Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento giustizia | ||
Titolo: | Piano straordinario contro le mafie A.C. 3290 - Schede di lettura e riferimenti normativi | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 320 | ||
Data: | 12/04/2010 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | II-Giustizia |
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Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
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Documentazione per l’esame di |
Piano straordinario contro le mafie A.C. 3290 |
Schede di lettura e riferimenti normativi |
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n. 320 |
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12 aprile 2010 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Giustizia ( 066760-9148 / 066760-9559 – * st_giustizia@camera.it |
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File: gi0370.doc |
INDICE
§ Art. 3 (Tracciabilità dei flussi finanziari)
§ Art. 6 (Modifica alla disciplina in materia di operazioni sottocopertura)
§ Art. 7 (Modifiche al codice penale)
§ Art. 9 (Coordinamenti interforze provinciali)
§ Articolo 10 (Stazione unica appaltante)
§ Articolo 12 (Modifiche alla legge istitutiva della Direzione investigativa antimafia)
§ Articolo 13 (Clausola di invarianza finanziaria)
Riferimenti normativi
§ Codice penale (art. 353)
§ Codice procedura penale (artt. 51 e 497)
§ L. 27 dicembre 1956, n. 1423. Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità.
§ L. 31 maggio 1965, n. 575. Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere.
§ L. 24 novembre 1981, n. 689. Modifiche al sistema penale. (artt. 13-31)
§ L. 13 settembre 1982, n. 646. Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazione alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423 , 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575 . Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia. (artt. 25, 30 e 31)
§ D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi. (art. 6)
§ D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271. Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale. (artt. 115 e 147-bis)
§ D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza. (artt. 97 e 98)
§ D.L. 15 gennaio 1991, n. 8. Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonché per la protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia. (art. 10 e 16-ter)
§ D.L. 29 ottobre 1991, n. 345. Disposizioni urgenti per il coordinamento delle attività informative e investigative nella lotta contro la criminalità organizzata. (art. 1)
§ D.L. 8 giugno 1992, n. 306. Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa. (art. 12-quinquies)
§ D.Lgs. 8 agosto 1994, n. 490. Disposizioni attuative della legge 17 gennaio 1994, n. 47 , in materia di comunicazioni e certificazioni previste dalla normativa antimafia nonché disposizioni concernenti i poteri del prefetto in materia di contrasto alla criminalità organizzata. (Art. 4)
§ D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252. Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia.
§ D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.
§ D.Lgs. 19 marzo 2001, n. 68. Adeguamento dei compiti del Corpo della Guardia di finanza, a norma dell'articolo 4 della L. 31 marzo 2000, n. 78.
§ D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42. Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137. (artt. 10, 20-52 e 136-142)
§ D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Norme in materia ambientale. (art. 260)
§ D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163. Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE. (art. 33)
§ L. 16 marzo 2006, n. 146. Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall'Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001. (art. 9)
§ D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231. Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonchè della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione. (artt. 3 e 11)
Art. 1
(Delega al Governo per l’emanazione di un codice delle leggi antimafia e delle
misure di prevenzione)
L’articolo 1 reca una delega al Governo per l’emanazione di un codice della legislazione antimafia e delle misure di prevenzione.
La delega in esame, così come quella contenuta nell’articolo 2 in materia di certificazioni antimafia, si inserisce nel quadro di una più complessa azione di contrasto alla criminalità organizzata che, in particolare, ha già prodotto alcune modifiche alla legislazione antimafia (con la legge n. 94 del 2009, in materia di sicurezza pubblica) e l’istituzione di un’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati (decreto-legge n. 4/2010, convertito dalla legge n. 50 del 2010).
La relazione illustrativa precisa che anche la nuova disciplina in materia di documentazione antimafia, oltre che quella relativa all’Agenzia nazionale, sono destinate a confluire in un secondo momento nel citato testo unico che costituirà un vero e proprio Codice antimafia.
La necessità dell’intervento deriva sia dalla copiosità della legislazione stessa - che investe una pluralità di ambiti, sostanziale, processuale, penitenziario e amministrativo – sia dalla sua eccessiva frammentazione e stratificazione nel corso degli anni. Una situazione che, soprattutto per specifici profili della normativa antimafia (in particolare per le misure di prevenzione), rende difficile all’interprete una ricostruzione esaustiva della disciplina vigente nonché problematica una sua effettiva ed efficace applicazione.
La relazione al d.d.l. riconosce quindi come “non più differibile un intervento volto a fornire una sistemazione organica all’intera materia, eliminando lacune e contraddizioni”.
Più volte in passato è, del resto, emersa l’opportunità dell’emanazione di testi unici, che chiariscano, settore per settore, qual e' la legislazione effettivamente in vigore. Lo stesso allora Procuratore nazionale antimafia Vigna, già nel 2002 auspicava, davanti alla Commissione Antimafia, in materia di sequestro e confisca “un lavoro certosino di unificazione di tutta questa materia.…….e prevedere proprio lo statuto dell'aggressione ai patrimoni della criminalità organizzata”.
Si ricorda l’impegno in tale direzione della Commissione per la ricognizione e il riordino della normativa di contrasto della criminalità organizzata presieduta dal prof. Giovanni Fiandaca (XIII legislatura), volto all’individuazione dei contenuti di un possibile testo unico antimafia. L’attività della Commissione, costituita presso il Ministero della giustizia, si è dispiegato con maggiore efficacia proprio nel settore delle misure di prevenzione, proponendo modifiche al regime vigente volte anche a colmare una grava lacuna del sistema, ovvero la possibile tutela dei terzi di buona fede che vantino diritti sui beni oggetto del sequestro e confisca. Nella scorsa legislatura era stato presentato un disegno di legge del Governo (A.C. 3242) per l’adozione di un testo unico delle misure di prevenzione; che teneva conto del contributo fornito da numerosi progetti di legge parlamentari, del lavoro operato dalla Commissione per la ricognizione e il riordino della normativa di contrasto della criminalità organizzata, istituita presso il Ministero della giustizia e presieduta dal professor Fiandaca, nonché della relazione del Commissario straordinario del Governo per la gestione e la destinazione dei beni confiscati ad organizzazioni criminali.
Il quadro normativo relativo alle misure di prevenzione parte dalla fondamentale legge 27 dicembre 1956, n. 1423, ampiamente modificata negli anni successivi, che ha previsto l’introduzione di misure di prevenzione personali (sorveglianza speciale, divieto ed obbligo di soggiorno). Ad essa si è poi affiancata la legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia) che ha esteso le citate misure preventive di natura personale agli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose. Successivamente la legge 13 settembre 1982, n. 646 (c.d. Rognoni La Torre) ha fatto lo stesso per gli indiziati di appartenere ad associazioni camorristiche ed assimilabili. Il nucleo fondamentale della legge Rognoni-La Torre è tuttavia costituito dall’arricchimento del quadro delle misure di prevenzione, con l’introduzione di misure di natura patrimoniale, il sequestro e la confisca, volte a sottrarre, prima provvisoriamente e poi in via definitiva, agli appartenenti alle organizzazioni criminali la disponibilità giuridica e materiale dei beni di illecita provenienza. Le ulteriori leggi 3 agosto 1988, n. 327, 19 marzo 1990, n. 55 e, soprattutto, 7 marzo 1996, n. 109, hanno introdotto rilevanti modifiche alla normativa concernente le tradizionali misure di prevenzione, con l’obiettivo di eliminare gli inconvenienti più vistosi della precedente disciplina. La legge n. 109/1996 ha, in particolare, introdotto nella legge 575/1965 una serie di disposizioni che hanno profondamente riformato la disciplina della gestione e destinazione dei beni oggetto di sequestro e confisca. Attualmente, la legge n. 575/1965 costituisce, quindi, una vera e propria legge-quadro in materia di misure di prevenzione patrimoniali antimafia.
Più recentemente, significative modifiche alla disciplina sulle misure di prevenzione sono state introdotte dal DL 92/2008 (conv. dalla legge 125/2008) e dalla citata legge 94/2009, provvedimenti entrambi intervenuti in materia di sicurezza pubblica.
In particolare, il DL 92/2008 ha rimosso il nesso di pregiudizialità che esisteva tra misure di prevenzione personali e patrimoniali prevedendo la completa autonomia delle misure patrimoniali da quelle personali (ovvero la possibilità che queste possono essere richieste e applicate disgiuntamente). La legge 94/2009, oltre ad introdurre diverse modifiche alla legge 575 ha previsto l’adozione delle misure patrimoniali indipendentemente dall’accertata “pericolosità sociale” del soggetto (proposto per la loro applicazione) al momento della richiesta della misura di prevenzione.
Ulteriori novità di particolare importanza nella complessa procedura di gestione e destinazione dei beni oggetto dei procedimenti di prevenzione sono contenute nel già richiamato DL n. 4/2010, istitutivo dell’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati alle organizzazioni criminali, che ha anche esplicitato della legge n. 565 del 1975 l’applicazione alla ‘ndrangheta. Il decreto-legge, sostanzialmente modificato nel corso dell’esame parlamentare, attribuisce la gestione dei beni sequestrati all’amministratore giudiziario e all’Agenzia il compito di coadiuvare quest’ultimo sotto la direzione del giudice delegato; dopo il decreto di confisca di primo grado, l’amministrazione dei beni è conferita all’Agenzia, la quale può avvalersi di uno o più coadiutori.
Nell’attuale legislatura, la Commissione giustizia del Senato sta esaminando l’A.S. 582 (Li Gotti ed altri), che reca misure di contrasto alla criminalità organizzata e delega il Governo all'emanazione di un testo unico delle misure di prevenzione, cui è abbinato l’A.S. n. 1569 (Casson ed altri). L’esame delle due proposte di legge è sospeso nell’attesa della presentazione da parte del gruppo dell'UDC, SVP e Autonomie di un provvedimento su analoga materia.
Il termine per l’esercizio della delega è di un anno dall’entrata in vigore della legge (comma 1).
La procedura delineata prevede la trasmissione alle Camere dello schema di decreto legislativo per l’espressione del parere da parte delle Commissioni competenti (entro trenta giorni) e, in mancanza di espressione del parere, la possibilità di adottare comunque il decreto (comma 4).
Con riferimento all’oggetto della delega, in base al comma 2, il codice è diretto:
§ a realizzare un’esaustiva ricognizione delle norme antimafia di natura penale, processuale e amministrativa, la loro armonizzazione, nonché il coordinamento anche con la nuova disciplina istitutiva dell’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati di cui al decreto-legge n. 4 del 2010, convertito dalla legge n. 50 del 2010;
§ a coordinare e armonizzare in modo organico la normativa in materia di misure di prevenzione, procedendo anche ad aggiornamenti e modifiche.
La relazione illustrativa spiega che “l’articolo 1 intende riordinare e innovare la normativa antimafia, ivi compresa quella già contenuta all’interno del codice penale e del codice di procedura penale, nonché quella relativa alle misure di prevenzione”.
I principi e criteri direttivi recati dal comma 3 sono riferiti esclusivamente alla complessa disciplina delle misure di prevenzione.
Alla luce di quanto affermato nella relazione illustrativa, in ordine al carattere non meramente compilativo del codice, occorrerebbe precisare i principi e criteri direttivi della delega anche relativamente al profilo della ricognizione, armonizzazione e coordinamento della normativa antimafia.
Con riferimento ai criteririferiti alla materia delle misure di prevenzione, attualmente disciplinata dalle leggi n. 1423 del 1956 e n. 575 del 1965:
Ø in relazione al procedimento applicativo delle misure di prevenzione si dovranno prevedere:
§ la riaffermazione del principio dell’autonomia dell’azione di prevenzione rispetto a quella penale (le misure possono essere applicate indipendentemente dall’esercizio dell’azione penale);
§ il diritto del soggetto proposto alla misura di prevenzione di essere audito in pubblica udienza.
Sul punto si ricorda che la Corte costituzionale (sent. n. 93 del 2010) ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 4 della legge n. 1423 del 1956 e dell’art. 2-ter della legge n. 575 del 1965, nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione si svolga, davanti al tribunale e alla corte d’appello, nelle forme dell’udienza pubblica. La Corte precisa che resta fermo il potere del giudice di disporre che si proceda in tutto o in parte senza la presenza del pubblico in rapporto a particolarità del caso concreto, che facciano emergere esigenze di tutela di valori contrapposti, nei limiti in cui, a norma dell’art. 472 cod. proc. pen., è legittimato lo svolgimento del dibattimento penale a porte chiuse. Nell’argomentare l’illegittimità parziale delle disposizioni sopra indicate, la Corte richiama anche le recenti condanne dell’Italia (da ultimo sentenze Bocellari e Rizza c. Italia, Leone c. Italia, Buongiorno e altri c. Italia) da parte della CEDU per violazione dell’art. 6, par. 1 (Diritto ad un equo processo).
Ø in relazione alla richiesta della misura della confisca, si dovranno prevedere:
§ casi e modalità di sgombero degli immobili sequestrati.
Tale previsione mira ad evitare i gravi inconvenienti applicativi che hanno comportato che, soprattutto in determinate aree geografiche, alla confisca non faccia seguito il reale spossessamento del bene nei confronti del sottoposto.
§ termini certi per la perdita di efficacia del sequestro nel caso in cui non venga disposta la confisca o questa venga impugnata.
La legge 575, non prevede esplicitamente un termine massimo di durata del sequestro. L’art. 2-ter, comma 4, tuttavia, collega al respingimento della proposta di applicazione della misura di prevenzione personale da parte del tribunale la perdita di efficacia del sequestro, che consegue alla revoca della misura disposta dallo stesso tribunale; analogo effetto deriva dall’avvenuto accertamento da parte del giudice della provenienza legittima dei beni sequestrati o del fatto che di essi l’indiziato non poteva disporre, neanche per interposta persona.
L’art. 3-ter rinvia, per l’impugnazione della confisca, alla disciplina dell’art. 4 della legge 1423/1956, ma precisa che i provvedimenti che dispongono la confisca dei beni sequestrati, la confisca della cauzione o l'esecuzione sui beni costituiti in garanzia diventano esecutivi con la definitività delle relative pronuncie.
§ la possibile proroga massima annuale di detti termini in presenza di cospicui patrimoni o indagini complesse.
L’art. 2-ter, comma 3, della legge 575 già prevede che, in caso di indagini complesse, la confisca possa avvenire entro un anno dal sequestro; il termine è prorogabile di un ulteriore anno con decreto motivato del tribunale.
§ la trasmissione al nucleo di Polizia tributaria della Guardia di finanza delle risultanze delle indagini patrimoniali,
L’art. 2-bis, comma 1, L. 575, già prevede che la magistratura possa avvalersi della G.d.F per le indagini sul tenore di vita, le disponibilità finanziarie ed il patrimonio dei possibili proposti alla misura di prevenzione personale.
§ la possibilità di disporre sempre la confisca, anche se i beni siano stati intestati o trasferiti fittiziamente a terze persone.
L’art. 2-ter, comma 13, L. 575, prevede che, ove il tribunale accerti il carattere fittizio del trasferimento o dell'intestazione a terzi dei beni confiscati, dichiari con il provvedimento con cui adotta la misura ablativa la nullità dei relativi atti di disposizione. Sono considerati fittizi, fino a prova contraria, i trasferimenti e le intestazioni, anche a titolo oneroso, all’ascendente, al discendente, al coniuge o convivente, ai parenti entro il sesto grado e agli affini entro il quarto grado effettuati nel biennio precedente alla proposta della misura di prevenzione; analoga presunzione concerne i trasferimenti e le intestazioni effettuati negli stessi termini a titolo gratuito o fiduciario (comma 14).
§ l’eseguibilità della misura anche in uno dei Paesi della UE, nei limiti delle discipline ivi vigenti
In proposito, si ricorda che l’art. 50 della legge n. 88/2009 (Comunitaria 2008) delega il Governo all’attuazione della decisione quadro 2006/783/GAI del Consiglio, del 6 ottobre 2006, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca, dettando anche specifici princìpi e criteri direttivi. L’eseguibilità in altro Stato dell’Unione è prevista sia per le confische disposte nell’ambito di un procedimento penale che per le confische di prevenzione. La disciplina di attuazione dovrà prevedere, tra l’altro, che il reciproco riconoscimento avvenga nelle forme della cooperazione giudiziaria diretta e che l’autorità giudiziaria italiana che ha disposto la confisca di cose che si trovano sul territorio di un altro Stato membro si possa rivolgere direttamente all’autorità giudiziaria di tale Stato per avanzare la richiesta di riconoscimento e di esecuzione della confisca.
Occorre valutare la compatibilità del richiamo ai limiti previsti dalla legislazione degli Stati membri nei quali i beni si trovano, con la decisione quadro 2006/783/GAI che, nell’affermare il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca, indica tassativamente i motivi di rifiuto del riconoscimento e dell’esecuzione della confisca.
Ø in relazione alla revocazione della confisca definitiva,
§ le seguenti ipotesi di richiesta di revocazione:
- la scoperta di nuove, decisive prove dopo la chiusura del procedimento di prevenzione;
- l’accertamento, in una sopravvenuta sentenza penale irrevocabile, di fatti che escludano l’esistenza dei presupposti della confisca;
- la scoperta che la misura è stata basata su atti riconosciuti come falsi, su falsità nel giudizio o su un fatto previsto dalla legge come reato;
§ la possibile proponibilità della domanda di revocazione – richiesta per dimostrare l’inesistenza ab origine dei presupposti di applicazione – nel termine massimo di 6 mesi dall’avvenuta conoscenza dei fatti nuovi alla base della richiesta di revoca;
§ in caso di revocazione, che i beni confiscati debbano essere restituiti solo “per equivalente”, fatte salve specifiche eccezioni relative a particolari beni, aree ed immobili di interesse culturale.
Tale disciplina colma un vuoto della normativa, che attualmente non prevede esplicitamente la possibilità di chiedere la revocazione della confisca di prevenzione.
Sul punto, Cassazione, Sezioni unite penali, sentenza 8 gennaio 2007, n. 57, ha ritenuto anche la confisca definitiva revocabile ex tunc al pari delle misure di prevenzione personale; per queste ultime l’art. 7, L. 1423/1956 prevede tale rimedio non solo con efficacia ex nunc, per l'essere venuti meno i presupposti di applicazione della misura di prevenzione, ma anche per far valere difetti genetici del provvedimento applicativo.
Rispetto all’obiezione secondo la quale l'intangibilità della misura troverebbe la sua ragione di essere nel fatto che, al momento del passaggio in giudicato della sentenza che la dispone, alla confisca consegue un istantaneo trasferimento a titolo originario in favore del patrimonio dello Stato del bene che ne costituisce l'oggetto, con conseguente esaurimento ed irreversibilità della situazione giuridica considerata, la Corte osserva che l'irreversibilità dell'ablazione non impedisce di accertare l'originaria insussistenza dei presupposti che hanno condotto all’emanazione del provvedimento; una volta riconosciuta l'invalidità del titolo, la ritenuta irreversibilità dell'ablazione non esclude la possibilità di una restituzione, per determinazione discrezionale della Pubblica Amministrazione, e, quanto meno, provoca l'insorgenza di un obbligo riparatorio della perdita patrimoniale, priva di giustificazione sin dal momento in cui si è verificata.
Ø nelle controversie relative alla procedura di prevenzione, la previsione che l’Avvocatura dello Stato possa rappresentare ed assistere l’amministratore giudiziario.
L’art. 2-sexies, comma 1, della legge n. 575 (come novellato dal decreto-legge n. 4/2010, nel testo modificato dalla legge di conversione n. 50 del 2010) attribuisce la gestione dei beni sequestrati all’amministratore giudiziario e all’Agenzia il compito di coadiuvare quest’ultimo sotto la direzione del giudice delegato; dopo il decreto di confisca di primo grado, l’amministrazione dei beni è conferita all’Agenzia, la quale può avvalersi di uno o più coadiutori. L’articolo 8 del medesimo decreto-legge stabilisce che l’Agenzia si avvale della rappresentanza e difesa in giudizio da parte dell'Avvocatura dello Stato.
Ø che l’amministratore giudiziario, dopo la confisca definitiva, possa coadiuvare il tribunale, per la tutela dei diritti dei terzi.
In base all’articolo 2-septies, comma 1, della legge n. 57 (come modificata dal d.l. n. 4 del 2010), l’amministratore non può stare in giudizio, né contrarre mutui, stipulare transazioni, compromessi, fidejussioni, concedere ipoteche, alienare immobili e compiere altri atti di straordinaria amministrazione anche a tutela dei diritti dei terzi senza autorizzazione scritta del giudice delegato. Nei casi in cui l’amministrazione è affidata all’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, la stessa richiede al giudice delegato il nulla osta al compimento degli atti di cui al primo periodo.
Occorre valutare se integrare il riferimento all’amministratore giudiziario con quello all’Agenzia, posto che dopo la confisca l’amministrazione dei beni spetta a quest’ultima e l’amministratore, solo se se confermato, prosegue la propria attività sotto la direzione dell’Agenzia e può essere revocato in ogni tempo.
Ø disciplinare il rapporto tra il sequestro penale e quello di prevenzione antimafia.
Tale criterio di delega mira a disciplinare un ulteriore aspetto della materia, allo stato privo di una compiuta disciplina.
In base all’articolo 2-ter, comma 9, della legge n. 575 il sequestro e la confisca possono essere disposti anche in relazione a beni sottoposti a sequestro in un procedimento penale, ma i relativi effetti sono sospesi per tutta la durata dello stesso, e si estinguono ove venga disposta la confisca degli stessi beni in sede penale.
L’'ipotesi di coesistenza tra sequestro penale e sequestro di prevenzione, nella prassi applicativa, ha determinato non pochi problemi, posto che per il primo il codice di rito prevede la sola custodia, mentre per il secondo sono previste specifiche forme di gestione ed amministrazione.
Dai criteri che seguono, si evince una sostanziale prevalenza del sequestro di prevenzione, con conseguente affidamento dei beni sequestrati all'amministratore giudiziario, al fine di consentire, in caso di confisca, la migliore destinazione del bene stesso.
Nello specifico, si prevede che:
§ come nella normativa attuale, sequestro e confisca possano disporsi anche su beni già oggetto di sequestro penale;
§ in caso di doppio sequestro, penale e di prevenzione, la custodia e gestione dei beni oggetto di sequestro penale sia affidata all’amministratore giudiziario del procedimento di prevenzione che applicherà le disposizioni del nuovo TU antimafia e dovrà trasmettere anche al giudice del procedimento penale copia delle relazioni periodiche;
§ per la vendita, l’assegnazione e destinazione dei beni venga applicata la disciplina della confisca (di prevenzione o in sede penale) divenuta definitiva per prima;
§ si applichi la disciplina del nuovo TU antimafia nel caso la confisca di prevenzione dei beni diviene definitiva prima della sentenza irrevocabile di condanna in sede penale che ne dispone la confisca.
Posto che i criteri specifici enunciati ai numeri 1-4 della lettera e) si riferiscono non soltanto al sequestro, ma anche alla confisca, occorre valutare se modificare l’alinea della medesima lettera e), così da far riferimento oltre che al sequestro anche alla confisca.
Ø la disciplina del rapporti dei terzi con la procedura di prevenzione.
Tale disciplinariguarda le azioni esecutive intraprese da terzi su beni sottoposti a sequestro di prevenzione nonché i rapporti pendenti all'epoca di esecuzione del sequestro.
I principi enunciati prevedono una disciplina differenziata della posizione di coloro che vantano diritti di proprietà, diritti reali o personali di godimento, rispetto ai creditori. Per i primi infatti si prevede una chiamata immediatamente successiva all'esecuzione del sequestro, affinché, in contraddittorio, possano far valere eventuali diritti sui beni sequestrati. Per i diritti reali e personali di godimento risultati “effettivi”, si prevede che essi possano permanere in vita sino alla confisca definitiva. Dopo tale data, essi si estinguono, e il terzo titolare in buona fede avrà diritto alla corresponsione di un equo indennizzo, in modo non dissimile a quanto avviene in materia di espropriazione per pubblica utilità.
Per i creditori di buona fede, invece, si delinea una procedura diversa. Onde evitare attività, spesso lunghe e complesse, si prevede che i crediti sui beni sequestrati possano essere insinuati solo a confisca definitiva. Si prevede in tal caso una procedura, sostanzialmente ricalcata su quella fallimentare, di verifica dei crediti sulla base di rigorosi criteri, nonché la predisposizione di un successivo piano di riparto, con due limiti:
a) per i creditori chirografari, l'onere della previa escussione del patrimonio residuo del sottoposto;
b) per tutti i creditori, il limite della garanzia patrimoniale (70% del valore del bene quale risultante dalle relazioni di stima).
Il tema della tutela dei terzi di buona fede è attualmente uno dei profili più carenti della disciplina vigente; esso è stato già oggetto di specifica attenzione durante i lavori della Commissione Fiandaca, operante nella XIII legislatura. Da anni, infatti, ci si pone il problema di conciliare la tutela dei diritti dei terzi con la prevenzione dei rischi derivanti da precostituzioni di posizioni creditorie di comodo che consentano di aggirare gli esiti dell’azione di prevenzione; nella medesima ottica di snellimento delle procedure di destinazione, è apparso necessario valutare che l’esame delle situazioni collegate a diritti di terzi avvenga nel corso del procedimento che si chiude con l’irrogazione della misura di prevenzione patrimoniale, con l’obiettivo di consegnare alla procedura di gestione beni liberi da vincoli di sorta e, dunque, celermente destinabili.
Come già rilevato la scorsa legislatura nella Relazione della Commissione antimafia sullo stato di attuazione della normativa e delle prassi applicative in materia di sequestro, confisca e destinazione dei beni della criminalita` organizzata (DOC XXIII, n. 3) “la mancanza di chiarezza della legge, però, pone di fronte all’interrogativo sul limite oltre il quale l’intento di sottrarre il bene al circuito economico criminale non possa compromettere i diritti del terzo; tale interrogativo assume specifico rilievo in alcune particolari situazioni quale, ad esempio, il caso in cui il terzo creditore vanti un’ipoteca sul bene confiscato e la trascrizione della garanzia sia stata trascritta antecedentemente a quella del provvedimento di sequestro. Come è risultato nella prassi, tale genere di situazioni non solo non è infrequente, ma genera ritardi notevoli nella procedura di destinazione all’esito della confisca e, di fatto, concorre ad attenuare notevolmente l’efficacia della disciplina e gli effetti di restituzione dei beni illecitamente costituiti alla collettività. Occorre, inoltre, considerare la possibilità che il soggetto indiziato di mafia precostituisca dei creditori di comodo, muniti di titoli con data certa anteriore al sequestro, attraverso i quali procedere all’esecuzione forzata sui beni oggetto di confisca, e così riversare nel circuito criminale i proventi della vendita dei suddetti beni. L’esistenza di un forte interesse pubblico al mantenimento ed all’integrità dei beni oggetto del procedimento di prevenzione per destinarli a fini di utilità pubblica, richiede una nuova valutazione dei profili di certezza giuridica che ordinariamente impongono che, in situazioni simili, prevalga il criterio della priorità dell’iscrizione.
D’altro canto, è necessario individuare con precisione i limiti entro i quali i diritti dei terzi creditori possano essere sacrificati travolgendo i criteri ordinari”.
Nello specifico, occorre prevedere:
§ una disciplina delle azioni esecutive avviate da terzi su beni oggetto della procedura basata sul principio generale per cui le azioni non possono essere avviate o proseguite ove sia già iniziato il sequestro, fatta salva la tutela dei creditori in buona fede;
§ una disciplina dei rapporti pendenti al momento dell’esecuzione del contratto che preveda la sospensione della medesima esecuzione fino a quando l’amministratore giudiziario non dichiari di subentrare in luogo del proposto alla misura di prevenzione ovvero di risolvere il contratto;
§ una tutela giurisdizionale dei diritti dei terzi sui beni sequestrati e confiscati che preveda:
- la possibilità, per i terzi titolari di diritto di proprietà e di godimento (reali e personali) sul bene, di intervenire nel procedimento entro 30 giorni dall’esecuzione del sequestro fornendo le proprie deduzioni;
- che alla confisca dei beni consegua, salvo eccezioni, l’estinzione di tali diritti ed il diritto del terzo a ricevere un equo indennizzo;
- l’introduzione di un termine di decadenza per i titolari di diritti di credito (di data anteriore al sequestro) che intendano insinuare il proprio credito nella procedura;
- il principio, salvo eccezioni, dell’escussione preventiva del patrimonio residuo della persona sottoposta alla misura (salvo che sussistano cause legittime di prelazione su beni confiscati) nonché quello del limite della garanzia patrimoniale (70% valore dei beni sequestrati), a netto delle spese di procedura;
- che il credito non sia simulato o in qualche modo strumentale all’attività illecita;
- un procedimento di verifica in contraddittorio dei crediti regolarmente insinuati e la stesura di un piano dei pagamenti da parte dell’amministratore giudiziario;
- la possibile revoca dell’ammissione al credito ove determinata, da dolo, errore, falsità o dalla mancata conoscenza di documenti decisivi.
Ø una disciplina dei rapporti tra procedimento di prevenzione e procedure concorsuali a fini di garanzia dei creditori che preveda:
- la sottrazione all’attivo fallimentare dei beni oggetto del procedimento di prevenzione e la loro gestione e destinazione secondo la disciplina del testo unico antimafia;
- il ritorno di detti beni alla massa fallimentare in caso di revoca del sequestro o della confisca prima della chiusura del fallimento; la possibile riapertura di quest’ultimo se la revoca avviene a fallimento già chiuso;
- l’esecuzione del sequestro e della confisca intervenuti dopo la vendita dei beni, limitatamente a quanto eventualmente residui dalla liquidazione;
- la possibilità, per i creditori insoddisfatti dalla massa fallimentare, di rivalersi - nei limiti del 70% del loro credito - sul valore dei beni confiscati (al netto delle spese sostenute per il procedimento di prevenzione);
- la verifica da parte del giudice del fallimento dei crediti sui beni oggetto di sequestro e confisca, in base alla disciplina del testo unico antimafia;
- l’applicazione “anche” delle disposizioni del testo unico quando la verifica dei crediti concerne l’intero compendio aziendale dell’impresa fallita ovvero, nelle società di persone, l’intero patrimonio dei soci falliti illimitatamente responsabili;
- la possibile proposizione della revocatoria fallimentare da parte dell’amministratore giudiziario per i crediti relativi a beni oggetto di misure di prevenzione;
- la possibile richiesta del PM al tribunale, anche su segnalazione dell’amministratore giudiziario, di dichiarare il fallimento dell’imprenditore individuale o dell’impresa insolvente sui cui beni sia stato disposto un procedimento di prevenzione patrimoniale.
Anche il profilo del rapporto tra procedimento di prevenzione e procedura fallimentare è uno dei più problematici della materia. La nuova disciplina, anche a motivo della priorità dell’interesse pubblico perseguito dalla normativa antimafia rispetto a quello privatistico della par condicio creditorum, afferma la prevalenza del procedimento di prevenzione su quello fallimentare. La normativa dovrà, quindi, prevedere che i beni oggetto di confisca di prevenzione siano sempre sottratti alla procedura fallimentare, e quindi gestiti e destinati secondo le norme stabilite per il procedimento di prevenzione; si dispone tuttavia che i creditori insoddisfatti dalla massa fallimentare possano rivalersi, in via residuale, sul valore dei beni confiscati decurtati di una percentuale del 30% e delle spese sostenute dalla procedura di prevenzione (la decurtazione percentuale forfetaria tiene conto del fatto che in sede di vendita fallimentare il bene viene sempre venduto a un prezzo inferiore rispetto a quello di mercato).
In particolare, si prevede che:
- se il sequestro o la confisca sono revocati prima della chiusura del fallimento, i beni siano nuovamente attratti alla massa attiva;
- se sono revocati dopo la chiusura del fallimento, si provveda alla riapertura dello stesso;
- se il sequestro o la confisca sono disposti dopo la vendita dei beni del fallimento, si eseguono su quanto eventualmente residua dalla liquidazione.
Ø nella disciplina del regime fiscale dei beni sequestrati prevedere:
- una tassazione riferita alle categorie di reddito previste dal TUIR (DPR 917/1986);
- una tassazione in via provvisoria quando non sia ancora individuato il soggetto passivo a seguito di confisca o revoca del sequestro;
- l’imposizione dell’aliquota IRPEF, da parte del sostituto d’imposta, sui redditi soggetti a ritenuta alla fonte derivanti dai beni sequestrati;
- la salvezza delle norme sulla tutela dei beni culturali di cui al capo III del titolo I, parte seconda, del Codice dei beni culturali (D.Lgs 42/2004).
Attualmente non è prevista una specifica disciplina fiscale dei beni sequestrati, prima della confisca definitiva. Va ricordato che l’art. 14 della legge n. 537 del 1993(Interventi correttivi di finanza pubblica) prevede che nelle categorie di reddito di cui all'articolo 6, comma 1, del Testo unico imposta sui redditi (redditi fondiari; redditi di capitale; redditi di lavoro dipendente; redditi di lavoro autonomo; redditi di impresa; redditi diversi) devono intendersi ricompresi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale”. In base alla norma citata, i redditi prodotti da beni sequestrati o confiscati non dovrebbero essere oggetto di tassazione; già nella relazione del novembre 2008 del Commissario straordinario del Governo per la gestione e destinazione dei beni confiscati si ricordava una diversa interpretazione del Ministero delle finanza; infatti, la Circolare Min. finanze n. 156 del 7 agosto 2000 ha ritenuto che “l'amministratore giudiziario cura, di fatto, un patrimonio separato, assimilabile per analogia all'eredità giacente, disciplinata dall'art. 131 T.U.I.R. e dall'art. 19 D.P.R. 42/1988 che non disciplina l'ipotesi in cui la procedura superi il periodo di imposta ovvero il caso di revoca del sequestro, quando sia l'amministratore giudiziario sia il proposto hanno presentato separate dichiarazioni dei redditi per i periodi di imposta, limitandosi a prevedere che l'Amministrazione finanziaria provvederà alla liquidazione definitiva ed alla iscrizione a ruolo delle eventuali maggiori imposte dovute. L'Agenzia delle Entrate, con nota n. 195 del 13 ottobre 2003 ha ribadito che l'amministratore giudiziario, durante la fase giurisdizionale, opera quale rappresentante in incertam personam e cura la gestione delle somme versate alla custodia, con applicazione delle norme sull'eredità giacente sopraindicate. Ma è dubbio che una circ. ministeriale che non ha valore vincolante possa derogare al disposto dell'art. 6 del T.U.I.R., come modificato dalla L. 537/1993: anche tale aspetto dovrebbe essere oggetto di apposita e chiara disposizione di legge”.
Ø prevedere una disciplina transitoria per i procedimenti di prevenzione già proposti o per i quali sia già stata applicata una misura alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame;
Ø prevedere l’abrogazione espressa di tutta la normativa incompatibile con quella introdotta dal testo unico antimafia.
Il comma 5, infine, reca la delega per l’emanazione dei decreti correttivi, da esercitare nel termine di tre anni dall’entrata in vigore del decreto legislativo e nel rispetto delle medesime procedure, principi e criteri direttivi.
Art. 2
(Delega al Governo per l’emanazione di nuove disposizioni in materia di
documentazione antimafia)
L’articolo 2 reca una norma di delega al Governo per la modifica e l’integrazione della disciplina delle certificazioni antimafia di cui alla legge n. 575 del 1965 e all’articolo 4 del decreto legislativo n. 490 del 1994.
Le disposizioni in materia contenute nell’articolo 10-sexies della legge n. 575 del 1965 sono state abrogate dall’articolo 3 della legge n. 47 del 1994, recante delega al Governo per l'emanazione di nuove disposizioni in materia di comunicazioni e certificazioni di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575. In attuazione della delega è stato adottato il decreto legislativo n. 490 del 1994[1].
L’articolo 4 di tale decreto legislativo disciplina in particolare le informazioni che il prefetto trasmette alle amministrazioni su richiesta di queste ultime, prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire le concessioni, il cui valore sia superiore alle soglie indicate.
Successivamente è intervenuto il D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252, recante il regolamento per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia, adottato ai sensi dell’articolo 20 della legge n. 59 del 1997 e 17, comma 94, della legge n. 127 del 1997, che ha proceduto all’abrogazione quasi integrale del d.lgs. n. 490 del 1994, con l’eccezione di alcune disposizioni, tra le quali il richiamato articolo 4.
Tale D.P.R., che ha semplificato le procedure in materia, contiene la disciplina-quadro sulle documentazioni antimafia.
In primo luogo è stato in taluni casi eliminato l'obbligo di documentazione antimafia; quest’ultima non è più richiesta per i rapporti tra soggetti pubblici (pubbliche amministrazioni, enti e aziende vigilati dallo Stato o da un altro ente pubblico e società o imprese comunque controllate dallo Stato nonché concessionari di opere pubbliche); per i rapporti tra questi soggetti pubblici e quelli, anche privati, i cui organi rappresentativi e di controllo sono sottoposti per legge alla verifica dei requisiti di "onorabilità" tali da escludere la sussistenza di una delle cause di decadenza, sospensione o divieto previste dall’art. 10 della legge 575/1965 sulle misure di prevenzione antimafia.
Altre esenzioni dall'obbligo di certificazione riguardano: il rilascio o rinnovo delle autorizzazioni o licenze di polizia di competenza delle autorità nazionali e provinciali di pubblica sicurezza; la stipulazione o l'approvazione di contratti e la concessione di erogazioni a favore di chi esercita attività agricole o professionali, non organizzate in forma di impresa, nonché a favore di chi esercita attività artigiana in forma di impresa individuale.
Non è necessaria alcuna certificazione antimafia per i provvedimenti, gli atti, i contratti e le erogazioni il cui valore complessivo non supera € 154.937,07.
Il regolamento ha inoltre previsto una semplificazione delle procedure nei casi in cui resta l'obbligo di certificazione: la documentazione antimafia è utilizzabile per 6 mesi; vengono stabiliti tempi certi (e brevi) per il rilascio delle comunicazioni e delle informazioni da parte delle prefetture (15 giorni dalla richiesta); è possibile, per i contratti che riguardano lavori o forniture urgenti, ricorrere all'autocertificazione autenticata.
Negli appalti, alle associazioni di imprese e ai consorzi non obbligatori è consentita la sostituzione o l'esclusione di imprese infiltrate (ma di rilievo marginale) senza perdere la gara.
Si prevede inoltre un collegamento tra le strutture pubbliche (prefetture e ministero dell'Interno) e l'Albo nazionale dei costruttori per l'interscambio di dati e tra Camere di commercio e Ministero dell'interno è attivato un collegamento telematico per la trasmissione delle informazioni.
Il termine per l’esercizio della delega è di un anno dall’entrata in vigore della legge (comma 1).
La procedura delineata prevede la trasmissione alle Camere dello schema di decreto legislativo per l’espressione del parere da parte delle Commissioni competenti (entro trenta giorni) e, in mancanza di espressione del parere, la possibilità di adottare comunque il decreto (comma 2).
I principi e criteri direttivi (comma 1) sono individuati nei seguenti:
Ø aggiornamento e semplificazione delle procedure di rilascio della documentazione antimafia, anche mediante la revisione dei casi di esclusione e dei limiti di valore degli appalti oltre i quali le pubbliche amministrazioni non sono autorizzate alla stipula di contratti, subcontratti, né al rilascio di concessioni ed erogazioni senza avere acquisito informazioni dal prefetto che certifichi l’inesistenza di cause ostative (ovvero l’insussistenza di cause di decadenza o divieto ai sensi dell’art. 10 della legge n. 575 del 1965 ovvero di tentativi di infiltrazione mafiosa, di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 490 del 1994).
Attualmente, esistono tre tipi di documentazione antimafia:
§ le comunicazioni della prefettura;
§ le certificazioni delle Camera di commercio;
§ le informazioni del prefetto.
Per i contratti e le erogazioni al di sotto di € 154.937,07 ed in ulteriori specifici casi non è richiesto alcun adempimento (art. 1 D.P.R. n. 252 del 1998). La comunicazione può essere sostituita da un autocertificazione autenticata nei casi di contratti e subcontratti relativi a lavori o forniture dichiarate urgenti; provvedimenti di rinnovo conseguenti a provvedimenti già disposti; attività private, sottoposte a regime autorizzatorio, che possono essere intraprese su denuncia di inizio da parte del privato alla P.A. competente; attività sottoposte alla disciplina del silenzio assenso, indicate nella tabella C annessa al Regolamento approvato con D.P.R n. 300/1992 (art. 5 D.P.R. n. 252 del 1998).
La "comunicazione" antimafia (artt. 3 e 4 del D.P.R. n. 252 del 1998) è richiesta alla Prefettura dagli enti pubblici per la stipulazione di contratti per lavori pubblici, forniture di beni e servizi, erogazione di contributi e finanziamenti, iscrizioni ad albi di fornitori, licenze. La comunicazione è rilasciata, entro 15 giorni dal ricevimento della richiesta, per via telematica, salva la forma scritta nel caso di mancata attivazione dei collegamenti telematici o se il certificato rilasciato dalla camera di commercio (su cui infra) non contiene la dicitura antimafia.
La “certificazione” antimafia da parte delle Camere di commercio (art. 6 D.P.R. n. 252 del 1998) è equiparata alla comunicazione delle prefetture. Alle imprese regolarmente iscritte, infatti, le C.C.I.A. rilasciano il certificato d’iscrizione integrato con la speciale dicitura “antimafia” (ovvero la scritta: “nulla osta ai sensi ai sensi dell’art. 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575……”). Quando il certificato della camera di commercio non è munito della dicitura antimafia o quando il privato non ha l'iscrizione alla C.C.I.A.A (es. associazioni, persone fisiche, ecc.), l’amministrazione pubblica deve richiedere, ad integrazione, la comunicazione antimafia alla prefettura.
Le informazioni richieste alprefetto costituiscono invece una documentazione antimafia “rafforzata” (in ragione dell’entità di contratti, subcontratti, concessioni o erogazioni) in relazione a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate. In base all’art. 10 D.P.R. n. 252 del 1998, le informazioni sono richieste con riferimento ai contratti, alle concessioni e alle erogazioni:
- il cui valore sia pari o superiore alle soglie comunitarie (fissate, in base al regolamento (CE) n. 1177/2009, in 4.845.000 euro, in caso di lavori pubblici, e, in caso di forniture e servizi, a seconda dei casi, 125.000 euro e 193.000 euro);
- in ulteriori specifiche ipotesi dettate dall’art. 10 del regolamento del 1998 (valore superiore a 300 milioni di lire per le concessioni di acque pubbliche o di beni demaniali per lo svolgimento di attività imprenditoriali, ovvero per la concessione di contributi, finanziamenti e agevolazioni su mutuo o altre erogazioni dello stesso tipo per lo svolgimento di attività imprenditoriali; valore superiore a 300 milioni di lire per l'autorizzazione di subcontratti, cessioni o cottimi, concernenti la realizzazione di opere o lavori pubblici o la prestazione di servizi o forniture pubbliche).
Le disposizioni contenute nell’articolo 10 del regolamento del 1998 sono parzialmente derogatorie rispetto all’articolo 4 del d.lgs. n. 490 del 1994, anch’esso attualmente in vigore, in particolare con riferimento al valore dei contratti cui si riferisce tale tipo di documentazione (si fa riferimento ad un valore superiore a 200 milioni di lire per l'autorizzazione di subcontratti, cessioni o cottimi, concernenti la realizzazione di opere o lavori pubblici o la prestazione di servizi o forniture pubbliche).
Ø l’aggiornamento degli effetti interdittivi derivanti dall’accertamento delle cause di decadenza o del tentativo d’infiltrazione mafiosa dopo la stipula del contratto o l’adozione dei provvedimenti autorizzatori; tale criterio sembrerebbe finalizzato ad un’ulteriore estensione degli effetti interdettivi derivanti dalle cause di decadenza e ad una loro applicazione anche al caso dell’accertamento del tentativo di infiltrazione mafiosa.
L’art. 10 della legge 575/1965 prevede, quale effetto dell’applicazione definitiva della misura di prevenzione, l’impossibilità di ottenere licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio; iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali; iscrizioni negli albi di appaltatori o di fornitori di opere, beni e servizi riguardanti la pubblica amministrazione e nell'albo nazionale dei costruttori; concessioni di acque pubbliche, di beni demaniali per l'esercizio di attività imprenditoriali; concessioni di costruzione e di costruzione e gestione di opere riguardanti la pubblica amministrazione; concessioni di servizi pubblici; contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali. Il provvedimento definitivo di applicazione della misura di prevenzione determina la decadenza di diritto dalle licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni, abilitazioni ed erogazioni citate, nonché il divieto di concludere contratti di appalto, di cottimo fiduciario, di fornitura di opere, beni o servizi riguardanti la pubblica amministrazione e relativi subcontratti, compresi i cottimi di qualsiasi tipo, i noli a caldo e le forniture con posa in opera. Le licenze, le autorizzazioni e le concessioni sono ritirate e le iscrizioni sono cancellate a cura degli organi competenti. Analoghi divieti e sospensioni possono essere disposti dal tribunale, nei casi di particolare gravità, anche nel corso del procedimento di prevenzione.
Con riferimento all’accertamento del tentativo di infiltrazione mafiosa, l’articolo 4 del d.lgs. n. 490 del 1994 disciplina lo specifico caso di lavori di somma urgenza prevedendo che se la sussistenza di una causa di divieto indicata nell'allegato 1 o gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto, alla concessione dei lavori o all'autorizzazione del subcontratto, l'amministrazione interessata può revocare le autorizzazioni e le concessioni o recedere dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite; la medesima disposizione prevede, inoltre, che se le amministrazioni procedono senza le informazioni del prefetto in quanto non pervenute nei termini previsti, i contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni di cui al comma 1 sono corrisposti sotto condizione risolutiva.
Ø l’istituzione di una banca-dati nazionale della documentazione antimafia; le finalità di tale strumento consistono nell’accelerazione delle procedure di rilascio della medesima documentazione e nel potenziamento dell’attività di prevenzione dei tentativi di infiltrazione mafiosa nell’attività d’impresa;
Ø l’individuazione delle diverse tipologie di attività d’impresa a maggior rischio d’infiltrazione mafiosa per le quali è sempre obbligatoria (indipendentemente dal valore-soglia del contratto o atto concessorio) la certificazione antimafia;
Ø l’obbligo per i comuni, nei 5 anni successivi allo scioglimento per infiltrazione mafiosa, di acquisire l’informazione antimafia dal prefetto prima di stipulare contratti o rilasciare concessioni, erogazioni, indipendentemente dal valore degli stessi;
Ø l’innalzamento ad un anno della validità dell’informazione antimafia quando non vi siano mutamenti nell’assetto societario-gestionale dell’impresa.
Attualmente, la documentazione antimafia conserva validità per sei mesi (art. 2, DPR 252/1998).
Ø l’obbligo per i legali dell’impresa di comunicare alla prefettura i citati mutamenti e la previsione di sanzioni per la violazione di tali obblighi informativi.
Il comma 3, infine, reca la delega per l’emanazione dei decreti correttivi, da esercitare nel termine di tre anni dall’entrata in vigore del decreto legislativo e nel rispetto delle medesime procedure, principi e criteri direttivi.
Art. 3
(Tracciabilità dei flussi finanziari)
L’articolo 3 introduce norme volte a garantire la tracciabilità dei flussi finanziari nelle procedure relative a lavori, servizi e forniture pubbliche.
Le disposizioni proposte impongono ai contraenti di utilizzare – salvo eccezioni specificamente indicate – conti correnti dedicati alle pubbliche commesse, ove appoggiare i relativi movimenti finanziari, e di effettuare i pagamenti con modalità tracciabili (bonifico bancario o postale).La tracciabilità dei flussi finanziari è altresì tutelata mediante l’obbligodi indicare il Codice unico di progetto – CUP, assegnato a ciascun investimento pubblico sottostante alle commesse pubbliche, al momento del pagamento relativo a ciascuna transazione effettuata in seno ai relativi interventi.
Come sottolinea al riguardo la Relazione illustrativa che accompagna il disegno di legge in esame, la disciplina proposta mutua “le previsioni già introdotte per la ricostruzione in Abruzzo e per l’Expo 2015 di Milano” disciplinando a regime il sistema dei flussi finanziari relativi ai contratti pubblici.
Per quanto attiene alla ricostruzione in Abruzzo, l’articolo 16, comma 4 del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39[2] (cd. “decreto-legge Abruzzo”) ha affidato al Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opereil compito di definire linee guida per i controlli antimafia sui contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture anche in deroga a quanto previsto dal regolamento sulle certificazioni antimafia di cui al DPR 252/1998. Il successivo comma 5 ha tra l’altro demandato ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri dell'interno, della giustizia, delle infrastrutture e trasporti, dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze il compito di definire le modalità attuative per realizzare la tracciabilità dei flussi finanziari generati dai contratti pubblici (e dai loro eventuali subappalti e subcontratti) aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, nonché dalle erogazioni e concessioni di provvidenze pubbliche.
Con il comunicato dell’8 luglio 2009 sono state definite le linee guida antimafia. Per quanto attiene alle disposizioni di carattere finanziario, il Comitato ha precisato che, per garantire il tracciamento finanziario, i soggetti imprenditoriali e gli operatori economici che partecipano agli interventi di ricostruzione provvedono all'accensione di conti correnti, postali o bancari dedicati, aperti presso gli intermediari abilitati indicati dalle norme “antiriciclaggio” (decreto legislativo n. 231/2007[3] e successive modifiche). Su detti conti devono essere appoggiati tutti i movimenti finanziari (incassi e pagamenti), di qualsiasi importo (fatta eccezione per le piccole spese di cantiere), da e verso altri conti dedicati, connessi all'esecuzione del contratto, sub-contratto o affidamento, e finalizzati alla realizzazione dell'intervento. Le linee guida, a tale proposito, elencano gli interventi di ricostruzione interessati da tale prescrizione. Si prescrive altresì che siano appoggiate sui conti correnti dedicati anche le movimentazioni verso conti non dedicati, all’uopo elencate(tra cui stipendi, spese generali, immobilizzazioni, imposte e tasse etc.) Inoltre, è previsto che le movimentazioni finanziarie di qualsiasi importo siano eseguite con mezzi di pagamento che consentono, in ogni caso, la tracciabilità, essendo escluso il ricorso al contante per ogni tipo di operazione e per qualunque importo. Viene indicato come canale preferenziale l'utilizzazione del bonifico, bancario o postale, on-line; In tal caso, nella causale del bonifico andrà evidenziato il Codice Unico di Progetto, CUP assegnato all’intervento. Sono soggetti a tracciabilità con le stesse modalità anche le operazioni connesse al reperimento, in Italia o all'estero, di risorse finanziarie e al loro successivo rimborso. Le misure connesse alla mancata osservanza delle linee-guida comporta l'applicazione di una sanzione diversamente graduata a seconda della gravità della violazione. Le movimentazioni finanziarie effettuate senza avvalersi degli intermediari abilitati di cui al decreto legislativo n. 231/2007, comportando una grave inosservanza degli oneri di trasparenza finanziaria, sono sanzionate con la perdita del contratto, del subcontratto o dell'affidamento. Alla perdita del contratto è associata anche una penale corrispondente al 10% della transazione (fatto salvo il maggior danno). Nel caso di movimentazioni effettuate tramite intermediari abilitati ex decreto legislativo n. 231/2007 ma non transitate su conti correnti dedicati, si applica una penale pecuniaria di entità pari al 5% dell'importo della operazione.
Le linee guida consentono l’utilizzo di conti non dedicati esclusivamente per le piccole spese giornaliere legate al funzionamento del cantiere, ciascuna di importo inferiore o uguale a 500 euro, fermo il divieto di utilizzazione del contante e fermo l’obbligo, per il soggetto o l'operatore economico coinvolto, di dovrà conservare traccia documentale delle operazioni.
L’articolo 3-quinquies del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135[4] ha introdotto disposizioni volte a garantire la trasparenza e la libera concorrenza nella realizzazione delle opere e degli interventi connessi allo svolgimento dell’Expo Milano 2015. In particolare, il comma 5 di tale articolo dispone che, per l’efficacia dei controlli antimafia nei contratti pubblici e nei successivi subappalti e subcontratti aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture e nelle erogazioni e concessioni di provvidenze pubbliche, è prevista la tracciabilità dei relativi flussi finanziari. Si demanda a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri dell’interno, della giustizia, delle infrastrutture e dei trasporti, dello sviluppo economico e dell’economia e delle finanze, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, la definizione delle relative modalità di attuazione; è altresì disposta la costituzione, presso la prefettura di Milano, di elenchi di fornitori e prestatori di servizi, non soggetti a rischio di inquinamento mafioso, ai quali possono rivolgersi gli esecutori dei lavori oggetto del presente articolo. Analogamente a quanto previsto per l’Abruzzo, il Governo ha l’obbligo di presentare una relazione annuale alle Camere concernente l’applicazione di tali norme.
Nel dettaglio, il comma 1 obbliga gli appaltatori, i subappaltatori e i subcontraenti della filiera delle imprese a qualsiasi titolo interessate a lavori, a servizi e forniture pubbliche, ad utilizzare uno o più conti correnti bancari o postali, accesi presso gli intermediari abilitati ai sensi delle disposizioni antiriciclaggio (articolo 11 del citato D. Lgs. n. 231 del 2007), dedicati alle pubbliche commesse.
Inoltre, tutti i movimenti finanziari relativi ai suddetti interventi (lavori, servizi e forniture pubbliche) devono essere appoggiati su conti correnti dedicati e, salvo le eccezioni specificamente previste, devono essere effettuati esclusivamente tramite bonifico bancario o postale.
Finalità della norma è consentire la tracciabilità dei flussi finanziari al fine di prevenire infiltrazioni di tipo criminale.
Si ricorda che l’articolo 11 del D. Lgs. 231/2007 elenca, nel dettaglio, quali sono i soggetti definiti “intermediari finanziari e altri soggetti esercenti attività finanziaria” ai fini della normativa antiriciclaggio.
In particolare (comma 1)per intermediari finanziari si intendono:
a) le banche;
b) Poste italiane S.p.A.;
c) gli istituti di moneta elettronica;
c-bis) gli istituti di pagamento;
d) le società di intermediazione mobiliare (SIM);
e) le società di gestione del risparmio (SGR);
f) le società di investimento a capitale variabile (SICAV);
g) le imprese di assicurazione che operano in Italia nei rami di cui all'articolo 2, comma 1, del CAP (codice delle assicurazioni private, di cui al D. Lgs. n. 209/2005);
h) gli agenti di cambio;
i) le società che svolgono il servizio di riscossione dei tributi;
l) gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco speciale previsto dall'articolo 107 del TUB – testo unico bancario, di cui al D. Lgs. n; 385/1993;
m) gli intermediari finanziari iscritti nell’apposito elenco generale (previsto dall'articolo 106 del TUB);
n) le succursali insediate in Italia dei soggetti indicati alle altre lettere, aventi sede legale in uno Stato estero;
o) Cassa depositi e prestiti S.p.A.
Ai sensi del comma 2, rientrano tra gli intermediari finanziari altresì:
a) le società fiduciarie (di cui alla legge 23 novembre 1939, n. 1966);
b) i soggetti operanti nel settore finanziario iscritti nelle sezioni dell'elenco generale previste dall'articolo 155, comma 4, del citato TUB;
c) i soggetti operanti nel settore finanziario iscritti nelle sezioni dell'elenco generale previste dall'articolo 155, comma 5, del TUB;
Infine (comma 3) per altri soggetti esercenti attività finanziaria si intendono:
a) i promotori finanziari iscritti nell'apposito albo (previsto dall'articolo 31 del testo unico finanziario – TUF, di cui al D. Lgs. 58/199);
b) gli intermediari assicurativi di cui all'articolo 109, comma 2, lettere a) e b) del Codice delle assicurazioni private, che operano nei rami di cui al comma 1, lettera g);
c) i mediatori creditizi iscritti nell'albo previsto dall'articolo 16 della legge 7 marzo 1996, n. 108;
d) gli agenti in attività finanziaria iscritti nell'elenco previsto dall'articolo 3 del decreto legislativo 25 settembre 1999, n. 374.
Il comma 2 include i pagamenti destinati a dipendenti, consulenti e fornitori (di beni e servizi) rientranti tra le spese generali, nonché all’acquisto di immobilizzazioni tecniche tra quelli da eseguire obbligatoriamente tramite conto dedicato e per il totale dovuto, ancorché non riferibili in via esclusiva alla realizzazione degli interventi relativi a lavori, servizi e forniture pubbliche.
Il comma 3 prescrive un regime differenziato per i pagamenti in favore di enti previdenziali, assicurativi e istituzionali, nonché di fornitori e gestori di pubblici servizi, ovveroper quanto riguarda i pagamenti riguardanti tributi. In tale ipotesi, data la natura del destinatario del pagamento, le disposizioni applicate ai sensi del comma 1 sono parzialmente disattese.
Nei confronti dei summenzionati soggetti è infatti possibile effettuare pagamenti anche con strumenti diversi dal bonifico. Le medesime modalità valgono per i pagamenti di ammontare inferiore o uguale a 500 euro, fermi restando il divieto di utilizzo del contante e l’obbligo di documentare la relativa spesa.
Ai sensi del comma 4, nel caso in cui le spese estranee ai lavori, ai servizi e alle forniture pubbliche siano pagate con somme provenienti da conti dedicati, è possibile reintegrarli in un momento successivo solo tramite bonifico bancari o postale.
I commi da 5 a 7, condisposizioni simili a quelle emanate in tema di ricostruzione in Abruzzo, recano le modalità di utilizzo dei conti dedicati e alcune disposizioni procedurali.
Nel dettaglio (comma 5), ai fini della tracciabilità dei flussi finanziari, si prevede che ciascun bonifico bancario o postale riporti, per quanto attiene a ciascuna transazione posta in essere, un Codice Unico di Progetto – CUP relativo all’investimento pubblico sottostante. Ove il CUP non sia noto, deve essere richiesto alla stazione appaltante.
Ogni stazione appaltante (comma 6) richiede il CUP all’apposita Struttura di supporto CUP, operativa presso il Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Gli appaltatori, i subappaltatori e i subcontraenti della filiera delle imprese interessate alle opere devono comunicare alla stazione appaltante gli estremi dei conti correnti dedicati entro 7 giorni dall’accensione; nel medesimo termine sono inviate le generalità e il codice fiscale delle persone delegate a operare su tali conti (comma 7).
È previsto l’obbligo, a pena di nullità assoluta, che la stazione appaltante inserisca, nei contratti sottoscritti con gli appaltatori relativi a lavori, servizi e forniture pubbliche, un’apposita clausola con la quale essi assumono gli obblighi di tracciabilità finanziaria prevista con le disposizioni in commento (comma 8).
Infine, la stazione appaltante deve verificare (comma 9) che nei contratti sottoscritti con i subappaltatori e i subcontraenti della filiera delle imprese interessate a lavori, servizi e forniture pubbliche sia inserita – ancora una volta, a pena di nullità assoluta - un’apposita clausola con la quale ciascuno di essi assume gli obblighi di tracciabilità finanziaria disposti dalle norme in esame.
L’articolo 4, commi 1-3, prevede sanzioni amministrative pecuniarie per la violazione degli obblighi introdotti dal precedente articolo 3 secondo il seguente schema:
Disposizione di riferimento |
Condotta |
Sanzione amministrativa pecuniaria |
Art. 3, co. 1 |
Effettuazione di transazioni relative a servizi, lavori e forniture pubblici senza avvalersi degli intermediari abilitati (banche e Poste italiane SPA)
|
Dal 5 al 20% del valore della transazione |
Art. 3, co. 1 |
Effettuazione delle medesime transazioni su conto corrente non dedicato o con modalità diverse dal bonifico postale o bancario |
Dal 2 al 10% del valore della transazione |
Art. 3, co. 4 |
Reintegro dei conti correnti dedicati con modalità diverse dal bonifico bancario o postale |
500 euro per ciascun accredito |
Art. 3, co. 7 |
Omessa, tardiva (oltre il termine di sette giorni) o incompleta comunicazione degli estremi identificativi dei conti correnti dedicati nonché delle generalità e del codice fiscale delle persone delegate ad operare su di essi |
500 euro per ciascuna operazione |
Art. 3, co. 5 |
Omessa indicazione del Codice unico di progetto (CUP) relativo all’investimento sottostante sul bonifico bancario o postale |
500 euro per ciascuna operazione |
Il comma 4 rinvia, nei limiti della compatibilità, al procedimento di accertamento e di contestazione delle violazioni, nonché di applicazione delle sanzioni delineato dal decreto legislativo n. 68 del 2001, dal decreto legislativo n. 231 del 2007 e dalla legge n. 689 del 1981.
Il decreto legislativo n. 68 del 2001 riguarda l’adeguamento dei compiti del Corpo della Guardia di finanza. In particolare, il Capo II delinea i compiti di polizia economica e finanziaria assegnati al Corpo della guardia di finanza, rinviando anche ai poteri di accesso, ispezioni e verifiche contemplati dal D.P.R. n. 600 del 1973 e n. 633 del 1972 (articolo 2).
Il Capo II del Titolo V del decreto legislativo n. 231 del 2007 riguarda le sanzioni amministrative. L’articolo 60 delinea le procedure applicabili, rinviando in particolare, per quanto riguarda la contestazione delle sanzioni, alla legge n. 689 del 1981.
La Sezione II del Capo I di tale ultima legge disciplina in termini generali il procedimento per l’applicazione delle sanzioni amministrative (accertamento, contestazione e notificazione della violazione, possibilità di pagamento in misura ridotta, ordinanza-ingiunzione di pagamento, opposizione alla medesima e relativo giudizio, possibilità di pagamento rateale, esecuzione forzata).
Art. 5
(Modifica in materia di accertamenti fiscali nei confronti di soggetti
sottoposti a misure di prevenzione)
L’articolo 5 novella alcune disposizioni della legge n. 646 del 1982[5] (articoli 25, 30 e 31) in materia di accertamenti fiscali nei confronti di soggetti sottoposti a misure di prevenzione o condannati per taluni reati.
Testo vigente |
Testo novellato |
Art. 25 |
Art. 25 |
A carico delle persone nei cui confronti sia stata emanata sentenza di condanna anche non definitiva per il reato di cui all'articolo 416-bis del codice penale o sia stata disposta, con provvedimento anche non definitivo, una misura di prevenzione ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575 , in quanto indiziate di appartenere alle associazioni previste dall'articolo 1 di tale legge, il nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza, competente in relazione al luogo di dimora abituale del soggetto, può procedere alla verifica della loro posizione fiscale anche ai fini dell'accertamento di illeciti valutari e societari |
1. A carico delle persone nei cui confronti sia stata emanata sentenza di condanna anche non definitiva per taluno dei reati previsti dall’art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale ovvero del delitto di cui all’articolo 12–quinquies, comma 1 del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, ovvero sia stata disposta, con provvedimento anche non definitivo, una misura di prevenzione ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, il nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza, competente in relazione al luogo di dimora abituale del soggetto, può procedere alla verifica della relativa posizione fiscale, economica e patrimoniale ai fini dell’accertamento di illeciti in materia economica e finanziaria, anche allo scopo di verificare l’osservanza della disciplina dei divieti autorizzatori, concessori o abilitativi di cui all’articolo 10 della citata legge 31 maggio 1965, n. 575. |
Le indagini di cui al primo comma sono disposte anche nei confronti dei soggetti elencati nel comma 3 dell'articolo 2-bis e nel comma 4 dell'articolo 10 della legge 31 maggio 1965, numero 575 |
2. Le indagini di cui al comma 1 sono effettuate anche nei confronti dei soggetti elencati dall’articolo 2-bis, comma 3 e dall’articolo 10, comma 4, della L. 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni. Nei casi in cui il domicilio fiscale, il luogo di effettivo esercizio dell’attività, ovvero, il luogo di dimora abituale dei soggetti da sottoporre a verifica sia diverso da quello delle persone di cui al comma 1, il Nucleo di polizia tributaria può delegare l’esecuzione degli accertamenti di cui al presente comma ai Reparti della Guardia di finanza competenti per territorio. |
Copia della sentenza di condanna o del provvedimento di applicazione della misura di prevenzione è trasmessa, a cura della cancelleria competente, al nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza indicato al primo comma. |
3. Copia delle sentenza di condanna o del provvedimento di applicazione della misura di prevenzione è trasmessa, a cura della cancelleria competente, al nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza indicato al comma 1. |
Per l'espletamento delle indagini gli ufficiali di polizia tributaria hanno i poteri previsti dal comma 6 dell'articolo 2-bis della legge 31 maggio 1965, n. 575, nonché quelli attribuiti agli ufficiali e ai sottufficiali appartenenti al nucleo speciale di polizia valutaria dalla legge 30 aprile 1976, n. 159. |
4. Per l’espletamento delle indagini di cui al presente articolo, i militari della guardia di finanza, oltre ai poteri ed alle facoltà richiamate dall’art. 2 del D. Lgs. 19 marzo 2001, n. 68, si avvalgono dei poteri di cui all’art. 2 –bis, comma 6, della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, nonché dei poteri attribuiti agli appartenenti al Nucleo speciale di polizia valutaria ai sensi del D. Lgs. 21 novembre 2007, n. 231. |
La revoca del provvedimento con il quale è stata disposta una misura di prevenzione, non preclude l'utilizzazione ai fini fiscali degli elementi acquisiti nel corso degli accertamenti svolti ai sensi del primo comma |
5. La revoca del provvedimento con il quale è stata disposta una misura di prevenzione, non preclude l’utilizzazione ai fini fiscali degli elementi acquisiti nel corso degli accertamenti svolti ai sensi del comma 1. |
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6. Ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, ai dati, alle notizie ed ai documenti acquisiti ai sensi del comma 4 si applicano le disposizioni di cui al secondo periodo dell’articolo 51, secondo comma, n. 2), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ed al secondo periodo dell’articolo 32, primo comma, numero 2), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. |
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Art. 30 |
Art. 30 |
Le persone condannate con sentenza definitiva per il reato di cui all'articolo 416-bis del codice penale o già sottoposte, con provvedimento definitivo, ad una misura di prevenzione ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, in quanto indiziate di appartenere alle associazioni previste dall'articolo 1 di tale legge, sono tenute a comunicare per dieci anni, ed entro trenta giorni dal fatto, al nucleo di polizia tributaria del luogo di dimora abituale, tutte le variazioni nella entità e nella composizione del patrimonio concernenti elementi di valore non inferiore a euro 10.329,14. Entro il 31 gennaio di ciascun anno sono altresì tenuti a comunicare le variazioni intervenute nell'anno precedente, quando concernono elementi di valore non inferiore a euro 10.329,14. Sono esclusi i beni destinati al soddisfacimento dei bisogni quotidiani. |
Le persone condannate con sentenza definitiva per taluno dei reati previsto dall’art. 51, comma 3 bis, del codice di procedura penale ovvero del delitto di cui all’articolo 12-quinquies, comma 1, del decreto legge 8 giusto 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, o già sottoposte, con provvedimento definitivo, ad una misura di prevenzione ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, sono tenute a comunicare per dieci anni, ed entro trenta giorni dal fatto, al nucleo di polizia tributaria del luogo di dimora abituale, tutte le variazioni nell’entità e nella composizione del patrimonio concernenti elementi di valore non inferiore ad euro 10.329,14. Entro il 31 gennaio di ciascun anno sono altresì tenuti a comunicare le variazioni intervenute nell’anno precedente, quando concernono complessivamente elementi di valore non inferiore ad euro 10.329,14. Sono esclusi i beni destinati al soddisfacimento dei bisogni quotidiani. |
Il termine di dieci anni decorre dalla data del decreto ovvero dalla data della sentenza definitiva di condanna. |
Identico |
Gli obblighi previsti nel primo comma cessano quando la misura di prevenzione è revocata a seguito di ricorso in appello o in cassazione. |
Identico |
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Art. 31 |
Art. 31 |
Chiunque, essendovi tenuto, omette di comunicare entro i termini stabiliti dalla legge le variazioni patrimoniali indicate nell'articolo precedente è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.329 a euro 20.658. |
Identico |
Alla condanna segue la confisca dei beni a qualunque titolo acquistati nonché del corrispettivo dei beni a qualunque titolo alienati |
Identico |
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Nei casi in cui non sia possibile procedere alla confisca dei beni acquistati ovvero del corrispettivo dei beni alienati, il giudice ordina la confisca, per un valore equivalente, di somme di denaro, beni o altre utilità di cui i soggetti, di cui all’articolo 30, primo comma, hanno la disponibilità. |
La novella all’articolo 25, che disciplina in termini generali gli accertamenti fiscali nei confronti di tali soggetti, interviene, in primo luogo, sotto il profilo soggettivo, attraverso l’ampliamento della platea dei soggetti nei cui confronti sono disposte le verifiche.
Per quanto riguarda i condannati, anche in via non definitiva, la disposizione è destinata a trovare applicazione non più soltanto in relazione al reato di cui all’art. 416-bis, ma per tutti i reati di grave allarme sociale di cui all’articolo 51, comma 3-bis c.p.p. (novellato dal successivo articolo 8) e per il delitto di cui all’articolo 12-quinquies, comma 1, del decreto-legge n. 306 del 1992 (convertito dalla legge n. 356 del 1992) in materia di trasferimento fraudolento di valori.
Con riferimento ai soggetti sottoposti (anche con provvedimento non definitivo) a misure di prevenzione, viene eliminato il riferimento al fatto che i destinatari della misura, ai sensi della legge n. 575 del 1965, siano indiziati di appartenere alle associazioni indicate dall’articolo 1 della medesima legge.
L’articolo 1 della legge n. 575 del 1965, che definisce l’ambito di applicazione della legge, si riferisce – oltre che agli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra, alla 'ndrangheta o ad altre associazioni, comunque localmente denominate, che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso – anche ai soggetti indiziati di uno dei reati previsti dai sopra richiamati art. 51, comma 3-bis, c.p.p. e art. 12-quinquies, comma 1, del decreto-legge n. 306 del 1992.
In tal modo si estende l’applicazione della disposizione anche ai soggetti sottoposti a misura di prevenzione, in quanto indiziati di uno dei reati previsti dai sopra richiamati art. 51, comma 3-bis, c.p.p. e art. 12-quinquies, comma 1, del decreto-legge n. 306 del 1992.
Analoga modifica viene apportata all’articolo 30 al fine di ampliare la platea di soggetti tenuti all’obbligo (che, come nel testo vigente, opera solo nel caso di sentenza di condanna definitiva o di misura di prevenzione disposta con provvedimento definitivo) di comunicare per dieci anni nelle scadenze indicate le variazioni nell’entità e nella composizione del patrimonio concernenti elementi di valore non inferiore a 10.329,14 euro.
La novella all’articolo 25 amplia anche l’ambito e le finalità degli accertamenti, prevedendo che essi riguardano la verifica, oltre che della posizione fiscale, anche della posizione economica e patrimoniale del soggetto e hanno la finalità dell’accertamento di illeciti in materia economica e finanziaria (il testo vigente fa riferimento agli illeciti valutari e societari), anche allo scopo di verificare l’osservanza della disciplina dei divieti autorizzatori, concessori o abilitativi di cui all’articolo 10 della citata legge 31 maggio 1965, n. 575.
Tale disposizione in particolare prevede che le persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una misura di prevenzione non possono ottenere: a) licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio; b) concessioni di acque pubbliche e diritti ad esse inerenti nonché concessioni di beni demaniali allorché siano richieste per l'esercizio di attività imprenditoriali; c) concessioni di costruzione, nonché di costruzione e gestione di opere riguardanti la pubblica amministrazione e concessioni di servizi pubblici; d) iscrizioni negli albi di appaltatori o di fornitori di opere, beni e servizi riguardanti la pubblica amministrazione e nell'albo nazionale dei costruttori, nei registri della camera di commercio per l'esercizio del commercio all'ingrosso e nei registri di commissionari astatori presso i mercati annonari all'ingrosso; e) altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati; f) contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali. Il provvedimento definitivo di applicazione della misura di prevenzione determina la decadenza di diritto dalle licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni, abilitazioni ed erogazioni di cui al comma 1, nonché il divieto di concludere contratti di appalto, di cottimo fiduciario, di fornitura di opere, beni o servizi riguardanti la pubblica amministrazione e relativi subcontratti, compresi i cottimi di qualsiasi tipo, i noli a caldo e le forniture con posa in opera. Le licenze, le autorizzazioni e le concessioni sono ritirate e le iscrizioni sono cancellate a cura degli organi competenti.
La novella all’articolo 25 incide anche sulle modalità di esecuzione degli accertamenti e in particolare:
§ esplicita la possibilità per il Nucleo di polizia tributaria di delegare l’esecuzione dei medesimi ai Reparti della Guardia di finanza competenti per territorio, nel caso di indagini effettuate nei confronti di familiari, conviventi, altre persone fisiche e giuridiche (ai sensi dell’articolo 2-bis, comma 3, e dell’articolo 10, comma, 4, della legge n. 575 del 1965) se il domicilio fiscale, il luogo di esercizio dell’attività o di dimora abituale di tali soggetti sia diverso da quello delle persone condannate o sottoposte a misura di prevenzione;
§ conferma per i militari della Guardia di finanza che procedono alle indagini, la titolarità dei poteri e delle facoltà previste dall’articolo 2-bis, comma 6, della legge n. 575 del 1965.
Tale disposizione prevede che il procuratore della Repubblica, il direttore della Direzione investigativa antimafia e il questore possono richiedere, direttamente o a mezzo di ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, ad ogni ufficio della pubblica amministrazione, ad ogni ente creditizio nonché alle imprese, società ed enti di ogni tipo informazioni e copia della documentazione ritenuta utile ai fini delle indagini nei confronti dei soggetti di cui ai commi precedenti. Previa autorizzazione del procuratore della Repubblica o del giudice procedente, gli ufficiali di polizia giudiziaria possono procedere al sequestro della documentazione con le modalità di cui agli articoli 253, 254, e 255 del codice di procedura penale.
§ con riferimento all’esercizio dei poteri attribuiti al Nucleo speciale di polizia valutaria aggiorna il riferimento alla legge n. 159 del 1976 (che ha istituito il medesimo nucleo) con quello al decreto legislativo n. 231 del 2007, provvedimento che ha aggiornato l’ordinamento italiano alle disposizioni europee in materia di antiriciclaggio[6].
In particolare l’articolo 8 del d.lgs. n. 231 del 2007 prevede che la DIA e il Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza svolgono gli approfondimenti investigativi delle segnalazioni trasmesse dall’Unità di informazione finanziaria, ai sensi dell'articolo 47. Il Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza effettua, altresì, ai sensi dell'articolo 53, i controlli diretti a verificare l'osservanza degli obblighi previsti dal medesimo decreto e dalle relative disposizioni di attuazione (a tal fine, ai sensi di tale ultima disposizione, può effettuare ispezioni e richiedere l'esibizione o la trasmissione di documenti, atti, nonché di ogni altra informazione utile). Per effettuare i necessari approfondimenti delle segnalazioni di operazioni sospette la DIA e il Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza si avvalgono anche dei dati contenuti nella sezione dell'anagrafe tributaria di cui all'articolo 7, sesto e undicesimo comma, del D.P.R. n. 605 del 1973; gli appartenenti al Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza esercitano anche i poteri loro attribuiti dalla normativa valutaria, poteri estesi ai militari appartenenti ai reparti della Guardia di finanza, ai quali il Nucleo speciale di polizia valutaria può delegare l'assolvimento dei compiti di cui al comma 3.
§ richiama i poteri e le facoltà previste dall’articolo 2 del d.lgs. n. 68 del 2001.
Tale disposizione, che attribuisce al Corpo della Guardia di finanza le funzioni di polizia economica e finanziaria a tutela del bilancio pubblico, delle regioni, degli enti locali e dell'Unione europea, in particolare rinvia ai poteri di accesso, ispezioni e verifiche contemplati dal D.P.R. n. 600 del 1973 e n. 633 del 1972.
Il comma aggiuntivo all’articolo 25 è, infine, diretto a prevedere l’applicazione di alcune disposizioni in materia di accertamento dell’IVA e delle imposte sui redditi (rispettivamente, ai sensi del secondo periodo dell’articolo 51, secondo comma, n. 2), del D.P.R. n. 633 del 1972[7] e del secondo periodo dell’articolo 32, primo comma, numero 2), del D.P.R. n. 600 del 1973[8]) anche ai dati, alle notizie ed ai documenti acquisiti nel corso delle indagini da parte dei militari della Guardia di finanza, ai sensi del comma 4.
Ne deriva che anche tali dati ed elementi sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dalla legge, se il contribuente – in relazione all’accertamento IVA - non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili, ovvero se il medesimo – ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi - non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta, o che non hanno rilevanza allo stesso fine.
La novella all’articolo 31, infine, incide sugli effetti della violazione dell’obbligo di comunicazione delle variazioni patrimoniali (previsto dall’articolo 30, modificato dalla disposizione in commento). In particolare, con l’introduzione di un comma aggiuntivo, si prevede la confisca per equivalente nel caso in cui non sia possibile procedere alla confisca dei beni acquistati o del corrispettivo dei beni alienati.
Art. 6
(Modifica alla disciplina in materia di operazioni sottocopertura)
L’articolo 6 modifica la disciplina delle operazioni sottocopertura, con la finalità, da un lato, di ampliarne l’ambito operativo, dall’altro di delineare una disciplina unitaria, superando le normative di settore in materia, che vengono conseguentemente abrogate o riformulate.
In particolare il comma 1 novella la disciplina-quadro in materia contenuta nell’art. 9 della legge 146 del 2006[9].
Tale disposizione ha introdotto una normativa pressoché unitaria delle garanzie funzionali attribuite ad ufficiali di polizia giudiziaria impegnati nelle cd. tecniche speciali di investigazione per il contrasto alla criminalità organizzata.
Si tratta di indagini nelle quali, in considerazione della specificità degli illeciti perseguiti, la polizia giudiziaria, pur con definiti limiti, non è punibile in caso di commissione di illeciti penali: in particolare, ciò avviene per omissione e/o ritardo di atti d’ufficio, nonché per reati commessi durante operazioni sotto copertura (cioè quelle attività investigative volte alla ricerca della prova e all’accertamento della responsabilità penale in cui ufficiali di polizia giudiziaria si infiltrano sotto falsa identità in ambienti malavitosi).
La legge 146/2006, abrogando a fini sistematici la precedente disciplina (tra cui quella introdotta in funzione antiterrorismo), ha lasciato tuttavia in vigore le disposizioni speciali sulle cause di non punibilità previste per le operazioni antidroga (anche se contempla esplicitamente l’acquisto simulato di droga) e quelle in materia di sequestro di persona: si tratta, rispettivamente, degli artt. 97 e 98 del TU n. 309 del 1990 (acquisto simulato di droga e ritardo-omissione da parte dell’autorità giudiziaria di atti di cattura, di arresto o di sequestro) e dell’art. 7 del decreto-legge n. 8 del 1991, convertito dalla legge n. 82 del 1991 (pagamento controllato del riscatto).
Nello specifico, l’articolo 9 - fermo restando quando dettato dall’articolo 51 c.p. (in forza del quale l'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità esclude la punibilità) – in primo luogo, al comma 1, introduce una causa di non punibilità per specifici soggetti in relazione allo svolgimento di operazioni sotto copertura nel quadro dell’azione di contrasto al crimine organizzato ed al terrorismo. La disposizione individua specifici requisiti di natura soggettiva (in relazione alla funzione ricoperta) ed oggettiva (in relazione ai reati perseguiti ed all’attività concretamente svolta) per l’applicazione della scriminante.
Essa, in particolare, prevede la non punibilità degli ufficiali di polizia giudiziaria appartenenti alle strutture specializzate delle Forze di polizia o alla D.I.A. i quali – anche per interposta persona e nei limiti delle proprie competenze – effettuano una serie di attività (danno rifugio o comunque prestano assistenza agli associati, acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano denaro, armi, documenti, stupefacenti, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere il reato o altrimenti ostacolano l’individuazione della loro provenienza o ne consentono l’impiego) nel corso di specifiche operazioni di polizia ed al solo fine di acquisire elementi di prova per una serie di specifici delitti (contraffazione, alterazione o uso di marchio segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni, art. 473 c.p.; introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, art. 474 c.p.; riciclaggio, art. 648-bis c.p.; impiego di denaro, beni o utilizzo di provenienza illecita, art. 648-ter c.p; delitti contro la personalità individuale, artt. 600-604 c.p. ovvero tratta di persone e riduzione in schiavitù, prostituzione e pornografia minorile, detenzione di materiale pornografico, turismo sessuale, pornografia virtuale; delitti concernenti armi, munizioni ed esplosivi; specifici reati connessi all’immigrazione clandestina, art. 12, commi 3, 3-bis e 3-ter del T.U. 286/1998; sfruttamento della prostituzione, art. 3, L. 75/1958, n. 75) (comma 1. lett. a). La causa di non punibilità è estesa anche agli ufficiali di polizia giudiziaria appartenenti agli organismi investigativi della Polizia di Stato e dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di finanza specializzati nell’attività di contrasto al terrorismo e all’eversione (comma 1. lett. b).
Il comma 2 stabilisce che, nel corso delle operazioni, gli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria possono utilizzare documenti, identità e indicazioni di copertura anche per entrare in contatto con soggetti e siti telematici utili ai fini delle indagini dandone informazione al pubblico ministero entro 48 ore.
L’esecuzione delle operazioni sotto copertura è disposta – in relazione all’appartenenza del personale di polizia giudiziaria – dagli organi di vertice, di livello almeno provinciale (d’intesa – per i reati in materia di immigrazione, con la Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere) (comma 3). Di tali attività deve comunque essere data preventiva informazione al PM, che – in caso di operazione in corso – deve ricevere informazione senza ritardo in ordine alle sue modalità di svolgimento, ai soggetti coinvolti e ai risultati (comma 4).
In analogia a quanto disposto dal comma 6 dell’articolo 4 del decreto-legge 374/2001 (abrogato dallo stesso art. 9 della legge 146/2006), sono estese le cause di non punibilità agli eventuali ausiliari, di cui gli ufficiali di polizia giudiziaria possono avvalersi. Si opera un rinvio ad un decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della giustizia e con gli altri Ministri interessati, per la definizione delle modalità di utilizzo di eventuali beni mobili e immobili, documenti di copertura, attivazione di siti nonché di svolgimento di determinate attività funzionali alle operazioni e per la definizione delle forme e modalità di coordinamento anche internazionale tra i diversi organismi investigativi (comma 5).
Sempre l’art. 9 autorizza gli ufficiali di polizia giudiziaria - al fine di acquisire rilevanti elementi di prova o per l’individuazione e cattura degli autori dei reati sopraelencati, nonché dei reati di estorsione (art. 629 c.p.) e usura (art. 644 c.p.) - ad omettere o ritardare atti di competenza al fine di ottenere elementi probatori o per individuare o catturare i responsabili, dandone immediato avviso al pubblico ministero, anche oralmente, e provvedendo a trasmettere un motivato rapporto entro le successive quarantotto ore (comma 6). Analoga disposizione è prevista dal comma 7 relativamente alla possibilità per il pubblico ministero, con decreto motivato, di ritardare l’esecuzione dei provvedimenti che applicano una misura cautelare, del fermo, dell’ordine di esecuzione di pene detentive o del sequestro. Nei casi di urgenza tale iniziativa può esser disposta oralmente salva la emissione del decreto entro le successive 48 ore. Il pubblico ministero si avvale della polizia giudiziaria per lo svolgimento di attività di controllo degli sviluppi dell’attività criminosa. Il PM è tenuto a comunicare tali provvedimenti al giudice del luogo in cui l’operazione deve concludersi ovvero nel quale si prevede che le cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere delitti siano in transito in entrata o uscita dal territorio dello Stato.
Le comunicazioni e i provvedimenti adottati per lo svolgimento delle attività di copertura devono essere trasmesse al procuratore generale presso la corte d’appello o al procuratore nazionale antimafia per i gravi reati di cui all’articolo 51, comma 3-bis, c.p.p.[10] (comma 8). Il comma 9 dell’art. 9 prevede la possibilità che l’autorità giudiziaria affidi materiali e beni sequestrati in custodia giudiziale con facoltà d’uso agli organi di polizia giudiziaria che ne facciano richiesta per lo svolgimento delle attività di contrasto al crimine organizzato o al terrorismo. Il comma 10 ha individuato una nuovo delitto consistente nella divulgazione indebita dell’identità personale di polizia giudiziaria che agisce in operazioni sottocopertura; il reato è punito con la reclusione da due a sei anni.
Il comma 11 riguarda le diverse discipline di settore che, per esigenze di coordinamento, sono oggetto di abrogazione.
Il testo a fronte che segue evidenzia le modifiche che l’art. 6 in esame introduce ai primi dieci commi dell’art. 9 della legge 146/20006
Testo vigente |
Testo novellato |
Art. 9, L. 146/2006 |
Art. 9, L. 146/2006 |
1. Fermo quanto disposto dall'articolo 51 del codice penale, non sono punibili: a) gli ufficiali di polizia giudiziaria della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, appartenenti alle strutture specializzate o alla Direzione investigativa antimafia, nei limiti delle proprie competenze, i quali, nel corso di specifiche operazioni di polizia e, comunque, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti previsti dagli articoli 473, 474, 648-bis e 648-ter nonchè nel libro II, titolo XII, capo III, sezione I, del codice penale, ai delitti concernenti armi, munizioni, esplosivi, ai delitti previsti dall'articolo 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonchè dall'articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, anche per interposta persona, danno rifugio o comunque prestano assistenza agli associati, acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano denaro, armi, documenti, stupefacenti, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere il reato o altrimenti ostacolano l'individuazione della loro provenienza o ne consentono l'impiego |
1. Fermo quanto disposto dall'articolo 51 del codice penale, non sono punibili: a) gli ufficiali di polizia giudiziaria della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, appartenenti alle strutture specializzate o alla Direzione investigativa antimafia, nei limiti delle proprie competenze, i quali, nel corso di specifiche operazioni di polizia e, comunque, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti previsti dagli articoli 473, 474, 629, 630, 644, 648-bis e 648-ter, nonché nel libro II, titolo XII, capo III, sezione I, del codice penale, ai delitti concernenti armi, munizioni, esplosivi, ai delitti previsti dall'articolo 12, commi 1, 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, nonché ai delitti previsti dal testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, dall'articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e dall'articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, anche per interposta persona, danno rifugio o comunque prestano assistenza agli associati, acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano denaro, armi, documenti, sostanze stupefacenti o psicotrope, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere il reato o altrimenti ostacolano l'individuazione della loro provenienza o ne consentono l'impiego o compiono attività prodromiche e strumentali; |
b) gli ufficiali di polizia giudiziaria appartenenti agli organismi investigativi della Polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri specializzati nell'attività di contrasto al terrorismo e all'eversione e del Corpo della guardia di finanza competenti nelle attività di contrasto al finanziamento del terrorismo, i quali, nel corso di specifiche operazioni di polizia e, comunque, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti commessi con finalità di terrorismo, anche per interposta persona, compiono le attività di cui alla lettera a). |
b) gli ufficiali di polizia giudiziaria appartenenti agli organismi investigativi della Polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri specializzati nell'attività di contrasto al terrorismo e all'eversione e del Corpo della guardia di finanza competenti nelle attività di contrasto al finanziamento del terrorismo, i quali, nel corso di specifiche operazioni di polizia e, comunque, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti commessi con finalità di terrorismo o di eversione, anche per interposta persona, compiono le attività di cui alla lettera a). |
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1-bis. La causa di giustificazione di cui al comma 1 si applica agli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria e agli ausiliari che operano sotto copertura quando le attività sono condotte in attuazione di operazioni autorizzate e documentate ai sensi del presente articolo. La disposizione di cui al precedente periodo si applica anche alle interposte persone che compiono gli atti di cui al comma 1. |
2. Negli stessi casi previsti dal comma 1, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono utilizzare documenti, identità o indicazioni di copertura anche per attivare o entrare in contatto con soggetti e siti nelle reti di comunicazione, informandone il pubblico ministero al più presto e comunque entro le quarantotto ore dall'inizio delle attività. |
2. Negli stessi casi previsti dal comma 1, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono utilizzare documenti, identità o indicazioni di copertura rilasciati dagli organismi competenti secondo le modalità stabilite dal decreto di cui al comma 5 anche per attivare o entrare in contatto con soggetti e siti nelle reti di comunicazione, informandone il pubblico ministero al più presto e comunque entro le quarantotto ore dall'inizio delle attività. |
3. L'esecuzione delle operazioni di cui ai commi 1 e 2 è disposta, secondo l'appartenenzadel personale di polizia giudiziaria, dagli organi di vertice ovvero, per loro delega, dai rispettivi responsabili di livello almeno provinciale, d'intesa con la Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere per i delitti previsti dall'articolo 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
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3. L'esecuzione delle operazioni di cui ai commi 1 e 2 è disposta dagli organi di vertice ovvero, per loro delega, dai rispettivi responsabili di livello almeno provinciale, secondo l'appartenenza del personale di polizia giudiziaria impiegato, d'intesa con la Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere per i delitti previsti dall'articolo 12, commi 1, 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni. L'esecuzione delle operazioni di cui ai commi 1 e 2 in relazione ai delitti previsti dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, di seguito denominate "attività antidroga", è specificatamente disposta dalla Direzione centrale per i servizi antidroga o, sempre d'intesa con questa, dagli organi di vertice ovvero, per loro delega, dai rispettivi responsabili di livello almeno provinciale, secondo l'appartenenza del personale di polizia giudiziaria impiegato. |
4. L'organo che dispone l'esecuzione delle operazioni di cui ai commi 1 e 2 deve dare preventiva comunicazione al pubblico ministero competente per le indagini, indicando, se necessario o se richiesto, anche il nominativo dell'ufficiale di polizia giudiziaria responsabile dell'operazione, nonchè il nominativo degli eventuali ausiliari impiegati. Il pubblico ministero deve comunque essere informato senza ritardo, a cura del medesimo organo, nel corso della operazione delle modalità e dei soggetti che vi partecipano, nonchè dei risultati della stessa. |
4. L'organo che dispone l'esecuzione delle operazioni di cui ai commi 1 e 2 deve dare preventiva comunicazione all'autorità giudiziaria competente per le indagini. Dell'esecuzione delle attività antidroga è data immediata e dettagliata comunicazione alla Direzione centrale per i servizi antidroga ed al pubblico ministero competente per le indagini. Se necessario o se richiesto dal pubblico ministero e, per le attività antidroga, anche dalla Direzione centrale per i servizi antidroga, è indicato il nominativo dell'ufficiale di polizia giudiziaria responsabile dell'operazione, nonché quello degli eventuali ausiliari ed interposte persone impiegati. Il pubblico ministero deve comunque essere informato senza ritardo, a cura del medesimo organo, nel corso dell'operazione, delle modalità e dei soggetti che vi partecipano, nonché dei risultati della stessa. |
5. Per l'esecuzione delle operazioni di cui ai commi 1 e 2, gli ufficiali di polizia giudiziaria possono avvalersi di ausiliari ai quali si estende la causa di non punibilità prevista per i medesimi casi. Per l'esecuzione delle operazioni può essere autorizzata l'utilizzazione temporanea di beni mobili ed immobili, di documenti di copertura, l'attivazione di siti nelle reti, la realizzazione e la gestione di aree di comunicazione o scambio su reti o sistemi informatici, secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia e con gli altri Ministri interessati. Con il medesimo decreto sono stabilite altresì le forme e le modalità per il coordinamento, anche in ambito internazionale, a fini informativi e operativi tra gli organismi investigativi. |
5. Per l'esecuzione delle operazioni di cui ai commi 1 e 2, gli ufficiali di polizia giudiziaria possono avvalersi di agenti di polizia giudiziaria, di ausiliari e di interposte persone ai quali si estende la causa di non punibilità prevista per i medesimi casi. Per l'esecuzione delle operazioni può essere autorizzata l'utilizzazione temporanea di beni mobili ed immobili, di documenti di copertura, l'attivazione di siti nelle reti, la realizzazione e la gestione di aree di comunicazione o scambio su reti o sistemi informatici, secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia e con gli altri Ministri interessati. Con il medesimo decreto sono stabilite altresì le forme e le modalità per il coordinamento, anche in ambito internazionale, a fini informativi e operativi tra gli organismi investigativi. |
6. Quando è necessario per acquisire rilevanti elementi probatori ovvero per l'individuazione o la cattura dei responsabili dei delitti previsti dal comma 1 nonchè di quelli previsti dagli articoli 629 e 644 del codice penale, gli ufficiali di polizia giudiziaria nell'ambito delle rispettive attribuzioni possono omettere o ritardare gli atti di propria competenza, dandone immediato avviso, anche oralmente, al pubblico ministero e provvedono a trasmettere allo stesso motivato rapporto entro le successive quarantotto ore. |
6. Quando è necessario per acquisire rilevanti elementi probatori ovvero per l'individuazione o la cattura dei responsabili dei delitti previsti dal comma 1, per i delitti di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, limitatamente ai casi previsti agli articoli 73 e 74, gli ufficiali di polizia giudiziaria, nell'ambito delle rispettive attribuzioni, e le autorità doganali, limitatamente ai citati articoli 73 e 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, e successive modificazioni, possono omettere o ritardare gli atti di propria competenza, dandone immediato avviso, anche oralmente, al pubblico ministero, che può disporre diversamente, e trasmettendo allo stesso pubblico ministero motivato rapporto entro le successive quarantotto ore. Per le attività antidroga, il medesimo immediato avviso deve pervenire alla Direzione centrale per i servizi antidroga per il necessario coordinamento anche in ambito internazionale |
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6-bis. Quando è necessario per acquisire rilevanti elementi probatori, ovvero per l'individuazione o la cattura dei responsabili dei delitti di cui all'articolo 630 del codice penale, il pubblico ministero può richiedere che sia autorizzata la disposizione di beni, denaro o altra utilità per l'esecuzione di operazioni controllate per il pagamento del riscatto, indicandone le modalità. Il giudice provvede con decreto motivato. |
7. Per gli stessi motivi di cui al comma 6, il pubblico ministero può, con decreto motivato, ritardare l'esecuzione dei provvedimenti che applicano una misura cautelare, del fermo dell'indiziato di delitto, dell'ordine di esecuzione di pene detentive o del sequestro. Nei casi di urgenza, il ritardo dell'esecuzione dei predetti provvedimenti può essere disposto anche oralmente, ma il relativo decreto deve essere emesso entro le successive quarantotto ore. Il pubblico ministero impartisce alla polizia giudiziaria le disposizioni necessarie al controllo degli sviluppi dell'attività criminosa, comunicando i provvedimenti adottati all'autorità giudiziaria competente per il luogo in cui l'operazione deve concludersi ovvero attraverso il quale si prevede sia effettuato il transito in uscita dal territorio dello Stato ovvero in entrata nel territorio dello Stato delle cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere i delitti. |
7. Per gli stessi motivi di cui al comma 6, il pubblico ministero può, con decreto motivato, ritardare l'esecuzione dei provvedimenti che applicano una misura cautelare, del fermo dell'indiziato di delitto, dell'ordine di esecuzione di pene detentive o del sequestro. Nei casi di urgenza, il ritardo dell'esecuzione dei predetti provvedimenti può essere disposto anche oralmente, ma il relativo decreto deve essere emesso entro le successive quarantotto ore. Il pubblico ministero impartisce alla polizia giudiziaria le disposizioni necessarie al controllo degli sviluppi dell'attività criminosa, comunicando i provvedimenti adottati all'autorità giudiziaria competente per il luogo in cui l'operazione deve concludersi ovvero attraverso il quale si prevede sia effettuato il transito in uscita dal territorio dello Stato ovvero in entrata nel territorio dello Stato delle cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere i delitti nonché delle sostanze stupefacenti o psicotrope e di quelle di cui all'articolo 70 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni. |
8. Le comunicazioni di cui ai commi 4 e 6 ed i provvedimenti adottati dal pubblico ministero ai sensi del comma 7 sono senza ritardo trasmessi al procuratore generale presso la corte d'appello. Per i delitti indicati all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, la comunicazione è data al procuratore nazionale antimafia |
8. Le comunicazioni di cui ai commi 4, 6 e 6-bis e i provvedimenti adottati dal pubblico ministero ai sensi del comma 7 sono senza ritardo trasmessi, a cura del medesimo pubblico ministero, al procuratore generale presso la corte d'appello. Per i delitti indicati all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, la comunicazione è trasmessa al procuratore nazionale antimafia |
9. L'autorità giudiziaria può affidare il materiale o i beni sequestrati in custodia giudiziale, con facoltà d'uso, agli organi di polizia giudiziaria che ne facciano richiesta per l'impiego nelle attività di contrasto di cui al presente articolo. |
9. L'autorità giudiziaria può affidare il materiale o i beni sequestrati in custodia giudiziale, con facoltà d'uso, agli organi di polizia giudiziaria che ne facciano richiesta per l'impiego nelle attività di contrasto di cui al presente articolo ovvero per lo svolgimento dei compiti d'istituto. |
10. Chiunque, nel corso delle operazioni di cui al presente articolo, indebitamente rivela ovvero divulga i nomi degli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria che effettuano le operazioni stesse, è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da due a sei anni |
10. Chiunque indebitamente rivela ovvero divulga i nomi degli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria che effettuano le operazioni di cui al presente articolo è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da due a sei anni |
Sono abrogati: a) l'articolo 10 del decreto-legge 31 dicembre 1991, n. 419, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 1992, n. 172, e successive modificazioni; b) l'articolo 12-quater del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356; c) l'articolo 12, comma 3-septies, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286; d) l'articolo 14, comma 4, della legge 3 agosto 1998, n. 269; e) l'articolo 4 del decreto-legge 18 ottobre 2001, n. 374, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2001, n. 438; f) l'articolo 10 della legge 11 agosto 2003, n. 228.
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Sono abrogati: a) l'articolo 10 del decreto-legge 31 dicembre 1991, n. 419, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 1992, n. 172, e successive modificazioni; b) l'articolo 12-quater del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356; c) l'articolo 12, comma 3-septies, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286; d) l'articolo 14, comma 4, della legge 3 agosto 1998, n. 269; e) l'articolo 4 del decreto-legge 18 ottobre 2001, n. 374, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2001, n. 438; f) l'articolo 10 della legge 11 agosto 2003, n. 228; f-bis) l'articolo 7 del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni. |
Di seguito, viene dato conto sinteticamente delle novità apportate alla vigente disciplina dell’art. 9 della legge146/2006.
La prima modifica, introdotta al comma 1, lett. a), estende la disciplina delle indagini sottocopertura anche alle indagini per i seguenti reati:
- estorsione (art. 629 c.p.) e usura (art. 644 c.p.); attualmente il comma 6 permette solo il ritardo o l’omissione di atti di competenza al fine di ottenere elementi probatori o per individuare o catturare i responsabili di tali delitti;
- sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.); la relativa disciplina speciale è ora contenuta nel decreto-legge n. 8 del 1991 (convertito dalla legge n. 82 del 1991);
- favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (la fattispecie introdotta è quella di cui al comma 1 dell’art. 12 del TU immigrazione n. 286 del 1998 che punisce, fuori dalle ipotesi più gravi di cui al comma 3, chi promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio nazionale);
- reati in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope di cui al TU sulle droghe (DPR 309/1990); l’estensione anche a tali reati permette – a fini sistematici - di “riportare” nella disciplina-quadro di cui all’art. 9 della legge 146/2006 anche le indagini per i reati di droga attualmente regolati dalla disciplina speciale del TU del 1990 (artt. 97 e 98, acquisto simulato di droga e ritardo-omissione da parte dell’autorità giudiziaria di atti di cattura, di arresto o di sequestro);
- attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti(art. 260 del D.Lgs 152/2006) (fattispecie di reato che, inoltre, l’articolo 8 del disegno di legge in commento introduce tra i delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, c.p.p.)
La modifica alla lett. b) del comma 1 sembra avere natura di puro coordinamento (ai reati di terrorismo sono aggiunti quelli di eversione).
Con il nuovo comma 1-bis viene precisato come la causa di non punibilità si operi soltanto in presenza di attività autorizzate e documentate in base a quanto previsto dallo stesso art. 9.
La modifica al comma 2 stabilisce che i documenti di copertura debbano essere rilasciati dalle autorità competenti con le modalità stabilite dal decreto del Ministro dell’interno previsto dal comma 5.
L’integrazione al comma 3 individua nella Direzione centrale per i servizi antidroga l’autorità competente a disporre le operazioni sottocopertura in materia di attività antidroga; analoga competenza è affidata, in concerto con detta Direzione, agli organi di vertice ovvero, su loro delega, ai responsabili almeno di livello provinciale, in ragione dell’appartenenza del personale di polizia impiegato.
La Direzione centrale per i servizi antidroga è incardinata presso il Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’interno. Si tratta di un organismo interforze composto, in numero paritetico, dalle tre forze di Polizia nazionali (Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza) attraverso il quale il Capo della Polizia (Direttore Generale della Pubblica Sicurezza) attua le direttive emanate dal Ministro dell'Interno in materia di coordinamento e di pianificazione delle forze di polizia per la prevenzione e repressione del traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope. In particolare, essa: coordina le indagini delle forze di polizia sul territorio nazionale ed a livello internazionale; si pone come interlocutrice nazionale con i corrispondenti servizi delle polizie estere con contatti diretti o per il tramite dell'O.I.C.P.- INTERPOL e di U.D.E.-EUROPOL; utilizza i canali bilaterali attivati a seguito di appositi accordi e, soprattutto, la rete degli Esperti e degli Ufficiali di Collegamento antidroga dislocati nei crocevia internazionali della produzione e del traffico illecito; in base al T.U. stupefacenti, è la referente, in Italia ed all'estero, per tutte le operazioni investigative speciali (acquisto simulato di droga e consegne controllate, per le quali svolge anche attività di coordinamento internazionale).
La novella al comma 4 prevede che l’autorità che dispone le indagini sottocopertura debba dare preventiva comunicazione all’autorità giudiziaria competente per le indagini (attualmente la comunicazione va fatta al PM).
La disposizione sembrerebbe volta a trasferire dal P.M. al GIP la titolarità del diritto ad essere informato delle indagini sottocopertura; sul punto occorre un chiarimento.
Lo stesso comma 4 prevede obblighi di comunicazione immediata e dettagliata dell’esecuzione delle attività antidroga alla Direzione centrale per i servizi antidroga nonché al PM competente per le indagini.
Se necessario e se richiesto dal PM (e, per le operazioni antidroga, dalla citata Direzione centrale) è indicato il nome dell’ufficiale di polizia giudiziaria responsabile dell’operazione sottocopertura e degli ausiliari e interposte personeeventualmente impiegati.
Il comma 5 precisa che, nelle operazioni sottocopertura - oltre che degli ausiliari - gli ufficiali di polizia giudiziaria possono avvalersi sia di agenti di polizia giudiziaria sia di interposte persone; la novità di maggior rilievo della novella consiste nell’estensione a tali soggetti della causa di non punibilità.
In materia di stupefacenti, l’art. 4-terdecies del decreto-legge n. 272 del 2005 (convertito dalla legge n. 49 del 2006) novellando l’art. 97 del TU stupefacenti ha aggiunto le interposte persone tra i soggetti (insieme agli ausiliari) espressamente compresi nella scriminante.
Con riferimento alla giurisprudenza formatasi prima della novella, si richiama Cassazione penale (Sez. VI, sent. n. 6425 del 01-06-1994) che aveva precisato che ”in materia di stupefacenti, fuori dalla rigorosa e dettagliata normativa espressamente disciplinata dall'art. 97 del D.P.R. n. 309 del 1990 al fine di controllare un'attività delicatissima e soggetta ad alto rischio di inquinamento, non è consentito alcun margine interpretativo per introdurre scriminanti o cause di non punibilità per i privati collaboratori della Polizia giudiziaria”.
Il comma 6 aggiunge i “reati di droga” di cui agli artt. 73 e 74 del DPR 309/1990 (produzione, detenzione e traffico; associazione a delinquere finalizzata al traffico) tra quelli per i quali – in relazione all’acquisizione di rilevanti elementi di prova o per l’individuazione e cattura degli autori - la polizia giudiziaria, nel corso di operazioni sottocopertura, può omettere o ritardare atti d’ufficio, altrimenti obbligatori. Con riferimento a tali reati, analoga facoltà viene attribuita alle autorità doganali.
Il medesimo comma 6 prevede, per le attività antidroga, l’obbligo di immediato avviso delle operazioni alla Direzione centrale per i servizi antidroga, per il necessario coordinamento anche in ambito internazionale.
Un nuovo comma 6-bis autorizza - ove necessario per rilevanti fini probatori o per permettere l’individuazione o la cattura dei responsabili - il pagamento controllato del riscatto nei sequestri di persona a scopo di estorsione; spetta al PM chiedere la relativa autorizzazione e al giudice provvedere con decreto motivato.
La corrispondente norma contenuta nell’articolo 7, comma 1, del decreto-legge n. 8 del 1991 (L: 82/1991)[11] è conseguentemente abrogata (novella al comma 11).
L’integrazione al comma 7 estende la disciplina ivi contenuta (relativa alle comunicazioni all’autorità giudiziaria territorialmente competente da parte del P.M. dei provvedimenti adottati) anche alle comunicazioni relative alle eventuali operazioni trasfrontaliere di acquisto o vendita simulata di droga e di sostanze suscettibili di impiego per la produzione di stupefacenti.
La novella al comma 8 precisa che la comunicazione della disposizione delle operazioni sottocopertura, come dell’omissione o del ritardo di atti di competenza, di fermo di polizia, di misure cautelari personali o reali, nonché del pagamento controllato del riscatto da parte del PM debba essere data al procuratore generale della corte d’appello a cura dello stesso pubblico ministero.
Il comma 9 stabilisce che - oltre che ai fini di contrasto dei gravi reati per cui è possibile l’autorizzazione alle operazioni sottocopertura - l’autorità giudiziaria possa affidare in custodia giudiziale alla polizia giudiziaria i beni sequestrati per lo svolgimento degli ordinari compiti d’istituto.
Il comma 10 estende l’ambito di applicazione della fattispecie di reato di rivelazione o divulgazione indebita dei nomi del personale di polizia giudiziaria impegnati in operazioni sottocopertura (punito con la reclusione da due a sei anni). Essa trova applicazione al di fuori dei ristretti limiti temporali attualmente previsti relativi allo svolgimento delle suddette operazioni di polizia.
Il comma 11 dell’art. 9 riguarda infine le abrogazioni delle diverse normative di settore in materia di operazioni sottocopertura. In particolare, come accennato, tra le disposizioni abrogate, la nuova lettera f-bis) introduce l’art. 7 del DL 8/1991 (L. 82/1991), in materia di pagamento controllato del riscatto nei sequestri di persona a scopo di estorsione.
Il comma 1 dell’articolo 7 è ora confluito nel nuovo comma 6-bis dell’art. 9 della legge 146; il comma 2 contiene una disciplina transitoria; il contenuto del comma 3 è superato, in quanto, a seguito dell’inserimento dell’art. 630 c.p. nel comma 1 dell’articolo 9, per esso può trovare applicazione la disciplina di cui al comma 7 dell’art. 9, secondo la quale, nel corso delle operazioni sottocopertura, è possibile l’omissione o il ritardo di atti di competenza, altrimenti di natura obbligatoria.
Il comma 2 dell’articolo 6 in esame prevede disposizioni di coordinamento della disciplina delle operazioni sotto copertura in materia di stupefacenti con la nuova disciplina dell’art. 9 della legge 146/2006.
La lett. a) sostituisce integralmente il più volte richiamato articolo 97 del T.U. stupefacenti, prevedendo il rinvio all’art. 9 della legge 146/2006 per le attività sottocopertura in materia di operazioni antidroga.
La lettera b) abroga l’art. 98 dello stesso TU, il cui testo è ora sostanzialmente confluito nel novellato articolo 9.
La successive disposizioni mirano a garantire l’anonimato dei soggetti impegnati in attività sottocopertura, evitando così di esporli a pericolo di ritorsioni.
Il comma 3 dell’art. 6 del d.d.l. aggiunge all’art. 497 c.p.p. un comma aggiuntivo (2-bis) che permette agli agenti di polizia giudiziaria (anche di forze di polizia straniere) e agli altri soggetti impegnati in attività sottocopertura di testimoniare nei relativi processi penali utilizzando le stesse generalità di copertura.
Il successivo comma 4 dell’art. 6, novellando le disposizioni di attuazione al codice di rito penale:
- inserisce un comma 1-bis all’art. 115 che, in relazione all’annotazione dell’attività investigativa della polizia giudiziaria, stabilisce che gli ufficiali e gli agenti impegnati in operazioni sottocopertura siano indicati con le false generalità usate nelle operazioni stesse;
- interviene sull’art. 147-bis,relativo all’esame in dibattimento dei collaboratori di giustizia (ed ora, secondo la nuova rubrica, anche “degli operatori sottocopertura”). In generale, il nuovo comma 1-bis estende ai soggetti che hanno operato sottocopertura (ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, anche appartenenti ad organismi di polizia esteri, ausiliari e interposte persone) ed esaminati in dibattimento le cautele necessarie alla tutela della riservatezza, in ogni caso idonee ad evitare che il volto di tali soggetti sia visibile. La nuova lett. c-bis) introdotta nel comma 3 prescrive inoltre la regola del cd. esame a distanza per chi ha operato sottocopertura. Si segnala che su tale disposizione interviene anche l’articolo 8 del disegno di legge in commento (in materia di esame dibattimentale a distanza persone ammesse al piano provvisorio di protezione).
Art. 7
(Modifiche al codice penale)
L’articolo 7, attraverso una novella all’articolo 353, primo comma, c.p. interviene sul regime sanzionatorio del reato di Turbata libertà degli incanti, attualmente punito con la reclusione fino a due anni (e la multa da euro 103 a euro 1032):
§ introducendo il minimo edittale di sei mesi di reclusione;
§ innalzando il massimo da due a quattro anni.
L’articolo 353, primo comma, c.p. punisce con la pena sopra indicata la condotta di chi con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, impedisce o turba la gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private per conto di pubbliche amministrazioni, ovvero ne allontana gli offerenti. Il secondo comma prevede la fattispecie aggravata (punita con la reclusione da uno a cinque anni e la multa da euro 516 a euro 2065) nell’ipotesi in cui il colpevole sia persona preposta dalla legge o dall'autorità agli incanti o alle licitazioni suddette. Il terzo comma estende le medesime pene, ma ridotte della metà, al caso di licitazioni private per conto di privati, dirette da un pubblico ufficiale o da persona legalmente autorizzata.
Art. 8
(Modifiche al codice di procedura penale ed alle disposizioni di attuazione di
coordinamento e transitorie)
L’articolo 8, comma 1, novellando l’articolo 51, comma 3-bis, c.p.p., integra la lista dei procedimenti per i reati di grave allarme sociale rispetto ai quali le funzioni di P.M. sono attribuite all'ufficio del P.M. presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente. La novella inserisce il riferimento anche alle Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, punite dall’articolo 260 del cd. Codice ambientale (d.lgs. n. 152 del 2006).
Tale disposizione punisce con la reclusione da uno a sei anni la condotta di chi, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti. Se si tratta di rifiuti ad alta radioattività si applica la pena della reclusione da tre a otto anni. La medesima disposizione disciplina le pene accessorie applicabili, l’ordine da parte del giudice del ripristino dello stato dell'ambiente e la facoltà di quest’ultimo di subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all'eliminazione del danno o del pericolo per l'ambiente.
In base quindi all’articolo 70-bis dell’ordinamento giudiziario (R.D. n. 12 del 1941), anche la trattazione dei procedimenti relativi a tale delitto rientrerebbe nella competenza della direzione distrettuale antimafia (costituita dal procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto sotto la direzione del medesimo procuratore distrettuale o di un suo delegato) e, salvi casi eccezionali, il procuratore distrettuale dovrebbe designare per l'esercizio delle funzioni di pubblico ministero i magistrati addetti alla direzione.
Il comma 2, novellando l’art. 147-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, interviene in materia di esame dibattimentale a distanza dei collaboratori di giustizia.
In particolare, attraverso la sostituzione della lettera a) del comma 3, tale modalità di esame viene prevista nei confronti di persone ammesse al piano provvisorio di protezione di cui all’art. 13, comma 1, del decreto-legge n. 8 del 1991 (convertito dalla legge n. 82 del 1991) o alle speciali misure di protezione di cui ai commi 4 e 5 del medesimo articolo. A tali modalità può derogarsi esclusivamente se il giudice ritiene assolutamente necessaria la presenza della persona da esaminare.
In via generale, in base all’articolo 13, comma 1, il piano provvisorio di protezione è disposto quando risultano situazioni di particolare gravità e vi è richiesta dell'autorità legittimata a formulare la proposta; la commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione delibera anche senza formalità e comunque entro la prima seduta successiva alla richiesta Il provvedimento con il quale la commissione delibera il piano provvisorio di protezione cessa di avere effetto se, decorsi centottanta giorni, l'autorità legittimata a formulare la proposta non ha provveduto a trasmetterla e la commissione non ha deliberato sull'applicazione delle speciali misure di protezione osservando le ordinarie forme e modalità del procedimento.
Il comma 4 prevede, in particolare, che il contenuto delle speciali misure di protezione può essere rappresentato oltre che dalla predisposizione di misure di tutela da eseguire a cura degli organi di polizia territorialmente competenti, dalla predisposizione di accorgimenti tecnici di sicurezza, dall'adozione delle misure necessarie per i trasferimenti in comuni diversi da quelli di residenza, dalla previsione di interventi contingenti finalizzati ad agevolare il reinserimento sociale nonché dal ricorso, nel rispetto delle norme dell'ordinamento penitenziario, a modalità particolari di custodia in istituti ovvero di esecuzione di traduzioni e piantonamenti. Il comma 5 dispone che se la commissione centrale delibera la applicazione delle misure di protezione mediante la definizione di uno speciale programma, questo è formulato secondo criteri che tengono specifico conto delle situazioni concretamente prospettate e può comprendere, oltre alle misure richiamate nel comma 4, il trasferimento delle persone non detenute in luoghi protetti, speciali modalità di tenuta della documentazione e delle comunicazioni al servizio informatico, misure di assistenza personale ed economica, cambiamento delle generalità a norma del decreto legislativo 29 marzo 1993, n. 119, e successive modificazioni, misure atte a favorire il reinserimento sociale del collaboratore e delle altre persone sottoposte a protezione oltre che misure straordinarie eventualmente necessarie.
Nel testo attuale della lettera a), l’esame a distanza è previsto nei confronti delle persone ammesse a programmi o misure di protezione nell’ambito di un processo per taluno dei gravi delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, c.p.p. (su cui cfr. sopra) o di cui all’art. 407, comma 2, lett. a), n. 4.
Art. 9
(Coordinamenti interforze provinciali)
L’articolo 9 demanda a specifici protocolli d’intesa stipulati tra Ministro dell’interno, Ministro della giustizia e Procuratore nazionale antimafia:
§ la costituzione di coordinamenti interforze provinciali presso le direzioni distrettuali antimafia, cui partecipano rappresentanti delle Forze di polizia e della Direzione investigativa antimafia;
§ la definizione delle procedure e delle modalità operative per favorire lo scambio informativo e razionalizzare l’azione investigativa per l‘applicazione delle misure di prevenzione patrimoniale.
Viene fatto salvo il potere di proposta dei soggetti di cui all’art. 2-bis della legge n. 575 del 1965.
L’articolo 2-bis, da ultimo modificato dalla legge n. 94 del 2009 (cd. legge sicurezza), attribuisce al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto ove dimora la persona, al direttore della Direzione investigativa antimafia, al questore territorialmente competente il compito di procedere ad indagini sul tenore di vita, sulle disponibilità finanziarie e sul patrimonio dei soggetti nei cui confronti può essere proposta la misura.
Articolo 10
(Stazione unica appaltante)
L’articolo prevede l’istituzione, in ambito regionale, della Stazione unica appaltante (Sua) al fine di garantire trasparenza, regolarità ed economicità nella gestione degli appalti pubblici di lavori e servizi e prevenire, in tal modo, le infiltrazioni di natura malavitosa.
Il comma 1 prevede che le modalità per l’istituzione dell’autorità regionale dovranno essere stabilite con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro sei mesi dall’entrata in vigore del disegno di legge in esame, su proposta dei ministri dell’interno, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e trasporti, delle politiche sociali, dei rapporti con le regioni e della pubblica amministrazione e l’innovazione e previa intesa con la Conferenza unificata.
Il comma 2 precisa il contenuto del DPCM che dovrà indicare:
a) gli enti che possono aderire alla Sua;
b) le attività e i servizi svolti dalla Sua, ai sensi dell’art. 33 del d.lgs. 163/2006, cd. Codice dei contratti pubblici;
c) gli elementi essenziali delle convenzioni tra i soggetti che aderiscono alla Sua;
d) le modalità di monitoraggio e di controllo degli appalti, fermo restando le disposizioni vigenti.
La disciplina in esame richiama, nella parte in cui concentra in un’unica autorità la gestione degli appalti, quella relativa alle centrali di committenza previste dall’art. 33 del Codice dei contratti pubblici.
Si ricorda, infatti, che il Codice dei contratti pubblici ha trasposto nell’ordinamento nazionale (art. 3, comma 34 e art. 33) le norme sulle centrali di committenza previste dalla normativa europea (direttiva 2004/18/CE e direttiva 2004/17/CE). Tra gli aspetti di rilievo delle direttive va segnalata l'introduzione di organismi creati per centralizzare le committenze i quali, per essere definiti "centrali di committenza", devono soddisfare due condizioni:
a) essere amministrazioni aggiudicatrici;
b) acquistare forniture e servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici ovvero aggiudicare appalti pubblici o concludere accordi quadro di lavori, forniture, servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici.
Conseguentemente, ai sensi del citato art. 3, comma 34, del Codice dei contratti pubblici, la centrale di committenza è un'amministrazione aggiudicatrice che:
- acquista forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori;
- aggiudica appalti pubblici o conclude accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori.
L’art. 33 prevede, quindi, che le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori possono acquisire lavori, servizi e forniture facendo ricorso a centrali di committenza, anche associandosi o consorziandosi e che tali centrali sono tenute all’osservanza del codice. L’articolo dispone, inoltre, che le amministrazioni aggiudicatrici non possono affidare a soggetti pubblici o privati l’espletamento delle funzioni e delle attività di stazione appaltante di lavori pubblici. Tuttavia esse possono affidare le funzioni di stazione appaltante di lavori pubblici, sulla base di apposito disciplinare, anche alle centrali di committenza.
L’art 1, commi 455-457, della legge 296/2006 (finanziaria 2007) ha introdotto, infine, la possibilità per le regioni, anche unitamente ad altre regioni, di costituire centrali di committenza ai sensi dell’art. 33 del Codice, con il compito di stipulare convenzioni per acquisto di beni e servizi in favore di amministrazioni locali, ASL e tutte le altre amministrazioni con sede nel territorio[12].
Le centrali di committenza rappresentano, pertanto, uno strumento di centralizzazione degli acquisti in modo da evitare l’atomizzazione delle procedure ed ottenere, su acquisti di maggiori dimensioni, risparmi sia in termini di prezzi che di costi di gestione della procedura (per personale, pubblicazioni e contenzioso).
Si fa presente, infine, che la Sua è stata già istituita dalla regione Calabria e che essa è già operativa.
La legge della regione Calabria sulla Sua
La regione Calabria è stata la prima regione ad adottare un sistema centralizzato degli appalti per contrastare le infiltrazioni di natura malavitosa ed il ripetersi di fenomeni di corruzione.
Essa ha, infatti, provveduto ad istituire la Stazione unica appaltante (Sua) con la legge regionale n. 26 del 7 dicembre 2007 recante Istituzione dell'autorità regionale denominata "Stazione Unica Appaltante" e disciplina della trasparenza in materia di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture.
La regione Calabria ha, in tal modo, delegato alla Sua le proprie competenze in materia di appalti e forniture al di sopra della soglia di 150 mila euro[13], con l’obiettivo, non solo di concentrare la spesa sul modello delle centrali di committenza, ma anche di liberare l’amministrazione regionale di funzioni che riguardano gli appalti garantendo, in tal modo, la correttezza, trasparenza ed efficienza della gestione dei contratti pubblici e conseguentemente, un maggior controllo dell’illegalità.
La Sua, quale Autorità regionale, ha il compito di svolgere attività preparatoria, di indizione, di aggiudicazione e di vigilanza nella materia dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture a favore della regione, degli enti, aziende ed organismi da essa dipendenti, vigilati o ad essa collegati e degli enti del servizio sanitario regionale e di certificare la qualità, nonché di istituire un osservatorio regionale.
L’autorità opera con piena indipendenza funzionale, di giudizio e di valutazione, nonché in regime di autonomia organizzativa e contabile, dotandosi di propri regolamenti che stabiliscono la composizione degli uffici operativi.
La Sua è articolata in tre settori, quello amministrativo, tecnico e dell'osservatorio dei contratti pubblici, a loro volta guidati da tre dirigenti, equiparati a dirigenti regionali di settore. Tale sistema è in relazione con l’autorità di vigilanza sui contratti pubblici nazionale, cui la legge impone, inoltre, anche un’attività di coordinamento con il ministero dell’Interno e le strutture periferiche. Il nuovo organismo si finanzia con l’1% riferito all’importo a base d’asta.
Il quadro normativo interno è stato quindi definito e completato con l’approvazione dei seguenti atti: il regolamento di organizzazione[14] previsto dall’art. 2 della citata legge regionale n. 26 e adottato con deliberazione della Giunta regionale n. 142 del 31 marzo 2009, nonché i regolamenti “interni” delle tre Sezioni.
Le attività della Sua sono entrate a regime a partire da gennaio 2010, almeno per quanto riguarda la gestione delle procedure di gara per gli enti del servizio sanitario e, a far data da 31 maggio 2010, diventerà operativo per gli altri soggetti.
Come funziona la Sua
La proceduralizzazione operativa del rapporto della Sua con i soggetti obbligati a ricorre ad essa per l’affidamento di contratti pubblici è dettagliata nel citato regolamento di organizzazione, ma già la legge regionale n. 26 specifica le modalità operative.
Il soggetto obbligato a ricorrere alla Sua (per appalti superiori a 150 mila euro a base d’asta), nel momento in cui delibera di procedere all’affidamento, trasferisce la documentazione tecnica per tale affidamento del contratto alla Sua che ha il compito di verificare la conformità e l’adeguatezza dei documenti anche tecnici inviati.
Stante l’attuale legge, la Sua non ha un potere di verificare se effettivamente l’affidamento risponda ad esigenze reali, ma è previsto un controllo indiretto da parte dell’osservatorio dei contratti pubblici. La legge prevede, infatti, l’obbligo per i soggetti indicati di ricorrere per le procedure di affidamento alla Sua, affidando in capo al settore osservatorio il controllo e la verifica, dal momento della programmazione dell’attività fino al collaudo, di tutti gli enti soggetti della stazione appaltante operanti nella regione Calabria. Ciò, del resto, è già è previsto dalla legislazione nazionale, ovvero dal d.lgs. 163/2006, il quale prevede (art. 7, comma 9) sezioni regionali dell’osservatorio nazionale che svolgono tale attività di monitoraggio su tutta l’attività di contratti pubblici.
La Sua, pertanto, gestisce l’affidamento del contratto fino alla scelta del contraente, e riconsegna i documenti al soggetto obbligato che, da quel momento, può firmare il contratto e procedere. Successivamente, attraverso l’osservatorio, la Sua controlla l’esecuzione, in tal senso la legge regionale aggiunge diversi compiti di verifica a quelli già stabiliti dal Codice dei contratti e dall’autorità di vigilanza sui contratti pubblici nazionale, in tema di sicurezza, e di finanziamenti regionali, prevedendo eventualmente anche la revoca di finanziamenti di opere o contratti finanziati dalla Regione, qualora l’osservatorio individui illeciti o anomalie nella gestione operativa del contratto. La definizione dettagliata e formale di tali aspetti è contenuta nel regolamento di organizzazione della Sua.
Si ricorda che anche a Caserta è stata istituita la Stazione unica appaltante provinciale (Saup)con una convenzione firmata il 28 luglio 2009 tra il Ministro dell’interno, il prefetto, il commissario straordinario della provincia, il sindaco di Caserta e otto comuni del casertano. Nel mese di ottobre hanno aderito anche altri ventinove comuni, oltre all’IACP. Con la deliberazione n. 148CS, adottata dal Commissario straordinario il 29 settembre 2009, la Saup è stata dotata di un regolamento per definire le modalità operative per il suo funzionamento. Si ricorda che sono diversi – rispetto alla legge regionale della Calabria – gli importi degli appalti da devolvere alla Saup: appalti di lavori superiori a 250.000 euro e di servizi e forniture superiori a 50.000 euro. Il comune di Caserta ha ottenuto un trattamento diversificato: appalti di lavori superiori a 500.000 euro e appalti di servizi e forniture superiori a 206.000 euro.
Art. 11
(Modifica alla disciplina in materia di ricorso avverso la revoca dei programmi
di protezione)
L’articolo 11, comma 1, interviene in materia di ricorsi giurisdizionali avverso i provvedimenti di modifica o revoca delle speciali misure di protezione di coloro che collaborano con la giustizia (anche urgenti o provvisorie) adottati dalla Commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione.
La disposizione novella l’articolo 10, comma 2-septies, del decreto-legge n. 8 del 1991, che, nel suo testo attuale, prevede la sospensione del provvedimento di modifica o revoca delle misure:
§ nel termine entro cui può essere proposto il ricorso giurisdizionale;
§ in pendenza del medesimo ricorso.
Tale sospensione opera sino a contraria determinazione del giudice in sede cautelare o di merito.
Il precedente comma 2-sexies prevede invece un’efficacia non superiore a sei mesi dell'ordinanza di sospensione cautelare emessa, nei confronti dei medesimi provvedimenti, ai sensi dell'articolo 21 della legge n. 1034 del 1971 (che disciplina l’adozione di misure cautelari da parte del TAR se il ricorrente allega un pregiudizio grave e irreparabile derivante dall'esecuzione dell'atto impugnato) o dell'articolo 36 del regio decreto n. 642 del 1907 (che disciplina le domande innanzi al Consiglio di stato di sospensione dell’esecuzione dell'atto amministrativo, non proposte nel ricorso). La medesima disposizione prevede un iter accelerato (udienza entro quattro mesi e termini processuali ridotti della metà) per la discussione di merito del ricorso.
La novella conferma la sospensione del provvedimento di modifica o revoca della misura nel termine per la proposizione del ricorso giurisdizionale, ma non anche per il periodo di pendenza del medesimo, limitando l’operatività della sospensione al periodo di pendenza della decisione relativa all’eventuale richiesta di sospensione ai sensi dei sopra richiamati articolo 21 della legge TAR e 36 del R.D. n. 642 del 1907.
La relazione illustrativa spiega che la modifica è volta ad escludere la sospensiva automatica in caso di ricorso al giudice amministrativo avverso la revoca del programma di protezione nei confronti dei collaboratori di giustizia.
Il comma 2 novella l’articolo 16-ter, comma 1, del medesimo decreto-legge n. 8 del 1991, relativo al contenuto delle speciali misure di protezione nei confronti dei testimoni di giustizia.
In base al precedente articolo 16-bis si tratta di coloro che assumono rispetto al fatto o ai fatti delittuosi in ordine ai quali rendono le dichiarazioni esclusivamente la qualità di persona offesa dal reato, ovvero di persona informata sui fatti o di testimone. Le speciali misure di protezione si applicano, se ritenute necessarie, a coloro che coabitano o convivono stabilmente con tali persone, nonché, ricorrendone le condizioni, a chi risulti esposto a grave, attuale e concreto pericolo a causa delle relazioni trattenute con le medesime persone.
Tra tali misure, in particolare la lettera e) prevede la corresponsione di una somma a titolo di mancato guadagno, concordata con la commissione, derivante dalla cessazione dell'attività lavorativa propria e dei familiari nella località di provenienza, sempre che tali soggetti non abbiano ricevuto un risarcimento al medesimo titolo, ai sensi della legge 23 febbraio 1999, n. 44.
Si tratta della legge istitutiva del Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive. Con l’articolo 51, comma 1, della legge finanziaria 2002 (L. n. 448/2001), che ha introdotto nella legge n. 44 l’art. 18-bis, è stata disposta l’unificazione del Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive al Fondo di solidarietà per le vittime dell’usura ed è stato stabilito che tale Fondo unificato sia surrogato per le somme da esso corrisposte agli aventi titolo, nei diritti di questi ultimi verso i responsabili dei danni. Il diritto di surroga è esercitato dalla CONSAP, che gestisce il Fondo per conto del Ministero dell’interno, sulla base di apposita concessione. Le somme recuperate attraverso la surroga di ognuno dei due fondi unificati sono versate dal concessionario in conto entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate sul capitolo di spesa dello stato di previsione del Ministero dell’interno, riguardante il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura.
La novella aggiunge alla lettera e) due periodi aggiuntivi che rispettivamente prevedono:
§ l’applicazione, nei limiti della compatibilità, dell’articolo 13 della legge n. 44 del 1999, relativo alle modalità e termini per la domanda per la concessione dell’elargizione.
Tale disposizione prevede la presentazione della domanda da parte dell’interessato ovvero, con il consenso di questi, dal consiglio nazionale del relativo ordine professionale o da una delle associazioni nazionali di categoria rappresentate nel Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL), nonché da parte di uno dei soggetti di cui all'articolo 8, comma 1 (che individua i superstiti cui spetta l’elargizione), ovvero, per il tramite del legale rappresentante e con il consenso dell'interessato, da associazioni od organizzazioni iscritte in apposito elenco tenuto a cura del prefetto ed aventi tra i propri scopi quello di prestare assistenza e solidarietà a soggetti danneggiati da attività estorsive (le condizioni ed i requisiti per l'iscrizione nell'elenco e le modalità per la relativa tenuta sono disciplinati dal D.M. 24 ottobre 2007, n. 220). La domanda deve essere presentata, a pena di decadenza, entro il termine di centoventi giorni dalla data della denuncia ovvero dalla data in cui l'interessato ha conoscenza che dalle indagini preliminari sono emersi elementi atti a far ritenere che l'evento lesivo consegue a delitto commesso per le finalità indicate negli articoli precedenti. Per i danni conseguenti a intimidazione anche ambientale, la domanda deve essere presentata, a pena di decadenza, entro il termine di un anno dalla data in cui hanno avuto inizio le richieste estorsive o nella quale l'interessato è stato per la prima volta oggetto della violenza o minaccia. Tali termini sono sospesi nel caso in cui, sussistendo un attuale e concreto pericolo di atti di ritorsione, il pubblico ministero abbia disposto, con decreto motivato, le necessarie cautele per assicurare la riservatezza dell'identità del soggetto che dichiara di essere vittima dell'evento lesivo o delle richieste estorsive. I predetti termini riprendono a decorrere dalla data in cui il decreto adottato dal pubblico ministero è revocato o perde comunque efficacia. Quando è adottato dal pubblico ministero decreto motivato per le finalità suindicate è omessa la menzione delle generalità del denunciante nella documentazione da acquisire ai fascicoli formati ai sensi degli articoli 408, comma 1, e 416, comma 2, del codice di procedura penale, fino al provvedimento che dispone il giudizio o che definisce il procedimento.
§ per le somme corrisposte al testimone di giustizia a titolo di mancato guadagno, la surroga del Dipartimento della pubblica sicurezza nei diritti verso i responsabili dei danni. Le somme recuperate sono versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate al Ministero dell’interno in deroga all’articolo 2, commi 615, 616 e 617, della legge finanziaria 2008 (legge n. 244 del 2007).
Tali disposizioni prevedono che, a decorrere dal 2008, non si dà luogo alle iscrizioni di stanziamenti negli stati di previsione dei Ministeri in correlazione a versamenti di somme all’entrata del bilancio dello Stato autorizzate dai provvedimenti legislativi indicati nell’elenco n. 1 allegato alla legge finanziaria e dispongono l’istituzione negli stati di previsione dei Ministeri di appositi fondi da ripartire, con decreti del Ministro competente, nel rispetto delle finalità stabilite dalle stesse disposizioni legislative. L’utilizzazione dei fondi è effettuata dal Ministro competente, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, in considerazione dell’andamento delle entrate versate e la loro dotazione è annualmente rideterminata in base all’andamento dei versamenti riassegnabili effettuati entro il 31 dicembre dei due esercizi precedenti in modo da assicurare in ciascun anno un risparmio in termini di indebitamento pari a 300 milioni di euro.
Articolo 12
(Modifiche alla legge istitutiva della Direzione investigativa antimafia)
L’articolo 12, novellando il decreto-legge n. 345 del 1991 (convertito dalla legge n. 410 del 1991), interviene sulla composizione del Consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata.
Tale organismo è istituito presso il Ministero dell'interno ed è presieduto dal Ministro dell'interno quale responsabile dell'alta direzione e del coordinamento in materia di ordine e sicurezza pubblica.
Il Consiglio è composto:
a) dal Capo della polizia - Direttore generale della pubblica sicurezza;
b) dal Comandante generale dell'Arma dei carabinieri;
c) dal Comandante generale del Corpo della guardia di finanza;
d) dall'Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa;
e) dal Direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica;
f) dal Direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare.
I Compiti del Consiglio sono individuati nei seguenti: a) definire e adeguare gli indirizzi per le linee di prevenzione anticrimine e per le attività investigative, determinando la ripartizione dei compiti tra le forze di polizia per aree, settori di attività e tipologia dei fenomeni criminali, tenuto conto dei servizi affidati ai relativi uffici e strutture, e in primo luogo a quelli a carattere interforze, operanti a livello centrale e territoriale; b) individuare le risorse, i mezzi e le attrezzature occorrenti al funzionamento dei servizi e a fissarne i criteri per razionalizzarne l'impiego; c) verificare periodicamente i risultati conseguiti in relazione agli obiettivi strategici delineati e alle direttive impartite, proponendo, ove occorra, l'adozione dei provvedimenti atti a rimuovere carenze e disfunzioni e ad accertare responsabilità e inadempienze; d) concorrere a determinare le direttive per lo svolgimento delle attività di coordinamento e di controllo da parte dei prefetti dei capoluoghi di regione, nell'ambito dei poteri delegati agli stessi.
Attraverso la novella al comma 1:
§ vengono aggiornati i riferimenti al Direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica e al Direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare con quelli al Direttore dell’Agenzia informazioni e sicurezza interna e al Direttore dell’Agenzia informazioni e sicurezza esterna;
Si ricorda al riguardo che con la legge di riforma del sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica (legge 3 agosto 2007, n. 124) il Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica (SISDE) ed il Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI) sono stati sostituiti dall’Agenzia informazioni e sicurezza interna (AISI) e dall’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE).
§ viene eliminato il riferimento all'Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa (istituito dal decreto-legge n. 629 del 1982).
Si ricorda che in base all’art. 2, comma 2-quater, del medesimo d.l. n. 345 del 1991, l'Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa svolgeva le funzioni previste dalla normativa vigente fino al 31 dicembre 1992. A decorrere dal giorno successivo alla cessazione di dette funzioni, le competenze venivano attribuite al Ministro dell'interno con facoltà di delega nei confronti dei prefetti e del Direttore della Direzione investigativa antimafia, nonché nei confronti di altri organi e uffici dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, secondo criteri che tenessero conto delle competenze attribuite dalla normativa vigente ai medesimi organi, uffici e autorità (salvo per talune competenze, attribuite al Capo della polizia-Direttore generale della pubblica sicurezza).
§ viene inserito nell’organismo il direttore della DIA.
La novella al comma 3 è volta esclusivamente ad esplicitare il riferimento alla Direzione investigativa antimafia di cui all’articolo 3.
Articolo 13
(Clausola di invarianza finanziaria)
L’articolo 13 prevede che dall’attuazione della legge non derivino nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.
[1] Il decreto legislativo è stato da ultimo modificato dalla legge n. 94 del 2009, che ha previsto che il prefetto, per l’espletamento delle funzioni volte a prevenire infiltrazioni mafiose nei pubblici appalti, può disporre accessi ed accertamenti nei cantieri delle imprese interessate all’esecuzione di lavori pubblici, demandando ad un regolamento, non ancora emanato, la definizione delle modalità di rilascio delle comunicazioni e delle informazioni riguardanti gli accessi e gli accertamenti effettuati presso tali cantieri.
[2] Recante interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 24 giugno 2009, n. 77.
[3] Decreto legislativo 21 novembre 2007, recante Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonchè della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione.
[4] Recante Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166.
[5] Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazione alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia.
[6] Il D. Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 ha attuato la direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, nonché la direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione. E’ successivamente intervenuto, a integrazione della disciplina, il D. Lgs. 25 settembre 2007, n. 151.
[7] D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, recante Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto.
[8] D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, recante Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi.
[9] Legge 16 marzo 2006, n. 146, recante Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale
[10] Il riferimento ai delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis c.p.p è ai delitti di grave allarme sociale previsti dal codice penale, agli articoli 416, sesto comma (associazione per delinquere finalizzata alla tratta o alla riduzione e mantenimento in schiavitù o servitù o all’acquisto e vendita di schiavi), 600 (riduzione e mantenimento in schiavitù o servitù), 601 (tratta di persone), 602 (acquisto e vendita di schiavi), 416-bis (associazione mafiosa), 630 (sequestro di persona a scopo di estorsione) 473 (contraffazione, alterazione o uso di marchio segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni) e 474 (introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi); ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni d’intimidazione previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni mafiose, nonché dei delitti previsti dall'articolo 74 del DPR 309/1990 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope) e dall'articolo 291-quater del DPR 43/1973 (TU doganale) (associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri). Su tale disposizione interviene l’articolo 8 del disegno di legge in commento per inserirvi anche il reato di Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 260 del cd. Codice ambientale).
[11] Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonché per la protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia.
[12] Con l’art. 19 dell’AC 1441-bis “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, poi stralciato, era stata prevista un’articolata disciplina delle procedure gestite dalle centrali di committenza regionali che andava ad integrare le norme di cui al citato art. 33.
[13] Importo previsto dalla normativa nazionale, art. 7, comma 8, del d.lgs. 163/2006, c. Codice dei contratti pubblici, oltre il quale concorre l’obbligo di comunicazione dei dati sugli appalti per le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori, all’Osservatorio dei contratti pubblici.