione della domanda (comma 4);
§ la definizione nel testo del progetto di legge dei requisiti per presentare la domanda per conseguire l’abilitazione scientifica relativa alla terza fascia istituita dall’art. 7, relativa ai ricercatori (illustrata nella scheda riferita allo stato giuridico). In particolare, si prevede l’obbligatorietà del possesso del titolo di dottore di ricerca, al contempo dettando, fino al 31 dicembre 2015, una disciplina transitoria. Fino alla data indicata, infatti, possono presentare la domanda anche coloro che hanno svolto per almeno 36 mesi, anche non consecutivi, attività di ricerca come titolari di assegni di ricerca, ricercatori con contratto a tempo determinato o con contratto di formazione, titolari di contratti retribuiti di collaborazione coordinata e continuativa presso università o enti pubblici di ricerca o titolari di rapporti di collaborazione retribuita equipollenti presso università o enti di ricerca stranieri, personale tecnico in servizio a tempo indeterminato presso università o enti pubblici di ricerca (comma 3).
Sostanzialmente simili sono, invece, gli aspetti che riguardano:
§ i limiti alla partecipazione alle commissioni (comma 2, ultimo periodo);
§ le preclusioni in caso di valutazione negativa (comma 4, ultimo periodo);
§ la previsione che il conseguimento dell’abilitazione non dà alcun diritto per il reclutamento in ruolo o la promozione al di fuori delle procedure previste dal progetto di legge (comma 5).
Quanto al reclutamento (art. 9), come nell’A.C. 3687 esso è affidato alle università, sulla base di proprio regolamento (commi 1 e 2).
Le principali differenze attengono ai seguenti aspetti:
§ l’ammissione alla selezione è riservata esclusivamente a chi non è in servizio presso l’università che ha emanato il bando (comma 3, primo periodo) (l’art. 17, comma 4, dell’A.C. 3687 prevede, invece, che almeno un quinto dei posti disponibili di professore di ruolo devono essere riservati a soggetti esterni all’università;
§ la valutazione è esplicitamente comparativa; la selezione è per titoli (come, sostanzialmente, nell’A.C. 3687), ma oltre alla valutazione dei curricula e dei titoli scientifici presentati dai candidati, prevede l’intervento di giudizi, anche comparativi, espressi da esperti italiani e stranieri di riconosciuta fama internazionale, esterni all’ateneo interessato (si presume che i giudizi siano sempre riferiti a curricula e titoli scientifici). Si dispone, inoltre, che la Commissione, che è nominata dal senato accademico, richiede ai candidati inseriti in una lista formulata dopo l’esame dei curricula e dei titoli, di tenere un seminario pubblico sulle proprie ricerche. La valutazione si conclude con una graduatoria di merito, con esclusione di ogni possibilità di posizioni alla pari (non è chiaro se lo svolgimento del seminario abbia una influenza ai fini della formulazione della graduatoria di merito) (comma 5);
§ il reclutamento è deliberato, come nel caso dell’A.C. 3687, dal consiglio di amministrazione, ma sentito il senato accademico, nonché le strutture interne interessate, sulla base della graduatoria di merito e di un eventuale colloquio con i candidati (non è chiaro quali effetti siano collegati all’eventuale colloquio) (comma 6): rispetto all’A.C. 3687, quindi, non vi è un soggetto titolare di proposta;
§ disposizioni specifiche sono poi dettate, a decorrere dal 1° gennaio 2016, per le selezioni per il reclutamento di professori di terza fascia: i candidati devono, infatti, aver conseguito il dottorato di ricerca presso un’altra università, ovvero devono essere stati titolari per almeno 3 anni presso un’altra università di assegni di ricerca, otitolari di borse di studio post dottorato o di altre forme di attività di ricerca retribuita, equivalenti agli assegni di ricerca, presso università o enti di ricerca non italiani o internazionali (comma 4).
L’art. 9 in esame disciplina, inoltre, i trasferimenti e le procedure di promozione dei professori universitari di seconda e terza fascia, abrogando, per il primo aspetto (comma 7) - come anche l’A.C. 3687 (art. 25, comma 8, lett. b) - le disposizioni recate dall’art. 3 della L. 210 del 1998 e indicando, per il secondo aspetto, al comma 8, una nuova procedura.
In base a quest’ultimo, le procedure di promozione sono stabilite dal regolamento di ateneo che disciplina il reclutamento, nel rispetto di alcuni principi. Essi attengono a:
Il comma 9, conclusivamente, prevede che ogni università può procedere in ogni anno solare a un numero complessivo di procedure di promozione non superiore al doppio del numero dei reclutamenti effettuati nell’anno solare precedente.
L’art. 11 reca, infine, disposizioni sull’organico docente. I contenuti del comma 1, relativi alla sostenibilità economica dei reclutamenti, sono, sostanzialmente, raffrontabili con quelli recati dall’art. 17, comma 2, dell’A.C. 3687. Quest’ultimo, però, fa riferimento agli strumenti di programmazione vigenti.
I commi 2 e 3 concernono, invece, il rapporto fra il numero dei professori delle diverse fasce, stabilendo che il numero di professori di prima fascia non può essere superiore a quello dei professori di seconda fascia e quest’ultimo non può essere superiore a quello dei professori di terza fascia. Nel caso in cui non sia così, l’università non può dare corso a reclutamenti o promozioni nella medesima fascia (sul punto si ricorda che interviene, nell’ambito della delega ivi prevista, l’art. 5, comma 4, lett. d), dell’A.C. 3687).
L’art. 13 prevede un reclutamento straordinario di professori di terza fascia (istituita dall’art. 7).
In particolare, dispone che il reclutamento straordinario di ricercatori universitari previsto dall’art. 1, comma 648, della legge finanziaria per il 2007, è trasformato in reclutamento straordinario di professori di terza fascia, da realizzare con le procedure previste dall’articolo 9 del progetto di legge (quindi, previo possesso dell’abilitazione scientifica nazionale). Conseguentemente, si prevede che i termini per l’emanazione dei rispettivi bandi sono prorogati al 30 giugno 2012 (comma 1).
Per il reclutamento si utilizzano le risorse ancora disponibili previste dal comma 650 dell’art. 1 sopra indicato, e sono ulteriormente stanziati 120 milioni di euro per il 2010, 160 milioni di euro per il 2011, 200 milioni di euro per il 2012. A decorrere dal 2013 il finanziamento è consolidato nel FFO (comma 2: la copertura finanziaria è recata dal comma 3).
Si dà qui conto anche del comma 1 dell’art. 15, che non riguarda il reclutamento ma che, come l’art. 17, comma 5, dell’A.C. 3687, disciplina la svolgimento di attività di ricerca presso un’università. Le due differenze riscontrabili con quest’ultima disposizione sono così individuabili:
§ è assente il riferimento, fra i soggetti che possono svolgere attività di ricerca, ai professori a contratto;
§ per quanto concerne gli studenti, non vi sono le specifiche riferite al dottorato di ricerca e ai corsi di laurea magistrale.
Per completezza si ricorda, infine, che l’art. 1, comma 4, della proposta di legge abroga il comma 13 dell’art. 66 del D.L. 112 del 2008 (si veda ante).
Occorre, innanzitutto, evidenziare che l’art. 13 disciplina l’abilitazione per l’ammissione ai concorsi sia per professore che per ricercatore universitario di ruolo (mentre l’A.C. 3687 si riferisce solo ai professori). Inoltre, rispetto all’A.C. 3687 vi sono alcune differenze riferite all’atto per l’adozione delle procedure: si prevede, infatti, che esse siano dettate, entro 2 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (invece che entro 90 giorni previsti dall’A.C. 3687), con decreto del Ministro (invece che con regolamento di delegificazione) - sentito il CUN e previo parere delle Commissioni parlamentari (comma 1) -, che definisce anche il termine entro il quale le commissioni giudicatrici devono esprimere il giudizio (comma 2).
Le principali, ulteriori, differenze, attengono al meccanismo di composizione della Commissione, che è elettivo. Inoltre:i componenti (dei quali non è indicato il numero) devono appartenere esclusivamente alla comunità scientifica nazionaleed eventualmente internazionale; il mandato non è in ogni caso rinnovabile (mentre l’A.C. 3687 prevede il divieto di far parte di ulteriori commissioni per tre anni dalla conclusione del mandato) (comma 2, lett. b)).
Si precisa, inoltre, che la graduatoria degli idonei è definita dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca (comma 3). Al riguardo, l’art. 17 prevede l’istituzione degli albi nazionali di idoneità, articolati per settori scientifico-disciplinari.
Il reclutamento (art. 14), come nell’A.C. 3687, è affidato alle università.
Alle procedure di concorso pubblico per professore universitario possono partecipare i professori ordinari e associati in servizio presso le università italiane, e gli studiosi italiani e stranieri in possesso dell’abilitazione, ma solo per posti banditi da un ateneo diverso da quello di appartenenza (commi 1, 2 e 3). Ai sensi dell’art. 18, quest’ultima previsione non si applica ai concorsi per trasferimenti all’interno dell’ateneo.
Alle procedure di concorso pubblico per i trediversi profili di ricercatore universitario di ruolo (di cui all’art. 23, illustrato nella scheda sullo stato giuridico) possono partecipare i ricercatori universitari in servizio presso le università italiane, i professori e gli studiosi italiani e stranieri in possesso di adeguata qualificazione scientifico-professionale (comma 4). In questo caso non vi sono vincoli relativi all’ateneo.
L’art. 15 detta disposizioni specifiche sulle procedure concorsuali, prevedendo (commi 1 e 2) l’adozione, da parte delle università, di uno specifico regolamento, per il quale vengono indicati i contenuti essenziali. Tra questi, in particolare, si prevede:
Ulteriori disposizioni attengono ai posti di professore universitario di ruolo non coperti entro un triennio dalla vacanza (comma 3), a graduatorie nazionali di idoneità dei ricercatori universitari di ruolo vincitori di pubblico concorso e in attesa di occupazione (comma 4), all’utilizzabilità dell’albo di idoneità per la copertura di posti resisi vacanti dopo l’emanazione dei bandi di concorso(comma 5).
L’art. 16 affida al rettore la competenza ad approvare con proprio decreto, esperito il controllo di legittimità, gli atti di ogni procedura concorsuale e a nominare i vincitori(comma 1) (come già disposto dall’art. 1 della L. 210 del 1998). I vincitori sono assunti in servizio dall’università che ha bandito il concorso (comma 2). La norma, inoltre,prevede che dopo la conferma in ruolo, che deve essere stabilita con decreto del rettore, i professori e i ricercatori sono sottoposti a un giudizio di valutazione dei risultati conseguiti nello svolgimento delle diverse attività (comma 3). Non è esplicitata la finalità di tale valutazione, né a chi spetti.
Degli articoli 17 e 18 si è già detto ante.
L’art. 19 detta disposizioni sulla pianta organica dei professori e dei ricercatori universitari di ruolo prevedendo, per un verso, che essa sia definita ogni tre anni (e, in sede di prima applicazione, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge) con decreto ministeriale, su parere conforme del CUN (comma 1) e, per altro verso, che il numero totale e la distribuzione dei professori e dei ricercatori sono indicati con legge, sentito il parere del CUN, sulla base di motivate richieste dei senati accademici (comma 2). Come si è già detto, l’A.C. 3687 fa riferimento alle procedure di programmazione vigenti.
Infine, l’art. 20 reca disposizioni sulla distribuzione dei professori e dei ricercatori universitari di ruolo nelle sedi universitarie e nelle aree scientifico-disciplinari, che deve essere disposta ogni triennio dal MIUR, sentito il parere del CUN (non è specificato con che tipologia di atto), sulla base dei parametri indicati dal progetto di legge (comma 1).
Con riferimento agli articoli 19 e 20, si ricorda che essi trattano argomento disciplinato, nel DPR 382 del 1980, negli articoli 2, 3 e 5.
L’art. 18 dispone lasperimentazione triennale della tecnica di valutazione fra pari per la selezione dei progetti di ricerca finanziati a carico del Fondo sanitario nazionale e delFondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica (FIRST).
In particolare (comma 1), si prevede che entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge sia emanato un DPCM, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e con il Ministro della salute, per l’applicazione della tecnica di valutazione fra pari ai progetti di ricerca indicati, a valere sulle risorse finanziarie, umane e strumentali disponibili a legislazione vigente.
La valutazione deve essere svolta da comitati composti per almeno un terzo da professionisti operanti all’estero. Non ci sono indicazioni sul numero complessivo di membri del comitato e - almeno esplicitamente - sul relativo ambito di competenza e/o sui criteri di scelta (presenti, invece, in alcune delle disposizioni già vigenti fatte salve dall’art. 18).
Si stabilisce che restino fermi:
§ la possibilità di una disciplina particolare in relazione al Fondo per le agevolazioni alla ricerca;
§ le disposizioni in materia di progetti di ricerca e di ricerca sanitaria svolti da ricercatori di età inferiore a 40 anni recate dalle leggi finanziarie per il 2007 e per il 2008 (che – si ricorda – già prevedono il meccanismo della valutazione fra pari- si veda infra);
§ i vincoli già previsti di destinazione di quote dei suddetti stanziamenti in favore di determinati settori, ambiti di soggetti o finalità, nel rispetto, ove possibile, del principio della tecnica di valutazione fra pari.
Sembrerebbe opportuno chiarire la necessità del terzo periodo del comma 1, in considerazione del fatto che il secondo periodo già fa salve le disposizioni indicate anche nel terzo periodo e, come si è evidenziato, ai progetti in esso considerati già si applica il meccanismo di valutazione fra pari. Nel primo periodo, inoltre, è necessario inserire una virgola dopo le parole “risorse finanziarie”.
Il comma 2, novellando il comma 313 dell’art. 2 della L. finanziaria 2008, prevede che i membri del comitato chiamato a valutare i progetti di ricerca presentati da ricercatori di età inferiore a 40 anni devono essere “in maggioranza” di età inferiore a 40 anni.
Di seguito si procede ad una ricognizione normativa dei progetti di ricerca menzionati nel testo dell’articolo.
Il Fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica (FIRST) è stato istituito dall’articolo 1, commi 870 – 874, della legge finanziaria per il 2007 (L. 296/2006) nello stato di previsione del Ministero dell'università e della ricerca.
Al FIRST confluiscono le risorse:
§ del Fondo per le agevolazioni alla ricerca (FAR).
Il FAR è stato istituito nello stato di previsione del MURST ai sensi dell’art. 5 del D.lgs. 27 luglio 1999, n. 297 che ha provveduto al riordino e alla razionalizzazione dell’intera attività del Ministero dell’università e della ricerca scientifica, ed è stato reso operativo con il DM n. 593 del 2000[274]IlFAR - che a partire dal 2000 ha sostituito il Fondo speciale rotativo per la ricerca applicata (FRA) di cui all'articolo 4 della legge 25 ottobre 1968, n. 1089 - è un fondo a carattere rotativo che opera con le modalità contabili di cui al soppresso FRA. La gestione del Fondo è articolata in una sezione relativa agli interventi nel territorio nazionale e in una sezione relativa ad interventi nelle aree depresse. Con il decreto 15 febbraio 2010[275]si è provveduto alla ripartizione per l’anno 2009 delle risorse del Fondo, che ammontano a € 1.068.980.607,51;
§ del Fondo per gli investimenti della ricerca di base (FIRB).
Il FIRB, di cui all'articolo 104 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, è stato istituito presso il Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica a decorrere dall'esercizio 2001, al fine di favorire l'accrescimento delle competenze scientifiche del Paese e di potenziarne la capacità competitiva a livello internazionale. Il FIRB finanzia, in particolare: a) progetti di potenziamento delle grandi infrastrutture di ricerca pubbliche o pubblico-private; b) progetti di ricerca di base di alto contenuto scientifico o tecnologico, anche a valenza internazionale, proposti da università, istituzioni pubbliche e private di ricerca, gruppi di ricercatori delle stesse strutture; c) progetti strategici di sviluppo di tecnologie pervasive e multisettoriali; d) costituzione, potenziamento e messa in rete di centri di alta qualificazione scientifica, pubblici o privati, anche su scala internazionale. Con il DM 8 marzo 2001 sono stati definiti Criteri e modalità procedurali per l’assegnazione delle risorse finanziarie del Fondo per gli Investimenti della Ricerca di Base. In seguito è poi intervenuto il DM 26 marzo 2004, che ha dettato nuovi criteri e modalità procedurali[276];
§ del Fondo per le aree sottoutilizzate, per quanto di competenza del Ministero dell'università e della ricerca.
Il Fondo – inizialmente di competenza del Ministero dell’economia e delle finanze - è stato istituito a decorrere dal 2003 dall’articolo 61, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria per il 2003) con finalità di riequilibrio economico e sociale. Si ricorda che la stessa legge all’articolo 60, comma 3,haprevisto l’istituzione di un altro Fondo per le aree sottoutilizzate di carattere generale, di competenza del Ministero delle attività produttive (confluito, ai sensi della legge finanziaria 2007, nel Fondo per la competitività e lo sviluppo del Ministero dello sviluppo economico) affidando al CIPE la ripartizione, con proprie deliberazioni, della dotazione di ciascuno dei due fondi tra gli interventi finanziati a valere su di essi. Il Fondo per le aree sottoutilizzate di cui all’art. 61 della legge 289/02 è stato poi trasferito al Ministero dello sviluppo economico a seguito del nuovo assetto della struttura di governo definita dal D.L. n. 181 del 2006[277]. Si segnala, in proposito, il rapporto CIPE del 2009, predisposto sulla base della relazione semestrale del MIUR, con dati aggiornati al 28 febbraio 2009, sugli interventi nel settore della ricerca finanziati con risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS). Nel rapporto si analizza l’effettiva utilizzazione dei fondi assegnati dal Comitato al settore della ricerca dal 2002 al 2006[278] e si identificano le procedure istruttorie e di monitoraggio per i finanziamenti relativi al periodo di programmazione 2007-2013. Nel periodo dal 2002 al 2006, il CIPE ha assegnato risorse alla ricerca per un importo complessivo pari a 2.066,4 milioni di euro.
§ le risorse annuali per i progetti di ricerca di interesse nazionale delle università (PRIN).
Il MIUR cofinanzia ogni anno programmi di ricerca d'interesse nazionale, attraverso la pubblicazione di un bando a ricerca libera.
Si tratta di un nuovo meccanismo di assegnazione di fondi, basato su precisi punti qualificanti: il cofinanziamento, il lavoro di ricerca di gruppo e il principio della valutazione dei progetti di ricerca. I Programmi di ricerca di rilevante interesse nazionale prevedono proposte di ricerca libere e autonome, nell’ambito delle 14 aree disciplinari di cui al D.M. n. 175 del 4 ottobre 2000[279], e privilegiano le proposte che integrano varie competenze e apporti provenienti da Università diverse.
Il decreto ministeriale 19 marzo 2010, n. 51 ha fissato le Procedure per il finanziamento dei Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale (Bando PRIN 2009). In particolare, l’art. 1 del DM prevede che “la selezione delle proposte è curata dal Ministero che si avvale di una Commissione di garanzia che ha la responsabilità della valutazione dei progetti e funzione di garanzia nei confronti della comunità scientifica e del Ministero e che si avvale, per lo svolgimento dei suoi compiti, dell'opera di revisori anche stranieri, selezionati dalla Commissione tra gli esperti appartenenti alla banca dati del Ministero, utilizzando le parole chiave indicate nei progetti e secondo il criterio della "peer review"[280].
Si ricorda, peraltro, che, ai sensi dell’articolo 1, comma 758, della L. finanziaria 2007 il FIRST è finanziato a valere sulle risorse del Fondo per l’erogazione del trattamento di fine rapporto (TFR) istituito presso l’INPS. Il comma 758 prevede, infatti, che le risorse del Fondo, al netto delle risorse necessarie per le finalità previdenziali, sono destinate al finanziamento degli specifici interventi per lo sviluppo indicati nell’elenco 1 allegato alla medesima legge nei limiti degli importi stabiliti dal medesimo elenco[281].
Il Fondo è alimentato in via ordinaria dai conferimenti annualmente disposti dalla legge finanziaria, dai rientri dei contributi concessi sotto forma di credito agevolato e dalle risorse assegnate dal CIPE, nell'ambito del riparto del citato Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS).
La ripartizione delle risorse del Fondo avviene con decreto interministeriale emanato dal Ministro dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, in attuazione delle indicazioni contenute nel Programma nazionale della ricerca di cui al decreto legislativo n. 204 del 1998[282].
La definizione dei criteri di accesso e delle modalità di utilizzo e gestione del Fondo è rimessa a un successivo regolamento ministeriale.
Per la fase di avvio del Fondo e per consentire un impatto più incisivo degli interventi in attuazione del Piano nazionale della ricerca, tenendo conto delle linee strategiche per la competitività e lo sviluppo economico, è stata assegnata al FIRST una dotazione aggiuntiva di 300 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007 e 2008 e di 360 milioni di euro per l'anno 2009(comma 874 della L. finanziaria 2007).
Successivamente, la disciplina del FIRST è stata novellata dall’articolo 13, comma 1, del decreto-legge n. 159/2007[283].
In particolare, la novella ha disposto – introducendo un periodo aggiuntivo all’art. 1, comma 873, della legge finanziaria per il 2007 - che per il triennio 2008-2010 si provvede all’attuazione del medesimo comma con un decreto del Ministro dell’università e della ricerca di natura non regolamentare da emanarsi entro il 30 novembre 2007. Al contempo, è sopravvissuto il periodo del comma 873 che disponeva che fino all’intervento del regolamento trovassero applicazione le disposizioni vigenti per l'utilizzo delle risorse[284].
Infatti, rispondendo all’interrogazione 5-02131 “Sull'operatività del Fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica (FIRST)” nella seduta del 19 gennaio 2010 presso la VII Commissione permanente (Cultura, scienza e istruzione) della Camera, il Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricercaha precisato che in attesa dell'emanazione del suddetto decreto il FIRST è stato utilizzato negli anni 2007, 2008 e 2009 ripartendo le risorse annuali con decreti ministeriali sulla base della normativa previgente.
Tra i decreti annuali di riparto del FIRST (citati e illustrati nella risposta all’interrogazione) si segnala, in particolare, il DM 18 novembre 2009 - pubblicato in Gazzetta lo scorso mese di maggio[285] - con il quale il Ministero ha provveduto al ripartoper l’anno 2009 dellerisorse disponibili del Fondo - pari a € 369.867.985,00 - destinando:
§ € 106.000.000,00 per interventi del PRIN;
§ € 173.867.985,00 per interventi del FAR, di cui un importo non inferiore a € 100.000.000,00 da destinare al cofinanziamento (non superiore al 25% dell'intervento totale) di iniziative afferenti la ricerca industriale, selezionate nell'ambito dei bandi PON, Ricerca e Competitività 2007/2013 per consentire il finanziamento delle attività svolte al di fuori delle regioni della Convergenza;
§ € 90.000.000,00 per interventi del FIRB di cui:
· € 40.000.000,00 destinati ad accordi di cui all'art. 7 del DM. 378/2004;
· € 50.000.000,00 destinati ad iniziative in favore di giovani ricercatori.
Come risulta dal disegno di legge di assestamento per il 2010,attualmente all’esame del Senato (AS 2290), le risorse annuali del FIRST per il 2010 sono ripartite in parti quasi uguali nell’ambito del cap. 7320 del programma “Ricerca scientifica e tecnologica applicata” (80 milioni) e del cap. 7245 appartenente al programma “Ricerca scientifica e tecnologica di base” (83,8) dello stato di previsione del MIUR (tabella 7).
L’art. 12 del d.lgs. n. 502 del 1992[286] ha previsto che una quota pari all'1% del Fondo sanitario nazionale complessivo, da trasferire in appositi capitoli dello stato di previsione del Ministero della sanità, è utilizzata per il finanziamento, fra l’altro, di:
§ attività di ricerca corrente e finalizzata svolta da:
· Istituto superiore di sanità;
· Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro;
· istituti di ricovero e cura di diritto pubblico e privato il cui carattere scientifico sia riconosciuto a norma delle leggi vigenti;
· istituti zooprofilattici sperimentali per le problematiche relative all'igiene e sanità pubblica veterinaria;
§ iniziative previste da leggi nazionali o dal Piano sanitario nazionale riguardanti programmi speciali di interesse e rilievo interregionale o nazionale per ricerche o sperimentazioni attinenti gli aspetti gestionali, la valutazione dei servizi, le tematiche della comunicazione e dei rapporti con i cittadini, le tecnologie e biotecnologie sanitarie e le attività del Registro nazionale italiano dei donatori di midollo osseo.
La medesima disposizione ha previsto che, a decorrere dal 1° gennaio 1995, la quota in questione è rideterminata dalla legge finanziaria.
Per la programmazione, il monitoraggio e la valutazione del complesso dei programmi di ricerca, il Ministero della salute si avvale della Commissione nazionale della ricerca sanitaria, istituita nel 1997.
L’art. 1, comma 814, della L finanziaria per il 2007 (L. 296/2006) - come modificato dall’art. 2, comma 317, della L. finanziaria per il 2008 - ha stabilito che, a decorrere dal 2007, nell'ambito delle risorse del Fondo sanitario nazionale (si veda ante), una quota non inferiore al 5% relativamente al 2007 e al 10% a partire dal 2008 è destinata ai progetti di ricerca sanitaria svolta dai soggetti di cui all’art. 12-bis (regioni, Istituto superiore di sanità, Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro, Agenzia per i servizi sanitari regionali, Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici e privati, Istituti zooprofilattici sperimentali, nonché, sulla base di specifici accordi, contratti o convenzioni, Università, CNR e altri enti di ricerca pubblici e privati, nonché imprese pubbliche e private), presentati da ricercatori di età inferiore ai quaranta anni e previamente valutati, secondo la tecnica di valutazione tra pari, da un comitato. Il comitato è composto da ricercatori, di nazionalità italiana o straniera, di età inferiore ai quaranta anni, operanti, almeno per la metà, presso istituzioni ed enti di ricerca non italiani e riconosciuti di livello eccellente sulla base di indici bibliometrici, quali l'impact factor ed il citation index. L'attuazione è stata demandata ad un DPCM da adottarsi di concerto con il Ministro della salute ed il Ministro dell'università e della ricerca (DPCM 27 luglio 2007).
Il comma 815 ha quantificato l’onere derivante dall'istituzione e dal funzionamento del comitato di cui al comma 814 nel limite massimo di 100.000 euro annui.
L’art. 2, comma 313, della L. finanziaria per il 2008 (L. 244/2007) ha previsto che, a decorrere dal 2008, una quota non inferiore al 10 per cento dello stanziamento complessivo del FIRST è destinata ai progetti di ricerca di base presentati da ricercatori di età inferiore ai quaranta anni operanti a qualunque titolo in attività di ricerca e previamente valutati, secondo il metodo della valutazione tra pari, da un comitato. Il comitato è composto da ricercatori, di nazionalità italiana o straniera, di età inferiore ai quaranta anni e riconosciuti di livello eccellente sulla base di indici bibliometrici, quali l’impact factor ed il citation index, e operanti presso istituzioni ed enti di ricerca, almeno per la metà non italiani, che svolgono attività nei settori disciplinari relativi alla ricerca scientifica e tecnologica.
Il comma 314 ha demandato l’attuazione delle disposizioni recate dal comma 313 ad un decreto del Ministro dell’università e della ricerca, mentre il comma 315 ha quantificato l’onere derivante dall’istituzione e dal funzionamento del comitato di cui al comma 313 nel limite massimo di 100.000 euro annui, stabilendo che alla sua copertura si provvede mediante incremento delle aliquote di base per il calcolo dell’imposta sui tabacchi lavorati destinati alla vendita al pubblico nel territorio soggetto a monopolio.
In relazione agli indici bibliometrici citati dalle due disposizioni, si ricorda che l'impact factor (IF) è un sistema di misurazione che determina la frequenza attraverso cui un articolo è citato in un anno o periodo determinato ed è calcolato dividendo il numero di citazioni dell’anno corrente per il numero di articoli pubblicati in un periodo di tempo anteriore[287]. L'IF è uno dei più utilizzati indicatori bibliometrici per valutare la produzione scientifica, pur essendo un criterio meramente quantitativo, poiché non permette di distinguere se un articolo abbia ricevuto citazioni positive o negative: dal punto di vista del fattore di impatto è, infatti, sufficiente che un articolo sia citato. Il citation index indica quante volte un articolo di un autore è citato da un altro autore; il numero di citazioni successive di un lavoro è indice della sua importanza.
Si illustrano in questa scheda anche alcune disposizioni presenti in proposte di legge abbinate che riguardano progetti di ricerca e relative incentivazioni, anche se tali previsioni non sono unicamente connesse alla valutazione e, quindi, non sono immediatamente raffrontabili con l’art. 18 dell’A.C. 3687: ciò, al fine di consentirne una più agevole lettura alla luce della ampia ricognizione normativa sui programmi di ricerca ante riportata.
L’A.C. 1143, composto di un unico articolo, reca disposizioni per lo svolgimento di progetti di ricerca scientifica diretti da giovani ricercatori.
In particolare, dispone che il MIUR ogni anno bandisce contratti di ricerca scientifica quadriennali, rinnovabili una sola volta per un ulteriore biennio, da assegnare ai migliori progetti presentati da giovani ricercatori italiani e stranieri, che assumono la qualità di responsabili scientifici (“leader scientifici”) (comma 1).
Ai contratti è destinata una quota pari al 10 per cento del FIRST (comma 2).
Il bando garantisce procedure celeri e trasparenti e assicura che l’attività possa avere inizio entro il 30 settembre dell’anno solare di riferimento (comma 3).
Il progetto può essere presentato da chi abbia conseguito il titolo di dottore di ricerca – o titolo equivalente rilasciato da un’università straniera – da non più di otto anni (comma 4) e deve essere svolto in Italia presso un’università o un ente pubblico di ricerca (comma 5).
La valutazione scientifica e la congruità economica dei progetti è effettuata da comitati di esperti nella materia - con la metodologia della valutazione fra pari e con garanzia di anonimato del giudizio- costituiti dall’ANVUR e composti da ricercatori di alto livello internazionale, provenienti per almeno la metà da università o centri di ricerca non italiani (commi 10 e 11).
Il contratto è stipulato fra il MIUR, l’ente scelto e il leader scientifico. A quest’ultimo spetta ogni decisione circa la ricerca el’uso dei fondi assegnati, anche in deroga allo statuto e ai regolamenti dell’istituto presso il quale il progetto è svolto, nel rispetto dalla Carta europea dei ricercatori(comma 6).
Il corrispettivo economico di ogni contratto non può essere superiore a un milione di euro. Qualora il leader scientifico decida di cambiare l’istituzione presso cui svolgere il progetto, il finanziamento residuo è trasferito alla nuova sede del progetto (comma 7).
Il contratto prevede il pagamento di tutte le spese dalla ricerca (compreso il compenso del leader scientifico, che non può essere superiore a 1/3 della rata annualedel contratto) e stabilisce la quota annuale che viene trattenuta dall’istituzione a titolo di rimborso forfetario delle spese sostenute per lo svolgimento della ricerca. Il leader scientifico èimpegnato a tempo pieno nella ricerca e non può svolgere alcuna attività di lavoro autonomo o indipendente (commi 8 e 9).
I risultati di ogni progetto sono valutati al termine del primo biennio da parte di esperti nominati dall’ANVUR. In caso di giudizio negativo, il contratto è revocato e il finanziamento residuo è restituito al MIUR. Il rinnovo del contratto è subordinato alla valutazione positiva dei risultati e alla disponibilità di risorse economiche (comma 12).
Le imprese che concorrono al finanziamento dei progetti di ricerca usufruiscono del credito di imposta (comma 13).
L’A.C. 2330 reca disposizioni per incentivare l’assunzione da parte delle università italiane di ricercatori operanti all’estero e, a tal fine, prevede che il MIUR promuove la Fondazione denominata “Per una ricerca italiana del merito e dell’eccellenza” (PRIME).
Lo scopo della Fondazione, in particolare, è quello di valutare e finanziare progetti presentati da ricercatori che hanno operato o operano all’estero, da realizzare in cooperazione con università italiane (art. 1).
La Fondazione può usufruire, oltre che dei finanziamenti del MIUR, e di eventuali donazioni, anche di fondi pubblici e privati di provenienza nazionale o internazionale. Le risorse destinate alla Fondazione - che comprendono la quota del FFO destinata al programma di rientro dei ricercatori italiani dall’estero[288] - sono iscritte nello stato di previsione del MIUR (art. 2).
Le somme conferite alla Fondazione possono essere detratte ai fini fiscali dall’imponibile dei soggetti privati che intervengono, mentre i soggetti privati che concorrono al finanziamento delle borse di studio fruiscono del credito di imposta (art. 3).
Possono aderire alla Fondazione - che si doterà di un proprio statuto -, a seguito del conferimento di una quota annuale, soggetti privati e istituzionali. Sono organi della Fondazione l’assemblea dei soci, la presidenza e il tesoriere. Dell’assemblea fanno parte, come soci consultivi, i docenti assunti nelle università italiane a seguito della realizzazione di progetti finanziati dalla Fondazione. Della presidenza fanno parte di diritto un rappresentante del MIUR e uno del CNR (art. 4).
La Fondazione istituisce un comitato scientifico composto da 5 esperti di rinomata qualificazione scientificache operano in ambito internazionale, non dipendenti da università italiane.Fra i membri, tre sono provenienti dall’estero – indicati dallo European Science Council –, uno è indicato dal CNR e uno dal Presidente della Fondazione.
Il comitato ha competenza esclusiva nella scelta dei progetti da finanziare. A tal fine, dopo aver operato una preselezione, il comitato procede alla scelta sulla base di una valutazione effettuata, con il metodo della valutazione fra pari, da esperti internazionali esterni alla Fondazione.
Il giudizio sui risultati scientifici di ogni progetto ammesso a finanziamento è espresso dai membri del comitato scientifico che non hanno concorso alla decisione di finanziarlo. Anche il giudizio è formulato sulla base di una valutazione effettuata, con il metodo della valutazione fra pari, da esperti internazionali esterni alla Fondazione (art. 5).
I progetti di ricerca proposti alla Fondazione attengono alla ricerca scientifica relativa ad ogni disciplina, da realizzare in ambito nazionale o internazionale. I bandi, che devono essere pubblicizzati in italiano e inglese, devono indicare i criteri di valutazione dei progetti. Le domande devono essere corredate da una dichiarazione di impegno di una università italiana a rendere disponibili strutture adeguate alla realizzazione del progetto.
La Fondazione definisce il programma annuale tenendo conto degli orientamenti dei programmi nazionali di ricerca (art. 6).
Essa conferisce borse di studio sulla base della qualità del progetto, del suo livello di fattibilità e del curriculum scientifico del coordinatore del gruppo di ricerca. Le borse – di durata non superiore a 5 anni –sono di due tipi: le borse junior sono assegnate a candidati che non hanno superato 35 anni, che hanno conseguito il dottorato di ricerca da non più di 7 anni, e che hanno esercitato attività di ricerca all’estero per almeno 3 anni continuativi. Le borse senior sono assegnate a candidati che hanno conseguito il dottorato di ricerca e che hanno esercitato attività di ricerca all’estero per almeno 5 anni continuativi. Gli importi annui delle borsenon possono superare 250.000 euro nel primo caso e 400.000 euro nel secondo.
Il comitato scientifico può derogare ai requisiti temporaliprevisti per le esperienze all’estero nei limiti ivi indicati.
Possono essere ammessi a parziale finanziamento i progetti di ricerca promossi da enti pubblici e da soggetti privati che garantiscono l’integrale copertura degli oneri, nonché i progetti di ricerca specifici o a tempo determinato instaurati da università italiane ai sensi dei commi 12 e 14 dell’art. 1 della L. 230 del 2005 (art. 7). (Si ricorda che il citatocomma 14 è abrogato dall’art. 25 dell’A.C. 3687).
I coordinatori dei progetti devono svolgere un’attività continuativa e a tempo pieno presso l’università ospitante e attività didattiche, in misura non inferiore, a seconda del tipo di borsa, a 30 e a 60 ore per ciascun anno accademico di durata del contratto. I beneficiari delle borse di studio presentano ogni anno all’università ospitante e alla Fondazione una relazione sull’attività di ricerca e didattica svolta e sullo stato di avanzamento del progetto. L’università ospitante, che deve mettere a disposizione le proprie strutture, riceve dalla Fondazione, oltre al rimborso delle spese di organizzazione, un compenso del 10 per centodel valore di ogni borsa per l’attività di coordinamento svolta. Gli eventuali proventi conseguiti con i brevetti dell’attività di ricerca sono attribuiti all’università in cui è stato terminato il progetto (art. 8).
Al riguardo si ricorda che l’articolo 63 del Codice della proprietà industriale (D.lgs. 30/2005 e successive modificazioni[289]) sancisce il principio generale secondo cui il diritto al brevetto per invenzione industriale spetta all'autore dell'invenzione.
Peraltro il successivo articolo 64 afferma che, qualora l'invenzione industriale avvenga nell'ambito di un contratto o di un rapporto di lavoro o d'impiego (con un’azienda pubblica o privata dunque) in cui l'attività inventiva è prevista come oggetto del contratto o del rapporto e a tale scopo retribuita, i diritti derivanti dall'invenzione stessa appartengono al datore di lavoro, salvo il diritto spettante all'inventore di esserne riconosciuto autore. Invece, se non è prevista e stabilita una retribuzione in compenso dell'attività inventiva, e l'invenzione è fatta nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o di impiego, i diritti derivanti dall'invenzione appartengono al datore di lavoro, ma all'inventore, salvo sempre il diritto di essere riconosciuto autore, spetta, qualora il datore di lavoro o suoi aventi causa ottengano il brevetto o utilizzino l'invenzione in regime di segretezza industriale, un equo premio per la determinazione del quale si terrà conto dell'importanza dell'invenzione, delle mansioni svolte e della retribuzione percepita dall'inventore, nonché del contributo che questi ha ricevuto dall'organizzazione del datore di lavoro.
Tuttavia, al fine di incentivare la ricerca, l’articolo 65 considera l’ulteriore caso particolare delle invenzioni dei ricercatori delle università e degli enti pubblici di ricerca e, derogando all’articolo 64, dispone la titolarità esclusiva in capo al ricercatore dei diritti derivanti dall'invenzione brevettabile di cui è autore. I diritti non spettano invece al ricercatore, ai sensi del comma 5 del medesimo articolo, quando le ricerche sono finanziate, in tutto o in parte, da soggetti privati ovvero realizzate nell'ambito di specifici progetti di ricerca finanziati da soggetti pubblici diversi dall'università, ente o amministrazione di appartenenza del ricercatore.
Al termine del periodo previsto dalle borse di studio, il coordinatore del progetto, se il giudizio del comitato scientifico è positivo, può chiedere al CUN una dichiarazione di idoneità all’insegnamento universitario. Le università che hanno concorso alla realizzazione dei progetti finanziati dalla Fondazione assumono a chiamata diretta i coordinatori dei progettiin possesso della dichiarazione di idoneità, con la qualifica di professori associati (nel caso di coordinatori junior) e di professori ordinari (nel caso di coordinatori senior).
Il MIUR destina ogni anno una quota fino al 5 per cento del FIRST per incentivare l’assunzione nelle università italiane di ricercatori che hanno ricevuto finanziamenti dalla stessa Fondazione. La quota è trasferita alla Fondazione che definisce nel programma annuale i criteri di attribuzione degli incentivi alle università (art. 9).
Ogni anno la Fondazione presenta al MIUR una relazione informativa sull’attivitàsvolta. Decorsi 10 anni, la Fondazione presenta una relazione al Governo. Quest’ultimo, sentite le competenti Commissioni parlamentari, decide in ordine alla prosecuzione dell’attività, ovvero allo scioglimento, della Fondazione (art. 10).
Occorre chiarire se lo stanziamento di cui all’art. 2, comma 3, è costituito solo dalla quota del FFO destinata al programma per incentivare il rientro di ricercatori italiani dall’estero – come afferma la relazione illustrativa – o se comprende quote ulteriori (come letteralmente si deduce dal testo della disposizione): in questo secondo caso, occorre indicare le modalità di copertura degli oneri.
Si evidenzia, inoltre, che la disposizione recata dall’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 9 risulta superata dalle modifiche intervenute sul comma 9 dell’art. 1 della L. 230 del 2005 ad opera dell’art. 1-bis del D.L. 180/2008.
L’art. 3 reca disposizioni sui progetti di ricerca di interesse nazionale (PRIN).
Esso prevede che una quota non inferiore al 50 per cento dell’ammontare annuo del FIRST è destinata al programma di finanziamento di ricerche di interesse nazionale liberamente proposte dalle università e dagli enti di ricerca pubblici (comma 1).
La valutazione scientifica e la congruità economica dei progetti presentati sono effettuate da comitati di esperti mediante il metodo della valutazione fra pari da parte di revisori indipendenti, in modo anonimo. Ogni comitato è nominato dall’ANVUR e valuta i progetti afferenti ad ambiti disciplinari predeterminati sulla base delle esperienze europee. I componenti sono ricercatori il cui alto livello internazionale è comprovato da indicatori bibliometrici significativi e almeno la metà di essi deve far parte di università o di centri di ricerca non italiani (comma 2).
E’ opportuno chiarire se si intende proporre un superamento delle 14 aree disciplinari individuate con il DM n. 175 del 4 ottobre 2000.
L’articolo 16 reca disposizioni in materia di progetti di ricerca di giovani ricercatori, in molti passaggisimili a quelle già illustrate per l’A.C. 1143.
In questo caso, si prevede che il MIUR bandisca ogni anno almeno 500 finanziamenti di ricerca triennali, a valere sul FIRST, rinnovabili una sola volta.
La selezione è effettuata dai comitati di cui all’art. 3: sono scelti i progetti migliori presentati da soggetti che hanno conseguito il dottorato di ricerca – o un titolo equipollente anche conseguito all’estero – da non più di tre anni (nell’A.C. 1143, 8 anni) e che non sono professori o ricercatori universitari, né ricercatori o dirigenti di ricerca presso enti pubblici di ricerca.
Il progetto di ricerca è svolto in Italia presso un’università o un ente pubblico di ricerca indicato dal responsabile scientifico del progetto con il consenso dell’istituzione. Anche in questo caso, il responsabile è impegnato a tempo pieno nell’attività di ricerca e non può svolgere alcuna altra attività autonoma o dipendente.
Il finanziamento della ricerca (del quale, a differenza dell’A.C. 1143, non si indica un importomassimo) comprende la copertura delle spese della relativa attività ed è versato all’istituzione presso cui si svolgel’attività: ogni decisione sulla ricerca e sull’utilizzo dei fondi assegnati spetta però al responsabile scientifico del progetto, inclusa l’eventuale decisione di svolgere all’estero una parte della ricerca,anche in deroga allo statuto e ai regolamenti dell’istituzione. Se il responsabile decide di cambiare l’istituzione, il finanziamento residuo è trasferito alla nuova sede (commi 1-3).
I risultati di ogni progetto sono sottoposti a valutazione da parte di esperti nominati dall’ANVUR, anche in corso di svolgimento. Le conseguenze di un giudizio negativo e le condizioni per il rinnovo sono le stesse già viste per l’A.C. 1143 (comma 4).
Il comma 1 di tale articolo, in armonia con la rubrica dello stesso, prevede l’istituzione nello stato di previsione del MIUR, a decorrere dal 2010, di un fondo integrativo per il finanziamento dei progetti di ricerca di rilevante interesse, con una dotazione annua di 200 milioni di euro.
Si presume che ci si voglia riferire ai Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale (PRIN).
E’ necessario, al riguardo, fornire un chiarimento. Si segnala, inoltre, che non è individuata la modalità di copertura finanziaria dell’onere recato dal comma 1.
Il comma 2 prevede che i fondi per i progetti di ricerca universitaria sono ripartiti fra le strutture organizzative universitarie di primo livello secondo criteri generali resi noti nel bilancio preventivo di ogni ateneo. L’attribuzione dei finanziamenti ai singoli gruppi di ricerca o a progetti di ricerca individuale è fatta in base alla valutazione dell’interesse della ricerca proposta. Se si tratta di ricerca individuale e il richiedente è in servizio presso l’ateneo da più di 3 anni, è valutata anche la produttività scientifica dell’ultimo triennio, secondo criteri determinati da un apposito regolamento universitario.
Il comma 2 sembra, dunque, riguardare i meccanismi generali di ripartizione dei finanziamenti all’interno degli atenei.
L’articolo 19 reca una nuova disciplina per il conferimento degli assegni di ricerca, modificando, tra l’altro, i requisiti per l’accesso e la durata degli assegni e applicando le disposizioni vigenti in materia di astensione obbligatoria per maternità e in materia di congedo per malattia.
Conseguentemente, l’art. 25, comma 8, lettera d), del progetto di legge abroga l’art. 51, comma 6, della L. n. 449 del 1997.
L’art. 51, comma 6, della legge n. 449 del 1997[290] ha previsto che, nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio e assicurando adeguate procedure di valutazione comparativa e la pubblicità degli atti, le università, gli osservatori astronomici, astrofisici e vesuviano, l’ENEA, l’ASI, gli enti pubblici e le istituzioni di ricerca[291], nonché il Corpo forestale dello Stato, possono conferire assegni per la collaborazione ad attività di ricerca.
Possibili destinatari sono dottori di ricerca o laureati – con esclusione del personale di ruolo delle istituzioni indicate – in possesso di curriculum scientifico professionale idoneo per lo svolgimento di attività di ricerca.
Gli assegni hanno durata non superiore a quattro anni e possono essere rinnovati nel limite massimo di otto anni con lo stesso soggetto, ridotti a quattro se il titolare ha usufruito della borsa per il dottorato di ricerca.
Non è ammesso il cumulo con borse di studio, tranne quelle concesse da istituzioni nazionali o straniere utili ad integrare, con soggiorni all'estero, l'attività di ricerca. Al contempo, il titolare di assegni può frequentare corsi di dottorato di ricerca[292]. Il titolare in servizio presso amministrazioni pubbliche può essere collocato in aspettativa senza assegni.
I titolari degli assegni godono di particolari agevolazioni fiscali e previdenziali[293]. Gli assegni – nonché i contratti che possono essere stipulati per specifiche prestazioni previste da programmi di ricerca – non danno luogo a diritti in ordine all'accesso ai ruoli dei soggetti che conferiscono gli incarichi.
L’importo degli assegni di ricerca è determinato con decreti del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica[294].
Oltre agli assegni di ricerca finanziati autonomamente da università o istituzioni di ricerca, l’art. 5, comma 1, della già citata L. n. 370 del 1999 ha autorizzato, a decorrere dal 2001, la spesa di 51,5 miliardi di lire annui (pari a circa 26,6 milioni di euro) per il cofinanziamento di stanziamenti destinati dagli atenei per l'attivazione di assegni di ricerca, ai sensi dell'art. 51, comma 6, della L. 449/1997[295]. L'importo è ripartito secondo criteri determinati con decreti del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, tenendo conto delle esigenze di potenziamento dell'attività di ricerca delle università. I medesimi decreti prevedono altresì le modalità di controllo sistematico e di verifica dell'effettiva attivazione degli assegni.
Alla scadenza del termine di durata dell'assegno, apposite commissioni istituite dagli atenei formulano un giudizio sull'attività di ricerca svolta dal titolare, anche ai fini del rinnovo.
In particolare, il comma 1 dell’articolo 19 stabilisce che, nell’ambito delle relative disponibilità di bilancio, possono conferire assegni per lo svolgimento di attività di ricerca:
Con riferimento ad istituzioni ed enti pubblici di ricerca e sperimentazione, la norma – a differenza dell’art. 20, comma 1, che si riferisce esplicitamente all’art. 8 del DPCM 593/1993 (per il cui contenuto, si veda ante) – non rimanda ad alcuna disposizione. Peraltro, si ricorda che la composizione del comparto delle istituzioni e degli enti di ricerca e sperimentazione, di cui al Contratto collettivo quadro per la definizione dei comparti di contrattazione per il quadriennio 2006-2009[298], risulta differente dall’elenco di enti pubblici e istituzioni di ricerca riportato dal citato DPCM del 1993.
Sembrerebbe, pertanto, opportuno un chiarimento in merito all’ambito di applicazione.
L’art. 74, quarto comma, del DPR 382 del 1980prevede che con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca possono essere stabilite eventuali equipollenze con il titolo di dottore di ricerca dei diplomi di perfezionamento scientifico rilasciati dall'Istituto universitario europeo, dalla Scuola normale superiore di Pisa, dalla Scuola superiore di studi universitari e di perfezionamento di Pisa, dalla Scuola internazionale superiore di studi avanzati di Trieste e da altre scuole italiane di livello post-universitario e che siano assimilabili ai corsi di dottorato di ricerca per strutture, ordinamento, attività di studio e di ricerca e numero limitato di titoli annualmente rilasciati. La disciplina per il rilascio dei provvedimenti di equipollenza è stata emanata con D.M. 6 agosto 1998[299][300].
Sempre ai sensi del comma 1, i bandi per il conferimento degli assegni contengono informazioni dettagliate sulle specifiche funzioni, sui diritti e i doveri relativi alla posizione, e sul trattamento economico e previdenziale spettante, e sono resi pubblici anche per via telematica sui siti dell’ateneo, del MIUR e dell’Unione europea.
Per quanto concerne i requisiti soggettivi, il comma 2 prevede che possono essere destinatari degli assegni studiosi – e non più, quindi, esclusivamente dottori di ricerca o laureati – in possesso di curriculum scientifico professionale idoneo allo svolgimento di attività di ricerca. Tuttavia, è facoltà dei soggetti che conferiscono gli assegni introdurre nel bando, quale requisito obbligatorio per l’ammissione, il possesso del titolo di dottore di ricerca (o di un titolo equivalente conseguito all’estero) ovvero, per i settori pertinenti, di un titolo di specializzazione di area medica, corredato da adeguata produzione scientifica. Si conferma, invece, che non possono essere destinatari degli assegni di ricerca i dipendenti di ruolo delle istituzioni che emanano i bandi.
Al riguardo, si valuti se non sia opportuno introdurre esplicitamente quale requisito di partecipazione il possesso di un diploma di laurea magistrale.
La durata degli assegni viene ridotta e resa flessibile: gli assegni possono avere una durata compresa fra 1 e 3 anni (la normativa vigente non prevede un limite minimo)e sono rinnovabili fino ad un limite massimo complessivo di 4 anni (in luogo degli 8, ridotti a 4 se il titolare ha usufruito della borsa per il dottorato di ricerca, fissati dalla normativa vigente). Dal computo totale è escluso il periodo di fruizione dell’assegno coincidente con la frequenza del dottorato di ricerca – senza borsa di studio[301] –, nel limite massimo della durata legale del relativo corso (comma 3).
Al riguardo, si ricorda che l’art. 4 della già citata L. n. 210 del 1998 ha stabilito che le università, con proprio regolamento, disciplinano l’istituzione dei corsi di dottorato, le modalità di accesso e di conseguimento del titolo, gli obiettivi formativi, il relativo programma di studi e la durata.
Il regolamento in materia di dottorato di ricerca, emanato con D.M. 30 aprile 1999, ha precisato che i corsi di dottorato hanno durata non inferiore a tre anni[302].
In seguito, l’art. 3, c. 8, del DM n. 270 del 2004 ha confermato l’applicabilità ai corsi di dottorato di ricerca delle disposizioni contenute all’art. 4 della L. 210/1998, fatto salvo quanto previsto dall'art. 6, c. 5 e 6, del medesimo DM, concernenti le modalità di accesso ai corsi[303].
Poiché, dunque, non sussiste una durata univoca e prefissata per i corsi di dottorato di ricerca, si valuti l’opportunità di sostituire le parole “durata legale del relativo corso” con le parole “durata prevista dai rispettivi ordinamenti didattici per il relativo corso”.
Con riferimento alle situazioni di incompatibilità, il medesimo comma 3 conferma la non cumulabilità degli assegni con borse di studio a qualsiasi titolo conferite, ad eccezione di quelle concesse da istituzioni nazionali o straniere utili ad integrare, con soggiorni all'estero, l'attività di ricerca dei titolari di assegni. Si precisa, inoltre, che la titolarità dell’assegno non è compatibile con la partecipazione – sia in Italia che all’estero – a corsi di laurea, laurea specialistica o magistrale, dottorato di ricerca con borsa di studio[304] e specializzazione medica[305], e che essa comporta (necessariamente) il collocamento in aspettativa senza assegni del dipendente in servizio presso amministrazioni pubbliche.
Il comma 4 stabilisce che le modalità di conferimento degli assegni sono rimesse ai singoli soggetti che le disciplinano con apposito regolamento, prevedendo la possibilità di attribuire gli stessi attraverso:
§ pubblicazione di un unico bando relativo a tutte le aree scientifiche di interesse dell’ateneo.
In tale fattispecie, i progetti di ricerca – proposti direttamente dai candidati e corredati di titoli e pubblicazioni – sono valutati da un’unica commissione che può avvalersi (senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica) di esperti revisori di elevata qualificazione esterni all’ateneo (italiani o stranieri). La commissione, sulla base dei punteggi attribuiti, predispone una graduatoria per ciascuna area scientifica;
Si osserva che mentre l’alinea del comma 4 fa riferimento ai “soggetti di cui al comma 1”, nei quali sono inclusi atenei, enti di ricerca e altre istituzioni, alle lettere a) e b), concernenti la procedura, il riferimento è solo agli atenei.
Con riguardo al trattamento fiscale e previdenziale applicabile agli assegni di ricerca,il comma 5conferma l’esenzione dei richiamati assegni dall’ILOR e dall’IRPEF – con regime analogo, quindi, a quello previsto per le borse di studio – mentre, sotto il profilo previdenziale, si ribadisce l’obbligo di iscrizione dei percettori degli assegni alla Gestione separata INPS, di cui all’articolo 2, commi 26-33, della L. n. 335 del 1995[306].
Si ricorda che i richiamati commi hanno previsto l'estensione dell'Assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti ad alcune categorie di lavoratori autonomi o parasubordinati la cui attività non risultava coperta da assicurazione previdenziale, istituendo, dal 1° gennaio 1996, una apposita Gestione separata, presso l’INPS, cui sono tenute ad iscriversi specifiche categorie di lavoratori, con conseguente obbligo di versamento contributivo[307]. La contribuzione è dovuta anche all'INAIL per effetto dell'entrata in vigore del D.lgs. 38/2000.
Inoltre, il medesimo comma 5 dispone l’applicabilità del D.M. 12 luglio 2007 in materia di astensione obbligatoria per maternità e dell'art. 1, comma 788, della legge finanziaria per il 2007 in materia di congedo per malattia.
L’art. 1, comma 788, della L. n. 296 del 2006 ha disposto che, a decorrere dal 1° gennaio 2007, ai lavoratori a progetto e categorie assimilate iscritti alla gestione separata di cui all'art. 2, comma 26, della L. n. 335 del 1995, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, è corrisposta un'indennità giornaliera di malattia a carico dell'INPS entro il limite massimo di giorni pari a un sesto della durata complessiva del rapporto di lavoro e comunque non inferiore a venti giorni nell'arco dell'anno solare, con esclusione degli eventi morbosi di durata inferiore a quattro giorni[308]. La misura della predetta prestazione è pari al 50 per cento dell'importo corrisposto a titolo di indennità per degenza ospedaliera previsto dalla normativa vigente per tale categoria di lavoratori. Resta fermo, in caso di degenza ospedaliera, il limite massimo indennizzabile di centottanta giorni nell'arco dell'anno solare[309]. Le prestazioni sono finanziate a valere sul contributo previsto dall'art. 84 del D.Lgs. n. 151 del 2001[310].
Il comma 791 del medesimo articolo della L. finanziaria 2007 – modificando l’art. 64 del D.Lgs. 151/2001 – ha, altresì, stabilito che con decreto ministeriale fosse disciplinata l’applicazione alle lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della L. 335/1995 delle norme a tutela e sostegno della maternità e paternità.
In attuazione di tale disposto, è intervenuto il D.M. 12 luglio 2007, emanato dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.
In particolare, il decreto ha esteso il divieto, da parte dei datori di lavoro, di adibire al lavoro specifiche categorie di lavoratrici iscritte alla gestione separata INPS per il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro a seguito di gravidanza, stabilito dall’art. 16 del D.lgs. 151 del 2001 (2 mesi antecedenti il parto e 3 mesi successivi, salvo la facoltà di astenersi un mese prima e 4 mesi dopo il parto).
Si osserva che il comma 788 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006 non è stato oggetto di modificazioni.
La copertura finanziaria delle disposizioni recate dal comma 5 dell’art. 19, valutata in 20 milioni di euro a decorrere dal 2010, è indicata nell’art. 25, comma 11, secondo periodo, del progetto di legge. (Per completezza si ricorda, invece, che il primo periodo del comma 11 indicato prevede la riduzione dell’autorizzazione di spesa per il cofinanziamento degli assegni di ricerca - di cui all’art. 5, comma 1, della L. 370 del 1999 - in sede di attuazione della delega per la revisione del trattamento economico dei ricercatori non confermati a tempo indeterminato nel primo anno di attività, di cui all’art. 5, comma 3, lett. f).
L’importo degli assegni viene determinato direttamente dall’ateneo, anche se sulla base di un importo minimo stabilito con decreto del Ministro (comma 6).
Come già disposto dalla normativa vigente, si conferma che gli assegni non danno luogo a diritti in ordine all'accesso ai ruoli dei soggetti che li conferiscono (comma 7).
Il comma 8 prevede che la durata complessiva dei rapporti instaurati con il medesimo soggetto, in quanto titolare degli assegni di ricerca e dei contratti a tempo determinato – di cui all’art. 21 –, non può essere superiore a 10 anni. Il divieto sussiste anche nel caso di rapporti non continuativi o intercorsi con soggetti differenti (atenei statali, non statali o telematici, ovvero enti indicati al comma 1). Ai fini del calcolo complessivo non rilevano i periodi trascorsi in aspettativa per maternità o per motivi di salute.
Al fine di evitare dubbi interpretativi, si valuti l’opportunità di sostituire, al comma 8, la locuzione:
“La durata complessiva dei rapporti instaurati con i titolari degli assegni di cui al presente articolo e dei contratti di cui all’articolo 21, intercorsi anche con atenei diversi, statali, non statali o telematici, nonché con gli enti di cui al comma 1 del presente articolo, con il medesimo soggetto” con le seguenti: “La durata complessiva dei rapporti instaurati con il medesimo soggetto, titolare degli assegni di cui al presente articolo e dei contratti di cui all’articolo 21, intercorsi anche con atenei diversi, statali, non statali o telematici, nonché con gli altri soggetti di cui al comma 1 del presente articolo”.
Il comma 2 dell’art. 15 dell’A.C. 2458 – che sostituisce il comma 6 dell’art. 51 della L. 449 del 1997 - si differenzia dall’art. 19 dell’A.C. 3687 sopra illustrato per i seguenti, principali, aspetti:
§ si conferma, rispetto alla situazione normativa vigente, che gli assegni sono conferiti mediante procedura di valutazione comparativa;
§ si prevede quale requisito obbligatorio per poter essere destinatario di assegno il possesso del titolo di dottore di ricerca (o equipollente);
§ si fissa in sei anni il limite massimo di rinnovo (uguale, rispetto all’A.C. 3687 è, invece, la durata, compresa fra 1 e 3 anni);
§ per il dipendente pubblico che fruisca dell’assegno non è obbligatorio il collocamento in aspettativa (quindi, si conferma il regime vigente);
§ si specifica che ai titolari degli assegni si applicano i trattamenti previdenziali e assistenziali del personale assunto a tempo determinato nella stessa università o ente, sulla base di accordi aggiuntivi ai contratti collettivi nazionali di lavoro;
§ si prevede che i titolari degli assegni possono svolgere attività didattica integrativa, per un impegno annuo non superiore a 80 ore.
L’articolo 20 disciplina due tipologie di contratti per attività di insegnamento.
Conseguentemente, l’art. 25, comma 8, lettera c), del progetto di legge abroga l’art. 1, comma 10, della L. n. 230 del 2005.
L’art. 1, comma 10, della L. n. 230 del 2005 stabilisce che le università, sulla base delle proprie esigenze didattiche e nell’ambito delle relative disponibilità di bilancio, previo espletamento di procedure che assicurino la valutazione comparativa dei candidati e la pubblicità degli atti, possono conferire nei corsi di studio incarichi di insegnamento, anche pluriennali, gratuiti o retribuiti, a soggetti italiani e stranieri in possesso di adeguati requisiti scientifici e professionali e a soggetti incaricati all’interno di strutture universitarie che abbiano svolto adeguata attività di ricerca debitamente documentata (ad esclusione del personale tecnico amministrativo delle università), sulla base di criteri e modalità definiti dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca con proprio decreto, sentiti la CRUI e il CUN. Il trattamento economico è determinato da ciascuna università nei limiti delle compatibilità di bilancio sulla base di parametri stabiliti con decreto interministeriale[311].
La figura dei professori a contratto era già prevista dal DPR n. 382 del 1980 (artt. 7, 25e 100), che ha disciplinato la procedura di conferimento degli incarichi. In particolare, si prevedevache il consiglio di facoltà, nel quadro del coordinamento delle attività didattiche, affidasse a professori a contratto lo svolgimento di corsi integrativi di quelli ufficiali, finalizzati all'acquisizione di significative esperienze teorico-pratiche di tipo specialistico provenienti dal mondo extrauniversitario ovvero di risultati di particolari ricerche, o studi di alta qualificazione scientifica o professionale (art. 7). Le facoltà, d’intesa con i consigli di corso di laurea, determinavano i corsi integrativi da attivare in misura non superiore a un decimo degli insegnamenti ufficiali impartiti in ciascuna facoltà, designando lo studioso od esperto al quale affidare l’insegnamento e fissandone, altresì, le prestazioni ed il compenso da corrispondere[312]. Un decreto ministeriale, sentito il CUN, stabiliva la ripartizione annuale dei finanziamenti destinati a consentire la nomina di professore a contratto per l'attivazione dei corsi
integrativi. In virtù di convenzioni con enti pubblici, le funzioni del professore a contratto potevano essere
attribuite, su proposta dei consigli di facoltà, anche in soprannumero e senza oneri per l’università, ad esperti appartenenti agli stessi enti (art. 25).
Successivamente, in attuazione dell’art. 17, comma 96, della legge n. 127 del 1997[313], il D.M. 21 maggio 1998, n. 242[314] – disponendo, tra l’altro, la disapplicazione degli artt. 25 e 100, comma 1, lett. d)[315], del DPR n. 382 del 1980 – ha stabilito che le università, per sopperire a particolari e motivate esigenze didattiche e nei limiti degli appositi stanziamenti di bilancio, potessero stipulare con studiosi od esperti anche di cittadinanza straniera di comprovata qualificazione professionale e scientifica, non dipendenti da università italiane, contratti di diritto privato per l’insegnamento nei corsi ovvero per lo svolgimento di attività didattiche integrative.
A tali fini le università determinavano una specifica procedura di selezione, anche con appositi bandi, assicurando la pubblicità degli atti, la valutazione comparativa dei candidati e, in caso di rinnovo, la valutazione delle attività didattiche svolte dal docente. La qualificazione degli studiosi od esperti era comprovata dal possesso di titoli scientifici e professionali.
I contratti erano stipulati dal rettore, avevano durata annuale ed erano rinnovabili per non più di sei anni.
Ai sensi del comma 1, le università possono stipulare contratti per attività di insegnamento – a titolo gratuito o oneroso – con esperti altamente qualificati in possesso di un significativo curriculum scientifico o professionale. I contratti a titolo gratuito possono essere stipulati esclusivamente con soggetti in possesso di un reddito da lavoro autonomo o dipendente, fermi restando i requisiti richiesti.
La norma precisa che i contratti – che possono essere conclusi anche sulla base di apposite convenzioni con gli enti pubblici e le istituzioni di ricerca di cui all’art. 8 del DPCM n. 593 del 1993[316] – vengono stipulati dal rettore, su proposta dei competenti organi accademici.
Con riferimento a quest’ultimo aspetto si evidenziache all’art. 2 non è specificato l’organo competente a proporre la stipula dei contratti. Il comma 1, lett. q), di tale articolo, infatti,attribuisce al Nucleo di valutazione unicamente la funzione di verifica della congruità del curriculum scientifico o professionale dei titolari dei contratti di insegnamento.
Si valuti l’opportunità – anche per omogeneità con il successivo comma 2 – di definire la procedura per la determinazione del trattamento economico spettante ai titolari dei contratti a titolo oneroso, nonché di esplicitare se la stipula di tali contratti è vincolata all’effettiva disponibilità di bilancio della singola università.
Il comma 2 prevede che le università possono anche stipulare contratti a solo titolo oneroso, nell’ambito delle proprie disponibilità di bilancio, con soggetti in possesso di adeguati requisiti scientifici e professionali, per fare fronte a specifiche esigenze didattiche, anche integrative.
I contratti sono attribuiti previo espletamento di procedure, disciplinate con propri regolamenti, che assicurino la valutazione comparativa dei candidati e la pubblicità degli atti. Il possesso del titolo di dottore di ricerca, della specializzazione medica, dell’abilitazione scientifica nazionale di cui all’art. 16, ovvero di titoli equivalenti conseguiti all’estero, costituisce titolo preferenziale.
Il trattamento economico spettante è determinato, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge, con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.
Il medesimo comma 2 fa esplicitamente salvo l’affidamento di incarichi di insegnamento – a titolo oneroso o gratuito – al personale docente e ricercatore universitario.
Il DPR n. 382 del 1980, all’art. 9, prevede che al professore ordinario può essere temporaneamente affidato, con il suo consenso, lo svolgimento, in sostituzione dell'insegnamento di cui è titolare, di un corso di insegnamento in materia diversa purché compresa nello stesso raggruppamento concorsuale o in altri raggruppamenti riconosciuti affini dal CUN, ovvero lo svolgimento di attività didattiche aggiuntive rispetto a quelle dei corsi di insegnamento previsti per il conseguimento del diploma di laurea, incluse le attività relative ai corsi nelle scuole dirette a fini speciali, di specializzazione e di perfezionamento e le attività relative agli studi per il conseguimento del dottorato di ricerca, ove istituito.
I consigli delle facoltà o scuole possono affidare, altresì, a titolo gratuito, ai professori ordinari, con il loro consenso ovvero su loro richiesta e nell'ambito della stessa facoltà, lo svolgimento di un secondo insegnamento per materia affine.
L’art. 100, comma 1, lett. b), del DPR stabilisce, inoltre, che, per le facoltà o i corsi di laurea di nuova istituzione, il consiglio di facoltà o il comitato ordinatore[317] provvede all’attribuzione degli insegnamenti – ove non sia possibile attivare tutti gli insegnamenti con l'utilizzazione sostitutiva di cui alla lett. a) del medesimo articolo[318] – mediante l'affidamento, per non più di un triennio dall'attivazione dei corsi, di insegnamenti ai professori universitari di ruolo, anche di altre facoltà o università, purché titolari di discipline comprese nel medesimo raggruppamento concorsuale.
L’art. 114, comma 1, del DPR – come modificato dall’art. 12 della L. n. 341 del 1990 – ha precisato che gli affidamenti e le supplenze possono essere conferiti esclusivamente a professori di ruolo e a ricercatori del medesimo settore scientifico-disciplinare o di settore affine, appartenenti alla stessa facoltà; in mancanza, con motivata deliberazione, a professori di ruolo e a ricercatori di altra facoltà della stessa università ovvero di altra università[319].
Per le disposizioni successive relative all’affidamento di incarichi di insegnamento, si rinvia alla scheda relativa all’art. 6.
L’articolo 15, comma 3, fa riferimento ai contratti di diritto privato per l’insegnamento regolati dal DM 21 maggio 1998, n. 242, di cui si è dato conto ante, intervenuto, evidentemente, prima della disciplina recata dall’art. 1, comma 10, della legge n. 230 del 2005.
Rispetto alla disposizione che richiama – che, come sopra si è detto, prevede la possibilità di stipula dei contratti con studiosi od esperti anche di cittadinanza straniera di comprovata qualificazione professionale e scientifica, non dipendenti da università italiane – il comma 3 specifica che i soggetti devono essere dipendenti da altre amministrazioni, enti o imprese, ovvero titolari di pensione, ovvero lavoratori autonomi in possesso di un reddito annuo non inferiore a 15.000 euro.
L’A.C. 2460 disciplina i contratti di insegnamento nell’art. 22.
Prevede, al riguardo, che le università, secondo le disposizioni statutarie e nell’ambito dei vincoli derivanti dalle disponibilità di bilancio, possono stipulare contratti di diritto privato con soggetti in possesso dell’abilitazione di cui all’art. 13, per lo svolgimento delle attività di insegnamento per le quali essi hanno conseguito la stessa abilitazione (comma 1).
I contratti hanno durata quadriennale, sono rinnovabili una sola volta e sono a titolo oneroso. La retribuzione non può eccedere il trattamento economico dei professori universitari di ruolo. Qualora il titolare del contratto sia un dipendente pubblico, egli ha diritto al mantenimento del posto senza corresponsione di assegni (comma 2).
Inoltre, in base all’art. 8, attività didattiche (oltre che attività di ricerca, attività per conto dell’ateneo in favore di terzi, docenza retribuita in favore di terzi) possono essere svolte da professori universitari di ruolo che non svolgono attività libero-professionale, né ricoprono incarichi esterni, con i quali le università possono stipulare un contratto individuale di diritto privato, di durata biennale, eventualmente rinnovabile.
Lo scopo della disposizione è quello di prevedere meccanismi di differenziazione della componente individuale della retribuzione dei professori universitari (comma 1). Al riguardo, il comma 2 specifica che ai professori che sottoscrivono il contratto non spetta l’assegno aggiuntivo per il tempo pieno.
L’art. 21 disciplina la stipula di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato da parte delle università, nell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione, al fine di svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti. Le modalità di svolgimento delle attività indicate sono indicate nel contratto (comma 1).
Conseguentemente, l’art. 25, comma 8, lett. c), prevede l’abrogazione del comma 14 dell’art. 1 della legge n. 230 del 2005.
L’art. 1, comma 14, della legge n. 230/2005 ha previsto che per svolgere attività di ricerca e di didattica integrativa le università, previo espletamento di procedure che assicurino la valutazione comparativa dei candidati, possono instaurare rapporti di lavoro subordinato tramite la stipula di contratti di diritto privato a tempo determinato. I contratti possono essere instaurati con soggetti in possesso del titolo di dottore di ricerca o equivalente, conseguito in Italia o all’estero, o del diploma di specializzazione medica, o con possessori di laurea specialistica o magistrale o altri studiosi che abbiano comunque una elevata qualificazione scientifica, valutata secondo procedure stabilite dalle università. I contratti hanno una durata massima triennale e possono essere rinnovati per una durata complessiva di sei anni. Il trattamento economico, rapportato a quello dei ricercatori confermati, è determinato da ogni università nei limiti delle compatibilità di bilancio e tenuto conto dei criteri generali definiti con decreto interministeriale. Il possesso del titolo di dottore di ricerca o del diploma di specializzazione, o l’espletamento di un insegnamento universitario costituisce titolo di preferenza. Inoltre, l’attività svolta sulla base dei contratti a tempo determinato costituisce titolo di preferenza da valutare obbligatoriamente nei concorsi che prevedono la valutazione di titoli. I contratti non sono cumulabili con gli assegni di ricerca.
I criteri per la stipula di contratti di diritto privato a tempo determinato per lo svolgimento di attività di ricerca e didattica integrativa sono stati definiti con DM 16 settembre 2009[320].
Rispetto alla disciplina recata dall’art. 1, comma 14, della L. 230 del 2005, quindi, si prevede un’estensione delle attività espletabili sulla base dei contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, che includono ora anche attività didattiche e attività di servizio agli studenti.
Ai sensi del comma 2, i destinatari sono scelti mediante procedure pubbliche di selezione disciplinate dalle università con proprio regolamento, nel rispetto dei principi enunciati dalla Carta europea dei ricercatori (si veda ante, scheda artt. 16 e 17) e dei criteri specifici enunciati nello stesso comma 2.
Questi ultimi sono così individuati:
§ pubblicità dei bandi sui siti dell’ateneo, del MIUR e dell’Unione europea; specificazione del settore concorsuale e di un eventuale profilo esclusivamente mediante indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari; informazioni dettagliate su funzioni, diritti, doveri, trattamento economico e previdenziale (lett. a);
§ per quanto concerne l’ammissione al procedimento, si stabiliscono requisiti minimi (più elevati degli attuali), conferendo, al contempo, al regolamento di ateneo la possibilità di prevedere ulteriori requisiti: il requisito previsto direttamente dal disegno di legge è costituito dal possesso del titolo di dottore di ricerca o di titolo equivalente (si veda ante, scheda sugli assegni di ricerca), ovvero del diploma di specializzazione medica. Sono esclusi i soggetti già assunti a tempo indeterminato come professori di prima o seconda fascia o come ricercatori, anche se cessati dal servizio. Per l’ammissione è richiesto il superamento di una prova di adeguata conoscenza di almeno una lingua straniera (lett. b)).
Fino al 2015, peraltro, ai sensi di quanto dispone l’art. 25, comma 10, può partecipare alle procedure di selezione anche chi possiede una laurea magistrale o equivalente e un curriculum scientifico professionale idoneo allo svolgimento di attività di ricerca;
§ valutazione delle pubblicazioni scientifiche e del curriculum dei candidati e attribuzione di un punteggio accompagnato da una sintetica motivazione per ogni titolo e pubblicazione, secondo parametri definiti con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca (per la cui emanazione non è indicato un termine) (lett. c);
§ formulazione della proposta di chiamata da parte del dipartimento con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei professori di prima fascia. Come già indicato nell’art. 2, comma 1, lett. h), la proposta è approvata con delibera del consiglio di amministrazione (lett. d).
Rispetto alla disciplina recata dall’art. 1, comma 14, della L. n. 230 del 2005, quindi, non sarà più possibile stipulare contratti a tempo determinato con possessori di laurea specialistica o magistrale - salvo fino al 2015 - o altri studiosi in possesso di elevata qualificazione scientifica.
Con riferimento alla lettera b), è opportuno chiarire se con la locuzione “titolo equivalente” si intenda fare riferimento ai riconoscimenti e alle equipollenze disciplinati dall’art. 74 del DPR 382 del 1980 e, in caso positivo, uniformare la terminologia (al riguardo, si ricorda che l’art. 19, comma 1, fa riferimento all’equipollenza di cui all’art. 74, quarto comma, del DPR citato).
Con riferimento alla lettera b), se è corretta l’interpretazione secondo la quale il superamento di una prova di adeguata conoscenza di almeno una lingua straniera è necessario per l’ammissione alla procedura di valutazione delle pubblicazioni e del curriculum, sembrerebbe opportuno chiarire se la conoscenza di più lingue straniere determini una precedenza o se la valutazione in merito sia rimessa ai regolamenti degli atenei.
Il comma 3 individua due tipologie di contratti.
La prima (lett. a) consiste in contratti di durata triennale, prorogabili per due anni (3+2), per una sola volta, previa positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte, effettuata sulla base di modalità e criteri definiti con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca (per la cui emanazione non è previsto un termine). I contratti possono essere stipulati con lo stesso soggetto anche in sedi diverse. Ai sensi del comma 4, questi contratti possono prevedere il regime di tempo pieno o di tempo definito, con un impegno annuo complessivo per lo svolgimento delle diverse attività pari, rispettivamente, a 350 e a 200 ore.
La seconda (lett. b) è riservata a candidati che hanno usufruito dei contratti di cui alla lettera a), oppure di contratti analoghi in università straniere, e consiste in contratti triennali non rinnovabili. Ai sensi del comma 4, questi contratti sono stipulati esclusivamente in regime di tempo pieno.
Nel terzo anno di questa seconda tipologia di contratto l’università, nell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione, valuta il titolare del contratto che abbia conseguito l’abilitazione scientifica nazionale, ai fini della chiamata nel ruolo di professore associato, dando pubblicità alla procedura sul proprio sito. La valutazione si svolge in conformità agli standard qualitativi individuati con un apposito regolamento di ateneo, nell’ambito di criteri fissati con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca (per la cui emanazione non è previsto un termine). Se la valutazione ha esito positivo, il titolare del contratto, alla scadenza dello stesso, è inquadrato come professore associato. In ogni caso, l’espletamento del contratto costituisce titolo di preferenza per la partecipazione ai concorsi nelle pubbliche amministrazioni (comma 5).
Al comma 3, lettera a), è opportuno chiarire se con l’espressione “sedi diverse” si intende fare riferimento a sedi differenti dello stesso ateneo (come si presupporrebbe, poiché si tratta di una proroga), ovvero a diversi atenei.
Al comma 4, secondo periodo, si valuti l’opportunità di esplicitare l’impegno orario annuo complessivo (esso è desumibile dal primo periodo ma quest’ultimo, letteralmente, si riferisce solo ai contratti di cui al comma 3, lett. a).
Al comma 5, ultimo periodo, occorre chiarire se il titolo di preferenza costituito dall’espletamento del contratto si aggiunge a quelli previsti dall’art. 5, commi 4 e 5, del DPR 487 del 1994[321], e in quale ordine si pone rispetto agli stessi. Poiché, inoltre, si tratta di titolo di preferenza e non di requisito di partecipazione, non è corretto l’utilizzo dell’espressione “nell’ammissione”(si veda, ad esempio, ante, la migliore formulazione presente nella L. 230 del 2005).
Il comma 6 prevede che fino al 31 dicembre del sesto anno successivo alla data di entrata in vigore della legge, e sempre nell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione, la procedura di cui al comma 5 può essere utilizzata per la chiamata nel ruolo di professore di prima e seconda fascia di professori di seconda fascia e di ricercatori a tempo indeterminato in servizio nell’università, che abbiano conseguito l’abilitazione scientifica. A questo fine le università possono utilizzare fino alla metà delle risorse equivalenti a quelle necessarie per coprire i posti disponibili di professore di ruolo. Si tratta, dunque, di una disposizione transitoria.
A decorrere dal settimo anno, l’università può utilizzare le risorse corrispondenti fino alla metà dei posti disponibili di professore di ruolo per le chiamate a professore associato dei ricercatori di cui al comma 3, lettera b), valutati positivamente ai sensi del comma 5.
Il comma 7 ribadisce quanto già enunciato nell’art. 19, comma 8, ai sensi del quale la durata complessiva dei rapporti instaurati con il medesimo soggetto, titolare degli assegni di ricerca e dei contratti a tempo determinato, intercorsi anche con atenei diversi, statali, non statali o telematici, nonché con gli altri soggetti indicati nel comma 1 dell’art. 19, non può essere superiore a 10 anni. (Si ricorda, peraltro, che il comma 8 dell’art. 19 richiamato precisa che, ai fini del calcolo complessivo, non rilevano i periodi trascorsi in aspettativa per maternità o per motivi di salute. Si ricorda, altresì, che, ai sensi dell’art. 1, comma 14, della L. 230 del 2005, i contratti a tempo determinato non erano cumulabili con gli assegni di ricerca).
Il comma 8 disciplina il trattamento economico.
Per i titolari dei contratti di cui al comma 3, lettera a), esso è pari al trattamento iniziale spettante al ricercatore confermato, ovviamente diverso a seconda del regime di impegno (si veda ante, scheda sul trattamento economico).
Per i titolari dei contratti di cui al comma 3, lett. b), il trattamento annuo lordo onnicomprensivo è pari al trattamento iniziale del ricercatore confermato a tempo pienoelevato fino ad un massimo del 30 per cento.
Rispetto alla disciplina recata dall’art. 1, comma 14, della L. n. 230 del 2005, quindi, si specifica esattamente la misura del trattamento economico.
Al riguardo, può essere utile ricordare che l’art. 2 del già citato DM 16 settembre 2009 ha previsto che il trattamento economico minimo dei contratti di lavoro subordinato di diritto privato a tempo determinato di cui all’art. 1, comma 14, della L. 230 del 2005 è stabilito nella misura del 120% del trattamento economico iniziale dei ricercatori universitari confermati a tempo pieno e che il corrispondente impegno orario dei titolari dei contratti è fissato in 1500 ore di lavoro annue, di cui al massimo 350 dedicate ad attività didattiche integrative. Ha altresì stabilito che il trattamento economico minimo, in base agli impegni richiesti all'interessato, può essere rivalutato, nei limiti delle relative compatibilità di bilancio, sino ad un massimo del 30% dell'importo. La predetta rivalutazione è determinata in relazione agli specifici obiettivi, anche di durata pluriennale, che vengono individualmente ed espressamente attribuiti per attività di ricerca di particolare complessità e di didattica integrativa, tenendo conto dell'eventuale impegno aggiuntivo, che non potrà comunque eccedere le 1800 ore lavorative complessive annue. La rivalutazione del predetto trattamento è commisurata anche ai risultati della ricerca ed a quelli della didattica, rilevati da parte di apposita Commissione, composta anche da soggetti esterni all'Ateneo, in base a specifici indicatori qualitativi e quantitativi evidenziati espressamente nel contratto.
Il comma 9, infine, precisa che i contratti a tempo determinato non danno luogo a diritti in ordine all’accesso ai ruoli.
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Su parte dell’argomento trattato dall’art. 21, si veda anche l’art. 7 dell’A.C. 2458, nella scheda relativa allo stato giuridico.
L’art. 21 disciplina la possibilità per le università, secondo le norme stabilite dai rispettivi statuti e nell’ambito delle proprie disponibilità di bilancio, di stipulare contratti di diritto privato per lo svolgimento di attività di ricerca, con soggetti in possesso del titolo di dottore di ricerca o di un curriculum scientifico-professionale idoneo per lo svolgimento di attività di ricerca. I contratti non possono essere stipulati con professori e ricercatori universitari di ruolo.
Essi hanno durata non superiore a 4 anni e sono rinnovabili una sola volta (comma 1). Danno luogo a rapporti di lavoro subordinato, anche a tempo parziale - che, ai sensi del comma 5, non determinano diritti in ordine all’accesso ai ruoli – e non sono compatibili con la partecipazione a corsi di dottorato di ricerca. Qualora il titolare del contratto sia un dipendente pubblico, ha diritto al mantenimento del posto, con o senza corresponsione di assegni. In ogni caso, non è ammesso il contemporaneo pagamento di stipendio e retribuzione contrattuale (comma 2).
Inoltre, le università possono stipulare, per specifiche prestazioni previste da programmi di ricerca, contratti d’opera ai sensi dell’art. 2222 del codice civile[322]. Tali contratti sono compatibili con rapporti di lavoro subordinato presso amministrazioni dello Stato ed enti di ricerca pubblici e privati (comma 3).
Le stesse possibilità previste nei commi da 1 a 3 sono consentite anche agli enti pubblici di ricerca (comma 4).
L’articolo 22 esclude l’applicabilità delle disposizioni sulla prosecuzione del rapporto di lavoro recate dall’art. 16 del d.lgs. 503 del 1992[323] ai professori e ai ricercatori universitari; dispone, inoltre, la decadenza, dalla data di entrata in vigore della legge, dei provvedimenti già adottati in proposito dalle università, ad eccezione di quelli che hanno già iniziato a produrre i loro effetti.
Conseguentemente, l’art. 25, comma 8, lett. c), del progetto di legge abroga il comma 17 dell’art. 1 della L. 230 del 2005.
L’art. 16 del d.lgs. 503 del 1992 attribuisce ai dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici la facoltà di permanere in servizio per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo.
In base alla modifica introdotta dall’art. 72, comma 7, del già citato D.L. 112 del 2008, è data facoltà all'amministrazione, in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali, di accogliere la richiesta in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente ed in funzione dell'efficiente andamento dei servizi[324]. Disposizioni transitorie sono poi state dettate dai commi da 8 a 10 dello stesso art. 72[325].
L’art. 1, comma 17, della legge 230 del 2005 aveva stabilito che per i professori ordinari e associati nominati sulla base della nuove procedure di reclutamento da essa recateil limite massimo di età per il collocamento a riposo è determinato al termine dell'anno accademico nel quale si è compiuto il 70° anno di età, con specifica che in tale termine è compreso il biennio di cui all’art. 16 del d.lgs. 503 del 1992, mentre è abolito il collocamento fuori ruolo per limiti di età.
Si evidenzia che un riferimento alla possibilità in capo ai professori ordinari che prestano servizio nelle libere università private riconosciute dallo Stato di chiedere, dopo il raggiungimento del settantaduesimo anno di età, la prosecuzione del servizio in posizione di fuori ruolo per ulteriori 3 anni è contenuta nell’A.C. 2748, per il quale si rinvia alla relativa scheda.
L’articolo 23 prevede che, in esecuzione di accordi culturali internazionali che prevedono l’utilizzo reciproco di lettori, le università possono conferire a studiosi stranieri qualificati e di comprovata professionalità incarichi annuali rinnovabili per lo svolgimento di attività finalizzate alla diffusione della lingua e della cultura del Paese di origine e alla cooperazione internazionale. Gli incarichi sono conferiti con decreto del rettore, previa delibera degli organi accademici competenti.
Al riguardo si evidenzia – come già osservato con riferimento all’art. 20, comma 1, –che all’art. 2 non è specificato l’organo competente a deliberare il conferimento di tali incarichi; peraltro, nel caso dei lettori di scambio, a differenza di quanto avviene per i titolari di contratti di insegnamento (di cui all’art. 20, comma 1) – il cui curriculum scientifico o professionale è verificato, quanto a congruità, dal Nucleo di valutazione (art. 2, comma 1, lett. q)) –, l’art. 2 non individua neanche il soggetto cui spetta valutarne la professionalità.Se ne deduce, quindi, che entrambe le competenze verranno definite dalle singole università.
Le modalità per il conferimento degli incarichi, compreso il trattamento economico a carico degli accordi internazionali, sono definite con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro degli affari esteri e il Ministro dell’economia e delle finanze.
Si ricorda, al riguardo, che la relazione illustrativa al ddl A.S. 1905 evidenziava che con tale intervento si intende colmare il vuoto normativo determinato dall’abrogazione della L. n. 62 del 1967[326] – disposta dall’art. 24 e dall’allegato A al già citato D.L. n. 112 del 2008 – che, peraltro, risultava superata dall’evoluzione normativa, in particolare sotto il profilo dell’assimilazione del lettore di scambio agli assistenti universitari, figura professionale ad esaurimento[327].
La disciplina della figura dei c.d. lettori di scambio era recata dall’art. 24 della L. n. 62/1967, che prevedeva la possibilità di conferire, in esecuzione di accordi culturali ratificati, incarichi annuali rinnovabili, in corrispondenza di posti di lettore di ruolo, a cittadini stranieri. L’incarico era conferito con decreto del rettore, previa deliberazione della Facoltà, su proposta del professore della materia, che sceglieva fra una terna designata dalle competenti autorità del paese di origine[328]. Ai lettori nominati ai sensi dell’art. 24 della L. 62/1967 era corrisposto un assegno pari allo stipendio iniziale dell’assistente universitario incaricato.
A seguito dell’abrogazione dell’art. 24 della L. 62/1967 la CRUI ha inviato una nota[329] ai Ministri dell’istruzione, dell’università e della ricerca e degli affari esteri, con la quale – in subordine all’azione volta a far salva la vigenza della disposizione – si sollecitava (attraverso la stipula di specifici accordi con i Paesi interessati) una soluzione della questione mediante assunzione degli oneri da parte delle Autorità diplomatiche del paese di provenienza del lettore, ovvero da parte del MAE, in regime di scambio. La nota evidenziava, altresì, che in quel periodo risultavano in servizio presso le università italiane 125 lettori di scambio stranieri, a fronte di 175 lettori italiani all’estero, e che in alcune Università già operavano lettori interamente pagati dai paesi di provenienza.
Nel verbale della Giunta esecutiva del Convegno permanente dei direttori amministrativi e dirigenti delle università italiane del 9 luglio 2009[330] si legge che “con nota del 17-06 il Capo Dipartimento del Ministero Dott. Masia ha espresso l’avviso che la figura di cui trattasi possa essere assimilata a quella del collaborato linguistico a tempo determinato, confermando nel contempo la validità della procedura, delineata d’intesa tra MIUR e MAE, disciplinante l’iter e le modalità per il mantenimento in servizio dei lettori di scambio”.
Per completezza, si ricorda che l’art. 28 del DPR n. 382 del 1980 aveva previsto la possibilità per le Università di assumere – con contratto di diritto privato, rinnovabile per un massimo di cinque anni consecutivi –, in relazione ad effettive esigenze di esercitazioni degli studenti di corsi di lingua, e anche al di fuori di specifici accordi internazionali, lettori di madre lingua straniera di qualificata e riconosciuta competenza, accertata dalla facoltà, in numero non superiore al rapporto di uno a centocinquanta tra il lettore e gli studenti effettivamente frequentanti il corso. I relativi oneri erano coperti con finanziamenti a tal scopo predisposti per ciascuna università con decreto del Ministro della pubblica istruzione, sentito il CUN[331].
Successivamente – come ricordava la stessa relazione illustrativa al ddl A.S. 1905 – a seguito dell’attuazione dell’autonomia finanziaria degli ateneiai sensi dell’art. 5 della L. 537/1993, i relativi oneri sono stati rimessi a carico dei bilanci dei singoli atenei. Di conseguenza, l’art. 4 del già citato D.L. n. 120 del 1995 ha abrogato le disposizioni dell’art. 28 del DPR 382/1980, prevedendo al contempo che, a decorrere dal 1° gennaio 1994, le università possono assumere, compatibilmente con le risorse disponibili nei propri bilanci, per esigenze di apprendimento delle lingue e di supporto alle attività didattiche, anche mediante apposite strutture d'ateneo, istituite secondo i propri ordinamenti, collaboratori ed esperti linguistici di lingua madre (CEL) – in possesso di laurea o titolo universitario straniero adeguato alle funzioni da svolgere e di idonea qualificazione e competenza – con contratto di lavoro subordinato di diritto privato a tempoindeterminato ovvero, per esigenze temporanee, a tempo determinato. L'assunzione avviene per selezione pubblica, le cui modalità sono disciplinate dalle università, secondo i rispettivi ordinamenti[332].
Il trattamento economico è ora determinato dall’art. 68 del CCNL per il personale del comparto Università siglato il 16 ottobre 2008, quadriennio giuridico 2006-2009, secondo biennio economico 2008-2009[333].
L’art. 24, novellando l’art. 1-bis, comma 1, alinea, del D.L. n. 105 del 2003[334] attraverso la soppressione della locuzione “in particolare”, indica in maniera tassativa gli obiettivi dell’Anagrafe nazionale degli studenti e dei laureati delle università disciplinata dalla stessa disposizione.
L’art. 1-bis del D.L. n. 105 del 2003 ha previsto l’istituzione presso il MIUR dell'Anagrafe nazionale degli studenti e dei laureati delle università[335], avente, in particolare, i seguenti obiettivi:
§ valutare l'efficacia e l'efficienza dei processi formativi attraverso il monitoraggio tempestivo delle carriere degli iscritti ai vari corsi di studio;
§ promuovere la mobilità nazionale e internazionale degli studenti agevolando le procedure connesse ai riconoscimenti dei crediti formativi acquisiti;
§ fornire elementi di orientamento alle scelte attraverso un quadro informativo sugli esiti occupazionali dei laureati e sui fabbisogni formativi del sistema produttivo e dei servizi;
§ individuare idonei interventi di incentivazione per sollecitare la domanda e lo sviluppo di servizi agli studenti;
§ supportare i processi di accreditamento dell'offerta formativa del sistema nazionale delle istituzioni universitarie;
§ monitorare e sostenere le esperienze formative in àmbito lavorativo degli studenti iscritti, anche ai fini del riconoscimento dei periodi di alternanza studio-lavoro come crediti formativi[336].
L’anagrafe è consultabile all’indirizzo http://anagrafe.miur.it/index.php.
Al fine di evitare confusioni con l’Anagrafe nazionale degli studenti prevista dall'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 76[337], riferita al percorso di istruzione e formazione - alla quale con decreto ministeriale n. 74 del 5 agosto 2010 è stato dato avvio - è opportuno che la rubrica dell’articolo 24 sia esattamente la medesima dell’art. 1-bis del D.L. n. 105 del 2003, cioè “Anagrafe nazionale degli studenti e dei laureati delle università”.
L’articolo 25 reca norme finali, incluse alcune abrogazioni, e norme transitorie.
I commi da 1 a 4 dettano disposizioni in materia di reclutamento e di assunzioni.
In particolare, il comma 1 dispone che, fermo restando quanto previsto dal comma 2, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge, le università per la copertura dei posti di professore ordinario e associato, di ricercatore e di assegnista di ricerca possono avviare esclusivamente le procedure da essa previste nel Titolo III (artt. da 15 a 25).
Il comma 2 dispone, però, che le università continuano ad avvalersi delle disposizioni in materia di assunzione in servizio vigenti alla data di entrata in vigore della legge fino a che non siano adottati i regolamenti sulla chiamata dei professori previsti dall’art. 17, comma 1.
Dal combinato disposto dei commi 1 e 2 si deduce, quindi, che per le procedure relative agli assegni di ricerca ed ai contratti di ricercatore a tempo determinato si applicheranno immediatamente le nuove disposizioni (comunque, sempre una volta che siano stati adottatii decreti ministeriali di cui agli artt. 19, comma 6, e 21, comma 2 lettera c), per i quali non è indicato un termine), mentre per la copertura dei posti di professore continueranno a restare in vigore, fino all’adozione dei nuovi regolamenti di cui all’art. 17, comma 1, le disposizioni vigenti.
Se l’interpretazione è corretta, si potrebbe valutare una più esplicita formulazione del comma 1.
Il comma 3 dispone che chi ha conseguito l’idoneità per i posti di professore associato e ordinario può essere ancora assunto per tali ruoli ai sensi della L. 210 del 1998 fino alla scadenza della durata della propria idoneità, fissatadall’art. 1, comma 6, della L. 230 del 2005 in 5 anni dal conseguimento.
Il comma 4 estende ai ricercatori già titolari di contratti di diritto privato a tempo determinato, stipulati ai sensi dell’art. 1, comma 14, della L. 230 del 2005, la possibilità di accedere ai contratti triennali previsti dall’art. 21, comma 3, lett. b) - che consentono - previo conseguimento dell’idoneità nazionale e valutazione positiva dell’ateneo - di essere inquadrati nei ruoli di professore associato (il comma è stato oggetto di un’errata corrige comunicata dal Presidente del Senato il 2 agosto 2010).
Poiché sembrerebbe che tale disposizione, in assenza di un termine finale, non abbia carattere transitorio, sarebbe più appropriata una sua collocazione all’interno dell’art. 21.
Il comma 5 riguarda il numero dei posti disponibili nei corsi di laurea in medicina e chirurgia e, in particolare, stabilisce che entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro della salute, ridetermina il numero di tali posti e li ripartisce su base regionale anche al fine di riequilibrare l’offerta formativa in relazione al fabbisogno di personale medico del bacino territoriale di riferimento.
Al riguardo si ricorda che l’art. 1, c. 1, lett. a), della L. n. 264 del 1999[338] prevede che sono programmati a livello nazionale, fra gli altri, gli accessi ai corsi di laurea in medicina e chirurgia. Ai sensi dell’art. 3, c. 1, lett. a) e b), il numero dei posti a livello nazionale è determinato annualmente con decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, sentitigli altri Ministri interessati, sulla base della valutazione dell'offerta potenziale del sistema universitario, tenendo anche conto del fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo; i posti sono ripartiti tra le università con decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, tenendo conto dell'offerta potenziale comunicata da ciascun ateneo e dell'esigenza di equilibrata attivazione dell'offerta formativa sul territorio.
Per l’anno accademico 2010-2011 il DM 2 luglio 2010[339] ha determinato in 8.755 il numero di posti disponibili per le immatricolazioni destinati agli studenti comunitari e non comunitari residenti in Italia, cui si aggiungono quelli riservati agli studenti stranieri[340]. Nella premessa del DM si fa riferimento alla rilevazione del fabbisogno professionale di medici chirurghi per l’anno accademico 2010-2011 che il Ministero della salute ha effettuato ai sensi dell’art. 6-ter del d.lgs. 502 del 1992[341] e che ha trasmesso il 1° giugno 2010 alla Conferenza Stato- regioni in vista dell’accordo formale, e si evidenzia, tuttavia, la necessità di emanare il decreto per consentire la pubblicazione del bando di concorso da parte degli atenei nel rispetto di quanto previsto dall’art. 4, comma 1, della L. 264 del 1999. Si evidenzia, inoltre, che si è condivisa la proposta di determinare per l’a.a. 2010/2011 il numero dei posti disponibili a livello nazionale per l’ammissione al corso di laurea magistrale in medicina e chirurgia, “confermando la predetta offerta formativa (si tratta della potenziale offerta formativa deliberata dagli Atenei con riferimento ai parametri di cui all’art. 3, comma 2, lett. a), b) e c), della L. 264/1999), tenuto conto che l’esigenza nazionale risulta superiore a quanto deliberato dal sistema universitario[342]”.
In base alla tabella allegata al DM, i posti sono così ripartiti fra gli atenei:
Posti disponibili per l'accesso al corso di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia anno accademico 2010-2011 |
|
Università |
Comunitari e non comunitari residenti in Italia di cui alla legge 30 luglio 2002 n. 189, art. 26. |
Bari |
346 |
Bologna |
330 |
Brescia |
180 |
Cagliari |
165 |
Catania |
300 |
Catanzaro "Magna Graecia" |
160 |
Chieti - "G. D'Annunzio" |
174 |
del Molise |
75 |
Ferrara |
177 |
Firenze |
220 |
Foggia |
75 |
Genova |
240 |
L'Aquila |
122 |
Messina |
200 |
Milano |
340 |
Milano (corso in inglese) |
20 |
Milano Bicocca |
120 |
Milano Cattolica "S. Cuore" |
256 |
Milano "Vita e Salute S.Raffaele" |
100 |
Milano "Vita e Salute S.Raffaele"(in lingua inglese) |
20 |
Modena e Reggio Emilia |
142 |
Napoli "Federico II" |
338 |
Napoli Seconda Università |
330 |
Padova |
326 |
Palermo |
380 |
Parma |
200 |
Pavia |
160 |
Pavia ( in lingua inglese) |
80 |
Perugia |
216 |
Pisa |
255 |
Politecnica delle Marche |
130 |
Roma "La Sapienza" I Facoltà |
610 |
Roma "La Sapienza" II Facoltà |
174 |
Roma - "Tor Vergata" |
240 |
Roma - Campus Bio-Medico |
100 |
Salerno |
150 |
Sassari |
120 |
Siena |
166 |
Torino I Facoltà |
321 |
Torino II Facoltà |
115 |
Trieste |
110 |
Udine |
88 |
Varese "Insubria" |
143 |
Vercelli "Avogadro" |
75 |
Verona |
166 |
Totale |
8.755 |
Sulla base della ricognizione normativa effettuata, le novità sembrano, quindi, essere costituite dal fatto che si prevede una ripartizione del numero dei posti su base regionale (e non fra le università) e dal fatto che si rafforza il ruolo del Ministro della salute, prevedendo il suo concerto ai fini della adozione del decreto.
Non appare, peraltro, chiara la previsione di una “rideterminazione del numero di posti entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge”, in considerazione del fatto che, come si è visto, la determinazione, in base alla normativa vigente, è effettuata annualmente.
Occorre, pertanto, chiarire se l’obiettivo sia quello di procedere alla rideterminazione dei posti definiti per l’a.a. 2010/2011 con DM 2 luglio 2010. Inoltre, ai sensi del paragrafo 3, lettera a), della circolare 20 aprile 2001, Regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi normativi, occorrerebbe privilegiare la modifica testuale ("novella") della L. 264 del 1999. Infine, dopo la parola “corsi di laurea” occorre aggiungere la parola “magistrale”.
Per completezza, si ricorda che sull’argomento intervengono l’art. 2 dell’A.C. 1578, l’art. 3 dell’A.C. 2218 e l’A.C. 3408, abbinati, dei quali si dà conto in apposite schede poiché comprensivi di altri aspetti.
Il comma 6 riguarda la copertura di posti mediante chiamata diretta, disciplinata dall’art. 1, comma 9, della L. 230 del 2005 - come di recente modificato dall’art. 1-bis del D.L. 180 del 2008 - che a tal fine viene novellato.
In particolare, per la copertura di posti di professore ordinario e associato e di ricercatore mediante chiamata diretta di studiosi stabilmente impegnati all’estero, alle attività di ricerca o insegnamento a livello universitario da almeno un triennio si aggiungono le attività svolte nell’ambito di specifici programmi di ricerca finanziati dal MIUR (indipendentemente dalla durata). Conseguentemente, con riguardo alla posizione accademica equipollente, oltre alle istituzioni universitarie estere si citano anche le istituzioni di ricerca[343].
Al riguardo si ricorda che una delle novità derivanti dall’art. 1-bis del D.L. 180 del 2008 è stata costituita dall’estensione della possibilità di chiamata diretta ai ricercatori e dal conseguente riferimento all’attività di ricerca.
Una ulteriore modifica riguarda la procedura. Al riguardo occorre preliminarmente ricordare che il comma 9 dell’art. 1 della L. 230 del 2005 prevede anche la copertura di posti di professore ordinario mediante chiamata diretta di studiosi di chiara fama. E, mentre nel primo caso di chiamata diretta il testo vigente prevede la formulazione di proposte da parte delle università al Ministro, il quale concede o rifiuta il nulla osta alla nomina previo parere del CUN, nel secondo caso di chiamata diretta il testo vigente prevede che il parere al Ministro sia espresso da una Commissione, nominata dal CUN, composta da 3 professori ordinari appartenenti al settore scientifico-disciplinare in riferimento al quale è proposta la chiamata.
Il comma 6 dell’art. 25 prevede che a tutte e due le ipotesi di chiamata diretta si applichi questa seconda procedura.
Si ricorda, per completezza, che la nomina è disposta con decreto del rettore che determina la relativa classe di stipendio sulla base della eventuale anzianità di servizio e di valutazioni di merito.
Il comma 7 è già stato illustrato nella scheda riferita agli articoli 16 e 17.
Al riguardo si evidenzia solo che il riferimento normativo corretto è “articolo 2, comma 1, lettera g)” (e non “articolo 1, comma 1, lettera g)”).
I commi 8 e 9 dispongono abrogazioni di cui si è per la maggior parte dei casi dato conto nelle schede relative agli articoli dalle cui disposizioni esse discendono.
Una ulteriore abrogazione, disposta dalla lett. a) del comma 8, è riferita all’art. 4 della L. n. 398 del 1989[344].
L’articolo 4 indicato dispone che le università possono conferire borse di studio ai laureati in possesso del titolo di dottore di ricerca conseguito in Italia o all'estero per lo svolgimento di attività di ricerca post-dottorato. Il conferimento avviene per programmi correlati alle esigenze delle attività di ricerca svolte nelle strutture dell'ateneo. Le modalità di conferimento e conferma delle borse e i limiti di età per poterne usufruire sono stabiliti con decreto del rettore, previa deliberazione del senato accademico[345]. Le borse di studio hanno durata biennale, sono sottoposte a conferma allo scadere del primo anno e non sono rinnovabili[346].
Occorre, peraltro, ricordare che è l’art. 1 della L. 398 del 1989 a disporre le tipologie di borse di studio che le università conferiscono, includendovi anche quelle per lo svolgimento di attività di ricerca post-dottorato.
Occorre, dunque, chiarire il raccordo fra l’abrogazione dell’art. 4 della L. 398 del 1989 e la sopravvivenza, nell’art. 1 della medesima legge, del riferimento alle borse di studio per attività di ricerca post-dottorato.
Un’ultima abrogazione, disposta dalla lett. b) del comma 8, è riferita all’art. 3 della L. n. 210 del 1998.
Quest’ultimo stabilisce che i regolamenti universitari disciplinano i trasferimenti, assicurando la valutazione comparativa dei candidati secondo criteri generali predeterminati e adeguate forme di pubblicità della procedura, nonché l'effettuazione dei medesimi esclusivamente a domanda degli interessati e dopo tre anni accademici di loro permanenza in una sede universitaria, anche se in aspettativa.
Si ricorda che la competenza in materia di trasferimenti è stata confermata in capo alle università dall’art. 13 del D.lgs. 164 del 2006, abrogato dal comma 9 dell’articolo in commento.
Tale abrogazione è presumibilmente collegata alla disciplina recata dai commi 5 e 6 dell’art. 3 del progetto di legge, concernenti procedure di mobilità.
In relazione alla nuova disciplina dei reclutamenti, e alla previsione di abrogazione del comma 8 dell’art. 1 della L. 230 del 2005 e del d.lgs. 164 del 2006, occorrerebbe valutare se non si debba disporre anche l’abrogazione del comma 5 dell’art. 1 della legge citata, relativo alle procedure concorsuali ora ridefinite.
Del comma 10 si è già parlato nella scheda riferita all’art. 21 (ricercatori a tempo determinato).
Qui si invita solo a valutare l’opportunità di specificare se con l’espressione “laurea equivalente” si intenda fare riferimento alla laurea specialistica di cui al DM 509 del 1999, sostituita con la laurea magistrale dal DM 270 del 2004.
Il comma 11 reca disposizioni di copertura finanziaria.
In particolare, il primo periodo riguarda la copertura relativa alla revisione del trattamento economico dei ricercatori non confermati a tempo indeterminato, nel primo anno di attività, di cui si è già parlato nella scheda riferita all’art. 5.
Il secondo periodo riguarda la copertura relativa alle agevolazioni riconosciute ai titolari degli assegni di ricerca dall’art. 19, comma 5: al relativo onere, valutato in 20 milioni di euro annui a decorrere dal 2010, si provvede mediante riduzione corrispondente dell’importo dei rimborsi elettorali.
Si ricorda che, ai sensi della citata L. n. 157/1999, i rimborsi elettorali sono corrisposti ripartendo tra i movimenti o partiti politici aventi diritto quattro fondi, corrispondenti agli organi da rinnovare (art. 1).
Più specificamente, il citato comma 5, come modificato dall'art. 2 della L. 26 luglio 2002, n. 156, stabilisce che l’ammontare di ciascuno dei quattro fondi è pari, per ciascun anno di legislatura degli organi stessi, alla somma risultante dalla moltiplicazione dell’importo di 1 euro per il numero dei cittadini della Repubblica iscritti nelle liste elettorali per le elezioni della Camera dei deputati.
L’ultimo periodo reca, infine, la clausola di invarianza finanziaria, disponendo che dalle rimanenti disposizioni della legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Conclusivamente, si potrebbe valutare l’opportunità di inserire in apertura del Titolo III del progetto di legge un articolo recante elencazione delle figure di personale accademico che a vario titolo (didattica e ricerca) possono operare all’interno delle università.
L’art. 28 detta disposizioni transitorie ai fini dell’inquadramento per i professori universitari straordinari, ordinari e associati nominati nei ruoli ai sensi del DPR 382 del 1980 e per coloro che sono nominati nelle relative fasce a seguito di procedure di reclutamento già bandite alla data del 1 gennaio 2010 (comma 1), nonché per i ricercatori universitari di ruolo alla medesima data e per i professori associati nominati a seguito di procedure già bandite alla stessa (comma 2).
Con riferimento ai professori associati, si rileva che i commi 1 e 2 propongono due differenti soluzioni.
Inoltre, al comma 1, che riguarda i professori universitari, non è chiaro il riferimento all’art. 23, che riguarda il ruolo dei ricercatori universitari.
L’A.C. 591 intende valorizzare, come evidenziato nella relazione illustrativa, la figura del ricercatore, definendone la condizione contrattuale, giuridica ed economica alla luce della Carta europea dei ricercatori, ed anche al fine di arginare la cd. fuga dei cervelli.
In particolare, la pdl introduce la definizione della categoria dei ricercatori, prevedendo contestualmente l'istituzione di un apposito albo nazionale, e disciplina l'instaurazione del rapporto di lavoro - pubblico e privato - anche nelle sue tipologie peculiari, nonché la rappresentatività a livello collettivo e aziendale.
Per ricercatore, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, si intende la figura professionale dell’esperto il cui lavoro è finalizzato all'acquisizione di conoscenze, allo studio di processi e di sistemi, all'ideazione di prodotti, nonché alla gestione di progetti orientati a realizzare i medesimi obiettivi. Tale personale non è normalmente impegnato nell'ordinario ciclo produttivo o nell'ordinaria amministrazione.
In assenza di specifiche disposizioni di legge, il ricercatore è collocato nella categoria dei quadri, ai sensi dell'art. 2095 c.c. e della L. n. 190 del 1985 (comma 2).
L’articolo 2095 del c.c., modificato dalla richiamata L. 185/1990, identifica le categorie dei prestatori di lavoro subordinato, distinguendoli in dirigenti, quadri, impiegati e operai.
I requisiti di appartenenza alle richiamate categorie sono definite dalle leggi speciali, in relazione a ciascun ramo di produzione e alla particolare struttura dell'impresa. In particolare, ai sensi della L. 185, la categoria dei quadri è costituita dai prestatori di lavoro subordinato che, pur non appartenendo alla categoria dei dirigenti, svolgono funzioni con carattere continuativo di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell'attuazione degli obiettivi dell'impresa. La stessa legge, inoltre, ha disposto che i requisiti di appartenenza alla categoria dei quadri sono stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale o aziendale in relazione a ciascun ramo di produzione e alla particolare struttura organizzativa dell'impresa.
Il comma 3 prevede l’istituzione, con decreto del Ministro dell'università e della ricerca (per la cui emanazione non è previsto un termine), della figura del ricercatore europeo. E’ presumibile ritenere che si demandi a tale decreto la definizione dei requisiti essenziali di tale figura.
Si segnala che ogni riferimento al Ministro (e al Ministero) dell’università e della ricerca deve essere sostituito con il riferimento al Ministro (e al Ministero) dell’istruzione, dell’università e della ricerca.
L’articolo 2 istituisce l'albo nazionale dei ricercatori per il settore pubblico e privato, presso il MIUR. L'iscrizione all'albo avviene sulla base di specifici requisiti curricolari, definiti con decreto del Ministro.
Lo stesso articolo istituisce, presso il medesimo Ministero un'anagrafe informatica contenente i dati e le esperienze scientifiche e professionali dei ricercatori, collegata alla borsa continua del lavoro di cui al D.lgs. 276/2003[347]. Anche in tal caso, non è previsto un termine.
L’articolo 3 riconosce al ricercatore, nell’ambito del rapporto contrattuale, la disponibilità di idonei mezzi di ricerca, nonché la libertà e l'autonomia della ricerca scientifica.
L’articolo 4 disciplina le assenze dal lavoro del ricercatore, riconoscendogli periodi di aspettativa retribuita per motividi studio o di ricerca, anche in ambiti estranei all'impresa privata o all'amministrazione pubblica e nel territorio di un altro Stato, nonché l’erogazione della retribuzione per lapartecipazione a congressi, soggiorni di studio e altre iniziative di aggiornamento culturale e professionale di interesse per l'attività svolta. Taliassenze danno diritto alla conservazione del posto in tutti i tipi di contratto previsti dalla normativa vigente.
L’assetto previdenziale è disciplinato dall’articolo 5, il quale demanda la relativa disciplina ad un decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale (rectius: Ministro del lavoro e delle politiche sociali). In particolare, si prevede un assetto idoneo a favorire la mobilità della carriera del ricercatore anche all'estero, nonché ad agevolare forme di ricongiunzione e di continuità del rapporto assicurativo. Anche in questo caso non si prevede un termine per l’emanazione del richiamato decreto.
Gli articoli 6 e 7 disciplinano, rispettivamente, il riconoscimento dei titoli e delle esperienze di ricerca acquisiti all'estero da parte dei ricercatori italiani e comunitari (demandato ad decreto del MIUR – per la cui emanazione non è previsto un termine - in conformità alla normativa comunitaria e internazionale vigente), nonché la possibilità diiscrizione al richiamato albo nazionale del personale extracomunitario che documenta il proprio impiego in attività di ricerca tecnico-scientifica. In questo caso l’attività lavorativa può essere condotta senza alcuna restrizione derivante dalla normativa vigente in materia di lavoro degli immigrati e, inoltre, è prevista la fruizione di un permesso di soggiorno per la ricerca durante la permanenza nel territorio italiano.
Gli articoli 8 e 9 recano disposizioni in materia sindacale.
Più specificamente, l’articolo 8 prevede l’ammissione alla contrattazione collettiva nelle amministrazioni pubbliche, nella sezione contrattuale dei quadri-ricercatori, delle organizzazioni sindacali dei quadri rappresentate nel C.N.E.L..
L’articolo 9 consente la rappresentatività della categoria dei ricercatori nell'ambito delle imprese private, per quanto attiene al diritto di informazione e di consultazione e per l'elezione delle rappresentanze dei lavoratori. Nelle imprese con una significativa attività di ricerca, inoltre, è prevista la possibilità di costituzione di appositi comitati aziendali per la ricerca e per l'innovazione, od organismi bilaterali cui partecipa il personale interessato all'attività di ricerca e di innovazione.
L’articolo 10 applica la disciplina del distacco, di cui all’articolo 30 del richiamato D.lgs. 276/2003, al personale avente la qualifica di ricercatore per le attività inerenti la ricerca e l'innovazione. In sostituzione del ricercatore distaccato e per tutta la durata del distacco può essere assunto un nuovo ricercatore. Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del medesimo D.lgs. 276/2003, l’istituto del distacco ex art. 30 non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale.
L’istituto del distacco è stato introdotto nell’ordinamento dalla disposizione sopra citata, recependo alcuni dei recenti orientamenti giurisprudenziali in materia.
Il distacco si realizza quando il datore di lavoro colloca provvisoriamente il lavoratore a disposizione di un altro imprenditore a favore del quale deve essere adempiuta la prestazione di lavoro: in pratica si ha una modifica dell’esecuzione della prestazione e non la cessazione del rapporto di lavoro.
Pertanto, poiché il distacco produce solo una modificazione oggettiva del rapporto, cioè un mutamento nelle modalità della prestazione, non viene tenuta in alcun conto la volontà negoziale del lavoratore che deve eseguire la prestazione altrove, in osservanza del dovere di obbedienza (art. 2104, comma 2, c.c.).
Il distacco è considerato legittimo alle seguenti condizioni:
§ l’interesse del datore di lavoro distaccante, che deve sussistere per tutta la durata del distacco, alla prestazione lavorativa a favore del destinatario;
§ la temporaneità del distacco, intesa come “non definitività”, e non come brevità o determinazione a priori della sua durata;
§ la persistenza, in capo al datore di lavoro distaccante, sia del potere di determinare la cessazione del distacco, sia del potere direttivo.
L’articolo 11, in materia di orario di lavoro, dispone l’applicazione ai ricercatori del principio della ripartizione dell'orario di lavoro su dodici mesi.
Si ricorda, in proposito, che l’articolo 3 del D.lgs. 66/2003[348] fissa l'orario normale di lavoro in 40 ore settimanali. In ogni caso, i contratti collettivi di lavoro possono stabilire, ai fini contrattuali, una durata minore e riferire l'orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all'anno.
Infine, l’articolo 12 prevede la fruizione di incentivi economici e previdenziali per le imprese private e per le amministrazioni pubbliche che agevolano la mobilità e l'assunzione di ricercatori di età superiore a quaranta anni.
Al riguardo, si segnala che il testo appare vago, in quanto non individua le forme incentivanti, né rimanda la loro individuazione a successive fonti normative.
Per il contenuto della pdl A.C. 1143 si rinvia alla scheda relativa all’art. 18 A.C. 3687 - Valutazione fra pari per la selezione dei progetti di ricerca.
L’A.C. 1154 sancisce l’equipollenza (nel titolo dell’A.C. si utilizza il termine “equiparazione”) fra i diplomi universitari triennali rilasciati ai sensi della L. 341 del 1990 e le lauree del nuovo ordinamento a tutti gli effetti di legge e, in particolare, ai fini della partecipazione ai concorsi pubblici e dell’accesso al pubblico impiego. Prevede, inoltre, che tali diplomi universitari sono inseriti nei contratti nazionali di lavoro con le stesse caratteristiche previste per le lauree (articolo 1).
Ogni università regolamenta l’accesso di chi possiede un diploma universitario triennale ai corsi di laurea specialistica/magistrale e ai master universitari di primo livello (articolo 2).
Si ricorda la L. 341 del 1990 aveva previsto che le università rilasciassero i seguenti titoli:
§ diploma universitario (DU);
§ diploma di laurea (DL);
§ diploma di specializzazione (DS);
§ dottorato di ricerca (DR).
Ai sensi dell’art. 2 della legge, il corso di diploma si svolgeva nelle facoltà, aveva una durata non inferiore a due anni e non superiore a tre, ed aveva il fine di fornire agli studenti adeguata conoscenza di metodi e contenuti culturali e scientifici orientata al conseguimento del livello formativo richiesto da specifiche aree professionali.
Alle facoltà era rimesso il riconoscimento totale o parziale degli studi compiuti nello svolgimento dei curricula previsti per i corsi di diploma universitario e per quelli di laurea ai fini del proseguimento degli studi per il conseguimento, rispettivamente, delle lauree e dei diplomi universitari affini.
L’art. 17, comma 111, della L. 127 del 1997 – come modificato dall’art. dall'art. 1, comma 15, della L. n. 4 del 1999 – ha poi disposto che le norme che disciplinavano l'accesso al pubblico impiego fossero integrate, in sede degli accordi di comparto, al fine di tenere in considerazione le professionalità prodotte, fra gli altri, dai diplomi universitari.
In relazione a ciò, con Nota 8 ottobre 1998, protocollo n.ACG/35/1164[349], il Ministro dell’istruzione sollecitava l'ARAN a farsi carico di portare a soluzione con opportuni provvedimenti il problema, in occasione dei rinnovi dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro, chiedendo nel contempo alle OO.SS. dei comparti interessati di collaborare alla soluzione del problema stesso.
Con riferimento ai titoli di studio, si ricorda che, a seguito del processo di Bologna del 1999, nel corso del quale i Ministri dell’istruzione di 29 paesi europei sottoscrissero una dichiarazione congiunta con la costituzione di uno Spazio europeo dell’istruzione superiore, si è pervenuti ad una diversa articolazione dei titoli rilasciati dalle università che, nel sistema delineato dal DM 509 del 1999, come sostituito dall’attuale DM 270 del 2004, sono costituiti da:
§ Laurea (di durata triennale);
§ Laurea magistrale (di durata biennale)[350];
§ Diploma di specializzazione;
§ Dottorato di ricerca.
Per completezza si ricorda che nel 2002 la L. 136 ha disposto l’equiparazione tra il diploma in educazione fisica e la laurea in scienze delle attività motorie e sportive e che alla prova di ammissione ai corsi di laurea specialistica/magistrale delle professioni sanitarie sono ammessi, fra gli altri, i soggetti in possesso di diploma universitario abilitante all'esercizio di una delle professioni sanitarie ricomprese nella classe di laurea specialistica/magistrale di interesse[351].
All’art. 1, in considerazione dell’attuale articolazione e denominazione dei titoli di studio, sopra riepilogata, si segnala che non è necessario utilizzare l’aggettivo “triennale” dopo il sostantivo “laurea”.
Per il contenuto della pdl A.C. 1276 si rinvia alla scheda relativa all’art. 5 A.C. 3687 - Delega in materia di interventi per la qualità e l’efficienza del sistema universitario.
La proposta di legge, composta di un solo articolo, interviene sia sullo stato giuridico che sul trattamento economico dei professori universitari incaricati che, in base al dato riportato nella relazione illustrativa, sono 45.
Si ritiene opportuno, per una migliore comprensione della problematica, premettere una breve ricognizione normativa.
La figura del professore incaricato è stata istituita con l’art. 62 del R.D. 1592 del 1933. L’art. 1 della L. 377 del 1963 ha poi stabilito che coloro ai quali è conferito un incarico di insegnamento presso le università, quando non ricoprono un ufficio con retribuzione a carico del bilancio dello Stato, o ente pubblico o privato, o, comunque, non fruiscono di redditi di lavoro subordinato, sono considerati incaricati esterni.
Successivamente, l’art. 4 del D.L. 580 del 1973 - il cui primo comma è stato in seguito abrogato - ha previsto che i professori incaricati in servizio alla data di entrata in vigore della legge e in possesso di 3 anni di anzianità di insegnamento, conseguivano il diritto a conservare l’incarico a domanda, assumendo la denominazione di “incaricati stabilizzati”.
L’art. 5 della legge n. 28/1980, recante delega al Governo per il riordino della docenza universitaria, ha poi consentito ai professori incaricati stabilizzati, in sede di prima applicazione delle nuove disposizioni sulla docenza, l’inquadramento nel ruolo dei professori associati previo superamento di un giudizio di idoneità[352].
Il DPR 382/1980, nel prevedere l’inquadramento dei professori di ruolo in due fasce di carattere funzionale, ha pertanto consentito a tale categoria la possibilità di partecipare alle prime tornate di giudizi di idoneità per professore associato disponendo la cessazione dall’incarico o la possibilità di passaggio ad altra amministrazione in caso di mancato superamento o di mancata partecipazione alla prova (artt. 50-53[353], 117, 120). Le due ipotesi citate, tuttavia, non hanno trovato, presumibilmente, compiuta attuazione.
Successivamente, a seguito dell’emanazione del D.L. 57/1987[354], che nel disciplinare le competenze economiche di docenti e ricercatori non ha menzionato i professori incaricati, quest’ultimi sono stati inclusi nell’ambito della contrattazione periodica relativa al personale non docente delle università[355] (con la IX qualifica funzionale).
A partire dalla privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, disposta dal D.lgs. 29/1993[356], i docenti incaricati non sono stati più menzionati nel contratto di comparto, in quanto contratto relativo a tutto il personale dipendente dalle università, ad eccezione dei professori e dei ricercatori. Tale impostazione è stata mantenuta fino alla stipula del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per tutto il personale delle università, fatta eccezione per i professori e i ricercatori, del 27 gennaio 2005, relativo al quadriennio normativo 2002-2005 ed al biennio economico 2002-2003, dove i professori incaricati figurano all’art. 31[357]. Ai sensi di quest’ultimo, “a decorrere dal 1/1/2003 la retribuzione dei docenti incaricati esterni di cui all’art. 15 del DPR 3 agosto 1990, n. 319 è fissata in euro 24.264,89 annui lordi. La retribuzione include ed assorbe l’intero importo dell’indennità integrativa speciale in godimento. Ai fini della definizione del trattamento economico spettante ai docenti incaricati interni continua a non essere considerato l’importo corrispondente all’indennità integrativa speciale conglobata. Ai docenti viene altresì erogata, a valere sulle disponibilità contrattuali dell’anno 2002, una somma una tantum di euro 8.000 a titolo di recupero degli incrementi non percepiti sino al 31.12.2001.”
Il successivo CCNL 16 ottobre 2008 relativo al quadriennio normativo 2006-2009 e al biennio economico 2006-2007, disciplina il trattamento economico dei docenti incaricati all’articolo 67.
In particolare, il richiamato articolo prevede la corresponsione di incrementi mensili nella retribuzione per il personale docente incaricato esterno di cui all’articolo 15 del DPR 319/1990, nelle misure ed alle decorrenze previste per la posizione economica EP2 dall’articolo 84, comma 1 (tabella C)[358].
La retribuzione in precedenza definita include ed assorbe l’intero importo dell’indennità integrativa speciale in godimento. Ai fini della definizione del trattamento economico spettante ai docenti incaricati interni continua a non essere considerato l’importo corrispondente all’indennità integrativa speciale conglobata.
Infine, al personale richiamato si applica quanto previsto dall’articolo 79 in tema di progressioni orizzontali, previa positiva valutazione da parte della Facoltà di appartenenza (previste nella tabella D allegata al CCNL).
A livello normativo, da ultimo, come già evidenziato nella scheda relativa all’art. 6 dell’A.C. 3687 - l’art. 1, comma 11, della L. 230 del 2005 ha previsto che ai professori incaricati stabilizzati, oltre che ai ricercatori, agli assistenti del ruolo ad esaurimento e ai tecnici laureati che hanno svolto tre anni di insegnamento – sono affidati, con il loro consenso e fermo restando il relativo inquadramento e trattamento giuridico ed economico, corsi e moduli curriculari, nonché compiti di tutorato e di didattica integrativa. Ad essi è attribuito il titolo di professore aggregato per il periodo di durata dei corsi e dei moduli.
La proposta di legge prevede, anzitutto, che i professori incaricati rimasti in servizio ai sensi del DPR 382 del 1980, o che rientrano nel campo di applicazione della L. n. 204 del 1992, rimangono in servizio come figura ad esaurimento fino al raggiungimento dell’età pensionabile pari a 70 anni (comma 1).
La legge 204/1992, che ha riordinato la Scuola di lingua e cultura italiana per stranieri di Siena e l'Università per stranieri di Perugia trasformandole in istituti superiori ad ordinamento speciale, ha previsto che i professori incaricati ivi operanti rimanessero in servizio come figure ad esaurimento, conservando stato giuridico e trattamento economico (art. 7). Tale legge tuttavia faceva rinvio all’applicazione della disciplina sui giudizi di idoneità recata dall’art. 52 del DPR 382/1980.
Il comma 2 sopprime la figura del professore incaricato interno (ossia,già vincolato da altro rapporto di impiego[359]: con riferimento a tale figura, la relazione illustrativa cita gli assistenti del ruolo ad esaurimento e i tecnici laureati), prevedendo che chi si trova in tale posizione può rimanere in servizio come professore incaricato, esercitando l’opzione entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, pena la perdita dell’incarico alla fine dell’anno accademico in corso alla medesima data.
Si segnala la presenza di un refuso: le parole “della medesima data” devono essere sostituite con le parole “alla medesima data”.
Il comma 3 stabilisce che i professori incaricati hanno gli stessi diritti e doveri dei professori associati di ruolo, incluso il diritto ad effettuare supplenze retribuite. Stabilisce, inoltre, che, nel caso di partecipazione a concorsi per posti di professore universitario, essi sono esonerati dal sostenere prove didattiche.
Il comma 4 interviene sul trattamento economico, stabilendo che esso è pari al 90% di quello spettante ai professori associati di ruolo con pari anzianità nell’incarico (si veda la scheda relativa all’art. 8 dell’A.C. 3687), compreso l’assegno aggiuntivo previsto per coloro che optano per il tempo pieno (quarto comma dell’art. 12 del D.L. 580 del 1973). L’anzianità si calcola a decorrere dall’inizio dell’anno accademico in cui è stato conferito il primo incarico.
Inoltre, si dispone una valenza sostanzialmente retroattiva per l’aggancio della retribuzione dei professori incaricati esterni a quella dei professori associati di ruolo. Dal 1° gennaio 1994 è, infatti, riconosciuta l’eventuale differenza fra il trattamento spettante – come determinato in base alla percentuale indicata – e il trattamento effettivamente percepito.
La data del 1° gennaio 1994 si spiega considerando che da tale momento, fino all’entrata in vigore del CCNL del 27 gennaio 2005 relativo al personale del comparto università, il trattamento economico dei professori incaricati esterni è rimasto “congelato” nell’importo previsto dal D.P.R. 319 del 1990.
Il quarto comma dell’articolo 12 del D.L. 580 del 1973, come sostituito dall’art. 39 del DPR 382 del 1980, ha disposto che ai professori di ruolo appartenenti alla seconda fascia che optino per il regime di impegno a tempo pieno e per la durata dell'opzione, è attribuito in aggiunta al trattamento economico previsto dall’articolo 36 del richiamato D.P.R. 382 del 1980, per dodici mensilità all'anno, un assegno aggiuntivo pari al 70% delle misure forfettarie lorde previste per i professori di ruolo appartenenti alla prima fascia nelle corrispondenti classi di stipendio (per la progressione economica disposta dall’art. 36, si veda la scheda relativa all’art. 8 dell’A.C. 3687).
Il comma 5 abroga le disposizioni sui professori incaricati adottate a partire dalla data di entrata in vigore del DPR 382 del 1980, ove incompatibili, e, soprattutto, ne revoca gli effetti economici, disciplinari e giuridici.
Il comma 6 dispone, infine, che agli eventuali oneri si provvede nell’ambito delle risorse del Fondo di funzionamento ordinario delle università.
L’articolo 1 della proposta di legge, novellando la L. 264 del 1999, prevede che la programmazione degli accessi ai corsi universitari per i quali la medesima legge prevede una prova di ammissione riguarda gli anni di corso successivi al primo biennio, mentre l’ammissione al primo biennio è libera.
Ai sensi dell’art. 1, comma 1, della L. 264 del 1999, si tratta di:
a) corsi di laurea in medicina e chirurgia, medicina veterinaria, odontoiatria e protesi dentaria, architettura, corsi di laurea specialistica delle professioni sanitarie, corsi di diploma universitario, ovvero individuati come di primo livello, concernenti la formazione del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione;
b) corsi di laurea in scienza della formazione primaria[360];
c) corsi di formazione specialistica dei medici;
d) scuole di specializzazione per le professioni legali;
e) ai corsi universitari di nuova istituzione o attivazione, su proposta delle università e nell'ambito della programmazione del sistema universitario, per un numero di anni corrispondente alla durata legale del corso.
Al termine del primo biennio, l’ammissione è disposta dagli atenei sulla base del superamento di prove di cultura specifiche, relative alle discipline oggetto di studio durante il primo biennio, alle quali accedono gli studenti che hanno superato tutti gli esami previsti.
Le prove si svolgono in tutto il territorio nazionale in un unico giorno e i posti disponibili sono assegnati sulla base di una graduatoria nazionale. I soggetti che non rientrano nella graduatoria possono chiedere l’iscrizione a corsi per i quali non è prevista la prova di ammissione, con le eventuali abbreviazioni.
Si segnala che nel proporre la sostituzione dell’art. 4 della L. 264 del 1999, la proposta di legge, presentata il 31 luglio 2008, non tiene ovviamente conto del fatto che il comma 3-bis dell'art. 44 del D.L. n. 78 del 2010, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, ha inseritoin tale norma il comma 1-bis, ai sensi del quale “La prova di ammissione ai corsi svolti in lingua straniera è predisposta direttamente nella medesima lingua”.
L’articolo 2 riguarda la determinazione del numero di accessi agli anni successivi al primo biennio dei corsi di laureadelle discipline medico-chirurgiche. Esso può dunque essere raffrontato con l’art. 25, comma 5, dell’A.C. 3687.
Da un punto di vista procedurale, rispetto alla disciplina vigente, che è stata riportata nella scheda relativa all’articolo appena citato, esso rafforza il ruolo del Ministro della salute, prevedendone il concerto, e prevede anche il concerto del Ministro degli affari esteri e fors’anche (si veda l’osservazione) del Ministro del lavoro. Prevede, inoltre, che sia sentito il CUN.
Da un punto di vista sostanziale, si prevede che il numero degli accessi – successivi al primo biennio ai corsi di laurea in medicina e chirurgia, odontoiatria e protesi dentaria, nonché ai corsi di laurea specialistica delle professioni sanitarie (e non anche ai corsi di medicina veterinaria, previsti dalla disposizione vigente) sia determinato dal MIUR sulla base delle esigenze prospettate per il successivo quinquennio, tenuto conto delle esigenze internazionali e di quella di garantire un adeguato numero di accessi agli studenti provenienti dai Paesi in via di sviluppo che intendano, poi, far ritorno in tali paesi.
Con riferimento all’art. 2, è necessario chiarire se, nell’attuale assetto della struttura di Governo, si voglia prevedere il concerto sia del Ministro del lavoro e delle politiche sociali che del Ministro della salute, o solo di quest’ultimo. E’, inoltre, necessario aggiornare la decorrenza.
Infine, si ricorda che anche per l’art. 2 sembrerebbe preferibile la modifica testuale ("novella") dell’art. 3della L. 264 del 1999.
Per il contenuto degli articoli della pdl si rinvia, rispettivamente, alle schede relative a:
Ø art. 6 A.C. 3687 - Stato giuridico dei professori e dei ricercatori di ruolo(artt. 1 e 2);
Ø art. 13 A.C. 3687 - Misure per la qualità del sistema universitario (art. 5);
Ø artt. 16 e 17 A.C. 3687 - Istituzione dell’abilitazione scientifica nazionale e chiamata dei professori (artt. 3, 4, 6 e 7).
L’articolo unico della proposta in esame reca disposizioni agevolative in materia di fondazioni universitarie di diritto privato.
Si ricorda che l’art. 59, comma 3, della legge 388 del 2000 (L. finanziaria 2001) ha consentito alle università di costituire, singolarmente o in forma associata, fondazioni universitarie, al fine di realizzare l'acquisizione di beni e servizi alle migliori condizioni di mercato, nonché per lo svolgimento delle attività strumentali e di supporto alla didattica e alla ricerca. In attuazione di tale articolo è, quindi, intervenuto il DPR 24 maggio 2001, n. 254.
Il comma 1 della proposta di leggeconsente agli atenei statali che hanno costituito le suddette fondazioni di conferire al fondo di dotazione delle medesime fondazioni, in regime di neutralità impositiva, la proprietà degli immobili già in uso alle università.
In mancanza di ulteriori specificazioni da parte della disposizione proposta o della relazione che accompagna il disegno di legge, l’espressione “neutralità impositiva” sembrerebbe doversi intendere come l’esenzione degli atti di conferimento da imposte e tasse.
Il comma 2 introduce agevolazioni fiscali per i trasferimenti a titolo di contributo o liberalità in favore delle fondazioni universitarie costituite ai sensi del predetto DPR n. 254/2001:si dispone, infatti, che i predetti atti di erogazione sono esenti da tasse e imposte indirette, nonché da diritti dovuti a qualunque altro titolo. Se ne propone, altresì, l’integrale deducibilità dal reddito del soggetto erogante. Infine, si prevede che gli onorari notarili relativi agli atti di donazione a favore delle fondazioni universitarie sono ridotti del 90 per cento. Si tratta di disposizioni analoghe a quelle recate dall’art. 16, comma 5, del D.L. 112 del 2008, riguardante la facoltà di trasformazione in fondazioni delle università.
Il comma 3 reca prescrizioni in materia di partecipazione delle fondazioni bancarie alle fondazioni universitarie.
In particolare, si propone che le fondazioni di origine bancaria (definite ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 153 del 1999[361]) possono assumere la qualifica di partecipanti istituzionali ad una fondazione universitaria, ai sensi del comma 2 dell'articolo 6 del citato DPR n. 254 del 2001.
Il predetto comma 2 dell’articolo 6 prescrive che i “partecipanti istituzionali” alle fondazioni universitarie assumono tale qualifica previo gradimento della stessa e dell'ente di riferimento; condividendo le finalità della fondazione, tali soggetti contribuiscono alla realizzazione dei suoi scopi mediante contributi in denaro annuali o pluriennali, in attività o beni materiali e immateriali, in misura non inferiore a quella all'uopo stabilita annualmente dal consiglio di amministrazione della fondazione.
Il comma 4 è finalizzato a incentivare l’associazione di università in fondazioni regionali e interregionali.
La relazione illustrativa chiarisce che “la fondazione universitaria diventa un potente strumento di contenimento dei costi di gestione e di cattura delle economie di scala e, quindi, di riduzione dell’eccessivo frazionamento delle attuali sedi universitarie”.
In particolare, la norma stabilisce che alle sole università associate in fondazioni regionali è consentito l’accesso ai finanziamenti pubblici per la ricerca, nonché l’attribuzione di assegni di ricerca e borse di studio di dottorato.
Inoltre, nell’assegnazione della dotazione dei “punti organico”, è data preferenza:
- alle università associate in fondazioni interregionali;
- alla facoltà universitaria cui fanno capo reparti ospedalieri che hanno concorso a realizzare l’equilibrio gestionale delle relative aziende ospedaliero-universitarie.
Con riferimento ai “punti organico”, si ricorda che la nota MIUR n. 478 del 27 marzo 2009 ha illustrato il meccanismo del turn-over previsto dall’art. 1, comma 3, del D.L. 180 del 2008 (si veda la scheda relativa agli artt. 16 e 17 dell’A.C. 3687) per il triennio 2009-2011 mediante l’utilizzo di tale strumento. Un "punto organico" viene definito come l'equivalente del costo medio annuale di un professore ordinario, tenendo conto dei rapporti di costo medi annui verificati: vengono, quindi, attribuiti pesi differenziati di punti organico a ciascuna qualifica di personale docente e non docente[362]. L’utilizzo dei punti organico, in particolare, consente, da un lato, di utilizzare criteri omogenei e, dall’altro, di “evitare che, a fronte di cessazioni di personale (in particolare quello docente) in possesso di retribuzioni con un consistente maturato economico e l’assunzione di soggetti con costi iniziali ridotti ma con forti dinamiche legale all’anzianità, si metta a rischio la stabilità dei bilanci degli esercizi futuri”.
La proposta di legge reca disposizioni in materia di orientamento per le scelte relative all’istruzione superiore e disposizioni in materia di accesso ai corsi universitari.
Per il primo aspetto, essa prevede, in particolare, l’obbligatorietà della preiscrizione ai corsi universitari (di natura non vincolante per lo studente)e la costituzione di una Commissione nazionale per l’orientamento, che opera in piena autonomia e comprende al suo interno una rappresentanza studentesca. La Commissione monitora le azioni di orientamento attivate dalle scuole secondarie di secondo grado e dalle università, ne verifica i risultati e fornisce indicazioni ai fini della predisposizione annuale, da parte del MIUR, del piano nazionale per l’orientamento e per lo sviluppo del raccordo tra le scuole secondarie di secondo grado, le università e le istituzione di alta formazione artistica, musicale e coreutica(articolo 1).
Per la realizzazione delle finalità indicate nell’art. 1, l’articolo 2 prevede una delega al Governo, da attuare entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della leggesecondo i principi e criteri direttivi ivi indicati.
Si ricorda che norme per la definizione dei percorsi di orientamento finalizzati alla scelta dei corsi di laurea universitari e dei corsi dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica sono state dettate con il d.lgs. 21 del 2008[363], che ha disposto che con separato decreto fossero dettate specifiche disposizioni relative ai percorsi di orientamento finalizzati alla scelta dei percorsi della formazione tecnica superiore, con particolare riferimento agli istituti tecnici superiori, e dei percorsi finalizzati alle professioni e al lavoro.
In particolare, l’art. 2 del d.lgs. prevede l’istituzione di una Commissione nazionale, con rappresentanze del MIUR, dei comuni, delle province e delle regioni, con il compito di monitorare, in raccordo con l'Istituto nazionale di valutazione del sistema dell'istruzione (INVALSI) e con l'Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), le attività svolte. Prevede, altresì, che la Commissione presenta ogni anno al Ministro una relazione sulla realizzazione e valutazione dei percorsi e delle iniziative, formulando proposte per il potenziamento e lo sviluppo del raccordo tra scuole, università e istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica. Il MIUR, avvalendosi della Commissione, tenuto conto della programmazione territoriale, formula annualmente un piano nazionale per l'orientamento e la valorizzazione della qualità dei risultati scolastici, con l'indicazione delle priorità, dei progetti e delle iniziative da realizzare e delle risorse a tal fine disponibili.
Sembrerebbe, dunque, che quanto previsto dai commi 4, 5 e 6 dell’art. 1 e dall’art. 2 della proposta di legge sia già previsto, con alcune differenze - in particolare, con riferimento all’autonomia della Commissione - nelle disposizioni vigenti. Occorre, dunque, valutare l’opportunità di una modifica delle medesime disposizioni.
Per il secondo aspetto, si detta una disciplina distinta per i corsi dell’area medico-sanitaria rispetto agli altri corsi di laurea. Per questi ultimi, ai sensi dell’articolo 1, l’accesso è libero - essendo l’unica condizione costituita dal possesso del diploma di istruzione secondaria di secondo grado o di un titolo equipollente – salvo quanto disposto dall’articolo 4. Quest’ultimodisciplina, infatti, la possibilità di deroga al principio, in particolare stabilendo che ogni università può chiedere al MIUR l’introduzione del numero chiuso per l’accesso a determinati corsi universitari, sulla base di una motivata e documentata relazione - della quale vengono indicati gli elementi essenziali - sullo stato della struttura e sulle relative dotazioni finanziarie. Il MIUR concede la deroga a seguito di accurata verifica.
Ai sensi dell’articolo 6, le università autorizzate ad attivare i corsi universitari a numero chiuso devono predisporre un piano di adeguamento triennale per garantire il libero accesso a tutti i corsi universitari. Il MIUR concede finanziamenti aggiuntivi alle università che riescono a raggiungere l’obiettivo.
Per l’accesso ai corsi universitari dell’area medico-sanitaria, l’articolo 3 dispone, anzitutto, che i piani di studio del primo anno accademico hanno 30 crediti formativi in comune. Al termine del primo anno, gli studenti sostengono una prova obbligatoria per il passaggio al secondo anno. La prova è predisposta annualmentedal MIUR e verte esclusivamente sulle materie oggetto dei crediti formativi conseguiti. Con decreto interministeriale annuale – e secondo i parametri indicati dalla proposta di legge – è fissato un punteggio minimo di valutazione – derivante, nelle percentuali indicate, dall’esito della prova obbligatoria e dagli esami sostenuti nel primo anno –per l’iscrizione ad ogni tipologia di corso di laurea. Il punteggio minimo di valutazioneè determinato tenendo conto delle esigenze prospettate per il successivo quinquennio, nonché delle prospettive occupazionali, assicurando un adeguato numero di accessi agli studenti dei paesi in via di sviluppo.
Gli studenti che non riescono a conseguire il punteggio minimo fissato per l’iscrizione al secondo anno del corso di laurea scelto possono iscriversi al secondo anno di corsi di laurea affini e per i quali il punteggio conseguito è valido ai fini dell’iscrizione. La prova obbligatoria non superata può essere ripetuta nel successivo anno accademico.
L’articolo 5 prevede che il MIURemana annualmente disposizioni per assicurare la trasparenza dei procedimenti in materia di accesso ai corsi universitari, con particolare riferimento a modalità e criteri per la nomina dei membri delle Commissioni di esame.
L’articolo 7, infine, indica la decorrenza del termine di applicazione delle disposizioni.
Tale decorrenza, indicata a partire dall’anno accademico 2009-2010, necessita di opportuno aggiornamento.
La proposta di legge reca una delega al Governo per la riforma, entro 3 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, della disciplina dell’accesso ai corsi universitari a numero chiuso, sulla base di tre principi e criteri direttivi:
§ assicurare che i test di accesso siano effettuati in base a criteri che premino il merito;
§ prevedere che ai fini della valutazione dei test siano adeguatamente considerati i risultati conseguiti nel corso della precedente carriera scolastica;
§ prevedere che dall’attuazione della riforma non derivino nuovi o maggiori oneri (articolo 2).
Lo scopo è quello di assicurare il diritto allo studio agli studenti più meritevoli e di realizzare un effettivo collegamento fra sistema scolastico e sistema universitario (articolo 1).
Si ricorda che la valorizzazione della qualità dei risultati scolastici ai fini dell'accesso ai corsi di laurea universitari è stata prevista dall’art. 4 del d.lgs. n. 21 del 2008[364]. L’applicabilità delle relative disposizioni è stata però prorogata con successivi provvedimenti ed è attualmente prevista a decorrere dall'anno accademico 2011-2012[365].
L’A.C. 1275, costituito da un solo articolo, conferisce una delega al Governo, da esercitare entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, per l’abolizione del valore legale del diploma di laurea e degli altri diplomi universitari. I principi e i criteri direttivi sono costituiti da:
§ abrogazione delle disposizioni che conferiscono valore legale ai titoli di studio indicati;
§ adozione delle disposizioni di coordinamento in materia di accesso alle professioni e agli impieghi pubblici.
Sullo schema di decreto legislativo le Commissioni parlamentari esprimono il parere entro 45 giorni dalla data di trasmissione.
La relazione illustrativa ricorda che il principio del valore legale dei titoli di studio è sancito dall’art. 167 del Testo unico delle leggi sull’istruzione superiore (R.D. 1592 del 1933), in base al quale “Le Università e gli Istituti superiori conferiscono, in nome del Re, le lauree e i diplomi […], determinati dal regolamento generale universitario”.
Il DM 509 del 1999 ha confermato esplicitamente il valore legale dei titoli di studio, prevedendo, all’art. 4, comma 3, che “I titoli conseguiti al termine dei corsi di studio dello stesso livello, appartenenti alla stessa classe, hanno identico valore legale”. Tale disposizione è stata poi ribadita dall’art. 4, comma 3, del DM 270 del 2004[366].
Con riferimento alla formulazione del testo, si rileva che nel titolo della proposta di legge si cita solo il diploma di laurea, mentre nel testo si fa riferimento anche agli “altri diplomi universitari”.
In ogni caso, occorre aggiornare la terminologia al sistema di titoli di studio universitari previsti dall’ordinamento vigente (ricapitolati nella scheda relativa all’A.C. 1154).
Per completezza si evidenzia che sulla stessa materia sono state presentate nella XVI legislatura gli A.A.C. 1275 e 2059, Abolizione del valore legale dei titoli di studio, assegnati alla XI Commissione.
Per il contenuto della pdl A.C. 2330 si rinvia alla scheda relativa all’art. 18 A.C. 3687 - Valutazione fra pari per la selezione dei progetti di ricerca.
Molte delle disposizioni recate dall’A.C. 2458 sono già state oggetto di illustrazione, in quanto collegate ad argomenti presenti nell’A.C. 3687. Per tali contenuti si rinvia, rispettivamente, alle schede relative a:
§ art. 2 A.C. 3687 - Organi e articolazione interna delle università (art. 4, 5 e 6);
§ art. 5 A.C. 3687 - Delega in materia di interventi per la qualità e l’efficienza del sistema universitario (art. 17);
§ art. 6 A.C. 3687 - Stato giuridico dei professori e dei ricercatori di ruolo(artt. 7, 12);
§ art. 11 A.C. 3687 - Interventi perequativi per le università statali (art. 1, comma 6);
§ art. 12 A.C. 3687 - Università non statali legalmente riconosciute (art. 1, comma 2);
§ art. 13 A.C. 3687 - Misure per la qualità del sistema universitario (art. 1, comma 5);
§ art. 15 A.C. 3687 - Settori concorsuali e settori scientifico-disciplinari (art. 8);
§ artt. 16 e 17 A.C. 3687 - Istituzione dell’abilitazione scientifica nazionale e chiamata dei professori (artt. 9, 10, 11, 13 e 15, comma 1);
§ art. 18 A.C. 3687 - Valutazione fra pari per la selezione dei progetti di ricerca (artt. 3 e 16);
§ art. 19 A.C. 3687 - Assegni di ricerca (art. 15, comma 2);
§ art. 20 A.C. 3687 - Contratti per attività di insegnamento (art. 15, comma 3).
Di seguito si illustreranno sinteticamente, invece, le disposizioni che non siano già state illustrate in precedenza.Nel caso specifico, si tratta delle norme recate dall’art. 1, commi 1, 3, 4, 7, 8, e dagli articoli 2 e 14.
L’articolo 1 concerne il Fondo per il finanziamento ordinario delle università (il cui meccanismo di funzionamento è stato illustrato nella scheda riferita all’art. 11 dell’A.C. 3687).
Il comma 1 dispone – a partire dal 2010 - un incremento annuale del FFO in misura almeno uguale, per una quota del 20%, al tasso programmato di inflazione per l’anno di riferimento e, per la restante quota dell’80%, alla percentuale di adeguamento retributivo annuale per il personale non contrattualizzato determinato per l’anno precedente (del meccanismo indicato si è parlato nella scheda riferita all’art. 8 dell’A.C. 3687).
Si ricorda in proposito che, di recente, l’art. 9, comma 21, del D.L. 78 del 2010, convertito con modificazioni dalla L.122/2010, ha bloccato - per il triennio dal 2011 al 2013 - i meccanismi di adeguamento retributivo previsti dall’art. 24 della L. 448 del 1998 per il personale in regime di diritto pubblico ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. 165 del 2001.
E’ necessario aggiornare la decorrenza della disposizione, fissata a partire dal 2010.
Il comma 3 esclude le risorse relative al FFO dalla riduzione lineare disposta dall’art. 5, comma 7, lett. d), del D.L. 93 del 2008.
La disposizione citata prevede che alla copertura degli oneri recati dagli articoli 1 e 2 del D.L. (relative all’esenzione dall’ICI per la prima casa e a misure sperimentali per l'incremento della produttività del lavoro), si provvede, quanto a 995,8 milioni di euro a decorrere dall’anno 2010, mediante riduzione lineare del 6,85 per cento degli stanziamenti di parte corrente relativi alle autorizzazioni di spesa come determinate dalla Tabella C allegata alla legge finanziaria per il 2008.
Il comma 4 abroga il comma 13 dell’art. 66 del D.L. 112 del 2008, relativo ai limiti al turn-over nelle università statali per il triennio 2009-2011 (di cui si è parlato nella scheda relativa agli artt. 16 e 17 dell’A.C. 3687).
Il comma 7 reca la clausola di copertura finanziaria degli oneri derivanti dalle disposizioni recate dai commi 3 e 4, quantificati in 600 milioni di euro a decorrere dal 2010. Il comma 8 autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio.
L’articolo 2 reca disposizioni in materia di trasferimento di immobili alle università statali; propone, inoltre, di introdurre agevolazioni fiscali per i trasferimenti a titolo di contributo o liberalità in favore dei medesimi atenei.
In particolare, il comma 1 dispone che l’Agenzia del demanio trasferisce alle università statali i beni immobili già in uso agli atenei stessi, con esenzione da imposte e tasse degli atti di trasformazione e di trasferimento dei citati immobili, nonché di tutte le operazioni a essi connesse.
Si ricorda che il D.lgs. n. 85 del 2010, in ottemperanza alle prescrizioni recate dalla legge sul federalismo fiscale (legge n. 42 del 2009), nel dettare le norme generali per l’assegnazione a titolo non oneroso di beni statali a comuni, province, città metropolitane e regioni, ha prescritto, all’articolo 5, una specifica disciplina per gli immobili in uso alle amministrazioni pubbliche. Sembrerebbe pertanto opportuno coordinare le disposizioni proposte con la disciplina contenuta nel suddetto decreto legislativo.
Il comma 2 dell’articolo 2 dispone la totale esenzione da tasse, imposte indirette e diritti - dovuti a qualunque altro titolo - dei trasferimenti a titolo di contributo o di liberalità in favore delle università statali e non statali legalmente riconosciute. Si prevede, inoltre, che tali trasferimenti sono interamente deducibili dal reddito del soggetto erogante.
Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 10, lettera l-quater), del TUIR – Testo Unico delle Imposte sui Redditi, di cui al DPR n. 917/1986, sono deducibili a fini IRPEF senza alcun limite le erogazioni liberali in denaro effettuate a favore di università, fondazioni universitarie, istituzioni universitarie pubbliche, enti di ricerca pubblici, ovvero enti di ricerca vigilati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ivi compresi l'Istituto superiore di sanità e l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, nonché enti parco regionali e nazionali.
La disposizione in commento, prescrivendo l’integrale deducibilità dal reddito dei “trasferimenti a titolo di contributo o di liberalità” effettuati nei confronti degli atenei, sembra intendere – rispetto alla normativa vigente - che possano essere dedotti anche i contributi e le erogazioni non effettuati in denaro. Si osserva tuttavia che, in tale ipotesi, si porrebbe il problema della esatta quantificazione dei componenti deducibili ai fini del calcolo della base imponibile, nonché della quantificazione delle minori entrate che ne deriverebbero per l’erario, con conseguente necessità di copertura finanziaria.
L’articolo 14 prevede incentivi all’assunzione di dottori di ricerca, con una spesa stimata in 100 milioni di euro a decorrere dal 2010.
In particolare, il comma 1 stabilisce, per il periodo 1° gennaio 2010 - 31 dicembre 2015, il versamento figurativo dei contributi previdenziali e assistenziali, a favore dei soggetti in possesso del titolo di dottore di ricerca, o di titolo equipollente, anche conseguito all'estero, per i primi tre anni dalla data di assunzione a tempo indeterminato.
La contribuzione figurativa è una contribuzione fittizia, riconosciuta agli assicurati per periodi durante i quali non è stata svolta attività lavorativa senza, di conseguenza, il versamento di contributi obbligatori. Tali contributi sono, in genere, utili sia ai fini del diritto che ai fini della misura della pensione, con alcune limitazioni riguardo alla pensione di anzianità. Tra i periodi assoggettabili a contribuzione figurativa si ricordano il servizio militare, la gravidanza e il puerperio, la malattia e l’infortunio, la cassa integrazione guadagni e la mobilità.
Sotto il profilo della redazione formale del testo, si segnala che le parole “non sono dovuti dal datore di lavoro e” appaiono pleonastiche.
Per il medesimo periodo e i medesimi soggetti indicati al comma 1, e sempre per i primi tre anni dalla data di assunzione a tempo indeterminato, il comma 2 propone l’introduzione di incentivi fiscali.
In particolare, la prima parte del comma 2 propone l’abbattimento della base imponibile ai fini delle imposte dirette, stabilendo che i redditi da lavoro dipendente sono imponibili solo per il 60 per cento del loro ammontare.
La seconda parte del comma 2 prevede che i redditi da lavoro dipendente non concorrono alla formazione della base imponibile ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive.
Sembrerebbe opportuno specificare con maggiore precisione che destinatari dell’agevolazione sono i datori di lavoro (soggetti ad IRAP) i quali assumano, alle condizioni previste dal comma 1, persone aventi i titoli di studio indicati. La formulazione della seconda parte del comma 2 non appare infatti sufficientemente chiara: la locuzione ”medesime persone” di cui al comma 1 potrebbe sembrare indirizzata alle persone “in possesso del titolo di dottore di ricerca, o di un titolo riconosciuto equipollente, anche conseguito all’estero”, con la conseguenza di riferire le agevolazioni fiscali alle persone fisiche - aventi i predetti titoli - titolari di reddito da lavoro dipendente, cui non si applica l’IRAP (l’imposta, si ricorda, è applicabile alle persone fisiche titolari di reddito di impresa e di lavoro autonomo, alle condizioni previste dal D.lgs. n. 446 del 1997).
I commi 3 e 4, infine, recano la copertura finanziaria e l’autorizzazione al Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio.
Per il contenuto degli articoli della pdl si rinvia, rispettivamente, alle schede relative a:
§ art. 6 A.C. 3687 - Stato giuridico dei professori e dei ricercatori di ruolo(artt. 1, 2, 3, 4, 5 – ad eccezione del comma 2, lett. c) – 6, 7, 11, 23, 24);
§ art. 7 A.C. 3687 - Norme in materia di mobilità dei professori e dei ricercatori (artt. 5, comma 2, lett. c), 25, 26);
§ art. 8 A.C. 3687 - Revisione del trattamento economico dei professori e dei ricercatori universitari (artt. 9 e 10);
§ art. 13 A.C. 3687 - Misure per la qualità del sistema universitario (art. 12);
§ artt. 16 e 17 A.C. 3687 - Istituzione dell’abilitazione scientifica nazionale e chiamata dei professori (artt. da 13 a 20);
§ art. 18 A.C. 3687 - Valutazione fra pari per la selezione dei progetti di ricerca (art. 27);
§ art. 20 A.C. 3687 - Contratti per attività di insegnamento (artt. 8 e 22);
§ art. 21 A.C. 3687 - Ricercatori a tempo determinato (art. 21);
§ art. 25 A.C. 3687 - Norme transitorie e finali (art. 28).
Per il contenuto della pdl si rinvia alla scheda relativa all’art. 5 A.C. 3687 - Delega in materia di interventi per la qualità e l’efficienza del sistema universitario.
L’A.C. 2748, composto da un solo articolo, dispone che i professori ordinari che prestano servizio nelle libere università private riconosciute dallo Stato possono chiedere, dopo il raggiungimento del settantaduesimo anno di età, di continuare a prestare servizio in posizione di fuori ruolo per ulteriori 3 anni.
Essi conservano le prerogative accademiche dei professori di ruolo e ricevono dalle rispettive università il trattamento economico pensionistico ordinariamente spettante, senza trattenute contributive e previdenziali.
La proposta di legge, dunque, fa riferimento solo alle università non statali promosse da soggetti privati (si ricorda che università non statali possono essere promosse, ai sensi dell’art. 5 del DM 362 del 2007, da soggetti pubblici e privati: per una ricognizione complessiva si veda la scheda relativa all’art. 12 dell’A.C. 3687) e, riferendosi al raggiungimento del settantaduesimo anno di età, evidentemente considera il biennio di prolungamento ex art. 16 del d.lgs. 503 del 1992, di cui l’art. 22 dell’A.C. 3687 dispone la non applicabilità ai professori e ai ricercatori.
Preliminarmente, si osserva che non è chiara l’espressione “trattamento economico pensionistico ordinariamente spettante”. Si valuti se non si voglia far riferimento ad un “trattamento economico di importo pari al trattamento pensionistico che sarebbe spettato in via ordinaria”.
Si suggerisce, inoltre, di utilizzare l’espressione “università non statali legalmente riconosciute promosse da soggetti privati”, di cui al DM 362 del 2007.
Si ricorda che l’art. 4, comma 1, della L. 243 del 1991 ha previsto che a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, ai professori ed ai ricercatori universitari in servizio presso le università non statali si applica, ai fini del trattamento di quiescenza, la disciplina prevista per i dipendenti civili dello Stato dal testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato di cui al DPR 1092 del 1973, quando ciò sia previsto da apposita norma statutaria. I provvedimenti di attribuzione del trattamento di quiescenza sono adottati con la stessa procedura prevista per il personale delle università statali.
Si ricorda, inoltre, che l’art. 2, comma 434, della L. 244 del 2007 (L. finanziaria 2008) ha previsto la riduzione progressiva della durata del collocamento fuori ruolo dei professori universitari, fino alla completa abolizione a partire dal 2010