Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Osservatorio legislativo e parlamentare
Titolo: Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea - A.C. nn. 2854-2862-2888-3055-3866 - Elementi di valutazione sulla qualità del testo
Riferimenti:
AC N. 2854/XVI   AC N. 2862/XVI
AC N. 2888/XVI   AC N. 3055/XVI
AC N. 3866/XVI     
Serie: Note per il Comitato per la legislazione    Numero: 104
Data: 15/03/2011
Descrittori:
DIRITTO DELL' UNIONE EUROPEA   UNIONE EUROPEA
Organi della Camera: Comitato per la legislazione

 

15 marzo 2011

 

n. 104

Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea

A.C. nn. 2854-2862-2888-3055-3866

Elementi di valutazione sulla qualità del testo

 

 

Numero del progetto di legge

2854-2862-2888-3055-3866

Titolo

Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea

Iniziativa

Parlamentare e governativa

Iter al Senato

No

Numero di articoli

58

Date:

 

adozione quale testo base

--

richiesta di parere

9 marzo 2011

Commissione competente

XIV Commissione (Politiche dell’Unione europea)

Sede e stato dell’iter

All’esame della Commissione in sede referente

Iscrizione nel programma dell’Assemblea

Sì (dal 23 marzo 2011)

 

 


Contenuto

Il provvedimento in esame reca una organica disciplina della partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario, in sostituzione di quella ora contenuta nella legge 4 febbraio 2005, n. 11.  Rispetto a quest’ultima legge, il testo in esame tiene conto delle novità introdotte nell’ordinamento comunitario e nel ruolo dei Parlamenti nazionali dal Trattato di Lisbona e rafforza ulteriormente il ruolo delle Camere.

Si compone di 58 articoli (a fronte dei 31 articoli della legge vigente), ripartiti in nove capi.

Tipologia del provvedimento

Si tratta del testo unificato di 4 proposte di legge di iniziativa parlamentare e di un disegno di legge di iniziativa del Governo sottoposto all’esame del Comitato ai sensi dell’articolo 16-bis, comma 4 del regolamento.

Collegamento con lavori legislativi in corso

Con riguardo all’articolo 3, comma 4, il quale prevede la tempestiva consultazione e informazione delle Camere “ai fini della predisposizione dei programmi di stabilità e dei programmi nazionali di riforma per l'attuazione in Italia della strategia per la crescita e l'occupazione”, si segnala che la proposta di legge C. 3921, recante “Modifiche alla legge 31 dicembre 2009, n. 196, conseguenti alle nuove regole adottate dall'Unione europea in materia di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri”, approvata dall’Assemblea della Camera lo scorso 9 febbraio ed attualmente all’esame del Senato (A. S. 2555), all’articolo 10 (Documento di economia e finanza - DEF), stabilisce che, nell’ambito del DEF,confluiscano i contenuti dello schema del Programma di stabilità e dello schema del programma nazionale di riforma.


Omogeneità delle disposizioni

Il provvedimento in esame reca – come già accennato – una organica disciplina della partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario, in sostituzione di quella ora contenuta nella legge 4 febbraio 2005, n. 11.

Coordinamento con la legislazione vigente e semplificazione

Incidenza su regolamenti di delegificazione

L’articolo 50, comma 1 modifica in maniera non testuale la denominazione della Commissione prevista dall’articolo 2 del regolamento di delegificazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 91.

Modifiche non testuali

L’articolo 15 modifica in maniera non testuale la denominazione del Dipartimento per le politiche comunitarie (ora Dipartimento per le politiche europee), incidendo così anche su fonti secondarie (a cominciare dal decreto ministeriale in data 19 settembre 2000, Organizzazione interna del Dipartimento per le politiche comunitarie). Andrebbe valutata l’opportunità di riformulare la disposizione in termini di novella all’articolo 3 del decreto legislativo n. 303/1999.

L’articolo 27 innova l’ordinamento vigente, prevedendo che in luogo del solo disegno di legge comunitaria il Governo presenti al Parlamento due distinti disegni di legge (la legge di delegazione europea e la legge europea); il comma 6 dispone che resta fermo, per entrambi i disegni di legge, quanto previsto dall’articolo 5, comma 1, lettera b) del decreto legislativo n. 281/1997, in base al quale la Conferenza Stato-Regioni è chiamata ad  esprimere il proprio “parere sullo schema dell'annuale disegno di legge che reca: «Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea».” Andrebbe valutata l’opportunità di novellare il citato articolo 5, comma 1, lettera b), al fine di introdurvi il riferimento ai due disegni di legge ora previsti.

Andrebbe valutata l’opportunità di riformulare l’articolo 46 in termini di novella all’articolo 7 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, recante attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (delega al governo per il riordino del processo amministrativo).

Disposizioni sulla produzione normativa

Il provvedimento in esame, nel sostituire integralmente la legge n. 11 del 2005 (contestualmente abrogata) si caratterizza per alcune importanti novità:

1.    la legge comunitaria annuale viene sostituita da due distinte leggi: la legge di delegazione europea e la legge europea, delle quali vengono definiti i contenuti;

2.    si dettano norme generali riguardanti l’esercizio delle deleghe conferite al Governo con la legge di delegazione europea, stabilendo procedure, termini, e principi e criteri generali delle deleghe stesse;

3.    si dà vita ad una inedita riserva di decreto-legge, abbandonando le cautele oggi presenti nell’articolo 10 della legge n. 11 del 2005 (mentre quest’ultimo fa riferimento all’adozione di “provvedimenti, anche urgenti”, l’articolo 35 del disegno di legge in esame si riferisce all’adozione dei “provvedimenti urgenti”). Tale riserva si aggiunge alla previsione del procedimento ordinario di attuazione degli obblighi europei, che passa attraverso due leggi in luogo di una.

Disciplina delle deleghe

L’articolo 30, nel dettare i principi e criteri generali di delega per l’attuazione del diritto dell’Unione europea, fissa una volta per tutte tali principi, attualmente ripetuti di anno in anno nelle leggi comunitarie. Si adotta così una tecnica già utilizzata dall’articolo 20 della legge n. 59 del 1997, che ha stabilito i princìpi e i criteri direttivi generali per l’esercizio delle deleghe legislative previste dalle leggi annuali di semplificazione e riassetto normativo.

L’articolo 29, nel fissare, anche in questo caso in via generale, i termini e le procedure per l’esercizio delle medesime deleghe, si presta ai rilievi già più volte formulati dal Comitato per la legislazione, da ultimo nel parere sul disegno di legge comunitaria 2010 (A.C. 4059), espresso il 2 marzo 2011. In quella occasione il Comitato, ribadendo quanto già osservato in precedenti pareri:

• ha espresso apprezzamento per le previsioni volte a valorizzare gli obblighi informativi del Govenro nei confronti del Parlamento e l’apporto di quest’ultimo nelle procedure di delega (con specifico riguardo al meccanismo del “doppio parere”);

• ha evidenziato che la previsione del termine di tre mesi (ora adottata a regime) per l’attuazione delle direttive il cui termine di recepimento sia scaduto o scada entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di delegazione “risulta sicuramente utile a prevenire il rischio che, in ragione del prolungarsi dell'iter parlamentare, siano fissati termini non compatibili con le prescrizioni comunitarie, ferma restando tuttavia l'esigenza di valutare se i termini siano congrui in relazione alla procedura di adozione dei decreti”; infatti, continua il Comitato, “la procedura prevede passaggi parlamentari ed, in alcuni casi, anche l'acquisizione del parere della Conferenza Stato-regioni” e “viene espressamente richiamato l'articolo 14 della legge n. 400 del 1988 (secondo cui «il testo del decreto legislativo adottato dal Governo è trasmesso al Presidente della Repubblica, per la emanazione, almeno venti giorni prima della scadenza»)”.

Recepimento delle direttive in via regolamentare

L’articolo 33 prevede in via generale che il Governo possa dare attuazione alla normativa comunitaria tramite regolamenti di delegificazione, regolamenti ministeriali ed atti amministrativi generali. In proposito si osserva che:

• mentre i regolamenti di delegificazione possono essere adottati nelle materie di competenza esclusiva dello Stato “non coperte da riserva assoluta di legge”, i regolamenti ministeriali possono essere adottati nelle materie sempre di competenza esclusiva dello Stato “non coperte da riserva di legge”. Si rammenta che la distinzione tra riserva assoluta e relativa di legge è un’elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria;

• il comma 2 disciplina le procedure da seguire per l’emanazione dei regolamenti di delegificazione che risulta derogatoria rispetto a quella stabilita, in via generale, dall’articolo 17, comma 2 della legge n. 400/1988 (per esempio: è stabilito il termine di 45 giorni per l’espressione del parere da parte del Consiglio di Stato e di 40 giorni per il parere delle competenti Commissioni parlamentari);

• il comma 4 detta alcune “norme generali” alle quali dovranno conformarsi sia i regolamenti di delegificazione sia i regolamenti ministeriali. La lettera d), in particolare, richiama la “fissazione di termini e procedure, nel rispetto dell’articolo 20, comma 5 [rectius: comma 6] della legge 15 marzo 1997, n. 59”. Il citato comma 6 recita: “I regolamenti di cui al comma 2 sono emanati con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro competente, previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, quando siano coinvolti interessi delle regioni e delle autonomie locali, del parere del Consiglio di Stato nonché delle competenti Commissioni parlamentari. I pareri della Conferenza unificata e del Consiglio di Stato sono resi entro novanta giorni dalla richiesta; quello delle Commissioni parlamentari è reso, successivamente ai precedenti, entro sessanta giorni dalla richiesta. Per la predisposizione degli schemi di regolamento la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ove necessario, promuove, anche su richiesta del Ministro competente, riunioni tra le amministrazioni interessate. Decorsi sessanta giorni dalla richiesta di parere alle Commissioni parlamentari, i regolamenti possono essere comunque emanati”. Esso si sovrappone così – sempre derogando alla legge n 400/1988 – alla disciplina dettata dal comma 2 dell’articolo in esame. E’ evidente inoltre che esso è applicabile ai soli regolamenti di delegificazione e non anche ai regolamenti ministeriali. Andrebbe quindi valutata l’opportunità di riformulare le disposizioni relative all’adozione di regolamenti di delegificazione in conformità al modello delineato dall’articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, che richiede di esplicitare quali siano le norme generali regolatrici della materia (quelle recate dal comma 4 appaiono estremamente generiche), nonché le disposizioni da abrogare con effetto dall’entrata in vigore delle norme regolamentari;

• il comma 5 – nel caso in cui le direttive da recepire consentono scelte in ordine alle modalità della loro attuazione – prevede che la legge individui “i principi e criteri direttivi in linea con quelli stabiliti dalle leggi di cui all’articolo 27 per l’anno di riferimento”. Trattandosi sempre del recepimento in via regolamentare, l’espressione “principi e criteri direttivi” (riferita alle deleghe) andrebbe sostituita con altra più congrua e conforme al modello già richiamato della legge n. 400/1988; inoltre, con riguardo al riferimento – invero di non immediata comprensione – ai principi stabiliti con le “leggi di cui all’articolo 27”, si segnala che in base all’articolo 28, comma 2, lettera b), la legge contenente “disposizioni che autorizzano il Governo a recepire in via regolamentare le direttive, sulla base di quanto previsto dall’articolo 33”, è la legge di delegazione europea;

• per i regolamenti ministeriali il comma 3, ultimo periodo stabilisce, con efficace sintesi, che “con le medesime modalità sono attuate le successive modifiche e integrazioni alle direttive”; con riguardo ai regolamenti di delegificazione,  il comma 6 demanda alla legge di delegazione europea la mera facoltà di disporre che “all’attuazione di ciascuna modifica delle direttive da attuare mediante regolamento [rectius: regolamento di delegificazione, ex articolo 17, comma 2 della legge n. 400/1988] ai sensi del presente articolo [rectius: dei commi 1, 2 e 4].

Ulteriori adempimenti

Il provvedimento in esame, talora, riprende  le previsioni di adempimenti già contenute nella legge n. 11/2005, innovandole nella parte relativa al potere di proposta. E’ il caso, a titolo esemplificativo, dei seguenti articoli:

- articolo 2, comma 5, che, per il funzionamento del Comitato interministeriale per gli affari europei rimanda ad un DPCM emanato “su proposta del Ministro per le politiche europee e del Ministro degli affari esteri, sentiti il Ministro per i rapporti con le regioni, e la Conferenza unificata”: il DPCM ora vigente, recante il “Regolamento per il funzionamento del Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE), istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ai sensi dall'articolo 2 della L. 4 febbraio 2005, n. 11”, è stato emanato in data 9 gennaio 2006 in base alla previsione dell’articolo 2, comma 4, della legge n. 11/2005, con diversa procedura, sentito il parere dei Ministri degli affari esteri e per i rapporti con le Regioni;

- articolo 16, comma 9, che, per il funzionamento del Comitato tecnico permanente, rimanda ad un DPCM emanato “su proposta del Ministro per le politiche europee e del Ministro degli affari esteri, sentita la Conferenza unificata”; il regolamento vigente è stato adottato con decreto ministeriale in data 9 gennaio 2006, ai sensi del citato articolo 2, comma 4 della  legge n. 11/2005.

In considerazione del fatto che cambiando le procedure e, nel secondo caso, lo strumento da adottare, si renderà probabilmente necessario provvedere ad una nuova emanazione dei due regolamenti (nel primo caso, cambia anche la denominazione dell’organismo), andrebbe valutata l’opportunità di prevedere, in luogo di un decreto del presidente del Consiglio dei ministri su proposta di altri due ministri, l’adozione di un decreto del Presidente della Repubblica ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge n. 400/1988, previa delibera del Consiglio dei ministri.

All’articolo 37, il comma 4 dispone che “per le direttive europee nelle materie di cui all'articolo 117, secondo comma, della Costituzione [materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato], il Governo indica i criteri e formula le direttive ai quali si devono attenere le regioni e le province autonome ai fini del soddisfacimento di esigenze di carattere unitario, del perseguimento degli obiettivi della programmazione economica e del rispetto degli impegni derivanti dagli obblighi internazionali. Tale funzione, fuori dai casi in cui sia esercitata con legge o con atto avente forza di legge o, sulla base della legge europea, con i regolamenti previsti dall'articolo 33della presente legge, è esercitata mediante deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per le politiche europee, d'intesa con i ministri competenti secondo le modalità di cui all'articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59.” Andrebbe valutata la portata normativa della disposizione, visto che nelle materie di propria competenza legislativa lo Stato dovrebbe assicurare le esigenze di carattere unitario direttamente attraverso fonti normative primarie e che non è chiaro lo strumento con il quale il Consiglio dei ministri dovrebbe indicare i criteri e formulare le direttive.

All’articolo 44, il comma 2 prevede l’adozione di un regolamento ministeriale ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge n. 400/1988. In questo caso andrebbe valutata la congruità dello strumento regolamentare rispetto a compiti che sembrano puramente amministrativi, visto che il decreto di cui si prevede l’adozione dovrà limitarsi ad individuare i soggetti tenuti alla restituzione dell’aiuto, ad accertare gli importi dovuti ed a determinare le modalità ed i termini del pagamento.

Coordinamento con disposizioni vigenti

L’articolo 48 è puramente ricognitivo, limitandosi a richiamare le modalità di trasmissione delle informazioni relative agli aiuti pubblici concessi alle imprese già previste, in attuazione dell’articolo 14, comma 2, della legge n. 57/2001, dal decreto del Ministro dell’industria in data 18 ottobre 2002.

L’articolo 52, in materia di punti di contatto europei, ripete quanto già previsto dalla normativa vigente. In particolare:

• la lettera a) – che peraltro fa riferimento al “decreto legislativo di recepimento della direttiva 2006/123/CE” senza citarne gli estremi (26 marzo 2010, n. 59) – ripete i contenuti dell’articolo 36, comma 2, del citato decreto n. 59;

• la lettera b) ripete i contenuti dell’articolo 6, comma 1, del decreto legislativo n. 206/2007;

• la lettera c) ripete i contenuti dell’articolo 8, comma 4, del decreto del Ministro per le politiche europee in data 9 ottobre 2006.

L’articolo 52-bis, analogamente, si limita a far salve le competenze del Ministero degli affari esteri.

L’articolo 54 precisa che le disposizioni contenute nel provvedimento possono essere oggetto di interventi di abrogazione, deroga, sospensione o modificazione solo in via esplicita e con indicazione puntuale della disposizione su cui si interviene. Si tratta di una disposizione che riprende l’obbligo già imposto in via generale al Governo dall’articolo 13-bis della legge n. 400/1988 (introdotto dal’articolo 3 della legge n. 69/2009) e che ha ovviamente una valenza solo monitoria nei confronti del legislatore, non potendo una norma di legge vincolare giuridicamente una norma successiva di grado gerarchico equivalente. Comunque, andrebbe valutata l’effettiva opportunità di prevedere, per singole discipline normative, specifiche disposizioni che riproducano quelle già stabilite in via generale: infatti, tale orientamento potrebbe indurre un collaterale effetto di depotenziamento della disciplina generale sulla produzione normativa.

Disposizioni in deroga

L’articolo 16, comma 10, l’articolo 50, comma 1 e l’articolo 51, comma 1 agiscono in deroga rispetto a quanto previsto – come criterio per il riordino degli “organi collegiali e altri organismi, anche monocratici, comunque denominati, operanti nelle predette amministrazioni” da operare con regolamenti di delegificazione – dall’articolo 29, comma 2, lettera e-bis) del decreto-legge n. 223/2006, il quale dispone che i regolamenti di riordino devono recare la “indicazione di un termine di durata, non superiore a tre anni, con la previsione che alla scadenza l'organismo è da intendersi automaticamente soppresso”.

L’articolo 22, comma 4 fa riferimento ad una intesa da sottoscrivere “ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, entro il termine di venti giorni”, con ciò derogando implicitamente al citato articolo 3, comma 3 del decreto legislativo n. 281, che prevede in via generale un termine di 30 giorni per il raggiungimento dell’intesa.

Interna corporis

All’articolo 6, comma 3, con riguardo alla verifica del rispetto del principio di sussidiarietà, - in luogo di prevedere una mera facoltà – pone in capo alle Camere l’obbligo di consultare, “secondo le modalità previste nei rispettivi regolamenti, i consigli e le assemblee delle regioni e delle province autonome”. Si segnala in proposito che l’articolo 6, paragrafo 1 del protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato sull’Unione europea dispone che “spetta a ciascun parlamento nazionale o a ciascuna camera dei parlamenti nazionali consultare all'occorrenza i parlamenti regionali con poteri legislativi”.

All’articolo 14, il quale prevede che le Commissioni parlamentari competenti possono procedere, in coerenza con i rispettivi regolamenti, all’audizione dei soggetti indicati al medesimo articolo,  andrebbe valutata l’opportunità di riformulare il comma 1 espungendo la locuzionein coerenza con i rispettivi regolamenti”, al fine di assicurare l’omogeneità delle procedure che si vogliono introdurre con quelle già disciplinate dalla legge per fattispecie analoghe (vedi l’articolo 29, comma 8, della legge n. 99 del 2009 e l’articolo 2, comma 7, della legge n. 481 del 1995), che consentono ai competenti organi parlamentari di effettuare audizioni formali. 

Abrogazione di norma di interpretazione autentica

L’articolo 57, comma 1, lettera c) abroga l’articolo 42-ter del decreto-legge n. 207/2008, il quale contiene una norma di interpretazione autentica dell’articolo 16-bis della legge n. 11 del 2005, anch’essa interamente abrogata dalla lettera b). I contenuti dell’articolo 16-bis della legge n. 11/2005 sono confluiti nell’articolo 40 del testo in esame. Andrebbe valutata l’opportunità di esplicitare, nel citato articolo 40, al comma 10, che già si occupa delle sentenze di condanna della medesima Corte, che, come già previsto dalla norma di interpretazione autentica,  il diritto di rivalsa dello Stato nei confronti delle Regioni o di altri enti pubblici si esercita anche per gli oneri finanziari sostenuti dallo Stato per le definizioni delle controversie presso la Corte europea dei diritti dell’uomo che si siano concluse con sentenza di radiazione o cancellazione dal ruolo.

Chiarezza e proprietà della formulazione del testo

Ambito di applicazione

L’articolo 30, comma 1, lettera h) e l’articolo 49 prevedono con formule simili ma non coincidenti (nel primo caso come principio e criterio direttivo generale di delega per l’attuazione del diritto dell’Unione europea e nel secondo caso in via generale) che “è assicurata la parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto ai cittadini degli altri Stati membri dell’Unione europea e non può essere previsto in ogni caso un trattamento sfavorevole dei cittadini italiani” (articolo 30, comma 1, lettera h) ) e che “nei confronti dei cittadini italiani non trovano applicazione norme dell’ordinamento giuridico italiano o prassi interne che producano effetti discriminatori rispetto alla condizione e al trattamento dei cittadini dell’Unione europea” (articolo 49). Si tratta di disposizioni che nell’attuale formulazione imporrebbero allo Stato italiano di adeguare la propria normativa a quella eventualmente più favorevole vigente negli altri Paesi dell’Unione europea. Si segnala in proposito che l’articolo 14-bis della legge n. 11 del 2005, con formula più congrua, circoscrive il principio della parità di trattamento dei cittadini italiani ai cittadini europei residenti nel territorio nazionale. Esso recita infatti:

“1. Le norme italiane di recepimento e di attuazione di norme e princìpi della Comunità europea e dell’Unione europea assicurano la parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto ai cittadini degli altri Stati membri dell’Unione europea residenti o stabiliti nel territorio nazionale e non possono in ogni caso comportare un trattamento sfavorevole dei cittadini italiani.

2. Nei confronti dei cittadini italiani non trovano applicazione norme dell’ordinamento giuridico italiano o prassi interne che producano effetti discriminatori rispetto alla condizione e al trattamento dei cittadini comunitari residenti o stabiliti nel territorio nazionale”.

Coordinamento interno

All’articolo 8, in materia di procedure semplificate di modifica di norme dei trattati, il comma 3 specifica che le decisioni del Consiglio europeo o del Consiglio dell’Unione europea si considerano approvate “in caso di deliberazione positiva di entrambe le Camere”; al comma 5, che disciplina gli effetti giuridici di una deliberazione negativa del Parlamento (nei casi indicati all’articolo 48, paragrafo 7, del Trattato sull’Unione europea e all’articolo 81, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione), andrebbe valutata l’opportunità di chiarire se ci si intenda riferire alla deliberazione adottata da una sola Camera ovvero – come previsto dalle norme dei Trattati europei richiamate - da entrambe.

All’articolo 16, mentre il comma 3 fa riferimento al “direttore della Segreteria per gli affari europei” il comma 4 si riferisce al “responsabile” della medesima segreteria.

All’articolo 17, i commi 2 e 3 impongono alle  amministrazioni di appartenenza di adottare il provvedimento di comando del personale da destinare al Dipartimento per le politiche europee entro quindici giorni dalla richiesta adottando due formulazioni diverse: il comma 2 si limita a richiamare l’articolo 17, comma 4 delle legge n. 127/1997; il comma 3 ne ripete la disposizione, senza citarlo.

All’articolo 19, il comma 1 ed il comma 2 dettano una analoga (ma non perfettamente coincidente) disciplina degli esperti nazionali distaccati; il comma 1 richiama l’articolo 32 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come modificato (rectius: sostituito) dal comma 2. Andrebbe valutata l’opportunità di sopprimere il comma 1, mantenendo la novella del citato articolo 32, che detta una esaustiva disciplina della materia.

All’articolo 22, riguardante la partecipazione delle regioni e delle province autonome alle decisioni relative alla formazione di atti normativi dell’Unione europea, il comma 1 prevede che i progetti e gli atti normativi europei siano trasmessi dal Presidente del Consiglio o dal Ministro per le politiche europee “alla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e alla Conferenza dei presidenti dell'Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome, ai fini dell'inoltro alle Giunte e ai Consigli regionali e delle province autonome”. Il comma 3 prevede che le regioni e le province autonome possano trasmettere le loro osservazioni al Presidente del Consiglio o al Ministro per le politiche europee, “per il tramite della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano”. Andrebbe valutata l’opportunità di uniformare il sistema di trasmissione delle osservazioni formulate dalle regioni e dalla province autonome a quello utilizzato per la trasmissione degli atti e progetti di atti normativi europei, facendo perno in entrambi i casi sulla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e sulla Conferenza dei presidenti dell'Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome.

All’articolo 25, il comma 2 prevede che i membri titolari e supplenti del Comitato delle Regioni siano indicati per le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano dalla Conferenza delle Regioni e delle province autonome e per le province e per i comuni rispettivamente dall’UPI, dall’ANCI e dall’UNCEM; il comma 3 prevede che debba essere assicurata “la rappresentanza delle assemblee legislative regionali, nonché la corrispondenza tra ciascun membro titolare e il rispettivo supplente”. Dal combinato disposto dei commi 2 e 3 si evince quindi che spetterebbe all’organismo rappresentativo dei Presidenti delle Giunte regionali indicare anche i rappresentanti delle Assemblee legislative, senza alcun coinvolgimento dell’organismo rappresentativo di questi ultimi.

Infine, il comma 4 prevede che “in caso di decadenza in corso di mandato di uno dei membri di cui al comma 1, l’indicazione del sostituto è comunicata dalla Conferenza di riferimento alla presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per i rapporti con le regioni”. L’espressione “Conferenza di riferimento” parrebbe incongrua sia da un punto di  vista lessicale sia dal punto di vista del coordinamento interno del testo, visto che, come già accennato, i membri del Comitato delle regioni in rappresentanza delle regioni vengono indicati dalla Conferenza delle Regioni e delle province autonome mentre i rappresentanti dei comuni e delle province sono indicati dalle rispettive associazioni (UPI, ANCI ed UNCEM).

All’articolo 29, i commi 7 e 8 e, analogamente, l’articolo 37, comma 3 si limitano a richiamare quanto già previsto, in materia di poteri sostitutivi dello Stato, dall’articolo 38 del disegno di legge. Andrebbe quindi valutata l’opportunità di una loro soppressione.

Al medesimo articolo 29, andrebbe valutata l’opportunità di posporre il comma 10, che richiama la novella operata dal comma 11, collocandolo alla fine dell’articolo.

All’articolo 30, comma 1, lettera c), andrebbe valutata l’opportunità di riformulare l’ottavo periodo, anticipando il riferimento all’articolo 20 della legge 24 novembre 1981, n. 689 rispetto al riferimento all’articolo 240 del codice penale, dal momento che la medesima disposizione si riferisce prima all’illecito amministrativo e poi al reato.

All’articolo 40, comma 6, andrebbe valutata l’opportunità di richiamare anche il comma 10, in analogia con quanto avviene nella norma attualmente vigente (articolo 16-bis della legge n. 11/2005).

Formulazione del testo

All’articolo 26, comma 1, si dovrebbe fare riferimento, in luogo degli “strumenti elettronici”, a “strumenti telematici”.

All’articolo 38, comma 1, l’ultimo periodo si riferisce al “preventivo esame” della Conferenza Stato-Regioni. Andrebbe valutata l’opportunità di esplicitare se tale esame si conclude con l’espressione di un parere sugli atti normativi sottoposti alla medesima Conferenza.

All’articolo 39, comma 3, compare l’espressione generica “il Governo presenta senza ritardo”.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Servizio Studi – Osservatorio legislativo e parlamentare

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