Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari esteri | ||||
Titolo: | Approfondimenti sulla crisi politica in Nord Africa e Medio Oriente - La crisi del partenariato euromediterraneo | ||||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 220 Progressivo: 4 | ||||
Data: | 13/04/2011 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | III-Affari esteri e comunitari | ||||
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Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
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Documentazione e ricerche |
Approfondimenti sulla crisi politica in Nord Africa e Medio Oriente
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La crisi del partenariato euromediterraneo |
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n. 220/4 |
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13 aprile 2011 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri ( 066760-4939 – * st_affari_esteri@camera.it |
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File: es0722d.doc |
INDICE
Pubblicistica
§ Richard Youngs e Traugott Schoefthaler ‘The Euro-Mediterranean Partnership – Success or Failure?’, Autunno 2006
§ Rosa Balfour ‘Shoring up the EU’s Mediterranean policy: where next?’ www.epc.eu
§ José Ignacio Torreblanca, ‘Mediterranean Union – rhetoric v. reality’ El Pais,14 luglio 2008
§ ‘L’evoluzione del partenariato euromediterraneo dalla dichiarazione di Barcellona del 1995 al Summit di Parigi del 2008 e le politiche europee in campo marittimo: il ruolo chiave della sorveglianza degli spazi marittimi e l’importanza della cooperazione’, Ricerca CEMISS 2009
§ Roberto Aliboni e Fouad M. Ammor, ‘Under the Shadow of ‘Barcelona’: From the EMP to the Union for the Mediterranean’, EuroMESCO Paper, gennaio 2009
§ Battistina Cugusi ‘Unione per il Mediterraneo: perfezionamento o svuotamento di un disegno politico?’ CeSPI, febbraio 2009
§ ’Sarkozy’s Mediterranean Union on Hold’, europafrica.net, 16 marzo 2009
§ Caterina Pikiz Gattinoni ’Europa: La crisi da sud’ , Limes online, settembre 2009
§ Kristina Kausch e Richard Youngs, ‘The end of the ‘Euro-Mediterranean vision’, in International Affairs, Oxford settembre 2009
§ Roberto Aliboni, ‘L’Unione per il Mediterraneo – Evoluzione e prospettive’, Istituto Affari Internazionali, dicembre 2009
§ Paul James Cardwll ‘EuroMed, European Neighbourhood Policy and the Union for the Mediterranean: Overlapping Policy Frames in the EU’,s Governance of the Mediterranean’, Journal of Common Market Studies, Volume 49, n. 2
§ Fabrizio Tassinari e Ulla Holm, ‘Values Promotion and Security Management in Euro-Mediterranean Relations: ‘Making Democracy Work’ or ‘Good-Enough Governance’?’, DIIS Working Paper 2010
§ ‘Europa: bilancio dell’Unione per il Mediterraneo’, Equilibri 8 giugno 2010
§ Roberto Aliboni ‘New as it is, the Mediterranean Union needs an overhaul’, estate 2010
§ Valeria Talbot ‘La crisi dell’UpM e il futuro della cooperazione euro-mediterranea’, ISPI Commentary, 7 luglio 2010
§ Roberto Aliboni, ‘The state of play of the Union for the Mediterranean in the Euro-Med Context’, Istituto Affari Internazionali, settembre 2010
§ Maria Cristina Paciello ‘The impact of the Economic crisis on Euro-Mediterranean Relations’ The International Spectator, 22 settembre 2010
§ Joseph Borrel Fontelles, ‘Yes the Barcelona Process was ‘mission impossible’, but the EU can learn from that’, in www.europesworld.org Autunno 2010
§ Pinar Bilgin e Ali Bilgic ‘Consequences of European Security Practices in the Southern Mediterranean and Policy Implications for the EU’, gennaio 2011
§ Richard Gowan ‘Who lost the eastern Mediterranean?,’ 7 febbraio 2011
§ Risto Veltheim ‘The arab world and Europe – new challenges for the Union for the Mediterranean’, ISS European Union Institute for Security Studies, febbraio 2011
§ ’L’UE e i rapporti con la sponda Sud’, ISPI dossier, 23 febbraio 2011
§ Aa.vv. ‘The Arab democratic wave: how the EU can seize the moment, ISS European Union Institute for Security Studies, Rapporto n° 9, marzo 2011
§ Gino Martinoli ‘Il Medterraneo diventa adulto’, Fondazione Censis, 24 marzo 2011
La fase di crisi apertasi in numerosi paesi del Nord Africa e del Medio Oriente a partire dalle prime settimane del 2001 ha riproposto all’attenzione della comunità internazionale il tema delle relazioni fra i paesi investiti dalla crisi e l’Unione Europea e quello – più ampio - della capacità dell’Unione Europea, come modello di integrazione regionale, di attrarre nella sua orbita anche la cd “sponda sud del Mediterraneo”, attraverso una effettiva capacità di dialogo con le società del Maghreb e del Medio Oriente.
Quanto il bilancio di questo processo di dialogo ed integrazione sia oggi deludente – almeno secondo la grandissima maggioranza degli osservatori - è stato reso più evidente dalla crisi in atto.
Nel presente dossier si riporta una selezione di commenti e documenti ufficiali relativi alla attuale fase del partenariato euromediterraneo, quale elemento essenziale alla lettura degli avvenimenti in corso.
Il Partenariato Euromediterraneo (PEM) è stato lanciato a Barcellona nel 1995 da una conferenza di ministri degli affari esteri dei paesi del bacino del Mediterraneo. E’ noto anche con il nome di “Processo di Barcellona”.
La Dichiarazione di Barcellona, sottoscritta in quell’occasione, gettava le basi per nuove relazioni regionali finalizzate a promuovere la pace, la stabilità e la crescita dei paesi mediterranei. La Dichiarazione prevede la cooperazione in campo politico, economico e sociale (i tre capitoli su cui si fondava il PEM) e fissa l’obiettivo della creazione di un’area di libero scambio entro il 2010.
I paesi partner del Processo di Barcellona fanno ora parte della Politica Europea di Vicinato, lanciata nel 2004 a seguito dell’allargamento dell’Unione europea che la metteva in contatto con nuovi paesi confinanti.
I paesi non UE che fanno parte del Partenariato Euromed sono Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Territori Palestinesi, Siria, Tunisia, Albania e Mauritania. La Libia ha lo status di osservatore.
Il Processo di Barcellona era considerato - già all’avvio del cd “riesame”, nel 2005 - se non proprio fallimentare, sicuramente molto insoddisfacente, poiché non era riuscito a portare a termine gli obiettivi per i quali era stato ideato: scarsissimi i risultati prodotti dal partenariato euromed sulla stabilità e sul progresso della democrazia in una regione che lamentava anche croniche difficoltà economiche. Un sintomo della generale delusione, che ha colpito soprattutto i paesi della sponda sud del Mediterraneo, è stata l’assenza dei capi di stato e di governo di questi ultimi paesi[1] al primo Vertice euro mediterraneo (Barcellona 27-28 novembre 2005) che, prendendo spunto dalle celebrazioni per il decennale del PEM, avrebbe dovuto costituire occasione per il suo rilancio.
Sul Vertice ha pesato il conflitto tra arabi e israeliani e la difficoltà di trovare una definizione di “terrorismo” a proposito della quale i paesi arabi hanno chiesto di distinguere tra terrorismo e il “diritto dei popoli alla resistenza contro l'occupazione straniera”, proposta che non ha trovato il consenso di Europa ed Israele. A conclusione del summit è stato comunque approvato un codice di condotta contro il terrorismo (ma è stato fatto rinvio all’ONU per la questione relativa alla sua definizione) che, sulla base di un accordo tra europei, arabi e israeliani su un’agenda comune, sottolineava per la prima volta il comune impegno della lotta al terrorismo in tutte le sue dimensioni.
Numerosi commentatori sulla stampa araba, dopo la conclusione del Vertice, hanno messo in luce la delusione per quello che, a loro parere, si configurava come un allineamento dell’Europa sulle posizioni israeliane. Secondo un’opinione diffusa, inoltre, proprio l’assenza di quasi tutti i leader arabi avrebbe reso impossibile controbilanciare la “preferenza dell’Europa per Israele”[2]. Inoltre, “Ciascuna parte araba ha cercato un rapporto bilaterale con la parte settentrionale del Mediterraneo, che si è risolta in una debolezza dei partner del Sud e di conseguenza del partenariato globale“ e ha preferito il rapporto con gli Stati Uniti[3].
Occorre tuttavia riconoscere che proprio grazie al Processo di Barcellona si sono potute sviluppare più ampie e profonde relazioni bilaterali tra l’Unione europea e un certo numero di paesi della sponda sud del Mediterraneo, grazie alle quali si sono ottenuti avanzamenti in alcune delle aree economiche e culturali oggetto del partenariato.
Al Vertice del 2005 non è stata approvata una dichiarazione comune ma, oltre a concordare un programma quinquennale di lavoro e alla ricordata adozione del codice di condotta nella lotta al terrorismo, è stato aggiunto un quarto capitolo alla partnership, quello riguardante le migrazioni (“migrazioni, integrazione sociale, giustizia e sicurezza”), un tema sollevato con forza da parte italiana.
A distanza di più di cinque anni, tuttavia, l’Europa non si è ancora dotata di una politica comune sull’immigrazione, dovendo scontare su questo punto il disinteresse dei paesi del nord che spesso lasciano soli i paesi mediterranei (Italia in testa) ad affrontare le emergenze in tale campo.
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Non sembra avere avuto finora maggior fortuna l’Unione per il Mediterraneo (UpM), lanciata nel 2008 nel tentativo di dare un nuovo impulso al Processo di Barcellona, come espressamente affermato nella Dichiarazione congiunta adottata dai capi di stato e di governo al meeting di Parigi (13 luglio 2008). L’iniziativa fu fortemente voluta dal presidente francese Sarkozy, allora presidente di turno dell’UE, ma non è mai completamente decollata. La struttura istituzionale dell’UpM è stata decisa qualche mese più tardi (novembre 2008), così come il programma di lavoro per il 2009 e i settori di cooperazione. L’UpM – alle cui riunioni di qualsiasi livello partecipa anche la Lega Araba[4] – è copresieduta da due presidenti, uno appartenente ai paesi UE e l’altro ai paesi non UE.
L’UpM, che riunisce 44 membri [5], nei suoi primi due anni e mezzo di vita ha compiuto scarsi progressi; le cause di questa scarsa vitalità sono riconducibili essenzialmente ai dissidi tra i paesi europei circa la copresidenza e, di nuovo, al permanere del conflitto arabo-israeliano.
Sulla prima questione, va registrato che, su insistenza della Francia (che voleva mantenere la copresidenza dell’UpM anche oltre il suo semestre di presidenza UE) la durata della copresidenza è di due anni, e vede affiancati il copresidente europeo di turno (la Francia, finora) e il presidente di turno dell’Unione europea la cui carica però dura solo sei mesi. Non tutti i paesi membri dell’UE vedevano di buon occhio tale soluzione: la presidenza svedese (secondo semestre 2009), ad esempio, meno malleabile su questo punto di quella ceca che l’aveva preceduta, dopo una iniziale rigidità ha formalizzato con il governo francese una divisione di compiti tale per cui le sedute politiche sarebbero spettate alla presidenza dell’UE e quelle economico-finanziarie alla Francia.
La co-presidenza nord-sud, che avrebbe dovuto passare di mano in occasione del Vertice dei capi di stato e di governo dell’UpM del 2010 è invece ancora detenuta formalmente da Francia ed Egitto[6], a causa del suo ripetuto rinvio. L’impossibilità di tenere il secondo Vertice – che avrebbe dovuto segnare il passaggio dalla fase progettuale a quella operativa – risultava – alla vigilia della grave crisi che agli inizi del 2011 ha investito l’intera area nordafricana e mediorientale - proprio dalla seconda grande questione che paralizza l’attività dell’ UpM: il conflitto israelo-palestinese.
Convocato per il 7 giugno 2010, al termine della presidenza spagnola dell’Unione europea - e rinviato una prima volta - il Vertice è stato nuovamente annullato nel novembre 2010, a causa dello stallo dei colloqui di pace tra israeliani e palestinesi. In una sua dichiarazione, l'ambasciatore della Lega Araba in Francia, Nassif Hitti, aveva espresso la convinzione che finché durerà il conflitto israelo-palestinese sarà difficile riunire il Vertice ”per il fatto che non si può parlare di politica”.
La paralisi dell’UpM è stata denunciata anche dal suo primo Segretario generale, il diplomatico giordano Ahmad Jalaf Masa’deh che il 26 gennaio 2011 ha rassegnato le proprie dimissioni[7] spiegando che il funzionamento dell’Unione è spesso bloccato a causa delle tensioni fra arabi e israeliani e dalla mancanza di fondi per finanziare i progetti operativi.
Rispetto alla precedente esperienza del PEM, l’UpM ha deciso l’abbandono della formula comunitaria, dove il partenariato assumeva quasi la forma di una delle tante politiche dell’UE (i meeting si concludevano non con una dichiarazione congiunta ma con una dichiarazione scritta dal presidente UE), per affidarsi a quella intergovernativa. Se i partner arabi avessero aderito ai principi stabiliti dall’UE nella direzione della creazione di una sorta di comunità euromediterranea, il PEM avrebbe condotto ad una comunità de facto non dissimile da quella dell’Unione europea. Ma questo non è avvenuto per numerose ragioni, una delle quali – forse non la più importante - è senz’altro rappresentata dal fatto che i partner mediterranei non erano posti sullo stesso piano di quelli europei, ma erano sostanzialmente “ospiti”.
L’UpM si è dunque posta come obiettivo, attraverso la trasformazione in organismo a conduzione intergovernativa, di realizzare un bilanciamento dei poteri tra tutti i partner. I risultati prodotti da questo cambiamento, tuttavia, non sono sempre stati favorevoli allo sviluppo dell’UpM, essendo stato il nuovo potere utilizzato ostruzionisticamente dai paesi arabi in senso anti-israeliano[8]. Diversamente da quanto avviene per i paesi balcanici che vedono l’UpM come un’istanza che consentirà loro di rafforzare i rapporti con l’Unione europea, i paesi nordafricani e mediorientali - già soddisfatti della vicinanza garantita dalla politica di vicinato - sembrano utilizzare invece la dimensione multilaterale per tenere sotto controllo le aspirazioni dell’UE a vedere realizzate riforme politiche.
Per fare avanzare la cooperazione tra i paesi UE e quelli mediterranei, l’Unione per il Mediterraneo ha posto l’accento su specifici progetti in settori tecnico-economici (disinquinamento del Mediterraneo, autostrade del mare, trasporti stradali e ferroviari nel Maghreb, energia solare, promozione delle PMI). Tuttavia, come si desume da alcune analisi, la separazione dei piani economico e politico si è dimostrata una strategia irrealistica e non sufficiente a superare il grave ostacolo costituito dal conflitto mediorientale.
Inoltre, gli analisti segnalano l’incertezza sul mandato dell’UpM, che risiede non solo nella poca chiarezza delle disposizioni contenute nei documenti costituzionali (Dichiarazione di Parigi del luglio 2008 e documenti adottati dalla Conferenza di Marsiglia del novembre 2008) ma anche nei dubbi concernenti le competenze rispettivamente assegnate a UpM e UE riguardanti l’eredità del PEM. Si tratta, in particolare, della gestione del terzo capitolo del Processo di Barcellona, quello riguardante il partenariato umano sociale e culturale. Infatti, in questo ambito, che comprende tematiche quali il dialogo interculturale e interreligioso, come anche i diritti delle donne, nell’ambito del PEM era stato possibile organizzare reti – UE e non UE – con lo scopo di discutere liberamente di possibili riforme senza la presenza condizionante dei governi dei paesi del Mediterraneo meridionale e orientale. La nuova identità intergovernativa della struttura pone ora necessariamente l’interrogativo sull’identità del soggetto che potrà assumere la gestione di tali reti.
Le relazioni euro-mediterranee hanno subito un contraccolpo negativo a causa della crisi economica e finanziaria globale. Sebbene per tutto il 2008 i paesi della sponda sud del Mediterraneo fossero rimasti sostanzialmente estranei al diffondersi della crisi finanziaria, a partire dalla fine di quell’anno essa ha iniziato a colpire alcuni settori economici causando un deterioramento degli standard di vita e un aumento delle tensioni sociali in quell’area, nonché, appunto, seri problemi nelle relazioni euro-mediterranee. Sul fronte politico, la crisi finanziaria ha contribuito a indebolire il programma di riforme politiche incluse nell’agenda del PEM e della politica di vicinato, anche se, da questo punto di vista, la situazione appare oggi, alla luce del vasto movimento di protesta che sta percorrendo l’Africa settentrionale e il Medioriente, in ulteriore trasformazione.
Prima degli avvenimenti degli ultimi mesi, sia le classi dirigenti dei paesi della sponda Sud, sia l’Unione europea, erano apparse più riluttanti che nel passato nei confronti di ipotesi di cambiamenti politici nell’area mediterranea, condividendo l’idea che, in presenza di una crisi finanziaria ed economica così preoccupante, tali cambiamenti avrebbero potuto determinare una destabilizzazione della regione[9].
Nonostante alcuni progressi che erano stati acquisiti nella fase più recente in paesi come Egitto, Giordania, Marocco e Tunisia, anche sul piano economico la crisi aveva comunque determinato ritardi, particolarmente per quanto riguarda l’integrazione economica e le riforme economiche.
Per le ragioni poc’anzi ricordate, nessun progetto targato UpM ha mai visto la luce, almeno finora. Gli ostacoli politici hanno portato all’inazione dell’Unione e impedito la realizzazione di uno degli obiettivi fondamentali della cooperazione, quello cioè dello sviluppo di un partenariato pubblico-privato che creasse opportunità di investimento in paesi – quelli nordafricane, soprattutto – dove la disoccupazione tocca livelli elevatissimi ed è causa di instabilità sociale.
E’ troppo presto per dire quale sarà l’impatto che i nuovi assetti che stanno scaturendo dalle proteste nordafricane e mediorientali avranno sui rapporti euro mediterranei. Di certo si può dire che essi saranno condizionati nel lungo periodo dalla natura dei nuovi governi, che vedranno probabilmente la partecipazione di forze islamiste, e che potrebbero tollerare ancora meno che nel passato una cooperazione istituzionalmente definita con Israele. In secondo luogo, gli esiti della crisi saranno determinanti anche sotto un altro aspetto: i rapporti tra le due sponde del Mediterraneo saranno influenzati dalla attrattività dei mercati nordafricano e mediorientale per quei potenziali investitori europei che, finora, hanno preferito dirigere i propri capitali verso l’Asia e l’estremo oriente.
Attraverso l’implementazione di programmi riguardanti le piccole e le medie imprese e degli altri programmi infrastrutturali più sopra ricordati, l’UpM potrebbe costituire un valido strumento per aiutare i paesi mediterranei in transizione.
Sul versante politico, tuttavia, è attraverso la politica europea di vicinato (PEV) che l’Europa può puntare a recuperare un ruolo nel prossimo futuro per sostenere la transizione verso la democrazia in questa area.
La PEV è essenzialmente una politica bilaterale tra l’Unione europea e ciascuno dei partner, ma si realizza anche attraverso iniziative regionali o multilaterali come l’Unione per il Mediterraneo, il Partenariato orientale e la Sinergia del Mar Nero. La PEV non solo ha fra i suoi obiettivi precipui quello di promuovere le riforme, ma ha anche disegnato gli strumenti per facilitarne la realizzazione, tra cui emergono i Programmi Indicativi Nazionali (PIN) che si basano sui Documenti di Strategia Nazionale dei singoli paesi.
Il Rapporto ISS “The Arab democratic wave: how the EU can seize the moment”
Il Rapporto n° 9 “The Arab democratic wave: how the EU can seize the moment” pubblicato dall’”European Union Institute for Securuty Studies” (ISS) sottolinea che, alla luce della nuova situazione che si va delineando in alcuni paesi del nordafrica, i Programmi Indicativi Nazionali riguardanti Tunisia ed Egitto per il periodo 2011-2013 dovrebbero essere rivisti nel settore delle riforme politiche, anche sul piano dell’impegno finanziario.
Il PIN 2011-2013 per la Tunisia, elaborato in stretto coordinamento con le autorità tunisine, comporta un impegno finanziario di 240 milioni di euro e prevede un programma di sostegno alla realizzazione delle riforme in alcuni settori principali: equilibrio del quadro macroeconomico; approfondimento dell’integrazione economica; consolidamento dell’integrazione e delle riforme del settore finanziario; miglioramento del contesto imprenditoriale per potenziare il ruolo del settore privato negli investimenti e nella creazione di posti di lavoro. Esso inoltre prevede un programma di sostegno al settore dell’occupazione e della protezione sociale, un programma di sostegno alla competitività delle imprese e un programma di sostegno al settore della giustizia.
Il PIN 2011-2013 per l’Egitto (449,29 milioni di euro) prevede interventi a sostegno della riforma politica ai diritti umani e al sistema giudiziario (settore al quale sarà destinato l’11,1% della dotazione finanziaria) e programmi a sostegno della riforma economica (42% della dotazione finanziaria) e dello sviluppo sostenibile (46,7% della dotazione finanziaria).
ISS suggerisce, ad esempio, di pensare ad un’apposita dotazione a sostegno delle riforme politiche, con particolare riferimento alla libertà di stampa e delle organizzazioni della società civile poiché, come si è appena visto, i fondi destinati alle riforme nelle aree della democrazia, diritti umani e giustizia ammontano, per quanto riguarda l’Egitto, solo all’11 per cento dell’intera dotazione finanziaria.
Quanto alla Tunisia, invece, ISS mette in evidenza la necessità di accordare rapidamente a quel paese uno statuto diverso, più avanzato, condizionato ad un reale impegno in un processo di transizione. Esso dovrebbe costituire il nucleo di un nuovo accordo di vicinato rafforzato, che darebbe un chiaro segnale alla Tunisia e ai suoi vicini che l’Europa è pronta a sostenere e ad accompagnare i paesi che intendono seguire la strada delle riforme democratiche.
Per assistere la transizione, inoltre, l’Unione europea ha a disposizione anche altri mezzi: lo Strumento finanziario per la promozione della democrazia e dei diritti umani nel mondoe, nell’ambito della PEV, la Governance Facility e il Fondo d’investimento di vicinato, che dovrebbero essere attivati per Egitto e Tunisia.
[1] Il palestinese Abu Mazen era l’unico presidente presente, mentre i governi degli altri paesi mediterranei non UE avevano inviato solo loro rappresentanti.
[2] Quotidiano Hayat del 29 novembre 2005, come riportato dall’Ansa.
[3] Abdullah Iskandar (editorialista), sempre su Hayat del 29 novembre 2005. Analoga considerazione è stata svolta anche dall’ambasciatore Boris Biancheri che in un seminario dedicato alla politica euromediterranea dell'Italia (“La Politica euromediterranea dell’Italia”, seminario di studi organizzato dalla Fondazione Bettino Craxi e dall'associazione “Identità e dialogo”, Lecce, 28 novembre 2005), indicava tra i punti di criticità del partenariato euro mediterraneo, la difficoltà a comunicare tra i paesi che ne fanno parte e, in particolare, proprio tra i singoli paesi della sponda sud i cui interessi ed obiettivi sono a volte molto lontani quando non confliggenti.
[4] L’attribuzione dello status di “osservatore attivo” alla Lega araba è stata possibile grazie alla mediazione dei paesi europei che hanno convinto Israele a concedere il diritto di parola a quell’organizzazione, in cambio dell’assegnazione di uno dei cinque posti aggiunti del segretariato.
[5] Oltre ai 27 paesi membri dell’UE e alla Commissione europea, fanno parte dell’UpM: Albania, Algeria, Bosnia Erzegovina, Croazia, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Mauritania, Montenegro, Marocco, Autorità palestinese, Siria, Tunisia, Turchia e Principato di Monaco.
[6] Si ricorda che il presidente egiziano Hosni Mubarak è stato deposto lo scorso 11 febbraio.
[7] Le dimissioni sono divenute effettive il 28 febbraio. Dal 1° marzo 2011, l’italiano Lino Cardarelli ricopre la carica di segretario generale ad interim.
[8] Oltre al menzionato rinvio del Vertice dei capi di stato e di governo del 2010, si fa riferimento anche all’opposizione della copresidenza egiziana che per tutto il 2009 ha impedito che venissero costituiti gli organi di governo a partire dal Segretariato, per protestare contro l’invasione israeliana di Gaza.
[9] V. M. Cristina Paciello, “The impact of the Economic crisis on Euro-Mediterranean Relations” The International Spectator, 22 settembre 2010