Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento ambiente
Titolo: La protezione della biodiversità nella normativa internazionale e nazionale
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 138
Data: 04/05/2010
Descrittori:
AMBIENTE   DIRITTO COMPARATO
Organi della Camera: VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici
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Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

La protezione della biodiversità nella normativa internazionale e nazionale

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 138

 

 

 

4 maggio 2010

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Ambiente

( 066760-9253 – * st_ambiente@camera.it

 

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

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( 066760-9475 / 066760-3855 – * st_istituzioni@camera.it

Servizio Studi – Dipartimento Affari comunitari

( 066760-9409 – * st_affari_comunitari@camera.it

Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri

( 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it

Servizio Studi – Dipartimento Agricoltura

( 066760-3610 – * st_agricoltura@camera.it

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

Servizio Biblioteca – Osservatorio della legislazione straniera

( 066760-2278 – * bib_segreteria@camera.it

 

 

 

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File: Am0117.doc

 


INDICE

Introduzione  1

La protezione internazionale della biodiversità  5

§      1. Il percorso verso la Convenzione sulla diversità biologica  7

§      2. Lineamenti essenziali della Convenzione  8

§      3. Sintesi della Convenzione  10

§      4. Analisi dell’articolato  12

§      5. Lo stato delle ratifiche  16

§      6. Gli organismi previsti dalla Convenzione  17

§      7. Le riunioni della Conferenza delle Parti18

§      8. I programmi di lavoro tematici19

§      9. Le questioni trasversali20

§      10. I meccanismi per la realizzazione degli obiettivi della Convenzione  22

§      11. Il Protocollo di Cartagena  23

La protezione della biodiversità nell’Unione europea  29

§      1. L’impegno delle istituzioni comunitarie a tutela della biodiversità  31

§      2. La biodiversità nella legislazione comunitaria  32

§      3. La biodiversità nella politica attuale delle Istituzioni europee  42

La protezione della biodiversità in Italia  47

§      1. L’impegno dell’Italia in materia di tutela della biodiversità  49

§      2. Lavori parlamentari e provvedimenti governativi nell’attuale legislatura sulla biodiversità  52

La protezione della biodiversità: elementi di diritto comparato  61

§      Introduzione  63

§      Brasile  65

§      Cina  67

§      Francia  69

§      Germania  73

§      India  75

§      Regno Unito  78

§      Spagna  82

§      Stati Uniti d’America  85

§      Sudafrica  87

Allegati89

§      Nota del CeSPI su questioni e prospettive legate alla biodiversità  91

§      Dichiarazione del Segretario esecutivo della Convenzione sulla diversità biologica in occasione dell’anno internazionale della biodiversità  93

 

 


Introduzione

La definizione concettuale di biodiversità o diversità biologica ha un riferimento fondamentale nella Convenzione sulla diversità biologica, (Convention on Biological Diversity - CBD) adottata a Nairobi il 22 maggio 1992. Ai sensi dell’art. 2, per biodiversità si intende «la variabilità degli organismi viventi di ogni origine, compresi inter alia gli ecosistemi terrestri, marini ed altri ecosistemi acquatici, ed i complessi ecologici di cui fanno parte; ciò include la diversità nell'ambito delle specie, e tra le specie degli ecosistemi»[1].

La biodiversitàsi riferisce dunque alla varietà della vita esistente sulla terra ed ai sistemi naturali che essa forma.

Essa può essere in primo luogo riferita all’ampia varietà di piante, animali e microorganismi esistenti sul pianeta. Allo stato, risultano identificate 1,75 milioni di specie (per la maggior parte insetti). Gli scienziati ritengono che le specie esistenti siano circa 13 milioni, ma vi sono stime che variano da 3 a 100 milioni.

La biodiversità include anche le differenze genetiche all’interno della stessa specie. Un ulteriore aspetto consiste nella varietà degli ecosistemi; in ogni ecosistema, tutti gli esseri viventi, compresi gli esseri umani, interagiscono tra loro e con l’ambiente circostante, formando una comunità.

Le aree di biodiversità possono essere individuate in relazione ai programmi di lavoro della citata Convenzione e, quindi, identificate nella biodiversità agricola, nella biodiversità delle zone aride e sub-umide, nella biodiversità forestale, nella biodiversità delle acque interne e nella biodiversità delle isole.

 

La biodiversità agricola include tutte le componenti della diversità biologica inerenti all’alimentazione e all’agricoltura, nonché quelle che costituiscono l’ecosistema agricolo. L’importanza della biodiversità agricola consiste nel fatto che essa fornisce alle comunità umane cibo e materiali grezzi. Non meno importante è la funzione della biodiversità agricola nei confronti dei vari ecosistemi, ad esempio per il ruolo che essa riveste nella conservazione dei suoli e delle riserve idriche, essenziali alla sopravvivenza umana. L’agricoltura ha, nei confronti della biodiversità, un ruolo ambivalente, perché se da un lato contribuisce in modo significativo alla conservazione e all’uso sostenibile della biodiversità, dall’altro è uno dei maggiori responsabili della riduzione di essa.

La biodiversità è infatti colpita da una tendenza alla riduzione di allarmante rapidità, che mette in pericolo la sostenibilità dell’agricoltura e degli ecosistemi e la possibilità che questi si adattino alle mutate condizioni, con gravi rischi per la sicurezza alimentare.

 

La biodiversità delle zone aride e sub-umide, comprese le regioni semi aride, le praterie, le savane e gli ecosistemi mediterranei, copre all’incirca il 47% della superficie delle terre emerse, con larga prevalenza nel continente australiano, in Cina, in Russia, negli Stati Uniti e nel Kazakistan. Le zone aride e sub-umide includono ecosistemi assai fragili nei cui confronti si deve agire con estrema attenzione per evitare la perdita irreversibile della diversità biologica.

Gli specchi d’acqua ricompresi nelle zone aride e sub-umide, ad esempio, rivestono cruciale importanza nelle tappe degli uccelli migratori. La biodiversità delle zone aride e sub-umide si è adattata assai bene alle dure condizioni climatiche, caratterizzate da precipitazioni irregolari e spesso da elevate temperature.

 

La biodiversità forestale riguarda diversefasce climatiche del pianeta: le foreste offrono la più vasta gamma di habitat per piante, animali e micro-organismi e conseguentemente nelle foreste si trova la maggior parte delle specie viventi della Terra. Cionondimeno, esiste una crescente minaccia a questa grande varietà biologica, in gran parte quale risultato dell’attività umana. Il concetto di diversità biologica forestale si riferisce a tutte le forme di vita comprese negli ecosistemi forestali e al loro ruolo ecologico. Pertanto, la diversità biologica forestale va ben oltre il pur grande numero di specie vegetali che include, estendendosi anche alla moltitudine di animali e micro-organismi presenti negli ecosistemi forestali.

Il tasso di riduzione della superficie forestale mondiale è enormemente cresciuto negli ultimi cento anni: stime della FAO hanno evidenziato una perdita annuale di 13 milioni di ettari di superficie forestale, pari allo 0,18% della superficie forestale mondiale. Tuttavia, un approccio diverso nei confronti degli ecosistemi forestali si rende possibile anche in ragione del fatto che, mentre in passato la principale funzione delle foreste si rinveniva nella fornitura di legno, negli ultimi decenni si è assistito a una percezione più diversificata e bilanciata: ad esempio, sono oggi largamente diffuse aspettative di attenuazione dei cambiamenti climatici come effetto del mantenimento di vasti ecosistemi forestali.

 

La biodiversità delle acque interne concerne gli ecosistemi di acque interne, con influenze sia terrestri che acquatiche. La biodiversità delle acque dolci interne presenta il maggior tasso di riduzione rispetto a tutti gli altri ecosistemi.

Le acque interne includono ecosistemi di acque dolci o salate e possono essere ricomprese tanto in aree continentali che insulari: esse includono laghi, fiumi, stagni, ruscelli, acque sotterranee e di grotta, sorgenti, pianure alluvionali, paludi e pantani, tutti per tradizione classificati come zone umide interne.

Anche la biodiversità delle acque interne costituisce un'importante fonte di cibo e di reddito, in specie nelle aree rurali dei paesi in via di sviluppo. Inoltre questi ecosistemi forniscono acqua, energia, vie di trasporto, opportunità per il turismo, e operano la conservazione di sedimenti ed elementi nutritivi, oltre a fornire habitat per molte specie vegetali e animali.

Le maggiori minacce per la sopravvivenza degli ecosistemi di acque interne e per la loro biodiversità sono rappresentate dallo sviluppo infrastrutturale, dal mutamento nella destinazione dei territori, dall'inquinamento, dal supersfruttamento del suolo e dall'introduzione di organismi vegetali o animali aventi origine in altri ecosistemi e potenzialmente letali per quello di destinazione.

 

La biodiversità delle isole presenta peculiari aspetti di unicità - unitamente alle zone marine circostanti -, eredità di un separata evoluzione, che ha prodotto risultati parimenti speciali. Gli ecosistemi insulari, ancora più che gli altri, sono anche fondamentali per il sostentamento, le economie e l’identità culturale degli abitanti, che assommano a un decimo della popolazione mondiale.

L'unicità degli ecosistemi insulari risulta anche dalla loro estrema fragilità, come emerge dal fatto che delle specie animali estinte negli ultimi quattro secoli circa la metà originavano da ambienti insulari. Negli ultimi cento anni anche la biodiversità insulare ha subito forti pressioni dall’introduzione di organismi viventi di altra origine, dal supersfruttamento e, in maniera sempre crescente, dai cambiamenti climatici e dall’inquinamento. Tutto ciò ha avuto riflessi sulle economie, soprattutto in alcuni piccoli paesi insulari in via di sviluppo.

La biodiversità marina e costiera riguarda oltre alle enormi estensioni oceaniche, anche, ad esempio, le foreste di mangrovie, le barriere coralline, la vegetazione sui fondi marini, gli estuari dei fiumi, le emissioni idrotermali (corrispettivi marini di quelle geotermiche), le montagne sottomarine. L'importanza della biodiversità marina è evidente: si pensi solo che più di due miliardi e mezzo di persone al mondo ricevono non meno di un quinto del loro fabbisogno proteico da pesci o invertebrati marini: si calcola che negli oceani vi siano fino a dieci milioni di specie marine, e se ne scoprono continuamente di nuove. Le più gravi minacce per gli ecosistemi marini e costieri provengono anzitutto dalla terraferma, con gli scarichi in mare di pericolosi agenti inquinanti. Inoltre le pratiche di pesca distruttive, illegali o di supersfruttamento mettono a rischio le risorse alieutiche. Non vanno però trascurati altri fattori negativi, quali l'alterazione degli habitat, l'immissione di nuove specie, i cambiamenti climatici globali. Alcuni dati confermano la gravità della situazione: la FAO stima che ormai circa il 70 per cento del patrimonio ittico mondiale sia stato esaurito, mentre per quanto concerne le barriere coralline un quinto di esse è stato distrutto probabilmente in modo irreversibile, e il 10 per cento è stato seriamente danneggiato.

 

La biodiversità delle aree di montagna si presenta con caratteri assai diversificati, proprio in ragione della vicinanza di diversi ecosistemi e microclimi a diverse altitudini. Agli ecosistemi montani deve la propria sussistenza il 22% della popolazione mondiale che ivi risiede: ma anche gli altri gruppi umani dipendono dalla montagna per un'ampia gamma di beni e servizi - si pensi all'acqua, all’energia, al legname; dalle montagne proviene oltre la metà delle risorse di acqua dolce. Specialmente importante si presenta la biodiversità nei sistemi montani tropicali e delle zone temperate più miti. Inoltre è tipico delle zone di montagna aver consentito anche la sopravvivenza della biodiversità umana, ospitando distinti gruppi etnici portatori di tradizioni culturali e pratiche agricole altrimenti in via di sparizione – come gli indios latinoamericani, gran parte delle cui tradizioni, lingue e culture è sopravvissuta assai più nella fascia andina che nelle foreste e pianure orientali del subcontinente.

La biodiversità montana è anch'essa minacciata da diversi fattori: ad esempio, la deforestazione sistematica provoca erosione dei terreni, accrescendo il rischio di valanghe, frane e inondazioni, con effetti devastanti per molte specie vegetali e animali. Inoltre il degrado dell'habitat montano, provocando soprattutto nei paesi in via di sviluppo la fuga delle popolazioni coinvolte e la corsa all'inurbamento, determina la disintegrazione di intere comunità e antiche culture e lingue. Ulteriori pericoli vengono dalla crescente richiesta di acqua, dalle conseguenze dei cambiamenti climatici globali, dalla crescita del turismo e dalle pressioni industriali e agricole.

 

Le biodiversità sopra individuate sono oggetto di tutela a livello di normative internazionali e nazionali, secondo un rapporto in base al quale la citata Convenzione internazionale sulla biodiversità esprime obiettivi generali – a differenza di una pluralità di convenzioni ed accordi internazionali con ambiti precisi di applicazione, quali ad esempio quelli che istituiscono liste di specie da proteggere o criteri precisi per la definizione di aree da porre sotto specifici regimi di tutela, o hanno un ambito di applicazione regionale, come la Convenzione europea del paesaggio - e le Parti contraenti determinano gli obiettivi specifici e le azioni da realizzare a livello nazionale.

Il presente dossier da conto della Convenzione citata (nel dettaglio e in versione sintetica) e degli atti internazionali ad essa più immediatamente connessi, della normativa adottata dall’Unione europea – che ha aderito alla Convenzione – dell’implementazione della Convenzione in Italia, in alcuni Stati europei, nel Sud Africa, in Cina e in India, nel Brasile, nonché della normativa vigente negli Stati Uniti.

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La protezione internazionale della biodiversità

 


 

1. Il percorso verso la Convenzione sulla diversità biologica

La Convenzione sulla diversità biologica (Convention on Biological Diversity - CBD) è un trattato internazionale adottato a Nairobi il 22 maggio 1992 al fine i tutelare la diversità biologica, l’utilizzazione durevole dei suoi elementi e la ripartizione giusta dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche.

La consapevolezza della funzione vitale delle risorse biologiche della terra per lo sviluppo economico e sociale dell’umanità e la considerazione che la biodiversità rappresenta un asset globale di importanza cruciale per le generazioni presenti e future hanno generato, negli scorsi decenni, un allarme crescente per le minacce, mai prima così gravi, alle quali talune attività umane sottopongono l’ecosistema e le specie, molte delle quali si sono estinte o sono a rischio di estinzione.

Di fronte a tale situazione il Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite, (United Nations Environment Programme  - UNEP) istituì, nel novembre 1988, un gruppo di lavoro ad hoc composto da esperti in materia di biodiversità, al quale fu conferito il mandato di verificare la sussistenza dell’esigenza di una convenzione internazionale sul tema.

Pochi mesi dopo, nel maggio 1989, veniva costituito un gruppo di lavoro formato da esperti tecnici e giuridici incaricati di predisporre uno strumento internazionale per la conservazione e l’impiego sostenibile della diversità biologica. Agli esperti si chiedeva anche di tenere in considerazione l’esigenza di ripartire costi e benefici di tale nuovo approccio rispetto alla biodiversità tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, come pure di individuare le modalità più idonee a supportare a livello locale le innovazioni proposte.

Il lavoro del gruppo (noto come Intergovernmental Negotiating Committee) è culminato il 22 maggio 1992 nell’adozione della Convenzione sulla biodiversità alla Conferenza di Nairobi (Nairobi Conference for the Adoption of the Agreed Text of the Convention on Biological Diversity).

La Convenzione è stata aperta alla firma il 5 giugno 1992, a Rio de Janeiro, in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo di Rio de Janeiro (cd. “Earth Summit”) ed è rimasta aperta alla firma sino al 4 giugno 1993, unitamente alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici ed alla Convenzione contro la Desertificazione (i tre strumenti pattizi sono quindi denominati “le tre Convenzioni di Rio”).

2. Lineamenti essenziali della Convenzione

In base alla Convenzione, gli Stati sono responsabili della conservazione della diversità biologica nel loro territorio e dell'utilizzazione durevole delle loro risorse biologiche.

Le informazioni e le conoscenze relative alla diversità biologica sono in genere insufficienti. È quindi necessario sviluppare capacità scientifiche, tecniche ed istituzionali per ottenere le conoscenze basilari grazie alle quali programmare ed attuare opportuni provvedimenti per conservare la diversità biologica.

Gli obiettivi della Convenzione sono la conservazione della diversità biologica, l'utilizzazione durevole dei suoi elementi e la ripartizione giusta ed equa dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche, mediante, tra l'altro, un accesso adeguato alle risorse genetiche e il trasferimento opportuno delle tecnologie pertinenti, tenendo conto di tutti i diritti su tali risorse e tecnologie, e mediante finanziamenti adeguati.

Conformemente alla Carta delle Nazioni Unite e ai principi del diritto internazionale, gli Stati hanno il diritto sovrano di sfruttare le loro risorse applicando la propria politica ambientale e hanno il dovere di fare in modo che le attività esercitate sotto la loro giurisdizione o il loro controllo non pregiudichino l'ambiente di altri Stati o di regioni che si trovino al di fuori della giurisdizione nazionale.

Fatti salvi i diritti degli altri Stati, e a meno che la Convenzione disponga espressamente in modo diverso, le disposizioni della Convenzione si applicano, per quanto riguarda ciascuna delle parti contraenti:

·         nel caso di componenti della diversità biologica, nel territorio soggetto alla sua giurisdizione nazionale, e

·         nel caso di processi ed attività realizzati sotto la sua giurisdizione o il suo controllo, indipendentemente da dove si manifestino i loro effetti, nel territorio soggetto alla sua giurisdizione o al di fuori di esso.

Ogni Parte contraente coopera, per quanto possibile, con altre parti contraenti, direttamente o, se del caso, tramite organizzazioni internazionali competenti, nei settori non sottoposti alla giurisdizione nazionale e in altri settori di interesse reciproco, per la conservazione e l'utilizzazione durevole della diversità biologica.

Conformemente alle sue condizioni e capacità particolari, ogni Parte contraente:

·         elabora strategie, piani o programmi nazionali volti a garantire la conservazione e l'utilizzazione durevole della diversità biologica oppure adatta a questo fine le strategie, i piani o i programmi esistenti;

·         integra, per quanto possibile e opportuno, la conservazione e l'utilizzazione durevole della diversità biologica nei suoi piani, programmi e politiche settoriali o plurisettoriali pertinenti.

Per quanto possibile, ogni Parte contraente:

·         identifica gli elementi importanti della diversità biologica ai fini della conservazione e di un'utilizzazione durevole, tenendo presente l'elenco indicativo di categorie di cui all'allegato I della Convenzione;

·         controlla, mediante campionamento ed altre tecniche, gli elementi costitutivi della diversità biologica, identificati prestando particolare attenzione a quegli elementi che richiedono urgenti misure di conservazione e a quelli che offrono maggiori possibilità di utilizzazione durevole;

·         identifica i processi e le categorie di attività che hanno o rischiano di avere gravi impatti negativi sulla conservazione e l'utilizzazione durevole della diversità biologica, e sorveglia i loro effetti prelevando campioni ed utilizzando altre tecniche;

·         conserva e gestisce, con qualsiasi mezzo, i dati derivati dalle attività di identificazione e di controllo conformemente ai punti sopra elencati.

Ogni Parte contraente adotta, per quanto possibile, misure economicamente e socialmente positive, che siano di stimolo alla conservazione e all'utilizzazione durevole degli elementi costitutivi della diversità biologica.

La Convenzione prevede:

·         la preparazione e lo svolgimento di programmi di istruzione scientifica e tecnica e di formazione nelle misure volte all'identificazione, alla conservazione e all'utilizzazione durevole della diversità biologica e dei suoi elementi costitutivi, nonché gli aiuti per tale istruzione e formazione adattate alle esigenze specifiche dei paesi in via di sviluppo;

·         la promozione della ricerca che contribuisce alla conservazione e all'utilizzazione durevole della diversità biologica, in particolare nei paesi in via di sviluppo;

·         che venga sviluppato lo sfruttamento dei progressi della ricerca scientifica sulla diversità biologica, mettendo a punto metodi di conservazione e di sfruttamento durevole della diversità biologica, e che venga promossa la cooperazione a tale scopo.

L'istruzione e la sensibilizzazione del pubblico devono essere promossi favorendo la presa di coscienza dell'importanza della conservazione della diversità biologica mediante la diffusione di tale consapevolezza mediante i mezzi di comunicazione e l'inclusione di questi argomenti nei programmi di insegnamento.

Le parti contraenti facilitano lo scambio di informazioni, che si possono ottenere da fonti pubbliche e che concernono la conservazione e l'utilizzazione durevole della diversità biologica, tenendo conto delle necessità particolari dei paesi in via di sviluppo (scambio di informazioni sui risultati delle ricerche tecniche, scientifiche e socioeconomiche e inoltre sui programmi di informazioni e di studi, ecc.).

La Convenzione sottolinea infine il ruolo delle comunità locali e delle popolazioni autoctone in materia di conservazione della biodiversità. Queste popolazioni vivono infatti in stretta dipendenza e tradizionalmente dalle risorse biologiche sulle quali sono fondate le loro tradizioni.

3. Sintesi della Convenzione

Adottata a Nairobi il 22 maggio 1992 al fine di tutelare la diversità biologica, l’utilizzazione durevole dei suoi elementi e la ripartizione giusta dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche.

Le tre “Convenzioni di RIO”

 
Aperta alla firma il 5 giugno 1992, a Rio de Janeiro, in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo di Rio de Janeiro (cd. “Earth Summit”), è rimasta aperta alla firma sino al 4 giugno 1993, unitamente alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici ed alla Convenzione contro la Desertificazione (i tre strumenti pattizi sono quindi denominati “le tre Convenzioni di Rio”).

Lineamenti essenziali della Convenzione

 
Gli obiettivi della Convenzione sono la conservazione della diversità biologica, l'utilizzazione durevole dei suoi elementi e la ripartizione giusta ed equa dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche, mediante, tra l'altro, un accesso adeguato alle risorse genetiche e il trasferimento opportuno delle tecnologie pertinenti.

Gli Stati sono responsabili della conservazione della diversità biologica nel loro territorio e dell'utilizzazione durevole delle loro risorse biologiche.

Conformemente alle sue condizioni e capacità particolari, ogni parte contraente:

·           elabora strategie, piani o programmi nazionali volti a garantire la conservazione e l'utilizzazione durevole della diversità biologica;

·           integra, per quanto possibile, la conservazione e l'utilizzazione durevole della diversità biologica nei suoi piani e politiche pertinenti.

Per quanto possibile, ogni parte contraente:

·           identifica gli elementi importanti della diversità biologica ai fini della conservazione e di un'utilizzazione durevole (tenendo presente l'elenco indicativo di categorie di cui all'allegato I della Convenzione);

·           controlla gli elementi costitutivi della diversità biologica identificati;

·           identifica i processi e le categorie di attività che hanno impatti negativi sulla diversità biologica, e monitora i loro effetti;

·           conserva e gestisce i dati derivati dalle attività di identificazione e di controllo.

La Convenzione prevede:

·           la preparazione e lo svolgimento di programmi di istruzione scientifica e tecnica e di formazione e gli aiuti ai paesi in via di sviluppo (PVS) per la realizzazione di tali programmi;

·           la promozione della ricerca, in particolare nei PVS;

·           che venga sviluppato lo sfruttamento dei progressi della ricerca scientifica sulla diversità biologica.

La Convenzione prevede anche l’istruzione e la sensibilizzazione del pubblico, nonché lo scambio di informazioni e sottolinea infine il ruolo delle comunità locali e delle popolazioni autoctone in materia di conservazione della biodiversità.

Stato delle ratifiche

 
La Convenzione è entrata in vigore il 29 dicembre 1993.

La ratifica da parte dell’Italia è intervenuta conla legge 14 febbraio 1994, n. 124. Attualmente le Parti aderenti alla Convenzione sono 192 (aggiornamento al 27 gennaio 2010): 192 Stati e la Comunità europea. Gli Stati Uniti, che hanno firmato la Convenzione il 4 giugno 1993, non hanno sino ad ora proceduto alla sua ratifica.

Gli organi previsti dalla CDB

 

 
La Conferenza delle Parti (COP) è l'organismo di governo della Convenzione e si riunisce attualmente ogni due anni

E’ assistita da un Organo sussidiario di consulenza scientifica, tecnica e tecnologica, composto da rappresentanti dei governi.

La Conferenza delle Parti ha istituito quattro gruppi di lavoro ad hoc, con un mandato limitato sia nell'oggetto che nel tempo: sull'accesso e la condivisione dei benefici; sulla protezione delle conoscenze tradizionali; sulle aree protette; sulla revisione dell'attuazione della Convenzione (che esamina tra l'altro le strategie e i piani d'azione nazionali per la difesa della biodiversità).

La Conferenza delle Parti si è riunita finora nove volte (nell'arco di 14 anni). La prossima riunioneè prevista per la seconda metà di ottobre 2010 a Nagoya (Giappone).

I programmi di lavoro tematici

 

 
La Conferenza delle Parti ha inaugurato sette diversi Programmi di lavoro tematici: la biodiversità agricola; la biodiversità delle zone aride e sub-umide; la biodiversità forestale; la biodiversità delle acque interne; la biodiversità delle isole; la biodiversità marina e costiera; la biodiversità montana.

I meccanismi   per la realizzazione degli obiettivi

 

 

 
Sul modello di alti trattati internazionali, la CDB ha predisposto una serie di meccanismi per il raggiungimento degli obiettivi: meccanismo della stanza di compensazione (sede di scambio tecnico e scientifico); redazione di strategie e piani d’azione nazionali sulla biodiversità; meccanismo di cooperazione e partenariato con numerose Agenzie delle Nazioni Unite, Convenzioni in materia ambientale e organizzazioni non governative.

Il Protocollo di Cartagena

 

 

 
Il Protocollo sulla prevenzione dei rischi biotecnologici è stato adottato nella riunione di Montreal il 29 gennaio 2000 ed è entrato in vigore l’11 settembre 2003 a livello internazionale. L’Italia lo ha ratificato con la legge 15 gennaio 2004, n. 27. Attualmente risultano Parti del Protocollo 156 Stati, oltre all’Unione europea. Stati Uniti e Russia non hanno firmato il Protocollo.

Il Protocollo di Cartagena è il primo strumento legale internazionale che verte in modo specifico su aspetti legati alla sicurezza ambientale e sanitaria (la cd. biosafety), connessi all’utilizzazione di organismi geneticamente modificati (OGM) e rappresenta il primo strumento di attuazione della Convenzione sulla diversità biologica.

4. Analisi dell’articolato

La Convenzione consta di un Preambolo, 42 articoli, e di due annessi.

L’articolo 1 indica gli obiettivi della Convenzione consistenti nella conservazione della diversità biologica, nell’uso durevole dei suoi componenti e nella ripartizione giusta ed equa dei benefici derivanti dall’utilizzazione delle risorse genetiche, “grazie a un accesso soddisfacente alle risorse genetiche ed un adeguato trasferimento delle tecnologie pertinenti in considerazione di tutti i diritti su tali risorse e tecnologie, e grazie ad adeguati finanziamenti”.

Nell’articolo 2, riservato alle definizioni, il termine diversità biologica viene qualificato come “la variabilità degli organismi viventi di ogni origine, compresi inter alia, gli ecosistemi terrestri, marini ed altri ecosistemi acquatici, ed i complessi ecologici di cui fanno parte; ciò include la diversità nell'ambito delle specie, e tra le specie degli ecosistemi”.

Particolare rilievo assume la definizione di area protetta: “un'area geograficamente definita che è designata o regolata e gestita per raggiungere determinati obiettivi di conservazione".

Con l’articolo 3 viene fissato il principio che gli Stati hanno il diritto sovrano di sfruttare le loro risorse in coerenza con le proprie politiche ambientali, in conformità con lo Statuto delle Nazioni Unite e con i princìpi del diritto internazionale. Gli Stati hanno il dovere di evitare che le attività esercitate nell'ambito della loro giurisdizione o sotto il loro controllo causino danni ovunque all’ambiente.  

L’articolo 4 prevede, fatti salvi i diritti degli altri Stati e quanto diversamente stabilito nella Convenzione medesima, che le disposizioni della stessa Convenzione si applichino a ciascuna Parte contraente

a) nel caso di componenti della diversità biologica di zone comprese nella giurisdizione nazionale di detta Parte;

b) nel caso di procedimenti ed attività realizzate sotto la sua giurisdizione o il suo controllo, sia all'interno della zona dipendente dalla giurisdizione nazionale, sia fuori dai limiti della stessa, a prescindere dal luogo dove gli effetti di tali attività e procedimenti si manifestano.

L’articolo 5 impegna ciascuna Parte contraente, “nella misura del possibile e come opportuno”, a cooperare con le altre Parti.

Ai sensi dell’articolo 6 ognuna delle Parti è tenuta a sviluppare strategie, piani o programmi nazionali per la conservazione e l’uso durevole della diversità biologica o ad adattare a tal fine strategie, piani o programmi già esistenti, tenendo conto dei provvedimenti stabiliti nella Convenzione stessa che la riguardano; ciascuna delle Parti, inoltre, deve integrare per quanto possibile nei suoi piani settoriali o intersettoriali pertinenti la conservazione e l'uso durevole della diversità biologica.

L’articolo 7 prevede che ciascuna Parte, ai fini della conservazione in situ e dell’uso durevole della diversità biologica (di cui, rispettivamente, agli articoli 8 e 10 (si veda infra):

a)        individui i componenti della diversità biologica rilevanti ai fini della conservazione e dell'uso durevole di quest'ultima, rimandando all’Annesso della stessa Convenzione per la lista indicativa di categorie da considerare;

b)        monitori i componenti della diversità biologica così individuati, tenendo in particolare considerazione quelli che richiedono urgenti misure di conservazione e quelli che offrono il massimo di possibilità in materia di uso durevole;

c)        individui procedimenti e attività che hanno avuto, o sono suscettibili di avere, un rilevante impatto negativo sulla conservazione e l'uso durevole della diversità biologica, monitorandone gli effetti;  

d)        conservi e organizzi le informazioni derivanti dalle attività di identificazione e di monitoraggio appena descritte.

La disciplina della conservazione in situ, ossia nell’ambiente naturale,(articolo 8) impegna a ciascuna Parte, tra l’altro, a istituire e gestire un sistema di zone protette (lett a, b, c), a proteggere gli ecosistemi esistenti e a risanare quelli degradati (lett. d, f), a regolamentare o controllare con i mezzi necessari i rischi associati all'uso ed al rilascio di organismi viventi e modificati risultanti dalla biotecnologia (lett. g) nonchéa sviluppare o mantenere in vigore la necessaria legislazione e/o disposizioni regolamentari per la protezione di specie e popolazioni minacciate (lett. k).

Dopo l’articolo 9, relativoalla conservazione di elementi costitutivi della diversità biologica fuori dal loro ambiente naturale, con l’articolo 10, che detta disposizioni in tema di conservazione e uso durevole dei componenti della diversità biologica, si impegnano le Parti a tenerne conto della biodiversità nei processi decisionali nazionali, ad adottare provvedimenti concernenti l'uso delle risorse biologiche che evitino o  minimizzino gli impatti negativi sulla diversità biologica. L’articolo 11 impegna le Parti ad adottare incentivi economici e sociali per la conservazione e l'uso durevole dei componenti della diversità biologica.

Larticolo 12 impegna le Parti a focalizzare appositi programmi di istruzione, di formazione tecnico-scientifica e di ricerca sulle particolari esigenze dei paesi in via di sviluppo. Con l’articolo 13 si dispone la promozione di programmi educativi e di divulgazione finalizzati alla più ampia conoscenza del valore della conservazione ed dell’uso durevole della biodiversità.

Alla valutazione dell'impatto e alla minimizzazione degli impatti nocivi potenzialmente derivanti da progetti, programmi, politiche ed attività poste in essere da ciascuna delle Parti contraenti o sotto la sua giurisdizione è dedicato l’articolo 14 che, tra il resto, chiede alle Parti di agevolare la conclusione di accordi a livello nazionale in vista dell’adozione di provvedimenti di emergenza in caso di attività o eventi che presentino un pericolo grave o imminente per la diversità biologica e di promuovere la cooperazione internazionale a sostegno di tali sforzi a livello nazionale. Le problematiche della responsabilità e del risarcimento, compreso il ripristino e l’indennizzo per i danni causati alla diversità biologica, sono riservate all’esame della Conferenza delle Parti (si veda infra), salvo i casi di natura strettamente nazionale di tale responsabilità.

L’articolo 15, che dispone in tema di accesso alle risorse genetichedi altre Parti contraenti,ribadisce chespetta ai Governi determinare l’accesso a tali risorse, in considerazione dei diritti sovrani degli Stati sulle loro risorse naturali e che tale facoltà è disciplinata dalla legislazione nazionale. Ciò premesso, la norma impegna le Parti “a creare le condizioni favorevoli per l'accesso alle risorse genetiche da parte delle altre Parti contraenti, per usi razionali da un punto di vista ecologico, e per non imporre limitazioni contrarie agli obiettivi della presente Convenzione”.

Ai sensi dell’articolo 16 ciascuna Parte contraente, riconoscendo che la tecnologia include la biotecnologia e riconoscendo altresì come elementi essenziali per il conseguimento degli obiettivi della Convenzione l'accesso alla tecnologia e il trasferimento di tecnologia tra le Parti contraenti, si impegna a fornire e/o agevolare per altre Parti contraenti l'accesso alle tecnologie necessarie per la conservazione e l'uso durevole della diversità biologica, utilizzando le risorse genetiche senza causare danni significativi all'ambiente e ad agevolare il trasferimento di tali tecnologie (paragrafo 1). Ciascuna Parte dovrà adottare provvedimenti appropriati (di natura legislativa amministrativa o di politica generale) finalizzati a far sì che il settore privato agevoli l'accesso alla tecnologia (di cui al paragrafo 1), la sua elaborazione e il suo trasferimento a vantaggio sia degli enti governativi sia del settore privato dei paesi in via di sviluppo (paragrafo 4). Nella consapevolezza che i brevetti e gli altri diritti di proprietà intellettuale possono avere un'influenza sull’attuazione della Convenzione, le Parti “coopereranno al riguardo con riserva della legislazione nazionale e del diritto internazionale, al fine di assicurare che tali diritti siano favorevoli e non contrari ai suoi obiettivi”.

Con l’articolo 17 le Parti si impegnano ad agevolare lo scambio di informazioni, provenienti da ogni fonte accessibile al pubblico, sulla conservazione e sull'uso durevole della diversità biologica, incluse quelle relative, tra l’altro, ai risultati della ricerca tecnica, scientifica e socio-economica.

Alla cooperazione scientifica e tecnica è dedicato l’articolo 18. In particolare, il paragrafo 5 stabilisce che le Parti, sotto riserva di accordo reciproco, promuovano l'istituzione di programmi di ricerca comune e di joint ventures per lo sviluppo di tecnologie rilevanti ai fini della Convenzione.

L’articolo 19 impegna ciascuna Parte ad adottare misure legislative, amministrative o politiche finalizzate a provvedere all’effettiva partecipazione ad attività di ricerca bio-tecnologica delle Parti contraenti, in particolare dei paesi in via di sviluppo, che forniscono risorse genetiche per tale ricerca, da effettuare se possibile in questi stessi paesi.

Gli articoli 20 e 21 dispongono, rispettivamente, in ordine alle risorse finanziarie e ai meccanismi di finanziamento. Si rammenta che il Segretariato della Convenzione sulla biodiversità è finanziato con i contributi che Paesi Parte e non Parte versano ai tre Trust Funds istituiti dalla Conferenza delle Parti.

Il principale Fondo è il General Trust Fund for the Convention on Biological Diversity (BY Trust Fund) che si avvale dei contributi dei Paesi parte basati sulle scales of assessment dell’Onu[2].

Secondo i dati pubblicati sul sito web della Convenzione[3], riferiti al 31 dicembre 2009, il totale delle somme destinate al fondo nel medesimo anno è di 11.758.831 USD. La quota dell’Italia è di 1.372.407 USD.  

Dopo l’articolo 22 cheregola i rapporti con altre Convenzioni internazionali, i successivi articoli 23, 24 e 25 sono dedicati, rispettivamente, alla Conferenza delle Parti (art. 23, v. più avanti), al Segretariato (art. 24) e all’Organo sussidiario di consulenza scientifica tecnica e tecnologica (art. 25, v. più avanti).

L’articolo 26 dispone la presentazione di rapporti sull’applicazione della Convenzione, che ciascuna Parte è tenuta a presentare in occasione della Conferenza delle Parti.

L’articolo 27 disciplina le procedure per la risoluzione delle controversie attraverso il ricorso all’arbitrato internazionale, mentre gli articoli 28 e 29 prevedono la stipulazione dei protocolli e le procedure per l’approvazione degli emendamenti alla Convenzione ed ai protocolli prima richiamati.

L’articolo 31 disciplina il diritto di voto spettante alle Parti ed alle Organizzazioni di integrazione economica regionale.

Gli articoli 33, 24, 35, 36 e 38 contengono le clausole sulla firma, la ratifica, l’adesione, l’entrata in vigore e la rinuncia alla Convenzione. L’articolo 37 esclude la presentazione di riserve alla Convenzione.

Infine, gli articoli 39 e 40 disciplinano il periodo transitorio tra l’entrata in vigore dell’accordo e la prima conferenza delle parti.

5. Lo stato delle ratifiche

Come accennato, la Convenzione sulla diversità biologica è stata aperta alla firma dei Paesi il 5 giugno 1992 durante la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo di Rio de Janeiroed è rimasta aperta alla firma sino al 4 giugno 1993. In totale le sottoscrizioni sono state 168.

La Convenzione è entrata in vigore il 29 dicembre 1993, novanta giorni dopo il deposito del trentesimo strumento di ratifica, secondo quanto previsto dall’articolo 36, paragrafo 1, della Convenzione medesima.

La ratifica da parte del nostro Paese è intervenuta conla legge 14 febbraio 1994, n. 124 (Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla biodiversità, con annessi, fatta a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992).

Attualmente gli Stati aderenti alla Convenzione sono 192 (aggiornamento al 27 gennaio 2010): 192 Stati e la Comunità europea che ha sottoscritto la Convenzione il 13 giugno 1992 e l’ha approvata il 21 dicembre dello stesso anno.[4]

L’ultimo Stato Parte in ordine cronologico è la Somalia, che ha aderito alla Convenzione il 10 dicembre 2009, un mese circa dopo l’Iraq, la cui adesione risale al 26 ottobre 2009.

Gli Stati Uniti, che hanno firmato la Convenzione il 4 giugno 1993, non hanno sino ad ora proceduto alla ratifica; Andorra e la Santa Sede non hanno né firmato né aderito alla Convenzione.

6. Gli organismi previsti dalla Convenzione

La Convenzione sulla biodiversità ha dato vita ad una cornice giuridica di cooperazione, incentrata nella Conferenza delle Parti (COP), l'organismo di governo della Convenzione, che si riunisce attualmente ogni due anni - ma in caso di necessità anche in altre scadenze - per una sistematica considerazione dei progressi nell'attuazione della Convenzione medesima, nonché per adottare programmi di lavoro e fornire linee direttive.

La Conferenza delle Parti è assistita da un Organo sussidiario di consulenza scientifica, tecnica e tecnologica, composto da rappresentanti dei governi in possesso di competenze nei settori correlati alla difesa della biodiversità, come anche da osservatori in rappresentanza di governi che non hanno ratificato la Convenzione, della comunità scientifica e di altre organizzazioni interessate. L'Organo sussidiario fornisce alla Conferenza delle Parti raccomandazioni sugli aspetti tecnici dell'attuazione della Convenzione.

Nel corso della sua lunga attività la Conferenza delle Parti ha inoltre istituito altri organi ausiliari in rapporto all’emersione di specifiche questioni (gruppi di lavoro ad hoc), il cui mandato è limitato sia nell'oggetto che nel tempo. Anche tali gruppi sono aperti alla partecipazione di rappresentanti di tutte le Parti e di osservatori. Attualmente tali gruppi di lavoro sono quattro:

1)      il gruppo di lavoro sull'accesso e la condivisione dei benefici;

2)      il gruppo di lavoro sulla protezione delle conoscenze tradizionali;

3)      il gruppo di lavoro sulle aree protette;

4)      il gruppo di lavoro sulla revisione dell'attuazione della Convenzione, che esamina tra l'altro le strategie e i piani d'azione nazionali per la difesa della biodiversità.

La Conferenza delle Parti e l'Organo sussidiario hanno anche la facoltà di istituire gruppi di esperti, o di invitare il Segretariato a organizzare workshop e altre iniziative similari. In tal caso partecipano a dette iniziative esperti nominati dai governi, nonché rappresentanti delle organizzazioni internazionali o di comunità locali e indigene.

7. Le riunioni della Conferenza delle Parti

La Conferenza delle Parti si è riunita finora nove volte nell'arco di 14 anni, con cadenza annuale nel periodo 1994-1996, e biennale successivamente al 1996. Inoltre tale Conferenza si è riunita due volte in via straordinaria, in occasione della messa a punto nel 2000 del Protocollo alla Convenzione concernente i rischi che le biotecnologie possono rappresentare per la diversità biologica (Protocollo di Cartagena, v. più avanti).

Va ricordata la riunione del 2002 all’Aja (COP 6), nel corso della quale fu approvato un Piano strategico della Convenzione, i cui elementi essenziali erano anzitutto nella messa in luce dell'aggravamento del problema della perdita di biodiversità, in relazione a specifiche minacce. Nel Piano strategico, poi, le Parti si impegnavano a un'azione più efficace per l'attuazione della Convenzione, inquadrata quale precipuo contributo alla lotta alla povertà intrapresa nel quadro degli Obiettivi del Millennio.

Il Piano strategico prevedeva in particolare quattro obiettivi principali, il primo dei quali consisteva nell’attribuire alla Convenzione il ruolo di guida dell'azione internazionale in relazione alla biodiversità, mentre il secondo obiettivo prevedeva un incremento delle capacità finanziarie, scientifiche e tecnologiche delle Parti in vista di una migliore applicazione della Convenzione. Il terzo obiettivo enfatizzava l'importanza delle strategie nazionali per la biodiversità con i connessi piani d'azione, nonché dell'integrazione delle questioni della biodiversità nei settori economici di interesse. Il quarto e ultimo obiettivo, infine, impegnava le Parti a promuovere una migliore comprensione dell'importanza delle tematiche della Convenzione sulla biodiversità, anche mediante apposite strategie di comunicazione, attraverso cui giungere a un più ampio coinvolgimento dell'intera società.

Nel 2008, da ultimo, la Conferenza delle Parti si è riunita in Germania, e più precisamente a Bonn, con un'ampia serie di questioni in agenda, soprattutto in riferimento alla biodiversità agricola e forestale, nonché per valutare i progressi sulla via dell'attuazione dell'Obiettivo biodiversità 2010. Tale obiettivo è stato fissato nel 2002 a Johannesburg, in occasione del secondo Summit della Terra, quando la Conferenza delle Parti della Convenzione sulla biodiversità ha ricevuto il mandato di ridurre in modo significativo la perdita di biodiversità entro l'anno 2010. A tale obiettivo sono connesse questioni che riguardano i meccanismi di finanziamento.

La prossima riunione della Conferenza delle Parti (COP 10) è prevista per la seconda metà di ottobre 2010 a Nagoya (Giappone): essa comprenderà un segmento ministeriale ad alto livello, voluto soprattutto dalle autorità nipponiche. La COP 10 si svolgerà mentre sarà ancora in corso l’Anno internazionale per la biodiversità, proclamato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la risoluzione n. 203 della 61^ Sessione ordinaria, adottata il 20 dicembre 2006. Con tale proclamazione  il 2010 costituirà, attraverso una serie diversificata di eventi, l’occasione in tutto il mondo per elevare la consapevolezza pubblica in ordine all’importanza della biodiversità nei riguardi del benessere umano.

Durante la COP 10 assumerà particolare rilevanza l’apporto del gruppo di lavoro ad hoc sull'accesso e la condivisione dei benefici, in quanto è prevista l’adozione di uno strumento giuridico proprio su tali questioni.

La COP 10 dovrebbe affrontare, oltre al consueto bilancio sullo stato di attuazione della Convenzione, le questioni della difesa della biodiversità negli ambienti, marini, costieri, delle acque interne e delle montagne, nonché quella cruciale delle aree protette. Completano l’agenda provvisoria della COP 10 la considerazione dell’utilizzazione sostenibile della biodiversità e quella, attualissima, del rapporto della stessa biodiversità con i cambiamenti climatici.

8. I programmi di lavoro tematici

Nel corso delle sue attività la Conferenza delle Parti ha inaugurato sette diversi Programmi di lavoro tematici, in corrispondenza di alcuni tra i principali ecosistemi del pianeta. Ciascuno di questi Programmi stabilisce una visione e dei principi di base dei successivi lavori; inoltre vengono evidenziate questioni centrali, potenziali risultati e mezzi e  tempi per il loro raggiungimento. Su base periodica la Conferenza delle Parti e l’Organo sussidiario per la consulenza scientifica, tecnica e tecnologica operano una revisione dello stato di attuazione dei Programmi di lavoro.

I Programmi tematici sinora inaugurati riguardano:

a)      la biodiversità agricola;

b)      la biodiversità delle zone aride e sub-umide;

c)      la biodiversità forestale;

d)      la biodiversità delle acque interne

e)      la biodiversità delle isole;

f)        la biodiversità marina e costiera;

g)      la biodiversità montana.

In particolare, possono ricordarsi: il Programma di lavoro sulla biodiversità agricola adottato dalla Conferenza delle Parti, nel corso della sua riunione del 2000 di Nairobi, imperniato soprattutto sulle capacità di valutazione e di adattamento alle mutate situazioni e accompagnato da tre iniziative trasversali che riguardano gli agenti impollinatori, la biodiversità dei suoli e la biodiversità in rapporto ai mezzi di sussistenza; il Programma di lavoro sulla biodiversità forestale, adottato dalla Conferenza delle Parti tenutasi nel 2002 a L’Aia, che pone un’ampia serie di obiettivi e pratiche mirati alla conservazione della biodiversità forestale, all’utilizzazione sostenibile delle sue componenti e all’equa distribuzione dei benefici derivanti dall’utilizzazione delle risorse genetiche forestali; il Programma di lavoro sulla biodiversità marina e costiera, adottato nel 1998 e aggiornato nel 2004, incentrato su una gestione integrata delle aree marine costiere, sulle risorse relative a queste zone ed essenziali per il sostentamento delle comunità umane, sulle aree protette e le zone di colture marine, nonché sulla lotta contro l'introduzione di specie aliene. Quanto a quest’ultimo programma può notarsi che l'integrazione dei due versanti, marino e costiero, consente tra l'altro una migliore considerazione delle minacce portate dall'inquinamento di origine terrestre, mentre per ciò che concerne le aree oceaniche e di maggiore profondità solo la cooperazione internazionale può consentire i migliori risultati. In questo settore rileva particolarmente il lavoro della Conferenza delle Parti, che ha un ruolo chiave come supporto del lavoro delle Nazioni Unite nei confronti di aree marine protette sottoposte a giurisdizione nazionale, facilitando l'applicazione di un approccio ispirato al principio di precauzione e mirante a realizzare l'Obiettivo biodiversità 2010.

Quanto alla biodiversità montana, va sottolineato che la gravità della situazione delle aree di montagna è riscontrabile in diversi rilevanti documenti internazionali, quali l'Agenda 21 e il Piano d'azione uscito dal Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile del 2002.

9. Le questioni trasversali

Oltre ai Programmi di cui in precedenza, la Conferenza delle Parti si è occupata anche di materie fondamentali rilevanti per tutti i Programmi tematici: si tratta delle cosiddette questioni trasversali, alcune delle quali servono direttamente di supporto ai Programmi tematici - è il caso della materia concernente il monitoraggio, gli indicatori e le valutazioni, che può fornire informazioni sulle tendenze della biodiversità in tutti gli ecosistemi. Il lavoro sulle questioni trasversali ha permesso di elaborare una serie di principi e linee-guida, unitamente ad altri strumenti, atti a facilitare l'attuazione della Convenzione e il raggiungimento dell'Obiettivo biodiversità 2010.

Particolare rilevanza rivestono le questioni trasversali relative alle aree protette e all'approccio ecosistemico. L'elaborazione concernente le aree protette ha avuto una lunga gestazione, ed è stata adottata solo nel corso dei lavori della settima Conferenza delle Parti, tenutasi nel 2004 in Malaysia. L'impulso a un'efficace definizione in materia di aree protette veniva anche dal Summit della Terra di Johannesburg del 2002, che aveva incaricato gli Organi della Convenzione di favorire la creazione di aree essenziali per la biodiversità, con lo sviluppo di reti e corridoi ecologici sia a livello nazionale che regionale.

Dopo il 2004, tuttavia, i lavori sulle aree protette hanno conosciuto molte difficoltà, culminate nel febbraio 2008, quando, in una riunione nella sede romana della FAO, l'ostacolo principale ha riguardato i criteri in base ai quali istituire e gestire aree marine protette in zone poste oltre i confini delle giurisdizioni nazionali. Se infatti una cornice giuridica per tali iniziative è senza dubbio quella della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982, ciò che è rimasto controverso è proprio il ruolo attribuito agli Organi di amministrazione della Convenzione sulla biodiversità.

Per quanto riguarda poi l'approccio ecosistemico, si tratta di una metodologia generale di attuazione della Convenzione sulla biodiversità, che considera la comunità umana come parte integrante degli ecosistemi e dei loro equilibri, e che ritiene parimenti importante il rapporto della biodiversità con la produttività di un dato ecosistema. L'approccio ecosistemico è stato perfezionato è schematizzato durante la quinta Conferenza delle Parti tenutasi nel 2000 a Nairobi.

L'approccio ecosistemico si caratterizza pertanto per la responsabilizzazione delle comunità locali sulla gestione delle risorse naturali, in quanto esse sono in possesso di una migliore conoscenza dei meccanismi ambientali circostanti, hanno il più grande interesse a mantenerne il livello di produttività - anche per partecipare ai relativi benefici - e vanno dunque coinvolte nei processi decisionali concernenti l'uso di una data risorsa, o la sua restrizione. In quest'ottica, il concetto di sostenibilità non investe solo profili ambientali, ma anche economici e socio-culturali, poiché non avrebbe alcuna prospettiva la gestione di una risorsa che fosse antieconomica e avesse effetti negativi sulle strutture sociali e culturali delle comunità locali.

La gestione di una risorsa richiede altresì di unire le conoscenze scientifiche con quelle tradizionali, le quali ultime sono state rivalutate proprio in quanto frutto di una prassi plurisecolare, che, necessariamente, è fuori della portata dei più moderni approcci scientifici e tecnologici. Infine, la gestione di una risorsa deve avvenire nell’ambito di un sistema progettuale flessibile, che sia capace di tener conto degli errori commessi, riorientando tutte le attività.

L'uso sostenibile della biodiversità – un’altra delle questioni trasversali -  è stato oggetto dell’elaborazione dei princìpi di Addis Abeba, che poi la COP 7 ha discusso e approvato a Kuala Lumpur nel 2004. I princìpi di Addis Abeba richiamano a un attento monitoraggio dell'utilizzazione di una risorsa, cosicché il prelievo di essa non ne pregiudichi la disponibilità iniziale - nel qual caso si dovrà adottare un approccio più cauto e adattativo, riorientando il prelievo.

10. I meccanismi per la realizzazione degli obiettivi della Convenzione

La Convenzione ha predisposto una serie di meccanismi per agevolare la realizzazione degli obiettivi in essa stessa posti e dei Programmi successivamente elaborati. Tra questi spicca il meccanismo della stanza di compensazione, volto a costituire una sede di scambio in campo tecnico e scientifico tra le Parti, altri governi e soggetti in qualche modo interessati. Attualmente il meccanismo della stanza di compensazione si articola nel sito della Convenzione, che ospita anche il centro di informazione su di essa, nella rete nelle stanze di compensazione a livello nazionale, e, infine nel network di varie istituzioni che collaborano per l'attuazione della Convenzione.

Un ulteriore meccanismo previsto dalla  Convenzione è quello della redazione di strategie e piani d’azione nazionali sulla biodiversità, mediante i quali fornire alla Conferenza delle Parti e agli altri organi di amministrazione della Convenzione informazioni sulle misure adottate per l'attuazione della Convenzione medesima, e, ancor più, sull'efficacia di dette misure. I rapporti nazionali vengono resi disponibili anche ad altre figure attinenti alla materia della biodiversità (ad esempio agenzie intergovernative, specialisti di organizzazioni non governative e organismi scientifici) allo scopo di poter formulare strategie e programmi ben centrati per assistere le Parti nell'attuazione della Convenzione.

Infine, va ricordato che il Segretariato della Convenzione ha elaborato un meccanismo di cooperazione e partenariato con numerose agenzie delle Nazioni Unite, convenzioni in materia ambientale e organizzazioni non governative, per giungere alle maggiori possibili sinergie. Si è proceduto in tale prospettiva anche alla firma di Memoranda di cooperazione e di programmi congiunti con molti di questi soggetti, dando veste formale alle attività e obiettivi comuni. Del pari, il Segretariato ha stabilito gruppi di collegamento formali con il Segretariato delle cosiddette Convenzioni di Rio (derivanti dal Vertice del 1992 sullo sviluppo sostenibile, tra le quali, oltre alla Convenzione sulla biodiversità, figurano quella sui cambiamenti climatici e quella sulla desertificazione) e con altre convenzioni relative alla biodiversità - ad esempio in ambito FAO[5].

11. Il Protocollo di Cartagena

Il Protocollo sulla prevenzione dei rischi biotecnologici prende il nome dal luogo in cui si è svolta la prima riunione straordinaria (Cartagena, Colombia, febbraio 1999), ma è stato adottato nella riunione di Montreal il 29 gennaio dell’anno successivo.

Il Protocollo è stato aperto alla firma delle Parti della Convenzione in occasione della quinta Conferenza delle Parti, tenutasi nel maggio 2000 a Nairobi ed è entrato in vigore l’11 settembre 2003 a livello internazionale. L’Italia lo ha ratificato con la legge 15 gennaio 2004, n. 27, ed il Protocollo è in vigore per il nostro Paese dal 22 giugno dello stesso anno. Attualmente risultano Parti del Protocollo 156 Stati, oltre all’Unione europea. Si rileva come gli Stati Uniti e la Russia non abbiano neppure firmato il Protocollo.

Il Protocollo di Cartagena è il primo strumento legale internazionale che verte in modo specifico su aspetti legati alla sicurezza ambientale e sanitaria (la cd. biosafety), connessi all’utilizzazione di organismi geneticamente modificati e rappresenta il primo strumento di attuazione della Convenzione sulla diversità biologica.

 

L'art. 19, comma 3, della Convenzione ha previsto infatti che "le Parti esaminano l'opportunità di adottare e di stabilire le modalità sotto forma di Protocollo, che comprenda in particolare un accordo che stabilisca appropriate procedure per quanto riguarda il trasferimento, la manipolazione e l'utilizzazione, in condizioni di sicurezza, di ogni organismo vivente geneticamente modificato originato dalla biotecnologia e che avrebbe effetti sfavorevoli sulla conservazione e l'uso sostenibile della diversità biologica".

 

La finalità del Protocollo di Cartagena è quello di contribuire ad assicurare un adeguato livello di protezione nel campo del trasporto, della manipolazione e dell'uso in sicurezza degli organismi geneticamente modificati derivanti dalle moderne biotecnologie i quali possano avere un effetto negativo sulla conservazione e sull'uso sostenibile della diversità biologica, tenendo in considerazione anche i rischi alla salute umana e focalizzandosi specificamente sui movimenti transfrontalieri.

Il Protocollo quindi si pone come strumento giuridico internazionale che contribuisce a regolamentare il trasporto internazionale di OGM. Il Protocollo non pone alcuna limitazione alla sperimentazione, alla produzione o alla coltivazione di organismi geneticamente modificati, ma obbliga i Paesi che volessero esportarne ad ottemperare ad alcune procedure.

Il Protocollo si compone di un preambolo, che ne enumera i principi di base, tra i quali il principio dell’approccio precauzionale sancito dal Principio 15 della Dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo del 3-14 giugno 1992[6].

L’obiettivo del Protocollo, delineato dall’articolo 1, è di garantire un livello adeguato di protezione per il trasferimento, la manipolazione e l’uso degli organismi viventi modificati.

L’articolo 2 contiene le disposizioni generali in base alle quali ciascuna Parte prende le misure giuridiche, amministrative e di altro tipo per adempiere agli impegni derivanti dal Protocollo. E’ garantito il diritto delle Parti di adottare misure più restrittive rispetto a quelle previste dal Protocollo stesso, purché esse siano compatibili con gli obiettivi da esso fissati e siano conformi con gli obblighi imposti dal diritto internazionale.

L’articolo 3 contiene un elenco di definizioni. In particolare, con “organismo vivente modificato” si intende ogni organismo vivente che possiede una combinazione inedita di materiale genetico, ottenuta avvalendosi della biotecnologia moderna, mentre per “biotecnologia moderna” si intende l’applicazione delle tecniche in vitro agli acidi nucleici e l’introduzione diretta di acidi nucleici in cellule, nonché la fusione cellulare di organismi non appartenenti alla stessa famiglia tassonomica.

L’ambito di applicazione del Protocollo è circoscritto dall’articolo 4 ai movimenti transfrontalieri, al transito, alla manipolazione ed all’utilizzazione di qualsiasi organismo vivente modificato suscettibile di avere effetti sfavorevoli sulla conservazione della diversità biologica, anche in considerazione dei rischi per la salute dell’uomo.

L’articolo 5 stabilisce che le disposizioni contenute nel Protocollo non si applichino ai prodotti farmaceutici destinati all’uomo in virtù di altri accordi o organismi internazionali pertinenti.

L’articolo 6 stabilisce che il transito di organismi viventi modificati e i movimenti transfrontalieri di organismi viventi modificati destinati all’utilizzazione in sistemi chiusi non sono sottoposti alla procedura di accordo preliminare in cognizione di causa stabilita dall’articolo 7.

In base a quanto previsto dall’articolo 7, la procedura di accordo preliminare in cognizione di causa prevista dagli articoli 8, 9, 10 e 12, si applica prima che avvenga il primo movimento transfrontaliero di organismi viventi modificati destinati all’emissione deliberata nell’ambiente della Parte importatrice. Il movimento transfrontaliero di organismi viventi modificati destinati all’alimentazione umana o animale o alla trasformazione, sono invece sottoposti alla procedura prevista dall’articolo 11.

L’articolo 8 prevede la notifica scritta alle autorità competenti della Parte importatrice delle informazioni elencate nell’Allegato I che la Parte esportatrice deve fornire anteriormente al primo movimento di organismi viventi modificati destinati all’emissione deliberata nell’ambiente.

L’articolo 9 fissa un termine di novanta giorni per l’invio, a cura della Parte importatrice, della ricevuta di ritorno della notifica.

L’articolo 10 descrive in dettaglio la procedura decisionale della Parte importatrice che autorizza o, viceversa, nega, l’importazione. L’articolo 12 prevede che le decisioni adottate possono essere riconsiderate in qualsiasi momento dalla Parte importatrice di propria iniziativa, oppure su richiesta della Parte esportatrice o di autori di notifiche anteriori dei movimenti dell’organismo vivente modificato in questione, se vi sono nuove informazioni scientifiche o tecniche in grado di modificare i risultati della valutazione del rischio.

L’articolo 11 prevede una procedura particolare applicabile agli organismi viventi modificati destinati all’alimentazione umana o animale o alla trasformazione e che possono essere oggetto di movimenti transfrontalieri. Quando una Parte autorizza l’utilizzazione sul territorio nazionale di tali organismi, deve informarne le altre Parti entro quindici giorni tramite il Centro di Scambio per la prevenzione dei rischi biotecnologici. L’allegato II specifica il contenuto minimo che tale informativa deve contenere.

All’articolo 13 è prevista la possibilità di istituire una procedura semplificata.

L’articolo 14 attribuisce alle Parti la facoltà di concludere accordi e intese bilaterali, regionali e multilaterali concernenti i movimenti transfrontalieri di organismi viventi modificati a condizione che tali accordi o intese rispettino il livello di protezione previsto dal Protocollo.

Le valutazioni dei rischi sono effettuate secondo metodi scientifici comprovati, in conformità all’allegato III e si basano sulle informazioni contenute nella notifica scritta di cui all’articolo 8 e su altre prove scientifiche disponibili (articolo 15).

Quanto alla gestione dei rischi, le Parti adottano, come stabilito dall’articolo 16, misure e strategie per gestire i rischi individuati dal Protocollo connessi all’utilizzazione, alla manipolazione e ai movimenti transfrontalieri di organismi viventi modificati. Le Parti si impegnano inoltre a prendere provvedimenti per impedire movimenti transfrontalieri non intenzionali.

L’articolo 17 obbliga le Parti a notificare agli Stati colpiti, o suscettibili di esserlo, e al Centro di Scambio per la prevenzione dei rischi biotecnologici, ogni incidente di sua competenza che comporti o possa comportare il rischio di un movimento transfrontaliero non intenzionale di organismi viventi modificati suscettibili di provocare effetti sfavorevoli sulla conservazione e l’utilizzazione duratura della diversità biologica o rischi per la salute umana.

L’articolo 18 disciplina le condizioni per la manipolazione, il trasporto, l’imballaggio e l’identificazione distinguendo gli organismi viventi modificati a seconda che siano destinati ad essere direttamente utilizzati per l’alimentazione umana ed animale, ad essere utilizzati in ambiente chiuso, o ad essere introdotti intenzionalmente nell’ambiente della Parte importatrice.

Le Parti designano un corrispondente nazionale incaricato del collegamento con il Segretariato e indicano le autorità nazionali competenti incaricate dell’applicazione del Protocollo (articolo 19). Il decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 124, che ha recepito la direttiva 2001/18/CE concernente l’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati, ha individuato quale autorità competente il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.

L’articolo 20 prevede la creazione di un Centro di Scambio d’informazioni sulla biosicurezza per agevolare lo scambio di informazioni scientifiche, tecniche, ecologiche e giuridiche e assistere le Parti nell’adempimento degli obblighi derivanti dal Protocollo.

La Parte importatrice può, secondo quanto previsto dall’articolo 21, autorizzare l’autore della notifica ad indicare le informazioni confidenziali tra quelle comunicate in applicazione della procedura di accordo preliminare in cognizione di causa.

Ai sensi dell’articolo 22 le Parti cooperano allo sviluppo e al rafforzamento delle risorse umane e delle capacità istituzionali in materia di prevenzione dei rischi biotecnologici, particolarmente in vista dell’attuazione del Protocollo nei Paesi in via di sviluppo.

L’articolo 23 impegna le Parti a sensibilizzare il pubblico sulle questioni relative alla biosicurezza e ad incoraggiarlo a partecipare, attraverso consultazioni, al processo decisionale.

I movimenti transfrontalieri tra uno Stato Parte e uno Stato non Parte, devono essere compatibili con l’obiettivo del Protocollo, secondo quanto stabilito dall’articolo 24. Al riguardo è prevista la possibilità di stabilire accordi bilaterali, regionali o multilaterali. Gli Stati che non sono Parti del Protocollo sono inviati a comunicare al Centro di Scambio le informazioni appropriate, conformemente al Protocollo stesso.

L’articolo 25 disciplina i movimenti transfrontalieri illeciti, stabilendo che la Parte interessata può chiedere alla Parte d’origine di eliminare a proprie spese gli organismi viventi modificati oggetto del movimento illecito.

L’articolo 26 consente alle Parti di considerare, nelle loro decisioni relative alle importazioni, le ripercussioni socio economiche che derivano dall’impatto degli organismi viventi modificati sulla conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica, in particolare per le comunità autoctone e locali.

L’articolo 27 prevede che venga avviato, in occasione della prima riunione della Conferenza delle Parti, che siede in quanto riunione delle Parti del Protocollo (v. art. 29), un processo volto ad elaborare, nell’arco di quattro anni, regole e procedure internazionali in materia di responsabilità e di indennizzo per i danni derivanti dal movimento transfrontaliero di organismi viventi modificati.

L’articolo 28 stabilisce che per il Protocollo venga adottato il meccanismo di finanziamento previsto dall’articolo 21 della Convenzione. Nell’esaminare la questione delle risorse finanziarie destinate all’applicazione del Protocollo, le Parti tengono conto delle disposizioni contenute nell’articolo 20 della Convenzione, concernente appunto l’apporto di risorse finanziarie, e dei bisogni dei Paesi in via di sviluppo, in particolare di quelli meno progrediti.

 

L’articolo 21 della Convenzione sulla biodiversità stabilisce un meccanismo di finanziamento per l'erogazione di risorse finanziarie alle Parti che sono paesi in via di sviluppo, sotto forma di doni o a condizioni di favore. Responsabile del funzionamento del meccanismo è la Conferenza delle Parti che determina, tra l’altro, i criteri per l'attribuzione e l'utilizzazione di queste risorse. Gli apporti dovranno essere tali da consentire versamenti prevedibili adeguati e puntuali in relazione con l'ammontare delle risorse necessarie che sarà stabilito periodicamente dalla Conferenza delle Parti e con l'ammontare della ripartizione degli oneri tra le Parti contribuenti. Le Parti che sono paesi sviluppati nonché gli altri paesi e le altre fonti possono anche versare contributi volontari. Il meccanismo opererà secondo un sistema amministrativo democratico e trasparente.

Viene inoltre stabilito che la Conferenza delle Parti nella sua prima riunione determina la politica generale, la strategia e le priorità programmatiche, nonché criteri e linee direttive dettagliate per definire i criteri per l'accesso delle risorse finanziarie e la loro utilizzazione, compreso il controllo ed una regolare valutazione di tale utilizzazione.

 

L’articolo 29 istituisce la Conferenza delle Parti come Riunione delle Parti del Protocollo e ne delinea i compiti. Le Parti della Convenzione che non sono anche Parti del Protocollo possono partecipare alle riunioni della Conferenza delle Parti, che siede come riunione delle Parti del Protocollo, in qualità di osservatori.

I rappresentanti dell’ONU, delle sue agenzie specializzate e dell’AIEA possono partecipare come osservatori alle riunioni della Conferenza delle Parti che si riunisce in quanto Riunione delle Parti del Protocollo,

Ai sensi dell’articolo 30, la Conferenza delle Parti che siede in quanto riunione delle Parti del Protocollo può decidere che organi sussidiari creati dalla Convenzione esercitino funzioni a titolo del Protocollo.

Le funzioni di Segretariato del Protocollo sono svolte dal Segretariato istituito dall’articolo 24 della Convenzione (articolo 31).

L’articolo 32 precisa che le disposizioni della Convenzione relative ai suoi Protocolli si applicano al Protocollo in esame, salvo che in esso non sia disposto diversamente.

L’articolo 33 prevede la vigilanza di ciascuna Parte sul rispetto degli obblighi derivanti dal Protocollo.

Ai sensi dell’articolo 35 la valutazione dell’efficacia del Protocollo viene effettuata dopo cinque anni dall’entrata in vigore dello stesso, per opera della Conferenza delle Parti che siede in quanto riunione delle Parti del Protocollo

Gli articoli dal 36 al 40 recano le clausole di rito finali relative all’apertura alla firma del Protocollo, alla sua entrata in vigore (novanta giorni dopo il deposito del cinquantesimo strumento di ratifica), alla possibilità di denunciarla con notifica scritta al Segretario Generale dell’ONU, cui competono le funzioni di depositario del Protocollo.

Il testo del Protocollo è corredato tre allegati. L’allegato I elenca le informazioni che figurare nelle notifiche da presentare ai sensi degli articoli 8, 10 e 13 del Protocollo. L’allegato II reca l’elenco delle informazioni da fornire previste dalla procedura da seguire per gli organismi viventi modificati destinati ad essere direttamente utilizzati per l’alimentazione umana o animale, o ad essere trasformati, ai sensi dell’articolo 11 del Protocollo. un elenco dettagliato di attrezzature e materiali non nucleari ai fini della comunicazione di informazioni sulle esportazioni ed importazioni previste dal Protocollo. L’allegato III contiene indicazioni circa la valutazione dei rischi.

 

 

 


 

 

 

 

 

La protezione della biodiversità nell’Unione europea

 


1. L’impegno delle istituzioni comunitarie a tutela della biodiversità

Fin dagli albori della Convenzione internazionale sulla biodiversità, si è manifestato l’impegno della Comunità europea  nei confronti della tutela della diversità biologica, con la sottoscrizione della stessa Convenzione il 13 giugno  1992 e con la sua approvazione il 21 dicembre dello stesso annocon la Decisione del Consiglio 93/626/CEE, del 25 ottobre 1993[7].

Questi atti hanno costituito l’inizio di un impegno di lungo periodo delle istituzioni comunitarie, che si è concretizzato in numerosi atti, tra i quali si possono richiamare i seguenti.

Con la Comunicazione al Consiglio e al Parlamento europeo, del 5 febbraio 1998 (Com(1998)42) la Commissioneha adottatouna strategia comunitaria per la diversità biologica, definendo un quadro generale di politiche e  strumenti comunitari adeguati per rispettare gli obblighi della Convenzione. La strategia era basata su quattro temi: conservazione ed utilizzazione sostenibile della diversità biologica; ripartizione dei vantaggi derivati dall'utilizzazione delle risorse genetiche; ricerca, determinazione, controllo e scambio di informazioni; istruzione, formazione e sensibilizzazione.

Successivamente è stata adottata la Decisione 2002/628/CE del Consiglio, del 25 giugno 2002, con la quale la Comunità europea è divenuta Parte del protocollo di Cartagena sulla biosicurezza[8].

La Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio del 23 dicembre 2003 (COM(2003)821) ha attuato, in ambito comunitario, le c.d. "Linee guida di Bonn", sull'accesso alle risorse genetiche e sulla ripartizione dei benefici derivanti dal loro utilizzo nell'ambito della Convenzione sulla diversità biologica[9], prevedendo un Centro comunitario di scambio sulla biodiversità, nonché strumenti di applicazione e misure di sostegno e incentivazione al rispetto della Convenzione. Tra i principali strumenti vi sono gli accordi per i trasferimenti di materiale e i codici di autoregolamentazione dei soggetti interessati. Tra le misure di sostegno e incentivazione per gli utilizzatori di risorse figurano la creazione di una rete europea di punti di contatto, l’istituzione di una sezione dedicata all'accesso alle risorse e alla ripartizione dei benefici nell'ambito del Centro comunitario di scambio e la costituzione di un registro dei gruppi di soggetti interessati nell'ambito del Centro di scambi comunitario.

Nel maggio del 2004, a Malahide, in Irlanda, nel corso di una conferenza organizzata dalla Presidenza irlandese dell’unione, è stata lanciata ufficialmente, a livello europeo, l’iniziativa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) denominata “Countdown 2010”[10] avente lo scopo di sensibilizzare i vari settori della società civile sul raggiungimento dell’obiettivo di arrestare la perdita di biodiversità entro il 2010.

Particolarmente rilevante è stata l’adozione del Piano d’azione sulla biodiversità del 2006. Con tale piano la Commissione europea si è posta l’obiettivo di preservare la biodiversità ed arrestarne la relativa perdita sia all'interno delle frontiere dell'Unione europea (UE) che sul piano internazionale.

In particolare, si è insistito sull’esigenza di arrestare le minacce agli ecosistemi per tutelare la natura sia per il suo valore intrinseco (valore ricreativo e culturale) che per ciò che essa offre all’umanità (servizi ecosistemici). I servizi eco sistemici sono essenziali ai fini della competitività, della crescita e dell'occupazione, nonché del miglioramento delle condizioni di vita a livello mondiale.

Questo piano d'azione ha fissato dieci obiettivi prioritari d'intervento ripartiti in base a quattro settori: biodiversità nell'UE, biodiversità nel mondo, biodiversità e cambiamento climatico, base di conoscenze. Esso ha definito, inoltre, quattro grandi misure di sostegno (al finanziamento, al processo decisionale, all’istituzione di partenariati e all’istruzione, alla sensibilizzazione e alla partecipazione dei cittadini) nonché azioni di monitoraggio, di valutazione e di riesame. Il piano d'azione si rivolge sia all'UE sia agli Stati membri. Le misure del caso dovranno essere adottate entro il 2010 e continueranno ad essere applicate anche oltre questa data.

2. La biodiversità nella legislazione comunitaria

L’impegno dell’Unione europea per la biodiversità si è quindi tradotto anche in una serie di atti legislativi che sono trasversali a diverse politiche dell’Unione. In particolare:

Ø      nella politica ambientale: la strategia e i piani d'azione comunitari a favore della diversità biologica costituiscono il quadro generale dell'azione a favore della biodiversità. In attuazione di tale quadro, le direttive «uccelli selvatici» (la direttiva 79/409/CEE, ora sostituita dalla direttiva 2009/147/CE) e «habitat» (la direttiva 92/43/CEE) creano la rete «Natura 2000» che intende tutelare gli habitat e le specie. Altre disposizioni ad hoc si concentrano sulla tutela delle specie della flora e della fauna selvatiche (tra queste si ricorda la recente direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino, direttiva 2008/56/CE);

Ø      nelle altre politiche dell'Unione: la biodiversità è fattore tenuto in considerazione nell'ambito della politica agricola (riforma della politica agricola comune con il regolamento 1782/2003, regolamento 1698/2005 sullo sviluppo rurale), della politica regionale (ad esempio con le valutazioni d'impatto di cui alla direttiva 85/337/CEE e successive modificazioni e le valutazioni ambientali strategiche di cui alla direttiva 2001/42/CE) e nell’ambito della politica della pesca con il regolamento 2371/2002 e successive modificazioni relativo alla conservazione e allo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca.

 

2.1. La biodiversità nella legislazione ambientale (su specie animali e zone di conservazione).

Le direttive 79/409/CEE e 2009/147/CE mirano a proteggere, gestire e regolare tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri - comprese le uova, i nidi e gli habitat – e regolare lo sfruttamento delle specie.

A tal fine gli Stati membri sono tenuti a preservare, mantenere o ripristinare i biotopi e gli habitat di questi uccelli: istituendo zone di protezione; mantenendo gli habitat; ripristinando i biotopi distrutti; creando biotopi. Per talune specie di uccelli identificate dalle direttive (allegato I) e le specie migratrici sono previste misure speciali di protezione degli habitat.

Le direttive stabiliscono un regime generale di protezione di tutte le specie di uccelli, comprendente in particolare il divieto di uccidere o catturare deliberatamente le specie di uccelli contemplate dalle direttive. E’ autorizzata, tuttavia, la caccia di talune specie a condizione che i metodi utilizzati rispettino alcuni principi (saggia ed equa utilizzazione, divieto di caccia durante il periodo della migrazione o della riproduzione, divieto di metodi di cattura o di uccisione in massa o non selettiva, di distruggere, danneggiare o asportare i nidi e le uova, di disturbare deliberatamente gli animali o detenerli).

Salvo eccezioni, in particolare per quanto concerne talune specie che possono essere cacciate, non sono autorizzati la vendita, il trasporto e la detenzione ad essa finalizzati nonché l'offerta in vendita degli uccelli vivi e degli uccelli morti, nonché di qualsiasi parte o prodotto ottenuto dall'uccello.

La direttiva 92/43/CEE, invece, ha stabilito una rete ecologica europea denominata "Natura 2000". Tale rete è costituita da "zone speciali di conservazione" designate dagli Stati membri in conformità delle disposizioni della direttiva e da zone di protezione speciale istituite dalla direttiva 79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici. Gli allegati I (tipi di habitat naturali di interesse comunitario) e II (specie animali e vegetali di interesse comunitario) della direttiva forniscono indicazioni circa i tipi di habitat e di specie la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione. Alcuni di essi sono definiti come tipi di habitat o di specie "prioritari" (che rischiano di scomparire). L’allegato IV elenca le specie animali e vegetali che richiedono una protezione rigorosa.

Da ultimo, la direttiva 2008/56/CE ha stabilito un quadro normativo e obiettivi comuni per la protezione e la conservazione dell’ambiente marino fino al 2020. Per poter raggiungere tali obiettivi, gli Stati membri dovranno valutare i bisogni esistenti nelle zone marine di loro competenza. Essi dovranno poi elaborare e attuare piani di gestione coerenti in ogni regione e successivamente assicurarne il monitoraggio. Il termine di recepimento negli Stati membri è il 15 luglio 2010. In Italia, il recepimento è previsto dall’Allegato B della legge 7 luglio 2009, n. 88 (legge comunitaria 2008).

2.2. La biodiversità nella politica agricola

Nell’ambito della politica agricola, il tema della biodiversità assume rilievo sotto diversi profili di seguito illustrati.

 

In materia sviluppo rurale, il regolamento 1698/2005 ha stabilito le norme generali per il sostegno comunitario a favore dello sviluppo rurale finanziato dal FEASR (Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale), istituito dal regolamento (CE) n. 1290/2005. Il fondo si pone gli obiettivi di migliorare la competitività dell’agricoltura e della silvicoltura; l’ambiente e lo spazio rurale; la qualità della vita e la gestione delle attività economiche nelle zone rurali.

Per quanto concerne la gestione del territorio, il sostegno comunitario deve contribuire allo sviluppo sostenibile, incoraggiando in particolare gli agricoltori e i silvicoltori a gestire le terre secondo metodi compatibili con la necessità di salvaguardare i paesaggi e l’ambiente naturale nonché di proteggere e migliorare le risorse naturali. I principali elementi da prendere in considerazione comprendono la biodiversità, la gestione dei siti Natura 2000, la protezione delle acque e del suolo e l’attenuazione dei mutamenti climatici.

 

Negli ultimi anni è stata fortemente avvertita nel settore agricolo l’esigenza di conciliare un’agricoltura produttiva con la tutela degli ecosistemi, mantenendo la complessità e la ricchezza genetica delle specie agricole, sia quelle coltivate che quelle selvatiche. Alla base di tale sensibilità vi è anche la considerazione del ruolo fondamentale della biodiversità agraria a fini di garanzia della salute e della sicurezza alimentare delle popolazioni. Tra i filoni più significativi nei quali assume rilevanza la tutela della biodiversità per il settore agricolo si possono citare lo sviluppo dell’agricoltura biologica, il principio di coesistenza tra colture transgeniche (OGM) e colture convenzionali e biologiche, la politica a tutela della biodiversità forestale e, seppure di carattere più settoriale, l’istituzione del registro delle nazionale delle “varietà da conservazione”.

 

La nascita della produzione biologica è da connettersi con l’esigenza manifestata dal consumatore di poter acquistare un prodotto con caratteristiche particolari sotto il profilo della “genuinità”, ottenuto anche con metodologie produttive che assicurino la tutela ambientale e della biodiversità, compatibili con uno sviluppo sostenibile.

A livello europeo l’opera di revisione degli atti normativi vigenti è stata guidata dall’intento di  rendere più espliciti gli obiettivi, i principi e le norme applicabili alla produzione biologica e favorire la trasparenza e la fiducia del consumatore verso un sistema produttivo che contribuisca anche alla tutela della biodiversità. Tale revisione si è conclusa con l’approvazione del Reg. (CE) 28 giugno 2007, n. 834/2007 per il quale la produzione biologica è un sistema globale di gestione dell’azienda e della produzione. I procedimenti produttivi biologici non debbono danneggiare le risorse, dovendo anzi contribuire alla loro conservazione attraverso un utilizzo responsabile e, se possibile, migliorare la salute dei suoli, delle acque, delle piante e degli animali (art. 3, lett. a), punto i). Compaiono anche fra gli obiettivi della produzione l’arricchimento della diversità biologica e il rispetto di “criteri rigorosi” in tema di benessere animale.

In base al citato regolamento 834/2007 CE, i principi che regolano il metodo produttivo biologico portano al divieto di utilizzo di OGM e di prodotti derivati da OGM, sia nella forma di alimenti che di mangimi, ausiliari di fabbricazione, prodotti fitosanitari, concimi, ammendanti, sementi, materiale di moltiplicazione, microrganismi e animali in produzione biologica. Sono esclusi dal divieto i soli medicinali veterinari, mentre è chiesta una rigorosa limitazione nell’uso dei fattori di produzione ottenuti da sintesi chimica. E’ peraltro vietato il ricorso ai trattamenti con radiazioni ionizzanti sia sugli alimenti che sui mangimi che sulle materie prime utilizzate.

L’impiego delle risorse non rinnovabili deve essere ridotto al minimo mentre i rifiuti e i sottoprodotti, sia vegetali che animali, debbono essere riciclati.

Nei processi di trasformazione, sia degli alimenti che dei mangimi, debbono essere limitati l’uso di additivi, micronutrienti e ausiliari di fabbricazione.

Le norme del regolamento sul metodo di produzione agricola richiedono che di norma l”intera azienda” sia a produzione biologica; tuttavia, e a determinate condizioni, è ammessa una suddivisione aziendale in più unità con regimi produttivi diversi.

Per dotare il sistema di una certa flessibilità alla Commissione UE è consentito accordare eccezioni alle norme di produzione; tuttavia, per preservare la fiducia del consumatore nei prodotti biologici, tali eccezioni debbono essere strettamente limitate ai casi in cui sia ritenuta giustificata l’applicazione di norme meno restrittive, e concesse per un tempo limitato al minimo.

Le disposizioni del regolamentosull’etichettatura consentono l’utilizzo nell’intera area comunitaria ed in qualunque lingua di un elenco di termini, atti ad indicare il metodo seguito sia sulle etichette che nella pubblicità.

 

Con riferimento agli organismi geneticamente modificati (OGM) il principio di coesistenza in agricoltura tra le colture transgeniche e quelle convenzionali e biologiche si traduce nella capacità degli agricoltori di fornire ai consumatori la possibilità di scegliere tra prodotti tradizionali, biologici o geneticamente modificati conformi alle norme europee in materia di etichettatura e di purezza. La coesistenza non ha nulla a che vedere con rischi ambientali o per la salute umana, in quanto nell’Unione europea sono ammesse solo le colture geneticamente modificate che siano state autorizzate dopo averne verificato la sicurezza per l’ambiente e per la salute umana. Poiché in natura i diversi tipi di produzione agricola tendono a non restare separati, durante la coltivazione, il raccolto, il trasporto, lo stoccaggio e la lavorazione sono necessarie misure adeguate per gestire la possibilità di una commistione accidentale tra colture geneticamente modificate e non geneticamente modificate, dovuta ad impurità delle sementi, all’impollinazione incrociata, a piante spontanee o anche alle pratiche seguite per la raccolta. Il tema della coesistenza riguarda la possibilità di una perdita economica dovuta alla commistione di colture geneticamente modificate e non geneticamente modificate, che potrebbe ridurre il valore delle colture stesse. Tale problema è affrontato con il ricorso a misure di identificazione e di gestione delle colture che minimizzino il rischio di commistione, anche se tali misure hanno, a loro volta, un problema di costo. [11]

Questo ambito è stato oggetto di intervento della normativa comunitaria.

 

In particolare va citata la direttiva 2001/18/CE del 12 marzo 2001[12], successivamente modificata dalla direttiva 2008/27/CE, sull’emissione deliberata nell’ambiente di OGM abroga la precedente direttiva 90/220/CEE a partire dal 17/10/2002. La direttiva:

•      ribadisce la validità del principio di precauzione;

•      prevede un’autorizzazione a tempo determinato;

•      è più severa nella valutazione d’impatto ambientale.

 

- Decisione 2002/623/Ce del 24 luglio 2002 che fornisce agli Stati membri le linee guida dettagliate affinché gli stessi possano adeguatamente procedere alla valutazione del rischio ambientale richiesta dalla direttiva 2001/18, e possano individuare e valutare gli effetti potenzialmente negativi degli OGM sia diretti che indiretti, immediati o differiti, sulla salute umana e sull’ambiente;

- Decisione 2002/811/Ce del 3 ottobre 2002 che fornisce linee guida dettagliate in merito ai piani di monitoraggio che precedono la immissione in commercio di un OGM. La decisione si rivolge ai soggetti che, volendo per la prima volta immettere in commercio un OGM debbono presentare una notifica agli Stati membri accompagnata dal monitoraggio e da una relazione sull’emissione deliberata nell’ambiente;

- Regolamento 1829/2003 del 22 settembre 2003[13] relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati che, al fine di proteggere la salute sia umana che animale, definisce una procedura comunitaria affinché sia valutata la sicurezza dei prodotti prima della immissione sul mercato comunitario. Il provvedimento sostanzialmente definisce un sistema nuovo di autorizzazione e vigilanza sia sugli alimenti che sui mangimi, per entrambi reca inoltre disposizioni sull’etichettatura. Il regolamento:

•      innova le procedure di autorizzazione in precedenza stabilite dal reg. 258/97 per i nuovi prodotti alimentari;

•      sottrae i mangimi al regime in generale previsto dalla dir. 90/220 e prevede per gli stessi, sia per quelli contenenti OGM che per quelli costituiti o prodotti a partire da OGM, una specifica procedura di autorizzazione;

•      sottopone all’autorizzazione anche gli additivi contenenti OGM e destinati ad entrare in prodotti alimentari destinati al consumo umano;

•      adegua le nuove procedure di autorizzazione ai nuovi principi contenuti nella dir. 2001/18;

•      dispone nuove norme, armonizzate ed esaustive, in tema di etichettatura degli alimenti e dei mangimi;

•      abroga le disposizioni di cui al reg. 1139/98 e reg. 50/2000.

- Regolamento 1830/2003 del 22 settembre 2003 che definisce un sistema di tracciabilità che dovrà essere applicato da parte di tutti gli Stati membri sia per gli OGM, che per gli alimenti ed i mangimi ottenuti da OGM, sistema che è destinato ad agevolare il ritiro dei prodotti dal mercato, nonché a monitorare gli effetti  sull’ambiente. Gli OGM autorizzati devono essere identificati con un codice trasmesso dagli operatori lungo tutta la catena alimentare e la loro presenza negli alimenti deve essere indicata in etichetta se superiore allo 0,9%, per quelli in corso di autorizzazione l’obbligo è previsto nel caso di una presenza dello 0,5%, mentre l’obbligo di segnalazione in etichetta è tassativo per gli OGM non autorizzati.

- Regolamento 1831/2003 del 22 settembre 2003 che interviene sul mercato della produzione di mangimi definendo una procedura comunitaria per l’autorizzazione alla immissione e all’utilizzo degli additivi destinati all’alimentazione animale. Uno specifico regime autorizzatorio è definito per gli additivi contenenti, o prodotti a partire da, OGM, autorizzazione nella quale deve comparire il nome del titolare, che è peraltro l’unico soggetto cui è consentita la prima immissione sul mercato del prodotto;

- Direttiva 2004/35/CE del 21 aprile 2004[14] sulla responsabilità ambientale; in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale il provvedimento si applica anche al danno ambientale causato da qualsiasi uso confinato, compreso il trasporto, di microrganismi geneticamente modificati, nonché da qualsiasi rilascio deliberato nell'ambiente, trasporto e immissione in commercio di organismi geneticamente modificati.

- Decisione 2004/204/CE del 23 febbraio 2004 che stabilisce disposizioni dettagliate in merito alla compilazione e tenuta dei registri, da parte della Commissione, contenenti le informazioni sulle modifiche genetiche degli OGM. Tali informazioni - che oltre a includere il deposito di campioni di OGM debbono fornire dettagli sulle sequenze nucleotidiche o le altre informazioni necessarie alla identificazione dell’OGM, della sua discendenza, o di un prodotto contenente l’OGM – saranno distinte in informazioni accessibili anche al pubblico, informazioni riservate per la tutela degli interessi commerciali, informazioni supplementari riservate ai soli Stati membri;

- Regolamento 65/2004 del 14 gennaio 2004 che ha definito i meccanismi che consentono di assegnare ad ogni OGM un identificatore unico atto a realizzare il sistema di tracciabilità previsto dal reg. 1830/2003;

- Regolamento 641/2004 del 6 aprile 2004 che, in tema di alimenti e mangimi, reca norme di attuazione del reg. 1829/2003 riguardanti la presentazione delle richieste di autorizzazione per nuovi alimenti e mangimi G.M., la presentazione di una notifica per prodotti preesistenti o in merito alla presenza accidentale o tecnicamente inevitabile di materiale geneticamente modificato che è stato oggetto di una valutazione del rischio favorevole;

- Decisione 2005/174/CE del 25 febbraio 2005 con la quale sono state predisposte note orientative destinate agli Stati membri, al fine di garantire che le autorità nazionali competenti effettuino correttamente la valutazione preliminare sulla sicurezza di un MGM, e forniscano adeguate informazioni agli utilizzatori riguardo al contenuto della documentazione da trasmettere;

- Decisione 2005/317/CE del 18 aprile 2005 con la quale la Commissione, applicando il principio di precauzione di cui all’art. 174.2 del Trattato di Amsterdam, ha adottato misure di emergenza per impedire la commercializzazione in Europa di prodotti contaminati dal mais geneticamente modificato “BT10”.

 

Un ulteriore settore coinvolto nella tutela della biodiversità è quello della politica forestale.Per tutela della biodiversità forestale si intende la politica volta ad aumentare gli sforzi necessari a preservare la naturale diversità delle specie e degli habitat forestali, ad ottimizzare i metodi di gestione delle aree protette esistenti e ampliarle, in modo da includere in esse un ampio spettro di tipologie di boschi, e da creare collegamenti che limitino i problemi legati alla eccessiva frammentarietà degli habitat.

Al riguardo vanno citate le quattro conferenze ministeriali sulla protezione delle forestein Europa, che rappresentano un’importante iniziativa nel processo di cooperazione tra i Paesi europei (non solo della Comunità Europea) per contribuire alla protezione e alla gestione sostenibile delle foreste europee. Si tratta di una risposta congiunta e di un impegno politico dei paesi europei alla gestione sostenibile e alla conservazione delle risorse forestali, come suggerito nell'Agenda 21 - il programma delle Nazioni Unite dedicato allo sviluppo sostenibile che si propone di dare luogo ad una pianificazione completa delle azioni da intraprendere, a livello mondiale, nazionale e locale dalle organizzazioni delle Nazioni Unite, dai governi e dalle amministrazioni in ogni area in cui la presenza umana abbia impatti sull'ambiente - e nella dichiarazione di principio non giuridicamente vincolante sulle foreste approvata dalla conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo (United Nations Conference on Environment and Development - UNCED), tenendo conto delle specifiche condizioni ed esigenze delle foreste europee. La "Conferenza Ministeriale sulla Protezione delle Foreste in Europa" (MCPFE) è ad oggi un organo di cooperazione tra 44 Paesi europei e la Comunità Europea per individuare obiettivi comuni e per promuovere attività coordinate a favore della protezione e della gestione sostenibile delle foreste.

Il processo, iniziato nel 1990 e tuttora in corso, si basa sul già richiamato sistema di Conferenze durante le quali, grazie anche al contributo di esperti, vengono stabilite direttive generali. Il dialogo coinvolge anche altri Paesi rappresentati come osservatori e numerose organizzazioni, nonché responsabili nazionali e internazionali di tutti i settori legati al legno e alle foreste. Le Conferenze costituiscono dunque una base di scambio a livello politico e scientifico, strettamente legata ad altri processi e iniziative globali e regionali che si occupano di foreste e protezione della natura.

 

Le risoluzioni adottate dai paesi europei e dall'UE durante le conferenze tenutesi a Strasburgo (1990), a Helsinki (1993), a Lisbona (1998) ed a Vienna (2003) sono le seguenti:

S1:   rete europea di posti di osservazione permanente per il monitoraggio degli ecosistemi forestali;

S2:   conservazione delle risorse genetiche forestali;

S3:   banca di dati europea decentrata sugli incendi forestali;

S4:   adeguamento della gestione delle foreste situate in zone montane a nuove condizioni ambientali;

S5:   ampliamento della rete EUROSILVA con ricerche sulla fisiologia degli alberi;

S6:   rete europea di ricerca sugli ecosistemi forestali;

H1:   orientamenti generali per la gestione sostenibile delle foreste in Europa;

H2:   orientamenti generali per la conservazione della biodiversità delle foreste europee;

H3:   cooperazione nel settore della silvicoltura con i paesi ad economia di transizione;

H4:   strategie per un processo di adeguamento a lungo termine delle foreste europee al cambiamento climatico;

L1:    popoli, foreste e silvicoltura: potenziamento degli aspetti socioeconomici della gestione sostenibile delle foreste;

L2:    criteri, indicatori e orientamenti operativi paneuropei per la gestione sostenibile delle foreste.

V1:    cooperazione intersettoriale e programmi forestali nazionali. Tutti i responsabili dei diversi settori legati alle foreste devono strettamente collaborare per la protezione e il corretto utilizzo dei boschi, in modo da raggiungere obiettivi che tengano conto delle diverse esigenze. I programmi forestali nazionali acquistano, in questo contesto, un ruolo essenziale.

V2:    valore economico della gestione forestale sostenibile. Si può concepire la gestione forestale sostenibile come realizzabile ed effettiva a lungo termine solo tenendo nel giusto conto il valore economico dei beni e dei servizi offerti dal patrimonio boschivo. In particolare, nelle zone rurali le foreste costituiscono un'importante, se non la principale fonte di lavoro e di guadagno. Diventa essenziale, allora, prevedere un'efficace politica economica che prenda in considerazione questo aspetto, anche in collaborazione con altri gruppi sociali.

V3:    dimensione sociale e culturale della gestione forestale sostenibile. Da sempre le foreste hanno fatto parte della storia del genere umano, di cui conservano numerose tracce e aspetti culturali. I ministri si impegnano a preservare e valorizzare questa loro ulteriore ricchezza con azioni politiche mirate.

V4:    biodiversità forestale in Europa[15].

V5:    cambiamento climatico e gestione forestale sostenibile. Le foreste sono preziose riserve di carbonio e mitigano gli effetti dei cambiamenti climatici. Ciononostante, per ottenere dei risultati duraturi nel miglioramento della qualità dell'ambiente, occorre puntare soprattutto sulla riduzione delle emissioni di gas serra. Un valido contributo proviene dalla promozione del legno come fonte di energia alternativa.

 

Nel corso della quarta conferenza ministeriale, tenutasi a Vienna nel 2003, è stata poi sottoscritta, oltre alle cinque Risoluzioni sopra ricordate (V1-5), una dichiarazione generale che enfatizza la multifunzionalità delle foreste, considerandole una fonte di energia rinnovabile, in grado di fornire protezione dalle catastrofi naturali, di agire come serbatoi di carbonio, di fungere da tamponi contro i cambiamenti ambientali, di partecipare all'equilibrio del ciclo dell'acqua e di svolgere un'importante funzione didattica e ricreativa.

 

 

 

2.3. La biodiversità nella politica regionale

Nell’ambito della politica regionale,la direttiva 85/337/CEE subordina l’autorizzazione di determinati progetti aventi un’influenza fisica sull’ambiente alla previa valutazione da parte dell’autorità nazionale competente.

Questa valutazione deve determinare gli effetti diretti ed indiretti di questi progetti sui seguenti aspetti: l’ambiente umano, la fauna, la flora, il suolo, l’acqua, l’aria, il clima, il paesaggio, i beni materiali e il patrimonio culturale, così come l’interazione tra i differenti elementi.

La revisione della direttiva operata nel 2003 ha permesso di integrare nel testo della stessa alcune disposizioni della Convenzione di Århus sull’accesso all’informazione, la partecipazione del pubblico e l’accesso alla giustizia in materia di ambiente.

Con la direttiva 2001/427CE, invece, ci si è posti la finalità di garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente e di contribuire all'integrazione di considerazioni ambientali durante l'elaborazione del piano o programma ed anteriormente alla sua adozione. In questo quadro si è previsto la valutazione ambientale strategica (VAS), la quale consiste "nell'elaborazione di un rapporto di impatto ambientale, nello svolgimento di consultazioni, nella valutazione del rapporto ambientale e dei risultati delle consultazioni nell'iter decisionale e nella messa a disposizione delle informazioni sulla decisione".

 

2.4. La biodiversità nella politica della pesca

Il regolamento (CE) n. 2371/2002, come modificato dal regolamento (CE) n. 865/2007, ha adottato misure intese a limitare la mortalità per pesca e l’incidenza ambientale delle attività di pesca mediante:

·         la limitazione delle catture;

·         la limitazione dello sforzo di pesca;

·         l’adozione di misure tecniche;

·         l’adozione di piani pluriennali di ricostituzione volti a garantire la ricostituzione di determinati stock in modo che rientrino in limiti biologici sicuri;

·         l’adozione di piani pluriennali di gestione per mantenere gli stock che già rientrano in limiti biologici sicuri.

Questi piani possono comprendere, fra l’altro, misure che consentano di limitare le catture e lo sforzo di pesca, di fissare il numero ed il tipo di navi autorizzate a praticare la pesca e di promuovere una pesca più selettiva o che abbia un impatto lieve sugli ecosistemi marittimi e sulle specie non bersaglio. Possono figurarvi anche misure tecniche relative, in particolare, alla struttura, al numero ed alla dimensione degli attrezzi da pesca presenti a bordo, nonché altre misure volte a stabilire le zone e/o i periodi di divieto o di limitazione delle attività di pesca.


3. La biodiversità nella politica attuale delle Istituzioni europee

Nella comunicazione relativa al sesto riesame della politica ambientale (COM(2009)304), presentata nel giugno 2009 dalla Commissione europea emerge come priorità per l’UE il contrasto alla perdita della biodiversità.

In particolare, la Comunicazione evidenzia che la politica ambientale ha ormai assunto carattere prioritario nell’agenda dell’UE, e che la dimensione ambientale incide sempre più spesso in altri settori delle politiche UE, ad esempio: i trasporti e la politica energetica; la politica agricola (volta ad una gestione sostenibile del suolo e alla promozione dello sviluppo rurale, anziché ai pagamenti diretti); la gestione dei rifiuti e delle acque; i temi dello sviluppo sostenibile, legati alla politica industriale, alla ricerca e allo sviluppo.

Le preoccupazioni della Commissione per la perdita della biodiversità sono legate alla dipendenza degli esseri umani dai beni e dai servizi offerti dagli ecosistemi, dimostrata anche dai risultati di uno studio, pubblicato nel maggio 2008 in occasione della nona conferenza della convenzione sulla diversità biologica, secondo il quale, con la scomparsa del 60% delle barriere coralline nel 2030 e la perdita dell’11% delle aree naturali del pianeta nel 2050 a causa della conversione all’agricoltura, per l’espansione delle infrastrutture e per le conseguenze dei cambiamenti climatici, la perdita globale dei servizi ecosistemici ammonterebbe a 50 miliardi di euro l’anno con perdite in termini di benessere che, nel complesso, potrebbero rappresentare il 7% del PIL.

Il 16 dicembre 2008 la Commissione ha presentato una Comunicazione relativa alla valutazione intermedia dell’attuazione del piano d’azione comunitario sulla biodiversità (COM(2008)864).

La Commissione ha evidenziato i progressi conseguiti e delineato le attività più importanti intraprese dalla UE e dagli Stati membri al fine di attuare il piano d’azione sulla biodiversità del 2006, affermando tuttavia di ritenere altamente improbabile il raggiungimento dell’obiettivo di arrestare la riduzione della biodiversità entro il 2010.

Inoltre, il 19 gennaio 2010 la Commissione europea ha presentato la ComunicazioneOpzioni possibili dopo il 2010 per quanto riguarda la prospettiva e gli obiettivi dell’Unione europea in materia di biodiversità” (COM(2010)4), nella quale preannuncia per la fine dell’anno la presentazione di una nuova strategia della Commissione.

Il documento esamina lo stato della biodiversità in Europa e nel mondo, le conseguenze della perdita della biodiversità, le realizzazioni e le lacune delle politiche attuali, le prospettive per il 2050 e le prossime tappe da intraprendere. In particolare, la comunicazione della Commissione propone una visione strategica per la biodiversità a lungo termine (2050), con quattro alternative per raggiungere l'obiettivo intermedio (2020) differenziate in base al livello di ambizione che può variare da un rallentamento in misura significativa fino all’arresto totale della perdita di biodiversità e al ripristino dei servizi ecosistemici nell'UE.

 

La presidenza spagnola di turno dell’UE (in carica fino al giugno 2010) si è impegnata a mettere a punto un piano d'azione europeo in materia per il periodo successivo al 2010, nell'intento di migliorare sensibilmente lo stato della biodiversità nell'UE. L’approccio comunitario in tale settore dovrebbe includere:

·       azioni di contrasto nei confronti di nuove minacce, quali le specie aliene invasive;

·       la valutazione dell’impatto dei cambiamenti climatici sulla biodiversità e sulle risorse naturali;

·       la difesa delle foreste contro le calamità naturali, quali la siccità, gli incendi e le intemperie, per cui si prospetta la pubblicazione un Libro verde.

 

A quest’ultimo riguardo, merita in particolare segnalare il rilievo assunto dalla questione della deforestazione e del degrado delle foreste ha assunto nell’ambito delle iniziative delle Istituzioni dell’Unione europea relative alla lotta ai cambiamenti climatici.

 

La Commissione europea, in particolare, ha evidenziato in più occasioni che:

·         le foreste, coprendo circa il 30% della superficie terrestre (il 42% nell’UE nel 2005 secondo dati Eurostat), immagazzinano circa la metà del carbonio terrestre; pertanto, il processo di deforestazione, che secondo stime della FAO costerebbe la perdita di circa 13 milioni di ettari di foreste l’anno, ovvero una superficie pari circa alla Grecia, sarebbe responsabile di circa il 20% delle emissioni mondiali di biossido di carbonio (IPCC, 2007), equivalenti a più del totale delle emissioni di gas serra della UE;

·         nello sforzo di limitare il riscaldamento della terra a 2 gradi centigradi, nel quale l’UE svolge un ruolo importante, la riduzione delle emissioni provocate dalla deforestazione è essenziale;

·         vanno ribaditi il valore economico delle foreste, che forniscono un numero importante di servizi ecosistemici, e la loro importanza ai fini del mantenimento della biodiversità e delle condizioni di vita di circa 1,6 miliardi di persone che dipendono dalle risorse forestali e di 60 milioni di autoctoni che ne dipendono direttamente per la loro sopravvivenza.

 

In tale contesto, il 17 ottobre 2008 la Commissione ha presentato un pacchetto di proposte inteso rafforzare l'attuale quadro politico della UE in materia di deforestazione e a sostenere le iniziative internazionali per combattere il disboscamento illegale e il relativo commercio di legname. Il pacchetto si compone, in particolare, di: un regolamento che impone ai commercianti di legname e prodotti del legno di accertarsi che il legno sia stato abbattuto legalmente nel paese di origine (COM(2008)644) e una comunicazione che propone di ridurre la deforestazione tropicale di almeno il 50% entro il 2020 e di arrestare la perdita di foreste su scala planetaria entro il 2030 (COM(2008)645).

 

Sul ruolo chiave della biodiversità nelle strategie di mitigazione ed adattamento ai cambiamenti climatici si è soffermata la recente Carta di Siracusa[16], adottata nell’aprile 2009, nel corso del G8 Ambiente tenutosi nella città siciliana.

 

La Carta prevede impegni su diverse azioni, dall'adattamento al cambiamento climatico alla lotta al disboscamento illegale, al commercio illegale di specie selvatiche, alla prevenzione dell'invasione di "specie aliene invasive" che distruggano quelle indigene, con uno specifico sistema d'allarme internazionale. Ma viene sostenuto anche il trasferimento ai paesi in via di sviluppo di "tecnologie innovative, hard e soft" per difendere gli ecosistemi e la creazione di nuove aree protette. E il documento, che chiede di fissare nuovi obiettivi nel post 2010, indica anche la possibilità di utilizzare gli strumenti di mercato per promuovere la difesa della diversità biologica.

 

L’azione dell’UE a tutela della biodiversità sarà svolta anche a livello internazionale. Il 26-27 gennaio 2010 si è tenuta a Madrid una conferenza internazionale sulla biodiversità oltre il 2010[17], che segna l’apertura dell'Anno internazionale della Biodiversità, che le Nazioni Unite hanno scelto di celebrare quest’anno e che culminerà nell’'Assemblea generale dell'ONU sulla biodiversità. In preparazione della decima riunione (COP 10) della conferenza delle parti della Convenzione internazionale sulla diversità biologica (CBD) che si terrà a Nagoya (Giappone) nell'ottobre 2010, il Consiglio ambiente del 22 dicembre 2009 ha approvato conclusioni in materia di biodiversità internazionale oltre il 2010 nelle quali ha indicato un insieme di principi strategici chiave per definire la posizione negoziale dell’UE. Il Consiglio tra l’altro, si dichiara profondamente preoccupato del fatto che, come già rilevato, non si prevede il raggiungimento dell'obiettivo mondiale 2010 sulla biodiversità, nonché allarmato per il crescente tasso di perdita di biodiversità e il deterioramento delle funzioni e dei servizi eco sistemici a causa di pressioni antropogeniche, e della conseguente minaccia che ne deriva per la prosperità economica e il benessere sociale ed umano.

La COP 10 della Convenzione sulla diversità biologica perfezionerà i negoziati sull'accesso e la ripartizione degli utili e discuterà della pianificazione strategica in vista di un nuovo obiettivo per il periodo successivo al 2010, della protezione della biodiversità marina nelle aree protette e della sinergia fra clima e biodiversità.

La definizione del regime di responsabilità e rimedio sarà uno dei punti principali all'ordine del giorno della quinta riunione delle parti (MOP 5) del protocollo sulla biosicurezza.

Le tre presidenze punteranno a rafforzare l'effettiva protezione della biodiversità mediante la partecipazione alla convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e di fauna selvatiche minacciate di estinzione (CITES).

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La protezione della biodiversità in Italia

 


 

1. L’impegno dell’Italia in materia di tutela della biodiversità

L’Italia è stata uno tra i primi Paesi a ratificare la Convenzione sulla biodiversità[18]con la legge n. 124 del 1994[19]e a tale atto hanno fatto seguito numerose iniziative, anche normative, tra le quali si illustrano le seguenti.

Con Decreto del Ministro per le Politiche Comunitarie del 27 aprile 2004 è stato istituito il Comitato di Coordinamento Nazionale per la Biodiversità.

Nel 2004 l’Italia ha aderito formalmente – istituendo un apposito Comitato - alla iniziativa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), denominata “Countdown 2010[20] avente lo scopo di sensibilizzare i vari settori della società civile sul raggiungimento dell’obiettivo di arrestare la perdita di biodiversità entro il 2010. Le finalità del Comitato sono espressione degli obiettivi dell'IUCN di "influenzare, incoraggiare e assistere le società del mondo al fine di conservare l'integrità e la diversità della natura e di assicurare che qualsiasi utilizzo delle risorse naturali sia equo ecologicamente sostenibile".

Il Comitato promuove questi obiettivi sostenendo le attività dell'IUCN in Italia e nel mondo; sviluppando la collaborazione tra i membri IUCN e gli esperti italiani; favorendo una più ampia partecipazione alla conoscenza e alla capacità italiana all'interno dell'IUCN[21].

Nel corso del 2005, il Ministero dell'Ambiente ha pubblicato un importante volume dal titolo “Stato della biodiversità in Italia”, quale contributo propedeutico alla preparazione di una Strategia nazionale per la Biodiversità[22].

Un importante passo verso l’attuazione della citata strategia è la recente istituzione del Comitato nazionale per la biodiversità (avvenuta con D.M. Ambiente 5 marzo 2010, pubblicato nella G.U. 12 aprile 2010, n. 84) cui è stato attribuito, quale compito principale, quello di “dare attuazione al percorso concertato di predisposizione e approvazione nell'ambito della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano della Strategia nazionale per la biodiversità” nonché di coordinare, monitorare e valutare l'efficacia delle azioni portate avanti per dare attuazione alla medesima Strategia.

 


 

Nell’ambito della tutela nazionale della biodiversità va ricordata la legge 6 dicembre 1991, n. 394 (“Legge quadro sulle aree protette”)[23], che ha provveduto alla classificazione delle aree naturali protette[24] ed ha istituito l’Elenco ufficiale delle aree protette[25].

La conservazione dei territori naturali che ancora mantengono inalterate le matrici ecosistemiche rappresenta il principale obiettivo dell’istituzione di aree naturali protette: infatti, attraverso l'individuazione dei territori terrestri e marini nei quali promuovere l'istituzione di riserve naturali statali e parchi nazionali e la definizione dei criteri di gestione, unitamente all'elaborazione di norme generali di indirizzo e coordinamento vengono realizzate le misure conservative.

L’elenco delle aree protette, periodicamente aggiornato a cura del Ministero dell'Ambiente, è stato da ultimo rivisto con la delibera della Conferenza Stato Regioni del 24 luglio 2003[26].

Nella recente Relazione del Ministero dell’ambiente sullo stato di attuazione della legge quadro sulle aree protette (presentata alle Camere nel luglio 2009[27])  si legge che “Dal V ed ultimo aggiornamento pubblicato nel 2003 risulta che circa il 9,66% del territorio nazionale è tutelato da 772 aree protette rispetto alle 455 del Primo elenco del 1993 per un totale di circa 2,9 milioni di ettari di superficie a terra e circa 2,8 milioni di ettari a mare: 22 parchi nazionali, 146 riserve naturali statali, 20 aree marine protette, 105 parchi naturali regionali, 335 riserve naturali regionali, 144 altre aree protette di diversa classificazione e denominazione” e che, in seguito ad ulteriori costituzioni di parchi e riserve intervenute successivamente, la superficie protetta del territorio nazionale è salita al 10,6% dell’intero territorio: “il numero delle aree protette è ora di 875, per un totale di circa 3,2 milioni di ettari a terra e di circa 2,8 milioni di ettari a mare (6 milioni di ettari in totale, quindi)”.

Nel VI aggiornamento dell’Elenco ufficiale delle aree protette, attualmente in itinere, è stato inserito un nuovo dato di riferimento significativo per le aree marine protette, che indica in circa 658 i chilometri di costa tutelati.

 

2. Lavori parlamentari e provvedimenti governativi nell’attuale legislatura sulla biodiversità

2.1 Nel settore ambientale

Con l’approvazione della legge 18 giugno 2009, n. 69 (recante “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”)[28] il Parlamento ha conferito, con l’art. 12, una delega al Governo per l’adozione di decreti legislativi integrativi e correttivi del cd. Codice dell’ambiente (recato dal D.Lgs. 152/2006) da esercitarsi entro il 30 giugno 2010, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi stabiliti dalla legge delega 308/2004 (in virtù della quale è stato emanato il citato codice).

 

La delega concessa dal Parlamento potrebbe consentire di inserire nel Codice dell’ambiente una disciplina organica in materia di “gestione delle aree protette, conservazione e utilizzo sostenibile degli esemplari di specie protette di flora e di fauna”. Tale settore normativo, nonostante fosse contemplato dall’art. 1, comma 1, lettera d), della legge delega 308/2004, non è stato finora interessato dal processo di ridisegno normativo auspicato con la delega concessa nel 2004.

Si ricorda, in proposito, che tra i criteri di delega indicati dalla lettera d) del comma 9 dell’art. 1 della L. 308/2004 relativamente al settore normativo in oggetto, figurano, tra gli altri, i seguenti:

§         confermare le finalità della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (legge quadro sulle aree protette);

§         estendere, nel rispetto dell'autonomia degli enti locali e della volontà delle popolazioni residenti e direttamente interessate, la percentuale di territorio sottoposto a salvaguardia e valorizzazione ambientale, mediante inserimento di ulteriori aree, terrestri e marine, di particolare pregio;

§         armonizzare e coordinare le funzioni e le competenze previste dalle convenzioni internazionali e dalla normativa comunitaria per la conservazione della biodiversità.

 

In data 2 febbraio 2009 è stato assegnato per l’esame congiunto delle Commissioni V (Bilancio) e VIII (Ambiente) l’A.C. 2025 recante “Delega al Governo per l'istituzione di un sistema integrato di contabilità ambientale[29].

Tale proposta di legge ripropone il testo del ddl presentato alla Camera nella XV legislatura (AC 3276) - per il quale però non è stato avviato l’iter in sede referente - al fine di istituire un sistema di contabilità e bilancio ambientale che integri gli atti di programmazione economico-finanziaria e di bilancio dello Stato, delle regioni e degli enti locali. Tale testo, si ricorda, recepiva le osservazioni e gli emendamenti della Conferenza unificata al documento elaborato - anche attraverso un lavoro di complessivo monitoraggio delle esperienze consimili già condotte in ambito locale, nazionale, comunitario e internazionale - dalla Commissione di studio sulla contabilità ambientale istituita con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 16 novembre 2006 (registrato dall'Ufficio centrale di bilancio con presa d'atto n. 14157).

 

Si ricorda altresì la recente approvazione della legge 196/2009, la quale prevede, nell’ambito di una riforma della disciplina di contabilità e finanza pubblica, che in apposito allegato al Rendiconto generale dello Stato siano illustrate le “risultanze delle spese relative ai programmi aventi natura o contenuti ambientali, allo scopo di evidenziare le risorse impiegate per finalità di protezione dell'ambiente, riguardanti attività di tutela, conservazione, ripristino e utilizzo sostenibile delle risorse e del patrimonio naturale” (art. 36, comma 6).

 

2.2 In particolare: la conservazione delle foreste

Appare interessante ricordare alcune linee di politica forestale illustrate dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali in occasione della risposta all’interrogazione n. 4-01951 Della Seta, resa alla Camera dei deputati nella seduta del 3 dicembre 2009.

L’Italia come Stato membro dell’Unione europea partecipa a due importanti processi europei finalizzati a contrastare il fenomeno del commercio internazionale di legname illegale: il FLEGT Action Plan e il relativo “Regolamento (CE) n. 2173/2005 del Consiglio del 20 dicembre 2005 relativo all’istituzione di un sistema di licenze FLEGT per le importazioni di legname nella Comunità europea” e la proposta di regolamento sulla “diligenza dovuta” che stabilisce gli obblighi degli operatori che commercializzano legname e prodotti del legno. FLEGT è l’acronimo di “Forest Law Enforcement Governance and Trade”, ovvero Applicazione delle normative, la governance e il commercio nel settore forestale. Il regolamento (CE) 2173/2005 è la risposta della UE al problema mondiale del taglio illegale e del commercio dei prodotti ad esso associato. Esso prevede la firma di accordi bilaterali tra l’Unione europea e i Paesi esportatori a seguito del quale si introdurrà un sistema di licenze di esportazione per assicurare che solo il legno ottenuto legalmente, in conformità della legislazione del Paese produttore, possa essere esportato nella UE.

Il regolamento contiene due allegati, con la lista dei prodotti soggetti al sistema di licenze. Il FLEGT è basato sugli accordi volontari al fine di non provocare obiezioni e ricorsi di fronte all’Organizzazione mondiale del commercio. I primi carichi coperti da licenze FLEGT potrebbero arrivare in Europa alla fine nel 2011.

L’Italia partecipa attivamente e regolarmente alle riunioni del Comitato forestale del Consiglio dell’Unione europea per approvare la “Proposta di Regolamento del Parlamento e del Consiglio che stabilisce gli obblighi degli operatori che commercializzano legname e prodotti del legno” che si propone l’obiettivo di contrastare l’importazione di legname illegale nell’Unione mediante l’applicazione delle pratiche della “diligenza dovuta” per garantire l’origine legale del legname commerciato. La bozza di regolamento è a buon punto e il testo definitivo andrà al confronto “in prima lettura” con il testo approvato dal Parlamento europeo.

Il “Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione” è stato redatto dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e approvato con decreto interministeriale n. 135 dell’11 aprile 2008 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 107 dell’8 maggio 2008. Il Piano ha l’obiettivo di promuovere la diffusione dei cosiddetti acquisti verdi presso gli enti pubblici e di favorire le condizioni necessarie affinché gli acquisti verdi possano dispiegare in pieno le loro potenzialità come strumento per il miglioramento ambientale e il contenimento dell’uso di legno di provenienza illegale. Quattro settori del Piano trattano (sia pure in diversa misura) il legno e sono: a) arredi (mobili per ufficio, arredi scolastici, arredi per sale archiviazione e sale lettura); b) edilizia (costruzioni e ristrutturazioni di edifici con particolare attenzione ai materiali da costruzione, costruzione e manutenzione delle strade); c) servizi energetici (illuminazione, riscaldamento e raffrescamento degli edifici, illuminazione pubblica e segnaletica luminosa); d) cancelleria (carta e materiali di consumo).

Il Ministero dell'ambiente sta lavorando alla predisposizione dei decreti con cui definire i criteri ambientali i minimi da inserire nelle procedure d’acquisto e il CFS collabora in tal senso con il Ministero. È inoltre importante la cosiddetta certificazione ambientale (gli schemi PFC e PEFC) che, però, si sviluppa su base volontaria.

Quanto alla creazione di un fondo multilaterale per la protezione delle foreste, l’Italia si muove di concerto con l’Unione europea e attende gli esiti della Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico che si terrà in Copenhagen nel mese di dicembre 2009 (COP 15).

 

Si ricorda, inoltre, che l'articolo 16 della legge comunitaria 2007 (legge 25 febbraio 2008, n. 34) ha previsto una delega al Governo – scaduta nel corso del 2009[30] - per l’adozione di un decreto legislativo per l'attuazione del regolamento del Consiglio (CE) n. 2173/2005, del 20 dicembre 2005, relativo all'istituzione del sistema di licenze FLEGT (Forest Law Enforcement, Governance and Trade) per l'importazione di legname nella Comunità europea.

Tale delega non è stata riproposta nella legge comunitaria 2008 né nell’attuale ddl comunitaria 2009 (A.C. 2449-C, approvato dalla Camera e ora all’esame del Senato – A.S. 1781-B).

 

2.3 In materia d’informazione e sensibilizzazione sul tema della biodiversità

In sede di conversione del decreto-legge 208/2008 (avvenuta con la legge 27 febbraio 2009, n. 13), sono stati inseriti nel testo del decreto due articoli finalizzati a:

§         progetti ed iniziative di educazione ambientale;

L’art. 7-quater prevede lo stanziamento di 9 milioni di euro per il biennio 2009-2010 da assegnare - su proposta del Ministero dell'ambiente, con decreti del Ministro dell'economia e delle finanze – a progetti ed iniziative di “educazione ambientale, comunicazione istituzionale e valorizzazione, anche attraverso il ricorso alle nuove tecnologie, delle aree protette e della biodiversità, ivi inclusa la promozione delle attività turistico-ambientali e interventi di manutenzione ed efficientamento degli immobili di pertinenza del predetto Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare”.

§         progetti di promozione della sensibilità ambientale nella scuola secondaria superiore e nell'università;

L’art. 7-quinquies, prevede, al fine di sensibilizzazione delle giovani generazioni in riferimento alla conservazione di un ambiente sano, nonché alla promozione delle prassi e dei comportamenti ecocompatibili, la realizzazione di progetti e iniziative di interesse generale nell'ambito dei sistemi di istruzione secondaria superiore e universitaria. Lo stesso articolo dispone che con appositi decreti interministeriali (adottati di concerto dai Ministri dell'ambiente dell'istruzione, sentita la Conferenza Stato-Regioni) siano definite le relative modalità attuative, nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

2.4 Nel settore dell’agricoltura

Nella XV legislatura la Commissione Agricoltura della Camera aveva approvato, a seguito di un dibattito estremamente approfondito e dello svolgimento di un ampio ciclo di audizioni un testo unificato sull’agricoltura biologica. L’iter di tale proposta di legge è stato interrotto dalla fine anticipata della legislatura. Il testo elaborato è stato in parte ripreso in alcune proposte attualmente in corso di esame presso la IX Commissione (Agricoltura) del Senato (A.S. 1035 ed abb.)

 

Il principio di coesistenza. Al fine di assicurare la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica l'Italia ha emanato il D.L. 279/2004, con il quale è stata data attuazione alla raccomandazione della Commissione 2003/556/CE.

Il principio ispiratore del legislatore nazionale è quello di evitare che l’adozione di una qualsiasi  metodologia colturale possa compromettere lo svolgimento delle altre pratiche colturali, stabilendo pertanto che l’introduzione di colture transegiche avvenga non solo senza recare pregiudizio alle attività preesistenti, ma anche senza comportare la necessità di modificare o adeguare le normali tecniche di coltivazione e allevamento (art. 2).

Per consentire poi una scelta reale tra i diversi prodotti (convenzionali, biologici, transgenici), tanto da parte degli agricoltori quanto dei consumatori - tenuto conto che nel corso del processo di produzione i semi ed il polline possono essere trasportati a grande distanza e che nelle successive fasi di raccolta, trasporto e stoccaggio dei prodotti vegetali non si può escludere la contaminazione - viene fatto obbligo di praticare le colture transgeniche all'interno di filiere separate rispetto a quelle convenzionali o biologiche.

Il decreto legge aveva inoltre introdotto (art.8) una sostanziale moratoria sull’utilizzo di OGM in agricoltura nel nostro Paese, destinata ad essere rimossa solo quando tutte le regioni avessero adottato i Piani regionali di coesistenza tra colture tradizionali, biologiche e transgeniche (ossia le regole tecniche volte ad evitare ogni forma di commistione e ad assicurare la separazione delle filiere). I Piani di coesistenza dovevano essere redatti nel rispetto delle norme quadro definite con decreto del Ministro agricolo sulla base di linee-guida disposte da un apposito Comitato di esperti.

Tuttavia la sentenza della Corte costituzionale n. 116 del 2006 ha dichiarata l’illegittimità di numerose disposizioni del decreto-legge, annullando nella sostanza tutte le norme funzionali all’adozione dei Piani di coesistenza regionali (Comitato consultivo, linee-guida, DM-quadro, Piani di coesistenza e relative sanzioni) in quanto lesive delle competenze legislative regionali.

Il decreto pertanto appare ora significativamente ridimensionato, mentre alle regioni è stata riconosciuta la piena ed immediata competenza in materia, anche in ordine all’uso di OGM.

Nonostante la dichiarazione di illegittimità costituzionale del decreto-legge n.279/2004 (e conseguentemente del venir meno della “moratoria formale“ ivi prevista), sul territorio nazionale non vengono attualmente coltivati OGM (“moratoria sostanziale”), in quanto nessuna autorizzazione è stata rilasciata sulla base del decreto legislativo n.212 del 2001; la coltivazione, assai contenuta, è realizzata ai soli fini di ricerca.

Da ultimo, in data 18 marzo 2010 la Commissione Sementi Geneticamente Modificate - nella quale sono rappresentati, oltre al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero della Salute, le Regioni Basilicata, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Toscana e Veneto - ha deciso all’unanimità di negare l'autorizzazione alla domanda di iscrizione al registro del mais Ogm. Il divieto al mais Mon 810 è stato deciso dai commissari sulla base di un dossier presentato dal Friuli Venezia Giulia. In questa regione risiede il coltivatore che ha proposto il primo ricorso nel 2006 poi accolto in ultimo grado dal Consiglio di Stato (sentenza n. 183 del 2010). Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali ha firmato il relativo decreto.

 

Le biotecnologie transgeniche in agricoltura. Le biotecnologie transgeniche applicate in agricoltura rappresentano una delle innovazioni più controverse che negli ultimi decenni hanno interessato il settore agricolo. Se da un lato le biotecnologie rappresentano una metodologia del futuro, in teoria capace di risolvere molti problemi legati all’attività agricola, dall’altro le insufficienti informazioni circa i possibili effetti nel lungo periodo, per l’uomo e per l’ambiente, pongono dubbi rilevanti sulla reale necessità di applicazione e di rilascio ambientale.

Gli stati europei che hanno coltivazioni Ogm sono sei, la superficie totale coltivata ad Ogm nel continente è diminuita del 12% in un anno. La Germania a fine 2008 ne ha vietato la coltivazione. Nei Paesi in via di sviluppo, in Cina, in Brasile invece gli Ogm aumentano.

Il 2 marzo la Commissione europea ha adottato due decisioni che autorizzano la coltivazione e la trasformazione in amido per usi industriali della patata geneticamente modificata Amflora (decisione 2010/135/UE) nonché la sua utilizzazione come ingrediente di mangimi e di alimenti (decisione 2010/136/UE).

Nella stessa occasione il Commissario europeo responsabile per la salute e la protezione dei consumatori, John Dalli, in conformità alle “Linee guida per la nuova Commissione” predisposte dal Presidente Barroso il 3 settembre 2009, ha preannunciato per l’estate 2010 la presentazione di una proposta che dovrebbe combinare un sistema di autorizzazione comunitario, basato su conoscenze scientifiche, con la libertà degli Stati membri di decidere se consentire o meno la coltivazione di OGM sul proprio territorio

Il dibattito sugli OGM in agricoltura è dunque, anche in questa legislatura, particolarmente animato.

Per quanto riguarda la normativa interna di recepimento della legislazione comunitaria, con il decreto legislativo n. 224 del 2003 è stata recepita la Direttiva 2001/18/CE, sull’emissione deliberata di OGM nell’ambiente, che ribadisce la validità del principio di precauzione, prevede un’autorizzazione a tempo determinato e introduce disposizioni più rigorose nella valutazione d’impatto ambientale.

Per quanto attiene, specificamente, alla tutela e alla sicurezza dei consumatori, va segnalato in primo luogo il decreto legislativo n.212 del 2001, che (in attuazione delle direttive 98/95/CE e 98/96/CE) ha reso obbligatoria l’indicazione in etichetta della percentuale di presenza  accidentale di OGM nelle sementi convenzionali (che non può comunque superare la soglia dello 0,9 per cento per gli OGM autorizzati).

Successivamente, con il decreto legislativo n. 70 del 2005 sono state introdotte disposizioni sanzionatorie per le violazioni dei Regolamenti nn.1829 e 1830 del 2003. Il primo, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati, ha definito una procedura comunitaria per la valutazione delle sicurezza dei prodotti prima della immissione sul mercato. Il provvedimento sostanzialmente introduce un nuovo sistema di autorizzazione e vigilanza sia sugli alimenti che sui mangimi, nonchè nuove disposizioni in materia di etichettatura. Il secondo ha delineato un sistema di tracciabilità che dovrà essere applicato da parte di tutti gli Stati membri sia per gli OGM che per gli alimenti ed i mangimi ottenuti da OGM, al fine di agevolarne il ritiro dei prodotti dal mercato e di monitorarne gli effetti sull’ambiente. In particolare, gli OGM autorizzati devono essere identificati con un codice trasmesso dagli operatori lungo tutta la catena alimentare e la loro presenza negli alimenti e nei mangimi deve essere indicata in etichetta se superiore alla soglia dello 0,9% (la soglia di tolleranza di presenza accidentale di OGM non autorizzati è invece dello 0,5 per cento).

Il d.lgs n. 224/2003, basato sul principio di precauzione, stabilisce le misure volte a proteggere la salute umana, animale ed ambientale, relativamente alle attività di rilascio di OGM definiti come organismi, diversi dall'essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto si verifica in natura mediante accoppiamento o incrocio o con la ricombinazione genetica naturale), con riferimento alla:

§         emissione deliberata per scopi diversi dall'immissione sul mercato;

§         immissione sul mercato di OGM come tali o contenuti in prodotti.

L'organo competente alla verifica e rilascio dei provvedimenti autorizzativi è individuato nel Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, d'intesa, per quanto di rispettiva competenza, con i Ministri della salute, del lavoro e delle politiche sociali, delle politiche agricole e forestali, delle attività politiche e dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

Chiunque intende effettuare un'emissione deliberata nell'ambiente di un OGM è tenuto a presentare preventivamente una notifica all'autorità nazionale competente, accompagnato da:

a) un fascicolo tecnico con le informazioni dettagliate riportate all' allegato III;

b) la valutazione del rischio ambientale;

c) la valutazione del rischio per l'agrobiodiversità, i sistemi agrari e la filiera agroalimentare.

Ricevuta la notifica, l'Autorità nazionale competente effettua un’istruttoria preliminare, al termine della quale ne trasmette copia ai Ministeri della salute e delle Politiche agricole e forestali, all'APAT (Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici) ed alle Regioni e Province Autonome competenti.

E' prevista anche una procedura di consultazione ed informazione pubblica.

Si provvede, poi, allo scambio di informazioni con la Commissione europea e le autorità competenti degli altri Stati membri, mentre viene inviata al notificante ed alla Commissione europea la relazione di valutazione. Si rilascia, quindi, al notificante, l'autorizzazione scritta all'emissione e si stabiliscono i requisiti di etichettatura ed imballaggio.

Qualora necessario, gli organi di competenza possono, con provvedimento d'urgenza, limitare o vietare temporaneamente l'immissione sul mercato, l'uso o la vendita sul territorio nazionale di un OGM.

L'Autorità nazionale competente invia alla Commissione europea una sintesi di ogni notifica ricevuta e anche delle decisioni definitive adottate nei confronti delle stesse, includendovi le eventuali ragioni per le quali una notifica è stata respinta.

L'Autorità nazionale competente una volta l'anno trasmette alla Commissione europea un elenco degli OGM il cui rilascio è stato autorizzato mediante le procedure differenziate e semplificate, quindi degli OGM i cui rilasci non sono stati autorizzati.

Presso l'autorità nazionale competente è istituito un pubblico registro informatico dove sono annotate le localizzazioni degli OGM emessi. Un sistema analogo è istituito presso le Regioni e le Province Autonome, al fine di annotarvi le localizzazioni degli OGM coltivati per il monitoraggio di eventuali loro effetti.

Chiunque coltiva OGM deve comunicare alle Regioni e Province Autonome competenti per territorio la localizzazione delle coltivazione e conserva per dieci anni le informazioni relative agli OGM coltivati ed alla loro localizzazione.

Contestualmente, deve apporre adeguati cartelli di segnalazione che indicano chiaramente la presenza di OGM.

 

 

La tutela delle varietà da conservazione. Un ultimo aspetto da prendere in considerazione per un quadro della tutela della biodiversità in agricoltura è l’istituzione del Registro nazionale delle “varietà da conservazione” previsto dall’art. 2-bis dal decreto legge 15 febbraio 2007, n. 10, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 46 del 2007, al fine di promuovere la conservazione in situ e l'utilizzazione sostenibile delle risorse fitogenetiche.

Si intendono per 'varietà da conservazione' le varietà di interesse agricolo relativi alle seguenti specie di piante:

a) autoctone e non autoctone, mai iscritte in altri registri nazionali, purchè integratesi da almeno cinquanta anni negli agroecosistemi locali;

b) non più iscritte in alcun registro e minacciate da erosione genetica;

c) non più coltivate sul territorio nazionale e conservate presso orti botanici, istituti sperimentali, banche del germoplasma pubbliche o private e centri di ricerca, per le quali sussiste un interesse economico, scientifico, culturale o paesaggistico a favorirne la reintroduzione.

La finalità dell’iscrizione nel registro è quella di custodire il patrimonio delle varietà a rischio di estinzione, rafforzando il ruolo delle aziende agricole nella salvaguardia delle diverse zone di coltivazione e di permettere la conservazione delle specie a rischio per tutelare anche la biodiversità e garantire un futuro alle produzioni alimentari selezionate nel corso delle diverse generazioni di produttori.

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La protezione della biodiversità: elementi di diritto comparato


Introduzione

Ai fini delle presenti schede di diritto comparato ha costituito una fonte privilegiata il sito internet della Convenzione sulla diversità biologica, adottata a Nairobi il 22 maggio 1992, che offre documentazione comparata sui paesi dell’Europa e del mondo che hanno aderito alla Convenzione[31]. In particolare si segnala la pagina[32] dove è possibile selezionare, dal menù a tendina, le varie schede paese (“country profiles”), recanti informazioni sulle misure nazionali di attuazione della convenzione (“Implementation of the Convention”). La pagina web contiene, inoltre, i link ai testi dei rapporti paese e ai siti degli organismi nazionali che si occupano della biodiversità, dove è possibile consultare ulteriore documentazione prodotta dai singoli Stati (studi, rapporti, normative e altri documenti significativi).

Anche il sito internet della Commissione europea, Direzione generale Ambiente, dedicato alla biodiversità[33], offre nella pagina sull’EU Biodiversity Action Plan – Report 2008[34] la possibilità di selezionare i vari “country profiles” con l’indicazione delle misure nazionali di attuazione del Piano d’azione ed una particolare attenzione sul livello degli obiettivi e dei target raggiunti.

 

 


Brasile

NORMATIVA

Il 28 febbraio 1994 il Brasile ha ratificato la Convenzione sulla diversità biologica del 5 giugno 1992.

Il Brasile ospita oltre il 15% della diversità biologica del pianeta e in esso vive il 70% circa delle specie animali e vegetali esistenti. Il Ministro dell’ambiente ha predisposto una strategia nazionale della biodiversità attraverso il Projeto Estratégia Nacional da Diversidade Biológica[35], iniziato nel 1998 con i seguenti obiettivi: realizzare e pubblicare studi strategici; elaborare e sviluppare la politica nazionale della biodiversità; creare e sviluppare la rete informativa sulla biodiversità; elaborare la relazione nazionale per la Convenzione sulla diversità biologica; rafforzare la cooperazione regionale in materia.

Per formulare la Politica nazionale della biodiversità (PNB) il Ministero dell’ambiente ha coinvolto in un processo di consultazione, a partire dal 2000, i diversi soggetti interessati: il Governo federale e quelli statali, le organizzazioni non governative (ONG), le imprese, il mondo accademico, nonché le comunità indigene e locali. Il decreto presidenziale 4.339, del 22 agosto 2002[36], ha fissato i principi e le direttive per lo sviluppo della politica nazionale in materia. La PNB ha come obiettivo generale la promozione della conservazione della biodiversità e l’uso sostenibile dei suoi diversi elementi, con la distribuzione giusta ed equa dei vantaggi derivanti dalle risorse genetiche, dalle componenti del patrimonio genetico e dalle conoscenze tradizionali associate a tali risorse. La PNB si articola in una serie di principi, tra cui il riconoscimento del valore intrinseco della diversità biologica, indipendentemente dal suo valore per l’uomo e il suo potenziale per l’uso umano, del diritto sovrano per le nazioni di sfruttare le proprie risorse biologiche, secondo politiche ambientali e di sviluppo, nonché della responsabilità delle nazioni per la conservazione della biodiversità e per assicurare che le attività di giurisdizione e controllo non causino danni all’ambiente e alla biodiversità delle altre nazioni o di aree maggiori rispetto al territorio nazionale.

La PNB si estrinseca attraverso diverse direttrici generali. Tra queste, la cooperazione con altre nazioni, da perseguire direttamente o attraverso accordi e organizzazioni internazionali, soprattutto con riferimento alle aree di frontiera ed alle aree esterne al territorio nazionale, l’Antartide, l’alto mare e i grandi fondi marini (in particolare per ciò che attiene alla protezione delle specie migratorie). Inoltre lo sforzo nazionale di conservazione e di utilizzo sostenuto della diversità biologica deve essere integrato in piani, programmi e politiche settoriali o intersettoriali in forma complementare e armonica. Investimenti considerevoli sono necessari per conservare la diversità, al fine di conseguire benefici ambientali, economici e sociali; è necessario pertanto prevenire e combattere all’origine le cause della riduzione e della perdita della diversità biologica.

La PNB si compone pertanto di molteplici componenti: conoscenza della biodiversità; conservazione; uso sostenibile degli elementi; controllo, valutazione, prevenzione e attenuazione degli impatti sulla biodiversità; accesso alle risorse genetiche e alle conoscenze tradizionali associate, nonché ripartizione dei benefici; educazione, sensibilizzazione pubblica, informazione e divulgazione in materia; rafforzamento giuridico e istituzionale per la gestione della biodiversità.

Documentazione

Sito della Convention on Biological Diversity, profilo del Brasile: http://www.cbd.int/countries/?country=br

Sito della Convention on Biological Diversity, “Voluntary Report on Implementation of the Programme of Work on Marine and Coastal Biological Diversity” (2009): http://www.cbd.int/doc/world/br/br-nr-vmc-en.pdf

Sito della Convention on Biological Diversity, “Tabella degli obiettivi nazionali della biodiversità per il 2010 ” (2008): http://www.cbd.int/doc/world/br/br-nbsap-v2-pt.pdf

World Resources Institute, Earthtrends, pagine dedicate alla biodiversità e alle aree protette, profilo del Brasile: http://earthtrends.wri.org/text/biodiversity-protected/country-profile-26.html.

Ministero dell’ambiente, sezione dedicata a “biodiversità e foreste”: http://www.mma.gov.br/sitio/index.php?ido=conteudo.monta&idEstrutura=146

 

 


Cina

Normativa

La Cina è stato uno dei primi Paesi a ratificare, il 5 gennaio 1993, la Convenzione sulla diversità biologica del 5 giugno 1992, dopo aver attivamente partecipato ai negoziati per la sua conclusione.

La nazione cinese ha intrapreso parecchie iniziative per la conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica, varando una serie di politiche ad hoc con l’adozione di leggi, regolamenti, piani e misure a tutela della biodiversità.

In attuazione della Convenzione del 1992 la Cina ha lanciato, nel giugno 1994, il suo China Biodiversity Conservation Action Plannel quale ha fissato le priorità per la conservazione di ecosistemi per la biodiversità e le priorità per le specie da tutelare. In particolare il Piano d’azione ha indicato sette obiettivi principali: rafforzare gli studi fondamentali sulla biodiversità; incrementare la rete di aree protette; assicurare la protezione di specie selvatiche di importanza per la biodiversità; tutelare le risorse genetiche dei raccolti e degli animali domestici; assicurare la conservazione in situ di aree protette all’esterno; creare reti nazionali di monitoraggio e di informazione sulla biodiversità; assicurare il coordinamento tra la conservazione della biodiversità e lo sviluppo sostenibile.

Nell’ambito delle sette aree d’intervento  tracciate dal Piano d’azione sono stati identificate ventisei iniziative prioritarie e diciotto programmi ai quali dare attuazione immediata, in base all’importanza, l’urgenza e la operatività pratica. In particolare i programmi riguardano: la valutazione dello status di biodiversità ed i suoi valori economici; la valutazione della rappresentatività e dell’effettività delle aree protette; la  determinazione delle esigenze per la creazione di nuove aree; l’individuazione dei principali animali selvatici da tutelare in base alla loro importanza ai fini della biodiversità ed al livello del loro rischio di estinzione; il tradizionale inserimento della biodiversità nel piano di sviluppo economico nazionale; la promozione di fattorie ecologiche;  la determinazione di tecniche di monitoraggio standardizzate; l’istituzione di aree modello per una  tutela della biodiverità ben coordinate con lo sviluppo sostenibile.

La Cina ha anche sviluppato piani settoriali per la conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità agricola e forestale, degli ambienti marini e costieri, nonché delle zone umide.

Tra le misure adottate per raggiungere i target fissati per il 2010, la Cina sta sviluppando un sistema di indicatori di valutazione. La Cina conta di aumentare la sua capacità di gestione e il livello di “costruzione” delle aree protette (al 2007 aveva creato 2531 aree protette per una superficie complessiva di 151.88 milioni di ettari). Altre 88 aree protette secondo ilmodello nazionale dovrebbero essere create entro il 2010. Alcuni piani settoriali per la protezione della biodiversità agricola, forestale e marina includono anche target tematici, come il Piano forestale che prevede di espandere le aree protette fino al 16,14 per cento del totale del territorio cinese per il 2010. Al fine di raggiungere i targetprefissati la Cina sta attuando un programma di riconversione delle terre agricole in forestali e un sistema di concessione di licenze per la pesca  in aree marine.

La Cina intende aumentare l’estensione delle sue aree protette fino al 18 per cento del territorio entro il 2050 ed ha anche programmato di stabilire un complessivo sistema di regolamentazione e di gestione delle aree protette entro il 2010, mentre per il 2020 intende creare 200 aree per la tutela delle colture agricole di specie vegetali originarie della Cina. Gli obiettivi e i targetappena menzionati sono stati inclusi nei relativi piani e programmi nazionali, quali il China’s five-year plan for ecology conservation (2006-2010) e il China’s plan for wild animal protection and protected areas.

 

Documentazione

Convenzione sulla biodiversità (1992), Country Profiles: Chinahttp://www.cbd.int/countries/?country=cn

 

Sito della Biodiversity Clearing House Mechanism of China http://english.biodiv.gov.cn/

 

Ministry of Environmental protection, China Fourth National Report On Implementation of the Convention on Biological Diversity (november 2008) http://www.cbd.int/doc/world/cn/cn-nr-04-en.pdf

 

 

 


Francia

Normativa

La Francia ha ratificato la Convenzione sulla diversità biologica del 5 giugno 1992 con la legge n. 94-477 del 10 giugno 1994[37].

La Francia, per la sua posizione geografica in Europa e nei Territori di oltremare, possiede un patrimonio biologico eccezionale ed estremamente variato, che lo rende uno dei paesi più ricchi del pianeta sotto l’aspetto della diversità biologica. Il territorio francese è composto da diversi tipi di ecosistemi, in particolare zone umide, laghi, habitat costieri, praterie e foreste. Le zone agricole coprono più del 50 per cento del territorio.

Lo stato di conservazione dei differenti habitat naturali, definiti dalla Direttiva Habitat (direttiva 92/43/CEE), è diverso a seconda dell’ambiente considerato (tra questi sono gli habitat marini, costieri, acquatici e umidi a trovarsi in un peggiore stato di conservazione). La riduzione degli ambienti di vita disponibili per le diverse specie è una delle principali minacce della diversità biologica del territorio nazionale francese.

In attuazione della Convenzione sulla biodiversità la Francia ha adottato nel 2004 la Stratégie nationale pour la biodiversité al fine di diminuire in modo significativo la perdita della biodiversità entro il 2010[38].

Sebbene non siano stati identificati target quantitativi da raggiungere, la Francia si è impegnata nella conservazione della biodiversità attraverso la legislazione esistente a livello nazionale e settoriale, adottando tra il 2005 e il 2006 dieci piani d’azione settoriale.

Numerose iniziative sono state avviate dal 2006 per la protezione degli habitatnaturali, in particolare con la creazione di nuove aree protette (la Francia ha creato fino ad oggi 1.153 aree protette, che comprendono 126 aree marine protette, 18 siti di zone umide di importanza internazionale e 11 riserve della Biosfera).

Tra le realizzazioni più recenti sono da menzionare, inoltre:

-        l’estensione di due riserve naturali esistenti;

-        la stabilizzazione della rete “Natura 2000”;

-        la designazione di un primo insieme di siti “Natura 2000” in mare;

-        l’adozione della direttiva–quadro “Strategia marina”(direttiva 2008/56/CE);

-        l’iscrizione delle barriere coralline della Nuova Caledonia al patrimonio mondiale;

-        una prima valutazione dello stato di conservazione della biodiversità nell’ambito del piano d’azione settoriale Patrimoine naturel;

-        il rinnovo del Plan de Développement Rural Hexagonal;

-        il lancio del piano interministeriale di riduzione dei rischi legati ai pesticidi;

-        la messa a punto di nuovi programmi, tra i quali: le Assises de la forêt, le Assises de l’agricolture ed i lavori del Comitato operativo per definire gli orientamenti nazionali della rete di Trames verte et Bleu, che individuano una “continuità ecologica” tra ambienti limitrofi, finalizzata ad assicurare la tutela globale della biodiversità per le specie di terra e di mare.

Le iniziative continueranno e dovrebbero essere completate nel 2010 in particolare con la costituzione della rete di aree marine protette, l’attuazione della strategia per la creazione di nuove aree terrestri metropolitane, l’attuazione della rete di Trames verte et bleu, lo studio d’impatto del cambiamento climatico, la lotta contro l’inquinamento marino, la ridefinizione delle misure nazionali in favore delle zone umide e il rafforzamento della conservazione degli ecosistemi nei Territori d’oltremare.

La conoscenza operativa della biodiversità è stata consolidata in Francia con la costruzione di un sistema informativo sulla natura e i paesaggi, lo sviluppo di indicatori di “seguito” della biodiversità ed una approfondita valutazione dello stato di conservazione delle specie e degli habitat d’interesse comunitario.

Il dispositivo di “seguito” dei piani d’azione della Strategia nazionale per la biodiversità e la sua apertura agli attori pubblici, socio-economici e associativi, lo sviluppo di partenariati e adeguate campagne di informazione hanno contribuito in Francia ad accrescere la mobilitazione della società civile in favore della biodiversità.

 

La Francia, infine, persegue l’obiettivo di integrare la biodiversità nei diversi settori di attività attraverso l’adozione di misure per la realizzazione del Grenelle de l’Environnement, progetto lanciato dal Presidente Sarkozy, nel maggio 2007 per avviare nuove azioni per l’ecologia e la promozione di uno sviluppo sostenibile[39].

Il 3 agosto 2009 è stata infatti promulgata la legge n. 2009-967, detta anche “Loi Grenelle I[40], che costituisce il primo consistente provvedimento promosso dal Governo per realizzare il progetto. La legge dedica alla biodiversità, agli ecosistemi e agli ambienti naturali il Titolo II (articoli da 23 a 35). Nuove regole sono state fissate per combattere la perdita della biodiversità attraverso interventi nei diversi settori, tra i quali la creazione, entro il 2012, della rete di Trames verte et bleu.

 

La Stratégie nationale pour la biodiversité si iscrive sulle orme dell’impegno dell’Unione europea di bloccare da qui al 2010 l’erosione della biodiversità, nel quadro della più generale Stratègie nationale du développement durable, di cui la Strategia in questione costituisce il volet in relazione alla diversità biologica, e del progetto Grenelle de l’environnement del quale integra gli impegni assunti nei dieci piani d’azione settoriale.

Dopo poco più di un mese dall’approvazione della Loi Grenelle I, il 15 settembre 2009 è iniziato al Senato l’esame in assemblea del Projet de loi portant engagement national pour l’environnement[41], detto anche progetto di Loi Grenelle II. Mentre la Loi Grenelle I ha fissato gli “obiettivi nazionali” della nuova politica ambientale del Governo, la Loi Grenelle II dovrebbe costituirne la declinazione tecnica e territoriale.

Il disegno di legge, che dedica alla biodiversità il Titolo IV, è stato presentato dal Ministro dell’Ecologia insieme con “uno studio di impatto”[42] ed è attualmente all’esame delle Commissioni competenti dell’Assemblea Nazionale[43], dopo la prima approvazione del Senato[44].

Documentazione

Nazioni Unite - Sito della Convenzione sulla diversità biologica, Country Profiles: France[45]

 

Sito del Ministère de l’Ecologie, de l’Energie du Développement durable et de la Mer dedicato alla Stratégie nationale pour la biodiversité[46]

 

Centre d'Echange français pour la Convention sur la diversité biologique, Portail de la biodiversité en France pour la Convention sur la diversité biologique[47]

 

Ministère de l’Ecologie, de l’Energie du Développement durable et de la Mer, Quatrième Rapport National de la France à la Convention sur la diversité biologique (luglio 2009)[48]

 

Commissariat général au développement durable, Rapport annuel au Parlement sur la mise en oeuvre des engagements du Grenelle Environnement[49]

 

LA BRUYEREJ. D. – Vice-presidente di France-Ecologie, La gouvernance locale des aires protégées et des espaces dédiés à la conservation de la biodiversité[50]


Germania

Normativa

Il 21 dicembre 1993 la Germania ha ratificato la Convenzione sulla diversità biologica del 5 giugno 1992. La Convenzione è stata successivamente trasposta nell’ordinamento interno con la Legge federale del 3o agosto 1997[51].

Con la riforma costituzionale del 2006 è stato abrogato l’art. 75 della Legge fondamentale, relativo alla c.d. legislazione quadro (Rahmengesetzgebung). Contestualmente all’abrogazione della legislazione quadro nel suo complesso, le materie che precedentemente ricadevano in tale ambito sono state trasferite, in parte, alla legislazione esclusiva dei Länder, in parte, alla legislazione esclusiva della Federazione e, in parte, alla legislazione concorrente, come la protezione della natura e la tutela del paesaggio.

L’attribuzione alla legislazione concorrente delle materie relative alla protezione della natura, alla tutela del paesaggio e al regime delle acque ha posto le premesse per l’elaborazione di una nuovo Codice unitario sull’ambiente.

Il 29 luglio 2009 il Parlamento tedesco ha approvato la Legge di riforma della normativa relativa alla protezione della natura e alla cura del paesaggio (Gesetz zur Neuregelung des Rechts des Naturschutzes und der Landschaftspflege), che sostituisce la precedente legge quadro sulla protezione dell’ambiente. L’obiettivo del legislatore è stato quello di semplificare ed uniformare la normativa ambientale a livello federale, migliorandone la chiarezza e l’attuabilità.

Obiettivo della legge di riforma è di garantire anche alle generazioni future il sostentamento naturale, inclusa la biodiversità. La legge mira alla tutela della molteplicità biologica (biologische Vielfalt), della capacità di funzionamento dei sistemi naturali, nonché della varietà, della particolarità e della bellezza della natura e del paesaggio (articolo 1, § 1).

In particolare, l’articolo 1, par. 7, comma 1, della legge definisce la molteplicità biologica come “molteplicità delle specie animali e vegetali nonché delle diverse forme di convivenza e dei differenti biotopi”.

La legge di riforma consta di 27 articoli. L’articolo 1 contiene la nuova Legge federale sulla protezione della natura (Bundesnaturschutzgesezt); gli articoli da 2 a 26 contengono le modifiche apportate a diverse leggi federali; infine, l’articolo 27 stabilisce l’entrata in vigore della nuova legge (1° marzo 2010) e la contestuale cessazione di validità della precedente Legge federale sulla protezione della natura (Bundesnaturschutzgesezt) del 25 marzo 2002[52].

Il 7 novembre 2007 il Governo federale ha approvato la “Strategia nazionale sulla varietà biologica”. Per la prima volta in Germania il Governo centrale ha varato un vasto programma sulla protezione e la conservazione del biotopo e delle specie biologiche. Conseguentemente, entro il 2010 dovrà ridursi la quota delle specie biologiche minacciate o a rischio di estinzione.

Documentazione

“Brochure del Ministero federale dell’interno: Strategia nazionale sulla biodiversità” (BMU-Broschüre: Nationale Strategie zur biologischen Vielfalt – 2007[53]).

 

È possibile reperire le informazioni dettagliate sulla biodiversità all’interno del Sito ufficiale del Ministero federale dell’ambiente (Bundesministerium für Umwelt, Naturschutz und Reaktorsicherheit)[54].

 

Convenzione sulla biodiversità (1992); Country Profiles: Germany[55]

 

EU Biodiversity Action Plan Report 2008; Country Profiles: Germany[56]

 

Ceremony launches the International Year of Biodiversity 2010 (Federal Environment Minister Röttgen: loss of habitats and species must be stopped)[57]

 


India

Normativa

La Convenzione sulla diversità biologica del 5 giugno 1992 è stata ratificata dall’India il 18 febbraio 1994.

 

L’India, come la Cina, è un  Paese “megadiverse[58] ed il suo territorio è composto da una diversità di habitat ecologici, come foreste, praterie, zone umide, ecosistemi costieri e marini ed ecosistemi desertici. Le foreste coprono il 23,39% dell’intero territorio nazionale, l’area delle praterie è pari a circa il 3,9%, i deserti coprono circa il 2% del territorio, mentre le zone umide occupano circa 4,1 milioni di ettari e l’ecosistema marino indiano copre un’area di 2,1 milioni quadrati di chilometri, senza contare l’area complessiva di circa 4.445 chilometri quadrati occupata dalle mangrovie.

 

L’India ha creato una rete di aree protette che copre il 4,74% del territorio del Paese con 94 parchi nazionali e 501 riserve protette, alle quali si aggiungono 14 Riserve della Biosfera, che fanno parte di un ristretto numero di foreste al di fuori delle aree protette.

In attuazione della Convenzione del 1992 l’India ha lanciato nel 1999 l’ India’s National Policy and Macrolevel Action Strategy on Biodiversity che ha fissato i principali obiettivi da raggiungere:

·         conservazione e uso sostenibile della diversità biologica, con ripopolamento e recupero delle specie in pericolo;

·         partecipazione dei governi dei diversi Stati, delle comunità e, in genere, della società civile;

·         valutazione della biodiversità attraverso gli strumenti della ricerca e innovazione tecnologica;

·         benefici per l’India, in quanto Paese dotato di risorse biologiche proprie, e per le comunità e popolazioni locali quali conservatori della biodiversità, creatori e titolari di sistemi di conoscenza tradizionale;

·         attenzione alla biodiversità nelle altre politiche e programmi di settore.

Nella National Policy and Macrolevel Action Strategy on Biodiversity del 1999 l’India ha indicato gli sforzi in atto per la conservazione della biodiversità, ma anche alcune lacune ancora da colmare e il National Biodiversity Action Plan, approvato nel novembre 2008, è stato frutto di una grande partecipazione degli operatori pubblici e privati su larga scala.

La strategia indiana per il raggiungimento dei target fissati per il 2010, relativi alla conservazione degli ecosistemi, habitat e biomi, consiste soprattutto nel riconoscere status e tutela alle aree ricche di biodiversità.

La National Environmental Policy del 2006 ha fissato le basi di una strategia innovativa per aumentare l’estensione delle foreste dal 23 al 33 per cento del territorio nazionale entro il 2012. L’obiettivo del Paese è quello di arrivare a 163 parchi nazionali e 707 riserve naturalistiche protette fino a coprire il 5,74 per cento del territorio assicurando un’adeguata rappresentanza attraverso tutti gli ecosistemi. La Commissione di monitoraggio del National Wildlife Action Plan (2002-2016) controlla periodicamente lo stato di impianto e di gestione delle aree protette. Molte aree naturali non frammentate e habitat di specie minacciate o in pericolo di estinzione  sono stati inseriti progressivamente nella rete delle aree protette. Sebbene molti degli ecosistemi marini e delle acque interne siano già nella rete di tutela, dovranno essere compiuti ulteriori sforzi per assicurare una gestione efficace di queste aree.

L’India ha inoltre adottato diverse importanti misure legislative per quanto riguarda l’accesso e la divisione dei benefici della biodiversità. Nel 2002 il  Biological Diversity Act[59]ha provveduto a regolare l’accesso alle risorse biologiche e la conoscenza tradizionale ad esse associata (colture di piante vegetali, metodiche di allevamento tradizionali), così da assicurare un’equa divisione dei benefici  provenienti dal loro uso. Il Plant Varieties Protection and Farmers’ Rights Act (PVPFRA) del 2001 e le PVPFR Rules del 2003 si sono occupati principalmente dei diritti degli allevatori sulle nuove varietà animali da loro sviluppate e il diritto dei coltivatori agricoli a registrare le nuove varietà di piante da essi create, sviluppate e coltivate da generazioni. Il Patent Second Amendment Act del 2002 e il  Patent Third Amendment Act del 2005 hanno, infine, disciplinato la materia dei brevetti collegati alla creazione e registrazione di nuove varietà vegetali o animali.

Per raggiungere i target fissati per il 2010 l’India ha proseguito le diverse iniziative e i progetti avviati negli ultimi anni e tuttora in corso, tra i quali: il Mangrove conservation programme; il Project Tiger e il Project Elephant; il progetto gestito dal National Bureau of Plant Genetic Resources per documentare il grande numero di varietà vegetali e piante originarie del Paese; la creazione e lo sviluppo della Traditional Knowledge Digital Library (TKDL), una banca-dati sui sistemi di medicina indiani, nata per prevenire la richiesta di concessione di brevetti su invenzioni non originali; diversi programmi di silvicoltura sostenibile basati sulle comunità olistiche, come il Joint Forest Management, finalizzati ad andare incontro ai bisogni delle popolazioni locali; la creazione di un sistema di “consenso informato preventivo” e di “equa divisione dei benefici” per abilitare rispettivamente il Paese e le collettività locali a trarre benefici economici dai materiali biologici e dall’uso delle tradizionali conoscenze ad essi collegate. 

 

Documentazione

Convenzione sulla diversità  biologica, Country Profiles: India http://www.cbd.int/countries/?country=in

Sito della National Biodiversity Authority http://www.nbaindia.org/index.htm

Sito del Ministry of Environment and Forests, National Clearing-House perla Convenzionehttp://envfor.nic.in/envis/envis.html

Ministry of Environment and Forests, Achieving 2010. Biodiversity Target: India’s Contributions (2010) http://www.nbaindia.org/docs/biodiversity_target_2010.pdf

Ministry of Environment and Forests, India’s Fourth National Report to the the Convention on Biological Diversity (2009) http://www.cbd.int/doc/world/in/in-nr-04-p1-en.pdf

 


Regno Unito

Normativa

La Convenzione sulla diversità biologica del 5 giugno 1992 è stata ratificata nel Regno Unito il 3 giugno 1994.

La conservazione della biodiversità è individuata dalla normativa del Regno Unito quale obiettivo e limite generale dell’azione pubblica: ad esso devono attenersi, nell’esercizio delle proprie funzioni, le autorità pubbliche (“biodiversity duty”). I principali provvedimenti attraverso i quali il legislatore nazionale ha inteso dare attuazione ad alcuni specifici aspetti connessi alla diversità biologica sono i seguenti:

 

Natural Environment and Rural Communities Act 2006 (artt. 40 e ss.)[60]

L’impegno del Regno Unito per la protezione della biodiversità si è indirizzato verso la prevenzione dei rischi delle variazioni climatiche, in coerenza con la visione integrata dei fenomeni e delle correlate iniziative adottata nel Libro bianco dell’UE sul quadro d’azione europeo per l’adattamento ai cambiamenti climatici (2009).

 

Climate Change Act 2008[61]

La legge del 2008 ha introdotto un sistema di controllo della riduzione progressiva delle emissioni di CO2 nell’atmosfera, attraverso la predisposizione di piani quinquennali di bilancio relativi alla produzione e al consumo del carbone (carbon budgets) a partire dal periodo 2008-2012 (con presentazione contestuale dei due piani quinquennali successivi). Per ogni anno, all’interno di ciascun piano, il Ministro dell’Ambiente definisce i limiti indicativi da rispettare, avendo riguardo anche alla situazione del Paese in relazione al sistema di contabilità delle “quote di carbonio” (carbon credits) stabilito a livello internazionale dal Protocollo di Kyoto.

Il legislatore ha altresì istituito un’autorità indipendente, la Committee on Climate Change (CCC) con compiti consultivi verso il Governo e la pubblica amministrazione in materia di riduzione delle emissioni, di sviluppo sostenibile e di impatto economico delle relative decisioni. La Commissione, in relazione al contesto economico, si è concentrata in particolare sull’impatto che le decisioni assunte possono avere sulla competitività di settori specifici dell’economia, contribuendo così a fissare parametri per lo sviluppo sostenibile. La Commissione ha il compito ulteriore di elaborare un piano di lungo termine, periodicamente sottoposto a revisione, per il raggiungimento dell’obiettivo finale previsto per il 2050, valutando anche la possibilità di raggiungere un risultato migliore (fino all’80% di riduzione delle emissioni).

Documentazione

Si segnala il country profile del Regno Unito riportato nel sito della Commissione Europea dedicato alla biodiversità[62].

 

Il piano d’azione nazionale per la biodiversità, aggiornato al 2007, è consultabile presso il sito del Department for Environment Food and Rural Affairs (DEFRA):

·         DEFRA, Conserving Biodiversity – The UK Approach[63].

 

È inoltre da segnalare la relazione della Commissione Ambiente della Camera dei Comuni, che, dopo aver esaminato lo stato di attuazione delle iniziative adottate dal Regno Unito per il raggiungimento di determinati obiettivi entro il 2010, ha formulato alcune conclusioni e rivolto raccomandazioni al Governo, ritenendo, tra l’altro, che tali iniziative non possano esaurirsi nelle politiche di conservazione di tutela dell’ambiente naturale, ma debbano coinvolgere ogni aspetto dell’azione pubblica :

·         HC Enviromental Audit Committee, Halting Biodiversity Loss (October 2008)[64].

 

Il Governo ha replicato con proprie osservazioni nel gennaio 2009, riconoscendo l’importanza di un ecosystem approach alla materia ed annunciando il finanziamento, da parte del Dipartimento competente (500.000 sterline in due anni), del programma denominato National Ecosystem Assessment (NEA):

·         Halting biodiversity loss: Government Response to the Committee's Thirteenth Report of Session 2007-08 - Environmental Audit Committee[65].

 

Sul National Ecosystem Assessment, sistema di valutazione delle condizioni dell’ecosistema nazionale avviato nel 2009, la cui impostazione si ispira al modello del Millennium Ecosystem Assessment promosso dall’Organizzazione delle Nazioni Unite nel 2001[66], possono segnalarsi i seguenti studi e documenti:

·         UK National Ecosystem Assessment[67];

·         DEFRA, Securing a healthy natural environment: An Action plan for embedding an ecosystems approach[68].

 

Informazioni sintetiche sugli effetti del cambiamento climatico sull’ecosistema, sulle relative iniziative adottate nel Regno Unito e sugli indicatori di biodiversità sono contenute in una nota predisposta dall’Ufficio parlamentare per la scienza e la tecnologia (Parliamentary Office of Science and Technology - POST):

·         Biodiversity Indicators (July 2008)[69]

·         Biodiversity and Climate Change (October 2009)[70].

 

Guide, rispettivamente, sull’attuazione del cosiddetto biodiversity duty da parte degli enti territoriali e sul rispetto della biodiversità nella pianificazione urbanistica sono state predisposte dal Department for Environment Food and Rural Affairs (DEFRA):

·         DEFRA, Life Support. Incorporating Biodiversity into Community Strategies (2004)[71]

·         DEFRA, Planning for Biodiversity and Geological Conservation. A Guide to Good Practice (2006)[72].

 

Una comparazione tra gli indicatori del Regno Unito e quelli di altri paesi è riportata nel seguente documento a cura del Joint Nature Conservation Committee (JNCC), organo consultivo del Governo in materia ambientale:

·         Joint Nature Conservation Committee, Correspondance between Global, European, UK and Country Biodiversity Indicators (2009)[73].

 

Studi sui rischi del cambiamento climatico per la biodiversità e sulle relative implicazioni economiche nel Regno Unito sono stati compiuti da esperti e da centri di ricerca (tra cui l’Università di Cambridge):

·         P. Watkiss, Scoping Study for a National Climate Change Risk Assessment and Cost-benefit Analysis. Literatur Review (February 2009, in part. pp. 51 – 59)[74]

·         A. Balmford et al., The economics of ecosystems and biodiversity: Scoping the science (2008)[75]

Ulteriori fonti di informazione sulle iniziative adottate in materia di tutela della diversità biologica nel Regno Unito (dai piani d’azione regionali, agli indicatori di biodiversità):

·         National Biodiversity Network[76];

·         UK Biodiversity Action Plan[77];

·         DEFRA, Biodiversity[78].


Spagna

Normativa

La Spagna ha ratificato la Convenzione sulla diversità biologica del 5 giugno 1992 mediante l’Instrumento de Ratificación de 16 de noviembre de 1993 del Convenio de 5 de junio de 1992 sobre la diversidad biológica, hecho en Río de Janeiro[79].

La Spagna ha approvato, alla fine del 2007, una legge quadro sulla tutela del patrimonio naturale e della biodiversità: Ley 42/2007, de 13 de diciembre, del Patrimonio Natural y de la Biodiversidad[80]. La legge stabilisce il regime giuridico di base della conservazione nonché dell’uso sostenibile, del miglioramento e del ripristino del patrimonio naturale e della biodiversità spagnola, a vantaggio sia delle generazioni attuali sia di quelle future.

L’ampio testo della legge è articolato in sei titoli, preceduti da un titolo preliminare e seguiti da diverse disposizioni aggiuntive e finali, ed è completato da otto allegati.

Il Titolo preliminare inquadra la nuova legge nell’ambito dell’articolo 45, comma 2, della Costituzione spagnola, che stabilisce, al tempo stesso, il dovere di conservare e il diritto ad usufruire di un ambiente adeguato per lo sviluppo della persona. Nel testo sono poi elencati i principi ispiratori della legge, seguiti da una lunga lista con la definizione dei termini usati (ad esempio per “biodiversità” o “diversità biologica” si intende la “variabilità degli organismi vivi di qualunque provenienza, tra i quali gli ecosistemi terrestri e marini, gli altri ecosistemi acquatici ed i complessi ecologici dei quali formano parte; comprende la diversità all’interno di ciascuna specie, tra le specie e degli ecosistemi”). Da segnalare inoltre la promozione di meccanismi di coordinamento e cooperazione tra l’Amministrazione centrale dello Stato e le Comunità autonome; a tale scopo sono istituiti, in primo luogo, la Commissione statale per il Patrimonio naturale e la Biodiversità, organo consultivo e di cooperazione, le cui relazioni o proposte sono sottoposte alla Conferenza settoriale per l’ambiente e, in secondo luogo, il Consiglio statale per il Patrimonio naturale e la Biodiversità, organo di partecipazione pubblica di cui fanno parte le organizzazioni professionali, scientifiche, imprenditoriali, sindacali ed ecologiste più rappresentative.

Il Titolo I elenca gli strumenti per la conoscenza e la pianificazione del patrimonio naturale e della biodiversità, a partire dall’Inventario spagnolo del Patrimonio naturale e della Biodiversità, strumento atto a censire distribuzione, ricchezza, stato di conservazione e utilizzazione del patrimonio naturale, elaborato ed aggiornato dal Ministero dell’ambiente, con la collaborazione delle Comunità autonome e degli istituti e organizzazioni di carattere scientifico. Ad esso segue il Piano strategico statale del Patrimonio naturale e della Biodiversità, volto a stabilire e definire obiettivi, criteri ed azioni per favorire la conservazione, l’uso sostenibile ed eventualmente il ripristino del patrimonio naturale; anch’esso è elaborato dal Ministero dell’ambiente, in collaborazione con altri Ministeri competenti e con le Comunità autonome, ed è sottoposto all’approvazione del Consiglio dei Ministri. Infine sono previsti specifici Piani di ordinamento delle Risorse naturali, elaborati dalle singole Comunità autonome, in conformità con apposite direttive per la gestione e l’uso delle risorse naturali, elaborate dal Ministero dell’ambiente, con la partecipazione delle Comunità autonome.

Il Titolo II concerne la catalogazione, conservazione e ripristino degli habitat e degli spazi appartenenti al patrimonio naturale, con disposizioni specifiche per gli habitat a rischio di sparizione, i parchi e le riserve naturali, le aree marine protette, i monumenti naturali ed i paesaggi protetti. Istituisce inoltre la Rete ecologica europea Natura 2000, comprensiva dei “luoghi di importanza comunitaria”, come definiti nella direttiva comunitaria 92/43/CEE.

Il Titolo III si occupa della conservazione della biodiversità, con distinzione tra le azioni di conservazione da realizzare nell’habitat naturale delle specie (in situ) e quelle che necessitano lo spostamento in apposite riserve (ex situ). Da segnalare, in tale ambito, anche le misure per la prevenzione e il controllo delle specie esotiche invadenti.

Il Titolo IV disciplina l’uso sostenibile del patrimonio naturale e della biodiversità ed istituisce la Rete spagnola delle Riserve della biosfera, all’interno della rete mondiale costituita dall’UNESCO.

Il Titolo V riguarda il sostegno alla conoscenza, alla conservazione e al ripristino del patrimonio naturale e crea un apposito Fondo per il Patrimonio naturale e la Biodiversità, strumento di cofinanziamento realizzato con stanziamenti a carico del bilancio generale dello Stato e fondi comunitari, finalizzato in particolare alla gestione forestale sostenibile, alla prevenzione strategica degli incendi forestali e alla protezione degli spazi forestali e naturali al cui finanziamento partecipi l’Amministrazione centrale dello Stato.

Il Titolo VI contiene le norme sugli illeciti amministrativi alla legge e sulle corrispondenti sanzioni, di natura pecuniaria, che vanno da un minimo di 500 euro, per le infrazioni lievi, fino ad un massimo di 2 milioni di euro, per gli illeciti classificati come molto gravi.

 

Documentazione

Ø      Sito della Convention on Biological Diversity, profilo della Spagna[81];

Ø      Sito della Convention on Biological Diversity, “Cuarto informe nacional sobre la diversidad biológica”(2009)[82];

Ø      EU Biodiversity Action Plan Report, profilo della Spagna[83];

Ø      Fundación Biodiversidad[84];

Ø      Ministero dell’ambiente, sezione dedicata alla Biodiversidad[85].


Stati Uniti d’America

Normativa

Gli Stati Uniti hanno firmato nel 1993 la Convenzione sulla diversità biologica del 5 giugno 1992, ma non hanno proceduto a ratifica.

Non esiste una normativa organica della biodiversità, tuttavia alcune disposizioni in materia sono contenute in diversi atti normativi. Tra questi l’Endangered Species Act of 1973ESA[86] fu approvata allo scopo di proteggere le specie in pericolo di estinzione a causa delle conseguenze della crescita economica e dello sviluppo non controllato. Essa protegge quasi duemila specie e sulla sua attuazione vigilano due agenzie federali: il National Marine Fisheries Service (NMFS[87]) e lo US Fish and Wildlife Service (USFWS[88]). Un altro provvedimento è il Marine Mammal Protection Act of 1972 – MMPA (legge sulla protezione dei mammiferi marini[89]), che proibisce, con talune eccezioni, la cattura di mammiferi marini nelle acque territoriali e in alto mare (per i cittadini statunitensi), nonché l’importazione degli stessi animali e dei prodotti derivati.

Tra le molte leggi a protezione dell’ambiente e delle foreste, sono da ricordare il National Environmental Policy Act – NEPA[90], in vigore dal 1970, che impose alle agenzie federali di integrare nei loro processi decisionali le considerazioni ambientali in maniera da prevedere le conseguenze sull’ambiente delle decisioni adottate.

Importante appare inoltre la legislazione in favore dell’acqua e dell’aria: ricordiamo il Clean Water Act of 1972[91] approvato allo scopo di preservare l’integrità fisica, chimica e biologica delle acque nazionali, e le norme a tutela della salubrità dell’aria, dall’Air Pollution Control Act of 1955 al Clear Air Act of 1970 (più volte modificato[92]).

Documentazione

Ø      Sito della Convention on Biological Diversity, profilo degli Stati Uniti[93];

Ø      Sito della Convention on Biological Diversity, “Voluntary Report on Implementation of Expanded Programme of Work on Forests” (2004)[94];

Ø      World Resources Institute, Earthtrends, pagine dedicate alla biodiversità e alle aree protette, profilo degli Stati Uniti[95];

Ø      Sito della United States Environmental Protection Agency (EPA)[96].


Sudafrica

Normativa

Il Sudafrica ha firmato nel 1993 la Convenzione sulla diversità biologica del 5 giugno 1992, ratificandola il 2 novembre 1995.

La normativa sulla biodiversità si inquadra nel più ampio quadro della gestione dell’ambiente regolata dal National Environmental Management Act, n. 107 del 1998.

Più recentemente sono stati emanati due provvedimenti, il Biodiversity Act, n. 10 del 2004[97], e il Protected Areas Act, n. 57 del 2003[98].

Il Biodiversity Act ha istituito il South African National Biodiversity Institute (SANBI), un ente pubblico dipendente dal Dipartimento degli affari ambientali e del turismo, con l’obiettivo di condurre ricerche, fornire informazioni e consulenza al Governo, gestire giardini botanici e attuare programmi per il recupero di ecosistemi e la determinazione di buone pratiche per la gestione della biodiversità.

Nel 2005 è stato pubblicato il primo National Biodiversity Strategy and Action Plan (NBSAP[99]), che definisce una strategia di lungo termine nella conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità sudafricana. Il NBSAP si articola in 5 obiettivi strategici, la cui implementazione contribuisce all’attuazione della Convenzione sulla biodiversità.

Il Biodiversity Act richiede anche l’elaborazione di una Cornice della biodiversità nazionale (NBF), che deve essere aggiornata ogni 5 anni. Una bozza della prima NBF è stata resa pubblica nel 2007, mentre la versione definitiva è in corso di pubblicazione. Lo scopo è quello di coordinare l’attività delle organizzazioni e degli individui che operano per conservare e gestire in modo sostenibile la biodiversità nel paese.

Documentazione

Ø      Sito della Convention on Biological Diversity, profilo del Sudafrica[100];

Ø      Sito della Convention on Biological Diversity, Quarto rapporto nazionale (2009)[101];

Ø      World Resources Institute, Earthtrends, pagine dedicate alla biodiversità e alle aree protette, profilo del Sudafrica[102];

Ø      Sito del South African Biodiversity Institute (SANBI)[103];

Ø      Dipartimento degli affari ambientali e del turismo[104].

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Allegati

 


Nota del CeSPI su questioni e prospettive legate alla biodiversità

 


Dichiarazione del Segretario esecutivo della Convenzione sulla diversità biologica in occasione dell’anno internazionale della biodiversità



[1]    La traduzione italiana del termine inglese biodiversity modifica in parte il significato originario della parola. In inglese, diverse significa infatti vario, molteplice, mentre in italiano il termine diverso sottolinea l’idea di differenza rispetto ad uno standard di riferimento. Una traduzione più fedele potrebbe essere dunque quella di biovarietà. Il termine biodiversità risulta comunque ormai consolidato sia a livello legislativo che nell’ambito del dibattito scientifico e culturale.

[2]    Gli altri due fondi sono The Special Voluntary Trust Fund (BE Trust Fund) che raccoglie contributi addizionali volontari a supporto di specifiche attività e The Special Voluntary Trust Fund (BZ Trust Fund) finalizzato a facilitare la partecipazione della Parti ai processi della Convenzione.

[3]    Disponibile all’indirizzo http://www.cbd.int/convention/parties/contributions.shtml?tab=2.

[4] Dati pubblicati sul sito web della Convenzione sulla biodiversità, all’indirizzo http://www.cbd.int/convention/parties/list/. L’”approvazione”, al pari dell’”adesione”, è considerata, ai fini della Convenzione, pienamente equivalente alla ratifica.

[5]    Si ricorda infatti il Trattato internazionale sulle risorse genetiche vegetali per l’alimentazione e l’agricoltura, adottato a Roma il 3 novembre 2001 nell’ambito della trentunesima Conferenza della FAO, e ratificato dall’Italia con legge 6 aprile 2004, n. 101 (entrata in vigore per l’Italia: 16 agosto 2004). Le problematiche affrontate dal Trattato investono settori fondamentali per la sopravvivenza dell’umanità, come la conservazione dell’ambiente, la biodiversità, lo sviluppo sostenibile e la sicurezza alimentare. Il suo obiettivo principale consiste nel conservare e garantire l’uso duraturo delle risorse genetiche vegetali, elaborando alcontempo un sistema diretto a una giusta ed equa ripartizione dei vantaggi derivanti dall’utilizzazione di queste risorse.

[6]    Il Principio 15 della Dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo, approvata al termine della richiamata Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo, stabilisce che “Al fine di proteggere l'ambiente, gli Stati applicheranno largamente, secondo le loro capacità, il Principio di precauzione. In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l'assenza di certezza scientifica assoluta non deve servire da pretesto per differire l'adozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale”

[7] Dati pubblicati sul sito web della Convenzione sulla biodiversità, all’indirizzo http://www.cbd.int/convention/parties/list/. Come già accennato a pag. 17, l’”approvazione”, al pari dell’”adesione” è considerata, ai fini della Convenzione, pienamente equivalente alla ratifica.

[8]    Per l’illustrazione di tale Protocollo v. supra pag. 23 del presente dossier.

[9]    Tali Linee costituiscono lo strumento facoltativo di applicazione della Convenzione sulla biodiversità.

[10]   Si consulti la pagina al seguente indirizzo:

http://www.iucn.it/documenti/pdf/MalahideMessage.pdf.

[11] La Commissione europea ha pubblicato nel 2009 un nuovo rapporto che analizza la coesistenza delle colture biologiche geneticamente modificate con l’agricoltura tradizionale e biologica. Secondo il rapporto nel corso degli ultimi anni, gli Stati membri hanno fatto dei progressi considerevoli nell’elaborazione di una normativa sulla coesistenza. In particolare la creazione di un quadro legislativo al riguardo ha comportato un aumento moderato della superficie coltivata consacrata alle colture geneticamente modificate. Il rapporto della Commissione indica che le colture geneticamente modificate non hanno causato alcun danno dimostrabile all'agricoltura che non usa OGM.

[12]    In Italia la Direttiva è stata recepita con il D.lgs. n. 224/2003.

[13]   In Italia disposizioni sanzionatorie per le violazioni delle norme previste dal suddetto regolamento sono state adottate con il D.lgs. n. 70/2005.

[14] In Italia prescrizioni per una valutazione del rischio per l'agrobiodiversità, per i sistemi agrari e per la filiera agroalimentare, conseguenti al deliberato rilascio nell'ambiente di OGM, sono state definite con il D.M. del 19 gennaio 2005, del Ministero delle politiche agricole.

[15] Nel maggio 2005 Il Consiglio ha adottato le Conclusioni su un piano d'azione UE per le foreste. Il 15 giugno 2006 la Commissione ha presentato una comunicazione contenente il suddetto piano d'azione . Esso si concentra su quattro obiettivi fondamentali: migliorare la competitività a lungo termine; migliorare e proteggere l'ambiente;contribuire alla qualità della vita;promuovere il coordinamento e la comunicazione. Il piano ha una durata di cinque anni (2007-2011), e prevede diciotto azioni chiave che la Commissione propone di eseguire la necessità di rafforzare la cooperazione e il coordinamento inter-settoriale e la congiuntamente con gli Stati membri.

[16]   www.g8ambiente.it/public/images/20090424/docita/09_04_24_Carta di Siracusa sulla Biodiversità.pdf.

[17]   Si veda, in allegato, la Dichiarazione resa del Segretario generale della Convenzione.

[18]   http://www.cbd.int.

[19]  Si rammenta che l’articolo 3 della legge n. 124 del 14 febbraio 1994 con la quale l’Italia ha ratificato la Convenzione sulla biodiversità, ascrive al provvedimento un onere valutato in 700 milioni di lire (circa 360 mila euro) per l’anno 1994 e in lire 1.300 milioni (circa 670mila euro) l’anno a decorrere dal 1997.

L’articolo 1, comma 279 della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria per 2005) ha autorizzato la spesa complessiva di 2 milioni di euro per l'anno 2005 per campagne di comunicazione e sensibilizzazione riferite alla Convenzione sulla biodiversità fatta a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992 e per dare avvio all'esecuzione del Protocollo di Cartagena sulla prevenzione dei rischi biotecnologici (si veda infra). Per la prosecuzione di tali interventi, successivamente, l’articolo 11-quaterdecies, comma 3, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, aggiunto dalla relativa legge di conversione, ha autorizzato la spesa di ulteriori 3 milioni di euro a decorrere dall'anno 2006.

[20]   http://www.iucn.it/documenti/pdf/MalahideMessage.pdf.

[21]   L’Italia ha lanciato il sito web www.iucn.it.

[22]www.minambiente.it/opencms/opencms/home_it/menu.html?menuItem=/menu/menu_informazioni/Verso_la_Strategia_Nazionale_per_la_Biod.html&menu=/menu/menu_informazioni/argomenti.html|/menu/menu_informazioni/biodiversita_fa.html|/menu/menu_informazioni/Verso_la_Strategia_Nazionale_per_la_Biod.html&lang=it.

[23]   Si segnala che è all’esame della 13ª Commissione permanente (Territorio, ambiente, beni ambientali) l’A.S. 1820 recante “Nuove disposizioni in materia di aree protette” che – come evidenziato nella relazione illustrativa - propone alcuni interventi di modifica della disciplina sulle aree protette nazionali con particolare riferimento alle aree marine protette e si pone altresì come finalità la valorizzazione delle stesse nell’affermazione della centralità del principio di compatibilità tra ecosistemi naturali e attività antropiche, sociali ed economiche.

[24]   La classificazione delle aree protette è disciplinata dalla deliberazione del 21/12/1993 (G.U. n. 62/1994), che è stata integrata con la Deliberazione 2 dicembre 1996, del Comitato per le aree naturali protette (G.U. 139/1997), che ha incluso nell’elenco anche le ZPS e le ZSC. Tale ultima delibera è stata recentemente integrata dalla Deliberazione 26 marzo 2008 della Conferenza Stato-Regioni (Pubblicata nella G.U. n. 137 del 13 giugno 2008) che ha disciplinato il regime di protezione applicabile alle ZPS ed alle ZSC.

[25]    Tale elenco include tutte le aree che rispondono ai criteri fissati dalla delibera 1° dicembre 1993 del Comitato Nazionale per le Aree Naturali Protette (comitato soppresso dal D.Lgs. 281/1997).

[26]    Pubblicata nella G.U. n. 205 del 4 settembre 2003 – S.O. n. 144.

[27]   Doc. CXXXVIII, n. 1, disponibile all’indirizzo internet:

www.camera.it/_dati/leg16/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/138/001/INTERO.pdf

[28]   Pubblicato nella G.U. 19 giugno 2009, n. 140, S.O.

[29]   Si veda, in proposito, il dossier di documentazione n. 164 all’indirizzo http://nuovo.camera.it/701?leg=16&file=AM0071A.

[30]   Nel sito web del Corpo Forestale è comunque consultabile una prima bozza, all’indirizzo http://www3.corpoforestale.it/flex/cm/pages/ServeAttachment.php/L/IT/D/D.af433ef449b49d45893f/P/BLOB:ID%3D346.

[31]All’indirizzo: http://www.cbd.int/.

 

[32]   All’indirizzo http://www.cbd.int/countries/.

[33]   Disponibile all’indirizzo: http://ec.europa.eu/environment/nature/index_en.htm.

[34]   Disponibile all’indirizzo:

http://ec.europa.eu/environment/nature/biodiversity/comm2006/bap_2008.htm.

[35] http://www.mma.gov.br/sitio/index.php?ido=conteudo.monta&idEstrutura=37

[36] http://legislacao.planalto.gov.br/legisla/legislacao.nsf/fraWeb?OpenFrameSet&Frame=frmWeb2&Src=%2Flegisla%2Flegislacao.nsf%2FViw_Identificacao%2FDEC%25204.339-2002%3FOpenDocument%26AutoFramed 

[37]   Testo disponibile all’indirizzo di rete:

http://www.legifrance.gouv.fr/./affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000000731610&fastPos=4&fastReqId=1115438916&categorieLien=cid&oldAction=rechTexte).

[38]   Vedi la pagina internet http://www.ecologie.gouv.fr/-Strategie-nationale-pour-la-.html.

[39]   Vedi il sito internet dedicato al progetto Grenelle: http://www.legrenelle-environnement.fr/.

[40]   Testo disponibile all’indirizzo:

http://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000020949548&dateTexte.

[41]   S. Projet n. 155, http://www.senat.fr/leg/pjl08-155.html.

[42]   Testo disponibile al’indirizzo http://www.senat.fr/leg/etudes-impact/pjl08-155-ei/pjl08-155-ei.html.

[43]    A.N. Projet n. 1965, http://www.assemblee-nationale.fr/13/projets/pl1965.asp).

[44]   Per l’iter legislativo del provvedimento cfr.:

http://www.assemblee-nationale.fr/13/dossiers/engagement_environnement.asp.

[45] Al link http://www.cbd.int/countries/?country=fr.

[46]   http://www.ecologie.gouv.fr/-Strategie-nationale-pour-la-.html.

[47]   http://biodiv.mnhn.fr/

[48]   http://www.cbd.int/doc/world/fr/fr-nr-04-fr.pdf.

[49]   http://lesrapports.ladocumentationfrancaise.fr/BRP/094000582/0000.pdf (ottobre 2009).

[50]   http://lesrapports.ladocumentationfrancaise.fr/BRP/094000054/0000.pdf (gennaio 2009)

[51]   Gesetz zu dem Übereinkommen vom 5. Juni 1992 über die biologische Vielfalt, reperibile, in lingua tedesca, all’indirizzo internet: http://www.biodiversitaet.info/images/5/5f/BGBL.pdf.

[52]   Il testo della legge del 29 luglio 2009 è consultabile, in lingua tedesca, all’indirizzo internet http://fzu.rewi.hu-berlin.de/Dokumente/BGBl_2542.pdf.

[53]   Il documento è consultabile, in lingua tedesca ed inglese, all’indirizzo internet:

http://www.bmu.de/naturschutz_biologische_vielfalt/downloads/doc/40333.php.

[54]   Alla pagina web: http://www.bmu.de/naturschutz_biologische_vielfalt/kurzinfo/doc/4025.php.

[55]   http://www.cbd.int/countries/?country=de.

[56]   http://ec.europa.eu/environment/nature/biodiversity/comm2006/pdf/profiles/de.pdf

[57]   http://www.bmu.de/english/current_press_releases/pm/45522.php

[58] Sono  Paesi “megadiverse” : Australia, Brasile, Cina, Colombia, Repubblica del Congo, Ecuador, India, Indonesia, Madagascar, Messico, Nuova Guinea, Perù, Filippine, Sud Africa, USA, Venezuela.

[59] http://www.nbaindia.org/act/act_english.htm

[60]   http://www.opsi.gov.uk/acts/acts2006/ukpga_20060016_en_1

[61]   http://www.opsi.gov.uk/acts/acts2008/ukpga_20080027_en_1

[62]   http://ec.europa.eu/environment/nature/biodiversity/comm2006/pdf/profiles/uk.pdf.

[63]   http://www.defra.gov.uk/environment/biodiversity/documents/conbiouk-102007.pdf

[64]   http://www.parliament.the-stationery-office.co.uk/pa/cm200708/cmselect/cmenvaud/743/743.pdf

[65]   http://www.publications.parliament.uk/pa/cm200809/cmselect/cmenvaud/239/23904.htm

[66]   http://www.millenniumassessment.org/en/Index.aspx,

[67]   http://uknea.unep-wcmc.org/

[68]   http://www.defra.gov.uk/wildlife-pets/policy/natural-environ/documents/eco-actionplan.pdf

[69]   http://www.parliament.uk/documents/upload/postpn312.pdf

[70]   http://www.parliament.uk/documents/upload/postpn341.pdf

[71]   http://www.defra.gov.uk/environment/biodiversity/documents/lifesupport.pdf

[72]   http://www.communities.gov.uk/documents/planningandbuilding/pdf/143792.pdf

[73]   http://www.jncc.gov.uk/PDF/BIYP-BiodiversityIndicators.pdf

[74]   http://randd.defra.gov.uk/Document.aspx?Document=GA0208_7993_LIT.pdf

[75]   http://uknea.unep-wcmc.org/LinkClick.aspx?fileticket=5qNPMsbueBU%3d&tabid=85

[76]   http://www.nbn.org.uk/

[77]   http://www.ukbap.org.uk/

[78]   http://www.defra.gov.uk/environment/biodiversity/index.htm

[79]   http://noticias.juridicas.com/base_datos/Admin/ir190194-je.html

[80]   http://noticias.juridicas.com/base_datos/Admin/l42-2007.html

[81]   http://www.cbd.int/countries/?country=es

[82]   http://www.cbd.int/doc/world/es/es-nr-04-es.pdf

[83]   http://ec.europa.eu/environment/nature/biodiversity/comm2006/pdf/profiles/es.pdf

[84]   http://www.fundacion-biodiversidad.es/

[85]   http://www.mma.es/portal/secciones/biodiversidad/

[86]   Legge sulle specie in pericolo: http://www.fws.gov/endangered/esa/content.html

[87]   http://www.nmfs.noaa.gov

[88]   http://www.fws.gov

[89]   http://www.nmfs.noaa.gov/pr/pdfs/laws/mmpa.pdf

[90]http://frwebgate.access.gpo.gov/cgibin/getdoc.cgi?dbname=browse_usc&docid=Cite:+42USC4321

[91]   http://www.waterboards.ca.gov/laws_regulations/docs/fedwaterpollutioncontrolact.pdf

[92]   http://www.epa.gov/air/caa/index.html

[93]   http://www.cbd.int/countries/?country=us

[94]   http://www.cbd.int/doc/world/us/us-nr-vfe-en.pdf

[95]   http://earthtrends.wri.org/text/biodiversity-protected/country-profile-190.html

[96]    http://www.epa.gov

 

[97]   http://www.environment.gov.za//PolLeg/Legislation/2004Jun7_2/Biodiversity%20Act-7%20June%202004.pdf

[98]   http://www.environment.gov.za//PolLeg/Legislation/2004Mar17/Protected_Areas_Act57-03.pdf

[99]   http://www.cbd.int/doc/world/za/za-nbsap-01-en.pdf

[100]http://www.cbd.int/countries/?country=za

[101]http://www.cbd.int/doc/world/za/za-nr-04-en.pdf

[102]http://earthtrends.wri.org/text/biodiversity-protected/country-profile-165.html

[103]http://www.sanbi.org

[104]http://www.environment.gov.za/