Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: L'OPERATIVITÀ DEL TRATTATO DI AMICIZIA, PARTENARIATO E COOPERAZIONE TRA ITALIA E LIBIA ALLA LUCE DEI RECENTI EVENTI LIBICI
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 213
Data: 23/03/2011
Descrittori:
LIBIA   TRATTATI ED ACCORDI INTERNAZIONALI
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari

 

 

23 marzo 2011

 

n. 213/0

 

L’operatività del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia
alla luce dei recenti eventi libici

Il divampare delle proteste e del conflitto armato interno libico, con, da ultimo, l’intervento armato di una coalizione internazionale per assicurare l’attuazione della risoluzione 1973(2011) del consiglio di sicurezza ONU, ha fatto sorgere in Italia un dibattito sull’opportunità di procedere ad una sospensione o ad una denuncia del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia del 2008. La presente nota intende fornire elementi di valutazione in merito, alla luce del diritto internazionale, come disciplinato dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969 e dalla consuetudini internazionali.

 


Il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia è stato firmato a Bengasi il 30 agosto 2008; l’autorizzazione alla ratifica è giunta con la legge n. 7 del 2009. Il box sottostante riporta in sintesi i contenuti del trattato.

Il contenuto Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia

Il Trattato si compone di un Preambolo e di 23 articoli raggruppati in tre Capi. Il Capo I (artt. 1 – 7) delinea i principi generali. Viene innanzitutto ribadito l’impegno delle Parti ad adempiere sia agli obblighi derivanti dai princìpi e dalle norme del diritto internazionale, sia a quelli inerenti al rispetto dell’ordinamento internazionale nel quadro della comune visione di centralità delle Nazioni Unite (art. 1). Vengono affermati i principi del rispetto dell'uguaglianza sovrana degli Stati (art. 2) e l'impegno a non ricorrere alla minaccia o all'impiego della forza contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica della controparte o a qualunque altra forma incompatibile con la Carta delle Nazioni Unite (art. 3). Le parti si astengono da qualunque forma di ingerenza negli affari interni e esterni della controparte, anche impegnandosi a non usare il proprio territorio in attività ostili verso l’altra parte (art. 4). Viene ribadito l’impegno alla soluzioni pacifica delle eventuali controversie (art. 5) e al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali (art. 6). Le Parti si impegnano inoltre ad adottare iniziative atte alla creazione di uno spazio culturale comune all’interno del quale si possa sviluppare il dialogo tra le due culture (art. 7).

Il Capo II (artt. 8 – 13) contiene disposizioni volte a sanare le situazioni pregresse e i contenziosi ancora in atto. L'art. 8 impegna l’Italia a realizzare in Libia progetti infrastrutturali di base, che dovranno essere individuati sulla base delle proposte avanzate da quest’ultimo Paese. A tal fine viene fissato un limite massimo di spesa complessiva di 5 miliardi di dollari USA, distribuiti in venti anni. I fondi finanziari saranno gestiti dall’Italia, mentre la Libia renderà disponibili i terreni e agevolerà le imprese esecutrici dei lavori. L’art. 9 istituisce una Commissione mista paritetica, costituita da componenti designati dai rispettivi Stati, con il compito di individuare le caratteristiche tecniche dei progetti infrastrutturali di base e di decidere i tempi della loro realizzazione. E’ prevista inoltre, dall’art. 10, la realizzazione da parte dell'Italia di Iniziative speciali tra le quali la costruzione di 200 abitazioni, l'assegnazione di 100 borse di studio universitarie e post-universitarie a studenti libici, la cura di persone colpite dallo scoppio di mine in Libia presso istituti italiani, il ripristino del pagamento delle pensioni di guerra ai titolari libici, e la restituzione di manoscritti e di reperti archeologici trasferiti in Italia in epoca coloniale. Per contro, la Libia si impegna a concedere i visti di ingresso anche ai cittadini italiani espulsi in passato dal proprio territorio, che desiderino entrare nel Paese per motivi di turismo, lavoro, o per altre finalità, nonché a costituire il Fondo Sociale per il finanziamento di alcune delle Iniziative speciali (artt. 11 e 12). Il Fondo, che - dopo lo scioglimento dell’Azienda libico-italiana - verrà costituito unicamente con i contributi già versati ad essa, sarà gestito da un Comitato misto paritetico. L’art. 13, infine, provvede a regolare le pendenze riguardanti crediti di aziende italiane nei confronti della Libia ed eventuali debiti di tali aziende nei confronti del fisco libico, attraverso un negoziato nell’ambito del Comitato crediti.

Il Capo III (artt. 14 – 23) reca la disciplina del nuovo partenariato bilaterale. Per rinsaldare le relazioni bilaterali, già presenti in numerosi settori, le Parti costituiscono un Partenariato bilaterale che si esprimerà attraverso consultazioni politiche su temi bilaterali, regionali e internazionali di reciproco interesse. Il Partenariato prevede, tra l’altro, una riunione annuale del Comitato di partenariato, formato dal Presidente del Consiglio dei ministri italiano e dal Segretario del Comitato Popolare Generale, che si svolgerà alternativamente nei due Paesi. Il Comitato di partenariato adotta i provvedimenti necessari all’attuazione degli impegni previsti dal Trattato (art. 14). L’art. 15 prevede un rafforzamento della cooperazione negli ambiti scientifici, tecnologici, nel campo della medicina e dell’Università, mentre l’art. 16 è volto ad approfondire la cooperazione culturale e i legami di amicizia tra i due Paesi[1]. L’art. 17 prevede la collaborazione economica e industriale, attraverso la realizzazione di progetti di trasferimento di tecnologie, particolarmente nei settori delle opere infrastrutturali, dell'aviazione civile, delle costruzioni navali, del turismo, dell'ambiente, dell'agricoltura e della zootecnia, delle biotecnologie, della pesca e dell'acquacoltura. L’art. 18 promuove la cooperazione in materia energetica, riconoscendo ad essa valore strategico ed attribuendo particolare importanza alle energie rinnovabili. L’art. 19 è volto a rafforzare la collaborazione nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di stupefacenti e all’immigrazione clandestina, come già stabilito dall’accordo del 2000, in vigore dal 22 dicembre 2002. Per contrastare l’immigrazione clandestina, è previsto un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche, che verrà effettuato dalla parte italiana. Il costo dell’operazione sarà per metà a carico dell’Italia e per l’altra metà verrà chiesto il contributo dell’Unione europea, sulla base di precedenti intese tra quest’ultima e la Libia. L’Accordo prevede altresì una collaborazione nel campo della difesa (art. 20) rinviando a successive intese la disciplina dello scambio di esperti e tecnici e quella relativa alla conduzione di manovre congiunte. La collaborazione in questo settore riguarda anche le industrie militari e il sostegno dell’Italia alle vittime dello scoppio di mine e ai territori libici danneggiati. Con l’art. 21 le Parti si impegnano a collaborare nel settore della non proliferazione delle armi di distruzione di massa e del disarmo, particolarmente al fine di ripulire l’area mediterranea dalla presenza di tali armamenti. Il partenariato, infine, è esteso allo sviluppo dei rapporti tra i parlamenti e gli enti locali delle due parti, con l’intendimento di approfondire la reciproca conoscenza (art. 22). L’art. 23, infine, reca le disposizioni finali relative all’entrata in vigore del Trattato e le modalità per le sue eventuali modifiche, possibili previo accordo delle Parti.

 

A seguito dei recenti sviluppi della situazione libica, la sospensione o la denuncia del trattato italo libico è stata richiesta in atti di indirizzo presentati alla Camera da alcuni gruppi parlamentari nelle fasi iniziali della crisi libica.

Sotto il profilo giuridico, occorre rammentare in primo luogo che i trattati sono vincolanti per gli Stati e non per gli organi di rilevanza internazionale dello Stato che li hanno posti in essere. Pertanto il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia vincola i due Paesi e non solo i governanti pro tempore al momento della firma dello stesso.

Ciò premesso, un primo profilo meritevole di interesse concerne la relazione tra gli impegni contenuti nel trattato e l’azione intrapresa dalla comunità internazionale a seguito della repressione intrapresa dal regime libico nei confronti dei propri cittadini. Tale azione ha da ultimo condotto, come è noto, all’adozione della risoluzione n. 1973(2011) del Consiglio di sicurezza dell’ONU e all’avvio di operazioni militari da parte di una coalizione internazionale per la sua implementazione.

Il contenuto della risoluzione è ripreso nel box sottostante.

La risoluzione 1973 (2011) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla crisi libica

La risoluzione è stata approvata il 17 marzo 2011 con 10 voti a favore, nessun contrario e 5 astensioni (Brasile, Cina, Germania, India, Russia). Se ne riportano i punti principali:

- imembri delle Nazioni Unite sono autorizzati a prendere, singolarmente o nel quadro di un’organizzazione o accordo regionale, tutte le misure necessarie per proteggere i civili e le aree popolate sotto minaccia di attacco; è esclusa “l’occupazione sotto qualsiasi forma” di qualsiasi parte del territorio libico (paragrafo 4);

- è autorizzata l’istituzione di una no-fly zonesullo spazio aereo libico in virtù della quale sono banditi tutti i voli ad eccezione di quelli di natura umanitaria o volti all’evacuazione di cittadini stranieri. Anche in questo caso i membri della comunità internazionale sono autorizzati a prendere “tutte le misure necessarie” per raggiungere tale obiettivo (paragrafi 6-8);

- viene posto in capo agli Stati l’obbligo di ispezionare navi e aeromobili nei propri porti e aeroporti allo scopo di verificare il rispetto dell’embargo di armi nei confronti della Libia stabilito dalla precedente risoluzione 1970 (2011)[2] del Consiglio di Sicurezza. Sono autorizzate altresì misure ispettive in alto mare di navi sospettate di trasportare armi o personale mercenario armato, e i relativi Paesi di bandiera sono chiamati alla cooperazione, ferma restando l’autorizzazione ai membri della comunità internazionale di prendere “tutte le misure necessarie” per condurre tali ispezioni (paragrafo 13);

- estensione del congelamento dei beni, già previsto dalla risoluzione 1970 (2011) alle attività di entità finanziarie quali la Libyan National Oil Company e la Libyan Foreign Bank;

- istituzione di un Panel of Experts composto da otto membri, in carica inizialmente per un anno, con funzioni di raccordo informazione, analisi e controllo dell’implementazione delle risoluzioni 1970 (2011) e 1973 (2011).

Alla luce del combinato disposto tra il contenuto del Trattato e le caratteristiche dell’azione intrapresa dalla comunità internazionale, appare potersi desumere che la partecipazione dell’Italia a tale azione e all’attuazione delle decisioni ONU non rappresenterebbe una violazione del trattato italo-libico e, in particolare, delle norme introdotte dagli articoli 3 e 4, relative, rispettivamente, al divieto di impiego della forza tra le parti e al divieto di ingerenza negli affari interni, nella misura in cui tali norme risultassero subordinate al rispetto dei principi del diritto internazionale consuetudinario e della Carta delle Nazioni Unite.

Si ricorda infatti che la risoluzione 1973(2011) ha autorizzato, tra le altre cose, gli Stati membri ad adottare tutte le misure necessarie, ivi comprese, quindi, quelle militari, ai fini della protezione della popolazione civile libica, qualificando la situazione libica come minaccia alla pace internazionale e quindi agendo ai sensi del Capo VII della Carta ONU. In proposito si ricorda che le azioni a tutela della pace ai sensi del Capo VII della Carta rappresentano un caso di azione legittima della forza nei rapporti internazionali in deroga al divieto di uso della forza nei rapporti internazionali di cui all’articolo 2, paragrafo 4, della Carta ONU (norma che ha assunto nel diritto internazionale valore consuetudinario).

In questo quadro, pur non potendosi del tutto escludere una lettura diversa, l’interpretazione di una subordinazione delle disposizioni del Trattato ai principi del diritto internazionale consuetudinario e della Carta ONU si potrebbe desumere dal contenuto letterale del trattato nella misura in cui lo stesso appare limitare, all’art. 3, il divieto di ricorrere alla forza contro l’integrità territoriale di una delle parti alle forme di uso della forza “incompatibili con la Carta delle Nazioni Unite”, ovvero richiama, all’articolo 4, il rispetto dei principi della legalità internazionale[3]

 Si ricorda che l’articolo 3 del Trattato recita: “Le parti si impegnano a non ricorrere alla minaccia o all’impiego della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica dell’altra parte o a qualunque altra forma incompatibile con la Carta delle Nazioni Unite”.

L’articolo 4 invece recita, al paragrafo 1, che “Le parti si astengono da qualunque forma di ingerenza diretta o indiretta negli affari interni o esterni che rientrino nella giurisdizione dell’altra Parte, attenendosi allo spirito  di buon vicinato” e, al paragrafo 2 che: “Nel rispetto dei principi della legalità internazionale, l’Italia non userà, né permetterà l’uso dei propri territori in qualunque atto ostile contro la Libia e la Libia non userà, né permetterà l’uso dei propri territori in qualunque atto ostile contro l’Italia”.

 

Si ricorda inoltre che, in base all’articolo 103 della Carta delle Nazioni Unite, gli obblighi derivanti dalla Carta prevalgono comunque per gli Stati membri sugli obblighi dagli stessi assunti in base a qualsiasi altro accordo internazionale.

Secondo profilo meritevole di attenzione attiene alle possibilità giuridiche di attivazione di una denuncia ovvero di una sospensione del Trattato.

Al riguardo, si ricorda che sia l’Italia che la Libia hanno sottoscritto e ratificato la Convenzione internazionale per il diritto dei Trattati, che disciplina la materia, stipulata a Vienna nel 1969, nell’ambito della Commissione del diritto internazionale dell’ONU e sotto la presidenza di un giurista italiano, Roberto Ago.

Alla Convenzione, già ratificata dall’Italia nel 1974[4], la Libia ha aderito il 22 dicembre 2008 (prima dell’entrata in vigore del Trattato di amicizia, risalente al 2 marzo 2009): l’Accordo di Bengasi è pertanto disciplinato dalle norme in materia di diritto dei trattati introdotte dalla  Convenzione di Vienna.

In proposito nel box sottostante sono indicati I principi e le procedure previste dalla Convenzione di Vienna in materia di denuncia e sospensione dei Trattati.

La denuncia e la sospensione dei trattati ai sensi della Convenzione internazionale dei diritto dei trattati di Vienna

L’articolo 56 della Convenzione di Vienna prevede che un trattato che non contenga disposizioni relative alla sua estinzione e che non preveda la denuncia o il recesso non è soggetto a denuncia o recesso a meno che
(a
) sia accertato che le parti avessero intenzione di ammettere la possibilità di denuncia o di recesso, o
(b) un diritto di denuncia o di recesso possa essere dedotto dalla natura del trattato.

L’intenzione di denunciare o ritirarsi da un trattato deve essere notificata da una parte all’altra con almeno dodici mesi di anticipo.

L’art. 60 della Convenzione prevede che una violazione sostanziale di un trattato bilaterale ad opera di una delle parti legittimi l'altra ad invocare la violazione come motivo di estinzione del trattato o di sospensione totale o parziale della sua applicazione. Lo stesso articolo precisa che per “violazione sostanziale” di un trattato si intende un ripudio del trattato non autorizzato della presente Convenzione; oppure  la violazione di una disposizione essenziale per la realizzazione dell'oggetto o dello scopo del trattato.

Si segnala che la Convenzione detta un’articolata procedura per far valere l’estinzione di un trattato (Parte V, Nullità, estinzione e sospensione dell’applicazione dei trattati, sez. 4, Procedura, artt. 65-68della Convenzione).

In particolare, la procedura prevede che:

§       la parte che invochi sia un vizio del suo consenso ad essere vincolato ad un trattato, sia un motivo per contestarne la validità o per sostenere l'estinzione del trattato, il recesso da esso o la sospensione della sua applicazione, deve notificare la sua pretesa alle altri parti;

§       se, dopo un periodo che, salvo i casi di particolare urgenza, non sarà inferiore ai tre mesi a partire dal ricevimento della notifica, nessuna parte fa obiezioni, la parte che ha proceduto alla notifica può adottare la misura proposta;

§       se però è stata sollevata un’obiezione da un'altra parte, le parti dovranno ricercare una soluzione attraverso i mezzi di risoluzione pacifica delle controversie indicati dall'articolo 33 della Carta delle Nazioni Unite;

§       se, nei dodici mesi seguenti alla data in cui l'obiezione è stata sollevata, non è stato possibile pervenire ad una soluzione pacifica della controversia si adotteranno le seguenti procedure:

o        ogni parte di una controversia, può, con una sua richiesta, sottoporre la controversia alla decisione della Corte internazionale di giustizia, a meno che le parti non decidano di comune accordo di sottoporre la controversia ad arbitrato;

o        ogni parte di una controversia può mettere in opera la procedura indicata nell'Allegato alla Convenzione indirizzando a questo effetto una domanda al Segretario delle Nazioni Unite.

 

Tra le cause di estinzione o di sospensione del trattato può essere anche l’impossibilità di esecuzione.

Anche il mutamento fondamentale delle circostanze (clausola rebus sic stantibus)può rappresentare al contempo causa di sospensione ed estinzione di un trattato.

Al riguardo, si ricorda che il trattato italo-libico non contempla né l’ipotesi delladenuncianéla possibilità di una suasospensione. Perché si possa quindi procedere in tal senso andrebbero valutate:

a)       la possibilità di desumere dalla volontà delle parti o dalla natura dell’atto il diritto di denuncia o di recesso di una delle parti;

b)      la possibilità di accertare, ai fini dell’avvio ad iniziativa di una delle parti della procedura di sospensione, una “violazione sostanziale” del Trattato, vale a dire la “violazione di una disposizione essenziale per la realizzazione dell’oggetto o dello scopo del Trattato”

In proposito, si ricorda che già la prima risoluzione del Consiglio di sicurezza ONU sulla crisi libica, la n. 1970(2011) ha deplorato le “gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani […] compiute dal governo libico”. La verifica di questa situazione di fatto potrebbe risultare in contrasto con l’articolo 6 del Trattato italo libico che indica che le parti “di comune accordo, agiscono conformemente alle rispettive legislazioni, agli obiettivi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo”. Ove si accedesse a tale interpretazione, andrebbe quindi dimostrato, ai fini dell’attivazione di un’eventuale procedura di sospensione, che la violazione di tale articolo rappresenti una “violazione sostanziale” come sopra definita[5].

c)       la possibilità di accertare un mutamento fondamentale delle circostanze.

In proposito si segnala che parte della dottrina internazionalistica individua nella situazione di guerra, ovvero di conflitto armato internazionale, una causa di sospensione dei trattati tra le parti coinvolte[6], nella misura in cui la situazione di conflitto determini un mutamento fondamentale delle circostanze. In tal senso, qualificando l’azione militare in corso come “conflitto armato internazionale” (come appare potersi desumere dalla situazione, anche ai fini dell’applicazione alle parti del diritto umanitario internazionale, e fermo restando che, dal punto di vista dello Jus ad Bellum, si tratta di un uso legittimo della forza ai sensi del diritto internazionale), si potrebbe ipotizzare la sospensione del trattato[7].

 



 


 

 

 

 

 

 

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File: es0723_0.doc


 



[1] Al proposito si ricorda che è in vigore dal 30 maggio 2007 un Accordo di cooperazione culturale, scientifica e tecnologica firmato da Italia e Libia il 5 giugno 2003.

[2] Del 26 febbraio 2011.

[3] In tal senso cfr. anche N. Ronzitti, Che fare del Trattato con la Libia in www.affarinternazionali.it (1° marzo 2011)

[4] Legge 12 febbraio 1974, n. 112.

[5] Così anche N. Ronzitti, cit.

[6] Così, B. Conforti, Diritto internazionale, Napoli, Edizioni scientifiche italiane 1997.

[7] Così anche N. Ronzitti, Intervento in Libia, cosa è permesso e cosa no, in www.affarinternazionali.it (20 marzo 2011)