Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Ultimi sviluppi della crisi siriana
Serie: Note di politica internazionale    Numero: 105
Data: 18/06/2012
Descrittori:
SIRIA     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari

Casella di testo: Note di politica internazionalen. 105 –  18 giugno 2012

Ultimi sviluppi della crisi siriana


La difficile attuazione del Piano Annan

Il 26 aprile vi è stata, tra l’altro, l’uccisione di 11 bambini nel bombardamento di un palazzo a Hama – ma il governo ha attribuito l’esplosione all’attività di terroristi che preparavano ordigni -, nelle stesse ore in cui la Turchia ha ventilato la possibilità di portare in sede NATO la situazione di tensione del proprio confine con la Siria, oggetto nei giorni precedenti di ripetute violazioni durante l’inseguimento di profughi. Il giorno successivo un attentato suicida ha colpito il centro di Damasco, confermando che il cessate il fuoco viene sostanzialmente violato, con conseguente fallimento del piano di Kofi Annan, come già rilevato dalla Francia ed a seguire dagli USA.

Quando il 30 aprile diverse esplosioni hanno colpito la città nordo-ccidentale di Idlib, solo da un mese ritornata sotto il controllo del regime di Assad, il governo ha avuto buon gioco nell’attribuire la morte di non meno di otto persone ai “terroristi”. Gli oppositori hanno tuttavia rigettato ogni responsabilità sulle autorità siriane, accusate di organizzare attentati – come alcuni episodi recenti dimostrano – per poter presentarsi quali vittime del terrorismo agli occhi della Comunità internazionale. Del resto anche l’arrivo degli osservatori della Lega araba nello scorso dicembre era stato accompagnato, sempre secondo gli oppositori, da una serie di attentati.

Il 3 maggio sono stati gli studenti universitari di Aleppo, solo da poco tempo unitisi alla contestazione del regime siriano, ad essere vittime della repressione, con una massiccia irruzione delle forze di sicurezza nei dormitori del campus, danneggiando suppellettili, procedendo ad arresti e - secondo quanto riferito – uccidendo due dei giovani ospiti del campus. Nel contempo si è diffusa la notizia dell’arresto di due figli del noto dissidente Fayez Sara, fondatore della Lega dei giornalisti siriani. Il portavoce della UNSMIS ha in effetti rilevato che non vi era ancora il completo rispetto del cessate il fuoco.

Nemmeno le elezioni politiche del 7 maggio hanno segnato una ricomposizione dei contrasti: piuttosto, esse sono state boicottate anche da forze di opposizione moderata non colpite finora dalla repressione, in quanto giudicate solo un’operazione cosmetica del regime, il cui controllo sul Parlamento – già di per sé scarsamente incidente sulla vita politica siriana – non viene meno per la sola fine del monopolio politico del Partito Baath, giacché esso continuerà a designare oltre la metà dei deputati su base corporativa, mentre il divieto della formazione di partiti a sfondo etnico o confessionale ha reso possibile solo la presentazione di liste di candidati indipendenti piuttosto omogenei tra loro. Inutile dire che le elezioni sono state bollate alla stregua di una farsa dalle opposizioni più radicali.

L’8 maggio Kofi Annan rilevava come gran parte del suo piano per il cessate il fuoco non fosse stata attuata, ma esprimeva fiducia nell’azione dei trecento osservatori che entro la fine di maggio sarebbero stati verosimilmente tutti al lavoro in Siria - e tra loro un nucleo di osservatori italiani, dei quali 5 in imminente partenza, come deciso dal Governo l’8 maggio e comunicato il giorno successivo in un’informativa alle Commissioni riunite Esteri e Difesa della Camera.

Il pessimismo sul destino della missione ONU si è accresciuto il 9 maggio, quando un attentato ha sfiorato addirittura un convoglio di osservatori che si dirigeva verso Daraa, e soprattutto il giorno successivo, con la morte di oltre 50 persone – tra cui 11 bambini - e il ferimento di trecento in un duplice attacco di kamikaze a Damasco. L’attentato è stato rivendicato due giorni dopo da un gruppo fondamentalista sunnita poco conosciuto, il Fronte della vittoria, che già si era attribuito in gennaio un analogo ma meno sanguinoso atto terroristico nella capitale.

 

I dissidi all’interno del fronte delle opposizioni

Il 13 maggio il Ministro degli Esteri Giulio Terzi ha ricevuto a Roma il capo del Consiglio nazionale siriano Burhan Ghalioun, proprio nella capitale italiana impegnato dal giorno precedente in un incontro del Segretariato del CNS. Proprio tale riunione ha contribuito a sancire le perduranti divisioni nel fronte che si contrappone al regime di Assad, scosso da polemiche politiche e rivalità personali tra i dissidenti all'estero e quelli in patria - questi ultimi, riuniti in maggioranza nella Commissione per il coordinamento nazionale (CCN).

Gli esponenti della CCN accusano il CNS di essere diretto solo da esponenti di élite espatriati, pur avendo un importante seguito di militanti all'interno della Siria I dissidi interni alle opposizioni siriane si sono acuiti dopo la rielezione di Ghalioun nella riunione di Roma, ove ha sconfitto il candidato Sabra, cristiano e più legato all’opposizione operante all’interno della Siria, tanto che lo stesso Ghalioun si è detto pronto alle dimissioni per scongiurare il completo fallimento dei tentativi di unificare il fronte delle opposizioni, e si è dopo pochi giorni effettivamente dimesso, criticando anche le divisioni tra laici e islamici in seno allo stesso Cns.

Frattanto si sono verificati, a partire dalla metà di maggio, casi di propagazione del conflitto siriano in Libano, che hanno destato comprensibilmente una grande preoccupazione sia nelle locali autorità che nella Comunità internazionale. Il 18 maggio lo stesso segretario generale dell’ONU, a seguito di prove presentategli dal rappresentante siriano alle Nazioni Unite, ha riconosciuto la presenza di al Qaida in Siria e l’elevata probabilità che abbia portato a termine gli attentati di Damasco del 10 maggio. Nella stessa giornata del 18 maggio si è svolta ad Aleppo – seconda città della Siria -, in concomitanza con il venerdì di preghiera, la più massiccia manifestazione di contestazione al regime dall’inizio delle proteste nel 2011.

 

Il massacro di Hula

Il 25 maggio i carri armati del regime siriano sono entrati per la prima volta anche ad Aleppo, ma, soprattutto, va segnalato il massacro di Hula, cittadina della provincia di Homs, dove pesanti bombardamenti di artiglieria attribuiti dagli osservatori dell’ONU ai carri armati delle forze governative – che peraltro hanno negato ogni responsabilità, attribuendola a forze terroristiche impegnate in un complotto straniero - hanno provocato più di cento morti, e tra questi moltissimi bambini.

Tra le reazioni indignate della Comunità internazionale spicca quella del ministro degli esteri italiano Giulio Terzi,il quale, incontrando a Roma l'omologo francese Laurent Fabius, ha richiesto una nuova riunione del Gruppo degli Amici della Siria, per valutare ulteriori iniziative in sede ONU anche al di là del piano Annan, e definito inaccettabile lo sviluppo degli eventi in Siria.

D'altra parte, il massacro di Hula ha fatto sì che l'Esercito libero siriano, essenzialmente composto da militari disertori, abbia dichiarato la fine del piano Annan, esortando le Nazioni Unite e i paesi amici dell'opposizione siriana a lanciare raid aerei contro le forze del presidente Assad, e preannunciando una escalation militare contro le forze governative, suscettibile di configurare sempre più la crisi siriana come una vera e propria guerra civile.

La Russia peraltro ha continuato a puntare con forza sulla riuscita del piano Annan, mettendo in luce come le responsabilità delle violenze siano ormai condivise dal regime e dall’opposizione siriani, e non sembra disponibile ad accogliere una soluzione – che piacerebbe invece agli USA - come quella che nello Yemen ha portato all’allontanamento dal potere del presidente Saleh, mantenendo però alla direzione del paese buona parte del suo entourage politico.

Il 28 maggio Kofi Annan è tornato a Damasco, lanciando un appello per l’effettiva applicazione del piano di pace da lui stesso formulato, soprattutto con la fine delle violenze da chiunque perpetrate. La reazione alla strage consumatasi a Hula ha raggiunto il 29 maggio un momento di coordinamento a livello europeo, con la decisione di Italia, Francia, Germania, Spagna e Regno Unito di espellere i rappresentanti diplomatici siriani nelle rispettive capitali, dichiarandoli persona non grata. Altrettanto hanno fatto gli Stati Uniti, il Canada e l'Australia: i capi delle diplomazie europee hanno chiuso in modo apparentemente irrevocabile ogni possibilità per Assad di rimanere alla guida della Siria, e anche il premier turco Erdogan ha parlato di situazione ormai giunta al limite da parte del regime di Assad.

La Russia, invece, ha proseguito nel sostegno al regime siriano, continuando a lanciare appelli alla fine delle violenze a tutti gli attori del conflitto, ed esortando l’ONU a condurre un'inchiesta imparziale sui fatti di Hula, sui quali è stato peraltro reso noto dall’Alto commissariato ONU per i diritti umani che i resti delle vittime dimostrerebbero come solo una piccola parte di esse sia stata provocata dai colpi di artiglieria, mentre quattro quinti dei morti sarebbero stati uccisi in un secondo tempo, in vere e proprie esecuzioni, anche con armi da taglio, da parte dei miliziani filogovernativi – questo tragico clichet si sarebbe poi ripetuto nei giorni sucessivi in varie circostanze.

 

USA, Europa e Russia di fronte alla crisi siriana

Rilevato come le divisioni nel seno dell'opposizione al regime di Assad proseguano e semmai si aggravino - i vertici all'estero dell’Esercito di liberazione siriano (ELS) non hanno condiviso l'ultimatum di 48 ore lanciato il 30 maggio dai ribelli operanti all'interno della Siria perché il regime di Assad applichi finalmente tutti punti del piano Annan - e segnalato come, in modo abbastanza strumentale, la questione siriana sia ormai entrata pienamente anche nella campagna per le presidenziali americane.

Il candidato repubblicano Romney ha infatti accusato il presidente Obama di consentire il massacro siriano rifiutandosi di armare i ribelli, mentre l'Amministrazione in carica ribatte che, per le divisioni al loro interno e le loro caratteristiche ancora in buona parte non chiarite, sarebbe troppo rischioso consegnare armamenti alle numerose fazioni dell'opposizione; anche sul piano europeo si rilevano notevoli divergenze di posizione, con il Belgio quale unico sostenitore della prospettiva di intervento armato in Siria - ma il neopresidente francese Hollande non ha escluso a sua volta del tutto  tale eventualità -, mentre la Germania, ad esempio, affida solo alla via dei negoziati e della politica la soluzione del rebus di Damasco.

Ciò ha consentito al presidente russo Putin, teoricamente in difficoltà per il costante appoggio alla permanenza del regime siriano, di affrontare senza troppe difficoltà il doppio vertice del 1º giugno a Berlino e del 2 giugno a Parigi, rispettivamente con la cancelliera Merkel ed il Presidente francese, facendo valere l'approccio più morbido della Germania nei confronti di una Francia per la quale è assolutamente improponibile l'ipotesi di una permanenza di Assad al potere. In tal modo, comunque, né la Germania nella Francia sono riuscite ad ottenere alcun cedimento russo sulla prospettiva, perlomeno, di un inasprimento sanzionatorio nei confronti di Damasco.

Il ruolo di sostegno al regime siriano da parte di Cina e Russia è stato confermato anche il 1º giugno, quando il Consiglio delle Nazioni Unite sui diritti umani ha provato a Ginevra una risoluzione di condanna del massacro di Hula, con una maggioranza nella quale non figuravano né Mosca né Pechino. Il 2 giugno, mentre una sessione straordinaria della Lega araba convocata in Qatar sollecitava nuovamente al rispetto del piano di pace di Kofi Annan, minacciando in caso contrario l'uso della forza, lo stesso Kofi Annan paventava la prospettiva di una guerra a tutto campo ormai imminente in Siria. Inoltre, il 2 e 3 giugno il conflitto siriano è tornato a riecheggiare anche nel Nord del Libano, dove nella città di Tripoli vi sono stati 14 morti e più di trenta feriti in rinnovati scontri tra gruppi sunniti e alawiti.

Nemmeno l’intervento di Assad in Parlamento (3 giugno) ha offerto speranze di una qualche evoluzione positiva della situazione: il presidente siriano è tornato ad accusare forze straniere e terroristiche per l’escalation delle violenze, incluso il massacro di Hula, e in tal senso ha escluso qualsiasi possibilità di dialogo con il Consiglio nazionale siriano. Dure critiche ha destato il discorso di Assad da parte dell’Arabia Saudita – il cui capo della diplomazia ha auspicato la creazione in Siria di una zona-cuscinetto – e della Turchia, per bocca del premier Erdogan.

Il Vertice tra Russia ed Unione europea svoltosi nei pressi di San Pietroburgo e concluso il 4 giugno non ha portato novità in riferimento alla tragedia siriana: le parti hanno sì convenuto sulla necessità di sostenere ulteriormente l’attuazione del Piano Annan, ma hanno confermato le divergenze già registrate in ordine al livello di pressioni da esercitare sul regime siriano e sul suo capo Bashar al-Assad – la cui permanenza al potere, tuttavia, la Russia ha precisato subito dopo – e nello stesso senso si è espressa Pechino - non è una priorità inderogabile.

All’interno della Siria è apparso poi con chiarezza il superamento della tregua che i ribelli avevano accettato all’inizio dell’applicazione del Piano Annan: soprattutto dopo il massacro di Hula essi hanno dichiarato di voler riprendere i combattimenti a protezione delle popolazioni siriane attaccate dal regime, mentre chiedono a gran voce l’intervento armato della Comunità internazionale. Che il conflitto siriano, nello stallo sostanziale della diplomazia, precipiti sempre più in una sorta di guerra civile, sembra confermato anche dal relativo calo del numero dei civili uccisi, accompagnato dal netto incremento delle vittime tra i governativi e i ribelli in armi. Il 5 giugno, come ritorsione all’espulsione degli ambasciatori siriani decretata il 29 maggio in diversi Paesi occidentali, la Siria ha dichiarato indesiderati 17 diplomatici.

Il 6 giugno – mentre a Damasco è stato incaricato un ex ministro dell’agricoltura di dar vita al nuovo governo dopo le contestate elezioni legislative del mese precedente - si è svolto il Vertice russo-cinese a Pechino, dal quale è venuta la proposta di una Conferenza internazionale per garantire l’attuazione del Piano Annan.

Parallelamente, paesi occidentali e arabi si sono ritrovati a Istanbul nell’ambito del gruppo degli Amici della Siria, e si sono espressi per nuove sanzioni contro Damasco e per il deciso avvio di un processo di transizione. A quest’ultima prospettiva sembrano però opporsi le gravi divisioni interne al fronte degli oppositori del regime di Assad, come anche i rischi di degenerazione in uno scontro confessionale aperto tra sunniti e alawiti in Siria e nel vicino Libano. La prospettiva della Conferenza lanciata da Russia e Cina sembra invece improbabile poiché Mosca e Pechino desidererebbero vi partecipasse anche l’Iran, paese indubbiamente in grado di premere sugli attori della crisi siriana, ma, secondo il resto della Comunità internazionale, in senso negativo.

 

La strage del 6 giugno e le ipotesi di un intervento armato

Il 6 giugno vi è stata anche una nuova strage di civili ad opera dell’artiglieria governativa e delle milizie lealiste alla periferia di Hama: il bilancio è stato di circa cento vittime, di cui venti bambini. La nuova strage ha fatto dichiarare apertamente il giorno dopo al segretario generale Ban Ki-moon, davanti all’Assemblea generale dell’ONU, che il regime di Damasco ha ormai perso ogni legittimità.

Segnali di ricompattamento delle opposizioni al regime siriano si sono avuti il 10 giugno, quando il Consiglio nazionale siriano, nella riunione di Istanbul, ha eletto il nuovo leader, nella persona del curdo lungamente esiliato in Svezia Abdelbasset Sied, una figura potenzialmente capace di coinvolgere maggiormente le minoranze etniche e religiose della Siria nell’opposizione ad Assad. Sied ha subito annunciato che il CNS assumerà la direzione dei ribelli armati operanti all’interno del paese, inquadrati nell’Esercito libero siriano. Sied, inoltre, è tornato a lanciare un vibrante appello alla Comunità internazionale perché, ai sensi del Capitolo VII della Carta dell’ONU, autorizzi un intervento armato a protezione dei civili siriani.

L'11 giugno gli osservatori della missione ONU in Siria hanno fatto rilevare una ulteriore escalation da parte del regime di Assad, con l'uso di elicotteri militari contro le basi della ribellione armata, e nel mezzo del conflitto sempre più numerosi sono i civili che restano intrappolati e privi anche dei più elementari mezzi di sussistenza. Non a caso gli stessi osservatori si sarebbero impegnati nell'evacuazione di un gran numero di civili, fra cui naturalmente anche donne e bambini, intrappolati nella città di Homs.

Un rapporto sempre di fonte ONU ha subito dopo evidenziato gli orrori nei quali vengono coinvolti in Siria i bambini, uccisi, incarcerati e fatti oggetto di ogni forma di violenza, fino a utilizzarli come scudi umani nei convogli di soldati governativi. Anche i ribelli, tuttavia, si sarebbero resi responsabili di tali atrocità, con il reclutamento e l'uso in combattimento di numerosi bambini.

Sempre a proposito dei ribelli va segnalato, secondo testimoni citati dal quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, che il massacro di Hula del 25 maggio andrebbe addebitato invece che al regime alle opposizioni, stante il fatto che la maggior parte delle vittime sarebbero stati alawiti e non sunniti.

Il 13 giugno la Francia è tornata con forza, per bocca del ministro degli esteri Fabius, a invocare un intervento delle Nazioni Unite basato sul capitolo VII della Carta dell'ONU, che consentirebbe di armare coloro che vengono inviati sul campo. Inoltre, Fabius è tornato a ventilare l'opportunità di imporre una parziale no fly zone sui cieli siriani, a protezione dei civili delle zone più martoriate. È emerso intanto il raccapricciante assassinio di una madre e di cinque figli tutti di età non superiore a sei anni in una zona a Nord di Aleppo a maggioranza curda, nelle stesse ore nelle quali l'esercito governativo assumeva il controllo della cittadina di Haffe, nella regione costiera di Latakia, popolata da sunniti e cristiani, ma circondata da villaggi alawiti.

Parallelamente al rilancio francese in direzione di una possibilità almeno parziale di intervento armato Nazioni Unite - che Parigi ha poi ulteriormente corroborato annunciando la fornitura ai ribelli di mezzi di comunicazione -, gli Stati Uniti hanno accentuato la pressione su Mosca, accusata anche di fornire al regime siriano gli elicotteri militari utilizzati già più volte nella repressione: il ministro degli esteri russo Lavrov, in visita a Teheran, ha respinto ogni accusa, asserendo che Mosca fornirebbe a Damasco esclusivamente armamenti difensivi, confermando la propria opposizione ad ogni ipotesi di ricorso all'intervento armato in Siria e rigettando le accuse nel campo statunitense, con l'accusa a Washington di fornire armamenti ai ribelli siriani.

Il capo della missione di osservatori delle Nazioni Unite ha accusato il 15 giugno sia i governativi che i ribelli di limitare il lavoro della UNSMIS a causa della  escalation delle violenze: il giorno successivo le operazioni sono state sospese e gli osservatori militari si sono ritirati nelle loro basi, disposti a riprendere il proprio lavoro solo quando le condizioni di sicurezza miglioreranno. Ciò non sembra tuttavia imminente, in quanto è in corso un nuovo assedio di Homs, e nella città vi sarebbero almeno un migliaio di civili letteralmente intrappolati. Il Consiglio nazionale siriano ha richiesto l’invio di una missione ONU più numerosa e armata, in grado di proseguirela nella propria opera nonostante le violenze.

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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