Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento ambiente
Titolo: Tutela, governo e gestione pubblica delle acque e ripubblicizzazione del servizio idrico - AC 2 e 1951 (seconda edizione) schede di lettura e riferimenti normativi
Riferimenti:
AC N. 2/XVI   AC N. 1951/XVI
Serie: Progetti di legge    Numero: 103
Data: 20/01/2009
Descrittori:
ACQUE PUBBLICHE   ACQUEDOTTI
IMPIANTI IDRICI ED IDRAULICI   SERVIZI PUBBLICI
Organi della Camera: VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici


Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

SERVIZIO STUDI

 

Progetti di legge

Tutela, governo e gestione pubblica delle acque e ripubblicizzazione del servizio idrico

A.C. 2 e 1951

Schede di lettura e normativa di riferimento

Seconda edizione

 

 

 

n. 103

 

 

26 gennaio 2009

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SIWEB

 

 

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File: Am0032.doc

 

 


INDICE

Schede di lettura

Quadro normativo  5

§      Accordi e iniziative internazionali5

§      La politica comunitaria in materia di acque  8

§      La gestione delle risorse idriche nel d.lgs. n. 152/2006  10

§      La gestione del servizio idrico integrato  11

A.C. n. 2  19

§      Art. 1 (Finalità)19

§      Art. 2 (Princìpi generali)20

§      Art. 3 (Princìpi relativi alla tutela e alla pianificazione)22

§      Art. 4 (Princìpi relativi alla gestione del servizio idrico)26

§      Art. 5 (Governo pubblico del ciclo integrato dell'acqua)27

§      Art. 6 (Ripubblicizzazione della gestione del servizio idrico integrato. Decadenza delle forme di gestione. Fase transitoria)31

§      Art. 7 (Istituzione del Fondo nazionale per la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato)35

§      Art. 8 (Norme generali sul finanziamento del servizio idrico integrato)36

§      Art. 9 (Finanziamento del servizio idrico integrato attraverso la tariffa)37

§      Art. 10 (Governo partecipativo del servizio idrico integrato)40

§      Art. 11 (Fondo nazionale di solidarietà internazionale)42

§      Art. 12 (Disposizioni finanziarie)44

A.C. n. 1951  47

§      Testo a fronte  49

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE   59

§      Codice Civile (artt. 822-824)67

§      D.Lgs. 28 agosto 1997 n. 281 Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali. (art. 8)68

§      D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. (artt. 8, 113 e 113-bis)69

§      D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 Norme in materia ambientale (Parte terza)73

§      L. 27 dicembre 2006 n. 296 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007). (art. 1, co. 1284)148

§      D.L. 25-6-2008 n. 112 Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria. (art. 23-bis)149

Normativa comunitaria

§      Dir. 23 ottobre 2000, n. 2000/60/CE Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque  153

Giurisprudenza costituzionale

§      Sentenza Corte cost. n. 272 del 27 luglio 2004  177

 


Schede di lettura

 


Quadro normativo

Accordi e iniziative internazionali

La questione della disponibilità di risorse idriche negli ultimi anni ha assunto a livello internazionale un'importanza sempre maggiore, sia per effetto dei cambiamenti climatici, sia per la crescente mobilitazione contro i processi di privatizzazione che tendono a delegare la gestione delle risorse idriche al mercato.

Dai dati delle Nazioni Unite risulta che in America Latina, Africa, Asia più di un miliardo di persone, cioè un abitante della Terra su cinque, non ha accesso all'acqua potabile e circa il 40% della popolazione non ha a disposizione un sistema fognario. Si contano 3.900 decessi quotidiani legati all'insalubrità dell'acqua e la situazione non accenna a migliorare. Otto milioni di persone muoiono ogni anno per le malattie legate all'acqua. L'obiettivo fissato dalle Nazioni Unite è di dimezzare il numero di persone private dell'accesso all'acqua potabile per il 2015. Secondo diverse stime dovrebbero essere investiti tra i 7,5 e i 25 miliardi di euro ogni anno per raggiungere l'obiettivo prefissato.

Nella cronologia che segue, si dà brevemente conto dei principali interventi - a livello mondiale – volti ad affermare il valore della risorsa acqua e a fornire indicazioni per le relative forme di tutela.

1968

La Carta dell’acqua, redatta il 6 maggio 1968 a Strasburgo dal Comitato europeo per la salvaguardia della natura e delle sue risorse, rappresenta uno dei primi documenti programmatici che affermano il valore della risorsa acqua e danno delle indicazioni per la sua tutela, attraverso undici principi.

1977

La Conferenza ONU tenutasi a Mar de la Plata (Argentina) rappresenta la prima grande conferenza dell’ONU incentrata sul problema dell’acqua; vi si afferma che "tutti hanno diritto di accedere all'acqua potabile in quantità e qualità corrispondenti ai propri bisogni fondamentali".

1980

Proclamazione del Decennio internazionale dell'acqua potabile 1981/1990.

1987

Nel 1987, la Commissione Brundtland (The World Commission on Environment and Development), propone uno “sviluppo sostenibile per il mondo e identifica l’acqua come uno dei temi chiave tra le problematiche ambientali globali.

1990

Il Forum Internazionale su "Acqua potabile e risanamento" organizzato da molte organizzazioni non governative (ONG) in occasione della conclusione del decennio Internazionale dell'Acqua Potabile, si chiude con l’approvazione, nel giugno 1990, della cd. Charte de Montreal.

Nel settembre dello stesso anno si tiene, a Nuova Delhi, la Conferenza finale del Decennio Internazionale, che si chiude con la Dichiarazione di Nuova Delhi che rappresenta  un appello a tutte le Nazioni per un'azione concertata, mirata ad ottenere due tra i bisogni umani basilari: acqua potabile sicura ed igiene ambientale.

 

 

1992

Si tiene la Conferenza internazionale delle Nazioni Unite su Acqua e ambiente (ICWE), che si chiude con la Dichiarazione di Dublino nella quale, tra i principi-base, vengono indicati quello dell’acqua dolce quale risorsa limitata e fragile e quello del valore economico dell’acqua con il conseguente diritto fondamentale di tutti gli esseri umani all'accesso ad acqua salubre e igiene ambientale ad un prezzo abbordabile.

Viene firmata la Convenzione di Helsinki sulla protezione e l'utilizzazione dei corsi d'acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali, con l’obiettivo di prevenire e controllarne l'inquinamento, istituendo una cooperazione internazionale.

1993

L’Assemblea delle Nazioni Unite proclama, il 22 marzo di ogni anno, la celebrazione della “Giornata Mondiale dell’Acqua”.

1994

In attuazione dell’Agenda 21 si tiene a Nordwijck (Olanda), la Conferenza ministeriale internazionale su "Acqua potabile e risanamento ambientale”.

Nello stesso anno viene siglata la Convenzione ONU sulle norme per corsi d'acqua internazionali per usi diversi dalla navigazione.

1996

Vengono istituiti il World Water Council (WWC) e il Global Water Partnership (GWP), con la specifica finalità di favorire iniziative per il supporto e la gestione integrate di risorse idriche nei paesi in via di sviluppo.

1997

In marzo si tiene a Marrakech (Marocco), su iniziativa del WWC, il 1° Forum mondiale sull'acqua per incoraggiare lo sviluppo del positivo trend internazionale di mobilitazione, per approfondire il dibattito verso la soluzione delle problematiche internazionali collegate alla risorsa idrica, per formulare proposte concrete e portare la loro importanza all’attenzione del mondo.

1998

In febbraio si svolge il Forum europeo organizzato dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, dal Segretariato internazionale dell'Acqua e da Solidarité Eau Europe, che si conclude con la Dichiarazione di Strasburgo "L'acqua, fonte di cittadinanza, di pace e di sviluppo regionale".

2000

Dal 17 al 22 marzo 2000 si svolge il 2° Forum mondiale sull'acqua a L'Aja che si chiude con la Dichiarazione ministeriale "La sicurezza dell'acqua nel XXI secolo", ove si legge che: “L'acqua è essenziale per la vita e la salute dell'uomo e dell'ambiente naturale ed una condizione fondamentale per lo sviluppo dei Paesi, ma nel mondo donne, uomini e bambini soffrono la mancanza di accesso ad acqua sana sufficiente a soddisfare i bisogni primari…”.

L’8 settembre viene enunciata la Dichiarazione del Millennio delle Nazioni unite.

2001

Nel dicembre del 2001 si tiene la Conferenza sull'acqua dolce di Bonn.

2002

Si tiene in Svezia lo Stockholm Water Symposia incentrato sulle azioni urgenti per la sicurezza dell'acqua, con l’obiettivo, contenuto nella Dichiarazione del Millennio, di dimezzare, entro il 2015, la percentuale della popolazione mondiale che vive in condizioni di estrema povertà e la percentuale di persone che soffrono la fame e che non sono in condizione di raggiungere o non possono permettersi di bere acqua potabile.

Nel febbraio 2002 si tiene il Social Forum Mondiale del 2002 a Porto Alegre al termine della quale viene adottata la Dichiarazione di Porto Alegre sull'acqua, sviluppata in 8 principi ed una Dichiarazione di intenti.

Tra i principi si ricordano:

§          il settore pubblico è l'affidatario, sotto il profilo giuridico e costituzionale, designato a rappresentare l'interesse pubblico, mentre il settore privato non può essere delegato a svolgere la funzione di pubblico interesse;

§          i cittadini devono farsi carico di partecipare ai processi decisionali e devono concorrere nelle decisioni politiche che incidono sulle loro vite come il controllo dell'acqua, sia a livello "locale", che a livello internazionale e mondiale;

§          le politiche di gestione e di accesso all'acqua devono assicurare l'equità sociale cosi come l'equità di genere, della salute pubblica e l'equità ambientale;

§          il "modello francese" di privatizzazione, basato su contratti di concessione a lungo termine, non è ritenuto una buona soluzione per garantire un controllo sostenibile e democratico ed una gestione di accesso all'acqua potabile nell'interesse pubblico della comunità e dei singoli cittadini.

2003

Dal 16 al 23 marzo 2003 si svolge a Kyoto il 3° Forum mondiale sull'acqua conclusosi con la Dichiarazione ministeriale nella quale viene ribadita, tra l’altro, la necessità, a livello internazionale, di attribuire carattere prioritario alle questioni relative alle risorse idriche.

Il 2003 è dichiarato dall'ONU Anno Internazionale dell'Acqua Dolce.

2006

Si volge a Città del Messico, dal 16 al 22 marzo[1], sotto l'egida del Consiglio mondiale dell'acqua, il 4° Forum mondiale sull'acqua che ha visto riuniti ministri e rappresentanti di 140 paesi con l’intento immediato di trovare soluzioni concrete alla crisi idrica mondiale e di avviare, nel futuro, un sensibile cambiamento della cultura dell’acqua quale “bene comune”. Nella Dichiarazioni ministeriale conclusiva[2] si sottolinea la necessità di riconoscere l’importante ruolo delle autorità locali nel sostenere un accesso  sostenibile all’acqua e nella gestione di tale risorsa.

Presso il Parlamento europeo si svolge, dal 18 al 20 marzo, la “1a Assemblea Mondiale dei cittadini per l'Acqua” (AMECE).

L’Assemblea riunisce i rappresentanti delle componenti della società civile che si sono maggiormente mobilitati per promuovere una nuova cultura dell’acqua come bene comune, come diritto umano da sottrarre ai processi di privatizzazione proposti dal mercato, con l’obiettivo di stabilire un collegamento tra cittadini e le istituzioni al fine di prendere degli impegni concreti per garantire un accesso all’acqua per tutti.[3]

2007

Le Nazioni Unite individuano il tema dell’annuale Giornata mondiale dell’acqua del 2007 nel seguente: “Coping with water scarcity” al fine di sottolineare il problema della scarsità delle risorse idriche a livello mondiale. Una consapevolezza che impone integrazione e cooperazione a livello internazionale perché la gestione dell’acqua sia sostenibile, efficiente ed equa.

2008

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 2008 “Anno Internazionale per i servizi igienico-sanitari”.

Nel corso dell’Expo “dell'acqua e lo sviluppo sostenibile” di Saragozza (giugno-settembre 2008), è stata adottata la cd. Carta di Saragozza, un documento che contiene una serie di raccomandazioni ai governi e agli organismi internazionali per garantire una gestione sostenibile della risorsa idrica.


La politica comunitaria in materia di acque

Il più significavo intervento normativo a livello comunitario in materia di acque è la direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque (modificata dalla Decisione n. 2455/2001/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 novembre 2001), recepita in Italia con il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Codice ambientale). La direttiva ha l’obiettivo di fissare un quadro comunitario per la protezione delle acque superficiali interne, delle acque di transizione, delle acque costiere e sotterranee, che assicuri la prevenzione e la riduzione dell'inquinamento, agevoli l'utilizzo idrico sostenibile, protegga l'ambiente, migliori le condizioni degli ecosistemi acquatici e mitighi gli effetti delle inondazioni e della siccità.

In occasione del 4° Forum mondiale sull'acqua, il Parlamento europeo ha approvato una specifica risoluzione (15 marzo 2006)[4] che parte dalla premessa che l’acqua è da considerarsi un "bene comune dell'umanità”, il cui accesso “costituisce un diritto fondamentale della persona umana” e chiede che siano esplicati tutti gli sforzi necessari a garantire l'accesso all'acqua alle popolazioni più povere entro il 2015.

La medesima risoluzione, dopo avere evidenziato che l’acqua dovrebbe essere un “servizio pubblico universale definito e gestito a livello locale”, sottolinea che proprio attorno a tali “servizi pubblici locali può svilupparsi una capacità comunale innovativa e democratica in materia di governance” e afferma che “il controllo dell'acqua e della sua qualità è indispensabile allo sviluppo sostenibile delle popolazioni più indigenti”. Sulla base di tali considerazioni, nella risoluzione si chiede “che le autorità locali dell'Unione europea siano incentivate a destinare una parte delle tariffe applicate agli utenti per la fornitura di servizi idrici e di depurazione ad azioni di cooperazione decentrate e che l'Unione si doti di strumenti che le permettano di sostenere e accompagnare tali azioni, in particolare a livello del coordinamento delle informazioni, della valorizzazione e della divulgazione dei risultati”.

Viene, infine, sottolineata l'importanza di una prevenzione tempestiva dei conflitti regionali latenti dovuti all'acqua, in particolare nelle regioni in cui diversi paesi condividono lo stesso bacino; chiede, a questo proposito, ulteriori sforzi da parte dell'UE e della comunità internazionale atti a migliorare il coordinamento regionale delle politiche in materia di acqua e a promuovere l'istituzione di enti regionali per la gestione delle risorse idriche.

Il 22 marzo 2007 la Commissione europea ha emanato la Comunicazione (COM[2007]128 def.) dal titolo "Verso una gestione sostenibile delle acque nell'Unione europea - Prima fase dell'attuazione della direttiva quadro sulle acque (2000/60/CE)", in cui ha presentato i risultati ottenuti dagli Stati membri nell'attuazione della direttiva quadro in materia di acque, sottolineando il forte rischio che diversi Stati membri non riescano a centrarne gli obiettivi, in particolare per il degrado fisico degli ecosistemi acquatici dovuto segnatamente allo sfruttamento eccessivo delle risorse idriche, e per il notevole livello di inquinamento da fonti diffuse. Nella medesima comunicazione la Commissione rileva, altresì, difficoltà a rispettare il termine di recepimento della direttiva quadro e carenze riguardo ai contenuti del recepimento. L'istituzione dei distretti idrografici e la designazione delle autorità nazionali competenti appaiono invece ben avviate, anche se in alcuni casi restano da compiere progressi sul fronte della cooperazione internazionale. La relazione segnala inoltre una grande variabilità nella qualità della valutazione ambientale ed economica dei bacini idrografici e notevoli lacune, in particolare per quanto attiene all'analisi economica. La Commissione rivolge infine agli Stati membri una serie di raccomandazioni, in particolare per porre rimedio alle carenze osservate, integrare la gestione sostenibile delle acque nelle altre politiche nazionali e valorizzare al massimo la partecipazione dei cittadini e annuncia gli interventi che intende effettuare nell'ambito della politica europea di gestione delle acque.


La gestione delle risorse idriche nel d.lgs. n. 152/2006

Il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (cd. codice ambientale), ha operato un intervento complesso di  riordino di quasi tutta la legislazione ambientale, tra cui anche quella relativa alla gestione delle risorse idriche. Tale materia - insieme alla difesa del suolo e alla tutela delle acque - è disciplinata nella Parte Terza del codice, che ha introdotto significative novità rispetto alla disciplina precedente.

In primo luogo è stata operata una unificazione di normative in precedenza strutturalmente separate, che vengono riaccorpate sulla base del comune denominatore di concorrere alla disciplina complessiva delle risorse idriche, sia sotto il profilo della tutela dagli inquinanti, sia sotto quello della gestione dei servizi acquedottistici, di depurazione e fognatura, sia infine sotto il profilo degli interventi di regimentazione.

Un secondo elemento di novità introdotto è stato il recepimento della citata direttiva 2000/60/CE (cd “direttiva acque”), e dalla conseguente riforma dell’assetto amministrativo (disegnato dalla legge n. 183 del 1989) sul governo dei bacini idrografici.

In attuazione di tale direttiva – che prevede l’innovativo istituto dei “distretti idrografici” – sono state infatti soppresse le vecchie autorità di bacino e sono stati istituiti otto distretti idrografici che coprono l’intero territorio nazionale. Ognuno di tali distretti accorpa pertanto una serie di bacini (tranne il distretto idrografico padano che corrisponde all’ex bacino di rilievo nazionale del Po, e il distretto idrografico pilota del Serchio, che corrisponde all’ex bacino-pilota omonimo[5]). I distretti sono governati secondo un modello amministrativo unico (delineato agli artt. 63 e 64 del decreto), che prevede in particolare la redazione del piano di bacino distrettuali che ha “valore di piano territoriale di settore ed è lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo ed alla corretta utilizzazione della acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato” (art. 65, comma 1).

Si ricorda tuttavia che con il primo decreto correttivo al codice ambientale (8 novembre 2006, n. 284) sono state prorogate le autorità di bacino istituite dalla legge n. 183 del 1989, sino alla data di entrata in vigore del decreto correttivo, che ai sensi dell’art. 1, comma 6, della legge delega, definisca la disciplina dei distretti idrografici[6].

Poiché nessun decreto correttivo successivo è intervenuto in materia e sono intanto scaduti i termini per l’emanazione di nuovi decreti correttivi, il Governo ha provveduto – con il decreto-legge n. 208/2008, attualmente in corso di conversione[7] - ha prorogare la vigenza delle esistenti autorità di bacino e a farne salvi gli atti posti in essere fino all’entrata in vigore del DPCM che – ai sensi dell’art. 63, comma 2, del Codice – dovrà definire i criteri e le modalità per l'attribuzione o il trasferimento di personale e di risorse patrimoniali e finanziarie alle nuove autorità distrettuali di bacino.

 

Si richiamano brevemente anche le disposizioni contenute nella Parte Terza in materia di risparmio idrico, alcune delle quali ricalcano sostanzialmente la precedente normativa recata dal D.lgs. 11 maggio 1999, n. 152 e dalla legge n. 36 del 1994.

Analogamente a quanto disponeva l’art. 22 del decreto legislativo n. 152 del 1999, le norme del Codice ambientale in materia di pianificazione del bilancio idrico (art. 95) prevedono la predisposizione dei piani di tutela al fine di raggiungere gli obiettivi di qualità attraverso una pianificazione delle utilizzazioni delle acque volta a evitare ripercussioni sulla loro qualità e a consentire un consumo idrico sostenibile.

I piani di tutela contengono tutte le misure volte ad assicurare l'equilibrio del bilancio idrico come definito dall'Autorità di bacino, nel rispetto delle priorità stabilite dalla legislazione vigente e tenendo conto dei fabbisogni, delle disponibilità, del minimo deflusso vitale, della capacità di ravvenamento della falda e delle destinazioni d'uso della risorsa compatibili con le relative caratteristiche qualitative e quantitative.

Per quanto riguarda poi le norme sull'equilibrio del bilancio idrico (art. 145) esse sono formalmente e sostanzialmente identiche a quelle contenute nella previgente normativa (art. 3 della legge n. 36 del 1994). Si prevede in particolare che l'Autorità di bacino definisca ed aggiorni periodicamente il bilancio idrico diretto ad assicurare l'equilibrio fra le disponibilità di risorse reperibili o attivabili nell'area di riferimento ed i fabbisogni per i diversi usi e che spetti alla medesima adottare, per quanto di competenza, le misure per la pianificazione dell'economia idrica in funzione degli usi cui sono destinate le risorse.

L’art. 146 innova invece la previgente disciplina in materia di risparmio idrico (art. 5 della legge n. 36 del 1994) attraverso la previsione di tre misure aggiuntive per la razionalizzazione dei consumi e l'eliminazione degli sprechi consistenti nella:

-        previsione, costruzione o sostituzione di nuovi impianti di trasporto e distribuzione dell'acqua sia interni che esterni nonché l'obbligo di utilizzo di sistemi anticorrosivi di protezione delle condotte di materiale metallico;

-        adozione di sistemi di irrigazione ad alta efficienza accompagnati da una loro corretta gestione e dalla sostituzione, ove opportuno, delle reti di canali a pelo libero con reti in pressione;

-        individuazione di aree di ricarica delle falde ed adozione di misure protettive e di gestione per garantire un processo di ricarica idoneo sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo.

Inoltre la competenza regolamentare per la definizione dei criteri e dei metodi idonei alla valutazione delle perdite degli acquedotti e delle fognature è trasferita dal Ministero dei lavori pubblici a quello dell'ambiente.

Si richiama, da ultimo, anche l’art. 144 (che riproduce, nella sostanza, le norme di cui agli articoli 1 e 2 della legge n. 36 del 1994), che dispone la demanialità di tutte le acque superficiali e sotterranee e la tutela delle stesse ispirata al principio della razionalizzazione del loro uso per evitare sprechi che pregiudichino il patrimonio idrico, nonché la vivibilità dell'ambiente considerato nell'interezza delle sue interconnessioni con le attività umane.

La gestione del servizio idrico integrato

Il servizio idrico integrato è costituito, ai sensi della definizione recata dall’art. 141, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (cd. codice ambientale), “dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue”[8].

La disciplina del servizio idrico integrato è contenuta negli articoli 147-158[9] del d.lgs. n. 152/2006, la cui struttura si basa in buona parte sulle disposizioni della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (cd. legge Galli), ora abrogata dall’art. 175 del medesimo decreto.

L’organizzazione del servizio

In base all’art. 147 l’organizzazione dei servizio idrici è basata sugli ambiti territoriali ottimali (d’ora in poi ATO) definiti dalle regioni in attuazione della legge Galli.

Si segnala in proposito che l’art. 2, comma 38, della legge n. 244/2007 (finanziaria 2008) prevede l’obbligo, per le regioni, nell’esercizio delle rispettive prerogative costituzionali in materia di organizzazione e gestione del servizio idrico integrato (nonché del servizio di gestione integrata dei rifiuti), fatte salve le competenze del Ministero dell’ambiente, in ottemperanza agli obblighi comunitari, di procedere entro il 1º luglio 2008, fatti salvi gli affidamenti e le convenzioni in essere, alla rideterminazione degli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei medesimi servizi[10].

Lo stesso articolo (al comma 2, come modificato dal d.lgs. n. 4/2008) fissa i seguenti importanti principi informatori della gestione del servizio:

a) unità del bacino idrografico o del sub-bacino o dei bacini idrografici contigui;

b) unitarietà della gestione e, comunque, superamento della frammentazione verticale delle gestioni;

c) adeguatezza delle dimensioni gestionali, definita sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici.

Un’importante innovazione introdotta dal codice ambientale è rappresentata dalla norma recata dall’art. 148, comma 1, che attribuisce personalità giuridica alle autorità d'ambito[11], costituite in ciascun ATO delimitato dalla competente regione, alle quali gli enti locali partecipano obbligatoriamente. Si segnala anche l’articolo 148, comma 5, che prevede la facoltatività dell’adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane, a condizione che gestiscano l'intero servizio idrico integrato, e previo consenso della Autorità d'ambito competente

Il successivo art. 149 prevede che entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della parte terza del decreto n. 152[12], l'Autorità d'ambito provveda alla predisposizione e/o aggiornamento del piano d'ambito, e disciplina i contenuti del medesimo. Tale piano rappresenta lo strumento programmatorio cardine dell'Autorità d'ambito, risultato di un'attività di ricognizione delle infrastrutture esistenti, della stesura di un programma degli interventi infrastrutturali necessari e di un piano finanziario connesso ad un modello gestionale ed organizzativo.

Le modalità di affidamento del servizio

Le principali disposizioni in materia di affidamento del servizio idrico integrato sono contenute nell’articolo 150 e nell’articolo 170 (in particolare, comma 3, lettera i), per quanto riguarda la disciplina transitoria) del d.lgs. n. 152/2006.

Per quanto riguarda il citato art. 150, le disposizioni in esso recate si muovono nell’alveo delimitato dall’art. 113 del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL).

L’art. 150 dispone infatti, al comma 1, che la scelta della forma di affidamento del servizio da parte dell’Autorità d’ambito (a discrezione della stessa, ma comunque nel rispetto del piano d'ambito e del principio di unitarietà della gestione per ciascun ambito) può essere effettuata nei limiti di una delle tre forme indicate dall’art. 113 (comma 5) del d.lgs. n. 267/2000 (testo unico degli enti locali, d’ora in poi TUEL). Tuttavia il successivo comma 3 reca due importanti limitazioni:

§         il ricorso all’affidamento in house può essere ammesso solo “qualora ricorrano obiettive ragioni tecniche od economiche”;

§         l’Autorità d’ambito può ricorrere all’affidamento a società a capitale misto con scelta del socio privato con gara (ipotesi sub lettera b) del comma 5 dell’art. 113) “purché il socio privato sia stato scelto, prima dell’affidamento, con gara da espletarsi con le modalità di cui al comma 2”.

 

Il comma 2 dell’articolo 150 prevede l’aggiudicazione, da parte dell'Autorità d'ambito, della gestione del servizio idrico integrato mediante gara disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie, in conformità ai criteri di cui all'articolo 113, comma 7, TUEL, secondo modalità e termini stabiliti con decreto del Ministro dell'ambiente, non ancora emanato[13].

 

La disciplina recata dal citato articolo 150 è stata recentemente interessata da due importanti interventi normativi. Dapprima tale disciplina è stata “sospesa” dall’art. 26-ter del DL n. 159/2007, successivamente l’art. 23-bis del DL n. 112/2008 ha riscritto la disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, prevedendo l’abrogazione del citato art. 113 TUEL.

La moratoria disposta dall’art. 26-ter del DL n. 159/2007

Il comma 1 dell’art. 26-ter del DL n. 159/2007 vieta nuovi affidamenti del servizio idrico integrato ai sensi del citato art. 150 fino al 1° dicembre 2008.

In realtà la norma prevede che tale termine (dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto n. 157[14]) funga come limite massimo del termine principale fissato dalla medesima norma e collegato all'emanazione (non avvenuta[15]) di disposizioni integrative e correttive del codice volte alla revisione della disciplina della gestione delle risorse idriche e dei servizi idrici integrati.

 

Il comma 2 dell’art. 26-ter estende l’applicazione della cd. moratoria anche alle procedure in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione, ma fa salve le concessioni già affidate

 

Si ricorda, inoltre, che il successivo comma 3 prevede la trasmissione alle Camere, da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, di una relazione sullo stato delle gestioni esistenti “circa il rispetto dei parametri di salvaguardia del patrimonio idrico e in particolare riguardo all’effettiva garanzia di controllo pubblico sulla misura delle tariffe, alla conservazione dell’equilibrio biologico, alla politica del risparmio idrico e dell’eliminazione delle dispersioni, alla priorità nel rinnovo delle risorse idriche e per il consumo umano”.

La nuova disciplina dei servizi pubblici locali recata dall’art. 23-bis del DL n. 112/2008

L’articolo 23-bis del DL n. 112/2008[16] disciplina organicamente il settore dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, con l'intendimento di sostituire la normativa precedente anche settoriale. L'articolo prevede il principio della gara ma regola anche le situazioni in deroga, che "non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato"; inoltre reca (al comma 10) un'ampia disposizione di delegificazione del settore.

In precedenza, la disciplina generale in materia di servizi pubblici locali era contenuta principalmente nell’articolo 113 TUEL[17]. Tale articolo viene abrogato dall’articolo in esame (comma 11).

In realtà viene prevista una formula di abrogazione esplicita innominata: “é abrogato nelle parti incompatibili con le disposizioni del presente articolo”, senza indicare espressamente le disposizioni dell’art. 113 da considerare sostituite dalla nuova disciplina. D’altra parte una diversa disposizione (comma 10, lettera m)) demanda al regolamento di delegificazione l’individuazione puntuale delle norme abrogate: non necessariamente solo (ma presumibilmente anche) quelle dell’art. 113.

Pertanto, la disciplina di cui all’art. 113 non può considerarsi del tutto sostituita da quella recata dall’articolo in esame e sarà necessario attendere l’adozione dei regolamenti delegificati per avere un quadro definitivo delle regole in materia di servizi pubblici locali.

 

L’articolo 23-bis disciplina, dunque, l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in applicazione della normativa comunitaria ed al fine di favorire la diffusione dei principi di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale (comma 1).

Finalità ulteriore è quella di garantire il diritto di tutti gli utenti all'universalità e accessibilità dei servizi pubblici locali e al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione.

Ai sensi dello stesso comma 1, le disposizioni dell’art. 23-bissi applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili.

Tale disposizione modifica profondamente l’assetto precedente contribuendo a chiarire il rapporto tra disciplina generale e norme di settore. Tuttavia la reale portata dell’estensione della nuova disciplina ai singoli settori è demandata al regolamento di attuazione che dovrà individuare le nuove norme che possono essere applicate ai servizi pubblici di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica, gas e acqua (comma 10, lett. d).

 

Per quanto riguarda la gestione dei servizi pubblici locali l’articolo in esame prevede due modalità di affidamento: una, ordinaria, mediante gara pubblica (comma 2), l’altra, in deroga, senza gara attraverso un conferimento diretto (commi 3 e 4).

Viene così semplificato il quadro definito dall’art. 113 (che in questa parte potrebbe considerarsi superato dalla nuova disciplina) che prevede invece tre tipologie di soggetto affidatario (comma 5):

-        società di capitali scelte con gara;

-        società miste pubblico - private, in cui il socio privato è scelto mediante gara;

-        società interamente pubbliche con modalità in house[18].

 

Il comma 5 prevede inoltre che, ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione possa essere affidata a soggetti privati.

Riguardo al profilo gestionale, l’articolo in esame sembra non interferire con la normativa previgente, in quanto non distingue tra gestione delle reti e erogazione del servizio limitandosi a stabilire il principio di non esclusione della gestione privata delle reti, già presente nell’art. 113. Sembrerebbe, dunque, che le disposizioni dell’art. 113 sopra citate non siano incompatibili con la nuova disciplina e che, pertanto, debbano rimanere in vigore.

Relativamente alla proprietà delle reti, invece, la norma in esame sembra introdurre un principio, quello dell’obbligo della proprietà pubblica delle reti, che innova la normativa previgente. Infatti, l’art. 113, al comma 2, si limita a vietare agli enti locali di cedere le proprietà delle reti e degli impianti, senza pregiudicare la possibilità da parte dei privati di possedere reti di distribuzione o di realizzarne di nuove. Tanto è vero che lo stesso art. 113 (comma 14) contempla espressamente tale ipotesi stabilendo che se le reti sono di proprietà di soggetti diversi dagli enti locali, essi possono esercitarne anche la gestione ad alcune precise condizioni.

 

Il comma 6 riguarda l'affidamento simultaneo di una pluralità di servizi pubblici locali (cd. attività multiutility) che viene consentito ad una duplice condizione:

§      che venga esperita una gara;

§      che possa essere dimostrato che tale scelta sia economicamente vantaggiosa.

La durata dell'affidamento simultaneo non può essere superiore alla durata media, calcolata sulla base della durata degli affidamenti indicata dalle discipline di settore.

 

Le Regioni e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, d'intesa con la Conferenza unificata, possono definire i bacini di gara per i diversi servizi (comma 7), a condizione del rispetto di una serie di parametri di natura funzionale. È anche previsto il rispetto della normativa settoriale che, ai sensi del comma 1, sembrerebbe doversi identificare in quella che eventualmente residui dal confronto con la prevalente disciplina dettata dall’art. 23-bis[19].

 

I commi 8 e 9, e la lettera e) del comma 10 delineano nel complesso un articolato sistema transitorio, che però non riguarda il servizio idrico.

Al servizio idrico è infatti dedicata una apposita disposizione recata dal comma 8. Per quanto concerne le concessioni relative al servizio idrico integrato rilasciate con procedure diverse dall'evidenza pubblica se ne dispone la cessazione al 31 dicembre 2010 ex iuree dunque senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante delle concessioni. Le concessioni dirette (quelle di cui al comma 3) sono invece escluse da detta cessazione e presumibilmente cesseranno alla scadenza contrattuale. Inoltre, non si fa alcun riferimento all’affidamento mediante gara.

 

Il comma 10 autorizza la delegificazione di una serie di ambiti inerenti l'attività di servizio pubblico locale, in house e non.

Gli emanandi regolamenti governativi dovranno perseguire le seguenti finalità:

a)    assoggettare gli affidatari diretti al patto di stabilità interno e le società in house e le società a partecipazione mista alle procedure ad evidenza pubblica per l’acquisto di beni e servizi e per l’assunzione di personale; si tratta in sostanza di tratti pubblicistici attribuiti a carico delle "meno private" tra le società di servizi;

b)    consentire ai comuni con minor popolazione residente di ricorrere a servizi pubblici locali in forma associata;

c)    distinguere "nettamente" tra funzioni di regolazione e funzioni di gestione dei servizi pubblici locali, anche attraverso la revisione della disciplina sulle incompatibilità;

d)    "armonizzare" la nuova disciplina e quella di settore applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando, come accennato, le norme applicabili in via generale per l'affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonché in materia di acqua;

e)    disciplinare per i settori diversi da quello idrico la fase transitoria (vedi sopra);

f)     applicare il principio di reciprocità ai fini dell'ammissione alle gare di imprese estere;

g)    limitare i casi di gestione in regime d'esclusiva dei servizi pubblici locali, liberalizzando le altre attività economiche di prestazione di servizi di interesse generale in ambito locale compatibili con le garanzie di universalità ed accessibilità del servizio pubblico locale;

h)    prevedere nella disciplina degli affidamenti idonee forme di ammortamento degli investimenti e una durata degli affidamenti strettamente proporzionale e mai superiore ai tempi di recupero degli investimenti;

i)     disciplinare, in ogni caso di subentro, la cessione dei beni, di proprietà del precedente gestore, necessari per la prosecuzione del servizio;

l)     prevedere adeguati strumenti di tutela non giurisdizionale anche con riguardo agli utenti dei servizi;

m)   individuare espressamente le norme abrogate ai sensi dell'articolo in esame.

 

Infine, in base al comma 12, sono fatte salve le procedure di affidamento già avviate al 22 agosto 2008 (entrata in vigore della legge di conversione del decreto).

La tariffazione

Per quanto riguarda le modalità di determinazione della tariffa, che costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato, l’art. 154 del d.lgs. n. 152/2006 richiama in buona parte i contenuti del previgente art. 13 della legge n. 36 del 1994 con alcune differenze, tra cui si segnalano le seguenti:

§         a carico della tariffa viene posta “una quota parte dei costi di funzionamento dell’Autorità d’ambito” (ma non ne vengono specificate né la misura, né i criteri di determinazione);

Tale previsione si aggiunge a quella che contempla, quali fattori per la determinazione della tariffa, la qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, le opere e gli adeguamenti necessari, l'entità dei costi di gestione delle opere, l'adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia.

§         cambiano le modalità di definizione delle componenti di costo della tariffa, che dovranno essere fissate (ma ancora non lo sono state) con decreto del Ministro dell’ambiente.

L’art. 170, comma 3, lettera l) del d.lgs. n. 152dispone che - in via transitoria - fino all’emanazione del citato decreto di cui al comma 2 dell’articolo 154 sulle tariffe del servizio idrico, continua ad applicarsi il D.M. 1 agosto 1996 recante criteri di definizione delle componenti di costo e la determinazione della tariffa di riferimento del servizio idrico integrato costituenti un "metodo normalizzato".

 

Si segnala, infine, che l’articolo 161 del d.lgs. n. 152 – che regola il funzionamento del Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche, istituito (d.lgs. 7 novembre 2006, n. 284) presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al fine di garantire il rispetto dei principi di efficienza, efficacia ed economicità nella gestione del servizio idrico integrato – ha stabilito, al comma 4, lettera l), che esso predisponga annualmente una relazione al Parlamento sullo stato dei servizi idrici e sull'attività svolta[20].

 


A.C. n. 2

Art. 1
(Finalità)

L’articolo in esame individua nelle seguenti le finalità del provvedimento:

 

§         dettare i princìpi con cui deve essere utilizzato, gestito e governato il patrimonio idrico nazionale;

In proposito viene richiamato l’art. 117, secondo comma, lettere m) ed s) della Costituzione, ai sensi delle quali lo Stato ha legislazione esclusiva nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale nonché relativamente alla tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.

 

§         favorire la definizione di un governo pubblico e partecipativo del ciclo integrato dell'acqua, in grado di garantirne un uso sostenibile e solidale.

 

 


Art. 2
(Princìpi generali)

L’articolo in esame detta i principi generali della materia:

 

Diritto all’acqua

Nel comma 1 viene disposto che la disponibilità e l'accesso individuale e collettivo all'acqua potabile sono garantiti in quanto diritti umani universali, inalienabili e inviolabili della persona.

 

Con riferimento al primo periodo, si segnala che più che l’acqua in sé, la disponibilità e l’accesso all’acqua costituiscono oggetto di un diritto umano universale.

 

Carattere pubblico della risorsa

Nel comma 2 viene sancito che tutte le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche e non mercificabili.

Si ricorda, in proposito, che l’art. 144, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006 dispone che “tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato”.

 

Criteri e priorità gestionali

Nei commi 2, 3 e 4 vengono indicati numerosi criteri che devono informare la gestione delle acque:

§         solidarietà;

§         salvaguardia delle aspettative e dei diritti delle generazioni future a fruire di un patrimonio ambientale integro;

§         risparmio e rinnovo delle risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell'ambiente, l'agricoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrogeologici;

§         priorità per l'alimentazione e per l'igiene umane rispetto agli altri usi del medesimo corpo idrico superficiale o sotterraneo;

§         ammissibilità degli altri usi dell'acqua solo quando la risorsa è sufficiente e a condizione che non ledano la qualità dell'acqua per il consumo umano;

Si fa notare che tali principi ripropongono quelli enucleati nei commi 2, 3 e 4 dell’art. 144 del d.lgs. n. 152/2006.

§         reciprocità e mutuo aiuto tra bacini idrografici con disparità di disponibilità della risorsa, al fine di garantire gli usi prioritari summenzionati;

§         priorità, tra tali “altri usi”, per l'agricoltura e per l'alimentazione animale;

Si fa notare che tale principio ripropone, almeno in parte, quello recato dall’art. 167, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006.

Tale comma prevede, infatti, che “nei periodi di siccità e comunque nei casi di scarsità di risorse idriche, durante i quali si procede alla regolazione delle derivazioni in atto, deve essere assicurata, dopo il consumo umano, la priorità dell'uso agricolo ivi compresa l'attività di acquacoltura di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 102”.

 

Il comma 5 dispone che tutti i prelievi di acqua devono essere misurati a mezzo di un contatore conforme alla normativa dell'Unione europea vigente in materia, fornito dall'autorità competente e installato a cura dell'utilizzatore secondo i criteri stabiliti dall'autorità stessa.

Si rammenta che l’art. 146 del d.lgs. n. 152/2006 impone alle regioni di provvedere, entro un anno dall’entrata in vigore del decreto, di adottare norme e misure volte a razionalizzare i consumi e eliminare gli sprechi ed in particolare, tra l’altro, ad “installare contatori per il consumo dell'acqua in ogni singola unità abitativa nonché contatori differenziati per le attività produttive e del settore terziario esercitate nel contesto urbano” (lettera f). Il successivo comma 2 prevede, inoltre, che g”il rilascio del permesso di costruire è subordinato alla previsione, nel progetto, dell'installazione di contatori per ogni singola unità abitativa”.

 

Alla luce di quanto esposto, si segnala la necessità di un coordinamento della disposizione in commento con la Parte Terza del codice ambientale, che reca principi in gran parte analoghi.


Art. 3
(Princìpi relativi alla tutela e alla pianificazione)

Il comma 1 dell’articolo in esame prevede la predisposizione, per ogni bacino idrografico, di un bilancio idrico entro due anni dall’entrata in vigore della presente legge.

Viene inoltre disposto che il bilancio idrico deve essere:

§         recepito negli atti e negli strumenti di pianificazione concernenti la gestione dell'acqua e del territorio;

§         aggiornato periodicamente.

Si ricorda che in base all’art. 95 del codice ambientale, “la tutela quantitativa della risorsa concorre al raggiungimento degli obiettivi di qualità attraverso una pianificazione delle utilizzazioni delle acque volta ad evitare ripercussioni sulla qualità delle stesse e a consentire un consumo idrico sostenibile” e che “nei piani di tutela sono adottate le misure volte ad assicurare l'equilibrio del bilancio idrico come definito dalle Autorità di bacino, nel rispetto delle priorità stabilite dalla normativa vigente e tenendo conto dei fabbisogni, delle disponibilità, del minimo deflusso vitale, della capacità di ravvenamento della falda e delle destinazioni d'uso della risorsa compatibili con le relative caratteristiche qualitative e quantitative”.

 

Il comma 2 dispone che, entro 6 mesi dall’entrata in vigore della presente legge, il Ministro dell'ambiente, sentita la Conferenza Stato-Regioni, provveda all’individuazione, con proprio decreto, dell'autorità responsabile per la redazione e per l'approvazione dei bilanci idrici di bacino e i relativi criteri per la loro redazione secondo i princìpi contenuti nella direttiva n. 2000/60/CE, al fine di assicurare:

          a) il diritto all'acqua;

          b) l'equilibrio tra prelievi e capacità naturale di ricostituzione del patrimonio idrico;

          c) la presenza di una quantità minima di acqua, in relazione anche alla naturale dinamica idrogeologica ed ecologica, necessaria a permettere il mantenimento di biocenosi autoctone e il raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale, per garantire la tutela e la funzionalità degli ecosistemi acquatici naturali.

 

Si ricorda che, in base all’art. 145 del codice ambientale, “l'Autorità di bacino competente definisce ed aggiorna periodicamente il bilancio idrico diretto ad assicurare l'equilibrio fra le disponibilità di risorse reperibili o attivabili nell'area di riferimento ed i fabbisogni per i diversi usi, nel rispetto dei criteri e degli obiettivi di cui all'articolo 144”; la disposizione aggiunge che “per assicurare l'equilibrio tra risorse e fabbisogni, l'Autorità di bacino competente adotta, per quanto di competenza, le misure per la pianificazione dell'economia idrica in funzione degli usi cui sono destinate le risorse”.

 

Il comma 3, al fine di favorire la partecipazione democratica, dispone che lo Stato e gli enti locali applicano nella redazione degli strumenti di pianificazione quanto previsto dall'articolo 14 della citata direttiva 2000/60/CE sull'informazione e la consultazione pubblica.

 

Si ricorda, in proposito, che l’art. 14 della cd. direttiva acque prevede, in particolare, che “gli Stati membri promuovono la partecipazione attiva di tutte le parti interessate all'attuazione della presente direttiva, in particolare all'elaborazione, al riesame e all'aggiornamento dei piani di gestione dei bacini idrografici. Gli Stati membri provvedono affinché, per ciascun distretto idrografico, siano pubblicati e resi disponibili per eventuali osservazioni del pubblico, inclusi gli utenti:

a) il calendario e il programma di lavoro per la presentazione del piano, inclusa una dichiarazione delle misure consultive che devono essere prese almeno tre anni prima dell'inizio del periodo cui il piano si riferisce;

b) una valutazione globale provvisoria dei problemi di gestione delle acque importanti, identificati nel bacino idrografico, almeno due anni prima dell'inizio del periodo cui si riferisce il piano;

c) copie del progetto del piano di gestione del bacino idrografico, almeno un anno prima dell'inizio del periodo cui il piano si riferisce”.

Il secondo paragrafo dispone che “per garantire l'attiva partecipazione e la consultazione, gli Stati membri concedono un periodo minimo di sei mesi per la presentazione di osservazioni scritte sui documenti in questione”.

Il contenuto di tali disposizioni è stato recepito fedelmente dall’art. 66, comma 7, del d.lgs. n. 152/2006.

Si osserva che il comma in esame si limita a confermare una disposizione già contenuta nella normativa vigente (art. 66, comma 7, del codice ambientale).

 

I commi da 4 a 7 disciplinano le modalità per il rilascio o il rinnovo di concessioni di prelievo di acque.

 

Il comma 4 prevede i seguenti vincoli per il rilascio o il rinnovo delle concessioni:

§         rispetto delle priorità stabilite all'articolo 2, commi 3 e 4;

§         definizione del bilancio idrico di bacino, corredato da una pianificazione delle destinazioni d'uso delle risorse idriche.

 

Il comma 5 dispone che, fatti salvi i prelievi destinati al consumo umano per il soddisfacimento del diritto all'acqua, il rilascio o il rinnovo di concessioni di prelievo di acque devono considerare il principio del recupero dei costi relativi ai servizi idrici, compresi i costi ambientali e relativi alle risorse, in conformità al principio «chi inquina paga», previsto dall'articolo 9 della citata direttiva 2000/60/CE, fermo restando quanto stabilito all'articolo 8 della presente legge. (che detta norme generali sul finanziamento del servizio idrico integrato). La disposizione prevede inoltre la possibilità per gli enti preposti alla pianificazione di limitare comunque il rilascio o il rinnovo delle concessioni di prelievo dell'acqua anche in presenza di remunerazione dell'intero costo qualora sussistano esigenze ambientali o sociali.

 

Si ricorda, in proposito, che l’art. 119 del d.lgs. n. 152/2006 detta le disposizioni attuative dell’art. 9 della direttiva.

L’art. 119 citato, infatti, dispone, al comma 1, che “le Autorità competenti tengono conto del principio del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi quelli ambientali e relativi alla risorsa, prendendo in considerazione l'analisi economica effettuata in base all'Allegato 10 alla parte terza del presente decreto e, in particolare, secondo il principio «chi inquina paga»".

Al comma 2 poi viene previsto che “entro il 2010 le Autorità competenti provvedono ad attuare politiche dei prezzi dell'acqua idonee ad incentivare adeguatamente gli utenti a usare le risorse idriche in modo efficiente ed a contribuire al raggiungimento ed al mantenimento degli obiettivi di qualità ambientali di cui alla direttiva 2000/60/CE nonché di cui agli articoli 76 e seguenti del presente decreto, anche mediante un adeguato contributo al recupero dei costi dei servizi idrici a carico dei vari settori di impiego dell'acqua, suddivisi almeno in industria, famiglie e agricoltura. Al riguardo dovranno comunque essere tenute in conto le ripercussioni sociali, ambientali ed economiche del recupero dei suddetti costi, nonché delle condizioni geografiche e climatiche della regione o delle regioni in questione. In particolare:

a) i canoni di concessione per le derivazioni delle acque pubbliche tengono conto dei costi ambientali e dei costi della risorsa connessi all'utilizzo dell’acqua; […]”.

Il comma 6 prevede che, in assenza di quanto previsto dai commi 1, 2, 3 e 4, non possono essere rilasciate nuove concessioni e quelle esistenti devono essere sottoposte a revisione annuale.

 

Si osserva che appare poco chiara la formulazione “in assenza di quanto previsto dai commi 1, 2, 3 e 4”, che probabilmente si riferisce al mancato adempimento dei compiti che i commi 1, 2, 3 e 4 pongono in capo a vari soggetti.

 

Il comma 7 prevede che le acque che, per le loro caratteristiche qualitative, sono definite «destinabili all'uso umano», non devono di norma essere utilizzate per usi diversi.

La destinazione ad usi diversi viene consentita solo se non siano presenti altre risorse idriche, nel qual caso l'ammontare del relativo canone di concessione è decuplicato.

 

Si ricorda, in proposito, che parte delle disposizioni citate riproducono quanto disposto dall’art. 12-bis del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, come sostituito dall’art. 96 del d.lgs. n. 152/2006.

Il testo vigente del citato art. 12-bis prevede, infatti, al comma 1, che “il provvedimento di concessione è rilasciato se:

a) non pregiudica il mantenimento o il raggiungimento degli obiettivi di qualità definiti per il corso d'acqua interessato;

b) è garantito il minimo deflusso vitale e l'equilibrio del bilancio idrico;

c) non sussistono possibilità di riutilizzo di acque reflue depurate o provenienti dalla raccolta di acque piovane ovvero, pur sussistendo tali possibilità, il riutilizzo non risulta sostenibile sotto il profilo economico”.

Il comma 2 dispone che “i volumi di acqua concessi sono altresì commisurati alle possibilità di risparmio, riutilizzo o riciclo delle risorse. Il disciplinare di concessione deve fissare, ove tecnicamente possibile, la quantità e le caratteristiche qualitative dell'acqua restituita. Analogamente, nei casi di prelievo da falda deve essere garantito l'equilibrio tra il prelievo e la capacità di ricarica dell'acquifero, anche al fine di evitare pericoli di intrusione di acque salate o inquinate, e quant'altro sia utile in funzione del controllo del miglior regime delle acque”.

Ai sensi del successivo comma 3, “l'utilizzo di risorse prelevate da sorgenti o falde, o comunque riservate al consumo umano, può essere assentito per usi diversi da quello potabile se:

a) viene garantita la condizione di equilibrio del bilancio idrico per ogni singolo fabbisogno;

b) non sussistono possibilità di riutilizzo di acque reflue depurate o provenienti dalla raccolta di acque piovane, oppure, dove sussistano tali possibilità, il riutilizzo non risulta sostenibile sotto il profilo economico;

c) sussiste adeguata disponibilità delle risorse predette e vi è una accertata carenza qualitativa e quantitativa di fonti alternative di approvvigionamento.

Il comma 4, infine, prevede che, “nei casi di cui al comma 3, il canone di utenza per uso diverso da quello potabile è triplicato. Sono escluse le concessioni ad uso idroelettrico i cui impianti sono posti in serie con gli impianti di acquedotto".

 

Il comma 8 dispone che devono essere garantiti la conservazione o il raggiungimento, per tutti i corpi idrici, di uno stato di qualità vicino a quello naturale entro l'anno 2015, ai sensi di quanto previsto dalla direttiva 2000/60/CE attraverso:

          a) il controllo e la regolazione degli scarichi idrici;

          b) l'uso corretto e razionale delle acque;

          c) l'uso corretto e razionale del territorio.

Le disposizioni sugli obiettivi di qualità ambientale e per specifica destinazione delle acque sono contenuti, nella legislazione vigente, negli artt. 76 e segg. Del d.lgs. n. 152/2006.

Si osserva che occorre chiarire che cosa la disposizione intende per stato di qualità vicino a quello naturale, posto che la classificazione dello stato ecologico dei corpi idrici contenuta nell’Allegato 5 alla direttiva cd. acque (corrispondente all’Allegato 2 alla Parte Terza del codice ambientale) fa riferimento allo stato elevato, buono e sufficiente (e definisce lo stato buono con riferimento alle acque sotterranee).

 

Il comma 9 prevede la revocabilità, da parte dell’autorità competente, delle concessioni al prelievo e delle autorizzazioni allo scarico per gli usi differenti da quello potabile, anche prima della loro scadenza amministrativa, se è verificata l'esistenza di gravi problemi qualitativi e quantitativi al corpo idrico interessato.

In tali casi la norma prevede che la revoca avvenga senza risarcimenti di alcun genere, salvo il rimborso degli oneri per il canone di concessione delle acque non prelevate.

 

Una disposizione analoga sembra rinvenirsi all’art. 95, comma 4, del d.lgs. n. 152/2006, in base al quale “tutte le derivazioni di acqua comunque in atto alla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto sono regolate dall'Autorità concedente mediante la previsione di rilasci volti a garantire il minimo deflusso vitale nei corpi idrici, come definito secondo i criteri adottati dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio con apposito decreto, previa intesa con la Conferenza Stato-regioni, senza che ciò possa dar luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione, fatta salva la relativa riduzione del canone demaniale di concessione”.

 

Il comma 10 richiede l’aggiornamento dei piani d'ambito di cui all'art. 149 del d.lgs. n. 152/2006, per consentirne l’adeguamento ai princìpi della presente legge e alle indicazioni degli specifici strumenti pianificatori di cui al presente articolo.

Si tratta di un adempimento già previsto dall’art. 149 del d.lgs. n. 152/2006 per tener conto delle novità introdotte dal codice ambientale, e che troverebbe il suo fondamento nelle ulteriori innovazioni contemplate dal provvedimento in esame.

 

Il comma 11 vieta il rilascio -  dalla data di entrata in vigore della presente legge – di concessioni per uso potabile (per sfruttamento, imbottigliamento o utilizzazione di sorgenti, fonti, acque minerali o corpi idrici idonei all'uso potabile) in contrasto con quanto previsto nel presente articolo. La disposizione si limita a ulteriormente rafforzare i vincoli al rilascio di concessioni previsti dall’articolo in commento.


Art. 4
(Princìpi relativi alla gestione del servizio idrico)

La disposizione qualifica il servizio idrico integrato quale servizio pubblico locale privo di rilevanza economica, in considerazione dell'esigenza di tutelare il pubblico interesse allo svolgimento di un servizio essenziale, con situazione di monopolio naturale definita ai sensi dell'articolo 43 della Costituzione

 

Si ricorda che l’articolo 113-bis del TUEL, introdotto dall’articolo 35 della legge n. 448 del 2001, modificato dall’articolo 14, comma 2, del d.l. n. 269 del 2006, disciplinava la gestione dei servizi pubblici privi di rilevanza economica. In particolare, la disposizione, al comma 1, prevedeva l’affidamento diretto a: a) istituzioni, b) aziende speciali, anche consortili; c) società a capitale interamente pubblico a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitassero sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzasse la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano. Al comma 2, la medesima disposizione consentiva possibilità della gestione in economia quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio, non fosse opportuno procedere ad affidamento ai soggetti di cui al comma 1.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 272 del 2004, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione, in quanto, premesso che la Corte giudica necessario l’intervento del legislatore statale nel settore dei servizi pubblici locali unicamente allo scopo della tutela della concorrenza e che per tutti gli altri aspetti esso spetti alle autonomie locali, ai servizi privi di rilevanza economica di per sé non sono applicabili criteri concorrenziali sicché manca un titolo di legittimazione per gli interventi del legislatore statale.

 

In conseguenza di tale qualificazione, il successivo comma 2 esclude l’applicazione del principio della libera concorrenza rispetto alla gestione del servizio idrico integrato, che quindi è realizzata senza finalità lucrative, persegue finalità di carattere sociale e ambientale, ed è finanziata attraverso meccanismi di fiscalità generale e specifica nonché mediante meccanismi tariffari.

 

Il successivo comma 3 vincola espressamente il Governo al rispetto delle disposizioni indicate ai fini della sottoscrizione e ratifica di qualsiasi trattato o accordo internazionale in materia.

In proposito, si segnala che occorre valutare la portata normativa della disposizione, posto che essa, oltre a costituire un impegno per la futura attività del Governo, appare suscettibile di condizionare anche la partecipazione a processi internazionali in corso, con particolare riferimento a quelli avviati a seguito dell’Uruguay Round del GATT, tra i quali figura il GATS (accordo generale sul commercio dei servizi), pur non esistendo allo stato uno specifico GATS sui servizi idrici.


Art. 5
(Governo pubblico del ciclo integrato dell'acqua)

Il comma 1 della disposizione ribadisce che la gestione delle acque avviene mediante servizio idrico integrato, come definito dalla parte terza del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni. Le finalità di tale previsione sono individuate nella salvaguardia dell'unitarietà e della qualità del servizio.

 

La definizione di servizio idrico integrato è contenuta nell’art. 141, comma 2, del codice ambientale, secondo cui tale servizio è costituito “dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue”. L’articolo 150 del medesimo codice ambientale, relativo alla scelta della forma di gestione e alle procedure di affidamento, reca il principio dell’unitarietà della gestione del servizio idrico integrato.

 

Con riferimento alle infrastrutture e dotazioni patrimoniali afferenti a tale servizio (tra cui gli acquedotti, le fognature e gli impianti di depurazione), essi – in quanto capitale tecnico necessario e indispensabile per lo svolgimento di un pubblico servizio – vengono attribuiti alla proprietà degli enti locali, i quali non possono cederla

Tali beni vengono assoggettati al regime proprio del demanio pubblico ai sensi dell'articolo 822 del codice civile e ad essi si applica la disposizione dell'articolo 824 del medesimo codice. Essi, pertanto, sono inalienabili e gravati dal vincolo perpetuo di destinazione a uso pubblico.

 

Si segnala che l’articolo 143 del codice ambientale prevede che gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica, fino al punto di consegna e/o misurazione, fanno parte del demanio ai sensi degli articoli 822 e seguenti del codice civile e sono inalienabili se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge. La medesima disposizione attribuisce all'Autorità d'ambito la tutela dei beni di cui al comma 1, ai sensi dell'articolo 823, secondo comma, del codice civile.

Si ricorda che l’articolo 822 c.c. individua i beni di proprietà dello Stato appartenenti al demanio pubblico. Tradizionalmente si distingue tra il demanio necessario (articolo 822, primo comma), costituito da beni immobili di proprietà dello Stato ed eccezionalmente delle regioni (porti lacuali) che data la loro natura, non possono che essere demaniali, e il demanio accidentale (articolo 822, secondo comma) che, invece, comprende beni immobili e universalità di mobili che non sono naturalmente di proprietà di enti pubblici territoriali e che acquisiscono carattere demaniale solo nel caso in cui diventino di proprietà di questi ultimi. Tra i beni del demanio accidentale, la disposizione fa riferimento agli acquedotti.

L’articolo 824 assoggetta al regime del demanio pubblico i beni della specie di quelli indicati dal secondo comma dell’articolo 822 che appartengono a province o comuni.

La condizione giuridica dei beni demaniali è disciplinata dall’articolo 823 c.c., e può essere riassunta nelle seguenti caratteristiche:

inalienabilità;

impossibilità di formare oggetto di diritti a favore di terzi (se non nei limiti e nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano);

possibilità per l’autorità di procedere a tutela dei beni demaniali sia in via amministrativa sia avvalendosi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso.

Si ricorda che, in base all’articolo 4 del T.U. in materia di espropriazione (D.P.R. n. 327 del 2001), tali beni non sono suscettibili di espropriazione fino a quando non ne viene pronunciata la sdemanializzazione.

Con riferimento ai servizi pubblici locali di rilevanza economica, si ricorda che l’articolo 113, comma 2, TUEL, esclude la cessione da parte degli enti locali della proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni destinati all'esercizio dei servizi pubblici di cui al comma 1, salvo il conferimento della medesima a società a capitale interamente pubblico, che è incedibile.

 

La previsione di un vincolo perpetuo di destinazione ad uso pubblico porta a ritenere che i beni indicati non possono perdere il carattere della demanialità sicché non è possibile una procedura di “sdemanializzazione” da parte dell’amministrazione locale.

 

Secondo la giurisprudenza, la “sdemanializzazione” può essere espressa, risultando da un formale provvedimento di cessazione della demanialità, o tacita, in presenza di atti e/o fatti che mostrano in maniera del tutto inequivocabile la volontà dell’amministrazione di sottrarre il bene alla destinazione all’uso pubblico e di rinunciare definitivamente al suo ripristino. Tale volontà non si può desumere dalla pura e semplice circostanza che il bene non sia più adibito, anche per lungo tempo, all’uso pubblico (cfr. Cons. Stato, 7 febbraio 2000, n. 725).

 

Si ricorda, peraltro, che l’art. 23-bis del DL n. 112 del 2008, che detta una nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, prevede che, ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione può essere affidata a soggetti privati (vedi supra).

 

Si segnala che la specificazione contenuta nel primo periodo del comma 2 secondo cui gli enti locali non possono cedere la proprietà delle infrastrutture afferenti il servizio idrico integrato appare ultronea, posto che essa è già compresa nel vincolo di inalienabilità disposto dal secondo periodo, oltre che in termini generali dalla condizione giuridica del demanio pubblico, cui tali beni sono assoggettati.

 

Il comma 3 della disposizione afferma il principio della non separabilità della gestione e dell’erogazione del servizio idrico integrato e dell’affidamento esclusivamente a enti di diritto pubblico.

 

Con riferimento ai servizi pubblici locali di rilevanza economica, si ricorda che l’articolo 113, comma 3, TUEL, rinvia alle discipline di settore per la definizione dei casi nei quali l'attività di gestione delle reti e degli impianti destinati alla produzione dei servizi possa essere separata da quella di erogazione degli stessi. La medesima disposizione contiene anche l’espressa garanzia dell'accesso alle reti a tutti i soggetti legittimati all'erogazione dei relativi servizi.

 

Con riferimento al comma 3, si segnala che andrebbe meglio precisata la formulazione della norma, specificando che la gestione si riferisce alla gestione delle infrastrutture e dotazioni patrimoniali afferenti al servizio idrico integrato di cui al comma 2 .

Anche tale norma, inoltre, dovrebbe essere valutata alla luce della nuova disciplina recata dall’art. 23-bis del DL n. 112 del 2008.

 

Si segnala infine l’opportunità di una più chiara individuazione dei soggetti cui può essere affidata la gestione delle reti e l’erogazione del servizio idrico, attualmente identificati con gli “enti di diritto pubblico”.

 

Può essere in proposito opportuno un breve cenno alle figure, di derivazione comunitaria, dell’organo in house e dell’organismo di diritto pubblico.

Il già citato articolo 113 del TUEL tra le varie modalità di affidamento del servizio pubblico locale, consente il cd. affidamento in house, ovvero a società a capitale interamente pubblico, a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano.

 

La normativa in materia di appalti contempla invece la figura dell’organismo di diritto pubblico (articolo 3, comma 1, n. 26), al fine di estendere le regole sugli appalti pubblici a soggetti che, pur non essendo pubbliche amministrazioni, a causa della forte caratterizzazione in senso pubblicistico possono operare con criteri suscettibili di pregiudicare il pieno esplicarsi della libertà di concorrenza. Per la ricorrenza di tale figura la disposizione richiede la ricorrenza prevede le seguenti condizioni:

- che l’organismo sia istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale;

- che sia dotato di personalità giuridica;

- che la sua attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico.

Un elenco, ancorché non tassativo, degli organismi e delle categorie di organismi di diritto pubblico operanti nei settori regolamentati del codice è contenuto nell’Allegato III del codice stesso. In tale elenco sono compresi alcuni specifici organismi (la Società «Stretto di Messina», l’ Ente autonomo mostra d'oltremare e del lavoro italiano nel mondo, l’Ente nazionale per l'aviazione civile – ENAC, l’Ente nazionale per l'assistenza al volo – ENAV e l’ANAS S.p.A) ed alcune categorie di soggetti di carattere pubblico. Si tratta, in particolare, di:

Enti portuali e aeroportuali,

Consorzi per le opere idrauliche,

Università statali, gli istituti universitari statali, i consorzi per i lavori interessanti le università,

Istituzioni pubbliche di assistenza e di beneficenza,

Istituti superiori scientifici e culturali, osservatori astronomici, astrofisici, geofisici o vulcanologici,

Enti di ricerca e sperimentazione,

Enti che gestiscono forme obbligatorie di previdenza e di assistenza,

Consorzi di bonifica,

Enti di sviluppo e di irrigazione,

Consorzi per le aree industriali,

Comunità montane,

Enti preposti a servizi di pubblico interesse,

Enti pubblici preposti ad attività di spettacolo, sportive, turistiche e del tempo libero,

Enti culturali e di promozione artistica.

L’influenza pubblica che caratterizza l’organo in house è più marcata rispetto all’organismo di diritto pubblico, posto che, secondo la giurisprudenza comunitaria, il concetto di controllo analogo presuppone la partecipazione totalitaria pubblica e che si caratterizza per la destinazione della parte più importante della propria attività all’ente pubblico. Per contro, la nozione di organismo di diritto pubblico richiede il requisito della personalità giuridica, costantemente interpretata come soggettività giuridica distinta dalla P.A.

Più in generale, si osserva che l'ordinamento giuridico non fornisce una definizione espressa di ente pubblico. in quanto i diversi organismi esistenti non sono riconducibili ad un unico modello. Sono state quindi tentate in dottrina varie classificazioni, fondate su criteri diversi (attività svolta, dipendenza dallo Stato, rapporto con i gruppi interessati e tipo di collegamento con il territorio, struttura organizzativa, etc.). Una catalogazione possibile può fondarsi sulla disciplina giuridica applicabile alla categoria individuata; sulla base di questo criterio è stata proposta dalla dottrina una tipologia degli enti pubblici così articolata:

-    enti pubblici territoriali (regioni, province, comuni, aree metropolitane, comunità montane; sono così definiti in quanto il territorio è da considerarsi l'elemento costitutivo e rappresentano gli interessi della popolazione presente sul territorio);

-    enti parastatali (disciplinati dalla L. n. 70 del 1975);

-    enti pubblici economici (operanti nel campo della produzione, degli scambi e dei servizi come imprenditori, ma legati all'ente di riferimento, che può essere lo Stato o gli altri enti pubblici territoriali. Essi sono soggetti ad una disciplina giuridica che ha profili privatistici e pubblicistici insieme);

-    altri enti (categoria residuale per la quale non vi è una disciplina comune tranne che per alcuni aspetti essenziali: agiscono con atti amministrativi; il rapporto di lavoro dipendente è di pubblico impiego; sono soggetti, se sovvenzionati dallo Stato, al controllo della Corte dei conti.


 

Art. 6
(Ripubblicizzazione della gestione del servizio idrico integrato. Decadenza delle forme di gestione. Fase transitoria)

In conseguenza delle nuove regole sulla gestione del servizio idrico, il comma 1 della disposizione in commento esclude la possibilità di acquisire quote azionarie di società di gestione del servizio idrico integrato.

 

Si ricorda, in proposito, che l’articolo 26-ter del DL n. 159/2007 prevede, al fine di assicurare la razionalizzazione e la solidarietà nell'uso delle acque, che non possono essere disposti nuovi affidamenti a soggetti privati (comma 1).

In base al comma 2, tali disposizioni trovano applicazione anche rispetto alle procedure in corso alla data di entrata in vigore della legge; il successivo comma 3 prevede poi la trasmissione alle Camere, da parte del Governo, di una relazione sullo stato delle gestioni esistenti (comma 3).

 

I commi successivi precisano le conseguenze dei nuovi criteri per l’affidamento del servizio rispetto alle gestioni esistenti, in relazione alle diverse modalità di gestione del servizio (sulle quali cfr. il quadro introduttivo).

 

Il comma 2 prevede la decadenza di tutte le forme di gestione del servizio idrico affidate in concessione a terzi in essere alla data di entrata in vigore del provvedimento, che non siano già decadute per contratto. La disposizione sembrerebbe fare riferimento al caso di affidamento del servizio ai sensi dell’articolo 150, comma 2, del codice ambientale ovvero al caso di aggiudicazione, da parte dell'Autorità d'ambito, della gestione del servizio idrico integrato mediante gara disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie, in conformità ai criteri di cui all'articolo 113, comma 7, TUEL.

 

Occorre modificare la formulazione della norma, al fine di meglio chiarire a quali forme di gestione del servizio idrico essa si riferisce.

Sembrerebbe inoltre opportuno precisare meglio le modalità di cessazione dei rapporti di concessione attualmente in essere, per i quali la proposta in esame fa riferimento alla categoria giuridica della “decadenza”. Al riguardo, si segnala che il termine decadenza è utilizzato nell’ambito del diritto amministrativo con riferimento a fattispecie piuttosto eterogenee (mancato esercizio delle facoltà inerenti ad un rapporto derivante da un provvedimento amministrativo, inadempimento da parte del privato di obblighi o oneri inerenti ad un rapporto a carattere continuativo con la P.A. ovvero sopravvenuto venir meno dei presupposti necessari alla regolarità del rapporto). In proposito potrebbe rilevare la disciplina prevista dalla legge sul procedimento amministrativo (L. 241/1990) con riferimento alla revoca del provvedimento.

 

L’art. 21-quinquies della L. 241, aggiunto dall'art. 14 della L. 15/2005 e da ultimo modificato a seguito della conversione in legge del D.L. 7/2007, prevede al riguardo che per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, un provvedimento amministrativo ad efficacia durevole possa essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge.

Quanto agli effetti della revoca, essa determina l’inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo e la competenza sulle controversie in materia di determinazione e corresponsione di tale 'indennizzo è attribuita alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Con riferimento alla quantificazione dell’indennizzo, la disposizione precisa altresì che, qualora la revoca incida su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati sia parametrato esclusivamente al danno emergente (e non, quindi, all’eventuale lucro cessante) e tenga conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico.

 

Il comma 3 reca invece la norma transitoria relativa alle forme di gestione del servizio idrico in essere affidate a società a capitale misto pubblico-privato.

 

Si ricorda che, in base all’articolo 150, comma 3, del codice ambientale è possibile il ricorso a società solo parzialmente partecipate da comuni o da altri enti locali compresi nell’ambito territoriale ottimale, secondo la previsione del comma 5, lettera b), dell'articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, purché il socio privato sia stato scelto, prima dell'affidamento, con gara da espletarsi con le modalità di cui al comma 2. L’articolo 113, comma 5, lett. b) prevede l’affidamento del servizio pubblico locale a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche.

 

In tal caso, si prevede l’avvio del processo di trasformazione in società a capitale interamente pubblico, previo recesso del settore acqua e scorporo del ramo d'azienda relativo, in caso di gestione di una pluralità di servizi. Tale processo deve essere completato entro due anni dalla data di entrata in vigore del provvedimento.

 

La disposizione presenta una formulazione alquanto ambigua, posto che, facendo generico riferimento alle forme di gestione del servizio idrico, non è chiaro qual è il soggetto tenuto alla trasformazione in società a capitale interamente pubblico. Inoltre, con riferimento al caso di gestione di una pluralità di servizi, occorre chiarire il significato dell’espressione “previo recesso del settore acqua”.

 

Il comma 4 definisce nei seguenti gli obblighi cui soggiacciono le società risultanti dal processo di trasformazione:

a) divieto di cessione di quote di capitale a qualsiasi titolo;

b) esercizio della propria attività in via esclusiva nel servizio affidato;

c) obbligo di sottostare a controllo da parte degli enti affidanti analogo a quello dagli stessi esercitato sui servizi a gestione diretta;

d) obbligo di trasformazione in enti di diritto pubblico entro tre anni dalla data di costituzione.

 

Anche in relazione alla disposizione in esame appare necessario precisare la nozione di “ente di diritto pubblico” (v. supra  il  commento all’art. 5).

 

Un obbligo di contenuto analogo a quello previsto dalla lettera d) è contemplato dal comma 5, che con riferimento alle forme di gestione del servizio idrico affidate a società a capitale interamente pubblico, prevede il completamento del processo di trasformazione in enti di diritto pubblico entro un anno dalla data di entrata in vigore del provvedimento, prorogabile fino a un massimo di sette anni con riferimento alle società che rispettino le condizioni vincolanti di cui al precedente comma 4, lett. a), b) e c) (comma 6)

 

Anche tale ultima disposizione presenta una formulazione alquanto ambigua, posto che, facendo generico riferimento alle forme di gestione del servizio idrico, non è chiaro qual è il soggetto tenuto alla trasformazione in società a capitale interamente pubblico.

 

Il comma 7 prevede l’esercizio di poteri sostitutivi da parte del Governo, nel caso di mancata osservanza delle prescrizioni contenute nella disposizione in commento.

Al riguardo si segnala l’opportunità di precisare quale sia la disciplina prevista per il potere sostitutivo del Governo, posto che la disposizione si limita a fare riferimento ai poteri “previsti dalla legge”. In questa ottica dovrebbe altresì valutarsi se l’intervento rientri nell’ambito di una delle fattispecie rispetto alle quali l’articolo 120, secondo comma, della Costituzione consente l’esercizio di poteri sostitutivi da parte del Governo.

 

In proposito si ricorda che il secondo comma dell’art. 120, come sostituito dall’art. 6 della legge di riforma del Titolo V della Costituzione, disciplina l’esercizio da parte dello Stato di poteri sostitutivi rispetto agli organi delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni.

Tali poteri sono attivabili quando si riscontri che tali enti non abbiano adempiuto a norme e trattati internazionali o alla normativa comunitaria oppure vi sia pericolo grave per la sicurezza e l’incolumità pubblica, ovvero lo richieda la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.

La disposizione costituzionale demanda ad una successiva legge statale di attuazione il compito di disciplinare l’esercizio dei poteri sostituitivi nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione.

L’articolo 8 della L. 131/2003 , nel dettare le norme attuative dell’articolo 120, comma secondo, della Costituzione, ha in primo luogo delineato (comma 1) un meccanismo che ruota attorno alla fissazione di un congruo termine per l’adozione da parte dell’ente degli “atti dovuti o necessari”.

La fissazione del termine e la previsione, dopo il suo inutile decorso, dell’intervento sostitutivo del Governo viene a configurare un’ipotesi di inadempienza avente ad oggetto atti che, in quanto “dovuti” dovrebbero trovare un proprio fondamento in una disposizione di legge o comunque normativa.

Viene individuata una procedura che può essere qualificata come “generale” (comma 1), sul cui tronco si innestano, poi, le procedure “settoriali” previste dai successivi commi per le specifiche ipotesi ivi indicate.

Alla fissazione del “congruo termine” per l’adozione degli atti “dovuti o necessari” provvede il Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali. Decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei Ministri, sentito l’organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio, esercita il potere sostitutivo, che può esprimersi adottando direttamente i “provvedimenti necessari, anche normativi”, ovvero nominando un apposito Commissario . Alla riunione del Consiglio dei Ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale della Regione interessata al provvedimento.

Il successivo articolo 10 della L. 131/2003 affida l’esecuzione di provvedimenti costituenti esercizio del potere sostitutivo direttamente adottati dal Consiglio dei ministri al Rappresentante dello Stato, ossia al prefetto titolare dell’Ufficio territoriale del Governo del capoluogo di Regione, cui sono trasferite le funzioni del Commissario del Governo compatibili con la riforma costituzionale.

Il comma 1 dell’articolo 8, facendo espresso riferimento a provvedimenti “anche normativi”, prefigura la possibile adozione, da parte del Governo, di atti di natura regolamentare, nonché di natura legislativa.

Per quanto riguarda il potere sostitutivo in materia comunitaria, l’articolo 8 (comma 2) individua la prima “disciplina settoriale” che si innesta sul tronco della procedura generale di cui al comma 1, ed ha ad oggetto le ipotesi di violazione della normativa comunitaria.

La L. 131/2003 prevede una seconda “procedura settoriale” (art. 8, comma 3) per i casi in cui l’esercizio del potere sostitutivo riguardi gli enti locali (Comuni, province o Città metropolitane).

In questi casi si prevede che la nomina del Commissario debba tenere conto dei princìpi di sussidiarietà e di leale collaborazione e si richiede, per l’adozione dei provvedimenti sostitutivi da parte del Commissario stesso, che sia sentito il Consiglio delle autonomie locali (qualora tale organo sia stato istituito).

Poiché anche tale disposizione pare innestarsi come specificazione di una particolare fase procedurale, nell’ambito della disciplina generale delineata dal comma 1, essa non comporta l’esclusione dell’esercizio dei poteri sostitutivi nei riguardi degli enti locali secondo l’altra opzione indicata dal comma 1, ossia attraverso l’adozione, direttamente da parte del Consiglio dei ministri, dei provvedimenti necessari, anche normativi.

L’articolo 8 prevede poi una “procedura d’urgenza” (comma 4), ricalcando almeno in parte quanto disposto dall’articolo 5, comma 3 del decreto legislativo n. 112 del 1998 : si tratta di una procedura speciale, cui il Governo può fare ricorso nei casi di assoluta urgenza, qualora l’intervento sostitutivo non sia procrastinabile senza mettere in pericolo le finalità tutelate dall’articolo 120 della Costituzione: in questi casi, i provvedimenti necessari sono adottati dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali. I provvedimenti in questione sono poi immediatamente comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza Stato-Città e autonomie locali, allargata ai rappresentanti delle comunità montane, che possono chiederne il riesame.

Il comma 4 configura regole procedurali ridotte, rispetto a quelle recate dal comma 1: il “peso” del principio di “leale collaborazione”, richiesto dall’art. 120 della Costituzione, appare infatti minore .

il medesimo articolo 8 (comma 5) impone, per l’adozione dei provvedimenti sostitutivi, il criterio della proporzionalità degli stessi in rapporto alle finalità perseguite.

 

Il comma 8 demanda, infine, ad un decreto dei Ministri competenti da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento, la definizione dei criteri e delle modalità ai quali le regioni e gli enti locali devono attenersi per garantire la continuità del servizio idrico e la qualità dello stesso durante la fase transitoria di cui al presente articolo, assicurando la trasparenza e la partecipazione dei lavoratori e dei cittadini ai relativi controlli.


Art. 7
(Istituzione del Fondo nazionale per la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato)

La disposizione, al comma 1, prevede l’istituzione – presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – del Fondo nazionale per la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato.

 

Le finalità del Fondo sono individuate nell’attuazione dei processi di trasferimento di gestione di cui all'articolo 6.

 

Le modalità di accesso al Fondo sono demandate ad un apposito regolamento, da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento.


Art. 8
(Norme generali sul finanziamento del servizio idrico integrato)

La disposizione, al comma 1, prevede in termini generali il finanziamento del servizio idrico integrato attraverso:

§         la fiscalità generale e specifica;

§         la tariffa di cui all'articolo 9.

 

Si segnala che appare alquanto generico il riferimento contenuto nella disposizione alla fiscalità generale e specifica.

 

Il comma 2 destina i finanziamenti reperiti attraverso il ricorso alla fiscalità generale alla copertura di parte dei costi di investimento e dei costi di erogazione del quantitativo minimo vitale garantito, come definito dal successivo articolo 9, comma 3.

 

La disposizione prevede che ad essi – cioè, sembrerebbe, a tali costi – sono inoltre destinate le risorse ai sensi di quanto stabilito dall'articolo 12.


Art. 9
(Finanziamento del servizio idrico integrato attraverso la tariffa)

Il comma 1 demanda ad un decreto, da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento, la definizione da parte del Governo del metodo per la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato per tutti gli usi dell'acqua.

 

L’articolo 154, comma 1, del codice ambientale disciplina la tariffa del servizio idrico integrato, che costituisce il corrispettivo del medesimo servizio. Quali fattori per la determinazione della tariffa, la disposizione contempla la qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, le opere e gli adeguamenti necessari, l'entità dei costi di gestione delle opere, l'adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia. Ai fini della sua determinazione, inoltre si tiene conto di “una quota parte dei costi di funzionamento dell’Autorità d’ambito”. Il comma 2 demanda ad un decreto del Ministro dell’ambiente la definizione delle componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell’acqua.

 

L’articolo 155, comma 1,  specifica che le quote di tariffa riferite ai servizi di pubblica fognatura e di depurazione sono dovute dagli utenti anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. Il gestore è tenuto a versare i relativi proventi a un fondo vincolato intestato all'Autorità d'ambito, che lo mette a disposizione del gestore per l'attuazione degli interventi relativi alle reti di fognatura ed agli impianti di depurazione previsti dal piano d'ambito. La tariffa non è dovuta se l'utente è dotato di sistemi di collettamento e di depurazione propri, sempre che tali sistemi abbiano ricevuto specifica approvazione da parte dell'Autorità d'ambito.

 

Si segnala che la Corte costituzionale, con sentenza 8-10 ottobre 2008, n. 335  ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità del primo periodo del presente comma, nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti «anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi».

 

L’art. 170, comma 3, lettera l) del d.lgs. n. 152 dispone - in via transitoria - che fino all’emanazione del citato decreto di cui al comma 2 dell’articolo 154 sulle tariffe del servizio idrico, continua ad applicarsi il D.M. 1 agosto 1996 recante criteri di definizione delle componenti di costo e la determinazione della tariffa di riferimento del servizio idrico integrato costituenti un "metodo normalizzato".

 

Il comma 2 definisce la nozione di “uso domestico” con riferimento ad ogni utilizzo d'acqua atto ad assicurare il fabbisogno individuale per l'alimentazione e per l'igiene umane. La disposizione precisa che la tariffa per l'uso domestico deve coprire i costi ordinari di esercizio del servizio idrico integrato, ad eccezione del quantitativo minimo vitale garantito di cui al comma 3.

L’erogazione di quest’ultimo infatti, secondo il comma 3 – espressamente qualificata come diritto umano - è gratuita ed è coperta dalla fiscalità generale. La disposizione quantifica il minimo vitale garantito nell’erogazione giornaliera di acqua per l'alimentazione e per l'igiene umane pari a cinquanta litri per persona.

 

Si tratta di una soglia, quella dei 50 litri pro-capite al giorno, al di sotto della quale - secondo l’ONU e l’OMS – “si può già parlare di sofferenza per mancanza di acqua”[21].

Relativamente ai consumi idrici nazionali, nel recente Rapporto di Legambiente “Ecosistema urbano 2008”[22] si legge che “i dati sui consumi idrici domestici, diversamente dai precedenti rapporti, si rifanno alle rilevazioni dell’Osservatorio ambientale delle città 2006 (ISTAT) e sono disponibili per la totalità dei comuni. Oltre l’80% dei valori si colloca tra i 100 ed i 200 litri per abitante al giorno, circa il 97% tra i 100 e i 250 litri. Sono solo tre le città che si collocano sopra questa soglia: Pescara, Massa e Salerno, ma nessuna supera i 300 l/ab./gg. Il valore medio dei consumi risulta pertanto pari a 191 litri al giorno pro capite: il 33% dei comuni si colloca al di sopra di questa soglia”.

 

Il comma 4 prevede ulteriori disposizioni volte a garantire l’erogazione del quantitativo minimo, escludendo in particolare la possibilità che essa sia sospesa dal gestore, in caso di morosità nel pagamento. In tal caso, il gestore infatti provvede a installare un apposito meccanismo limitatore dell'erogazione, idoneo a garantire esclusivamente la fornitura giornaliera essenziale di cinquanta litri al giorno per persona.

 

I commi 5 e 6 demandano alla normativa regionale:

§         limitatamente alle fasce di consumo domestico superiori a cinquanta litri, l’individuazione di fasce tariffarie articolate per scaglioni di consumo, tenendo conto dei criteri indicati (reddito individuale, composizione del nucleo familiare; quantità dell'acqua erogata; esigenza di razionalizzazione dei consumi e di eliminazione degli sprechi);

§         la definizione di tetti di consumo individuale – comunque non superiori a trecento litri al giorno per abitante – oltre i quali l'utilizzo dell'acqua è assimilato all'uso commerciale. In tal caso la tariffa è commisurata a tale uso e l'erogazione dell'acqua è regolata secondo i princìpi di cui all'articolo 2.

 

Con specifico riferimento agli usi domestici, sembra necessario un coordinamento tra il comma che rinvia ad un decreto del Governo la definizione del metodo per la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato per tutti gli usi dell'acqua e i commi 5 e 6 che attribuiscono alle leggi regionali l’individuazione di fasce tariffarie (informata peraltro a taluni specifici criteri), oltre che l’individuazione di tetti di consumo individuale oltre cui l’utilizzo dell’acqua è assimilato all’uso commerciale.

Con specifico riferimento al comma 6, andrebbe meglio definito il principio della commisurazione della tariffa all’uso commerciale, anche al fine di comprendere se spetta alle regioni dare attuazione a tale principio.

 

Ulteriori criteri per la determinazione delle tariffe vengono stabilite dal comma 7, che:

 

§         con riferimento alle tariffe per tutti gli usi, rinvia ai princìpi di cui all'articolo 9 della direttiva 2000/60/CE.

Tale disposizione, in particolare, afferma il principio del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi i costi ambientali e relativi alle risorse, prendendo in considerazione l'analisi economica effettuata in base all'allegato III e, in particolare, secondo il principio "chi inquina paga".

Essa inoltre prevede che, entro il 2010 gli Stati membri provvedono:

-             a che le politiche dei prezzi dell'acqua incentivino adeguatamente gli utenti a usare le risorse idriche in modo efficiente e contribuiscano in tal modo agli obiettivi ambientali della presente direttiva,

-             a un adeguato contributo al recupero dei costi dei servizi idrici a carico dei vari settori di impiego dell'acqua, suddivisi almeno in industria, famiglie e agricoltura, sulla base dell'analisi economica effettuata secondo l'allegato III e tenendo conto del principio "chi inquina paga".

 

§         con riferimento alle tariffe per tutti gli usi, con l’eccezione di quello domestico, prevede una componente aggiuntiva di costo per compensare:

®     la copertura parziale dei costi d'investimento;

®     le attività di depurazione o di riqualificazione ambientale necessarie per compensare l'impatto delle attività per cui è concesso l'uso dell'acqua;

®     la copertura dei costi relativi alle attività di prevenzione e di controllo.


Art. 10
(Governo partecipativo del servizio idrico integrato)

La disposizione, che afferma il principio del governo democratico della gestione del servizio idrico integrato, al comma 1, attribuisce agli enti locali il compito di adottare forme di democrazia partecipativa che conferiscono strumenti di partecipazione attiva alle decisioni sugli atti fondamentali di pianificazione, programmazione e gestione ai lavoratori del servizio idrico integrato e agli abitanti del territorio e alle regioni il compito di definire, attraverso normative di indirizzo, le forme e le modalità più idonee ad assicurare l'esercizio di tale diritto.

 

Si segnala che l’articolo 14 della già richiamata direttiva 2000/60/CE disciplina l’informazione e la consultazione pubblica, prevedendo che gli Stati membri promuovono la partecipazione attiva di tutte le parti interessate all'attuazione della presente direttiva, in particolare all'elaborazione, al riesame e all'aggiornamento dei piani di gestione dei bacini idrografici.

L’articolo 66 del codice ambientale (che, nella Parte Terza, ha dato attuazione alla richiamata direttiva) prevede, al comma 7, che le Autorità di bacino promuovano la partecipazione attiva di tutte le parti interessate all'elaborazione, al riesame e all'aggiornamento dei piani di bacino, provvedendo affinché, per ciascun distretto idrografico, siano pubblicati e resi disponibili per eventuali osservazioni del pubblico, inclusi gli utenti, concedendo un periodo minimo di sei mesi per la presentazione di osservazioni scritte, i seguenti documenti:

a) il calendario e il programma di lavoro per la presentazione del piano, inclusa una dichiarazione delle misure consultive che devono essere prese almeno tre anni prima dell'inizio del periodo cui il piano si riferisce;

b) una valutazione globale provvisoria dei principali problemi di gestione delle acque, identificati nel bacino idrografico almeno due anni prima dell'inizio del periodo cui si riferisce il piano;

c) copie del progetto del piano di bacino, almeno un anno prima dell'inizio del periodo cui il piano si riferisce.

Disposizioni di contenuto analogo volte a garantire l’informazione e la consultazione pubblica con riferimento all’elaborazione, al riesame e all’aggiornamento dei Piani di tutela delle acque sono contenute nell’articolo 122 del codice.

Si segnala anche l’articolo 162 che con riferimento alla gestione del servizio idrico integrato, disciplina i compiti del gestore al fine di garantire l’informazione degli utenti e prevede forme di pubblicità dei progetti concernenti opere idrauliche che comportano o presuppongono grandi e piccole derivazioni, opere di sbarramento o di canalizzazione, nonché la perforazione di pozzi.

 

Il comma 2 rinvia agli statuti dei comuni (ai sensi dell'articolo 8 del TUEL) la disciplina degli strumenti di democrazia partecipativa di cui al comma precedente.

 

L’articolo 8 del TUEL, al comma 1, attribuisce ai comuni il compito di valorizzare le libere forme associative e di promuovere organismi di partecipazione popolare all'amministrazione locale, demandando agli statuti la disciplina dei rapporti di tali forme associative. Il comma 2 rinvia allo statuto la definizione delle modalità di partecipazione degli interessati con riferimento ai procedimenti relativi all'adozione di atti che incidono su situazioni giuridiche soggettive; il comma 3 dispone inoltre che lo statuto preveda forme di consultazione della popolazione nonché procedure per l'ammissione di istanze, petizioni e proposte di cittadini singoli o associati dirette a promuovere interventi per la migliore tutela di interessi collettivi (oltre che le garanzie per il loro tempestivo esame), consentendo inoltre che siano previsti referendum anche su richiesta di un adeguato numero di cittadini. In base al successivo comma 4, le consultazioni e i referendum devono riguardare materie di esclusiva competenza locale e non possono avere luogo in coincidenza con operazioni elettorali provinciali, comunali e circoscrizionali. Il comma 5, infine prevede che lo statuto promuova forme di partecipazione alla vita pubblica locale dei cittadini dell'Unione europea e degli stranieri regolarmente soggiornanti.

 

Il comma 3, infine, attribuisce al Governo il compito di definire – entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento – la Carta nazionale del servizio idrico integrato.

La finalità e il contenuto della Carta sono individuati nei seguenti:

§         il riconoscimento del diritto all'acqua, come definito all’articolo 9, comma 3;

§         la fissazione dei livelli e degli standard minimi di qualità del servizio idrico integrato;

§         la disciplina delle modalità di vigilanza sulla sua corretta applicazione, definendo le eventuali sanzioni applicabili.

 

Si segnala che l’articolo 151 del codice ambientale prevede che le convenzioni tipo che devono adottare le regioni e le province autonome (sulla base delle quali sono predisposte da parte dell’Autorità d’ambito le convenzioni dirette a regolare i rapporti tra Autorità d'ambito e gestori del servizio idrico integrato) prevedano l'obbligo di adottare la carta di servizio sulla base degli atti d'indirizzo vigenti.

Si richiama brevemente l’articolo 2 del decreto-legge n. 163 del 1995 (convertito dalla legge n. 273 del 1995), abrogato dall’articolo 11 del decreto legislativo n. 286 del 1999, che prevedeva che con D.P.C.M. fossero emanati schemi generali di riferimento di carte di servizi pubblici e che gli enti erogatori di servizi pubblici, non oltre centoventi giorni dalla data di emanazione dei decreti di cui al comma 1, adottassero le rispettive carte dei servizi pubblici sulla base dello schema generale di riferimento, dandone adeguata pubblicità agli utenti e comunicazione al Dipartimento della funzione pubblica Sulla base di tale disposizione, con D.P.C.M. 29 aprile 1999 era stato emanato lo schema generale di riferimento per la predisposizione della carta del servizio idrico integrato.

 

Si segnala che la disposizione non definisce l’atto attraverso cui viene adottata la Carta nazionale del servizio idrico integrato, né risulta chiara la natura giuridica della medesima Carta.


Art. 11
(Fondo nazionale di solidarietà internazionale)

La disposizione, al comma 1, prevede l’istituzione del Fondo nazionale di solidarietà internazionale. Le finalità del Fondo sono individuate  nel favorire l'accesso all'acqua potabile per tutti gli abitanti del pianeta e di contribuire alla costituzione di una fiscalità generale universale che garantisca tale accesso, da realizzare attraverso la destinazione delle sue risorse a progetti di sostegno all'accesso all'acqua, gestiti attraverso forme di cooperazione decentrata e partecipata dalle comunità locali dei Paesi di erogazione e dei Paesi di destinazione, con l'esclusione di qualsivoglia profitto o interesse privatistico.

 

Per l’importanza sempre maggiore assunta a livello internazionale e comunitario del problema della disponibilità di risorse idriche si rinvia al quadro introduttivo.

 

Si segnala preliminarmente che la disposizione non specifica presso quale Ministero è istituito il Fondo.

 

In base al comma 2, le risorse destinate ad alimentare il Fondo sono individuate - tra le altre - nelle seguenti:

a) prelievo in tariffa di 1 centesimo di euro per metro cubo di acqua erogata a cura del gestore del servizio idrico integrato;

b) prelievo fiscale nazionale di 1 centesimo di euro per ogni bottiglia di acqua minerale commercializzata.

 

Posto che la formulazione del comma 2 lascia intendere che le disponibilità indicate sono soltanto alcune delle risorse che afferiscono al Fondo, occorre precisare anche le ulteriori risorse del medesimo.

 

Il comma 3, infine, demanda ad un apposito regolamento, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore provvedimento, la disciplina delle modalità di accesso al Fondo.

 

Si ricorda che l’articolo 1, comma 1284, della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), come sostituito dall’art. 2, comma 334, della legge n. 244/2007 (finanziaria 2008), ha istituito un fondo di solidarietà, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, finalizzato a promuovere il finanziamento esclusivo di progetti e interventi, in ambito nazionale e internazionale, atti a garantire il maggior accesso possibile alle risorse idriche secondo il principio della garanzia dell’accesso all’acqua a livello universale. Il fondo è alimentato dalle risorse di cui al comma 1284-ter, mentre l’individuazione delle modalità di funzionamento e di erogazione delle risorse del fondo viene demandata ad apposito decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro degli affari esteri, sentito il parere delle competenti Commissioni parlamentari e della Conferenza unificata.

Il successivo comma 1284-ter ha istituito un contributo di 0,5 centesimi di euro per ogni bottiglia di acqua minerale o da tavola in materiale plastico venduta al pubblico, destinando un decimo delle entrate derivanti da tale contributo all’alimentazione del fondo di cui al comma 1284[23].

 

Si osserva che occorre un coordinamento tra l’articolo in commento e l’articolo 1, comma 1284, della legge finanziaria 2007, in considerazione della parziale sovrapposizione delle finalità dei Fondi istituiti dalle due disposizioni.

 

Si segnala, peraltro, che la Corte con sentenza 19-23 maggio 2008, n. 168, ha dichiarato, tra l’altro l'illegittimità dell'articolo 1, comma 1284, della legge 296/2006 (legge finanziaria 2007) nella parte in cui prevede che le modalità di funzionamento e di erogazione delle risorse del fondo sono indicate con decreto del Ministro dell'ambiente di concerto con il Ministro degli affari esteri, sentito il parere delle competenti Commissioni parlamentari e della Conferenza unificata anziché d'intesa con la Conferenza unificata; l'illegittimità dell'articolo 1, comma 1284, nel testo sostituito dall'art. 2, comma 334, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, nella parte in cui prevede che le modalità di funzionamento e di erogazione delle risorse del fondo sono indicate con decreto del Ministro dell'ambiente di concerto con il Ministro degli affari esteri, sentito il parere delle competenti Commissioni parlamentari e della Conferenza unificata anziché d'intesa con la Conferenza unificata. Secondo la Corte, le disposizioni censurate istituiscono un fondo di natura unitaria ed indivisa, la cui disciplina si pone all’incrocio di materie attribuite dalla Costituzione alla potestà legislativa statale e regionale, senza che nessuna di tali materie possa considerarsi nettamente prevalente sulle altre: in tale ipotesi la concorrenza di competenze giustifica l’applicazione del principio di leale collaborazione e richiede, pertanto, il ricorso all’istituto della citata “intesa” con la Conferenza unificata.

 


Art. 12
(Disposizioni finanziarie)

L'articolo 12, comma 1 reca la copertura finanziaria delle misure contenute  negli articoli 7, comma 1, e 8, comma 2, del progetto di legge, relative rispettivamente all’istituzione del Fondo nazionale per la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato e al finanziamento del servizio idrico integrato.

L’articolo dispone che la copertura sia garantita attraverso:

a) la destinazione di risorse annuali non inferiori al 5 per cento delle somme destinate nell'anno finanziario 2007 alle spese militari, le quali sono ridotte in misura corrispondente.

 

Si segnala che – presumibilmente per un mero errore materiale – il testo riporta la formulazione “5 per cinque” anziché “cinque per cento”.

 

Si ricorda che l’articolo 11-ter della legge n. 468 del 1978, recante le modalità tassative di copertura finanziaria delle leggi comportanti oneri, prescrive che essa possa essere determinata mediante riduzione di precedenti autorizzazioni legislative di spesa, mediante modificazioni legislative che comportino nuove o maggiori entrate, mediante utilizzo degli accantonamenti iscritti nei fondi speciali destinati alla copertura finanziaria di provvedimenti legislativi che si prevede siano approvati nel corso degli esercizi finanziari compresi nel bilancio pluriennale e i cui importi sono annualmente iscritti nella legge finanziaria.

 

La modalità di copertura recata dalla lettera in commento non appare coerente con le norma di contabilità pubblica, stante l’assenza dell’indicazione puntuale dell’autorizzazione di spesa nel settore militare che si intende sopprimere al fine di reperire risorse da destinare agli interventi previsti dal progetto di legge.

 

b) la destinazione di una quota parte, pari a 2 miliardi di euro annui, delle risorse derivanti dalla lotta all'elusione e all'evasione fiscali;

 

Si ricorda, al riguardo, che l’articolo 1, comma 4 della legge finanziaria 2009 (legge n. 203 del 2008) dispone in via generale la destinazione prioritaria delle maggiori entrate tributarie che vengano a realizzarsi nel 2009 rispetto alla previsioni del Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2009-2013 alla riduzione della pressione fiscale nei confronti delle famiglie con figli e dei percettori di reddito medio-basso, con priorità per i lavoratori dipendenti e i pensionati.

 

Si segnala che tale modalità di copertura appare inidonea in quanto la risorse derivanti dalla lotta all’evasione e all’elusione fiscale sono meramente eventuali, e in quanto tali non utilizzabili a copertura di oneri certi.

 

c) la destinazione dei fondi derivanti dall'irrogazione delle sanzioni previste per la violazione delle leggi di tutela del patrimonio idrico.

 

Si ricorda in particolare che la disciplina sanzionatoria per le violazione delle prescrizioni attinenti alla tutela delle acque dall’inquinamento (Sezione II della Parte Terza del codice ambientale) è contenuta nel Titolo V e consiste in sanzioni amministrative (articoli 133-136) e sanzioni penali (articoli (137-140), che contemplano anche l’irrogazione di pene pecuniarie.

Si segnala che l’articolo 136 prevede il versamento delle somme derivanti dai proventi delle sanzioni amministrative previste dalla parte terza del provvedimento all'entrata del bilancio regionale e la successiva rassegnazione alle unità previsionali di base destinate alle opere di risanamento e di riduzione dell'inquinamento dei corpi idrici. Alle regioni viene attribuito il compito di provvedere alla ripartizione delle somme riscosse fra gli interventi di prevenzione e di risanamento.

 

Analogamente a quanto affermato in ordine alla lettera b), si osserva che anche in tal caso le risorse derivanti dall’irrogazioni di sanzioni hanno un carattere meramente eventuale. Si segnala, inoltre, che tali risorse verrebbero destinate ad una finalità diversa rispetto a quella contemplata per le somme derivanti dai proventi delle sanzioni amministrative dall’articolo 136 del codice ambientale (opere di risanamento e di riduzione dell'inquinamento dei corpi idrici)

 

d) la destinazione di una quota parte, non inferiore al 10 per cento dell'imposta sul valore aggiunto applicata al commercio delle acque minerali;

Per quanto riguarda l’IVA sulle cessioni ed importazioni di acque minerali si ricorda che si applica l’aliquota ridotta pari al 10%, in base alla tabella A allegata al D.P.R. n. 633 del 1972, recante istituzione e disciplina dell’IVA.

Anche tale modalità di copertura è da considerarsi inidonea in quanto non reca né maggiori entrate, né minori spese, ai sensi del citato articolo 11-ter della legge n. 468.

 

e) l'allocazione di una quota annuale delle risorse derivanti dall'introduzione di una tassa di scopo relativa al prelievo fiscale sulla produzione e sull'uso di sostanze chimiche inquinanti per l'ambiente idrico.

Si ricorda che con il termine di “imposta di scopo” si intende una forma di imposizione che trova la sua giustificazione nel collegamento tra imposizione e destinazione del gettito. L’imposta di scopo costituisce quindi una deroga al principio dell’unità del bilancio, in base al quale, nel bilancio, la corrispondenza tra entrate e spese deve essere garantita a livello globale, non essendo possibile stabilire una specifica correlazione tra una singola entrata ed una singola spesa.

 

La lettera in commento non specifica quale quota del gettito dell’imposta di scopo dovrebbe  essere destinata a copertura del presente provvedimento.

In ogni caso le modalità di introduzione della suddetta tassa di scopo e tutte le sue caratteristiche (base imponibile, aliquote, eventuali agevolazioni, modalità di versamento etc.), saranno definite in un successivo decreto legislativo.

Infatti, il comma 2 delega il Governo ad adottare, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante l'istituzione e le modalità di applicazione della tassa di scopo di cui al comma 1, lettera e), in conformità ai princìpi e criteri direttivi desumibili dalla medesima proposta di legge.

 

Si rileva pertanto che in mancanza di una dettagliata individuazione di specifici principi e criteri direttivi di delega, e di una conseguente quantificazione del possibile gettito del nuovo tributo, tale modalità di copertura debba considerarsi inidonea.

 


A.C. n. 1951

Alla proposta di legge di iniziativa popolare sopra illustrata è stata abbinata, nella seduta del 22 gennaio 2009, la proposta di legge n. 1951 (on. Messina ed altri), recante Modifiche agli articoli 147, 148, 151 e 166 e abrogazione dell'articolo 150 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, nonché modifiche all'articolo 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, in materia di gestione del servizio idrico integrato e dei consorzi di bonifica e irrigazione.

 

La proposta, secondo quanto emerge dalla relazione illustrativa, non intende mettere in discussione l'impianto legislativo vigente, ma vuole intervenire sui meccanismi di attuazione, anche in considerazione della recente riforma dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, tra cui anche il servizio idrico, prevista dal decreto-legge n. 112 del 2008.

In tal senso, per garantire una migliore tutela degli utenti e un maggiore controllo del cittadino sulla gestione di un servizio pubblico, si propone una maggiore distinzione tra la gestione della risorsa idrica e la gestione del servizio.

A tal fine la proposta interviene sugli articoli del Codice ambientale che regolano il servizio idrico (in particolare, artt. 147-151)[24].

Viene quindi previsto (articolo 1) che l’autorità d'ambito territoriale ottimale (AATO) mantenga essenzialmente la funzione di regolazione generale, controllo e coordinamento dei comuni (nuovo comma 5 dell’articolo 148 del d.lgs. n. 152 del 2006) che ricadono all'interno del territorio di sua competenza, i cui confini sono conseguentemente ridisegnati solo su base idrografica, e più precisamente sul principio di unità di bacino, anche al fine di evitare una sovrapposizione con gli ambiti di competenza delle autorità amministrative.

La gestione vera e propria del servizio è invece demandata ai comuni, come prevede la modifica all'articolo 148, comma 2, del citato decreto legislativo, che estende a tutti i comuni una possibilità tra l'altro già prevista dalla normativa in vigore per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti.

In vista dell'attuazione dei princìpi di federalismo fiscale e per generare ulteriori possibilità di razionalizzazione e di economia, l'articolo 148 del d.lgs. n. 152 del 2006, al nuovo comma 5-bis, concede inoltre, una maggiore autonomia di scelta tra una gestione singola o associata con altri comuni, secondo le forme previste dal testo unico sugli enti locali (d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267).

Le ulteriori modifiche previste all’articolo 1 sono modifiche di carattere tecnico conseguenti al cambiamento di gestione già descritto: l'articolo 150 del citato decreto legislativo n. 152 del 2006 è abrogato in quanto viene meno l'affidamento con gara, e l'AATO non delibera più sulle forme di gestione, che sono scelte autonomamente dai comuni nell'ambito di quanto previsto all'articolo 148.

La modifica al comma 1 dell'articolo 151 dello stesso decreto legislativo consente una precisazione terminologica in quanto nel testo di legge originario il gestore è il soggetto a cui viene affidata, mediante gara, la gestione del servizio idrico integrato mentre, con le modifiche apportate, per gestore si intende l'amministrazione comunale oppure i soggetti a cui l'amministrazione dà in affidamento diretto il servizio, ossia società a capitale interamente pubblico controllate dagli stessi comuni o altri soggetti costituiti da forme di associazione di più comuni.

Le modifiche al medesimo articolo 151, comma 2, lettere b) e m), precisano che la durata dell'affidamento e l'obbligo di restituzione delle infrastrutture idriche sussistono solo nel caso di gestione in affidamento e non quando questa sia operata direttamente dall'amministrazione comunale che è titolare della gestione.

La disposizione introdotta nello stesso articolo 151, comma 2, lettera n), reintroduce una clausola di garanzia venuta meno con l'abrogazione del comma 5 e la conforma alla programmazione economica dei comuni che ha cadenza triennale.

Infine, riguardo alla modifica proposta all'articolo 166 del d.lgs. n. 152 del 2006, in materia di gestione delle acque e dei servizi operata dai consorzi di bonifica e irrigazione, si segnala che essa è volta a sollevare il proprietario di un terreno che non è servito direttamente da canali di irrigazione, dal versamento di un canone al consorzio, in quanto, secondo i proponenti, un terreno agricolo non servito da canali di irrigazione non è messo in condizione di essere produttivo.

 

L’articolo 2 introduce alcune modifiche all’articolo 23-bis del DL n. 112 del 2008, volte ad escludere il servizio idrico integrato dall’ambito di applicazione della norma in commento[25].

 


Testo a fronte
tra il Codice ambientale (d.lgs. n. 152 del 2006) e la pdl 1951

 

D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152

 

A.C. 1951

 

 

Art. 147
Organizzazione territoriale del servizio idrico integrato.

Art. 1

1. I servizi idrici sono organizzati sulla base degli ambiti territoriali ottimali definiti dalle regioni in attuazione della legge 5 gennaio 1994, n. 36.

2. Le regioni possono modificare le delimitazioni degli ambiti territoriali ottimali per migliorare la gestione del servizio idrico integrato, assicurandone comunque lo svolgimento secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto, in particolare, dei seguenti princìpi:

a) unità del bacino idrografico o del sub-bacino o dei bacini idrografici contigui, tenuto conto dei piani di bacino, nonché della localizzazione delle risorse e dei loro vincoli di destinazione, anche derivanti da consuetudine, in favore dei centri abitati interessati;

b) unitarietà della gestione e, comunque, superamento della frammentazione verticale delle gestioni;

c) adeguatezza delle dimensioni gestionali, definita sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici.

3. Le regioni, sentite le province, stabiliscono norme integrative per il controllo degli scarichi degli insediamenti civili e produttivi allacciati alle pubbliche fognature, per la funzionalità degli impianti di pretrattamento e per il rispetto dei limiti e delle prescrizioni previsti dalle relative autorizzazioni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

b) abrogata

 

 

c) abrogata

 

 

148.
Autorità d'ambito territoriale ottimale.

 

1. L'Autorità d'ambito è una struttura dotata di personalità giuridica costituita in ciascun ambito territoriale ottimale delimitato dalla competente regione, alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale è trasferito l'esercizio delle competenze ad essi spettanti in materia di gestione delle risorse idriche, ivi compresa la programmazione delle infrastrutture idriche di cui all'articolo 143, comma 1.

2. Le regioni e le province autonome possono disciplinare le forme ed i modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale, prevedendo che gli stessi costituiscano le Autorità d'ambito di cui al comma 1, cui è demandata l'organizzazione, l'affidamento e il controllo della gestione del servizio idrico integrato.

3. I bilanci preventivi e consuntivi dell'Autorità d'ambito e loro variazioni sono pubblicati mediante affissione ad apposito albo, istituito presso la sede dell'ente, e sono trasmessi all'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio entro quindici giorni dall'adozione delle relative delibere.

4. I costi di funzionamento della struttura operativa dell'Autorità d'ambito, determinati annualmente, fanno carico agli enti locali ricadenti nell'ambito territoriale ottimale, in base alle quote di partecipazione di ciascuno di essi all'Autorità d'ambito.

5. Ferma restando la partecipazione obbligatoria all'Autorità d'ambito di tutti gli enti locali ai sensi del comma 1, l'adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato è facoltativa per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane, a condizione che gestiscano l'intero servizio idrico integrato, e previo consenso della Autorità d'ambito competente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2. Le regioni e le province autonome possono disciplinare le forme ed i modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale, prevedendo che gli stessi costituiscano le Autorità d'ambito di cui al comma 1, cui è demandata l'organizzazione, l'affidamento e il controllo sull'attività di gestione del servizio idrico integrato spettante ai comuni;

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

5. Ferma restando la partecipazione obbligatoria all'Autorità d'ambito di tutti gli enti locali ai sensi del comma 1, la gestione unica del servizio idrico integrato spetta ai comuni, in forma singola o associata, ed è esercitata direttamente dall'amministrazione comunale ovvero tramite una società a capitale interamente pubblico e controllata dallo stesso comune. Sulle gestioni di cui al presente comma l'Autorità d'ambito competente esercita funzioni di regolazione generale e di controllo. Con apposito contratto di servizio stipulato con l'Autorità d'ambito competente, previo accordo di programma, sono definiti i criteri e le modalità per l'eventuale partecipazione ad iniziative promosse dalla medesima autorità;

5-bis. La gestione diretta del servizio idrico integrato di cui al comma 5 può essere esercitata dai singoli comuni o da più comuni associati secondo le forme previste dal testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;

 

 

150.
Scelta della forma di gestione e procedure di affidamento.

 

1. L'Autorità d'ambito, nel rispetto del piano d'ambito e del principio di unitarietà della gestione per ciascun ambito, delibera la forma di gestione fra quelle di cui all'articolo 113, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

2. L'Autorità d'ambito aggiudica la gestione del servizio idrico integrato mediante gara disciplinata dai princìpi e dalle disposizioni comunitarie, in conformità ai criteri di cui all'articolo 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 257, secondo modalità e termini stabiliti con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia.

3. La gestione può essere altresì affidata a società partecipate esclusivamente e direttamente da comuni o altri enti locali compresi nell'ambito territoriale ottimale, qualora ricorrano obiettive ragioni tecniche od economiche, secondo la previsione del comma 5, lettera c), dell'articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, o a società solo parzialmente partecipate da tali enti, secondo la previsione del comma 5, lettera b), dell'articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, purché il socio privato sia stato scelto, prima dell'affidamento, con gara da espletarsi con le modalità di cui al comma 2.

4. I soggetti di cui al presente articolo gestiscono il servizio idrico integrato su tutto il territorio degli enti locali ricadenti nell'ambito territoriale ottimale, salvo quanto previsto dall'articolo 148, comma 5

 

 

 

 

 

 

 

abrogato

 

 

151.
Rapporti tra autorità d'ambito e soggetti gestori del servizio idrico integrato.

 

1. I rapporti fra Autorità d'ambito e gestori del servizio idrico integrato sono regolati da convenzioni predisposte dall'Autorità d'ambito.

2. A tal fine, le regioni e le province autonome adottano convenzioni tipo, con relativi disciplinari, che devono prevedere in particolare:

a) il regime giuridico prescelto per la gestione del servizio;

b) la durata dell'affidamento, non superiore comunque a trenta anni;

c) l'obbligo del raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario della gestione;

d) il livello di efficienza e di affidabilità del servizio da assicurare all'utenza, anche con riferimento alla manutenzione degli impianti;

e) i criteri e le modalità di applicazione delle tariffe determinate dall'Autorità d'ambito e del loro aggiornamento annuale, anche con riferimento alle diverse categorie di utenze;

f) l'obbligo di adottare la carta di servizio sulla base degli atti d'indirizzo vigenti;

g) l'obbligo di provvedere alla realizzazione del Programma degli interventi;

h) le modalità di controllo del corretto esercizio del servizio e l'obbligo di predisporre un sistema tecnico adeguato a tal fine, come previsto dall'articolo 165;

i) il dovere di prestare ogni collaborazione per l'organizzazione e l'attivazione dei sistemi di controllo integrativi che l'Autorità d'ambito ha facoltà di disporre durante tutto il periodo di affidamento;

l) l'obbligo di dare tempestiva comunicazione all'Autorità d'ambito del verificarsi di eventi che comportino o che facciano prevedere irregolarità nell'erogazione del servizio, nonché l'obbligo di assumere ogni iniziativa per l'eliminazione delle irregolarità, in conformità con le prescrizioni dell'Autorità medesima;

m) l'obbligo di restituzione, alla scadenza dell'affidamento, delle opere, degli impianti e delle canalizzazioni del servizio idrico integrato in condizioni di efficienza ed in buono stato di conservazione;

 

 

 

n) l'obbligo di prestare idonee garanzie finanziarie e assicurative;

 

 

 

 

 

 

o) le penali, le sanzioni in caso di inadempimento e le condizioni di risoluzione secondo i principi del codice civile;

p) le modalità di rendicontazione delle attività del gestore.

3. Sulla base della convenzione di cui al comma 2, l'Autorità d'ambito predispone uno schema di convenzione con relativo disciplinare, da allegare ai capitolati di gara. Ove la regione o la provincia autonoma non abbiano provveduto all'adozione delle convenzioni e dei disciplinari tipo di cui al comma 2, l'Autorità predispone lo schema sulla base della normativa vigente. Le convenzioni esistenti devono essere integrate in conformità alle previsioni di cui al comma 2.

4. Nel Disciplinare allegato alla Convenzione di gestione devono essere anche definiti, sulla base del programma degli interventi, le opere e le manutenzioni straordinarie, nonché il programma temporale e finanziario di esecuzione.

5. L'affidamento del servizio è subordinato alla prestazione da parte del gestore di idonea garanzia fideiussoria. Tale garanzia deve coprire gli interventi da realizzare nei primi cinque anni di gestione e deve essere annualmente aggiornata in modo da coprire gli interventi da realizzare nel successivo quinquennio.

6. Il gestore cura l'aggiornamento dell'atto di Ricognizione entro i termini stabiliti dalla convenzione.

7. L'affidatario del servizio idrico integrato, previo consenso dell'Autorità d'ambito, può gestire altri servizi pubblici, oltre a quello idrico, ma con questo compatibili, anche se non estesi all'intero ambito territoriale ottimale.

8. Le società concessionarie del servizio idrico integrato, nonché le società miste costituite a seguito dell'individuazione del socio privato mediante gara europea affidatarie del servizio medesimo, possono emettere prestiti obbligazionari sottoscrivibili esclusivamente dagli utenti con facoltà di conversione in azioni semplici o di risparmio. Nel caso di aumento del capitale sociale, una quota non inferiore al dieci per cento è offerta in sottoscrizione agli utenti del servizio.

1. I rapporti fra Autorità d'ambito e gestori del servizio idrico integrato, individuati ai sensi dell'articolo 148, commi 5 e 5-bis, sono regolati da convenzioni predisposte dall'Autorità d'ambito.

 

 

 

abrogata

 

b) la durata dell'affidamento, non superiore comunque a trenta anni, nel caso di gestori costituiti da società a totale partecipazione pubblica o di soggetti di cui all'articolo 148, comma 5-bis»;

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

m) l'obbligo di restituzione, alla scadenza dell'affidamento, delle opere, degli impianti e delle canalizzazioni del servizio idrico integrato in condizioni di efficienza ed in buono stato di conservazione, nel caso di gestori costituiti da società a totale partecipazione pubblica o dei soggetti di cui all'articolo 148, comma 5-bis»;

n) l'obbligo di prestare idonee garanzie finanziarie e assicurative. La garanzia fideiussoria del gestore deve coprire gli interventi da realizzare nei primi tre anni di gestione e deve essere annualmente aggiornata in modo da coprire gli interventi da realizzare nel successivo triennio;

 

 

 

 

 

 

3. Sulla base della convenzione di cui al comma 2, l'Autorità d'ambito predispone uno schema di convenzione con relativo disciplinare. Ove la regione o la provincia autonoma non abbiano provveduto all'adozione delle convenzioni e dei disciplinari tipo di cui al comma 2, l'Autorità predispone lo schema sulla base della normativa vigente. Le convenzioni esistenti devono essere integrate in conformità alle previsioni di cui al comma 2.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

7. L'affidatario del servizio idrico integrato, previo consenso del comune competente, può gestire altri servizi pubblici, oltre a quello idrico, ma con questo compatibili, anche se non estesi all'intero ambito territoriale ottimale.

 

 

 

166.
Usi delle acque irrigue e di bonifica.

 

 

1.I consorzi di bonifica ed irrigazione, nell'ambito delle loro competenze, hanno facoltà di realizzare e gestire le reti a prevalente scopo irriguo, gli impianti per l'utilizzazione in agricoltura di acque reflue, gli acquedotti rurali e gli altri impianti funzionali ai sistemi irrigui e di bonifica e, previa domanda alle competenti autorità corredata dal progetto delle opere da realizzare, hanno facoltà di utilizzare le acque fluenti nei canali e nei cavi consortili per usi che comportino la restituzione delle acque siano compatibili con le successive utilizzazioni, ivi compresi la produzione di energia idroelettrica e l'approvvigionamento di imprese produttive. L'Autorità di bacino esprime entro centoventi giorni la propria determinazione. Trascorso tale termine, la domanda si intende accettata. Per tali usi i consorzi sono obbligati ai pagamento dei relativi canoni per le quantità di acqua corrispondenti, applicandosi anche in tali ipotesi le disposizioni di cui al secondo comma dell'articolo 36 del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque sugli impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775.

2. I rapporti tra i consorzi di bonifica ed irrigazione ed i soggetti che praticano gli usi di cui al comma 1 sono regolati dalle disposizioni di cui al capo I del titolo VI del regio decreto 8 maggio 1904, n. 368.

3. Fermo restando il rispetto della disciplina sulla qualità delle acque degli scarichi stabilita dalla parte terza del presente decreto, chiunque, non associato ai consorzi di bonifica ed irrigazione, utilizza canali consortili o acque irrigue come recapito di scarichi, anche se depurati e compatibili con l'uso irriguo, provenienti da insediamenti di qualsiasi natura, deve contribuire alle spese sostenute dal consorzio tenendo conto della portata di acqua scaricata.

4. Il contributo di cui al comma 3 è determinato dal consorzio interessato e comunicato al soggetto utilizzatore, unitamente alle modalità di versamento

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

4-bis. I soggetti associati ai consorzi di bonifica ed irrigazione o i conduttori di aziende agricole non servite da impianti o da canali consortili di irrigazione sono esonerati dal pagamento del canone o di ogni altra forma di contribuzione.

 

 


 

D.L. 25 giugno 2008 n. 112

Art. 2

Art. 23-bis.
Servizi pubblici locali di rilevanza economica

 

1. Le disposizioni del presente articolo disciplinano l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in applicazione della disciplina comunitaria e al fine di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale, nonché di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione. Le disposizioni contenute nel presente articolo si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili.

 

2.  ll conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità.

3.  In deroga alle modalità di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l’affidamento può avvenire nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria.

4.  Nei casi di cui al comma 3, l’ente affidante deve dare adeguata pubblicità alla scelta, motivandola in base ad un’analisi del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all’Autorità garante della concorrenza e del mercato e alle autorità di regolazione del settore, ove costituite, per l’espressione di un parere sui profili di competenza da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione.

5.  Ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione può essere affidata a soggetti privati.

6.  E' consentito l’affidamento simultaneo con gara di una pluralità di servizi pubblici locali nei casi in cui possa essere dimostrato che tale scelta sia economicamente vantaggiosa. In questo caso la durata dell’affidamento, unica per tutti i servizi, non può essere superiore alla media calcolata sulla base della durata degli affidamenti indicata dalle discipline di settore.

7.  Le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze e d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, possono definire, nel rispetto delle normative settoriali, i bacini di gara per i diversi servizi, in maniera da consentire lo sfruttamento delle economie di scala e di scopo e favorire una maggiore efficienza ed efficacia nell’espletamento dei servizi, nonché l’integrazione di servizi a domanda debole nel quadro di servizi più redditizi, garantendo il raggiungimento della dimensione minima efficiente a livello di impianto per più soggetti gestori e la copertura degli obblighi di servizio universale.

8.  Salvo quanto previsto dal comma 10, lettera e), le concessioni relative al servizio idrico integrato rilasciate con procedure diverse dall’evidenza pubblica cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2010, senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante. Sono escluse dalla cessazione le concessioni affidate ai sensi del comma 3.

9.  I soggetti titolari della gestione di servizi pubblici locali non affidati mediante le procedure competitive di cui al comma 2, nonché i soggetti cui è affidata la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall’attività di erogazione dei servizi, non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, né svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, né direttamente, né tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate, né partecipando a gare. ll divieto di cui al periodo precedente non si applica alle società quotate in mercati regolamentati. I soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono comunque concorrere alla prima gara svolta per l’affidamento, mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, dello specifico servizio già a loro affidato. In ogni caso, entro la data del 31 dicembre 2010, per l’affidamento dei servizi si procede mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica.

10. ll Governo, su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni ed entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, nonché le competenti Commissioni parlamentari, adotta uno o più regolamenti, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, al fine di:

a)  prevedere l’assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali al patto di stabilità interno e l’osservanza da parte delle società in house e delle società a partecipazione mista pubblica e privata di procedure ad evidenza pubblica per l’acquisto di beni e servizi e l’assunzione di personale;

b)  prevedere, in attuazione dei principi di proporzionalità e di adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione, che i comuni con un limitato numero di residenti possano svolgere le funzioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali in forma associata;

c)  prevedere una netta distinzione tra le funzioni di regolazione e le funzioni di gestione dei servizi pubblici locali, anche attraverso la revisione della disciplina sulle incompatibilità;

d)  armonizzare la nuova disciplina e quella di settore applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando le norme applicabili in via generale per l’affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonché in materia di acqua;

e)  disciplinare, per i settori diversi da quello idrico, fermo restando il limite massimo stabilito dall’ordinamento di ciascun settore per la cessazione degli affidamenti effettuati con procedure diverse dall’evidenza pubblica o da quella di cui al comma 3, la fase transitoria, ai fini del progressivo allineamento delle gestioni in essere alle disposizioni di cui al presente articolo, prevedendo tempi differenziati e che gli affidamenti di retti in essere debbano cessare alla scadenza, con esclusione di ogni proroga o rinnovo;

f)  prevedere l’applicazione del principio di reciprocità ai fini dell’ammissione alle gare di imprese estere;

g)  limitare, secondo criteri di proporzionalità, sussidiarietà orizzontale e razionalità economica, i casi di gestione in regime d’esclusiva dei servizi pubblici locali, liberalizzando le altre attività economiche di prestazione di servizi di interesse generale in ambito locale compatibili con le garanzie di universalità ed accessibilità del servizio pubblico locale;

h)  prevedere nella disciplina degli affidamenti idonee forme di ammortamento degli investimenti e una durata degli affidamenti strettamente proporzionale e mai superiore ai tempi di recupero degli investimenti;

i)  disciplinare, in ogni caso di subentro, la cessione dei beni, di proprietà del precedente gestore, necessari per la prosecuzione del servizio;

l)  prevedere adeguati strumenti di tutela non giurisdizionale anche con riguardo agli utenti dei servizi;

m)  individuare espressamente le norme abrogate ai sensi del presente articolo.

11.  L’articolo 113 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, è abrogato nelle parti incompatibili con le disposizioni di cui al presente articolo.

12.  Restano salve le procedure di affidamento già avviate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

1. Le disposizioni del presente articolo disciplinano l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in applicazione della disciplina comunitaria e al fine di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale, nonché di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione. Le disposizioni contenute nel presente articolo si applicano ad esclusione del servizio idrico integrato, e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili.

2.  ll conferimento della gestione dei servizi pubblici locali, ad esclusione del servizio idrico integrato, avviene, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

abrogato

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

d)  armonizzare la nuova disciplina e quella di settore applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando le norme applicabili in via generale per l’affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas.

 

 

 


Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Standard di qualità ambientale

Il Consiglio ambiente del 20 ottobre 2008 ha approvato una proposta di direttiva relativa a standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque e recante modifica della direttiva 2000/60/CE[26], intesa a stabilire norme di qualità ambientale per le acque di superficie dell'UE. Poiché per effetto della direttiva approvata, risultano modificate e superate le disposizioni contenute nelle direttive 82/176/CEE, 83/513/CEE, 84/156/CEE, 84/491/CEE e 86/280/CEE relative a valori limite e a obiettivi di qualità per gli scarichi di determinate sostanze chimiche quali, ad esempio, mercurio e cadmio, tali direttive dovrebbero essere abrogate a partire dal dicembre 2012.

Il testo della direttiva è stato approvato dal Consiglio a seguito all’approvazione da parte del Parlamento europeo, il 17 giugno 2008, di un pacchetto di compromesso concordato per giungere ad un accordo in seconda lettura, secondo la procedura di codecisione.

La direttiva approvata fissa valori limite per oltre trenta sostanze inquinanti, compresi i pesticidi, i metalli pesanti quali, ad esempio, piombo e mercurio, e i biocidi. In particolare, si adotta quale criterio decisivo per la misurazione del livello di inquinamento, quello medio su base annuale, in modo da tenere sotto controllo il tasso di inquinamento continuo, oltre a eventuali picchi particolarmente acuti. Si prevede, inoltre, l’obbligo di creare un inventario degli scarichi delle emissioni di sostanze inquinanti e delle perdite per monitorare il rispetto degli obiettivi previsti. Gli Stati membri dovranno adottare le misure necessarie per conformarsi a tali norme entro il 2015, conformemente alle disposizioni della direttiva quadro nel settore dell'acqua (2000/60/CE).

La direttiva impone agli Stati membri di sorvegliare l'inquinamento dei fiumi e di stabilirne le tendenze a lungo termine, nonché di analizzarne l'origine e di elaborare un inventario.

Il provvedimento non contiene controlli aggiuntivi delle emissioni in quanto, nel periodo 2000-2006, la Commissione ha presentato oltre 30 atti comunitari che introducono controlli delle emissioni per tali sostanze, tra cui il regolamento concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche – REACH[27] e la Strategia tematica per l'uso sostenibile dei pesticidi[28].

Il provvedimento è in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Gli Stati membri dell'UE sono tenuti a recepire la direttiva entro il termine di diciotto mesi.

Acque destinate al consumo umano

Al fine di adattare la legislazione esistente ai progressi scientifici e tecnologici e ad alle implicazioni scaturite dall’allargamento dell’UE, la Commissione sta valutando, insieme con gli Stati membri e gli altri soggetti interessati, diverse opzioni per la revisione della direttiva 98/83/CE del 3 novembre 1998, concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano. A tal fine la Commissione ha avviato, a partire dal 2003, un ampio processo di consultazione tuttora in corso, in particolare, rivolto ad integrare nella nuova proposta i concetti di valutazione e gestione dei rischi connessi alla produzione e distribuzione dell’acqua potabile all’interno di un approccio legato alla pianificazione della sicurezza dell’acqua (Water Safety Approach – WSP).

Direttiva quadro sulle acque

Il 22 marzo 2007 la Commissione ha presentato la comunicazione sulla prima fase di attuazione della direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE[29].

La direttiva 2000/60/CE impone agli Stati membri di definire, per ciascun distretto idrografico, un Piano di gestione che, tra le altre cose, deve indicare i programmi e le norme adottate per impedire il deterioramento della qualità delle acque e per la graduale riduzione dell’inquinamento. Si impone, inoltre, l’obbligo di adottare misure per fare in modo che i prezzi dell’acqua riflettano il costo complessivo di tutti i servizi connessi al suo uso (gestione, manutenzione e investimenti nelle reti idriche).

In base alla valutazione delle relazioni presentate da tutti i 27 Stati membri, la Commissione rileva che, nonostante gli indubbi progressi compiuti nel settore, il recepimento della direttiva negli ordinamenti nazionali è in molti casi inadeguato e lamenta il considerevole ritardo di alcuni Stati membri nell'incorporare strumenti economici nei sistemi di gestione dell'acqua.

Per quanto riguarda le disposizioni amministrative della direttiva (art. 3), gli Stati membri hanno, invece, proceduto con successo all’istituzione dei distretti idrografici e alla designazione delle autorità competenti. A tale proposito la Commissione ricorda che gli Stati membri devono ultimare il primo piano di gestione dei bacini idrografici entro il 2009 ed istituire una politica tariffaria per le acque nel 2010.  Gli Stati membri sono inoltre invitati:

-   ad attuare completamente la normativa UE attinente alla direttiva quadro sulle acque, ed in particolare le direttive sulle acque reflue urbane (91/271/CEE) e  sull’inquinamento da nitrati provenienti da fonti agricole (91/676/CEE);

-   a mettere in atto tutti gli strumenti economici previsti dalla direttiva (definizione delle tariffe, recupero dei costi dei servizi idrici, costi ambientali e delle risorse e principio “chi inquina paga”);

-   ad istituire un sistema nazionale completo di valutazione e classificazione ecologica che costituisca la base per attuare la direttiva e raggiungere l’obiettivo di un “buono stato ecologico” delle acque.

Ulteriori approfondimenti circa i temi affrontati dalla Comunicazione sono contenuti nel documento di lavoro della Commissione[30].

Carenza idrica e siccità

Il 18 luglio 2007, la Commissione ha presentato la comunicazione “Affrontare il problema della carenza idrica e della siccità nell'Unione europea”[31].

Nella comunicazione la Commissione rileva come - benché si ritenga generalmente che risorse idriche europee siano largamente adeguate - la scarsità d’acqua sia un fenomeno in costante crescita nell’Unione europea. Infatti, come indicato dagli studi commissionati sull’argomento, negli ultimi trent'anni i fenomeni di siccità nella UE sono aumentati drasticamente in frequenza e intensità, tanto che tra il 1976 e il 2006 il numero di zone e persone colpite da siccità è aumentato di quasi il 20%. A tutt'oggi inoltre almeno l'11% della popolazione e il 17% del territorio europei sono stati interessati da fenomeni di carenza idrica.

Sulla base di tali considerazioni, la Commissione propone una prima serie di opzioni strategiche a livello europeo, nazionale e regionale per affrontare e ridurre i problemi di carenza idrica e siccità all'interno dell'Unione europea:

·         procedere verso la piena attuazione della direttiva quadro sulle acque per affrontare il problema della gestione inefficace delle risorse idriche. Tale problema è dovuto sovente, secondo la Commissione, a politiche tariffarie inefficaci che, in generale, non riflettono il livello di importanza delle risorse idriche a livello locale. Il principio secondo cui "l'utente paga" è raramente attuato al di fuori degli ambiti della fornitura di acqua potabile e del trattamento delle acque reflue. Introdurre questo principio a livello UE consentirebbe di mettere fine agli sprechi e alle perdite inutili, garantendo la disponibilità di acqua per gli usi essenziali in tutta Europa e in particolare nei bacini idrografici transfrontalieri;

·         una migliore pianificazione dell'uso del suolo nonché una ripartizione più adeguata delle risorse idriche tra settori economici in modo da ridurre lo squilibrio tra fabbisogno di acqua e risorse idriche esistenti;

·         utilizzare le enormi potenzialità di risparmio idrico dal momento che almeno il 20% dell'acqua va perso per motivi di inefficienza.

All’argomento è stato dedicato il Consiglio informale ambiente che si è tenuto il 1° settembre 2007.

 

 


Normativa nazionale

 


 

Costituzione della Repubblica italiana. (Artt. 43 e 117)

La Costituzione fu approvata dall'Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947, promulgata dal Capo provvisorio dello Stato il 27 dicembre 1947, pubblicata nella Gazz. Uff. 27 dicembre 1947, n. 298, ediz. straord., ed entrò in vigore il 1° gennaio 1948. Vedi XVIII disp. trans. fin., comma primo.

(omissis)

43.  A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti, determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale (38).

 

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(38)  Vedi art. 41, comma terzo.

(omissis)

117.  La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali .

Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:

a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea;

b) immigrazione;

c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;

d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;

e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie;

f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;

g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;

h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;

i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;

l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;

m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;

n) norme generali sull'istruzione;

o) previdenza sociale;

p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;

q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;

r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale; opere dell'ingegno;

s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali .

Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato .

Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato .

Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.

La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.

Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.

La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni .

Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato (165).

 

(165)  Articolo così sostituito dall'art. 3, L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3. Per l'attuazione del presente articolo vedi la L. 5 giugno 2003, n. 131 e il D.Lgs. 24 aprile 2006, n. 208.


Codice Civile (artt. 822-824)

(omissis)

822. Demanio pubblico.

Appartengono allo Stato (1) e fanno parte del demanio pubblico [c.c. 1145] il lido del mare [c.c. 942], la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti [c.c. 945], i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia [c.c. 2774; c.n. 28, 29, 692] (2); le opere destinate alla difesa nazionale [c.c. 879].

Fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, le strade (3), le autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia (4), le raccolte dei musei, delle pinacoteche degli archivi, delle biblioteche; e infine gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico [c.c. 11, 823] (5).

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(1) Per quanto riguarda il demanio delle Regioni vedi l'art. 119, quarto comma, Cost.; l'art. 57, L. cost. 26 febbraio 1948, n. 5, Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige; gli artt. 32 sgg. del R.D.Lgs. 15 maggio 1946, n. 455, Statuto della Regione siciliana; l'art. 14, L. cost. 26 febbraio 1948, n. 3, Statuto speciale per la Sardegna; l'art. 5, L. cost. 26 febbraio 1948, n. 4, Statuto speciale per la Valle d'Aosta; l'art. 55, L. cost. 31 gennaio 1963, n. 1, Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia.

(2) Vedi il R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, di approvazione del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici.

(3) Vedi la L. 12 febbraio 1958, n. 126, recante disposizioni per la classificazione e la sistemazione delle strade di uso pubblico.

(4) Per quanto riguarda la protezione delle bellezze naturali gli immobili di interesse storico, vedi la L. 29 giugno 1939, n. 1497, ed il relativo regolamento di esecuzione approvato con il R.D. 3 giugno 1940, n. 1357.

(5) Vedi, anche, gli artt. 3, 4, 5, R.D. 23 maggio 1924, n. 827, di approvazione del regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato. I beni culturali indicati nel presente articolo, appartenenti allo Stato, alle regioni, alle province, ai comuni, costituiscono il demanio storico, artistico, archivistico e bibliografico, sono assoggettati al regime proprio del demanio pubblico, ai sensi dell'art. 54, D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 e sono destinati al godimento pubblico ai sensi dell'art. 98 dello stesso decreto.

 

823. Condizione giuridica del demanio pubblico.

I beni che fanno parte del demanio pubblico [c.c. 822, 825], sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi [c.c. 1145], se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano [c.n. 30, 700] (1).

Spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico. Essa ha facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà [c.c. 948, 949, 950, 951] e del possesso [c.c. 1168, 1169, 1170, 1171, 1172] regolati dal presente codice.

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(1) Vedi il D.L. 5 luglio 1972, n. 288, sulla esportazione delle cose di interesse artistico ed archivistico ed il R.D. 23 maggio 1924, n. 827, di approvazione del regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato.

824. Beni delle province e dei comuni soggetti al regime dei beni demaniali.

I beni della specie di quelli indicati dal secondo comma dell'articolo 822, se appartengono alle province o ai comuni, sono soggetti al regime del demanio pubblico [c.c. 823, 1145].

Allo stesso regime sono soggetti i cimiteri e i mercati comunali [c.c. 11, 825].


D.Lgs. 28 agosto 1997 n. 281
Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali. (art. 8)

Pubblicato nella Gazz. Uff. 30 agosto 1997, n. 202.

(omissis)

Capo III - Conferenza unificata

8. Conferenza Stato-città ed autonomie locali e Conferenza unificata.

1. La Conferenza Stato-città ed autonomie locali è unificata per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane, con la Conferenza Stato-regioni (13).

2. La Conferenza Stato-città ed autonomie locali è presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, per sua delega, dal Ministro dell'interno o dal Ministro per gli affari regionali nella materia di rispettiva competenza; ne fanno parte altresì il Ministro del tesoro e del bilancio e della programmazione economica, il Ministro delle finanze, il Ministro dei lavori pubblici, il Ministro della sanità, il presidente dell'Associazione nazionale dei comuni d'Italia - ANCI, il presidente dell'Unione province d'Italia - UPI ed il presidente dell'Unione nazionale comuni, comunità ed enti montani - UNCEM. Ne fanno parte inoltre quattordici sindaci designati dall'ANCI e sei presidenti di provincia designati dall'UPI. Dei quattordici sindaci designati dall'ANCI cinque rappresentano le città individuate dall'articolo 17 della legge 8 giugno 1990, n. 142. Alle riunioni possono essere invitati altri membri del Governo, nonché rappresentanti di amministrazioni statali, locali o di enti pubblici (14).

3. La Conferenza Stato-città ed autonomie locali è convocata almeno ogni tre mesi, e comunque in tutti i casi il presidente ne ravvisi la necessità o qualora ne faccia richiesta il presidente dell'ANCI, dell'UPI o dell'UNCEM (15).

4. La Conferenza unificata di cui al comma 1 è convocata dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Le sedute sono presiedute dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, su sua delega, dal Ministro per gli affari regionali o, se tale incarico non è conferito, dal Ministro dell'interno (16).


(13)  La Corte costituzionale con sentenza 10-14 dicembre 1998, n. 408 (Gazz. Uff. 16 dicembre 1998, n. 50, Serie speciale), ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, prima parte, sollevate dalla Regione Siciliana, in riferimento agli artt. 14, 15, 17 e 20 dello Statuto siciliano ed agli artt. 3, 5, 92, 95, 114, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione, e dalla Regione Puglia, in riferimento agli artt. 5, 76, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione;

ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, commi 2 e 3, e dell'art. 9, commi 5, 6 e 7, sollevata in riferimento all'art. 76 della Costituzione;

ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, dell'art. 8, commi 1 e 4, e dell'art. 9, sollevate dalla Regione Siciliana, in riferimento agli artt. 14, 15, 17 e 20 dello Statuto siciliano e agli artt. 3, 5, 92, 95, 114, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione, e dalla Regione Puglia, in riferimento agli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione;

ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, commi 5 e 6, sollevata dalla Regione Puglia, in riferimento agli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione;

ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, sollevata dalla Regione Puglia, in riferimento agli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione.

(14) Comma così modificato dal comma 21 dell'art. 1, D.L. 18 maggio 2006, n. 181.

(15)  Vedi, anche, l'art. 28, L. 8 marzo 2000, n. 53.

(16)  La Corte costituzionale con sentenza 10-14 dicembre 1998, n. 408 (Gazz. Uff. 16 dicembre 1998, n. 50, Serie speciale), ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, prima parte, sollevate dalla Regione Siciliana, in riferimento agli artt. 14, 15, 17 e 20 dello Statuto siciliano ed agli artt. 3, 5, 92, 95, 114, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione, e dalla Regione Puglia, in riferimento agli artt. 5, 76, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione;

ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, commi 2 e 3, e dell'art. 9, commi 5, 6 e 7, sollevata in riferimento all'art. 76 della Costituzione;

ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, dell'art. 8, commi 1 e 4, e dell'art. 9, sollevate dalla Regione Siciliana, in riferimento agli artt. 14, 15, 17 e 20 dello Statuto siciliano e agli artt. 3, 5, 92, 95, 114, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione, e dalla Regione Puglia, in riferimento agli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione;

ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, commi 5 e 6, sollevata dalla Regione Puglia, in riferimento agli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione;

ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, sollevata dalla Regione Puglia, in riferimento agli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione.


D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267
Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. (artt. 8, 113 e 113-bis)

Pubblicato nella Gazz. Uff. 28 settembre 2000, n. 227, S.O. 

(omissis)

8.  Partecipazione popolare.

1. I comuni, anche su base di quartiere o di frazione, valorizzano le libere forme associative e promuovono organismi di partecipazione popolare all'amministrazione locale. I rapporti di tali forme associative sono disciplinati dallo statuto.

2. Nel procedimento relativo all'adozione di atti che incidono su situazioni giuridiche soggettive devono essere previste forme di partecipazione degli interessati secondo le modalità stabilite dallo statuto, nell'osservanza dei princìpi stabiliti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241.

3. Nello statuto devono essere previste forme di consultazione della popolazione nonché procedure per l'ammissione di istanze, petizioni e proposte di cittadini singoli o associati dirette a promuovere interventi per la migliore tutela di interessi collettivi e devono essere, altresì, determinate le garanzie per il loro tempestivo esame. Possono essere, altresì, previsti referendum anche su richiesta di un adeguato numero di cittadini.

4. Le consultazioni e i referendum di cui al presente articolo devono riguardare materie di esclusiva competenza locale e non possono avere luogo in coincidenza con operazioni elettorali provinciali, comunali e circoscrizionali.

5. Lo statuto, ispirandosi ai princìpi di cui alla legge 8 marzo 1994, n. 203 e al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, promuove forme di partecipazione alla vita pubblica locale dei cittadini dell'Unione europea e degli stranieri regolarmente soggiornanti (12).

 

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(12)  Il presente articolo corrisponde all'art. 6, L. 8 giugno 1990, n. 142, ora abrogata.

(omissis)

113.  Gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (154).

1. Le disposizioni del presente articolo che disciplinano le modalità di gestione ed affidamento dei servizi pubblici locali concernono la tutela della concorrenza e sono inderogabili ed integrative delle discipline di settore. Restano ferme le altre disposizioni di settore e quelle di attuazione di specifiche normative comunitarie. Restano esclusi dal campo di applicazione del presente articolo i settori disciplinati dai decreti legislativi 16 marzo 1999, n. 79, e 23 maggio 2000, n. 164 (155).

1-bis. Le disposizioni del presente articolo non si applicano al settore del trasporto pubblico locale che resta disciplinato dal decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, e successive modificazioni (156).

2. Gli enti locali non possono cedere la proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni destinati all'esercizio dei servizi pubblici di cui al comma 1, salvo quanto stabilito dal comma 13.

2-bis. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli impianti di trasporti a fune per la mobilità turistico-sportiva eserciti in aree montane (157).

3. Le discipline di settore stabiliscono i casi nei quali l'attività di gestione delle reti e degli impianti destinati alla produzione dei servizi pubblici locali di cui al comma 1 può essere separata da quella di erogazione degli stessi. È, in ogni caso, garantito l'accesso alle reti a tutti i soggetti legittimati all'erogazione dei relativi servizi.

4. Qualora sia separata dall'attività di erogazione dei servizi, per la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali gli enti locali, anche in forma associata, si avvalgono:

a) di soggetti allo scopo costituiti, nella forma di società di capitali con la partecipazione totalitaria di capitale pubblico cui può essere affidata direttamente tale attività, a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano (158);

b) di imprese idonee, da individuare mediante procedure ad evidenza pubblica, ai sensi del comma 7.

5. L'erogazione del servizio avviene secondo le discipline di settore e nel rispetto della normativa dell'Unione europea, con conferimento della titolarità del servizio:

a) a società di capitali individuate attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica;

b) a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche;

c) a società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano (159).

5-bis. Le normative di settore, al fine di superare assetti monopolistici, possono introdurre regole che assicurino concorrenzialità nella gestione dei servizi da esse disciplinati prevedendo, nel rispetto delle disposizioni di cui al comma 5, criteri di gradualità nella scelta della modalità di conferimento del servizio (160).

5-ter. In ogni caso in cui la gestione della rete, separata o integrata con l'erogazione dei servizi, non sia stata affidata con gara ad evidenza pubblica, i soggetti gestori di cui ai precedenti commi provvedono all'esecuzione dei lavori comunque connessi alla gestione della rete esclusivamente mediante contratti di appalto o di concessione di lavori pubblici, aggiudicati a seguito di procedure di evidenza pubblica, ovvero in economia nei limiti di cui all'articolo 24 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e all'articolo 143 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554. Qualora la gestione della rete, separata o integrata con la gestione dei servizi, sia stata affidata con procedure di gara, il soggetto gestore può realizzare direttamente i lavori connessi alla gestione della rete, purché qualificato ai sensi della normativa vigente e purché la gara espletata abbia avuto ad oggetto sia la gestione del servizio relativo alla rete, sia l'esecuzione dei lavori connessi. Qualora, invece, la gara abbia avuto ad oggetto esclusivamente la gestione del servizio relativo alla rete, il gestore deve appaltare i lavori a terzi con le procedure ad evidenza pubblica previste dalla legislazione vigente (161).

6. Non sono ammesse a partecipare alle gare di cui al comma 5 le società che, in Italia o all'estero, gestiscono a qualunque titolo servizi pubblici locali in virtù di un affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica, o a seguito dei relativi rinnovi; tale divieto si estende alle società controllate o collegate, alle loro controllanti, nonché alle società controllate o collegate con queste ultime. Sono parimenti esclusi i soggetti di cui al comma 4.

7. La gara di cui al comma 5 è indetta nel rispetto degli standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa distribuzione sul territorio e di sicurezza definiti dalla competente Autorità di settore o, in mancanza di essa, dagli enti locali. La gara è aggiudicata sulla base del migliore livello di qualità e sicurezza e delle condizioni economiche e di prestazione del servizio, dei piani di investimento per lo sviluppo e il potenziamento delle reti e degli impianti, per il loro rinnovo e manutenzione, nonché dei contenuti di innovazione tecnologica e gestionale. Tali elementi fanno parte integrante del contratto di servizio. Le previsioni di cui al presente comma devono considerarsi integrative delle discipline di settore (162).

8. Qualora sia economicamente più vantaggioso, è consentito l'affidamento contestuale con gara di una pluralità di servizi pubblici locali diversi da quelli del trasporto collettivo. In questo caso, la durata dell'affidamento, unica per tutti i servizi, non può essere superiore alla media calcolata sulla base della durata degli affidamenti indicata dalle discipline di settore.

9. Alla scadenza del periodo di affidamento, e in esito alla successiva gara di affidamento, le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali di proprietà degli enti locali o delle società di cui al comma 13 sono assegnati al nuovo gestore. Sono, inoltre, assegnati al nuovo gestore le reti o loro porzioni, gli impianti e le altre dotazioni realizzate, in attuazione dei piani di investimento di cui al comma 7, dal gestore uscente. A quest'ultimo è dovuto da parte del nuovo gestore un indennizzo pari al valore dei beni non ancora ammortizzati, il cui ammontare è indicato nel bando di gara.

10. È vietata ogni forma di differenziazione nel trattamento dei gestori di pubblico servizio in ordine al regime tributario, nonché alla concessione da chiunque dovuta di contribuzioni o agevolazioni per la gestione del servizio.

11. I rapporti degli enti locali con le società di erogazione del servizio e con le società di gestione delle reti e degli impianti sono regolati da contratti di servizio, allegati ai capitolati di gara, che dovranno prevedere i livelli dei servizi da garantire e adeguati strumenti di verifica del rispetto dei livelli previsti.

12. L'ente locale può cedere tutto o in parte la propria partecipazione nelle società erogatrici di servizi mediante procedure ad evidenza pubblica da rinnovarsi alla scadenza del periodo di affidamento. Tale cessione non comporta effetti sulla durata delle concessioni e degli affidamenti in essere (163).

13. Gli enti locali, anche in forma associata, nei casi in cui non sia vietato dalle normative di settore, possono conferire la proprietà delle reti, degli impianti, e delle altre dotazioni patrimoniali a società a capitale interamente pubblico, che è incedibile. Tali società pongono le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali a disposizione dei gestori incaricati della gestione del servizio o, ove prevista la gestione separata della rete, dei gestori di quest'ultima, a fronte di un canone stabilito dalla competente Autorità di settore, ove prevista, o dagli enti locali. Alla società suddetta gli enti locali possono anche assegnare, ai sensi della lettera a) del comma 4, la gestione delle reti, nonché il compito di espletare le gare di cui al comma 5 (164).

14. Fermo restando quanto disposto dal comma 3, se le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali per la gestione dei servizi di cui al comma 1 sono di proprietà di soggetti diversi dagli enti locali, questi possono essere autorizzati a gestire i servizi o loro segmenti, a condizione che siano rispettati gli standard di cui al comma 7 e siano praticate tariffe non superiori alla media regionale, salvo che le discipline di carattere settoriale o le relative Autorità dispongano diversamente. Tra le parti è in ogni caso stipulato, ai sensi del comma 11, un contratto di servizio in cui sono definite, tra l'altro, le misure di coordinamento con gli eventuali altri gestori.

15. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano, se incompatibili con le attribuzioni previste dallo statuto e dalle relative norme di attuazione (165).

15-bis. Nel caso in cui le disposizioni previste per i singoli settori non stabiliscano un congruo periodo di transizione, ai fini dell'attuazione delle disposizioni previste nel presente articolo, le concessioni rilasciate con procedure diverse dall'evidenza pubblica cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2006, relativamente al solo servizio idrico integrato al 31 dicembre 2007, senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante. Sono escluse dalla cessazione le concessioni affidate a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato sia stato scelto mediante procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza, nonché quelle affidate a società a capitale interamente pubblico a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano. Sono altresì escluse dalla cessazione le concessioni affidate alla data del 1° ottobre 2003 a società già quotate in borsa e a quelle da esse direttamente partecipate a tale data a condizione che siano concessionarie esclusive del servizio, nonché a società originariamente a capitale interamente pubblico che entro la stessa data abbiano provveduto a collocare sul mercato quote di capitale attraverso procedure ad evidenza pubblica, ma, in entrambe le ipotesi indicate, le concessioni cessano comunque allo spirare del termine equivalente a quello della durata media delle concessioni aggiudicate nello stesso settore a seguito di procedure di evidenza pubblica, salva la possibilità di determinare caso per caso la cessazione in una data successiva qualora la stessa risulti proporzionata ai tempi di recupero di particolari investimenti effettuati da parte del gestore (166).

15-ter. Il termine del 31 dicembre 2006, relativamente al solo servizio idrico integrato al 31 dicembre 2007, di cui al comma 15-bis, può essere differito ad una data successiva, previo accordo, raggiunto caso per caso, con la Commissione europea, alle condizioni sotto indicate:

a) nel caso in cui, almeno dodici mesi prima dello scadere del suddetto termine si dia luogo, mediante una o più fusioni, alla costituzione di una nuova società capace di servire un bacino di utenza complessivamente non inferiore a due volte quello originariamente servito dalla società maggiore; in questa ipotesi il differimento non può comunque essere superiore ad un anno;

b) nel caso in cui, entro il termine di cui alla lettera a), un'impresa affidataria, anche a seguito di una o più fusioni, si trovi ad operare in un àmbito corrispondente almeno all'intero territorio provinciale ovvero a quello ottimale, laddove previsto dalle norme vigenti; in questa ipotesi il differimento non può comunque essere superiore a due anni (167).

15-quater. A decorrere dal 1° gennaio 2007 si applica il divieto di cui al comma 6, salvo nei casi in cui si tratti dell'espletamento delle prime gare aventi ad oggetto i servizi forniti dalle società partecipanti alla gara stessa. Con regolamento da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, sentite le Autorità indipendenti del settore e la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, il Governo definisce le condizioni per l'ammissione alle gare di imprese estere, o di imprese italiane che abbiano avuto all'estero la gestione del servizio senza ricorrere a procedure di evidenza pubblica, a condizione che, nel primo caso, sia fatto salvo il principio di reciprocità e siano garantiti tempi certi per l'effettiva apertura dei relativi mercati (168) (169).

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(154)  Rubrica così modificata dal comma 1 dell'art. 14, D.L. 30 settembre 2003, n. 269.

(155)  Comma così sostituito dal comma 1 dell'art. 14, D.L. 30 settembre 2003, n. 269, come modificato dalla relativa legge di conversione.

(156)  Comma aggiunto dall'art. 1, comma 48, L. 15 dicembre 2004, n. 308.

(157)  Comma aggiunto dall'art. 1, comma 48, L. 15 dicembre 2004, n. 308.

(158)  Lettera così modificata dal comma 1 dell'art. 14, D.L. 30 settembre 2003, n. 269.

(159)  Comma così sostituito dal comma 1 dell'art. 14, D.L. 30 settembre 2003, n. 269, come modificato dalla relativa legge di conversione.

(160)  Comma aggiunto dall'art. 4, comma 234, L. 24 dicembre 2003, n. 350.

(161)  Comma aggiunto dall'art. 4, comma 234, L. 24 dicembre 2003, n. 350.

(162)  Comma così modificato dal comma 1 dell'art. 14, D.L. 30 settembre 2003, n. 269. La Corte costituzionale, con sentenza 13-27 luglio 2004, n. 272 (Gazz. Uff. 4 agosto 2004, n. 30 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità del presente comma, limitatamente al secondo ed al terzo periodo.

(163)  Comma così modificato dal comma 1 dell'art. 14, D.L. 30 settembre 2003, n. 269.

(164)  Comma così modificato dal comma 1 dell'art. 14, D.L. 30 settembre 2003, n. 269.

(165)  Articolo così sostituito dal comma 1 dell'art. 35, L. 28 dicembre 2001, n. 448. Vedi, anche, le altre disposizioni dello stesso articolo 35.

(166)  Comma aggiunto dal comma 1 dell'art. 14, D.L. 30 settembre 2003, n. 269 e poi così modificato dal comma 234 dell'art. 4, L. 24 dicembre 2003, n. 350 e dall'art. 15, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, come modificato dalla relativa legge di conversione. Vedi, anche, l'art. 204, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152.

(167)  Comma aggiunto dal comma 1 dell'art. 14, D.L. 30 settembre 2003, n. 269, come modificato dalla relativa legge di conversione e poi così modificato dall'art. 15, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, come modificato dalla relativa legge di conversione.

(168)  Comma aggiunto dall'art. 4, comma 234, L. 24 dicembre 2003, n. 350. Vedi, anche, il comma 4-bis dell'art. 46-bis, D.L. 1° ottobre 2007, n. 159, aggiunto dal comma 175 dell'art. 2, L. 24 dicembre 2007, n. 244.

(169) Il presente articolo è stato abrogato dal comma 11 dell'art. 23-bis, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, aggiunto dalla relativa legge di conversione, nelle parti con esso incompatibili.

 

113-bis. Gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica (170).

1. Ferme restando le disposizioni previste per i singoli settori, i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica sono gestiti mediante affidamento diretto a (171):

a) istituzioni;

b) aziende speciali, anche consortili;

c) società a capitale interamente pubblico a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano (172).

2. È consentita la gestione in economia quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio, non sia opportuno procedere ad affidamento ai soggetti di cui al comma 1.

3. Gli enti locali possono procedere all'affidamento diretto dei servizi culturali e del tempo libero anche ad associazioni e fondazioni da loro costituite o partecipate.

4. [Quando sussistono ragioni tecniche, economiche o di utilità sociale, i servizi di cui ai commi 1, 2 e 3 possono essere affidati a terzi, in base a procedure ad evidenza pubblica, secondo le modalità stabilite dalle normative di settore] (173).

5. I rapporti tra gli enti locali ed i soggetti erogatori dei servizi di cui al presente articolo sono regolati da contratti di servizio (174).

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(170)  Rubrica così modificata dal comma 2 dell'art. 14, D.L. 30 settembre 2003, n. 269.

(171)  Alinea così modificato dal comma 2 dell'art. 14, D.L. 30 settembre 2003, n. 269.

(172)  Lettera così sostituita dal comma 2 dell'art. 14, D.L. 30 settembre 2003, n. 269.

(173)  Comma abrogato dal comma 2 dell'art. 14, D.L. 30 settembre 2003, n. 269.

(174)  Articolo aggiunto dal comma 15 dell'art. 35, L. 28 dicembre 2001, n. 448. La Corte Costituzionale, con sentenza 13-27 luglio 2004, n. 272 (Gazz. Uff. 4 agosto 2004, n. 30 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità del presente articolo.

 


D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152
Norme in materia ambientale (Parte terza)

 

(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 14 aprile 2006, n. 88, S.O.

(2) Vedi, anche, l'art. 1, D.Lgs. 8 novembre 2006, n. 284.

 (omissis)

Parte terza

Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall'inquinamento e di gestione delle risorse idriche (47)

 

Sezione I

Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione

 

Titolo I

Principi generali e competenze

 

Capo I

Principi generali

 

53. Finalità.

1. Le disposizioni di cui alla presente sezione sono volte ad assicurare la tutela ed il risanamento del suolo e del sottosuolo, il risanamento idrogeologico del territorio tramite la prevenzione dei fenomeni di dissesto, la messa in sicurezza delle situazioni a rischio e la lotta alla desertificazione,

2. Per il conseguimento delle finalità di cui al comma 1, la pubblica amministrazione svolge ogni opportuna azione di carattere conoscitivo, di programmazione e pianificazione degli interventi, nonché preordinata alla loro esecuzione, in conformità alle disposizioni che seguono.

3. Alla realizzazione delle attività previste al comma 1 concorrono, secondo le rispettive competenze, lo Stato, le regioni a statuto speciale ed ordinario, le province autonome di Trento e di Bolzano, le province, i comuni e le comunità montane e i consorzi di bonifica e di irrigazione (48).

 

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(47) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

(48) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

54. Definizioni.

1. Ai fini della presente sezione si intende per:

a) suolo: il territorio, il suolo, il sottosuolo, gli abitati e le opere infrastrutturali;

b) acque: le acque meteoriche e le acque superficiali e sotterranee come di seguito specificate;

c) acque superficiali: le acque interne, ad eccezione delle sole acque sotterranee, le acque di transizione e le acque costiere, tranne per quanto riguarda lo stato chimico, in relazione al quale sono incluse anche le acque territoriali;

d) acque sotterranee: tutte le acque che si trovano sotto la superficie del suolo nella zona di saturazione e a contatto diretto con il suolo o il sottosuolo;

e) acque interne: tutte le acque superficiali correnti o stagnanti e tutte le acque sotterranee all'interno della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali;

f) fiume: un corpo idrico interno che scorre prevalentemente in superficie, ma che può essere parzialmente sotterraneo;

g) lago: un corpo idrico superficiale interno fermo;

h) acque di transizione: i corpi idrici superficiali in prossimità della foce di un fiume, che sono parzialmente di natura salina a causa della loro vicinanza alle acque costiere, ma sostanzialmente influenzati dai flussi di acqua dolce;

i) acque costiere: le acque superficiali situate all'interno rispetto a una retta immaginaria distante, in ogni suo punto, un miglio nautico sul lato esterno dal punto più vicino della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali, e che si estendono eventualmente fino al limite esterno delle acque di transizione;

l) corpo idrico superficiale: un elemento distinto e significativo di acque superficiali, quale un lago, un bacino artificiale, un torrente, un fiume o canale, parte di un torrente, fiume o canale, nonché di acque di transizione o un tratto di acque costiere;

m) corpo idrico artificiale: un corpo idrico superficiale creato da un'attività umana;

n) corpo idrico fortemente modificato: un corpo idrico superficiale la cui natura, a seguito di alterazioni fisiche dovute a un'attività umana, è sostanzialmente modificata;

o) corpo idrico sotterraneo: un volume distinto di acque sotterranee contenute da una o più falde acquifere;

p) falda acquifera: uno o più strati sotterranei di roccia o altri strati geologici di porosità e permeabilità sufficiente da consentire un flusso significativo di acque sotterranee o l'estrazione di quantità significative di acque sotterranee;

q) reticolo idrografico: l'insieme degli elementi che costituiscono il sistema drenante alveato del bacino idrografico;

r) bacino idrografico: il territorio nel quale scorrono tutte le acque superficiali attraverso una serie di torrenti, fiumi ed eventualmente laghi per sfociare al mare in un’unica foce, a estuario o delta;

s) sottobacino o sub-bacino: il territorio nel quale scorrono tutte le acque superficiali attraverso una serie di torrenti, fiumi ed eventualmente laghi per sfociare in un punto specifico di un corso d'acqua, di solito un lago o la confluenza di un fiume;

t) distretto idrografico: area di terra e di mare, costituita da uno o più bacini idrografici limitrofi e dalle rispettive acque sotterranee e costiere che costituisce la principale unità per la gestione dei bacini idrografici;

u) difesa del suolo: il complesso delle azioni ed attività riferibili alla tutela e salvaguardia del territorio, dei fiumi, dei canali e collettori, degli specchi lacuali, delle lagune, della fascia costiera, delle acque sotterranee, nonché del territorio a questi connessi, aventi le finalità di ridurre il rischio idraulico, stabilizzare i fenomeni di dissesto geologico, ottimizzare l'uso e la gestione del patrimonio idrico, valorizzare le caratteristiche ambientali e paesaggistiche collegate;

v) dissesto idrogeologico: la condizione che caratterizza aree ove processi naturali o antropici, relativi alla dinamica dei corpi idrici, del suolo o dei versanti, determinano condizioni di rischio sul territorio;

z) opera idraulica: l'insieme degli elementi che costituiscono il sistema drenante alveato del bacino idrografico (49).

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(49) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

55. Attività conoscitiva.

1. Nell'attività conoscitiva, svolta per le finalità di cui all'articolo 53 e riferita all'intero territorio nazionale, si intendono comprese le azioni di:

a) raccolta, elaborazione, archiviazione e diffusione dei dati;

b) accertamento, sperimentazione, ricerca e studio degli elementi dell'ambiente fisico e delle condizioni generali di rischio;

c) formazione ed aggiornamento delle carte tematiche del territorio;

d) valutazione e studio degli effetti conseguenti alla esecuzione dei piani, dei programmi e dei progetti di opere previsti dalla presente sezione;

e) attuazione di ogni iniziativa a carattere conoscitivo ritenuta necessaria per il conseguimento delle finalità di cui all'articolo 53.

2. L'attività conoscitiva di cui al presente articolo è svolta, sulla base delle deliberazioni di cui all'articolo 57, comma 1, secondo criteri, metodi e standard di raccolta, elaborazione e consultazione, nonché modalità di coordinamento e di collaborazione tra i soggetti pubblici comunque operanti nel settore, che garantiscano la possibilità di omogenea elaborazione ed analisi e la costituzione e gestione, ad opera del Servizio geologico d’Italia - Dipartimento difesa del suolo dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT) di cui all'articolo 38 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, di un unico sistema informativo, cui vanno raccordati i sistemi informativi regionali e quelli delle province autonome.

3. È fatto obbligo alle Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, nonché alle istituzioni ed agli enti pubblici, anche economici, che comunque raccolgano dati nel settore della difesa del suolo, di trasmetterli alla regione territorialmente interessata ed al Servizio geologico d’Italia - Dipartimento difesa del suolo dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), secondo le modalità definite ai sensi del comma 2 del presente articolo.

4. L'Associazione nazionale Comuni italiani (ANCI) contribuisce allo svolgimento dell'attività conoscitiva di cui al presente articolo, in particolare ai fini dell'attuazione delle iniziative di cui al comma 1, lettera e), nonché ai fini della diffusione dell'informazione ambientale di cui agli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, di recepimento della direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2003, e in attuazione di quanto previsto dall'articolo 1 della legge 17 maggio 1999, n. 144, e altresì con riguardo a:

a) inquinamento dell'aria;

b) inquinamento delle acque, riqualificazione fluviale e ciclo idrico integrato;

c) inquinamento acustico, elettromagnetico e luminoso;

d) tutela del territorio;

e) sviluppo sostenibile;

f) ciclo integrato dei rifiuti;

g) energie da fonti energetiche rinnovabili;

h) parchi e aree protette.

5. L'ANCI provvede all'esercizio delle attività di cui al comma 4 attraverso la raccolta e l'elaborazione dei dati necessari al monitoraggio della spesa ambientale sul territorio nazionale in regime di convenzione con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio sono definiti i criteri e le modalità di esercizio delle suddette attività. Per lo svolgimento di queste ultime viene destinata, nei limiti delle previsioni di spesa di cui alla convenzione in essere, una somma non inferiore all'uno e cinquanta per cento dell'ammontare della massa spendibile annualmente delle spese d'investimento previste per il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio. Per l'esercizio finanziario 2006, all'onere di cui sopra si provvede a valere sul fondo da ripartire per la difesa del suolo e la tutela ambientale (50) (51).

 

(50) In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.M. 2 maggio 2006. Con Comunicato 26 giugno 2006 (Gazz. Uff. 26 giugno 2006, n. 146) è stata segnalata l’inefficacia del suddetto D.M. 2 maggio 2006 il quale, non essendo stato inviato alla Corte dei Conti per essere sottoposto al preventivo e necessario controllo, non ha ottenuto la registrazione prevista dalla legge e, conseguentemente, non può considerarsi giuridicamente produttivo di effetti.

(51) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

56. Attività di pianificazione, di programmazione e di attuazione.

1. Le attività di programmazione, di pianificazione e di attuazione degli interventi destinati a realizzare le finalità di cui all'articolo 53 riguardano, ferme restando le competenze e le attività istituzionali proprie del Servizio nazionale di protezione civile, in particolare:

a) la sistemazione, la conservazione ed il recupero del suolo nei bacini idrografici, con interventi idrogeologici, idraulici, idraulico-forestali, idraulico-agrari, silvo-pastorali, di forestazione e di bonifica, anche attraverso processi di recupero naturalistico, botanico e faunistico;

b) la difesa, la sistemazione e la regolazione dei corsi d'acqua, dei rami terminali dei fiumi e delle loro foci nel mare, nonché delle zone umide;

c) la moderazione delle piene, anche mediante serbatoi di invaso, vasche di laminazione, casse di espansione, scaricatori, scolmatori, diversivi o altro, per la difesa dalle inondazioni e dagli allagamenti;

d) la disciplina delle attività estrattive nei corsi d'acqua, nei laghi, nelle lagune ed in mare, al fine di prevenire il dissesto del territorio, inclusi erosione ed abbassamento degli alvei e delle coste;

e) la difesa e il consolidamento dei versanti e delle aree instabili, nonché la difesa degli abitati e delle infrastrutture contro i movimenti franosi, le valanghe e altri fenomeni di dissesto;

f) il contenimento dei fenomeni di subsidenza dei suoli e di risalita delle acque marine lungo i fiumi e nelle falde idriche, anche mediante operazioni di ristabilimento delle preesistenti condizioni di equilibrio e delle falde sotterranee;

g) la protezione delle coste e degli abitati dall'invasione e dall'erosione delle acque marine ed il rifacimento degli arenili, anche mediante opere di ricostituzione dei cordoni dunosi;

h) la razionale utilizzazione delle risorse idriche superficiali e profonde, con una efficiente rete idraulica, irrigua ed idrica, garantendo, comunque, che l'insieme delle derivazioni non pregiudichi il minimo deflusso vitale negli alvei sottesi nonché la polizia delle acque;

i) lo svolgimento funzionale dei servizi di polizia idraulica, di navigazione interna, nonché della gestione dei relativi impianti;

l) la manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere e degli impianti nel settore e la conservazione dei beni;

m) la regolamentazione dei territori interessati dagli interventi di cui alle lettere precedenti ai fini della loro tutela ambientale, anche mediante la determinazione di criteri per la salvaguardia e la conservazione delle aree demaniali e la costituzione di parchi fluviali e lacuali e di aree protette;

n) il riordino del vincolo idrogeologico.

2. Le attività di cui al comma 1 sono svolte secondo criteri, metodi e standard, nonché modalità di coordinamento e di collaborazione tra i soggetti pubblici comunque competenti, preordinati, tra l'altro, a garantire omogeneità di:

a) condizioni di salvaguardia della vita umana e del territorio, ivi compresi gli abitati ed i beni;

b) modalità di utilizzazione delle risorse e dei beni, e di gestione dei servizi connessi (52).

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(52) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

Capo II

Competenze

57. Presidente del Consiglio dei Ministri, Comitato dei Ministri per gli interventi nel settore della difesa del suolo.

1. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, approva con proprio decreto:

a) su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio:

1) le deliberazioni concernenti i metodi ed i criteri, anche tecnici, per lo svolgimento delle attività di cui agli articoli 55 e 56, nonché per la verifica ed il controllo dei piani di bacino e dei programmi di intervento;

2) i piani di bacino, sentita la Conferenza Stato-regioni;

3) gli atti volti a provvedere in via sostitutiva, previa diffida, in caso di persistente inattività dei soggetti ai quali sono demandate le funzioni previste dalla presente sezione;

4) ogni altro atto di indirizzo e coordinamento nel settore disciplinato dalla presente sezione;

b) su proposta del Comitato dei Ministri di cui al comma 2, il programma nazionale di intervento.

2. Il Comitato dei Ministri per gli interventi nel settore della difesa del suolo opera presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il Comitato presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, su sua delega, dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, è composto da quest'ultimo e dai Ministri delle infrastrutture e dei trasporti, delle attività produttive, delle politiche agricole e forestali, per gli affari regionali e per i beni e le attività culturali, nonché dal delegato del Presidente del Consiglio dei Ministri in materia di protezione civile.

3. Il Comitato dei Ministri ha funzioni di alta vigilanza ed adotta gli atti di indirizzo e di coordinamento delle attività. Propone al Presidente del Consiglio dei Ministri lo schema di programma nazionale di intervento, che coordina con quelli delle regioni e degli altri enti pubblici a carattere nazionale, verificandone l'attuazione.

4. Al fine di assicurare il necessario coordinamento tra le diverse amministrazioni interessate, il Comitato dei Ministri propone gli indirizzi delle politiche settoriali direttamente o indirettamente connesse con gli obiettivi e i contenuti della pianificazione di distretto e ne verifica la coerenza nella fase di approvazione dei relativi atti.

5. Per lo svolgimento delle funzioni di segreteria tecnica, il Comitato dei Ministri si avvale delle strutture delle Amministrazioni statali competenti.

6. I princìpi degli atti di indirizzo e coordinamento di cui al presente articolo sono definiti sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano (53).

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(53) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

58. Competenze del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio.

1. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio esercita le funzioni e i compiti spettanti allo Stato nelle materie disciplinate dalla presente sezione, ferme restando le competenze istituzionali del Servizio nazionale di protezione civile.

2. In particolare, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio:

a) formula proposte, sentita la Conferenza Stato-regioni, ai fini dell'adozione, ai sensi dell'articolo 57, degli indirizzi e dei criteri per lo svolgimento del servizio di polizia idraulica, di navigazione interna e per la realizzazione, gestione e manutenzione delle opere e degli impianti e la conservazione dei beni;

b) predispone la relazione sull'uso del suolo e sulle condizioni dell'assetto idrogeologico, da allegare alla relazione sullo stato dell'ambiente di cui all'articolo 1, comma 6, della legge 8 luglio 1986, n. 349, nonché la relazione sullo stato di attuazione dei programmi triennali di intervento per la difesa del suolo, di cui all'articolo 69, da allegare alla relazione previsionale e programmatica. La relazione sull'uso del suolo e sulle condizioni dell'assetto idrogeologico e la relazione sullo stato dell'ambiente sono redatte avvalendosi del Servizio geologico d'Italia - Dipartimento difesa del suolo dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT);

c) opera, ai sensi dell'articolo 2, commi 5 e 6, della legge 8 luglio 1986, n. 349, per assicurare il coordinamento, ad ogni livello di pianificazione, delle funzioni di difesa del suolo con gli interventi per la tutela e l'utilizzazione delle acque e per la tutela dell'ambiente.

3. Ai fini di cui al comma 2, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio svolge le seguenti funzioni:

a) programmazione, finanziamento e controllo degli interventi in materia di difesa del suolo;

b) previsione, prevenzione e difesa del suolo da frane, alluvioni e altri fenomeni di dissesto idrogeologico, nel medio e nel lungo termine al fine di garantire condizioni ambientali permanenti ed omogenee, ferme restando le competenze del Dipartimento della protezione civile in merito agli interventi di somma urgenza;

c) indirizzo e coordinamento dell'attività dei rappresentanti del Ministero in seno alle Autorità di bacino distrettuale di cui all'articolo 63;

d) identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale con riferimento ai valori naturali e ambientali e alla difesa del suolo, nonché con riguardo all'impatto ambientale dell'articolazione territoriale delle reti infrastrutturali, delle opere di competenza statale e delle trasformazioni territoriali;

e) determinazione di criteri, metodi e standard di raccolta, elaborazione, da parte del Servizio geologico d'Italia - Dipartimento difesa del suolo dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), e di consultazione dei dati, definizione di modalità di coordinamento e di collaborazione tra i soggetti pubblici operanti nel settore, nonché definizione degli indirizzi per l'accertamento e lo studio degli elementi dell'ambiente fisico e delle condizioni generali di rischio;

f) valutazione degli effetti conseguenti all'esecuzione dei piani, dei programmi e dei progetti su scala nazionale di opere nel settore della difesa del suolo;

g) coordinamento dei sistemi cartografici (54).

 

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(54) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

 

59. Competenze della conferenza Stato-regioni.

1. La Conferenza Stato-regioni formula pareri, proposte ed osservazioni, anche ai fini dell'esercizio delle funzioni di indirizzo e coordinamento di cui all'articolo 57, in ordine alle attività ed alle finalità di cui alla presente sezione, ed ogni qualvolta ne è richiesta dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio. In particolare:

a) formula proposte per l'adozione degli indirizzi, dei metodi e dei criteri di cui al predetto articolo 57;

b) formula proposte per il costante adeguamento scientifico ed organizzativo del Servizio geologico d'Italia - Dipartimento difesa del suolo dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT) e per il suo coordinamento con i servizi, gli istituti, gli uffici e gli enti pubblici e privati che svolgono attività di rilevazione, studio e ricerca in materie riguardanti, direttamente o indirettamente, il settore della difesa del suolo;

c) formula osservazioni sui piani di bacino, ai fini della loro conformità agli indirizzi e ai criteri di cui all'articolo 57;

d) esprime pareri sulla ripartizione degli stanziamenti autorizzati da ciascun programma triennale tra i soggetti preposti all'attuazione delle opere e degli interventi individuati dai piani di bacino;

e) esprime pareri sui programmi di intervento di competenza statale (55).

 

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(55) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

60. Competenze dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici - APAT.

1. Ferme restando le competenze e le attività istituzionali proprie del Servizio nazionale di protezione civile, l'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT) esercita, mediante il Servizio geologico d’Italia-Dipartimento difesa del suolo, le seguenti funzioni:

a) svolgere l'attività conoscitiva, qual'è definita all'articolo 55;

b) realizzare il sistema informativo unico e la rete nazionale integrati di rilevamento e sorveglianza;

c) fornire, a chiunque ne formuli richiesta, dati, pareri e consulenze, secondo un tariffario fissato ogni biennio con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Le tariffe sono stabilite in base al principio della partecipazione al costo delle prestazioni da parte di chi ne usufruisca (56).

 

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(56) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

61.  Competenze delle regioni.

1. Le regioni, ferme restando le attività da queste svolte nell'ambito delle competenze del Servizio nazionale di protezione civile, ove occorra d'intesa tra loro, esercitano le funzioni e i compiti ad esse spettanti nel quadro delle competenze costituzionalmente determinate e nel rispetto delle attribuzioni statali, ed in particolare:

a) collaborano nel rilevamento e nell'elaborazione dei piani di bacino dei distretti idrografici secondo le direttive assunte dalla Conferenza istituzionale permanente di cui all'articolo 63, comma 4, ed adottano gli atti di competenza;

b) formulano proposte per la formazione dei programmi e per la redazione di studi e di progetti relativi ai distretti idrografici;

c) provvedono alla elaborazione, adozione, approvazione ed attuazione dei piani di tutela di cui all’articolo 121;

d) per la parte di propria competenza, dispongono la redazione e provvedono all'approvazione e all'esecuzione dei progetti, degli interventi e delle opere da realizzare nei distretti idrografici, istituendo, ove occorra, gestioni comuni;

e) provvedono, per la parte di propria competenza, all'organizzazione e al funzionamento del servizio di polizia idraulica ed a quelli per la gestione e la manutenzione delle opere e degli impianti e la conservazione dei beni;

f) provvedono all'organizzazione e al funzionamento della navigazione interna, ferme restando le residue competenze spettanti al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

g) predispongono annualmente la relazione sull'uso del suolo e sulle condizioni dell'assetto idrogeologico del territorio di competenza e sullo stato di attuazione del programma triennale in corso e la trasmettono al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio entro il mese di dicembre;

h) assumono ogni altra iniziativa ritenuta necessaria in materia di conservazione e difesa del territorio, del suolo e del sottosuolo e di tutela ed uso delle acque nei bacini idrografici di competenza ed esercitano ogni altra funzione prevista dalla presente sezione.

2. Il Registro italiano dighe (RID) provvede in via esclusiva, anche nelle zone sismiche, alla identificazione e al controllo dei progetti delle opere di sbarramento, delle dighe di ritenuta o traverse che superano 15 metri di altezza o che determinano un volume di invaso superiore a 1.000.000 di metri cubi. Restano di competenza del Ministero delle attività produttive tutte le opere di sbarramento che determinano invasi adibiti esclusivamente a deposito o decantazione o lavaggio di residui industriali.

3. Rientrano nella competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano le attribuzioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 1° novembre 1959, n. 1363, per gli sbarramenti che non superano i 15 metri di altezza e che determinano un invaso non superiore a 1.000.000 di metri cubi. Per tali sbarramenti, ove posti al servizio di grandi derivazioni di acqua di competenza statale, restano ferme le attribuzioni del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Il Registro italiano dighe (RID) fornisce alle regioni il supporto tecnico richiesto.

4. Resta di competenza statale la normativa tecnica relativa alla progettazione e costruzione delle dighe di sbarramento di qualsiasi altezza e capacità di invaso.

5. Le funzioni relative al vincolo idrogeologico di cui al regio decreto-legge 30 dicembre 1923, n. 3267, sono interamente esercitate dalle regioni.

6. Restano ferme tutte le altre funzioni amministrative già trasferite o delegate alle regioni (57).

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(57) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

62.  Competenze degli enti locali e di altri soggetti.

1. I comuni, le province, i loro consorzi o associazioni, le comunità montane, i consorzi di bonifica e di irrigazione, i consorzi di bacino imbrifero montano e gli altri enti pubblici e di diritto pubblico con sede nel distretto idrografico partecipano all'esercizio delle funzioni regionali in materia di difesa del suolo nei modi e nelle forme stabilite dalle regioni singolarmente o d'intesa tra loro, nell'ambito delle competenze del sistema delle autonomie locali.

2. Gli enti di cui al comma 1 possono avvalersi, sulla base di apposite convenzioni, del Servizio geologico d’Italia - Dipartimento difesa del suolo dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT) e sono tenuti a collaborare con la stessa (58).

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(58) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

63. Autorità di bacino distrettuale.

1. In ciascun distretto idrografico di cui all'articolo 64 è istituita l'Autorità di bacino distrettuale, di seguito Autorità di bacino, ente pubblico non economico che opera in conformità agli obiettivi della presente sezione ed uniforma la propria attività a criteri di efficienza, efficacia, economicità e pubblicità.

2. Sono organi dell'Autorità di bacino: la Conferenza istituzionale permanente, il Segretario generale, la Segreteria tecnico-operativa e la Conferenza operativa di servizi. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per la funzione pubblica, da emanarsi sentita la Conferenza permanente Stato-regioni entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, sono definiti i criteri e le modalità per l'attribuzione o il trasferimento del personale e delle risorse patrimoniali e finanziarie, salvaguardando i livelli occupazionali, definiti alla data del 31 dicembre 2005, e previa consultazione dei sindacati.

3. Le autorità di bacino previste dalla legge 18 maggio 1989, n. 183, sono soppresse a far data dal 30 aprile 2006 e le relative funzioni sono esercitate dalle Autorità di bacino distrettuale di cui alla parte terza del presente decreto. Il decreto di cui al comma 2 disciplina il trasferimento di funzioni e regolamenta il periodo transitorio.

4. Gli atti di indirizzo, coordinamento e pianificazione delle Autorità di bacino vengono adottati in sede di Conferenza istituzionale permanente presieduta e convocata, anche su proposta delle amministrazioni partecipanti, dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio su richiesta del Segretario generale, che vi partecipa senza diritto di voto. Alla Conferenza istituzionale permanente partecipano i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio, delle infrastrutture e dei trasporti, delle attività produttive, delle politiche agricole e forestali, per la funzione pubblica, per i beni e le attività culturali o i Sottosegretari dai medesimi delegati, nonché i Presidenti delle regioni e delle province autonome il cui territorio è interessato dal distretto idrografico o gli Assessori dai medesimi delegati, oltre al delegato del Dipartimento della protezione civile. Alle conferenze istituzionali permanenti del distretto idrografico della Sardegna e del distretto idrografico della Sicilia partecipano, oltre ai Presidenti delle rispettive regioni, altri due rappresentanti per ciascuna delle predette regioni, nominati dai Presidenti regionali. La conferenza istituzionale permanente delibera a maggioranza. Gli atti di pianificazione tengono conto delle risorse finanziarie previste a legislazione vigente.

5. La conferenza istituzionale permanente di cui al comma 4:

a) adotta criteri e metodi per la elaborazione del Piano di bacino in conformità agli indirizzi ed ai criteri di cui all'articolo 57;

b) individua tempi e modalità per l'adozione del Piano di bacino, che potrà eventualmente articolarsi in piani riferiti a sub-bacini;

c) determina quali componenti del piano costituiscono interesse esclusivo delle singole regioni e quali costituiscono interessi comuni a più regioni;

d) adotta i provvedimenti necessari per garantire comunque l'elaborazione del Piano di bacino;

e) adotta il Piano di bacino;

f) controlla l'attuazione degli schemi previsionali e programmatici del Piano di bacino e dei programmi triennali e, in caso di grave ritardo nell'esecuzione di interventi non di competenza statale rispetto ai tempi fissati nel programma, diffida l'amministrazione inadempiente, fissando il termine massimo per l'inizio dei lavori. Decorso infruttuosamente tale termine, all'adozione delle misure necessarie ad assicurare l'avvio dei lavori provvede, in via sostitutiva, il Presidente della Giunta regionale interessata che, a tal fine, può avvalersi degli organi decentrati e periferici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

g) nomina il Segretario generale.

6. La Conferenza operativa di servizi è composta dai rappresentanti dei Ministeri di cui al comma 4, delle regioni e delle province autonome interessate, nonché da un rappresentante del Dipartimento della protezione civile; è convocata dal Segretario Generale, che la presiede, e provvede all'attuazione ed esecuzione di quanto disposto ai sensi del comma 5, nonché al compimento degli atti gestionali. La conferenza operativa di servizi delibera a maggioranza.

7. Le Autorità di bacino provvedono, tenuto conto delle risorse finanziarie previste a legislazione vigente:

a) all'elaborazione del Piano di bacino distrettuale di cui all'articolo 65;

b) ad esprimere parere sulla coerenza con gli obiettivi del Piano di bacino dei piani e programmi comunitari, nazionali, regionali e locali relativi alla difesa del suolo, alla lotta alla desertificazione, alla tutela delle acque e alla gestione delle risorse idriche;

c) all'elaborazione, secondo le specifiche tecniche che figurano negli allegati alla parte terza del presente decreto, di un'analisi delle caratteristiche del distretto, di un esame sull'impatto delle attività umane sullo stato delle acque superficiali e sulle acque sotterranee, nonché di un'analisi economica dell'utilizzo idrico.

8. Fatte salve le discipline adottate dalle regioni ai sensi dell'articolo 62, le Autorità di bacino coordinano e sovrintendono le attività e le funzioni di titolarità dei consorzi di bonifica integrale di cui al regio decreto 13 febbraio 1933, n. 215, nonché del consorzio del Ticino - Ente autonomo per la costruzione, manutenzione ed esercizio dell'opera regolatrice del lago Maggiore, del consorzio dell'Oglio - Ente autonomo per la costruzione, manutenzione ed esercizio dell'opera regolatrice del lago d'Iseo e del consorzio dell’Adda - Ente autonomo per la costruzione, manutenzione ed esercizio dell'opera regolatrice del lago di Como, con particolare riguardo all'esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere idrauliche e di bonifica, alla realizzazione di azioni di salvaguardia ambientale e di risanamento delle acque, anche al fine della loro utilizzazione irrigua, alla rinaturalizzazione dei corsi d'acqua ed alla fitodepurazione (59).

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(59) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

Titolo II

I distretti idrografici, gli strumenti, gli interventi

Capo I

Distretti idrografici

 

64. Distretti idrografici.

1. L'intero territorio nazionale, ivi comprese le isole minori, è ripartito nei seguenti distretti idrografici:

a) distretto idrografico delle Alpi orientali, con superficie di circa 39.385 Kmq, comprendente i seguenti bacini idrografici:

1) Adige, già bacino nazionale ai sensi della legge 18 maggio 1989, n. 183;

2) Alto Adriatico, già bacino nazionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

3) Lemene, Fissare Tartaro Canalbianco, già bacini interregionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

4) bacini del Friuli-Venezia Giulia e del Veneto, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

b) distretto idrografico Padano, con superficie di circa 74.115 Kmq, comprendente il bacino del Po, già bacino nazionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

c) distretto idrografico dell'Appennino settentrionale, con superficie di circa 39.000 Kmq, comprendente i seguenti bacini idrografici:

1) Arno, già bacino nazionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

2) Magra, già bacino interregionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

3) Fiora, già bacino interregionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

4) Conca Marecchia, già bacino interregionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

5) Reno, già bacino interregionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

6) bacini della Liguria, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

7) bacini della Toscana, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

8) fiumi Uniti, Montone, Ronco, Savio, Rubicone e Uso, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

9) Foglia, Arzilla, Metauro, Cesano, Misa, Esino, Musone e altri bacini minori, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

10) Lamone, già bacino regionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

11) bacini minori afferenti alla costa Romagnola, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

d) distretto idrografico pilota del Serchio, con superficie di circa 1.600 Kmq, comprendente il bacino idrografico del Serchio;

e) distretto idrografico dell’Appennino centrale, con superficie di circa 35.800 Kmq, comprendente i seguenti bacini idrografici:

1) Tevere, già bacino nazionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

2) Tronto, già bacino interregionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

3) Sangro, già bacino interregionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

4) bacini dell'Abruzzo, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

5) bacini del Lazio, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

6) Potenza, Chienti, Tenna, Ete, Aso, Menocchia, Tesino e bacini minori delle Marche, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

f) distretto idrografico dell'Appennino meridionale, con superficie di circa 68.200 Kmq, comprendente i seguenti bacini idrografici:

1) Liri-Garigliano, già bacino nazionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

2) Volturno, già bacino nazionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

3) Sele, già bacino interregionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

4) Sinni e Noce, già bacini interregionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

5) Bradano, già bacino interregionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

6) Saccione, Fortore e Biferno, già bacini interregionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

7) Ofanto, già bacino interregionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

8) Lao, già bacino interregionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

9) Trigno, già bacino interregionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

10) bacini della Campania, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

11) bacini della Puglia, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

12) bacini della Basilicata, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

13) bacini della Calabria, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

14) bacini del Molise, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

g) distretto idrografico della Sardegna, con superficie di circa 24.000 Kmq, comprendente i bacini della Sardegna, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

h) distretto idrografico della Sicilia, con superficie di circa 26.000 Kmq, comprendente i bacini della Sicilia, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989 (60).

(60) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

Capo II

Gli strumenti

 

65. Valore, finalità e contenuti del piano di bacino distrettuale.

1. Il Piano di bacino distrettuale, di seguito Piano di bacino, ha valore di piano territoriale di settore ed è lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo ed alla corretta utilizzazione della acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato.

2. Il Piano di bacino è redatto dall'Autorità di bacino in base agli indirizzi, metodi e criteri fissati ai sensi del comma 3. Studi ed interventi sono condotti con particolare riferimento ai bacini montani, ai torrenti di alta valle ed ai corsi d'acqua di fondo valle.

3. Il Piano di bacino, in conformità agli indirizzi, ai metodi e ai criteri stabiliti dalla Conferenza istituzionale permanente di cui all'articolo 63, comma 4, realizza le finalità indicate all'articolo 56 e, in particolare, contiene, unitamente agli elementi di cui all'Allegato 4 alla parte terza del presente decreto:

a) il quadro conoscitivo organizzato ed aggiornato del sistema fisico, delle utilizzazioni del territorio previste dagli strumenti urbanistici comunali ed intercomunali, nonché dei vincoli, relativi al distretto, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;

b) la individuazione e la quantificazione delle situazioni, in atto e potenziali, di degrado del sistema fisico, nonché delle relative cause;

c) le direttive alle quali devono uniformarsi la difesa del suolo, la sistemazione idrogeologica ed idraulica e l'utilizzazione delle acque e dei suoli;

d) l'indicazione delle opere necessarie distinte in funzione:

1) dei pericoli di inondazione e della gravità ed estensione del dissesto;

2) dei pericoli di siccità;

3) dei pericoli di frane, smottamenti e simili;

4) del perseguimento degli obiettivi di sviluppo sociale ed economico o di riequilibrio territoriale nonché del tempo necessario per assicurare l'efficacia degli interventi;

e) la programmazione e l'utilizzazione delle risorse idriche, agrarie, forestali ed estrattive;

f) la individuazione delle prescrizioni, dei vincoli e delle opere idrauliche, idraulico-agrarie, idraulico-forestali, di forestazione, di bonifica idraulica, di stabilizzazione e consolidamento dei terreni e di ogni altra azione o norma d'uso o vincolo finalizzati alla conservazione del suolo ed alla tutela dell'ambiente;

g) il proseguimento ed il completamento delle opere indicate alla lettera f), qualora siano già state intraprese con stanziamenti disposti da leggi speciali, da leggi ordinarie, oppure a seguito dell'approvazione dei relativi atti di programmazione;

h) le opere di protezione, consolidamento e sistemazione dei litorali marini che sottendono il distretto idrografico;

i) i meccanismi premiali a favore dei proprietari delle zone agricole e boschive che attuano interventi idonei a prevenire fenomeni di dissesto idrogeologico;

l) la valutazione preventiva, anche al fine di scegliere tra ipotesi di governo e gestione tra loro diverse, del rapporto costi-benefici, dell'impatto ambientale e delle risorse finanziarie per i principali interventi previsti;

m) la normativa e gli interventi rivolti a regolare l'estrazione dei materiali litoidi dal demanio fluviale, lacuale e marittimo e le relative fasce di rispetto, specificatamente individuate in funzione del buon regime delle acque e della tutela dell'equilibrio geostatico e geomorfologico dei terreni e dei litorali;

n) l'indicazione delle zone da assoggettare a speciali vincoli e prescrizioni in rapporto alle specifiche condizioni idrogeologiche, ai fini della conservazione del suolo, della tutela dell'ambiente e della prevenzione contro presumibili effetti dannosi di interventi antropici;

o) le misure per contrastare i fenomeni di subsidenza e di desertificazione, anche mediante programmi ed interventi utili a garantire maggiore disponibilità della risorsa idrica ed il riuso della stessa;

p) il rilievo conoscitivo delle derivazioni in atto con specificazione degli scopi energetici, idropotabili, irrigui od altri e delle portate;

q) il rilievo delle utilizzazioni diverse per la pesca, la navigazione od altre;

r) il piano delle possibili utilizzazioni future sia per le derivazioni che per altri scopi, distinte per tipologie d'impiego e secondo le quantità;

s) le priorità degli interventi ed il loro organico sviluppo nel tempo, in relazione alla gravità del dissesto;

t) l'indicazione delle risorse finanziarie previste a legislazione vigente.

4. Le disposizioni del Piano di bacino approvato hanno carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni ed enti pubblici, nonché per i soggetti privati, ove trattasi di prescrizioni dichiarate di tale efficacia dallo stesso Piano di bacino. In particolare, i piani e programmi di sviluppo socio-economico e di assetto ed uso del territorio devono essere coordinati, o comunque non in contrasto, con il Piano di bacino approvato.

5. Ai fini di cui al comma 4, entro dodici mesi dall'approvazione del Piano di bacino le autorità competenti provvedono ad adeguare i rispettivi piani territoriali e programmi regionali quali, in particolare, quelli relativi alle attività agricole, zootecniche ed agroforestali, alla tutela della qualità delle acque, alla gestione dei rifiuti, alla tutela dei beni ambientali ed alla bonifica.

6. Fermo il disposto del comma 4, le regioni, entro novanta giorni dalla data di pubblicazione del Piano di bacino sui rispettivi Bollettini Ufficiali regionali, emanano ove necessario le disposizioni concernenti l'attuazione del piano stesso nel settore urbanistico. Decorso tale termine, gli enti territorialmente interessati dal Piano di bacino sono comunque tenuti a rispettarne le prescrizioni nel settore urbanistico. Qualora gli enti predetti non provvedano ad adottare i necessari adempimenti relativi ai propri strumenti urbanistici entro sei mesi dalla data di comunicazione delle predette disposizioni, e comunque entro nove mesi dalla pubblicazione dell'approvazione del Piano di bacino, all'adeguamento provvedono d'ufficio le regioni.

7. In attesa dell'approvazione del Piano di bacino, le Autorità di bacino adottano misure di salvaguardia con particolare riferimento ai bacini montani, ai torrenti di alta valle ed ai corsi d'acqua di fondo valle ed ai contenuti di cui alle lettere b), e), f), m) ed n) del comma 3. Le misure di salvaguardia sono immediatamente vincolanti e restano in vigore sino all'approvazione del Piano di bacino e comunque per un periodo non superiore a tre anni. In caso di mancata attuazione o di inosservanza, da parte delle regioni, delle province e dei comuni, delle misure di salvaguardia, e qualora da ciò possa derivare un grave danno al territorio, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, previa diffida ad adempiere entro congruo termine da indicarsi nella diffida medesima, adotta con ordinanza cautelare le necessarie misure provvisorie di salvaguardia, anche con efficacia inibitoria di opere, di lavori o di attività antropiche, dandone comunicazione preventiva alle amministrazioni competenti. Se la mancata attuazione o l'inosservanza di cui al presente comma riguarda un ufficio periferico dello Stato, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio informa senza indugio il Ministro competente da cui l'ufficio dipende, il quale assume le misure necessarie per assicurare l'adempimento. Se permane la necessità di un intervento cautelare per evitare un grave danno al territorio, il Ministro competente, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, adotta l'ordinanza cautelare di cui al presente comma.

8. I piani di bacino possono essere redatti ed approvati anche per sottobacini o per stralci relativi a settori funzionali, che, in ogni caso, devono costituire fasi sequenziali e interrelate rispetto ai contenuti di cui al comma 3. Deve comunque essere garantita la considerazione sistemica del territorio e devono essere disposte, ai sensi del comma 7, le opportune misure inibitorie e cautelari in relazione agli aspetti non ancora compiutamente disciplinati.

9. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica (61).

 

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(61) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

66. Adozione ed approvazione dei piani di bacino.

1. I piani di bacino, prima della loro approvazione, sono sottoposti a valutazione ambientale strategica (VAS) in sede statale, secondo la procedura prevista dalla parte seconda del presente decreto.

2. Il Piano di bacino, corredato dal relativo rapporto ambientale ai fini di cui al comma 1, è adottato a maggioranza dalla Conferenza istituzionale permanente di cui all'articolo 63, comma 4 che, con propria deliberazione, contestualmente stabilisce:

a) i termini per l'adozione da parte delle regioni dei provvedimenti conseguenti;

b) quali componenti del piano costituiscono interesse esclusivo delle singole regioni e quali costituiscono interessi comuni a due o più regioni.

3. Il Piano di bacino, corredato dal relativo rapporto ambientale di cui ai comma 2, è inviato ai componenti della Conferenza istituzionale permanente almeno venti giorni prima della data fissata per la conferenza; in caso di decisione a maggioranza, la delibera di adozione deve fornire una adeguata ed analitica motivazione rispetto alle opinioni dissenzienti espresse nel corso della conferenza.

4. In caso di inerzia in ordine agli adempimenti regionali, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, previa diffida ad adempiere entro un congruo termine e sentita la regione interessata, assume i provvedimenti necessari, ivi compresa la nomina di un commissario "ad acta", per garantire comunque lo svolgimento delle procedure e l'adozione degli atti necessari per la formazione del piano.

5. Dell'adozione del piano è data notizia secondo le forme e con le modalità previste dalla parte seconda del presente decreto ai fini dell'esperimento della procedura di valutazione ambientale strategica (VAS) in sede statale.

6. Conclusa la procedura di valutazione ambientale strategica (VAS), sulla base del giudizio di compatibilità ambientale espresso dall'autorità competente, i piani di bacino sono approvati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, con le modalità di cui all'articolo 57, comma 1, lettera a), numero 2), e sono poi pubblicati nella Gazzetta Ufficiale e nei Bollettini Ufficiali delle regioni territorialmente competenti.

7. Le Autorità di bacino promuovono la partecipazione attiva di tutte le parti interessate all'elaborazione, al riesame e all'aggiornamento dei piani di bacino, provvedendo affinché, per ciascun distretto idrografico, siano pubblicati e resi disponibili per eventuali osservazioni del pubblico, inclusi gli utenti, concedendo un periodo minimo di sei mesi per la presentazione di osservazioni scritte, i seguenti documenti:

a) il calendario e il programma di lavoro per la presentazione del piano, inclusa una dichiarazione delle misure consultive che devono essere prese almeno tre anni prima dell'inizio del periodo cui il piano si riferisce;

b) una valutazione globale provvisoria dei principali problemi di gestione delle acque, identificati nel bacino idrografico almeno due anni prima dell'inizio del periodo cui si riferisce il piano;

c) copie del progetto del piano di bacino, almeno un anno prima dell'inizio del periodo cui il piano si riferisce (62).

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(62) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

 67. I piani stralcio per la tutela dal rischio idrogeologico e le misure di prevenzione per le aree a rischio.

1. Nelle more dell'approvazione dei piani di bacino, le Autorità di bacino adottano, ai sensi dell'articolo 65, comma 8, piani stralcio di distretto per l'assetto idrogeologico (PAI), che contengano in particolare l'individuazione delle aree a rischio idrogeologico, la perimetrazione delle aree da sottoporre a misure di salvaguardia e la determinazione delle misure medesime.

2. Le Autorità di bacino, anche in deroga alle procedure di cui all'articolo 66, approvano altresì piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico, redatti anche sulla base delle proposte delle regioni e degli enti locali. I piani straordinari devono ricomprendere prioritariamente le aree a rischio idrogeologico per le quali è stato dichiarato lo stato di emergenza, ai sensi dell'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225. I piani straordinari contengono in particolare l'individuazione e la perimetrazione delle aree a rischio idrogeologico molto elevato per l'incolumità delle persone e per la sicurezza delle infrastrutture e del patrimonio ambientale e culturale. Per tali aree sono adottate le misure di salvaguardia ai sensi dell'articolo 65, comma 7, anche con riferimento ai contenuti di cui al comma 3, lettera d), del medesimo articolo 65. In caso di inerzia da parte delle Autorità di bacino, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Comitato dei Ministri, di cui all'articolo 57, comma 2, adotta gli atti relativi all'individuazione, alla perimetrazione e alla salvaguardia delle predette aree. Qualora le misure di salvaguardia siano adottate in assenza dei piani stralcio di cui al comma 1, esse rimangono in vigore sino all'approvazione di detti piani. I piani straordinari approvati possono essere integrati e modificati con le stesse modalità di cui al presente comma, in particolare con riferimento agli interventi realizzati ai fini della messa in sicurezza delle aree interessate.

3. Il Comitato dei Ministri di cui all'articolo 57, comma 2, tenendo conto dei programmi già adottati da parte delle Autorità di bacino e dei piani straordinari di cui al comma 2 del presente articolo, definisce, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, programmi di interventi urgenti, anche attraverso azioni di manutenzione dei distretti idrografici, per la riduzione del rischio idrogeologico nelle zone in cui la maggiore vulnerabilità del territorio è connessa con più elevati pericoli per le persone, le cose ed il patrimonio ambientale, con priorità per le aree ove è stato dichiarato lo stato di emergenza, ai sensi dell'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225. Per la realizzazione degli interventi possono essere adottate, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, e d'intesa con le regioni interessate, le ordinanze di cui all'articolo 5, comma 2, della legge 24 febbraio 1992, n. 225.

4. Per l'attività istruttoria relativa agli adempimenti di cui ai commi 1, 2 e 3, i Ministri competenti si avvalgono, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, del Dipartimento della protezione civile, nonché della collaborazione del Corpo forestale dello Stato, delle regioni, delle Autorità di bacino, del Gruppo nazionale per la difesa dalle catastrofi idrogeologiche del Consiglio nazionale delle ricerche e, per gli aspetti ambientali, del Servizio geologico d’Italia - Dipartimento difesa del suolo dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), per quanto di rispettiva competenza.

5. Entro sei mesi dall'adozione dei provvedimenti di cui ai commi 1, 2, 3 e 4, gli organi di protezione civile provvedono a predisporre, per le aree a rischio idrogeologico, con priorità assegnata a quelle in cui la maggiore vulnerabilità del territorio è connessa con più elevati pericoli per le persone, le cose e il patrimonio ambientale, piani urgenti di emergenza contenenti le misure per la salvaguardia dell'incolumità delle popolazioni interessate, compreso il preallertamento, l'allarme e la messa in salvo preventiva.

6. Nei piani stralcio di cui al comma 1 sono individuati le infrastrutture e i manufatti che determinano il rischio idrogeologico. Sulla base di tali individuazioni, le regioni stabiliscono le misure di incentivazione a cui i soggetti proprietari possono accedere al fine di adeguare le infrastrutture e di rilocalizzare fuori dall'area a rischio le attività produttive e le abitazioni private. A tale fine le regioni, acquisito il parere degli enti locali interessati, predispongono, con criteri di priorità connessi al livello di rischio, un piano per l'adeguamento delle infrastrutture, determinandone altresì un congruo termine, e per la concessione di incentivi finanziari per la rilocalizzazione delle attività produttive e delle abitazioni private realizzate in conformità alla normativa urbanistica edilizia o condonate. Gli incentivi sono attivati nei limiti della quota dei fondi introitati ai sensi dell'articolo 86, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e riguardano anche gli oneri per la demolizione dei manufatti; il terreno di risulta viene acquisito al patrimonio indisponibile dei comuni. All'abbattimento dei manufatti si provvede con le modalità previste dalla normativa vigente. Ove i soggetti interessati non si avvalgano della facoltà di usufruire delle predette incentivazioni, essi decadono da eventuali benefìci connessi ai danni derivanti agli insediamenti di loro proprietà in conseguenza del verificarsi di calamità naturali.

7. Gli atti di cui ai commi 1, 2 e 3 del presente articolo devono contenere l'indicazione dei mezzi per la loro realizzazione e della relativa copertura finanziaria (63).

 

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(63) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

68. Procedura per l'adozione dei progetti di piani stralcio.

1. I progetti di piano stralcio per la tutela dal rischio idrogeologico, di cui al comma 1 dell'articolo 67, non sono sottoposti a valutazione ambientale strategica (VAS) e sono adottati con le modalità di cui all'articolo 66.

2. L'adozione dei piani stralcio per l'assetto idrogeologico deve avvenire, sulla base degli atti e dei pareri disponibili, entro e non oltre sei mesi dalla data di adozione del relativo progetto di piano.

3. Ai fini dell'adozione ed attuazione dei piani stralcio e della necessaria coerenza tra pianificazione di distretto e pianificazione territoriale, le regioni convocano una conferenza programmatica, articolata per sezioni provinciali, o per altro àmbito territoriale deliberato dalle regioni stesse, alla quale partecipano le province ed i comuni interessati, unitamente alla regione e ad un rappresentante dell'Autorità di bacino.

4. La conferenza di cui al comma 3 esprime un parere sul progetto di piano con particolare riferimento alla integrazione su scala provinciale e comunale dei contenuti del piano, prevedendo le necessarie prescrizioni idrogeologiche ed urbanistiche (64).

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(64) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

Capo III

Gli interventi

 

69. Programmi di intervento.

1. I piani di bacino sono attuati attraverso programmi triennali di intervento che sono redatti tenendo conto degli indirizzi e delle finalità dei piani medesimi e contengono l'indicazione dei mezzi per farvi fronte e della relativa copertura finanziaria.

2. I programmi triennali debbono destinare una quota non inferiore al quindici per cento degli stanziamenti complessivamente a:

a) interventi di manutenzione ordinaria delle opere, degli impianti e dei beni, compresi mezzi, attrezzature e materiali dei cantieri-officina e dei magazzini idraulici;

b) svolgimento del servizio di polizia idraulica, di navigazione interna, di piena e di pronto intervento idraulico;

c) compilazione ed aggiornamento dei piani di bacino, svolgimento di studi, rilevazioni o altro nelle materie riguardanti la difesa del suolo, redazione dei progetti generali, degli studi di fattibilità, dei progetti di opere e degli studi di valutazione dell'impatto ambientale delle opere principali.

3. Le regioni, conseguito il parere favorevole della Conferenza istituzionale permanente di cui all'articolo 63, comma 4, possono provvedere con propri stanziamenti alla realizzazione di opere e di interventi previsti dai piani di bacino, sotto il controllo della predetta conferenza.

4. Le province, i comuni, le comunità montane e gli altri enti pubblici, previa autorizzazione della Conferenza istituzionale permanente di cui all'articolo 63, comma 4, possono concorrere con propri stanziamenti alla realizzazione di opere e interventi previsti dai piani di bacino (65).

 

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(65) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

70. Adozione dei programmi.

1. I programmi di intervento sono adottati dalla Conferenza istituzionale permanente di cui all'articolo 63, comma 4; tali programmi sono inviati ai componenti della conferenza stessa almeno venti giorni prima della data fissata per la conferenza; in caso di decisione a maggioranza, la delibera di adozione deve fornire una adeguata ed analitica motivazione rispetto alle opinioni dissenzienti espresse in seno alla conferenza.

2. La scadenza di ogni programma triennale è stabilita al 31 dicembre dell'ultimo anno del triennio e le somme autorizzate per l'attuazione del programma per la parte eventualmente non ancora impegnata alla predetta data sono destinate ad incrementare il fondo del programma triennale successivo per l'attuazione degli interventi previsti dal programma triennale in corso o dalla sua revisione.

3. Entro il 31 dicembre del penultimo anno del programma triennale in corso, i nuovi programmi di intervento relativi al triennio successivo, adottati secondo le modalità di cui al comma 1, sono trasmessi al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, affinché, entro il successivo 3 giugno, sulla base delle previsioni contenute nei programmi e sentita la Conferenza Stato-regioni, trasmetta al Ministro dell'economia e delle finanze l'indicazione del fabbisogno finanziario per il successivo triennio, ai fini della predisposizione del disegno di legge finanziaria.

4. Gli interventi previsti dai programmi triennali sono di norma attuati in forma integrata e coordinata dai soggetti competenti, in base ad accordi di programma ai sensi dell'articolo 34 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (66).

 

 (66) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

71. Attuazione degli interventi.

1. Le funzioni di studio e di progettazione e tecnico-organizzative attribuite alle Autorità di bacino possono essere esercitate anche mediante affidamento di incarichi ad istituzioni universitarie, liberi professionisti o organizzazioni tecnico-professionali specializzate, in conformità ad apposite direttive impartite dalla Conferenza istituzionale permanente di cui all'articolo 63, comma 4.

2. L'esecuzione di opere di pronto intervento può avere carattere definitivo quando l'urgenza del caso lo richiede.

3. Tutti gli atti di concessione per l'attuazione di interventi ai sensi della presente sezione sono soggetti a registrazione a tassa fissa (67).

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(67) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

72. Finanziamento.

1. Ferme restando le entrate connesse alle attività di manutenzione ed esercizio delle opere idrauliche, di bonifica e di miglioria fondiaria, gli interventi previsti dalla presente sezione sono a totale carico dello Stato e si attuano mediante i programmi triennali di cui all'articolo 69.

2. Per le finalità di cui al comma 1, si provvede ai sensi dell'articolo 11, comma 3, lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 468. I predetti stanziamenti sono iscritti nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze fino all'espletamento della procedura di ripartizione di cui ai commi 3 e 4 del presente articolo sulla cui base il Ministro dell'economia e delle finanze apporta, con proprio decreto, le occorrenti variazioni di bilancio.

3. Il Comitato dei Ministri di cui all'articolo 57, sentita la Conferenza Stato-regioni, predispone lo schema di programma nazionale di intervento per il triennio e la ripartizione degli stanziamenti tra le Amministrazioni dello Stato e le regioni, tenendo conto delle priorità indicate nei singoli programmi ed assicurando, ove necessario, il coordinamento degli interventi. A valere sullo stanziamento complessivo autorizzato, lo stesso Comitato dei Ministri propone l'ammontare di una quota di riserva da destinare al finanziamento dei programmi per l'adeguamento ed il potenziamento funzionale, tecnico e scientifico dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT).

4. Il programma nazionale di intervento e la ripartizione degli stanziamenti, ivi inclusa la quota di riserva a favore dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), sono approvati dal Presidente del Consiglio dei Ministri, ai sensi dell'articolo 57.

5. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, entro trenta giorni dall'approvazione del programma triennale nazionale, su proposta della Conferenza Stato-regioni, individua con proprio decreto le opere di competenza regionale, che rivestono grande rilevanza tecnico-idraulica per la modifica del reticolo idrografico principale e del demanio idrico, i cui progetti devono essere sottoposti al parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, da esprimere entro novanta giorni dalla richiesta (68).

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(68) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

Sezione II

Tutela delle acque dall'inquinamento

Titolo I

Principi generali e competenze

73. Finalità.

1. Le disposizioni di cui alla presente sezione definiscono la disciplina generale per la tutela delle acque superficiali, marine e sotterranee perseguendo i seguenti obiettivi:

a) prevenire e ridurre l'inquinamento e attuare il risanamento dei corpi idrici inquinati;

b) conseguire il miglioramento dello stato delle acque ed adeguate protezioni di quelle destinate a particolari usi;

c) perseguire usi sostenibili e durevoli delle risorse idriche, con priorità per quelle potabili;

d) mantenere la capacità naturale di autodepurazione dei corpi idrici, nonché la capacità di sostenere comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate;

e) mitigare gli effetti delle inondazioni e della siccità contribuendo quindi a:

1) garantire una fornitura sufficiente di acque superficiali e sotterranee di buona qualità per un utilizzo idrico sostenibile, equilibrato ed equo;

2) ridurre in modo significativo l'inquinamento delle acque sotterranee;

3) proteggere le acque territoriali e marine e realizzare gli obiettivi degli accordi internazionali in materia, compresi quelli miranti a impedire ed eliminare l'inquinamento dell'ambiente marino, allo scopo di arrestare o eliminare gradualmente gli scarichi, le emissioni e le perdite di sostanze pericolose prioritarie al fine ultimo di pervenire a concentrazioni, nell'ambiente marino, vicine ai valori del fondo naturale per le sostanze presenti in natura e vicine allo zero per le sostanze sintetiche antropogeniche;

f) impedire un ulteriore deterioramento, proteggere e migliorare lo stato degli ecosistemi acquatici, degli ecosistemi terrestri e delle zone umide direttamente dipendenti dagli ecosistemi acquatici sotto il profilo del fabbisogno idrico.

2. Il raggiungimento degli obiettivi indicati al comma 1 si realizza attraverso i seguenti strumenti:

a) l'individuazione di obiettivi di qualità ambientale e per specifica destinazione dei corpi idrici;

b) la tutela integrata degli aspetti qualitativi e quantitativi nell'ambito di ciascun distretto idrografico ed un adeguato sistema di controlli e di sanzioni;

c) il rispetto dei valori limite agli scarichi fissati dallo Stato, nonché la definizione di valori limite in relazione agli obiettivi di qualità del corpo recettore;

d) l'adeguamento dei sistemi di fognatura, collegamento e depurazione degli scarichi idrici, nell'ambito del servizio idrico integrato;

e) l'individuazione di misure per la prevenzione e la riduzione dell'inquinamento nelle zone vulnerabili e nelle aree sensibili;

f) l'individuazione di misure tese alla conservazione, al risparmio, al riutilizzo ed al riciclo delle risorse idriche;

g) l'adozione di misure per la graduale riduzione degli scarichi, delle emissioni e di ogni altra fonte di inquinamento diffuso contenente sostanze pericolose o per la graduale eliminazione degli stessi allorché contenenti sostanze pericolose prioritarie, contribuendo a raggiungere nell'ambiente marino concentrazioni vicine ai valori del fondo naturale per le sostanze presenti in natura e vicine allo zero per le sostanze sintetiche antropogeniche;

h) l'adozione delle misure volte al controllo degli scarichi e delle emissioni nelle acque superficiali secondo un approccio combinato.

3. Il perseguimento delle finalità e l'utilizzo degli strumenti di cui ai commi 1 e 2, nell'ambito delle risorse finanziarie previste dalla legislazione vigente, contribuiscono a proteggere le acque territoriali e marine e a realizzare gli obiettivi degli accordi internazionali in materia (69).

 

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(69) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

74. Definizioni.

1. Ai fini della presente sezione si intende per:

a) abitante equivalente: il carico organico biodegradabile avente una richiesta biochimica di ossigeno a 5 giorni (BOD5) pari a 60 grammi di ossigeno al giorno;

b) acque ciprinicole: le acque in cui vivono o possono vivere pesci appartenenti ai ciprinidi (Cyprinidae) o a specie come i lucci, i pesci persici e le anguille;

c) acque costiere: le acque superficiali situate all'interno rispetto a una retta immaginaria distante, in ogni suo punto, un miglio nautico sul lato esterno dal punto più vicino della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali e che si estendono eventualmente fino al limite esterno delle acque di transizione;

d) acque salmonicole: le acque in cui vivono o possono vivere pesci appartenenti a specie come le trote, i temoli e i coregoni;

e) estuario: l'area di transizione tra le acque dolci e le acque costiere alla foce di un fiume, i cui limiti esterni verso il mare sono definiti con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio; in via transitoria tali limiti sono fissati a cinquecento metri dalla linea di costa (70);

f) acque dolci: le acque che si presentano in natura con una concentrazione di sali tale da essere considerate appropriate per l'estrazione e il trattamento al fine di produrre acqua potabile;

g) acque reflue domestiche: acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche;

h) «acque reflue industriali»: qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento (71);

i) «acque reflue urbane»: acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato (72);

l) acque sotterranee: tutte le acque che si trovano al di sotto della superficie del suolo, nella zona di saturazione e in diretto contatto con il suolo e il sottosuolo;

m) acque termali: le acque minerali naturali di cui all'articolo 2, comma 1, lettera a), della legge 24 ottobre 2000, n. 323, utilizzate per le finalità consentite dalla stessa legge;

n) agglomerato: l'area in cui la popolazione, ovvero le attività produttive, sono concentrate in misura tale da rendere ammissibile, sia tecnicamente che economicamente in rapporto anche ai benefici ambientali conseguibili, la raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane verso un sistema di trattamento o verso un punto di recapito finale (73);

o) applicazione al terreno: l'apporto di materiale al terreno mediante spandimento e/o mescolamento con gli strati superficiali, iniezione, interramento;

p) utilizzazione agronomica: la gestione di effluenti di allevamento, acque di vegetazione residuate dalla lavorazione delle olive, acque reflue provenienti da aziende agricole e piccole aziende agro-alimentari, dalla loro produzione fino all'applicazione al terreno ovvero al loro utilizzo irriguo o fertirriguo, finalizzati all'utilizzo delle sostanze nutritive e ammendanti nei medesimi contenute;

q) autorità d'ambito: la forma di cooperazione tra comuni e province per l'organizzazione del servizio idrico integrato;

r) gestore del servizio idrico integrato: il soggetto che gestisce il servizio idrico integrato in un ambito territoriale ottimale ovvero il gestore esistente del servizio pubblico soltanto fino alla piena operatività del servizio idrico integrato;

s) bestiame: tutti gli animali allevati per uso o profitto;

t) composto azotato: qualsiasi sostanza contenente azoto, escluso quello allo stato molecolare gassoso;

u) concimi chimici: qualsiasi fertilizzante prodotto mediante procedimento industriale;

v) effluente di allevamento: le deiezioni del bestiame o una miscela di lettiera e di deiezione di bestiame, anche sotto forma di prodotto trasformato, ivi compresi i reflui provenienti da attività di piscicoltura;

z) eutrofizzazione: arricchimento delle acque di nutrienti, in particolare modo di composti dell'azoto e/o del fosforo, che provoca una abnorme proliferazione di alghe e/o di forme superiori di vita vegetale, producendo la perturbazione dell'equilibrio degli organismi presenti nell'acqua e della qualità delle acque interessate;

aa) fertilizzante: fermo restando quanto disposto dalla legge 19 ottobre 1984, n. 748, le sostanze contenenti uno o più composti azotati, compresi gli effluenti di allevamento, i residui degli allevamenti ittici e i fanghi, sparse sul terreno per stimolare la crescita della vegetazione;

bb) fanghi: i fanghi residui, trattati o non trattati, provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane;

cc) inquinamento: l'introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze o di calore nell'aria, nell'acqua o nel terreno che possono nuocere alla salute umana o alla qualità degli ecosistemi acquatici o degli ecosistemi terrestri che dipendono direttamente da ecosistemi acquatici, perturbando, deturpando o deteriorando i valori ricreativi o altri legittimi usi dell'ambiente;

dd) «rete fognaria»: un sistema di condotte per la raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane (74);

ee) fognatura separata: la rete fognaria costituita da due canalizzazioni, la prima delle quali adibita alla raccolta ed al convogliamento delle sole acque meteoriche di dilavamento, e dotata o meno di dispositivi per la raccolta e la separazione delle acque di prima pioggia, e la seconda adibita alla raccolta ed al convogliamento delle acque reflue urbane unitamente alle eventuali acque di prima pioggia;

ff) scarico: qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all'articolo 114 (75);

gg) acque di scarico: tutte le acque reflue provenienti da uno scarico;

hh) scarichi esistenti: gli scarichi di acque reflue urbane che alla data del 13 giugno 1999 erano in esercizio e conformi al regime autorizzativo previgente e gli scarichi di impianti di trattamento di acque reflue urbane per i quali alla stessa data erano già state completate tutte le procedure relative alle gare di appalto e all'affidamento dei lavori, nonché gli scarichi di acque reflue domestiche che alla data del 13 giugno 1999 erano in esercizio e conformi al previgente regime autorizzativo e gli scarichi di acque reflue industriali che alla data del 13 giugno 1999 erano in esercizio e già autorizzati;

ii) trattamento appropriato: il trattamento delle acque reflue urbane mediante un processo ovvero un sistema di smaltimento che, dopo lo scarico, garantisca la conformità dei corpi idrici recettori ai relativi obiettivi di qualità ovvero sia conforme alle disposizioni della parte terza del presente decreto;

ll ) trattamento primario: il trattamento delle acque reflue che comporti la sedimentazione dei solidi sospesi mediante processi fisici e/o chimico-fisici e/o altri, a seguito dei quali prima dello scarico il BOD5 delle acque in trattamento sia ridotto almeno del 20 per cento ed i solidi sospesi totali almeno del 50 per cento;

mm) trattamento secondario: il trattamento delle acque reflue mediante un processo che in genere comporta il trattamento biologico con sedimentazione secondaria, o mediante altro processo in cui vengano comunque rispettati i requisiti di cui alla tabella 1 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto;

nn) stabilimento industriale, stabilimento: tutta l'area sottoposta al controllo di un unico gestore, nella quale si svolgono attività commerciali o industriali che comportano la produzione, la trasformazione e/o l'utilizzazione delle sostanze di cui all'Allegato 8 alla parte terza del presente decreto, ovvero qualsiasi altro processo produttivo che comporti la presenza di tali sostanze nello scarico;

oo) valore limite di emissione: limite di accettabilità di una sostanza inquinante con tenuta in uno scarico, misurata in concentrazione, oppure in massa per unità di prodotto o di materia prima lavorata, o in massa per unità di tempo; i valori limite di emissione possono essere fissati anche per determinati gruppi, famiglie o categorie di sostanze. I valori limite di emissione delle sostanze si applicano di norma nel punto di fuoriuscita delle emissioni dall'impianto, senza tener conto dell'eventuale diluizione; l'effetto di una stazione di depurazione di acque reflue può essere preso in considerazione nella determinazione dei valori limite di emissione dell'impianto, a condizione di garantire un livello equivalente di protezione dell'ambiente nel suo insieme e di non portare carichi inquinanti maggiori nell'ambiente (76).

pp) zone vulnerabili: zone di territorio che scaricano direttamente o indirettamente composti azotati di origine agricola o zootecnica in acque già inquinate o che potrebbero esserlo in conseguenza di tali tipi di scarichi.

2. Ai fini della presente sezione si intende inoltre per:

a) acque superficiali: le acque interne ad eccezione di quelle sotterranee, le acque di transizione e le acque costiere, tranne per quanto riguarda lo stato chimico, in relazione al quale sono incluse anche le acque territoriali;

b) acque interne: tutte le acque superficiali correnti o stagnanti, e tutte le acque sotterranee all'interno della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali;

c) fiume: un corpo idrico interno che scorre prevalentemente in superficie ma che può essere parzialmente sotterraneo;

d) lago: un corpo idrico superficiale interno fermo;

e) acque di transizione: i corpi idrici superficiali in prossimità della foce di un fiume, che sono parzialmente di natura salina a causa della loro vicinanza alle acque costiere, ma sostanzialmente influenzate dai flussi di acqua dolce;

f) corpo idrico artificiale: un corpo idrico superficiale creato da un'attività umana;

g) corpo idrico fortemente modificato: un corpo idrico superficiale la cui natura, a seguito di alterazioni fisiche dovute a un'attività umana, è sostanzialmente modificata, come risulta dalla designazione fattane dall'autorità competente in base alle disposizioni degli articoli 118 e 120;

h) corpo idrico superficiale: un elemento distinto e significativo di acque superficiali, quale un lago, un bacino artificiale, un torrente, fiume o canale, parte di un torrente, fiume o canale, acque di transizione o un tratto di acque costiere;

i) falda acquifera: uno o più strati sotterranei di roccia o altri strati geologici di porosità e permeabilità sufficiente da consentire un flusso significativo di acque sotterranee o l'estrazione di quantità significative di acque sotterranee;

l) corpo idrico sotterraneo: un volume distinto di acque sotterranee contenute da una o più falde acquifere;

m) bacino idrografico: il territorio nel quale scorrono tutte le acque superficiali attraverso una serie di torrenti, fiumi ed eventualmente laghi per sfociare al mare in un’unica foce, a estuario o delta;

n) sotto-bacino idrografico: il territorio nel quale scorrono tutte le acque superficiali attraverso una serie di torrenti, fiumi e laghi per sfociare in un punto specifico di un corso d'acqua, di solito un lago o la confluenza di un fiume;

o) distretto idrografico: l'area di terra e di mare, costituita da uno o più bacini idrografici limitrofi e dalle rispettive acque sotterranee e costiere che costituisce la principale unità per la gestione dei bacini idrografici;

p) stato delle acque superficiali: l'espressione complessiva dello stato di un corpo idrico superficiale, determinato dal valore più basso del suo stato ecologico e chimico;

q) buono stato delle acque superficiali: lo stato raggiunto da un corpo idrico superficiale qualora il suo stato, tanto sotto il profilo ecologico quanto sotto quello chimico, possa essere definito almeno "buono";

r) stato delle acque sotterranee: l'espressione complessiva dello stato di un corpo idrico sotterraneo, determinato dal valore più basso del suo stato quantitativo e chimico;

s) buono stato delle acque sotterranee: lo stato raggiunto da un corpo idrico sotterraneo qualora il suo stato, tanto sotto il profilo quantitativo quanto sotto quello chimico, possa essere definito almeno "buono";

t) stato ecologico: l'espressione della qualità della struttura e del funzionamento degli ecosistemi acquatici associati alle acque superficiali, classificato a norma dell'Allegato 1 alla parte terza del presente decreto;

u) buono stato ecologico: lo stato di un corpo idrico superficiale classificato in base all'Allegato 1 alla parte terza del presente decreto;

v) buon potenziale ecologico: lo stato di un corpo idrico artificiale o fortemente modificato, così classificato in base alle disposizioni pertinenti dell'Allegato 1 alla parte terza del presente decreto;

z) buono stato chimico delle acque superficiali: lo stato chimico richiesto per conseguire gli obiettivi ambientali per le acque superficiali o fissati dal presento, ossia lo stallo raggiunto da un corpo idrico superficiale nel quale la concentrazione degli inquinanti noti supera gli standard di qualità ambientali fissati dall'Allegato 1 alla parte terza del presente decreto, Tabella 1/A ed ai sensi della parte terza del presente decreto;

aa) buono stato chimico delle acque sotterranee: lo stato chimico di un corpo idrico sotterraneo che risponde a tutte le condizioni di cui alla tabella B.3.2 dell'Allegato 1 alla parte terza del presente decreto;

bb) stato quantitativo: l'espressione del grado in cui un corpo idrico sotterraneo è modificato da estrazioni dirette e indirette;

cc) risorse idriche sotterranee disponibili: il risultato della velocità annua media di ravvenamento globale a lungo termine del corpo idrico sotterraneo meno la velocità annua media a lungo termine del flusso necessario per raggiungere gli obiettivi di qualità ecologica per le acque superficiali connesse, di cui all'articolo 76, al fine di evitare un impoverimento significativo dello stato ecologico di tali acque, nonché danni rilevanti agli ecosistemi terrestri connessi;

dd) buono stato quantitativo: stato definito nella tabella B.1.2 dell'Allegato 1 alla parte terza del presente decreto;

ee) sostanze pericolose: le sostanze o gruppi di sostanze tossiche, persistenti e bio-accumulabili e altre sostanze o gruppi di sostanze che danno adito a preoccupazioni analoghe;

ff) sostanze prioritarie e sostanze pericolose prioritarie: le sostanze individuate con disposizioni comunitarie ai sensi dell'articolo 16 della direttiva 2000/60/CE;

gg) inquinante: qualsiasi sostanza che possa inquinare, in particolare quelle elencate nell'Allegato 8 alla parte terza del presente decreto;

hh) immissione diretta nelle acque sotterranee: l'immissione di inquinanti nelle acque sotterranee senza infiltrazione attraverso il suolo o il sottosuolo;

ii) obiettivi ambientali: gli obiettivi fissati dal titolo II della parte terza del presente decreto;

ll) standard di qualità ambientale: la concentrazione di un particolare inquinante o gruppo di inquinanti nelle acque, nei sedimenti e nel biota che non deve essere superata per tutelare la salute umana e l'ambiente;

mm) approccio combinato: l'insieme dei controlli, da istituire o realizzare, salvo diversa indicazione delle normative di seguito citate, entro il 22 dicembre 2012, riguardanti tutti gli scarichi nelle acque superficiali, comprendenti i controlli sulle emissioni basati sulle migliori tecniche disponibili, quelli sui pertinenti valori limite di emissione e, in caso di impatti diffusi, quelli comprendenti, eventualmente, le migliori prassi ambientali; tali controlli sono quelli stabiliti:

1) nel decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento;

2) nella parte terza del presente decreto in materia di acque reflue urbane, nitrati provenienti da fonti agricole, sostanze che presentano rischi significativi per l'ambiente acquatico o attraverso l'ambiente acquatico, inclusi i rischi per le acque destinate alla produzione di acqua potabile e di scarichi di Hg, Cd, HCH, DDT, PCP, aldrin, dieldrin, endrin, HCB, HCBD, cloroformio, tetracloruro di carbonio, EDC, tricloroetilene, TCB e percloroetilene;

nn) acque destinate al consumo umano: le acque disciplinate dal decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31;

oo) servizi idrici: tutti i servizi che forniscono alle famiglie, agli enti pubblici o a qualsiasi attività economica:

1) estrazione, arginamento, stoccaggio, trattamento e distribuzione di acque superficiali o sotterranee;

2) strutture per la raccolta e il trattamento delle acque reflue, che successivamente scaricano nelle acque superficiali;

pp) utilizzo delle acque: i servizi idrici unitamente agli altri usi risultanti dall'attività conoscitiva di cui all'articolo 118 che incidono in modo significativo sullo stato delle acque. Tale nozione si applica ai fini dell'analisi economica di cui all'Allegato 10 alla parte terza del presente decreto;

qq) [valori limite di emissione: la massa espressa in rapporto a determinati parametri specifici, la concentrazione e/o il livello di un'emissione che non devono essere superati in uno o più periodi di tempo. I valori limite di emissione possono essere fissati anche per determinati gruppi, famiglie o categorie di sostanze. I valori limite di emissione delle sostanze si applicano di norma nel punto di fuoriuscita delle emissioni dall'impianto, senza tener conto dell'eventuale diluizione; per gli scarichi indiretti nell'acqua, l'effetto di una stazione di depurazione di acque reflue può essere preso in considerazione nella determinazione dei valori limite di emissione dell'impianto, a condizione di garantire un livello equivalente di protezione dell'ambiente nel suo insieme e di non portare a carichi inquinanti maggiori nell'ambiente] (77);

rr) controlli delle emissioni: i controlli che comportano una limitazione specifica delle emissioni, ad esempio un valore limite delle emissioni, oppure che definiscono altrimenti limiti o condizioni in merito agli effetti, alla natura o ad altre caratteristiche di un'emissione o condizioni operative che influiscono sulle emissioni;

ss) costi ambientali: i costi legati ai danni che l'utilizzo stesso delle risorse idriche causa all'ambiente, agli ecosistemi e a coloro che usano l'ambiente;

tt) costi della risorsa: i costi delle mancate opportunità imposte ad altri utenti in conseguenza dello sfruttamento intensivo delle risorse al di là del loro livello di ripristino e ricambio naturale;

uu) impianto: l'unità tecnica permanente in cui sono svolte una o più attività di cui all'Allegato I del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, e qualsiasi altra attività accessoria, che siano tecnicamente connesse con le attività svolte in uno stabilimento e possono influire sulle emissioni e sull'inquinamento; nel caso di attività non rientranti nel campo di applicazione del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, l'impianto si identifica nello stabilimento. Nel caso di attività di cui all'Allegato I del predetto decreto, l'impianto si identifica con il complesso assoggettato alla disciplina della prevenzione e controllo integrati dell'inquinamento (78).

 

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(70) I limiti esterni dell'estuario sono stati definiti con D.M. 2 maggio 2006 (Gazz. Uff. 10 maggio 2006, n. 107). Con Comunicato 26 giugno 2006 (Gazz. Uff. 26 giugno 2006, n. 146) è stata segnalata l’inefficacia del suddetto D.M. 2 maggio 2006 il quale, non essendo stato inviato alla Corte dei Conti per essere sottoposto al preventivo e necessario controllo, non ha ottenuto la registrazione prevista dalla legge e, conseguentemente, non può considerarsi giuridicamente produttivo di effetti.

(71) Lettera così sostituita dall'art. 2, comma 1, D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4.

(72) Lettera così sostituita dall'art. 2, comma 2, D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4.

(73) Lettera così modificata dall'art. 2, comma 3, D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4.

(74) Lettera così sostituita dall'art. 2, comma 4, D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4.

(75) Lettera così modificata dall'art. 2, comma 5, D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4.

(76) Lettera così modificata dall'art. 2, comma 6, D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4.

(77) Lettera abrogata dall'art. 2, comma 7, D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4.

(78) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

75. Competenze.

1. Nelle materie disciplinate dalle disposizioni della presente sezione:

a) lo Stato esercita le competenze ad esso spettanti per la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema attraverso il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, fatte salve le competenze in materia igienico-sanitaria spettanti al Ministro della salute;

b) le regioni e gli enti locali esercitano le funzioni e i compiti ad essi spettanti nel quadro delle competenze costituzionalmente determinate e nel rispetto delle attribuzioni statali.

2. Con riferimento alle funzioni e ai compiti spettanti alle regioni e agli enti locali, in caso di accertata inattività che comporti inadempimento agli obblighi derivanti dall'appartenenza all'Unione europea, pericolo di grave pregiudizio alla salute o all'ambiente oppure inottemperanza ad obblighi di informazione, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio per materia, assegna all'ente inadempiente un congruo termine per provvedere, decorso inutilmente il quale il Consiglio dei Ministri, sentito il soggetto inadempiente, nomina un commissario che provvede in via sostitutiva. Gli oneri economici connessi all'attività di sostituzione sono a carico dell'ente inadempiente. Restano fermi i poteri di ordinanza previsti dall'ordinamento in caso di urgente necessità e le disposizioni in materia di poteri sostitutivi previste dalla legislazione vigente, nonché quanto disposto dall'articolo 132.

3. Le prescrizioni tecniche necessarie all'attuazione della parte terza del presente decreto sono stabilite negli Allegati al decreto stesso e con uno o più regolamenti adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio previa intesa con la Conferenza Stato-regioni; attraverso i medesimi regolamenti possono altresì essere modificati gli Allegati alla parte terza del presente decreto per adeguarli a sopravvenute esigenze o a nuove acquisizioni scientifiche o tecnologiche.

4. Con decreto dei Ministri competenti per materia si provvede alla modifica degli Allegati alla parte terza del presente decreto per dare attuazione alle direttive che saranno emanate dall'Unione europea, per le parti in cui queste modifichino modalità esecutive e caratteristiche di ordine tecnico delle direttive dell'Unione europea recepite dalla parte terza del presente decreto, secondo quanto previsto dall'articolo 13 della legge 4 febbraio 2005, n. 11.

5. Le regioni assicurano la più ampia divulgazione delle informazioni sullo stato di qualità delle acque e trasmettono al Dipartimento tutela delle acque interne e marine dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT) i dati conoscitivi e le informazioni relative all'attuazione della parte terza del presente decreto, nonché quelli prescritti dalla disciplina comunitaria, secondo le modalità indicate con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri competenti, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Il Dipartimento tutela delle acque interne e marine dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT) elabora a livello nazionale, nell'ambito del Sistema informativo nazionale dell'ambiente (SINA), le informazioni ricevute e le trasmette ai Ministeri interessati e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio anche per l'invio alla Commissione europea. Con lo stesso decreto sono individuati e disciplinati i casi in cui le regioni sono tenute a trasmettere al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio i provvedimenti adottati ai fini delle comunicazioni all'Unione europea o in ragione degli obblighi internazionali assunti.

6. Le regioni favoriscono l'attiva partecipazione di tutte le parti interessate all'attuazione della parte terza del presente decreto in particolare in sede di elaborazione, revisione e aggiornamento dei piani di tutela di cui all'articolo 121.

7. Le regioni provvedono affinché gli obiettivi di qualità di cui agli articoli 76 e 77 ed i relativi programmi di misure siano perseguiti nei corpi idrici ricadenti nei bacini idrografici internazionali in attuazione di accordi tra gli stati membri interessati, avvalendosi a tal fine di strutture esistenti risultanti da accordi internazionali.

8. Qualora il distretto idrografico superi i confini della Comunità europea, lo Stato e le regioni esercitano le proprie competenze adoperandosi per instaurare un coordinamento adeguato con gli Stati terzi coinvolti, al fine realizzare gli obiettivi di cui alla parte terza del presente decreto in tutto il distretto idrografico.

9. I consorzi di bonifica e di irrigazione, anche attraverso appositi accordi di programma con le competenti autorità, concorrono alla realizzazione di azioni di salvaguardia ambientale e di risanamento delle acque anche al fine della loro utilizzazione irrigua, della rinaturalizzazione dei corsi d'acqua e della fitodepurazione (79).

 

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(79) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

Titolo II

Obiettivi di qualità

Capo I

Obiettivo di qualità ambientale e obiettivo di qualità per specifica destinazione

 

76. Disposizioni generali.

1. Al fine della tutela e del risanamento delle acque superficiali e sotterranee, la parte terza del presente decreto individua gli obiettivi minimi di qualità ambientale per i corpi idrici significativi e gli obiettivi di qualità per specifica destinazione per i corpi idrici di cui all'articolo 78, da garantirsi su tutto il territorio nazionale.

2. L'obiettivo di qualità ambientale è definito in funzione della capacità dei corpi idrici di mantenere i processi naturali di autodepurazione e di supportare comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate.

3. L'obiettivo di qualità per specifica destinazione individua lo stato dei corpi idrici idoneo ad una particolare utilizzazione da parte dell'uomo, alla vita dei pesci e dei molluschi.

4. In attuazione della parte terza del presente decreto sono adottate, mediante il Piano di tutela delle acque di cui all'articolo 121, misure atte a conseguire gli obiettivi seguenti entro il 22 dicembre 2015:

a) sia mantenuto o raggiunto per i corpi idrici significativi superficiali e sotterranei l'obiettivo di qualità ambientale corrispondente allo stato di "buono";

b) sia mantenuto, ove già esistente, lo stato di qualità ambientale "elevato" come definito nell'Allegato 1 alla parte terza del presente decreto;

c) siano mantenuti o raggiunti altresì per i corpi idrici a specifica destinazione di cui all'articolo 79 gli obiettivi di qualità per specifica destinazione di cui all'Allegato 2 alla parte terza del presente decreto, salvi i termini di adempimento previsti dalla normativa previgente.

5. Qualora per un corpo idrico siano designati obiettivi di qualità ambientale e per specifica destinazione che prevedono per gli stessi parametri valori limite diversi, devono essere rispettati quelli più cautelativi quando essi si riferiscono al conseguimento dell'obiettivo di qualità ambientale; l'obbligo di rispetto di tali valori limite decorre dal 22 dicembre 2015.

6. Il Piano di tutela provvede al coordinamento degli obiettivi di qualità ambientale con i diversi obiettivi di qualità per specifica destinazione.

7. Le regioni possono definire obiettivi di qualità ambientale più elevati, nonché individuare ulteriori destinazioni dei corpi idrici e relativi obiettivi di qualità (80).

 

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(80) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

77. Individuazione e perseguimento dell'obiettivo di qualità ambientale.

1. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, sulla base dei dati già acquisiti e dei risultati del primo rilevamento effettuato ai sensi degli articoli 118 e 120, le regioni che non vi abbiano provveduto identificano per ciascun corpo idrico significativo, o parte di esso, la classe di qualità corrispondente ad una di quelle indicate nell'Allegato 1 alla parte terza del presente decreto.

2. In relazione alla classificazione di cui al comma 1, le regioni stabiliscono e adottano le misure necessarie al raggiungimento o al mantenimento degli obiettivi di qualità ambientale di cui all'articolo 76, comma 4, lettere a) e b), tenendo conto del carico massimo ammissibile, ove fissato sulla base delle indicazioni delle Autorità di bacino, e assicurando in ogni caso per tutti i corpi idrici l'adozione di misure atte ad impedire un ulteriore degrado.

3. Al fine di assicurare entro il 22 dicembre 2015 il raggiungimento dell'obiettivo di qualità ambientale corrispondente allo stato di "buono", entro il 31 dicembre 2008 ogni corpo idrico superficiale classificato o tratto di esso deve conseguire almeno i requisiti dello stato di "sufficiente" di cui all'Allegato 1 alla parte terza del presente decreto.

4. Le acque ricadenti nelle aree protette devono essere conformi agli obiettivi e agli standard di qualità fissati nell'Allegato 1 alla parte terza del presente decreto, secondo le scadenze temporali ivi stabilite, salvo diversa disposizione della normativa di settore a norma della quale le singole aree sono state istituite.

5. La designazione di un corpo idrico artificiale o fortemente modificato e la relativa motivazione sono esplicitamente menzionate nei piani di bacino e sono riesaminate ogni sei anni. Le regioni possono definire un corpo idrico artificiale o fortemente modificato quando:

a) le modifiche delle caratteristiche idromorfologiche di tale corpo, necessarie al raggiungimento di un buono stato ecologico, abbiano conseguenze negative rilevanti:

1) sull'ambiente in senso ampio;

2) sulla navigazione, comprese le infrastrutture portuali, o sul diporto;

3) sulle attività per le quali l'acqua è accumulata, quali la fornitura di acqua potabile, la produzione di energia o l'irrigazione;

4) sulla regolazione delle acque, la protezione dalle inondazioni o il drenaggio agricolo;

5) su altre attività sostenibili di sviluppo umano ugualmente importanti;

b) i vantaggi cui sono finalizzate le caratteristiche artificiali o modificate del corpo idrico non possono, per motivi di fattibilità tecnica o a causa dei costi sproporzionati, essere raggiunti con altri mezzi che rappresentino un'opzione significativamente migliore sul piano ambientale.

6. Le regioni possono motivatamente prorogare il termine del 23 dicembre 2015 per poter conseguire gradualmente gli obiettivi dei corpi idrici purché non si verifichi un ulteriore deterioramento dello stato dei corpi idrici e sussistano tutte le seguenti condizioni:

a) i miglioramenti necessari per il raggiungimento del buono stato di qualità ambientale non possono essere raggiunti entro i termini stabiliti almeno per uno dei seguenti motivi:

1) i miglioramenti dello stato dei corpi idrici possono essere conseguiti per motivi tecnici solo in fasi successive al 23 dicembre 2015;

2) il completamento dei miglioramenti entro i termini fissati sarebbe sproporzionalmente costoso;

3) le condizioni naturali non consentono il miglioramento del corpo idrico nei tempi richiesti;

b) la proroga dei termini e le relative motivazioni sono espressamente indicate nei piani di cui agli articoli 117 e 121;

c) le proroghe non possono superare il periodo corrispondente a due ulteriori aggiornamenti dei piani di cui alla lettera b), fatta eccezione per i casi in cui le condizioni naturali non consentano di conseguire gli obiettivi entro detto periodo;

d) l'elenco delle misure, la necessità delle stesse per il miglioramento progressivo entro il termine previsto, la giustificazione di ogni eventuale significativo ritardo nella attuazione delle misure, nonché il relativo calendario di attuazione delle misure devono essere riportati nei piani di cui alla lettera b). Le informazioni devono essere aggiornate nel riesame dei piani (81).

7. Le regioni, per alcuni corpi idrici, possono stabilire di conseguire obiettivi ambientali meno rigorosi rispetto a quelli di cui al comma 4, qualora, a causa delle ripercussioni dell'impatto antropico rilevato ai sensi dell'articolo 118 o delle loro condizioni naturali, non sia possibile o sia esageratamente oneroso il loro raggiungimento. Devono, in ogni caso, ricorrere le seguenti condizioni:

a) la situazione ambientale e socioeconomica non consente di prevedere altre opzioni significativamente migliori sul piano ambientale ed economico;

b) la garanzia che:

1) per le acque superficiali venga conseguito il migliore stato ecologico e chimico possibile, tenuto conto degli impatti che non potevano ragionevolmente essere evitati per la natura dell'attività umana o dell'inquinamento;

 

2) per le acque sotterranee siano apportate modifiche minime al loro stato di qualità, tenuto conto degli impatti che non potevano ragionevolmente essere evitati per la natura dell'attività umana o dell'inquinamento;

 

c) per lo stato del corpo idrico non si verifichi alcun ulteriore deterioramento;

d) gli obiettivi ambientali meno rigorosi e le relative motivazioni figurano espressamente nel piano di gestione del bacino idrografico e del piano di tutela di cui agli articoli 117 e 121 e tali obiettivi sono rivisti ogni sei anni nell'ambito della revisione di detti piani (82).

8. Quando ricorrono le condizioni di cui al comma 7, la definizione di obiettivi meno rigorosi è consentita purché essi non comportino l'ulteriore deterioramento dello stato del corpo idrico e, fatto salvo il caso di cui alla lettera b) del medesimo comma 7, purché non sia pregiudicato il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla parte terza del presente decreto in altri corpi idrici compresi nello stesso bacino idrografico.

9. Nei casi previsti dai commi 6 e 7, i Piani di tutela devono comprendere le misure volte alla tutela del corpo idrico, ivi compresi i provvedimenti integrativi o restrittivi della disciplina degli scarichi ovvero degli usi delle acque. I tempi e gli obiettivi, nonché le relative misure, sono rivisti almeno ogni sei anni ed ogni eventuale modifica deve essere inserita come aggiornamento del piano.

10. Il deterioramento temporaneo dello stato del corpo idrico dovuto a circostanze naturali o di forza maggiore eccezionali e ragionevolmente imprevedibili, come alluvioni violente e siccità prolungate, o conseguente a incidenti ragionevolmente imprevedibili, non dà luogo a una violazione delle prescrizioni della parte terza del presente decreto, purchè ricorrano tutte le seguenti condizioni:

a) che siano adottate tutte le misure volte ad impedire l'ulteriore deterioramento dello stato di qualità dei corpi idrici e la compromissione del raggiungimento degli obiettivi di cui all'articolo 76 ed al presente articolo in altri corpi idrici non interessati alla circostanza;

b) che il Piano di tutela preveda espressamente le situazioni in cui detti eventi possono essere dichiarati ragionevolmente imprevedibili o eccezionali, anche adottando gli indicatori appropriati;

c) che siano previste ed adottate misure idonee a non compromettere il ripristino della qualità del corpo idrico una volta conclusisi gli eventi in questione;

d) che gli effetti degli eventi eccezionali o imprevedibili siano sottoposti a un riesame annuale e, con riserva dei motivi di cui all'articolo 76, comma 4, lettera a), venga fatto tutto il possibile per ripristinare nel corpo idrico, non appena ciò sia ragionevolmente fattibile, lo stato precedente tali eventi;

e) che una sintesi degli effetti degli eventi e delle misure adottate o da adottare sia inserita nel successivo aggiornamento del Piano di tutela.

10-bis. Le regioni non violano le disposizioni del presente decreto nei casi in cui:

a) il mancato raggiungimento del buon stato delle acque sotterranee, del buono stato ecologico delle acque superficiali o, ove pertinente, del buon potenziale ecologico ovvero l'incapacità di impedire il deterioramento del corpo idrico superficiale e sotterraneo sono dovuti a nuove modifiche delle caratteristiche fisiche di un corpo idrico superficiale o ad alterazioni idrogeologiche dei corpi idrici sotterranei;

b) l'incapacità di impedire il deterioramento da uno stato elevato ad un buono stato di un corpo idrico superficiale sia dovuto a nuove attività sostenibili di sviluppo umano purché sussistano le seguenti condizioni:

1) siano state avviate le misure possibili per mitigare l'impatto negativo sullo stato del corpo idrico;

2) siano indicate puntualmente ed illustrate nei piani di cui agli articoli 117 e 121 le motivazioni delle modifiche o delle alterazioni e gli obiettivi siano rivisti ogni sei anni;

3) le motivazioni delle modifiche o delle alterazioni di cui alla lettera b) siano di prioritario interesse pubblico ed i vantaggi per l'ambiente e la società, risultanti dal conseguimento degli obiettivi di cui al comma 1, siano inferiori rispetto ai vantaggi derivanti dalle modifiche o dalle alterazioni per la salute umana, per il mantenimento della sicurezza umana o per lo sviluppo sostenibile;

4) per motivi di fattibilità tecnica o di costi sproporzionati, i vantaggi derivanti dalle modifiche o dalle alterazioni del corpo idrico non possano essere conseguiti con altri mezzi che garantiscono soluzioni ambientali migliori (83) (84).

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(81) Comma così sostituito dall'art. 3, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

(82) Comma così sostituito dall'art. 3, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

(83) Comma aggiunto dall'art. 3, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

(84) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

78. Standard di qualità per l'ambiente acquatico.

1. Ai fini della tutela delle acque superficiali dall'inquinamento provocato dalle sostanze pericolose, i corpi idrici significativi di cui all'articolo 76 devono essere conformi entro il 31 dicembre 2008 agli standard di qualità riportati alla Tabella 1/A dell'Allegato 1 alla parte terza del presente decreto, la cui disciplina sostituisce ad ogni effetto quella di cui al decreto ministeriale 6 novembre 2003, n. 367.

2. I Piani di tutela delle acque di cui all'articolo 121 contengono gli strumenti per il conseguimento degli standard di cui al comma 1, anche ai fini della gestione dei fanghi derivanti dagli impianti di depurazione e dalla disciplina degli scarichi.

3. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio viene data attuazione al disposto dell'articolo 16 della direttiva 2000/60/CE entro il 31 dicembre 2015. Entro gli stessi termini le acque a specifica destinazione di cui all'articolo 79 devono essere conformi agli standard dettati dal medesimo decreto (85).

 

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(85) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

79. Obiettivo di qualità per specifica destinazione.

1. Sono acque a specifica destinazione funzionale:

a) le acque dolci superficiali destinate alla produzione di acqua potabile;

b) le acque destinate alla balneazione;

c) le acque dolci che richiedono protezione e miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci;

d) le acque destinate alla vita dei molluschi.

2. Fermo restando quanto disposto dall'articolo 76, commi 4 e 5, per le acque indicate al comma 1, è perseguito, per ciascun uso, l'obiettivo di qualità per specifica destinazione stabilito nell'Allegato 2 alla parte terza del presente decreto, fatta eccezione per le acque di balneazione.

3. Le regioni, al fine di un costante miglioramento dell'ambiente idrico, stabiliscono programmi, che vengono recepiti nel Piano di tutela, per mantenere o adeguare la qualità delle acque di cui al comma 1 all'obiettivo di qualità per specifica destinazione. Le regioni predispongono apposito elenco aggiornato periodicamente delle acque di cui al comma 1 (86).

 

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(86) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

Capo II

 

Acque a specifica destinazione

 

80. Acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile.

1. Le acque dolci superficiali, per essere utilizzate o destinate alla produzione di acqua potabile, sono classificate dalle regioni nelle categorie A1, A2 e A3, secondo le caratteristiche fisiche, chimiche e microbiologiche di cui alla Tabella 1/A dell'Allegato 2 alla parte terza del presente decreto.

2. A seconda della categoria di appartenenza, le acque dolci superficiali di cui al comma 1 sono sottoposte ai trattamenti seguenti:

a) Categoria A1: trattamento fisico semplice e disinfezione;

b) Categoria A2: trattamento fisico e chimico normale e disinfezione;

c) Categoria A3: trattamento fisico e chimico spinto, affinamento e disinfezione.

3. Le regioni inviano i dati relativi al monitoraggio e alla classificazione delle acque di cui ai commi 1 e 2 al Ministero della salute, che provvede al successivo inoltro alla Commissione europea.

4. Le acque dolci superficiali che presentano caratteristiche fisiche, chimiche e microbiologiche qualitativamente inferiori ai valori limite imperativi della categoria A3 possono essere utilizzate, in via eccezionale, solo qualora non sia possibile ricorrere ad altre fonti di approvvigionamento e a condizione che le acque siano sottoposte ad opportuno trattamento che consenta di rispettare le norme di qualità delle acque destinate al consumo umano (87).

 

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(87) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

81. Deroghe.

1. Per le acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile, le regioni possono derogare ai valori dei parametri di cui alla Tabella 1/A dell'Allegato 2 alla parte terza del presente decreto:

a) in caso di inondazioni o di catastrofi naturali;

b) limitatamente ai parametri contraddistinti nell'Allegato 2 alla parte terza del presente decreto Tabella 1/A dal simbolo (o), qualora ricorrano circostanze meteorologiche eccezionali o condizioni geografiche particolari;

c) quando le acque superficiali si arricchiscono naturalmente di talune sostanze con superamento dei valori fissati per le categorie Al, A2 e A3;

d) nel caso di laghi che abbiano una profondità non superiore ai 20 metri, che per rinnovare le loro acque impieghino più di un anno e nel cui specchio non defluiscano acque di scarico, limitatamente ai parametri contraddistinti nell'Allegato 2 alla parte terza del presente decreto, Tabella 1/A da un asterisco (*).

2. Le deroghe di cui al comma 1 non sono ammesse se ne derivi concreto pericolo per la salute pubblica (88).

 

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(88) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

82. Acque utilizzate per l'estrazione di acqua potabile.

1. Fatte salve le disposizioni per le acque dolci superficiali destinate alla produzione di acqua potabile, le regioni, all'interno del distretto idrografico di appartenenza, individuano:

a) tutti i corpi idrici superficiali e sotterranei che forniscono in media oltre 10 m3 al giorno o servono più di 50 persone, e

b) i corpi idrici destinati a tale uso futuro.

2. L'autorità competente provvede al monitoraggio, a norma dell'Allegato 1 alla parte terza del presente decreto, dei corpi idrici che forniscono in media oltre 100 m3 al giorno.

3. Per i corpi idrici di cui al comma 1 deve essere conseguito l'obiettivo ambientale di cui agli articoli 76 e seguenti (89).

 

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(89) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

83. Acque di balneazione.

1. Le acque destinate alla balneazione devono soddisfare i requisiti di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 1982, n. 470.

2. Per le acque che risultano ancora non idonee alla balneazione ai sensi del decreto di cui al comma 1, le regioni comunicano al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, entro l'inizio della stagione balneare successiva alla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto e, successivamente, con periodicità annuale prima dell'inizio della stagione balneare, tutte le informazioni relative alle cause della non balneabilità ed alle misure che intendono adottare, secondo le modalità indicate dal decreto di cui all'articolo 75, comma 6 (90).

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(90) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

84. Acque dolci idonee alla vita dei pesci.

1. Le regioni effettuano la designazione delle acque dolci che richiedono protezione o miglioramento per esser idonee alla vita dei pesci. Ai fini di tale designazione sono privilegiati:

a) i corsi d'acqua che attraversano il territorio di parchi nazionali e riserve naturali dello Stato nonché di parchi e riserve naturali regionali;

b) i laghi naturali ed artificiali, gli stagni ed altri corpi idrici, situati nei predetti ambiti territoriali;

c) le acque dolci superficiali comprese nelle zone umide dichiarate "di importanza internazionale" ai sensi della convenzione di Ramsar del 2 febbraio 1971, resa esecutiva con il decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 1976, n. 448, sulla protezione delle zone umide, nonché quelle comprese nelle "oasi di protezione della fauna", istituite dalle regioni e province autonome ai sensi della legge 11 febbraio 1992, n. 157;

d) le acque dolci superficiali che, ancorché non comprese nelle precedenti categorie, presentino un rilevante interesse scientifico, naturalistico, ambientale e produttivo in quanto costituenti habitat di specie animali o vegetali rare o in via di estinzione, oppure in quanto sede di complessi ecosistemi acquatici meritevoli di conservazione o, altresì, sede di antiche e tradizionali forme di produzione ittica che presentino un elevato grado di sostenibilità ecologica ed economica.

2. Le regioni, entro quindici mesi dalla designazione, classificano le acque dolci superficiali che presentino valori dei parametri di qualità conformi con quelli imperativi previsti dalla Tabella 1/B dell'Allegato 2 alla parte terza del presente decreto come acque dolci "salmonicole" o "ciprinicole".

3. La designazione e la classificazione di cui ai commi 1 e 2 devono essere gradualmente estese sino a coprire l'intero corpo idrico, ferma restando la possibilità di designare e classificare, nell'ambito del medesimo, alcuni tratti come "acqua salmonicola" e alcuni tratti come "acqua ciprinicola". La designazione e la classificazione sono sottoposte a revisione in relazione ad elementi imprevisti o sopravvenuti.

4. Qualora sia richiesto da eccezionali ed urgenti necessità di tutela della qualità delle acque dolci idonee alla vita dei pesci, il Presidente della Giunta regionale o il Presidente della Giunta provinciale, nell'ambito delle rispettive competenze, adottano provvedimenti specifici e motivati, integrativi o restrittivi degli scarichi ovvero degli usi delle acque.

 

5. Sono escluse dall'applicazione del presente articolo e degli articoli 85 e 86 le acque dolci superficiali dei bacini naturali o artificiali utilizzati per l'allevamento intensivo delle specie ittiche nonché i canali artificiali adibiti a uso plurimo, di scolo o irriguo, e quelli appositamente costruiti per l'allontanamento dei liquami e di acque reflue industriali (91).

 

 

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(91) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

85. Accertamento della qualità delle acque idonee alla vita dei pesci.

1. Le acque designate e classificate ai sensi dell'articolo 84 si considerano idonee alla vita dei pesci se rispondono ai requisiti riportati nella Tabella 1/B dell'Allegato 2 alla parte terza del presente decreto.

2. Se dai campionamenti risulta che non sono rispettati uno o più valori dei parametri riportali nella Tabella 1/B dell'Allegato 2 alla parte terza del presente decreto, le autorità competenti al controllo accertano se l'inosservanza sia dovuta a fenomeni naturali, a causa fortuita, ad apporti inquinanti o a eccessivi prelievi, e propongono all'autorità competente le misure appropriate.

3. Ai fini di una più completa valutazione delle qualità delle acque, le regioni promuovono la realizzazione di idonei programmi di analisi biologica delle acque designate e classificate (92).

 

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(92) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

86. Deroghe.

1. Per le acque dolci superficiali designate o classificate per essere idonee alla vita dei pesci, le regioni possono derogare al rispetto dei parametri indicati nella Tabella 1/B dell'Allegato 2 alla parte terza del presente decreto con il simbolo (o) in caso di circostanze meteorologiche eccezionali o speciali condizioni geografiche e, quanto al rispetto dei parametri riportati nella medesima Tabella, in caso di arricchimento naturale del corpo idrico da sostanze provenienti dal suolo senza intervento diretto dell'uomo (93).

 

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(93) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

87. Acque destinate alla vita dei molluschi.

1. Le regioni, d'intesa con il Ministero delle politiche agricole e forestali, designano, nell'ambito delle acque marine costiere e salmastre che sono sede di banchi e di popolazioni naturali di molluschi bivalvi e gasteropodi, quelle richiedenti protezione e miglioramento per consentire la vita e lo sviluppo degli stessi e per contribuire alla buona qualità dei prodotti della molluschicoltura direttamente commestibili per l'uomo.

2. Le regioni possono procedere a designazioni complementari, oppure alla revisione delle designazioni già effettuate, in funzione dell'esistenza di elementi imprevisti al momento della designazione.

 

3. Qualora sia richiesto da eccezionali ed urgenti necessità di tutela della qualità delle acque destinate alla vita dei molluschi, il Presidente della Giunta regionale, il Presidente della Giunta provinciale e il Sindaco, nell'ambito delle rispettive competenze, adottano provvedimenti specifici e motivati, integrativi o restrittivi degli scarichi ovvero degli usi delle acque (94).

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(94) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

88. Accertamento della qualità delle acque destinate alla vita dei molluschi.

1. Le acque designate ai sensi dell'articolo 87 devono rispondere ai requisiti di qualità di cui alla Tabella 1/C dell'Allegato 2 alla parte terza del presente decreto. In caso contrario, le regioni stabiliscono programmi per ridurne l'inquinamento.

2. Se da un campionamento risulta che uno o più valori dei parametri di cui alla Tabella 1/C dell'Allegato 2 alla parte terza del presente decreto non sono rispettati, le autorità competenti al controllo accertano se l'inosservanza sia dovuta a fenomeni naturali, a causa fortuita o ad altri fattori di inquinamento e le regioni adottano misure appropriate (95).

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(95) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

89. Deroghe.

1. Per le acque destinate alla vita dei molluschi, le regioni possono derogare ai requisiti di cui alla Tabella 1/C dell'Allegato 2 alla parte terza del presente decreto in caso di condizioni meteorologiche o geomorfologiche eccezionali (96).

 

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(96) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

90. Norme sanitarie.

1. Le attività di cui agli articoli 87, 88 e 89 lasciano impregiudicata l'attuazione delle norme sanitarie relative alla classificazione delle zone di produzione e di stabulazione dei molluschi bivalvi vivi, effettuata ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 530 (97).

 

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(97) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

Titolo III

Tutela dei corpi idrici e disciplina degli scarichi

Capo I

Aree richiedenti specifiche misure di prevenzione dall'inquinamento e di risanamento

 

91. Aree sensibili.

1. Le aree sensibili sono individuate secondo i criteri dell'Allegato 6 alla parte terza del presente decreto. Sono comunque aree sensibili:

a) i laghi di cui all'Allegato 6 alla parte terza del presente decreto, nonché i corsi d'acqua a esse afferenti per un tratto di 10 chilometri dalla linea di costa;

b) le aree lagunari di Orbetello, Ravenna e Piallassa-Baiona, le Valli di Comacchio, i laghi salmastri e il delta del Po;

c) le zone umide individuate ai sensi della convenzione di Ramsar del 2 febbraio 1971, resa esecutiva con decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 1976, n. 448;

d) le aree costiere dell'Adriatico Nord-Occidentale dalla foce dell'Adige al confine meridionale del comune di Pesaro e i corsi d'acqua ad essi afferenti per un tratto di 10 chilometri dalla linea di costa;

e) il lago di Garda e il lago d’Idro;

f) i fiumi Sarca-Mincio, Oglio, Adda, Lambro-Olona meridionale e Ticino;

g) il fiume Arno a valle di Firenze e i relativi affluenti;

h) il golfo di Castellammare in Sicilia;

i) le acque costiere dell'Adriatico settentrionale.

2. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, sentita la Conferenza Stato-regioni, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto individua con proprio decreto ulteriori aree sensibili identificate secondo i criteri di cui all'Allegato 6 alla parte terza del presente decreto.

3. Resta fermo quanto disposto dalla legislazione vigente relativamente alla tutela di Venezia.

4. Le regioni, sulla base dei criteri di cui al comma 1 e sentita l'Autorità di bacino, entro un anno dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, e successivamente ogni due anni, possono designare ulteriori aree sensibili ovvero individuare all'interno delle aree indicate nel comma 2 i corpi idrici che non costituiscono aree sensibili.

5. Le regioni, sulla base dei criteri di cui al comma 1 e sentita l'Autorità di bacino, delimitano i bacini drenanti nelle aree sensibili che contribuiscono all'inquinamento di tali aree.

6. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio provvede con proprio decreto, da emanare ogni quattro anni dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, sentita la Conferenza Stato-regioni, alla riedificazione delle aree sensibili e dei rispettivi bacini drenanti che contribuiscono all'inquinamento delle aree sensibili.

7. Le nuove aree sensibili identificate ai sensi dei commi 2, 4, e 6 devono soddisfare i requisiti dell'articolo 106 entro sette anni dall'identificazione.

8. Gli scarichi recapitanti nei bacini drenanti afferenti alle aree sensibili di cui ai commi 2 e 6 sono assoggettate alle disposizioni di cui all'articolo 106 (98).

 

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(98) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

92. Zone vulnerabili da nitrati di origine agricola.

1. Le zone vulnerabili sono individuate secondo i criteri di cui all'Allegato 7/A-I alla parte terza del presente decreto.

2. Ai fini della prima individuazione sono designate zone vulnerabili le aree elencate nell'Allegato 7/A-III alla parte terza del presente decreto.

3. Per tener conto di cambiamenti e/o di fattori imprevisti alla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, dopo quattro anni da tale data il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio con proprio decreto, sentita la Conferenza Stato-regioni, può modificare i criteri di cui al comma 1.

4. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, sulla base dei dati disponibili e tenendo conto delle indicazioni stabilite nell'Allegato 7/A-I alla parte terza del presente decreto, le regioni, sentite le Autorità di bacino, possono individuare ulteriori zone vulnerabili oppure, all'interno delle zone indicate nell'Allegato 7/A-III alla parte terza del presente decreto, le parti che non costituiscono zone vulnerabili.

5. Per tener conto di cambiamenti e/o di fattori imprevisti al momento della precedente designazione, almeno ogni quattro anni le regioni, sentite le Autorità di bacino, possono rivedere o completare le designazioni delle zone vulnerabili. A tal fine le regioni predispongono e attuano, ogni quattro anni, un programma di controllo per verificare le concentrazioni dei nitrati nelle acque dolci per il periodo di un anno, secondo le prescrizioni di cui all'Allegato 7/A-I alla parte terza del presente decreto, nonché riesaminano lo stato eutrofico causato da azoto delle acque dolci superficiali, delle acque di transizione e delle acque marine costiere.

6. Nelle zone individuate ai sensi dei commi 2, 4 e 5 devono essere attuati i programmi di azione di cui al comma 7, nonché le prescrizioni contenute nel codice di buona pratica agricola di cui al decreto del Ministro per le politiche agricole e forestali 19 aprile 1999, pubblicato nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 102 del 4 maggio 1999.

7. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto per le zone designate ai sensi dei commi 2 e 4, ed entro un anno dalla data di designazione per le ulteriori zone di cui al comma 5, le regioni, sulla base delle indicazioni e delle misure di cui all'Allegato 7/A-IV alla parte terza del presente decreto, definiscono, o rivedono se già posti in essere, i programmi d'azione obbligatori per la tutela e il risanamento delle acque dall'inquinamento causato da nitrati di origine agricola, e provvedono alla loro attuazione nell'anno successivo per le zone vulnerabili di cui ai commi 2 e 4 e nei successivi quattro anni per le zone di cui al comma 5.

8. Le regioni provvedono, inoltre, a:

a) integrare, se del caso, in relazione alle esigenze locali, il codice di buona pratica agricola, stabilendone le modalità di applicazione;

b) predisporre ed attuare interventi di formazione e di informazione degli agricoltori sul programma di azione e sul codice di buona pratica agricola;

c) elaborare ed applicare, entro quattro anni a decorrere dalla definizione o revisione dei programmi di cui al comma 7, i necessari strumenti di controllo e verifica dell'efficacia dei programmi stessi sulla base dei risultati ottenuti; ove necessario, modificare o integrare tali programmi individuando, tra le ulteriori misure possibili, quelle maggiormente efficaci, tenuto conto dei costi di attuazione delle misure stesse.

9. Le variazioni apportate alle designazioni, i programmi di azione, i risultati delle verifiche dell'efficacia degli stessi e le revisioni effettuate sono comunicati al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, secondo le modalità indicate nel decreto di cui all'articolo 75, comma 6. Al Ministero per le politiche agricole e forestali è data tempestiva notizia delle integrazioni apportate al codice di buona pratica agricola di cui al comma 8, lettera a), nonché degli interventi di formazione e informazione.

10. Al fine di garantire un generale livello di protezione delle acque è raccomandata l'applicazione del codice di buona pratica agricola anche al di fuori delle zone vulnerabili (99).

 

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(99) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

93. Zone vulnerabili da prodotti fitosanitari e zone vulnerabili alla desertificazione.

1. Con le modalità previste dall'articolo 92, e sulla base delle indicazioni contenute nell'Allegato 7/B alla parte terza del presente decreto, le regioni identificano le aree vulnerabili da prodotti fitosanitari secondo i criteri di cui all'articolo 5, comma 21, del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194, allo scopo di proteggere le risorse idriche o altri comparti ambientali dall'inquinamento derivante dall'uso di prodotti fitosanitari.

2. Le regioni e le Autorità di bacino verificano la presenza nel territorio di competenza di aree soggette o minacciate da fenomeni di siccità, degrado del suolo e processi di desertificazione e le designano quali aree vulnerabili alla desertificazione.

3. Per le aree di cui al comma 2, nell'ambito della pianificazione di distretto e della sua attuazione, sono adottate specifiche misure di tutela, secondo i criteri previsti nel Piano d'azione nazionale di cui alla delibera CIPE del 22 dicembre 1998, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 39 del 17 febbraio 1999 (100).

 

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(100) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

94. Disciplina delle aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano.

1. Su proposta delle Autorità d'àmbito, le regioni, per mantenere e migliorare le caratteristiche qualitative delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano, erogate a terzi mediante impianto di acquedotto che riveste carattere di pubblico interesse, nonché per la tutela dello stato delle risorse, individuano le aree di salvaguardia distinte in zone di tutela assoluta e zone di rispetto, nonché, all'interno dei bacini imbriferi e delle aree di ricarica della falda, le zone di protezione.

2. Per gli approvvigionamenti diversi da quelli di cui al comma 1, le Autorità competenti impartiscono, caso per caso, le prescrizioni necessarie per la conservazione e la tutela della risorsa e per il controllo delle caratteristiche qualitative delle acque destinate al consumo umano.

3. La zona di tutela assoluta è costituita dall'area immediatamente circostante le captazioni o derivazioni: essa, in caso di acque sotterranee e, ove possibile, per le acque superficiali, deve avere un'estensione di almeno dieci metri di raggio dal punto di captazione, deve essere adeguatamente protetta e dev'essere adibita esclusivamente a opere di captazione o presa e ad infrastrutture di servizio.

4. La zona di rispetto è costituita dalla porzione di territorio circostante la zona di tutela assoluta da sottoporre a vincoli e destinazioni d'uso tali da tutelare qualitativamente e quantitativamente la risorsa idrica captata e può essere suddivisa in zona di rispetto ristretta e zona di rispetto allargata, in relazione alla tipologia dell'opera di presa o captazione e alla situazione locale di vulnerabilità e rischio della risorsa. In particolare, nella zona di rispetto sono vietati l'insediamento dei seguenti centri di pericolo e lo svolgimento delle seguenti attività:

a) dispersione di fanghi e acque reflue, anche se depurati;

b) accumulo di concimi chimici, fertilizzanti o pesticidi;

c) spandimento di concimi chimici, fertilizzanti o pesticidi, salvo che l'impiego di tali sostanze sia effettuato sulla base delle indicazioni di uno specifico piano di utilizzazione che tenga conto della natura dei suoli, delle colture compatibili, delle tecniche agronomiche impiegate e della vulnerabilità delle risorse idriche;

d) dispersione nel sottosuolo di acque meteoriche proveniente da piazzali e strade.

e) aree cimiteriali;

f) apertura di cave che possono essere in connessione con la falda;

g) apertura di pozzi ad eccezione di quelli che estraggono acque destinate al consumo umano e di quelli finalizzati alla variazione dell'estrazione ed alla protezione delle caratteristiche quali-quantitative della risorsa idrica;

h) gestione di rifiuti;

i) stoccaggio di prodotti ovvero, sostanze chimiche pericolose e sostanze radioattive;

l) centri di raccolta, demolizione e rottamazione di autoveicoli;

m) pozzi perdenti;

n) pascolo e stabulazione di bestiame che ecceda i 170 chilogrammi per ettaro di azoto presente negli effluenti, al netto delle perdite di stoccaggio e distribuzione. É comunque vietata la stabulazione di bestiame nella zona di rispetto ristretta.

5. Per gli insediamenti o le attività di cui al comma 4, preesistenti, ove possibile, e comunque ad eccezione delle aree cimiteriali, sono adottate le misure per il loro allontanamento; in ogni caso deve essere garantita la loro messa in sicurezza. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto le regioni e le province autonome disciplinano, all'interno delle zone di rispetto, le seguenti strutture o attività:

a) fognature;

b) edilizia residenziale e relative opere di urbanizzazione;

c) opere viarie, ferroviarie e in genere infrastrutture di servizio;

d) pratiche agronomiche e contenuti dei piani di utilizzazione di cui alla lettera c) del comma 4.

6. In assenza dell'individuazione da parte delle regioni o delle province autonome della zona di rispetto ai sensi del comma 1, la medesima ha un'estensione di 200 metri di raggio rispetto al punto di captazione o di derivazione.

7. Le zone di protezione devono essere delimitate secondo le indicazioni delle regioni o delle province autonome per assicurare la protezione del patrimonio idrico. In esse si possono adottare misure relative alla destinazione del territorio interessato, limitazioni e prescrizioni per gli insediamenti civili, produttivi, turistici, agro-forestali e zootecnici da inserirsi negli strumenti urbanistici comunali, provinciali, regionali, sia generali sia di settore.

8. Ai fini della protezione delle acque sotterranee, anche di quelle non ancora utilizzate per l'uso umano, le regioni e le province autonome individuano e disciplinano, all'interno delle zone di protezione, le seguenti aree:

a) aree di ricarica della falda;

b) emergenze naturali ed artificiali della falda;

c) zone di riserva (101).

 

(101) Ad integrazione di quantodisposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

Capo II

Tutela quantitativa della risorsa e risparmio idrico

 

95. Pianificazione del bilancio idrico.

1. La tutela quantitativa della risorsa concorre al raggiungimento degli obiettivi di qualità attraverso una pianificazione delle utilizzazioni delle acque volta ad evitare ripercussioni sulla qualità delle stesse e a consentire un consumo idrico sostenibile.

2. Nei piani di tutela sono adottate le misure volte ad assicurare l'equilibrio del bilancio idrico come definito dalle Autorità di bacino, nel rispetto delle priorità stabilite dalla normativa vigente e tenendo conto dei fabbisogni, delle disponibilità, del minimo deflusso vitale, della capacità di ravvenamento della falda e delle destinazioni d'uso della risorsa compatibili con le relative caratteristiche qualitative e quantitative.

3. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, le regioni definiscono, sulla base delle linee guida adottate dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio con proprio decreto, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nonché sulla base dei criteri già adottati dalle Autorità di bacino, gli obblighi di installazione e manutenzione in regolare stato di funzionamento di idonei dispositivi per la misurazione delle portate e dei volumi d'acqua pubblica derivati, in corrispondenza dei punti di prelievo e, ove presente, di restituzione, nonché gli obblighi e le modalità di trasmissione dei risultati delle misurazioni dell'Autorità concedente per il loro successivo inoltro alla regione ed alle Autorità di bacino competenti. Le Autorità di bacino provvedono a trasmettere i dati in proprio possesso al Servizio geologico d'Italia - Dipartimento difesa del suolo dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT) secondo le modalità di cui all'articolo 75, comma 6.

4. Salvo quanto previsto al comma 5, tutte le derivazioni di acqua comunque in atto alla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto sono regolate dall'Autorità concedente mediante la previsione di rilasci volti a garantire il minimo deflusso vitale nei corpi idrici, come definito secondo i criteri adottati dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio con apposito decreto, previa intesa con la Conferenza Stato-regioni, senza che ciò possa dar luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione, fatta salva la relativa riduzione del canone demaniale di concessione.

5. Per le finalità di cui ai commi 1 e 2, le Autorità concedenti effettuano il censimento di tutte le utilizzazioni in atto nel medesimo corpo idrico sulla base dei criteri adottati dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio con proprio decreto, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano; le medesime Autorità provvedono successivamente, ove necessario, alla revisione di tale censimento, disponendo prescrizioni o limitazioni temporali o quantitative, senza che ciò possa dar luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione, fatta salva la relativa riduzione del canone demaniale di concessione.

6. Nel provvedimento di concessione preferenziale, rilasciato ai sensi dell'articolo 4 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, sono contenute le prescrizioni relative ai rilasci volti a garantire il minimo deflusso vitale nei corpi idrici nonché le prescrizioni necessarie ad assicurare l'equilibrio del bilancio idrico (102).

 

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(102) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

96. Modifiche al regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775.

1. Il secondo comma dell'articolo 7 del testo unico delle disposizioni sulle acque impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, è sostituito dal seguente:

"Le domande di cui al primo comma relative sia alle grandi sia alle piccole derivazioni sono altresì trasmesse alle Autorità di bacino territorialmente competenti che, entro il termine perentorio di quaranta giorni dalla data di ricezione ove si tratti di domande relative a piccole derivazioni, comunicano il proprio parere vincolante ai competente Ufficio Istruttore in ordine alla compatibilità della utilizzazione con le previsioni del Piano di tutela, ai fini del controllo sull'equilibrio del bilancio idrico o idrologico, anche in attesa di approvazione del Piano anzidetto. Qualora le domande siano relative a grandi derivazioni, il termine per la comunicazione del suddetto parere è elevato a novanta giorni dalla data di ricezione delle domande medesime. Decorsi i predetti termini senza che sia intervenuta alcuna pronuncia, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio nomina un Commissario "ad acta" che provvede entro i medesimi termini decorrenti dalla data della nomina.".

2. I commi 1 e 1-bis. dell'articolo 9 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, sono sostituiti dai seguenti:

"1. Tra più domande concorrenti, completata l'istruttoria di cui agli articoli 7 e 8, è preferita quella che da sola, o in connessione con altre utenze concesse o richieste, presenta la più razionale utilizzazione delle risorse idriche in relazione ai seguenti criteri:

a) l'attuale livello di soddisfacimento delle esigenze essenziali dei concorrenti anche da parte dei servizi pubblici di acquedotto o di irrigazione e la prioritaria destinazione delle risorse qualificate all'uso potabile;

b) le effettive possibilità di migliore utilizzo delle fonti in relazione all'uso;

c) le caratteristiche quantitative e qualitative del corpo idrico oggetto di prelievo;

d) la quantità e la qualità dell'acqua restituita rispetto a quella prelevata.

1-bis. E' preferita la domanda che, per lo stesso tipo di uso, garantisce la maggior restituzione d'acqua in rapporto agli obiettivi di qualità dei corpi idrici. In caso di più domande concorrenti per usi produttivi è altresì preferita quella del richiedente che aderisce al sistema ISO 14001, ovvero al sistema di cui al regolamento (CEE) n. 761/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2001, sull'adesione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS).

1-ter. Per lo stesso tipo di uso è preferita la domanda che garantisce che i minori prelievi richiesti siano integrati dai volumi idrici derivati da attività di recupero e di riciclo.".

3. L'articolo 12-bis del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, è sostituito dal seguente:

"Articolo 12-bis.

1. Il provvedimento di concessione è rilasciato se:

a) non pregiudica il mantenimento o il raggiungimento degli obiettivi di qualità definiti per il corso d'acqua interessato;

b) è garantito il minimo deflusso vitale e l'equilibrio del bilancio idrico;

c) non sussistono possibilità di riutilizzo di acque reflue depurate o provenienti dalla raccolta di acque piovane ovvero, pur sussistendo tali possibilità, il riutilizzo non risulta sostenibile sotto il profilo economico.

2. I volumi di acqua concessi sono altresì commisurati alle possibilità di risparmio, riutilizzo o riciclo delle risorse. Il disciplinare di concessione deve fissare, ove tecnicamente possibile, la quantità e le caratteristiche qualitative dell'acqua restituita. Analogamente, nei casi di prelievo da falda deve essere garantito l'equilibrio tra il prelievo e la capacità di ricarica dell'acquifero, anche al fine di evitare pericoli di intrusione di acque salate o inquinate, e quant'altro sia utile in funzione del controllo del miglior regime delle acque.

3. L'utilizzo di risorse prelevate da sorgenti o falde, o comunque riservate al consumo umano, può essere assentito per usi diversi da quello potabile se:

a) viene garantita la condizione di equilibrio del bilancio idrico per ogni singolo fabbisogno;

b) non sussistono possibilità di riutilizzo di acque reflue depurate o provenienti dalla raccolta di acque piovane, oppure, dove sussistano tali possibilità, il riutilizzo non risulta sostenibile sotto il profilo economico;

c) sussiste adeguata disponibilità delle risorse predette e vi è una accertata carenza qualitativa e quantitativa di fonti alternative di approvvigionamento.

4. Nei casi di cui al comma 3, il canone di utenza per uso diverso da quello potabile è triplicalo. Sono escluse le concessioni ad uso idroelettrico i cui impianti sono posti in serie con gli impianti di acquedotto.".

4. L'articolo 17 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, è sostituito dal seguente:

"Articolo 17.

1. Salvo quanto previsto dall'articolo 93 e dal comma 2, è vietato derivare o utilizzare acqua pubblica senza un provvedimento autorizzativo o concessorio dell'autorità competente.

2. La raccolta di acque piovane in invasi e cisterne al servizio di fondi agricoli o di singoli edifici è libera e non richiede licenza o concessione di derivazione di acqua; la realizzazione dei relativi manufatti è regolata dalle leggi in materia di edilizia, di costruzioni nelle zone sismiche, di dighe e sbarramenti e dalle altre leggi speciali.

3. Nel caso di violazione delle norme di cui al comma 1, Amministrazione competente dispone la cessazione dell'utenza abusiva ed il contravventore, fatti salvi ogni altro adempimento o comminatoria previsti dalle leggi vigenti, è tenuto al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 3.000 euro a 30.000 euro. Nei casi di particolare tenuità si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 300 euro a 1.500 euro. Alla sanzione prevista dal presente articolo non si applica il pagamento in misura ridotta di cui all'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689. E' in ogni caso dovuta una somma pari ai canoni non corrisposti. L'autorità competente, con espresso provvedimento nel quale sono stabilite le necessarie cautele, può eccezionalmente consentire la continuazione provvisoria del prelievo in presenza di particolari ragioni di interesse pubblico generale, purché l'utilizzazione non risulti in palese contrasto con i diritti di terzi e con il buon regime delle acque.".

5. Il secondo comma dell'articolo 54 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, già abrogato dall'articolo 23 del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, resta abrogato.

6. Fatto salvo quanto previsto dal comma 7, per le derivazioni o utilizzazioni di acqua pubblica in tutto o in parte abusivamente in atto è ammessa la presentazione di domanda di concessione in sanatoria entro il 30 giugno 2006 previo pagamento della sanzione di cui all'articolo 17 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, aumentata di un quinto. Successivamente a tale data, alle derivazioni o utilizzazioni di acqua pubblica in tutto o in parte abusivamente in atto si applica l'articolo 17, comma 3, del regio decreto 11 dicembre 1933 n. 1775. La concessione in sanatoria è rilasciata nel rispetto della legislazione vigente e delle utenze regolarmente assentite. In pendenza del procedimento istruttorio della concessione in sanatoria, l'utilizzazione può proseguire fermo restando l'obbligo del pagamento del canone per l'uso effettuato e il potere dell'autorità concedente di sospendere in qualsiasi momento l'utilizzazione qualora in contrasto con i diritti di terzi o con il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di qualità e dell'equilibrio del bilancio idrico. Restano comunque ferme le disposizioni di cui all'articolo 95, comma 5.

7. I termini entro i quali far valere, a pena di decadenza, ai sensi degli articoli 3 e 4 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, il diritto al riconoscimento o alla concessione di acque che hanno assunto natura pubblica a norma dell'articolo 1, comma 1 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, nonché per la presentazione delle denunce dei pozzi a norma dell'articolo 10 del decreto legislativo 12 luglio 1993, n. 275, sono prorogati al 31 dicembre 2007. In tali casi i canoni demaniali decorrono dal 10 agosto 1999. Nel provvedimento di concessione preferenziale sono contenute le prescrizioni relative ai rilasci volti a garantire il minimo deflusso vitale nei corpi idrici e quelle prescrizioni necessarie ad assicurare l'equilibrio del bilancio idrico (103).

8. Il primo comma dell'articolo 21 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, è sostituito dal seguente:

"Tutte le concessioni di derivazione sono temporanee. La durata delle concessioni, fatto salvo quanto disposto dal secondo comma, non può eccedere i trenta anni ovvero i quaranta per uso irriguo e per la piscicoltura, ad eccezione di quelle di grande derivazione idroelettrica, per le quali resta ferma la disciplina di cui all'articolo 12, commi 6, 7 e 8 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79".

9. Dopo il terzo comma dell'articolo 21 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, è inserito il seguente:

"Le concessioni di derivazioni per uso irriguo devono tener conto delle tipologie delle colture in funzione della disponibilità della risorsa idrica, della quantità minima necessaria alla coltura stessa, prevedendo se necessario specifiche modalità di irrigazione; le stesse sono assentite o rinnovate solo qualora non risulti possibile soddisfare la domanda d'acqua attraverso le strutture consortili già operanti sul territorio.".

10. Fatta salva l'efficacia delle norme più restrittive, tutto il territorio nazionale è assoggettato a tutela ai sensi dell'articolo 94 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775.

11. Le regioni disciplinano i procedimenti di rilascio delle concessioni di derivazione di acque pubbliche nel rispetto delle direttive sulla gestione del demanio idrico nelle quali sono indicate anche le possibilità di libero utilizzo di acque superficiali scolanti su suoli o in fossi di canali di proprietà privata. Le regioni, sentite le Autorità di bacino, disciplinano forme di regolazione dei prelievi delle acque sotterranee per gli usi domestici, come definiti dall'articolo 93 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, laddove sia necessario garantire l'equilibrio del bilancio idrico (104).

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(103) Comma così modificato dal comma 1 dell’art. 2, D.L. 28 dicembre 2006, n. 300, come sostituito dalla relativa legge di conversione.

(104) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

97. Acque minerali naturali e di sorgenti.

1. Le concessioni di utilizzazione delle acque minerali naturali e delle acque di sorgente sono rilasciate tenuto conto delle esigenze di approvvigionamento e distribuzione delle acque potabili e delle previsioni del Piano di tutela di cui all'articolo 121 (105).

 

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(105) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

98. Risparmio idrico.

1. Coloro che gestiscono o utilizzano la risorsa idrica adottano le misure necessarie all'eliminazione degli sprechi ed alla riduzione dei consumi e ad incrementare il riciclo ed il riutilizzo, anche mediante l'utilizzazione delle migliori tecniche disponibili.

2. Le regioni, sentite le Autorità di bacino, approvano specifiche norme sul risparmio idrico in agricoltura, basato sulla pianificazione degli usi, sulla corretta individuazione dei fabbisogni nel settore, e sui controlli degli effettivi emungimenti (106).

 

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(106) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

99. Riutilizzo dell'acqua.

1. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio con proprio decreto, sentiti i Ministri delle politiche agricole e forestali, della salute e delle attività produttive, detta le norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue (107).

2. Le regioni, nel rispetto dei principi della legislazione statale, e sentita l'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, adottano norme e misure volte a favorire il riciclo dell'acqua e il riutilizzo delle acque reflue depurate (108) (109).

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(107) In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.M. 2 maggio 2006. Con Comunicato 26 giugno 2006 (Gazz. Uff. 26 giugno 2006, n. 146) è stata segnalata l’inefficacia del suddetto D.M. 2 maggio 2006 il quale, non essendo stato inviato alla Corte dei Conti per essere sottoposto al preventivo e necessario controllo, non ha ottenuto la registrazione prevista dalla legge e, conseguentemente, non può considerarsi giuridicamente produttivo di effetti.

(108) Il riferimento dell'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti è stato soppresso ai sensi di quanto disposto dal comma 5 dell'art. 1, D.Lgs. 8 novembre 2006, n. 284.

(109) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

Capo III

Tutela qualitativa della risorsa: disciplina degli scarichi

 

100. Reti fognarie.

1. Gli agglomerati con un numero di abitanti equivalenti superiore a 2.000 devono essere provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane.

2. La progettazione, la costruzione e la manutenzione delle reti fognarie si effettuano adottando le migliori tecniche disponibili e che comportino costi economicamente ammissibili, tenendo conto, in particolare:

a) della portata media, del volume annuo e delle caratteristiche delle acque reflue urbane;

b) della prevenzione di eventuali fenomeni di rigurgito che comportino la fuoriuscita delle acque reflue dalle sezioni fognarie;

c) della limitazione dell'inquinamento dei ricettori, causato da tracimazioni originate da particolari eventi meteorici.

3. Per insediamenti, installazioni o edifici isolati che producono acque reflue domestiche, le regioni individuano sistemi individuali o altri sistemi pubblici o privati adeguati che raggiungano lo stesso livello di protezione ambientale, indicando i tempi di adeguamento degli scarichi a detti sistemi (110).

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(110) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

101. Criteri generali della disciplina degli scarichi.

1. Tutti gli scarichi sono disciplinati in funzione del rispetto degli obiettivi di qualità dei corpi idrici e devono comunque rispettare i valori limite previsti nell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto. L'autorizzazione può in ogni caso stabilire specifiche deroghe ai suddetti limiti e idonee prescrizioni per i periodi di avviamento e di arresto e per l'eventualità di guasti nonché per gli ulteriori periodi transitori necessari per il ritorno alle condizioni di regime.

2. Ai fini di cui al comma 1, le regioni, nell'esercizio della loro autonomia, tenendo conto dei carichi massimi ammissibili e delle migliori tecniche disponibili, definiscono i valori-limite di emissione, diversi da quelli di cui all'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, sia in concentrazione massima ammissibile sia in quantità massima per unità di tempo in ordine ad ogni sostanza inquinante e per gruppi o famiglie di sostanze affini. Le regioni non possono stabilire valori limite meno restrittivi di quelli fissati nell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto:

a) nella Tabella 1, relativamente allo scarico di acque reflue urbane in corpi idrici superficiali;

b) nella Tabella 2, relativamente allo scarico di acque reflue urbane in corpi idrici superficiali ricadenti in aree sensibili;

c) nella Tabella 3/A, per i cicli produttivi ivi indicati;

d) nelle Tabelle 3 e 4, per quelle sostanze indicate nella Tabella 5 del medesimo Allegato.

3. Tutti gli scarichi, ad eccezione di quelli domestici e di quelli ad essi assimilati ai sensi del comma 7, lettera e), devono essere resi accessibili per il campionamento da parte dell'autorità competente per il controllo nel punto assunto a riferimento per il campionamento, che, salvo quanto previsto dall'articolo 108, comma 4, va effettuato immediatamente a monte della immissione nel recapito in tutti gli impluvi naturali, le acque superficiali e sotterranee, interne e marine, le fognature, sul suolo e nel sottosuolo.

4. L'autorità competente per il controllo è autorizzata ad effettuare tutte le ispezioni che ritenga necessarie per l'accertamento delle condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi. Essa può richiedere che scarichi parziali contenenti le sostanze di cui ai numeri 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 12, 15, 16, 17 e 18 della tabella 5 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto subiscano un trattamento particolare prima della loro confluenza nello scarico generale.

5. I valori limite di emissione non possono in alcun caso essere conseguiti mediante diluizione con acque prelevate esclusivamente allo scopo. Non è comunque consentito diluire con acque di raffreddamento, di lavaggio o prelevate esclusivamente allo scopo gli scarichi parziali di cui al comma 4, prima del trattamento degli stessi per adeguarli ai limiti previsti dalla parte terza dal presente decreto. L'autorità competente, in sede di autorizzazione prescrive che lo scarico delle acque di raffreddamento, di lavaggio, ovvero impiegate per la produzione di energia, sia separato dagli scarichi terminali contenenti le sostanze di cui al comma 4 (111).

6. Qualora le acque prelevate da un corpo idrico superficiale presentino parametri con valori superiori ai valori-limite di emissione, la disciplina dello scarico è fissata in base alla natura delle alterazioni e agli obiettivi di qualità del corpo idrico ricettore. In ogni caso le acque devono essere restituite con caratteristiche qualitative non peggiori di quelle prelevate e senza maggiorazioni di portata allo stesso corpo idrico dal quale sono state prelevate.

7. Salvo quanto previsto dall'articolo 112, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, sono assimilate alle acque reflue domestiche le acque reflue:

a) provenienti da imprese dedite esclusivamente alla coltivazione del terreno e/o alla silvicoltura;

b) provenienti da imprese dedite ad allevamento di bestiame (112);

c) provenienti da imprese dedite alle attività di cui alle lettere a) e b) che esercitano anche attività di trasformazione o di valorizzazione della produzione agricola, inserita con carattere di normalità e complementarietà funzionale nel ciclo produttivo aziendale e con materia prima lavorata proveniente in misura prevalente dall'attività di coltivazione dei terreni di cui si abbia a qualunque titolo la disponibilità;

d) provenienti da impianti di acqua coltura e di piscicoltura che diano luogo a scarico e che si caratterizzino per una densità di allevamento pari o inferiore a 1 Kg per metro quadrato di specchio d'acqua o in cui venga utilizzata una portata d'acqua pari o inferiore a 50 litri al minuto secondo;

e) aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche e indicate dalla normativa regionale;

f) provenienti da attività termali, fatte salve le discipline regionali di settore.

8. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, e successivamente ogni due anni, le regioni trasmettono al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, al Servizio geologico d'Italia -Dipartimento difesa del suolo dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT) e all'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti le informazioni relative alla funzionalità dei depuratori, nonché allo smaltimento dei relativi fanghi, secondo le modalità di cui all'articolo 75, comma 5 (113).

9. Al fine di assicurare la più ampia divulgazione delle informazioni sullo stato dell'ambiente le regioni pubblicano ogni due anni, sui propri Bollettini Ufficiali e siti internet istituzionali, una relazione sulle attività di smaltimento delle acque reflue urbane nelle aree di loro competenza, secondo le modalità indicate nel decreto di cui all'articolo 75, comma 5.

10. Le Autorità competenti possono promuovere e stipulare accordi e contratti di programma con soggetti economici interessati, al fine di favorire il risparmio idrico, il riutilizzo delle acque di scarico e il recupero come materia prima dei fanghi di depurazione, con la possibilità di ricorrere a strumenti economici, di stabilire agevolazioni in materia di adempimenti amministrativi e di fissare, per le sostanze ritenute utili, limiti agli scarichi in deroga alla disciplina generale, nel rispetto comunque delle norme comunitarie e delle misure necessarie al conseguimento degli obiettivi di qualità (114).

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(111) Comma modificato dall’art. 2, comma 8, D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4.

(112) Lettera così modificata dall'art. 2, comma 8, D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4.

(113) Il riferimento all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti è stato soppresso ai sensi di quanto disposto dal comma 5 dell’art. 1, D.Lgs. 8 novembre 2006, n. 284.

(114) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

102. Scarichi di acque termali.

1. Per le acque termali che presentano all'origine parametri chimici con valori superiori a quelli limite di emissione, è ammessa la deroga ai valori stessi a condizione che le acque siano restituite con caratteristiche qualitative non superiori rispetto a quelle prelevate ovvero che le stesse, nell'ambito massimo del 10 per cento, rispettino i parametri batteriologici e non siano presenti le sostanze pericolose di cui alle Tabelle 3/A e 5 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto.

2. Gli scarichi termali sono ammessi, fatta salva la disciplina delle autorizzazioni adottata dalle regioni ai sensi dell'articolo 124, comma 5:

a) in corpi idrici superficiali, purché la loro immissione nel corpo ricettore non comprometta gli usi delle risorse idriche e non causi danni alla salute ed all'ambiente;

b) sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo, previa verifica delle situazioni geologiche;

c) in reti fognarie, purché vengano osservati i regolamenti emanati dal gestore del servizio idrico integrato e vengano autorizzati dalle Autorità di ambito;

d) in reti fognarie di tipo separato previste per le acque meteoriche (115).

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(115) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

103. Scarichi sul suolo.

1. È vietato lo scarico sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo, fatta eccezione:

a) per i casi previsti dall'articolo 100, comma 3;

b) per gli scaricatori di piena a servizio delle reti fognarie;

c) per gli scarichi di acque reflue urbane e industriali per i quali sia accertata l'impossibilità tecnica o l'eccessiva onerosità, a fronte dei benefìci ambientali conseguibili, a recapitare in corpi idrici superficiali, purché gli stessi siano conformi ai criteri ed ai valori-limite di emissione fissati a tal fine dalle regioni ai sensi dell'articolo 101, comma 2. Sino all'emanazione di nuove norme regionali si applicano i valori limite di emissione della Tabella 4 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto;

d) per gli scarichi di acque provenienti dalla lavorazione di rocce naturali nonché dagli impianti di lavaggio delle sostanze minerali, purché i relativi fanghi siano costituiti esclusivamente da acqua e inerti naturali e non comportino danneggiamento delle falde acquifere o instabilità dei suoli;

e) per gli scarichi di acque meteoriche convogliate in reti fognarie separate;

f) per le acque derivanti dallo sfioro dei serbatoi idrici, dalle operazioni di manutenzione delle reti idropotabili e dalla manutenzione dei pozzi di acquedotto.

2. Al di fuori delle ipotesi previste al comma 1, gli scarichi sul suolo esistenti devono essere convogliati in corpi idrici superficiali, in reti fognarie ovvero destinati al riutilizzo in conformità alle prescrizioni fissate con il decreto di cui all'articolo 99, comma 1. In caso di mancata ottemperanza agli obblighi indicati, l'autorizzazione allo scarico si considera a tutti gli effetti revocata.

3. Gli scarichi di cui alla lettera c) del comma 1 devono essere conformi ai limiti della Tabella 4 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto. Resta comunque fermo il divieto di scarico sul suolo delle sostanze indicate al punto 2.1 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto (116).

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(116) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

104. Scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee.

1. È vietato lo scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo.

2. In deroga a quanto previsto al comma 1, l'autorità competente, dopo indagine preventiva, può autorizzare gli scarichi nella stessa falda delle acque utilizzate per scopi geotermici, delle acque di infiltrazione di miniere o cave o delle acque pompate nel corso di determinati lavori di ingegneria civile, ivi comprese quelle degli impianti di scambio termico.

3. In deroga a quanto previsto dal comma 1, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, d'intesa con il Ministro delle attività produttive per i giacimenti a mare ed anche con le regioni per i giacimenti a terra, può altresì autorizzare lo scarico di acque risultanti dall'estrazione di idrocarburi nelle unità geologiche profonde da cui gli stessi idrocarburi sono stati estratti, oppure in unità dotate delle stesse caratteristiche, che contengano o abbiano contenuto idrocarburi, indicando le modalità dello scarico. Lo scarico non deve contenere altre acque di scarico o altre sostanze pericolose diverse, per qualità e quantità, da quelle derivanti dalla separazione degli idrocarburi. Le relative autorizzazioni sono rilasciate con la prescrizione delle precauzioni tecniche necessarie a garantire che le acque di scarico non possano raggiungere altri sistemi idrici o nuocere ad altri ecosistemi.

4. In deroga a quanto previsto al comma 1, l'autorità competente, dopo indagine preventiva anche finalizzata alla verifica dell'assenza di sostanze estranee, può autorizzare gli scarichi nella stessa falda delle acque utilizzate per il lavaggio e la lavorazione degli inerti, purché i relativi fanghi siano costituiti esclusivamente da acqua ed inerti naturali ed il loro scarico non comporti danneggiamento alla falda acquifera. A tal fine, l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA) competente per territorio, a spese del soggetto richiedente l'autorizzazione, accerta le caratteristiche quantitative e qualitative dei fanghi e l'assenza di possibili danni per la falda, esprimendosi con parere vincolante sulla richiesta di autorizzazione allo scarico.

5. Per le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi o gassosi in mare, lo scarico delle acque diretto in mare avviene secondo le modalità previste dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio con proprio decreto, purché la concentrazione di olii minerali sia inferiore a 40 mg/l. Lo scarico diretto a mare è progressivamente sostituito dalla iniezione o reiniezione in unità geologiche profonde, non appena disponibili pozzi non più produttivi ed idonei all'iniezione o reiniezione, e deve avvenire comunque nel rispetto di quanto previsto dai commi 2 e 3.

6. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, in sede di autorizzazione allo scarico in unità geologiche profonde di cui al comma 3, autorizza anche lo scarico diretto a mare, secondo le modalità previste dai commi 5 e 7, per i seguenti casi:

a) per la frazione di acqua eccedente, qualora la capacità del pozzo iniettore o reiniettore non sia sufficiente a garantire la ricezione di tutta l'acqua risultante dall'estrazione di idrocarburi;

b) per il tempo necessario allo svolgimento della manutenzione, ordinaria e straordinaria, volta a garantire la corretta funzionalità e sicurezza del sistema costituito dal pozzo e dall'impianto di iniezione o di reiniezione.

7. Lo scarico diretto in mare delle acque di cui ai commi 5 e 6 è autorizzato previa presentazione di un piano di monitoraggio volto a verificare l'assenza di pericoli per le acquee per gli ecosistemi acquatici.

8. Al di fuori delle ipotesi previste dai commi 2, 3, 5 e 7, gli scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, esistenti e debitamente autorizzati, devono essere convogliati in corpi idrici superficiali ovvero destinati, ove possibile, al riciclo, al riutilizzo o all'utilizzazione agronomica. In caso di mancata ottemperanza agli obblighi indicati, l'autorizzazione allo scarico è revocata (117).

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(117) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

105. Scarichi in acque superficiali.

1. Gli scarichi di acque reflue industriali in acque superficiali devono rispettare i valori-limite di emissione fissati ai sensi dell'articolo 101, commi 1 e 2, in funzione del perseguimento degli obiettivi di qualità.

2. Gli scarichi di acque reflue urbane che confluiscono nelle reti fognarie, provenienti da agglomerati con meno di 2.000 abitanti equivalenti e recapitanti in acque dolci ed in acque di transizione, e gli scarichi provenienti da agglomerati con meno di 10.000 abitanti equivalenti, recapitanti in acque marino-costiere, sono sottoposti ad un trattamento appropriato, in conformità con le indicazioni dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto.

3. Le acque reflue urbane devono essere sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente in conformità con le indicazioni dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto.

4. Gli scarichi previsti al comma 3 devono rispettare, altresì, i valori-limite di emissione fissati ai sensi dell'articolo 101, commi 1 e 2,

5. Le regioni dettano specifica disciplina per gli scarichi di reti fognarie provenienti da agglomerati a forte fluttuazione stagionale degli abitanti, tenuto conto di quanto disposto ai commi 2 e 3 e fermo restando il conseguimento degli obiettivi di qualità.

6. Gli scarichi di acque reflue urbane in acque situate in zone d'alta montagna, ossia al di sopra dei 1500 metri sul livello del mare, dove, a causa delle basse temperature, è difficile effettuare un trattamento biologico efficace, possono essere sottoposti ad un trattamento meno spinto di quello previsto al comma 3, purché appositi studi comprovino che i suddetti scarichi non avranno ripercussioni negative sull'ambiente (118).

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(118) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

106. Scarichi di acque reflue urbane in corpi idrici ricadenti in aree sensibili.

1. Ferme restando le disposizioni dell'articolo 101, commi 1 e 2, le acque reflue urbane provenienti da agglomerati con oltre 10.000 abitanti equivalenti, che scaricano in acque recipienti individuate quali aree sensibili, devono essere sottoposte ad un trattamento più spinto di quello previsto dall'articolo 105, comma 3, secondo i requisiti specifici indicati nell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto.

2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano nelle aree sensibili in cui può essere dimostrato che la percentuale minima di riduzione del carico complessivo in ingresso a tutti gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane è pari almeno al settantacinque per cento per il fosforo totale oppure per almeno il settantacinque per cento per l'azoto totale.

3. Le regioni individuano, tra gli scarichi provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane situati all'interno dei bacini drenanti afferenti alle aree sensibili, quelli che, contribuendo all'inquinamento di tali aree, sono da assoggettare al trattamento di cui ai commi 1 e 2 in funzione del raggiungimento dell'obiettivo di qualità dei corpi idrici ricettori (119).

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(119) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

107. Scarichi in reti fognarie.

1. Ferma restando l'inderogabilità dei valori-limite di emissione di cui alla tabella 3/A dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto e, limitatamente ai parametri di cui alla nota 2 della Tabella 5 del medesimo Allegato 5, alla Tabella 3, gli scarichi di acque reflue industriali che recapitano in reti fognarie sono sottoposti alle norme tecniche, alle prescrizioni regolamentari e ai valori-limite adottati dall'Autorità d'ambito competente in base alle caratteristiche dell'impianto, e in modo che sia assicurata la tutela del corpo idrico ricettore nonché il rispetto della disciplina degli scarichi di acque reflue urbane definita ai sensi dell'articolo 101, commi 1 e 2.

2. Gli scarichi di acque reflue domestiche che recapitano in reti fognarie sono sempre ammessi purché osservino i regolamenti emanati dal soggetto gestore del servizio idrico integrato ed approvati dall'Autorità d'ambito competente.

3. Non è ammesso lo smaltimento dei rifiuti, anche se triturati, in fognatura (120).

4. Le regioni, sentite le province, possono stabilire norme integrative per il controllo degli scarichi degli insediamenti civili e produttivi allacciati alle pubbliche fognature, per la funzionalità degli impianti di pretrattamento e per il rispetto dei limiti e delle prescrizioni previsti dalle relative autorizzazioni (121).

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(120) Comma prima sostituito dall’art. 2, comma 8-bis del D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 col seguente testo: «Non è ammesso, senza idoneo trattamento e senza specifica autorizzazione dell'autorità competente, lo smaltimento dei rifiuti, anche se triturati, in fognatura», e successivamente così sostituito dal comma 19 dello stesso art. 2, D.Lgs. n. 4 del 2008.

(121) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

108. Scarichi di sostanze pericolose.

1. Le disposizioni relative agli scarichi di sostanze pericolose si applicano agli stabilimenti nei quali si svolgono attività che comportano la produzione, la trasformazione o l'utilizzazione delle sostanze di cui alle Tabelle 3/A e 5 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, e nei cui scarichi sia accertata la presenza di tali sostanze in quantità o concentrazioni superiori ai limiti di rilevabilità consentiti dalle metodiche di rilevamento in essere alla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, o, successivamente, superiori ai limiti di rilevabilità consentiti dagli aggiornamenti a tali metodiche messi a punto ai sensi del punto 4 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto.

2. Tenendo conto della tossicità, della persistenza e della bioaccumulazione della sostanza considerata nell'ambiente in cui è effettuato lo scarico, l'autorità competente in sede di rilascio dell'autorizzazione fissa, nei casi in cui risulti accertato che i valori limite definiti ai sensi dell'articolo 101, commi 1 e 2, impediscano o pregiudichino il conseguimento degli obiettivi di qualità previsti nel Piano di tutela di cui all'articolo 121, anche per la compresenza di altri scarichi di sostanze pericolose, valori-limite di emissione più restrittivi di quelli fissati ai sensi dell'articolo 101, commi 1 e 2 (122).

3. Ai fini dell'attuazione delle disposizioni di cui al comma 1 dell'articolo 107 e del comma 2 del presente articolo, entro il 30 ottobre 2007 devono essere attuate le prescrizioni concernenti gli scarichi delle imprese assoggettate alle disposizioni del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59. Dette prescrizioni, concernenti valori limite di emissione, parametri e misure tecniche, si basano sulle migliori tecniche disponibili, senza obbligo di utilizzare una tecnica o una tecnologia specifica, tenendo conto delle caratteristiche tecniche dell'impianto in questione, della sua ubicazione geografica e delle condizioni locali dell'ambiente.

4. Per le sostanze di cui alla Tabella 3/A dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, derivanti dai cicli produttivi indicati nella medesima tabella, le autorizzazioni stabiliscono altresì la quantità massima della sostanza espressa in unità di peso per unità di elemento caratteristico dell'attività inquinante e cioè per materia prima o per unità di prodotto, in conformità con quanto indicato nella stessa Tabella. Gli scarichi contenenti le sostanze pericolose di cui al comma 1 sono assoggettati alle prescrizioni di cui al punto 1.2.3. dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto.

5. Per le acque reflue industriali contenenti le sostanze della Tabella 5 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, il punto di misurazione dello scarico è fissato secondo quanto previsto dall'autorizzazione integrata ambientale di cui al decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, e, nel caso di attività non rientranti nel campo di applicazione del suddetto decreto, subito dopo l'uscita dallo stabilimento o dall'impianto di trattamento che serve lo stabilimento medesimo. L'autorità competente può richiedere che gli scarichi parziali contenenti le sostanze della tabella 5 del medesimo Allegato 5 siano tenuti separati dallo scarico generale e disciplinati come rifiuti. Qualora, come nel caso dell'articolo 124, comma 2, secondo periodo, l'impianto di trattamento di acque reflue industriali che tratta le sostanze pericolose, di cui alla tabella 5 del medesimo allegato 5, riceva, tramite condotta, acque reflue provenienti da altri stabilimenti industriali o acque reflue urbane, contenenti sostanze diverse non utili ad un modifica o ad una riduzione delle sostanze pericolose, in sede di autorizzazione l'autorità competente ridurrà opportunamente i valori limite di emissione indicati nella tabella 3 del medesimo Allegato 5 per ciascuna delle predette sostanze pericolose indicate in Tabella 5, tenendo conto della diluizione operata dalla miscelazione delle diverse acque reflue (123).

6. L'autorità competente al rilascio dell'autorizzazione per le sostanze di cui alla Tabella 3/A dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, derivanti dai cicli produttivi indicati nella tabella medesima, redige un elenco delle autorizzazioni rilasciate, degli scarichi esistenti e dei controlli effettuati, ai fini del successivo inoltro alla Commissione europea (124).

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(122) Comma così modificato dall'art. 2, comma 9, D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4.

(123) Comma così modificato dall’art. 2, comma 10, D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4.

(124) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

Capo IV

Ulteriori misure per la tutela dei corpi idrici

 

109. Immersione in mare di materiale derivante da attività di escavo e attività di posa in mare di cavi e condotte.

1. Al fine della tutela dell'ambiente marino e in conformità alle disposizioni delle convenzioni internazionali vigenti in materia, è consentita l'immersione deliberata in mare da navi ovvero aeromobili e da strutture ubicate nelle acque del mare o in ambiti ad esso contigui, quali spiagge, lagune e stagni salmastri e terrapieni costieri, dei materiali seguenti:

a) materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi;

b) inerti, materiali geologici inorganici e manufatti al solo fine di utilizzo, ove ne sia dimostrata la compatibilità e l'innocuità ambientale;

c) materiale organico e inorganico di origine marina o salmastra, prodotto durante l'attività di pesca effettuata in mare o laguna o stagni salmastri.

2. L'autorizzazione all'immersione in mare dei materiali di cui al comma 1, lettera a), è rilasciata dall'autorità competente solo quando è dimostrata, nell'ambito della relativa istruttoria, l'impossibilità tecnica o economica del loro utilizzo ai fini di ripascimento o di recupero oppure del loro smaltimento alternativo in conformità alle modalità stabilite con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle infrastrutture e dei trasporti, delle politiche agricole e forestali, delle attività produttive previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da emanarsi entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto.

3. L'immersione in mare di materiale di cui al comma 1, lettera b), è soggetta ad autorizzazione, con esclusione dei nuovi manufatti soggetti alla valutazione di impatto ambientale. Per le opere di ripristino, che non comportino aumento della cubatura delle opere preesistenti, è dovuta la sola comunicazione all'autorità competente.

4. L'immersione in mare dei materiali di cui al comma 1, lettera ), non è soggetta ad autorizzazione.

5. La movimentazione dei fondali marini derivante dall'attività di posa in mare di cavi e condotte è soggetta ad autorizzazione regionale rilasciata, in conformità alle modalità tecniche stabilite con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle attività produttive, delle infrastrutture e dei trasporti e delle politiche agricole e forestali, per quanto di competenza, da emanarsi entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto. Nel caso di condotte o cavi facenti parte di reti energetiche di interesse nazionale, o di connessione con reti energetiche di altri stati, l'autorizzazione è rilasciata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, sentite le regioni interessate, nell'ambito del procedimento unico di autorizzazione delle stesse reti (125).

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(125) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

110. Trattamento di rifiuti presso impianti di trattamento delle acque reflue urbane.

1. Salvo quanto previsto ai commi 2 e 3, è vietato l'utilizzo degli impianti di trattamento di acque reflue urbane per lo smaltimento di rifiuti.

2. In deroga al comma 1, l'autorità competente, d'intesa con l'Autorità d'ambito, in relazione a particolari esigenze e nei limiti della capacità residua di trattamento, autorizza il gestore del servizio idrico integrato a smaltire nell'impianto di trattamento di acque reflue urbane rifiuti liquidi, limitatamente alle tipologie compatibili con il processo di depurazione.

3. Il gestore del servizio idrico integrato, previa comunicazione all'autorità competente ai sensi dell'articolo 124, è comunque autorizzato ad accettare in impianti con caratteristiche e capacità depurative adeguate, che rispettino i valori limite di cui all'articolo 101, commi 1 e 2, i seguenti rifiuti e materiali, purché provenienti dal proprio Ambito territoriale ottimale oppure da altro Ambito territoriale ottimale sprovvisto di impianti adeguati:

a) rifiuti costituiti da acque reflue che rispettino i valori limite stabiliti per lo scarico in fognatura;

b) rifiuti costituiti dal materiale proveniente dalla manutenzione ordinaria di sistemi di trattamento di acque reflue domestiche previsti ai sensi dell'articolo 100, comma 3;

c) materiali derivanti dalla manutenzione ordinaria della rete fognaria nonché quelli derivanti da altri impianti di trattamento delle acque reflue urbane, nei quali l'ulteriore trattamento dei medesimi non risulti realizzabile tecnicamente e/o economicamente,

4. L'attività di cui ai commi 2 e 3 può essere consentita purché non sia compromesso il possibile riutilizzo delle acque reflue e dei fanghi.

5. Nella comunicazione prevista al comma 3 il gestore del servizio idrico integrato deve indicare la capacità residua dell'impianto e le caratteristiche e quantità dei rifiuti che intende trattare. L'autorità competente può indicare quantità diverse o vietare il trattamento di specifiche categorie di rifiuti. L'autorità competente provvede altresì all'iscrizione in appositi elenchi dei gestori di impianti di trattamento che hanno effettuato la comunicazione di cui al comma 3.

6. Allo smaltimento dei rifiuti di cui ai commi 2 e 3 si applica l'apposita tariffa determinata dall'Autorità d'ambito.

7. Il produttore ed il trasportatore dei rifiuti sono tenuti al rispetto della normativa in materia di rifiuti, fatta eccezione per il produttore dei rifiuti di cui al comma 3, lettera b), che è tenuto al rispetto dei soli obblighi previsti per i produttori dalla vigente normativa in materia di rifiuti. Il gestore del servizio idrico integrato che, ai sensi dei commi 3 e 5, tratta rifiuti è soggetto all'obbligo di tenuta del registro di carico e scarico secondo quanto previsto dalla vigente normativa in materia di rifiuti (126).

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(126) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

111. Impianti di acquacoltura e piscicoltura.

1. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle politiche agricole e forestali, delle infrastrutture e dei trasporti e delle attività produttive, e previa intesa con Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono individuati i criteri relativi al contenimento dell'impatto sull'ambiente derivante dalle attività di acquacoltura e di piscicoltura (127).

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(127) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

112. Utilizzazione agronomica.

1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 92 per le zone vulnerabili e dal decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, per gli impianti di allevamento intensivo di cui al punto 6.6 dell'Allegato 1 al predetto decreto, l'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, delle acque di vegetazione dei frantoi oleari, sulla base di quanto previsto dalla legge 11 novembre 1996, n. 574, nonché dalle acque reflue provenienti dalle aziende di cui all'articolo 101, comma 7, lettere a), b) e c), e da piccole aziende agroalimentari, così come individuate in base al decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali di cui al comma 2, è soggetta a comunicazione all'autorità competente ai sensi all'articolo 75 del presente decreto.

2. Le regioni disciplinano le attività di utilizzazione agronomica di cui al comma 1 sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali adottati con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali, di concerto con i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio, delle attività produttive, della salute e delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del predetto decreto ministeriale, garantendo nel contempo la tutela dei corpi idrici potenzialmente interessati ed in particolare il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di qualità di cui alla parte terza del presente decreto (128).

3. Nell'ambito della normativa di cui al comma 2, sono disciplinali in particolare:

a) le modalità di attuazione degli articoli 3, 5, 6 e 9 della legge 11 novembre 1996, n. 574;

b) i tempi e le modalità di effettuazione della comunicazione, prevedendo procedure semplificate nonché specifici casi di esonero dall'obbligo di comunicazione per le attività di minor impatto ambientale;

c) le norme tecniche di effettuazione delle operazioni di utilizzo agronomico;

d) i criteri e le procedure di controllo, ivi comprese quelle inerenti l'imposizione di prescrizioni da parte dell'autorità competente, il divieto di esercizio ovvero la sospensione a tempo determinato dell'attività di cui al comma 1 nel caso di mancata comunicazione o mancato rispetto delle norme tecniche e delle prescrizioni impartite;

e) le sanzioni amministrative pecuniarie fermo restando quanto disposto dall'articolo 137, comma 15 (129).

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(128) In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.M. 7 aprile 2006.

(129) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

113. Acque meteoriche di dilavamento e acque di prima pioggia.

1. Ai fini della prevenzione di rischi idraulici ed ambientali, le regioni, previo parere del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, disciplinano e attuano:

a) le forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate;

b) i casi in cui può essere richiesto che le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate, siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa l'eventuale autorizzazione.

2. Le acque meteoriche non disciplinate ai sensi del comma 1 non sono soggette a vincoli o prescrizioni derivanti dalla parte terza del presente decreto.

3. Le regioni disciplinano altresì i casi in cui può essere richiesto che le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne siano convogliate e opportunamente trattate in impianti di depurazione per particolari condizioni nelle quali, in relazione alle attività svolte, vi sia il rischio di dilavamento da superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o di sostanze che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici.

4. È comunque vietato lo scarico o l'immissione diretta di acque meteoriche nelle acque sotterranee (130).

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(130) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

114. Dighe.

1. Le regioni, previo parere del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, adottano apposita disciplina in materia di restituzione delle acque utilizzate per la produzione idroelettrica, per scopi irrigui e in impianti di potabilizzazione, nonché delle acque derivanti da sondaggi o perforazioni diversi da quelli relativi alla ricerca ed estrazione di idrocarburi, al fine di garantire il mantenimento o il raggiungimento degli obiettivi di qualità di cui al titolo II della parte terza del presente decreto.

2. Al fine di assicurare il mantenimento della capacità di invaso e la salvaguardia sia della qualità dell'acqua invasata sia del corpo ricettore, le operazioni di svaso, sghiaiamento e sfangamento delle dighe sono effettuate sulla base di un progetto di gestione di ciascun invaso. Il progetto di gestione è finalizzato a definire sia il quadro previsionale di dette operazioni connesse con le attività di manutenzione da eseguire sull'impianto, sia le misure di prevenzione e tutela del corpo ricettore, dell'ecosistema acquatico, delle attività di pesca e delle risorse idriche invasate e rilasciate a valle dell'invaso durante le operazioni stesse.

3. Il progetto di gestione individua altresì eventuali modalità di manovra degli organi di scarico, anche al fine di assicurare la tutela del corpo ricettore. Restano valide in ogni caso le disposizioni fissate dal decreto del Presidente della Repubblica 1° novembre 1959, n. 1363, volte a garantire la sicurezza di persone e cose.

4. Il progetto di gestione è predisposto dal gestore sulla base dei criteri fissati con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e dell'ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive e con quello delle politiche agricole e forestali, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da emanarsi entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto.

5. Il progetto di gestione è approvato dalle regioni, con eventuali prescrizioni, entro sei mesi dalla sua presentazione, previo parere dell’amministrazione competente alla vigilanza sulla sicurezza dell'invaso e dello sbarramento, ai sensi degli articoli 89 e 91 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e sentiti, ove necessario, gli enti gestori delle aree protette direttamente interessate; per le dighe di cui al citato articolo 91 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, il progetto approvato è trasmesso al Registro italiano dighe (RID) per l'inserimento, anche in forma sintetica, come parte integrante del foglio condizioni per l'esercizio e la manutenzione di cui all'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 1° novembre 1959, n. 1363, e relative disposizioni di attuazione. Il progetto di gestione si intende approvato e diviene operativo trascorsi sei mesi dalla data di presentazione senza che sia intervenuta alcuna pronuncia da parte della regione competente, fermo restando il potere di tali Enti di dettare eventuali prescrizioni, anche trascorso tale termine.

6. Con l'approvazione del progetto il gestore è autorizzato ad eseguire le operazioni di svaso, sghiaiamento e sfangamento in conformità ai limiti indicati nel progetto stesso e alle relative prescrizioni.

7. Nella definizione dei canoni di concessione di inerti le amministrazioni determinano specifiche modalità ed importi per favorire lo sghiaiamento e sfangamento degli invasi per asporto meccanico.

8. I gestori degli invasi esistenti, che ancora non abbiano ottemperato agli obblighi previsti dal decreto del Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio 30 giugno 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 269 del 16 novembre 2004, sono tenuti a presentare il progetto di cui al comma 2 entro sei mesi dall'emanazione del decreto di cui al comma 4. Fino all'approvazione o alla operatività del progetto di gestione, e comunque non oltre dodici mesi dalla data di entrata in vigore del predetto decreto, le operazioni periodiche di manovre prescritte ai sensi dell'articolo 17 del decreto del Presidente della Repubblica 1° novembre 1959, n. 1363, volte a controllare la funzionalità degli organi di scarico, sono svolte in conformità ai fogli di condizione per l'esercizio e la manutenzione.

9. Le operazioni di svaso, sghiaiamento e sfangamento degli invasi non devono pregiudicare gli usi in atto a valle dell'invaso, né il rispetto degli obiettivi di qualità ambientale e degli obiettivi di qualità per specifica destinazione (131).

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(131) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

115. Tutela delle aree di pertinenza dei corpi idrici.

1. Al fine di assicurare il mantenimento o il ripristino della vegetazione spontanea nella fascia immediatamente adiacente i corpi idrici, con funzioni di filtro per i solidi sospesi e gli inquinanti di origine diffusa, di stabilizzazione delle sponde e di conservazione della biodiversità da contemperarsi con le esigenze di funzionalità dell'alveo, entro un anno dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto le regioni disciplinano gli interventi di trasformazione e di gestione del suolo e del soprassuolo previsti nella fascia di almeno 10 metri dalla sponda di fiumi, laghi, stagni e lagune, comunque vietando la copertura dei corsi d'acqua che non sia imposta da ragioni di tutela della pubblica incolumità e la realizzazione di impianti di smaltimento dei rifiuti.

2. Gli interventi di cui al comma 1 sono comunque soggetti all'autorizzazione prevista dal regio decreto 25 luglio 1904, n. 523, salvo quanto previsto per gli interventi a salvaguardia della pubblica incolumità.

3. Per garantire le finalità di cui al comma 1, le aree demaniali dei fiumi, dei torrenti, dei laghi e delle altre acque possono essere date in concessione allo scopo di destinarle a riserve naturali, a parchi fluviali o lacuali o comunque a interventi di ripristino e recupero ambientale. Qualora le aree demaniali siano già comprese in aree naturali protette statali o regionali inserite nell'elenco ufficiale previsto dalla vigente normativa, la concessione è gratuita.

4. Le aree del demanio fluviale di nuova formazione ai sensi della legge 5 gennaio 1994, n. 37, non possono essere oggetto di sdemanializzazione (132).

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(132) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

116. Programmi di misure.

1. Le regioni, nell'ambito delle risorse disponibili, integrano i Piani di tutela di cui all'articolo 121 con i programmi di misure costituiti dalle misure di base di cui all'Allegato 11 alla parte terza del presente decreto e, ove necessarie, dalle misure supplementari di cui al medesimo Allegato; tali programmi di misure sono sottoposti per l'approvazione all'Autorità di bacino. Qualora le misure non risultino sufficienti a garantire il raggiungimento degli obiettivi previsti, l'Autorità di bacino ne individua le cause e indica alle regioni le modalità per il riesame dei programmi, invitandole ad apportare le necessarie modifiche, fermo restando il limite costituito dalle risorse disponibili. Le misure di base e supplementari devono essere comunque tali da evitare qualsiasi aumento di inquinamento delle acque marine e di quelle superficiali. I programmi sono approvati entro il 2009 ed attuati dalle regioni entro il 2012; il successivo riesame deve avvenire entro il 2015 e dev'essere aggiornato ogni sei anni (133).

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(133) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

Titolo IV

Strumenti di tutela

Capo I

Piani di gestione e piani di tutela delle acque

 

117. Piani di gestione e registro delle aree protette.

1. Per ciascun distretto idrografico è adottato un Piano di gestione, che rappresenta articolazione interna del Piano di bacino distrettuale di cui all'articolo 65. Il Piano di gestione costituisce pertanto piano stralcio del Piano di bacino e viene adottato e approvato secondo le procedure stabilite per quest'ultimo dall'articolo 66. Le Autorità di bacino, ai fini della predisposizione dei Piani di gestione, devono garantire la partecipazione di tutti i soggetti istituzionali competenti nello specifico settore.

2. Il Piano di gestione è composto dagli elementi indicati nella parte A dell'Allegato 4 alla parte terza del presente decreto.

3. L'Autorità di bacino, sentite le Autorità d'ambito del servizio idrico integrato, istituisce entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente norma, sulla base delle informazioni trasmesse dalle regioni, un registro delle aree protette di cui all'Allegato 9 alla parte terza del presente decreto, designate dalle autorità competenti ai sensi della normativa vigente (134).

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(134) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

118. Rilevamento delle caratteristiche del bacino idrografico ed analisi dell'impatto esercitato dall'attività antropica.

1. Al fine di aggiornare le informazioni necessarie alla redazione del Piano di tutela di cui all'articolo 121, le regioni attuano appositi programmi di rilevamento dei dati utili a descrivere le caratteristiche del bacino idrografico e a valutare l'impatto antropico esercitato sul medesimo, nonché alla raccolta dei dati necessari all'analisi economica dell'utilizzo delle acque, secondo quanto previsto dall'Allegato 10 alla parte terza del presente decreto. Le risultanze delle attività di cui sopra sono trasmesse al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio ed al Dipartimento tutela delle acque interne e marine dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT).

2. I programmi di cui al comma 1 sono adottati in conformità alle indicazioni di cui all'Allegato 3 alla parte terza del presente decreto e di cui alle disposizioni adottate con apposito decreto dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e sono aggiornati ogni sei anni.

3. Nell'espletamento dell'attività conoscitiva di cui al comma 1, le regioni sono tenute ad utilizzare i dati e le informazioni già acquisite (135).

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(135) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

119. Principio del recupero dei costi relativi ai servizi idrici.

1. Ai fini del raggiungimento degli obiettivi di qualità di cui al Capo I del titolo II della parte terza del presente decreto, le Autorità competenti tengono conto del principio del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi quelli ambientali e relativi alla risorsa, prendendo in considerazione l'analisi economica effettuata in base all'Allegato 10 alla parte terza del presente decreto e, in particolare, secondo il principio "chi inquina paga".

2. Entro il 2010 le Autorità competenti provvedono ad attuare politiche dei prezzi dell'acqua idonee ad incentivare adeguatamente gli utenti a usare le risorse idriche in modo efficiente ed a contribuire al raggiungimento ed al mantenimento degli obiettivi di qualità ambientali di cui alla direttiva 2000/60/CE nonché di cui agli articoli 76 e seguenti del presente decreto, anche mediante un adeguato contributo al recupero dei costi dei servizi idrici a carico dei vari settori di impiego dell'acqua, suddivisi almeno in industria, famiglie e agricoltura. Al riguardo dovranno comunque essere tenute in conto le ripercussioni sociali, ambientali ed economiche del recupero dei suddetti costi, nonché delle condizioni geografiche e climatiche della regione o delle regioni in questione. In particolare:

a) i canoni di concessione per le derivazioni delle acque pubbliche tengono conto dei costi ambientali e dei costi della risorsa connessi all'utilizzo dell’acqua;

b) le tariffe dei servizi idrici a carico dei vari settori di impiego dell'acqua, quali quelli civile, industriale e agricolo, contribuiscono adeguatamente al recupero dei costi sulla base dell'analisi economica effettuata secondo l'Allegato 10 alla parte terza del presente decreto.

3. Nei Piani di tutela di cui all'articolo 121 sono riportate le fasi previste per l'attuazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 necessarie al raggiungimento degli obiettivi di qualità di cui alla parte terza del presente decreto (136).

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(136) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

120. Rilevamento dello stato di qualità dei corpi idrici.

1. Le regioni elaborano ed attuano programmi per la conoscenza e la verifica dello stato qualitativo e quantitativo delle acque superficiali e sotterranee all'interno di ciascun bacino idrografico.

2. I programmi di cui al comma 1 sono adottati in conformità alle indicazioni di cui all'Allegato 1 alla parte terza del presente decreto. Tali programmi devono essere integrati con quelli già esistenti per gli obiettivi a specifica destinazione stabiliti in conformità all'Allegato 2 alla parte terza del presente decreto, nonché con quelli delle acque inserite nel registro delle aree protette. Le risultanze delle attività di cui al comma 1 sono trasmesse al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio ed al Dipartimento tutela delle acque interne e marine dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT).

3. Al fine di evitare sovrapposizioni e di garantire il flusso delle informazioni raccolte e la loro compatibilità con il Sistema informativo nazionale dell'ambiente (SINA), le regioni possono promuovere, nell'esercizio delle rispettive competenze, accordi di programma con l'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), le Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente di cui al decreto-legge 4 dicembre 1993, n. 496, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 gennaio 1994, n. 61, le province, le Autorità d'ambito, i consorzi di bonifica e di irrigazione e gli altri enti pubblici interessati. Nei programmi devono essere definite altresì le modalità di standardizzazione dei dati e di interscambio delle informazioni (137).

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(137) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

121. Piani di tutela delle acque.

1. Il Piano di tutela delle acque costituisce uno specifico piano di settore ed è articolato secondo i contenuti elencati nel presente articolo, nonché secondo le specifiche indicate nella parte B dell'Allegato 4 alla parte terza del presente decreto.

2. Entro il 31 dicembre 2006 le Autorità di bacino, nel contesto delle attività di pianificazione o mediante appositi atti di indirizzo e coordinamento, sentite le province e le Autorità d'ambito, definiscono gli obiettivi su scala di distretto cui devono attenersi i piani di tutela delle acque, nonché le priorità degli interventi. Entro il 31 dicembre 2007, le regioni, sentite le province e previa adozione delle eventuali misure di salvaguardia, adottano il Piano di tutela delle acquee lo trasmettono al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio nonché alle competenti Autorità di bacino, per le verifiche di competenza.

3. Il Piano di tutela contiene, oltre agli interventi volti a garantire il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di cui alla parte terza del presente decreto, le misure necessarie alla tutela qualitativa e quantitativa del sistema idrico.

4. Per le finalità di cui al comma 1 il Piano di tutela contiene in particolare:

a) i risultati dell'attività conoscitiva;

b) l'individuazione degli obiettivi di qualità ambientale e per specifica destinazione;

c) l'elenco dei corpi idrici a specifica destinazione e delle aree richiedenti specifiche misure di prevenzione dall'inquinamento e di risanamento;

d) le misure di tutela qualitative e quantitative tra loro integrate e coordinate per bacino idrografico;

e) l'indicazione della cadenza temporale degli interventi e delle relative priorità;

f) il programma di verifica dell'efficacia degli interventi previsti;

g) gli interventi di bonifica dei corpi idrici;

h) l'analisi economica di cui all'Allegato 10 alla parte terza del presente decreto e le misure previste al fine di dare attuazione alle disposizioni di cui all'articolo 119 concernenti il recupero dei costi dei servizi idrici;

i) le risorse finanziarie previste a legislazione vigente.

5. Entro centoventi giorni dalla trasmissione del Piano di tutela le Autorità di bacino verificano la conformità del piano agli atti di pianificazione o agli atti di indirizzo e coordinamento di cui al comma 2, esprimendo parere vincolante. Il Piano di tutela è approvato dalle regioni entro i successivi sei mesi e comunque non oltre il 31 dicembre 2008. Le successive revisioni e gli aggiornamenti devono essere effettuati ogni sei anni (138).

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(138) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

122. Informazione e consultazione pubblica.

1. Le regioni promuovono la partecipazione attiva di tutte le parti interessate all'attuazione della parte terza del presente decreto, in particolare all'elaborazione, al riesame e all'aggiornamento dei Piani di tutela. Su richiesta motivata, le regioni autorizzano l'accesso ai documenti di riferimento e alle informazioni in base ai quali é stato elaborato il progetto del Piano di tutela. Le regioni provvedono affinché, per il territorio di competenza ricadente nel distretto idrografico di appartenenza, siano pubblicati e resi disponibili per eventuali osservazioni da parte del pubblico:

a) il calendario e il programma di lavoro per la presentazione del Piano, inclusa una dichiarazione delle misure consultive che devono essere prese almeno tre anni prima dell'inizio del periodo cui il Piano si riferisce;

b) una valutazione globale provvisoria dei problemi prioritari per la gestione delle acque nell'ambito del bacino idrografico di appartenenza, almeno due anni prima dell'inizio del periodo cui il Piano si riferisce;

c) copia del progetto del Piano di tutela, almeno un anno prima dell'inizio del periodo cui il piano si riferisce.

2. Per garantire l'attiva partecipazione e la consultazione, le regioni concedono un periodo minimo di sei mesi per la presentazione di osservazioni scritte sui documenti di cui al comma 1.

3. I commi 1 e 2 si applicano anche agli aggiornamenti dei Piani di tutela (139).

(139) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

123. Trasmissione delle informazioni e delle relazioni.

1. Contestualmente alla pubblicazione dei Piani di tutela le regioni trasmettono copia di detti piani e di tutti gli aggiornamenti successivi al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio al fine del successivo inoltro alla Commissione europea.

2. Le regioni trasmettono al medesimo Ministero per il successivo inoltro alla Commissione europea, anche sulla base delle informazioni dettate, in materia di modalità di trasmissione delle informazioni sullo stato di qualità dei corpi idrici e sulla classificazione delle acque, dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio con apposito decreto, relazioni sintetiche concernenti:

a) l'attività conoscitiva di cui all'articolo 118 entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto. I successivi aggiornamenti sono trasmessi ogni sei anni a partire dal febbraio 2010;

b) i programmi di monitoraggio secondo quanto previsto all'articolo 120 entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto e successivamente con cadenza annuale.

3. Entro tre anni dalla pubblicazione di ciascun Piano di tutela o dall'aggiornamento di cui all'articolo 121, le regioni trasmettono al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio una relazione sui progressi realizzati nell'attuazione delle misure di base o supplementari di cui all'articolo 116 (140).

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(140) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

Capo II

Autorizzazione agli scarichi

124. Criteri generali.

1. Tutti gli scarichi devono essere preventivamente autorizzati.

2. L'autorizzazione è rilasciata al titolare dell'attività da cui origina lo scarico. Ove uno o più stabilimenti conferiscano, tramite condotta, ad un terzo soggetto, titolare dello scarico finale, le acque reflue provenienti dalle loro attività, oppure qualora tra più stabilimenti sia costituito un consorzio per l'effettuazione in comune dello scarico delle acque reflue provenienti dalle attività dei consorziati, l'autorizzazione è rilasciata in capo al titolare dello scarico finale o al consorzio medesimo, ferme restando le responsabilità dei singoli titolari delle attività suddette e del gestore del relativo impianto di depurazione in caso di violazione delle disposizioni della parte terza del presente decreto (141).

3. Il regime autorizzatorio degli scarichi di acque reflue domestiche e di reti fognarie, servite o meno da impianti di depurazione delle acque reflue urbane, è definito dalle regioni nell'ambito della disciplina di cui all'articolo 101, commi 1 e 2.

4. In deroga al comma 1, gli scarichi di acque reflue domestiche in reti fognarie sono sempre ammessi nell'osservanza dei regolamenti fissati dal gestore del servizio idrico integrato ed approvati dall'Autorità d'ambito.

5. Il regime autorizzatorio degli scarichi di acque reflue termali è definito dalle regioni; tali scarichi sono ammessi in reti fognarie nell'osservanza dei regolamenti emanati dal gestore del servizio idrico integrato ed in conformità all'autorizzazione rilasciata dall'Autorità di ambito.

6. Le regioni disciplinano le fasi di autorizzazione provvisoria agli scarichi degli impianti di depurazione delle acque reflue per il tempo necessario al loro avvio.

7. Salvo diversa disciplina regionale, la domanda di autorizzazione è presentata alla provincia ovvero all'Autorità d'ambito se lo scarico è in pubblica fognatura. L'autorità competente provvede entro novanta giorni dalla ricezione della domanda (142).

8. Salvo quanto previsto dal decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, l'autorizzazione è valida per quattro anni dal momento del rilascio. Un anno prima della scadenza ne deve essere chiesto il rinnovo. Lo scarico può essere provvisoriamente mantenuto in funzione nel rispetto delle prescrizioni contenute nella precedente autorizzazione, fino all'adozione di un nuovo provvedimento, se la domanda di rinnovo è stata tempestivamente presentata. Per gli scarichi contenenti sostanze pericolose di cui all'articolo 108, il rinnovo deve essere concesso in modo espresso entro e non oltre sei mesi dalla data di scadenza; trascorso inutilmente tale termine, lo scarico dovrà cessare immediatamente. La disciplina regionale di cui al comma 3 può prevedere per specifiche tipologie di scarichi di acque reflue domestiche, ove soggetti ad autorizzazione, forme di rinnovo tacito della medesima.

9. Per gli scarichi in un corso d'acqua nel quale sia accertata una portata naturale nulla per oltre centoventi giorni annui, oppure in un corpo idrico non significativo, l'autorizzazione tiene conto del periodo di portata nulla e della capacità di diluizione del corpo idrico negli altri periodi, e stabilisce prescrizioni e limiti al fine di garantire le capacità autodepurative del corpo ricettore e la difesa delle acque sotterranee.

10. In relazione alle caratteristiche tecniche dello scarico, alla sua localizzazione e alle condizioni locali dell'ambiente interessato, l'autorizzazione contiene le ulteriori prescrizioni tecniche volte a garantire che lo scarico, ivi comprese le operazioni ad esso funzionalmente connesse, avvenga in conformità alle disposizioni della parte terza del presente decreto e senza che consegua alcun pregiudizio per il corpo ricettore, per la salute pubblica e l'ambiente.

11. Le spese occorrenti per l'effettuazione di rilievi, accertamenti, controlli e sopralluoghi necessari per l'istruttoria delle domande di autorizzazione allo scarico previste dalla parte terza del presente decreto sono a carico del richiedente. L'autorità competente determina, preliminarmente all'istruttoria e in via provvisoria, la somma che il richiedente è tenuto a versare, a titolo di deposito, quale condizione di procedibilità della domanda. La medesima Autorità, completata l'istruttoria, provvede alla liquidazione definitiva delle spese sostenute sulla base di un tariffario dalla stessa approntato.

12. Per insediamenti, edifici o stabilimenti la cui attività sia trasferita in altro luogo, ovvero per quelli soggetti a diversa destinazione d'uso, ad ampliamento o a ristrutturazione da cui derivi uno scarico avente caratteristiche qualitativamente e/o quantitativamente diverse da quelle dello scarico preesistente, deve essere richiesta una nuova autorizzazione allo scarico, ove quest'ultimo ne risulti soggetto. Nelle ipotesi in cui lo scarico non abbia caratteristiche qualitative o quantitative diverse, deve essere data comunicazione all'autorità competente, la quale, verificata la compatibilità dello scarico con il corpo recettore, adotta i provvedimenti che si rendano eventualmente necessari (143).

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(141) Comma così sostituito dall’art. 2, comma 11, D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4.

(142) Comma così sostituito dall’art. 2, comma 12, D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4.

(143) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

125. Domanda dì autorizzazione agli scarichi di acque reflue industriali.

1. La domanda di autorizzazione agli scarichi di acque reflue industriali deve essere corredata dall'indicazione delle caratteristiche quantitative e qualitative dello scarico e del volume annuo di acqua da scaricare, dalla tipologia del ricettore, dalla individuazione dei punto previsto per effettuare i prelievi di controllo, dalla descrizione del sistema complessivo dello scarico ivi comprese le operazioni ad esso funzionalmente connesse, dall'eventuale sistema di misurazione del flusso degli scarichi, ove richiesto, e dalla indicazione delle apparecchiature impiegate nel processo produttivo e nei sistemi di scarico nonché dei sistemi di depurazione utilizzati per conseguire il rispetto dei valori limite di emissione.

2. Nel caso di scarichi di sostanze di cui alla tabella 3/A dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, derivanti dai cicli produttivi indicati nella medesima tabella 3/A, la domanda di cui al comma 1 deve altresì indicare:

a) la capacità di produzione del singolo stabilimento industriale che comporta la produzione o la trasformazione o l'utilizzazione delle sostanze di cui alla medesima tabella, oppure la presenza di tali sostanze nello scarico. La capacità di produzione dev'essere indicata con riferimento alla massima capacità oraria moltiplicata per il numero massimo di ore lavorative giornaliere e per il numero massimo di giorni lavorativi;

b) il fabbisogno orario di acque per ogni specifico processo produttivo (144).

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(144) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

126. Approvazione dei progetti degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane.

1. Le regioni disciplinano le modalità di approvazione dei progetti degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane. Tale disciplina deve tenere conto dei criteri di cui all'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto e della corrispondenza tra la capacità di trattamento dell'impianto e le esigenze delle aree asservite, nonché delle modalità della gestione che deve assicurare il rispetto dei valori limite degli scarichi. Le regioni disciplinano altresì le modalità di autorizzazione provvisoria necessaria all'avvio dell'impianto anche in caso di realizzazione per lotti funzionali (145).

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(145) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

127. Fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue.

1. Ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell'impianto di depurazione. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato (146) (147).

2. È vietato lo smaltimento dei fanghi nelle acque superficiali dolci e salmastre.

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(146) Comma così modificato dall’art. 2, comma 12-bis, D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4.

(147) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

Capo III

Controllo degli scarichi

128. Soggetti tenuti al controllo.

1. L'autorità competente effettua il controllo degli scarichi sulla base di un programma che assicuri un periodico, diffuso, effettivo ed imparziale sistema di controlli.

2. Fermo restando quanto stabilito al comma 1, per gli scarichi in pubblica fognatura il gestore del servizio idrico integrato organizza un adeguato servizio di controllo secondo le modalità previste nella convenzione di gestione (148).

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(148) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

129. Accessi ed ispezioni.

1. L'autorità competente al controllo è autorizzata a effettuare le ispezioni, i controlli e i prelievi necessari all'accertamento del rispetto dei valori limite di emissione, delle prescrizioni contenute nei provvedimenti autorizzatori o regolamentari e delle condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi. Il titolare dello scarico è tenuto a fornire le informazioni richieste e a consentire l'accesso ai luoghi dai quali origina lo scarico (149).

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(149) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

130. Inosservanza delle prescrizioni della autorizzazione allo scarico.

1. Ferma restando l'applicazione delle norme sanzionatorie di cui al titolo V della parte terza del presente decreto, in caso di inosservanza delle prescrizioni dell'autorizzazione allo scarico l'autorità competente procede, secondo la gravità dell'infrazione:

a) alla diffida, stabilendo un termine entro il quale devono essere eliminate le inosservanze:

b) alla diffida e contestuale sospensione dell'autorizzazione per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni di pericolo per la salute pubblica e per l'ambiente;

c) alla revoca dell'autorizzazione in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinino situazione di pericolo per la salute pubblica e per l'ambiente (150).

(150) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

 131. Controllo degli scarichi di sostanze pericolose.

Per gli scarichi contenenti le sostanze di cui alla Tabella 5 dell'Allegato 5 parte terza del presente decreto, l'autorità competente al rilascio dell'autorizzazione può prescrivere, a carico del titolare dello scarico, l'installazione di strumenti di controllo in automatico, nonché le modalità di gestione degli stessi e di conservazione dei relativi risultati, che devono rimanere a disposizione dell'autorità competente al controllo per un periodo non inferiore a tre anni dalla data di effettuazione dei singoli controlli (151).

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(151) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

132. Interventi sostitutivi.

1. Nel caso di mancata effettuazione dei controlli previsti dalla parte terza del presente decreto, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio diffida la regione a provvedere entro il termine massimo di centottanta giorni ovvero entro il minor termine imposto dalle esigenze di tutela ambientale. In caso di persistente inadempienza provvede, in via sostitutiva, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, previa delibera del Consiglio dei Ministri, con oneri a carico dell'Ente inadempiente.

2. Nell'esercizio dei poteri sostitutivi di cui al comma 1, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio nomina un commissario "ad acta" che pone in essere gli atti necessari agli adempimenti previsti dalla normativa vigente a carico delle regioni al fine dell'organizzazione del sistema dei controlli (152).

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(152) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

Titolo V

Sanzioni

Capo I

Sanzioni amministrative

 

133. Sanzioni amministrative.

1. Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, nell'effettuazione di uno scarico superi i valori limite di emissione fissati nelle tabelle di cui all'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, oppure i diversi valori limite stabiliti dalle regioni a norma dell'articolo 101, comma 2, o quelli fissati dall'autorità competente a norma dell'articolo 107, comma 1, o dell'articolo 108, comma 1, è punito con la sanzione amministrativa da tremila euro a trentamila euro. Se l'inosservanza dei valori limite riguarda scarichi recapitanti nelle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano di cui all'articolo 94, oppure in corpi idrici posti nelle aree protette di cui alla vigente normativa, si applica la sanzione amministrativa non inferiore a ventimila euro.

2. Chiunque apra o comunque effettui scarichi di acque reflue domestiche o di reti fognarie, servite o meno da impianti pubblici di depurazione, senza l'autorizzazione di cui all'articolo 124, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l'autorizzazione sia stata sospesa o revocata, è punito con la sanzione amministrativa da seimila euro a sessantamila euro. Nell'ipotesi di scarichi relativi ad edifici isolati adibiti ad uso abitativo la sanzione è da seicento euro a tremila euro.

3. Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, al di fuori delle ipotesi di cui al comma 1, effettui o mantenga uno scarico senza osservare le prescrizioni indicate nel provvedimento di autorizzazione o fissate ai sensi dell'articolo 107, comma 1, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da millecinquecento euro a quindicimila euro.

4. Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, effettui l'immersione in mare dei materiali indicati all'articolo 109, comma 1, lettere a) e b), ovvero svolga l'attività di posa in mare cui al comma 5 dello stesso articolo, senza autorizzazione, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da millecinquecento euro a quindicimila euro.

5. Salvo che il fatto costituisca reato, fino all'emanazione della disciplina regionale di cui all'articolo 112, comma 2, chiunque non osservi le disposizioni di cui all'articolo 170, comma 7, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da seicento euro a seimila euro.

6. Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, non osservi il divieto di smaltimento dei fanghi previsto dall'articolo 127, comma 2, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da seimila euro a sessantamila euro.

7. Salvo che il fatto costituisca reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da tremila euro a trentamila euro chiunque:

a) nell'effettuazione delle operazioni di svaso, sghiaiamento o sfangamento delle dighe, superi i limiti o non osservi le altre prescrizioni contenute nello specifico progetto di gestione dell'impianto di cui all'articolo 114, comma 2:

b) effettui le medesime operazioni prima dell'approvazione del progetto di gestione.

8. Chiunque violi le prescrizioni concernenti l'installazione e la manutenzione dei dispositivi per la misurazione delle portate e dei volumi, oppure l'obbligo di trasmissione dei risultati delle misurazioni di cui all'articolo 95, comma 3, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da millecinquecento euro a seimila euro. Nei casi di particolare tenuità la sanzione è ridotta ad un quinto.

9. Chiunque non ottemperi alla disciplina dettata dalle regioni ai sensi dell'articolo 113, comma 1, lettera b), è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da millecinquecento euro a quindicimila euro (153).

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(153) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

134. Sanzioni in materia di aree di salvaguardia.

1. L'inosservanza delle disposizioni relative alle attività e destinazioni vietate nelle aree di salvaguardia di cui all'articolo 94 è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da seicento euro a seimila euro (154).

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(154) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

135. Competenza e giurisdizione.

1. In materia di accertamento degli illeciti amministrativi, all'irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie provvede, con ordinanza-ingiunzione ai sensi degli articoli 18 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689, la regione o la provincia autonoma nel cui territorio è stata commessa la violazione, ad eccezione delle sanzioni previste dall'articolo 133, comma 8, per le quali è competente il comune, fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità.

2. Fatto salvo quanto previsto dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, ai fini della sorveglianza e dell'accertamento degli illeciti in violazione delle norme in materia di tutela delle acque dall'inquinamento provvede il Comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.); può altresì intervenire il Corpo forestale dello Stato e possono concorrere la Guardia di finanza e la Polizia di Stato. Il Corpo delle capitanerie di porto, Guardia costiera, provvede alla sorveglianza e all'accertamento delle violazioni di cui alla parte terza del presente decreto quando dalle stesse possano derivare danni o situazioni di pericolo per l'ambiente marino e costiero.

3. Per i procedimenti penali pendenti alla entrata di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, l'autorità giudiziaria, se non deve pronunziare decreto di archiviazione o sentenza di proscioglimento, dispone la trasmissione degli atti agli enti indicati al comma 1 ai fini dell'applicazione delle sanzioni amministrative.

4. Alle sanzioni amministrative pecuniarie previste dalla parte terza del presente decreto non si applica il pagamento in misura ridotta di cui all'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (155).

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(155) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

136. Proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie.

1. Le somme derivanti dai proventi delle sanzioni amministrative previste dalla parte terza del presente decreto sono versate all'entrata del bilancio regionale per essere riassegnate alle unità previsionali di base destinate alle opere di risanamento e di riduzione dell'inquinamento dei corpi idrici. Le regioni provvedono alla ripartizione delle somme riscosse fra gli interventi di prevenzione e di risanamento (156).

 (156) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

Capo II

Sanzioni penali

 

137. Sanzioni penali.

1. Chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l'autorizzazione sia stata sospesa o revocata, è punito con l'arresto da due mesi a due anni o con l'ammenda da millecinquecento euro a diecimila euro.

2. Quando le condotte descritte al comma 1 riguardano gli scarichi di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, la pena è dell'arresto da tre mesi a tre anni.

3. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al comma 5, effettui uno scarico di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto senza osservare le prescrizioni dell'autorizzazione, o le altre prescrizioni dell'autorità competente a norma degli articoli 107, comma 1, e 108, comma 4, è punito con l'arresto fino a due anni.

4. Chiunque violi le prescrizioni concernenti l'installazione e la gestione dei controlli in automatico o l'obbligo di conservazione dei risultati degli stessi di cui all'articolo 131 è punito con la pena di cui al comma 3.

5. Chiunque, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, oppure superi i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall'Autorità competente a norma dell'articolo 107, comma 1, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, è punito con l'arresto fino a due anni e con l'ammenda da tremila euro a trentamila euro. Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3/A del medesimo Allegato 5, si applica l'arresto da sei mesi a tre anni e l'ammenda da seimila euro a centoventimila euro.

6. Le sanzioni di cui al comma 5 si applicano altresì al gestore di impianti di trattamento delle acque reflue urbane che nell'effettuazione dello scarico supera i valori-limite previsti dallo stesso comma.

7. Al gestore del servizio idrico integrato che non ottempera all'obbligo di comunicazione di cui all'articolo 110, comma 3, o non osserva le prescrizioni o i divieti di cui all'articolo 110, comma 5, si applica la pena dell'arresto da tre mesi ad un anno o con l'ammenda da tremila euro a trentamila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi e con la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da tremila euro a trentamila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.

8. Il titolare di uno scarico che non consente l'accesso agli insediamenti da parte del soggetto incaricato del controllo ai fini di cui all'articolo 101, commi 3 e 4, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, è punito con la pena dell'arresto fino a due anni. Restano fermi i poteri-doveri di interventi dei soggetti incaricati del controllo anche ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 689 del 1981 e degli articoli 55 e 354 del codice di procedura penale.

9. Chiunque non ottempera alla disciplina dettata dalle regioni ai sensi dell'articolo 113, comma 3, è punito con le sanzioni di cui all'articolo 137, comma 1.

10. Chiunque non ottempera al provvedimento adottato dall'autorità competente ai sensi dell'articolo 84, comma 4, ovvero dell'articolo 85, comma 2, è punito con l'ammenda da millecinquecento euro a quindicimila euro.

11. Chiunque non osservi i divieti di scarico previsti dagli articoli 103 e 104 è punito con l'arresto sino a tre anni.

12. Chiunque non osservi le prescrizioni regionali assunte a norma dell'articolo 88, commi 1 e 2, dirette ad assicurare il raggiungimento o il ripristino degli obiettivi di qualità delle acque designate ai sensi dell'articolo 87, oppure non ottemperi ai provvedimenti adottati dall'autorità competente ai sensi dell'articolo 87, comma 3, è punito con l'arresto sino a due anni o con l'ammenda da quattromila euro a quarantamila euro.

13. Si applica sempre la pena dell'arresto da due mesi a due anni se lo scarico nelle acque del mare da parte di navi od aeromobili contiene sostanze o materiali per i quali è imposto il divieto assoluto di sversamento ai sensi delle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali vigenti in materia e ratificate dall'Italia, salvo che siano in quantità tali da essere resi rapidamente innocui dai processi fisici, chimici e biologici, che si verificano naturalmente in mare e purché in presenza di preventiva autorizzazione da parte dell'autorità competente.

14. Chiunque effettui l'utilizzazione agronomica di effluenti di allevamento, di acque di vegetazione dei frantoi oleari, nonché di acque reflue provenienti da aziende agricole e piccole aziende agroalimentari di cui all'articolo 112, al di fuori dei casi e delle procedure ivi previste, oppure non ottemperi al divieto o all'ordine di sospensione dell'attività impartito a norma di detto articolo, è punito con l'ammenda da euro millecinquecento a euro diecimila o con l'arresto fino ad un anno. La stessa pena si applica a chiunque effettui l'utilizzazione agronomica al di fuori dei casi e delle procedure di cui alla normativa vigente (157).

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(157) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

138. Ulteriori provvedimenti sanzionatori per l'attività di molluschicoltura.

1. Nei casi previsti dal comma 12 dell'articolo 137, il Ministro della salute, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, nonché la regione e la provincia autonoma competente, ai quali è inviata copia delle notizie di reato, possono disporre, per quanto di competenza e indipendentemente dall'esito del giudizio penale, la sospensione in via cautelare dell'attività di molluschicoltura; a seguito di sentenza di condanna o di decisione emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale divenute definitive, possono inoltre disporre, valutata la gravità dei fatti, la chiusura degli impianti (158).

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(158) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

139. Obblighi del condannato.

1. Con la sentenza di condanna per i reati previsti nella parte terza del presente decreto, o con la decisione emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato al risarcimento del danno e all'esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino (159).

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(159) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

140. Circostanza attenuante.

1. Nei confronti di chi, prima del giudizio penale o dell'ordinanza-ingiunzione, ha riparato interamente il danno, le sanzioni penali e amministrative previste nel presente titolo sono diminuite dalla metà a due terzi (160).

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(160) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

 Sezione III

Gestione delle risorse idriche

Titolo I

Principi generali e competenze

 

141. Ambito di applicazione.

1. Oggetto delle disposizioni contenute nella presente sezione è la disciplina della gestione delle risorse idriche e del servizio idrico integrato per i profili che concernono la tutela dell'ambiente e della concorrenza e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni del servizio idrico integrato e delle relative funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane.

2. Il servizio idrico integrato è costituito dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue, e deve essere gestito secondo principi di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie. Le presenti disposizioni si applicano anche agli usi industriali delle acque gestite nell'ambito del servizio idrico integrato (161).

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(161) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

142. Competenze.

1. Nel quadro delle competenze definite dalle norme costituzionali, e fatte salve le competenze dell'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio esercita le funzioni e i compiti spettanti allo Stato nelle materie disciplinate dalla presente sezione (162).

2. Le regioni esercitano le funzioni e i compiti ad esse spettanti nel quadro delle competenze costituzionalmente determinate e nel rispetto delle attribuzioni statali di cui al comma 1, ed in particolare provvedono a disciplinare il governo del rispettivo territorio.

3. Gli enti locali, attraverso l'Autorità d'ambito di cui all'articolo 148, comma 1, svolgono le funzioni di organizzazione del servizio idrico integrato, di scelta della forma di gestione, di determinazione e modulazione delle tariffe all'utenza, di affidamento della gestione e relativo controllo, secondo le disposizioni della parte terza del presente decreto (163).

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(162) Il riferimento all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti è stato soppresso ai sensi di quanto disposto dal comma 5 dell’art. 1, D.Lgs. 8 novembre 2006, n. 284.

(163) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

143. Proprietà delle infrastrutture.

1. Gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica, fino al punto di consegna e/o misurazione, fanno parte del demanio ai sensi degli articoli 822 e seguenti del codice civile e sono inalienabili se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge.

2. Spetta anche all'Autorità d'ambito la tutela dei beni di cui al comma 1, ai sensi dell'articolo 823, secondo comma, del codice civile (164).

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(164) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

144. Tutela e uso delle risorse idriche.

1. Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato.

2. Le acque costituiscono una risorsa che va tutelata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà; qualsiasi loro uso è effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale.

3. La disciplina degli usi delle acque è finalizzata alla loro razionalizzazione, allo scopo di evitare gli sprechi e di favorire il rinnovo delle risorse, di non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell'ambiente, l'agricoltura, la piscicoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici.

4. Gli usi diversi dal consumo umano sono consentiti nei limiti nei quali le risorse idriche siano sufficienti e a condizione che non ne pregiudichino la qualità.

5. Le acque termali, minerali e per uso geotermico sono disciplinate da norme specifiche, nel rispetto del riparto delle competenze costituzionalmente determinato (165).

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(165) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

145. Equilibrio del bilancio idrico.

1. L'Autorità di bacino competente definisce ed aggiorna periodicamente il bilancio idrico diretto ad assicurare l'equilibrio fra le disponibilità di risorse reperibili o attivabili nell'area di riferimento ed i fabbisogni per i diversi usi, nel rispetto dei criteri e degli obiettivi di cui all'articolo 144.

2. Per assicurare l'equilibrio tra risorse e fabbisogni, l'Autorità di bacino competente adotta, per quanto di competenza, le misure per la pianificazione dell'economia idrica in funzione degli usi cui sono destinate le risorse.

3. Nei bacini idrografici caratterizzati da consistenti prelievi o da trasferimenti, sia a valle che oltre la linea di displuvio, le derivazioni sono regolate in modo da garantire il livello di deflusso necessario alla vita negli alvei sottesi e tale da non danneggiare gli equilibri degli ecosistemi interessati (166).

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(166) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 146. Risparmio idrico.

1. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, le regioni, sentita l'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, nel rispetto dei princìpi della legislazione statale, adotta norme e misure volte a razionalizzare i consumi e eliminare gli sprechi ed in particolare a:

a) migliorare la manutenzione delle reti di adduzione e di distribuzione di acque a qualsiasi uso destinate al fine di ridurre le perdite;

b) prevedere, nella costruzione o sostituzione di nuovi impianti di trasporto e distribuzione dell'acqua sia interni che esterni, l'obbligo di utilizzo di sistemi anticorrosivi di protezione delle condotte di materiale metallico;

c) realizzare, in particolare nei nuovi insediamenti abitativi, commerciali e produttivi di rilevanti dimensioni, reti duali di adduzione al fine dell'utilizzo di acque meno pregiate per usi compatibili;

d) promuovere l'informazione e la diffusione di metodi e tecniche di risparmio idrico domestico e nei settori industriale, terziario ed agricolo;

e) adottare sistemi di irrigazione ad alta efficienza accompagnati da una loro corretta gestione e dalla sostituzione, ove opportuno, delle reti di canali a pelo libero con reti in pressione;

f) installare contatori per il consumo dell'acqua in ogni singola unità abitativa nonché contatori differenziati per le attività produttive e del settore terziario esercitate nel contesto urbano;

g) realizzare nei nuovi insediamenti, quando economicamente e tecnicamente conveniente anche in relazione ai recapiti finali, sistemi di collettamento differenziati per le acque piovane e per le acque reflue e di prima pioggia;

h) individuare aree di ricarica delle falde ed adottare misure di protezione e gestione atte a garantire un processo di ricarica quantitativamente e qualitativamente idoneo.

2. Gli strumenti urbanistici, compatibilmente con l'assetto urbanistico e territoriale e con le risorse finanziarie disponibili, devono prevedere reti duali al fine di rendere possibili appropriate utilizzazioni di acque anche non potabili. Il rilascio del permesso di costruire è subordinato alla previsione, nel progetto, dell'installazione di coniatori per ogni singola unità abitativa, nonché del collegamento a reti duali, ove già disponibili.

3. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, sentita l'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e il Dipartimento tutela delle acque interne e marine dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), adotta un regolamento per la definizione dei criteri e dei metodi in base ai quali valutare le perdite degli acquedotti e delle fognature. Entro il mese di febbraio di ciascun anno, i soggetti gestori dei servizi idrici trasmettono all'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti ed all'Autorità d'ambito competente i risultati delle rilevazioni eseguite con i predetti metodi (167) (168).

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(167) Il riferimento all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti è stato soppresso ai sensi di quanto disposto dal comma 5 dell’art. 1, D.Lgs. 8 novembre 2006, n. 284.

(168) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

 Titolo II

Servizio idrico integrato

147. Organizzazione territoriale del servizio idrico integrato.

1. I servizi idrici sono organizzati sulla base degli ambiti territoriali ottimali definiti dalle regioni in attuazione della legge 5 gennaio 1994, n. 36.

2. Le regioni possono modificare le delimitazioni degli ambiti territoriali ottimali per migliorare la gestione del servizio idrico integrato, assicurandone comunque lo svolgimento secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto, in particolare, dei seguenti princìpi:

a) unità del bacino idrografico o del sub-bacino o dei bacini idrografici contigui, tenuto conto dei piani di bacino, nonché della localizzazione delle risorse e dei loro vincoli di destinazione, anche derivanti da consuetudine, in favore dei centri abitati interessati;

b) unitarietà della gestione e, comunque, superamento della frammentazione verticale delle gestioni (169);

c) adeguatezza delle dimensioni gestionali, definita sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici.

3. Le regioni, sentite le province, stabiliscono norme integrative per il controllo degli scarichi degli insediamenti civili e produttivi allacciati alle pubbliche fognature, per la funzionalità degli impianti di pretrattamento e per il rispetto dei limiti e delle prescrizioni previsti dalle relative autorizzazioni (170).

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(169) Lettera così modificata dall’art. 2, comma 13, D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4.

(170) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

 148. Autorità d'ambito territoriale ottimale.

1. L'Autorità d'ambito è una struttura dotata di personalità giuridica costituita in ciascun ambito territoriale ottimale delimitato dalla competente regione, alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale è trasferito l'esercizio delle competenze ad essi spettanti in materia di gestiore delle risorse idriche, ivi compresa la programmazione delle infrastrutture idriche di cui all'articolo 143, comma 1.

2. Le regioni e le province autonome possono disciplinare le forme ed i modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale, prevedendo che gli stessi costituiscano le Autorità d'ambito di cui al comma 1, cui è demandata l'organizzazione, l'affidamento e il controllo della gestione del servizio idrico integrato.

3. I bilanci preventivi e consuntivi dell'Autorità d'ambito e loro variazioni sono pubblicati mediante affissione ad apposito albo, istituito presso la sede dell'ente, e sono trasmessi all'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio entro quindici giorni dall'adozione delle relative delibere (171).

4. I costi di funzionamento della struttura operativa dell'Autorità d'ambito, determinati annualmente, fanno carico agli enti locali ricadenti nell'ambito territoriale ottimale, in base alle quote di partecipazione di ciascuno di essi all'Autorità d'ambito.

5. Ferma restando la partecipazione obbligatoria all'Autorità d'ambito di tutti gli enti locali ai sensi del comma 1, l'adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato è facoltativa per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane, a condizione che gestiscano l'intero servizio idrico integrato, e previo consenso della Autorità d'ambito competente (172) (173).

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(171) Il riferimento all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti è stato soppresso ai sensi di quanto disposto dal comma 5 dell’art. 1, D.Lgs. 8 novembre 2006, n. 284.

(172) Comma così sostituito dall’art. 2, comma 14, D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4.

(173) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

149. Piano d'ambito.

1. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, l'Autorità d'ambito provvede alla predisposizione e/o aggiornamento del piano d'ambito. Il piano d'ambito è costituito dai seguenti atti:

a) ricognizione delle infrastrutture;

b) programma degli interventi;

c) modello gestionale ed organizzativo;

d) piano economico finanziario.

2. La ricognizione, anche sulla base di informazioni asseverate dagli enti locali ricadenti nell'ambito territoriale ottimale, individua lo stato di consistenza delle infrastrutture da affidare al gestore del servizio idrico integrato, precisandone lo stato di funzionamento.

3. Il programma degli interventi individua le opere di manutenzione straordinaria e le nuove opere da realizzare, compresi gli interventi di adeguamento di infrastrutture già esistenti, necessarie al raggiungimento almeno dei livelli minimi di servizio, nonché al soddisfacimento della complessiva domanda dell'utenza. Il programma degli interventi, commisurato all'intera gestione, specifica gli obiettivi da realizzare, indicando le infrastrutture a tal fine programmate e i tempi di realizzazione.

4. Il piano economico finanziario, articolato nello stato patrimoniale, nel conto economico e nel rendiconto finanziario, prevede, con cadenza annuale, l'andamento dei costi dì gestione e dì investimento al netto di eventuali finanziamenti pubblici a fondo perduto. Esso è integrato dalla previsione annuale dei proventi da tariffa, estesa a tutto il periodo di affidamento. Il piano, così come redatto, dovrà garantire il raggiungimento dell'equilibrio economico finanziario e, in ogni caso, il rispetto dei principi di efficacia, efficienza ed economicità della gestione, anche in relazione agli investimenti programmati.

5. Il modello gestionale ed organizzativo definisce la struttura operativa mediante la quale il gestore assicura il servizio all'utenza e la realizzazione del programma degli interventi.

6. Il piano d'ambito è trasmesso entro dieci giorni dalla delibera di approvazione alla regione competente, all'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio. L'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti può notificare all'Autorità d'ambito, entro novanta giorni decorrenti dal ricevimento del piano, i propri rilievi od osservazioni, dettando, ove necessario, prescrizioni concernenti: il programma degli interventi, con particolare riferimento all'adeguatezza degli investimenti programmati in relazione ai livelli minimi di servizio individuati quali obiettivi della gestione; il piano finanziario, con particolare riferimento alla capacità dell'evoluzione tariffaria di garantire l'equilibrio economico finanziario della gestione, anche in relazione agli investimenti programmati (174) (175).

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(174) Il riferimento all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti è stato soppresso ai sensi di quanto disposto dal comma 5 dell’art. 1, D.Lgs. 8 novembre 2006, n. 284.

(175) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

150. Scelta della forma di gestione e procedure di affidamento.

1. L'Autorità d'ambito, nel rispetto del piano d'ambito e del principio di unitarietà della gestione per ciascun ambito, delibera la forma di gestione fra quelle di cui all'articolo 113, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (176).

2. L'Autorità d'ambito aggiudica la gestione del servizio idrico integrato mediante gara disciplinata dai princìpi e dalle disposizioni comunitarie, in conformità ai criteri di cui all'articolo 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 257, secondo modalità e termini stabiliti con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia (177).

3. La gestione può essere altresì affidata a società partecipate esclusivamente e direttamente da comuni o altri enti locali compresi nell'ambito territoriale ottimale, qualora ricorrano obiettive ragioni tecniche od economiche, secondo la previsione del comma 5, lettera c), dell'articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, o a società solo parzialmente partecipate da tali enti, secondo la previsione del comma 5, lettera b), dell'articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, purché il socio privato sia stato scelto, prima dell'affidamento, con gara da espletarsi con le modalità di cui al comma 2.

4. I soggetti di cui al presente articolo gestiscono il servizio idrico integrato su tutto il territorio degli enti locali ricadenti nell'ambito territoriale ottimale, salvo quanto previsto dall'articolo 148, comma 5 (178) (179).

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(176) Comma così modificato dall’art. 2, comma 13, D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4.

(177) In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.M. 2 maggio 2006. Con Comunicato 26 giugno 2006 (Gazz. Uff. 26 giugno 2006, n. 146) è stata segnalata l’inefficacia del suddetto D.M. 2 maggio 2006 il quale, non essendo stato inviato alla Corte dei Conti per essere sottoposto al preventivo e necessario controllo, non ha ottenuto la registrazione prevista dalla legge e, conseguentemente, non può considerarsi giuridicamente produttivo di effetti.

(178) Vedi, anche, l'art. 26-ter, D.L. 1° ottobre 2007, n. 159, aggiunto dalla relativa legge di conversione.

(179) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

151. Rapporti tra autorità d'ambito e soggetti gestori del servizio idrico integrato.

1. I rapporti fra Autorità d'ambito e gestori del servizio idrico integrato sono regolati da convenzioni predisposte dall'Autorità d'ambito.

2. A tal fine, le regioni e le province autonome adottano convenzioni tipo, con relativi disciplinari, che devono prevedere in particolare:

a) il regime giuridico prescelto per la gestione del servizio:

b) la durata dell'affidamento, non superiore comunque a trenta anni;

c) l'obbligo del raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario della gestione;

d) il livello di efficienza e di affidabilità del servizio da assicurare all'utenza, anche con riferimento alla manutenzione degli impianti;

e) i criteri e le modalità di applicazione delle tariffe determinate dall'Autorità d'ambito e del loro aggiornamento annuale, anche con riferimento alle diverse categorie di utenze;

f) l'obbligo di adottare la carta di servizio sulla base degli atti d'indirizzo vigenti;

g) l'obbligo di provvedere alla realizzazione del Programma degli interventi;

h) le modalità di controllo del corretto esercizio del servizio e l'obbligo di predisporre un sistema tecnico adeguato a tal fine, come previsto dall'articolo 165;

i) il dovere di prestare ogni collaborazione per l'organizzazione e l'attivazione dei sistemi di controllo integrativi che l'Autorità d'ambito ha facoltà di disporre durante tutto il periodo di affidamento;

l) l'obbligo di dare tempestiva comunicazione all'Autorità d'ambito del verificarsi di eventi che comportino o che facciano prevedere irregolarità nell'erogazione del servizio, nonché l'obbligo di assumere ogni iniziativa per l'eliminazione delle irregolarità, in conformità con le prescrizioni dell'Autorità medesima;

m) l'obbligo di restituzione, alla scadenza dell'affidamento, delle opere,

degli impianti e delle canalizzazioni del servizio idrico integrato in condizioni di efficienza ed in buono stato di conservazione;

n) l'obbligo di prestare idonee garanzie finanziarie e assicurative;

o) le penali, le sanzioni in caso di inadempimento e le condizioni di risoluzione secondo i principi del codice civile;

p) le modalità di rendicontazione delle attività del gestore.

3. Sulla base della convenzione di cui al comma 2, l'Autorità d'ambito predispone uno schema di convenzione con relativo disciplinare, da allegare ai capitolati di gara. Ove la regione o la provincia autonoma non abbiano provveduto all'adozione delle convenzioni e dei disciplinari tipo di cui al comma 2, l'Autorità predispone lo schema sulla base della normativa vigente. Le convenzioni esistenti devono essere integrate in conformità alle previsioni di cui al comma 2.

4. Nel Disciplinare allegato alla Convenzione di gestione devono essere anche definiti, sulla base del programma degli interventi, le opere e le manutenzioni straordinarie, nonché il programma temporale e finanziario di esecuzione.

5. L'affidamento del servizio è subordinato alla prestazione da parte del gestore di idonea garanzia fideiussoria. Tale garanzia deve coprire gli interventi da realizzare nei primi cinque anni di gestione e deve essere annualmente aggiornata in modo da coprire gli interventi da realizzare nel successivo quinquennio.

6. Il gestore cura l'aggiornamento dell'atto di Ricognizione entro i termini stabiliti dalla convenzione.

7. L'affidatario del servizio idrico integrato, previo consenso dell'Autorità d'ambito, può gestire altri servizi pubblici, oltre a quello idrico, ma con questo compatibili, anche se non estesi all'intero ambito territoriale ottimale.

8. Le società concessionarie del servizio idrico integrato, nonché le società miste costituite a seguito dell'individuazione del socio privato mediante gara europea affidatarie del servizio medesimo, possono emettere prestiti obbligazionari sottoscrivibili esclusivamente dagli utenti con facoltà di conversione in azioni semplici o di risparmio. Nel caso di aumento del capitale sociale, una quota non inferiore al dieci per cento è offerta in sottoscrizione agli utenti del servizio (180).

(180) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

152. Poteri di controllo e sostitutivi.

1. L'Autorità d'ambito ha facoltà di accesso e verifica alle infrastrutture idriche, anche nelle fase di costruzione.

2. Nell'ipotesi di inadempienze del gestore agli obblighi che derivano dalla legge o dalla convenzione, e che compromettano la risorsa o l'ambiente ovvero che non consentano il raggiungimento dei livelli minimi di servizio, l'Autorità d'ambito interviene tempestivamente per garantire l'adempimento da parte del gestore, esercitando tutti i poteri ad essa conferiti dalle disposizioni di legge e dalla convenzione. Perdurando l'inadempienza del gestore, e ferme restando le conseguenti penalità a suo carico, nonché il potere di risoluzione e di revoca, l'Autorità d'ambito, previa diffida, può sostituirsi ad esso provvedendo a far eseguire a terzi le opere, nel rispetto delle vigenti disposizioni in materia di appalti pubblici.

3. Qualora l'Autorità d'ambito non intervenga, o comunque ritardi il proprio intervento, la regione, previa diffida e sentita l'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, esercita i necessari poteri sostitutivi, mediante nomina di un commissario "ad acta". Qualora la regione non adempia entro quarantacinque giorni, i predetti poteri sostitutivi sono esercitati, previa diffida ad adempiere nel termine di venti giorni, dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, mediante nomina di un commissario "ad acta" (181).

4. L'Autorità d'ambito con cadenza annuale comunica al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio ed all'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti i risultati dei controlli della gestione (182) (183).

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(181) Il riferimento all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti è stato soppresso ai sensi di quanto disposto dal comma 5 dell’art. 1, D.Lgs. 8 novembre 2006, n. 284.

(182) Il riferimento all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti è stato soppresso ai sensi di quanto disposto dal comma 5 dell’art. 1, D.Lgs. 8 novembre 2006, n. 284.

(183) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

153. Dotazioni dei soggetti gestori del servizio idrico integrato.

1. Le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali ai sensi dell'articolo 143 sono affidate in concessione d'uso gratuita, per tutta la durata della gestione, al gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei termini previsti dalla convenzione e dal relativo disciplinare.

2. Le immobilizzazioni, le attività e le passività relative al servizio idrico integrato, ivi compresi gli oneri connessi all'ammortamento dei mutui oppure i mutui stessi, al netto degli eventuali contributi a fondo perduto in conto capitale e/o in conto interessi, sono trasferite al soggetto gestore, che subentra nei relativi obblighi. Di Tale trasferimento si tiene conto nella determinazione della tariffa, al fine di garantire l'invarianza degli oneri per la finanza pubblica (184).

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(184) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

154. Tariffa del servizio idrico integrato.

1. La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di gestione delle opere, dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell'Autorità d'ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio "chi inquina paga". Tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di corrispettivo.

2. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, su proposta dell'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, tenuto conto della necessità di recuperare i costi ambientali anche secondo il principio "chi inquina paga", definisce con decreto le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell'acqua (185).

3. Al fine di assicurare un'omogenea disciplina sul territorio nazionale, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, sono stabiliti i criteri generali per la determinazione, da parte delle regioni, dei canoni di concessione per l'utenza di acqua pubblica, tenendo conto dei costi ambientali e dei costi della risorsa e prevedendo altresì riduzioni del canone nell'ipotesi in cui il concessionario attui un riuso delle acque reimpiegando le acque risultanti a valle del processo produttivo o di una parte dello stesso o, ancora, restituisca le acque di scarico con le medesime caratteristiche qualitative di quelle prelevate. L'aggiornamento dei canoni ha cadenza triennale.

4. L'Autorità d'ambito, al fine della predisposizione del Piano finanziario di cui all'articolo 149, comma 1, lettera c), determina la tariffa di base, nell'osservanza delle disposizioni contenute nel decreto di cui al comma 2, comunicandola all'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti ed al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio (186).

5. La tariffa è applicata dai soggetti gestori, nel rispetto della Convenzione e del relativo disciplinare.

6. Nella modulazione della tariffa sono assicurate, anche mediante compensazioni per altri tipi di consumi, agevolazioni per quelli domestici essenziali, nonché per i consumi di determinate categorie, secondo prefissati scaglioni di reddito. Per conseguire obiettivi di equa redistribuzione dei costi sono ammesse maggiorazioni di tariffa per le residenze secondarie, per gli impianti ricettivi stagionali, nonché per le aziende artigianali, commerciali e industriali.

7. L'eventuale modulazione della tariffa tra i comuni tiene conto degli investimenti pro capite per residente effettuati dai comuni medesimi che risultino utili ai fini dell'organizzazione del servizio idrico integrato (187).

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(185) Il riferimento all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti è stato soppresso ai sensi di quanto disposto dal comma 5 dell’art. 1, D.Lgs. 8 novembre 2006, n. 284.

(186) Il riferimento all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti è stato soppresso ai sensi di quanto disposto dal comma 5 dell’art. 1, D.Lgs. 8 novembre 2006, n. 284.

(187) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

 155. Tariffa del servizio di fognatura e depurazione.

1. Le quote di tariffa riferite ai servizi di pubblica fognatura e di depurazione sono dovute dagli utenti anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. Il gestore è tenuto a versare i relativi proventi, risultanti dalla formulazione tariffaria definita ai sensi dell'articolo 154, a un fondo vincolato intestato all'Autorità d'ambito, che lo mette a disposizione del gestore per l'attuazione degli interventi relativi alle reti di fognatura ed agli impianti di depurazione previsti dal piano d'ambito. La tariffa non è dovuta se l'utente è dotato di sistemi di collettamento e di depurazione propri, sempre che tali sistemi abbiano ricevuto specifica approvazione da parte dell'Autorità d'ambito (188).

2. In pendenza dell'affidamento della gestione dei servizi idrici locali al gestore del servizio idrico integrato, i comuni già provvisti di impianti di depurazione funzionanti, che non si trovino in condizione di dissesto, destinano i proventi derivanti dal canone di depurazione e fognatura prioritariamente alla manutenzione degli impianti medesimi.

3. Gli utenti tenuti al versamento della tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura, di cui al comma 1, sono esentati dal pagamento di qualsivoglia altra tariffa eventualmente dovuta al medesimo titolo ad altri enti pubblici.

4. Al fine della determinazione della quota tariffaria di cui al presente articolo, il volume dell'acqua scaricata è determinato in misura pari al cento per cento del volume di acqua fornita.

5. Per le utenze industriali la quota tariffaria di cui al presente articolo è determinata sulla base della qualità e della quantità delle acque reflue scaricate e sulla base del principio "chi inquina paga". È fatta salva la possibilità di determinare una quota tariffaria ridotta per le utenze che provvedono direttamente alla depurazione e che utilizzano la pubblica fognatura, sempre che i relativi sistemi di depurazione abbiano ricevuto specifica approvazione da parte dell'Autorità d'ambito.

6. Allo scopo di incentivare il riutilizzo di acqua reflua o già usata nel ciclo produttivo, la tariffa per le utenze industriali è ridotta in funzione dell'utilizzo nel processo produttivo di acqua reflua o già usata. La riduzione si determina applicando alla tariffa un correttivo, che tiene conto della quantità di acqua riutilizzata e della quantità delle acque primarie impiegate (189).

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(188) La Corte costituzionale, con sentenza 8-10 ottobre 2008, n. 335 (Gazz. Uff. 15 ottobre 2008, n. 43 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l’altro, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità del primo periodo del presente comma, nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti «anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi».

(189) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

156. Riscossione della tariffa.

1. La tariffa è riscossa dal gestore del servizio idrico integrato. Qualora il servizio idrico sia gestito separatamente, per effetto di particolari convenzioni e concessioni, la relativa tariffa è riscossa dal gestore del servizio di acquedotto, il quale provvede al successivo riparto tra i diversi gestori interessati entro trenta giorni dalla riscossione.

2. Con apposita convenzione, sottoposta al controllo della regione, sono definiti i rapporti tra i diversi gestori per il riparto delle spese di riscossione.

3. La riscossione volontaria della tariffa può essere effettuata con le modalità di cui al capo III del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, previa convenzione con l’Agenzia delle entrate. La riscossione, sia volontaria sia coattiva, della tariffa può altresì essere affidata ai soggetti iscritti all’albo previsto dall’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, a seguito di procedimento ad evidenza pubblica (190) (191).

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(190) Comma così sostituito dal comma 10 dell'art. 2, D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, come sostituito dalla relativa legge di conversione.

(191) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

157. Opere di adeguamento del servizio idrico.

1. Gli enti locali hanno facoltà di realizzare le opere necessarie per provvedere all'adeguamento del servizio idrico in relazione ai piani urbanistici ed a concessioni per nuovi edifici in zone già urbanizzate, previo parere di compatibilità con il piano d'ambito reso dall'Autorità d'ambito e a seguito di convenzione con il soggetto gestore del servizio medesimo, al quale le opere, una volta realizzate, sono affidate in concessione (192).

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(192) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

158. Opere e interventi per il trasferimento di acqua.

1. Ai fini di pianificare l'utilizzo delle risorse idriche, laddove il fabbisogno comporti o possa comportare il trasferimento di acqua tra regioni diverse e ciò travalichi i comprensori di riferimento dei distretti idrografici, le Autorità di bacino, sentite le regioni interessate, promuovono accordi di programma tra le regioni medesime, ai sensi dell'articolo 34 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, salvaguardando in ogni caso le finalità di cui all'articolo 144 del presente decreto. A tal fine il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ciascuno per la parte di propria competenza, assumono di concerto le opportune iniziative anche su richiesta di una Autorità di bacino o di una regione interessata od anche in presenza di istanza presentata da altri soggetti pubblici o da soggetti privati interessati, fissando un termine per definire gli accordi.

2. In caso di inerzia, di mancato accordo in ordine all'utilizzo delle risorse idriche, o di mancata attuazione dell'accordo stesso, provvede in via sostitutiva, previa diffida ad adempiere entro un congruo termine, il Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio.

3. Le opere e gli impianti necessari per le finalità di cui al presente articolo sono dichiarati di interesse nazionale. La loro realizzazione e gestione, se di iniziativa pubblica, possono essere poste anche a totale carico dello Stato mediante quantificazione dell'onere e relativa copertura finanziaria, previa deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), su proposta dei Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e delle infrastrutture e dei trasporti, ciascuno per la parte di rispettiva competenza. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio esperisce le procedure per la concessione d'uso delle acque ai soggetti utilizzatori e definisce la relativa convenzione tipo; al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti compete la determinazione dei criteri e delle modalità per l'esecuzione e la gestione degli interventi, nonché l'affidamento per la realizzazione e la gestione degli impianti (193).

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(193) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

Titolo III

Vigilanza, controlli e partecipazione

 

159. Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti.

[1. Alla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, il Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche istituito dalla legge 5 gennaio 1994, n. 36, assume la denominazione di Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, di seguito denominata "Autorità", con il compito di assicurare l'osservanza, da parte di qualsiasi soggetto pubblico e privato, dei principi e delle disposizioni di cui alle parti terza e quarta del presente decreto (194).

2. Sono organi dell'Autorità il presidente, il comitato esecutivo ed il consiglio, che si articola in due sezioni denominate "Sezione per la vigilanza sulle risorse idriche" e "Sezione per la vigilanza sui rifiuti"; ciascuna sezione è composta dal presidente dell'Autorità, dal coordinatore di sezione e da cinque componenti per la "Sezione per la vigilanza sulle risorse idriche" e da sei componenti per la "Sezione per la vigilanza sui rifiuti". Il comitato esecutivo è composto dal presidente dell'Autorità e dai coordinatori di sezione. Il consiglio dell'Autorità è composto da tredici membri e dal presidente, nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri. Il presidente dell'Autorità e quattro componenti del consiglio, dei quali due con funzioni di coordinatore di sezione, sono nominati su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, due su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, due su proposta del Ministro per la funzione pubblica, uno su proposta del Ministro delle attività produttive relativamente alla "Sezione per la vigilanza sui rifiuti", quattro su designazione della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome. Le proposte sono previamente sottoposte al parere delle competenti Commissioni parlamentari.

3. Il Presidente dell'Autorità è il legale rappresentante, presiede il comitato esecutivo, il consiglio e le sezioni nelle quali esso si articola. Il comitato esecutivo è l'organo deliberante dell'Autorità e provvede ad assumere le relative decisioni sulla base dell'istruttoria e delle proposte formulate dal consiglio o dalle sue sezioni.

4. L'organizzazione e il funzionamento, anche contabile, dell'Autorità sono disciplinati, in conformità alle disposizioni di cui alla parte terza e quarta del presente decreto, da un regolamento deliberato dal Consiglio dell'Autorità ed emanato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri secondo il procedimento di cui al comma 3 dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400.

5. I componenti dell'Autorità sono scelti fra persone dotate di alta e riconosciuta competenza nel settore, durano in carica sette anni e non possono essere confermati. A pena di decadenza essi non possono esercitare, direttamente o indirettamente, alcuna attività professionale o di consulenza attinente al settore di competenza dell'Autorità; essi non possono essere dipendenti di soggetti privati, né ricoprire incarichi elettivi o di rappresentanza nei partiti politici, né avere interessi diretti o indiretti nelle imprese operanti nel settore di competenza della Autorità. I dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono collocati fuori ruolo per l'intera durata dell'incarico o, se professori universitari, in aspettativa, senza assegni, per l'intera durata del mandato. Per almeno due anni dalla cessazione dell'incarico i componenti dell'Autorità non possono intrattenere, direttamente o indirettamente, rapporti di collaborazione, di consulenza o di impiego con le imprese operanti nel settore di competenza.

6. In fase di prima attuazione, e nel rispetto del principio dell'invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica di cui all'articolo 1, comma 8, lettera c), della legge 15 dicembre 2004, n. 308, il Presidente ed i componenti del Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche rimangono in carica fino al compimento del primo mandato settennale dell'Autorità ed assumono rispettivamente le funzioni di Presidente dell'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e di componenti della "Sezione per la vigilanza sulle risorse idriche", tra i quali il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio nomina il coordinatore. Analogamente, il Presidente ed i componenti dell'Osservatorio nazionale sui rifiuti istituito dal decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, rimangono in carica fino al compimento del primo mandato settennale dell'Autorità ed assumono rispettivamente le funzioni di coordinatore e di componenti della "Sezione per la vigilanza sui rifiuti".

7. L'Autorità si avvale di una segreteria tecnica, composta da esperti di elevata qualificazione, nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta dell'Autorità. Per essi valgono le incompatibilità di cui al comma 5 con le relative conseguenze previste. L'Autorità può richiedere ad altre amministrazioni pubbliche di avvalersi di loro prestazioni per funzioni di ispezione e di verifica. La dotazione organica della segreteria tecnica, cui è preposto un dirigente, e le spese di funzionamento sono determinate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per la funzione pubblica.

8. I componenti dell'Autorità e della segreteria tecnica, nell'esercizio delle funzioni, sono pubblici ufficiali e sono tenuti al segreto d'ufficio. Si applicano le norme in materia di pubblicità, partecipazione e accesso.

9. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, è determinato il trattamento economico spettante ai membri dell'Autorità e ai componenti della segreteria tecnica.

10. Il bilancio preventivo e il rendiconto della gestione sono soggetti al controllo della Corte dei conti ed alle forme di pubblicità indicate nel regolamento di cui al comma 6; della loro pubblicazione è dato avviso nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

11. L'Autorità definisce annualmente e con proiezione triennale i programmi di attività e le iniziative che intende porre in essere per il perseguimento delle finalità di cui al comma 1, ed a garanzia degli interessi degli utenti, dandone comunicazione al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio.

12. L'Autorità è rappresentata in giudizio dall'Avvocatura dello Stato] (195) (196).

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(194) All'attuazione di quanto disposto dal presente comma si è provveduto con D.M. 2 maggio 2006 (Gazz. Uff. 11 maggio 2006, n. 108). Con Comunicato 26 giugno 2006 (Gazz. Uff. 26 giugno 2006, n. 146) è stata segnalata l’inefficacia del suddetto D.M. 2 maggio 2006 il quale, non essendo stato inviato alla Corte dei Conti per essere sottoposto al preventivo e necessario controllo, non ha ottenuto la registrazione prevista dalla legge e, conseguentemente, non può considerarsi giuridicamente produttivo di effetti.

(195) Articolo abrogato dal comma 5 dell’art. 1, D.Lgs. 8 novembre 2006, n. 284.

(196) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

160. Compiti e funzioni dell'Autorità di vigilanza.

[1. Nell'esercizio delle funzioni e dei compiti indicati al comma 1 dell'articolo 159, l'Autorità vigila sulle risorse idriche e sui rifiuti e controlla il rispetto della disciplina vigente a tutela delle risorse e della salvaguardia ambientale esercitando i relativi poteri ad essa attribuiti dalla legge.

2. L'Autorità in particolare:

a) assicura l'osservanza dei principi e delle regole della concorrenza e della trasparenza nelle procedure di affidamento dei servizi;

b) tutela e garantisce i diritti degli utenti e vigila sull'integrità delle reti e degli impianti;

c) esercita i poteri ordinatori ed inibitori di cui al comma 3;

d) promuove e svolge studi e ricerche sull'evoluzione dei settori e dei rispettivi servizi, avvalendosi dell'Osservatorio di cui all'articolo 161;

e) propone gli adeguamenti degli atti tipo, delle concessioni e delle convenzioni in base all'andamento del mercato e laddove siano resi necessari dalle esigenze degli utenti o dalle finalità di tutela e salvaguardia dell'ambiente;

f) specifica i livelli generali di qualità riferiti ai servizi da prestare nel rispetto dei regolamenti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio che disciplinano la materia;

g) controlla che i gestori adottino una carta di servizio pubblico con indicazione di standard dei singoli servizi e ne verifica il rispetto;

h) propone davanti al giudice amministrativo i ricorsi contro gli atti e provvedimenti ed eventualmente i comportamenti posti in essere in violazione delle norme di cui alle parti terza e quarta del presente decreto; esercita l'azione in sede civile avverso gli stessi comportamenti, richiedendo anche il risarcimento del danno in forma specifica o per equivalente; denuncia all'autorità giudiziaria le violazioni perseguibili in sede penale delle norme di cui alle parti terza e quarta del presente decreto; sollecita l'esercizio dell'azione di responsabilità per i danni erariali derivanti dalla violazione delle norme medesime;

i) formula al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio proposte di revisione della disciplina vigente, segnalando nei casi di grave inosservanza e di non corretta applicazione;

l) predispone ed invia al Governo e al Parlamento una relazione annuale sull'attività svolta, con particolare riferimento allo stato e all'uso delle risorse idriche, all'andamento dei servizi di raccolta e smaltimento dei rifiuti, nonché all'utilizzo dei medesimi nella produzione di energia;

m) definisce, d'intesa con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e con la Conferenza delle regioni e delle province autonome, programmi di attività e le iniziative da porre in essere a garanzia degli interessi degli utenti, anche mediante la cooperazione con analoghi organi di garanzia eventualmente istituiti dalle regioni e dalle province autonome competenti;

n) esercita le funzioni già di competenza dell'Osservatorio nazionale sui rifiuti istituito dall'articolo 26 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22;

o) può svolgere attività di consultazione nelle materie di propria competenza a favore delle Autorità d'ambito e delle pubbliche amministrazioni, previa adozione di apposito decreto da parte del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, per la disciplina delle modalità, anche contabili, e delle tariffe relative a tali attività.

3. Nell'esercizio delle proprie competenze, l'Autorità:

a) richiede informazioni e documentazioni ai gestori operanti nei settori idrico e dei rifiuti e a tutti i soggetti pubblici e privati tenuti all'applicazione delle disposizioni di cui alle parti terza e quarta del presente decreto; esercita poteri di acquisizione, accesso ed ispezione alle documentazioni in conformità ad apposito regolamento emanato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri ai sensi del comma 3 dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400;

b) irroga la sanzione amministrativa del pagamento di una somma fino a trentamila euro, ai soggetti che, senza giustificato motivo, rifiutano od omettono di fornire le informazioni o di esibire i documenti richiesti ai sensi della lettera a) o intralciano l'accesso o le ispezioni; irroga la sanzione amministrativa del pagamento di una somma fino a sessantamila euro ai soggetti che forniscono informazioni od esibiscono documenti non veritieri; le stesse sanzioni sono irrogate nel caso di violazione degli obblighi di informazione all'Osservatorio di cui all'articolo 161;

c) comunica, alle autorità competenti ad adottare i relativi provvedimenti, le violazioni, da parte dei gestori, delle Autorità d'ambito e dei consorzi di bonifica e di irrigazione, dei principi e delle disposizioni di cui alle parti terza e quarta del presente decreto, in particolare quelle lesive della concorrenza, della tutela dell'ambiente, dei diritti degli utenti e dei legittimi usi delle acque; adotta i necessari provvedimenti temporanei ed urgenti, ordinatori ed inibitori, assicurando tuttavia la continuità dei servizi;

d) può intervenire, suistanza dei gestori, in caso di omissioni o inadempimenti delle Autorità d'ambito.

4. Il ricorso contro gli atti e i provvedimenti dell'Autorità spetta alla giurisdizione amministrativa esclusiva e alla competenza del TAR del Lazio] (197) (198).

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(197) Articolo abrogato dal comma 5 dell’art. 1, D.Lgs. 8 novembre 2006, n. 284.

(198) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

161. Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche.

1. Il Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche di cui al decreto legislativo 7 novembre 2006, n. 284, articolo 1, comma 5, è istituito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al fine di garantire l'osservanza dei principi di cui all'articolo 141, comma 2 del presente decreto legislativo, con particolare riferimento alla regolare determinazione ed al regolare adeguamento delle tariffe, nonché alla tutela dell'interesse degli utenti.

2. Il Comitato è composto, nel rispetto del principio dell'equilibrio di genere, da sette membri, nominati con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Di tali componenti, tre sono designati dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome e quattro - di cui uno con funzioni di presidente individuato con il medesimo decreto - sono scelti tra persone particolarmente esperte in materia di tutela ed uso delle acque, sulla base di specifiche esperienze e conoscenze del settore.

3. I membri del Comitato durano in carica tre anni e non possono essere confermati. I componenti non possono essere dipendenti di soggetti di diritto privato operanti nel settore, nè possono avere interessi diretti e indiretti nei medesimi; qualora siano dipendenti pubblici, essi sono collocati fuori ruolo o, se professori universitari, sono collocati in aspettativa per l'intera durata del mandato. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, è determinato il trattamento economico spettante ai membri del Comitato.

4. Il Comitato, nell'ambito delle attività previste all'articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 90, in particolare:

a) predispone con delibera il metodo tariffario per la determinazione della tariffa di cui all'articolo 154 e le modalità di revisione periodica, e lo trasmette al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che lo adotta con proprio decreto sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;

b) verifica la corretta redazione del piano d'ambito, esprimendo osservazioni, rilievi e prescrizioni sugli elementi tecnici ed economici e sulla necessità di modificare le clausole contrattuali e gli atti che regolano il rapporto tra le Autorità d'ambito e i gestori in particolare quando ciò sia richiesto dalle ragionevoli esigenze degli utenti;

c) predispone con delibera una o più convenzioni tipo di cui all'articolo 151, e la trasmette al Ministro per l'ambiente e per la tutela del territorio e del mare, che la adotta con proprio decreto sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;

d) emana direttive per la trasparenza della contabilità delle gestioni e valuta i costi delle singole prestazioni;

e) definisce i livelli minimi di qualità dei servizi da prestare, sentite le regioni, i gestori e le associazioni dei consumatori;

f) controlla le modalità di erogazione dei servizi richiedendo informazioni e documentazioni ai gestori operanti nel settore idrico, anche al fine di individuare situazioni di criticità e di irregolarità funzionali dei servizi idrici;

g) tutela e garantisce i diritti degli utenti emanando linee guida che indichino le misure idonee al fine di assicurare la parità di trattamento degli utenti, garantire la continuità della prestazione dei servizi e verificare periodicamente la qualità e l'efficacia delle prestazioni;

h) predispone periodicamente rapporti relativi allo stato di organizzazione dei servizi al fine di consentire il confronto delle prestazioni dei gestori;

i) esprime pareri in ordine a problemi specifici attinenti la qualità dei servizi e la tutela dei consumatori, su richiesta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle regioni, degli enti locali, delle Autorità d'ambito, delle associazioni dei consumatori e di singoli utenti del servizio idrico integrato; per lo svolgimento delle funzioni di cui al presente comma il Comitato promuove studi e ricerche di settore;

l) predispone annualmente una relazione al parlamento sullo stato dei servizi idrici e sull'attività svolta.

5. Per l'espletamento dei propri compiti e per lo svolgimento di funzioni ispettive, il Comitato si avvale della segreteria tecnica di cui al decreto del Presidente della Repubblica 17 giugno 2003, n. 261, articolo 3, comma 1, lettera o). Esso può richiedere di avvalersi, altresì, dell'attività ispettiva e di verifica dell'Osservatorio di cui al comma 6 e di altre amministrazioni.

6. Per l'espletamento dei propri compiti il Comitato si avvale, altresì, dell'Osservatorio dei servizi idrici, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 17 giugno 2003, n. 261, articolo 3, comma 1, lettera o). L'Osservatorio svolge funzioni di raccolta, elaborazione e restituzione di dati statistici e conoscitivi, in particolare, in materia di:

a) censimento dei soggetti gestori dei servizi idrici e relativi dati dimensionali, tecnici e finanziari di esercizio;

b) convenzioni e condizioni generali di contratto per l'esercizio dei servizi idrici;

c) modelli adottati di organizzazione, di gestione, di controllo e di programmazione dei servizi e degli impianti;

d) livelli di qualità dei servizi erogati;

e) tariffe applicate;

f) piani di investimento per l'ammodernamento degli impianti e lo sviluppo dei servizi.

6-bis. Le attività della Segreteria tecnica e dell'Osservatorio dei servizi idrici sono svolte nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie già operanti presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.

7. I soggetti gestori dei servizi idrici trasmettono entro il 31 dicembre di ogni anno all'Osservatorio, alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano i dati e le informazioni di cui al comma 6. L'Osservatorio ha, altresì, facoltà di acquisire direttamente le notizie relative ai servizi idrici ai fini della proposizione innanzi agli organi giurisdizionali competenti, da parte del Comitato, dell'azione avverso gli atti posti in essere in violazione del presente decreto legislativo, nonché dell'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e di risarcimento dei danni a tutela dei diritti dell'utente.

8. L'Osservatorio assicura l'accesso generalizzato, anche per via informatica, ai dati raccolti e alle elaborazioni effettuate per la tutela degli interessi degli utenti (199) (200).

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(199) Articolo così sostituito dall’art. 2, comma 15, D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4.

(200) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

162. Partecipazione, garanzia e informazione degli utenti.

1. Il gestore del servizio idrico integrato assicura l'informazione agli utenti, promuove iniziative per la diffusione della cultura dell'acqua e garantisce l'accesso dei cittadini alle informazioni inerenti ai servizi gestiti nell'ambito territoriale ottimale di propria competenza, alle tecnologie impiegate, al funzionamento degli impianti, alla quantità e qualità delle acque fornite e trattate.

2. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, le regioni e le province autonome, nell'ambito delle rispettive competenze, assicurano la pubblicità dei progetti concernenti opere idrauliche che comportano o presuppongono grandi e piccole derivazioni, opere di sbarramento o di canalizzazione, nonché la perforazione di pozzi. A tal fine, le amministrazioni competenti curano la pubblicazione delle domande di concessione, contestualmente all'avvio del procedimento, oltre che nelle forme previste dall'articolo 7 del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque sugli impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, su almeno un quotidiano a diffusione nazionale e su un quotidiano a diffusione locale per le grandi derivazioni di acqua da fiumi transnazionali e di confine.

3. Chiunque può prendere visione presso i competenti uffici del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, delle regioni e delle province autonome di tutti i documenti, atti, studi e progetti inerenti alle domande di concessione di cui al comma 2 del presente articolo, ai sensi delle vigenti disposizioni in materia di pubblicità degli atti delle amministrazioni pubbliche (201).

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(201) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

163. Gestione delle aree di salvaguardia.

1. Per assicurare la tutela delle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano, il gestore del servizio idrico integrato può stipulare convenzioni con lo Stato, le regioni, gli enti locali, le associazioni e le università agrarie titolari di demani collettivi, per la gestione diretta dei demani pubblici o collettivi ricadenti nel perimetro delle predette aree, nel rispetto della protezione della natura e tenuto conto dei diritti di uso civico esercitati.

2. La quota di tariffa riferita ai costi per la gestione delle aree di salvaguardia, in caso di trasferimenti di acqua da un ambito territoriale ottimale all'altro, è versata alla comunità montana, ove costituita, o agli enti locali nel cui territorio ricadono le derivazioni; i relativi proventi sono utilizzati ai fini della tutela e del recupero delle risorse ambientali (202).

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(202) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

164. Disciplina delle acque nelle aree protette.

1. Nell'ambito delle aree naturali protette nazionali e regionali, l'ente gestore dell'area protetta, sentita l'Autorità di bacino, definisce le acque sorgive, fluenti e sotterranee necessarie alla conservazione degli ecosistemi, che non possono essere captate.

2. Il riconoscimento e la concessione preferenziale delle acque superficiali o sorgentizie che hanno assunto natura pubblica per effetto dell'articolo 1 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, nonché le concessioni in sanatoria, sono rilasciati su parere dell'ente gestore dell'area naturale protetta. Gli enti gestori di aree protette verificano le captazioni e le derivazioni già assentite all'interno delle aree medesime e richiedono all'autorità competente la modifica delle quantità di rilascio qualora riconoscano alterazioni degli equilibri biologici dei corsi d'acqua oggetto di captazione, senza che ciò possa dare luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione, fatta salva la relativa riduzione del canone demaniale di concessione (203).

(203) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

165. Controlli.

1. Per assicurare la fornitura di acqua di buona qualità e per il controllo degli scarichi nei corpi ricettori, ciascun gestore di servizio idrico si dota di un adeguato servizio di controllo territoriale e di un laboratorio di analisi per i controlli di qualità delle acque alla presa, nelle reti di adduzione e di distribuzione, nei potabilizzatori e nei depuratori, ovvero stipula apposita convenzione con altri soggetti gestori di servizi idrici. Restano ferme le competenze amministrative e le funzioni di controllo sulla qualità delle acque sugli scarichi nei corpi idrici stabilite dalla normativa vigente e quelle degli organismi tecnici preposti a tali funzioni.

2. Coloro che si approvvigionano in tutto o in parte di acqua da fonti diverse dal pubblico acquedotto sono tenuti a denunciare annualmente al soggetto gestore del servizio idrico il quantitativo prelevato nei termini e secondo le modalità previste dalla normativa per la tutela delle acque dall'inquinamento.

3. Le sanzioni previste dall'articolo 19 del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31, si applicano al responsabile della gestione dell'acquedotto soltanto nel caso in cui, dopo la comunicazione dell'esito delle analisi, egli non abbia tempestivamente adottato le misure idonee ad adeguare la qualità dell'acqua o a prevenire il consumo o l'erogazione di acqua non idonea (204).

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(204) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

Titolo IV

Usi produttivi delle risorse idriche

 

166. Usi delle acque irrigue e di bonifica.

1.I consorzi di bonifica ed irrigazione, nell'ambito delle loro competenze, hanno facoltà di realizzare e gestire le reti a prevalente scopo irriguo, gli impianti per l'utilizzazione in agricoltura di acque reflue, gli acquedotti rurali e gli altri impianti funzionali ai sistemi irrigui e di bonifica e, previa domanda alle competenti autorità corredata dal progetto delle opere da realizzare, hanno facoltà di utilizzare le acque fluenti nei canali e nei cavi consortili per usi che comportino la restituzione delle acque siano compatibili con le successive utilizzazioni, ivi compresi la produzione di energia idroelettrica e l'approvvigionamento di imprese produttive. L'Autorità di bacino esprime entro centoventi giorni la propria determinazione. Trascorso tale termine, la domanda si intende accettata. Per tali usi i consorzi sono obbligati ai pagamento dei relativi canoni per le quantità di acqua corrispondenti, applicandosi anche in tali ipotesi le disposizioni di cui al secondo comma dell'articolo 36 del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque sugli impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775.

2. I rapporti tra i consorzi di bonifica ed irrigazione ed i soggetti che praticano gli usi di cui al comma 1 sono regolati dalle disposizioni di cui al capo I del titolo VI del regio decreto 8 maggio 1904, n. 368.

3. Fermo restando il rispetto della disciplina sulla qualità delle acque degli scarichi stabilita dalla parte terza del presente decreto, chiunque, non associato ai consorzi di bonifica ed irrigazione, utilizza canali consortili o acque irrigue come recapito di scarichi, anche se depurati e compatibili con l'uso irriguo, provenienti da insediamenti di qualsiasi natura, deve contribuire alle spese sostenute dal consorzio tenendo conto della portata di acqua scaricata.

4. Il contributo di cui al comma 3 è determinato dal consorzio interessato e comunicato al soggetto utilizzatore, unitamente alle modalità di versamento (205).

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(205) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

167. Usi agricoli delle acque.

1. Nei periodi di siccità e comunque nei casi di scarsità di risorse idriche, durante i quali si procede alla regolazione delle derivazioni in atto, deve essere assicurata, dopo il consumo umano, la priorità dell'uso agricolo ivi compresa l'attività di acquacoltura di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 102.

2. Nell'ipotesi in cui, ai sensi dell'articolo 145, comma 3, si proceda alla regolazione delle derivazioni, l'amministrazione competente, sentiti i soggetti titolari delle concessioni di derivazione, assume i relativi provvedimenti.

3. La raccolta di acque piovane in invasi e cisterne al servizio di fondi agricoli o di singoli edifici è libera.

4. La raccolta di cui al comma 3 non richiede licenza o concessione di derivazione di acque; la realizzazione dei relativi manufatti è regolata dalle leggi in materia di edilizia, di costruzioni nelle zone sismiche, di dighe e sbarramenti e dalle altre leggi speciali.

5. L'utilizzazione delle acque sotterranee per gli usi domestici, come definiti dall'articolo 93, secondo comma, del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque sugli impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, resta disciplinata dalla medesima disposizione, purché non comprometta l'equilibrio del bilancio idrico di cui all'articolo 145 del presente decreto (206).

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(206) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

 168. Utilizzazione delle acque destinate ad uso idroelettrico.

1. Tenuto conto dei principi di cui alla parte terza del presente decreto e del piano energetico nazionale, nonché degli indirizzi per gli usi plurimi delle risorse idriche, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive, sentite le Autorità di bacino, nonché le regioni e le province autonome, disciplina, senza che ciò possa dare luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione, fatta salva la corrispondente riduzione del canone di concessione:

a) la produzione al fine della cessione di acqua dissalata conseguita nei cicli di produzione delle centrali elettriche costiere;

b) l'utilizzazione dell'acqua invasata a scopi idroelettrici per fronteggiare situazioni di emergenza idrica;

c) la difesa e la bonifica per la salvaguardia della quantità e della qualità delle acque dei serbatoi ad uso idroelettrico (207).

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(207) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

169. Piani, studi e ricerche.

1. I piani, gli studi e le ricerche realizzati dalle Amministrazioni dello Stato e da enti pubblici aventi competenza nelle materie disciplinate dalla parte terza del presente decreto sono comunicati alle Autorità di bacino competenti per territorio ai fini della predisposizione dei piani ad esse affidati (208).

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(208) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

Sezione IV

Disposizioni transitorie e finali

 

170. Norme transitorie.

1. Ai fini dell'applicazione dell'articolo 65, limitatamente alle procedure di adozione ed approvazione dei piani di bacino, fino alla data di entrata in vigore della parte seconda del presente decreto, continuano ad applicarsi le procedure di adozione ed approvazione dei piani di bacino previste dalla legge 18 maggio 1989, n. 183.

2. Ai fini dell'applicazione dell'articolo 1 del decreto-legge 12 ottobre 2000, n. 279, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 dicembre 2000, n. 3 65, i riferimenti in esso contenuti all'articolo 1 del decreto-legge 11 giugno 1998, n. 180, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 1998, n. 267, devono intendersi riferiti all'articolo 66 del presente decreto; i riferimenti alla legge 18 maggio 1989, n. 183, devono intendersi riferiti alla sezione prima della parte terza del presente decreto, ove compatibili.

2-bis. Nelle more della costituzione dei distretti idrografici di cui al Titolo II della Parte terza del presente decreto e della revisione della relativa disciplina legislativa con un decreto legislativo correttivo, le autorità di bacino di cui alla legge 18 maggio 1989, n. 183, sono prorogate fino alla data di entrata in vigore del decreto correttivo che, ai sensi dell'articolo 1, comma 6, della legge n. 308 del 2004, definisca la relativa disciplina (209).

3. Ai fini dell'applicazione della parte terza del presente decreto:

a) fino all'emanazione dei decreti di cui all'articolo 95, commi 4 e 5,

continua ad applicarsi il decreto ministeriale 28 luglio 2004;

b) fino all'emanazione del decreto di cui all'articolo 99, comma 1,

continua ad applicarsi il decreto ministeriale 12 giugno 2003, n. 185;

c) fino all'emanazione del decreto di cui all'articolo 104, comma 4, si applica il decreto ministeriale 28 luglio 1994;

d) fino all'emanazione del decreto di cui all'articolo 112, comma 2, si applica il decreto ministeriale 6 luglio 2005;

e) fino all'emanazione del decreto di cui all'articolo 114, comma 4, continua ad applicarsi il decreto ministeriale 30 giugno 2004;

f) fino all'emanazione del decreto di cui all'articolo 118, comma 2, continuano ad applicarsi il decreto ministeriale 18 settembre 2002 e il decreto ministeriale 19 agosto 2003;

g) fino all'emanazione del decreto di cui all'articolo 123, comma 2, continua ad applicarsi il decreto ministeriale 19 agosto 2003;

h) fino all'emanazione del decreto di cui all'articolo 146, comma 3,

continua ad applicarsi il decreto ministeriale 8 gennaio 1997, n. 99;

i) fino all'emanazione del decreto di cui all'articolo 150, comma 2,

all’affidamento della concessione di gestione del servizio idrico integrato nonché all'affidamento a società miste continuano ad applicarsi il decreto ministeriale 22 novembre 2001, nonché le circolari del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio del 6 dicembre 2004;

l) fino all'emanazione del decreto di cui all'articolo 154, comma 2,

continua ad applicarsi il decreto ministeriale 1° agosto 1996.

4. La parte terza del presente decreto contiene le norme di recepimento delle seguenti direttive comunitarie:

a) direttiva 75/440/CEE relativa alla qualità delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile;

b) direttiva 76/464/CEE concernente l'inquinamento provocato da certe sostanze pericolose scaricate nell'ambiente idrico;

c) direttiva 78/659/CEE relativa alla qualità delle acque dolci che richiedono protezione o miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci;

d) direttiva 79/869/CEE relativa ai metodi di misura, alla frequenza dei campionamenti e delle analisi delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile;

e) direttiva 79/923/CEE relativa ai requisiti di qualità delle acque destinate alla molluschicoltura;

f) direttiva 80/68/CEE relativa alla protezione delle acque sotterranee dall'inquinamento provocato da certe sostanze pericolose;

g) direttiva 82/176/CEE relativa ai valori limite ed obiettivi di qualità per gli scarichi di mercurio del settore dell'elettrolisi dei cloruri alcalini;

h) direttiva 83/513/CEE relativa ai valori limite ed obiettivi di qualità per gli scarichi di cadmio;

i) direttiva 84/156/CEE relativa ai valori limite ed obiettivi di qualità per gli scarichi di mercurio provenienti da settori diversi da quello dell'elettrolisi dei cloruri alcalini;

l) direttiva 84/491/CEE relativa ai valori limite e obiettivi di qualità per gli scarichi di esaclorocicloesano;

m) direttiva 88/347/CEE relativa alla modifica dell'Allegato 11 della direttiva 86/280/CEE concernente i valori limite e gli obiettivi di qualità per gli scarichi di talune sostanze pericolose che figurano nell'elenco 1 dell'Allegato della direttiva 76/464/CEE;

n) direttiva 90/415/CEE relativa alla modifica della direttiva 86/280/CEE concernente i valori limite e gli obiettivi di qualità per gli scarichi di talune sostanze pericolose che figurano nell'elenco 1 della direttiva 76/464/CEE;

o) direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane;

p) direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque da inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole;

q) direttiva 98/15/CE recante modifica della direttiva 91/271/CEE per quanto riguarda alcuni requisiti dell'Allegato 1;

r) direttiva 2000/60/CE, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque.

5. Le regioni definiscono, in termini non inferiori a due anni, i tempi di adeguamento alle prescrizioni, ivi comprese quelle adottate ai sensi dell'articolo 101, comma 2, contenute nella legislazione regionale attuativa della parte terza del presente decreto e nei piani di tutela di cui all'articolo 121.

6. Resta fermo quanto disposto dall'articolo 36 della legge 24 aprile 1998, n. 128, e dai decreti legislativi di attuazione della direttiva 96/92/CE.

7. Fino all'emanazione della disciplina regionale di cui all'articolo 112, le attività di utilizzazione agronomica sono effettuate secondo le disposizioni regionali vigenti alla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto.

8. Dall'attuazione della parte terza del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri o minori entrate a carico della finanza pubblica.

9. Una quota non inferiore al dieci per cento e non superiore al quindici per cento degli stanziamenti previsti da disposizioni statali di finanziamento è riservata alle attività di monitoraggio e studio destinati all'attuazione della parte terza del presente decreto.

10. Restano ferme le disposizioni in materia di difesa del mare.

11. Fino all'emanazione di corrispondenti atti adottati in attuazione della parte terza del presente decreto, restano validi ed efficaci i provvedimenti e gli atti emanati in attuazione delle disposizioni di legge abrogate dall'articolo 175.

12. All'onere derivante dalla costituzione e dal funzionamento della Sezione per la vigilanza sulle risorse idriche si provvede mediante utilizzo delle risorse di cui all'articolo 22, comma 6, della legge 5 gennaio 1994, n. 36.

13. [All'onere derivante dalla costituzione e dal funzionamento della Sezione per la vigilanza sui rifiuti, pari ad unmilioneduecentoquarantamila euro, aggiornato annualmente in relazione al tasso d'inflazione, provvede il Consorzio nazionale imballaggi di cui all'articolo 224 con un contributo di pari importo a carico dei consorziati. Dette somme sono versate dal Consorzio nazionale imballaggi all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze ad apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio] (210).

14. In sede di prima applicazione, il termine di centottanta giorni di cui all'articolo 112, comma 2, decorre dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto (211).

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(209) Comma aggiunto dal comma 3 dell’art. 1, D.Lgs. 8 novembre 2006, n. 284. Vedi, anche, il comma 4 dello stesso articolo 1.

(210) Comma soppresso dall’art. 2, comma 29-bis, D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4.

(211) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

171. Canoni per le utenze di acqua pubblica.

1. Delle more del trasferimento alla regione Sicilia del demanio idrico, per le grandi derivazioni in corso di sanatoria di cui all'articolo 96, comma 6, ricadenti nel territorio di tale regione, si applicano retroattivamente, a decorrere dal 1 gennaio 2002, i seguenti canoni annui:

a) per ogni modulo di acqua assentito ad uso irrigazione, 40,00 euro, ridotte alla metà se le colature ed i residui di acqua sono restituiti anche in falda;

b) per ogni ettaro del comprensorio irriguo assentito, con derivazione non suscettibile di essere fatta a bocca tassata, 0,40 euro;

c) per ogni modulo di acqua assentito per il consumo umano, 1.750,00 euro, minimo 300,00 euro;

d) per ogni modulo di acqua assentito ad uso industriale, 12.600,00 euro, minimo 1.750,00 euro. Il canone è ridotto del cinquanta per cento se il concessionario attua un riuso delle acque reimpiegando le acque risultanti a valle del processo produttivo o di una parte dello stesso o, ancora, se restituisce le acque di scarico con le medesime caratteristiche qualitative di quelle prelevate. Le disposizioni di cui al comma 5 dell'articolo 12 del decreto-legge 27 aprile 1990, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 giugno 1990, n. 1651, non si applicano per l'uso industriale;

e) per ogni modulo di acqua assentito per la piscicoltura, l'irrigazione di attrezzature sportive e di aree destinate a verde pubblico, 300,00 euro, minimo 100,00 euro;

f) per ogni kilowatt di potenza nominale assentita, per le concessioni di derivazione ad uso idroelettrico 12,00 euro, minimo 100,00 euro;

g) per ogni modulo dì acqua assentita ad uso igienico ed assimilati, concernente l'utilizzo dell'acqua per servizi igienici e servizi antincendio, ivi compreso quello relativo ad impianti sportivi, industrie e strutture varie qualora la concessione riguardi solo tale utilizzo, per impianti di autolavaggio e lavaggio strade e comunque per tutti gli usi non previsti dalle lettere da a) ad f), 900,00 euro.

2. Gli importi dei canoni di cui al comma 1 non possono essere inferiori a 250,00 euro per derivazioni per il consumo umano e a 1.500,00 euro per derivazioni per uso industriale (212).

 

(212) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

172. Gestioni esistenti.

1. Le Autorità d'ambito che alla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto abbiano già provveduto alla redazione del piano d'ambito, senza aver scelto la forma di gestione ed avviato la procedure di affidamento, sono tenute, nei sei mesi decorrenti da tale data, a deliberare i predetti provvedimenti.

2. In relazione alla s cadenza del termine di cui al comma 15-bis dell'articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, l'Autorità d'ambito dispone i nuovi affidamenti, nel rispetto della parte terza del presente decreto, entro i sessanta giorni antecedenti tale scadenza.

3. Qualora l'Autorità d'ambito non provveda agli adempimenti di cui ai commi 1 e 2 nei termini ivi stabiliti, la regione, entro trenta giorni, esercita, dandone comunicazione al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e all'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, i poteri sostitutivi, nominando un commissario "ad acta", le cui spese sono a carico dell'ente inadempiente, che avvia entro trenta giorni le procedure di affidamento, determinando le scadenze dei singoli adempimenti procedimentali. Qualora il commissario regionale non provveda nei termini così stabiliti, spettano al Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, i poteri sostitutivi preordinati al completamento della procedura di affidamento (213).

4. Qualora gli enti locali non aderiscano alle Autorità d'ambito ai sensi dell'articolo 148 entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, la regione esercita, previa diffida all'ente locale ad adempiere entro il termine di trenta giorni e dandone comunicazione all'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, i poteri sostitutivi, nominando un commissario "ad acta", le cui spese sono a carico dell'ente inadempiente (214).

5. Alla scadenza, ovvero alla anticipata risoluzione, delle gestioni in essere ai sensi del comma 2, i beni e gli impianti delle imprese già concessionarie sono trasferiti direttamente all'ente locale concedente nei limiti e secondo le modalità previsti dalla convenzione.

6. Gli impianti di acquedotto, fognatura e depurazione gestiti dai consorzi per le aree ed i nuclei di sviluppo industriale di cui all'articolo 50 del testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1978, n. 218, da altri consorzi o enti pubblici, nel rispetto dell'unità di gestione, entro il 31 dicembre 2006 sono trasferiti in concessione d'uso al gestore del servizio idrico integrato dell'Ambito territoriale ottimale nel quale ricadono in tutto o per la maggior parte i territori serviti, secondo un piano adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, sentite le regioni, le province e gli enti interessati (215).

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(213) Il riferimento all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti è stato soppresso ai sensi di quanto disposto dal comma 5 dell’art. 1, D.Lgs. 8 novembre 2006, n. 284.

(214) Il riferimento all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti è stato soppresso ai sensi di quanto disposto dal comma 5 dell’art. 1, D.Lgs. 8 novembre 2006, n. 284.

(215) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

173. Personale.

1. Fatta salva la legislazione regionale adottata ai sensi dell'articolo 12, comma 3, della legge 5 gennaio 1994, n. 36, il personale che, alla data del 31 dicembre 2005 o comunque otto mesi prima dell'affidamento del servizio, appartenga alle amministrazioni comunali, alle aziende ex municipalizzate o consortili e alle imprese private, anche cooperative, che operano nel settore dei servizi idrici sarà soggetto, ferma restando la risoluzione del rapporto di lavoro, al passaggio diretto ed immediato al nuovo gestore del servizio idrico integrato, con la salvaguardia delle condizioni contrattuali, collettive e individuali, in atto. Nel caso di passaggio di dipendenti di enti pubblici e di ex aziende municipalizzate o consortili e di imprese private, anche cooperative, al gestore del servizio idrico integrato, si applica, ai sensi dell'articolo 31 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la disciplina del trasferimento del ramo di azienda di cui all'articolo 2112 del codice civile (216).

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(216) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

174. Disposizioni di attuazione e di esecuzione.

1. Sino all'adozione da parte del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio di nuove disposizioni attuative della sezione terza della parte terza del presente decreto, si applica il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 4 marzo 1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 62 del 14 marzo 1994.

2. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, sentita l'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro un anno dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, nell'ambito di apposite intese istituzionali, predispone uno specifico programma per il raggiungimento, senza ulteriori oneri a carico del Ministero, dei livelli di depurazione, così come definiti dalla direttiva 91/271/CEE, attivando i poteri sostitutivi di cui all'articolo 152 negli ambiti territoriali ottimali in cui vi siano agglomerati a carico dei quali pendono procedure di infrazione per violazione della citata direttiva (217) (218).

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(217) Il riferimento all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti è stato soppresso ai sensi di quanto disposto dal comma 5 dell’art. 1, D.Lgs. 8 novembre 2006, n. 284.

(218) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

 175. Abrogazione di norme.

1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto sono o restano abrogate le norme contrarie o incompatibili con il medesimo, ed in particolare:

a) l'articolo 42, comma terzo, del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, come modificato dall'articolo 8 del decreto legislativo 12 luglio 1993, n. 275;

b) la legge 10 maggio 1976, n. 319;

c) la legge 8 ottobre 1976, n. 690, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 10 agosto 1976, n. 544;

d) la legge 24 dicembre 1979, n. 650;

e) la legge 5 marzo 1982, n. 62, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 1981, n. 801;

f) il decreto del Presidente della Repubblica 3 luglio 1982, n. 515;

g) la legge 25 luglio 1984, n. 381, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 29 maggio 1984, n. 176;

h) gli articoli 5, 6 e 7 della legge 24 gennaio 1986, n. 7, di conversione,

con modificazioni, del decreto-legge 25 novembre 1985, n. 667;

i) gli articoli 4, 5, 6 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica 24

maggio 1988, n. 236;

1) la legge 18 maggio 1989, n. 183;

m) gli articoli 4 e 5 della legge 5 aprile 1990, n. 71, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 5 febbraio 1990, n. 16;

n) l'articolo 32 della legge 9 gennaio 1991, n. 9;

o) il decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 130;

p) il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 131;

q) il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 132;

r) il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 133;

s) l'articolo 12 del decreto legislativo 12 luglio 1993, n. 275;

t) l'articolo 2, comma 1, della legge 6 dicembre 1993, n. 502, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 9 ottobre 1993, n. 408;

u) la legge 5 gennaio 1994, n. 36, ad esclusione dell'articolo 22, comma 6;

v) l'articolo 9-bis della legge 20 dicembre 1996, n. 642, di conversione,

con modificazioni, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 552;

z) la legge 17 maggio 1995, n. 172, di conversione, con modificazioni,

del decreto-legge 17 marzo 1995, n. 79;

aa) l'articolo 1 del decreto-legge 11 giugno 1998, n. 180, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 1998, n. 267;

bb) il decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, così come modificato dal decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 258;

cc) l'articolo 1-bis del decreto-legge 12 ottobre 2000, n. 279, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 ottobre 2000, n. 365 (219).

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(219) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 

176. Norma finale.

1. Le disposizioni di cui alla parte terza del presente decreto che concernono materie di legislazione concorrente costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'articolo 117, comma 3, della Costituzione.

2. Le disposizioni di cui alla parte terza del presente decreto sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti.

3. Per le acque appartenenti al demanio idrico delle province autonome di Trento e di Bolzano restano ferme le competenze in materia di utilizzazione delle acque pubbliche ed in materia di opere idrauliche previste dallo statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige e dalle relative norme di attuazione (220).

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(220) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.

 


L. 27 dicembre 2006 n. 296
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007). (art. 1, co. 1284)

Pubblicata nella Gazz. Uff. 27 dicembre 2006, n. 299, S.O. 

(omissis)

Articolo 1

(omissis)

Comma 1284. È istituito un fondo di solidarietà, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, finalizzato a promuovere il finanziamento esclusivo di progetti e interventi, in ambito nazionale e internazionale, atti a garantire il maggior accesso possibile alle risorse idriche secondo il principio della garanzia dell’accesso all’acqua a livello universale. Il fondo è alimentato dalle risorse di cui al comma 1284-ter. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro degli affari esteri, sentito il parere delle competenti Commissioni parlamentari e della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, sono indicate le modalità di funzionamento e di erogazione delle risorse del fondo (464).

 

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(464) Gli attuali commi 1284, 1284-bis e 1284-ter così sostituiscono l'originario comma 1284 ai sensi di quanto disposto dal comma 334 dell'art. 2, L. 24 dicembre 2007, n. 244. La Corte costituzionale, con sentenza 19-23 maggio 2008, n. 168 (Gazz. Uff. 28 maggio 2008, n. 23 - Prima serie speciale), in riferimento alla presente legge, ha dichiarato, tra l’altro: a) l'illegittimità del combinato disposto dell'articolo 1, commi 362, 363 e 364, nella parte in cui, in riferimento all'anno 2007, pone il vincolo di destinazione specifica del fondo di cui al comma 362 per interventi di riduzione dei costi della fornitura energetica per finalità sociali e dispone che, per il medesimo anno, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, sono stabiliti le condizioni, le modalità e i termini per l'utilizzo della dotazione del fondo stesso; b) l'illegittimità dell'articolo 1, comma 362, nella parte in cui, in riferimento agli anni successivi al 2009, non prevede l'intesa con le Regioni per determinare la concreta destinazione dei finanziamenti a carico del fondo istituito dallo stesso comma; c) l'illegittimità dell'articolo 1, comma 364: 1) nella parte in cui, in riferimento al biennio 2008-2009, non contiene, dopo le parole «da adottare», le parole «d'intesa con la Conferenza unificata»; 2) nella parte in cui contiene, in riferimento al biennio 2008-2009, l'inciso: «per una somma di 11 milioni di euro annui per il biennio 2008-2009»; d) ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità consequenziale dell'articolo 1, comma 356: 1) nella parte in cui non contiene, dopo le parole «si provvede», le parole «d'intesa con la Conferenza unificata»; 2) nella parte in cui contiene l'inciso: «pari a 11 milioni di euro»; e) l'illegittimità dell'articolo 1, comma 1284, nella parte in cui prevede che le modalità di funzionamento e di erogazione delle risorse del fondo sono indicate «Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro degli affari esteri, sentito il parere delle competenti Commissioni parlamentari e della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281», anziché «Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro degli affari esteri, da adottare d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sentito il parere delle competenti Commissioni parlamentari»; f) l'illegittimità dell'articolo 1, comma 1284, nel testo sostituito dall'art. 2, comma 334, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, nella parte in cui prevede che le modalità di funzionamento e di erogazione delle risorse del fondo sono indicate «Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro degli affari esteri, sentito il parere delle competenti Commissioni parlamentari e della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni», anziché «Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro degli affari esteri, da adottare d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, sentito il parere delle competenti Commissioni parlamentari».


D.L. 25-6-2008 n. 112
Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria. (art. 23-bis)

Pubblicato nella Gazz. Uff. 25 giugno 2008, n. 147, S.O.

(omissis)

Art. 23-bis. Servizi pubblici locali di rilevanza economica (42)

1.  Le disposizioni del presente articolo disciplinano l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in applicazione della disciplina comunitaria e al fine di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale, nonché di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione. Le disposizioni contenute nel presente articolo si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili.

2.  ll conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità.

3.  In deroga alle modalità di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l’affidamento può avvenire nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria.

4.  Nei casi di cui al comma 3, l’ente affidante deve dare adeguata pubblicità alla scelta, motivandola in base ad un’analisi del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all’Autorità garante della concorrenza e del mercato e alle autorità di regolazione del settore, ove costituite, per l’espressione di un parere sui profili di competenza da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione.

5.  Ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione può essere affidata a soggetti privati.

6.  E' consentito l’affidamento simultaneo con gara di una pluralità di servizi pubblici locali nei casi in cui possa essere dimostrato che tale scelta sia economicamente vantaggiosa. In questo caso la durata dell’affidamento, unica per tutti i servizi, non può essere superiore alla media calcolata sulla base della durata degli affidamenti indicata dalle discipline di settore.

7.  Le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze e d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, possono definire, nel rispetto delle normative settoriali, i bacini di gara per i diversi servizi, in maniera da consentire lo sfruttamento delle economie di scala e di scopo e favorire una maggiore efficienza ed efficacia nell’espletamento dei servizi, nonché l’integrazione di servizi a domanda debole nel quadro di servizi più redditizi, garantendo il raggiungimento della dimensione minima efficiente a livello di impianto per più soggetti gestori e la copertura degli obblighi di servizio universale.

8.  Salvo quanto previsto dal comma 10, lettera e), le concessioni relative al servizio idrico integrato rilasciate con procedure diverse dall’evidenza pubblica cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2010, senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante. Sono escluse dalla cessazione le concessioni affidate ai sensi del comma 3.

9.  I soggetti titolari della gestione di servizi pubblici locali non affidati mediante le procedure competitive di cui al comma 2, nonché i soggetti cui è affidata la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall’attività di erogazione dei servizi, non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, né svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, né direttamente, né tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate, né partecipando a gare. ll divieto di cui al periodo precedente non si applica alle società quotate in mercati regolamentati. I soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono comunque concorrere alla prima gara svolta per l’affidamento, mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, dello specifico servizio già a loro affidato. In ogni caso, entro la data del 31 dicembre 2010, per l’affidamento dei servizi si procede mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica.

10.  ll Governo, su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni ed entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, nonché le competenti Commissioni parlamentari, adotta uno o più regolamenti, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, al fine di:

a)  prevedere l’assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali al patto di stabilità interno e l’osservanza da parte delle società in house e delle società a partecipazione mista pubblica e privata di procedure ad evidenza pubblica per l’acquisto di beni e servizi e l’assunzione di personale;

b)  prevedere, in attuazione dei principi di proporzionalità e di adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione, che i comuni con un limitato numero di residenti possano svolgere le funzioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali in forma associata;

c)  prevedere una netta distinzione tra le funzioni di regolazione e le funzioni di gestione dei servizi pubblici locali, anche attraverso la revisione della disciplina sulle incompatibilità;

d)  armonizzare la nuova disciplina e quella di settore applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando le norme applicabili in via generale per l’affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonché in materia di acqua;

e)  disciplinare, per i settori diversi da quello idrico, fermo restando il limite massimo stabilito dall’ordinamento di ciascun settore per la cessazione degli affidamenti effettuati con procedure diverse dall’evidenza pubblica o da quella di cui al comma 3, la fase transitoria, ai fini del progressivo allineamento delle gestioni in essere alle disposizioni di cui al presente articolo, prevedendo tempi differenziati e che gli affidamenti di retti in essere debbano cessare alla scadenza, con esclusione di ogni proroga o rinnovo;

f)  prevedere l’applicazione del principio di reciprocità ai fini dell’ammissione alle gare di imprese estere;

g)  limitare, secondo criteri di proporzionalità, sussidiarietà orizzontale e razionalità economica, i casi di gestione in regime d’esclusiva dei servizi pubblici locali, liberalizzando le altre attività economiche di prestazione di servizi di interesse generale in ambito locale compatibili con le garanzie di universalità ed accessibilità del servizio pubblico locale;

h)  prevedere nella disciplina degli affidamenti idonee forme di ammortamento degli investimenti e una durata degli affidamenti strettamente proporzionale e mai superiore ai tempi di recupero degli investimenti;

i)  disciplinare, in ogni caso di subentro, la cessione dei beni, di proprietà del precedente gestore, necessari per la prosecuzione del servizio;

l)  prevedere adeguati strumenti di tutela non giurisdizionale anche con riguardo agli utenti dei servizi;

m)  individuare espressamente le norme abrogate ai sensi del presente articolo.

11.  L’articolo 113 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, è abrogato nelle parti incompatibili con le disposizioni di cui al presente articolo.

12.  Restano salve le procedure di affidamento già avviate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

 

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(42) Articolo inserito dalla legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133

 


Normativa comunitaria

 


Dir. 23 ottobre 2000, n. 2000/60/CE
Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque

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(1) Pubblicata nella G.U.C.E. 22 dicembre 2000, n. L 327. Entrata in vigore il 22 dicembre 2000.

(2)  Termine di recepimento: 22 dicembre 2003.

(3)  Per l'istituzione di un registro di siti destinati a formare la rete di intercalibrazione conformemente alla presente direttiva, vedi la decisione 2005/646/CE.

(omissis)

Il Parlamento europeo e il Consiglio dell'Unione europea,

visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l'articolo 175, paragrafo 1,

vista la proposta della Commissione (4),

visto il parere del Comitato economico e sociale (5),

visto il parere del Comitato delle regioni (6),

deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 251 del trattato (7), visto il progetto comune adottato dal comitato di conciliazione il 18 luglio 2000,

considerando quanto segue:

(1) L'acqua non è un prodotto commerciale al pari degli altri, bensì un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come tale.

(2) Le conclusioni del seminario ministeriale sulla politica comunitaria in materia di acque, tenutosi a Francoforte nel 1988, avevano messo in luce la necessità che la legislazione comunitaria disciplinasse la qualità ecologica delle acque. Nella risoluzione del 28 giugno 1988 (8), il Consiglio ha invitato la Commissione a presentare proposte per migliorare la qualità ecologica delle acque superficiali all'interno della Comunità.

(3) La dichiarazione del seminario ministeriale sulle acque sotterranee, tenutosi a L'Aia nel 1991, riconosceva l'esigenza di intervenire per evitare il deterioramento delle acque dolci nel lungo periodo, sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo, e richiedeva l'attuazione di un programma di interventi che garantisse, entro il 2000, la gestione e la protezione sostenibili delle fonti di acqua dolce. Nelle risoluzioni del 25 febbraio 1992 (9) e del 20 febbraio 1995 (10), il Consiglio ha auspicato l'elaborazione di un programma d'azione per le acque sotterranee, nonché la revisione della direttiva 80/68/CEE del Consiglio, del 17 dicembre 1979, sulla protezione delle acque sotterranee contro l'inquinamento provocato da alcune sostanze pericolose nell'ambito di una politica globale per la protezione delle acque dolci.

(4) Le acque comunitarie subiscono pressioni sempre maggiori a causa del continuo aumento della domanda di acqua di buona qualità in quantità sufficienti per qualsiasi utilizzo. Il 10 novembre 1995, nella relazione "L'ambiente nell'Unione europea è 1995", l'Agenzia europea per l'ambiente ha presentato una relazione aggiornata sullo stato dell'ambiente, nella quale confermava la necessità di intervenire per tutelare le acque comunitarie sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo.

(5) Il 18 dicembre 1995, il Consiglio ha adottato conclusioni che richiedevano, tra l'altro, l'elaborazione di una nuova direttiva quadro che fissi i principi di base di una politica sostenibile in materia di acque a livello dell'Unione europea, invitando la Commissione a presentare una proposta.

(6) Il 21 febbraio 1996, la Commissione ha adottato una comunicazione al Parlamento europeo e al Consiglio dal titolo "Politica comunitaria in materia di acque", nella quale vengono definiti i principi della politica nel settore.

(7) Il 9 settembre 1996, la Commissione ha presentato una proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma d'azione per la protezione e la gestione integrate delle acque sotterranee (11). In tale proposta, la Commissione ha sottolineato la necessità di definire le procedure per regolamentare l'estrazione delle acque dolci e controllarne la quantità e la qualità.

(8) Il 29 maggio 1995, la Commissione ha adottato una comunicazione al Parlamento europeo e al Consiglio sull'uso razionale e la conservazione delle zone umide, nella quale si riconosce l'importante funzione da esse svolta per la protezione delle risorse idriche.

(9) È necessario sviluppare una politica comunitaria integrata in materia di acque.

(10) Il Consiglio, il Comitato delle regioni, il Comitato economico e sociale e il Parlamento europeo hanno invitato la Commissione, rispettivamente in data 25 giugno, 19 settembre, 26 settembre e 23 ottobre 1996, a presentare una proposta di direttiva del Consiglio che istituisca un quadro per la politica comunitaria in materia di acque.

(11) Come stabilito dall'articolo 174 del trattato, la politica ambientale della Comunità deve contribuire a perseguire gli obiettivi della salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente, dell'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, che dev'essere fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, anzitutto alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio "chi inquina paga".

(12) A norma dell'articolo 174 del trattato, nel predisporre la politica in materia ambientale, la Comunità deve tener conto dei dati scientifici e tecnici disponibili, delle condizioni dell'ambiente nelle varie regioni della Comunità, dello sviluppo socioeconomico della Comunità nel suo insieme e dello sviluppo equilibrato delle sue singole regioni, nonché dei vantaggi e dei costi potenziali di un'azione o di una mancanza di azione.

(13) Le diverse condizioni ed esigenze riscontrabili all'interno della Comunità richiedono l'adozione di soluzioni specifiche. È opportuno tener conto di tale diversità nella programmazione e nell'esecuzione di misure atte a garantire la protezione ed un utilizzo sostenibile delle acque nell'ambito del bacino idrografico. Le decisioni dovrebbero essere adottate al livello più vicino possibile ai luoghi di utilizzo effettivo o di degrado delle acque. Si dovrebbero privilegiare le azioni che rientrino fra le competenze degli Stati membri, attraverso programmi di misure adeguati alle condizioni regionali e locali.

(14) Il successo della presente direttiva dipende da una stretta collaborazione e da un'azione coerente a livello locale, della Comunità e degli Stati membri, oltre che dall'informazione, dalla consultazione e dalla partecipazione dell'opinione pubblica, compresi gli utenti.

(15) La fornitura idrica è un servizio d'interesse generale, come indicato nella comunicazione della Commissione "I servizi di interesse generale in Europa" (12).

(16) È necessario integrare maggiormente la protezione e la gestione sostenibile delle acque in altre politiche comunitarie come la politica energetica, dei trasporti, la politica agricola, la politica della pesca, la politica regionale e in materia di turismo. La presente direttiva dovrebbe rappresentare la base per un dialogo continuo e per lo sviluppo di strategie tese ad ottenere una maggiore integrazione tra le varie politiche. La presente direttiva può altresì apportare un contributo decisivo in altri settori della cooperazione tra Stati membri, tra l'altro la "Prospettiva per lo sviluppo territoriale europeo" (ESDP).

(17) Una politica delle acque efficace e coerente deve tener conto della fragilità degli ecosistemi acquatici vicini alla costa o alle foci di fiumi, o in golfi o mari relativamente chiusi, in quanto il loro equilibrio è molto influenzato dalla qualità delle acque interne che ricevono. La tutela dello stato delle acque in un bacino idrografico porta vantaggi economici contribuendo alla protezione delle popolazioni ittiche, anche costiere.

(18) La politica comunitaria nel settore delle acque richiede un quadro legislativo trasparente, efficace e coerente. La Comunità dovrebbe fornire principi comuni e il quadro globale in cui inserire gli interventi. La presente direttiva dovrebbe fornire tale quadro e coordinare, integrare e, nel lungo periodo, sviluppare ulteriormente i principi e le strutture generali idonei a garantire la protezione e un utilizzo sostenibile delle acque comunitarie, nel rispetto del principio della sussidiarietà.

(19) La presente direttiva intende mantenere e migliorare l'ambiente acquatico all'interno della Comunità. Tale obiettivo riguarda principalmente la qualità delle acque interessate. Il controllo della quantità è un elemento secondario fra quelli che consentono di garantire una buona qualità idrica e pertanto si dovrebbero istituire altresì misure riguardanti l'aspetto quantitativo ad integrazione di quelle che mirano a garantire una buona qualità.

(20) Lo stato quantitativo di un corpo idrico sotterraneo può influire sulla qualità ecologica delle acque superficiali e sugli ecosistemi terrestri connessi a tale corpo idrico sotterraneo.

(21) La Comunità e gli Stati membri sono parti di vari accordi internazionali che prevedono obblighi rilevanti in materia di protezione delle acque marine dall'inquinamento, in particolare la convenzione sulla protezione dell'ambiente marino nella zona del Mar Baltico, firmata ad Helsinki il 9 aprile 1992 e approvata dal Consiglio con decisione 94/157/CE, la convenzione per la protezione dell'ambiente marino nell'Atlantico nordorientale, firmata a Parigi il 22 settembre 1992 e approvata dal Consiglio con decisione 98/249/CE, e la convenzione sulla salvaguardia del Mar Mediterraneo dall'inquinamento, firmata a Barcellona il 16 febbraio 1976 e approvata dal Consiglio con decisione 77/585/CEE, nonché il protocollo relativo alla protezione del Mar Mediterraneo dall'inquinamento di origine tellurica, firmato ad Atene il 17 maggio 1980 e approvato dal Consiglio con decisione 83/101/CEE. La presente direttiva contribuirà a consentire alla Comunità e agli Stati membri di rispettare detti obblighi.

(22) La presente direttiva deve contribuire alla graduale riduzione delle emissioni di sostanze pericolose nelle acque.

(23) Occorre disporre di principi comuni per coordinare gli interventi degli Stati membri diretti a migliorare la protezione delle acque della Comunità sia quantitativamente che qualitativamente, promuovere un'utilizzazione sostenibile dell'acqua, contribuire al controllo dei problemi delle acque di rilevanza transfrontaliera, per proteggere gli ecosistemi acquatici nonché gli ecosistemi terrestri e le zone umide che dipendono direttamente da essi, e per salvaguardare e sviluppare le utilizzazioni potenziali delle acque della Comunità.

(24) Una buona qualità delle acque contribuirà ad assicurare la fornitura di acqua potabile alla popolazione.

(25) È opportuno stabilire definizioni comuni di stato delle acque, sotto il profilo qualitativo e anche, laddove ciò si riveli importante per la protezione dell'ambiente, sotto il profilo quantitativo. Si dovrebbero fissare obiettivi ambientali per raggiungere un buono stato delle acque superficiali e sotterranee in tutta la Comunità e impedire il deterioramento dello stato delle acque a livello comunitario.

(26) Gli Stati membri dovrebbero cercare di raggiungere almeno l'obiettivo di un buono stato delle acque definendo e attuando le misure necessarie nell'ambito di programmi integrati di misure, nell'osservanza dei vigenti requisiti comunitari. Ove le acque abbiano già raggiunto un buono stato, si dovrebbe mantenere tale situazione. Per le acque sotterranee, oltre ai requisiti di un buono stato, si dovrebbe identificare e correggere qualsiasi tendenza significativa e prolungata all'aumento della concentrazione di sostanze inquinanti.

(27) L'obiettivo finale della presente direttiva è quello di eliminare le sostanze pericolose prioritarie e contribuire a raggiungere valori vicini a quelli del fondo naturale per le concentrazioni in ambiente marino di sostanze presenti in natura.

(28) In teoria, le acque superficiali e sotterranee sono risorse naturali rinnovabili. In particolare, per garantire un buono stato delle acque sotterranee è necessario un intervento tempestivo e una programmazione stabile sul lungo periodo delle misure di protezione, visti i tempi necessari per la formazione e il ricambio naturali di tali acque. Nel calendario delle misure adottate per conseguire un buono stato delle acque sotterranee e invertire le tendenze significative e durature all'aumento della concentrazione delle sostanze inquinanti nelle acque sotterranee è opportuno tener conto di tali tempi.

(29) Gli Stati membri, nel prefiggersi di conseguire gli obiettivi indicati nella presente direttiva e nel definire un programma delle misure da adottare a tal fine, possono attuare gradualmente il programma di misure al fine di ripartire i costi dell'attuazione.

(30) Per garantire l'attuazione piena e coerente della presente direttiva, qualsiasi proroga del calendario dovrebbe effettuarsi in base a criteri adeguati, chiari e trasparenti ed essere giustificata dagli Stati membri nell'ambito dei piani di gestione dei bacini idrografici.

(31) Ove le ripercussioni subite dal corpo idrico in seguito all'attività umana o a motivo delle sue condizioni naturali siano tali che risulti impossibile o eccessivamente oneroso ottenere un buono stato delle acque, possono essere fissati obiettivi ambientali meno rigorosi, fondati su criteri oggettivi e trasparenti, e si dovrebbe fare il possibile per prevenire un ulteriore deterioramento dello stato delle acque.

(32) A precise condizioni, vi possono essere motivi per dispensare dall'obbligo di prevenire un ulteriore deterioramento o di conseguire un buono stato, se il mancato raggiungimento dei risultati è dovuto a circostanze impreviste o eccezionali, in particolare inondazioni o siccità o a motivi di interesse pubblico di primaria importanza, o a nuove modifiche delle caratteristiche fisiche di un corpo idrico superficiale o ad alterazioni del livello dei corpi sotterranei, purché sia fatto il possibile per mitigare l'impatto negativo sullo stato del corpo idrico.

(33) L'obiettivo di ottenere un buono stato delle acque dovrebbe essere perseguito a livello di ciascun bacino idrografico, in modo da coordinare le misure riguardanti le acque superficiali e sotterranee appartenenti al medesimo sistema ecologico, idrologico e idrogeologico.

(34) Ai fini della protezione ambientale, è necessario integrare maggiormente gli aspetti qualitativi e quantitativi delle acque superficiali e sotterranee tenendo conto delle condizioni naturali di scorrimento delle acque nel ciclo idrologico.

(35) Nei bacini idrografici ove l'utilizzo dell'acqua può avere ripercussioni a livello transfrontaliero, i requisiti per il conseguimento degli obiettivi ambientali previsti dalla presente direttiva e, in particolare, tutti i programmi di misure dovrebbero essere coordinati per l'ultimo distretto idrografico. Per i bacini idrografici che si estendono oltre le frontiere della Comunità, gli Stati membri dovrebbero cercare di assicurare l'opportuno coordinamento con i paesi terzi interessati. La presente direttiva deve contribuire al rispetto degli obblighi assunti dalla Comunità in forza delle convenzioni internazionali sulla protezione e la gestione delle acque, in particolare della convenzione delle Nazioni Unite sulla protezione e l'utilizzazione dei corsi d'acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali, approvata con decisione 95/308/CE del Consiglio, e dei successivi accordi di applicazione.

(36) È necessario procedere ad analisi delle caratteristiche di un bacino idrografico e dell'impatto delle attività umane nonché all'analisi economica dell'utilizzo idrico. L'evoluzione dello stato delle acque dovrebbe essere sorvegliata dagli Stati membri in modo sistematico e comparabile in tutta la Comunità. Questa informazione è necessaria affinché gli Stati membri dispongano di una base valida per sviluppare programmi di intervento volti al conseguimento degli obiettivi fissati dalla presente direttiva.

(37) Gli Stati membri dovrebbero designare le acque usate per la produzione di acqua potabile, garantendo il rispetto della direttiva 80/778/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1980, relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano.

(38) Può risultare opportuno che gli Stati membri ricorrano a strumenti economici nell'ambito di un programma di misure. Il principio del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi quelli ambientali e delle risorse, in relazione ai danni o alle ripercussioni negative per l'ambiente acquatico, dovrebbe essere preso in considerazione, in particolare, in base al principio "chi inquina paga". A tal fine, sarà necessaria un'analisi economica dei servizi idrici, basata sulle previsioni a lungo termine della domanda e dell'offerta nel distretto idrografico.

(39) È necessario prevenire o attenuare le conseguenze degli inquinamenti dovuti a cause accidentali. È opportuno stabilire misure a tal fine nel programma di misure.

(40) Per quanto riguarda la prevenzione e la riduzione dell'inquinamento, la politica comunitaria dell'acqua dovrebbe ispirarsi ad un approccio combinato che riduca l'inquinamento alla fonte, fissando valori limite per le emissioni e norme di qualità ambientali.

(41) Sotto il profilo quantitativo, è opportuno istituire principi generali per limitare l'estrazione e l'arginazione delle acque, al fine di garantire uno sviluppo sostenibile sotto il profilo ambientale dei sistemi idrici interessati.

(42) È opportuno fissare norme di qualità ambientali comuni e valori limite di emissione come prescrizioni minime nella legislazione comunitaria per alcuni gruppi o famiglie di sostanze inquinanti. È opportuno fissare disposizioni affinché tali norme vengano adottate a livello comunitario.

(43) L'inquinamento causato dallo scarico, da emissioni e da perdite di sostanze pericolose prioritarie deve essere arrestato o gradualmente eliminato. Il Parlamento europeo e il Consiglio, su proposta della Commissione, dovrebbero definire le sostanze da considerare prioritarie ai fini dell'azione e le misure specifiche da adottare contro l'inquinamento dell'acqua da esse causato, tenendo conto di tutte le fonti significative e identificando il livello e l'insieme di controlli economicamente valido ed equilibrato.

(44) L'identificazione delle sostanze pericolose prioritarie dovrebbe tener conto del principio di precauzione e fondarsi sulla individuazione di effetti potenzialmente negativi del prodotto e su una valutazione scientifica del pericolo.

(45) Gli Stati membri dovrebbero adottare misure per eliminare l'inquinamento delle acque superficiali ad opera delle sostanze prioritarie e ridurre gradualmente l'inquinamento causato dalle altre sostanze che impedirebbero loro altrimenti di conseguire gli obiettivi per i corpi idrici superficiali.

(46) Per garantire la partecipazione del pubblico, compresi gli utenti dell'acqua, nel processo di elaborazione ed aggiornamento dei piani di gestione dei bacini idrografici, è necessario fornire informazioni adeguate sulle misure previste e riferire in merito ai progressi della loro attuazione in modo da coinvolgere il pubblico prima di adottare le decisioni definitive e le misure necessarie.

(47) La presente direttiva dovrebbe fornire i meccanismi atti ad affrontare gli ostacoli al miglioramento dello stato delle acque che non rientrino nella sfera di applicazione della normativa comunitaria sulle acque, al fine di preparare le strategie opportune per superarli.

(48) A scadenze annue, la Commissione dovrebbe presentare un programma aggiornato sulle iniziative che intende proporre nel settore idrico.

(49) È necessario definire, nell'ambito della presente direttiva, specifiche tecniche che garantiscano un approccio coerente in tutta la Comunità. I criteri di valutazione dello stato delle acque costituiscono un importante progresso. È opportuno che l'adeguamento di alcuni elementi tecnici al progresso tecnico e la standardizzazione dei metodi di controllo, di campionamento e di analisi siano realizzati attraverso la procedura del comitato. Per favorire una piena comprensione e un'applicazione coerente dei criteri per la caratterizzazione dei bacini idrografici e la valutazione dello stato delle acque, la Commissione può adottare direttive per l'applicazione dei criteri suddetti.

(50) Le misure necessarie per l'attuazione della presente direttiva sono adottate secondo la decisione 1999/468/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, recante modalità per l'esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione.

(51) L'attuazione della presente direttiva deve consentire di pervenire ad un livello di protezione delle acque almeno equivalente a quello previsto in taluni atti precedenti, che dovrebbero quindi essere abrogati una volta che sia data piena attuazione alle pertinenti disposizioni della presente direttiva.

(52) Le disposizioni della presente direttiva riprendono quelle relative alla riduzione dell'inquinamento provocato da sostanze pericolose, di cui alla direttiva 76/464/CEE. Pertanto, detta direttiva dovrebbe essere abrogata una volta che sia data piena attuazione alle disposizioni della presente direttiva.

(53) È necessario garantire la piena attuazione e applicazione della legislazione vigente in materia ambientale ai fini della protezione delle acque. È indispensabile garantire la corretta applicazione delle disposizioni di attuazione della presente direttiva in tutta la Comunità, prevedendo sanzioni adeguate nelle legislazioni degli Stati membri. Tali sanzioni dovrebbero essere efficaci, proporzionate e dissuasive,

 

hanno adottato la presente direttiva:

 

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(4)  In G.U.C.E. 17 giugno 1997, n. C 184 e in G.U.C.E. 20 gennaio 1998, n. C 16.

(5)  Pubblicato nella G.U.C.E. 21 novembre 1997, n. C 355.

(6)  Pubblicato nella G.U.C.E. 11 giugno 1998, n. C 180.

(7)  Parere del Parlamento europeo dell'11 febbraio 1999 (G.U.C.E. 28 maggio 1999, n. C 150) confermato il 16 settembre 1999, posizione comune del Consiglio del 22 ottobre 1999 (G.U.C.E. 30 novembre 1999, n. C 343) e decisione del Parlamento europeo del 16 febbraio 2000, decisione del Parlamento europeo del 7 settembre 2000 e decisione del Consiglio del 14 settembre 2000.

(8)  Pubblicato nella G.U.C.E. 9 agosto 1988, n. C 209.

(9)  Pubblicato nella G.U.C.E. 6 marzo 1992, n. C 59.

(10)  Pubblicato nella G.U.C.E. 28 febbraio 1995, n. C 49.

(11)  Pubblicato nella G.U.C.E. 25 novembre 1996, n. C 355.

(12)  Pubblicato nella G.U.C.E. 26 settembre 1996, n. C 281.

 

Articolo 1

Scopo.

Scopo della presente direttiva è istituire un quadro per la protezione delle acque superficiali interne, delle acque di transizione, delle acque costiere e sotterranee che:

a) impedisca un ulteriore deterioramento, protegga e migliori lo stato degli ecosistemi acquatici e degli ecosistemi terrestri e delle zone umide direttamente dipendenti dagli ecosistemi acquatici sotto il profilo del fabbisogno idrico;

b) agevoli un utilizzo idrico sostenibile fondato sulla protezione a lungo termine delle risorse idriche disponibili;

c) miri alla protezione rafforzata e al miglioramento dell'ambiente acquatico, anche attraverso misure specifiche per la graduale riduzione degli scarichi, delle emissioni e delle perdite di sostanze prioritarie e l'arresto o la graduale eliminazione degli scarichi, delle emissioni e delle perdite di sostanze pericolose prioritarie;

d) assicuri la graduale riduzione dell'inquinamento delle acque sotterranee e ne impedisca l'aumento, e

e) contribuisca a mitigare gli effetti delle inondazioni e della siccità

contribuendo quindi a:

- garantire una fornitura sufficiente di acque superficiali e sotterranee di buona qualità per un utilizzo idrico sostenibile, equilibrato ed equo,

- ridurre in modo significativo l'inquinamento delle acque sotterranee,

- proteggere le acque territoriali e marine, e

- realizzare gli obiettivi degli accordi internazionali in materia, compresi quelli miranti a impedire ed eliminare l'inquinamento dell'ambiente marino: con azione comunitaria ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 3, per arrestare o eliminare gradualmente gli scarichi, le emissioni e le perdite di sostanze pericolose prioritarie al fine ultimo di pervenire a concentrazioni, nell'ambiente marino, vicine ai valori del fondo naturale per le sostanze presenti in natura e vicine allo zero per le sostanze sintetiche antropogeniche.

 

Articolo 2

Definizioni.

Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:

1) "acque superficiali": le acque interne, ad eccezione delle acque sotterranee; le acque di transizione e le acque costiere, tranne per quanto riguarda lo stato chimico, in relazione al quale sono incluse anche le acque territoriali;

2) "acque sotterranee": tutte le acque che si trovano sotto la superficie del suolo nella zona di saturazione e a contatto diretto con il suolo o il sottosuolo;

3) "acque interne": tutte le acque superficiali correnti o stagnanti, e tutte le acque sotterranee all'interno della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali;

4) "fiume": un corpo idrico interno che scorre prevalentemente in superficie ma che può essere parzialmente sotterraneo;

5) "lago": un corpo idrico superficiale interno fermo;

6) "acque di transizione": i corpi idrici superficiali in prossimità della foce di un fiume, che sono parzialmente di natura salina a causa della loro vicinanza alle acque costiere, ma sostanzialmente influenzati dai flussi di acqua dolce;

7) "acque costiere": le acque superficiali situate all'interno rispetto a una retta immaginaria distante, in ogni suo punto, un miglio nautico sul lato esterno dal punto più vicino della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali e che si estendono eventualmente fino al limite esterno delle acque di transizione;

8) "corpo idrico artificiale": un corpo idrico superficiale creato da un'attività umana;

9) "corpo idrico fortemente modificato": un corpo idrico superficiale la cui natura, a seguito di alterazioni fisiche dovute a un'attività umana, è sostanzialmente modificata, come risulta dalla designazione fattane dallo Stato membro in base alle disposizioni dell'allegato II;

10) "corpo idrico superficiale": un elemento distinto e significativo di acque superficiali, quale un lago, un bacino artificiale, un torrente, fiume o canale, parte di un torrente, fiume o canale, acque di transizione o un tratto di acque costiere;

11) "falda acquifera": uno o più strati sotterranei di roccia o altri strati geologici di porosità e permeabilità sufficiente da consentire un flusso significativo di acque sotterranee o l'estrazione di quantità significative di acque sotterranee;

12) "corpo idrico sotterraneo": un volume distinto di acque sotterranee contenute da una o più falde acquifere;

13) "bacino idrografico": il territorio nel quale scorrono tutte le acque superficiali attraverso una serie di torrenti, fiumi ed eventualmente laghi per sfociare al mare in un'unica foce, a estuario o delta;

14) "sottobacino": il territorio nel quale scorrono tutte le acque superficiali attraverso una serie di torrenti, fiumi ed eventualmente laghi per sfociare in un punto specifico di un corso d'acqua (di solito un lago o la confluenza di un fiume);

15) "distretto idrografico": area di terra e di mare, costituita da uno o più bacini idrografici limitrofi e dalle rispettive acque sotterranee e costiere che, a norma dell'articolo 3, paragrafo 1, è definito la principale unità per la gestione dei bacini idrografici;

16) "autorità competente": l'autorità o le autorità definite dall'articolo 3, paragrafi 2 e 3;

17) "stato delle acque superficiali": espressione complessiva dello stato di un corpo idrico superficiale, determinato dal valore più basso del suo stato ecologico e chimico;

18) "buono stato delle acque superficiali": lo stato raggiunto da un corpo idrico superficiale qualora il suo stato, tanto sotto il profilo ecologico quanto sotto quello chimico, possa essere definito almeno "buono";

19) "stato delle acque sotterranee": espressione complessiva dello stato di un corpo idrico sotterraneo, determinato dal valore più basso del suo stato quantitativo e chimico;

20) "buono stato delle acque sotterranee": lo stato raggiunto da un corpo idrico sotterraneo qualora il suo stato, tanto sotto il profilo quantitativo quanto sotto quello chimico, possa essere definito almeno "buono";

21) "stato ecologico": espressione della qualità della struttura e del funzionamento degli ecosistemi acquatici associati alle acque superficiali, classificato a norma dell'allegato V;

22) "buono stato ecologico": stato di un corpo idrico superficiale classificato in base all'allegato V;

23) "buon potenziale ecologico": stato di un corpo idrico artificiale o fortemente modificato, così classificato in base alle disposizioni pertinenti dell'allegato V;

24) "buono stato chimico delle acque superficiali": stato chimico richiesto per conseguire gli obiettivi ambientali per le acque superficiali fissati dall'articolo 4, paragrafo 1, lettera a), ossia lo stato raggiunto da un corpo idrico superficiale nel quale la concentrazione degli inquinanti non supera gli standard di qualità ambientali fissati dall'allegato IX, e in forza dell'articolo 16, paragrafo 7 e di altre normative comunitarie pertinenti che istituiscono standard di qualità ambientale a livello comunitario;

25) "buono stato chimico delle acque sotterranee": stato chimico di un corpo idrico sotterraneo che risponde a tutte le condizioni di cui alla tabella 2.3.2 dell'allegato V;

26) "stato quantitativo": espressione del grado in cui un corpo idrico sotterraneo è modificato da estrazioni dirette e indirette;

27) "risorse idriche sotterranee disponibili": velocità annua media di ravvenamento globale a lungo termine del corpo idrico sotterraneo meno la velocità annua media a lungo termine del flusso necessario per raggiungere gli obiettivi di qualità ecologica per le acque superficiali connesse, di cui all'articolo 4, al fine di evitare un impoverimento significativo dello stato ecologico di tali acque nonché danni rilevanti agli ecosistemi terrestri connessi;

28) "buono stato quantitativo": stato definito nella tabella 2.1.2 dell'allegato V;

29) "sostanze pericolose": le sostanze o gruppi di sostanze tossiche, persistenti e bio-accumulabili e altre sostanze o gruppi di sostanze che danno adito a preoccupazioni analoghe;

30) "sostanze prioritarie": le sostanze definite ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 2, ed elencate nell'allegato X. Tra queste sostanze, vi sono "sostanze pericolose prioritarie" che sono quelle definite ai sensi dell'articolo 16, paragrafi 3 e 6, che devono essere oggetto di misure a norma dell'articolo 16, paragrafi 1 e 8;

31) "inquinante": qualsiasi sostanza che possa inquinare, in particolare quelle elencate nell'allegato VIII;

32) "immissione diretta nelle acque sotterranee": immissione di inquinanti nelle acque sotterranee senza infiltrazione attraverso il suolo o il sottosuolo;

33) "inquinamento": l'introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze o di calore nell'aria, nell'acqua o nel terreno, che possono nuocere alla salute umana o alla qualità degli ecosistemi acquatici o degli ecosistemi terrestri che dipendono direttamente da ecosistemi acquatici, perturbando, deturpando o deteriorando i valori ricreativi o altri legittimi usi dell'ambiente;

34) "obiettivi ambientali": gli obiettivi fissati all'articolo 4;

35) "standard di qualità ambientale": la concentrazione di un particolare inquinante o gruppo di inquinanti nelle acque, nei sedimenti e nel biota che non deve essere superata, per tutelare la salute umana e l'ambiente;

36) "approccio combinato": il controllo degli scarichi e delle emissioni nelle acque superficiali secondo l'impostazione di cui all'articolo 10;

37) "acque destinate al consumo umano": le acque disciplinate dalla direttiva 80/778/CEE, modificata dalla direttiva 98/83/CE;

38) "servizi idrici": tutti i servizi che forniscono alle famiglie, agli enti pubblici o a qualsiasi attività economica:

a) estrazione, arginamento, stoccaggio, trattamento e distribuzione, di acque superficiali o sotterranee;

b) strutture per la raccolta e il trattamento delle acque reflue, che successivamente scaricano nelle acque superficiali;

39) "utilizzo delle acque": servizi idrici assieme alle altre attività di cui all'articolo 5 e all'allegato II, che incidono in modo significativo sullo stato delle acque.

Tale nozione si applica ai fini dell'articolo 1 e dell'analisi economica effettuata a norma dell'articolo 5 dell'allegato III, lettera b);

40) "valori limite di emissione": la massa espressa in rapporto a determinati parametri specifici, la concentrazione e/o il livello di un'emissione che non devono essere superati in uno o più periodi di tempo. I valori limite di emissione possono essere fissati anche per determinati gruppi, famiglie o categorie di sostanze, in particolare quelle di cui all'articolo 16.

I valori limite di emissione delle sostanze si applicano di norma nel punto di fuoriuscita delle emissioni dall'impianto, senza tener conto dell'eventuale diluizione. Per gli scarichi indiretti nell'acqua, l'effetto di una stazione di depurazione di acque reflue può essere preso in considerazione nella determinazione dei valori limite di emissione dell'impianto, a condizione di garantire un livello equivalente di protezione dell'ambiente nel suo insieme e di non portare a carichi inquinanti maggiori nell'ambiente;

41) "controlli delle emissioni": controlli che comportano una limitazione specifica delle emissioni, ad esempio un valore limite delle emissioni, oppure che definiscono altrimenti limiti o condizioni in merito agli effetti, alla natura o ad altre caratteristiche di un'emissione o condizioni operative che influiscono sulle emissioni. L'uso del termine "controllo delle emissioni" nella presente direttiva, in riferimento alle disposizioni di altre direttive, non va considerato in alcun modo come una reinterpretazione di tali disposizioni.

 

Articolo 3

Coordinamento delle disposizioni amministrative all'interno dei distretti idrografici.

1. Gli Stati membri individuano i singoli bacini idrografici presenti nel loro territorio e, ai fini della presente direttiva, li assegnano a singoli distretti idrografici. Ove opportuno, è possibile accomunare in un unico distretto bacini idrografici di piccole dimensioni e bacini di dimensioni più grandi, oppure unificare piccoli bacini limitrofi. Qualora le acque sotterranee non rientrino interamente in un bacino idrografico preciso, esse vengono individuate e assegnate al distretto idrografico più vicino o più consono. Le acque costiere vengono individuate e assegnate al distretto idrografico o ai distretti idrografici più vicini o più consoni.

2. Gli Stati membri provvedono a adottare le disposizioni amministrative adeguate, ivi compresa l'individuazione dell'autorità competente, per l'applicazione delle norme previste dalla presente direttiva all'interno di ciascun distretto idrografico presente nel loro territorio.

3. Gli Stati membri provvedono affinché un bacino idrografico che si estende sul territorio di più Stati membri sia assegnato a un distretto idrografico internazionale. Su richiesta degli Stati membri interessati, la Commissione interviene per agevolare l'assegnazione di tali distretti idrografici internazionali.

Ciascuno Stato membro provvede ad adottare le disposizioni amministrative adeguate, ivi compresa l'individuazione dell'autorità competente, per l'applicazione delle norme previste dalla presente direttiva in ogni parte di distretto idrografico internazionale presente nel suo territorio.

4. Gli Stati membri provvedono affinché i requisiti stabiliti dalla presente direttiva per conseguire gli obiettivi ambientali di cui all'articolo 4, in particolare tutti i programmi di misure, siano coordinati in tutto il distretto idrografico. Per i distretti idrografici internazionali, gli Stati membri interessati provvedono congiuntamente al coordinamento e possono avvalersi a tal fine di strutture esistenti risultanti da accordi internazionali. Su richiesta degli Stati membri interessati, la Commissione interviene per agevolare la definizione dei programmi di misure.

5. Se un distretto idrografico supera i confini della Comunità, lo Stato membro o gli Stati membri interessati si adoperano per instaurare un coordinamento adeguato con gli Stati terzi in questione, per realizzare gli obiettivi della presente direttiva in tutto il distretto idrografico. Gli Stati membri provvedono all'applicazione delle disposizioni della presente direttiva nell'ambito del loro territorio.

6. Ai fini della presente direttiva, gli Stati membri possono individuare quale autorità competente un organismo nazionale o internazionale esistente.

7. Gli Stati membri individuano l'autorità competente entro il termine di cui all'articolo 24.

8. Entro sei mesi dalla data di cui all'articolo 24 gli Stati membri forniscono alla Commissione un elenco delle rispettive autorità competenti e delle autorità competenti di tutti gli organismi internazionali di cui fanno parte. Per ciascuna autorità competente forniscono le informazioni stabilite nell'allegato I.

9. Gli Stati membri comunicano alla Commissione eventuali cambiamenti delle informazioni presentate in base al paragrafo 8 entro tre mesi dalla data in cui essi hanno effetto.

 

 

Articolo 4

Obiettivi ambientali.

1. Nel rendere operativi i programmi di misure specificate nei piani di gestione dei bacini idrografici:

a) Per le acque superficiali

i) gli Stati membri attuano le misure necessarie per impedire il deterioramento dello stato di tutti i corpi idrici superficiali, fatta salva l'applicazione dei paragrafi 6 e 7 e fermo restando il paragrafo 8;

ii) gli Stati membri proteggono, migliorano e ripristinano tutti i corpi idrici superficiali, salva l'applicazione del punto iii) per i corpi idrici artificiali e quelli fortemente modificati, al fine di raggiungere un buono stato delle acque superficiali in base alle disposizioni di cui all'allegato V entro 15 anni dall'entrata in vigore della presente direttiva, salve le proroghe stabilite a norma del paragrafo 4 e l'applicazione dei paragrafi 5, 6 e 7, e salvo il paragrafo 8;

iii) gli Stati membri proteggono e migliorano tutti i corpi idrici artificiali e quelli fortemente modificati, al fine di raggiungere un buono stato delle acque superficiali in base alle disposizioni di cui all'allegato V entro 15 anni dall'entrata in vigore della presente direttiva, salve le proroghe stabilite a norma del paragrafo 4 e l'applicazione dei paragrafi 5, 6 e 7, e salvo il paragrafo 8;

iv) gli Stati membri attuano le misure necessarie a norma dell'articolo 16, paragrafo 1, e dell'articolo 16, paragrafo 8, al fine di ridurre progressivamente l'inquinamento causato dalle sostanze prioritarie (13) e arrestare o eliminare gradualmente le emissioni, gli scarichi e le perdite di sostanze pericolose prioritarie,

fermi restando, per le parti interessate, i pertinenti accordi internazionali di cui all'articolo 1.

b) Per le acque sotterranee

i) gli Stati membri attuano le misure necessarie per impedire o limitare l'immissione di inquinanti nelle acque sotterranee e per impedire il deterioramento dello stato di tutti i corpi idrici sotterranei, salva l'applicazione dei paragrafi 6 e 7 e salvo il paragrafo 8 del presente articolo e salva l'applicazione dell'articolo 11, paragrafo 3, lettera j);

ii) gli Stati membri proteggono, migliorano e ripristinano i corpi idrici sotterranei, e assicurano un equilibrio tra l'estrazione e il ravvenamento delle acque sotterranee al fine di conseguire un buono stato delle acque sotterranee in base alle disposizioni di cui all'allegato V, entro 15 anni dall'entrata in vigore della presente direttiva, salve le proroghe stabilite a norma del paragrafo 4 e l'applicazione dei paragrafi 5, 6 e 7, salvo il paragrafo 8 e salva l'applicazione dell'articolo 11, paragrafo 3, lettera g);

iii) gli Stati membri attuano le misure necessarie a invertire le tendenze significative e durature all'aumento della concentrazione di qualsiasi inquinante derivante dall'impatto dell'attività umana per ridurre progressivamente l'inquinamento delle acque sotterranee.

Le misure volte a conseguire l'inversione di tendenza vengono attuate a norma dell'articolo 17, paragrafi 2, 4 e 5, tenendo conto degli standard applicabili stabiliti nella pertinente normativa comunitaria, fatta salva l'applicazione dei paragrafi 6 e 7 e salvo il paragrafo 8.

c) Per le aree protette

gli Stati membri si conformano a tutti gli standard e agli obiettivi entro 15 anni dall'entrata in vigore della presente direttiva, salvo diversa disposizione della normativa comunitaria a norma della quale le singole aree protette sono state istituite.

2. Quando un corpo idrico è interessato da più di uno degli obiettivi di cui al paragrafo 1, si applica quello più rigoroso.

3. Gli Stati membri possono definire un corpo idrico artificiale o fortemente modificato quando:

a) le modifiche delle caratteristiche idromorfologiche di tale corpo, necessarie al raggiungimento di un buono stato ecologico, abbiano conseguenze negative rilevanti:

i) sull'ambiente in senso più ampio,

ii) sulla navigazione, comprese le infrastrutture portuali, o il diporto;

iii) sulle attività per le quali l'acqua è accumulata, quali la fornitura di acqua potabile, la produzione di energia o l'irrigazione,

iv) sulla regolazione delle acque, la protezione dalle inondazioni o il drenaggio agricolo, o

v) su altre attività sostenibili di sviluppo umano ugualmente importanti;

b) i vantaggi cui sono finalizzate le caratteristiche artificiali o modificate del corpo idrico non possano, per motivi di fattibilità tecnica o a causa dei costi sproporzionati, essere raggiunti con altri mezzi i quali rappresentino un'opzione significativamente migliore sul piano ambientale.

Tali designazioni e la relativa motivazione sono esplicitamente menzionate nei piani di gestione dei bacini idrografici prescritti dall'articolo 13 e sono riesaminate ogni sei anni.

4. A condizione che non si verifichi un ulteriore deterioramento dello stato del corpo idrico in questione, è possibile prorogare i termini fissati dal paragrafo 1 allo scopo di conseguire gradualmente gli obiettivi per quanto riguarda i corpi idrici, e che sussistano tutte le seguenti condizioni:

a) gli Stati membri stabiliscono che tutti i miglioramenti necessari dello stato dei corpi idrici non possono essere ragionevolmente raggiunti entro i termini fissati nel suddetto paragrafo per almeno uno dei seguenti motivi:

i) la portata dei miglioramenti necessari può essere attuata, per motivi di realizzabilità tecnica, solo in fasi che superano il periodo stabilito;

ii) il completamento dei miglioramenti entro i termini fissati sarebbe sproporzionatamente costoso;

iii) le condizioni naturali non consentono miglioramenti dello stato del corpo idrico nei tempi richiesti;

b) la proroga dei termini e le relative motivazioni sono espressamente indicate e spiegate nel piano di gestione dei bacini idrografici prescritto dall'articolo 13;

c) le proroghe non superano il periodo corrispondente a due ulteriori aggiornamenti del piano di gestione del bacino idrografico, tranne i casi in cui le condizioni naturali non consentono di conseguire gli obiettivi entro tale periodo;

d) nel piano di gestione del bacino idrografico figurano un elenco delle misure previste dall'articolo 11 e considerate necessarie affinché i corpi idrici raggiungano progressivamente lo stato richiesto entro il termine prorogato, la giustificazione di ogni significativo ritardo nell'attuazione di tali misure, nonché il relativo calendario di attuazione. Negli aggiornamenti del piano di gestione del bacino idrografico devono essere inclusi un riesame dell'attuazione di tali misure e un elenco delle eventuali misure aggiuntive.

5. Gli Stati membri possono prefiggersi di conseguire obiettivi ambientali meno rigorosi rispetto a quelli previsti dal paragrafo 1, per corpi idrici specifici qualora, a causa delle ripercussioni dell'attività umana, definita ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 1, o delle loro condizioni naturali, il conseguimento di tali obiettivi sia non fattibile o esageratamente oneroso, e ricorrano le seguenti condizioni:

a) i bisogni ambientali e socioeconomici cui sono finalizzate dette attività umane del corpo idrico non possono essere soddisfatti con altri mezzi i quali rappresentino un'opzione significativamente migliore sul piano ambientale e tale da non comportare oneri esagerati;

b) gli Stati membri garantiscono:

- per le acque superficiali, il raggiungimento del migliore stato ecologico e chimico possibile, tenuto conto degli impatti che non avrebbero potuto ragionevolmente essere evitati data la natura dell'attività umana o dell'inquinamento,

- per le acque sotterranee, le minime modifiche possibili allo stato delle acque sotterranee, tenuto conto degli impatti che non avrebbero potuto ragionevolmente essere evitati data la natura dell'attività umana o dell'inquinamento;

c) non si verifica alcun ulteriore deterioramento dello stato del corpo idrico in questione;

d) gli obiettivi ambientali meno rigorosi e le relative motivazioni figurano espressamente nel piano di gestione del bacino idrografico prescritto dall'articolo 13 e tali obiettivi sono rivisti ogni sei anni.

6. Il deterioramento temporaneo dello stato del corpo idrico dovuto a circostanze naturali o di forza maggiore eccezionali e ragionevolmente imprevedibili, in particolare alluvioni violente e siccità prolungate, o in esito a incidenti ragionevolmente imprevedibili, non costituisce una violazione delle prescrizioni della presente direttiva, purché ricorrano tutte le seguenti condizioni:

a) è fatto tutto il possibile per impedire un ulteriore deterioramento dello stato e per non compromettere il raggiungimento degli obiettivi della presente direttiva in altri corpi idrici non interessati da dette circostanze;

b) il piano di gestione del bacino idrografico prevede espressamente le situazioni in cui possono essere dichiarate dette circostanze ragionevolmente imprevedibili o eccezionali, anche adottando gli indicatori appropriati;

c) le misure da adottare quando si verificano tali circostanze eccezionali sono contemplate nel programma di misure e non compromettono il ripristino della qualità del corpo idrico una volta superate le circostanze in questione;

d) gli effetti delle circostanze eccezionali o imprevedibili sono sottoposti a un riesame annuale e, con riserva dei motivi di cui al paragrafo 4, lettera a), è fatto tutto il possibile per ripristinare nel corpo idrico, non appena ciò sia ragionevolmente fattibile, lo stato precedente agli effetti di tali circostanze;

e) una sintesi degli effetti delle circostanze e delle misure adottate o da adottare a norma delle lettere a) e d) sia inserita nel successivo aggiornamento del piano di gestione del bacino idrografico.

7. Gli Stati membri non violano la presente direttiva qualora:

- il mancato raggiungimento del buono stato delle acque sotterranee, del buono stato ecologico o, ove pertinente, del buon potenziale ecologico ovvero l'incapacità di impedire il deterioramento dello stato del corpo idrico superficiale o sotterraneo sono dovuti a nuove modifiche delle caratteristiche fisiche di un corpo idrico superficiale o ad alterazioni del livello di corpi sotterranei, o

- l'incapacità di impedire il deterioramento da uno stato elevato ad un buono stato di un corpo idrico superficiale sia dovuto a nuove attività sostenibili di sviluppo umano,

purché ricorrano tutte le seguenti condizioni:

a) è fatto tutto il possibile per mitigare l'impatto negativo sullo stato del corpo idrico;

b) le motivazioni delle modifiche o alterazioni sono menzionate specificamente e illustrate nel piano di gestione del bacino idrografico prescritto dall'articolo 13 e gli obiettivi sono riveduti ogni sei anni;

c) le motivazioni di tali modifiche o alterazioni sono di prioritario interesse pubblico e/o i vantaggi per l'ambiente e la società risultanti dal conseguimento degli obiettivi di cui al paragrafo 1 sono inferiori ai vantaggi derivanti dalle modifiche o alterazioni per la salute umana, il mantenimento della sicurezza umana o lo sviluppo sostenibile, e

d) per ragioni di fattibilità tecnica o costi sproporzionati, i vantaggi derivanti da tali modifiche o alterazioni del corpo idrico non possono essere conseguiti con altri mezzi che costituiscano una soluzione notevolmente migliore sul piano ambientale.

8. Gli Stati membri, nell'applicare i paragrafi 3, 4, 5, 6 e 7, assicurano che l'applicazione non pregiudichi la realizzazione degli obiettivi della presente direttiva in altri corpi idrici dello stesso distretto idrografico e che essa sia coerente con l'attuazione di altri atti normativi comunitari in materia di ambiente.

9. È necessario prendere provvedimenti per garantire che l'applicazione delle nuove disposizioni, inclusa l'applicazione dei paragrafi 3, 4, 5, 6 e 7 garantisca almeno il medesimo livello di protezione rispetto alla vigente legislazione comunitaria.

 

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(13)  Testo così rettificato dalla rettifica pubblicata nella G.U.C.E. 19 gennaio 2001, n. L 17.

 

Articolo 5

Caratteristiche del distretto idrografico, esame dell'impatto ambientale delle attività umane e analisi economica dell'utilizzo idrico.

1. Gli Stati membri provvedono affinché, per ciascun distretto idrografico, o parte di distretto idrografico internazionale compreso nel loro territorio, siano effettuati, secondo le specifiche tecniche che figurano negli allegati II e III, e completati entro quattro anni dall'entrata in vigore della presente direttiva:

- un'analisi delle caratteristiche del distretto,

- un esame dell'impatto delle attività umane sullo stato delle acque superficiali e sulle acque sotterranee, e

- un'analisi economica dell'utilizzo idrico.

2. Le analisi e gli esami di cui al paragrafo 1 sono riesaminati ed eventualmente aggiornati entro tredici anni dall'entrata in vigore della presente direttiva e, successivamente, ogni sei anni.

 

Articolo 6

Registro delle aree protette.

1. Gli Stati membri provvedono all'istituzione di uno o più registri di tutte le aree di ciascun distretto idrografico alle quali è stata attribuita una protezione speciale in base alla specifica normativa comunitaria al fine di proteggere le acque superficiali e sotterranee ivi contenute o di conservarne gli habitat e le specie presenti che dipendono direttamente dall'ambiente acquatico. Essi provvedono affinché i registri delle aree protette siano ultimati entro quattro anni dall'entrata in vigore della presente direttiva.

2. Il registro o i registri contengono tutti i corpi idrici individuati a norma dell'articolo 7, paragrafo 1, e tutte le aree protette di cui all'allegato IV.

3. Il registro o i registri delle aree protette devono essere tenuti aggiornati per ciascun distretto idrografico.

 

Articolo 7

Acque utilizzate per l'estrazione di acqua potabile.

1. All'interno di ciascun distretto idrografico gli Stati membri individuano:

- tutti i corpi idrici utilizzati per l'estrazione di acque destinate al consumo umano che forniscono in media oltre 10 m3 al giorno o servono più di 50 persone, e

- i corpi idrici destinati a tale uso futuro.

Gli Stati membri provvedono al monitoraggio, a norma dell'allegato V, dei corpi idrici che, in base all'allegato V, forniscono in media oltre 100 m 3 al giorno.

2. Per ciascuno dei corpi idrici individuati a norma del paragrafo 1, gli Stati membri, oltre a conseguire gli obiettivi di cui all'articolo 4 attenendosi ai requisiti prescritti dalla presente direttiva per i corpi idrici superficiali, compresi gli standard di qualità fissati a livello comunitario a norma dell'articolo 16, provvedono a che, secondo il regime di trattamento delle acque applicato e conformemente alla normativa comunitaria, l'acqua risultante soddisfi i requisiti di cui alla direttiva 80/778/CEE, modificata dalla direttiva 98/83/CE.

3. Gli Stati membri provvedono alla necessaria protezione dei corpi idrici individuati al fine di impedire il peggioramento della loro qualità per ridurre il livello della depurazione necessaria alla produzione di acqua potabile. Gli Stati membri possono definire zone di salvaguardia per tali corpi idrici.

 

Articolo 8

Monitoraggio dello stato delle acque superficiali, dello stato delle acque sotterranee e delle aree protette.

1. Gli Stati membri provvedono a elaborare programmi di monitoraggio dello stato delle acque al fine di definire una visione coerente e globale dello stato delle acque all'interno di ciascun distretto idrografico:

- nel caso delle acque superficiali, i programmi in questione riguardano

i) il volume e il livello o la proporzione del flusso idrico nella misura adeguata ai fini dello stato ecologico e chimico e del potenziale ecologico

ii) lo stato ecologico e chimico e il potenziale ecologico è nel caso delle acque sotterranee, riguardano il monitoraggio dello stato chimico e quantitativo,

- nel caso delle aree protette, i suddetti programmi sono integrati dalle specifiche contenute nella normativa comunitaria in base alla quale le singole aree protette sono state create.

2. I programmi devono essere operativi entro sei anni dall'entrata in vigore della presente direttiva, se non specificato diversamente nella pertinente normativa. Il monitoraggio in questione è effettuato secondo le prescrizioni di cui all'allegato V.

3. Sono adottate specifiche tecniche e metodi uniformi per analizzare e monitorare lo stato delle acque. Tali misure intese a modificare elementi non essenziali della presente direttiva, completandola, sono adottate secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 21, paragrafo 3 (14

 

(14) Paragrafo così sostituito dall'articolo 1 della direttiva 2008/32/CE.

 

Articolo 9

Recupero dei costi relativi ai servizi idrici.

1. Gli Stati membri tengono conto del principio del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi i costi ambientali e relativi alle risorse, prendendo in considerazione l'analisi economica effettuata in base all'allegato III e, in particolare, secondo il principio "chi inquina paga".

Gli Stati membri provvedono entro il 2010:

- a che le politiche dei prezzi dell'acqua incentivino adeguatamente gli utenti a usare le risorse idriche in modo efficiente e contribuiscano in tal modo agli obiettivi ambientali della presente direttiva,

- a un adeguato contributo al recupero dei costi dei servizi idrici a carico dei vari settori di impiego dell'acqua, suddivisi almeno in industria, famiglie e agricoltura, sulla base dell'analisi economica effettuata secondo l'allegato III e tenendo conto del principio "chi inquina paga".

Al riguardo, gli Stati membri possono tener conto delle ripercussioni sociali, ambientali ed economiche del recupero, nonché delle condizioni geografiche e climatiche della regione o delle regioni in questione.

2. Nei piani di gestione dei bacini idrografici, gli Stati membri riferiscono circa i passi previsti per attuare il paragrafo 1 che contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi ambientali della presente direttiva, nonché circa il contributo dei vari settori di impiego dell'acqua al recupero dei costi dei servizi idrici.

3. Il presente articolo non osta al finanziamento di particolari misure di prevenzione o di risanamento volte al conseguimento degli obiettivi della presente direttiva.

4. Gli Stati membri non violano la presente direttiva qualora decidano, secondo prassi consolidate, di non applicare le disposizioni di cui al paragrafo 1, secondo periodo, e le pertinenti disposizioni del paragrafo 2 per una determinata attività di impiego delle acque, ove ciò non comprometta i fini ed il raggiungimento degli obiettivi della presente direttiva. Gli Stati membri riferiscono sui motivi della applicazione incompleta del paragrafo 1, secondo periodo, nei piani di gestione dei bacini idrografici.

 

Articolo 10

Approccio combinato per le fonti puntuali e diffuse.

1. Gli Stati membri garantiscono che tutti gli scarichi nelle acque superficiali, di cui al paragrafo 2, siano controllati secondo l'approccio combinato indicato nel presente articolo.

2. Gli Stati membri provvedono all'istituzione e/o alla realizzazione dei:

a) controlli sulle emissioni basati sulle migliori tecniche disponibili,

b) controlli dei pertinenti valori limite di emissione,

c) in caso di impatti diffusi, controlli comprendenti, eventualmente, le migliori prassi ambientali,

stabiliti:

- nella direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24 settembre 1996, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento,

- nella direttiva 91/271/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1991, concernente il trattamento delle acque reflue urbane,

- nella direttiva 91/676/CEE del Consiglio, del 12 dicembre 1991, relativa alla protezione delle acque dell'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole,

- nelle direttive adottate a norma dell'articolo 16 della presente direttiva,

- nelle direttive elencate nell'allegato IX,

- in ogni altra normativa comunitaria pertinente,

entro 12 anni dall'entrata in vigore della presente direttiva, salvo diversa indicazione della normativa in questione.

3. Qualora un obiettivo di qualità o uno standard di qualità, stabilito a norma della presente direttiva, delle direttive elencate nell'allegato IX o di ogni altra normativa comunitaria, prescriva requisiti più severi di quelli che risulterebbero dall'applicazione del paragrafo 2, sono fissati di conseguenza controlli più rigidi sulle emissioni.

1. Per ciascun distretto idrografico o parte di distretto idrografico internazionale compreso nel suo territorio, ciascuno Stato membro prepara un programma di misure, che tiene conto dei risultati delle analisi prescritte dall'articolo 5, allo scopo di realizzare gli obiettivi di cui all'articolo 4. Tali programmi di misure possono fare riferimento a misure derivanti dalla legislazione adottata a livello nazionale e applicabili all'intero territorio di uno Stato membro. Lo Stato membro può eventualmente adottare misure applicabili a tutti i distretti idrografici e/o a tutte le parti di distretti idrografici internazionali compresi nel suo territorio.

2. Ciascun programma annovera le "misure di base" indicate al paragrafo 3 e, ove necessario, "misure supplementari".

3. Con l'espressione "misure di base" si intendono i requisiti minimi del programma, in particolare:

a) misure necessarie per attuare la normativa comunitaria in materia di protezione delle acque, ivi comprese quelle contemplate dalla normativa di cui all'articolo 10 e all'allegato VI, parte A;

b) misure ritenute appropriate ai fini dell'articolo 9;

c) misure volte a garantire un impiego efficiente e sostenibile dell'acqua, per non compromettere la realizzazione degli obbiettivi di cui all'articolo 4;

d) misure per adempiere alle prescrizioni di cui all'articolo 7, incluse le misure relative alla tutela della qualità dell'acqua al fine di ridurre il livello della depurazione necessaria per la produzione di acqua potabile;

e) misure di controllo dell'estrazione delle acque dolci superficiali e sotterranee e dell'arginamento delle acque dolci superficiali, compresi la compilazione di uno o più registri delle estrazioni e l'obbligo di un'autorizzazione preventiva per l'estrazione e l'arginamento. Dette misure sono periodicamente riesaminate e, se del caso, aggiornate. Gli Stati membri possono esentare dalle misure di controllo le estrazioni e gli arginamenti che non hanno alcun impatto significativo sullo stato delle acque;

f) misure di controllo, compreso l'obbligo di ottenere un'autorizzazione preventiva per il ravvenamento o l'accrescimento artificiale dei corpi sotterranei. L'acqua impiegata può essere di qualunque provenienza superficiale o sotterranea, a condizione che l'impiego della fonte non comprometta la realizzazione degli obiettivi ambientali fissati per la fonte o per il corpo idrico sotterraneo oggetto di ravvenamento o accrescimento. Tali misure di controllo sono riesaminate periodicamente e aggiornate quando occorre;

g) per gli scarichi da origini puntuali che possono provocare inquinamento, l'obbligo di una disciplina preventiva, come il divieto di introdurre inquinanti nell'acqua, o un obbligo di autorizzazione preventiva o di registrazione in base a norme generali e vincolanti, che stabiliscono controlli delle emissioni per gli inquinanti in questione, compresi i controlli a norma dell'articolo 10 e dell'articolo 16. Tali misure di controllo sono riesaminate periodicamente e aggiornate quando occorre;

h) per le fonti diffuse che possono provocare inquinamento, misure atte a impedire o controllare l'immissione di inquinanti. Le misure di controllo possono consistere in un obbligo di disciplina preventiva, come il divieto di introdurre inquinanti nell'acqua, o in un obbligo di autorizzazione preventiva o di registrazione in base a norme generali e vincolanti, qualora tale obbligo non sia altrimenti previsto dalla normativa comunitaria. Tali misure di controllo sono riesaminate periodicamente e aggiornate quando occorre;

i) per qualsiasi altro impatto negativo considerevole sullo stato dei corpi idrici, di cui all'articolo 5 e all'allegato II, in particolare misure volte a garantire che le condizioni idromorfologiche del corpo idrico permettano di raggiungere lo stato ecologico prescritto o un buon potenziale ecologico per i corpi idrici designati come artificiali o fortemente modificati. Le misure di controllo possono consistere in un obbligo di autorizzazione preventiva o di registrazione in base a norme generali e vincolanti, qualora un tale obbligo non sia altrimenti previsto dalla normativa comunitaria. Le misure di controllo sono riesaminate periodicamente e aggiornate quando occorre;

j) divieto di scarico diretto di inquinanti nelle acque sotterranee, fatte salve le disposizioni in appresso.

Gli Stati membri possono autorizzare la reintroduzione nella medesima falda di acque utilizzate a scopi geotermici.

Essi possono autorizzare inoltre, a determinate condizioni:

- l'introduzione di acque contenenti sostanze derivanti da operazioni di prospezione e estrazione di idrocarburi o attività minerarie e l'inserimento di acque per motivi tecnici in formazioni geologiche da cui siano stati estratti idrocarburi o altre sostanze o in formazioni geologiche che per motivi naturali siano permanentemente inidonee per altri scopi. Tale inserimento non deve comportare sostanze diverse da quelle derivanti dalle operazioni summenzionate,

- la reintroduzione di acque sotterranee estratte da miniere e cave oppure di acque associate alla costruzione o alla manutenzione di opere di ingegneria civile,

- l'introduzione di gas naturale o di gas di petrolio liquefatto (GPL) a fini di stoccaggio in formazioni geologiche che per motivi naturali siano permanentemente inidonee per altri scopi,

- l'introduzione di gas naturale o di gas di petrolio liquefatto (GPL) a fini di stoccaggio in altre formazioni geologiche ove sussista l'esigenza imprescindibile di assicurare la fornitura di gas e ove l'introduzione eviti qualsiasi pericolo attuale o futuro di deterioramento della qualità delle acque sotterranee riceventi,

- la costruzione, le opere di ingegneria civile e attività analoghe sul o nel terreno che vengono direttamente a contatto con le acque sotterranee. A tal fine gli Stati membri possono determinare quali di queste attività debbano ritenersi autorizzate, a condizione che siano effettuate in base alle norme vincolanti di carattere generale elaborate dallo Stato membro in relazione a dette attività,

- gli scarichi di piccoli quantitativi di sostanze finalizzati alla marcatura, alla protezione o al risanamento del corpo idrico, limitati al quantitativo strettamente necessario per le finalità in questione,

purché tali scarichi non compromettano il conseguimento degli obiettivi ambientali fissati per il corpo idrico in questione;

k) in base all'azione intrapresa a norma dell'articolo 16, misure per eliminare l'inquinamento di acque superficiali da parte delle sostanze precisate nell'elenco delle sostanze prioritarie (15) convenuto in osservanza dell'articolo 16, paragrafo 2, e per ridurre progressivamente l'inquinamento da altre sostanze che altrimenti impedirebbe agli Stati membri di conseguire gli obiettivi fissati all'articolo 4 per i corpi idrici superficiali;

l) ogni misura necessaria al fine di evitare perdite significative di inquinanti dagli impianti tecnici e per evitare e/o ridurre l'impatto degli episodi di inquinamento accidentale, ad esempio dovuti ad inondazioni, anche mediante sistemi per rilevare o dare l'allarme al verificarsi di tali eventi, comprese tutte le misure atte a ridurre il rischio per gli ecosistemi acquatici, in caso di incidenti che non avrebbero potuto essere ragionevolmente previsti.

4. Per "misure supplementari" si intendono i provvedimenti studiati e messi in atto a complemento delle misure di base, con l'intento di realizzare gli obiettivi fissati a norma dell'articolo 4. L'allegato VI, parte B, presenta un elenco non limitativo di tali misure supplementari.

Gli Stati membri possono altresì adottare ulteriori misure supplementari per garantire una protezione aggiuntiva ai corpi idrici contemplati nella presente direttiva ovvero un loro miglioramento, fra l'altro nell'attuazione di pertinenti accordi internazionali di cui all'articolo 1.

5. Allorché i dati del monitoraggio o dati di altro tipo indicano che il raggiungimento degli obiettivi enunciati all'articolo 4 per il corpo idrico considerato è improbabile, gli Stati membri assicurano che:

- si indaghi sulle cause delle eventuali carenze,

- siano esaminati e riveduti, a seconda delle necessità, i pertinenti permessi e autorizzazioni,

- siano riesaminati e adattati, a seconda delle necessità, programmi di monitoraggio,

- siano stabilite le misure supplementari eventualmente necessarie per consentire il raggiungimento di detti obiettivi, compresa la fissazione di appropriati standard di qualità ambientale secondo le procedure di cui all'allegato V.

Allorché le cause in questione derivano da circostanze naturali o di forza maggiore eccezionali e tali da non poter essere ragionevolmente previste, in particolare alluvioni violente e siccità prolungate lo Stato membro può decretare che le misure supplementari non sono applicabili, fatto salvo l'articolo 4, paragrafo 6.

6. Gli Stati membri, nell'applicare le misure a norma del paragrafo 3, prendono le iniziative necessarie per non accrescere l'inquinamento delle acque marine. Fatta salva la normativa vigente, l'attuazione delle misure adottate a norma del paragrafo 3 non può in nessun caso condurre, in maniera diretta o indiretta, ad un aumento dell'inquinamento delle acque superficiali. Tale condizione non si applica, ove comporti un aumento dell'inquinamento dell'ambiente nel suo complesso.

7. I programmi di misure sono approntati entro nove anni dall'entrata in vigore della presente direttiva e tutte le misure sono applicate entro 12 anni da tale data.

8. I programmi di misure sono riesaminati ed eventualmente aggiornati entro 15 anni dall'entrata in vigore della presente direttiva e successivamente, ogni sei anni. Eventuali misure nuove o modificate, approvate nell'ambito di un programma aggiornato, sono applicate entro tre anni dalla loro approvazione.

 

(15)  Testo così rettificato dalla rettifica pubblicata nella G.U.C.E. 19 gennaio 2001, n. L 17.

 

Articolo 12

Aspetti che non possono essere affrontati a livello di Stato membro.

1. Qualora uno Stato membro venga a conoscenza di un aspetto che presenta ripercussioni per la gestione delle sue acque ma che non può essere risolto al suo interno, esso può demandare la questione alla Commissione e a qualsiasi altro Stato membro interessato, eventualmente raccomandando soluzioni.

2. La Commissione risponde ad ogni relazione o raccomandazione da parte di uno Stato membro entro sei mesi.

 

Articolo 13

Piani di gestione dei bacini idrografici.

1. Per ciascun distretto idrografico interamente compreso nel suo territorio, ogni Stato membro provvede a far predisporre un piano di gestione del bacino idrografico.

2. Per i distretti idrografici interamente compresi nella Comunità, gli Stati membri si coordinano al fine di predisporre un unico piano di gestione del bacino idrografico internazionale. Se detto piano unico non è predisposto, gli Stati membri approntano piani di gestione del bacino idrografico che abbraccino almeno le parti del distretto idrografico internazionale comprese nel loro territorio, ai fini del conseguimento degli obiettivi della presente direttiva.

3. Per i distretti idrografici internazionali che oltrepassano i confini della Comunità, gli Stati membri si impegnano per predisporre un unico piano di gestione del bacino e, se ciò non risulta possibile, un piano che abbracci almeno la parte del distretto idrografico internazionale compresa nel territorio dello Stato membro in questione.

4. Il piano di gestione del bacino idrografico comprende le informazioni riportate all'allegato VII.

5. I piani di gestione dei bacini idrografici possono essere integrati da programmi e piani di gestione più dettagliati per sotto-bacini, settori, problematiche o categorie di acque al fine di affrontare aspetti particolari della gestione idrica. L'attuazione di tali misure non esenta gli Stati membri dagli obblighi loro imposti dal resto della presente direttiva.

6. I piani di gestione dei bacini idrografici sono pubblicati entro nove anni dall'entrata in vigore della presente direttiva.

7. I piani di gestione dei bacini idrografici sono riesaminati e aggiornati entro 15 anni dall'entrata in vigore della presente direttiva e, successivamente, ogni sei anni.

 

Articolo 14

Informazione e consultazione pubblica.

1. Gli Stati membri promuovono la partecipazione attiva di tutte le parti interessate all'attuazione della presente direttiva, in particolare all'elaborazione, al riesame e all'aggiornamento dei piani di gestione dei bacini idrografici. Gli Stati membri provvedono affinché, per ciascun distretto idrografico, siano pubblicati e resi disponibili per eventuali osservazioni del pubblico, inclusi gli utenti:

a) il calendario e il programma di lavoro per la presentazione del piano, inclusa una dichiarazione delle misure consultive che devono essere prese almeno tre anni prima dell'inizio del periodo cui il piano si riferisce;

b) una valutazione globale provvisoria dei problemi di gestione delle acque importanti, identificati nel bacino idrografico, almeno due anni prima dell'inizio del periodo cui si riferisce il piano;

c) copie del progetto del piano di gestione del bacino idrografico, almeno un anno prima dell'inizio del periodo cui il piano si riferisce.

Su richiesta, si autorizza l'accesso ai documenti di riferimento e alle informazioni in base ai quali è stato elaborato il progetto del piano di gestione del bacino idrografico.

2. Per garantire l'attiva partecipazione e la consultazione, gli Stati membri concedono un periodo minimo di sei mesi per la presentazione di osservazioni scritte sui documenti in questione.

3. I paragrafi 1 e 2 si applicano anche agli aggiornamenti dei piani in questione.

 

Articolo 15

Relazioni.

1. Entro tre mesi dalla loro pubblicazione, gli Stati membri inviano alla Commissione e agli altri Stati membri interessati copia dei piani di gestione dei bacini idrografici e di tutti gli aggiornamenti successivi:

a) per i distretti idrografici interamente situati nel territorio di uno Stato membro, tutti i piani di gestione dei bacini idrografici relativi al loro territorio nazionale e pubblicati a norma dell'articolo 13;

b) per i distretti idrografici internazionali, almeno la parte dei piani di gestione dei bacini idrografici che riguarda il territorio dello Stato membro.

2. Gli Stati membri presentano, entro tre mesi dal loro completamento, relazioni sintetiche:

- delle analisi richieste a norma dell'articolo 5, e

- dei programmi di monitoraggio di cui all'articolo 8, effettuati per le finalità previste dai piani di gestione dei bacini idrografici.

3. Gli Stati membri, entro tre anni dalla pubblicazione di ciascun piano di gestione dei bacini idrografici o dall'aggiornamento previsto all'articolo 13, presentano una relazione provvisoria che riferisce i progressi realizzati nell'attuazione del programma di misure previsto.

 

1. Il Parlamento europeo e il Consiglio adottano misure specifiche per combattere l'inquinamento idrico prodotto da singoli inquinanti o gruppi di inquinanti che presentino un rischio significativo per l'ambiente acquatico o proveniente dall'ambiente acquatico, inclusi i rischi per le acque destinate alla produzione di acqua potabile. Le misure contro tali inquinanti mirano a ridurre progressivamente e, per la sostanze pericolose prioritarie di cui all'articolo 2, punto 30, ad arrestare o gradualmente eliminare gli scarichi (16), emissioni e perdite. Tali misure sono adottate sulla base di proposte presentate dalla Commissione, secondo le procedure stabilite dal trattato.

2. La Commissione presenta una proposta contenente un primo elenco delle sostanze prioritarie (17) per le sostanze scelte tra quelle che presentano un rischio significativo per o attraverso l'ambiente acquatico. La priorità d'intervento attribuita alle sostanze viene definita in base al rischio di inquinamento dell'ambiente acquatico o da esso originato, determinato in base:

a) a una valutazione dei rischi effettuata a norma del regolamento (CEE) n. 793/93 del Consiglio, della direttiva 91/414/CEE del Consiglio e della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, o

b) a una valutazione mirata dei rischi [secondo la metodologia di cui al regolamento (CEE) n. 793/93] incentrata unicamente sulla determinazione dell'ecotossicità acquatica e della tossicità per le persone attraverso l'ambiente acquatico,

Qualora risulti necessario al fine di rispettare il calendario di cui al paragrafo 4, la priorità d'intervento attribuita alle sostanze viene definita in base al rischio per l'ambiente acquatico o da esso originato, determinato in base a una procedura semplificata di valutazione dei rischi, fondata su principi scientifici e che tenga conto in particolare di quanto segue:

- prove riguardanti il rischio intrinseco della sostanza interessata e, in particolare, la sua ecotossicità acquatica e la tossicità per le persone attraverso vie di esposizione acquatiche,

- prove derivanti dal monitoraggio di fenomeni di contaminazione ambientale diffusi, e

- altri fattori comprovati che possano indicare la possibilità di una contaminazione ambientale diffusa, quali il volume di produzione o di uso della sostanza interessata e le modalità d'uso.

3. La proposta della Commissione individua inoltre le sostanze pericolose prioritarie (18). In tale contesto la Commissione tiene conto della selezione di sostanze potenzialmente pericolose effettuata nella pertinente normativa comunitaria sulle sostanze pericolose o nei pertinenti accordi internazionali.

4. La Commissione riesamina l'elenco delle (19) sostanze prioritarie adottato al più tardi entro quattro anni dalla data di entrata in vigore della presente direttiva, e successivamente almeno ogni quattro anni, e presenta eventuali proposte.

5. Nel preparare la proposta, la Commissione tiene conto delle raccomandazioni del comitato scientifico consultivo della tossicità, dell'ecotossicità e dell'ambiente, degli Stati membri, del Parlamento europeo, dell'Agenzia europea per l'ambiente, delle raccomandazioni contenute nei programmi di ricerca comunitari, di quelle fornite dalle organizzazioni internazionali di cui la Comunità è parte, delle organizzazioni imprenditoriali europee, comprese quelle che rappresentano le piccole e medie imprese, delle organizzazioni ambientaliste europee e di ogni altra informazione pertinente di cui sia venuta a conoscenza.

6. Per le sostanze incluse nell'elenco delle sostanze prioritarie (20), la Commissione presenta proposte in materia di controlli per:

- la riduzione progressiva di scarichi, emissioni e perdite delle sostanze interessate e, in particolare,

- l'arresto o la graduale eliminazione di scarichi, emissioni e perdite delle sostanze individuate a norma del paragrafo 3, con un opportuno calendario a tale scopo. Il calendario non supera i 20 anni dalla adozione di dette proposte da parte del Parlamento europeo e del Consiglio a norma del presente articolo.

Allo stesso tempo, la Commissione identifica il livello e la combinazione di misure di controllo dei prodotti e dei processi che garantiscano adeguatezza, efficacia dei costi e proporzionalità per le fonti puntuali e diffuse e tiene conto dei valori limite a livello comunitario per il controllo dei processi. Se necessario, può essere istituita una azione a livello comunitario per il controllo dei processi settore per settore. Qualora i controlli dei prodotti comprendano un riesame delle pertinenti autorizzazioni rilasciate a norma della direttiva 91/414/CEE e della direttiva 98/8/CE, tale riesame è effettuato in base alle disposizioni di tali direttive. Ogni proposta in materia di controlli specifica le disposizioni di riesame, di aggiornamento e di valutazione della loro efficacia.

7. La Commissione presenta proposte riguardanti gli standard di qualità relativi alla concentrazione delle sostanze prioritarie nelle acque superficiali, nei sedimenti e nel biota.

8. La Commissione presenta le proposte, a norma dei paragrafi 6 e 7, e almeno relativamente al controllo delle emissioni per le fonti puntuali e gli standard di qualità ambientale, entro due anni dall'inclusione di una sostanza nell'elenco delle sostanze prioritarie. Per quanto riguarda le sostanze incluse nel primo elenco delle sostanze prioritarie, gli Stati membri, in assenza di un accordo a livello comunitario entro sei anni dall'entrata in vigore della presente direttiva, istituiscono standard di qualità ambientale per tali sostanze per tutte le acque superficiali interessate dal loro scarico, e stabiliscono controlli delle fonti principali di tali scarichi basati, fra l'altro, sull'esame di tutte le opzioni tecniche in materia di riduzione. Per le sostanze incluse nell'elenco delle sostanze prioritarie successivamente, gli Stati membri, in assenza di un accordo a livello comunitario, intraprendono tale azione cinque anni dopo l'inclusione nell'elenco.

9. La Commissione può predisporre strategie per combattere l'inquinamento delle acque provocato da altri inquinanti o gruppi di inquinanti, ivi compresi i fenomeni di inquinamento provocati da incidenti.

10. Nell'elaborare le proposte di cui ai paragrafi 6 e 7, la Commissione riesamina tutte le direttive elencate nell'allegato IX. Essa propone, entro il termine di cui al paragrafo 8, una revisione dei controlli di cui all'allegato IX per tutte le sostanze incluse nell'elenco delle sostanze prioritarie (21) e propone le misure opportune per le altre sostanze, compresa l'eventuale abrogazione dei controlli di cui all'allegato IX.

Tutti i controlli di cui all'allegato IX per i quali è proposta una revisione sono soppressi entro l'entrata in vigore della revisione.

11. L'elenco delle sostanze prioritarie per le sostanze proposto dalla Commissione, di cui ai paragrafi 2 e 3, diviene, al momento dell'adozione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio, l'allegato X della presente direttiva. La sua revisione prevista al paragrafo 4 segue la stessa procedura.

 

(16)  Testo così rettificato dalla rettifica pubblicata nella G.U.C.E. 19 gennaio 2001, n. L 17.

(17)  Testo così rettificato dalla rettifica pubblicata nella G.U.C.E. 19 gennaio 2001, n. L 17.

(18)  Testo così rettificato dalla rettifica pubblicata nella G.U.C.E. 19 gennaio 2001, n. L 17.

(19)  Testo così rettificato dalla rettifica pubblicata nella G.U.C.E. 19 gennaio 2001, n. L 17.

(20)  Testo così rettificato dalla rettifica pubblicata nella G.U.C.E. 19 gennaio 2001, n. L 17.

(21)  Testo così rettificato dalla rettifica pubblicata nella G.U.C.E. 19 gennaio 2001, n. L 17.

 

Articolo 17

Strategie per prevenire e controllare l'inquinamento delle acque sotterranee.

1. Il Parlamento europeo e il Consiglio adottano misure specifiche per prevenire e controllare l'inquinamento delle acque sotterranee. Tali misure sono volte a raggiungere l'obiettivo del buono stato chimico delle acque sotterranee, a norma dell'articolo 4, paragrafo 1, lettera b), e sono adottate sulla base di una proposta che la Commissione presenta entro due anni dall'entrata in vigore della presente direttiva, secondo le procedure stabilite dal trattato.

2. Nel proporre le misure, la Commissione tiene conto dell'analisi effettuata conformemente all'articolo 5 e all'allegato II. Tali misure sono proposte in anticipo, se sono disponibili i dati, e comprendono:

a) criteri per valutare il buono stato chimico delle acque sotterranee, secondo l'allegato II, punto 2.2 e dell'allegato V, punti 2.3.2 e 2.4.5;

b) criteri per individuare tendenze significative e durature all'aumento e per la determinazione di punti di partenza da utilizzare per le inversioni di tendenza secondo l'allegato V, punto 2.4.4.

3. Le misure derivanti dall'applicazione del paragrafo 1 sono incluse nei programmi di misure prescritti dall'articolo 11.

4. In mancanza di criteri adottati ai sensi del paragrafo 2 a livello comunitario, gli Stati membri stabiliscono criteri adeguati al più tardi cinque anni dopo l'entrata in vigore della presente direttiva.

5. In assenza di criteri adottati ai sensi del paragrafo 4 a livello nazionale, l'inversione di tendenza prende come punto di partenza al massimo il 75% del livello degli standard qualitativi stabiliti dalla vigente legislazione comunitaria applicabile alle acque sotterranee.

 

Articolo 18

Relazione della Commissione.

1. La Commissione pubblica una relazione sull'attuazione della presente direttiva entro 12 anni dalla data della sua entrata in vigore, e successivamente ogni sei anni, e la sottopone al Parlamento europeo e al Consiglio.

2. La relazione comprende almeno i seguenti aspetti:

a) una verifica dei progressi realizzati nell'attuazione della direttiva;

b) un riesame dello stato delle acque superficiali e sotterranee all'interno della Comunità, effettuato in coordinamento con l'Agenzia europea dell'ambiente;

c) un'indagine dei piani di gestione dei bacini idrografici presentati secondo le disposizioni dell'articolo 15, compresi eventuali suggerimenti per migliorare i piani futuri;

d) una sintesi della risposta a ciascuna delle relazioni o raccomandazioni presentate alla Commissione dagli Stati membri a norma dell'articolo 12;

e) una sintesi delle eventuali proposte, misure di controllo e strategie elaborate in base all'articolo 16;

f) una sintesi delle risposte alle osservazioni del Parlamento europeo e del Consiglio sulle precedenti relazioni di attuazione.

3. La Commissione pubblica altresì una relazione sui progressi compiuti nell'attuazione basata sulle relazioni sintetiche che gli Stati membri presentano a norma dell'articolo 15, paragrafo 2, e la sottopone al Parlamento europeo e agli Stati membri, entro due anni dalle date di cui agli articoli 5 e 8.

4. La Commissione pubblica, entro tre anni dalla pubblicazione di ciascuna relazione di cui al paragrafo 1, una relazione provvisoria che riferisce i progressi compiuti nell'attuazione sulla base delle relazioni provvisorie degli Stati membri come indicato all'articolo 15, paragrafo 3. Tale relazione è sottoposta al Parlamento europeo e al Consiglio.

5. La Commissione convoca, quando opportuno in sintonia con il ciclo di relazioni, una conferenza cui partecipano le parti interessate alla politica comunitaria in materia di acque di ciascuno Stato membro, per un commento delle relazioni di attuazione della Commissione e uno scambio di esperienze.

Fra i partecipanti dovrebbero figurare rappresentanti delle autorità competenti, compreso il Parlamento europeo, delle ONG, delle parti sociali e dei soggetti economici delle associazioni dei consumatori, del mondo accademico e scientifico.

 

Articolo 19

Piani per future misure comunitarie.

1. A scadenze annuali, la Commissione presenta, a fini informativi, al comitato istituito dall'articolo 21 un piano indicativo delle misure che hanno ripercussioni sulla normativa in materia di acque e che intende proporre in futuro, compresi gli eventuali interventi risultanti dalle proposte, misure di controllo e strategie elaborate in base all'articolo 16. La prima relazione è prevista al più tardi entro due anni dall'entrata in vigore della presente direttiva.

2. La Commissione riesamina la presente direttiva al più tardi entro 19 anni dall'entrata in vigore della presente direttiva proponendo eventuali modifiche.

 

Articolo 20 (22)
Adeguamenti tecnici della direttiva.

1. Gli allegati I e III e l’allegato V, sezione 1.3.6, possono essere adeguati all’evoluzione scientifica e tecnica tenendo conto dei periodi di riesame e di aggiornamento dei piani di gestione dei bacini idrografici di cui all’articolo 13. Tali misure intese a modificare elementi non essenziali della presente direttiva sono adottate secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 21, paragrafo 3.

Ove necessario, la Commissione può adottare orientamenti relativi all’attuazione degli allegati II e V secondo la procedura di regolamentazione di cui all’articolo 21, paragrafo 2.

2. Ai fini dell’invio e dell’elaborazione dei dati, comprese le informazioni statistiche e cartografiche, i formati tecnici necessari ai fini del paragrafo 1 possono essere adottati secondo la procedura di regolamentazione di cui all’articolo 21, paragrafo 2.


(22) Articolo così sostituito dall'articolo 1 della direttiva 2008/32/CE.

 

Articolo 21 (23)
Procedura di comitato.

1. La Commissione è assistita da un comitato.

2. Nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo, si applicano gli articoli 5 e 7 della decisione 1999/468/CE, tenendo conto delle disposizioni dell’articolo 8 della stessa.

Il periodo di cui all’articolo 5, paragrafo 6, della decisione 1999/468/CE è fissato a tre mesi.

3. Nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo, si applicano l’articolo 5 bis, paragrafi da 1 a 4, e l’articolo 7, della decisione 1999/468/CE, tenendo conto delle disposizioni dell’articolo 8 della stessa.

 

(23) Articolo così sostituito dall'articolo 1 della direttiva 2008/32/CE.

 

Articolo 22

Abrogazioni e disposizioni provvisorie.

1. I seguenti atti sono abrogati sette anni dopo l'entrata in vigore della presente direttiva:

- direttiva 75/440/CEE, del 16 giugno 1975, concernente la qualità delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile negli Stati membri,

- decisione 77/795/CEE del Consiglio, del 12 dicembre 1977, che instaura una procedura comune di scambio di informazioni sulla qualità delle acque dolci superficiali nella Comunità,

- direttiva 79/869/CEE del Consiglio, del 9 ottobre 1979, relativa ai metodi di misura alla frequenza dei campionamenti e delle analisi delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile negli Stati membri.

2. I seguenti atti sono abrogati 13 anni dopo l'entrata in vigore della presente direttiva:

- direttiva 78/659/CEE del Consiglio, del 18 luglio 1978, sulla qualità delle acque dolci che richiedono protezione o miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci,

- direttiva 79/923/CEE del Consiglio, del 30 ottobre 1979, relativa ai requisiti di qualità delle acque destinate alla molluschicoltura,

- direttiva 80/68/CEE del Consiglio, del 17 dicembre 1979, concernente la protezione delle acque sotterranee dall'inquinamento provocato da certe sostanze pericolose,

[- direttiva 76/464/CEE, ad eccezione dell'articolo 6, che è abrogato a decorrere dall'entrata in vigore della presente direttiva] (24).

3. Alla direttiva 76/464/CEE si applicano le seguenti disposizioni transitorie:

a) l'elenco di priorità adottato a norma dell'articolo 16 della presente direttiva sostituisce l'elenco delle sostanze prioritarie riportato nella comunicazione della Commissione al Consiglio del 22 giugno 1982;

b) ai fini dell'articolo 7 della direttiva 76/464/CEE, gli Stati membri possono applicare i principi previsti nella presente direttiva per individuare i problemi relativi all'inquinamento e le sostanze che li provocano, istituire standard di qualità e adottare misure.

4. Per quanto riguarda le sostanze prioritarie per le quali non esistono ancora norme comunitarie, gli obiettivi ambientali di cui all'articolo 4 e gli standard di qualità ambientale stabiliti nell'allegato IX e a norma dell'articolo 16, paragrafo 7, e dagli Stati membri, in base all'allegato V per le sostanze che non sono incluse nell'elenco delle sostanze prioritarie (25) e a norma dell'articolo 16, paragrafo 8, sono considerati standard di qualità ambientale ai fini dell'articolo 2, punto 7, e dell'articolo 10 della direttiva 96/61/CE.

5. Una sostanza che sia inclusa nell'elenco delle sostanze prioritarie adottato a norma dell'articolo 16 e che non figuri nell'allegato VIII della presente direttiva o nell'allegato III della direttiva 96/61/CE è inclusa in tali allegati.

6. Per i corpi idrici superficiali, gli obiettivi ambientali stabiliti dai piani di gestione dei bacini idrici previsti dalla presente direttiva dovranno avere standard di qualità almeno altrettanto rigorosi di quelli richiesti per l'attuazione della direttiva 76/464/CEE.

 

(24)  Trattino abrogato dall'allegato II, parte A della direttiva 2006/11/CE.

(25)  Testo così rettificato dalla rettifica pubblicata nella G.U.C.E. 19 gennaio 2001, n. L 17.

 

 

Articolo 23

Sanzioni.

Gli Stati membri determinano le sanzioni applicabili alle violazioni delle norme nazionali di attuazione della presente direttiva. Le sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive.

 

 

 

 

 

Articolo 24

Attuazione.

1. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 22 dicembre 2003. Essi ne informano immediatamente la Commissione.

Quando gli Stati membri adottano tali misure, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità del riferimento sono decise dagli Stati membri.

2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle principali disposizioni di diritto interno che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva. La Commissione ne informa gli altri Stati membri.

 

Articolo 25

Entrata in vigore.

La presente direttiva entra in vigore il giorno della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee.

Articolo 26

Destinatari.

Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.

Fatto a Lussemburgo, addì 23 ottobre 2000.

Per il Parlamento europeo

 

La Presidente

N. Fontaine

Per il Consiglio

Il Presidente

J. Glavany

(Si omettono gli allegati)


Giurisprudenza costituzionale

 


SENTENZA N. 272

ANNO 2004

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

- Gustavo     ZAGREBELSKY                       Presidente

- Valerio       ONIDA              Giudice

- Guido        NEPPI MODONA                      “

- Piero Alberto          CAPOTOSTI                 “

- Annibale    MARINI             “

- Franco       BILE                 “

- Giovanni Maria       FLICK               “

- Francesco  AMIRANTE                   “

- Ugo           DE SIERVO                  “

- Romano     VACCARELLA              “

- Paolo         MADDALENA               “

- Alfonso      QUARANTA                  “

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 1 e 2, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326, promosso con ricorso della Regione Toscana notificato il 21 gennaio 2004, depositato in cancelleria il 29 successivo ed iscritto al n. 10 del registro ricorsi 2004.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica dell’8 giugno 2004 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;

uditi l’avvocato Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana e l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. ― La Regione Toscana, con ricorso notificato il 21 gennaio 2004 e depositato il successivo 29 gennaio, ha impugnato diverse norme del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326, e, per quanto qui interessa, ha denunciato l’art. 14, commi 1 e 2, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione.

2. ― Il censurato art. 14, commi 1 e 2, del d.l. n. 269 del 2003, come modificato dalla legge di conversione n. 326 del 2003, ha modificato sia l’art. 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) – già modificato dall’art. 35 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002) in tema di servizi pubblici locali di rilevanza economica – sia l’art. 113-bis del medesimo d. lgs. n. 267 del 2000, introdotto dal citato art. 35 della legge n. 448 del 2001, sui servizi pubblici locali privi di rilevanza economica.

In particolare, la normativa impugnata ha sostituito la distinzione fra servizi pubblici locali “di rilevanza industriale” e servizi pubblici locali “privi di rilevanza industriale” con quella fra servizi pubblici locali “di rilevanza economica” e servizi pubblici locali “privi di rilevanza economica” ed ha specificato che le disposizioni che disciplinano puntualmente le modalità di gestione dei servizi pubblici locali – anch’esse oggetto di modifica – attengono alla tutela della concorrenza e sono inderogabili ed integrative delle specifiche normative di settore. Quanto alla disciplina delle modalità di gestione dei predetti servizi, la normativa impugnata ha stabilito che: la gestione dei servizi di rilevanza economica può essere affidata a società di capitali individuate con gara ad evidenza pubblica o a società miste, i cui soci privati siano scelti con gara ad evidenza pubblica, o a società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti pubblici che la controllano; la gestione dei servizi privi di rilevanza economica avviene mediante affidamento diretto ad istituzioni ed aziende speciali o anche a società a capitale interamente pubblico, con esclusione dei privati e delle società miste. Infine, si è provveduto a disciplinare la scadenza del periodo di affidamento in esito alla successiva gara di affidamento al nuovo gestore nonché il periodo di transizione per il passaggio dalle esistenti gestioni a quelle da affidarsi con le nuove regole.

2.1. ― Secondo la Regione Toscana, le disposizioni impugnate violerebbero in primo luogo l’art. 117 della Costituzione, in quanto porrebbero una disciplina dettagliata ed autoapplicativa dei servizi pubblici locali, materia che l’art. 117 non contempla fra quelle riservate alla legislazione esclusiva dello Stato e che quindi spetta alle regioni disciplinare nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Tale materia non sarebbe, infatti, riconducibile alla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” (art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione), la quale riguarderebbe solo i servizi sociali e non quelli di rilevanza economica e comunque – essendo limitata alla determinazione degli standard minimi delle prestazioni – non precluderebbe al legislatore regionale la possibilità di disciplinare gli aspetti concernenti l’organizzazione del servizio e le modalità di gestione del medesimo; né essa potrebbe ricollegarsi alle “funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane” (art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione), non costituendo la gestione dei servizi pubblici locali una funzione fondamentale dell’ente locale, ma “un’attività di regola esercitata in regime di concorrenza e quindi sottratta ad una gestione effettuata con gli strumenti del potere pubblico”. Le disposizioni impugnate non si potrebbero, inoltre, giustificare – ad avviso della ricorrente – neppure in relazione alla competenza legislativa statale esclusiva in materia di “tutela della concorrenza” (art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione), in quanto la disciplina dei servizi pubblici locali riguarderebbe non già la “tutela della concorrenza”, ma la diversa materia della “promozione della concorrenza”, costituita da un insieme di regole e procedure di tipo pubblicistico volte a creare in modo artificiale le condizioni per la concorrenza, di competenza regionale.

La ricorrente deduce, infine, che le disposizioni censurate violerebbero anche l’art. 118 della Costituzione, non essendo indicati i “presupposti per l’intervento legislativo statale in sussidiarietà” e non essendo comunque prevista “l’intesa con la regione che sarebbe invece imprescindibile a fronte dell’interferenza della disciplina in ambiti materiali di competenza regionale”.

2.2. ― Nell’imminenza dell’udienza pubblica la Regione Toscana ha depositato memoria, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

3. ― Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile e, comunque, infondato.

In via preliminare, la difesa erariale ritiene che il ricorso sia inammissibile, giacché, con riferimento alle disposizioni legislative già presenti nel decreto-legge n. 269 del 2003 e quindi già in vigore dal 2 ottobre 2003, “a sé stanti e non modificate dalla legge di conversione”, esso sarebbe tardivo e comunque conterrebbe censure prive di motivazione.

Nel merito, la difesa erariale sostiene l’infondatezza del ricorso, deducendo che sussisterebbe una competenza legislativa esclusiva dello Stato, non solo in relazione alla materia “tutela della concorrenza” (secondo comma, lettera e), dell’art. 117 della Costituzione), ma anche in relazione alla materia “funzioni fondamentali degli enti locali” (secondo comma, lettera p), dell’art. 117 della Costituzione), in quanto le funzioni di gestione, organizzazione ed erogazione dei servizi pubblici locali sarebbero “essenziali” rispetto ai bisogni delle comunità servite nonché in riferimento alla cospicua incidenza sull’equilibrio finanziario degli enti locali dei costi per gli investimenti e per l’esercizio dei servizi stessi. Si ravviserebbe, altresì, una competenza legislativa statale esclusiva in tema di servizi pubblici locali anche in relazione alla materia “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” (secondo comma, lettera m), dell’art. 117 della Costituzione), dal momento che, attraverso la prestazione dei servizi pubblici locali, si concretizzerebbero “molteplici ed importanti diritti sociali” che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.

3.1. ― Nell’imminenza dell’udienza pubblica, la difesa erariale ha depositato memoria nella quale insiste perché la Corte dichiari inammissibile e/o infondato il ricorso.

In particolare, l’Avvocatura generale dello Stato precisa che le modifiche apportate alla disciplina dei servizi pubblici locali dalle disposizioni impugnate costituirebbero l’esito di “un pluriennale dialogo con l’Unione europea” e sarebbero perciò volte “ad assicurare la realizzazione di un valore e di un risultato – quello di una (per quanto tecnicamente possibile) effettiva e non ostacolata concorrenza fra operatori economici” – esplicitamente indicato dai Trattati come fondamentale. Pertanto, le disposizioni impugnate sarebbero sorrette da più parametri costituzionali contenuti nell’art. 117, secondo comma, della Costituzione, in particolare alla lettera e) ed alla lettera a).

4. ― All’udienza pubblica le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate negli scritti difensivi.

 

Considerato in diritto

 

1. ― La questione di legittimità costituzionale, sollevata con il ricorso in epigrafe dalla Regione Toscana, ha ad oggetto l’art. 14, commi 1 e 2, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito con modificazioni nella legge 24 novembre 2003, n. 326, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione. Secondo la ricorrente, le disposizioni impugnate, che hanno introdotto una disciplina dettagliata ed autoapplicativa dei servizi pubblici locali sia “di rilevanza economica”, sia “privi di rilevanza economica”, non sarebbero riconducibili a nessuna delle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato previste dall’art. 117, secondo comma, della Costituzione, né, in particolare, a quella relativa alla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”, o a quella relativa alle “funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane”. Neppure invocabile, secondo la ricorrente, sarebbe la competenza statale in materia di “tutela della concorrenza”, prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera e), giacché al massimo si potrebbe fare riferimento alla “promozione della concorrenza” in tutti quei casi in cui il mercato non appaia concorrenziale.

La disciplina in oggetto, dettagliata ed autoapplicativa, esulerebbe quindi dalla sfera di competenza legislativa dello Stato e rientrerebbe nell’ambito della competenza esclusiva della Regione ricorrente, dal momento che non sono neppure indicati i “presupposti” di un eventuale intervento “in sussidiarietà” dello Stato, ai sensi dell’art. 118 della Costituzione, e non è comunque previsto un accordo sul punto tra Stato e Regione.

2. ― In via preliminare vanno rigettate le eccezioni di inammissibilità sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato in ordine all’asserita tardività delle censure proposte dalla ricorrente nei confronti di disposizioni della legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326, che hanno confermato quelle originariamente contenute nel d.l. 30 settembre 2003, n. 269. Ed infatti, indipendentemente dalla circostanza che nella specie la legge di conversione ha introdotto rilevanti modifiche, in considerazione del carattere intrinsecamente precario del decreto – legge, il ricorso può essere proposto nei confronti della relativa legge di conversione che rende permanente e definitiva la asserita lesione da cui scaturisce l’interesse a ricorrere della Regione (sentenza n. 25 del 1996).

3. ― La questione è parzialmente fondata, nei termini di seguito esposti.

Le disposizioni impugnate, che recano una nuova disciplina della gestione dei servizi pubblici locali, si inseriscono in un quadro normativo molto articolato, che sostanzialmente prende le mosse dall’art. 35 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, recante la legge finanziaria per il 2002, il quale introduce profonde modifiche alla impostazione normativa risalente agli anni novanta e consacrata nell’art. 113 e seguenti del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali). Ma subito dopo la riforma del 2001, si è proceduto ad ulteriori innovazioni su aspetti rilevanti della disciplina in esame, dapprima con il censurato art. 14 del d.l. n. 269 del 2003, convertito con modificazioni nella legge n. 326 del 2003, e successivamente ancora con l’art. 4, comma 234, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004). Tali innovazioni sono state in larga parte indotte dai rilievi espressi dalla Commissione europea sulla precedente normativa e dall’esigenza di trovare un esplicito fondamento nel novellato art. 117 della Costituzione. Sotto questi profili sono significativi, nella disciplina in esame, sia il testuale riferimento alla tutela della concorrenza, sia la nuova qualificazione di “rilevanza economica” attribuita a determinati servizi pubblici locali – in analogia con la denominazione che viene attualmente adottata in sede comunitaria – in luogo della precedente qualificazione di “rilevanza industriale”.

La disciplina in esame non appare riferibile – come osserva la ricorrente – né alla competenza legislativa statale in tema di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” (art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione), giacché riguarda precipuamente servizi di rilevanza economica e comunque non attiene alla determinazione di livelli essenziali, né a quella in tema di “funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane” (art. 117, secondo comma, lettera p), giacché la gestione dei predetti servizi non può certo considerarsi esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell’ente locale. Viceversa, in relazione ai riferimenti testuali e soprattutto ai caratteri funzionali e strutturali della regolazione prevista, la medesima disciplina può essere agevolmente ricondotta nell’ambito della materia “tutela della concorrenza”, riservata dall’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.

Non appare però condivisibile la prospettazione della Regione ricorrente, secondo cui il regime in oggetto, incidendo su situazioni di non concorrenzialità del mercato per la presenza di diffuse condizioni di monopolio naturale e riguardando interventi propriamente di “promozione” e non già di “tutela” della concorrenza, sarebbe estraneo, in quanto tale, all’ambito della potestà legislativa esclusiva dello Stato e pertinente invece alla competenza regionale in tema di servizi pubblici locali. Secondo l’interpretazione di questa Corte, la tutela della concorrenza “non può essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell’accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali” (sentenza n. 14 del 2004). In altri termini, la tutela della concorrenza riguarda nel loro complesso i rapporti concorrenziali sul mercato e non esclude perciò anche interventi promozionali dello Stato. Alla stregua dei principi espressi da questo indirizzo giurisprudenziale, dunque, non può essere accolta la tesi della ricorrente su una pretesa distinzione di competenze legislative tra Stato e Regioni in ordine rispettivamente a misure di “tutela” o a misure di “promozione” della concorrenza, dal momento che la indicata configurazione della tutela della concorrenza ha una portata così ampia da legittimare interventi dello Stato volti sia a promuovere, sia a proteggere l’assetto concorrenziale del mercato.

Sotto questo profilo è quindi significativa la dichiarazione, contenuta nel censurato art. 14 di modifica del comma 1 dell’art. 113 del t.u. citato, secondo cui le predette disposizioni sulle modalità di gestione ed affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica “concernono la tutela della concorrenza e sono inderogabili ed integrative delle discipline di settore”. L’art. 14 si può dunque sostanzialmente considerare una norma-principio della materia, alla cui luce è possibile interpretare il complesso delle disposizioni in esame nonché il rapporto con le altre normative di settore, nel senso cioè che il titolo di legittimazione dell’intervento statale in oggetto è fondato sulla tutela della concorrenza, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, e che la disciplina stessa contiene un quadro di principi nei confronti di regolazioni settoriali di fonte regionale. L’accoglimento di questa interpretazione comporta, da un lato, che l’indicato titolo di legittimazione statale è riferibile solo alle disposizioni di carattere generale che disciplinano le modalità di gestione e l’affidamento dei servizi pubblici locali di “rilevanza economica” e dall’altro lato che solo le predette disposizioni non possono essere derogate da norme regionali.

Alla luce di queste considerazioni, nella questione di costituzionalità in esame, non appaiono censurabili tutte quelle norme impugnate che garantiscono, in forme adeguate e proporzionate, la più ampia libertà di concorrenza nell’ambito di rapporti – come quelli relativi al regime delle gare o delle modalità di gestione e conferimento dei servizi – i quali per la loro diretta incidenza sul mercato appaiono più meritevoli di essere preservati da pratiche anticoncorrenziali. Alle stesse finalità garantistiche della concorrenza appare ispirata anche la disciplina transitoria, che, in modo non irragionevole, stabilisce i casi di cessazione delle concessioni già assentite in relazione all’effettuazione di procedure ad evidenza pubblica e al tipo di società affidataria del servizio.

Non spetta peraltro a questa Corte valutare in concreto la rilevanza degli effetti economici derivanti dalle singole previsioni di interventi statali in materia: stabilire cioè se una determinata regolazione abbia effetti così importanti sull’economia di mercato, da postulare misure di tutela della concorrenza, tali da trascendere l’ambito regionale; quello che invece non può sottrarsi al sindacato di costituzionalità è il fatto che i vari “strumenti di intervento siano disposti in una relazione ragionevole e proporzionata rispetto agli obiettivi attesi” (sentenza n. 14 del 2004). Il criterio della proporzionalità e dell’adeguatezza appare quindi essenziale per definire l’ambito di operatività della competenza legislativa statale attinente alla “tutela della concorrenza” e conseguentemente la legittimità dei relativi interventi statali. Trattandosi infatti di una cosiddetta materia-funzione, riservata alla competenza esclusiva dello Stato, la quale non ha un’estensione rigorosamente circoscritta e determinata, ma, per così dire, “trasversale” (cfr. sentenza n. 407 del 2002), poiché si intreccia inestricabilmente con una pluralità di altri interessi – alcuni dei quali rientranti nella sfera di competenza concorrente o residuale delle Regioni – connessi allo sviluppo economico-produttivo del Paese, è evidente la necessità di basarsi sul criterio di proporzionalità-adeguatezza al fine di valutare, nelle diverse ipotesi, se la tutela della concorrenza legittimi o meno determinati interventi legislativi dello Stato.

Proprio sotto questo profilo appare fondata la censura della ricorrente relativa all’art. 14, comma 1, lettera e), che, in riferimento all’art. 113, comma 7, del citato testo unico, là dove stabilisce, dettagliatamente e con tecnica autoapplicativa, i vari criteri in base ai quali la gara viene aggiudicata, introduce la prescrizione che le previsioni dello stesso comma 7 “devono considerarsi integrative delle discipline di settore”. L’estremo dettaglio nell’indicazione di questi criteri, che peraltro non prendono in considerazione ulteriori requisiti dell’aspirante, quali, ad esempio, precedenti esperienze di gestione nel settore, va al di là della pur doverosa tutela degli aspetti concorrenziali inerenti alla gara, che peraltro appaiono sufficientemente garantiti dalla puntuale indicazione, nella prima parte del comma, di una serie di standard – coerenti con quelli contenuti nella direttiva 2004/18/CE – nel cui rispetto la gara appunto deve essere indetta ed aggiudicata. È evidente quindi che la norma in esame, prescrivendo che deve considerarsi integrativa delle discipline settoriali di fonte regionale la disposizione estremamente dettagliata ed autoapplicativa di cui al citato art. 113, comma 7, pone in essere una illegittima compressione dell’autonomia regionale, poiché risulta ingiustificato e non proporzionato rispetto all’obiettivo della tutela della concorrenza l’intervento legislativo statale.

Va pertanto dichiarata, per le ragioni esposte, l’illegittimità costituzionale della norma censurata e, in via conseguenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, anche dell’art. 113, comma 7, limitatamente al secondo ed al terzo periodo del testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 35 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2002).

4. ― La tutela della concorrenza e l’inderogabilità della disciplina da parte di norme regionali sono però esplicitamente evocate in riferimento ai soli servizi pubblici locali attualmente classificati come “di rilevanza economica”, di cui all’art. 113, e non già in riferimento ai servizi “privi di rilevanza economica” previsti dall’art. 113-bis. La nuova denominazione di questi servizi, adottata in conformità a tendenze emerse in sede di Commissione europea a decorrere dal settembre 2000, già di per sé può indicare che il titolo di legittimazione per gli interventi del legislatore statale costituito dalla tutela della concorrenza non è applicabile a questo tipo di servizi, proprio perché in riferimento ad essi non esiste un mercato concorrenziale.

A questo proposito la Commissione europea, nel “Libro Verde sui servizi di interesse generale” (COM-2003-270) del 21 maggio 2003, ha affermato che le norme sulla concorrenza si applicano soltanto alle attività economiche, dopo aver precisato che la distinzione tra attività economiche e non economiche ha carattere dinamico ed evolutivo, cosicché non sarebbe possibile fissare a priori un elenco definitivo dei servizi di interesse generale di natura “non economica”. Secondo la costante giurisprudenza comunitaria spetta infatti al giudice nazionale valutare circostanze e condizioni in cui il servizio viene prestato, tenendo conto, in particolare, dell’assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, della mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività ed anche dell’eventuale finanziamento pubblico dell’attività in questione (Corte di giustizia CE, sentenza 22 maggio 2003, causa 18/2001). Per i servizi locali, quindi, che, in relazione al soggetto erogatore, ai caratteri ed alle modalità della prestazione, ai destinatari, appaiono privi di “rilevanza economica”, ci sarà dunque spazio per una specifica ed adeguata disciplina di fonte regionale ed anche locale.

Alla luce di queste considerazioni, l’intervento del censurato art. 14, comma 2, sulla disciplina della gestione dei servizi pubblici locali “privi di rilevanza economica”, di cui all’art. 113-bis del citato testo unico, non può essere certo riferito ad esigenze di tutela della libertà di concorrenza e quindi, sotto questo profilo, si configura come illegittima compressione dell’autonomia regionale e locale.

Per tutte queste ragioni va dichiarata l’illegittimità costituzionale del censurato art. 14, comma 2 e, in via conseguenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, anche dell’art. 113-bis, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 35 della legge n. 448 del 2001.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, lettera e), e comma 2, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326;

2) dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 113, comma 7, limitatamente al secondo ed al terzo periodo, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), nel testo sostituito dall’art. 35, comma 1, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002);

3) dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 113-bis dello stesso decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nel testo introdotto dal comma 15 dell’art. 35 della citata legge n. 448 del 2001;

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1 – ad eccezione della lettera e)già dichiarata costituzionalmente illegittima –del medesimo decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, nella citata legge 24 novembre 2003, n. 326, sollevata, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 2004.

F.to:

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2004.

 



[1]     I lavori del quarto Forum sono consultabili sul sito internet http://www.worldwaterforum4.org.mx/home/home.asp

[2]    http://www.worldwaterforum4.org.mx/files/Declaraciones/MinisterialDeclaration.pdf

[3]    Tale evento è stato promosso da un Comitato internazionale AMECE, composto da oltre 40 rappresentanti di movimenti e associazioni impegnati a difesa dell’acqua nei vari continenti e può contare sul sostegno organizzativo di un comitato belga composto da oltre 30 associazioni. In Italia oltre al Comitato Italiano del Contratto Mondiale sull’acqua, ne sono promotori il Cipsi – coordinamento di 37 associazioni di solidarietà internazionale-, il CEVI, il Cospe, il Cric e Legambiente.

[4]    http://www.contrattoacqua.it/public/up//documenti_PDF/parlamentoEuropeo/parlamentoeuropeo2006.pdf.

[5]    Si ricorda che l’art. 30 della legge n. 183 del 1989 aveva previsto l’individuazione di un bacino-pilota (scelto per le particolari condizioni di dissesto idrogeologico, di rischio sismico e di inquinamento delle acque), nel quale procedere alla predisposizione del piano di bacino e alla sperimentazione delle normative tecniche e delle più opportune modalità di coordinamento con i piani di risanamento delle acque e di smaltimento dei rifiuti. Tale bacino era stato individuato nel bacino del Serchio. In quanto bacino-pilota, il bacino del Serchio è dotato di piena autonomia funzionale ed organizzativa, come i bacini di rilievo nazionale.

[6]    Si segnala, peraltro, che nel corso dell’Indagine conoscitiva sulle politiche per la tutela del territorio, la difesa del suolo e il contrasto agli incendi boschivi deliberata dalla VIII Commissione (Ambiente) della Camera, nella seduta del 4 novembre 2008, il Presidente del Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche ha espresso valutazioni critiche in merito al sistema dei distretti, auspicandone una riforma che tenga conto degli interessi comuni dei territori interessati.

[7]    AS 1306 (http://www.senato.it/leg/16/BGT/Schede/Ddliter/33007.htm).

[8]    Si tratta di una definizione che riproduce quella recata dall’art. 4, comma 1, lettera f), della legge Galli, che nel 1994 introdusse una profonda riforma del settore volta ad unificare “in un unico ciclo di prestazioni attività fino a quel momento separatamente considerate e conseguentemente organizzate secondo soluzioni particolari. E così il servizio idrico diventa “integrato”: un ampio contenitore, che raccoglie al suo interno il complesso dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, oltre che di fognatura e depurazione delle acque reflue” con l’intento di “rimediare alla “parcellizzazione” operativa che i vecchi meccanismi avevano generato, con migliaia di strutture deputate alla gestione e una certa dispersione di risorse economiche”. C. Mancuso, Il servizio idrico integrato in Emilia-Romagna: tra esigenze di aggregazione e nuovi municipalismi, in “Le istituzioni del federalismo” n. 2/2006. Tale numero della rivista è un fascicolo monografico dedicato al servizio idrico integrato, completamente disponibile anche all’indirizzo internet http://www.regione.emilia-romagna.it/affari_ist/rivista_2_2006/indice2_06.htm.

[9]    Costituenti il Titolo II della Sezione III della Parte terza del decreto n. 152.

[10]   Per quanto riguarda i criteri cui devono attenersi le regioni nella rideterminazione degli ATO per la gestione dei servizi, la disposizione fa riferimento in termini generali ai principi dell’efficienza e della riduzione della spesa e, nello specifico, ai seguenti criteri, definiti quali indirizzi di coordinamento della finanza pubblica:

a)   oltre al richiamo ai criteri e i princìpi di cui ai già citati articoli 147 e 200 del codice ambientale, si prevede la valutazione prioritaria dei territori provinciali quali ambiti territoriali ottimali. Tale previsione è finalizzata, tra l’altro, all’attribuzione delle funzioni in materia di servizio idrico integrato di norma alla provincia corrispondente ovvero, in caso di bacini di dimensioni più ampie del territorio provinciale, alle regioni o province interessate, sulla base di appositi accordi.

La medesima disposizione prevede, in alternativa, l’attribuzione delle medesime funzioni ad una delle forme associative tra comuni di cui agli artt. 30 e ss. TUEL (consorzi, unioni di comuni, ecc.), composte da sindaci o loro delegati che vi partecipano senza percepire alcun compenso;

b)   si prevede inoltre la destinazione delle economie a carattere permanente derivanti dall’attuazione del presente comma, come accertate da ciascuna regione con provvedimento comunicato al Ministro dell’economia e delle finanze:

-     al potenziamento degli interventi di miglioria e manutenzione ordinaria e straordinaria delle reti e delle infrastrutture di supporto nei rispettivi ambiti territoriali;

-     al contenimento delle tariffe per gli utenti domestici finali.

[11]   Tale novella ha consentito di superare le difficoltà operative legate al fatto che in alcune regioni non si era provveduto a conferire personalità giuridica agli enti d’ambito, secondo quanto sottolineato nella Relazione annuale al Parlamento sullo stato dei servizi idrici per l’anno 2005, redatta nel luglio 2006 dal Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche e consultabile all’indirizzo internet http://www2.minambiente.it/Sito/cvri/docs/relazione_2005.pdf.

[12]   Vale a dire entro il 29 aprile 2007.

[13]   In realtà il Ministero dell’ambiente ha emanato il D.M. 2 maggio 2006 (G.U. n. 113/2006) recante “Disciplina delle modalità e dei termini di aggiudicazione della gestione del Servizio idrico integrato, ai sensi dell'articolo 150, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”, tuttavia lo stesso Ministero ha comunicato l’inefficacia (G.U. n. 146/2006) di tale decreto, poiché privo del necessario visto della Corte dei conti.

[14]   Convertito, con modificazioni, dalla legge n. 222/2007, pubblicata nella G.U. del 30 novembre ed entrata in vigore il giorno successivo, ai sensi dell’art. 1 della legge stessa.

[15]   La delega per l’adozione di decreti correttivi e integrativi del codice è scaduta il 29 aprile 2008. In verità prima di quella data (e dopo l’approvazione della legge n. 222/2007) il Governo ha provveduto ad emanare un secondo decreto correttivo (d.lgs. n. 4/2008), che però non ha operato la revisione richiesta dal citato art. 26-ter.

[16]   Convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133/2008.

[17]    D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.

[18]    Si tratta di società nei confronti delle quali l’ente locale esercita un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e realizza la parte più importante della propria attività con l’ente che la controlla. I requisiti per l’affidamento in house si desumono dalla normativa europea in materia di appalti pubblici, e sono stati enucleati nella storica sentenza della Corte di giustizia CE del 18 novembre 1999, causa C-107/98, nota come sentenza Teckal.

[19]    In proposito, si ricorda che il disegno di legge A.S. 1082, collegato alla manovra 2009, definisce una dimensione minima dei bacini di utenza per i servizi pubblici locali pari a 20.000 abitanti. L’art. 16, comma 3, stabilisce, infatti, che “in attuazione dei princìpi di proporzionalità e di adeguatezza di cui all'articolo 118 della Costituzione, i comuni con popolazione inferiore a 20.000 abitanti svolgono le funzioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali in forma associata in modo che la popolazione complessiva dei comuni associati sia almeno pari a 20.000 abitanti”.

[20]   L’ultimo rapporto del Comitato sulle risorse idriche riguarda l’anno 2007 ed è disponibile all’indirizzo internet: http://www.camera.it/_dati/leg16/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/207/001/INTERO.pdf

[21]   Per avere un’idea dei consumi d’acqua pro-capite in Italia si veda

 http://www.provincia.torino.it/ambiente/risorse_idriche/progetti/risparmio_07.

[22]   http://www.legambiente.eu/documenti/2007/0925_ecosistemaUrbano2008/EU2008.pdf.

[23] I restanti nove decimi sono destinati al fondo a favore della potabilizzazione, microfiltrazione e dolcificazione delle acque di rubinetto, del recupero delle acque meteoriche e della permeabilità dei suoli urbanizzati, previsto dal comma 1284-bis.

[24]   Per un commento su tali articoli del Codice si rinvia al paragrafo Quadro normativo

[25]   Per un commento sui contenuti dell’articolo 23-bis si rinvia al paragrafo Quadro normativo

[26] (COM(2006)397).

[27] Regolamento (CE) n. 1907/2006.

[28] (COM(2006)373).

[29] COM (2007)128.

[30] SEC(2007) 362.

[31] COM (2007) 414.