Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: L'emergenza umanitaria nel Corno d'Africa
Serie: Note di politica internazionale    Numero: 87
Data: 03/11/2011
Descrittori:
ASSISTENZA ALLO SVILUPPO   CORNO D'AFRICA
FAME NEL MONDO     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari

Casella di testo: Note di politica internazionalen. 87 3  novembre 2011

L’emergenza umanitaria nel Corno d’Africa


 


Per la prima volta a partire dal 1985[1], lo scorso 20 luglio le Nazioni Unite hanno decretato lo stato di “carestia” nel continente africano dove, nella regione del Corno d’Africa, sta avendo luogo la più grave crisi umanitaria mondiale, che interessa oltre 13 milioni di persone.

Il Corno d’Africa, che comprende Somalia, Etiopia, Gibuti e Kenia, è una delle regioni dove l’insicurezza alimentare è più diffusa. Le preoccupazioni circa le conseguenze della terribile siccità nella regione hanno raggiunto la soglia di allarme nel mese di giugno, quando il Famine Early Warning Systems Network, (FEWSNet)[2] ha reso noto che il 2011 si andava configurando come l’anno con minori precipitazioni dal 1950. Si teme tra l’altro che la carestia possa estendersi a Tanzania ed Uganda, dove i tassi di malnutrizione grave sono in crescita.

“Carestia” (Famine) ha in questo caso una precisa portata nel lessico delle crisi alimentari; per definirla, le Nazioni Unite utilizzano l’Integrated Food Security Phase Classification (IPC), uno strumento innovativo standardizzato che consente la classificazione in cinque livelli della natura e della severità delle crisi alimentari. Lo stadio 5 – Carestia/catastrofe umanitaria –, che indica il livello più grave di insicurezza alimentare, si raggiunge quando si realizzano contemporaneamente alcune condizioni:

§   almeno il 20% della popolazione ha una dieta con meno di 2.100 calorie al giorno (il fabbisogno calorico medio giornaliero);

§   ogni persona ha a disposizione meno di 4 litri di acqua al giorno;

§   il 30% della popolazione è malnutrito (per malnutrizione si intende l’insufficiente apporto giornaliero di vitamine e minerali);

§   il tasso di mortalità è superiore a due morti adulti ogni 10mila persone, o quattro bambini ogni 10mila persone, ogni giorno.

In alcune zone della Somalia, lo stato maggiormente colpito, il tasso di mortalità arriva a sei morti ogni 10mila persone; l’UNICEF ha inoltre calcolato che, nella parte meridionale del paese, ogni ora ben 14 bambini muoiono di fame. Il tasso di mortalità infantile a Mogadiscio è di 15,4 bambini ogni 10.000 persone al giorno.

Secondo FEWSNet, la crisi in atto in Somalia deriva da una combinazione di fattori. La totale assenza di acqua piovana nella stagione delle piogge di ottobre-dicembre (le cd. Deyr rains) 2010 e la scarsità di precipitazioni nella stagione aprile-giugno (Gu) 2011[3] - che facevano seguito ad annate anch’esse caratterizzate da piogge insufficienti - si sono tradotte nel peggior raccolto degli ultimi diciassette anni, nella riduzione di offerta di lavoro, in prezzi del bestiame al di sotto della media e in un eccesso di mortalità animale. La scarsità di mais e di sorgo ha  determinato un esorbitante aumento del prezzo degli altri cereali, circostanza che, unita alla diminuzione dei prezzi del bestiame e dei salari, ha notevolmente ridotto il potere di acquisto e il livello di vita delle famiglie.

Sono da poco cominciate le piogge della stagione autunnale 2011, recando sollievo ai campi e al bestiame, ed aumentando la disponibilità d’acqua; tuttavia, il carattere impetuoso delle precipitazioni aumenta anche il rischio di allagamenti, l’insorgere di alcune malattie (colera, malaria e polmonite), e rende più problematica la distribuzione degli aiuti. La Banca Mondiale fa sapere che le piogge di ottobre hanno portato un generale miglioramento nella regione eccetto che in Somalia, dove si teme una diffusione della carestia (per la quasi totale assenza di piogge nel sud del paese e per la situazione di insicurezza dovuta al conflitto). Un rapporto del Somalia Food Security and Nutrition Analysis Unit (FSNAU), organismo finanziato dall’Unione europea e da USAID e gestito dalla FAO, prevede inoltre per il mese di novembre un peggioramento della crisi proprio nella parte meridionale del paese.

La Somalia risente maggiormente degli effetti della siccità rispetto a quanto accade nei paesi vicini perché la carestia va ad aggravare le condizioni di vita di una popolazione già stremata dal conflitto interno in corso ormai da vent’anni. Lo stadio di carestia è stato riconosciuto in sei aree del centro e del sud del Paese, compresa quella della capitale.

Il WFP (World Food Programme) ritiene che i somali bisognosi di aiuti alimentari siano intorno ai 4 milioni, oltre la metà della popolazione (nel mese di luglio erano 3,7 milioni); di questi, 3 milioni si trovano nella Somalia del sud, per molta parte controllata dal  movimento al-Shabaab. Il WFP riesce a raggiungere attualmente solo circa un milione di persone - e calcola di poter arrivare a 1,9 milioni nei prossimi mesi - nelle zone centrali e settentrionali della Somalia e nella capitale. Altre agenzie e ONG forniscono invece aiuti nella parte meridionale del paese, quella maggiormente colpita, dove gli Shabaab hanno vietato l’ingresso alle agenzie dell’ONU. Si ritiene che, se gli aiuti non verranno incrementati, entro dicembre potrebbero morire 750.000 persone.

Complessivamente, i partner che distribuiscono aiuti raggiungono approssimativamente 2,2 milioni di persone con interventi mensili, ma questi numeri non tengono conto dell’assistenza fornita dall’Organizzazione della Conferenza islamica (OIC) e dei suoi membri. Secondo l’OIC, 16 ONG del mondo musulmano hanno recato aiuti a 1,4 milioni di persone in Somalia a partire dal mese di aprile. Gli Stati membri dell’OIC, inoltre, riuniti ad Istanbul il 17 agosto scorso, hanno deciso di destinare 350 milioni di dollari per la crisi umanitaria somala.

L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), ha inoltre fatto sapere che, al 30 settembre, erano ben 2,3 milioni gli sfollati somali, (un terzo della popolazione): 1,5 milioni sono sfollati interni, mentre in 924.000 vivono in campi profughi in Kenia, Etiopia, Gibuti e Yemen. L’UNHCR calcola che nel solo 2011 i nuovi profughi siano stati 320 mila[4], mentre i nuovi sfollati interni dal settembre 2011 sono circa 42.000[5]. Secondo il FSNAU, la maggior parte degli sfollati vengono da Mogadiscio e dalla parte meridionale della Somalia, dove la situazione politica è più instabile. Nei mesi di settembre e ottobre si sono registrati combattimenti tra le forze del governo di transizione (talora anche con il coinvolgimento di AMISOM, la missione delle Nazioni Unite in Somalia)  nonché un numero sempre crescente di scontri al confine con il Kenia, le cui forze armate sono di recente penetrate in territorio somalo in più di un distretto (v. infra).

Anche in Kenya il succedersi di stagioni delle piogge con poche precipitazioni ha determinato magri raccolti e moria di bestiame; questa situazione, unitamente all’aumento dei prezzi di cibo e carburante, interessa  3,75 milioni di persone la cui sopravvivenza è legata agli aiuti umanitari. La parte più colpita del paese è quella settentrionale, ma anche quella meridionale e la regione costiera non ne sono esenti. L’accesso all’acqua è diventato critico e sono frequenti gli scontri tra tribù rivali che si contendono le fonti rimanenti.

Il Kenya ospita circa 500 mila sfollati somali, la maggior parte dei quali vivono nel gruppo di campi di Dadaab, a circa 100 chilometri dal confine con la Somalia. I campi di Dabaab, sebbene sovraffollati, sono relativamente ben organizzati, con un alto numero di agenzie (UNHCR, UNICEF, WHO, UNDP) e Ong (tra le quali Save the children,  Médecins sans Frontières, Norwegian Refugee Council, Lutheran World Federation, ecc.) impegnate a prestare aiuto per le necessità di base dei rifugiati. Ciononostante, l’ondata di nuovi arrivi nel corso degli ultimi mesi ha di gran lunga oltrepassato la capacità ricettiva dei campi, mettendo a dura prova l’ambiente e creando tensioni con le comunità locali che – loro stesse vittime della siccità – non ricevono lo stesso livello di attenzione.

In Kenya si sta comunque lavorando per evitare che la siccità si trasformi in carestia: il governo e i suoi partner per lo sviluppo stanno moltiplicando i propri sforzi per aumentare la distribuzione di cibo e di acqua, per curare gli animali ed espandere i programmi di alimentazione scolastica.

Al contrario, come si è detto, gli aiuti sono molto più difficilmente erogabili nella Somalia centro-meridionale, dove la carestia è conclamata: la presenza armata degli Shabaab islamici prima (anche se, secondo il Guardian, questi starebbero cercando di conquistare il sostegno della popolazione locale proprio con la distribuzione di aiuti e denaro ai civili), e l’offensiva militare keniana in atto dal 16 ottobre, stanno aggravando la crisi umanitaria.

Il 13 ottobre erano state infatti sequestrate due operatrici spagnole di Médicos sin Fronteras nel campo di Dadaab. Solo qualche giorno prima erano state rapite altre due donne, una britannica e una francese (poi deceduta) nell'arcipelago turistico di Lamu, in Kenya, non lontano dalla frontiera somala. Le autorità kenyote, che ritengono l’organizzazione islamica somala responsabile di tali sequestri nonostante le smentite degli Shabaab, hanno lanciato il 16 ottobre un'operazione militare sul territorio somalo - tuttora in corso sotto forma di incursioni aeree – ricevendo la condanna del presidente somalo, Sheikh Sharif Ahmed, e minacce di gravi ritorsioni da parte di miliziani Shabaab le cui basi sono il bersaglio dell’offensiva. Anche per via di queste minacce l’organizzazione prossima ad al-Qaeda viene ritenuta responsabile dei due attentati perpetrati a Nairobi il 23 e il 24 ottobre. Gli Shabaab hanno rivendicato invece l’attacco suicida ad una base di AMISOM, avvenuto il 29 ottobre, il cui bilancio delle vittime è fortemente discordante tra le parti.

Ma la situazione di instabilità non riguarda soltanto l’area controllata dagli Shabaab: altri tre operatori umanitari (un somalo, un’americana ed un danese) che lavorano per la Danish Demining Group sono stati rapiti il 25 ottobre nel centro della Somalia. Il rapimento è avvenuto vicino alla città di Galkayo, situata tra le regioni semi-autonome di Puntland e Galmudug, teatro di violenti scontri tra clan rivali nel mese di settembre, un territorio che non è sotto il controllo delle milizie Shabaab.

La siccità ha colpito anche Etiopia e Gibuti.

L’OCHA (United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs) calcola che in Etiopia ci siano 4,5 milioni di persone in condizioni di necessità, su una popolazione stimata in circa 90 milioni[6]. Secondo FEWSNet, tuttavia, in Etiopia alcune colture, con l’eccezione del sorgo, si stanno riprendendo ma, allo stesso tempo, a causa di condizioni meteorologiche che si prevedono avverse nelle prossime settimane, i miglioramenti attesi per il dicembre 2011 saranno visibili solo dal mese di aprile del prossimo anno. Sempre in base all’OCHA, a causa dell’insicurezza e delle attività militari tra Somalia e Kenia, i profughi somali in Etiopia sono quasi raddoppiati rispetto al mese di settembre: quasi 5.000 persone hanno cercato rifugio in quel paese nelle prime due settimane di ottobre, mentre è drasticamente diminuito il numero dei somali che si reca verso il Kenia (100 nuovi arrivi nella settimana 17-23 ottobre, contro i 3.400 della settimana precedente).

Nella piccola Gibuti (circa 700.000 abitanti), il numero delle persone colpite dagli effetti della siccità è passato nel giro di poche settimane da 146.000 a 210.000. Di queste, 120.000 vivono in aree rurali, 60.000 in aree urbane e 30.000 sono rifugiati.

La mobilitazione internazionale

Subito dopo la proclamazione dello stato di carestia, il 25 luglio a Roma, la FAO ha ospitato un vertice straordinario, su impulso della presidenza francese del G-20, per discutere le misure da adottare per far fronte alla crisi nel Corno d'Africa. Al vertice, cui erano presenti i rappresentanti dei paesi membri della Fao, di altri organismi Onu, di organizzazioni intergovernative, di organizzazioni non governative e di banche di sviluppo regionali, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, ha ribadito la necessità di impiegare  1,6 miliardi di dollari per fronteggiare la carestia in Somalia.

Il vertice ha avuto un follow-up il 18 agosto, sempre presso la Fao, nel quale, oltre ad individuare le misure immediate, sono state formulate diverse raccomandazioni per rimuovere le cause di fondo della vulnerabilità della regione, che si possono così riassumere:

§   proteggere e risanare le risorse delle terre degradate;

§   migliorare la gestione dell'acqua ed espandere l'irrigazione (solo l'1% delle terre della regione del Corno d'Africa è irrigato, contro il 7% dell'Africa e il 38% dell'Asia);

§   migliorare le pratiche di gestione degli animali, delle piante e dei pascoli dei piccoli agricoltori per renderli meno vulnerabili agli imprevisti e alla variabilità del clima;

§   rafforzare i servizi di sanità animale delle comunità;

§   identificare opzioni praticabili e alternative accettabili per i mezzi di sussistenza pastorale.

Nel mese di settembre, il Gruppo della Banca Mondiale ha reso disponibili 1,88 miliardi di dollari nel quadro di un Piano in tre fasi per affrontare la crisi: la fase di risposta rapida che copre i primi sei mesi (288 milioni di dollari), la fase di risanamento economico, che durerà due anni (384 milioni di dollari) e la fase di resilienza per un periodo successivo più lungo, per riorganizzare le strutture produttive e sociali al fine di prevenire analoghe crisi. Anche la Banca Mondiale segnala le difficoltà dell’attuazione delle operazioni di assistenza nelle zone maggiormente colpite della Somalia, a causa dell’instabilità politica.

Il 24 settembre, a margine della 66a Assemblea generale dell’Onu, si è svolto un mini-summit, al quale hanno preso parte i leader di oltre 60 paesi per fare il punto sulla situazione nel Corno d’Africa. Il mini-summit si è concluso con un appello ai donatori per un ulteriore sforzo al fine di raggiungere la cifra di 2,4 miliardi di dollari ritenuta necessaria per far fronte alla crisi. L’OCHA informa, in un rapporto del 21 ottobre, che tale importo è stato finanziato per il 75%.

L’intervento dell’Italia

A seguito dell'emergenza siccità, la Cooperazione italiana allo sviluppo ha già  erogato 11 milioni di euro, mentre sono 9 milioni di euro i fondi in programmazione. La maggior parte degli aiuti sono destinati alla Somalia. Le somme messe a disposizione finanziano progetti eseguiti da agenzie dell’ONU (UNHCR, FAO, OCHA) o dalla Croce Rossa, oppure vengono gestiti direttamente, con il concorso di ONG idonee.

Il tema è stato dibattuto anche dal Parlamento. Dapprima, in occasione dell’esame del decreto-legge 12 luglio 2011, n. 107[7], recante proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione In particolare, il 2 agosto è stato accolto dal Governo un ordine del giorno, presentato dall’on. Franco Narducci, impegna il Governo ad organizzare, non appena le condizioni lo renderanno possibile, una conferenza regionale della società civile dei paesi del Corno d'Africa, in collaborazione con la rete delle organizzazioni non governative italiane operanti nei paesi dell'area, al fine di individuare iniziative dal basso a rafforzamento dei processi di pace.

L'Assemblea di Montecitorio, nelle sedute del 6 e 7 settembre 2011, ha inoltre discusso e votato mozioni sulla situazione umanitaria nel Corno d'Africa, giungendo all'approvazione di un documento unitario, d’iniziativa degli onn. Renato Farina, Evangelisti, Binetti, Di Biagio, Mosella, Tempestini, Dozzo, Razzi e Commercio, mentre la Commissione Affari esteri già il 27 luglio 2011 aveva approvato una risoluzione, d’iniziativa dell’on. Renato Farina ed altri, sullo stesso argomento.

Il documento impegna il Governo, anche attraverso la cooperazione allo sviluppo, a mettere a disposizione delle organizzazioni internazionali le risorse necessarie per fronteggiare l'emergenza, incrementandone l'ammontare. Inoltre il Governo dovrà agire, coinvolgendo l'Unione europea, per assicurare alle popolazioni del Corno d'Africa stabilità statuale e democratica, nonché dare il proprio contributo alla grande campagna di informazione in atto per sensibilizzare sull'argomento della crisi umanitaria nel Corno d'Africa l'opinione pubblica italiana. Con riferimento ai milioni di bambini coinvolti drammaticamente nell'emergenza umanitaria, il Governo viene infine impegnato ad adottare iniziative normative che semplifichino il sistema di adozioni internazionali.

Alle sedute in Aula e in Commissione è intervenuto per conto del Governo il sottosegretario agli Affari esteri senatore Alfredo Mantica, che ha svolto un’ampia serie di considerazioni sulla situazione e sulle prospettive di medio termine della regione, ricordandone i legami storici con l'Italia. Mantica ha menzionato una serie di progetti a carattere umanitario che la cooperazione italiana porta avanti nella regione, privilegiando soprattutto gli aspetti della sicurezza alimentare, la sanità, l'accesso all'acqua, l'istruzione e il sostegno ai profughi e agli sfollati. Oltre alla cooperazione italiana possono esercitare un ruolo importante anche altri attori non governativi,  e il sen. Mantica ha citato in particolare l'Agenzia italiana per la risposta alle emergenze (AGIRE) che, raccogliendo diverse organizzazioni non governative, è in grado di accrescere la sensibilità sulla questione e convogliare così ulteriori fondi per far fronte all'emergenza umanitaria.

È stato inoltre ricordato come il ministro Frattini abbia lanciato un appello urgente alla Comunità internazionale per l'apertura di corridoi umanitari verso le popolazioni bisognose, non facili da assistere proprio per la contemporanea presenza sul terreno di vari conflitti tra fazioni contrapposte. Per quanto riguarda l'impegno della Commissione europea, il sen. Mantica ha ricordato come dall'inizio della crisi alimentare nel Corno d'Africa l’Unione europea, che già in precedenza aveva stanziato 70 milioni di euro per aiuti umanitari, ha provveduto a impegnare una somma che sfiora i 90 milioni di euro per il 2011.

Nel suo intervento del 6 settembre in Assemblea, il sottosegretario Mantica, oltre a porre nuovamente l’accento sull’instabilità della situazione in Somalia, che interferisce con la distribuzione degli aiuti, ha lamentato l’inefficienza dell’Onu e delle sue agenzie che ha causato un ritardo nell’invio degli aiuti, in una situazione che di giorno in giorno diventava più grave e più costosa.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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File: es0946inf.doc



[1] La carestia del 1984-85 in Etiopia uccise oltre un milione di persone.

[2]   Il Famine Early Warning Systems Network (FEWS NET) è un’agenzia finanziata da USAID (l’agenzia del Governo statunitense per l’assistenza umanitaria) che collabora con partner internazionali, regionali e nazionali al fine di fornire informazioni tempestive e preallarmi su questioni riguardanti la sicurezza alimentare.

[3]   Aree del Kenya nordo-orientale hanno ricevuto solo il 10% della normale quantità di piogge.

[4] Dati al 21 ottobre.

[5] Quest’ultimo dato è fornito dal Population Movement Tracking curato dall’UNHCR e aggiornato al 14 ottobre 2011.

[6] Fonte: CIA, The World Factbook.

[7] Convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2011, n. 130.