Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari esteri | ||
Titolo: | Missione in Egitto (Il Cairo, 17-18 ottobre 2011) | ||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 288 | ||
Data: | 14/10/2011 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | III-Affari esteri e comunitari | ||
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Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
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Documentazione e ricerche |
Missione in Egitto |
(Il Cairo, 17-18
ottobre 2011) |
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n. 288 |
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14 ottobre 2011 |
Servizio responsabile: |
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Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici: |
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File: es0928.doc |
INDICE
Egitto: scheda
politico-parlamentare
I più recenti sviluppi
della situazione politica in Egitto
I rapporti bilaterali
italo-egiziani (a cura del Ministero
degli Affari esteri)
Le relazioni
parlamentari Italia-Egitto (a cura del
servizio Rapporti Internazionali)
Documentazione
Scheda-Paese (a cura del Ministero degli Affari esteri)
Pubblicistica
§
Al-Azhar, Dichiarazione
di Al-Azhar e di un’élit di intellettuali sul futuro dell’Egitto, in:
www.oasiscenter.eu, 19 giugno 2011
§
M. Campanini, Al Cairo il pluralismo si fa rischioso, in: ISPI Commentary, 19
luglio 2011
§ S. Khalifa Isaac, Six Months After the Egyptian Revolution, in:
ISPI Analysis, luglio 2011
§
M. Brignone, Il
manifesto di Al-Azhar per un nuovo Stato in Egitto, un testo da monitorare, in:
www.oasiscenter.eu, settembre 2011
§
G.
Dentice, Egitto e Israele: il
fattore energetico, in: www.aspeninstitute.it, 21 settembre 2011
§
E. Dacrema, Egitto:
Perché il Movimento dei Lavoratori ha successo e i politici tremano?, in:
www.equilibri.net, 3 ottobre 2011
§ M. Ottaway, The Emerging Political Spectrum in Egypt, in:
www.carnegieendowment.org, 10 ottobre 2011
Il quadro istituzionale
A seguito delle dimissioni del presidente
Mubarak, il Consiglio supremo delle
forze armate ha assunto la guida del paese, sospeso la Costituzione,
sciolto il Parlamento ed avviato un processo di transizione costituzionale.
Nell’ambito di tale processo, il Consiglio ha affidato ad una Commissione
presieduta dal giudice del Consiglio di Stato in pensione Tareq El Besri, il
compito di redarre alcuni emendamenti
alla costituzione egiziana. La Commissione ha concluso i suoi lavori il 26
febbraio presentando gli emendamenti proposti alla Costituzione, che sono stati
approvati con referendum il 19 marzo.
Il 6
ottobre è stato annunciato un accordo tra il Consiglio supremo delle forze
armate e tredici partiti politici che prevede le elezioni dell’Assemblea del
popolo per il 24 novembre 2011 e quelle del Consiglio della Shura per il
gennaio 2012. In base agli emendamenti approvati alla Costituzione (cfr. infra box), le due Assemblee eleggeranno
in una sessione congiunta i membri dell’Assemblea incaricata di formulare una
nuova Costituzione.
Di seguito verranno fornite informazioni di sintesi sul quadro
istituzionale egiziano precedente alle dimissioni di Mubarak, mentre le modifiche
alla Costituzione verranno illustrate in un apposito box.
Nell’assetto costituzionale al momento
ancora vigente, ancorché la costituzione sia stata sospesa dal Consiglio
supremo delle forze armate lo scorso 13 febbraio, il Presidente della
Repubblica è eletto a suffragio universale diretto ed è rieleggibile per un
numero indefinito di mandati: fino al 2005 gli elettori erano chiamati a
confermare con referendum il candidato designato dall’Assemblea del Popolo,
mentre dal 2005 è stata introdotta la competizione tra più candidati nelle
elezioni presidenziali.
In base alla riforme del 2005 e del 2007, le candidature alla carica di
presidente dovevano però essere approvate da un partito autorizzato che avesse
almeno il 3 per cento dei seggi in entrambe le Camere, ovvero sostenute da 250
parlamentari o componenti degli organi elettivi locali; inoltre, in via transitoria
per dieci anni potevano presentare candidati anche i partiti che avessero
almeno un eletto in una delle due Camere (sulla regolazione, e le restrizioni,
della vita dei partiti in Egitto cfr. infra
in questo paragrafo).
Il Presidente nomina e revoca il Primo Ministro
ed i Ministri. I singoli Ministri e, a seguito di una riforma costituzionale
del 2007, anche il primo ministro possono essere sfiduciati dall’Assemblea del
popolo.
Il Parlamento è bicamerale. A seguito della
riforma del 2009, l’Assemblea del Popolo,
risultava composta da 518 deputati;
10 componenti sono nominati dal presidente; i rimanenti deputati sono eletti a
suffragio universale diretto ogni 5 anni, con la riforma del 2009 il numero dei deputati è stato
elevato (dai precedenti 454) per consentire l’elezione di almeno 64 donne in
speciali collegi. Il sistema elettorale risultava complesso e fondato su
collegi in cui vengono eletti due deputati, con sistema maggioritario a doppio
turno (per essere eletti al primo turno è necessario che due candidati
ottengano la maggioranza assoluta dei voti) e con un eventuale terzo turno nel
caso tra i due candidati che hanno ottenuto più voti non vi sia un “lavoratore o un contadino” (retaggio del
panarabismo socialista nasseriano).
L’altra Camera, il Consiglio della Shura, che ha funzioni consultive, risultava
composta di 176 membri, 88 nominati dal presidente ed i rimanenti eletti con un
sistema uninominale maggioritario a doppio turno; i componenti rimangono in
carica sei anni, la componente elettiva è rinnovata per metà ogni tre anni.
L’assetto istituzionale egiziano è stato inoltre fin qui pesantemente condizionato
dalla costante proroga (l’ultima nel giugno 2010) dello stato di emergenza
proclamato al momento dell’omicidio del predecessore di Mubarak, Sadat nel
1981. Lo stato di emergenza non è stato
fin qui revocato dal Consiglio supremo delle forze armate.
Le modifiche alla Costituzione e la nuova legge
elettorale
La
Commissione composta da Tareq El Besri ha proposto emendamenti a diversi
articoli della Costituzione:
Art. 75: tra i
requisiti di eleggibilità del presidente viene inserito quello di non avere
doppia cittadinanza e di non avere un coniuge non egiziano. La modifica ha
suscitato perplessità in alcuni osservatori in quanto escluderebbe dalla
partecipazione alle elezioni presidenziali personalità significative come Ahmed
Zewail, premio nobel per la chimica naturalizzato statunitense e rientrato
dagli USA per partecipare alle proteste anti-Mubarak, e forse anche Mohamed El
Baradei, la cui moglie avrebbe una cittadinanza non egiziana
Art. 76: si propone
che per presentare la candidatura alle elezioni presidenziali risultino
necessari o il sostegno da parte di trenta parlamentari o la sottoscrizione da
parte di trentamila elettori (in almeno 15 province, ed in ciascuna provincia
devono essere raccolte almeno 1.000 firme) o, infine, la designazione da parte
di un partito che abbia almeno un parlamentare (per i requisiti attuali cfr. supra).
Art. 77: si propone
di ridurre il mandato presidenziale da sei anni a quattro anni e di porre un
limite di due mandati consecutivi
Art. 88: si propone
di affidare ad un comitato indipendente composto da magistrati e non più ad
un’autorità “indipendente” (che in realtà risultava però controllata dal
partito NPD di Mubarak) definita per legge la supervisione delle elezioni e dei
referendum
Art. 93: viene
affidata alla Corte costituzionale e non più al Parlamento il compito di
verificare i titoli di ammissione e le cause di ineleggibilità e
incompatibilità dei membri del Parlamento
Art. 139: si propone
l’introduzione obbligatoria della figura del vice-presidente, che dovrebbe
essere nominato dal presidente entro 60 giorni dalla sua elezione
Art. 148: si propone
che la dichiarazione di stato di emergenza debba essere sottoposta al
Parlamento entro una settimana e non possa essere prorogata oltre i sei mesi,
salvo il caso in cui la proroga sia approvata da un referendum popolare
Art. 179: sopprime
la previsione, introdotta nel 2007, che consentiva deroghe alle disposizioni in
materia di protezione dei diritti umani in funzione anti-terrorismo
Art. 189: si propone
che la richiesta di una nuova Costituzione possa essere presentata dal
presidente con l’appoggio del governo ovvero dalla maggioranza dei membri di
entrambe le Camere. In tal caso le Camere procederanno all’elezione di
un’Assemblea costituente di 100 membri, con il compito di redigere una nuova
costituzione entro sei mesi e di sottoporla ad un referendum popolare.
Merita rilevare come, se le modifiche
costituzionali proposte incidono significativamente sui limiti di durata del
mandato presidenziale e sulla disciplina dello stato di emergenza, non viene
soppresso il divieto di costituzione di partiti su base religiosa di cui
all’articolo 5 della costituzione.
Con
riferimento alla legge elettorale,
il Consiglio supremo delle forze armate ha approvato alcuni emendamenti alle
leggi elettorali vigenti volti a:
-
individuare il numero dei componenti elettivi dell’Assemblea del popolo in 498 e
del Consiglio della Shura in 327
-
prevedere per entrambe le Camere un sistema elettorale per due terzi proporzionale sulla base di liste di partito e per un terzo maggioratorio a turno unico
sulla base di collegi uninominali;
-
prevedere che metà dei componenti dell’Assemblea
del popolo debbano essere lavoratori
o contadini e che ciascuna lista debba includere almeno una candidatura femminile
La nuova
legge elettorale è stata oggetto di forti
contestazioni da parte di tutti i principali partiti egiziani. In
particolare, viene ritenuta troppo alta la quota dei seggi assegnati con
sistema uninominale maggioritario a turno unico, formula elettorale che
potrebbe avvantaggiare candidati formalmente indipendenti ma in realtà
espressione del partito nazionale democratico e del precedente regime di
Mubarak. Sul punto sono in corso
trattative tra i rappresentanti dei partiti politici e il Consiglio supremo
delle Forze armate.
Con riferimento alle condizioni di esercizio
delle libertà politiche e civili, “Freedom
House” classifica l’Egitto come “Stato
non libero”, non in possesso dello status di “democrazia elettorale”,
mentre il Democracy Index 2010 dell’ Economist
Intelligence Unit lo definisce come “regime autoritario” (cfr. infra
“Indicatori internazionali sul paese”).
La Costituzione egiziana riconosce il
multipartitismo, così come i diritti civili e politici. Tuttavia l’accesso alla competizione politica risulta limitato in
particolare da restrizioni legislative alla formazione dei partiti politici
(per la costituzione di nuovi partiti è necessaria un’autorizzazione; per
dettagli cfr. infra), alla libertà di associazione (è proibita la costituzione
di associazioni che minacciano l’unità nazionale o violano la morale pubblica;
gli organi dirigenti delle associazioni devono essere approvati dal ministro
degli affari sociali, che può sciogliere le associazioni, senza procedimento
giurisdizionale), allo svolgimento di manifestazioni pubbliche (anch’esse
devono essere autorizzate).
I
mezzi di comunicazione di massa sono sotto controllo statale,
mentre la stampa indipendente appare sottoposta a significative pressioni. Inoltre,
lo stato di emergenza, tra le altre cose, attribuisce tutti i processi
attinenti alla “sicurezza nazionale” a corti speciali controllate
dall’esecutivo e prevede l’arresto per comportamenti quali le offese al
Presidente, il blocco del traffico, la distribuzione di volantini.
In questo quadro, nel 2005 sono state
inoltre introdotte alcune modifiche alla legge sui partiti politici: se
precedentemente era necessaria un’esplicita autorizzazione da parte del
Comitato per i partiti politici, organo composto in maggioranza da personalità nominate
dal presidente e presieduto dal presidente del Consiglio della Shura, anch’egli
tradizionalmente appartenente all’NDP, nel 2005 è stata introdotta una forma di
silenzio-assenso per cui il partito si intende autorizzato se entro 90 giorni
il Comitato non si esprime.
Permane
tuttavia il divieto di costituzione di partiti su base religiosa, sessuale o
etnica. In questo modo, anche successivamente alla
riforma del 2005, è stato mantenuto il divieto di riconoscimento di una delle
più significative forze di opposizione, la fratellanza musulmana, le cui
attività sono comunque di fatto consentite e che presenta propri candidati come
indipendenti alle elezioni.
Nel corso della transizione, molto dibattuta
risulta la questione dei rapporti tra religione
e politica. Al riguardo, merita segnalare il manifesto dell’Università islamica di Al Azhar, centro principale
per la definizione della giurisprudenza islamica dell’Islam sunnita reso noto
lo scorso 19 giugno.
Nel manifesto si sostiene “l’istituzione di uno Stato costituzionale
democracratico” e “l’adozione di un
sistema democratico basato sul suffragio universale diretto, che rappresenta la
formula moderna per realizzare il principio islamico della consultazione (shura) islamica e garantisce il
pluralismo, l’alternanza pacifica al governo”. Al tempo stesso si pone come
condizione alla libera gestione da parte del popolo della società il fatto che
“i principi generali della sharia rimangano la fonte essenziale della
legislazione e che i seguaci delle altre religioni monoteiste possano ricorrere
alle loro leggi religiose per quanto concerne le questioni legate allo statuto
personale”. Insieme però si ribadisce il “ruolo
guida di Al Azhar nella definizione di un retto pensiero islamico mediano […]
la sua importanza […] per illuminare la natura del rapporto tra lo Stato e la religione e chiarire le
basi di una corretta politica ispirata ai principi della Sharia che sia
radicata […] sulla dimensione giurisprudenziale […] secondo i principi della
comunità che coniuga ragione e tradizione”. Dall’Università di Al Azhar è
giunta inoltre la richiesta del ritorno all’elezione interna della guida, lo Sheick di Al Azhar, la cui nomina è
attualmente invece affidata al governo.
Principali partiti e movimenti della società
civile egiziana in vista delle elezioni parlamentari[1]
Partito nazionale democratico: partito dell’ex
presidente Mubarak, nato nel 1976 quando l’allora presidente Sadat,
nell’introdurre forme limitate di pluralismo politico, divise l’Unione
socialista araba ereditata da Nasser, in tre movimenti che ne rappresentassero
rispettivamente, l’ala sinistra, quella centrista e quella di destra. Il
partito nazionale democratico, espressione dell’”ala centrista” ha esercitato
da allora un ruolo egemone nella vita politica egiziana. Le sue attività sono
state sospese in seguito alle dimissioni di Mubarak.
Fratelli musulmani: movimento islamista fondato nel 1928 da Hasan Al
Banna (e modello per movimenti islamisti di varia natura diffusisi con il tempo
in tutto il Medio Oriente e il Nord Africa), sostiene la “rinascita islamica” e
“l’Islam come base della riforma politica, economica e sociale”. Il suo
rapporto con il regime egiziano instauratosi con la presa del potere da parte
di Nasser nel 1952 ha conosciuto fasi alterne. In base alle dichiarazioni dei
suoi leader, il programma del movimento richiede riforme costituzionali e
politiche “coerenti con i principi islamici”; l’introduzione di limiti alla
rieleggibilità del presidente; l’instaurazione di un autentico sistema parlamentare;
l’abolizione della censura, il “rinvigorimento dei principi morali della
società egiziana” ma anche una politica di intesa con la minoranza cristiana copta. In politica estera il movimento si
contrappone all’influenza anglo-americana nella regione e all’”occupazione”
israeliana dei Territori palestinesi e sostiene la cooperazione politica e
l’integrazione economica dei paesi arabi e anche di tutti i paesi islamici.
Guida generale del
movimento è, dal gennaio 2010, Mohammed
Badie, giudicato conservatore e non riformista, e insieme distante dall’ala
più “politica” del movimento e propenso a dare la priorità alla dimensione
sociale. Successivamente alle dimissioni di Mubarak è stato costituito un
partito vicino alla Fratellanza musulmana
Libertà e giustizia, emanazione
dell’attuale dirigenza conservatrice e affidato alla guida di Mohammed Morsy, che si aggiunge al movimento
più “centrista” Al Wasat già
emerso dalla Fratellanza qualche anno fa; la leadership della Fratellanza di
Badie appare poi contestata, su posizioni più riformatrici da Abdel Futouh. Insieme, su posizioni più
estremiste sono sorti numerosi partiti espressione di movimenti islamisti salafiti come il partito Nour
Il New
Wafd Party è stato costituito nel 1978, nel momento in cui il presidente
Sadat decise l’introduzione di un limitato pluralismo politico; il partito
recepiva l’eredità liberale e nazionalista del partito Wafd che aveva dominato
la vita politica egiziana ai tempi della
monarchia precedentemente alla presa di potere di Nasser nel 1952. Dal maggio 2010 leader del partito è Sayyid-al-Badawi, proprietario della Hayat Network e della Sigma Pharmaceuticals. Il movimento è
supportato dalle élite economiche e dalla comunità Coopta. Punti qualificanti
del suo programma sono: introduzione di forme di decentramento a favore dei
governi locali; introduzione di limiti ai mandati presidenziali; limitazioni
dello stato di emergenza a situazioni di guerra o catastrofe naturale;
abolizione delle limitazioni alla formazione dei partiti politici; riforma del
sistema scolastico; rafforzamento del settore privato e della libera
concorrenza.
Il Partito del Domani (al-Ghad’s Moussa) è
stato fondato nel 2004 da Ayman Nour,
un ex deputato del New Wafd, principale sfidante di Mubarak alle elezioni
presidenziali del 2005 (arrestato dopo le elezioni per presunte irregolarità è
stato liberato nel 2009; dall’agosto 2010 è di nuovo alla guida del partito);
Punti qualificanti del programma del partito sono: limiti temporali per il
mandato presidenziale, rimozione delle restrizioni sui media; promozione delle
liberalizzazioni e la libera concorrenza.
Il Tagammu, come l’NDP di Mubarak, è nato
dalla divisione dell’Unione Socialista Araba nel 1976, ereditandone la
componente maggiormente di sinistra. Attualmente il partito è guidato da Mohammed Rifat al-Saeed. Il partito
sostiene: una riforma costituzionale; l’indipendenza del potere giudiziario;
l’abolizione dello stato di emergenza; mantenimento di un forte settore
pubblico.
Il Democratic
Peace Party è stato costituito il 4 luglio 2005. Il presidente è Ahmed al-Fadali. Il programma politico
prevede: rispetto della Costituzione e dello Stato di diritto; lotta alla
corruzione; sussidi e crediti per i disoccupati; riforma scolastica.
Il Social
Justice Party è stato costituito nel 1993. Anche se il partito è stato
sospeso dall’ Alta Commissione per le elezioni, un suo membro ha
corso per le presidenziali nel 2005, e membri del partito si sono candidati
alle ultime elezioni parlamentari. Sul piano politico ciò che distingue il
partito è la volontà di favorire la classe contadina e il varo di programmi
sociali.
Il Democratic
Generation Party è nato nel febbraio del 2002. Nagi al-Shihaby, leader del movimento è noto per le sue posizioni
antiamericane. Il partito si batte per una riforma del settore agricolo, per un
programma di case popolari da destinare alle fasce sociali più deboli e per una
riforma scolastica.
Movimento Kifaya: movimento sorto dalla società civile egiziana nel
novembre 2004 allo scopo di aggregare le diverse opposizioni a Mubarak (in
questo quadro ha però avuto scarsi contatti con i fratelli musulmani); si è
caratterizzato fin da subito per un uso innovativo delle moderne tecnologie
come quelle di Internet e dei social network. Il suo programma richiede la fine
dello stato di emergenza; il rafforzamento dello stato di diritto;
l’introduzione del limite di due mandati presidenziali; la separazione dei
poteri. Ha inizialmente sostenuto il movimento di El Baradei, per poi esprimere
dubbi sulla sua leadership. Coordinatore di Kifaya è Abdel Kalim Qandil.
Movimento 6 aprile gruppo informale nato nel 2008 da una petizione su
Facebook di solidarietà con una protesta sindacale di lavoratori della città di
Al-Mahalla Al-Kubra. Nonostante la repressione delle autorità, ha introdotto
forme nuove di protesta, diffuse attraverso la rete, come quella dell’invito a
vestirsi di nero, a rimanere nelle proprie case o a boicottare determinati
prodotti. Nel 2010 ha espresso il proprio sostegno all’associazione nazionale
per il cambiamento. Tra i principali animatori vi è il blogger Mohammed Adel Amr Ali. E’ stato il
movimento 6 aprile a convocare la manifestazione di protesta del 25 gennaio.
Nel corso della protesta è emerso come leader
anche il blogger e manager di google Wael Ghonim. Il movimento, dopo le dimissioni di Mubarak, ha
costituito un partito, il Fronte
democratico
L’Associazione nazionale per il cambiamento è stata creata nel febbraio 2010 da Mohammed El Baradei per aggregare le
forze di opposizione intorno ad un programma di riforme politiche. Il movimento
ha avuto il sostegno iniziale da molte forze, inclusi i fratelli musulmani
(mentre non hanno partecipato alla sua costituzione il partito New Wafd e il
Tagammu, forse sospettosi proprio per la presenza dei fratelli musulmani). Il
programma richiede, tra le altre cose, la fine dello stato di emergenza, il
monitoraggio di autorità giurisdizionali indipendenti e di organizzazioni anche
internazionali della società civile sul processo elettorale; pari accesso ai
media per tutti i candidati; garantire parità di accesso alle candidature alle
elezioni presidenziali secondo quanto previsto dal Patto internazionale per i
diritti civili e politici; fissare un limite di due mandati presidenziali.
Dopo le dimissioni
di Mubarak è stata annunciata la costituzione del partito dei Liberi egiziani, fondato
dall’imprenditore del settore delle telecomunicazioni (proprietario di Wind) Naguib Sawiris (esponente, tra l’altro,
della minoranza copta)
In vista delle
elezioni si stanno formando alcune coalizioni
tra i partiti egiziani. In particolare si segnalano:
-
l’Alleanza
democratica composta, tra gli altri, dal partito Libertà e giustizia, emanazione della dirigenza dei Fratelli
musulmani, e il partito laico e liberale del Wafd. Nel mese di ottobre i due partiti hanno però deciso di
presentare liste separate per concorrere ai seggi assegnati con il sistema
proporzionalei
-
il blocco
egiziano rappresenta un’aggregazione di movimenti laici liberali,
democratici e socialisti come il partito dei liberi egiziani e l’Associazione
nazionale per il cambiamento; il Fronte democratico
-
la coalizione Terza
via costituita dal partito Al Wasat e
da altri movimenti che indicano come modello il partito islamista moderato
Giustizia e sviluppo turco
A seguito delle dimissioni, l’11 febbraio
2011, del Presidente della Repubblica Hosni
Mubarak (n. 1928), al potere dall’assassinio del suo predecessore Anwar
al-Sadat nel 1981 e rieletto nel 2005 per il suo quinto mandato, la direzione
del paese è stata affidata al Consiglio supremo delle forze armate. In questo
contesto, il consiglio supremo delle forze armate
ha deciso, il 13 febbraio, di affidare i compiti di rappresentanza esterna del
paese, e quindi le funzioni di Capo dello Stato, al suo Presidente, il ministro
della difesa Mohamed Hussein Tantawi (n.
1935).
Maresciallo di campo,
Tantawi ha combattuto in tre guerre contro Israele: nel 1956, nella guerra dei
sei giorni del 1967 e nella guerra dello Yom Kippur del 1973. E’ ministro della
difesa e della produzione militare dal 1991. Nel nuovo governo creato da
Mubarak il 29 gennaio Tantawi era divenuto anche vice-primo ministro.
Tra gli altri componenti del Consiglio
supremo delle forze armate si segnalano il generale Sami Hafez Enan, capo di stato maggiore delle forze armate; il vice
ammiraglio Mohab Mamish, comandante
in capo della marina; il maresciallo dell’aria Reda Mahmoud Hafez Mohamed, comandante dell’aviazione e il generale
Abd El Aziz Seif-Eldeen, comandante
della difesa aerea.
Nel mese
di luglio 2011 la situazione in Egitto si è sviluppata intorno alla ormai
abituale dialettica tra le autorità militari provvisorie di governo e il
movimento di protesta, che per alcuni giorni ha avuto come epicentro Suez: le
autorità responsabili hanno dovuto assicurare che nessuna manifestazione potrà
mettere a rischio la sicurezza della navigazione nel Canale. Pure il rimpasto di governo finalmente attuato
il 21 luglio, con la sostituzione della metà dei ministri, è stato attaccato
dal movimento giovanile di Piazza Tahrir, desideroso di un ancor maggiore
ricambio della classe dirigente, che porti alla fine completa di ogni funzione
politica in capo a elementi compromessi con il passato regime. Il 29 luglio la
contestazione di Piazza Tahrir è stata dominata per la prima volta dagli
islamisti, dopo la rottura dell'unità che aveva portato a convocare una grande
manifestazione, e il conseguente ritiro degli altri movimenti politici.
La prima
metà di agosto è stata caratterizzata dall'apertura del processo contro Mubarak, i due figli Alaa e Gamal,
l'ex ministro dell'interno el Adly e sei dei suoi collaboratori, tutti presenti
in aula a partire dal 3 agosto -
unico contumace l'uomo d'affari Hussein Salem, che si trova in Spagna. Nella
prima udienza l'ex rais, comparso alla sbarra in barella, ha rigettato le accuse di
aver fatto sparare sui manifestanti nei primi giorni della sollevazione
popolare. L'inizio del dibattimento è stato accompagnato al di fuori
dell'aula da continui tafferugli tra sostenitori e avversari di Mubarak, con
particolare virulenza il 15 agosto, quando si è aperta la seconda udienza, che
è stata subito rinviata.
Subito dopo, l’Egitto si è trovato coinvolto
in un’aspra polemica con Israele, dopo che la reazione ebraica agli
attentati del 18 agosto nel Neghev
meridionale provocava l’uccisione di
cinque guardie di frontiera egiziane: già il 19 agosto vi sono state
dimostrazioni di centinaia di persone in piazza Tahrir e nei pressi
dell'ambasciata israeliana al Cairo, che sono giunte a chiedere la chiusura
della rappresentanza diplomatica e l’espulsione dell'ambasciatore. Anche alcuni
probabili candidati alle prossime elezioni presidenziali egiziane, tra i quali
el Baradei e Amr Mussa, si sono espressi con asprezza nei confronti di Israele.
Di fronte ad alcune voci su un possibile richiamo al Cairo dell'ambasciatore
egiziano in Israele, il Ministro della difesa di Tel Aviv Ehud Barak esprimeva
rammarico per la morte dei militari egiziani, dando la disponibilità di Israele
a un'inchiesta congiunta con l'Egitto per verificare le circostanze
dell'incidente - che peraltro, secondo i vertici militari israeliani, potrebbe
non essere stato causato da fuoco israeliano, quanto piuttosto da ordigni
piazzati da terroristi o da loro raffiche.
Da parte sua l'Egitto è sembrato adoperarsi attivamente per spegnere la tensione
rinnovata tra Israele e la Striscia, tanto che nei giorni immediatamente
successivi l'asprezza dello scontro è stata attenuata. Da rimarcare soprattutto
l'accordo tra Egitto e Israele, che ha visto il consenso di Tel Aviv nel
derogare almeno temporaneamente agli accordi di smilitarizzazione del Sinai
fissati nel 1979, onde permettere il dispiegamento di forze egiziane nella
regione per prevenire attacchi contro Israele. L'impegno egiziano ha altresì
consentito l'importante risultato di far aderire anche la Jihad islamica palestinese alla sospensione degli attacchi contro
Israele, in ciò seguendo quanto già deciso da Hamas.
All'atteggiamento responsabile della
dirigenza egiziana, sembra tuttavia corrispondere un certo scollamento della
popolazione e anche di importanti esponenti politici, come i già citati
candidati alle prossime presidenziali o il neo
Segretario generale della Lega Araba, il diplomatico egiziano Nabil al-Arabi, che più volte sono
sembrati cavalcare gli umori fortemente antisraeliani di larghe fasce della
popolazione egiziana.
Tale schema è sembrato inverarsi il 9 settembre al Cairo, quando, dopo
aver demolito il muro di protezione eretto solo da pochi giorni davanti
all’edificio assai alto, uno dei cui piani è assaltato dall'ambasciata israeliana, decine di
manifestanti, violando l’extraterritorialità della sede diplomatica, si sono
arrampicati fino ai locali della rappresentanza, costringendo l'ambasciatore,
il personale diplomatico ed i loro familiari a una fuga precipitosa, mentre sei
appartenenti alla sicurezza israeliani sono stati messi in salvo solo per
l'intervento di forze speciali egiziane.
Al di fuori dell'ambasciata si sono poi
verificati violenti scontri tra i manifestanti e le forze dell'ordine egiziane
arrivate in massa a fronteggiare la gravissima circostanza. Le autorità del Cairo hanno poi prontamente
reagito il giorno seguente con una riunione straordinaria del Consiglio
supremo delle forze armate e del gabinetto di crisi del governo, respingendo
anzitutto le dimissioni del premier
Sharaf, e assicurando il rispetto di tutti trattati internazionali che
vincolano l'Egitto, inclusi quelli relativi alla protezione delle sedi
diplomatiche. Le autorità hanno inoltre ammonito sulla possibilità di ricorrere
alla normativa sullo stato d'emergenza, tuttora in vigore.
Ciononostante, il clima antisraeliano in Egitto è stato poi rinfocolato dalla visita al Cairo del premier turco Erdogan, a sua volta già da tempo in rotta di
collisione con Tel Aviv, che ha sollevato il tema dell'assoluta necessità del
riconoscimento di uno Stato palestinese. Dopo pochi giorni, non a caso, il
premier egiziano Sharaf, intervistato da una televisione turca, si è spinto a
dichiarare che l'accordo di pace del
1979 con Israele non è più considerato come immutabile dall'Egitto, e
potrebbe essere rinegoziato.
Il 5
settembre era intanto ripreso il processo a Mubarak e agli altri imputati per le violenze contro i
manifestanti nella prima fase della rivoluzione egiziana: si è trattato di
un'udienza fiume, durante la quale sono stati ascoltati quattro ufficiali della
sicurezza centrale, proprio allo scopo di chiarire il ruolo delle autorità di
governo nella repressione violenta. L'udienza è stata accompagnata dai
consueti tafferugli in prossimità del
tribunale, ma le tensioni si sono trasferite anche nell'aula di giustizia,
dalla quale sono stati allontanati esponenti di opposte idee.
All’inizio di ottobre la situazione egiziana ha visto un nuovo grave focolaio di tensione, quando, per protestare contro l'attacco perpetrato ad Assuan da giovani musulmani contro un edificio appartenente alla comunita' copta, accusata di volerlo trasformare in una chiesa senza averne ricevuto l'autorizzazione, appartenenti alla consistente minoranza cristiano-copta del paese hanno inscenato una serie di manifestazioni, dapprima nella stessa località di Assuan, e successivamente nella capitale.
Il 9 ottobre le proteste sono degenerate in gravi scontri, dapprima tra i copti e le forze di sicurezza, e successivamente anche tra copti e musulmani, con un bilancio di 25 morti e oltre trecento feriti. I copti avevano portato la protesta al Cairo per richiedere le dimissioni del governatore di Assuan – secondo il quale, peraltro, la costruenda nuova chiesa cristiana non rispondeva ai requisiti di legge. Sullo sfondo, tuttavia, si agita non solo tra i copti il sospetto di un accordo sotterraneo tra l’elemento militare tuttora alla guida del paese e i Fratelli Musulmani – i soli già in possesso di una ramificata struttura organizzativa in vista delle elezioni legislative del prossimo 28 novembre -, volto a favorire proprio questo gruppo nei confronti delle forze motrici della rivoluzione di piazza Tahrir.
Nell’udienza generale del 12 ottobre lo stesso Pontefice Benedetto XVI ha denunciato il tentativo in Egitto di porre fine alla coesistenza pacifica tra cristiani e musulmani, colpendo una pacifica manifestazione di copti. Dal canto suo il patriarca di Alessandria d’Egitto Naguib ha rilevato come la Dichiarazione prodotta il 19 luglio dalla prestigiosa Università islamica di Al Azhar, ponendo la legge islamica quale principio ispiratore della Costituzione e delle leggi, contraddica i propositi pure ivi espressi di contribuire alla nascita di uno Stato moderno e a carattere democratico.
In ogni modo, il 10 ottobre il governo egiziano guidato da Sharaf ha approvato, in una riunione straordinaria, un pacchetto di misure a favore della minoranza cristiano-copta, tra cui alcune modifiche al codice penale per colpire con pesanti sanzioni detentive e pecuniarie ogni discriminazione religiosa nei luoghi di lavoro e nelle pubbliche attività. L’esecutivo ha inoltre disposto un’inchiesta sugli incidenti del giorno prima, come anche l’avvio di una discussione per la riforma della normativa concernente i luoghi di culto, favorendone intanto la costruzione con un progetto di legge per semplificare le relative procedure.
Nonostante questa pronta reazione, l’11 ottobre il governo è stato attraversato da forti tensioni, con numerose richieste di dimissioni, di fronte alle quali il premier Sharaf si è rimesso alla volontà delle forze armate, che intanto, per mezzo della Procura militare, hanno disposto il fermo di una trentina di persone sospettate di coinvolgimento nei gravi scontri del 9 ottobre.
[1] Fonte:
Carnegie Endowment for International Peace, Carnegie
Guide to Egypt Election, in www.carnegieendowment.org
[2] Il
Presidente della Camera del Messico non ha potuto partecipare a causa degli
impegni connessi con l'avvio della nuova legislatura.
[3] Sono attualmente membri della PAM i seguenti
Paesi: Albania, Algeria, Bosnia Erzegovina, Croazia, Cipro, Egitto, Francia,
Grecia, Israele, Italia, Giordania, Libano, Libia, Malta, Monaco, Montenegro,
Marocco, Palestina, Portogallo, Serbia, Slovenia, Siria, Ex repubblica
iugoslava di Macedonia, Tunisia e Turchia. Membri associati e Organizzazioni
con status di osservatori sono:
Romania, San Marino, l’Unione del Maghreb arabo e l’Assemblea della UEO.