Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: La crisi del sistema siriano ' Schede di lettura, interpretazioni ed analisi
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 265
Data: 02/08/2011
Descrittori:
SIRIA     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari
Nota: Questo dossier contiene materiale protetto dalla legge sul diritto d'autore, pertanto la versione html è parziale. La versione integrale in formato pdf può essere consultata solo dalle postazioni della rete Intranet della Camera dei deputati (ad es. presso la Biblioteca)

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

La crisi del regime siriano

Schede di lettura, interpretazioni ed analisi

 

 

 

 

 

 

n. 265

 

 

 

3 agosto 2011

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri

( 066760-4939 / 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it

 

 

 

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: es0739.doc

 


INDICE

Schede di lettura

Politica interna  3

§      Il quadro storico  3

§      Il partito Ba’ath ed il clan degli Alawiti4

§      Forze di opposizione  6

§      Tentativi di riforme interne  8

Politica estera  12

Cronologia delle proteste e della repressione in Siria  21

Pubblicistica

§      G. S. Frankel, Un nuovo Medioriente, in: Il Mulino, 1/2011  43

§      M. Emiliani, Il terremoto mediorientale, in: Il Mulino, 2/2011  43

§      V. Giannotta, Ankara e la sfida siriana, in: www.aspeninstitute.it, 28 aprile 2011  43

§      S. Torelli, La crisi in Siria: ripercussioni regionali, rischi interni e posizioni internazionali, in: ISPI Commentary, 3 maggio 2011  43

§      E. Dacrema, Siria: il ‘punto di non ritorno’, in: www.equilibri.net, 4 maggio 2011  43

§      B. Gwertzman, Behind Syria’s Crackdown, in: www.cfr.org, 10 maggio 2011  43

§      E. Abrams, 7 Theories to Explain Failed U.S. Policy in Syria, in: www.cfr.org, 11 maggio 2011  43

§      I. Bilancino, Turchia-Siria: la situazione in Siria rischia di rovinare l’equilibrio, in: www.equilibri.net, 13 maggio 2011  43

§      G. Galeno, Siria, assedio al regime, in: www.affarinternazionali.it, 25 maggio 2011  43

§      D. Jerome, Responding to Syria’s Aggression, in: www.cfr.org, 13 giugno 2011  43

§      B. Gwertzman, The Degrading of Syria’s Regime, in: www.cfr.org, 14 giugno 2011  43

§      A. Monjed, R. Ziadeh, N. Ghadbian e N. Shehadi, Envisioning Syria’s Political Future – Obstacles and Options, in: www.chathamhouse.org.uk, 14 giugno 2011  43

§      J. M. Sharp, Syria: Issues for the 112th Congress and Background on U.S. Sanctions, in: www.crs.gov, 21 giugno 2011  43

§      P. Sasnal, Unrest in Syria: Political  Forces and Scenarios, in: PISM Bulletin n. 67, 22 giugno 2011  43

§      D. Jerome, Syria’s Challenge to US and EU, in: www.cfr.org, 27 giugno 2011  43

§      D. Jerome, Syrian Regime’s Unsteady Hand, in: www.cfr.org, 6 luglio 2011  43

§      International Crisis Group, Popular Protest in North Africa and the Middle East (VI): The Syrian Peoples’s Slow Motion Revolution, in: Middle East/North Africa Report n. 108, 6 luglio 2011  43

§      International Crisis Group, Popular Protest in North Africa and the Middle East (VII): The Syrian Regime’s Slow-motion suicide, in: Middle East/North Africa Report n. 109, 13 luglio 2011  43

§      G. Acconcia, La doppia verità siriana: tra primavere arabe  e propaganda di regime, in: ISPI Commentary, 14 luglio 2011  43

§      L. Gambardella, Siria: il sospetto piano nucleare di Damasco e le sue implicazioni politico-strategiche nella regione mediorientale, in: www.equilibri.net, 18 luglio 2011  43

§      S. Lasensky e L. Woocher, Mass Atrocities in Syria: the International Response, in: www.usip.org, 25 luglio 2011  44

§      C. Finelli, Siria-Libano: il sistema di equilibri mediorientali alla prova della primavera araba, in: www.equilibri.net, 29 luglio 2011  44

§      S. Shaikh, In Syria, Assad Must Exit the Stage, in: www.brookings.edu, 1° agosto 2011  44

§      O. Taspinar, Zero Problems With This Syria?, in: www.brookings.edu, 1°agosto 2011  44

§      S. R. Grand, Mr. Assad: Tear Down You Police State, in: www.brookings.edu, 1° agosto 2011  44

 


SIWEB

Schede di lettura

 


 

Politica interna

 

Il quadro storico

In base all’art. 1 della Costituzione del 1973, la Repubblica araba di Siria è uno “Stato democratico, popolare, socialista e sovrano”.

La Siria, come la maggior parte degli stati mediorientali, è espressione territoriale della spartizione politica dell’Impero ottomano tra Francia e Inghilterra, alla fine della Prima Guerra Mondiale.

Nel 1920, dopo la Conferenza di Sanremo, si decise di creare un “Grande Libano” e di dividere la Siria in tre regioni autonome, dove le differenti comunità religiose (musulmani sunniti, sciiti e alawiti, oltre a cristiani, drusi ed ebrei) e i gruppi etnici (arabi, curdi, armeni e assiri) potessero vivere senza entrare in contatto reciproco. In tali regioni, dove l’entità Stato non è scaturita spontaneamente da un processo evolutivo della società, l’identità nazionale, indebolita da più importanti e radicate realtà sub-nazionali, risulta sovente come un qualcosa di estraneo e di imposto.

Nel 1946, di conseguenza, con la conquista dell’indipendenza, si aprì un periodo di quasi 25 anni fatto di colpi di Stato, faide interne alla classe dirigente e guerre contro Israele. I partiti nazionali si dovettero necessariamente confrontare con il localismo siriano, adottando una struttura decentralizzata che si occupasse primariamente degli interessi locali e secondariamente di quelli nazionali ed internazionali.

In tale clima di agitazione e incertezza istituzionale crebbe l’importanza del partito Ba’ath, che riuscì a prendere il potere grazie a un colpo di stato nel 1963, anno in cui entrò in vigore la legge di emergenza, tuttora valida in Siria.

Ufficialmente motivata dalla guerra con Israele e dal palese fallimento delle aspirazioni pan-arabiste della Repubblica araba unita, creata nel 1958 con l’Egitto di Nasser, la legge d’emergenza ha permesso una sospensione di fatto della maggior parte delle garanzie costituzionali e un aumento significativo dei poteri del Presidente.

Una volta al governo, il partito Ba’ath siriano si caratterizzò per una realpolitik di matrice socialista-nazionalista, con una subordinazione della religione islamica all’ideologia secolarista. Tuttavia soltanto nel 1969, in seguito ad un secondo colpo di stato portato avanti dalla fazione militare capeggiata dal generale dell’aviazione Hafez Al-Assad (1930-2000), il partito Ba’ath riuscì definitivamente a impadronirsi del potere in Siria. La “volpe di Damasco”, come era chiamato dai media il leader siriano, instaurò un regime di polizia, garantendo comunque al Paese una nuova stabilità e un’inaspettata unità interna.

Oggi la popolazione siriana è stimata in 22.517.000 persone (luglio 2010). Per il 90,3% di origine araba, la rimanente parte (9,7%) è composta da Curdi, Armeni ed altri gruppi etnici. La caratteristica laicità del regime Assad ha garantito una buona tolleranza religiosa in Siria, nonostante la maggioritaria presenza (74% della popolazione) di musulmani sunniti. Sono diverse le confessioni cristiane presenti sul territorio, che riuniscono circa il 10 per cento dei siriani (i greco-ortodossi risultano 700.000, i greco-cattolici 350.000, gli armeno-gregoriani 250.000), mentre è indicata anche la presenza di piccole comunità ebraiche. Rilevante nella storia siriana, anche se non ha mai occupato posizioni consistenti di potere, è anche la minoranza drusa: in questo caso si tratta di un gruppo religioso dalle origini incerte, risalenti all’XI secolo, che si pone fuori sia dall’Islam sia dal Cristianesimo, pur considerandosi “corpo annesso” alla Umma (comunità) dei fedeli musulmani.

La dottrina drusa, di carattere esoterico, accoglie elementi dell’islamismo, del giudaismo, dell’induismo e del cristianesimo, sostenendo la fede in un principio divino, che può svelarsi anche in forma umana, nonché la metempsicosi, vale a dire la trasmigrazione delle anime dopo la morte. Oggetto di numerose persecuzioni nel corso della sua storia, conta oggi circa 700.000 componenti (dal 1043 solo chi è figlio di drusi può essere considerato tale).

 

Il partito Ba’ath ed il clan degli Alawiti

La Costituzione del 1973 riconosce, all’art. 8, un ruolo di guida nella società e nello Stato al partito arabo socialista Ba’ath (termine del Corano che ha significato di “resurrezione” o “rinascita”) a capo del fronte progressista nazionale, composto anche da altri piccoli partiti satelliti.

Il Parlamento monocamerale (Assemblea del popolo) è composto da 250 membri ed è eletto per quattro anni con un sistema elettorale maggioritario plurinominale, basato su quindici circoscrizioni corrispondenti ai distretti amministrativi del paese. Ciascuna lista deve includere almeno due terzi dei candidati appartenenti al fronte progressista nazionale, che ha garantiti così almeno 167 seggi. Fin dal 1973, la complessa creazione di una singola identità nazionale è strettamente legata all’ascesa al potere del clan degli Alawiti, al cui vertice vi sono gli Assad.

Corrispondenti al 12% dei musulmani del Paese, pari a 1,5 milioni circa di individui, gli Alawiti sono un vero e proprio gruppo di potere, detentori della leadership nazionale. La loro dottrina religiosa deriva dagli sciiti imamiti, anche detti duodecimani, ma l’Islam più ortodosso li ha classificati come apostati, con una conseguente discriminazione e repressione. Anche la dottrina alawita, come quella drusa, compie una lettura del Corano di tipo esoterico, credendo in un sistema di incarnazione divina. Questa confessione ha assunto nel tempo un’aura di segretezza, paragonabile ad una setta, ermeticamente chiusa verso l’esterno, e che vieta anche la pubblicazione dei propri testi sacri.

Essi sono divisi in cinque articolazioni, a loro volta organizzate in un sistema tribale, geograficamente localizzato nelle regioni rurali del Nord della Siria. In contrapposizione con la comunità urbanizzata sunnita, gli Alawiti hanno sempre rappresentato la fascia più povera e debole della società siriana. Dopo un’iniziale fase di divisione interna, il continuo conflitto con le altre componenti etniche e religiose siriane, contribuì alla formazione di un’identità comune,  vitale per la propria sopravvivenza. I difficili tentativi d’integrazione politica nazionale delle minoranze siriane, successivi all’indipendenza del ’46, portarono progressivamente gli Alawiti ad acquisire sempre più influenza, grazie a due fattori fondamentali di penetrazione e aggregazione: il partito Ba’ath e l’esercito.

Le dottrine socialista e secolare, caratterizzanti il partito Ba’ath, attirarono fin da principio le minoranze rurali siriane. Queste due ideologie cardini del partito offrivano l’opportunità di liberarsi dallo status di minoranza non riconosciuta dalla maggior parte dei musulmani sunniti, facendo si che gli Alawiti venissero considerati cittadini arabi siriani a tutti gli effetti e avessero l’opportunità di prender parte alle dinamiche politiche, tanto a livello regionale quanto nazionale, liberandosi dalla discriminazione di stampo religioso. Per quanto concerne l’esercito, fu immediatamente visto come un’ottima e sicura fonte di potere per la minoranza. Infatti, gli Alawiti beneficiarono negli anni delle continue purghe che colpivano l’apparato militare ai suoi vertici, in seguito ad ogni colpo di stato fino al 1970, e delle epurazioni che andavano a liberare incarichi di comando sempre più importanti, lasciati liberi dalle lotte intestine tra ufficiali sunniti. Grazie alla gerarchia militare, inoltre, si rafforzarono i legami e rapporti tra gli stessi Alawiti, riducendo così le differenze tribali, sociale e settarie che avevano storicamente diviso il clan.

Tale contesto fornisce elementi esplicativi essenziali del colpo di stato del 1969, che portò alla guida della Repubblica siriana Hafez Al-Assad, determinando la definitiva presa di potere del clan Alawita.  Infine, fu proprio la “volpe di Damasco”, nel 1974, a suggellare la leadership politica della comunità, con il riconoscimento sul piano confessionale di “veri musulmani” da parte del capo spirituale degli sciiti libanesi, l’Imam Musa al-Sadr.

In ultima analisi, bisogna sottolineare la lungimiranza di Hafez nel dare potere politico all’esercito e all’apparato di sicurezza (quelli siriani sono tra i più efficienti servizi di tutto il Medio Oriente) per garantire fiducia e consenso al proprio regime, aumentando ulteriormente la rete di legami tra clan alawita, partito Ba’ath e la stessa famiglia Assad. Proprio questo fitto sistema d’influenze permette oggi agli Assad di mantenere ancora un controllo capillare sulla società siriana, attraverso un dominio che investe i vertici più esclusivi della società nazionale.

Mantenendo tacito e non evidente il proprio status di minoranza al potere, gli Alawiti hanno evitato che questa loro condizione privilegiata potesse essere oggetto di polemica interna, coinvolgendo periodicamente la maggioranza sunnita nei giochi di potere e nella gestione dello stesso, esclusivamente al fine di mantenere controllo politico e ordine sociale sulla popolazione. Tuttavia, nonostante tali attenzioni, la società siriana si è scontrata con il regime alawita, in quanto ha avvertito forte la percezione che la nazione fosse governata da e per la tradizionalmente svantaggiata minoranza: a cominciare dagli Anni Settanta e specialmente negli Anni Ottanta, il malcontento della società sunnita siriana è affiorato drasticamente. Queste faglie di dissenso trovano ragion d’essere, in primo luogo, nella perdita di attrattiva del partito Ba’ath, deviato dalla corruzione politica ed economica, e secondariamente nel continuo accrescimento di potere del clan alawita a spese della classe mercantile e proprietaria terriera di Damasco e Aleppo, tradizionalmente facente capo alla comunità sunnita.

 

Forze di opposizione

In contrapposizione al sistema di potere apparentemente inespugnabile, creato nel corso degli anni dalla minoranza alawita grazie ad una struttura di affiliazione e partenariato, tale da rendere di fatto la Siria un vero e proprio regime, si registra un’attività di opposizione da parte di alcuni partiti “clandestini” differenti tra loro. Infatti, gli unici partiti riconosciuti legalmente in Siria sono quelli appartenenti al Fronte Progressista Nazionale (FPN), i quali non godono di larga autonomia a causa dell’egemonia del Ba’ath, e tra cui si segnalano il Movimento socialista arabo, l’Unione socialista araba e il Partito comunista siriano.

L’articolata composizione di espressioni politiche che caratterizzano l’opposizione siriana può essere riconducibile a tre distinte aree: una laica, una a base etnica e una religiosa.

Della prima, fanno parte quei partiti non riconosciuti dal regime (comunisti, nasseriani, socialisti) confluiti dal 1980 nel Raggruppamento nazionale democratico (RND). Scarsamente attivi, questi svolgono un’azione poco incisiva e molto limitata alle iniziative di opposizione sociale di intellettuali e attivisti, come è accaduto con la “Dichiarazione di Damasco-Beirut” nel 2006, per il riconoscimento della sovranità libanese e il successivo ritiro del contingente di sicurezza siriano dal Paese dei Cedri.

Una seconda area di opposizione al regime degli Assad è quella riconducibile alla minoranza etnica curda presente nel paese, rappresentata dal partito democratico curdo di Siria. La comunità curda risulta essere vittima (a differenza di altre minoranze etniche, ad esempio gli armeni di Siria) di forti pressioni da parte del governo Ba’ath. Con 1,5 milioni di membri, circa il 9% della popolazione siriana complessiva, la compagine curda non ha mai ricevuto un riconoscimento o una forma di coinvolgimento da parte del governo centrale baathista. All’interno di questo movimento si sono create così due frange: una di sostenitori del dialogo con le autorità damascene e una di propugnatori di posizioni più radicali.

Infine, la terza e forse più importante area di opposizione è quella di stampo religioso islamista, rappresentata principalmente dalla Fratellanza musulmana.

Il movimento dei Fratelli Musulmani di Siria fu fondato ad Aleppo nel 1935 per poi radicarsi a Damasco, acquisendo un carattere prevalentemente urbano (contrapposto alla dimensione rurale degli alawiti). Promuovendo un ritorno della società alle fonti dell’Islam e all’insegnamento del Profeta, la Fratellanza basa la propria opposizione su tre direttrici principali: la prima riguarda lo scontro di carattere religioso tra governo centrale alawita e comunità sunnita; la seconda si interessa del conflitto socio-economico nell’interesse della classe media mercantile, la quale costituisce la base popolare della Fratellanza; la terza riguarda ancora l’aspetto economico e, in particolare, il carattere esclusivista e settario dell’accesso alle risorse del Paese, tutto raccolto nelle mani degli Alawiti, con la richiesta di nuove politiche nazionali per diminuire lo strapotere della sola classe dominante.

Dal 1975, a seguito dei cambiamenti socio-economici imposti nel paese da Hafez Al-Assad, in particolar modo quelli introdotti dall’apertura dell’economia nazionale alla privatizzazione, le fino ad allora pacifiche politiche della Fratellanza si convertirono in azione violenta, con attacchi militari mirati contro personalità del regime. La repressione delle proteste da parte delle forze di sicurezza fedeli ad Assad fu violenta e spietata, ed ebbe il suo culmine nella sanguinosa strage di Hama, dove perse la vita un’indefinita quantità di siriani (il numero dei morti si aggirerebbe tra le diecimila e le ventimila unità). Ad oggi, i Fratelli Musulmani non sono ancora riusciti a riprendersi dalle conseguenze delle durissime repressioni subite e, a causa della clandestinità a cui è costretta, la Fratellanza non è dotata di una struttura organizzativa concreta (la leadership è costretta a vivere in esilio e non vi è, all’interno del paese, alcuna possibilità di manovra). Nonostante tutto, la corrente islamista rappresenta il primo e più importante movimento di  opposizione in Siria, in netto antagonismo con il carattere profondamente laico del regime.

Damasco vanta un regime incentrato sul dialogo con i rappresentanti delle comunità religiose locali, non permettendo però a queste ultime di esercitare un’ingerenza eccessiva. Infatti, la Costituzione siriana prevede che il Presidente sia musulmano, senza specificare però a quale confessione debba appartenere. Questo risulta contemporaneamente un gesto di apertura e un compromesso verso il mondo religioso, oltre ad essere una notevole astuzia, che permette alla minoranza alawita di guidare un Paese comunque a maggioranza sunnita.

In ultimo, dopo la morte di Hafez (2000) e l’ascesa al potere del figlio Bashar Al-Assad, osservatori internazionali hanno individuato un’ulteriore fronda interna di dissenso al regime, sviluppatasi proprio a causa del cambio al vertice. La cosiddetta “Vecchia guardia”, reduce del trentennale governo di Hafez Al-Assad, sembrerebbe essere additata da molti come mandataria del complotto anti-pacifista che portò all’assassinio del leader libanese Rafiq Hariri nel 2005 e alle successive risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ONU 1559 (ritiro delle truppe siriane dal Libano) e 1595 (Commissione d’inchiesta Mehlis sull’omicidio Hariri). Questa fazione si comporrebbe di importanti ex-esponenti della dirigenza del regime, allontanati a causa del loro aperto antagonismo contro il nuovo Presidente e ogni riforma liberale.

Nonostante queste forze di opposizione interne, la situazione della politica siriana non sembrerebbe essere incline al mutamento.

Le ultime elezioni presidenziali sono state un plebiscito a favore di Bashar, rieletto per il suo secondo mandato dal referendum tenuto il 27 maggio del 2007, con il 97,6 per cento dei voti. Anche le ultime elezioni politiche per l’Assemblea del popolo, svoltesi il 22 e 23 aprile 2007, hanno confermato il potere indiscusso del Fronte Nazionale Progressista, guidato dal Ba’ath, che ha conquistato 172 dei 250 seggi disponibili. La situazione politica stagnante è riflessa dalle percentuali di affluenza alle urne: solo il 49,54 per cento degli aventi diritto si è recato a votare, testimoniando così la disaffezione delle masse dal processo elettorale e la disillusione sulla politica del regime.

 

Tentativi di riforme interne

Fin dal suo insediamento nel 2000, in seguito alla morte del padre Hafez, il Presidente siriano Bashar Al-Assad (n. 1965) ha sempre sottolineato la sua forte intenzione di portare a compimento grandi riforme politiche ed economiche. Le cronache di quell’anno definivano il secondogenito della famiglia Assad come una figura incolore, dal carattere mite e lontano dalla politica. Laureato in oftalmologia, si stava specializzando a Londra quando venne richiamato 35enne a Damasco per apprendere l’arte politica, in seguito alla morte del fratello maggiore, erede designato, morto in un incidente d’auto. In molti, sia all’interno sia all’esterno della famiglia Assad, tentarono di sminuirlo, giudicandolo inadatto al comando. Per evitare una situazione di confusione e scongiurare il profilarsi di una nuova epoca di colpi di Stato, gli apparati di potere del clan Alawita si videro costretti a legittimare l’ascesa del giovane Bashar, giungendo addirittura a modificare la Costituzione per abbassare l’età presidenziale richiesta da 40 a 35 anni.

Nel suo discorso d’insediamento, pronunciato a Damasco nel 2000, Bashar lasciò trasparire la cauta speranza dell’avvio di un processo di liberalizzazioni politiche ed economiche, caratterizzato dal rilascio di prigionieri politici, dal rientro di dissidenti in esilio e dall’avvio di una discussione pubblica sul futuro del paese. La sequenza incalzante degli accadimenti, fin dal 2001, impedì al nuovo presidente di continuare con una transizione “morbida”, costringendolo ad assumere la leadership di un Paese coinvolto in prima linea in tutte le crisi dell’area mediorientale.

Ad undici anni di distanza, con la conferma avuta nel 2007, le riforme politiche promesse da Bashar Al-Assad restano poche e deboli, ma quelle economiche sono state molte e sostanziali, anche se probabilmente non del tutto sufficienti a mantenere la stabilità sociale che ha garantito il regime fino a oggi.

Bashar è consapevole che la società civile siriana avanza sempre più rivendicazioni e autonomie: tuttavia Damasco ha preferito scorporare le riforme politiche da quelle economiche, in modo tale che questa “doppia velocità” potesse solo minimamente cambiare il regime, per farlo sopravvivere, garantendo nel contempo un benessere sufficiente al Paese.

Nel 2001 il settore bancario, monopolio completamente statale nell’era di Hafez Assad, è stato aperto ai privati, limitando però al 49 per cento la quota riservata a qualsiasi investitore straniero. Le principali banche del Paese restano tuttavia sotto un rigido controllo statale: erano solo cinque le banche straniere operanti in Siria nel 2010. In particolare, si rileva il monopolio che lo Stato ancora detiene sulla Banca Commerciale Siriana e sulla Banca Industriale, costringendo spesso gli imprenditori locali a rivolgersi all’estero. In tema di politica economica il Governo procede su Piani di sviluppo quinquennali.

Con il X Piano di Sviluppo (2006-2010) si è introdotto un graduale abbandono del rigido interventismo statale sulla maggior parte dei settori economici, espandendo i margini della libera iniziativa e stimolando la crescita della concorrenza. I settori maggiormente toccati da questo piano sono stati quello del mercato del lavoro e quello fiscale.

Nel 2007 è stata approvata la legge sugli Investimenti, una vera rivoluzione rispetto alle regole della rigida economia pianificata siriana, che ha introdotto la possibilità per un investitore straniero di fondare una nuova attività anche senza la presenza di un partner siriano.

Uno dei principali obiettivi delle riforme economiche elaborate da Damasco fino ad oggi è quello di far fronte al totale esaurimento delle risorse petrolifere previsto nei prossimi 10-15 anni. Sebbene la Siria non sia mai stata un grande esportatore petrolifero, l’oro nero è stato una delle colonne portanti dell’economia, e per anni la maggiore entrata dell’erario. I fondi ricavati dall’esportazione, infatti, hanno permesso di tenere in piedi un sistema di sussidi per il sostentamento di molte famiglie siriane, rivelatosi un formidabile strumento di coesione sociale per il regime.

Con il crescere dell’economia, la Siria ha visto crescere anche la domanda interna di energia: la produzione di greggio non è stata più indirizzata all’estero, bensì utilizzata per soddisfare il bisogno nazionale. Si è ipotizzato che nel giro di dieci anni la Siria possa addirittura diventare un paese importatore di petrolio, nonostante il governo stia cercando di arginare il problema con un graduale passaggio allo sfruttamento del gas naturale.

Secondo osservatori internazionali, il settore che forse più ha beneficiato dell’apertura del mercato siriano è quello dell’industria meccanica ed elettrica: negli ultimi anni vi è stata una delocalizzazione in Siria da parte di molte aziende straniere, che ha permesso ’importazione di nuove tecnologie e knowhow.

L’economia siriana è incentrata molto sul settore agricolo (22% del PIL), che offre occupazione al 30 per cento della popolazione nazionale. I principali investimenti sono pubblici, ed è intenzione del regime, una volta raggiunta l’autosufficienza alimentare, di sostituire l’esportazione del petrolio con quelle agricole. Tuttavia, negli ultimi tre anni la Siria sta affrontando probabilmente la peggiore siccità della propria storia. In particolare, nella zona nord-orientale del paese le organizzazioni internazionali parlano di un serio problema di desertificazione, che sta spingendo la popolazione locale a migrare verso le città per sfuggire alla carestia. Oltre a quelli economici, dunque, gravi sono anche i problemi sociali, che potrebbero ritardare o mutare i piani governativi.

Infine, il regime alawita continua a considerare un settore strategico a lungo termine quello turistico. Numerosi e rilevanti sono stati gli investimenti pubblici in questi anni per l’adeguamento e il potenziamento delle strutture turistiche, oltre alle attenzioni per l’incremento dei flussi. Dati del 2008 stimavano che il 69% dei turisti proveniva dai vicini paesi arabi, il 20% dai paesi asiatici e africani, il 7% dall’Europa occidentale, il 2% dall’Europa orientale e il 2% dalle Americhe e dall’Australia.

Nonostante si possa affermare che numerosi e importanti siano stati i passi compiuti dal regime nella giusta direzione, l’apertura economica e le riforme hanno inevitabilmente imposto nuove e complesse sfide a Damasco. L’apertura al mercato internazionale ha provocato un aumento dei prezzi in Siria, con il conseguente impoverimento delle famiglie, le quali hanno visto contrarsi duramente il proprio potere d’acquisto. Oggi una fetta consistente della popolazione siriana rischia di ritrovarsi sotto la soglia di povertà. L’aumento dei prezzi nel mercato è dipeso anche dalla ripercussione dell’arrivo massiccio, in seguito alla Seconda Guerra del Golfo del 2003, di rifugiati iracheni spesso molto facoltosi.

Come affermato in precedenza, poi, una larga parte delle famiglie siriane traeva profondo beneficio dai sussidi statali, spina dorsale della politica assistenzialista del regime: attualmente, la fine dei ricavi derivanti dall’esportazione di petrolio ha reso insostenibile la conservazione di tali misure. Il governo di Bashar è alla ricerca di un sistema possibile per salvaguardare perlomeno i sussidi diretti agli strati sociali più poveri. Infine, la congiuntura economica internazionale negativa, nonostante non abbia colpito duramente la Siria, ha comunque contribuito a innalzare la disoccupazione giovanile e ad affliggere il mercato del lavoro.

Alla luce di ciò, rimangono molte incognite per una valutazione delle riforme attuate dal Presidente Bashar Al-Assad. Sicuramente, a prescindere da tutte le sfide che la Siria dovrà affrontare dal punto di vista della liberalizzazione economica (esaurimento delle risorse petrolifere, indipendenza energetica, sistema dei sussidi, disoccupazione), la buona riuscita delle riforme dipenderà, nell’opinione di molti osservatori internazionali, dalla capacità di rinnovamento politico, prima che economico, che il regime alawita saprà dimostrare. A giudicare dalla violenta repressione dei moti che da quasi tre mesi stanno agitando anche la Siria, dopo aver sconvolto l’assetto di vertice di paesi come l’Egitto e la Tunisia, e aver provocato il conflitto libico; non si direbbe che il regime di Damasco si disponga ad un corso di politica riformista, che forse è ormai in ritardo sui tempi.


Politica estera

 

L'arrivo al potere di Bashar al Assad nel nuovo Millennio, così come aveva suscitato attese e aperture sul piano interno, alimentate dallo stesso nuovo presidente, aveva segnato sul piano della politica estera siriana un periodo di apparente ammorbidimento e di moderato avvicinamento ai paesi occidentali. Particolare interesse sembrava mostrare la Siria per i rapporti con l'Unione europea, con la quale si avviarono negoziati per la conclusione di un Accordo di associazione. Tuttavia, sulla decisiva questione dei rapporti con Israele, l'arrivo al potere del nuovo presidente non parve conferire alcun impulso a un miglioramento.

 

I rapporti con il nuovo Irak

La Siria venne poi indirettamente investita, ben presto, dalle tensioni internazionali intorno al regime iracheno di Saddam Hussein: pur avendo Damasco votato a favore della risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU n. 1441 del 2002 - che costituì la base per il successivo intervento militare angloamericano -, al momento dell'invasione dell’Iraq nella primavera 2003 la Siria dichiarò la propria contrarietà. Va però ricordato che Damasco accettò in seguito la risoluzione 1483, con la quale le Nazioni Unite riconobbero la nuova situazione dell’Iraq, istituendo un quadro di riferimento per la ricostruzione economica e la democratizzazione del paese. L'interesse per l’Iraq da parte della Siria proseguì con il voto espresso a favore della risoluzione 1511, con la quale le Nazioni Unite chiedevano un  maggiore coinvolgimento internazionale in Iraq e affrontavano il problema del trasferimento della sovranità dalla coalizione internazionale a guida americana alle autorità di Baghdad.

Avvenuto nel giugno 2004 il passaggio della sovranità alle autorità nazionali irachene, la Siria ha assunto impegni di cooperazione con l'Iraq sul problema della sicurezza delle frontiere e il rimpatrio di beni iracheni, nonché sulle relazioni diplomatiche bilaterali. Nonostante questi sviluppi, rimanendo la frontiera siriana uno dei punti principali di transito per i combattenti stranieri impegnati in Iraq, le relazioni tra Damasco e Baghdad rimasero tese fino al 2006-2007, quando vi fu uno  scambio di visite al vertice nelle rispettive capitali, e il ristabilimento formale di relazioni diplomatiche nel dicembre 2006, mese nel quale venne anche firmata un'intesa sulla sicurezza tra i due paesi. L'ondata devastante di attentati a Baghdad dell'agosto 2009 provocò tuttavia il ritiro provvisorio dei rispettivi ambasciatori, tornati nel 2010 nelle proprie sedi. Nei rapporti tra i due paesi non va dimenticato il nodo dei profughi iracheni rifugiatisi in Siria dopo l'intervento militare del 2003, che sono tuttora circa un milione.

 

I rapporti con il Libano

Anche nei rapporti con il Libano l'avvento di Bashar al Assad alla presidenza della Siria non registrò nei primi anni particolari novità: il pesante coinvolgimento di Damasco nel paese dei cedri, risalente all'intervento dell'allora presidente Hafiz al Assad nella guerra civile libanese a fianco dei cristiano-maroniti, avrebbe dovuto conoscere dopo la fine della guerra civile del 1989 un alleggerimento, tanto più che di Siria e Libano avevano firmato nel maggio 1991 un trattato di fratellanza, cooperazione e coordinamento. Tuttavia la presenza israeliana nel Libano meridionale fino al maggio 2000, il fallimento dei negoziati di pace siro-israeliani e l'intensificazione delle tensioni con lo Stato d'Israele dopo lo scoppio nel settembre 2000 della seconda Intifada palestinese costituirono altrettanti pretesti per Damasco per il mantenimento di un forte apparato militare in territorio libanese.

Anche dopo il ritiro di Israele dal territorio libanese Beirut e Damasco  affermarono che la risoluzione 425 del Consiglio di sicurezza dell'ONU non era stata pienamente rispettata, per il mantenimento da parte di Israele della porzione del Golan chiamata “Fattorie di Sheba”, occupata nella Guerra dei sei giorni del 1967, e secondo Damasco appartenente al Libano. Lo stesso movimento sciita libanese Hizbollah, fortemente legato all'Iran ma in buoni rapporti anche con la Siria, ha utilizzato questo argomento per giustificare le proprie attività ostili contro le forze israeliane nella regione.

L’ipoteca siriana sulla politica libanese divenne particolarmente chiara nel 2004, quando venne modificata la la Costituzione del paese per prolungare il mandato del presidente Lahud, alleato di Damasco. In questo clima, nel 2005 i rapporti siro-libanesi hanno conosciuto una forte discontinuità, con il crescere del movimento di reazione all’assassinio dell’ex premier Rafik Hariri, perito in un attentato in febbraio: nel mese di aprile Damasco fu costretta a ritirare tutte le truppe di stanza in Libano, e il peso siriano su quel paese sembrò scendere al livello minimo. In realtà, proprio la prosecuzione sostanzialmente indisturbata delle attività di Hizbollah costituiva un fattore di potenziale ritorno della Siria in Libano: in questo senso la breve ma sanguinosa guerra israelo-libanese dell'estate 2006, originata proprio dal rapimento perpetrato da esponenti del movimento sciita libanese di alcuni soldati di Tel Aviv, vista con il senno di poi ha costituito anzitutto un forte sollievo per l'imbarazzo siriano nei confronti dell'opinione pubblica libanese, che da quel momento in poi è tornata a guardare con preoccupazione e diffidenza piuttosto verso Israele.

Il risultato è apparso chiaro due anni dopo, quando nella primavera 2008 Hizbollah, reagendo ad alcune misure di controllo adottate dalle autorità libanesi, si impadroniva in breve tempo di gran parte della capitale: la Siria coglieva allora l'occasione per un intervento di mediazione, forte dei suoi legami con il movimento sciita libanese, e insieme ad altri paesi riusciva a conseguire il successo degli accordi di Doha del maggio 2008 tra le varie fazioni libanesi, che rese possibile l'elezione alla presidenza della Repubblica del capo delle forze armate, il generale Suleiman. Nel luglio dello stesso anno veniva formato un governo di unità nazionale a Beirut, e in ottobre la Siria riconosceva per la prima volta ufficialmente l'esistenza del Libano come Stato indipendente e sovrano, con lo stabilimento di normali relazioni diplomatiche bilaterali.

Nel 2009-2010 il riaggancio del Libano all’orbita di Damasco è stato lento ma inesorabile, in parallelo con l’ulteriore crescita del prestigio e della forza di Hizbollah – che sola spiega le aspre critiche rivolte nel settembre 2010 dal presidente Suleiman al ruolo della missione UNIFIL, con la quale pure le Nazioni Unite avevano posto fine al conflitto del 2006.

Lo stesso Saad Hariri, figlio dell’ex premier ucciso nel 2005, dopo essere divenuto Primo ministro, mostrando una notevole dose di realismo, si era recato nel dicembre 2009 in visita nella capitale siriana, concordando tra l’altro con Assad di procedere ad una delimitazione delle comuni frontiere – peraltro ancora non iniziata. Nonostante ciò, le voci su una possibile prossima imputazione di alcuni esponenti di Hizbollah da parte del Tribunale ONU sull’assassinio di Rafik Hariri hanno provocato nel gennaio 2011 il ritiro in massa dal governo presieduto dal figlio Saad dei ministri espressi da Hizbollah, e l’apertura di una crisi istituzionale ricomposta con il nuovo esecutivo guidato da un esponente filosiriano.

 

I rapporti con Israele

I rapporti tra Siria e Israele s'intrecciano strettamente al conflitto israelo-palestinese, i cui momenti fondamentali Damasco ha generalmente utilizzato con abilità in funzione dei propri interessi, al centro dei quali rimane l'antico obiettivo di Hafiz Assad del recupero completo delle alture del Golan, occupate da Israele nella Guerra dei sei giorni, e solo in parte restituite alla Siria con l'accordo del maggio 1974. All'interno della problematica del Golan rientra inoltre l'importantissima questione del possesso delle acque del lago di Tiberiade, essenziali tanto alla Siria quanto ad Israele.

I negoziati con Israele, in corso negli anni Novanta con alterne vicende, sono infine naufragati alla fine del decennio, sia per il rifiuto israeliano del ritiro completo sulle posizioni precedenti la Guerra del 1967, sia per lo scoppio della seconda Intifada palestinese, con le successive ripetute accuse israeliane alla Siria di ospitare gruppi terroristici palestinesi. Si giunse così nell'ottobre 2003, dopo un attentato suicida a Haifa che aveva provocato la morte di venti cittadini israeliani, a un attacco in pieno territorio siriano contro un presunto campo di addestramento per terroristi palestinesi, posto ad appena 15 km da Damasco.

La situazione peggiorò ulteriormente nel 2006, con rinnovate accuse israeliane alla Siria di sostenere la fazione palestinese di Hamas, nonché per l'appoggio di Damasco a Hizbollah nel conflitto dell'estate 2006 e per il successivo riarmo movimento sciita libanese in violazione della risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU n. 1701, che aveva posto fine proprio a quel conflitto. Successivamente tuttavia avevano destato speranze le voci di negoziati, ufficialmente smentite dalle due parti, tra esponenti siriani e israeliani, che trovarono tuttavia conferma quando all'inizio del 2008 fu reso noto che erano iniziati colloqui indiretti tra i due paesi con la mediazione turca. Anche questo tavolo di trattativa s'interruppe bruscamente nel dicembre 2008, in concomitanza dell'attacco israeliano contro la Striscia di Gaza (Operazione “Piombo Fuso”).

 

I rapporti con gli Stati Uniti

Per quanto riguarda i rapporti tra Siria e Stati Uniti, questi furono riallacciati nel giugno 1974, all'indomani degli accordi di disimpegno siro-israeliani successivi alla guerra del Kippur. Il presidente Hafiz Assad inserì poi la Siria nella coalizione di forze multinazionali capitanate dagli USA che intervennero nel 1991 contro l'Iraq di Saddam Hussein, che aveva invaso il Kuwait.

Anche la negoziazione degli accordi che posero fine alla guerra civile del Libano e la partecipazione di Assad alla Conferenza di pace per il Medio Oriente nel 1991, segnarono punti di convergenza nelle relazioni siro-statunitensi. Ulteriormente corroborate dal rilascio di alcuni ostaggi occidentali in Libano e dalla facilitazione dei viaggi per gli ebrei siriani, le relazioni bilaterali si concretizzarono in diversi vertici presidenziali, l'ultimo dei quali si tenne a Ginevra, con l’incontro tra il presidente Hafiz Assad e Bill Clinton. Dopo gli attentati terroristici dell'11 settembre 2001 anche la Siria - ormai guidata dal giovane Bashar Assad - ha intrapreso limitati sforzi di collaborazione antiterroristica con gli americani.

A far da contraltare a questi aspetti positivi, non va dimenticato il costante sospetto statunitense verso Damasco per il suo ruolo di pesante condizionamento della politica libanese e per il rifugio offerto a numerosi gruppi della lotta armata palestinese contro Israele. Non a caso, sin dalla inizio della compilazione (1979) dell'elenco USA degli Stati che appoggiano il terrorismo, la Siria vi è stata ricompresa, venendo conseguentemente ad essere oggetto di sanzioni approvate dal Congresso, che progressivamente hanno congelato la possibilità di fornire qualunque bene - salvo cibo e medicinali - a Damasco, che si è vista tagliata fuori anche dalla possibilità di ricevere quasi ogni forma di aiuto americano allo sviluppo.

In questo quadro è significativa l'altalena di ritiri e riaccrediti di ambasciatori americani in Siria, come ad esempio nel biennio 1986-1987, quando solo l'espulsione dell'organizzazione terroristica palestinese che faceva capo ad Abu Nidal rese possibile il ritorno di un diplomatico USA a Damasco.

Un ulteriore peggioramento dei rapporti bilaterali si ebbe a partire dall'intervento americano in Iraq del 2003: l'Amministrazione statunitense constatò il ruolo centrale di Damasco come punto di transito per combattenti stranieri diretti in Iraq, e come paese-rifugio per elementi precedentemente appartenenti al regime iracheno che continuavano a sostenere l'insurrezione, per non parlare delle costanti ingerenze siriane negli affari libanesi, dell'appoggio dato a esponenti della lotta armata palestinese presenti a Damasco e della sospettata ricerca siriana della messa a punto di armi di distruzione di massa.

Pertanto nel maggio 2004 vi è stato un nuovo round di sanzioni americane alla Siria, quasi ad anticipare il precipitare degli eventi libanesi, con l'assassinio nel febbraio 2005 dell'ex premier Rafiq Hariri, che provocò il richiamo dell'ambasciatore USA a Washington. Si ricorda anche che nel settembre 2006 l'ambasciata degli Stati Uniti a Damasco venne attaccata da quattro aggressori pesantemente armati, contrastati con successo dalle forze di sicurezza siriane. Nell'ottobre 2008 vi fu un attacco americano in territorio siriano, in prossimità del confine con l’Iraq, per colpire presunti terroristi ivi rifugiati: a seguito di questo episodio il governo siriano ordinò la chiusura di alcune istituzioni culturali statunitensi nel paese.

L'avvento alla Casa Bianca di Barack Obama ha indubbiamente segnato il tentativo di un nuovo corso nei rapporti con la Siria: il ruolo geopolitico centrale di Damasco nella regione ha consigliato all'Amministrazione USA un approccio più morbido, con l'obiettivo fondamentale di attenuare i legami della Siria con l'Iran. In questo senso va interpretata la nomina nel febbraio 2010 di un nuovo ambasciatore statunitense a Damasco, che tuttavia successivamente il Senato USA non ha confermato. Del resto, già alla fine dello stesso mese, in un incontro a Damasco, il presidente siriano e iraniano si erano spinti fino a deridere le aspettative americane di un allentamento dei loro legami.

Pochi giorni dopo il presidente Obama ha deciso di rinnovare per un anno il regime sanzionatorio contro la Siria. L'evoluzione della situazione interna libanese, con la caduta del governo guidato da Saad Hariri e l'assunzione della carica di premier da parte di Naqib Miqati, vicino a Hizbollah e alla Siria, mostra le grandi difficoltà che la Casa Bianca trova nei suoi tentativi di riavvicinamento a Damasco, che pure per molteplici aspetti sembrerebbero indispensabili per la formulazione di una coerente politica americana nella regione.

 

I rapporti con gli altri paesi arabi (Giordania, Egitto, Arabia saudita)

Per ciò che concerne i rapporti di Damasco con Giordania, Egitto e Arabia saudita, questi sono anzitutto strettamente legati alle posizioni che ciascun paese ha assunto nello sviluppo del conflitto israelo-palestinese: da questo punto di vista, il punto più basso è stato raggiunto in occasione del conflitto israelo-libanese dell'estate 2006, in merito al quale il presidente Bashar Assad rivolse durissime accuse ai governanti dei tre paesi arabi.

Con la Giordania, poi, dopo una breve intesa successiva all'ascesa al potere quasi simultanea dei due giovani Assad e Abdallah, le posizioni filoamericane di Amman sulla guerra in Iraq e sul ritiro israeliano da Gaza hanno nuovamente condotto a un raffreddamento dei rapporti reciproci. Con l'Arabia Saudita, inoltre, ha costituito terreno di frizione per lungo tempo la situazione libanese, dove i sauditi sono stati il principale sostegno del blocco guidato da Saad Hariri, mentre Damasco ha costantemente appoggiato il fronte guidato da Hizbollah. Una svolta nei rapporti siro-sauditi è sembrata verificarsi alla fine di luglio del 2010, quando il re Saudita Abdullah ed il presidente siriano Assad hanno compiuto congiuntamente un viaggio in Libano: se da parte Saudita si intendeva rafforzare la posizione di Saad Hariri alla guida del Paese dei Cedri, nondimeno la Siria ha sfruttato abilmente l'occasione per rientrare a pieno titolo tra le forze che esercitano un'influenza decisiva sul Libano, ampliando nel contempo le proprie potenzialità diplomatiche regionali, anche al di là della ferrea alleanza con Teheran. I successivi sviluppi, con la caduta del governo guidato da Saad Hariri, hanno mostrato quanto più vantaggioso per Damasco sia stato il riavvicinamento a Riad.

 

I rapporti con la Russia e la Turchia

La Russia ha visto nella prosecuzione di buone relazioni con la Siria uno dei mezzi principali per tentare di recuperare una propria influenza in Medio Oriente: ciò è stato chiaro soprattutto a partire dalla comune opposizione di Mosca e Damasco all'intervento militare angloamericano in Iraq. Diverse visite al vertice si sono succedute nelle due capitali, in particolare con la visita di Bashar Assad a Mosca dell’agosto 2008, durante la quale, incontrando il presidente russo Medvedev, si è ribadito il soddisfacente stato delle relazioni bilaterali sia dal punto di vista economico, sia per quanto concerne la collaborazione militare - a tal proposito si è mantenuta costante la disponibilità russa a fornire a Damasco armamenti, alcuni dei quali potrebbero esercitare un'influenza decisiva sugli equilibri militari mediorientali -; e, più di recente, con la restituzione della visita a Damasco, dove il presidente russo si è recato nel maggio 2010. In quest'ultima occasione sono stati al centro dei colloqui gli aspetti di cooperazione economica, con la possibilità di apertura di un canale di comunicazione marittimo diretto tra il porto siriano di Latakia e quello russo di Novorossiysk sul Mar Morto, nel contesto di nuove prospezioni che il gigante del gas russo Gazprom ha in corso sul territorio siriano.

Particolare prestigio è derivato alla Siria dal progressivo riavvicinamento alla Turchia dopo le tensioni provocate nel passato dal sostegno siriano ai curdi del PKK e al loro leader Ocalan. La decisione dei due paesi di accordarsi sulla cessazione dell'appoggio siriano ai curdi di Turchia e per la chiusura delle basi del PKK tanto nel territorio siriano quanto nella valle libanese della Bekaa hanno dato il via a un nuovo corso dei rapporti bilaterali, che ha visto Ankara porsi come perno di negoziati indiretti tra Siria e Israele nella seconda metà del 2008 - bruscamente interrotti in concomitanza con l'operazione Piombo Fuso mesa in atto da Israele controla Striscia di Gaza dalla fine di dicembre 2008. Cionondimeno, il nuovo livello dei rapporti bilaterali turco-siriani ha partorito un accordo sull'eliminazione dei visti, misure per incrementare l'interscambio commerciale e una cooperazione nel settore della difesa tale da permettere a Siria e Turchia di avviare esercitazioni militari congiunte. La potenzialità del nuovo corso dei rapporti con la Turchia va poi inquadrata nei rilevanti mutamenti che la stessa politica estera turca ha mostrato dall'inizio del 2009, con una forte attenuazione dello storicamente saldo legame di cooperazione con Israele e anche, a fronte delle ripetute difficoltà nelle prospettive di ingresso nell'Unione europea, con il recupero di punti di vista maggiormente mirati all'area centroasiatica e mediorientale.

 

La Siria e l’Unione europea

Le relazioni della Siria con l'Unione europea, dopo l'ottimismo succeduto all'elezione alla presidenza di Bashar Assad nel 2000 e il conseguente avvio di negoziati per la conclusione di un Accordo di associazione, hanno conosciuto una fase di stallo in corrispondenza del discredito internazionale che ha colpito Damasco dopo l'assassinio in Libano di Rafiq Hariri. Constatando in seguito alcuni progressi nell'atteggiamento siriano, testimoniati dalla partecipazione alla Conferenza di Annapolis sul Medio Oriente nel novembre 2007, dall'accettazione dei colloqui diretti con Israele mediati dalla Turchia e dal contributo siriano al superamento della grave crisi politico-istituzionale libanese culminata negli scontri a Beirut del maggio 2008; l'Unione europea aveva preso la decisione di far ripartire il negoziato sull’Accordo di associazione, il cui testo è stato infatti parafato alla fine del 2008.

Lo scoppio tuttavia delle rivolte nel mondo arabo dall'inizio del 2011 ha coinvolto anche la Siria, e la dura repressione messa in atto dalle autorità contro i manifestanti per più di due mesi ha provocato inevitabilmente un nuovo stop, e l'Accordo di associazione risulta al momento congelato.

 

I programmi d’armamento di Damasco

Infine, un aspetto non secondario delle relazioni internazionali della Siria è costituito dalla questione dei suoi programmi di armamento: la Siria infatti aderisce al Trattato di non proliferazione nucleare e alla Convenzione del 1994 sulla sicurezza nucleare. In virtù del combinato disposto di questi accordi il paese è soggetto alle ispezioni dell'Agenzia internazionale per l'energia nucleare (AIEA), che per lunghi anni non ha mai sollevato dubbi sull'uso pacifico del nucleare da parte di Damasco.

Negli ultimi tempi tuttavia gli Stati Uniti hanno messo in luce che la contemporanea presenza di centrali nucleari civili e di capacità missilistica avanzata in Siria potrebbe aprire la strada a una proliferazione nucleare assai pericolosa. Quando poi nel settembre 2007 gli israeliani portarono a termine un'incursione aerea contro il sito nucleare siriano di al-Kibar, emerse la possibilità allarmante di una collaborazione nordcoreana nell’allestimento del medesimo.

Nella seconda metà del 2010 un rapporto dell’AIEA ha messo in luce la mancata collaborazione di Damasco nelle indagini su quello che ormai si configurava come il programma nucleare siriano. In particolare, le autorità di Damasco hanno sempre negato agli ispettori dell’AIEA il permesso di lavorare nel sito bombardato dagli israeliani, e ciò ha aumentato i sospetti della Comunità internazionale - anche se la giustificazione siriana non appare del tutto peregrina, in quanto in tale sito potrebbero essere rilevati livelli di contaminazione radioattiva proprio in seguito all'utilizzazione probabile, da parte degli israeliani, di munizioni all'uranio impoverito.

Nel novembre 2010 vi è stato un nuovo rapporto dell’AIEA, nel quale parimenti si ripetono le accuse alla Siria di mancata collaborazione nelle indagini sul sito di al-Kibar. Inoltre i siriani sono stati costretti ad ammettere che in un altro reattore nucleare situato nella capitale avevano proceduto a esperimenti di irradiazione e di conversione dell’uranio concentrato, senza darne notizia agli ispettori dell’AIEA, come invece previsto dai protocolli vigenti. Osservazioni satellitari compiute tra il 2004 e il 2008 hanno inoltre attirato l'attenzione su altri impianti in territorio siriano, in qualche modo collegati al reattore distrutto da Israele. Il quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung ha pubblicato all'inizio del 2011 informazioni secondo le quali uno dei tre siti collegati ad al-Kibar conterrebbe attrezzature utilizzabili per la creazione di un impianto, ancorché di dimensioni ridotte, per la conversione dell’uranio.

Conclusivamente, si può rilevare che mentre la politica estera siriana ha confermato la tradizionale abilità nell’inserirsi negli equilibri della regione mediorientale per mantenere o accrescere la propria influenza - si vedano i rafforzati rapporti con Teheran e la rinnovata ipoteca sulla politica libanese, mentre le aperture di credito americane non hanno avuto sinora alcuna contropartita-; la nuova realtà dei sommovimenti che hanno scosso il mondo arabo, se da un lato sembrerebbe aprire alla Siria più promettenti sviluppi - soprattutto per il già percettibile mutamento nello schieramento dell'Egitto, non più fortemente legato agli accordi con Israele come all'epoca di Mubarak -, d'altro canto apre anche per Damasco prospettive potenzialmente esiziali, perché il regime potrebbe alla fine cedere di fronte alle contestazioni che si ripetono con forza ormai da tre mesi, nonostante la durissima repressione incontrata da parte delle forze armate e di sicurezza siriane, e alla pressione internazionale, già concretizzatasi in ulteriori sanzioni UE e USA che hanno colpito lo stesso presidente Assad.

Diversamente da altri regimi dittatoriali o autoritari del passato, insomma, il cui punto debole fu alla fine la politica estera, Damasco potrebbe trovare nella situazione interna difficoltà insormontabili, tali da annullare gli indubbi successi sul piano internazionale e regionale.


 

Cronologia delle proteste e della repressione in Siria

 

16-22 marzo 2011

Continuano per il quinto giorno consecutivo le proteste nella città di Daraa, sita a 120 chilometri a sud di Damasco. Venerdì 18 marzo erano state uccise quattro persone dalla polizia che aveva sparato contro la folla dei manifestanti, così come è avvenuto anche domenica quando gli agenti hanno fatto uso di proiettili e di gas lacrimogeni. Nella giornata di domenica i manifestanti hanno incendiato la sede locale del Baath, il palazzo di giustizia e l'edificio che ospita una delle compagnie telefoniche cellulari. Finora sarebbero sei le vittime degli scontri.

Gli Stati Uniti hanno condannato l’uso sproporzionato della forza da parte della polizia siriana e anche la Francia ha espresso una dura condanna per le violenze contro i manifestanti.

 

23-27 marzo 2011

Nelle giornate successive al 24 marzo è emersa come ulteriore situazione di consistente instabilità politica quella siriana. Una prima valutazione dei fatti indica nelle proteste scoppiate anche in Siria una combinazione tra le richieste di maggiori libertà civili e politiche avanzate dagli storici dissidenti del regime, la cui influenza è però limitata, e circoscritta alle aree urbane, e l’insoddisfazione di alcuni clan tribali (quali quello degli Abizaid) assai influenti nelle aree rurali, insoddisfazione legata a fattori politici locali (quali il mancato sostegno alla crisi agricola nella regione di Hawran, il “granaio” della Siria e presunti episodi di corruzione che coinvolgerebbero esponenti del regime, come l’installazione, nella città di Daraa nella stessa regione, di una serie di ripetitori per la telefonia cellulare della compagnia di proprietà del cugino del presidente Assad in prossimità delle abitazioni e di cisterne per l’acqua potabile). Questi fattori si inseriscono nel delicato equilibrio siriano che vede il controllo del governo, sia pure su basi laiche e attraverso l’ideologia nazionalista panaraba del Baath, da parte della famiglia Assad, appartenente alla setta di derivazione sciita degli Alawiti, in un paese a maggioranza sunnita.

Di seguito si riporta una sintetica cronologia degli avvenimenti:

febbraio: Aisha Abizaid, del clan degli Abizaid, radicato nella città di Daraa 150 km a sud di Damasco, è arrestata con l’accusa di aver espresso un’opinione politica su Internet.

6 marzo:  si ha notizia dell’arresto di circa 20 adolescenti nella città di Daraa, tutti appartenenti al clan degli Abizaid, colpevoli di aver cantato a scuola slogan contro il regime.

15 marzo: si svolgono manifestazioni di protesta contro il regime promosse dal gruppo Facebook “Intifada siriana 15 marzo”; le manifestazioni vedono una scarsa partecipazione a Damasco, dove si svolge un sit-in davanti al Ministero dell’interno con circa 150 partecipanti, mentre vedono una partecipazione massiccia a Daraa e a Dayr az Zor, capoluogo della regione orientale ai confini con l’Iraq.

18 marzo: repressione da parte delle forze di sicurezza  delle manifestazioni di Daraa.

20 marzo: viene annunciato il rilascio dei bambini arrestati a Daraa, senza che tuttavia se ne abbiano conferme. Annunciato anche il dimissionamento del governatore di Daraa.

23 marzo: le manifestazioni di Daraa sono represse dalle forze dell’ordine; fonti ospedaliere riportano la presenza di 37 morti, mentre per gli organizzatori delle manifestazioni il bilancio sarebbe più grave, con circa 100 morti. Segnalato anche l’arresto di Marzen Darwish, dissidente, presidente del Centro per i Media e per la libertà di espressione siriano.

24 marzo: il consigliere del presidente Assad Bhutayana Shaaban annuncia l’avvio di un processo di riforme, attraverso la convocazione di un Alto comitato di studio incaricato di predisporre l’abrogazione dello stato di emergenza, in vigore, come già si è accennato, ininterrottamente dal 1963 e di elaborare una legge sui partiti, per superare il monopolio del partito Baath. E’ inoltre annunciato l’aumento del 30% degli stipendi dei pubblici dipendenti e l’introduzione di misure anti-corruzione

25-26 marzo: nuove manifestazioni si verificano a Daraa ed anche in altre città quali Latakia, città di origine della famiglia Assad. Si verificano nuovi scontri. Secondo Amnesty International nel complesso delle proteste potrebbero essersi verificate almeno 55 vittime. E’ annunciato il rilascio di prigionieri politici detenuti nelle carceri siriane

27 marzo: il consigliere del presidente Shabaan annuncia che la decisione della revoca dello stato di emergenza, da sostituire con una nuova legislazione antiterrorismo, è stata presa, mentre verrà anche costituito un nuovo governo

 

28 marzo-3 aprile 2011

L'atteso discorso del 30 marzo del presidente Bashar al Assad è stato preceduto il giorno prima da segnali contraddittori: infatti, a fronte di una vasta mobilitazione pro-governativa, che attivisti di opposizione non hanno mancato di qualificare come forzata, vi sono state per la prima volta in mezzo secolo le dimissioni di un governo siriano sotto la spinta delle proteste popolari.

Occorre peraltro ricordare che nel particolare sistema autoritario di governo che caratterizza il regime siriano la sostanza del potere si concentra, assai più che nel governo e del Parlamento, o anche nei vertici del partito Baath, nella ristretta cerchia alawita che occupa i vertici dei servizi di sicurezza e dell'elite militare: pertanto, le dimissioni del governo non hanno carattere tale da porre in pericolo la sopravvivenza del regime, che ha altrove le sue roccaforti.

Ciò è stato puntualmente confermato il 30 marzo dal discorso di Assad, che infatti è sembrato rivolgersi, molto più che alla popolazione, alla ristretta cerchia delle forze di sicurezza del regime. Il presidente siriano, il cui discorso ha subito provocato rinnovate proteste a Daraa ed a Latakia, lungi dall'annunciare l'abrogazione dello stato d'emergenza vigente in Siria da ormai 48 anni, è tornato a toccare il tasto del complotto internazionale contro il paese.

Assad ha anche rivendicato fedeltà alle promesse riformistiche formulate nel 2000, le quali tuttavia non sarebbero state attuate per via della situazione regionale di grande instabilità e, da ultimo, per i quattro anni di siccità nei quali il paese si è dibattuto. Ciò che il presidente ha ribadito con forza è stata la necessità di preservare la stabilità del paese, e per tale obiettivo non ha mancato di minacciare apertamente le opposizioni. Il discorso di Assad ha destato le critiche del Dipartimento di Stato USA, che si è detto profondamente deluso dell’intervento del leader siriano.

 

4-10 aprile 2011

Dopo la delusione suscitata nell’opinione pubblica dal discorso del 30 marzo del presidente Assad, il governo è sembrato muoversi in direzione di concessioni anche importanti a gruppi religiosi o territoriali del paese: in tal senso andrebbe interpretata ad esempio la riammissione all’impiego diretto nelle classi scolastiche delle insegnanti che indossano, in omaggio all’Islam più integralista, il niqab, il velo islamico integrale che lascia scoperti solo gli occhi.

Altra concessione agli ambienti islamici è stata quella di chiudere temporaneamente la casa da gioco – l’unica del paese - inaugurata appena nel dicembre 2010 nei dintorni dell’aeroporto internazionale di Damasco, poiché considerato in contrasto con i precetti islamici. Nei confronti dei curdi che occupano la parte nord-orientale del paese - tra l’altro ricca di risorse energetiche e idriche - vi è stato anzitutto il 6 aprile il rilascio di numerosi prigionieri politici appartenenti alla minoranza: il 7 aprile, poi, nel 64° anniversario della nascita del partito Baath, è stato annunciato che un certo numero di appartenenti alla minoranza curda si vedrà dopo 49 anni concedere la nazionalità siriana, con i connessi diritti civili e politici e il godimento di servizi di base come l’istruzione e la sanità. In tal modo, inoltre, finirà la discriminazione fondamentale nei confronti dei curdi, cui veniva interdetta la proprietà fondiaria, per prevenire una loro possibile strategia di riunione territoriale con le minoranze curde dell’Iraq e della Turchia.

Un altro segnale di apertura del regime è sembrata l’inusitata libertà concessa a uno storico dissidente, l’ottantenne giurista Haytham al Maleh, che ha passato decenni della propria vita in carcere, di esprimere le proprie opinioni in ordine all’abolizione dello stato di emergenza, e ciò proprio sul quotidiano del partito Baath.

Nonostante queste concessioni, il 10 aprile le forze di sicurezza siriane sono tornate ad aprire il fuoco contro una manifestazione nella città costiera di Banias, provocando quattro vittime e diversi feriti.

 

11-17 aprile 2011

La situazione della Siria è sembrata nell'ultima settimana quella più agitata nell’area medio-orientale: sembra infatti che le parziali concessioni del regime di Assad non stiano convincendo settori importanti della popolazione a sospendere i moti di protesa. Già il 13 aprile vi è stata la clamorosa discesa in campo di centinaia di donne nella città nordoccidentale di Banias, per protestare contro il regime e chiedere il rilascio dei loro congiunti arrestati in massa nei giorni precedenti: la mobilitazione delle donne ha raggiunto in serata il risultato di far affluire nel centro abitato i militari al posto delle forze di sicurezza, i cui membri macchiatisi di crimini contro civili saranno sottoposti a procedimenti penali. Va inoltre ricordato che nella seconda città siriana, Aleppo, vi è stata nella stessa giornata un’inedita manifestazione studentesca all'interno del campus.

Il 14 aprile è stata annunciata la formazione del nuovo governo, nel quale ci sono importanti novità, salvo che per i Dicasteri della Difesa e degli Esteri, unitamente alla liberazione di centinaia di prigionieri politici arrestati nelle settimane precedenti: lo stesso presidente Assad ha incontrato a più riprese delegazioni di abitanti di città e località oggetto di massicce repressioni, in un tentativo di pacificazione al quale fa peraltro da pendant la prosecuzione di un semi stato di assedio nei confronti di città come Banias e Latakia.

L'abile strategia del regime siriano non sembra però ottenere i risultati sperati: infatti già il 15 aprile, in concomitanza con la preghiera comunitaria del venerdì, vi sono state imponenti manifestazioni nella capitale e nella regione curda nordorientale. A Damasco, in particolare, vi sarebbe stato il tentativo di insediare un sit-in permanente nella Piazza degli Abbassidi, disturbato da lealisti e agenti della sicurezza. I curdi della Siria, pur avendo recentemente ottenuto il riconoscimento del diritto di nazionalità per oltre la metà della minoranza, sono tornati in piazza a manifestare il dissenso contro Assad e la sua cerchia di potere.

Anche quando il presidente siriano, in occasione del giuramento del nuovo governo, ha rivolto un discorso televisivo alla nazione preannunciando la fine entro pochi giorni della decennale normativa di emergenza - ammonendo peraltro quelli che ha definito “sabotatori”, i quali troveranno comunque nuove leggi a loro contrarie -, le manifestazioni non si sono arrestate, tornando a riaccendersi proprio nella città meridionale di Daraa, che aveva visto le prime scintille della protesta. Ancor più forte è stata la risposta di piazza il 17 aprile, giornata che ha visto dilagare le proteste in ogni parte del paese, nonostante il tragico bilancio che ha visto dall'inizio delle manifestazioni cadere circa 200 persone sotto i colpi delle varie forze di sicurezza pro-regime; anche il 17 aprile si sono avute notizie di quattro morti e una cinquantina di feriti nella città di Talbiseh, dove le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco contro un corteo funebre che commemorava un manifestante ucciso il giorno prima.

 

18-26 aprile 2011

Dopo la Libia, il teatro di maggiore gravità è rimasto nella settimana trascorsa la Siria, dove sono proseguite le uccisioni indiscriminate di manifestanti da parte delle forze sicurezza del regime di Assad.

Tutto ciò, come già nelle settimane passate, è stato accompagnato da segnali del tutto opposti di apertura del regime, come quando il 19 aprile è stata annunciata l'approvazione da parte del nuovo governo di Damasco di tre progetti di legge che dovrebbero attenuare il rigore del regime di sicurezza nel paese.

I progetti riguardano rispettivamente la concessione del diritto di manifestazione previa autorizzazione del ministero degli interni, l'abolizione della Corte suprema per la sicurezza dello Stato e l’abolizione dello stato d'emergenza in senso proprio, che in Siria è rimasto ininterrottamente in vigore dal marzo 1963.

Al proposito il noto dissidente al Maleh è tornato a sostenere che la cancellazione dello stato di emergenza non richiede alcuna legge, essendo stato a suo tempo incardinato mediante decreto presidenziale. In ogni modo, nel clima nel  quale il governo parla di un complotto straniero attuato da cellule armate di estremisti islamici - il che appare in buona parte un tentativo di gettare discredito sul movimento di protesta pacifica -nella stessa giornata del 19 aprile vi sarebbero state almeno quattro vittime per mano delle forze di sicurezza.

Il doppio binario su cui sembrano muoversi le autorità di Damasco è stato confermato il 20 aprile quando, nel mentre si ribadiva la fine dello stato di emergenza - senza peraltro chiarire quali leggi andranno a sostituire la precedente normativa - veniva arrestato il dissidente Mahmud Issa nella sua città di Homs, interessata da manifestazioni che negli ultimi giorni hanno visto l'uccisione di circa 20 dimostranti.

Di fronte all'impossibilità di porre fine al moto di protesta nelle piazze siriane, che nella città di Banias avrebbe provocato il 20 aprile altre otto vittime, il governo ha ordinato la rimozione del responsabile della polizia segreta locale. Gli ambienti della dissidenza siriana hanno comunque manifestato sfiducia nella reale volontà di riforma delle autorità, le quali restano in grado di controllare la magistratura, e per di più in presenza di leggi che conferiscono loro l'immunità giudiziaria.

L'abolizione del Tribunale speciale non elimina il fatto che vi siano ancora tremila detenuti politici, in carcere per condanne da esso pronunciate, e il diritto di manifestazione, com'è chiaro, sarà sempre subordinato al parere del ministero degli interni, cui andrà preventivamente comunicato persino il tenore degli slogan che si prevede di scandire durante la manifestazione.

Il 21 aprile sono tornati a manifestare anche migliaia di curdi della regione nord-orientale siriana, contravvenendo persino alle direttive impartite dai partiti curdi legali.

Il 22 aprile la situazione è chiaramente sfuggita di mano all'autorità siriane: in occasione delle preghiere del venerdì, seguite dalle ormai consuete proteste, si è toccato il terribile numero di oltre cento vittime, abbattute dalle forze sicurezza in diverse città del paese, con il pretesto in alcuni casi del mancato rispetto del preavviso di cinque giorni da presentare al ministero degli interni per poter manifestare, ai sensi della nuova normativa.

Il 23 aprile la repressione è giunta al punto di colpire i cortei funebri delle vittime del giorno precedente, provocando almeno altre dieci vittime: due deputati eletti nel distretto di Daraa, la città da cui hanno avuto origine le proteste, nonché il muftì locale, un'autorità sunnita di nomina governativa, hanno annunciato le proprie dimissioni per il comportamento delle forze di sicurezza governative. Il 24 aprile vi sono state 13 vittime del porto nord-occidentale di Jabla, dove le forze sicurezza sono intervenute  contro dimostranti sunniti.

Il 25 aprile il regime ha lanciato una massiccia operazione militare contro la protesta, che non a caso ha colpito con particolare forza proprio Daraa, investita addirittura da carri armati, anche in questo caso con più di venti vittime. Nella stessa giornata è circolato un documento firmato da 102 giornalisti  e intellettuali siriani, tra i quali molti appartenenti alla minoranza alawita, la stessa della cerchia del presidente Assad, nel quale si denunciano le violenze del regime contro i manifestanti e persino contro i partecipanti ai funerali delle vittime della protesta.

Il 26 aprile, mentre gli Stati Uniti hanno disposto il ritiro del personale diplomatico non essenziale e relative famiglie dalla Siria, a Daraa ha le forze di sicurezza hanno isolato l'abitazione del muftì che aveva aspramente criticato il governo e presentato le proprie dimissioni.

 

27 aprile-1° maggio 2011

Il 27 aprile, con un'azione coordinata vi è stata la convocazione degli ambasciatori di Damasco a Parigi, Roma, Londra, Madrid e Berlino, per esprimere loro una forte condanna delle violenze e delle repressioni in atto nel paese: nello stesso tempo, la propensione dei paesi europei a imporre sanzioni contro la Siria si è mostrata crescente, con particolare riferimento ad Italia e Francia, che avevano espresso questo orientamento già nel vertice bilaterale del 26 aprile.

Nella stessa giornata vi sono state le prime significative crepe nel regime di Damasco, con le dimissioni di circa 230 membri del partito Baath al potere, motivate con la violenza della repressione scatenata dal regime contro le proteste popolari. Nonostante tutto ciò la città di Daraa, iniziale centro della protesta, è rimasta a tutti gli effetti in stato di assedio, priva di elettricità, acqua corrente e telecomunicazioni, con un inizio di penuria di generi alimentari e numerosi episodi di saccheggio di negozi e abitazioni.

D'altra parte, il regime ha proseguito nel presentare la mobilitazione in atto nel paese come opera di cellule terroriste estremiste, pubblicando anche foto di armi e munizioni sequestrate e trasmettendo alla tv di Stato la confessione di un presunto capo della cellula terrorista di Daraa. Il regime ha inoltre dato molto risalto ai funerali di sei membri delle forze di sicurezza. Sul fronte delle Nazioni Unite, frattanto, non si è potuta tenere una seduta a porte aperte del Consiglio di sicurezza sulla situazione siriana, per l'opposizione di Pechino e Mosca.

Il 29 aprile il previsto “venerdì della collera” ha registrato una nuova massiccia mobilitazione delle proteste in tutto il paese, alla quale il regime ha risposto in modo sanguinoso, provocando una sessantina di morti, soprattutto a Daraa, ancora una volta epicentro dei sommovimenti antigovernativi, che ha contato da sola 35 vittime. Il regime ha presentato le informazioni sulla repressione come frutto di una campagna mediatica di istigazione contro il paese, volta ad incoraggiare la violenza e ad estendere i disordini.

Ciononostante, nella stessa giornata l'Amministrazione statunitense ha imposto sanzioni economiche contro due esponenti del regime siriano, un fratello e un cugino del presidente Assad, per violazioni dei diritti umani. Ben più pesanti sono state le sanzioni decise poche ore dopo a seguito di una riunione del Comitato politico e di sicurezza dell'Unione europea - che, si ricorda, è attualmente il maggior partner commerciale e donatore nei confronti della Siria. I 27 si sono accordati per l'applicazione rapida dell'embargo sulla fornitura di armi alla Siria, incluse le attrezzature utilizzabili in azioni di repressione contro i manifestanti. È stata inoltre avviata la procedura per la redazione di un elenco di esponenti politici da sottoporre a misure restrittive, come il divieto di concessione del visto e il congelamento dei beni eventualmente detenuti all'estero. L'Unione europea ha inoltre reso noto di considerare congelata la procedura relativa all'Accordo di associazione, che dall'ottobre 2009 attende la firma, e di essere intenzionata a  procedere alla revisione della cooperazione bilaterale con Damasco, che nel periodo 2011-2013 prevede per la Siria un contributo europeo di circa 130 milioni di euro.

Il 30 aprile, mentre si celebravano i funerali di alcune vittime del giorno precedente, altre sei persone sono rimaste uccise a Daraa sotto il fuoco delle forze di sicurezza: il numero totale delle vittime della mobilitazione siriana avrebbe raggiunto dall'inizio il numero di circa 560. Vi è stato inoltre anche l'arresto di due noti oppositori e di una decina di donne radunatesi insieme a molte altre in silenzio davanti al Parlamento della capitale siriana. Il governo di Damasco non ha reagito in modo particolare alla notizia delle sanzioni americane ed europee, alle quali peraltro si è aggiunta la decisione del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP), che ha sospeso un progetto quinquennale di aiuti alla Siria. Il nuovo premier siriano ha però preannunciato un piano completo per l'attuazione di riforme politiche, economiche e giudiziarie.

Nella stessa giornata le forze siriane hanno arrestato due oppositori curdi nella città di Qamishli, nel nord est del paese, i quali nei giorni precedenti avevano svolto un ruolo importante nelle proteste in corso nella regione.

 

2-16 maggio 2011

Nelle ultime due settimane è proseguita la repressione, che ha provocato ancora numerose vittime, attuata in buona parte assediando con mezzi militari diverse città. Ambienti degli oppositori hanno inoltre rilevato un qualche mutamento nella strategia repressiva del regime di Damasco, con tutta probabilità ispirata dall’alleato iraniano che l’aveva già sperimentata in occasione delle contestazioni della seconda metà del 2009, incentrata sul rastrellamento, raduno e “interrogatorio “dei dissidenti, volti a scoraggiare gli altri partecipanti alla contestazione.

Nel contempo il regime ha proseguito prospettando anche alcune aperture, come negli incontri del presidente Assad con esponenti delle comunità locali colpite, a detta delle autorità, da azioni di bande armate di criminali - non va infatti dimenticato che la principale giustificazione per la violenza dispiegata nel paese è stata sin dall’inizio quella di una presunta sollevazione integralista islamica e terroristica contro il legittimo governo.

Significativamente, tuttavia, alcuni coraggiosi notabili, come il sindaco di Enckhel, hanno sostenuto che il vero problema è il ritiro dell’esercito, poiché nelle loro città non vi sarebbe nessuna banda criminale armata a minacciarle. Il regime di Assad l’11 maggio ha inoltre annunciato la formazione di una commissione incaricata di redigere una bozza di nuova legge elettorale, e la consigliera presidenziale Shaaban ha incontrato gruppo di dissidenti appena rimessi in libertà.

Per quanto concerne l’attività repressiva, è stata portata avanti sicuramente con brutalità, anche se le singole notizie sono difficili da verificare, per l’espulsione di tutti i giornalisti stranieri operata già alcune settimane fa. Una recente (13 maggio) valutazione da parte dell’Alto commissariato ONU per i diritti umani parla di circa 850 civili uccisi dall’inizio della repressione, la quale è proseguita tutti i giorni in modo più o meno pesante, ma si è concentrata in modo particolare il 6 e il 13 maggio, in occasione delle manifestazioni convocate in concomitanza dei venerdì di preghiera, accanendosi poi perfino nei giorni successivi, come già avvenuto in aprile, contro la celebrazione dei funerali delle vittime. Vi sono state anche più volte segnalazioni di interruzione dei servizi Internet diretti ai telefoni cellulari, che fanno capo in buona parte a una compagnia privata di proprietà di un cugino del presidente Assad.

Va ricordato che il 10 maggio sono entrate in vigore le sanzioni dell’Unione europea - che al momento ancora escludono la figura del presidente Assad - contro tredici alte personalità siriane, che si vedranno negare il visto di ingresso per il territorio europeo e congelare i beni eventualmente in esso detenuti (tali misure si accompagnano all’embargo allo Stato siriano sulla vendita e fornitura di armi o attrezzature utilizzabili contro i dimostranti).

Un’altra conseguenza della situazione critica della Siria è stata la rinuncia di Damasco a candidarsi per un posto nel Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, presentendo una secca sconfitta in seno all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. D’altra parte la Siria ha trovato nella Federazione russa e nella Cina due validi alleati per impedire in seno al Consiglio di sicurezza l’adozione di qualsiasi sanzione, mentre le autorità di Damasco continuano a impedire alla delegazione ONU inviata per accertare la situazione di Daraa – sotto assedio dal 25 aprile - di svolgere il proprio compito, negandole l’accesso alla città. L’atteggiamento di Damasco è ben rappresentato dalla risposta che il rappresentante permanente siriano presso il Palazzo di vetro ha fornito al suo omologo italiano, l’ambasciatore Ragaglini, che chiedeva uno stop immediato delle repressioni e l’inizio del dialogo riformista: l’ambasciatore siriano ha replicato rivendicando per il proprio paese la primaria responsabilità di “proteggere i civili”.

Uno sviluppo nuovo e preoccupante della situazione siriana si è avuto poi il 15 maggio, con le manifestazioni per la cosiddetta “giornata del Disastro” - così è definito dagli arabi l’anniversario della costituzione nel 1948 dello Stato di Israele -: sia sul confine libanese che su quello siriano, infatti, folle di manifestanti hanno varcato il confine israeliano. La reazione dei militari di Tel Aviv non si è fatta attendere e ha condotto all’uccisione di dieci persone in ciascuna delle due aree. Alle proteste di Damasco gli israeliani hanno replicato accusando la Siria lo di aver organizzato lo sconfinamento, allo scopo di creare un diversivo dalla difficile situazione interna.

 

17-23 maggio 2011

In Siria, nonostante le affermazioni del presidente Assad che parla di una sostanziale fine della crisi interna del paese e di alcuni “errori” commessi dalle forze di sicurezza, il 18 maggio vi è stato uno sciopero generale indetto dal fronte del dissenso, mentre proseguiva la repressione nei confronti di alcuni centri abitati posti in prossimità della frontiera libanese, che avrebbe provocato altre otto vittime.

Inoltre a Daraa, città dalla quale era partito il movimento di protesta contro il governo, sarebbero state rinvenute due fosse comuni con quasi trenta cadaveri. Nella regione meridionale vi sarebbero ancora città assediate da blindati dell'esercito. Il 19 maggio, mentre proseguiva l'offensiva militare nei pressi della frontiera libanese, il regime di Damasco ha condannato con durezza le sanzioni statunitensi contro il presidente Assad, affermando che esse sarebbero al servizio dello Stato di Israele.

Il 20 maggio vi è stato il decimo venerdì di proteste contro le autorità siriane, con la partecipazione di decine di migliaia di persone, nonostante la prosecuzione del duro assedio di cinque città del paese e le privazioni inflitte ai sobborghi della capitale, dove acqua, elettricità e telecomunicazioni vengono erogati a singhiozzo: secondo fonti del dissenso le manifestazioni hanno provocato l'uccisione di quarantaquattro persone sotto il fuoco delle forze di sicurezza, che peraltro avrebbero nuovamente aperto il fuoco contro i funerali di alcune di queste vittime che si celebravano il giorno successivo a Homs, uccidendo altre cinque persone.

Il regime, dal canto suo, ha proseguito nella strategia di minimizzazione delle proteste e di sostanziale negazione della repressione, parlando invece di martiri delle forze di sicurezza uccisi da terroristi nel corso delle manifestazioni.

Per iniziativa soprattutto della Francia e del Regno Unito il Consiglio dei ministri degli affari esteri dell'Unione europea, svoltosi a Bruxelles il 23 maggio, ha esteso anche al presidente Assad e ad altri nove suoi collaboratori le sanzioni che avevano già colpito 13 personalità siriane di alto livello, consistenti nella negazione del visto di ingresso nel territorio dell'Unione europea e nel congelamento dei beni eventualmente in esso detenuti.

 

24 maggio-16 giugno 2011

Sempre più preoccupante si presenta la situazione siriana, dove pesantissime repressioni fanno da contraltare al persistente e vitale movimento di protesta in tutte le regioni del paese.

Il 26 maggio, mentre cominciava a circolare in seno al Consiglio di sicurezza dell'ONU la prima bozza di risoluzione contro le autorità siriane, il Vertice G8 di Deauville ha lanciato un appello a Damasco a porre fine all'uso della forza contro i manifestanti - appello peraltro non firmato da Mosca. In Siria il Ministro degli affari religiosi, alla vigilia di un ennesimo venerdì di preghiera e di protesta, ha incontrato a Damasco gli imam e i predicatori delle moschee della capitale e della regione circostante, ribadendo l'invito a usare toni "adeguati e positivi".

Il 27 maggio, puntualmente, l'opposizione è tornata in piazza in tutto il paese, contando non meno di otto vittime: il Vertice G8 ha accresciuto i toni critici verso Damasco ma, nella prospettiva di un'opposizione russa e cinese, non ha fatto alcun riferimento a possibili iniziative del Consiglio di sicurezza dell'ONU contro la Siria - va peraltro segnalata una certa evoluzione delle posizioni russe, così come per quanto concerne la Libia, poiché il presidente Medvedev ha esortato Assad a passare dalle parole ai fatti, ovvero alle promesse riforme. Analogo consiglio è venuto alla Siria dalla Turchia, che auspica un freno alla durezza della repressione e un ingresso degli islamici del governo di Damasco.

Secondo la Commissione araba dei diritti umani il bilancio delle vittime dall'inizio delle proteste in Siria avrebbe ampiamente superato il migliaio, con 16.000 arrestati, 300 scomparsi e 4.000 feriti. I mezzi di comunicazione statali oppongono a questi dati la cifra di circa 140 vittime tra militari e poliziotti, che sarebbero stati uccisi da quando bande armate terroristiche infiltratesi dai paesi limitrofi avrebbero iniziato le loro manovre contro il legittimo governo di Damasco.

Il 29 maggio vi sarebbero state almeno cinque vittime tra i civili in due cittadine vicine a Homs, a nord della capitale. Due giorni dopo, il 31 maggio, mentre l'offensiva nella regione di Homs è proseguita, il regime ha concesso quella che ha definito un'amnistia generale, nella quale ha  ricompreso anche tutti i detenuti politici appartamenti ai Fratelli musulmani - movimento posto fuorilegge da 31 anni – e ad altri partiti e correnti politiche ugualmente messi al bando da decenni (ma non agli appartenenti al Partito comunista del lavoro). Il provvedimento è stato tuttavia giudicato insufficiente e tardivo dai circa 300 oppositori siriani riuniti nella località turca di Antalya dal 31 maggio al 2 giugno. Analogo il giudizio del Dipartimento di Stato americano sul decreto di amnistia firmato da Assad.

Il 1º giugno il presidente Assad ha emanato un decreto per la formazione di un organismo incaricato del dialogo nazionale, la cui composizione non lascia tuttavia spazio all'ottimismo, trattandosi di membri diretti del regime o di personalità indipendenti comunque ad esso assai vicine. Giungeva intanto notizia che nella seconda città della Siria, Aleppo, vi sarebbe stata una rivolta nel carcere della città messa in atto da settemila detenuti solidali con il movimento di protesta, come sempre duramente repressa.

Diverse voci internazionali si sono levate per denunciare i crimini della repressione in atto nel paese: l'Unicef ha riferito che almeno trenta bambini sono stati vittime della repressione nelle ultime dieci settimane, mentre un numero ben più alto è stato ferito, arrestato o torturato. Human Right Watch, dal canto suo, ha pubblicato il 1º giugno un rapporto basato su colloqui diretti con vittime o testimoni della repressione attuata dal regime nella regione meridionale di Daraa, da cui è partita la mobilitazione contro il regime: secondo il rapporto si sarebbero toccati livelli inauditi di orrore nella repressione e nelle torture contro i manifestanti.

E’ intanto proseguita la repressione nella zona di Homs, dove il 2 giugno sarebbero state uccise almeno 15 persone, portando ad oltre 70 il numero delle vittime in soli quattro giorni. Ad Antalya si è conclusa intanto la conferenza degli oppositori e dissidenti siriani, con l'invito ad Assad a dimettersi immediatamente, affidando la transizione a un direttorio con poteri limitati, come previsto dalla Costituzione in vigore. Gli oppositori hanno dato vita ad un organismo di coordinamento della mobilitazione, attribuendogli anche il compito di reperire fondi: l'organismo vedrà al suo interno appartenenti alla Fratellanza musulmana, ai movimenti laici, ai curdi siriani, ma anche alawiti, drusi, cristiani e indipendenti.

Il 3 giugno vi è stato il dodicesimo venerdì di proteste in tutto il paese: particolarmente cruento il bilancio nella roccaforte dei sunniti più conservatori, la città di Hama, che si trova tra la capitale e Aleppo, dove vi sarebbero state una cinquantina di vittime. Decine di migliaia di siriani sono tuttavia scesi per strada anche in altre 40 località del paese, mentre la tv di Stato smentiva quasi completamtente lo svolgimento di cortei. Il giorno dopo circa centomila persone hanno partecipato ai funerali delle vittime del 3 giugno, in un pullulare di cortei  funebri che ha interessato l'intera città di Hama.

Il 5 giugno la tensione si è spostata la regione nord-occidentale che confina con la Turchia, in particolare nella città di Jish ash Shughur, dove gruppi di tiratori scelti appostati sui tetti hanno colpito i partecipanti alle esequie di sei dimostranti caduti il 3 giugno, provocando una quarantina di vittime. L'agenzia ufficiale del regime ha invece sostenuto che nella città del nordovest hanno perso la vita quattro agenti di polizia uccisi da gruppi terroristi. L'Osservatorio siriano sui diritti dell'uomo ha intanto confermato la notizia liberazione di oltre 450 detenuti a seguito dell'amnistia annunciata dal regime il 31 maggio.

Il 6 giugno la tensione a Jish ash Shughur è proseguita, con il dispiegamento progressivo di carri armati intorno alla città, mentre il regime ha denunciato l'uccisione di 120 agenti. Il giorno seguente si è diffusa la voce che i 120 poliziotti siano stati vittime delle forze di sicurezza siriane, poiché si erano schierati a fianco della popolazione in rivolta. Peraltro anche dal sud della Siria, nella regione di Daraa, vi sono state voci di diserzione di alcuni militari.

Sempre il 7 giugno, a seguito di una sparatoria in un campo profughi palestinesi nei pressi di Damasco, vi sarebbero stati più di dieci morti: al proposito sembra che lo scontro armato sia stato determinato dall'indignazione dei residenti del campo contro due fazioni palestinesi notoriamente vicine al regime di Assad, che avrebbero convinto centinaia di loro giovani seguaci a tentare il 5 giugno una sortita verso i reticolati israeliani sulle alture del Golan, provocando la reazione dell'esercito di Tel Aviv, con oltre 20 vittime. In questo modo il regime siriano aveva avuto buon gioco a criticare duramente Israele per la brutalità della repressione messa in atto.

In tale contesto si inserisce l'esodo da Jish ash Shughur verso la confinante provincia turca dell’Hatay, dove hanno cominciato ad affluire centinaia di profughi siriani, alcuni dei quali feriti: il primo ministro turco Erdogan ha assicurato l'apertura della frontiera per i siriani in cerca di salvezza: il 14 giugno il numero dei profughi siriani in Turchia raggiungeva quasi la cifra di novemila. Va anche ricordato che, nonostante l'ultimo mese le frontiere tra Siria e Giordania e tra Siria e Libano siano state chiuse, nel Paese dei cedri sono arrivati dopo il 15 maggio circa seimila profughi dalla zona circostante alla città di Tall Kalakh, sottoposta ad assedio e saccheggiata dalle forze governative siriane e da bande di lealisti al regime di Assad.

La morsa sulla città di Jish ash Shughur si è stretta con sempre maggior forza, mentre il 10 giugno il tredicesimo venerdì di protesta scuoteva nuovamente tutto il paese per opera di decine di migliaia di manifestanti. Il 12 giugno l'escalation nella città nordoccidentale ha visto le truppe governative  entrare in città con l'appoggio di carri armati ed elicotteri, dando vita a violenti combattimenti: in particolare, si tratterebbe della quarta divisione corazzata siriana, unità di élite comandata dal fratello del presidente Assad, Maher. Conseguentemente, si sono moltiplicate le file dei fuggiaschi verso il confine turco.

Il ministro degli esteri britannico Hague ha esortato il Consiglio di sicurezza dell’ONU ad adottare una risoluzione di chiara condanna della repressione, in ciò concordando con la Germania. Il governo italiano ha chiesto a quello siriano la cessazione di ogni violenza, nonché di permettere l'accesso alla Croce Rossa per interventi umanitari quanto mai necessari - il Ministro degli esteri Frattini, intervenuto al seminario internazionale sulla libertà religiosa di Fiesole, è poi tornato sulla questione il 14 giugno, anch'egli esortando le Nazioni Unite a una presa di posizione chiara, forte ed ultimativa nei confronti di Damasco.

Per quanto concerne il fronte della protesta, va segnalato che il 13 giugno per la prima volta i presunti organizzatori della mobilitazione popolare, i Comitati di coordinamento locale, hanno reso noto il loro documento programmatico, nel quale si afferma che l'obiettivo e' assicurare, attraverso una transizione pacifica, il cambiamento del sistema politico e la fine del mandato presidenziale di Bashar al Assad, considerato il primo ''responsabile politico e legale dei crimini commessi nel Paese''.

I Comitati si definiscono laici e privi di articolazioni confessionali, etniche o di classe, e chiedono prima di tutto alle autorità di Damasco ''la fine delle uccisioni e delle violenze da parte delle forze di sicurezza, delle milizie” e dei lealisti alawiti armati, il rilascio di tutti i prigionieri politici; la fine della propaganda mediatica contro i manifestanti; l'apertura del Paese alla stampa araba e internazionale'. Successivamente, si legge nel documento, si auspica l'apertura di una Conferenza nazionale, dalla quale ''non saranno esclusi i membri dell'attuale regime'', purché dimostrino di non essersi macchiati di crimini contro il popolo siriano. I Comitati prevedono ''un periodo di transizione di non oltre sei mesi, gestito da personalità civili e militari, durante il quale verrà redatta una nuova Costituzione, che limiterà a quattro anni non rinnovabili il mandato presidenziale. Al termine del periodo transitorio si svolgeranno elezioni libere e indipendenti”.

 

17-30 giugno 2011

La prosecuzione dell'offensiva della regione nord-occidentale del paese da parte delle forze governative, a seguito della quale più di diecimila profughi siriani hanno trovato riparo nella confinante provincia turca di Hatay, ha provocato un innalzamento della tensione con la Turchia, che negli ultimi tempi era stato invece uno dei paesi più importanti per la politica estera di Damasco. Il 15 giugno il governo siriano ha inviato il Ministro degli esteri Muallim e l'ex Ministro della difesa Turkmani ad Ankara per un incontro con le autorità turche, che soprattutto con il Primo Ministro Erdogan avevano nei giorni precedenti ripetutamente stigmatizzato le violenze contro i civili siriani che manifestavano contro il regime di Assad, e che li avevano costretti alla fuga in massa in Turchia.

Nella stessa giornata del 15 giugno, peraltro, mentre una nuova cittadina della Siria nord-occidentale, Marrat an Numan, sembrava divenire obbiettivo delle forze corazzate siriane, veniva lanciata da civili siriani filogovernativi un'iniziativa per il boicottaggio dei prodotti turchi. La tensione con la Turchia ha poi raggiunto l'acme quando il 23 giugno blindati siriani sono giunti a poche centinaia di metri dal confine turco, sospingendo alcune centinaia di profughi siriani in una precipitosa fuga oltre la frontiera, nell'apparente intento di chiudere la strada verso la Turchia. La manovra ha ovviamente allarmato i turchi, fino al punto da provocare la convocazione dell'ambasciatore siriano ad Ankara da parte del Ministero degli esteri turco, il cui titolare Davutoglu aveva in precedenza chiamato il collega siriano Muallim.

Parallelamente alle tensioni con la Turchia la Siria si è trovata in sempre maggiore difficoltà anche nei confronti dell'Unione europea, che il 23 giugno 2011 ha deciso di varare con effetto immediato un terzo pacchetto di sanzioni contro società ed esponenti siriani, includendovi anche tre alti ufficiali dell'Iran, che avrebbero collaborato con il regime di Assad nella violenta repressione delle proteste sinora attuata. Intuendo la direzione di marcia di Bruxelles, il ministro degli esteri di Damasco Muallim il giorno precedente aveva accusato l'Europa di avere intenzione di seminare il caos e la rivolta a base confessionale in Siria, e che pertanto Damasco avrebbe radicalmente modificato i propri orizzonti diplomatici, volgendosi a Oriente.

Più in generale è cresciuto l'isolamento internazionale del regime di Assad, e mentre il governo britannico invitava i connazionali a lasciare immediatamente il paese, il Segretario di Stato USA Hillary Clinton affermava che il presidente siriano non aveva ormai più alcuna possibilità di accreditarsi come riformatore, dopo a gravissima repressione messa in atto negli ultimi tre mesi contro le proteste del paese.

Il 20 giugno peraltro, dopo due mesi di silenzio, lo stesso Assad ha tenuto un discorso di un'ora trasmesso in diretta tv, con argomentazioni non dissimili da quelle usate in precedenza, tornando a promettere con una certa genericità riforme politiche, ma soprattutto non menzionando affatto gli oltre 1.300 siriani vittime della repressione durante le proteste degli ultimi tre mesi. Nel discorso di Assad, ad esempio, è stato demandato al prossimo Parlamento, da eleggere in agosto, l'eventuale emendamento della Costituzione per porre fine, come richiesto da gran parte dei manifestanti, alla supremazia politica del partito Baath, al potere dal 1963. Il ritardo nel processo di elaborazione di una nuova legge elettorale, come fatto notare da alcuni dissidenti, farà sì tuttavia che in agosto si voterà con la legge attuale, per la quale il partito Baath e i partiti ad esso collegati otterranno d'ufficio la maggioranza dei seggi.

Le reazioni al discorso di Assad sono state comprensibilmente negative: il Ministro degli esteri italiano ha ravvisato nei toni usati dal presidente siriano forti analogie con le argomentazioni di Gheddafi quando iniziava la violenta repressione in Libia, mentre il suo omologo transalpino ha condiviso il giudizio di Hillary Clinton sull'irreversibilità del discredito internazionale della figura di Assad.

Il 21 giugno, ancora una volta, il regime siriano ha mostrato la sua ambiguità, decretando la seconda amnistia generale nel giro di tre settimane, nelle stesse ore in cui non meno di sette dimostranti contro il regime sono stati uccisi in diversi luoghi del paese. Va peraltro ricordato che attivisti per i diritti umani hanno denunciato che la precedente amnistia avrebbe condotto alla liberazione di alcune centinaia di detenuti politici, mentre più di duemila sono rimasti in carcere. Per di più, pare che la nuova amnistia riguardi anche un gran numero di criminali comuni, che gli attivisti della protesta asseriscono esser stati coinvolti nella repressione accanto alle forze di sicurezza governative.

Il 24 giugno decine di migliaia di manifestanti sono tornati nelle strade di tutta la Siria nell’ennesimo venerdì di protesta, mentre in Turchia si allestiva la sesta tendopoli per i profughi siriani, ormai giunti al numero di 12.000 a seguito dell'avanzata delle forze corazzate siriane verso il confine turco. Piccoli gruppi di profughi hanno raggiunto anche il territorio libanese, provenendo dalla regione di Homs. Una spia delle difficoltà in cui comunque si dibatte il regime siriano sarebbe stata fornita dal suo alleato libanese, il movimento sciita Hizbullah, che avrebbe deciso di trasferire in Libano armi e missili custoditi finora proprio in Siria.

Infine, il 27 giugno si è tenuta in un hotel di Damasco una riunione di dissidenti e intellettuali siriani, durante la quale sono emersi diversi approcci alla questione del superamento dell'attuale regime siriano. La riunione ha destato peraltro numerose critiche in patria e all'estero, soprattutto dalle frange più radicali, che rifiutano ormai ogni prospettiva di dialogo con il regime di Assad, il quale avrebbe tollerato l'incontro dei dissidenti a Damasco allo scopo di riaccreditarsi almeno parzialmente come riformatore, togliendo così mordente anche alla forza della contestazione di piazza.

Questa visione appare realistica, se si pensa anzitutto che l'albergo dove si è svolta la riunione appartiene a un cugino del presidente Assad, e se si considera altresì che una delegazione del Congresso statunitense è stata ricevuta dal presidente siriano, che ha confermato per il 10 luglio l'apertura della fase consultiva del dialogo nazionale più volte preannunciato, delle cui discussioni potrà far parte anche la questione dell'eventuale abolizione della supremazia del partito Baath.

 

1° luglio - 1° agosto 2011

Il 1º luglio si è avuto il sedicesimo venerdì consecutivo di manifestazioni di protesta per le strade di quasi tutta la Siria, con un particolare fortissimo concentramento nella città di Hama, dove circa 400.000 manifestanti hanno tra l'altro festeggiato una sorta di vittoria per il ritiro dell'esercito avvenuto all’inizio di giugno. Al termine della giornata si contavano in tutto il paese almeno 30 vittime, mentre negli accenti dei manifestanti non è sembrato trovare accoglimento il documento redatto dei giorni precedenti da alcuni oppositori e dissidenti, e diffuso nella giornata del 1º luglio dal quotidiano britannico The Guardian. Il documento, che a differenza della maggioranza dei manifestanti non chiede le dimissioni di Assad, prevede che il presidente garantisca una transizione pacifica mediante un più forte controllo sull’operato delle forze di sicurezza e lo smantellamento delle milizie lealiste, quali prodromi per approdare al diritto di libera manifestazione pacifica, di libertà di stampa e di elezione di un  Parlamento provvisorio.

Le speranze dei manifestanti confluiti a Hama sono state amaramente deluse già il 5 luglio, quando dopo 48 ore di inutile resistenza le forze di sicurezza governative e le milizie lealiste hanno nuovamente occupato il centro della città, uccidendo a quanto pare più di dieci dimostranti. In tal modo, il regime siriano ha dimostrato l’interesse strategico e simbolico che conferisce alla città, da sempre roccaforte della resistenza musulmana sunnita contro il predominio della minoranza alawita cui appartengono lo stesso presidente Assad  e gran parte dei membri del suo clan.

Frattanto, mentre il numero dei manifestanti uccisi a Hama raddoppiava, il 6 luglio Amnesty international ha chiesto ufficialmente all’ONU di dar vita ad un'inchiesta sulla repressione del regime siriano nella città di Tail Kalakh, nei pressi del confine libanese, ove vi sarebbero le prove di numerosi casi di torture, arresti arbitrari e morti in stato di detenzione. Secondo Amnesty international il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe spingersi a deferire la situazione siriana al procuratore della Corte penale internazionale, in quanto il comportamento del regime di Damasco avrebbe comportato la commissione di crimini contro l’umanità.

Il nuovo venerdì di protesta dell'8 luglio ha visto ancora una volta un duro confronto tra i manifestanti in tutta la Siria e le forze di sicurezza, il cui intervento avrebbe provocato almeno 16 vittime. Anche nella città di Hama, nonostante il rinnovato assalto delle forze armate e delle milizie filogovernative, le manifestazioni sono stati imponenti: qui tuttavia il fatto più eclatante è stata la presenza  tra i manifestanti dell'ambasciatore statunitense Robert Ford, il quale si è recato a Hama nell’intento dichiarato di stabilire contatti con l’opposizione di piazza e verificare la fondatezza o meno della qualificazione, da parte del regime, dei manifestanti alla stregua di oppositori armati e terroristi.

Anche l'ambasciatore francese Chevallier si è recato nella città per testimoniare l'impegno di Parigi a fianco delle vittime della dura repressione. L’iniziativa dei diplomatici americano e francese ha provocato una dura reazione delle autorità di Damasco, che hanno accusato soprattutto Washington di voler fomentare un’insurrezione tramite il comportamento del proprio rappresentante in loco, il cui ruolo sarebbe stato appunto dimostrato dalla presenza nella città di Hama. A breve giro di ore manifestanti filogovernativi e milizie lealiste hanno dato l’assalto alle ambasciate di Washington e Parigi a Damasco: il segretario di Stato Hillary Clinton ha sostenuto che il regime di Assad ha perso ogni legittimità, non mantenendo le sue promesse di riforme e attuando una feroce repressione di ogni dissenso. La gravità degli attacchi alle due ambasciate occidentali ha convinto il Ministro della difesa francese Longuet a richiedere l'intervento urgente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Intanto il regime siriano, tra il 10 e l’11 luglio, ha tentato di rilanciare il dialogo nazionale in precedenza prospettato, dando vita a una riunione a Damasco con la partecipazione di membri del partito Baath e di esponenti “indipendenti” della società civile: l'appuntamento è stato tuttavia disertato dalle opposizioni, che hanno ritenuto impossibile l’avvio di ogni dialogo in presenza dell'occupazione militare di molte città del paese e della detenzione di avversari politici e pacifici manifestanti, rispetto ai quali le opposizioni hanno chiesto anche l'apertura di un'inchiesta sulle responsabilità delle violenze e dei crimini nei loro confronti messi in atto.

Il 15 luglio ha visto una nuova grande ondata di contestazione in tutta la Siria, in occasione ancora una volta del venerdì: stavolta il maggior numero di vittime della repressione (27) si sono avute nella capitale e nei suoi dintorni, ma il totale ha superato la cifra di quaranta morti. Le opposizioni hanno annullato una Conferenza di salvezza nazionale organizzata per il giorno successivo a Damasco, mentre il regime è tornato ad accusare una cospirazione internazionale ordita ai danni della Siria, attribuendo a bande di uomini armati e mascherati la responsabilità dell'uccisione di civili e di appartenenti alle forze di sicurezza.

Il 16 luglio si è tenuta a Istanbul una riunione di oltre 300 dissidenti siriani in esilio, che ha registrato peraltro parecchie dissonanze. Una delle ipotesi più rilevanti emersa nel fronte antiregime è stata quella della possibilità di dar vita a un governo ombra composto in maggioranza da esponenti operanti all'interno del paese e da una minoranza di esponenti degli ambienti dell'esilio. Alcuni dei partecipanti alla riunione hanno anche ipotizzato la messa in atto di momenti di disobbedienza civile contro il regime di Assad, causando danni economici o addirittura una vera e propria paralisi del paese, piuttosto che impegnare uno scontro frontale con le forze di sicurezza che appare suicida.

Il 25 luglio l'agenzia ufficiale del regime siriano (la Sana) ha dato notizia dell'approvazione di una legge per un sistema multipartitico controllato, che si inserisce nei tentativi del regime di accreditarsi come riformista, avendo già in precedenza messo fine allo stato di emergenza in vigore dal 1963, e avendo successivamente concesso un'amnistia per centinaia di prigionieri politici, inclusi appartenenti ai Fratelli musulmani, da sempre sono considerati il pericolo numero uno per Assad e la sua élite di potere alawita. Nulla invece sarebbe stato deciso con riferimento all'articolo 8 della Costituzione che l’opposizione vorrebbe vedere abrogato, poiché esso sancisce il monopolio politico del Partito Baath al potere. In ogni modo, il testo della nuova legge prevede che per ogni nuovo partito il permesso di costituirsi sia accordato da un comitato, il quale controllerà di non ammettere alla vita politica formazioni costruite su basi religiose o tribali - tale previsione potrebbe effettivamente costituire una forma di rassicurazione per gli USA e l'Europa, ma anche, soprattutto, per Israele, che pur non coltivando sentimenti amichevoli verso il regime di Assad, può considerarlo tuttavia come una garanzia rispetto a possibili derive etniche o confessionali della Siria. Va comunque registrata, parallelamente a queste aperture, una fitta rete di arresti, probabilmente per prevenire ulteriori manifestazioni in occasione dell'imminente inizio del Ramadan, che renderebbe tutto più difficile per il regime, potenziando le capacità di mobilitazione delle opposizioni. Al proposito, dopo pochi giorni, l’organizzazione non governativa Avaaz ha asserito che dall’inizio delle proteste nel paese (metà di marzo) sarebbero scomparse nel nulla circa tremila persone, oltre ai 12.600 arrestati e a più di 1.600 vittime della repressione. Nell’ultima settimana soltanto gli arresti avrebbero riguardato un migliaio di persone.

La poca credibilità delle mosse del regime siriano è stata confermata dalla decisione del Qatar, per lunghi anni solido alleato di Damasco, di sospendere le attività della propria ambasciata nella capitale siriana.

L'attenzione internazionale è stata in modo clamoroso nuovamente attratta dalla situazione in Siria il 31 luglio, quando carri armati dell'esercito entrati nella città di Hama hanno compiuto un massacro,  provocando un centinaio di morti, mentre altri atti di repressione ne provocavano almeno trenta in altre città. L'azione aggressiva ad Hama è stata accompagnata dalla consueta interruzione dell'erogazione di acqua ed elettricità. Ondate di protesta si sono immediatamente diffuse in tutto il paese, mentre una condanna pressoché unanime dei massacri è emersa a livello internazionale. In particolare, il Ministro degli Esteri Franco Frattini ha chiesto con urgenza una convocazione del Consiglio di sicurezza dell'ONU e una riunione degli ambasciatori europei a Damasco. Negli Stati Uniti il presidente Obama ha auspicato il definitivo isolamento internazionale di Assad, il quale, secondo il presidente del Parlamento europeo, dovrebbe ormai lasciare senza indugio il potere.

Per tutta risposta, il regime siriano non ha interrotto repressione ad Hama nemmeno il primo giorno del Ramadan (1° agosto), provocando nella città almeno sei vittime e protraendo i bombardamenti sino a tarda sera.  Di fronte all'ostinazione di Assad l’Unione europea ha imposto il quarto round di sanzioni contro il regime siriano, portando a 35 i componenti dell’elenco di suoi esponenti colpiti nei loro beni e nei loro spostamenti nel territorio dell'Unione europea. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è stato inoltre convocato in seduta straordinaria proprio per una discussione della situazione siriana.