Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Le risorse energetiche in Libia
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 212
Data: 23/03/2011
Descrittori:
ENERGIA   LIBIA
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari

 

 

23 marzo 2011

 

n. 212/0

 

Le risorse energetiche della Libia


 


Petrolio

Libya's oil exports by destination
La Libia è membro dell’OPEC (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio) e l’economia del paese è per gran parte sostenuta dall’esportazione di idrocarburi (esporta il 90% circa della sua produzione ed è il 12° più grande esportatore mondiale). Secondo il FMI, nel 2010 i guadagni provenienti dalle esportazioni sono attribuibili per il 95% al settore degli idrocarburi. Le riserve petrolifere libiche sono le più ricche rispetto a quelle degli altri paesi africani produttori di petrolio (Nigeria e Algeria si collocano al 2° e 3° posto), ma molti analisti concordano nel dire che molti giacimenti debbano ancora venire alla luce. Oil and Gas Journal (OGJ) stima che la Libia possedeva, a gennaio 2011, riserve pari a 46,4 miliardi di barili di petrolio. La produzione di greggio nel 2010 era di circa 1,65 milioni di barili al giorno, circa 150.000 barili al di sotto delle capacità, ma comunque al di sopra della quota fissata dall’OPEC, che corrisponde attualmente a 1,47 milioni di barili al giorno. Il consumo interno assomma a circa 270.000 barili al giorno (dati 2010) mentre le esportazioni totali (comprensive di tutti i prodotti liquidi), sono di poco al disopra degli 1,5 milioni di barili al giorno.

Come dimostra il grafico, la gran parte del petrolio libico esportato, è diretto a paesi europei, primo fra tutti l’Italia. Le importazioni di petrolio libico da parte degli USA sono aumentate a partire dal 2004, dopo l’eliminazione delle sanzioni nei confronti di quel paese.

L’80 per cento dei pozzi finora scoperti si trova nel bacino della Sirte; secondo Wood Mackenzie i due terzi circa della produzione proviene infatti da quella zona, il 25 per cento dal bacino di Murzuq, mentre il restante viene estratto da un giacimento nel mare al largo di Tripoli (Pelagian Shelf Basin).

Il petrolio libico è generalmente leggero, ad alto API[1] gravity, la scala che ne classifica il grado di densità. Generalmente, il greggio più leggero e dolce viene venduto ai paesi europei, mentre quello più pesante viene acquistato dai paesi asiatici.

Sempre secondo Oil and Gas Journal, la Libia possiede cinque raffinerie:

1) Ras Lanuf, nel Golfo della Sirte, con una capacità di raffinare 220 mila barili di greggio al giorno;

2) Az Zawiya, situata nel nordovest del paese, 120mila barili di greggio al giorno;

3) Tobruk 20 mila barili di greggio al giorno;

4) Sarir, 10mila barili di greggio al giorno;

5) Brega, 8 mila barili di greggio al giorno.

Complessivamen-te, la capacità di raffinazione del greggio assomma a circa 378mila barili al giorno.

La maggior parte delle grandi compagnie petrolifere mondiali ha impianti produttivi in Libia. L'Eni è il maggiore investitore singolo e si stima che gli asset libici della compagnia italiana si aggirino intorno ai 6,8 miliardi di dollari, una cifra equivalente al 7% del suo portafoglio totale. Sono presenti anche altri investitori internazionali: la spagnola Repsol, la francese Total, la tedesca Winstershall (della Basf) e l'austriaca Omv. Gli asset di questi grandi produttori, escluso Repsol, sono situati in maniera preponderante nel bacino della Sirte.

 

Gas

La Libia è il terzo fornitore di gas naturale dell’Italia, che acquista da quel paese il 12,5% circa del proprio fabbisogno.

Il 23 febbraio si è riunito il Comitato d'emergenza e monitoraggio del sistema del gas, presieduto dal ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani e dal sottosegretario Stefano Saglia, per valutare possibili scenari ed eventuali azioni in considerazione della sospensione delle forniture dalla Libia, attraverso il gasdotto Greenstream che va da Melitah a Gela in Sicilia.

In considerazione di un utilizzo strettamente correlato al riscaldamento, il Comitato ha valutato sia i consumi in caso di freddo normale, sia quelli in caso di freddo eccezionale e, sulla base della quantità delle scorte, non ha ritenuto di dover adottare misure aggiuntive.

Il ministro ha dichiarato che al momento sono ancora disponibili scorte di oltre 3,8 miliardi di metri cubi, a cui si aggiungono i 5,1 miliardi dello strategico (ossia dello stoccaggio per le situazioni di emergenza) sufficienti per far fronte alla situazione. Anche l’amministratore delegato di Eni, Scaroni, ha affermato che le scorte di gas saranno sufficienti fino al prossimo inverno.

In un’intervista successiva (2 marzo) il ministro Romani ha assicurato che il  prezzo del gas non aumenterà in conseguenza della crisi libica aggiungendo che la fornitura di gas libico è già stata compensata.

Il gasdotto Greenstream invia in Italia a pieno regime 9,4 miliardi di metri cubi di gas ed è in fase di potenziamento. A causa della sua chiusura, tuttavia, potrebbero diventare cruciali gli altri produttori: nel 2010 la Russia ha fornito all’Italia 24,8 miliardi di metri cubi, l'Algeria 26 miliardi di metri cubi (via gasdotto e nave), l’Olanda e la Norvegia 13 miliardi complessivi.

La Libia rappresenta la maggiore fonte di approvvigionamento di petrolio e di gas di Eni che, nel 2008, ha firmato con quel paese accordi di esplorazione e di produzione per un valore di 28 miliardi di euro. Eni ha continuato a pompare gas per le centrali energetiche intorno a Tripoli fino al 17 marzo quando l’Onu ha adottato la risoluzione 1973 per l’imposizione della no-fly zone sui cieli libici.

Sebbene la Libia rappresenti un partner energetico privilegiato per l’Italia – che per questa ragione subirà nel breve periodo gli effetti negativi della crisi - questi dovrebbero essere compensati dalla fluidità del mercato del petrolio e dall’eccesso di offerta e dalla quantità di scorte di gas naturale possedute dal nostro paese.

Ancora il 15 marzo il ministro Romani ha sostenuto che per quanto riguarda il gas “dalla Libia non arriveranno effetti sulle bollette nel breve periodo” mentre, per quanto riguarda il petrolio, “non possiamo illuderci che non vi siano effetti speculativi sui prezzi del greggio a disposizione”.

Naturalmente queste considerazioni sono soggette ad aggiornamenti in dipendenza dall’andamento delle operazioni militari in corso. Nell’ipotesi peggiore, quella di una prolungata instabilità del paese [2], le conseguenze si prospettano molto negative sia per l’Eni – che vedrebbe congelati i propri contratti – sia per l’Italia che dovrebbe trovare nuove fonti di approvvigionamento. E sarebbe l’approvvigionamento del gas a destare la maggiore preoccupazione, data la necessità, se questo provenisse da nuovi fornitori,  di dotarsi anche di nuove infrastrutture (gasdotti o rigassificatori) per riceverlo e renderlo utilizzabile.

Il 21 marzo si è riunito a Bruxelles un vertice straordinario dei ministri dell’energia per discutere, fra l’altro, del paventato aumento dei prezzi del petrolio e di altre materie prime, dovuto sia all’arresto delle forniture dalla Libia sia all'aumento della domanda da parte del Giappone il cui sistema nucleare è in piena crisi. Al termine del vertice, tuttavia, il presidente ungherese del Consiglio energia, Tamas Fellegi ha concluso che la crisi libica e l'allarme nucleare in Giappone non hanno per ora provocato conseguenze sul mercato europeo dell'energia e che l’Europa è in grado di far fronte alla situazione facendo ricorso alle scorte e alle forniture disponibili.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(Immagine tratta dal China Sign Post)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonti: agenzie di stampa; United States Energy Information Agency; Wood Mackenzie; Affari Internazionali



Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri

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File: es0725_0.doc



[1]   American Petroleum Institute

[2]   V. l’articolo di Nicolò Sartori, L’Europa verso la diversificazione energetica, pubblicato il 13 marzo sulla rivista online “Affari Internazionali”.