Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Misure contro la durata indeterminata dei processi - A.C. 3137 (Schede di lettura e riferimenti normativi)
Riferimenti:
AC N. 3137/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 277
Data: 27/01/2010
Descrittori:
PROCESSO PENALE   TERMINI NEL PROCESSO PENALE
Organi della Camera: II-Giustizia
Altri riferimenti:
AS N. 1880/XVI     

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Misure contro la durata
indeterminata dei processi

A.C. 3137

Schede di lettura e riferimenti normativi

 

 

 

 

 

 

n. 277

 

 

 

27 gennaio 2010

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Giustizia

( 066760-9148 – * st_giustizia@camera.it

 

 

 

 

 

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File: GI0296.doc

 


INDICE

Schede di lettura

§      Art. 1. (Modifiche alla legge 24 marzo 2001, n. 89)3

§      Art. 2. (Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica  30 maggio 2002, n. 115)15

§      Art. 3. (Norma di interpretazione autentica)16

§      Art. 4. (Ragionevole durata del giudizio di responsabilità contabile)18

§      Art. 5. (Estinzione del processo per violazione dei termini di durata ragionevole)21

§      Art. 6. (Modifica dell'articolo 23 del codice di procedura penale)29

§      Art. 7. (Clausola di monitoraggio)31

§      Art. 8. (Modifica al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231)32

§      Art. 9.  (Disposizioni transitorie)33

§      Art. 10. (Entrata in vigore)37

Riferimenti normativi

§      Costituzione della Repubblica Italiana (artt. 81 e 111)41

§      Codice di Procedura Civile (artt. 91-98, 100, 125, 163-bis, 737-742-bis)45

§      Disposizioni per l'attuazione del c.p.c. e disposizioni transitorie. (art. 81-bis)53

§      Codice Penale (artt. 51 e 157)54

§      Codice di Procedura Penale (artt. 11, 12, 23, 75, 129, 405, 469, 516, 517, 518, 583, 649)57

§      R.D. 12 luglio 1934 n. 1214. Approvazione del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti (art. 4)65

§      L. 24 marzo 2001, n. 89 (1). Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell' articolo 375 del codice di procedura civile (art. 2 e 3)66

§      D.Lgs. 8 giugno 2001 n. 231. Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della L. 29 settembre 2000, n. 300 (art. 34)68

§      D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)  (art. 10 e 23)69

§      D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5. Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della L. 3 ottobre 2001, n. 366 (art. 8)71

§      L. 31 luglio 2006 n. 241. Concessione di indulto (art. 1)74

§      D.L. 23 maggio 2008 n. 92,  convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 24 luglio 2008, n. 12 Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica (art. 2-ter)77

§      D.L. 1 luglio 2009 n. 78,  Convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 3 agosto 2009, n. 102 Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini (art. 17, co. 30-ter)79

§      L. 31 dicembre 2009 n. 196. Legge di contabilità e finanza pubblica (art. 17)80

Giurisprudenza costituzionale

§      Sentenza n. 393 del 2006  87

§      Sentenza n. 324 del 2008  95

Documentazione

Consiglio d’Europa

§      Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo  e delle Libertà fondamentali, emendata dal Protocollo n. 11 Roma, 4 novembre 1950 (art. 6)121

Consiglio Superiore della Magistratura

§      Parere sul disegno di legge n. 1880/S recante «Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell'art. 111 della Costituzione e dell'art. 6 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo».  (Delibera del 14 dicembre 2009)125

Camera dei Deputati

§      Seduta del 19 novembre 2010 (Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata sugli effetti sul sistema giudiziario delle norme contenute nel disegno di legge sul cosiddetto ‘’processo breve’’)157

 


Schede di lettura

 


 

Art. 1.
(Modifiche alla legge 24 marzo 2001, n. 89)

1. All'articolo 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, le parole: «Chi ha subìto» sono sostituite dalle seguenti: «In attuazione dell'articolo 111, secondo comma, della Costituzione, la parte che ha subìto»;

b) dopo il comma 3, sono aggiunti, in fine, i seguenti:

«3-bis. Ai fini del computo del periodo di cui al comma 3, il processo si considera iniziato, in ciascun grado, alla data di deposito del ricorso introduttivo del giudizio o dell'udienza di comparizione indicata nell'atto di citazione, ovvero alla data del deposito dell'istanza di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, ove applicabile, e termina con la pubblicazione della decisione che definisce lo stesso grado. Il processo penale si considera iniziato alla data di assunzione della qualità di imputato. Non rilevano, agli stessi fini, i periodi conseguenti ai rinvii del procedimento richiesti o consentiti dalla parte, nel limite di novanta giorni ciascuno.

3-ter. Non sono considerati irragionevoli, nel computo del periodo di cui al comma 3, i periodi che non eccedono la durata di due anni per il primo grado, di due anni per il grado di appello e di ulteriori due anni per il giudizio di legittimità, nonché di un altro anno per ogni successivo grado di giudizio nel caso di giudizio di rinvio. Il giudice, in applicazione dei parametri di cui al comma 2, può aumentare fino alla metà i termini di cui al presente comma.

 3-quater. Nella liquidazione dell'indennizzo, il giudice tiene conto del valore della domanda proposta o accolta nel procedimento nel quale si assume verificata la violazione di cui al comma 1. L'indennizzo è ridotto ad un quarto quando il procedimento cui la domanda di equa riparazione si riferisce è stato definito con il rigetto delle richieste del ricorrente, ovvero quando ne è evidente l'infondatezza.

3-quinquies. In ordine alla domanda di equa riparazione di cui all'articolo 3, si considera priva di interesse, ai sensi dell'articolo 100 del codice di procedura civile, la parte che, nel giudizio in cui si assume essersi verificata la violazione di cui al comma 1, non ha presentato, nell'ultimo semestre anteriore alla scadenza dei termini di cui al primo periodo del comma 3-ter, una espressa richiesta al giudice procedente di sollecita definizione del giudizio entro i predetti termini, o comunque quanto prima, ai sensi e per gli effetti della presente legge. Se la richiesta è formulata dopo la scadenza dei termini di cui al comma 3-bis, l'interesse ad agire si considera sussistente limitatamente al periodo successivo alla sua presentazione. Nel processo davanti alle giurisdizioni amministrativa e contabile è sufficiente il deposito di nuova istanza di fissazione dell'udienza, con espressa dichiarazione che essa è formulata ai sensi della presente legge. Negli altri casi, la richiesta è formulata con apposita istanza, depositata nella cancelleria o segreteria del giudice procedente.

3-sexies. Il giudice procedente e il capo dell'ufficio giudiziario sono avvisati senza ritardo del deposito dell'istanza di cui al comma 3-quinquies. A decorrere dalla data del deposito, il processo civile è trattato prioritariamente ai sensi degli articoli 81, secondo comma, e 83 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, con esclusione della deroga prevista dall'articolo 81, secondo comma, e di quella di cui all'articolo 115, secondo comma, delle medesime disposizioni di attuazione; nei processi penali si applica la disciplina dei procedimenti relativi agli imputati in stato di custodia cautelare; nei processi amministrativi e contabili l'udienza di discussione è fissata entro novanta giorni. Salvo che nei processi penali, la motivazione della sentenza che definisce il giudizio è limitata ad una concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione si fonda. Il capo dell'ufficio giudiziario vigila sull'effettivo rispetto di tutti i termini acceleratori fissati dalla legge».

2. L'articolo 3 della legge 24 marzo 2001, n. 89, è sostituito dal seguente:

«Art. 3. - (Procedimento). - 1. La domanda di equa riparazione si propone al presidente della corte di appello del distretto in cui ha sede il giudice competente, ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale, a giudicare nei procedimenti riguardanti i magistrati nel cui distretto è concluso o estinto relativamente ai gradi di merito ovvero pende il procedimento per il quale si assume verificata la violazione.

2. La domanda è proposta dall'interessato o da un suo procuratore speciale, senza ministero di difensore, con ricorso depositato nella cancelleria della corte di appello. Il ricorso deve contenere l'indicazione del domicilio presso cui ricevere le comunicazioni anche in ordine al pagamento dell'eventuale indennizzo, nonché l'indicazione dell'ufficio giudiziario e del numero del procedimento cui la domanda di equa riparazione si riferisce. Al ricorso è allegata copia dell'atto introduttivo del procedimento, dei relativi verbali e dell'eventuale provvedimento con cui esso è stato definito. Se il ricorso è dichiarato inammissibile, la domanda può essere riproposta fino alla scadenza del termine di cui all'articolo 4.

3. Il ricorso è proposto nei confronti del Ministro della giustizia quando si tratta di procedimenti del giudice ordinario, del Ministro della difesa quando si tratta di procedimenti del giudice militare. Negli altri casi è proposto nei confronti del Ministro dell'economia e delle finanze.

 4. Il presidente della corte di appello, o un magistrato della corte a tal fine designato, provvede sulla domanda di equa riparazione con decreto motivato da emettere entro quattro mesi dal deposito del ricorso, previa eventuale acquisizione d'ufficio degli ulteriori elementi di valutazione ritenuti indispensabili. Se accoglie il ricorso, il giudice ingiunge all'amministrazione di pagare la somma liquidata a titolo di equa riparazione. Il decreto è notificato, a cura del ricorrente, all'amministrazione convenuta che, nei successivi centoventi giorni, effettua il pagamento della somma ingiunta, salvo quanto previsto dal comma 6.

5. Contro il decreto che ha deciso sulla domanda di equa riparazione può essere proposta opposizione nel termine perentorio di sessanta giorni. Il termine decorre dalla comunicazione del provvedimento al ricorrente ovvero dalla sua notificazione all'amministrazione ingiunta. L'opposizione si propone con ricorso depositato nella cancelleria della corte di appello, sottoscritto da un difensore munito di procura speciale e contenente gli elementi di cui all'articolo 125 del codice di procedura civile. La corte di appello provvede ai sensi degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, è notificato, a cura dell'opponente, nel domicilio eletto ai sensi del comma 2 ovvero presso l'Avvocatura dello Stato. Tra la data della notificazione e quella dell'udienza deve intercorrere un termine non inferiore a quindici giorni. Sono ammessi il deposito di memorie e la produzione di documenti entro il termine fissato dalla corte, non oltre cinque giorni prima della data dell'udienza.

6. La corte di appello, su istanza di parte, può sospendere in tutto o in parte l'esecuzione del decreto per gravi motivi.

7. La corte pronuncia, entro quattro mesi dal deposito dell'opposizione, decreto motivato e immediatamente esecutivo con cui conferma, modifica o revoca il provvedimento opposto. Il decreto è impugnabile per cassazione. La corte provvede sulle spese ai sensi degli articoli 91 e seguenti del codice di procedura civile. Se l'opposto non si costituisce e l'opposizione è respinta, il giudice condanna d'ufficio l'opponente al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma equitativamente determinata, non inferiore a 1.000 euro e non superiore a 20.000 euro».

3. In sede di prima applicazione delle disposizioni di cui al comma 1, nei giudizi pendenti in cui sono già decorsi i termini di cui all'articolo 2, comma 3-ter, della legge n. 89 del 2001, introdotto dal comma 1, lettera b), del presente articolo, l'istanza di cui al comma 3-quinquies del citato articolo 2 è depositata entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.

4. Alle domande di equa riparazione proposte anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge e per le quali alla stessa data non è stato ancora emanato il decreto di fissazione dell'udienza in camera di consiglio prevista dalla disciplina anteriormente vigente, si applica il procedimento di cui ai commi 4 e seguenti dell'articolo 3 della legge n. 89 del 2001, come sostituito dal comma 2 del presente articolo. Se l'udienza in camera di consiglio è già stata fissata, il procedimento resta disciplinato dalla normativa anteriormente vigente.

 

 

 

L’articolo 1 novella la legge 24 marzo 2001 n. 89 (cd. legge Pinto), che disciplina le procedure di equo indennizzo nel caso di violazione del diritto alla ragionevole durata del processo.

L'articolo apporta modifiche agli articoli 2 e 3 della legge Pinto con l’obiettivo di rendere più certi i presupposti, la procedura e la quantificazione dell’equo indennizzo, nel quadro di un generale contenimento degli effetti, anche economici, derivanti dalla eccessiva durata dei processi.

 

Misure in parte corrispondenti a quelle contenute nell’articolo 1 in esame si trovano nel disegno di legge governativo in materia di procedimento penale - A.S. 1440 (art. 23), attualmente all’esame della Commissione giustizia del Senato.

 

L’articolo 1 del progetto di leggeprevede, in particolare, che la domanda di equa riparazione sia subordinata a una specifica istanza di sollecitazione nel giudizio in cui si assume essersi verificato il mancato rispetto del termine ragionevole;tale istanza deve essere presentata nel processo entro sei mesi dalla scadenza dei nuovi termini indicati dal nuovo comma 3-ter, finalizzati a definire la “non irragionevole durata”.

Dopo la presentazione dell'istanza di sollecitazione, i processi si svolgeranno con l'applicazione di un rito più celere attraverso l’applicazione di già vigenti disposizioni acceleratorie, sul cui rispetto i capi degli uffici giudiziari sono incaricati di vigilare. La sentenza che definisce il giudizio potrà, tra l’altro, essere succintamente motivata (con esclusione delle sentenze penali, per le quali la motivazione dovrà farsi secondo le forme ordinarie).

 

Nello specifico, il comma 1 (che consta delle lettere a) e b) modifica l'art. 2 della legge 89/2001.

 

Tale disposizione stabilisce il diritto all'equa riparazione in favore di chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (ratificata dalla legge n. 848/1955) sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole del processo di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione (comma 1).

Nell'accertare la violazione il giudice considera la complessità del caso e, in relazione alla stessa, il comportamento delle parti e del giudice del procedimento, nonché quello di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o a comunque contribuire alla sua definizione (comma 2).

Il giudice determina la riparazione a norma dell'art. 2056 del codice civile, osservando le disposizioni seguenti:

a) rileva solamente il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di cui al comma 1;

b) il danno non patrimoniale è riparato, oltre che con il pagamento di una somma di denaro, anche attraverso adeguate forme di pubblicità della dichiarazione dell'avvenuta violazione (comma 3).

 

La lettera a) riformula il comma 1 introducendo il riferimento all’attuazione dell’articolo 111, secondo comma, della Costituzione, relativo al giusto processo, che esplicitamente prevede il diritto alla ragionevole durata del procedimento.

 

La lettera b) dell'art. 1 aggiunge 5 nuovi commi dopo il comma 3 dell'art. 2 della l. n. 89/2001 (commi da 3-bis a 3-sexies).

Il nuovo comma 3-bis fissa il momento del processo da cui decorre il computo del termine ragionevole di durata.

Questo dies a quo ovvero il momento nel quale il processo si considera iniziato è individuato:

§         nel processo penale alla data di assunzione della qualità di imputato ovvero, ex art. 60 c.p.p., dalla data della richiesta di rinvio a giudizio, di giudizio immediato o di decreto penale di condanna, di richiesta di applicazione della pena nel corso delle indagini preliminari (art. 447 c.c.p.), di decreto di citazione diretta a giudizio, di giudizio direttissimo. Sono irrilevanti, ai fini della durata, gli eventuali periodi di rinvio richiesti o consentiti dalla parte nel limite di 90 giorni;

§         negli altri procedimenti, in ogni grado, dalla data di deposito del ricorso introduttivo del giudizio o dalla data dell’udienza di comparizione indicata nell’atto di citazione (a seconda se il processo inizi con ricorso o con citazione) mentre nelle controversie per le quali si applica il c.d. rito societario[1], il dies a quo è individuato nella presentazione dell'istanza di fissazione di udienza;

 

Il termine finale per calcolare la durata nel singolo grado di giudizio termina con la pubblicazione della sentenza che definisce lo stesso grado.

 

Il nuovo comma 3-ter stabilisce una presunzione legale di non irragionevole durata dei processi nei quali ciascun grado di giudizio (primo grado, secondo grado e cassazione) si sia protratto per un periodo non superiore a 2 anni (un anno per ogni grado del giudizio di rinvio). Non si tratta di una presunzione assoluta, in quanto il giudice che decide sulla domanda di equa riparazione (la Corte d’appello) potrà aumentare il termine fino alla metà nei casi di complessità del caso e valutato il comportamento delle parti private e del giudice.

Con specifico riferimento al processo penale, nel testo trasmesso dal Senato (a differenza del testo originario della proposta di legge) non v’è coincidenza tra i termini di ragionevole durata del processo e i “termini di fase”, il cui inutile decorso produce l’estinzione del processo. Analoghe considerazioni vanno fatte per i termini di ragionevole durata del processo contabile disciplinati dall’articolo 4.

 

Nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (che registra moltissime condanne nei confronti dell'Italia) non si individuano limiti temporali rigidi alla durata del processo. Piuttosto, nel valutare la durata del processo, la Corte prende in considerazione una serie di parametri: la complessità del giudizio; il comportamento delle parti; il comportamento del giudice ed eventualmente anche degli organi della cancelleria. Sulla base di tali parametri, la Corte esamina il lasso temporale complessivo intercorso tra la data di inizio del processo e la sua naturale conclusione.

La nostra giurisprudenza ritiene che, nella valutazione della ragionevole durata del processo, occorra far riferimento ai principi elaborati dalla CEDU; sarà tuttavia possibile discostarsi da tali principi purché in misura ragionevole e sempre che la relativa conclusione sia confortata da argomentazioni complete, logicamente coerenti e congrue(cfr. Cass., 13.4.2006, n. 8717; Cass., 6.10.2005, n. 19507, Cass., 10.4.2008, n. 9328; Cass., 10.3.2006, n. 5292; Cass., 21.4.2006, n. 9411).

Con riferimento all’ordinamento vigente, in giurisprudenza è stato anche ritenuto (Cass. 11/09/2008 n. 23506) che, pur essendo possibile individuare degli "standard" di durata media ragionevole per ogni fase del processo, quando quest'ultimo si sia articolato in vari gradi e fasi, agli effetti dell'apprezzamento del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, occorre avere riguardo all'intero svolgimento del processo medesimo, dall'introduzione fino al momento della proposizione della domanda di equa riparazione, dovendosi cioè addivenire ad una valutazione sintetica e complessiva dell'unico processo da considerare nella sua complessiva articolazione; non rientra, pertanto, nella disponibilità della parte riferire la sua domanda ad uno solo dei gradi di giudizio, optando per quello nell'ambito del quale si sia prodotta una protrazione oltre il limite della ragionevolezza. Sempre con riferimento alla normativa vigente, è stato anche affermato che la nozione di ragionevole durata del processo non si presta ad una predeterminazione in termini assoluti, essendo condizionata da parametri fattuali strettamente legati alla singola fattispecie, e come tale va verificata in concreto (Cass., 11.5.2006, n. 10894).

In tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo fallimentare, in giurisprudenza (Cass. 2.4.2008, n. 8497) si è ritenuto che, non essendo possibile predeterminare astrattamente la ragionevole durata del fallimento, il giudizio in ordine alla violazione del relativo termine richiede un adattamento dei criteri previsti dalla legge Pinto e quindi un esame delle singole fasi e dei subprocedimenti in cui la procedura si è in concreto articolata. Più recentemente, la Corte di Cassazione (sez. I civile, sent. n. 28318 del 31 dicembre 2009) è tornata in maniera più puntuale sulla ragionevole durata della procedura fallimentare. Confermando l’impossibilità di usare gli stessi standard previsti per il processo ordinario, la Corte ha fissato in 7 anni il termine di durata ragionevole delle procedure concorsuali con tanti creditori e in 3 anni il termine per le procedure con un solo creditore, ritenendo che la violazione di tali termini comporterà in linea di principio il diritto all’equo indennizzo.

 

Il nuovo comma 3-quater prevede che, nella liquidazione dell’indennizzo, il giudice debba tener conto del valore della domanda proposta o accolta, nel procedimento nel quale si è verificata la violazione del termine di ragionevole durata.

 

La giurisprudenza, sulla base della legislazione vigente, ha osservato che nella quantificazione dell’equa riparazione in misura inferiore allo standard minimo annuo, fissato dalla CEDU in 1.000 euro, non può aversi riguardo generico alla modestia della pretesa azionata, senza prendere in considerazione, comparativamente, le condizioni economiche dell’interessata e raffrontare la natura e l’entità della pretesa patrimoniale (cd. posta in gioco) e la condizione socio-economica del richiedente, al fine di accertare l’impatto dell’irragionevole ritardo sulla psiche di questo (Cassazione civile 402/2009). L’indennizzo per ogni anno di durata eccessiva del processo è stato fissato in 1000 euro (Cassazione civile 2331/2008).

 

Si prevede poi la riduzione ad un quarto dell’indennizzo quando il procedimento, cui si riferisce la domanda di equa riparazione, è stato definito con il rigetto delle richieste del ricorrente, ovvero quando ne è evidente l’infondatezza.

 

In giurisprudenza (Cass. 26/09/2008 n. 24269) si è affermato che il giudice, una volta determinata l'entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente. Va a questi fini escluso, tuttavia, che possa rilevare un'asserita consapevolezza da parte dell'istante della scarsa probabilità di successo dell'iniziativa giudiziaria, priva di alcun riferimento di riscontro. In altra occasione (Cass. Ord. 26/05/2009 n. 12242) si è escluso che tali circostanze possano essere ravvisate nel modesto valore dell'importo ritraibile dal processo la cui irragionevole durata si contesta, potendo esso, al più, essere indice di un minore impatto psichico e quindi autorizzare una deroga in peius ai parametri di indennizzo elaborati per analoghe controversie dalla Corte Europea di Strasburgo.

 

I commi 3-quinquies e 3-sexies introducono disposizioni di rilievo procedurale con riferimento ai processi per i quali si assume il mancato rispetto della ragionevole durata.

Il nuovo comma 3-quinquies considera carente dell'interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. la parte che, nel giudizio in cui si assume essersi verificata la violazione (per mancato rispetto del termine ragionevole di cui al comma 1 dell'art. 2 della legge 89/2001), non ha presentato - nell’ultimo semestre anteriore alla scadenza dei termini di cui al comma 3-ter (2 anni per grado) – una espressa richiesta al giudice procedente di sollecita definizione del giudizio entro i predetti termini, o comunque quanto prima.

Se la richiesta è formulata dopo la scadenza dei citati termini biennali, l’interesse ad agire si considera sussistente limitatamente al periodo successivo alla sua presentazione.

 

Nel processo amministrativo e contabile è sufficiente – ai fini della sussistenza dell’interesse ad agire - il deposito di nuova istanza di fissazione dell'udienza, con espressa dichiarazione che essa è formulata ai sensi e per gli effetti della legge n. 89/2001. Negli altri casi, la richiesta è formulata con apposita istanza, depositata nella cancelleria o segreteria del giudice procedente.

 

Con l'espressione "interesse ad agire" è rubricato l'articolo 100 del vigente Codice di Procedura Civile, nel quale si legge che "per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse". L'interesse ad agire di cui all'art. 100 c.p.c. dipende dall'accertamento di una concreta utilità del provvedimento richiesto al giudice, rispetto alla situazione antigiuridica denunciata. Lo stesso presuppone, quindi, anzitutto, che sia in concreto dedotta e provata tale situazione, che può anche dipendere da una incertezza soggettiva e attuale sulla esistenza o meno o sui contenuti del rapporto giuridico che si assume controverso, se la incertezza è fonte di un pregiudizio concreto e attuale per il soggetto. In secondo luogo si richiede che la pronuncia richiesta sia indispensabile per eliminare la situazione pregiudizievole (Cassazione civile, sez. III, 13 aprile 2007, n. 8845).

L' interesse all'impugnazione, il quale costituisce manifestazione del generale principio dell'interesse ad agire, va apprezzato in relazione all'utilità concreta derivabile alla parte dall'eventuale accoglimento del gravame e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata; sicché è inammissibile, per difetto d'interesse, un'impugnazione con la quale si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, che non spieghi alcuna influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte, e che sia diretta quindi all'emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico (Cassazione civile sez. lav. 23 maggio 2008 n. 13373).

La norma potrebbe essere ritenuta funzionalmente tale da introdurre una condizione di procedibilità della domanda, la cui mancanza usualmente comporta una declaratoria di inammissibilità.

 

Il comma 3-sexies prevede che il giudice procedente e il capo dell’ufficio giudiziario siano avvisati senza ritardo del deposito dell’istanza di sollecitazione.

A decorrere dalla data del deposito, il processo è trattato prioritariamente, con riferimento a disposizioni vigenti finalizzate a realizzare trattazioni più celeri nei procedimenti civile, penale, amministrativo e contabile.

 

Nel procedimento civile si fa riferimento a:

- l'art. 81 comma 2, che prevede che l'intervallo tra l'udienza destinata esclusivamente alla prima comparizione delle parti e la prima udienza d'istruzione, e quello tra le successive udienze d'istruzione, non può essere superiore a 15 giorni, salvo che, per speciali circostanze, delle quali dovrà farsi menzione nel provvedimento, sia necessario un intervallo maggiore;

- l'art. 83, che prevede che il giudice istruttore fissi l'ordine di trattazione delle cause, dando la precedenza a quelle per le quali sono stati abbreviati i termini e a quelle rinviate a norma degli articoli precedenti. L'accelerazione appare rafforzata, dal momento che non si ammettono neppure la possibilità di deroga al termine di 15 giorni. prevista dal comma 2 dell'art. 81.

In relazione alle indicate corsie preferenziali per la rapida trattazione del processo, va tuttavia ricordato che l’art. 81-bis delle disp. att.ne c.pc. (introdotto dall’art. 52 della legge 69/2009) stabilisce che il giudice, quando provvede sulle richieste istruttorie, sentite le parti e tenuto conto della natura, dell’urgenza e della complessità della causa, fissa il calendario del processo con l’indicazione delle udienze successive e degli incombenti che verranno espletati. I termini fissati nel calendario possono essere prorogati, anche d’ufficio, quando sussistono gravi motivi sopravvenuti. La proroga deve essere richiesta dalle parti prima della scadenza dei termini.

L’esigenza di coordinamento con tale ultima disposizione è stata evidenziata anche dal CSM nel parere del 14 dicembre sull’AS 1880.

 

- l'art. 115, secondo comma, secondo cui il collegio può inoltre rinviare la discussione della causa per non più di una volta soltanto per grave impedimento del tribunale o delle parti e non oltre la seconda udienza successiva a quella fissata dal giudice istruttore a norma dell'articolo 190 del codice.

Nel processo penale si applica la disciplina dei procedimenti relativi agli imputati in stato di custodia cautelare.

La norma dovrebbe comportare l’applicabilità delle norme di cui agli artt. 303 e ss. c.p.p., che disciplinano i termini di durata massima della custodia cautelare e l'influenza di questi termini sulla durata delle successive fasi del processo.

 

Nel processo amministrativo e contabile l’udienza di discussione è fissata entro 90 giorni.

In proposito, si ricorda che, con l'art. 44 della l. n. 69/2009, è stata conferita una delega al Governo per il riassetto della disciplina del processo amministrativo, finalizzata a realizzare principi di snellezza, concentrazione ed effettività della tutela, anche al fine di garantire la ragionevole durata del processo.

Salvo che nei processi penali, la motivazione della sentenza che definisce il giudizio è limitata ad una concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione si fonda.

A seguito della recente riforma del c.p.c. - approvata con la ricordata legge n. 69/2009 - il nuovo art. 118 c.p.c., al comma primo, prevede che: “la motivazione della sentenza di cui all’articolo 132, secondo comma, numero 4), del codice consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi”.

Spetta, infine, al capo dell’ufficio giudiziario, in base al comma 3-sexies, la vigilanza sull’effettivo rispetto di tutti i termini acceleratori fissati dalla legge.

 

Nel parere espresso sul testo originario della proposta di legge, il CSM rileva che, rispetto alla riforma del processo penale recata dall’AS 1440, si prevede una riduzione da tre a due anni del termine ragionevole di durata del primo grado di giudizio; tale riduzione da un lato potrebbe determinare il lievitare delle domande di equa riparazione e il considerevole aumento degli oneri finanziari a carico dello Stato; dall’altro, “l’innalzamento esponenziale del numero dei processi da trattare prioritariamente, secondo la previsione di cui al comma 3-sexies, dell’art. 2, L. n. 89/2001, senza che al riguardo sia stato previsto alcun potenziamento delle risorse umane e materiali disponibili presso gli uffici giudiziari interessati”.

 

Se il comma 1 dell’art. 1 del provvedimento interviene sul piano sostanziale, il comma 2 - riformulando l’art. 3 della legge Pinto - interviene sul piano processuale delineando il nuovo procedimento necessario a far valere il diritto all’equa riparazione.

 

L’art. 3 della legge 89/2001, relativa al procedimento, prevede che la domanda di equa riparazione si propone dinanzi alla corte di appello del distretto in cui ha sede il giudice competente ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale a giudicare nei procedimenti riguardanti i magistrati nel cui distretto è concluso o estinto relativamente ai gradi di merito ovvero pende il procedimento nel cui àmbito la violazione si assume verificata (comma 1).

La domanda si propone con ricorso depositato nella cancelleria della corte di appello, sottoscritto da un difensore munito di procura speciale e contenente gli elementi di cui all' articolo 125 del codice di procedura civile (comma 2).

Il ricorso è proposto nei confronti del Ministro della giustizia quando si tratta di procedimenti del giudice ordinario, al Ministro della difesa quando si tratta di procedimenti del giudice militare. Negli altri casi è proposto nei confronti del Ministro dell'economia e delle finanze (comma 3).

La procedura da seguire è quella per i procedimenti in camera di consiglio (articoli 737 e seguenti c.p..c). Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione della camera di consiglio, è notificato, a cura del ricorrente, all'amministrazione convenuta, presso l'Avvocatura dello Stato. Tra la data della notificazione e quella della camera di consiglio deve intercorrere un termine non inferiore a quindici giorni (comma 4).

Le parti hanno facoltà di richiedere che la corte disponga l'acquisizione in tutto o in parte degli atti e dei documenti del procedimento in cui si assume essersi verificata la violazione di cui all'articolo 2 ed hanno diritto, unitamente ai loro difensori, di essere sentite in camera di consiglio se compaiono. Sono ammessi il deposito di memorie e la produzione di documenti sino a cinque giorni prima della data in cui è fissata la camera di consiglio, ovvero sino al termine che è a tale scopo assegnato dalla corte a seguito di relativa istanza delle parti (comma 5).

La corte pronuncia, entro quattro mesi dal deposito del ricorso, decreto impugnabile per cassazione. Il decreto è immediatamente esecutivo (comma 6).

L'erogazione degli indennizzi agli aventi diritto avviene, nei limiti delle risorse disponibili, a decorrere dal 1° gennaio 2002 (comma 7).

 

Il nuovo art. 3 della legge 89/2001 precisa, anzitutto (comma 1), che la domanda è proposta al presidente della corte d’appello competente (attualmente si prevede che la domanda si propone “dinanzi alla corte d’appello”).

Oltre alla previsione della possibilità, per l’interessato, di presentare la domanda (ricorso) in cancelleria anche senza la sottoscrizione di un difensore con procura speciale (quindi personalmente o tramite un suo procuratore speciale), il comma 2, sopprimendo il rinvio all’art. 125 c.p.c., specifica direttamente i contenuti del ricorso: l’indicazione del domicilio presso cui ricevere le comunicazioni (anche in riferimento al pagamento eventuale dell’equo indennizzo), l’indicazione dell’ufficio giudiziario e del numero di procedimento cui si riferisce la domanda.

L’art. 125 c.pc. prevede che la citazione, il ricorso, la comparsa, il controricorso, il precetto debbono indicare l'ufficio giudiziario, le parti, l'oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni o l'istanza, e, tanto nell'originale quanto nelle copie da notificare, debbono essere sottoscritti dalla parte, se essa sta in giudizio oppure dal difensore che indica il proprio codice fiscale.

Al ricorso vanno allegati: copia dell’atto che ha avviato il procedimento (cfr. nuovo comma 3-bis dell’art. 2 della legge 89/2001), dei relativi verbali e, se già definito, del provvedimento che ha chiuso il procedimento (o una sua fase).

L’ultimo periodo del comma 2 del nuovo art. 3 della legge 89 prevede che, in caso di dichiarazione di inammissibilità, la domanda sia riproponibile fino alla scadenza del termine di cui all’art. 4.

In base all’articolo 4 della legge n. 89 del 2001, la domanda di riparazione può essere proposta durante la pendenza del procedimento nel cui àmbito la violazione si assume verificata, ovvero, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il medesimo procedimento, è divenuta definitiva.

Mentre nulla cambia in relazione alle autorità nei confronti delle quali, in relazione ai diversi giudizi, deve essere proposta la domanda (nuovo art. 3, comma 3, della legge 89) viene soppresso il riferimento alla procedura camerale e confermato il termine di 4 mesi dal deposito del ricorso per l’emissione del decreto motivato (del presidente della corte o di altro magistrato designato) che provvede sul ricorso; il decreto è notificato dal ricorrente all’amministrazione convenuta che, entro 120 giorni, deve provvedere al pagamento dell’indennizzo stabilito.

Il vigente art. 3 della legge Pinto prevede che il decreto della corte d’appello sia impugnabile per cassazione. Tale possibilità è prevista, invece, dal nuovo testo solo dopo un ulteriore fase processuale. Infatti, il nuovo comma 5 dell’art. 3 della legge 89 stabilisce che, avverso il decreto motivato del presidente della corte d’appello che decide sulla domanda di equa riparazione possa proporsi opposizione mediante ricorso, entro 60 gg., alla stessa corte d’appello.

L’opposizione è, stavolta, sottoscritta da difensore con procura speciale e deve contenere i citati elementi di cui all’art. 125 del codice di rito civile. Il ricorso in opposizione, con il decreto che fissa l’udienza (almeno 15 gg. dopo la data del ricorso) va notificato, dal ricorrente, alla controparte nel domicilio da questa indicato ovvero presso l’Avvocatura dello Stato.

La corte d’appello procede con rito camerale assumendo, se necessario, memorie e documenti, entro un termine stabilito (comunque non oltre 5 gg. prima della data di udienza) e, su istanza di parte, può disporre la sospensione dell’esecuzione per gravi motivi.

Un ulteriore decreto motivato, immediatamente esecutivo, decide, entro 4 mesi dal deposito dell’opposizione, sulla conferma, revoca o modifica del provvedimento opposto.

Questo secondo decreto, che provvede anche sulle spese, è impugnabile per cassazione.

Ove l’opposizione sia respinta o l’opponente non si costituisca in giudizio, la corte d’appello lo condanna d’ufficio al pagamento di una somma, determinata in via equitativa, tra 1.000 e 20.000 euro, da devolvere valla Cassa delle ammende.

 

Il comma 3 dell'art. 1 in esame prevede, infine, una disciplina transitoria, stabilendo che, nei giudizi pendenti in cui sono già decorsi i termini di ragionevole durata, l’istanza di sollecitazione di cui al nuovo comma 3-quinquies dell’articolo 2 della legge Pinto vada depositata entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento.

 

In base al comma 4, alle domande di equa riparazione proposte prima dell’entrata in vigore del provvedimento in esame:

-             se non è stata ancora fissata l’udienza camerale prevista dal vigente art. 3 della legge 89/2001 si applica il nuovo procedimento di cui ai commi 4 e ss del nuovo art. 3;

-             se, al contrario, l’udienza citata è già stata fissata, il procedimento resta disciplinato della legge 89, nel testo previgente a quello di nuova introduzione.

 

Nel sopra richiamato parere, il CSM ritiene che l’immediata applicazione delle nuove disposizioni ai processi pendenti si risolva in una applicazione retroattiva di norme processuali, in deroga al generale principio tempus regit actum, espresso dall’articolo 11 delle preleggi; il CSM aggiunge che “le nuove disposizioni che modificano la legge Pinto incidono sull’organizzazione dei processi e la loro applicazione anche ai procedimenti pendenti comporta la rivalutazione – secondo i nuovi criteri, da applicarsi “ora per allora” – delle decisioni di natura organizzativa assunte dal giudice in un contesto ordinamentale che non conosceva predefiniti termini di durata massima.

 


 

Art. 2.
(Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica
30 maggio 2002, n. 115)

1. Al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 10, comma 1, le parole: «, il processo di cui all'articolo 3, della legge 24 marzo 2001, n. 89» sono soppresse;

 b) all'articolo 13, comma 1, lettera b), dopo le parole: «volontaria giurisdizione,» sono inserite le seguenti: «per il procedimento regolato dall'articolo 3, commi da 1 a 4, della legge 24 marzo 2001, n. 89, e successive modificazioni,».

2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano ai procedimenti iscritti successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge.

 

 

 

L’articolo 2 del progetto in esame, introdotto nel corso dell’esame al Senato, novella gli artt. 10 e 13 del Testo unico spese di giustizia (DPR 115 del 2002).

L’intervento:

§         sopprime l’esenzione dal contributo unificato per i processi per equa riparazione previsti dalla legge Pinto;

§         assoggetta gli stessi processi al pagamento di un contributo unificato di 70 euro.

 

Tale disposizione si applica soltanto ai procedimenti iscritti successivamente alla data di entrata in vigore della legge.

 

 


 

Art. 3.
(Norma di interpretazione autentica)

1. Nell'articolo 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, l'espressione: «sentenza anche non definitiva» deve essere interpretata nel senso di: «sentenza di merito anche non definitiva».

 

 

L’articolo 3 reca una norma di interpretazione autentica che chiarisce la portata di una disposizione transitoria in materia di procedimento per danno erariale introdotta dall’articolo 17, comma 30-ter, del decreto-legge 78/2009[2] (il c.d. decreto anti-crisi).

Il comma 30-ter citato reca alcune modifiche alla disciplina del processo contabile in relazione al danno erariale.

 

I commi da 30 a 31 dell’articolo 17 del decreto–legge 78/2009 introducono diverse modifiche alla disciplina della Corte dei conti, tra cui alcune relative al giudizio per danno erariale. Queste disposizioni sono state parzialmente modificate dal decreto-legge 103/2009[3], emanato contestualmente alla promulgazione della legge di conversione del decreto-legge 78.

In particolare, i primi tre periodi del comma 30-ter del citato articolo 17 dispongono quanto segue:

§         le procure della Corte dei conti possono iniziare l’attività istruttoria ai fini dell’esercizio dell’azione di danno erariale a fronte di specifica e concreta notizia di danno;

§         le Procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine[4] nei soli casi e modi previsti dall'art. 7 L. 97/2001, ossia solo in caso di sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti del dipendente pubblico per delitti contro la pubblica amministrazione[5];

§         in pendenza del procedimento penale vengono sospesi i termini di prescrizione dell’azione per danno all’immagine (termini fissati in 5 anni ai sensi dall’art. 1, comma 2, L 20/1994[6]).

 

Il quarto periodo del comma 30-ter, oggetto della disposizione in esame, prevede che qualunque atto istruttorio o processuale, posto in essere in violazione delle disposizioni sopra sintetizzate, è nullo e che tale nullità può essere fatta valere in qualunque momento, da chiunque ne abbia interesse, davanti alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine perentorio di trenta giorni. Sono fatti salvi i casi per i quali sia stata pronunciata sentenza, anche non definitiva, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto 78 (ossia al 5 agosto 2009).

L’articolo in esame chiarisce che devono intendersi escluse dalla norma transitoria esclusivamente le sentenze di merito; solamente per queste possono essere considerati validi gli atti formati in modo difforme alla nuova disciplina.

 

In materia rileva il codice di procedura civile, applicabile ai giudizi della corte dei conti in virtù dell’articolo 26 del regio decreto 1038/1933[7]. In particolare, l’articolo 279 c.p.c. distingue tra sentenze di merito e le sentenze che decidono questioni di giurisdizione, di competenza, oppure questioni pregiudiziali attinenti il processo, od ancora impartiscono provvedimenti per l’ulteriore istruzione della causa.

 


 

Art. 4.
(Ragionevole durata del giudizio di responsabilità contabile)

1. Nel giudizio di responsabilità davanti alla Corte dei conti, il processo è estinto quando:

a) dal deposito dell'atto di citazione in giudizio nella segreteria della competente sezione giurisdizionale sono trascorsi più di tre anni senza che sia stato emesso il provvedimento che definisce il giudizio di primo grado;

b) dalla notificazione o pubblicazione del provvedimento di cui alla lettera a) sono decorsi più di due anni senza che sia stato emesso il provvedimento che definisce il processo di appello.

2. Il corso dei termini indicati nel comma 1 è sospeso nel caso in cui l'udienza o la discussione sono sospese o rinviate su richiesta del convenuto o del suo difensore, sempreché la sospensione o il rinvio non siano disposti per necessità di acquisizione di prove.

3. Nel caso in cui il danno erariale, sia pure contestato con un'unica citazione, per ogni singolo fatto dannoso, non superi il valore di euro 300.000, il termine indicato nel comma 1, lettera a), è di due anni.

4. La Corte dei conti a sezioni riunite, ferme restando le altre competenze ad essa attribuite, giudica anche, nella composizione di cui all'articolo 4, secondo comma, del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, di cui al regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, con sentenza definitiva di accertamento, sui ricorsi proposti dagli organi politici di vertice delle amministrazioni che vi abbiano interesse avverso le deliberazioni conclusive di controlli su gestioni di particolare rilevanza per la finanza pubblica. I ricorsi sono proposti nel termine perentorio di sessanta giorni dalla formale comunicazione delle deliberazioni medesime.

 

 

L’articolo 4 prevede l’applicazione di termini di estinzione del processo ai giudizi di responsabilità contabile dinanzi alla Corte dei conti (per la previsione di “termini di fase” nel processo penale, cfr. art. 5).

 

In merito ai giudizi di responsabilità contabile si ricorda, in breve, che in seguito al decentramento della giurisdizione contabile attuato dal D.L. n. 453/1993[8], in ogni capoluogo di regione è stata istituita una Sezione giurisdizionale della Corte dei conti e una Procura regionale presso la stessa.

Il processo contabile è volto ad accertare la responsabilità in cui possono incorrere tutti coloro che, a qualunque titolo, hanno il maneggio del pubblico denaro nonché di tutti i magazzinieri e consegnatari di valori e merci appartenetti alla pubblica amministrazione (cd. agenti contabili).

Il processo, che consta di una fase introduttiva scritta e di una fase orale (udienza dibattimentale), è regolato dal principio del contraddittorio. La sentenza di condanna è immediatamente esecutiva e determina il sorgere di un diritto di credito dell’amministrazione ad ottenere, anche coattivamente tramite una procedura esecutiva, la somma indicata nella sentenza stessa. La medesima amministrazione cura l’esecuzione della sentenza di condanna, ai sensi di una procedura semplificata prevista dalla legge 1997 n.59[9] (Legge Bassanini) sotto la vigilanza del PM. Nel caso di sentenza di assoluzione (definitivo proscioglimento), le spese legali sono sostenute dall’amministrazione di appartenenza.

La sentenza è appellabile dalle parti, dal procuratore regionale competente per territorio o dal procuratore generale entro sessanta giorni dalla notificazione o, comunque, entro un anno dalla pubblicazione. La proposizione dell’appello sospende l’esecuzione della sentenza impugnata. Con l’intervenuto decentramento della giurisdizione della Corte dei conti, la competenza promiscua in grado d’appello avverso le sentenze pronunciate in primo grado, è stata attribuita alle tre Sezioni Giurisdizionali centrali (non c’è una competenza specifica per materia delle tre Sezioni d’appello).

Solo per la Regione Sicilia, in attuazione dell’art.23 dello Statuto speciale della Regione, competente a conoscere degli appelli avverso le sentenze dei giudici contabili siciliani è la Sezione Giurisdizionale d’appello per la Regione siciliana presso la quale è stata costituita la corrispondente Procura Regionale d’appello

 

Più specificamente, il comma 1, prescrive che il processo contabile si consideri estinto qualora:

a)               siano trascorsi più di tre anni dal deposito dell’atto di citazione presso la segreteria della competente sezione giurisdizionale senza che sia stato emesso il provvedimento di definizione del giudizio di primo grado;

b)               siano trascorsi più di due anni dalla notificazione o pubblicazione della sentenza di primo grado senza che sia stato emesso il provvedimento di definizione del processo di appello.

 

In proposito si ricorda che, ai sensi dell’art. 2 L. 20/1994[10], decorsi cinque anni dal deposito del conto effettuato ex art. 27 del regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038[11], senza che sia stata depositata presso la segreteria della sezione la relazione sul conto, prevista dall'articolo 29 dello stesso decreto, o siano state elevate contestazioni a carico del tesoriere o del contabile da parte dell'amministrazione, degli organi di controllo o del procuratore regionale, il giudizio si estingue, ferma restando l'eventuale responsabilità amministrativa e contabile a carico dell'agente contabile. Il conto stesso e la relativa documentazione vengono così restituiti alla competente amministrazione.

 

Il comma 2 stabilisce la sospensione del corso dei termini di estinzione, di cui al comma 1, nel caso in cui l’udienza o la discussione siano sospese o rinviate su richiesta del convenuto o del suo difensore, salvo che tali provvedimenti non siano disposti a fronte di esigenze probatorie, alla stregua di quanto previsto per il processo penale dal nuovo art. 531-bis (v. infra).

 

Il successivo comma 3 prescrive che nei casi in cui il danno erariale contestato non superi il valore di 300 mila euro, la durata dei giudizi contabili in primo grado, dinanzi alla Corte dei Conti, non debba superare più di due anni.

 

Il comma 4 prevede, infine, che la Corte dei conti, a Sezioni riunite, possa giudicare anche, con sentenza definitiva di accertamento, sui ricorsi proposti dagli organi politici di vertice delle amministrazioni contro le delibere conclusive di controlli su gestioni di particolare rilevanza per la finanza pubblica.

Tali ricorsi vanno proposti entro il termine perentorio di 60 giorni dalla formale comunicazione delle delibere.

 

La Corte dei conti è chiamata a pronunciarsi a sezioni riunite nei seguenti casi particolari:

sui conflitti di competenza;

sulle questioni di massima deferite dalle sezioni giurisdizionali centrali e regionali;

su ogni altra questione a richiesta del procuratore generale; in sede di controllo,

sulle materie di cui all’art. 6 della deliberazione 16 giugno 2000, n.14 della Corte dei conti.

Si ricorda, inoltre, che ai sensi dell’art. 4 del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti (RD. 12 luglio 1934, n. 1214), le deliberazioni e le decisioni della Corte sia a sezioni separate che riunite, sono prese con un numero dispari di votanti ed a maggioranza assoluta di voti. Al comma 2, con particolare riferimento ai numero dei votanti, il numero minimo è stato elevato a quindici dall'art. 4 del D.L. n. 543/1996, per l'esercizio, da parte delle sezioni riunite della Corte dei conti di tutte le funzioni, comprese quelle di cui all'articolo 40 del citato testo unico, e quelle di cui agli articoli 3, comma 6, e 4 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, diverse dalle funzioni giurisdizionali. La novella ha stabilito inoltre che le sezioni riunite sono presiedute dal presidente della Corte dei conti e sono composte per ciascuna delle dette funzioni da trentaquattro magistrati, designati all'inizio di ogni anno sulla base di predeterminati criteri di graduale rotazione dal consiglio di presidenza, in modo che siano rappresentati tutti i settori di attività e tutte le qualifiche dei magistrati. Ove il magistrato nominato relatore dal presidente della Corte dei conti non sia compreso tra quelli assegnati alle sezioni riunite, questi integra ad ogni effetto il collegio per la questione su cui riferisce.

 


 

Art. 5.
(Estinzione del processo per violazione dei termini di durata ragionevole)

1. Nel capo II del titolo III del libro VII del codice di procedura penale, dopo la sezione I, è inserita la seguente:

«Sezione I-bis

SENTENZA DI PROSCIOGLIMENTO PER VIOLAZIONE DELLA DURATA RAGIONEVOLE DEL PROCESSO

Art. 531-bis. - (Dichiarazione di non doversi procedere per violazione dei termini di durata ragionevole del processo). - 1. Il giudice, nei processi relativi a reati per i quali è prevista una pena pecuniaria o una pena detentiva, determinata ai sensi dell'articolo 157 del codice penale, inferiore nel massimo a dieci anni, sola o congiunta alla pena pecuniaria, pronuncia sentenza di non doversi procedere per estinzione del processo quando:

a) dalla emissione del provvedimento con cui il pubblico ministero esercita l'azione penale formulando l'imputazione ai sensi dell'articolo 405 sono decorsi più di tre anni senza che sia stata pronunciata sentenza di primo grado;

b) dalla pronuncia della sentenza di cui alla lettera a) sono decorsi più di due anni senza che sia stata pronunciata sentenza in grado di appello;

c) dalla pronuncia della sentenza di cui alla lettera b) è decorso più di un anno e sei mesi senza che sia stata pronunciata sentenza da parte della Corte di cassazione;

d) dalla sentenza con cui la Corte di cassazione ha annullato con rinvio il provvedimento oggetto del ricorso è decorso più di un anno per ogni ulteriore grado del processo.

2. Se la pena detentiva, determinata ai sensi dell'articolo 157 del codice penale, è pari o superiore nel massimo a dieci anni di reclusione, i termini di cui al comma 1, lettere a), b), c) e d), sono rispettivamente di quattro anni, due anni, un anno e sei mesi e un anno. Quando si procede per reati previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, i termini di cui al comma 1, lettere a), b), c) e d), sono rispettivamente di cinque anni, tre anni, due anni e un anno e sei mesi, e il giudice può, con ordinanza, prorogare tali termini fino ad un terzo ove rilevi una particolare complessità del processo o vi sia un numero elevato di imputati.

3. Il pubblico ministero deve assumere le proprie determinazioni in ordine all'azione penale entro e non oltre tre mesi dal termine delle indagini preliminari. Da tale data iniziano comunque a decorrere i termini di cui ai commi precedenti, se il pubblico ministero non ha già esercitato l'azione penale ai sensi dell'articolo 405.

4. Quando sono decorsi i termini di cui ai commi precedenti, ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere.

5. Il corso dei termini indicati nei commi 1 e 2 è sospeso:

a) nei casi di autorizzazione a procedere, di deferimento della questione ad altro giudizio e in ogni altro caso in cui la sospensione del procedimento penale è imposta da una particolare disposizione di legge;

b) nell'udienza preliminare e nella fase del giudizio, durante il tempo in cui l'udienza o il dibattimento sono sospesi o rinviati per impedimento dell'imputato o del suo difensore, ovvero su richiesta dell'imputato o del suo difensore, sempre che la sospensione o il rinvio non siano stati disposti per assoluta necessità di acquisizione della prova;

c) per il tempo necessario a conseguire la presenza dell'imputato estradando.

6. I termini di cui ai commi 1 e 2 riprendono il loro corso dal giorno in cui è cessata la causa di sospensione.

7. Nei casi di nuove contestazioni ai sensi degli articoli 516, 517 e 518 i termini di cui ai commi 1 e 2 non possono essere aumentati complessivamente per più di tre mesi.

8. Contro la sentenza di cui al comma 1 l'imputato e il pubblico ministero possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge.

9. In caso di estinzione del processo ai sensi del comma 1 non si applica l'articolo 75, comma 3. Se la parte civile trasferisce l'azione in sede civile, i termini a comparire di cui all'articolo 163-bis del codice di procedura civile sono ridotti della metà, e il giudice fissa l'ordine di trattazione delle cause dando precedenza al processo relativo all'azione trasferita.

10. Le disposizioni del presente articolo non si applicano quando l'imputato dichiara di non volersi avvalere della estinzione del processo. La dichiarazione deve essere formulata personalmente o a mezzo di procuratore speciale. In quest'ultimo caso la sottoscrizione della richiesta deve essere autenticata nelle forme previste dall'articolo 583, comma 3.

11. Alla sentenza irrevocabile di non doversi procedere per estinzione del processo si applica l'articolo 649».

2. Il corso dei termini indicati nell'articolo 531-bis, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, introdotto dal comma 1 del presente articolo, è sospeso per tutto il periodo del rinvio della trattazione del processo disposto ai sensi dell'articolo 2-ter, comma 1, del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125.

 

 

 

L’articolo 5 introduce nel codice di procedura penale l’art. 531-bis; tale articolo è collocato in un’apposita Sezione I-bis, nell’ambito del Capo II del Titolo III del Libro VII (che disciplina le varie tipologie di decisione che possono essere pronunciate dal giudice all’esito del giudizio), rubricata Sentenza di proscioglimento per violazione della durata ragionevole del processo.

In termini generali, il nuovo art. 531-bis prevede che il giudice dichiari non doversi procedere per estinzione del processo quando siano decorsi i termini specificamente indicati, con riferimento a ciascun grado del processo penale (cd. “termini di fase”).

 

Nel parere del 14 dicembre, il CSM ha espresso valutazioni fortemente critiche sul testo del provvedimento. In generale, il CSM sottolinea la “portata dirompente [dell’istituto], non solo in ragione delle ricadute operative (…) ma anche in considerazione della natura stessa dell’istituto che viene introdotto nell’ordinamento giuridico: la previsione di termini perentori per la celebrazione dei diversi gradi di giudizio, sanzionata con l’estinzione dello stesso strumento processuale”, osservando come un meccanismo analogo non è contemplato in nessun altro Paese UE; con specifico riferimento alla funzione del provvedimento di attuazione del principio costituzionale di ragionevole durata del processo il CSM aggiunge che “la fissazione di un termine perentorio per il compimento dei singoli gradi di giudizio, che produce l’effetto di <estinguere il processo>, non sembra collegarsi alla previsione costituzionale del giusto processo in senso oggettivo, giacché il nuovo strumento privilegia il rispetto della rapidità formale fissata con scansione temporale rigida, non curandosi della necessità che il processo realizzi appieno la funzione cognitiva che lo caratterizza” e osserva altresì che “Applicare la c.d. “prescrizione processuale” senza interventi di razionalizzazione normativa significa solo determinare di fatto le condizioni per rendere impossibile l’accertamento processuale per intere categorie di gravi reati, sia con riferimento ai processi pendenti che a quelli futuri”.

Fissazione dei termini e loro decorrenza

I “termini di fase” si applicano ai processi relativi a qualsiasi reato (nel testo originario del provvedimento si prevedeva invece una lista di reati esclusi); essi sono diversamente articolati in funzione della gravità del reato e, quindi della pena comminata. Ai fini del calcolo della pena detentiva, la disposizione rinvia ai criteri previsti dell’art. 157 c.p. per la determinazione del termine di prescrizione.

Il provvedimento articola i diversi termini (in funzione della pena prevista) secondo il seguente schema:

 

 

Pena pecuniaria o pena detentiva inferiore nel massimo a 10 anni

pena detentiva pari o superiore nel massimo a 10 anni di reclusione

Reati previsti dall’art. 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p.

Giudizio di I grado

Tre anni

Quattro anni

Cinque anni

 

Giudizio d’appello

Due anni

Due anni

Tre anni

 

Giudizio di Cassazione

Un anno e sei mesi

Un anno e sei mesi

Due anni

 

Ulteriori gradi del processo nel caso di annullamento con rinvio

Un anno

Un anno

Un anno e sei mesi

 

Nel caso dei reati di particolare allarme sociale di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., è data facoltà al giudice di prorogare tali termini fino ad un terzo, con ordinanza, ove rilevi una particolare complessità del processo o vi sia un numero elevato di imputati.

 

L'art. 51, comma 3-bis, c.p.p. fa riferimento a procedimenti per i delitti, consumati o tentati, di particolare allarme sociale, tra cui in particolare i casi più gravi di associazione a delinquere, la tratta di persone, nonché i delitti di cui agli articoli 416-bis (associazione a delinquere di stampo mafioso) e 630 del codice penale (sequestro di persona a scopo di estorsione), i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, i delitti previsti dall'articolo 74 del testo unico in materia di stupefacenti (D.P.R. n. 309 del 1990) e dall'articolo 291-quater del testo unico in materia doganale (D.P.R. n. 43 del 2003), relativo in particolare al contrabbando di tabacchi lavorati esteri. Si segnala che il collegato energia (legge n. 99 del 2009) ha inserito tra tali gravi reati anche l’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di delitti in materia di contraffazione (di cui agli artt. 473 e 474 c.p.).

L'art. 51, comma 3-quater, c.p.p. fa riferimento a procedimenti per i delitti consumati o tentati con finalità di terrorismo.

 

Il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere se, entro i termini sopra indicati, non viene rispettivamente pronunciata la sentenza di primo grado, la sentenza d’appello, la sentenza da parte della Corte di Cassazione o non vengono definiti gli ulteriori gradi del processo.

 

Per quanto riguarda il dies a quo del termine per ciascuna fase del processo, esso è individuato secondo il seguente schema:

 

Fase

Dies a quo

Primo grado

Emissione del provvedimento con cui il P.M. ha esercitato l’azione penale formulando l’imputazione ai sensi dell’articolo 405 c.p.p.[12]

Appello

Pronuncia della sentenza di primo grado

Cassazione

Pronuncia della sentenza di appello

Gradi ulteriori nel caso di annullamento con rinvio

Sentenza con cui la Corte di cassazione ha annullato il provvedimento con rinvio.

 

Con specifico riferimento al momento di decorrenza del termine del giudizio di primo grado, in base al comma 3, il pubblico ministero deve assumere le proprie determinazioni in ordine all’azione penale entro e non oltre tre mesi dal termine delle indagini preliminari e che da tale data inizia comunque a decorrere il termine se il P.M. non ha già esercitato l’azione penale ai sensi dell’articolo 405.

 

Modifica dell’imputazione

Il comma 7 del nuovo art. 531-bis precisa che, nelle ipotesi di modifica dell'imputazione di cui agli articoli 516, 517 e 518, in nessun caso i termini fissati dal comma 1 possono essere aumentati complessivamente per più di tre mesi.

In particolare l'art. 516 c.p.p. prende in considerazione l'ipotesi di modifica dell'imputazione per l'emersione di fatti nuovi nel corso dell'istruzione dibattimentale; l'art. 517 c.p.p. prende in considerazione l'ipotesi in cui sia necessario procedere ad una modifica dell'imputazione per ragioni di connessione; infine l'art. 518 c.p.p. prende infine in considerazione l'ipotesi di una modifica dell'imputazione se risulta a carico dell'imputato un fatto nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio e si tratti di reato per il quale debba procedersi d'ufficio.

 

Sospensione dei termini

Il comma 5 del nuovo articolo 531-bis disciplina le ipotesi di sospensione del decorso dei termini sopra indicati.

Secondo quanto affermato nella relazione illustrativa dell’originaria proposta di legge, "il meccanismo dell’estinzione processuale si basa sulla previsione di termini di durata di ciascun grado del giudizio e di cause di sospensione, che fermano l’«orologio», premiando i «tempi attivi» del processo e neutralizzando quelli passivi o «di attraversamento» dovuti a rinvii forzati, imputabili a scelte delle parti, o a cause esterne, come quando sia necessario acquisire una condizione di procedibilità (ad esempio, l’autorizzazione a procedere)".

La sospensione dei termini opera nei seguenti casi:

§         autorizzazione a procedere;

Il P.M. chiede l’autorizzazione a procedere a norma dell’art. 344 cp.p.; l’art. 343 vieta di procedere a determinati atti prima della concessione dell’autorizzazione a procedere e prevede l’inutilizzabilità degli atti compiuti in violazione del divieto.

§         deferimento della questione ad altro giudizio;

Per esempio nel caso in cui siano da chiarire questioni pregiudiziali (art. 3 c.p.p.) o nel caso in cui sia richiesta la rimessione ad altro giudice per legittimo sospetto (art. 45 e ss. c.p.p.).

§         in ogni altro caso in cui la sospensione del procedimento penale è imposta da una particolare disposizione di legge;

Si può, al riguardo, citare l’esempio della sospensione del procedimento per incapacità dell'imputato, a norma dell'art. 71 c.p.p.

§         nell’udienza preliminare e nella fase del giudizio, durante il tempo in cui l’udienza o il dibattimento sono sospesi o rinviati per impedimento dell’imputato o del suo difensore, ovvero su richiesta dell’imputato o del suo difensore, sempre che la sospensione o il rinvio non siano stati disposti per assoluta necessità di acquisizione della prova;

 

In proposito si possono richiamare i casi di impedimento a comparire dell’imputato o del difensore disciplinati dall’articolo 420-ter c.p.p., da cui deriva il dovere del giudice di rinviare a nuova udienza

Si ricorda che, in tali casi, l’art. 159 c.p., primo comma, n. 3), c.p. prevede la sospensione del corso della prescrizione del reato derivante dalla sospensione del processo per impedimento delle parti o dei difensori; la medesima disposizione pone un limite alla fissazione della nuova udienza, che non può essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione dell'impedimento e stabilisce che, in caso contrario, occorre avere riguardo al tempo dell'impedimento aumentato di sessanta giorni. Secondo l’interpretazione che la giurisprudenza fornisce di tale ultima disposizione (da ultimo, Cass. 4071/08 e 5956/2009) la sospensione della prescrizione opera per il tempo dell’impedimento e per il periodo successivo sino alla data dell’udienza (nei limiti di sessanta giorni).

Con riferimento all’eccezione relativa ai casi di sospensione o rinvio disposti per assoluta necessità di acquisire nuove prove, si richiama l'art. 507 c.p.p. che prevede che, terminata l'acquisizione delle prove, il giudice, se risulta assolutamente necessario, può disporre anche di ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prove, nonché l'assunzione di mezzi di prova relativi agli atti acquisiti al fascicolo per il dibattimento su accordo delle parti a norma degli articoli 431, comma 2, e 493, comma 3.

 

§         per il tempo necessario a conseguire la presenza dell’imputato estradando.

 

In base al comma 6, i termini riprendono il loro corso dal giorno in cui è cessata la causa di sospensione.

 

Il Senato ha introdotto un comma 2 all’articolo 5 della proposta di legge (quindi al di fuori del nuovo articolo 531-bis) che reca un’ulteriore ipotesi di sospensione dei termini di fase.

La sospensione opera, in particolare, per tutto il periodo del rinvio della trattazione del processo disposto ai sensi dell’articolo 2-ter, comma 1, del decreto-legge n. 92 del 2008 (recante Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito dalla legge n. 125 del 2008.

 

Tale disposizione prevede la facoltà per i dirigenti degli uffici giudiziari giudicanti di individuare criteri e modalità di rinvio della trattazione dei processi per i reati coperti da indulto, con la finalità di assicurare invece la rapida definizione dei processi pendenti per i quali è prevista la trattazione prioritaria (di cui al precedente art. 2-bis). I processi la cui trattazione può essere rinviata sono quelli per i reati commessi fino al 2 maggio 2006, in ordine ai quali ricorrono le condizioni per l'applicazione dell'indulto, ai sensi della legge 31 luglio 2006, n. 241, e per i quali la pena eventualmente da infliggere può essere contenuta nei limiti di cui all'art. 1, comma 1, della predetta legge. Nell'individuazione dei processi da rinviare, i dirigenti degli uffici devono anche tenere conto della gravità e della concreta offensività del reato, del pregiudizio che può derivare dal ritardo per la formazione della prova e per l'accertamento dei fatti, nonché dell'interesse della persona offesa. Il rinvio non può essere superiore a 18 mesi; durante tale periodo è sospeso il corso della prescrizione. Il rinvio in ogni caso non può essere disposto se l'imputato si oppone ovvero se è già stato dichiarato chiuso il dibattimento.

 

La sentenza di proscioglimento

Nel caso di inutile decorso dei termini, il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere per estinzione del processo.

Se però dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, in base al comma 4, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere.

Il comma 8 prevede che contro tale tipo di sentenza di proscioglimento l’imputato e il pubblico ministero possono proporre esclusivamente ricorso per cassazione per violazione di legge; implicitamente, quindi sembrerebbe escluso che tale sentenza possa essere appellata.

L’esclusione dell’appellabilità della sentenza da parte dell’imputato va valutata tenendo conto della rinunciabilità della prescrizione processuale, volta a tutelare l’eventuale interesse dell’imputato ad un’assoluzione nel merito o a un proscioglimento con formula diversa. In base al comma 10, la dichiarazione dell’imputato di non volersi avvalere dell’estinzione del processo deve essere formulata personalmente o a mezzo di procuratore speciale (nel qual caso la sottoscrizione della richiesta deve essere autenticata da un notaio, da altra persona autorizzata o dal difensore a norma dell’articolo 583, comma 3, c.p.p.).

 

Per l’esame della disposizione sotto il profilo del rapporto con i principi costituzionali, si rinvia alla scheda di sintesi.

 

In base al comma 11, alla sentenza irrevocabile di non doversi procedere per estinzione del processo si applica l’art. 649 c.p.p..

Tale disposizione reca il divieto del ne bis in idem, da cui deriva la non sottoponibilità a procedimento penale per il medesimo fatto dell'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili; nel caso in cui, in violazione del divieto, viene di nuovo iniziato un procedimento penale per il medesimo fatto, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo.

Azione in sede civile

Il comma 9 dell’art. 531-bis prevede che, nel caso in cui si verifichi dichiarazione di estinzione del processo, non si applichi il comma 3 dell'art. 75 c.p.p.

Tale disposizione prevede che, nel caso di proposizione dell’azione in sede civile nei confronti dell’imputato dopo la costituzione di parte civile o dopo la sentenza penale di primo grado, il processo civile è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a impugnazione.

Inoltre, nel caso in cui la parte civile trasferisce l’azione in sede civile:

§         i termini a comparire di cui all’articolo 163-bis del codice di procedura civile sono ridotti della metà;

 

La disposizione si riferisce ai c.d. termini a difesa, ovvero ai termini minimi che l'attore deve concedere al convenuto fissandoli nell'atto nella ius vocatio, e che quindi devono intercorrere tra la notifica della citazione e l'udienza di prima comparizione (in cui il convenuto si costituisce esercitando il proprio diritto di difesa).

 

§         il giudice fissa l’ordine di trattazione delle cause dando precedenza al processo relativo all’azione trasferita.


 

Art. 6.
(Modifica dell'articolo 23 del codice di procedura penale)

1. All'articolo 23 del codice di procedura penale, dopo il comma 2 è inserito il seguente:

«2-bis. Se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, il giudice dichiara con sentenza l'esistenza di una causa di non punibilità ai sensi dell'articolo 129 o dell'articolo 469 in ordine al reato appartenente alla sua competenza per territorio, con la stessa sentenza dichiara la propria incompetenza in ordine al reato per cui si procede ai sensi dell'articolo 12 e dispone la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice competente».

 

L’articolo 6 introduce un comma 2-bis nell’ambito dell’articolo 23 c.p.p. (che disciplina l’incompetenza dichiarata nel dibattimento di primo grado).

 

L'art. 23 c.p.p. attualmente prevede che se nel dibattimento di primo grado il giudice ritiene che il processo appartiene alla competenza di altro giudice, dichiara con sentenza la propria incompetenza per qualsiasi causa e ordina la trasmissione degli atti al giudice competente (comma 1). Se il reato appartiene alla cognizione di un giudice di competenza inferiore, l'incompetenza è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, entro il termine stabilito dall'articolo 491 comma 1. Il giudice, se ritiene la propria incompetenza, provvede a norma del comma 1 (comma 2).

 

Il nuovo comma 2 bis si riferisce alla fase antecedente la dichiarazione di apertura del dibattimento.

Se, in tale fase il giudice dichiara con sentenza l’esistenza di una causa di non punibilità in ordine al reato appartenente alla sua competenza per territorio, ai sensi degli articoli 129 o 469 c.p.p., con la stessa sentenza dichiara la propria incompetenza in ordine al reato connesso ex art. 12 c.p.p., e dispone contestualmente la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice competente.

 

L’art. 129 c.p.p. prevede che, in ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiari di ufficio con sentenza (comma 1); quando ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta (comma 2).

L’articolo 469 c.p.p. disciplina il proscioglimento prima del dibattimento, prevedendo che se l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita ovvero se il reato è estinto e se per accertarlo non è necessario procedere al dibattimento, il giudice, in camera di consiglio, sentiti il pubblico ministero e l'imputato e se questi non si oppongono, pronuncia sentenza inappellabile di non doversi procedere enunciandone la causa nel dispositivo.

 

Si tratterebbe, in sostanza, di una misura di concentrazione di atti (con la medesima sentenza che chiude il processo per il primo reato si dispone la trasmissione degli atti relativi al reato connesso ex art. 12 c.p.p.).

 

 


 

Art. 7.
(Clausola di monitoraggio)

1. Il Ministro dell'economia e delle finanze, allorché riscontri che l'attuazione della presente legge rechi pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, assume tempestivamente le conseguenti iniziative legislative al fine di assicurare il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione.

 

 

La disposizione prevede sostanzialmente un meccanismo di monitoraggio per valutare l'impatto finanziario derivante dall'applicazione della nuova legge, secondo il quale il Ministro dell’economia e delle finanze, allorché riscontri che l’attuazione della legge rechi pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, deve assumere le conseguenti iniziative legislative al fine di assicurare il rispetto dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione.

 

Al riguardo, si segnala che la recente legge di riforma della contabilità e finanza pubblica n. 196 del 2009 reca, all'articolo 17, comma 13, primo periodo, una clausola di monitoraggio di tenore pressoché identico e avente portata generale. Si valuti pertanto l'effettivo contenuto innovativo dell'articolo in esame.

 


 

Art. 8.
(Modifica al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231)

1. All'articolo 34, comma 1, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Si applicano altresì le disposizioni di cui all'articolo 531-bis del codice di procedura penale».

 

Attraverso l’articolo 8, il nuovo meccanismo di estinzione del processo per decorso dei termini di fase trova applicazione anche per i procedimenti per responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato disciplinata dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.

 

Il richiamato decreto legislativo ha introdotto nel nostro ordinamento la responsabilità amministrativa degli enti per i reati commessi da loro organi o da loro preposti. Esso delinea un sistema di responsabilità delle persone giuridiche per fatti connessi alla posizione funzionale rivestita dai soggetti che compiono il fatto di reato. Più precisamente, coloro che rivestono funzioni di rappresentanza, amministrazione, direzione, anche di un’unità organizzativa dell’ente dotata di autonomia o coloro che esercitano, anche in via di fatto, la gestione o il controllo dello stesso o coloro che sono sottoposti alla direzione o vigilanza di chi gestisce o controlla l’ente, rendono l’ente medesimo responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio. L’ente non risponde se tali persone “hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi”. Le sanzioni applicabili sono essenzialmente di natura pecuniaria e interdettiva. La competenza a conoscere gli illeciti amministrativi dell'ente appartiene al giudice penale competente per i reati dai quali gli stessi dipendono.

 

A tal fine, viene novellato l’articolo 34, comma 1, del medesimo decreto legislativo, che, nel suo testo attuale, prevede che al procedimento di accertamento e di applicazione delle sanzioni amministrative, si applichino, oltre che le disposizioni del medesimo decreto legislativo, anche quelle del codice di procedura penale e delle norme di attuazione, in quanto compatibili. La novella esplicita, nel testo della disposizione, l’applicabilità delle nuove disposizioni introdotte con il nuovo articolo 531-bis c.p.p.

 

 


 

Art. 9.
(Disposizioni transitorie)

1. Nei processi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, relativi a reati commessi fino al 2 maggio 2006 e puniti con pena pecuniaria o con pena detentiva, determinata ai sensi dell'articolo 157 del codice penale, inferiore nel massimo a dieci anni di reclusione, sola o congiunta alla pena pecuniaria, ad esclusione dei reati indicati nell'articolo 1, comma 2, della legge 31 luglio 2006, n. 241, il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere per estinzione del processo quando sono decorsi più di due anni dal provvedimento con cui il pubblico ministero ha esercitato l'azione penale, formulando l'imputazione ai sensi dell'articolo 405 del codice di procedura penale, ovvero due anni e tre mesi nei casi di cui al comma 7 dell'articolo 531-bis del codice di procedura penale, introdotto dall'articolo 5 della presente legge, senza che sia stato definito il giudizio di primo grado nei confronti dell'imputato. Si applicano le disposizioni previste dal citato articolo 531-bis, commi 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 e 11.

2. Salvo quanto previsto al comma 1, le disposizioni di cui all'articolo 531-bis del codice di procedura penale non si applicano ai processi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge.

3. Le disposizioni di cui all'articolo 4 si applicano anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge quando dal deposito della citazione a giudizio nella segreteria della competente sezione giurisdizionale sono trascorsi almeno cinque anni e non si è concluso il giudizio di primo grado.

 

 

Il testo originario della disposizione transitoria prevedeva l’applicabilità del nuovo meccanismo di estinzione del processo penale per decorso dei cd. termini di fase ai processi in corso alla data di entrata in vigore del provvedimento, ad eccezione di quelli pendenti avanti alla Corte d’appello o alla Corte di Cassazione.

L’articolo 9, comma 2, del testo trasmesso dal Senato prevede invece esplicitamente l’inapplicabilità del nuovo articolo 531-bis ai processi in corso, salvo quanto previsto dal precedente comma 1.

Il comma 1 detta una disposizione applicabile soltanto ai processi in corso di primo grado relativi seguenti reati:

§         reati commessi fino al 2 maggio 2006;

 

La data del 2 maggio 2006 coincide con la data prevista dalla legge n. 241 del 2006 per l’applicazione dell’indulto: l’articolo 1, comma 1, di tale legge infatti fa riferimento ai reati commessi fino tale data.

 

§         reati puniti con pena pecuniaria o con pena detentiva, inferiore nel massimo a dieci anni di reclusione;

 

Si segnala che la disposizione, facendo riferimento soltanto alla pena detentiva della “reclusione”, non risulterebbe applicabile anche alle contravvenzioni punite con l’arresto.

 

§         reati diversi da quelli indicati nell’articolo 1, comma 2, della legge n. 241 del 2006.

 

 

 

L’articolo 1, comma 2, della medesima legge individua una serie di reati esclusi dall’ambito di applicazione della legge, previsti dalle seguenti disposizioni: art. 270, primo comma, c.p. (associazioni sovversive, in particolare il primo comma è relativo alla promozione, costituzione, organizzazione o direzione delle associazioni in questione); art. 270-bis c.p. (associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico); art. 270-quater c.p. (arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale); art. 270-quinquies c.p. (addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale); art. 280 c.p. (attentato per finalità terroristiche o di eversione); art. 280-bis c.p. (atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi); art. 285 c.p. (devastazione, saccheggio e strage); art. 289-bis c.p. (sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione); art. 306 c.p. (banda armata); art. 416, sesto comma, c.p. (associazione per delinquere finalizzata alla commissione dei delitti di cui agli artt. 600 - riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù -, 601 - tratta di persone - e 602 - acquisto e alienazione di schiavi - c.p.); art. 416-bis c.p. (associazione di tipo mafioso); art. 422 c.p. (strage); art. 600 c.p. (riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù); art. 600-bis c.p. (prostituzione minorile); art. 600-ter c.p. (pornografia minorile), anche nell'ipotesi prevista dall'art. 600-quater.1, ossia anche nel caso in cui il materiale pornografico prodotto sia rappresentato da immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori degli anni diciotto o parti di esse; art. 600-quater c.p. (detenzione di materiale pornografico), anche nell'ipotesi prevista dal suddetto art. 600-quater.1 c.p., in tema di materiale virtuale, sempre che il delitto sia aggravato ai sensi del secondo comma del medesimo art. 600-quater, ossia nel caso di detenzione di ingente quantità di materiale; art. 600-quinquies c.p. (iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile); art. 601 c.p. (tratta di persone); art. 602 c.p. (acquisto e alienazione di schiavi); art. 609-bis c.p. (violenza sessuale); art. 609-quater c.p. (atti sessuali con minorenne); art. 609-quinquies c.p. (corruzione di minorenne); art. 609-octies c.p. (violenza sessuale di gruppo); art. 630 c.p. (sequestro di persona a scopo di estorsione), commi primo, secondo e terzo; art. 644 c.p. (usura); art. 648-bis c.p. (riciclaggio), limitatamente all'ipotesi che la sostituzione riguardi denaro, beni o altre utilità provenienti dal delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione o dai delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope; delitti riguardanti la produzione, il traffico e la detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope, di cui all'art. 73 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, aggravati ai sensi dell'art. 80, comma 1, lett. a), e comma 2, del medesimo decreto e cioè nei casi in cui le sostanze stupefacenti e psicotrope siano consegnate o comunque destinate a persona di età minore e nel caso in cui il fatto riguarda quantità ingenti di sostanze stupefacenti o psicotrope (il comma 2 contiene anche una specifica aggravante per il caso in cui il fatto riguardi quantità ingenti di sostanze stupefacenti o psicotrope ed inoltre tali sostanze siano adulterate o commiste ad altre in modo che ne risulti accentuata la potenzialità lesiva); associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui all'art. 74 del suddetto D.P.R. 309/1990, in tutte le ipotesi previste dai commi 1, 4 e 5 del medesimo art. 74; reati per i quali ricorre la circostanza aggravante di cui all'art. 1 del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 1980, n. 15, ossia reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico; reati per i quali ricorre la circostanza aggravante di cui all'art. 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, ossia reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis c.p., in materia di associazioni di tipo mafioso, ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo; reati per i quali ricorre la circostanza aggravante di cui all'art. 3 del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 305, ossia reati commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l'attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità.

 

Con riferimento ai processi pendenti relativi a tali reati, il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere per estinzione del processo quando non è stato definito il giudizio di primo grado nei confronti dell’imputato e sono decorsi:

§         più di due anni dal provvedimento con cui il P.M. ha esercitato l’azione penale, formulando l’imputazione ai sensi dell’articolo 405 c.p.p.;

§         due anni e tre mesi nei casi di cui al comma 7 del nuovo articolo 531-bis c.p.p. (ovvero di nuove contestazioni ai sensi degli articoli 516, 517 e 518).

Tali termini differiscono rispetto al termine che, in generale, il nuovo art. 531-bis c.p.p. prevede per la conclusione del giudizio di primo grado (tre anni) nel caso di reati puniti con pena pecuniaria o pena detentiva inferiore nel massimo a dieci anni.

 

La norma prevede l’applicazione dei sopra descritti commi da 4 a 11 del nuovo articolo 531-bis, rinviando quindi anche alle disposizioni relative alla sospensione dei termini contenute nel comma 4; non viene invece richiamato il comma 2 dell’articolo 5 della proposta di legge che prevede la sospensione dei nuovi termini per tutto il periodo del rinvio della trattazione del processo disposto ai sensi dell’articolo 2-ter, comma 1, del decreto-legge n. 92 del 2008.

 

Per l’esame dell’art. 9 sotto il profilo del rapporto con i principi costituzionali, si rinvia alla scheda di sintesi.

 

Ai sensi del comma 3, infine, le disposizioni concernenti i termini di estinzione dei giudizi contabili, di cui all’art. 4 (v. supra), si applicano anche ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge qualora dal deposito della citazione a giudizio siano trascorsi almeno cinque anni e il giudizio di primo grado non si sia concluso


 

Art. 10.
(Entrata in vigore)

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

 

 

L’articolo 10, infine, prevede l’entrata in vigore del provvedimento il giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

 

 

 


 

SIWEB

Documentazione

 


Consiglio d’Europa

 


 

Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo
e delle Libertà fondamentali, emendata dal Protocollo n. 11
Roma, 4 novembre 1950
(art. 6)

 

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Il testo della Convenzione era stato modificato conformemente alle disposizioni del Protocollo n° 3, entrato in vigore il 21 settembre 1970, del Protocollo n° 5, entrato in vigore il 20 dicembre 1971 e del Protocollo n° 8, entrato in vigore il 1° gennaio 1990. Esso comprendeva inoltre il testo del Protocollo n° 2 che, conformemente al suo articolo 5, paragrafo 3, era divenuto parte integrante della Convenzione dal 21 settembre 1970, data della sua entrata in vigore. Tutte le disposizioni che erano state modificate o aggiunte dai suddetti Protocolli sono sostituite dal Protocollo n° 11 a partire dalla data della sua entrata in vigore, il 1° novembre 1998. Inoltre, a partire da questa stessa data, il Protocollo n° 9, entrato in vigore il 1° ottobre 1994, è abrogato.

 

Articolo 6

Diritto ad un processo equo

1. Ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragione­vole, davanti a un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge, al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o una parte del processo nell’interesse della morale, dell’or­dine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esi­gono gli interessi dei minori o la tutela della vita privata delle parti nel processo, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale quando, in speciali cir­costanze, la pubblicità potrebbe pregiudicare gli interessi della giustizia.

 

2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente sino a quando la sua col­pevolezza non sia stata legalmente accertata.

 

3. Ogni accusato ha segnatamente diritto a:

 

a. essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui com­pren­sibile e in un modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa ele­vata a suo carico;

 

b. disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per preparare la sua di­fesa;

 

c. difendersi da sé o avere l’assistenza di un difensore di propria scelta e, se non ha i mezzi per ricompensare un difensore, poter essere assistito gratui­tamente da un avvocato d’ufficio quando lo esigano gli interessi della giusti­zia;

 

d. interrogare o far interrogare i testimoni a carico ed ottenere la convoca­zione e l’interrogazione dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei te­sti­moni a carico;

 

e. farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nell’udienza.


 

Consiglio Superiore della Magistratura

 


 

Parere sul disegno di legge n. 1880/S recante «Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell'art. 111 della Costituzione e dell'art. 6 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo».
(Delibera del 14 dicembre 2009)

 

Il Consiglio Superiore della Magistratura, nella seduta del 14 dicembre 2009, ha approvato il seguente parere:

 

«Il Consiglio superiore della magistratura osserva:

 

1.- L’impianto normativo

Il disegno di legge n. 1880 S, che si compone di soli tre articoli,  introduce rilevanti modifiche sia al processo civile (intervenendo in modifica dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001 n. 89) sia al processo penale (inserendo dopo l’attuale articolo  346 l’art. 346 bis c.p.p.).

La dichiarata finalità del Legislatore (ben espressa nella  relazione di accompagnamento)  è di intervenire sui tempi del processo, nel settore civile modificando le procedure dell’equo indennizzo quando è violata la ragionevole durata, nel settore penale introducendo la  fattispecie estintiva del procedimento per violazione del termine di durata ragionevole.

Come di regola, il parere sarà concentrato sui punti di maggior rilievo del D.D.L 1880 S e limitato, ai sensi dell’art. 10 della legge 24 marzo 1958, n. 195, ai profili riguardanti le previsioni che comportano specifiche ricadute sul funzionamento della giustizia nonché sulla disciplina dei diritti fondamentali costituzionalmente previsti.

 

1.1. Modifiche alla legge 24 marzo 2001, n. 89 (c.d. legge Pinto): analisi del dato normativo e rilievi critici

 

a) L’art. 1 apporta modifiche all’art. 2, della legge 24 marzo 2001, n. 89.  Il tenore della disposizione é sostanzialmente sovrapponibile a quello dell’art. 23, comma 1, lett. a), del D.D.L. n. 1440 presentato dal Ministro della Giustizia nel marzo del 2009 e ad oggi all’esame del Parlamento, salve alcune rilevanti differenze su cui ci si soffermerà.

 Occorre peraltro precisare che mentre l’art. 23, comma 1, lett. b), del D.D.L. n. 1440 incide anche sull’art. 3, L. n. 89/2001, che regola il procedimento di equa riparazione,  il D.D.L. n. 1880 non interviene su tali aspetti.

L’art. 1 del D.D.L. n. 1880 introduce modifiche all’art. 2 della legge Pinto, rispetto a quanto previsto dal D.D.L. n. 1440: viene infatti  ridotto da tre a due anni il periodo di tempo individuato per la durata ragionevole del primo grado di giudizio, ai sensi del comma 3-ter, dell’art. 2, L. n. 89/2001.

Il predetto termine di cui al comma 3-ter, dell’art. 2, L. n. 89/2001 coincide con il tempo massimo di durata del giudizio di primo grado stabilito dall’art. 2 del medesimo D.D.L. n. 1880.

La rilevanza della modifica, rispetto a quanto proposto con il DDL 1440, richiede un esame approfondito, per le forti criticità che l’intervento presenta.  

La riduzione, da tre a due anni, del termine utile per la celebrazione dei processi di primo grado, in relazione alla definizione normativa dei tempi di ragionevole durata del processo, determina un significativo aumento, in valore assoluto, delle richieste di indennizzo che possono essere proposte ai sensi della legge Pinto. 

L’evenienza sortisce un duplice ordine di ricadute sul sistema giudiziario complessivamente inteso che non paiono adeguatamente considerate nel D.D.L. in esame.

In primo luogo, il lievitare delle domande di equa riparazione, determinato dall’abbassamento da tre a due anni del termine di durata ragionevole del primo grado di giudizio, comporta inevitabilmente l’ aumento considerevole degli oneri finanziari a carico dello Stato per l’erogazione degli equi indennizzi, ex lege n. 89/2001. Non di meno, alla richiamata modifica normativa, non si accompagna alcuna specifica previsione di spesa, come imporrebbe il disposto di cui all’art. 81 Cost.. 

Oltre a ciò, occorre ancora sottolineare  che il consistente abbassamento del termine di ragionevole durata dei giudizi di primo grado - rispetto a quanto già previsto dal citato D.D.L. n. 1440 - determinando l’incremento dei danni finanziari a carico dello Stato, per le spiegate ragioni, sembra contraddire la finalità perseguita dal legislatore, secondo quanto emerge dalla relazione di accompagnamento al D.D.L. n. 1880, ove si precisa  che gli indennizzi corrisposti ai sensi della legge Pinto rappresentano una vera e propria emergenza che il D.D.L. intende fronteggiare attuando il principio della durata ragionevole dei processi, sancito sia nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 6), sia nella Costituzione (art. 111).

 

b) Sotto altro aspetto, la riduzione del termine di durata ragionevole del primo grado di giudizio determina l’innalzamento esponenziale del numero dei processi da trattare prioritariamente, secondo la previsione di cui al comma 3-sexies, dell’art. 2, L. n. 89/2001, senza che al riguardo sia stato previsto alcun potenziamento delle risorse umane e materiali disponibili presso gli uffici giudiziari interessati.

Con specifico riferimento al processo civile, inoltre, deve rilevarsi che il richiamo agli artt. 81, secondo comma, e 83 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, operato dal comma 3-sexies, sopra citato, nell’individuare la corsia preferenziale per la trattazione dei procedimenti civili, a seguito del deposito della domanda di equa riparazione, evidenzia che il legislatore intende assegnare al termine ordinatorio di quindici giorni - quale intervallo massimo tra l’udienza destinata esclusivamente alla prima comparizione delle parti e la prima udienza

d’istruzione e tra le successive udienze d’istruzione - una specifica valenza precettiva, rispetto alla calendarizzazione dei processi. Si tratta di disposizione stabilita   senza adeguatamente considerare l’impatto della sua attuazione con riferimento  agli attuali carichi di lavoro che si registrano nel settore civile e senza  alcun coordinamento con la disposizione di cui all’art. 81-bis disp. att. c.p.c. (inserita dalla L. n. 69/2009), che stabilisce la possibilità che il giudice, nella fissazione del calendario del processo, tenga conto “della natura, dell’urgenza e della complessità della causa”.

Diversamente da quanto previsto dall’art. 23, comma 1, lett. a), del D.D.L. n. 1440  il D.D.L. n. 1880 esclude i processi penali dall’ambito di operatività della previsione che consente al giudice, con riguardo ai procedimenti a trattazione prioritaria, di motivare la sentenza con <una concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione si fonda>.

c) Il comma 2 dell’art. 1 in commento contiene poi una inedita previsione di diritto intertemporale: “in sede di prima applicazione delle disposizioni di cui al comma 1, nei giudizi pendenti in cui sono già decorsi i termini di cui all’art. 2, comma 3-ter, della legge n. 89 del 2001…l’istanza di cui al comma 3-quinquies del citato articolo 2 è depositata entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”.

In tali termini, il disegno di legge stabilisce l’immediata applicazione ai processi in corso delle disposizioni che introducono inedite previsioni circa i tempi <non irragionevoli> di definizione dei diversi gradi di giudizio; ed infatti, si  assegna alle parti il termine di sessanta giorni, dalla data di entrata in vigore della novella, per presentare l’istanza di equa riparazione, rispetto ai procedimenti pendenti, per i quali risultino già decorsi i termini di ragionevole durata stabiliti dalle nuove disposizioni.

La previsione mal si concilia  con il generale principio espresso dal brocardo tempus regit actum, che governa la successione nel tempo delle norme processuali. 

La successione delle leggi nel tempo è regolata dall’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, secondo il quale “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”. Tale norma sancisce l’efficacia immediata della nuova disciplina legislativa, prevedendone al contempo la irretroattività, in omaggio a quella fondamentale esigenza della vita sociale secondo cui la fede e la sicurezza nella stabilità dei rapporti non dovrebbero essere minacciate dal timore che una legge successiva possa turbare le situazioni giuridiche formatesi validamente. 

Ebbene, alla regola stabilita dall’art. 11 delle preleggi non si sottraggono le disposizioni di diritto processuale. E’ ben vero che la Corte regolatrice, con specifico riguardo al processo penale, ha chiarito che “è erroneo parlare di retroattività delle leggi processuali allorquando esse vengono applicate a fatti commessi prima della loro entrata in vigore: tale pretesa retroattività si riferisce infatti ai reati, e cioè a cose in ordine alla quale la legge processuale non dispone; mentre le norme sono irretroattive rispetto ai procedimenti e agli atti processuali, che costituiscono il vero oggetto delle loro disposizioni”[13]. Non di meno la portata dalle disposizioni contenute nell’art. 1, comma 1, D.D.L. n. 1880, sopra richiamate, è tale da indurre a ritenere che l’immediata applicazione delle predette disposizioni ai processi pendenti si risolva proprio in una applicazione retroattiva di norme processuali, nei sensi ora chiariti. Ed infatti le nuove disposizioni che modificano la legge Pinto incidono sull’organizzazione dei processi e la loro applicazione anche ai procedimenti pendenti comporta la rivalutazione - secondo i nuovi criteri, da applicarsi <ora per allora> delle decisioni di natura organizzativa assunte dal giudice in un contesto ordinamentale che non conosceva predefiniti termini di durata massima.

 

1.2 Estinzione del processo penale per violazione dei termini di durata ragionevole

 

a) La disciplina in generale. L’art. 2 del D.D.L. n. 1880/09 contiene una nuova regolamentazione dei tempi del processo penale finalizzata a contrastare «la durata indeterminata dei processi», nonché a garantire l’effettiva attuazione del principio della ragionevole durata, sancito dall’art. 111, comma secondo, Cost., e dall’art. 6 CEDU.

Si prevede quindi una causa di estinzione del processo nel caso in cui le singole fasi non si concludano nei termini fissati dal nuovo art. 346-bis c.p.p. Si tratterebbe di una specie di “prescrizione processuale” destinata ad affiancare – e non già a sostituire – la prescrizione quale causa di estinzione dei reati ex artt. 157 e ss. c.p. 

L’ipotesi viene concepita come una causa sopravvenuta di improcedibilità dell’azione penale, alla cui maturazione segue l’obbligo per il giudice di emettere una sentenza di non doversi procedere. Da ciò deriva, in base al quarto comma dello stesso articolo, che la sentenza una volta divenuta irrevocabile, costituisce il presupposto per l’operatività del divieto di un secondo giudizio di cui all’art. 649 c.p.p.

 

b) I termini. Il progetto di legge indica un termine perentorio biennale entro cui ogni grado del giudizio deve concludersi, pena l’estinzione del processo. 

Per il giudizio di primo grado il termine decorre dal momento in cui viene esercitata, ai sensi dell’art. 405 c.p.p., l’azione penale.

I termini relativi ai successivi gradi di giudizio decorrono invece dalla pronunzia della sentenza emessa nel grado precedente o dal giudice di legittimità, nel caso dell’annullamento con rinvio.

Peraltro, nell’ipotesi del giudizio di rinvio, il D.D.L. n. 1880 prevede il più breve termine di un anno entro cui deve concludersi non solo il relativo giudizio, ma deve altresì essere pronunziata sentenza irrevocabile, il che significa che dovrebbe concludersi anche l’eventuale giudizio d’impugnazione relativo alla sentenza emessa in sede di rinvio.

Il termine biennale previsto per il primo grado di giudizio comprende anche tutto il tempo necessario alla celebrazione dell’udienza preliminare (quando prevista), oltre al dibattimento. 

I termini riservati, rispettivamente, all’appello e al giudizio dinanzi alla Cassazione comprendono anche i tempi necessari alla redazione della sentenza emessa nel grado precedente (che a norma di legge possono arrivare  anche a novanta giorni) e quelli riservati all’esercizio del diritto di impugnazione della medesima (anche quarantacinque giorni). 

In concreto, appare evidente che l’effettivo tempo assegnato per la celebrazione di ogni fase del processo diviene di gran lunga inferiore ai due anni previsti.

Peraltro, il meccanismo così concepito non prevede neppure un sistema di recupero del tempo non consumato in una fase successiva similmente a quanto previsto in materia di termini di custodia cautelare dall’art. 303, comma 1, lett. b), n. 3-bis c.p.p.. Diversamente, viene preventivato un possibile prolungamento dei termini relativi al giudizio di primo grado per l’ipotesi che nel corso del dibattimento si proceda alla modifica dell’imputazione o a contestazioni suppletive ai sensi degli artt. 516, 517 e 518 c.p.p., attraverso il recupero di non più di tre mesi.

Il D.D.L. prevede, inoltre, che i termini di prescrizione processuale possano essere sospesi per tutto il tempo in cui il procedimento rimane fermo per diverse ragioni. 

Il secondo comma dell’art. 346-bis contempla in tal senso un elenco di cause di sospensione del decorso dei termini in questione che è sostanzialmente mutuato da quello previsto per la prescrizione dei reati dall’art. 159 c.p..

Così il corso dei termini dovrebbe rimanere sospeso nei casi di autorizzazione a procedere, di deferimento della questione ad altro giudizio e in ogni caso in cui la sospensione del procedimento penale è imposta da una particolare disposizione di legge, nonché durante il tempo in cui l’udienza preliminare o il dibattimento sono sospesi o rinviati per impedimento dell’imputato o del suo difensore ovvero su richiesta dei medesimi e sempre che la sospensione o il rinvio non siano assolutamente necessari per l’acquisizione di una prova. 

Infine, deve farsi notare che la prescrizione processuale è rinunciabile dall’imputato, così come previsto dall’art. 157, comma settimo, c.p. per quella sostanziale. 

 

c) I processi coinvolti. Il primo comma dell’art. 346-bis citato precisa che il meccanismo della prescrizione processuale trova applicazione  esclusivamente nei processi per reati puniti con pena inferiore nel massimo a dieci anni di reclusione. 

Il limite dei dieci anni deve dunque essere calcolato in maniera autonoma per il reato consumato e quello tentato, guardando esclusivamente alla pena detentiva anche se congiuntamente o alternativamente sia prevista anche quella pecuniaria. 

Non deve, quindi, tenersi conto delle diminuzioni collegate alla configurabilità di eventuali attenuanti o agli aumenti conseguenti ad eventuali aggravanti, salvo quelle ad effetto speciale, nel qual caso deve essere preso in considerazione l’aumento di pena massimo previsto per le stesse.

Appare rilevante sottolineare che il nuovo meccanismo di “estinzione del processo” sembra essere destinato ad incidere particolarmente sui procedimenti penali riguardanti le ipotesi di reato già pesantemente condizionate dai nuovi termini di prescrizione previsti dalla legge del 5 dicembre 2005, n. 251 (c.d. legge ex Cirielli).

Il nuovo istituto trova senz’altro applicazione, a titolo esemplificativo, nei processi per le fattispecie di corruzione di cui agli artt. 318 – 322 c.p.; gli altri delitti contro la pubblica amministrazione, ad eccezione del peculato di cui al primo comma dell’art. 314 e della concussione (art. 317 c.p.); i delitti contro l’amministrazione della giustizia (artt. 361 ss. c.p.) ad eccezione della calunnia aggravata dalle circostanze di cui al terzo comma dell’art. 368 c.p.; i delitti contro la fede pubblica (artt. 453 ss. c.p.) ad eccezione della falsificazione di monete, spendita e introduzione nello Stato, previo concerto, di monete falsificate (art. 453 c.p.) e della falsità, materiale o ideologica, commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, se aggravata dalla fidefacienza dell’atto (artt. 476 e 479 c.p.); la violazione degli obblighi di assistenza familiare ( art. 570 c.p.) e i maltrattamenti in famiglia ( art. 572 c.p.); le lesioni personali volontarie anche se “gravi” ai sensi del primo comma dell’art. 583, c.p.; l’omicidio e le lesioni personali colpose a meno che il fatto non sia commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro; la truffa; l’appropriazione indebita; la ricettazione; la bancarotta preferenziale, i reati in materia di imposte dirette e di I.V.A., i reati societari.

 

d) I processi esclusi. L’istituto non si applica, per espressa disposizione normativa,  ai processi relativi a delitti per i quali la pena edittale, sempre determinata ai sensi del menzionato art. 157 c.p., sia pari o superiore ai dieci anni di reclusione.

Sono altresì esclusi dal nuovo regime i processi a carico di chi sia già stato condannato a pena detentiva per delitto, anche se riabilitato, ovvero di chi sia stato dichiarato delinquente o contravventore abituale o professionale. 

Il riferimento alla riabilitazione (artt. 178 ss. c.p.) comporta che l’esclusione della nuova disciplina dell’estinzione del processo è prevista come un effetto penale della condanna, che non viene meno neppure qualora sia intervenuta la riabilitazione, ordinariamente destinata invece ad estinguere tutti gli effetti della condanna, oltre che le pene accessorie. 

Non risulta chiaro come a tali effetti debba essere considerata la sentenza di applicazione della pena su richiesta che, come è noto, è equiparata, ex art. 445, comma 1-bis, alla sentenza di condanna, anche nel caso in cui il reato sia estinto ai sensi del comma 2 del medesimo articolo. Allo stesso modo non è chiaro come debba essere considerata la condanna nel caso in cui il reato sia dichiarato estinto ai sensi dell’ art. 167 c.p. dopo la sospensione condizionale della pena.

Sono, altresì, specificamente esclusi i processi relativi ad uno dei seguenti delitti, consumati o tentati: a) associazione per delinquere (art. 416 c.p.); b) incendio doloso (art. 423 c.p.); c) pornografia minorile (art. 600-ter c.p.); d) sequestro di persona (art. 605 c.p.); e atti persecutori (art. 612-bis c.p.); f) furto aggravato dalla circostanza di cui all’art. 4 della legge 8 agosto 1977, n. 533 (fatto commesso su armi, munizioni od esplosivi nelle armerie ovvero in depositi o in altri locali adibiti alla custodia di armi) o da una delle circostanze aggravanti di cui all’art. 625 c.p.; g) furto in abitazione e furto con strappo (art. 624-bis c.p.); h) circonvenzione di persone incapaci (art. 643 c.p.); i) delitti cui ai commi 3-bis e 3-quater  dell’art. 51 c.p.p. e quindi, oltre alle ipotesi già previste, dei delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto art. 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo (v. art. 7, primo comma, del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991 n. 203); dell’associazione finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-quater del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43); dei delitti con finalità di terrorismo.

Come pure sono espressamente esclusi dalla nuova disciplina: l) delitti di cui all’art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p. ; m) delitti commessi in violazione delle violazione delle norme relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro ed all’igiene sul lavoro e delle norme in materia di circolazione stradale; n) reati previsti nel d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione; o) delitti di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti previsti dall’art. 260, commi 1 e 2, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.

A questi dovrebbero essere aggiunti tutti i processi per le contravvenzioni, posto che nella norma si fa riferimento, per l’individuazione dei processi ai quali si applica la nuova disciplina dell’art. 346 bis c.p.p., ai processi per i quali la pena edittale è inferiore nel massimo ai dieci anni di “reclusione”, escludendo in tal modo  le contravvenzioni, fattispecie di reato punita con  la pena dell’arresto e non della reclusione.

 

1.3. Il regime transitorio.

L’art. 3 del D.D.L. disciplina il regime intertemporale dell’art. 346-bis, prevedendo che le regole poste a disciplina della prescrizione processuale trovino applicazione anche ai processi in corso alla data di entrata in vigore della legge oggetto dell’iniziativa parlamentare in commento, salvo che gli stessi non siano già pendenti «avanti alla Corte d’appello o alla Corte di cassazione». E’ quindi prevista un’applicazione immediata dei nuovi termini di estinzione del processo solo per i procedimenti pendenti nel primo grado di giudizio con effetto retroattivo.

Il termine adottato dalla norma “pendenti avanti alla …” sembra assai poco chiaro laddove il riferimento alla pendenza non viene operato con riguardo al grado di appello o di legittimità, bensì “avanti” alle Corti predette. L’interpretazione rischia di essere poco agevole in quanto l’individuazione dell’operatività della nuova disposizione potrebbe essere ancorata all’effettiva presentazione dell’atto d’impugnazione ed alla formale pendenza del procedimento “avanti” alla Corte d’appello ovvero alla Corte di cassazione.

 

2. L’istruttoria effettuata dal Consiglio Superiore della Magistratura: le audizioni  dei dirigenti degli uffici giudiziari di Bari, Bologna, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Reggio Calabria, Torino, Venezia

Nell’ambito dell’attività istruttoria disposta dalla VI commissione per valutare l’incidenza sulle pendenze processuali presso gli uffici di I grado del nuovo istituto previsto dall’art. 2  del D.D.L. 1880, con nota del 17 novembre 2009 è stato richiesto ai Presidenti dei Tribunali e ai Procuratori delle sedi di Bari, Bologna, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia di comunicare i dati relativi ai seguenti quesiti: 

1) “La durata media dei processi penali dal 1.1.2005 ad oggi con riferimento, in particolare, al tempo che intercorre tra la richiesta di rinvio a giudizio ex art. 405 cpp  e la data di celebrazione dell’udienza preliminare, dal decreto di rinvio al giudizio sino alla prima udienza dibattimentale e da questa alla pronuncia della sentenza di primo grado

2) Il numero dei procedimenti penali pendenti nel primo grado di giudizio in cui almeno una delle imputazioni riguarda reati con pena edittale inferiore nel massimo a dieci anni di reclusione

3) Nell’ambito del dato precedente, precisare quanti procedimenti riguardino uno dei reati nominativamente indicati nelle lettere da a) a o) del comma 5 dell’art. 346 bis cpp come introdotto dal disegno di legge in parola

4) Ove possibile, all’interno del dato di cui al punto 2), indicare quanti procedimenti riguardino imputati che hanno già riportato una precedente condanna detentiva per delitto ovvero siano stati dichiarati delinquente o contravventore abituale o professionale. Qualora tale ultimo dato non fosse disponibile, si chiede di individuare almeno tre udienze dibattimentali a campione di prossima celebrazione, in cui siano presenti processi che rispondono alle condizioni oggettive di cui al punto 2, precisando se gli imputati siano o meno incensurati

5) Nell’ambito dei procedimenti attualmente pendenti, che ricadrebbero nella disciplina della nuova estinzione del processo, indicare nominativamente quelli di maggiore rilevanza  per numero e qualità delle imputazioni,  e per numero delle parti offese

6) Precisare quanti procedimenti, in valore percentuale, sono stati definiti attraverso  il ricorso ad un rito alternativo dal 1.1.2005 ad oggi, all’ufficio GIP-GUP ed al dibattimento

7) Individuare i tempi medi necessari per l’aggiornamento del casellario giudiziario a seguito di pronuncia definitiva di condanna

8) Per quanto concerne i giudizi civili pendenti in primo grado, individuare il numero di cause, anche in valore percentuale, per le quali sarebbe legittima la domanda di accelerazione di cui al comma 3 quinquies dell’art. 2 della legge n. 89/01 come introdotto dal progetto di legge in parola”.

 

Si riassumono di seguito le informazioni e i dati che sono stati acquisiti mediante le relazioni scritte depositate dai dirigenti e l’audizione degli stessi  effettuata dalla VI commissione nella seduta del 24 novembre 2009. Va precisato che i dati non immediatamente ricavabili dal sistema REGE sono stati rilevati dagli uffici con modalità non sempre omogenee. 

 

Punto 1. La durata media dei processi penali in I grado dal 1.1.05 ad oggi.

• Bari: il tempo intercorrente tra il deposito della richiesta di rinvio a giudizio ex art. 405 c.p.p. e la data di fissazione dell'udienza preliminare è stato quantificato in mesi 3, che si riduce a 2 mesi  per i procedimenti con imputati detenuti; il tempo medio intercorrente tra il decreto di rinvio a giudizio e la I udienza dibattimentale  è stato quantificato in mesi 3 per i processi di competenza del tribunale in composizione collegiale e in mesi 7 per i processi di competenza del tribunale in composizione monocratica; il tempo medio intercorrente tra la I udienza dibattimentale e la pronuncia della sentenza di I grado è stato quantificato in anni 1 e mesi 4[14] .

•      Bologna:  il tempo medio intercorrente dalla richiesta di rinvio a giudizio ex art. 405 c.p.p. alla pronuncia della sentenza che definisce il giudizio di I grado è stato quantificato in giorni 1.295; la durata media dei procedimenti a citazione diretta è stata quantificata in giorni 575.

Sono state poi indicate le seguenti percentuali in relazione ai procedimenti definiti oltre i due anni

dall’esercizio dell’azione penale: 

-71% per i procedimenti provenienti da udienza preliminare; -17 % per i procedimenti a citazione diretta; 

-76 % per i giudizi di opposizione a decreto penale

-24% percentuale media di tutti i procedimenti definiti in oltre due anni. Altri dati rilevanti sono stati forniti dal Presidente del Tribunale di Bologna in relazione al tempo medio intercorrente fra il deposito della richiesta di rinvio a giudizio del P.M. e la data dell'udienza preliminare, quantificato in 13 mesi[15] circa, e in relazione al tempo medio di definizione dei procedimenti pendenti presso il GIP/GUP, dalla data di iscrizione al predetto ufficio alla data del decreto di rinvio a giudizio, quantificato in oltre 2 anni in circa il 30 % dei casi. 

•      Milano. La durata media dei processi, dalla data di richiesta di rinvio a giudizio alla sentenza di I grado, è attualmente pari a: 

 

- giorni 310 per i processi di competenza del tribunale in composizione collegiale[16] ( era di giorni 620 nell’anno 2005);

 

- giorni 336 per i processi di competenza del tribunale in composizione monocratica con udienza preliminare ( era di giorni 658 nell’anno 2005).  Per i processi con citazione diretta i tempi medi di definizione del processo, dalla data del decreto di citazione a giudizio alla sentenza dibattimentale, vanno dai 477 giorni del 2005 ai 223 giorni attuali.

 

In relazione alla durata media delle singole fasi, sono stati forniti i seguenti dati: 

 

- giorni 115, per i processi di competenza del tribunale in composizione collegiale, e giorni 118, per i processi di competenza del tribunale in composizione monocratica, intercorrenti tra la richiesta di rinvio a giudizio ed il decreto che dispone il giudizio ( nell’anno 2005 occorrevano, rispettivamente, 195 e 164 giorni);

 

- giorni 87, per i processi di competenza del tribunale in composizione collegiale, e giorni 99, per i processi di competenza del tribunale in composizione monocratica, intercorrenti tra il decreto di rinvio a giudizio e la prima udienza dibattimentale (nell’anno 2005 occorrevano, rispettivamente, 138 e 161 giorni );

- giorni 108, per i processi di competenza del tribunale in composizione collegiale, e giorni 119, per i processi di competenza del tribunale in composizione monocratica, intercorrenti tra la prima udienza dibattimentale e la sentenza di primo grado ( nell’anno 2005 occorrevano, rispettivamente 287 e 333 giorni).

 

•    Napoli: il tempo medio di complessiva durata dei procedimenti, intercorrente tra la richiesta di rinvio a giudizio ex art. 405 cpp  e la pronuncia della sentenza che definisce il giudizio di I grado, è stato quantificato in giorni 578.

Sono stati inoltre forniti, per le singole fasi, i seguenti dati: 

-69 giorni , tempo medio intercorrente tra la richiesta rinvio a giudizio e la data dell’udienza preliminare; 

 -209 giorni, tempo medio intercorrente fra il decreto di rinvio a giudizio e la 1^ udienza dibattimentale; 

-300 giorni tempo medio intercorrente fra la 1^ udienza dibattimentale e la sentenza di 1° grado.

 

• Palermo: è stata indicata una durata media dei processi di I grado di 740 giorni, così articolata per le singole fasi: 

-150 giorni[17] , tempo che intercorre tra la richiesta di rinvio a giudizio ex art. 405 c.p.p. e la data di celebrazione dell'udienza preliminare; 

-150 giorni, tempo medio intercorrente tra la data del decreto di rinvio a giudizio e la prima udienza dibattimentale; 

- 440 giorni, tempo intercorrente tra la prima udienza dibattimentale e la pronunzia della sentenza di primo grado.  La durata media dei processi a citazione diretta è pari a 590 giorni; il tempo intercorrente tra il decreto di citazione diretta del P.M. e la prima udienza dibattimentale è pari a 240 giorni.

 

•      Reggio Calabria sono stati indicati:

 - 5 mesi, tempo medio intercorrente tra la richiesta di rinvio a giudizio e la definizione dell'udienza preliminare;

 - circa 3-4 mesi, tempo medio intercorrente tra l’emissione del decreto che dispone il giudizio e la celebrazione della prima udienza dibattimentale; 

-18 mesi, tempo medio intercorrente tra la prima udienza dibattimentale e la pronuncia della sentenza di I grado.

 

•    Roma: il tempo medio intercorrente tra la richiesta di rinvio a giudizio ex art. 405 c.p.p. e la data di celebrazione dell'udienza preliminare è stato quantificato in  3-4 mesi; quello intercorrente tra il decreto di rinvio a giudizio e la prima udienza dibattimentale in 3-4 mesi per i processi di competenza del tribunale in composizione collegiale  e in 8-9 mesi per i processi di competenza del tribunale in composizione monocratica.

E’ stato altresì indicato per i procedimenti a citazione diretta  il tempo medio intercorrente dalla  data del decreto fino a quella dell'udienza dibattimentale, pari a 4- 5 mesi.

In sede di audizione il Presidente del Tribunale ha precisato che il tempo medio intercorrente fra la  prima udienza dibattimentale e la sentenza di primo grado è pari a 323 giorni[18]circa per i processi con il rito monocratico e a 567 giorni per i processi con il rito collegiale.

 

•    Torino: la durata media processi in I grado è stata indicata in 353 giorni (di cui 118 sino all'udienza preliminare, 135 necessari per la fissazione dell'udienza dibattimentale  e 100 per lo svolgimento del dibattimento ). 

Il dato è stato così specificato in relazione alle singole fasi:

        tempo medio tra la richiesta di rinvio a giudizio e la data della celebrazione della prima  udienza preliminare, pari a 123 giorni per il rito collegiale e a 116 giorni per il rito monocratico;

        tempo medio tra la data del decreto che dispone il rinvio a giudizio e la data della prima udienza dibattimentale, pari a 4 mesi per il rito monocratico e a 5 mesi per il rito collegiale; 

        tempo medio intercorrente tra la prima udienza dibattimentale e la pronuncia della sentenza di I grado, indicato in 100 giorni sia per i processi con udienza preliminare sia per i giudizi con citazione diretta[19].

 

•    Venezia: la durata media dei processi è stata indicata in anni 2 e 9-10 mesi per i procedimenti con rito collegiale e di 22 mesi per processi con rito monocratico. 

Sono stati poi forniti i seguenti dati per le singole fasi:

-4/5 mesi, tempo medio tra richiesta di rinvio a giudizio e data dell'udienza preliminare; 

-circa 4 mesi, tempo medio per la celebrazione dell'udienza preliminare fino al rinvio al giudizio; 

-5 mesi, tempo medio intercorrente tra decreto che dispone il giudizio e prima udienza dibattimentale;

-circa 1 anno e 8 mesi, tempo medio di durata del dibattimento nei processi con rito collegiale e 14 mesi, tempo medio di durata dibattimento per processi con rito monocratico (di cui cinque intercorrenti tra l’emissione del decreto che dispone il giudizio e la prima udienza dibattimentale e 9 mesi circa per la celebrazione del dibattimento)[20].

 E’ stato altresì fornito il dato relativo alla durata media dei processi  a citazione diretta, pari a 14 mesi, e al tempo che mediamente intercorre fra l’ emissione del decreto di citazione a giudizio del PM e la I udienza dibattimentale, pari a cinque mesi. Di particolare rilevanza appare il dato relativo ai tempi mediamente necessari per la trasmissione degli atti alla Corte di appello nei casi di impugnazione della sentenza di I grado, fornito dal Presidente del Tribunale di Torino  e dal Presidente del Tribunale di Venezia: nel primo ufficio occorrono circa 1 - 1,5 mesi per i procedimenti con imputati detenuti e 8 mesi — 1 anno per gli altri procedimenti; nel secondo ufficio occorre un periodo non inferiore a tre mesi per gli imputati detenuti e a sei/sette mesi per gli altri imputati ( termini decorrenti dal deposito dell’atto di impugnazione).

 

 

Punti 2.3.4.5. Procedimenti pendenti in I grado per reati con pene edittali inferiori nel massimo a 10 anni di reclusione ( e, in relazione a questi, numero dei procedimenti per reati e imputati esclusi dal c. 5 dell’art. 346 bis c.p.p. introdotto dal D.D.L. 1880/09). Procedimenti di maggiore rilevanza ricadenti nella disciplina  della estinzione processuale.

 

• Tribunale – Procura di Bari

Secondo i dati comunicati dal Presidente del Tribunale in risposta ai quesiti nn.2.3.4, risultano pendenti in I grado n. 4478 procedimenti, con almeno una imputazione per reati puniti con pena edittale inferiore nel massimo a dieci anni di reclusione,  di cui n.200 pendenti dinanzi al Tribunale in composizione collegiale ( su un totale di n. 325) e n. 4.278 pendenti dinanzi al Tribunale in composizione monocratica.  I procedimenti che riguardano uno dei reati nominativamente indicati nelle lettere da a) ad o) del comma 5 dell'art. 346 bis c.p.p. sono in totale n. 700 .

I dati relativi al quesito n. 4 sono stati acquisiti su un campione di 3 udienze dibattimentali di prossima celebrazione nelle sezioni della sede centrale e nelle sezioni distaccate, in relazione a processi per reati con pena inferiore nel massimo a 10 anni di reclusione: su un totale di n. 455 imputati, n. 300 sono risultati incensurati e n.155 imputati con precedenti condanne a pena detentiva.

Dai dati forniti dalla Procura risulta che, su un totale di n. 689 procedimenti pendenti in giudizio da oltre due anni, n. 113 riguardano casi di particolare rilevanza o di particolare allarme sociale:  sono indicati a titolo esemplificativo n. 18 processi per art. 572 c.p., 3 processi per artt. 113, 589 c.p., un processo per artt. 589, 648, 707, 337 c.p.e altro, sei processi per omicidi colposi da colpa medica, uno per lesioni da colpa medica, n. 18 processi per reati in materia di edilizia e ambiente.

 

• Tribunale – Procura di Bologna

In relazione alla richieste relative ai quesiti n. 2 e 3 (numero di processi pendenti nel 1° grado del giudizio con almeno una imputazione per reati puniti con pena edittale inferiore nel massimo a dieci anni di reclusione e numero dei procedimenti esclusi dal c. 5 dell’art. 346 bis c.p.p. ) , per il Tribunale di Bologna sono stati acquisiti i seguenti dati:

 in relazione ai processi pendenti al dibattimento alla data del 30.6.09, su un totale di n.2.765 procedimenti penali, n. 2.163 comprendono almeno un'imputazione riguardante reati puniti con pena edittale inferiore nel massimo a 10 anni di reclusione e non contengono imputazioni per i reati esclusi dal c. 5 dell’art. 346 c.p.p.; di questi, n. 761 pendono da oltre due anni dalla data di richiesta di rinvio a giudizio;

in relazione ai processi pendenti all’ufficio GIP/GUP alla data del 30.6.09, su un totale di n. 33.811 procedimenti penali ( di cui 22.425 con richiesta diversa dall’archiviazione), n. 28.857 (di cui n. 19.707 con richiesta diversa dall’archiviazione ) comprendono almeno un'imputazione per reati puniti con pena edittale inferiore nel massimo a 10 anni di reclusione e non contengono imputazioni per i reati esclusi dal c. 5 dell’art. 346 c.p.p.; n.11.628 sono i procedimenti pendenti, con le medesime caratteristiche, con data di richiesta di rinvio a giudizio formulata già da due anni alla data del 30.6.09.

Quanto al quesito n. 4, i dati sono stati acquisiti su un ristretto campione di 4 udienze monocratiche dibattimentali di prossima celebrazione: su complessivi n. 36 procedimenti, 4 riguardano n. 5 imputazioni per reati con pena edittale inferiore nel massimo a dieci anni di reclusione ed imputati incensurati (percentuale pari all' 11,11 %);dei rimanenti procedimenti, n. 9 riguardano reati esclusi dal c. 5 dell’art. 346 bis c.p.p., n. 2 riguardano reati punibili con pena edittale superiore nel massimo a 10 anni di reclusione; n. 19 riguardano procedimenti con tempo, dalla data di richiesta di rinvio a giudizio, inferiore a 2 anni; n. 2 processi riguardano imputazioni per reati con pene edittali inferiori nel massimo a 10 anni e non esclusi dal c. 5 dell’art. 346 bis cit., con richiesta di rinvio a giudizio superiore a 2 anni ma a carico di imputati già condannati. 

Fra i processi segnalati dalla Procura di Bologna in risposta al quesito n. 5, sono citati a titolo esemplificativo il processo per lo scoppio di  una palazzina con numerose vittime, 13 imputati e 41 persone offese ( richiesta di rinvio a giudizio dell’agosto 2009 e prima udienza preliminare prevista per il gennaio 2010); due processi di colpa medica per art. 589 c.p., due processi per art. 589 c.p., rispettivamente con 8 e 9 indagati; un processo per artt. 319, 323, 479 c.p. a carico di 26 imputati ( medici e ricercatori ospedalieri) e 2 società farmaceutiche.

 

• Tribunale – Procura di Milano

Con riferimento al numero di processi pendenti che riguardano almeno una imputazione per reati con pena edittale inferiore ai 10 anni ( quesito n.2), è stato precisato in premessa che il dato, non immediatamente ricavabile  dal sistema informatico, è stato rilevato interrogando il REGE per ogni singolo reato e che la risposta non consente di distinguere i casi in cui il reato appartenga ad un processo con unica contestazione o a un processo con più contestazioni o anche più imputati. La ricerca, considerati i tempi ristretti a disposizione, è stata effettuata sulla base di un catalogo di 123 reati, individuati fra quelli più ricorrenti o di più rilevante allarme sociale, come i reati contro la  e l'Amministrazione della Giustizia,  contro la famiglia, contro la persona, contro il patrimonio ed in materia fiscale: è così emerso un numero complessivo di n.5041 processi (pendenti alla data 16.11.09), di cui n. 251 per violazione degli obblighi di assistenza familiare, n. 187 per maltrattamenti in famiglia;n. 423 per lesioni personali; n. 90 per violenza privata; n. 193 per minacce;n. 1076 per reati contro la fede pubblica, n. 309 per furto semplice, n. 30 per estorsione non aggravata, n. 44 per rapina non aggravata, n. 163 per reati in materia fiscale. 

Sono stati individuati n. 2128 processi per reati esclusi dalle lett. da a) ad o) dell'art. 346 bis c.p.p., anche in questo caso con la precisazione che  più reati esclusi potrebbero appartenere allo stesso processo. E’ stato rilevato che poco meno del 45% dei predetti processi, aventi ad oggetto reati "ostativi" all’estinzione del processo, riguarda reati in materia di immigrazione (n.940 sul totale di 2128).

Con riferimento al quesito n. 4), sono stati individuati su un totale di n.474 processi pendenti dinanzi al Tribunale in composizione collegiale, n. 301 imputati incensurati, e n. 64 processi per reati puniti con pena inferiore ai dieci anni.

Per i processi pendenti dinanzi al tribunale in composizione monocratica, in base ad una ricerca effettuata a campione, sono stati individuati 457 imputati incensurati, nell'ambito di 814 processi complessivamente esaminati.

Fra i processi più rilevanti a rischio di estinzione, sono stati  segnalati: il processo Pagliani + altri (Parmalat banche), nel quale sono stati contestati i reati di aggiotaggio ex art. 2637 c.c., a carico di  11 imputati, tutti incensurati, con circa 40.000 parti civili costituite e n. 8 responsabili civili (richiesta di rinvio a giudizio del 12.7.05);  il processo Baietta + altri (scalata Antonveneta) nel quale sono stati contestati, oltre all’art. 416 c.p., i reati di aggiotaggio, reati di ostacolo alla vigilanza, truffa, appropriazione indebita e riciclaggio, per n. 19 tra imputati ( di cui solo 4 con precedenti condanne) e responsabili ex L. 251/ n. 231, con 2 parti civili e 6 persone offese (richiesta di rinvio a giudizio del 25.7 2007); il processo per i fatti riguardanti l'Ospedale S. Rita, a carico di 9 imputati, tutti incensurati, circa 100 imputazioni per reati con pene edittali inferiori a dieci anni come truffe, lesioni personali e falsi ( richiesta di rinvio a giudizio del 12.7.08); il processo ex Mills, per corruzione in atti giudiziari a carico di imputato incensurato (richiesta di rinvio a giudizio del 10 marzo 2006).

 

• Tribunale – Procura di Napoli

In risposta ai quesiti 2 e 3 sono stati forniti i seguenti dati: i  procedimenti penali pendenti nel I grado di giudizio in cui almeno una delle imputazioni riguarda reati con pena edittale inferiore nel massimo a dieci anni di reclusione ammontano a 70.634; n. 7096 procedimenti ( di cui 1666 aggravati ex art. 7 legge 203/1991) sono i procedimenti relativi ad uno dei reati nominativamente indicati nelle lettere da a) a o) del comma 5 dell’art. 346-bis c.p.p.

E’ stato precisato al riguardo che, nell’elaborazione dei dati, non è stato possibile individuare le ipotesi di omicidi e lesioni colpose escluse dalla lettera m) dell’art. 346 bis c.p.p. e che per tale ragione nel dato complessivo sopra indicato sono inclusi tutti i procedimenti per i reati di cui all’art. 589 e 590 c.p., pari rispettivamente a n. 262 e 478 procedimenti.

Il dato relativo alla risposta al quesito n. 4 riguarda un campione di tre udienze dibattimentali di prossima celebrazione. E’ risultato che nella prima udienza, 4 dei 10 processi fissati riguardano imputati recidivi (40% del totale); nella seconda udienza, 9 dei 19 processi fissati riguardano imputati recidivi (47,36% del totale); nella terza udienza, 6 dei 24 processi fissati riguardano imputati recidivi (25% del totale).  Il dato, come precisato nella relazione scritta,  deve essere valutato tenendo conto dei ritardi delle annotazioni nel casellario giudiziale: presso il Tribunale di Napoli risultano non ancora annotati i dati relativi a n.9834 schede e, nelle sedi distaccate, quelli relativi a circa 400; le schede giacenti presso la Corte d'Appello di Napoli sono circa 5000.

Fra i processi più rilevanti a rischio di estinzione[21], sono stati in particolare segnalati:

il procedimento penale nr. 30586/05 a carico di Manuguerra Carlo + 1 per artt. 428-449 c.p. ed art. 589 c.p., a carico di due imputati incensurati,  per il naufragio colposo avvenuto in data 24.07.2005 al largo dell'isola d'Ischia in seguito alla collisione tra il peschereccio "PADRE PIO" e la nave cisterna "AUDACE", con il decesso dei tre marinai; il dibattimento, iniziato il 27.05.2007, è prossimo alla conclusione essendo stato ultimato l'esame di tutti i testi del P.M. e l'esame degli imputati ed è stato rinviato all'udienza del 07.01.2010 innanzi al Tribunale di Napoli per l'esame dei testi delle parti private; il procedimento penale n. 47412/06/21 a carico di Romeo Alfredo + 2, in relazione al quale è stata esercitata l'azione penale in data 12.6.2007; il procedimento penale n. 29846/07 per i reati di disastro colposo ed omicidio colposo plurimo (artt 449 cp- 589 1 e 3 comma cp), relativo al crollo di un edificio, con morte di due persone, che si trova in fase iniziale di dibattimento, con richiesta di rinvio a giudizio del 31.07.08 ed assai poche possibilità di conclusione dell'istruttoria dibattimentale entro il 30 luglio 2010; il p.p. n. 57855/06 per artt. 328 cp- 449 cp- 589 cp , relativo alla morte di una giovane donna in conseguenza del crollo di un palo della luce in una principale strada cittadina, che trovasi nella fase iniziale del dibattimento, con richiesta di rinvio a giudizio del 05.08.08; il procedimento n. 15940/03 a carico di Bassolino Antonio + 27, e 5 persone giuridiche, per reati di truffa aggravata, frode in pubbliche forniture, interruzione di PS, abuso di ufficio, falso ideologico in atto pubblico, gestione abusiva dei rifiuti; il processo n. 41544/07/RGNR, per lottizzazione abusiva a carico di soggetti legati da vincoli di parentela ed interesse con appartenenti al clan camorristico dei casalesi; procedimento n.16424/04/21, per fatti di “enorme impatto ambientale”, relativo al traffico di rifiuti ferrosi ed altro, per il quale è stato disposto il sequestro di aziende (tra cui colossi imprenditoriali riferibili al gruppo industriale Feralpi e l'unica discarica di rifiuti pericolosi italiana situata nel bresciano); quasi tutti i processi per colpa medica ( omicidio e lesioni).

 

• Tribunale – Procura di Palermo

Per il Tribunale di Palermo, sono stati forniti i seguenti dati:

n.8149 sono i processi pendenti nel 1° grado del giudizio con almeno una imputazione per reati puniti con pena edittale inferiore nel massimo a dieci anni di reclusione, su un totale di n. 8700 processi pendenti (in percentuale 93,66%)[22];

-n. 949 sono i procedimenti che, nell’ambito di quelli sopra indicati,  riguardano uno dei reati nominativamente indicati nelle lettere da a) ad o) del comma 5 dell'art. 346 bis c.p.p.;  il totale dei procedimenti pendenti in I grado, interessati dall’estinzione per tipologia di reati, è pari a 7.200.

Dai dati forniti dalla Procura risulta che n. 1835 sono i procedimenti pendenti da oltre due anni in dibattimento con rito monocratico.  Il dato relativo ai processi con imputati pregiudicati è stato individuato, sia nel settore collegiale che in quello monocratico, su un campione di tre udienze dibattimentali di prossima celebrazione,  con processi relativi ad imputazioni per reati con pena edittale inferiore ai 10 anni di reclusione: tre sezioni su cinque hanno segnalato la pendenza di processi con 316 imputati incensurati e 210 già condannati, corrispondente ad una percentuale di incensurati del 40%. In risposta al quesito n. 5, le 5 sezioni del Tribunale e quella di Corte di Assise hanno individuato complessivi 99 processi di particolare rilevanza: prevalgono i reati di omicidio colposo e lesioni per colpa medica, abuso di ufficio, truffa, maltrattamenti in famiglia, abbandono di minori, violazioni urbanistiche e lottizzazioni abusive, ricettazione, calunnia, favoreggiamento personale. 

 

• Tribunale – Procura di Reggio Calabria

Per il Tribunale di Reggio Calabria sono stati forniti i seguenti dati: -i procedimenti pendenti nel 1° grado del giudizio con almeno un’imputazione per reati puniti con pena edittale inferiore nel massimo a dieci anni di reclusione sono 6537  presso l’ufficio gip-gup (circa l'83% del totale che ammonta a n.7.908 processi) e 2866 presso le sezioni dibattimentali ( di cui n.2799 di competenza del tribunale in composizione monocratica e n.67 di competenza del Tribunale in composizione collegiale); i  procedimenti che riguardano uno dei reati nominativamente indicati nelle lettere da a) ad o) del comma 5 dell'art. 346 bis c.p.p. sono 1289 presso l’ ufficio GIP/GUP e 318 processi presso le sezioni dibattimentali ( di cui 289 pendenti dinanzi al giudice monocratico e  29 pendenti dinanzi al collegio).

E’ stata altresì indicata la  percentuale dei processi pendenti  in dibattimento che, tenuto conto delle sole esclusioni oggettive e del decorso del termine di due anni dall’esercizio dell’azione penale, sarebbe soggetta ad estinzione, pari al 19,5% dei processi pendenti, che aumenta al 28% se si considera solo i processi collegiali (rispettivamente n.34 processi pendenti dinanzi al Tribunale in composizione collegiale e n.543 processi pendenti dinanzi al Tribunale in composizione monocratica).

 I dati forniti in risposta al quesito n. 4, sono stati acquisiti su un campione di tre udienze dibattimentali di prossima celebrazione: per l'udienza del 3.12.2009,  risultano iscritti 5 procedimenti con 8 imputati di cui 3 incensurati; per l'udienza del 30.11.2009 risultano iscritti 5 procedimenti con 13 imputati di cui 10 incensurati; per l'udienza del 19.11.2009 risultano iscritti 4 procedimenti con 6 imputati di cui 2 incensurati.

Fra i processi indicati in risposta al quesito n. 5, sono stati segnalati: un processo per i reati di abuso di ufficio, falso e truffa commessi in concorso fra i componenti di una commissione di lavori pubblici ai danni del comune di Reggio Calabria ( n. 15 imputati e 88 capi di imputazione ); un processo a carico di amministratori pubblici per art. 328 c.p. ( condotte omissive in relazione alla bonifica e messa in sicurezza di una discarica);  un processo per indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato ( 5 imputati), un processo per truffa e falso ai danni  dell’INPS (25 imputati e 23 imputazioni). 

 

 

• Tribunale -Procura di Roma

In risposta ai quesiti nn. 2,3, e 4 è stato fornito dalla Procura il dato relativo ai procedimenti pendenti in I grado da oltre due anni dall’esercizio dell’azione penale, e soggetti ad estinzione tenuto conto delle cause di esclusione oggettive (pena edittale, tipologia di reati ) e di quelle soggettive (precedenti condanne):[23]

 per l’ufficio GIP/GUP, il numero dei procedimenti soggetti ad estinzione è pari al 45.50% (1691 su un totale di 3.716 processi pendenti);

 per il dibattimento collegiale e monocratico, il numero dei procedimenti soggetti ad estinzione è pari al 70,07 % (9231 su un totale di 13.174 processi pendenti);

per il giudice di pace, il numero dei procedimenti soggetti ad estinzione è pari al  90,99 %, su un totale di 5.653 processi pendenti.

Per il Tribunale è stato fornito il dato relativo ai procedimenti pendenti in I grado interessati dall’estinzione avuto riguardo alla tipologia di reati, alla pena edittale e all’assenza di precedenti condanne, elaborato su un campione di 3 udienze monocratiche e 3 collegiali per ciascuna delle 9 sezioni dell’ufficio:

in relazione ai processi con rito collegiale, il numero dei processi soggetti ad estinzione è di n. 18 su n. 193 processi ( 9%);

per i processi di competenza del Tribunale in composizione monocratica, il numero dei processi soggetti ad estinzione è di 217 su 521 (42%).

Fra i procedimenti più rilevanti a rischio di estinzione sono stati segnalati:  il processo c.d. Lady Asl pendente presso la 4a sezione penale, due processi pendenti presso la IX sezione per reati contro la PA (c.d. “sanità e calciopoli”), un processo  (n. 9476/06) a carico di 12 operatori sanitari per art. 589 c.p..

 

• Tribunale -Procura di Torino

In premessa alla risposta al quesito n. 2, il Presidente del Tribunale ha precisato che, in considerazione dell’elevato numero dei procedimenti pendenti al 20/11/2009, pari a n. 2.471, non è stato possibile individuare quanti riguardano almeno una imputazione per reati con pena edittale inferiore ai 10 anni. E’ stato pertanto effettuato un calcolo sommario, “su dati non del tutto affidabili” ( un file sul quale sono indicati i titoli di reato per i quali si procede), prendendo in considerazione solo i fascicoli giunti in Tribunale, con la data fissata per l’udienza superiore al 24/11/2009: è risultato che sul numero totale di procedimenti penali pendenti, corrispondenti a n. 6758 capi di imputazione, n. 1534 capi di imputazione (22,7% del totale ) sono esclusi dall’estinzione, poiché relativi a reati per i quali è prevista una pena massima edittale non inferiore a dieci anni o perché rientranti nell'ambito delle esclusioni previste dal nuovo art. 346 bis, comma 5, c.p.p.

In risposta al quesito n. 3, sono stati individuati n. 86 procedimenti per reati di cui all’art. 346 bis c. 5 c.p., con esclusione dei reati ex art. 624 c.p. con l’aggravante del fatto commesso su armi, e di quelli previsti dalle lett. da  i) a o) dell’art. 346 bis cit., poiché dati non rilevabili.  In risposta al quesito n. 4, si è provveduto all’esame a campione di alcune udienze dibattimentali: è risultato che, su un totale di n. 50 processi con le caratteristiche indicate al quesito 2, n.17 hanno imputati che hanno riportato una precedente condanna a pena detentiva. In risposta al quesito n. 5 sono stati indicati nominativamente n. 34 processi a rischio di estinzione. Fra questi, tre processi per usura ( uno con 7 persone offese), due processi per omicidio colposo, un processo per art. 9 CDS ( gare clandestine), due processi per calunnia, un processo per falsa perizia a carico di un ordinario di medicina legale per artt. 373-479 c.p., il processo sui lavori olimpici, per artt. 353, 323, 326 c.p. ed altro, il processo sull’appalto dei lavori di rifacimento dell’aeroporto di Sandro Pertini di Torino per artt. 353, 640 c.p. e altro.

 

• Tribunale -Procura di Venezia

 In relazione ai 67 procedimenti pendenti al 18.11.09 dinanzi al Tribunale in composizione collegiale, n. 6 hanno almeno una delle imputazioni per reati con pena edittale inferiore nel massimo a 10 anni; dei predetti 6 processi, 4 riguardano reati di cui al c. 5 comma dell'art. 346 bis c.p.p. introdotto dal disegno di legge, 3 riguardano imputati già condannati a pena detentiva  e 1 processo, nei confronti di 6 imputati incensurati, per artt. 319, 321 c.p..

 In risposta al quesito n. 5, tale ultimo processo è stato indicato fra quelli colpiti dall’estinzione processuale.

In relazione ai 721 processi pendenti dinanzi al Tribunale in composizione monocratica[24], n. 615 (85,29% ) riguardano imputazioni per le quali sarebbe astrattamente applicabile il c. 1, lett. a) dell'art. 346 bis c.p.p. e n. 106 riguardano alcune delle ipotesi previste dal c. 5 dell’art. 346 bis c.p.p, lett. a)- o) e, in specie: furto aggravato ex art. 625 c.p. ( n. 46 processi), art. 624 bis c.p. ( n. 4 processi), art. 600 ter c.p. ( un processo ), art. 423 c.p. ( un processo), art. 590 c.p. e art. 589 c.p., con l’ aggravante della violazioni di norme sulla prevenzione o sulla circolazione stradale ( rispettivamente n. 20 e n. 8 processi), violazioni del TU sulla disciplina dell’immigrazione ( n. 26). Nella relazione scritta il Presidente del Tribunale ha precisato che tenendo conto di tutte le condizioni ostative previste dal DLL 1880 oltre il 60% di tutti i processi penali pendenti in I grado è a rischio di estinzione per il decorso del termine di due anni. 

 

Punto 6. Percentuale di definizione dei procedimenti esauriti con riti alternativi dal 1.1.2005 ad oggi.

 

• Tribunale di Bari

Dal 1.1.05 al 30.6.09, la sezione GIP/GUP ha definito complessivamente n. 6.831 procedimenti; di questi n. 3.357, pari al 50% circa, sono stati definiti con riti alternati;  nello stesso periodo la percentuale di processi definiti con riti alternativi dinanzi al Tribunale è stata del 6,83% , per i procedimenti di competenza del collegio, e del 38% per i procedimenti di competenza del Tribunale in composizione monocratica.

 

• Tribunale di Bologna

Con riferimento alla definizione di procedimenti con riti alternativi, nel periodo 1.1.05- 30.6.09, sono state fornite le seguenti percentuali:

26-27% per l’ufficio GIP/GUP;

44% circa per il dibattimento

 

• Tribunale di Milano

Relativamente all’ ufficio GIP / GUP, la percentuale delle definizioni con i riti alternativi è risultata abbastanza costante negli anni. In particolare:

le sentenze di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. variano tra 31% del 2005 ed il 24 % dell'anno 2008 (per l'anno 2009 la percentuale è attualmente del 19% circa);

 la percentuale dei giudizi abbreviati varia tra il 23% del 2005 ed il 25% del 2008 (per l’anno 2009 si attesta attualmente al 26%). Nei processi monocratici dibattimentali, la percentuale dei processi definiti con sentenze di applicazione della pena è del 32%, sia nel 2005 che nel 2008 e il dato si va consolidando per il 2009 ; la percentuale di definizioni con giudizio abbreviato è stata superiore al 14% nel 2008 e dell’ 11% nel 2005. Complessivamente, la percentuale di definizioni con riti alternativi è stata del 43 % nel 2005 e del 47% nel 2008, dato che si conferma anche per il 2009. Nei processi collegiali, la percentuale di definizione  con riti alternativi è stata dell'8% nel 2005, del 14% nel 2008 e per l’anno 2009 è attualmente pari all' 11%

 

• Tribunale di Napoli

La percentuale dei procedimenti definiti  con riti alternativi dinanzi al GIP/GUP è del 16,27% (n. 9.716 procedimenti, su un totale di n. 59.702 procedimenti definiti dal 1.1.05 al 18.11.09);  la percentuale dei procedimenti definiti con riti alternativi al dibattimento, monocratico e collegiale, è pari al 29.80% (n. 18.564 procedimenti, su un totale di n. 62.286 procedimenti definiti dal 1.1.05 al 18.11.09)

 

• Tribunale di Palermo

La percentuale dei procedimenti definiti con riti alternativi dinanzi all’ufficio GIP/ GUP dall’a1.1.2005 al 18.11.2009 è pari a 21,72%  ( n. 4.908 procedimenti su un totale di procedimenti ordinari pervenuti pari a n.22.592, esclusi quelli definiti con archiviazione, sentenze di n.d.p. ed altri definiti altrimenti); nello stesso periodo di riferimento, la percentuale dei procedimenti definiti con rito alternativo al dibattimento è pari al 35,29 % (su un totale di 19.519 sentenze emesse, n. 6889 riguardano riti alternativi e, in specie,  n. 238 su n.1181 sentenze emesse dal Tribunale in composizione collegiale e n. 6651 su n. 18.338 emesse dal Tribunale in composizione monocratica).

 

• Tribunale di Reggio Calabria

Risultano definiti con riti alternativi dal 2005 ad oggi il 70% dei procedimenti presso l’ufficio GIP/GUP e circa il 13,3% dei procedimenti presso le sezioni dibattimentali. 

 

• Tribunale di Roma.

In sede di audizione il Presidente del Tribunale ha fornito i seguenti dati, riferiti al periodo gennaio 2005 gennaio 2009: -nel dibattimento con rito monocratico il 15,87 % dei procedimenti è stato definito con il rito abbreviato e il 12,44% con l’applicazione della pena su richiesta delle parti;

- nel dibattimento con rito collegiale, l’11,63% dei procedimenti è stato definito con rito abbreviato e il 15,71 % con l’applicazione della pena su richiesta delle parti; 

-dinnanzi all’ufficio GUP l’1,44% dei procedimenti è stato definito con il giudizio abbreviato e l’1,54 % con l’applicazione della pena su richiesta delle parti.

 

• Tribunale di Torino

La quasi totalità dei procedimenti celebrati con il rito direttissimo ( corrispondenti quasi alla metà delle 7000 sentenze pronunciate ogni anno), si svolgono con le forme del rito abbreviato o del patteggiamento. I riti alternativi incidono sulla definizione dei procedimenti per un 55% del totale, con un 35 — 40% di giudizi abbreviati ed un 15 — 20% di patteggiamenti (dato pressoché stabile dal 2005).

 

• Tribunale di Venezia 

La percentuale dei procedimenti definiti con riti alternativi dinanzi all’ufficio GIP/ GUP è pari al 57%; quella dei procedimenti definiti con riti alternativi dinanzi al Tribunale in composizione monocratica è pari al 33,5%[25]

Non è stata comunicata la percentuale relativa ai procedimenti definiti in dibattimento con rito collegiale.

 

Punto 7.Tempi medi necessari per l’aggiornamento del casellario giudiziario a seguito di pronuncia definitiva di condanna. • Tribunale di Bari Il tempo di aggiornamento del casellario è stato quantificato in poco più di 3 mesi.

 

• Tribunale di Bologna

Il tempo di aggiornamento del casellario è stato quantificato in circa 4 mesi per le sentenze dibattimentali, oltre 1 anno per le sentenze Gip/Gup e in 2 mesi e mezzo per i decreti penali.

 

• Tribunale Milano

A partire dall’avvio del nuovo sistema informatico ( maggio 2007), il tempo medio di aggiornamento del casellario è di 10- 12 mesi.

 

• Tribunale Napoli

È stato indicato in circa 1 anno il tempo medio che occorre in Tribunale per l'inserimento dei dati, riferiti alle pronunce definitive di condanna, necessari all'aggiornamento del casellario giudiziario. Peraltro risultano non ancora annotati i dati relativi a n.9834 schede e, nelle sedi distaccate, quelli relativi a circa 400; le schede giacenti presso la Corte d'Appello di Napoli sono circa 5000.

 

• Tribunale di Palermo

Il tempo di aggiornamento del casellario giudiziario nel periodo 1.1.2005 – 7.2.2009 è stato di n. 149 giorni, per un totale di n. 11.263 schede compilate. 

 

• Tribunale di Reggio Calabria

Il tempo medio di aggiornamento del casellario è di circa 15 giorni presso la cancelleria delle sezioni dibattimentali mentre un pesante ritardo, anche di qualche anno, grava sulla cancelleria della sezione GIP/GUP, soprattutto per l’accumulo dei decreti penali di condanna.

 

• Tribunale di Roma

Il dato non è stato comunicato dal Presidente del Tribunale. In sede di audizione, il Procuratore della Repubblica ha riferito che si registra un ritardo di 1 anno in media per l’iscrizione della condanna nel casellario, con un ritardo superiore all ’anno per il Casellario centrale per gli stranieri .

• Tribunale Torino

Il tempo medio  occorrente per l’aggiornamento del casellario è di 6- 8 mesi. Si precisa al riguardo che mentre alcune sezioni riescono ad eseguire l'iscrizione entro 2 mesi, altre hanno un ritardo di 10

- 12 mesi; a ciò si aggiunge il tempo necessario alle cancellerie per rendere le sentenze irrevocabili con l’invio delle sentenze al visto del P.G. e la notifica degli estratti contumaciali, adempimenti che, in periodi di difficoltà delle cancellerie, registrano un notevole ritardo rispetto al deposito della sentenza.

 

• Tribunale Venezia

 Il tempo medio di aggiornamento del casellario è di circa 1 anno per il Tribunale in composizione Collegiale e di circa 18 mesi dall'attestazione di irrevocabilità della sentenza per il Tribunale in composizione Monocratica.

 

Punto 8. Percentuale dei giudizi civili pendenti in primo grado per i quali sarebbe legittima la domanda di accelerazione di cui al comma 3 quinquies dell’art. 2 della legge n. 89/01 come introdotto dal D.D.L. 1880/09.

 

• Tribunale di Bari

Sono state indicate le seguenti percentuali: 

67,78 % per il contenzioso delle Sezioni Civili della Sede Centrale; 65% per la Sezione Lavoro; 60,8 % - 56,3 % - 75,00 % -60,00 % - 69,60 % - 69,00 % - 65,24 % rispettivamente per le Sezioni Distaccate di  Acquaviva dello Fonti, Altamura, Bitonto, Modugno, Monopoli,  Putignano e Rutigliano[26].

 

• Tribunale di Bologna

Sono state indicate le seguenti percentuali:

 50,97% (n. 13.387 procedimenti su un totale di n. 27.243) per i procedimenti contenziosi civili ordinari; 16,98% ( n. 492 procedimenti su un totale di n. 2.897) per i procedimenti in materia di lavoro e previdenza 

 

• Tribunale Milano

 In base alle rilevazioni effettuate alla data del 4.11.09, la pendenza complessiva di cause iscritte sul ruolo degli affari contenziosi è di n. 60.957 procedimenti, di cui n. 25.352 (pari al 41,6%) sono pendenti da oltre un anno e sei mesi.

 

• Tribunale Napoli

Alla data del 19.11.09 risultano pendenti n. 134.502 procedimenti, di cui n.14.002 procedimenti (vale a dire il 10,41 %) risultano trovarsi nelle condizioni per le quali sarebbe legittima la domanda di accelerazione. In dettaglio: per il contenzioso civile ordinario, n. 7.035 (il 10,63 %) su un totale di n. 66.186 procedimenti pendenti alla data del 19.11 2009; per il contenzioso civile lavoro, n. 6.967 ( il 10,20 %) su un totale di n. 68.316 procedimenti pendenti alla data del 19.11.09 

 

• Tribunale Palermo

Le cause pendenti al 19.11.09 presso le sezioni civili e del lavoro ammontano a n. 38.372, di cui n. 23.036 davanti alle sezioni civili ordinarie e n. 15.336 davanti alla sezione lavoro; i procedimenti per i quali sarebbe legittima la domanda di accelerazione ammontano a n. 16.877, pari al 43,98% del numero complessivo delle cause pendenti. I dati sono riferiti ai  procedimenti iscritti a ruolo entro la data del 18 maggio 2008, senza distinzione tra giudizi introdotti con ricorso o citazione.

 

• Tribunale di Reggio Calabria

Presso la I sezione civile, risultano pendenti 2.315 procedimenti di cui 506, pari al 22% del totale, sono stati introdotti anteriormente al 18.11.2009 e pendono perciò da oltre 2 anni; a n. 693, pari al 30% del totale, ammontano tutti quelli (compresi i precedenti) che durano già da almeno 18 mesi. Presso la II sezione civile risultano pendenti n.7.789 procedimenti, di cui 3.953, pari al 50,75% durano da almeno due anni e n. 4.694, pari al 60,26% del totale, sono quelli introdotti da almeno 18 mesi. Presso la sezione lavoro, risultano pendenti 5.060 processi,di cui 947, pari al 19,48% del totale, iscritti entro il primo semestre del 2008 e dunque soggetti ad eventuale istanza di accelerazione.

• Tribunale di Roma

E’ stato fornito il dato dei procedimenti introdotti (con citazione o ricorso) in data anteriore al 16/11/2009, pari a n. 36.614 su 149.331 procedimenti pendenti.

 

• Tribunale Torino

E’ stata indicata una percentuale del 23,40% del totale delle cause pendenti.

È stato precisato al riguardo che, pur non essendo possibile indicare il numero dei procedimenti civili pendenti che si trovano nel semestre anteriore alla maturazione del biennio di durata, il dato indicativo può essere fornito considerando che per n. 2890 procedimenti (pari al 12,48% su un totale complessivo di n. 23165 cause pendenti con il rito ordinario) è stato superato il biennio di durata; le cause di durata superiore all'anno ed inferiore al biennio sono 5063: ipotizzando che il 50% di esse sia entrato nel semestre anteriore al compimento del biennio, si può ritenere che le cause per le quali potrebbe essere avanzata l'istanza di cui all'art. 2, comma quinquies del disegno di legge, sarebbero 5.421 ( 50% delle cause di durata infrabiennale + le cause ultrabiennali), pari al 23.40% del totale.

 

• Tribunale Venezia

Sono state indicate le seguenti percentuali: 46,32% presso la sede di Venezia (n. 4.706 procedimenti su n. 10.159 pendenti) anche il 62,83% presso le Sezioni Distaccate.

 

3. Profili problematici: il decorso del tempo

a) Al decorso del tempo il diritto penale assegna effetti giuridici che incidono sia sul reato sia sulla pena. Ai fini di interesse, ci si sofferma unicamente sugli effetti che involgono il reato.

La pretesa punitiva dello Stato, salvo i reati imprescrittibili, non può essere esercitata oltre un determinato arco temporale decorrente dalla commissione dell’illecito penale. La prescrizione è cioè funzionalmente correlata al momento dell’accertamento giudiziale della responsabilità: il decorso del tempo, senza che alla commissione del reato abbia fatto seguito un definitivo accertamento di responsabilità entro i tempi stabiliti dalla legge, determina l’estinzione del reato per prescrizione.

La prescrizione è impedita dalla natura della pena (ergastolo) o dal fatto che intervenga sentenza di condanna irrevocabile prima della scadenza dei termini prescrizionali indicati per i vari tipi di reato. L’aspetto sostanziale dell’istituto in tal senso si lega a quello processuale: la pretesa punitiva dello Stato può  essere esercitata entro predefiniti limiti temporali, decorrenti dalla commissione del fatto-reato. 

La definizione della prescrizione come istituto di diritto sostanziale che estingue il reato con il decorso del tempo è accettata dalla prevalente dottrina penalistica, confortata da un consolidato orientamento giurisprudenziale[27].

Anche dopo la legge n. 251/2005, di cui sopra si è detto, non vi è  dubbio che le norme penali sulla prescrizione intendono comunque assicurare che la pretesa punitiva dello Stato venga esercitata in modo effettivo.

Perché ciò avvenga è peraltro necessario che il processo giunga ad un accertamento sul fondamento dell’ipotesi d’accusa, entro i termini stabiliti dall’ordinamento per la prescrizione dei reati.

Orbene, il D.D.L. n. 1880 introduce una inedita previsione di estinzione del processo: il decorso del tempo, rispetto a ciascun grado di giudizio, determina infatti <l’estinzione del processo per violazione dei termini di durata ragionevole>.

Come si vede, nell’ambito della fattispecie in esame, viene in rilievo il decorso del tempo rispetto a determinate fasi processuali e non con riguardo al momento di commissione del reato. Il superamento dei termini assegnati per esaurire ciascun grado di giudizio, secondo la nuova previsione, comporta l’estinzione dello strumento processuale in sé considerato. 

Si osserva che il vigente sistema processuale penale prevede termini perentori per il compimento di specifici incombenti: si pensi alla convalida del fermo o dell’arresto. L’art. 391, comma 7, c.p.p. prevede che la misura precautelare “cessa di avere efficacia se l’ordinanza di convalida non è pronunciata o depositata nelle quarantotto ore successive al momento in cui l’arrestato o il fermato è stato posto a disposizione del giudice”. Peraltro, la fissazione di termini ad horas per la convalida del fermo e dell’arresto trova precisa rispondenza nella previsione costituzionale posta a tutela della libertà personale; l’art. 13, Cost. prevede, infatti, che i provvedimenti restrittivi della libertà personale siano comunicati  entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e che se “questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto”.

In dette ipotesi, la fissazione di termini perentori riguarda peraltro specifici incombenti e non concerne interi gradi di giudizio.

La previsione contenuta nell’art. 2 del D.D.L. n. 1880 ha invece una portata dirompente, non solo in ragione delle ricadute operative, come evidenziate dalle relazioni dei dirigenti degli uffici riportate al paragrafo 2), ma anche in considerazione della natura stessa dell’istituto che viene introdotto nell’ordinamento giuridico: la previsione di termini perentori per la celebrazione dei diversi gradi di giudizio, sanzionata con l’estinzione dello stesso strumento processuale. 

Nessun Paese dell’Unione europea prevede un regime analogo.

Infatti, i sistemi processuali degli Stati continentali d’Europa prevedono generalmente l’istituto della prescrizione, di diritto sostanziale, in forza del quale il decorso del tempo, dal momento della commissione del fatto senza che sia intervenuta sentenza irrevocabile sul merito dell’accusa, produce l’estinzione del reato e quindi l’improcedibilità del processo. Ed anche nei Paesi di common law - ove per i reati più gravi non è di regola prevista la prescrizione - i tempi che assumono rilievo al fine di precludere l’operatività dei poteri da parte della pubblica accusa decorrono dalla data di commissione del fatto e vengono definitivamente interrotti dall’esercizio dell’azione penale.

b) Data questa premessa  occorre affrontare i  profili funzionali propri del processo.

Il vocabolo “processo” esprime l’apparato strumentale servente alla formulazione della decisione da parte del giudice.  La decisione costituisce il risultato al quale si perviene tramite la celebrazione del processo e si risolve nella qualificazione di un soggetto quale colpevole o innocente, rispetto all’ipotesi formulata dall’accusa. 

La ratio essendi del processo penale è pertanto quella di consentire al giudice di formulare una decisione di merito, intesa come verifica di convalida, ovvero di “falsificazione”, del predicato accusatorio, formalizzato nel capo di imputazione.  Le moderne democrazie hanno dato effettività alla tutela dei diritti delle parti trasformando il potere dello ius dicere da incontrollato potere “potestativo” a funzione cognitiva, assoggettabile a verifica secondo prefissati criteri giuridici, logici e semantici. 

Il D.D.L. n. 1880, al dichiarato fine di attuare il principio della durata ragionevole del processo sancito dall’art. 111 Cost., come si legge nella relazione di accompagnamento, introduce nell’ordinamento l’istituto della estinzione del processo, prevedendo una forma di estinzione anticipata del procedimento che prescinde dalle cause estintive del reato (quale la prescrizione) e che ostacola lo svolgimento della funzione cognitiva alla quale ogni processo è preposto, come sopra si è rilevato.

L’art. 111 Cost., nel sancire il canone del giusto processo,  stabilisce: “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”.

Prescindendo dagli ulteriori principi affermati dal terzo comma dell’art. 111 citato, che riguardano le garanzie difensive che necessariamente devono assistere l’accusato nel processo penale, può affermarsi che la Carta fondamentale, a seguito delle modifiche introdotte con Legge costituzionale n. 2/1999, da un lato definisce gli ambiti strutturali del giusto processo, inteso come strumento garantito per l’accertamento della fondatezza dell’ipotesi accusatoria, dall’altro precisa che la legge deve assicurare che detto accertamento si compia entro tempi ragionevoli. 

Il principio del giusto processo in senso oggettivo richiama in primis  la necessità che l’accertamento giudiziale dell’ipotesi di accusa avvenga nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, avanti ad un giudice terzo ed imparziale.

Sotto altro aspetto, l’art. 111 Cost. sancisce che il processo si celebri entro un tempo ragionevole e prevede che sia la legge ordinaria ad assicurare tale evenienza. La norma non riproduce l’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Deve pertanto ritenersi che il costituente non abbia inteso attribuire alle parti del processo un diritto soggettivo alla ragionevole durata; tanto è vero che è il legislatore ordinario che deve assicurare, in concreto, che la giustizia venga amministrata in tempi ragionevoli.

Al riguardo, deve condividersi l’opinione dei commentatori i quali hanno evidenziato che il legislatore costituente considera l’efficienza processuale “non in assoluto, ma sotto il profilo della ragionevolezza, nel necessario bilanciamento con le garanzie del contraddittorio tra le parti in condizioni di parità, allo scopo di realizzare una giustizia rapida ma non superficiale”.

Analogamente la Corte Costituzionale, nell’interpretare il disposto di cui all’art. 111, comma II, Cost., ha rilevato che il principio della ragionevole durata deve essere considerato in rapporto alle esigenze di tutela di altri interessi costituzionalmente protetti che vengono in rilievo nel processo penale. Infatti nell’escludere che i meccanismi processuali che obbligano alla ripetizione di determinati incombenti istruttori violino il principio sancito dall’art. 111 Cost., la Corte ha affermato che <il principio della ragionevole durata del processo deve essere contemperato con le esigenze di tutela di altri diritti e interessi costituzionalmente garantiti rilevanti nel processo penale, la cui attuazione positiva, ove sia frutto di scelte assistite…, da valide giustificazioni, non è sindacabile sul terreno costituzionale>[28].

Ebbene, il D.D.L. in esame non sembra adeguatamente considerare i principi sanciti dall’art. 111, comma II, Cost. - come censiti dal diritto vivente - ai quali pure dichiara di ispirarsi.

La fissazione di un termine perentorio per il compimento dei singoli gradi di giudizio, che produce l’effetto di <estinguere il processo>, non sembra collegarsi alla previsione costituzionale del giusto processo in senso oggettivo, giacché il nuovo strumento privilegia il rispetto della rapidità formale fissata con scansione temporale rigida, non curandosi della necessità che il processo realizzi appieno la funzione cognitiva che lo caratterizza. 

A giustificazione del proprio intervento, il legislatore richiama la giurisprudenza della Corte EDU e, segnatamente, le condanne riportate dall’Italia per l’eccessiva durata dei processi. 

Occorre al riguardo chiarire che se da un lato la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia in relazione al diritto di ogni persona a che la sua causa sia esaminata entro un termine ragionevole[29], dall’altro la Corte di Strasburgo ha considerato il tempo impiegato, nell’ambito dei giudizi celebrati in Italia, per esaminare il merito della causa; ed ha conseguentemente affermato la responsabilità dello Stato discendente dalla violazione dell’art. 6, § 1, della Convenzione EDU[30] .

Non sembra allora che la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, così sinteticamente richiamata, legittimi in alcun modo l’introduzione di termini perentori per la celebrazione dei singoli gradi di giudizio, se ciò è di  ostacolo all’accertamento sul merito della questione dedotta in giudizio.

Il diritto consacrato dall’art. 6 della Convenzione, e prima di essa dagli articoli 24 e 111 della nostra Costituzione,   è anzitutto che il processo ci sia e che sia un processo che si concluda con una decisione di merito. In secondo luogo che sia un processo di durata non irragionevole ed improntato agli altri  principi descritti dalla norma costituzionale. 

Tale profilo non viene adeguatamente considerato a proposito della giurisdizione penale, dove prevalentemente ci si riferisce  alla posizione dell’imputato e alla pretesa punitiva dello Stato, dimenticando le pareti lese e le vittime, le quali hanno diritto aq che la verità e le responsabilità vengano accertate, unitamente all’interesse più generale dei cittadini e dell’ordinamento all’accertamento giudiziario.

 

La soluzione individuata nel D.D.L. n. 1880 predefinisce i tempi di durata dei gradi di giudizio ma non garantisce che il processo pervenga ad una decisione di merito. 

Come dire: si assegnano due ore per ogni intervento chirurgico, scadute le quali il paziente è riportato comunque in reparto, nello stato in cui si trova. Tempo scaduto. L’intervento è terminato, anche se il problema clinico non è risolto ed il paziente non guarirà. 

Fuor di metafora: la previsione della estinzione dello strumento processuale, quale effetto automatico derivante dal decorso di predeterminati limiti temporali ostacola il perseguimento della primaria finalità che giustifica la celebrazione di ogni processo penale, vale a dire la verifica, in forme garantite, della fondatezza dell’ipotesi d’accusa. 

L’istituto dell’ estinzione processuale non appare in linea oltre che con il principio del giusto processo in senso oggettivo anche con altri principi costituzionali, poiché depotenzia lo strumento processuale, attraverso il quale lo Stato esercita la pretesa punitiva ed irragionevolmente  sacrifica i diritti delle parti offese coinvolte nel meccanismo estintivo previsto dall’art. 2 del D.D.L. n. 1880, cioè a dire dei cittadini che hanno denunziato allo Stato i fatti di notevole gravità dei quali sono stati vittime. 

Per quanto concerne la tutela risarcitoria, il D.D.L. si limita poi a prevedere che la parte istante trasferisca in sede civile l’azione già intentata nella sede penale, meccanismo foriero di gravi ricadute operative, in tutti i casi di processi cumulativi. c) Peraltro il legislatore interviene in assenza di analisi d’impatto e  senza prevedere da un lato una più ampia riforma di sistema, dall’altro misure strutturali od organizzative volte ad incrementare l’efficienza del sistema giudiziario. 

Applicare la c.d. “prescrizione processuale” senza  interventi di razionalizzazione normativa significa solo determinare di fatto le condizioni per rendere impossibile l’accertamento processuale per intere categorie di gravi reati, sia con riferimento ai processi pendenti che a quelli futuri.

Basta dire che manca ogni  forma di coordinamento del nuovo istituto con la prescrizione del reato prevista dal codice penale, che mantiene piena operatività. Ed infatti, agendo su piani diversi vengono raddoppiate le opportunità estintive dell’accertamento penale, senza nel contempo provvedere a rendere adeguata la potestà punitiva, andando di contrario avviso al dovere  di perseguire penalmente tutti i reati  per i quali, lungi dall’essersi verificato un fatto estintivo degli stessi, la legge non consente di procedere ad un accertamento processuale delle responsabilità.

Interventi di portata ben più ampia sono stati effettuati in altri paesi,  ed in particolare in un modello processuale storicamente vicino a quello italiano,  al fine di garantire effettività al principio di durata ragionevole del processo. Nel sistema francese, al quale ci si riferisce, a partire dall’anno 2000 si sono registrano infatti plurimi interventi che hanno inciso su tre distinti ambiti. Sul piano ordinamentale è stata istituita la juridiction de proximité, organo di prima istanza competente per i reati di minore gravità[31]. Sul piano processuale sono stati potenziati i riti alternativi e sono stati effettivamente introdotti controlli sul tempo di svolgimento delle indagini. Contemporaneamente, si sono rafforzati gli istituti della c.d. troisième voie, che hanno trovato espressione nella mediation e nella composition pènale. Il legislatore d’oltralpe ha cioè agito su più fronti - ordinamentale, processuale ed organizzativo - ed ha pure potenziato il modello riparativo-mediatorio, che si pone in chiave alternativa al controllo di legalità attuato in sede giudiziaria[32].

Pur nella consapevolezza dei limiti che la riferita deprocessualizzazione incontra nei sistemi, come quello italiano, caratterizzati dalla obbligatorietà dell’azione penale, deve rilevarsi che l’intervento di riforma in esame  - in assenza di misure strutturali che potenzino l’efficacia sostanziale dello strumento processuale-  finisce per  sacrificare proprio i principi del giusto processo e della ragionevole durata ai quali dichiara di ispirarsi, cioè a dire la necessità che l’accertamento giudiziale sul merito dell’ipotesi di accusa avvenga nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, avanti ad un giudice terzo ed imparziale.

In conclusione può affermarsi che l’individuazione di termini perentori per la celebrazione dei diversi gradi di giudizio - da applicarsi retroattivamente, in assenza di alcun potenziamento delle risorse disponibili ovvero di forme di deflazione del carico di lavoro che ad oggi si registra presso gli uffici giudiziari o di razionalizzazione delle garanzie che talora si risolvono in rinvii defatiganti – determina sicuramente un effetto assai incisivo sui processi in corso di celebrazione, i quali andranno incontro ad una definizione anticipata in assenza di un compiuto accertamento processuale, con la pronuncia di non doversi procedere per estinzione del processo, ex art. 346-bis, c.p.p..

 

4. Ulteriori profili problematici.

4.1 Le condizioni soggettive dell’imputato, la mancanza di precedenti condanne.

 

19 La juridiction de proximité è stata istituita con legge n. 2002-1138 del 9 settembre 2002.

Forti perplessità suscita la normativa proposta nella parte in cui  discrimina l’accesso alla durata ragionevole del processo in ragione dell’essere l’imputato incensurato. 

L’idea di riservare il diritto alla rapidità del processo solo agli imputati incensurati crea di fatto un regime difficilmente comprensibile, costruito come un  privilegio da negare a coloro che, a causa di una qualunque precedente condanna a pena detentiva per delitto, sarebbero diversamente assistiti dalla presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 Cost.. In tal modo il diritto del cittadino alla durata ragionevole del processo verrebbe garantito in modo differenziato a causa di una condizione soggettiva che per nulla attiene all’accertamento processuale relativo ad una fattispecie di reato.

Peraltro con una siffatta previsione non si tiene conto del notevole ritardo con cui negli uffici giudiziari vengono inseriti i dati nel casellario giudiziario (cfr. paragrafo 2) sicchè in molti casi l’imputato è solo apparentemente incensurato, trattandosi in realtà di un soggetto  già condannato il quale, per mero ritardo nell’aggiornamento del casellario giudiziario, non risulta tale.

La condizione soggettiva richiesta per l’applicazione dell’istituto, rischia, nell’attuale contesto giudiziario, di generare prescrizioni processuali a catena sulla base di un erroneo presupposto di fatto.

 

4.2 Le “corsie” prioritarie nella trattazione dei processi

La previsione per cui gli incensurati, imputati per un reato punito con pena inferiore ai 10 anni di reclusione, andrebbero giudicati in tempi brevi, pena l’estinzione del processo, è difficilmente conciliabile con la norma di cui all’art. 132 bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale  il quale prevede la celebrazione con priorità assoluta per una serie di processi relativi a reati esclusi dal novero del tempo contingentato (reati di maggiore  gravità e allarme sociale)  ed in particolare per processi nei quali è contestata la recidiva ai sensi dell’art. 99 c.p..

Il DDL 1880 introduce, di fatto, una nuova “corsia privilegiata” per la trattazione di  quei processi che possono essere coinvolti  “dall’estinzione processuale” a causa della durata non ragionevole. Vi è il rischio concreto che tale previsione finisca inevitabilmente per concentrare le scarse risorse oggi esistenti negli uffici giudiziari  nella trattazione esclusiva di tali processi a scapito di quelli relativi ai reati più gravi ovvero a carico di imputati detenuti o recidivi. 

Tutto ciò in contrasto con la direttiva sopra citata,  codificata dal decreto legge n. 92 convertito nel luglio 2008, che richiama tutti i dirigenti degli uffici giudiziari ad assicurare l’assoluta priorità nella formazione dei ruoli di udienza e nella successiva trattazione ai processi relativi ai reati più gravi, a quelli con imputati detenuti o recidivi. 

Quale sarà la priorità che i dirigenti degli uffici dovranno assicurare  in presenza di un nuovo dato normativo che rischia di sconvolgere il criterio  stabilito nel 2008 ed attualmente in vigore?

Si è di fronte  ad una irragionevolezza di sistema dato che a distanza di un anno il legislatore  muta l’orientamento rispetto a ciò (reato e reo) che nell’ambito del processo penale, deve costituire  priorità dell’accertamento giudiziale. 

 

 

4.3 I reati esclusi, la disomogeneità dell’elenco. 

Appare poco chiara l’esclusione dall’applicazione del nuovo regime della “prescrizione processuale” delle contravvenzioni  trattandosi di fattispecie penali generalmente previste per sanzionare fatti di minore gravità. 

Così come non appare chiara l’esigenza del legislatore di indicare esplicitamente nel catalogo dei reati esclusi le contravvenzione previste dal d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione. 

A tale riguardo occorre precisare che  alla lettera n)  del comma 5 dell’art. 2 citato  si usa la parola “reati” con essa comprendendo tutte le ipotesi criminose (cioè sia i delitti che le contravvenzioni).

Si dovrebbe dedurre che l’intenzione dei proponenti sia quella di applicare la nuova disciplina a tutte le contravvenzioni (anche se a tale interpretazione osta il dato letterale) con la sola esclusione di quelle previste dal d.lgs. n. 286/98. In tal senso la Relazione al D.D.L.  evidenzia che la gravità dei reati e l’allarme sociale che essi suscitano impone di far prevalere l’interesse della collettività all’accertamento della responsabilità penale e all’applicazione della pena sull’interesse dell’imputato ad una più contenuta durata del processo.  

Tuttavia è difficile cogliere la coerenza e razionalità di una siffatta selezione delle fattispecie penali se si prescinde  dalla gravità e tipologia della pena prevista dalla legge.

In tal senso occorre evidenziare la discutibile parificazione, quanto agli effetti della normativa in parola, fra le ipotesi di delitto punite assai gravemente con le contravvenzioni in genere, e, in particolare, con quelle in materia di immigrazione. 

Di ciò peraltro era consapevole  lo stesso legislatore che solo pochi mesi fa ha configurato il reato di immigrazione clandestina come una contravvenzione punibile con la sola ammenda,  per il cui accertamento è stato introdotto un apposito rito “accelerato” dinanzi al Giudice di pace sul presupposto che esso sia di agevole accertamento e che, stante  la pena prevista, non desta un particolare “allarme sociale”.

A titolo di ulteriore esempio di tale discutibile intervento  può essere ulteriormente evidenziata l’esclusione dal novero dei reati per i quali non si applica il nuovo istituto del reato di cui all’art. 572 c.p. (maltrattamenti in famiglia), fatta eccezione per l’ipotesi in cui dalla condotta di maltrattamento si siano prodotte nella persona offesa “lesioni gravissime” o “la morte” (secondo e terzo periodo del comma 2° dell’art. 572 c.p., dovendosi applicare per la determinazione della pena l’art. 157 c.p.).

Tale mancata esclusione appare tanto più contraddittoria quando si pensi all’espressa esclusione dell’operatività del nuovo istituto del reato di stalking (art. 612 bis c.p.), il quale è concepito, nell’ipotesi aggravata del secondo comma, come una prosecuzione di fatto del reato di maltrattamenti. In concreto, può accadere che se l’azione persecutoria si svolge in ambito familiare e tra coniugi conviventi, il processo si estingue (salvo che la persona offesa abbia subito una lesione alla propria integrità consistente in una lesione gravissima – art. 583, comma 2° c.p. - o che dal fatto sia derivata la morte della persona offesa), mentre se si svolge tra ex coniugi o comunque ex conviventi (qualunque sia la conseguenza fisica o mentale della condotta), il processo non si estingue.

Perplessità suscita anche l’esclusione dal novero dei reati per i quali non si applica il nuovo istituto degli omicidi derivanti da colpa professionale (le  c.d. colpe “mediche”) dato che il legislatore ha incluso nella disciplina dell’estinzione processuale tutti gli omicidi colposi ad eccezione di quelle derivanti da infortuni sul lavoro o da circolazione stradale. 

Le disposizioni di cui all’art. 2 del D.D.L. n. 1880 sembrano confliggere con le previsioni promananti da fonti sovranazionali di origine pattizia, recentemente recepite dallo Stato italiano. Ci si riferisce, in particolare, alla Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003 con risoluzione n. 58/4, firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre 200321. La predetta Convezione è stata ratificata dall’Italia con Legge 3 agosto 2009, n. 116. L’art. 2 della citata Legge n. 116/2009 stabilisce  espressamente che “Piena ed intera esecuzione è data alla Convenzione” ONU contro la corruzione.

Non vi è alcun dubbio che occorrerebbe una maggiore razionalizzazione del catalogo dei reati inclusi ed esclusi dall’applicazione della “prescrizione processuale”, operata guardando alla gravità dei reati considerati e alla  coerenza del sistema (senza ad esempio generare contrasti con altre disposizioni quali l’art. 132 bis c.p.p. o il catalogo dei reati per i quali non può essere disposta la sospensione dell’esecuzione della pena detentiva).  

 

4.4 L’applicazione della “prescrizione processuale”  al reato di corruzione

Le disposizioni di cui all’art. 2 del D.D.L. n. 1880 sembrano confliggere con le previsioni promananti da fonti sovranazionali di origine pattizia, recentemente recepite dallo Stato italiano. Ci si riferisce, in particolare, alla Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003 con risoluzione n. 58/4, firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre 2003[33]. La predetta Convezione è stata ratificata dall’Italia con Legge 3 agosto 2009, n. 116. L’art. 2 della citata Legge n. 116/2009 stabilisce  espressamente che “Piena ed intera esecuzione è data alla Convenzione” ONU contro la corruzione.

La Convenzione raccomanda il rafforzamento, da parte degli Stati firmatari, delle misure sostanziali e processuali volte a prevenire e combattere la corruzione in modo sempre più efficace. Non vi è dubbio, pertanto, che rientrano nell’ambito della Convenzione anche le figure di reato individuate dagli Stati aderenti al fine di contrastare il fenomeno corruttivo. Con riguardo all’Italia, vengono pertanto in rilievo i delitti contro la pubblica amministrazione di cui al Libro Secondo, Titolo II, del codice penale, delitti per i quali la pena edittale è, in numerosi casi, inferiore a dieci anni di reclusione e che perciò astrattamente rientrano nella previsione di cui all’art. 2 del D.D.L. n. 1880.

L’art. 29 della Convenzione ONU contro la corruzione, stabilisce che  “..ciascuno Stato Parte fissa, nell’ambito del proprio diritto interno, un lungo termine di prescrizione entro il quale i procedimenti possono essere avviati per uno dei reati stabiliti conformemente alla presente Convenzione”. La previsione risente ovviamente dell’ambiente di common law in cui la Convenzione stessa è maturata ove, come sopra si è rilevato, l’esercizio dell’azione penale mediante l’instaurazione del giudizio preclude l’ulteriore corso della prescrizione del reato. 

Non vi è dubbio che la ratio della disposizione sia quella di garantire l’effettiva celebrazione dei processi in materia di corruzione. 

Rafforza il convincimento la lettura dell’art. 30 della Convenzione in esame che raccomanda agli Stati di adottare le misure necessarie al fine di “ricercare, perseguire e giudicare effettivamente i responsabili di fatti corruttivi (art. 30, comma II). L’articolo in commento invita poi gli Stati ad adoperarsi affinché i relativi procedimenti giudiziari si svolgano in modo tale da “ottimizzare l’efficacia di misure di individuazione e di repressione di tale reati” (art. 30, comma 3).

Orbene, la previsione della estinzione dello strumento processuale - che ben può riguardare anche i delitti di corruzione, come sopra chiarito - quale effetto automatico derivante dal decorso di predeterminati limiti temporali, sembra  porsi in contrasto con i principi sanciti dalla richiamata Convenzione contro la corruzione, ai quali l’azione degli Stati firmatari dovrebbe ispirarsi.  

Occorre poi soffermarsi su ulteriori elementi di natura sovranazionale che provengono da organismi operanti nell’ambito del Consiglio d’Europa, sia pure a livello non giurisdizionale.

Ci si riferisce al rapporto redatto dal Gruppo di Stati contro la corruzione che agisce nell’ambito del Consiglio d’Europa (GRECO)[34], che ha recentemente valutato le politiche anticorruzione poste in essere dall’Italia. 

Il rapporto adottato il 2 luglio 2009 si sofferma sul dato relativo alla eccessiva durata dei processi, sottolineando il fatto che in Italia i processi per corruzione sovente non arrivano ad una decisione di merito, in considerazione del maturare del termine di prescrizione del reato, prima di una pronuncia definitiva. Nel Rapporto (PAR 54) si osserva che detta evenienza scardina l’efficienza e la credibilità del diritto penale, poiché in tali casi, pur in presenza di un forte quadro probatorio, il giudice deve pronunciare il non luogo a procedere per estinzione del reato. Ed il predetto rapporto si conclude con una raccomandazione all’Italia, ove si auspica l’individuazione di soluzioni che consentano di addivenire ad una pronuncia di merito, in un tempo ragionevole[35].

Ne consegue che l’applicabilità dell’Istituto della “prescrizione processuale” ai processi per il reato di corruzione oltre a non essere conforme alla tendenza espressa dalle fonti sovranazionali,  rischia di impedire del tutto l’accertamento giudiziario in tale ambito penale  se si considera che il reato di corruzione è  già stato pesantemente condizionato dai nuovi termini di prescrizione previsti dalla legge del 5 dicembre 2005, n. 251 (c.d. legge ex Cirielli). In tal senso appaiono significativi i dati forniti dai dirigenti degli uffici giudiziari in relazione ai processi per corruzione maggiormente rilevanti che ricadrebbero nella nuova disciplina della estinzione del processo.

L’intreccio tra i due sistemi prescrizionali, l’uno con un periodo breve per l’estinzione del reato e l’altro che prevede un termine breve per la conclusione dei processi, rischia di vanificare ogni sforzo nella lotta alla corruzione, reato che assai gravemente incide sulla correttezza della pubblica amministrazione, sulla tenuta del bilancio pubblico e sull’affidabilità economica del nostro paese.

 

4.5 I processi oggettivamente e soggettivamente cumulativi.

Manca nella previsione del D.D.L. n. 1880 una disciplina che regolamenti i processi oggettivamente cumulativi, quelli cioè in cui vengano giudicati contemporaneamente, perché connessi tra loro, reati compresi nel catalogo della prescrizione processuale e reati invece esclusi proprio perché il termine biennale di accertamento è stato ritenuto per essi inadeguato per difetto.  Se la soluzione fosse quella della necessaria separazione dei procedimenti che li riguardano, il risultato che sicuramente la proposta di riforma determinerà sarà quello di una moltiplicazione dei processi e dunque l’ulteriore intasamento dei carichi giudiziari con conseguenze rilevanti sulla ragionevole durata dei processi.

Analogamente per i processi soggettivamente cumulativi, in cui cioè siano contemporaneamente imputati dello stesso reato soggetti incensurati, cui la prescrizione processuale si applica, e soggetti che incensurati non sono e ai quali dunque l’accesso alla “prescrizione processuale” viene negata. Anche per tale evenienza, di grande incidenza pratica, non viene fornita alcuna possibile soluzione e l’inevitabile trattazione differenziata dei processi, generata dalla diversa condizione soggettiva, determinerebbe una proliferazione dei processi capace, da sola, di favorire la paralisi dell’attività giudiziaria già gravata da ritardi ed inefficienze del sistema. 

 

4.6 La scansione temporale dei vari gradi di giudizio.

Suscita perplessità  l’equiparazione del tempo di prescrizione in tutti i gradi di giudizio, quando è invece evidente che i tempi del processo nelle sue diverse fasi sono profondamente diversi, in quanto comportano una serie di attività distinte che incidono in modo assai differente nei vari gradi del processo.

Il rischio di inserire nel sistema un istituto caratterizzato da  eccessiva rigidità è  altissimo, soprattutto se si considerano i dati riportati al punto 2 del presente parere, che evidenziano la necessità di operare attraverso una maggiore  flessibilità per valutare adeguatamente la complessità del processo (numero di imputazioni e di  coimputati e persone offese),  la complessità degli accertamenti probatori, l’adeguatezza delle risorse umane e materiali. 

In particolare, non si comprende come possa essere assegnato un unitario biennio per celebrare tanto l’udienza preliminare, quanto il dibattimento di primo grado, laddove come è evidente dall’indagine conoscitiva svolta in processi con molti imputati e molte imputazioni il primo incombente dell’udienza preliminare è inevitabilmente destinato ad assorbire una rilevante parte del biennio assegnato al primo grado. 

Per non dire del biennio assegnato per il giudizio di appello decorrente dalla pronuncia della sentenza di primo grado che é, di fatto, assai ridotto se si tiene conto del tempo occorrente per il deposito della motivazione, dei termini per la proposizione dell’impugnazione e dell’ulteriore lasso di tempo occorrente per la trasmissione degli atti dal Tribunale alla Corte d’appello, tempo assai variabile e, purtroppo, negativamente condizionato dall’inefficienza dell’apparato amministrativo il cui organico è gravemente sottodimensionato in tutti gli uffici giudiziari.   

 

4.7 Gli effetti sui riti alternativi.

Come risulta evidente dai dati forniti in occasione dell’attività istruttoria effettuata dal Consiglio, un effetto che sicuramente si determinerà, qualora il sistema proposto con il D.D.L. n. 1880 dovesse essere approvato, sarà quello di scoraggiare massicciamente il ricorso ai riti alternativi nella pressoché certezza che il giudizio di primo grado non possa tempestivamente concludersi nei termini previsti.

E’ ben evidente che una prospettiva di estinzione del processo così alla portata, determinerà la caduta del ricorso ai riti alternativi che assumono un effetto deflattivo assai significativo rispetto al carico complessivo degli uffici giudiziari penali.

La certa riduzione del ricorso ai riti alternativi si tradurrà, quindi, nell’ulteriore aggravio delle pendenze dibattimentali penali con la conseguenza che, in prospettiva, saranno ben pochi i processi che si potranno celebrare nei termini fissati dal D.D.L. n. 1880.

 

4.8 La normativa transitoria.

La norma intertemporale di cui all’art. 3 prevede di applicare ai procedimenti in corso nel primo grado di giudizio i termini di prescrizione processuale previsti dall’art. 346-bis.

Ciò realizza la sostanziale cancellazione di numerosi processi per i reati oggetto di tali procedimenti, anche quando negli stessi si sia già svolta una rilevante parte dell’istruzione dibattimentale. 

Si è già notato sopra, con riferimento alla previsione di cui al comma 2 dell’art. 1 del disegno di legge in esame, che l’immediata applicazione anche ai processi in corso delle disposizioni che introducono inedite previsioni e scansioni temporali per la celebrazione dei giudizi, sembra contrastare con il  principio di cui all’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, secondo il quale “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”. Tale norma sancisce l’efficacia immediata della nuova disciplina legislativa, prevedendone al contempo la irretroattività, in omaggio a quella fondamentale esigenza della vita sociale, secondo cui la fede e la sicurezza nella stabilità dei rapporti non dovrebbero essere minacciate dal timore che una legge successiva possa turbare le situazioni giuridiche formatesi validamente. 

Ciò dovrebbe, a maggior ragione, valere per le norme di diritto processuale le quali intervengono quando una gran parte dell’attività dinamica del processo si è svolta o si sta svolgendo secondo criteri organizzativi che si sono adattati alle regole vigenti al momento della loro attuazione.

La natura stessa delle norme transitorie in diritto processuale è quella di prevedere un sistema di passaggio da un regime all’altro attraverso un adattamento che gradualmente determini le condizioni per far assorbire, al sistema in corso, le nuove regole con il minor danno possibile per la garanzia e la credibilità della funzione.

Inserire per i processi in corso direttamente i nuovi termini di estinzione si traduce nella cancellazione immediata e prematura dei dibattimenti interessati i quali non erano stati tarati per potersi concludere entro il termine imposto.

L’effetto che si potrà determinare assume i caratteri di un’inedita amnistia processuale con riferimento ad intere categorie di reato non prive di considerevole gravità.

Per altro verso la scelta di riservare le nuove disposizioni al solo giudizio di primo grado genera anche un’inspiegabile disparità di trattamento fra i soggetti interessati. L’esclusione di qualsiasi effetto immediato della nuova disciplina per i processi pendenti in appello ed in cassazione 

riserva ingiustificatamente  solo ad una categoria di imputati e di parti civili, casualmente identificati in base alla fase in cui si trova il loro processo, il diritto alla celerità processuale che dovrebbe essere, viceversa, garantito a tutti.

Del resto, estendere a tutte le fasi processuali in corso il nuovo sistema di estinzione dei processi, causata dal superamento del termine assegnato per ogni grado di giudizio, agirebbe da moltiplicatore incontrollato sui già rilevanti effetti che la disciplina in esame è idonea a determinare se applicata sui soli processi pendenti in primo grado.

Non v’è dubbio, infatti, che un allargamento della norma transitoria sacrificherebbe in modo generalizzato la pretesa punitiva dello Stato, la posizione delle parti civili e delle vittime del reato, pregiudicherebbe gravemente l’effetto deflattivo dei riti alternativi, senza contare l’effetto negativo che si indurrebbe sulla credibilità della funzione giurisdizionale tesa a garantire il rispetto della legge.

Una norma transitoria che volesse provvedere ad un adeguamento ponderato di un sistema così radicalmente modificativo dell’andamento dei processi penali, dovrebbe, viceversa, prevedere la validità della nuova scansione temporale solo per i nuovi processi, accompagnata in ogni caso da misure volte a determinare una reale semplificazione del rito.».

Il presente parere viene trasmesso al Ministro della giustizia.

 


Camera dei Deputati

 


 

 

RESOCONTO

SOMMARIO e STENOGRAFICO

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250.

 

giovedì 19 novembre 2009

 

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

indi

DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI

E DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI

 

(omissis)


Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata, alle quali risponderanno il Ministro della giustizia e il Ministro per i rapporti con il Parlamento.

(Effetti sul sistema giudiziario delle norme contenute nel disegno di legge sul cosiddetto «processo breve» - n. 3-00777)

PRESIDENTE. L'onorevole Palomba ha facoltà di illustrare l'interrogazione Di Pietro n. 3-00777, concernente effetti sul sistema giudiziario delle norme contenute nel disegno di legge sul cosiddetto «processo breve» (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata), di cui è cofirmatario.

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, signor Ministro, ad ogni fibrillazione del Presidente del Consiglio per i suoi guai giudiziari, come è avvenuto dopo la bocciatura del lodo Alfano, puntualmente la maggioranza accorre per fargli scudo e per evitare a lui il processo, cui invece tutti i cittadini normali sarebbero sottoposti. Lo fate con diverse ipocrisie: in primo luogo, il Governo non si espone, il lavoro sporco lo fa il pacchetto di mischia di Gasparri e dei suoi compagni; in secondo luogo, lo chiamate disegno di legge «sul processo breve», mentre dovreste chiamarlo disegno di legge «sull'eutanasia del processo».

Noi non chiediamo al Governo se è d'accordo, perché sappiamo che lo è: chiediamo soltanto di sapere quanti processi moriranno per asfissia insieme a quelli del Presidente del Consiglio (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Il Ministro della giustizia, Angelino Alfano, ha facoltà di rispondere.

ANGELINO ALFANO, Ministro della giustizia. Signor Presidente, gli onorevoli interroganti mi chiedono se sia stato valutato l'impatto del disegno di legge n. 1180 sui procedimenti penali e sull'intero sistema giudiziario. Pag. 55

Va doverosamente premesso che questo disegno di legge è un atto di iniziativa parlamentare depositato presso il Senato della Repubblica ed assegnato il 2 novembre scorso alla 2a Commissione permanente, che non ha ancora avviato l'esame del testo, previsto a partire dal 24 novembre.

Ciò premesso, la valutazione dell'impatto delle norme, ancora in fase di studio preliminare presso il Senato della Repubblica, è molto complessa, tant'è che il Consiglio superiore della magistratura ha avviato un'indagine a campione, cui abbiamo offerto la collaborazione del Ministero della giustizia, tramite la direzione generale della statistica. La complessità della valutazione dell'impatto deriva: dal termine biennale che è previsto per la declaratoria di estinzione del processo, che deve tenere conto degli eventuali provvedimenti di sospensione del dibattimento disposti dal giudice, così come previsto dall'articolo 2, comma 2, lettera b), del disegno di legge; dalle disposizioni che non si applicano ai recidivi e dal fatto che, alla previsione di applicabilità delle nuove disposizioni soltanto ai processi per reati puniti con pene inferiori nel massimo ai dieci anni, si aggiunge un nutrito elenco di reati che fanno eccezione a tale regola ed il cui ipotizzabile mutamento, in sede di approvazione della legge, inciderebbe sul calcolo in maniera determinante. In altri termini, le esclusioni oggettive fanno significativamente diminuire le possibilità di prescrizione.

Sorprende, dunque, e non poco, che nell'immediatezza della presentazione del testo di legge siano state formulate, anche da fonti autorevoli, previsioni catastrofiche, senza tuttavia fornire spiegazioni ragionevoli rispetto ai dati numerici segnalati, un po' come accadde in occasione della «legge Cirielli» che, a fronte del catastrofismo annunziato, produsse invece notevoli benefici al sistema penale.

Alla data del 31 dicembre 2008, risultavano pendenti al dibattimento di primo grado 391.917 processi, di cui circa 94 mila da oltre due anni, pari circa al 24 per cento. A questo numero, per un primo fondamentale passaggio funzionale ad una corretta stima di impatto delle norme proposte, deve essere sottratto il dato relativo ai recidivi, poiché dal casellario giudiziario risulta che l'incidenza percentuale della recidiva è stimabile nella misura del 45 per cento dei soggetti condannati.

Voglio ripetermi: occorre poi escludere ulteriormente tutti i procedimenti per reati per i quali la normativa non risulta applicabile. È questo uno dei passaggi più delicati, considerato che la variegata vastità delle eccezioni previste dalla normativa non consente di effettuare valutazioni definitive sulla base dei dati disponibili, ma rende necessario un approfondimento che possa riferirsi almeno ad un campione sufficientemente rappresentativo della tipologia di processi attualmente in fase dibattimentale. Tale campione - l'ho detto già prima - è allo studio della direzione generale della statistica, in piena e fattiva collaborazione con il Consiglio superiore della magistratura.

Dunque, senza pretese di definitività e di assolutezza, per le ragioni di cui in premessa, si può stimare che, all'esito delle concrete modalità di applicazione dell'istituto della prescrizione del processo, nella forma oggi presentata al Senato, i procedimenti che si prescriveranno saranno contenuti in una percentuale collocata nell'intorno dell'1 per cento del totale dei procedimenti penali pendenti oggi in Italia, senza calcolare naturalmente l'incidenza delle assoluzioni.

Questi, dunque, i numeri attualmente a disposizione, dai quali si può fin da ora desumere un impatto molto meno traumatico, anzi, rispetto a quello da più parti, forse troppo enfaticamente, certamente in modo intempestivo, ipotizzato.

PRESIDENTE. L'onorevole Palomba ha facoltà di replicare.

FEDERICO PALOMBA. Signor Ministro, siamo totalmente insoddisfatti della risposta. Intanto, siamo noi sorpresi dal fatto che possa andare avanti una legge di un tale incredibile impatto e di resa di Pag. 56fronte alla lotta alla criminalità, senza che il Governo abbia dato notizie precise sull'impatto stesso.

Credo che il Governo farà bene, andando al Senato, a dire «fermi tutti prima che noi e il CSM avremo dato dei dati precisi», altrimenti sarebbe irresponsabile governare così.

Siamo molto preoccupati, avreste dovuto fare l'opposto: avreste dovuto prima dare i mezzi perché la giustizia funzioni e poi, casomai, garantire la celerità dei processi; altrimenti, come ho detto, diventa una morte dei processi. Ma voi avete fatto l'opposto, perché alla giustizia nel 2009 avete tolto 220 milioni di euro, nel 2010 avete tolto 262 milioni di euro e per il 2011 contate di toglierne 454.

Sarebbe come se diceste che, dopo tre ore, un'operazione chirurgica deve finire, non importa se il malato muore. In questo caso stiamo accoppando il processo e, insieme al processo, stiamo accoppando anche le vittime e la lotta più dura e più intransigente nei confronti della criminalità.

Questa è la questione: tra scudi fiscali, scudi giudiziari e scudi legali non se ne può più. La criminalità circola libera, l'1 per cento dei 3 milioni e 500 mila processi oggi pendenti - ammesso che questo sia un dato preciso - rappresenta una cifra rilevante. E comunque anche diverse decine di migliaia di processi che muoiono soltanto per fare un piacere al Presidente del Consiglio, cosa che neanche voi oggi negate, che nessuno della maggioranza nega, sarebbe comunque una resa della civiltà giuridica di fronte alla criminalità (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

(Impatto della normativa riguardante il cosiddetto «processo breve» sui procedimenti penali in corso, con particolare riferimento ai processi in fase dibattimentale di primo grado - n. 3-00778)

PRESIDENTE. L'onorevole Ferranti ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-00778, concernente l'impatto della normativa riguardante il cosiddetto «processo breve» sui procedimenti penali in corso, con particolare riferimento ai processi in fase dibattimentale di primo grado (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

DONATELLA FERRANTI. Signor Ministro, finalmente si è deciso a venire in Parlamento ad esporre quello che pensa il Governo, perché - parliamoci chiaro - sappiamo benissimo che questo testo sul processo breve, che porta la firma di Gasparri e Quagliariello, è solo formalmente un testo di natura parlamentare, mentre è chiaro a tutti che rappresenta la linea dell'Esecutivo scritta a Palazzo Grazioli. È quindi giusto che sia lei in prima persona ad esporlo e a farsi carico delle conseguenze sul sistema giudiziario.

È un testo odioso, che nasce per interrompere due processi che tolgono il sonno al Presidente del Consiglio, ma attenta ai diritti di tutti.

Siamo d'accordo che il processo debba essere breve: i cittadini sono stanchi delle lungaggini, ma sono anche stanchi delle strumentalizzazioni, e, pur di raggiungere uno scopo, che è quello di tutelare gli interessi processuali di Berlusconi, si mettono a repentaglio processi importanti, per truffa aggravata, frodi fiscali e corruzioni.

Signor Ministro, oggi le chiediamo di dire con esattezza, e non a campione, quanti e quali processi saranno gettati al macero, quante e quali vittime non vedranno mai la giustizia, senza trincerarsi dietro allo scudo del CSM.

PRESIDENTE. Il Ministro della giustizia, Angelino Alfano, ha facoltà di rispondere.

ANGELINO ALFANO, Ministro della giustizia. Signor Presidente, innanzitutto ripeto all'onorevole Ferranti che il disegno di legge è stato presentato al Senato e non alla Camera il 12 novembre, cioè giovedì scorso. Questo è il primo question time successivo; forse, avrei dovuto fare un'audizione domiciliare presso la sua residenza privata. La prima occasione utile è questa, Pag. 57quando dovevo venire? Per di più, il disegno di legge è all'altro ramo del Parlamento.

Ciò premesso, sui dati statistici ho riferito rispondendo all'onorevole Palomba. Voglio qui ribadire che il vero problema della giustizia penale italiana è rappresentato dallo spaventoso numero di prescrizioni che ogni giorno, anche adesso, mentre parlo, vengono dichiarate dai giudici.

Anche adesso, mentre parlo, si vanno prescrivendo processi. Ciò significa che l'organizzazione giudiziaria occupa una parte delle proprie risorse per celebrare processi che si prescriveranno, generando sfiducia nella certezza della pena e indebolendo la capacità della norma penale di operare come deterrente.

Nell'ultimo quinquennio, cioè nel periodo 2004-2008, il sistema penale italiano ha bruciato, a causa della prescrizione, 850 mila procedimenti, con una media di circa 170 mila procedimenti penali ogni anno.

Lo dico per inciso: la giustizia penale è costata nel 2008 un miliardo e 640 milioni di euro. Aggiungo, inoltre, che da questi semplici dati si ricava che il processo penale attualmente vigente sperpera oltre 80 milioni di euro l'anno di risorse dei contribuenti per girare a vuoto, cioè per fare processi che si prescrivono, che non portano a niente, né all'assoluzione né alla condanna; tutto ciò oggi, non domani.

Il disegno di legge in esame sotto questo profilo permette di raggiungere tre effetti indiscutibilmente positivi: un risparmio di spesa per i processi inutilmente celebrati, in quanto destinati all'ineluttabile prescrizione; un risparmio di giorni di lavoro e di risorse umane che, non più impegnati in celebrazioni di processi inutili, potranno meglio gestire i procedimenti pendenti, con un virtuoso abbattimento dei tempi di definizione della prescrizione nel prossimo futuro; l'adeguamento del sistema al principio della ragionevole durata del processo, con ulteriori risparmi di spesa conseguenti all'azzeramento del rischio della cosiddetta legge «Pinto», perché appare utile ricordare che anche per i reati dichiarati prescritti il cittadino ha titolo per chiedere l'indennizzo conseguente alla durata irragionevole del processo.

A ciò si aggiunga che il disegno di legge soddisfa, da un lato, l'aspettativa dell'imputato che il processo si concluda entro un tempo ragionevole e, dall'altro, quella dell'apparato giudiziale e della società civile ad ottenere una giustizia finalmente effettiva.

Per tali ragioni, il diritto dell'imputato a non restare sotto la soggezione del processo per un periodo di tempo troppo lungo può essere pienamente soddisfatto prevedendo ex lege termini di durata massima dei diversi gradi di giudizio, il cui superamento obbliga il giudice della fase a pronunciare una sentenza di «non doversi procedere».

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ANGELINO ALFANO, Ministro della giustizia. Questa fondamentale esigenza di garanzia e di civiltà è stata avvertita anche nel corso della precedente legislatura, allorquando il Governo Prodi istituì, il 27 luglio 2006, una commissione dando mandato di introdurre nel codice di procedura penale l'istituto della prescrizione processuale, al fine di determinare precisi tempi di durata del processo in linea con il principio costituzionale della sua ragionevole durata.

Infine, l'introduzione di termini di durata massima dei diversi gradi di giudizio e la previsione dell'improcedibilità del processo per violazione di tali termini era stata prevista in tre disegni di legge presentati nella XIV e XV legislatura dai senatori Fassone, Ayala, Brutti, Calvi, Maritati, ed anche un altro dello stesso senatore Brutti e della senatrice Finocchiaro.

PRESIDENTE. Signor Ministro...

ANGELINO ALFANO, Ministro della giustizia. Concludo assicurando che tutti gli spunti che perverranno in Parlamento Pag. 58per il miglioramento del testo saranno accolti, ma che noi riteniamo come Governo che sei anni...

PRESIDENTE. Grazie, Ministro, deve concludere.

ANGELINO ALFANO, Ministro della giustizia. ...per un processo penale, più le indagini, cioè circa otto anni, è un tempo sufficiente per tenere un cittadino sotto la giurisdizione dello Stato (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. L'onorevole Melis, cofirmatario dell'interrogazione, ha facoltà di replicare.

GUIDO MELIS. Signor Presidente, signor Ministro, noi siamo radicalmente insoddisfatti e anche un po' stupiti, perché Lei ci ha detto praticamente tutto quello che succedeva nel passato (e siamo d'accordo che la situazione ha una sua patologia che va affrontata, vedremo poi come), ma non sa assolutamente quello che accadrà con il provvedimento in esame. Il Ministro della giustizia è all'oscuro: si va avanti così! Non so che Paese siamo, un Paese dove si fa un provvedimento di questa portata e non si sa quali saranno i processi che verranno fermati, quanti saranno fermati, se perderemo interi processi.

Questo è un provvedimento che avete abilmente chiamato del processo breve: ma quale processo breve? Questo è il processo interruptus, signor Ministro, questo è un provvedimento che mira a bloccare i processi, a non farli fare e che crea quindi un vulnus gravissimo sul piano della giustizia, con aspetti anche di incostituzionalità molto evidenti.

Mi sarei aspettato che Lei avesse fatto in questa occasione il Ministro della giustizia, ci avesse dato dei numeri: i Suoi uffici devono avere contezza di quanto accade quando un provvedimento viene presentato. Invece ci viene a dire che non sappiamo che cosa accade, che lo sapremo in futuro: ma il provvedimento è in discussione da tanto tempo, se ne è parlato sui giornali in molte sedi improprie da almeno un mese a questa parte. In Commissione giustizia abbiamo chiesto il Suo intervento ripetutamente: Lei non è venuto; se fosse venuto forse avremmo potuto discuterne prima, avremmo potuto mettere in atto prima le indagini di cui lei parla e avremmo potuto forse avere questi dati fondamentali per poter decidere.

Il Parlamento dovrebbe affrontare tale disegno di legge all'oscuro, senza sapere quello che accadrà. Penso che questo provvedimento miri esclusivamente ad uno scopo e sappiamo qual è: bloccare determinati processi che riguardano il Presidente del Consiglio dei ministri; ed è gravissimo che si crei un vulnus così profondo alla certezza del nostro diritto, al nostro sistema processuale, strumentalizzando una situazione grave che va affrontata in termini di organizzazione della giustizia! Bisogna spendere di più, bisogna fare più organizzazione, bisogna avere più risorse per la giustizia, e non tagliarle, come fate invece quotidianamente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)!

 

 


 

 


Allegato A

 

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

 

Effetti sul sistema giudiziario delle norme contenute nel disegno di legge sul cosiddetto «processo breve» -

n. 3-00777

 

DI PIETRO, DONADI, EVANGELISTI, BORGHESI e PALOMBA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:

il disegno di legge sul «processo breve» è stato depositato al Senato della Repubblica (Atto Senato n. 1880, assegnato il 12 novembre 2009 alla 2a Commissione permanente), col titolo «Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell'articolo 111 della Costituzione e dell'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali»;

si tratta di un testo che prevede l'estinzione del processo se passano due anni dal momento in cui è intervenuto il rinvio a giudizio e non c'è una sentenza, e questo significa che per tutta una serie di procedimenti per reati anche molto gravi e molto seri non si riuscirà ad ultimare il processo;

il disegno di legge porterebbe ad una vera e propria depenalizzazione di una gran quantità di reati e, soprattutto, ad un nuovo colpo di spugna su quelli che si classificano come i reati dei «colletti bianchi». Il disegno di legge colpirebbe i principali processi attualmente in corso in Italia: Parmalat, Cirio, Antonveneta, Enelpower, Thyssen, Eternit e lo scandalo rifiuti della regione Campania;

l'Associazione nazionale magistrati parla di «sostanziale depenalizzazione di fatti di rilevante e oggettiva gravità» e avverte degli «effetti devastanti sul funzionamento della giustizia penale in Italia». «Gli unici processi che potranno essere portati a termine» - spiegano i vertici del sindacato dei magistrati - «saranno quelli nei confronti dei recidivi e quelli relativi ai fatti indicati in un elenco di eccezioni che pone forti dubbi di costituzionalità». L'Associazione nazionale magistrati elenca tutti i reati destinati ad andare in prescrizione: «abuso d'ufficio, corruzione semplice e in atti giudiziari, rivelazione di segreti d'ufficio, truffa semplice o aggravata, frodi comunitarie, frodi fiscali, falsi in bilancio, bancarotta preferenziale, intercettazioni illecite, reati informatici, ricettazione, vendita di prodotti con marchi contraffatti; traffico di rifiuti, vendita di prodotti in violazione del diritto d'autore, sfruttamento della prostituzione, violenza privata, falsificazione di documenti pubblici, calunnia e falsa testimonianza, lesioni personali, omicidio colposo per colpa medica, maltrattamenti in famiglia, incendio, aborto clandestino»;

la richiesta di giudizio per il crac Parmalat è avvenuta a luglio del 2007 e la prima udienza è stata fissata a marzo 2008, ben otto mesi dopo. Il processo a Parma è a rischio proscioglimento e andrà avanti solo per quei reati con pene superiori a dieci anni. Calisto Tanzi andrà certamente a giudizio, ma non chi è stato accusato di bancarotta preferenziale. Stesso discorso per il processo Cirio, i cui due anni teoricamente previsti per il primo grado sono già trascorsi. Si salverebbero, sempre grazie a pene superiori ai dieci anni, i processi per aggiotaggio: i più noti sono quelli di Milano per le fallite scalate ad Antonveneta e Bnl (aperto anche a Roma), quello che vede imputate le banche per Parmalat, tutti comunque sulla soglia della prescrizione se si tenesse conto solo dei due anni per il primo grado di giudizio;

«gli unici processi che potranno essere portati a termine» - spiegano i vertici del sindacato dei magistrati - «saranno quelli nei confronti dei recidivi e quelli relativi ai fatti indicati in un elenco di eccezioni che pone forti dubbi di costituzionalità»-:

se non abbia ritenuto di dover quantificare gli effetti che l'impatto delle norme proposte avrà sul sistema giudiziario e se non ritenga di doverne informare il Parlamento.(3-00777)

 

 

 

Impatto della normativa riguardante il cosiddetto «processo breve» sui procedimenti penali in corso, con particolare riferimento ai processi in fase dibattimentale di primo grado –

n. 3-00778

 

FERRANTI, SERENI, BRESSA, QUARTIANI, GIACHETTI, CAPANO, CAVALLARO, CIRIELLO, CONCIA, CUPERLO, GIANNI FARINA, MELIS, ROSSOMANDO, SAMPERI, TENAGLIA, TIDEI, TOUADI e VACCARO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:

al Senato della Repubblica è stato presentato un disegno di legge, a firma del senatore Gasparri ed altri, contenente «Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell'articolo 111 della Costituzione e dell'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali», il cui contenuto appare pienamente condiviso dall'Esecutivo;

il disegno di legge contiene per i reati, per i quali la pena edittale massima è inferiore ai dieci anni di reclusione, l'individuazione di un termine di durata massimo per ogni grado di giudizio (due anni per ognuno dei tre gradi, uno in caso di giudizio di rinvio dalla Corte di cassazione), il superamento del quale, senza che sia stata pronunciata sentenza, obbliga il giudice della fase processuale in corso a pronunciare una sentenza, con cui dichiara di non doversi procedere per «estinzione del processo» -:

se il Ministro interrogato abbia valutato l'eventuale impatto che l'entrata in vigore della normativa in questione avrà sui procedimenti penali attualmente in corso, con particolare riferimento ai processi in fase dibattimentale di primo grado, individuando il numero dei procedimenti e la tipologia dei reati per i quali è certa la conclusione con sentenza di non luogo a procedere ex articolo 425 del codice di procedura penale, per estinzione del processo, essendo decorsi più di due anni dalla richiesta con cui il pubblico ministero ha esercitato l'azione penale, formulando l'imputazione, senza che sia stata emessa sentenza che definisce il giudizio.(3-00778)

 


 



[1] Il rito societario è stato abrogato in virtù del disposto dell'art. 54 della L. 18 giugno 2009 n. 69, ma è ancora applicabile per le cause ancora in corso alla data di entrata in vigore della legge medesima.

[2]     D.L. 1 luglio 2009 n. 78 (conv. L. 3 agosto 2009, n. 102.), Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini.

[3]     D.L. 3 agosto 2009, n. 103 (conv. L. 3 ottobre 2009, n. 141), Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009

[4]    Relativamente alla fattispecie del danno all’immagine, si richiama la sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite Civili, del 25 giugno 1997, n. 5668 secondo la quale spetta alla Corte dei conti la cognizione non solo del danno erariale ma anche del danno conseguente alla perdita di prestigio ed al grave detrimento dell’immagine della personalità pubblica dello Stato che, pur se non comporta una diminuzione patrimoniale diretta, è tuttavia suscettibile di una valutazione patrimoniale sotto il profilo della spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso.

[5]    L’art. 7 L 97/2001 prevede che la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell'articolo 3 per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova entro trenta giorni l'eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato.

[6]    In particolare, l'art. 1, comma 2, L 20/94 prevede che il diritto al risarcimento del danno si prescriva in ogni caso in 5 anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta.

[7]     R.D. 13 agosto 1933, n. 1038, Approvazione del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti.

[8]    ILD.L. 15 novembre 1993 n. 453, recante Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti, è stato convertito con modificazioni dalla legge 14 gennaio 1994 n. 19.

[9]    Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.

[10]   L. 14-1-1994 n. 20, Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti.

[11]   L’articolo citato dispone che i conti siano depositati nella segreteria della sezione competente, che li trasmette al primo referendario o referendario designato quale relatore dal presidente.

[12] Tale disposizione disciplina l’esercizio dell’azione penale da parte del P.M., prevedendo che il medesimo, quando non deve richiedere l'archiviazione, esercita l'azione penale, formulando l'imputazione, nei casi previsti nei titoli II, III, IV e V del libro VI ovvero con richiesta di rinvio a giudizio.

[13]   Cass. Sez. Un. 17.1.2006, n. 3821.

[14]   Come precisato in audizione dal Presidente del Tribunale, fanno eccezione i processi di particolare complessità per di numero imputazioni,  imputati o persone offese o comunque richiedenti una più articolata istruttoria dibattimentale.

[15]   Dato rilevato dalla relazione ispettiva relativa al periodo 10/02/02 —17/11/08

[16]   Dati rilevati alla data  del 16.11.09.

[17]   dato calcolato escludendo i reati di cui al c. 5 dell’art. 346 c.p.p. e intendendo per "udienza preliminare" quella in cui viene emesso il decreto che dispone il giudizio

[18]   Nel dato sono inclusi i processi definiti con giudizio direttissimo.

[19]   È di circa 8-9 mesi il tempo che, nei procedimenti a citazione diretta, intercorre fra la richiesta del P.M e la data dell'udienza dibattimentale

[20]   tempo medio di celebrazione del dibattimento per la sede di Venezia-Mestre 203 giorni; tale dato va riconsiderato tenendo conto della rilevante incidenza che su di esso hanno i processi per direttissima - pari a circa al 25% del totale; con la conseguente rivalutazione dei tempi medi del dibattimento, tenendo conto soltanto dei giudizi diversi da quelli per direttissima, i tempi medi di definizione sono di 272 giorni, vale a dire sostanzialmente 9 mesi circa.

[21]   individuati fra quelli pendenti in I grado per i quali l'azione penale è stata esercitata anteriormente al 12 novembre

[22]   è stato precisato che il dato è stato calcolato con riferimento alle imputazioni e che la maggior parte dei processi per reati esclusi dall'applicazione della legge comprendono almeno un reato con pena edittale inferiore ai dieci anni

[23]   Il dato è stato rilevato dal REGE con riferimento ai casi di recidiva contestata

[24]   sede di Venezia-Mestre; il numero totale dei procedimenti pendenti dinanzi al Tribunale in composizione monocratica, considerando anche le sezioni distaccate, è di 1.353.

[25]   considerando solo le n.10.211 sentenze emesse presso la Sede di Venezia-Mestre, n. 2.996 processi risultano definiti ex art. 444 c.p.p. e n. 425 ex art. 442 c.p.p.; la percentuale varia nelle Sezioni Distaccate entro una forbice del 10%.

[26]   per la sezione di Rutigliano è stata altresì indicata la percentuale di 29,11%  per i procedimenti di cognizione sommaria

[27]   Cass Sez. Un. 6.3.1982, in Cass. Pen., 1982, 1492, ove la Corte si sofferma sul concorso di cause estintive, amnistia e prescrizione. 

[28]   Corte Costituzionale, Ord. n. 399/2001. Si veda anche Corte Costituzionale, Ord. n. 225/2003, ove la Corte ribadisce che <il principio della ragionevole durata del processo non risulta leso da una disciplina, frutto di scelte normative non prive di valide giustificazioni in ordine alla configurazione e ai rapporti tra riti alternativi, che consente il sindacato del giudice sul dissenso del pubblico ministero soltanto in esito alla celebrazione del dibattimento>.

[29]   In termini, Corte EDU, sentenze nn. 36813/97, 64890/01, 64699/01, 65102/01. Si veda anche la sentenza della Corte di Strasburgo in data 5 luglio 2007, Locatelli c. Italia.

[30]   La Corte ha pure posto a carico dello Stato italiano una liquidazione supplementare rispetto a quella riconosciuta dalle Corti d’Appello nel quadro della Legge Pinto, ritenendo che detta previsione non fornisca una riparazione equa del ritardo subito dimenticando  le parti lese e le vittime, le quali hanno diritto a che la verità e le responsabilità vengano accertate, unitamente all’interesse più generale dei cittadini e dell’ordinamento all’accertamento giudiziario.  

[31]   La juridiction de proximité è stata istituita con legge n. 2002-1138 del 9 settembre 2002.

[32]   In argomento, J.FAGET, La médiation pénale: une dialectique de l’ordre et de désordre, in “Deviance et Société”, 1993, vol. XVII, n. 3, 221. L’ambito criminologico di riferimento delle teorie in esame è dato da violenze intrafamiliari, conflitti nei rapporti di vicinato, vandalismi, degrado sociale, micro-criminalità, od altri comportamenti criminali che producono elevata sofferenza da vittimizzazione diffusa e che determinano una altrettanto diffusa domanda di <riaffermazione> giudiziaria dei diritti lesi. Secondo tale teorica - che ha informato principalmente il sistema del controllo di legalità degli ordinamenti ove l’esercizio dell’azione penale non è obbligatorio - si valorizza la riparazione dei danni da reato effettuata dallo stesso autore dell’illecito.

[33]   La Convenzione contro la corruzione alla quale si fa riferimento nel testo è pubblicata nella Gazz. Uff. 14 agosto 2009, n. 188.

[34]   oint First and Second Round Evaluation Report on Italy, adottato in data 2 luglio 2009 dal Group of States against corruption (GRECO) del Consiglio d’Europa.

[35]   to ensure that cases are decided on their merits within a reasonable time”, (Evaluation Report on Italy, cit., PAR. 199, V).