Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: La crisi politica in Libia nel quadro dei rivolgimenti nordafricani
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 202
Data: 01/03/2011
Descrittori:
LIBIA   NORD AFRICA
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari
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Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

La crisi politica in Libia nel quadro dei rivolgimenti nordafricani

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 202

 

 

 

1 marzo 2011

 


Servizio responsabile:

Dipartimento Affari esteri

( 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it

 

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Servizio Studi – Dipartimento Difesa

( 066760-4939– * st_difesa@camera.it

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

 

 

 

 

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File: es0691.doc


INDICE

Nota introduttiva

La crisi libica nel quadro dei rivolgimenti politici nordafricani3

Approfondimenti

Missione di cooperazione italo-libica per il contrasto ai flussi migratori irregolari (a cura del Dipartimento Difesa)17

Le politiche europee in materia di immigrazione (a cura dell’Ufficio RUE)19

La direttiva 2008/115/ce (Norme e procedure comuni applicabili negli stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare) (a cura del Dipartimento Istituzioni)31

Le politiche in materia di immigrazione (a cura del Dipartimento Istituzioni)37

Scheda paese politico-istituzionale sulla Libia

Documentazione

§         S. Torelli ‘Le sfide della regione dopo la crisi tunisina’, in: ISPI Commentary, 17 gennaio 2011  73

§         C. Tosi ‘Le rivolte viste dall’Europa’, in: Limes, febbraio 2011  73

§         C. Gazzini ‘La Libia nel caos’, in: Limes, febbraio 2011  73

§         L. Trombetta ‘Il potere di Gheddafi, in Italia e non solo’, in: Limes, febbraio 2011  73

§         M. Nicolazzi ‘L’equilibrio dei bisogni’, in: Limes, febbraio 2011  73

§         L. Trombetta ‘°Chi comanda veramente a Tripoli?’, in: Limes, febbraio 2011  73

§         C. Tinazzi ‘Libia: la rivolta delle tribù’, in: Limes, febbraio 2011  73

§         A. Nicosia ‘Dalla tribù alla coscienza nazionale’, in Limes, febbraio 2011  73

§         A. Varvelli ‘Sponda sud: I colpevoli ritardi dell’Europa’, in ISPI Commentary, 2 febbraio 2011  73

§         E. Fassi ‘Democratizzazione nel mondo arabo? Il ruolo degli attori esterni’, in: ISPI Commentary, 15 febbraio 2011  73

§         D. Korski e F. Tassinari ‘Taming Libya’s mad dog, dal sito internet www.efr.eu , 22 febbraio 2011  73

§         R. Danin ‘Libya’s Leadership Crossroads’, in Council on Foreigh Relations, 22 febbraio 2011  73

§         R. Gowan ‘Rebuilding Libya’, dal sito www.stratfor.com, 23 febbraio 2011  73

§         ‘Italy’s Libyan Dilemma’, dal sito www.stratfor.com, 23 febbraio 2011  73

§         ’The Significance of Libya’s Gulf of Sidra Energy8 Assets’, dal sito www.stratfor.com, 23 febbraio 2011  73

§         ’Libya’s Split Between Cyrenaica and Tripolitania’, dal sito www.stratfor.com, 23 febbraio 2011  73

§         S. Khalifa Isaac ‘Much Ambiguity Overshadow Egypt’s Future Route After Mubarak’, 24 febbraio 2011  73

§         S. Stewart ’Jihadist Opportunities Libya, dal sito www.stratfor.com, 24 febbraio  73

§         S. Constant, M. Kraetsch ’Taking Stock of the Youth Challenge in the Middle East: New Data and New Questions’, dal sito www.brookings.edu, 24 febbraio 2011  73

§         O. Taspinar ’Change in the Arab World: Why Now?’, dal sito www.brookings.edu 24 febbraio 2011  73

§         D. L. Byman ‘Democratization From Above? In Libya? Unlikely’, dal sito www.brookings.edu, 24 febbraio 2011  73

§         I. Shargieh ‘The March for Freedom in Libya’, dal sito xxx.brookings.edu,24 febbraio 2011  74

§         R. Aliboni ‘Libia, è il momento di ‘interferire’, dal sito www.affariinternazionali , 24 febbraio 2011  74

§         ‘The Status of the Libyan Military’, dal sito www.stratfor.com, 25 febbraio 2011  74

§         ‘Special Report: Libya’s Tribal Dynamics’, dal sito www.stratfor.com, 25 febbraio 201174

§         D- Korski ‘What Europe needs to do on Libya’, in: European Council on Foreigh Relations ecfr.eu, 25 febbraio 2011  74

§         D. L. Byman ‘Qaddafi’s Legacy’, dal sito www.brookings.edu, 24 febbraio 2011  74

§         M. E. O’Hanlon ‘Libya Needs a Multilateral Response’, dal sito www.brookings.edu, 25 febbrio 2011  74

§         N. Sartori ‘La crisi libica e il legame energetico con l’Italia’, dal sito www.affariinternazionali.it, 25 febbraio 2011  74

§         R. Aliboni ‘Libia, è il momento di ‘interferire’, dal sito www.affarinternazionali.it, 24 febbraio 2011  74

§         N. Ronzitti ‘Che fare del trattato con la Libia’, dal sito www.affarinternazionali.it, 28 febbraio 2011  74

§         ‘Medio Oriente: Intervista all’Ammiraglio Ferdinando Sanfelice di Monteforte’, dal sito www.equilibri.net, 28 febbraio 2011  74

§         S. Shaikh ‘Libya’s Test of the New International’, dal sito www.brookings.edu, 28 febbraio 2011  74

 

 


SIWEB

Nota introduttiva

 


La crisi libica nel quadro dei rivolgimenti politici nordafricani

Nel generale sommovimento popolare che sta scuotendo dall’inizio del 2011 l’Africa settentrionale sembrava che la Libia potesse tenersi al di fuori, in virtù di alcune particolari caratteristiche del paese: si tratta infatti di uno Stato grande esportatore di petrolio e gas, con una popolazione assai limitata e conseguentemente un elevato reddito pro-capite nel quale vigono condizioni di vita assai privilegiate per le élites dirigenti. I tratti almeno parzialmente redistributivi del regime hanno garantito inoltre almeno un certo livello di redistribuzione delle ricchezze introitate dal paese con l’esportazione di gas e petrolio.

Ciononostante, a partire dalla metà di febbraio 2011 anche la Libia sembra essere entrata nell’occhio del ciclone della contestazione radicale del potere costituito, esattamente come prima avvenuto in Tunisia ed Egitto.

 

Ruolo dei nuovi media e dei gruppi giovanili

E’ stato da più parti evidenziato come l’esistenza nei nostri tempi della rete Internet e di tutte le tecnologie di telecomunicazione analoghe, o ad essa “agganciate”, stia favorendo una propagazione dei moti di protesta prima assolutamente impensabile. Se non vi è dubbio che la facilità di comunicazione - pur spesso ostacolata dai governi – riduca sensibilmente i tempi del “contagio” rivoluzionario tra paese e paese, è pur vero che in passato fiammate del tutto analoghe, anche se più lungamente protratte nel tempo, hanno scosso più volte l’Europa.

Porre quindi la facilità delle telecomunicazioni al centro dell’argomentazione rischierebbe di scambiare le cause con gli effetti, o quanto meno con le concause. Non vi è inoltre alcun dubbio sul fatto che nei diversi paesi appaiono chiaramente differenti anche le motivazioni che hanno innescato le proteste, motivazioni che tuttavia preesistono da lungo tempo e che finora non avevano trovato uno sbocco.

L’elemento veramente nuovo e protagonista delle contestazioni - e a ben vedere ciò sta avvenendo già dalla metà del 2009, quando in Iran si accese per molti mesi la protesta contro la rielezione di Ahmadinejad - sembra piuttosto essere l’irruzione dell’elemento giovanile sulla scena, una vera novità in società fortemente gerarchizzate e ancora patriarcali come quelle del mondo arabo-musulmano. Semmai, e non si tratta di un elemento tranquillizzante, si può immaginare quale sia l’istanza di fondo che motiva un’azione di contestazione che comporta gravissimi rischi per la propria incolumità e la stessa vita, come quella cui stiamo assistendo da una settimana anche in Libia: sembra cioè di poter intravedere come si stia concretizzando il nodo del grande balzo demografico che ha segnato i paesi di questa regione, e ciò paradossalmente proprio in prossimità dell’inizio della fine del boom delle nascite, poiché anche per i paesi arabi si prevede nel medio periodo una stabilizzazione della popolazione.

Se tutto ciò appare scarsamente esplicativo per la Libia, che come già accennato è assai poco popolata, e i cui abitanti non sono necessariamente costretti a una dura competizione lavorativa, non ugualmente può dirsi per paesi come la Tunisia, l’Egitto o lo stesso Iran, dove ormai il numero preponderante di giovani, molti dei quali ben istruiti, rende chiara l’impossibilità per i vari paesi di offrire un numero adeguato di posizioni lavorativamente soddisfacenti.

Lo squilibrio demografico non sembra facilmente superabile: un esito di questa criticità potrà essere rappresentato dall’emigrazione, come del resto è puntualmente avvenuto subito dopo la cacciata di Ben Ali da Tunisi: non va dimenticato che più di un osservatore ha già rilevato come il forte restringimento di tale valvola di sfogo verso i paesi europei negli ultimi anni possa aver contribuito in modo determinante alla gestazione del risentimento e della protesta rovesciatisi contro i vecchi rais della regione.

 

Cronologia della crisi

Tornando più specificamente al caso libico, va senz'altro messo in rilievo come dopo la Tunisia anche qui tra le ragioni dello scatenamento della rivolta contro il regime del colonnello Gheddafi vadano sottolineati elementi di squilibrio interno tra diverse regioni del paese. Non a caso l'epicentro delle proteste è stata all'inizio la città di Bengasi, principale centro della Cirenaica, che da sempre contende a Tripoli il primato, e che da sempre costituisce per il regime di Gheddafi una problematicità. Va infatti ricordato che la monarchia di re Idris, spodestata proprio dal colpo di Stato guidato nel 1969 dal colonnello Gheddafi, aveva proprio una forte caratterizzazione nell'elemento tribale della Cirenaica, che da allora non è mai stata pienamente integrata nel sistema politico libico.

Va del pari ricordato che la Cirenaica aveva costituito il nucleo della resistenza al colonialismo italiano, e che da tale area del paese aveva avuto origine la confraternita islamica dei Senussi, capace di esercitare una forte influenza, in direzione della costruzione di un Islam politico, anche verso grandi paesi come l'Egitto e finanche il Sudan.

Le prime avvisaglie della rivolta in Libia si sono registrate già tre giorni dopo la caduta in Egitto di Mubarak - Gheddafi aveva peraltro appoggiato il rais egiziano -, quando sulla rete Internet comparivano appelli per l'organizzazione di manifestazioni pacifiche contro il Colonnello. Il giorno successivo, il 15 febbraio, la polizia è intervenuta a Bengasi per disperdere un sit-in di protesta contro il Governo, organizzato nello specifico per richiedere il rilascio di un avvocato che rappresenta le famiglie delle vittime dell'eccidio del 1996 in una prigione di Tripoli. La resistenza di circa 200 manifestanti portava all'arresto di alcuni di essi, e al ferimento di diverse decine. Nella vicina città di al Baida si registravano tra i manifestanti due vittime uccise dalle forze di sicurezza.

Dopo queste prime avvisaglie, il 17 febbraio la prevista “giornata della collera” contro il regime di Gheddafi, indetta in occasione del quinto avversario dell'uccisione da parte della polizia di 12 manifestanti, faceva registrare la morte di otto persone per mano delle forze di sicurezza libiche, delle quali sei a Bengasi e due ad al Baida, con diverse decine di feriti. Intanto si verificavano a sud-ovest della capitale Tripoli i primi attacchi contro posti di polizia e un edificio pubblico, seguiti da diversi arresti. Dal regime proveniva qualche segnale di apertura, quando fonti adesso vicine riferivano sul rilascio di 110 prigionieri politici e sulla prossima convocazione di una commissione incaricata di considerare importanti cambiamenti all'assetto di governo del paese.

Il 18 febbraio, mentre si raggiungeva la cifra di 40 morti negli scontri, a Bengasi veniva incendiata la sede della radio locale, mentre ad al Baida venivano impiccati due poliziotti catturati dai manifestanti. Intanto in tutta la Libia cominciava a registrarsi una serie di difficoltà nel funzionamento della rete Internet. D'altra parte nella capitale Tripoli veniva riferito di dimostrazioni a favore del governo, ritrasmesse con grande enfasi dalla televisione pubblica.

Mentre continuava ad aggravarsi il bilancio degli scontri, a Bengasi perfino un corteo funebre veniva attaccato dalle forze di sicurezza governative, provocando una dozzina di vittime. Anche la città di Misurata faceva intanto registrare i primi scontri tra manifestanti e sostenitori di Gheddafi.

Il 20 febbraio era ormai chiaro il dilagare della protesta nel paese, a fronte di una dura repressione che faceva segnare un numero di vittime vicino a 200, e secondo fonti mediche anche superiore. Proprio negli ospedali gli effetti della repressione delle proteste si presentavano più drammatici, con penuria di personale medico, sangue e attrezzature. Intanto venivano segnalati i primi lanci di razzi contro i manifestanti.

Verso la fine della giornata Seif al Islam, considerato tra i figli di Gheddafi quello più “aperto”, appariva alla televisione pubblica accusando per i moti di protesta un presunto complotto dall'esterno, mettendo in guardia i libici contro il rischio di una guerra civile, della frantumazione del paese in più emirati islamici, della possibilità di perdere il controllo sulle risorse petrolifere a beneficio di un rinnovato colonialismo occidentale. D'altra parte, il figlio di Gheddafi ha riconosciuto la possibilità di eccessi da parte delle forze dell'ordine, secondo lui colte di sorpresa dai moti di rivolta, i cui protagonisti si sarebbero lasciati semplicemente entusiasmare da quanto avvenuto in Egitto e in Tunisia, mentre altri sarebbero stati addirittura drogati.

Seif al Islam ha poi lanciato la proposta di convocazione ad horas dell'Assemblea generale del popolo per dar vita ad una nuova Costituzione e a riforme capaci di vedere incontro alle principali richieste popolari. Presupposto di tali aperture, è tornato a ribadire Seif al Islam, dovrà essere il rapido ritorno alla normalità, che le forze di sicurezza dell'esercito imporranno con ogni mezzo.

Intanto però la protesta non accennava a placarsi, e si verificava il saccheggio dell'edificio della televisione pubblica di Tripoli, e l'incendio di diversi edifici pubblici. Il delegato libico presso la Lega araba, intanto, annunciava le proprie dimissioni per unirsi alla rivoluzione. Nella città di Bengasi alcuni manifestanti riferivano della presenza di mercenari provenienti da altri paesi, impiegati per sparare in modo indiscriminato sulla folla in rivolta.

Il 21 febbraio la repressione compiva un ulteriore salto di qualità, con un massiccio bombardamento sui manifestanti a Tripoli, mentre le principali società petrolifere straniere, tra le quali l'ENI, procedevano all'evacuazione del personale non strettamente indispensabile e delle loro famiglie. Due piloti militari libici, asserendo di non voler obbedire all'ordine di bombardare i manifestanti, riparavano a Malta a bordo dei loro caccia. Quanto affermato dai due piloti sembrava trovare conferma nella denuncia fatta da una serie di diplomatici libici dissociatisi dal regime, tra i quali l'ambasciatore in India e il vice ambasciatore presso le Nazioni Unite, per cui i manifestanti sarebbero stati attaccati addirittura dall'aviazione militare. La veridicità sul numero elevatissimo delle vittime sembrava trovare conferma anche da parte statunitense, quando un comunicato USA condannava con forza l'utilizzazione della violenza contro i manifestanti libici.

Sul delicato versante dell’approvvigionamento energetico, è stata sospesa la fornitura di gas libico attraverso il gasdotto Greenstream. L'ENI ha precisato di essere in ogni caso in grado di fare fronte alla domanda di gas dei propri clienti. Secondo la società petrolifera (che ha sospeso anche alcune attività di produzione petrolifera) ed il Ministero dello Sviluppo economico, le procedure di messa in sicurezza attivate relativamente a Greenstream consentono un'opportuna tutela tecnica del gasdotto, e non comportano alcun problema per la sicurezza delle forniture ed il consumo di gas per il nostro paese, considerando anche il fatto che la Libia soddisfa circa il 10% del fabbisogno italiano.

Nel Regno Unito l'Ambasciatore libico veniva convocato per protestare contro l'uso indiscriminato della forza per reprimere le manifestazioni di piazza. Anche il segretario generale della Lega araba Amr Mussa ha richiesto la fine delle violenze in Libia, mentre la difficile situazione del paese provocava il primo picco nei prezzi del petrolio, con il brent di riferimento salito a 105 dollari per barile, come non si verificava ormai da due anni. Verso la fine della giornata lo stesso Gheddafi appariva molto brevemente sulla televisione pubblica per smentire le voci sulla propria fuga in Venezuela e assicurare la propria presenza nel difficile momento del paese.

Il 22 febbraio si sono registrate le prime iniziative in seno alle Nazioni Unite, con l'annuncio da parte del Segretario generale dell'ONU della riunione del Consiglio di sicurezza con al centro la crisi  in Libia. Ban-ki moon ha anche riferito di aver avuto un colloquio con Gheddafi, esortandolo alla moderazione e al rispetto dei principali diritti umani. L'Alto commissario ONU per i diritti umani ha chiesto frattanto un’ indagine indipendente a livello internazionale sulle violenze in Libia.

La stessa Lega araba ha convocato una riunione straordinaria degli ambasciatori per una discussione sulla situazione libica, ed il ministro degli esteri italiano Frattini, incontrando al Cairo proprio il Segretario generale della Lega araba, ha espresso preoccupazione per i rischi di guerra civile in Libia e per un esodo di dimensioni epocali di immigrati dal Nordafrica verso il territorio europeo.

Dopo l'appello alla Corte penale internazionale del vice ambasciatore libico presso le Nazioni Unite per aprire immediatamente un'inchiesta per crimini contro l'umanità nei confronti di Gheddafi, la Corte ha confermato di essere alla ricerca di prove in tal senso.

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha espresso una netta condanna delle violenze in  Libia e ne ha chiesto "l'immediata cessazione", invocando "una rinnovata determinazione negli sforzi volti a restituire al popolo libico la speranza in un futuro migliore". Il capo dello Stato ha sottolineato oggi come "alle legittime richieste di riforme e di maggiore democrazia che giungono dalla popolazione libica vada data una risposta nel quadro di un dialogo fra le differenti componenti della società civile libica e le autorità del paese che miri a garantire il diritto di libera espressione della volontà popolare".

Lo stesso giorno il Colonnello si è rivolto alla nazione con un lungo messaggio in diretta tv, trasmesso dalla sua residenza a Tripoli, per dimostrare prima di tutto che non ha lasciato la Libia, né ha alcuna intenzione di farlo: “Muammar Gheddafi non ha nessun incarico dal quale dimettersi. Non sono un presidente, sono la guida della rivoluzione e tale resterò anche a costo del sacrificio della vita”. Ha lanciato un appello ai suoi sostenitori perché scendano in piazza già da domani per schiacciare i manifestanti, "ratti" diretti da chi sta all'estero, accusando gli Stati Uniti ed il nostro Paese di armare la rivolta fornendo armi ai ragazzi di Bengasi.

Il leader libico ha giocato anche la carta della minaccia islamica, sostenendo che i rivoltosi "vogliono trasformare il paese in un emirato" e che gli scontri di questi giorni "hanno l'obiettivo di consegnare il paese all'America o a Bin Laden".

Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha immediatamente smentito le affermazioni Gheddafi riguardo all'ipotesi di una fornitura italiana di armi e razzi ai manifestanti di Bengasi. In una telefonata al colonnello, durata circa venti minuti, il presidente del Consiglio ha discusso della situazione nel Paese nordafricano e ha rimarcato la necessità di arrivare ad una soluzione pacifica per evitare che la situazione degeneri e per scongiurare una "guerra civile".

Il 23 febbraio iniziano a circolare stime preoccupanti sul numero delle vittime a seguito del rivolgimento libico, come quella di un totale di diecimila morti, diffusa dall’emittente televisiva al-Arabiya, assieme alle foto di fosse comuni nella capitale – altre fonti hanno parlato di meno vittime, ma quasi mai sotto il migliaio. Mentre da parte dei miliziani fedeli a Gheddafi aumenta la stretta sulla capitale, si moltiplicano tuttavia le defezioni in tutto il resto del paese, in corrispondenza della rivendicazione, da parte dei ribelli già in possesso di gran parte della regione orientale, di aver conquistato nuovi territori in direzione di Tripoli.

Tra le defezioni dalle forze armate si segnala quella di due piloti i quali, rifiutando di bombardare una città caduta nelle mani dei ribelli, hanno disertato, lasciando sfracellare i loro aerei nel deserto. A fronte delle minacce francesi e tedesche di colpire la Libia con sanzioni europee per pulire Gheddafi della dura repressione delle proteste, la stessa Unione europea configurava le violenze del paese quali possibili fonti di prova per l’accusa a Gheddafi per crimini contro l’umanità, chiedendo a tale scopo opportune indagini. Anche a livello internazionale viene colpito il prestigio della famiglia del dittatore libico, con l'annuncio della decadenza della figlia Aisha dal ruolo di ambasciatrice volontaria presso l'Agenzia sussidiaria dell’ONU UNDP. Intanto migliaia di libici e lavoratori stranieri in fuga dal paese si dirigono da un lato verso la Tunisia e dall’altro verso l’Egitto, mentre diverse compagnie petrolifere hanno disposto la sospensione completa delle loro attività.

Il Presidente del Consiglio Berlusconi ha espresso la netta contrarietà del Governo italiano alle violenze e ad ogni deriva fondamentalista, manifestando al contempo una posizione di cautela sui possibili sviluppi del quadro politico libico, visto il carattere strategico di Tripoli per l’Italia.

Inoltre, nella stessa giornata del 23 febbraio il ministro degli esteri Frattini ha reso alla Camera un’informativa urgente sugli sviluppi della situazione in Libia.

Ricordati gli sforzi degli ultimi anni dei Governi italiani per mantenere buoni rapporti con la Libia, tra l’altro rivolti a un contrasto efficace dell’immigrazione clandestina, nella mutata situazione il Ministro ha fatto appello a una collaborazione bipartisan e a un efficace coordinamento tra Esecutivo e Parlamento  per affrontare le problematiche relative alla drammatica crisi interna della Libia. Il Ministro ha confermato la falsità delle accuse relative all’Italia di aver venduto armi ai rivoltosi libici,  richiamando piuttosto la dichiarazione adottata dal Consiglio di sicurezza dell'ONU nella quale si condanna la violenza e si richiede l'instaurazione di un dialogo civile nazionale, nonché la decisione dell'Unione europea di sospendere i negoziati per l'accordo quadro con la Libia. Il Ministro ha altresì ribadito il rischio di un   eventuale fenomeno migratorio di massa, e a tal proposito nella riunione del Consiglio dei Ministri dell'interno e della giustizia del 24 febbraio l’Italia richiederà una comune condivisione degli oneri a tutti i paesi della UE. Oltre al pericolo di forti ondate di immigrazione irregolare, il Ministro ha posto in rilievo le negative conseguenze che l'attuale situazione libica determinerà per le imprese italiane ivi operanti nel settore delle infrastrutture.

Nel frattempo il Ministero dell’Interno ha comunica che dall’inizio dei rivolgimenti in Nord Africa vi sono stati in Italia 6.300 arrivi di immigrati irregolari, con i centri di accoglienza ormai al limite della capienza massima. Si tratta fino a questo momento soltanto di tunisini, dei quali solo una piccola minoranza ha presentato domanda per ottenere l’asilo. Il ministro degli interni Maroni ha convocato inoltre i colleghi degli Stati europei maggiormente interessati dai probabili futuri forti flussi di immigrati (Cipro, Grecia, Malta, Spagna e Francia), in vista della richiesta all’Unione europea di istituire un fondo speciale di solidarietà per far fronte alla difficile contingenza. Per quanto riguarda i lavoratori italiani in Libia, al 23 febbraio risultavano rimpatriati con ponte aereo circa 800 di essi, a fronte di un migliaio ancora nel paese, quasi tutti in Tripolitania.

Il 24 febbraio la situazione degli scontri sembra delinearsi più nettamente, con l’estensione verso ovest delle zone controllate dai ribelli – che si assicurano anche il controllo di alcuni impianti e terminal petroliferi a est di Tripoli, e la concentrazione nella capitale delle truppe fedeli a Gheddafi, le quali lanciano una parziale e sanguinosa controffensiva di alleggerimento a ovest di Tripoli. Il colonnello farnetica di ribelli ai quali al-Qaida avrebbe distribuito droghe.

Nel crescere delle preoccupazioni internazionali, i presidenti di USA e Francia tornao a chiedere con forza la fine della repressione, mentre la UE comincia a parlare di possibile intervento militare umanitario.

Mentre continua a salire il prezzo del petrolio di riferimento europeo, che tocca i 120 dollari per barile, la riunione dei ministri degli Stati membri della UE competenti per l’immigrazione delude le aspettative italiane, in quanto soprattutto i paesi della fascia settentrionale dell’Unione si rivelano contrari a una riformulazione delle regole sul diritto d’asilo, ponendo le premesse per l’impossibilità di uno smistamento nel resto dell’Europa degli immigrati irregolari approdati nel territorio di uno fra gli Stati meridionali. Ciononostante il Capo dello Stato Giorgio Napolitano, in visita in Germania, ha rilanciato l’appello a una risposta unitaria dell’Unione europea all’emergenza nordafricana, con la disponibilità del nostro paese anche ad imporre sanzioni alla Libia, da discutere sempre in sede UE.

Il 25 febbraio miliziani fedeli al regime aprono il fuoco contro alcuni manifestanti antigovernativi che, finita la preghiera del venerdì, defluivano da alcune moschee, provocando almeno cinque morti. Comunque le manifestazioni a Tripoli venivano accompagnate da analoghe dimostrazioni di decine di migliaia di persone che si sono riunite nelle città ribelli della parte orientale della Libia, come anche da imponenti manifestazioni in numerose capitali del mondo arabo, in solidarietà con la lotta del popolo libico. Altri diplomatici ilibici sono tornati a dichiararsi contrari al regime e favorevoli al movimento di rivolta, tra i quali alcuni distaccati presso le Agenzie ONU a Ginevra, e altri operanti presso la Lega araba.

I combattimenti sul campo hanno conosciuto alterne vicende, con la parziale riconquista da parte delle truppe favorevoli a Gheddafi della base aerea di Misurata, attaccata con carri armati provocando la morte di 25 persone.

Intanto, il presidente USA Obama ha firmato un provvedimento per il congelamento di somme e beni detenuti negli Stati Uniti da Gheddafi e da quattro dei suoi numerosi figli. Per tutta risposta il colonnello ha minacciato aprire gli arsenali del paese ai propri sostenitori, con chiaro incitamento alla guerra civile, il che non ha impedito al figlio Seif al-Islam di riconoscere l’avvenuta perdita del controllo sulla parte orientale della Libia.

La NATO e l’Unione europea si sono coordinate per iniziare il salvataggio di stranieri che hanno raggiunto le spiagge libiche, mentre la UE comincia a esaminare le possibilità di imporre sul cielo libico una no fly zone, nonché l’embargo sulle armi e il congelamento dei beni e attività finanziarie, unitamente al divieto dei viaggi, per alcuni esponenti della classe dirigente libica.

Intanto cresce la mobilitazione diplomatica internazionale, con la Farnesina impegnata a tessere la tela di un’azione comune nell’ambito dell’ONU e dell’Unione europea, anzitutto attraverso colloqui telefonici con il presidente Obama – avvenuto il giorno precedente - e il premier britannico Cameron. La diplomazia italiana si dichiara favorevole all’ipotesi di elevare sanzioni mirate contro il regime libico, e intanto il ministro della Difesa La Russa annuncia il via libera del governo italiano alla richiesta britannica e americana di riapertura della base militare di Sigonella agli aerei dei due paesi, con l’obiettivo immediato del rimpatrio degli oltre diecimila cittadini statunitensi presenti in Libia, ma anche contemplando la possibilità dell’imposizione della no fly zone sui cieli libici.

Il rimpatrio degli italiani dalla Libia è proseguito a ritmo sostenuto, superando il numero di 1.100 connazionali rientrati. Sul fronte dei profughi, il Ministero dell’interno ha reso noto di essersi attivato sul territorio nazionale per la ricerca di circa 50.000 posti letto, in previsione di massicci afflussi dal Nord Africa.

Esortato in maniera speciale del Segretario generale Ban Ki-Moon e dalla Francia, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha tenuto il 22 febbraio una seduta speciale a porte chiuse, iniziando a valutare le sanzioni da imporre alla Libia, misure appoggiate anche dalla diplomazia britannica, da quella tedesca e dall’Alto rappresentante PESC della UE. A Ginevra il Consiglio ONU dei diritti umani ha votato all’unanimità la sospensione della Libia dall’organismo, con il plauso di un diplomatico della delegazione libica, che ha dichiarato di schierarsi a fianco degli insorti. Inoltre il Consiglio per i diritti umani ha adottato una risoluzione, di iniziativa dei membri europei, di condanna del governo di Gheddafi per la violenta repressione delle proteste, creando un’apposita commissione d’inchiesta per portare alla luce eventuali crimini commessi.

Gli ultimi tre giorni stanno registrando una certa tenuta sul piano militare delle truppe favorevoli a Gheddafi, che hanno continuato a colpire gruppi di manifestanti per mezzo di mercenari trasportati da elicotteri nella terza città della Libia, Misurata – vi sono state anche voci relative a gruppi di civili filogovernativi cui sarebbero state distribuite armi e munizioni per dar vita a posti di blocco e pattugliamenti in tutta la capitale.

Mentre Gran Bretagna e Francia sospendevano l’attività delle rispettive rappresentanze diplomatiche a Tripoli, nella notte tra il 26 e il 27 febbraio il Consiglio di sicurezza dell’ONU, in modo insolitamente tempestivo, ha approvato una serie di sanzioni contro Gheddafi e la sua famiglia, decretandone il blocco dei beni e imponendo l’embargo sulla vendita di armi alla Libia.

I principali punti della risoluzione n. 1970 sono:

- il deferimento alla Corte penale internazionale dell’Aja, competente per investigare crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio, necessario in quanto la Libia non è parte dello Statuto di Roma e obbligo per il prosecutor di riferire regolarmente al Consiglio di Sicurezza

-l’ imposizione di embargo sulle armi e di altre restrizioni

-l’ imposizione di sanzioni mirate a colpire figure chiave del regime che prevedono, tra il resto, il divieto di viaggio per una serie di soggetti fedeli o parenti di Gheddafi, congelamento dei beni di Gheddafi e dei suoi stretti familiari, impegno a garantire che i beni sequestrati saranno messi a disposizione nell’interesse della popolazione della Libia, stabilimento di un comitato destinato all’imposizione di sanzioni mirate contro altri individui ed enti responsabili di gravi violazioni dei diritti umani, inclusi gli ordini di attacco e di bombardamenti aerei sulle popolazioni civili o strutture;

- le misure di assistenza umanitaria, volte anche a sostenere il ritorno nel paese delle agenzie umanitarie.    

La risoluzione, inoltre, fa riferimento al Capitolo VII della Carta Onu, che autorizza la comunità internazionale ad intervenire se un governo non è in grado di garantire pace e sicurezza ma con espresso riferimento a mezzi non militari: infatti, nella risoluzione, è presente un riferimento esplicito all’articolo 41 della Carta, che prevede l’ipotesi di misure che non coinvolgono le forze armate (come richiesto, secondo quanto riportato da fonti di agenzia, da Russia e Cina).

Va soprattutto sottolineato che la risoluzione adottata al Palazzo di vetro per la prima volta ha visto l’approvazione all’unanimità del deferimento alla Corte penale internazionale di un Capo di Stato, nella fattispecie lo stesso Gheddafi, indiziato di aver commesso crimini contro l’umanità.

Lo Statuto della Corte penale internazionale, infatti, prevede che per i paesi come la Libia, che non l’abbiano ratificato, solo il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite può disporre il deferimento di autorità di detto paese alla CPI. Dopo il deferimento del presidente sudanese Bashir nel 2005, che però non avvenne all’unanimità per l’astensione di Stati Uniti e Cina, il deferimento di Gheddafi segna indubbiamente una tappa storica per il ruolo della Corte penale internazionale, ma anche per la compattezza del CdS dell’ONU.

Anche l’Unione europea è giunta (28 febbraio) rapidamente all’adozione di sanzioni contro Gheddafi, di contenuto perfino più restrittivo di quelle varate dalle Nazioni Unite, in quanto l’embargo non riguarderà solo la vendita di armi, ma anche la fornitura di ogni equipaggiamento suscettibile di utilizzazione contro manifestanti e ribelli. L’Unione europea ha inoltre ampliato il novero delle persone alle quali verrà negato il visto e che subiranno congelamento dei beni.

Intanto il 27 febbraio è stato formato a Bengasi un Consiglio nazionale composto da membri delle opposizioni al regime, che hanno anche conquistato una cittadina a una ventina di chilometri da Tripoli - peraltro subito poi circondata dalle truppe fedeli al colonnello, che ha continuato a rifiutare ogni ipotesi di lasciare il potere, lanciando nuovamente accuse contro non meglio precisati elementi stranieri e contro al Qaida di essere alla base del rivolgimento libico.

Al confine tra Libia e Tunisia si registra intanto la prima emergenza sanitaria, per il grande affollamento di profughi in fuga dalla Libia, che secondo le Nazioni Unite alla fine di febbraio avrebbero raggiunto tra Tunisia ed Egitto i 100.000 ingressi. Intanto sia il governo britannico che quello statunitense hanno proceduto a congelare beni libici, inclusi quelli di Gheddafi e famiglia, per un totale che negli Stati Uniti ha raggiunto i 30 miliardi di dollari.

In questo contesto il ministro italiano della Difesa ha affermato che il Trattato bilaterale di amicizia con Tripoli è da considerare inoperante e sospeso in via di fatto per mancanza della controparte, ovvero uno Stato libico in grado di applicarlo per quanto di sua competenza. Il Presidente del Consiglio Berlusconi ha peraltro accentuato le critiche all’atteggiamento di Gheddafi, e in un colloquio telefonico con il segretario generale dell’ONU si è detto favorevole a un’azione per porre fine al bagno di sangue e prestare sostegno al popolo libico. L’ambasciatore libico in Italia Gaddur è passato apertamente dalla parte dell’opposizione, firmando un documento congiunto con altri rappresentanti diplomatici in paesi europei – va peraltro ricordato che presso l’ambasciata libica a Roma, già da giorni, era esposta la bandiera nazionale precedente quella adottata dal regime di Gheddafi.

Il ministro degli affari esteri Frattini, incontrando il 28 febbraio a Ginevra gli omologhi statunitense, francese, tedesco e britannico, ha dichiarato che l’Italia è pronta ad agire nel seno della Comunità internazionale contro Gheddafi, che non considera più proprio interlocutore, per porre fine alle violenze sui civili e portare sostegno al popolo libico.

Il colonnello Gheddafi, pur mantenendo un atteggiamento di sfida, è sembrato inclinare progressivamente verso una visione più possibilista, cercando in qualche modo di avviare trattative con i ribelli – il 1° marzo si è diffusa la notizia di un convoglio umanitario organizzato da Gheddafi con circa 40 camion carichi di cibo e medicinali diretto a Bengasi, che soprattutto in loco verrebbe interpretato come tentativo di mediazione - e tentando di accreditare sui media che ancora controlla la versione per la quale il colonnello non avrebbe mai dato ordini diretti di sparare sulla folla in rivolta. La resilienza di Gheddafi è stata però messa a dura prova perfino dal Cremlino, che il 1º marzo ha fatto trapelare dichiarazioni sulla morte politica del leader libico, poiché l’uso della forza militare contro il proprio popolo viene considerato da Mosca qualcosa di inaccettabile e che non deve trovare posto “nel mondo civilizzato”.


Approfondimenti

 


Missione di cooperazione italo-libica per il contrasto
ai flussi migratori irregolari
(a cura del Dipartimento Difesa)

La missione di cooperazione italo-libica per fronteggiare il fenomeno dell'immigrazione  clandestina ha il compito di rendere esecutivo l'Accordo sottoscritto a Tripoli il 29 dicembre 2007, dal ministro dell'Interno italiano e dal ministro degli Esteri libico per il contrasto ai flussi migratori illegali. Il Protocollo d’intesa bilaterale è finalizzato a realizzare una cooperazione tra l'Italia e la Libia per fronteggiare il fenomeno dell'immigrazione clandestina. L'intesa è stata poi perfezionata il 4 febbraio 2009 con la firma a Tripoli di un protocollo d'attuazione da parte del Ministro dell’interno italiano e delle autorità libiche.

I due Paesi si impegnano ad intensificare la collaborazione nella lotta contro le organizzazioni criminali dedite al traffico degli esseri umani e allo sfruttamento dell'immigrazione irregolare.

L'accordo prevede, in particolare, l'organizzazione di pattugliamenti marittimi congiunti davanti alle coste libiche. Il Governo italiano si impegna, inoltre, a sostenere con l'Unione europea i programmi di cooperazione con la Libia, con particolare riferimento ai controlli sull'immigrazione clandestina.

Le operazioni di controllo, di ricerca e salvataggio sono svolte nei luoghi di partenza e di transito delle imbarcazioni dedite al trasporto di immigrati clandestini, sia in acque territoriali libiche che internazionali.

L'Italia - secondo l'accordo - si impegna inoltre a cooperare con l'Unione europea per la fornitura (con finanziamento a carico del bilancio comunitario) di un sistema di controllo per le frontiere terrestri e marittime libiche, al fine di fronteggiare il fenomeno dell'immigrazione clandestina, da realizzare secondo le esigenze rappresentate dalla parte libica alla delegazione della missione Frontex.

Per garantire, poi, un’efficace direzione e il coordinamento delle attività addestrative ed operative di pattugliamento marittimo, Italia e Libia hanno convenuto di istituire, presso una idonea struttura, per l'intera durata del Protocollo di Cooperazione, un Comando operativo interforze, con il compito di:

a) disporre l'attuazione quotidiana delle crociere addestrative e di pattugliamento;

b) individuare, nell'area di pattugliamento, zone di specifico approfondimento, sulla base degli elementi informativi nel frattempo acquisiti;

c) raccogliere le informazioni operative acquisite dalle unità operative;

d) impartire le direttive di servizio necessarie in caso di avvistamento e/o fermo di natanti con clandestini a bordo;

e) svolgere compiti di punto di contatto con le omologhe strutture italiane.

In questo senso, il Comando interforze ha la facoltà di richiedere l'intervento e/o l'ausilio delle unità navali italiane ordinariamente rischierate presso l'isola di Lampedusa per le attività anti-immigrazione'.

In attuazione dell'accordo firmato a Tripoli sono state cedute in proprietà alla Libia sei unità navali (tre guardacoste e tre motovedette), prevedendo però la presenza a bordo delle imbarcazioni di equipaggi misti con personale libico e con personale della Guardia di finanza italiana per l'attività di addestramento, di formazione, di assistenza e manutenzione dei mezzi.

Sulle unità navali, utilizzate dal 25 maggio 2009 per il pattugliamento del mare territoriale libico e delle acque internazionali prospicienti Tripoli e Zuwarah, hanno pertanto prestato servizio, con compiti di “osservatori”, 12 militari della Guardia di Finanza. Inoltre, dal mese di maggio 2009, è stato inviato in territorio libico anche un contingente del Corpo, composto da un Ufficiale Superiore e da 10 militari, per assicurare la manutenzione delle unità navali cedute.

Dopo che il 12 settembre 2010 una delle motovedette cedute ai libici, con a bordo anche alcuni uomini delle Fiamme Gialle, aveva mitragliato un motopeschereccio siciliano, è stato deciso di rivedere il protocollo di collaborazione, in modo da evitare la presenza di personale della Guardia di Finanza sulle motovedette di Tripoli.

Dal gennaio 2011 non ci sono più militari della Guardia di finanza a bordo delle motovedette, ma, terminato il periodo di affiancamento, si è deciso di privilegiare non solo il carattere informativo e operativo ma soprattutto l'assistenza e l'aggiornamento tecnico a terra, sia in Libia sia eventualmente in territorio italiano.

Il D.L. n. 228 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 9 del 2011, recante proroga della partecipazione dell’Italia alle missioni militari internazionali, ha previsto una consistenza del contingente italiano, nel primo semestre 2011, di 23 unità del Corpo della guardia di finanza, con una spesa di 8,3 milioni di euro, (contro i 2 milioni di euro del secondo semestre 2010), che comprende anche la manutenzione ordinaria e l'efficienza delle unità navali cedute dal Governo italiano al Governo libico.


 

Le politiche europee in materia di immigrazione
(a cura dell’Ufficio RUE)

Introduzione

Le prospettive della politica dell’Unione europea in materia di immigrazione sono state definite nel nuovo programma pluriennale per lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia per il periodo 2010-2014, il cd. programma di Stoccolma, adottato dal Consiglio europeo del 10-11 dicembre 2009.  In base al Programma di Stoccolma, l’impegno dell’Unione europea si articolerà  attorno alle seguenti priorità politiche:

·   garantire un accesso all’Europa più efficiente attraverso le politiche di gestione integrata delle frontiere e le politiche in materia di visti;

·   sviluppare una politica migratoria europea articolata, fondata sulla solidarietà e la responsabilità e basata sul Patto europeo sull'immigrazione e l'asilo con l’obiettivo principale di: istituire un sistema comune d'asilo nel 2012 che garantisca alle persone bisognose  di protezione un accesso garantito a procedure di asilo giuridicamente sicure ed efficaci; controllare e contrastare l’immigrazione clandestina, anche in considerazione della crescente pressione esercitata sugli Stati membri alle frontiere esterne, tra cui quelle meridionali;

·   integrare maggiormente la dimensione esterna della politica dell'UE nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell'ambito delle politiche generali dell'Unione europea.

Per quanto riguarda la gestione dell’immigrazione irregolare l’accento è posto sull’attuazione di una politica di allontanamento e di rimpatrio efficace, nel pieno rispetto del principio di non–refoulement, dei diritti fondamentali, basata sul monitoraggio della trasposizione della direttiva rimpatri e su una maggiore cooperazione operativa tra Stati membri, con particolare attenzione alla situazione dei minori non accompagnati.

Nel marzo 2010 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento volto al rafforzamento dell’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea (Frontex), attualmente all’esame delle istituzioni UE. La proposta intende conferire all’Agenzia  maggiori capacità di azione in termini di: competenze di comando in materia di operazioni congiunte su base facoltativa; impiego di mezzi propri; facoltà di mobilitare più agevolmente gli effettivi necessari allo svolgimento delle operazioni.

Per quanto riguarda l’attuale situazione nel Mediterraneo, si segnala che il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea prevede interventi per far fronte alle situazioni di emergenza. In particolare, l'articolo 78, par.3, TFUE stabilisce che qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, il Consiglio su proposta della Commissione, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati membri interessati. Esso delibera previa consultazione del Parlamento europeo.  L'articolo 80  TFUE ribadisce il principio di solidarietà e equa ripartizione delle responsabilità tra Stati membri per le politiche di immigrazione e asilo, anche sul piano finanziario.

Al fine di fornire sostegno agli Stati membri in situazione di emergenza l’Unione europea può attualmente avvalersi dell’Agenzia  Frontex, nonché di programmi finanziari specifici,  quali il  Fondo europeo per le frontiere esterne,  il Fondo europeo per i rifugiati e il  Fondo europeo per il rimpatrio.

L’Ufficio europeo di sostegno all’asilo dovrebbe essere pienamente operativo entro il mese di giugno 2011.

Non sono previsti allo stato attuale a livello UE  meccanismi di redistribuzione interna tra gli Stati membri di cittadini di paesi terzi immigrati o beneficiari di protezione internazionale, su base obbligatoria.

Una procedura ad hoc venne prevista per il massiccio afflusso di cittadini provenienti dalla ex-Jugoslavia e dal Kosovo dalla direttiva 2001/55/CE del Consiglio del 20 luglio 2001 sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell'equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell'accoglienza degli stessi.

Il Consiglio giustizia e affari interni del 24-25 febbraio 2011 ha svolto una discussione sulla situazione nel Nord Africa con particolare riferimento alla situazione in Libia e all’afflusso verso l’Italia di migranti provenienti dalla Tunisia. Il comunicato stampa relativo alla riunione informa che il Consiglio ha preso atto dell’avvio, il 20 febbraio 2011,  da parte di Frontex e dell’Italia dell’operazione congiunta Hermes 2011 nella zona di Lampedusa  a cui hanno aderito anche Francia,Malta, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Austria, Belgio, Romania e Svizzera, nonché dell’intenzione della Commissione europea di avvalersi dei programmi specifici già esistenti, per fornire all’Italia un sostegno finanziario supplementare.

 


L’emergenza immigrazione nel Mediterraneo

Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea dedica gli articoli da 77 a 80 alle politiche relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione.

 In particolare,  l'articolo 78, par.3, TFUE stabilisce che qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, il Consiglio su proposta della Commissione, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati membri interessati. Esso delibera previa consultazione del Parlamento europeo.

 L'articolo 80  TFUE ribadisce il principio di solidarietà e equa ripartizione delle responsabilità tra Stati membri per le politiche di immigrazione e asilo, anche sul piano finanziario.

Al fine di fornire sostegno agli Stati membri in situazione di emergenza l’Unione europea può attualmente avvalersi dell’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea (Frontex), nonché di programmi finanziari specifici,  quali il  Fondo europeo per le frontiere esterne,  il Fondo europeo per i rifugiati e il  Fondo europeo per il rimpatrio.

L’Ufficio europeo di sostegno all’asilo dovrebbe essere pienamente operativo entro il mese di giugno 2011.

Non sono previsti allo stato attuale a livello UE  meccanismi di redistribuzione interna tra gli Stati membri di cittadini di paesi terzi immigrati o beneficiari di protezione internazionale, su base obbligatoria. 

Una procedura ad hoc venne prevista per il massiccio afflusso di cittadini provenienti dalla ex-Jugoslavia e dal Kosovo dalla direttiva 2001/55/CE del Consiglio del 20 luglio 2001 sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell'equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell'accoglienza degli stessi.

Il programma di Stoccolma per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia per il periodo 2010-2014 prevede oltre alla rapida adozione delle proposte legislative in corso di esame da parte delle istituzioni UE, volte alla creazione, entro il 2012, di un Sistema comune europeo di asilo, basato su  una procedura unica di asilo e uno status uniforme in materia di protezione internazionale, l’istituzione tra gli Stati membri di un meccanismo di reinsediamento interno, che funzioni su base volontaria e in modo coordinato e che preveda, eventualmente il sostegno alla creazione di piattaforme permanenti di accoglienza e di transito in determinati Stati membri e accordi specifici per il partenariato con l’Alto Commissariato ONU per i rifugiati (ACNUR).

Richieste di assistenza da parte degli Stati membri e discussione in seno al Consiglio giustizia e affari interni

Come indicato dal Ministro Roberto Maroni in risposta ad interrogazioni parlamentari svoltesi il 16 febbraio scorso, una formale richiesta di assistenza all’Unione europea per far fronte all’emergenza immigrazione è stata avanzata dall’Italia, in una lettera al Commissario europeo per gli Affari interni, Cecilia Malmström,  il 15 febbraio 2011. In particolare il Governo italiano ha richiesto:

·   l'elaborazione da parte di Frontex di un rapporto di analisi dei rischi sull'attuale situazione di instabilità nel Paese del Nordafrica e sugli scenari immigratori, da presentare al consiglio Giustizia e affari interni del 24 -25 febbraio; 

·   la verifica della possibilità di costituire pattuglie congiunte con gli altri Stati membri a ridosso delle acque tunisine per intercettare le imbarcazioni degli immigrati e garantirne in piena sicurezza, e con il consenso della Tunisia, il rientro nei porti di partenza;

·   l'applicazione del principio del burden sharing tra tutti gli Stati membri, ovvero la suddivisione degli oneri e dei pesi relativi alla gestione sia dei rifugiati, sia dei richiedenti asilo e sia dei clandestini;

·   la realizzazione di un sistema unico di asilo a livello europeo entro il 2012;  l'attivazione di programmi regionali di assistenza mirati, con l'adeguato coinvolgimento dell'UNHCR.

·   l'intensificazione degli sforzi finalizzati all'applicazione del memorandum Unione europea-Libia, firmato nell'ottobre del 2010;

·   il coinvolgimento di Europol per sviluppare specifiche analisi su infiltrazioni criminali e terroristiche favorite dalla crisi del Nord Africa;

·   l'erogazione di un contributo finanziario straordinario di almeno cento milioni di euro per l'emergenza in atto.

Nel corso di una riunione svoltasi a Roma il 23 febbraio, i Ministri dell’Interno di Francia, Spagna, Grecia, Malta,  Cipro e Italia hanno elaborato un comunicato congiunto successivamente presentato al  Consiglio giustizia e affari interni del 24-25 febbraio. Nel comunicato i suddetti ministri hanno richiesto all’Unione europea  misure urgenti finalizzate a fronteggiare gli arrivi di immigrati e richiedenti asilo e l’ulteriore rafforzamento delle misure operative congiunte intraprese per porre sotto controllo e gestire i flussi diretti in Europa, nonché delle recenti azioni poste in essere per controllare l’accresciuta pressione migratoria sulle frontiere orientali terrestri e marittime della Grecia.

I Ministri hanno inoltre sollecitato  l’Unione Europea a:

·   porre la questione del Mediterraneo al centro dell’agenda comunitaria, al più alto livello politico con il coinvolgimento delle Istituzioni europee e internazionali e accogliere favorevolmente la decisione assunta dalla Presidenza europea di discutere la questione al prossimo Consiglio Giustizia e affari interni  e la decisione del Presidente del Consiglio europeo di avviare il dibattito al prossimo Consiglio europeo;

·   creare una nuova partnership con i vicini Paesi meridionali che si stanno impegnando per attuare riforme politico-economiche, con un più efficace sostegno da parte dell’Unione europea e una piena ownership dei Paesi interessati;

·   dare piena considerazione, in uno spirito di solidarietà, alle difficoltà di quegli Stati membri soggetti a flussi sproporzionati di immigrati;

·   riconoscere la necessità e l’urgenza di strategie capaci di affrontare, in un’ottica complessiva, sicurezza, immigrazione e asilo attraverso la valorizzazione degli strumenti comunitari esistenti e l’effettiva implementazione delle misure previste;

·   incoraggiare forme di collaborazione bilaterale per affrontare le questioni migratorie sia tra gli Stati membri, sia con i Paesi di partenza e transito dei flussi concentrandosi, tra l’altro, sulle questioni del rimpatrio e della riammissione e sullo smantellamento dei network della tratta;

·   rafforzare le capacità di Frontex per farne uno strumento realmente operativo, e migliorarne la sinergia con gli altri  organismi e con Europol in relazione alle possibili minacce terroristico-criminali;

·   realizzare, in uno spirito di solidarietà, un sistema europeo di asilo comune e sostenibile entro la fine del 2012, così come programmi specifici per tradurre in pratica tale solidarietà, come quelli riguardanti la relocation;

·   promuovere programmi di assistenza regionale in sinergia con le competenti agenzie ONU;

·   istituire un fondo speciale di solidarietà, ove necessario, per affrontare la crisi umanitaria.

Il Consiglio giustizia e affari interni del 24-25 febbraio 2011 ha svolto una discussione sulla situazione nel Nord Africa con particolare riferimento alla situazione in Libia e all’afflusso verso l’Italia di migranti provenienti dalla Tunisia. Il comunicato stampa relativo alla riunione informa tuttavia che il Consiglio si è per il momento limitato a prendere atto dell’avvio, il 20 febbraio 2011,  da parte di Frontex e dell’Italia dell’operazione congiunta Hermes 2011 a cui hanno aderito numerosi Stati membri, nonché dell’intenzione della Commissione europea di avvalersi dei programmi specifici già esistenti, per fornire all’Italia un sostegno finanziario supplementare.

Notizie stampa informano che l'Unione Europea avrebbe già messo a disposizione dell'Italia 25 milioni di euro per affrontare l'emergenza immigrati. In esito alla riunione del Consiglio giustizia e affari interni,  il Ministro Roberto Maroni avrebbe espresso apprezzamento per la disponibilità del commissario Cecilia Malmström e per l’impegno della Commissione europea, anche dal punto di vista finanziario,  e rilevato con rammarico la contrarietà di alcuni Stati membri  a misure di carattere politico, in particolare sul 'burden sharing'.

L’operazione congiunta  HERMES 2011

Anticipando una missione già prevista per il mese di giugno 2011, il 20 febbraio 2011 l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea (Frontex), e l’Italia hanno avviato l’operazione congiunta HERMES 2011 nella zona di Lampedusa.  L’operazione, che dovrebbe essere attiva fino al 31 marzo 2011, e a cui partecipano, oltre all’Italia - Stato membro ospitante - anche Francia, Malta, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Austria, Belgio, Romania e Svizzera, prevede il dispiegamento di unità navali ed aeree nonché l’invio di 30 esperti, allo scopo di: fornire assistenza nella individuazione della nazionalità dei migranti , prevenire attività criminali alle frontiere esterne UE, organizzare operazioni di rimpatrio, collaborare con le autorità italiane nella elaborazione di analisi dei rischi. Nell’operazione sarà coinvolta EUROPOL.

Gli strumenti finanziari UE in materia di immigrazione

Nell’ambito delle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013, il programma quadro “Solidarietà e gestione dei flussi migratori” (COM(2005)123-1) ha inteso rispondere al problema della ripartizione equa delle responsabilità tra gli Stati membri, per quanto riguarda l’onere finanziario conseguente all’introduzione di una gestione integrata delle frontiere esterne e all’attuazione di politiche comuni in materia di asilo e immigrazione.

Il programma quadro si sostanzia nei seguenti strumenti finanziari specifici:

·   Fondo europeo per le frontiere esterne“, con una dotazione di 1820 milioni di euro per il periodo 2007-2013 (decisione 574/2007/CE del 7 maggio 2007);

·   Fondo europeo per i rifugiati”, con una dotazione di 628 milioni di euro per il periodo 2008-2013 (decisione 573/2007/CE del 7 maggio 2007);

·   Fondo europeo per il rimpatrio”, con una dotazione di 676 milioni di euro per il periodo 2008-2013 (decisione 575/2007/CE del 7 maggio 2007);

·   “Fondo europeo per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi”, con dotazione pari a 825 milioni di euro per il periodo 2007-2013 (decisione 2007/435/CE del 25 giugno 2007).

Sia il Fondo europeo per le frontiere esterne che i Fondi per i rifugiati e il rimpatrio prevedono la possibilità di finanziamenti urgenti agli Stati membri, per far fronte a situazioni di emergenza.

Si ricorda infine che nel giugno 2007, la Commissione europea ha inoltre lanciato il programma di cooperazione con i paesi terzi nel campo dell’immigrazione e dell’asilo, con una dotazione di 380 milioni di euro per il periodo 2007-2013, in sostituzione del precedente programma AENEAS.

 

La politica UE in materia di immigrazione

Programma di Stoccolma

 
Le prospettive della politica dell’Unione europea in materia di immigrazione sono state definite nel nuovo programma pluriennale per lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia per il periodo 2010-2014, il cd. programma di Stoccolma, adottato dal Consiglio europeo del 10-11 dicembre 2009.

In base al Programma di Stoccolma, l’impegno dell’Unione europea si articolerà  attorno alle seguenti priorità politiche:

·       garantire un accesso all’Europa più efficiente attraverso le politiche di gestione integrata delle frontiere e le politiche in materia di visti;

·       sviluppare una politica migratoria europea articolata, fondata sulla solidarietà e la responsabilità e basata sul Patto europeo sull'immigrazione e l'asilo con l’obiettivo principale di: istituire un sistema comune d'asilo nel 2012 che garantisca alle persone bisognose  di protezione un accesso garantito a procedure di asilo giuridicamente sicure ed efficaci; controllare e contrastare l’immigrazione clandestina, anche in considerazione della crescente pressione esercitata sugli Stati membri alle frontiere esterne, tra cui quelle meridionali;

·       integrare maggiormente la dimensione esterna della politica dell'UE nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell'ambito delle politiche generali dell'Unione europea.

Tra le indicazioni  del programma 2010-2014, particolare importanza è attribuita al rafforzamento del dialogo e del partenariato con i paesi terzi e alla definizione di un quadro comune che permetta di rispondere al fabbisogno del mercato del lavoro nazionale, rispettando comunque pienamente le competenze degli Stati membri nel determinare le quote di ammissione per motivi lavorativi. Si propone inoltre di elaborare il consolidamento di tutta la normativa in materia di immigrazione, integrando eventuali modifiche volte a  semplificare e/o estendere, se necessario, le disposizioni vigenti e di aumentare, se del caso, il livello di armonizzazione in materia di ricongiungimenti familiari. Un impegno particolare è richiesto nel campo dell’integrazione, partendo da un quadro comune di riferimento, nell’intento di individuare pratiche comuni e moduli europei a sostegno del processo (tra cui elementi essenziali quali corsi introduttivi e corsi di lingua e la partecipazione attiva degli immigrati a tutti gli aspetti della vita comune).

Immigrazione legale

 
In linea con le indicazioni del programma di Stoccolma, in materia di immigrazione legale,  il 13 luglio 2010 la Commissione europea ha presentato le seguenti proposte legislative, tuttora all’esame delle istituzioni UE:

·       proposta di direttiva sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi per motivi di lavoro stagionale (COM(2010)379);

·       proposta di direttiva sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi nell’ambito di trasferimenti intrasocietari (COM(2010)378).

Prosegue inoltre l’esame della proposta di direttiva relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano legalmente in uno Stato membro (COM2007)638).

Integrazione

 
Il programma di Stoccolma sottolinea l'esigenza di un maggiore coordinamento fra le politiche nazionali e le iniziative dell'UE in materia di integrazione. Il Piano d’azione presentato dalla Commissione prevede la pubblicazione della terza edizione del "Manuale sull’integrazione per politici e operatori" e di una comunicazione relativa ad una agenda UE per l'integrazione, che comprenda lo sviluppo di un meccanismo di coordinamento.

Immigrazione clandestina

 

 

 

 
Per quanto riguarda la gestione dell’immigrazione irregolare l’accento è posto sull’attuazione di una politica di allontanamento e di rimpatrio efficace, nel pieno rispetto del principio di non–refoulement, dei diritti fondamentali, basata sul monitoraggio della trasposizione della direttiva rimpatri e su una maggiore cooperazione operativa tra Stati membri, con particolare attenzione alla situazione dei minori non accompagnati.

In linea con le indicazioni del programma di Stoccolma, in occasione del Consiglio Giustizia e affari interni del  25 febbraio 2010, i Ministri dell'interno hanno approvato un testo di conclusioni contenente 29 misure volte al potenziamento della sorveglianza delle frontiere esterne dell'Unione e della lotta all'immigrazione clandestina. Per quanto riguarda la lotta contro le reti di immigrazione clandestina e la tratta di persone, il Consiglio ha convenuto di:

-  assicurare che lo smantellamento di tali reti rimanga un'alta priorità dell'azione di Europol, Eurojust e FRONTEX, al pari dello scambio sistematico di informazioni pertinenti tra tali agenzie;

-  incoraggiare gli Stati membri a migliorare la condivisione delle informazioni riguardanti i nuovi modus operandi delle reti dedite all'immigrazione clandestina, alla tratta di persone e alla falsificazione di documenti nonché ad usare meglio le banche dati esistenti, compresa quella dei documenti falsi e autentici on-line (FADO), in modo da favorire l'individuazione precoce di tali attività criminali alle frontiere e lo scambio di migliori pratiche.

 

Asilo

 

 

 

 
Tra le priorità individuate dal programma in materia di asilo, particolare rilevanza rivestono: la rapida adozione delle proposte legislative in corso di esame da parte delle istituzioni UE, volte alla creazione, entro il 2012, di un Sistema comune europeo di asilo, basato su  una procedura unica di asilo e uno status uniforme in materia di protezione internazionale; l’istituzione tra gli Stati membri di un meccanismo di reinsediamento interno, che funzioni su base volontaria e in modo coordinato e che preveda, eventualmente il sostegno alla creazione di piattaforme permanenti di accoglienza e di transito in determinati Stati membri e accordi specifici per il partenariato con l’Alto Commissariato ONU per i rifugiati (ACNUR).

Meccanismo di reinsediamento interno

 

 

 

 

 

 

 
A tale proposito si segnala che sia il Parlamento europeo, nella risoluzione sul programma di Stoccolma adottata il 25 novembre 2009, che il Governo italiano, in particolare nel corso del Consiglio giustizia e affari interni del giugno 2009, hanno segnalato l’opportunità che i meccanismi di reinsediamento abbiano carattere obbligatorio.

Ufficio europeo per l’asilo

 

 

 

 

 

 

 
In materia di asilo, di particolare importanza è stata l’adozione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio il 19 maggio 2010 del Regolamento (UE) n.439/2010 che istituisce l’Ufficio europeo di sostegno all’asilo, con sede a Malta. L’Ufficio, che dovrà essere operativo entro il 19 giugno 2011, avrà le seguenti finalità:

-      facilitare, coordinare e rafforzare la cooperazione pratica in materia di asilo fra gli Stati membri e contribuire a una migliore attuazione del Sistema europeo comune di asilo;

-     fornire un sostegno operativo efficace agli Stati membri i cui sistemi di asilo e accoglienza sono sottoposti ad una pressione particolare, facendo appello a tutte le risorse utili a sua disposizione, che possono includere il coordinamento delle risorse fornite dagli Stati membri alle condizioni previste dal regolamento stesso;

-     prestare assistenza scientifica e tecnica in relazione alle politiche e alla legislazione dell'Unione in tutti i settori che hanno ripercussioni dirette o indirette sull’asilo, in quanto fonte indipendente di informazioni su tutte le questioni rientranti in tali ambiti.

Il 26 novembre 2010 Rob Visser è stato nominato direttore esecutivo dell’Ufficio.

 La gestione delle frontiere esterne dell’Unione europea

Frontex

 

 

 

 

 

 

 
Attiva dal 2005 (regolamento (CE) n.2007/2004 del Consiglio), con sede a Varsavia, l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea (Frontex) ha attualmente il compito di: 

·       coordinare la cooperazione operativa tra gli Stati membri nella gestione delle frontiere esterne;

·       assistere gli Stati membri in materia di formazione del corpo nazionale delle guardie di confine;

·       effettuare analisi dei rischi;

·       aiutare gli Stati membri in circostanze che richiedono una maggiore assistenza tecnica e operativa alle frontiere esterne;

·       offrire agli Stati membri il supporto necessario per operazioni di rimpatrio congiunte.

Il regolamento (CE) n.863/2007 dell’11 luglio  2007 ha introdotto nel regolamento istitutivo di Frontex un meccanismo per la creazione di squadre di intervento rapido (RABIT). Le squadre RABIT, costituite da guardie di frontiera appositamente distaccate, hanno il compito di fornire assistenza operativa rapida per un periodo limitato allo Stato membro che ne faccia richiesta e che si trovi a fare fronte a sollecitazioni urgenti ed eccezionali. L’Italia partecipa con 62 elementi.

Squadre Rabit

 

 

 

 

 

 

 
Si segnala che, a causa di un recente forte incremento della pressione alle frontiere terrestri esterne con la Turchia,  il 24 ottobre  2010, il governo Greco ha richiesto all’Agenzia Frontex l’intervento di una Squadra di intervento rapido per assistere le autorità greche nel controllo della linea di frontiere di 12, 5 km presso la città greca di Orestiada.  Si tratta del primo caso di intervento delle squadre RABIT. L’operazione, iniziata il 2 novembre e destinata a durare fino al 2 marzo 2011,  prevede la messa a disposizione della Grecia di 175 guardie di frontiera provenienti dagli Stati membri aderenti all’area Schengen e dagli Stati associati nonchè l’utilizzo degli equipaggiamenti del CRATE (il registro  centralizzato delle attrezzature  tecniche disponibili, gestito da Frontex).

Per quanto riguarda le risorse finanziarie, il bilancio di Frontex è costantemente aumentato, passando da 6 milioni di euro nel 2005, a 19 milioni nel 2006, 42 milioni nel 2007, 70 milioni nel 2008 e 88 milioni nel 2009. Nel 2009 le spese sono state destinate per l’11% alla copertura dei costi amministrativi,  per il 18% al personale e per il 71% alle attività operative.

Il personale di Frontex alla fine dell'anno 2009 era costituito da 226 unità.

Il Direttore esecutivo è il finlandese  Ilkka LAITINEN, il cui mandato scadrà nel 2015.

Il  rafforzamento di Frontex

 

 

 

 

 

 

 
Nel programma di Stoccolma per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia 2010 – 2014, si raccomanda un  miglioramento della cooperazione operativa tra Stati membri tramite l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne UE (Frontex), auspicando che l’agenzia goda di maggiori capacità di azione (competenze di comando in materia di operazioni congiunte su base facoltativa; impiego di mezzi propri; facoltà di mobilitare più agevolmente gli effettivi necessari allo svolgimento delle operazioni). Indicazioni relative al potenziamento di Frontex sono peraltro contenute nel testo di conclusioni, adottato dal Consiglio giustizia e affari interni del 25 febbraio 2010, contenente 29 misure volte al potenziamento della sorveglianza delle frontiere esterne dell'Unione e della lotta all'immigrazione clandestina. 

La necessità di un rafforzamento di Frontex è stata inoltre sostenuta  nel documento congiunto sul tema dell’immigrazione clandestina nel Mediterraneo, sottoscritto il 13 gennaio 2009  dai Ministri dell’Interno di Cipro, Grecia, Italia e Malta e successivamente presentato al Consiglio UE. Il Consiglio giustizia e affari interni si è espresso favorevolmente su di esso nella riunione del 26-27 febbraio 2009.

In questo quadro,  nel marzo 2010 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento volto al rafforzamento di Frontex (COM(2010)61), attualmente all’esame delle istituzioni UE. 

Il Piano di azione di attuazione del programma di Stoccolma (COM(2010)171) ha previsto inoltre la costituzione, da parte di Frontex, nel corso del 2010, di uffici regionali e/o specializzati.  A questo proposito si segnala che il primo ufficio decentralizzato di Frontex è stato aperto nel mese di ottobre presso il Pireo. L’Ufficio, con personale pari  a 13 unità provenienti da differenti Stati membri, si occuperà di assicurare le sorveglianza delle frontiere esterne a sud-est dell’Europa, in particolare di Malta, Italia, Grecia e Cipro.

Ricerca e salvataggio in mare

 
Per quanto riguarda l’attività operativa di Frontex, di particolare rilevanza è stata l’adozione, il 26 aprile 2010, della  decisione del Consiglio 2010/252/UE che integra il codice frontiere Schengen, prevedendo:

·         regole per le operazioni alle frontiere marittime coordinate dall’Agenzia  Frontex , e

·         orientamenti non vincolanti per le situazioni di ricerca e salvataggio e per lo sbarco, nel contesto delle operazioni alle frontiere marittime coordinate dall’Agenzia Frontex.

La decisione si è prefissa di rispondere alle perplessità sollevate da più parti sul rispetto dei diritti fondamentali e dei diritti dei rifugiati durante le operazioni Frontex. In particolare, si introduce il divieto di respingere chiunque rischi la persecuzione o altre forme di trattamenti inumani o degradanti, divieto che si applica a prescindere dallo status delle acque in cui si trovano gli interessati. Per quanto riguarda le modalità di sbarco delle persone soccorse, l’articolo 2.1 degli Orientamenti stabilisce che esse siano indicate nel piano operativo e siano conformi al diritto internazionale e agli eventuali accordi bilaterali applicabili. Il piano operativo non potrà imporre obblighi agli Stati membri che non partecipano all’operazione. A meno che non sia diversamente indicato nel piano operativo, dovrebbe essere  privilegiato lo sbarco nel paese terzo da cui la nave è partita e, qualora ciò non sia possibile, lo sbarco nello Stato membro ospitante, a meno che non sia necessario agire diversamente per garantire l’incolumità  (safety) delle persone.

La decisione è stata adottata in Consiglio il 25 gennaio 2010 con l’astensione di Malta e dell’Italia. L’astensione dell’Italia sarebbe riconducibile a perplessità  circa la formulazione del citato articolo 2.1. A questo proposito l’Italia ha chiesto di allegare alla proposta una dichiarazione nella quale  esprime  l’intenzione di monitorare l’applicazione delle disposizioni in materia di sbarco, di cui all’articolo 2.1,  e di chiedere l’intervento della Commissione e di Frontex nel caso in cui l’applicazione delle stesse da parte di un altro Stato membro si basi su un’interpretazione eccessivamente ampia del concetto di “safety”, allo scopo  di eludere i propri obblighi e responsabilità.


La direttiva 2008/115/ce
(Norme e procedure comuni applicabili negli stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare)
(a cura del Dipartimento Istituzioni)

La direttiva 2008/115/CE del 16 dicembre 2008 definisce norme e procedure comuni da applicarsi negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

La direttiva risponde all'esigenza di introdurre norme chiare, trasparenti ed eque nell'ambito di una politica di rimpatrio efficace, necessaria per una corretta gestione della politica di immigrazione.

Le procedure di rimpatrio, come stabilito dall’art. 1 della direttiva, devono essere eseguite nel rispetto dei diritti fondamentali in quanto considerati principi generali del diritto comunitario e del diritto internazionale e sempre nel rispetto degli obblighi previsti in materia di rifugiati e di diritti dell'uomo.

Nell'attuazione della presente direttiva, gli Stati membri dovrebbero considerare come preminente l'interesse superiore del bambino, come sottolineato nel "considerando n. 22" e previsto anche dall'articolo 5, in linea con la convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1989.

Inoltre, deve essere rispettato il principio di non-refoulement, ossia del non respingimento dei richiedenti asilo, e devono essere tenute in debita considerazione la vita familiare e le condizioni di salute dell’interessato.

In particolare, la direttiva introduce norme comuni riguardanti il rimpatrio, l’allontanamento, l’uso di misure coercitive, la custodia temporanea e il reingresso di cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente.

La direttiva si applica ai cittadini non comunitari il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare, ossia avviene in violazione delle norme relative alle condizioni di ingresso e soggiorno vigenti nello Stato membro o delle norme comunitarie.

Gli Stati membri possono decidere di non applicare la direttiva per gli stranieri sottoposti a respingimento alla frontiera, ai quali, tuttavia, devono essere riservati un trattamento e un livello di protezione non meno favorevoli di quelli previsti da alcune disposizioni della direttiva in materia di misure coercitive, allontanamento, prestazioni sanitarie e trattenimento. Possono, inoltre, essere esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva i destinatari di un provvedimento di espulsione quale sanzione penale.

 

Uno Stato membro deve emettere una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un Paese terzo il cui soggiorno nel suo territorio sia irregolare.

 

Per motivi umanitari o di altra natura, la decisione di rimpatrio può essere omessa, in questi casi uno Stato membro può decidere di rilasciare un permesso di soggiorno autonomo o altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare a un cittadino di un Paese terzo il cui soggiorno nel suo territorio è irregolare. Gli Stati membri non devono emettere decisioni di rimpatrio prima del completamento della procedura di rinnovo di tali permessi.

Inoltre, se il cittadino di un Paese terzo è in possesso di un permesso di soggiorno valido o di un’autorizzazione equivalente rilasciati da un altro Stato membro deve recarsi immediatamente nel territorio di quest’ultimo. Se in virtù di accordi bilaterali, un altro Stato membro riprende il cittadino in questione, tale Stato membro sarà responsabile di emettere la decisione di rimpatrio.

 

La decisione di rimpatrio viene attuata attraverso la partenza volontaria oppure con l’allontanamento. La prima modalità  dovrebbe essere preferita a meno che non vi è motivo di ritenere che ciò possa compromettere la finalità della procedura di rimpatrio (considerando n. 10).

 

La decisione di rimpatrio tramite la partenza volontaria deve prevedere un termine congruo compreso tra sette e trenta giorni. Gli Stati membri possono prevedere che tale periodo sia concesso unicamente su richiesta del cittadino interessato. Il termine per la partenza volontaria può essere prorogato, in particolari circostanze, quali la durata del soggiorno, l'esistenza di bambini che frequentano la scuola e l'esistenza di altri legami familiari e sociali. Per la durata di tale periodo gli Stati membri possono inoltre imporre alcuni obblighi all’interessato diretti a evitare il rischio di fuga (obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, deposito di una cauzione ecc.). Se sussiste il rischio di fuga o se una domanda di soggiorno regolare è stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta o se l'interessato costituisce un pericolo per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale, gli Stati membri possono astenersi dal concedere un periodo per la partenza volontaria o concederne uno inferiore a sette giorni.

 

Qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria o per mancato adempimento dell’obbligo di rimpatrio da parte del cittadino entro il periodo per la partenza volontaria concesso, gli Stati membri devono ordinare il suo allontanamento.

Misure coercitive proporzionate, che non eccedono un uso ragionevole della forza, possono essere usate per allontanare un cittadino di un Paese terzo solo in ultima istanza. L’allontanamento deve essere rinviato qualora violi il principio di non-refoulement o in caso di sospensione temporanea della decisione di rimpatrio durante la pendenza dell’eventuale ricorso contro la decisione. Gli Stati membri possono rinviare l’allontanamento anche in circostanze specifiche dovute alle condizioni dell’interessato, o per ragioni tecniche (mancanza del vettore, assenza di identificazione ecc.).

 

Ai sensi del testo unico dell’immigrazione attualmente vigente, la decisione di espulsione amministrativa può essere eseguita con due modalità: con l’accompagnamento alla frontiera mediante la forza pubblica, e questa costituisce la modalità ordinaria, oppure con l’intimazione a lasciare il Paese entro il termine di 15 giorni. Questa seconda ipotesi è prevista nel caso in cui l’interessato sia in possesso di un permesso di soggiorno scaduto da più di 60 giorni e di cui non ha chiesto il rinnovo. Anche in questo caso, tuttavia, può essere disposta l’espulsione coatta in presenza di un concreto pericolo che l’interessato si sottragga all’esecuzione del provvedimento di allontanamento tramite intimazione (art. 13 D.Lgs. 286/1998).

 

La direttiva attribuisce una dimensione europea agli effetti delle misure di rimpatrio adottate a livello nazionale, ponendo in essere un divieto al rientro sul territorio, valido per l’insieme dell’Unione europea.

Le decisioni di rimpatrio possono essere corredate di un divieto di ingresso qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria o il cittadino non abbia ottemperato all’obbligo di rimpatrio. La durata del divieto di ingresso è determinata tenendo debitamente conto di tutte le circostanze pertinenti di ciascun caso e non supera di norma i cinque anni, a meno che il cittadino non costituisca una grave minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale. Gli Stati membri possono revocare o sospendere un divieto d’ingresso per motivi particolari. In casi individuali gli Stati membri possono astenersi per motivi umanitari dall’emettere un divieto d’ingresso.

 

Il testo unico dell’immigrazione prevede un divieto di reingresso di 10 anni se non diversamente disposto (art. 13, comma 14).

 

Lo Stato che adotta la decisione di rimpatrio, in talune ipotesi, può disporre il trattenimento del cittadino irregolare in appositi centri di permanenza temporanea ad esempio se sussiste il pericolo di fuga o se il cittadino ostacola la preparazione del rimpatrio. Anche relativamente all'adozione del trattenimento deve essere adottata ogni tutela necessaria al fine di salvaguardare l'interesse superiore del minore.

Il trattenimento è sottoposto all’esame dell’autorità giudiziaria e deve durare il minor tempo possibile. In ogni caso, ciascuno Stato individua un periodo determinato di trattenimento che non può superare i 6 mesi prorogabili, al massimo, di ulteriori 12 mesi esclusivamente nell’ipotesi che, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, l'operazione di allontanamento rischia di durare più a lungo a causa:

§         della mancata cooperazione da parte del cittadino;

§         dei ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi.

 

Questa parte della direttiva è stata recepita nell’ordinamento con la legge 94/2009 che ha elevato da 60 a 180 giorni il periodo di trattenimento massimo nei Centri di identificazione e d espulsione – CIE (art. 14 del testo unico).

 

La direttiva prevede una serie garanzie procedurali volte a tutelare i destinatari delle decisioni di rimpatrio.

Le decisioni di rimpatrio, di divieto d’ingresso e di allontanamento devono essere adottate in forma scritta e contenere informazioni sui mezzi di ricorso disponibili. Gli Stati membri forniscono ai cittadini dei paesi terzi, su richiesta, la traduzione di tali decisioni, a meno che tali decisioni non siano adottate per mezzo di un modello uniforme.

Al cittadino di un Paese terzo devono essere concessi mezzi di ricorso effettivo avverso le decisioni connesse al rimpatrio o per chiederne la revisione, e deve essere garantita la necessaria assistenza o rappresentanza legale gratuita. La revisione delle decisioni deve avvenire dinanzi ad un’autorità giudiziaria o amministrativa competente o a un organo competente composto da membri imparziali che offrono garanzie di indipendenza. L’organo di revisione ha la facoltà di sospendere temporaneamente l’esecuzione delle decisioni.

 

La Commissione è tenuta a predisporre, ogni tre anni, una relazione concernente lo stato di attuazione della direttiva in esame, in particolare con riferimento al divieto d'ingresso, alla garanzia dell'assistenza legale gratuita anche ai sensi della direttiva 2005/85/CE ed alla possibilità di trattenimento.

 

Il termine di recepimento della direttiva è scaduto il 24 dicembre 2011 senza che siano stati adottati i provvedimenti necessari alla sua attuazione. Nelle more del recepimento della direttiva si registra un orientamento della giurisprudenza volto a disapplicare le disposizioni della normativa nazionale (contenute nel testo unico dell’immigrazione), in favore di quelle recate nella direttiva medesima, nei casi in cui vengano individuate palesi divergenze tra esse, in ottemperanza del principio di self-executing.

 

L'efficacia diretta (o applicabilità diretta) del diritto europeo è un principio che consente di invocare direttamente una norma europea dinanzi a una giurisdizione nazionale o europea, a prescindere dall’esistenza di atti normativi di diritto nazionale. Tale principio si è consolidato attraverso la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) che ha definito diversi requisiti da soddisfare affinché un atto giuridico europeo possa essere direttamente applicabile, tra cui la condizione che gli obblighi siano precisi, chiari e incondizionati e non richiedano misure complementari di carattere nazionale o europeo (sen. Van Gend en Loos 5 febbraio 1963).

 

La giurisprudenza nazionale ha individuato un aspetto di non conformità della normativa nazionale rispetto a quella europea nelle disposizioni sanzionatorie relative alla violazione dell’ordine di rimpatrio.

Il testo unico prevede che se, pur in presenza di un provvedimento di espulsione coatta, non è possibile procedere all’accompagnamento alla frontiera, anche dopo un eventuale periodo di trattenimento nei centri per immigrati, il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro 5 giorni. In questo caso è previsto un sistema sanzionatorio penale articolato come segue:

-      la violazione all’ordine del questore compiuta dal cittadino straniero che rimane illegalmente nel territorio nazionale “senza giustificato motivo” è punita con la reclusione fino a 4 anni e con una nuova espulsione con accompagnamento alla frontiera. Anche in questo caso l’espulsione coatta può essere convertita in espulsione con intimazione ad lasciare il territorio nazionale;

-      una successiva ulteriore violazione, sia che si concretizzi nel reingresso dopo l’espulsione coatta, sia che consista nell’inottemperanza all’ordine di rimpatrio, dà luogo una pena più alta (fino a 5 anni), non comporta la valutazione del giustificato motivo e prevede una nuova espulsione.

 

Il giudice di merito (Trib. Torino sen. 52 del 5 gennaio 2011) ha ritenuto di disapplicare tali disposizioni per questi motivi:

-      “il t.u. vigente stabilisce come regola l’espulsione coattiva immediata dello straniero e contempla il trattenimento come unica misura coercitiva adottabile nelle more dell’accompagnamento coattivo, mentre la direttiva UE privilegia e incentiva la partenza volontaria del cittadino di Paese terzo irregolare imponendo all’autorità di concedere allo straniero espulso un termine congruo compreso tra i sette e i 30 giorni per lasciare volontariamente il territorio (mentre l’ordine di allontanamento del questore prevede un termine inferiore - cinque giorni- per lasciare il territorio nazionale), e concepisce il trattenimento come ultima “ratio”, utilizzabile quando altre misure meno afflittive si presentino inadeguate ad assicurare il rimpatrio e sempre che le condizioni che giustificano l’avvio del trattenimento sussistano per la durata del medesimo”;

-      “l’attuale ordinamento italiano sanziona con la reclusione da uno a quattro anni la fattispecie dell’inosservanza del primo ordine di allontanamento, e con la reclusione da uno a cinque anni dell’ordine reiterato, provvedimento che è parte integrante della procedura di rimpatrio, che ricade, quindi, nella sfera di applicazione della direttiva la quale prevede unicamente il ricorso alle misure coercitive ivi previste e in “extrema ratio” il trattenimento in un apposito centro di permanenza temporanea, per un periodo complessivo massimo di 18 mesi e con le garanzie previste agli art. 15 e 16 della direttiva. Applicando le norme penali in oggetto si violano le garanzie imposte dalla direttiva a tutela della libertà personale dello straniero destinatario di un provvedimento di rimpatrio e che non lo abbia osservato, ricorrendo ad una misura coercitiva qualitativamente diversa e temporalmente più estesa di quella prevista (in caso estremo il trattenimento) dalla direttiva UE”.


Le politiche in materia di immigrazione
(a cura del Dipartimento Istituzioni)

Le dimensioni del fenomeno migratorio

Gli stranieri regolari (tra comunitari ed extracomunitari) presenti nel nostro Paese hanno ormai superato la soglia di quattro milioni e mezzo.

Secondo le stime dell’Istituto nazionale di statistica, sono 4 milioni 563 mila gli stranieri residenti nel nostro Paese al 1° gennaio 2011 e sono in costante aumento[1]. Rispetto all’anno precedente si registra un incremento di 328 mila unità.

I dati dell’ISTAT si riferiscono agli stranieri iscritti all’anagrafe della popolazione residente e che presentano, quindi, caratteristiche insediative stabili. A questi devono aggiungersi gli stranieri regolarmente presenti ma che non hanno fatto richiesta o che non sono stati ancora registrati all’anagrafe.

Se si tiene conto anche dei soggiornanti non residenti o non ancora registrati, il numero di stranieri regolari avrebbe, già nel corso del 2009, sfiorato i 5 milioni, attestandosi a 4 milioni 919 mila[2]. Secondo altre stime sarebbe stata superata anche la cifra di 5 milioni[3].

Secondo i dati ISTAT l’incidenza dei cittadini stranieri sulla popolazione complessiva è del 7,5%[4], che consente ormai di annoverare l’Italia tra i grandi Paesi europei di immigrazione accanto a Germania, Spagna, Francia e Regno Unito.

 

Accanto alla presenza regolare degli stranieri, è diffuso il fenomeno dell’immigrazione irregolare. Ovviamente, non ci sono stime ufficiali sul numero totale dei clandestini. Come accennato, un recente studio ipotizza una presenza irregolare in Italia di 544 mila persone all’inizio del 2010[5].

Una analisi effettuata a partire dal 2000 permette di individuare le modalità di ingresso degli stranieri in posizione irregolare: il 10% è costituito dagli sbarchi via mare e il 15% riguarda gli ingressi effettuati in maniera fraudolenta via terra. Quindi, solamente il 25% è costituito dai clandestini in senso stretto, la grande maggioranza (75%) è costituita dagli overstayer, ossia da persone che attraversano legalmente il confine con un visto valido (prevalentemente di tipo turistico) e poi si trattengono nel nostro Paese[6].

Per quanto concerne gli sbarchi di clandestini sulle coste italiane, dopo una fese di sostanziale azzeramento dei flussi provenienti dall’Albania e dalla Turchia, diretti in Puglia e in Calabria, si registra una ripresa degli sbarchi nelle coste ioniche delle due regioni. Da segnalare che a partire dal 2005 anche la Sardegna è diventata meta di sbarchi. Gli sbarchi in Sicilia, dopo una tendenza alla diminuzione negli ultimi due anni, hanno avuto una forte ripresa nei primi giorni del 2011, con 5.278 clandestini sbarcati tra la metà di gennaio e la metà di febbraio. Il massiccio afflusso è collegato alla situazione di instabilità dei Paesi nordafricani[7].

Dal 1° gennaio al 30 settembre del 2010, si sono registrati 114 sbarchi, per un totale di 2.868 clandestini. Nello stesso periodo dell'anno precedente gli sbarchi erano stati 148, per un totale di 8.292 clandestini. Nel periodo 1° agosto 2008-31 luglio 2009, il totale degli sbarchi in Italia è stato di 29.076 unità; nell'anno successivo, 1° agosto 2009-31 luglio 2010, di 3.499 complessivamente, con una riduzione dell'88 per cento[8].

In tutto il 2009 sono sbarcati illegalmente sul territorio nazionale 9.573 stranieri. Si registra una sensibile diminuzione rispetto all'anno 2008, quando sono sbarcati sulle coste italiane 36.951 cittadini extracomunitari; la diminuzione è molto accentuata a partire dall’applicazione dell’accordo sottoscritto nel 2008 tra lo Stato italiano e la Libia. Nel 2009 sono stati 885 gli stranieri intercettati a bordo di imbarcazioni in acque internazionali e restituiti alle autorità libiche (834) e algerine (51), in occasione di 11 operazioni effettuate congiuntamente alla Libia (9) e all’Algeria (2). Dal maggio 2009 (data di inizio delle operazioni congiunte) al dicembre 2009 sono stati intercettati 3.185 clandestini sbarcati in Italia, contro 31.281 dello stesso periodo del 2008[9].

Per quanto riguarda le operazioni di rimpatrio degli stranieri, dal 1° gennaio 2005 al 31 dicembre 2009 risultano effettivamente rimpatriati 169.129 clandestini, di cui 42,595 nel biennio 2008-2009[10].

Le fonti normative

Le linee generali delle politiche pubbliche in materia di immigrazione in Italia, fissate dalla legge 40/1998[11] (cosiddetta “legge Turco – Napolitano”), sono state successivamente consolidate nel decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero.

Successivamente, è intervenuta la legge 189/2002[12] (la cosiddetta “legge Bossi-Fini”) che ha modificato il testo unico del 1998, pur non alterandone l’impianto complessivo.

In tempi più recenti, ulteriori integrazioni al testo unico sono state apportate dalla legge sulla sicurezza n. 94 del 2009[13].

Norme regolamentari, di attuazione del testo unico, sono contenute nel D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, come modificato dal D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334, emanato in attuazione della legge 189/2002.

Il testo unico interviene in entrambi gli ambiti principali del diritto dell’immigrazione: il diritto dell’immigrazione in senso stretto, concernente la gestione nel suo complesso del fenomeno migratorio: la definizione di regole di ingresso, di soggiorno, di controllo, di stabilizzazione dei migranti ed anche la repressione delle violazioni a tali regole; e il diritto dell’integrazione, che riguarda l’estensione, in misura più o meno ampia, ai migranti dei diritti propri dei cittadini (diritti civili, sociali, politici).

I princìpi fondamentali che sono alla base del testo unico sono essenzialmente tre: la programmazione dei flussi migratori e il contrasto all’immigrazione clandestina (per quanto riguarda il diritto dell’immigrazione); la concessione di una ampia serie di diritti volti all’integrazione degli stranieri regolari (diritto dell’integrazione).

 

Il testo unico non interviene in materia di diritto di asilo la cui disciplina, in passato contenuta nel decreto-legge 416/1989[14] (la cosiddetta “legge Martelli”), ha avuto di recente una regolamentazione dettagliata ad opera del decreto legislativo 251/2007 e successivamente del decreto legislativo 25/2008, entrambi di recepimento della normativa comunitaria: il primo della direttiva 2004/83/CE (la cosiddetta direttiva “qualifiche”), il secondo della direttiva 2005/85/CE (cosiddetta direttiva “procedure”).

Anche la condizione giuridica degli stranieri cittadini di stati membri dell’Unione europea è stata di recente ridisciplinata con il decreto legislativo 30/2007 sempre di derivazione comunitaria (dir. 2004/38/CE).

La programmazione dei flussi migratori

In Italia l’immigrazione dei cittadini stranieri non appartenenti all’Unione europea è regolata secondo il principio della programmazione dei flussi. Ogni anno il Governo, sulla base della necessità di manodopera interna, stabilisce il numero di stranieri che possono entrare nel nostro Paese per motivi di lavoro.

In particolare, la gestione dei flussi di immigrazione è realizzata attraverso una serie di strumenti, quali il documento programmatico triennale, il decreto annuale sui flussi, il decreto sull’ingresso degli studenti universitari.

Il documento programmatico sulla politica dell’immigrazione viene elaborato dal Governo ogni tre anni ed è sottoposto al parere delle Commissioni parlamentari. Esso contiene un’analisi del fenomeno migratorio e uno studio degli scenari futuri; gli interventi che lo Stato italiano intende attuare in materia di immigrazione; le linee generali per la definizione dei flussi d’ingresso; le misure di carattere economico e sociale per favorire l’integrazione degli stranieri regolari[15].

Il decreto sui flussi è lo strumento attuativo del documento programmatico, con cui il Governo stabilisce ogni anno, sulla base delle indicazioni contenute nel documento programmatico triennale e dei dati sull’effettiva richiesta di lavoro da parte delle realtà locali, elaborati da un’anagrafe informatizzata tenuta dal Ministero del lavoro, le quote massime di stranieri da ammettere in Italia per motivi di lavoro. In esso sono previste quote riservate per i cittadini provenienti da Paesi a forte pressione migratoria con i quali l’Italia ha sottoscritto accordi specifici di cooperazione in materia di immigrazione. Il decreto è adottato entro il 30 novembre di ciascun anno, previo parere delle competenti commissioni parlamentari.

Una norma di salvaguardia prevede che qualora non sia possibile emanare il decreto (per esempio in assenza del documento programmatico triennale) il Presidente del Consiglio può adottare un decreto transitorio con una procedura più veloce e senza il parere delle Camere. Tale decreto, però, non può superare le quote stabilite nell’ultimo decreto (ordinario o transitorio) emanato (art. 3 del testo unico del 1998).

Il contrasto all’immigrazione clandestina

Il secondo principio su cui si fonda la disciplina dell’immigrazione è quello del contrasto all’immigrazione clandestina.

 

Gli stranieri entrati in Italia senza regolare visto di ingresso sono considerati “clandestini”, mentre sono ritenuti “irregolari” gli stranieri che hanno perduto i requisiti per la permanenza sul territorio nazionale. Secondo le norme vigenti, tali immigrati devono essere respinti alla frontiera o espulsi.

 

L’ingresso e il soggiorno illegale nel territorio nazionale è considerato un reato punibile con una ammenda o con l’espulsione.

Gli strumenti che l’ordinamento predispone per il contrasto all’immigrazione clandestina sono numerosi e vanno dalla repressione del reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, al respingimento alla frontiera, dall’espulsione come misura di sicurezza per stranieri condannati per gravi reati, all’espulsione come sanzione sostitutiva.

Il principale di essi può tuttavia considerarsi l’espulsione amministrativa. Dopo la legge Bossi-Fini essa deve essere eseguita in via ordinaria con l’accompagnamento alla frontiera da parte delle forze dell’ordine, disposto dal prefetto; solamente in determinati casi si concreta in una intimazione a lasciare entro 15 giorni il territorio dello Stato. Il provvedimento di espulsione è valido per 10 anni e il mancato rispetto di quanto in esso disposto dà luogo a sanzione penale.

Particolarmente severe sono le disposizioni volte a reprimere il reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, punito con la reclusione fino a a quindici anni. Le pene sono poi aumentate in presenza di circostanze aggravanti, quali l’avviamento alla prostituzione[16]. Va inoltre ricordata, in proposito, la ridefinizione dei reati di riduzione in schiavitù e di tratta di persone operata dalla legge 228/2003[17].

Una menzione spetta anche al permesso di soggiorno a fini investigativi, rilasciato in favore degli stranieri che prestino la loro collaborazione all’autorità giudiziaria o agli organi di polizia in relazione a delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico. Si tratta di un nuovo strumento introdotto dal decreto-legge 144/2005[18], e che si inserisce nel solco della legislazione premiale in materia di immigrazione inaugurata dal permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, che può essere rilasciato a immigrati clandestini che siano vittime di situazioni di violenza o di grave sfruttamento[19].

Quando l’espulsione non può essere immediata, gli stranieri devono essere trattenuti presso appositi centri di identificazione ed espulsione (CIE) (nuova denominazione dei centri di permanenza temporanea ed assistenza – CPTA) per il tempo strettamente necessario alla loro identificazione ed espulsione.

 

I CIE, ex CPTA, sono luoghi di trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione (i motivi di possibile trattenimento sono i seguenti: perché occorre procedere al soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all’acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero a giudizio di convalida, ovvero per l’indisponibilità di vettore o altro mezzo di trasporto idoneo)[20]. In tali strutture lo straniero deve essere trattenuto con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità (art. 14, co. 2, D.Lgs. 286/1998). Il trattenimento è disposto con provvedimento del questore per un periodo di 30 giorni, prorogabile fino ad un massimo di 6 mesi.

Il decreto-legge 151/2008[21] autorizza uno stanziamento pluriennale per l’ammodernamento e l’ampliamento dei CIE e per la costruzione di nuovi. Le nuove strutture dovrebbero essere localizzate nelle regioni nelle quali attualmente non esistono CIE. Sono in corso le attività di scelta e di valutazione alle quali partecipano anche le regioni e gli enti locali interessati[22].

Gli interventi a livello internazionale

Uno degli strumenti che hanno reso possibile una efficace azione di contrasto all’immigrazione clandestina è stato la stipulazione, da parte del Governo italiano, di una serie di accordi bilaterali in materia di immigrazione (l’ultimo con la Libia).

Si tratta, innanzitutto, degli accordi di riammissione degli stranieri irregolari, previsti dal testo unico sull’immigrazione, volti ad ottenere la collaborazione delle autorità del Paese straniero nelle operazioni di rimpatrio dei migranti non regolari, espulsi dall’Italia o respinti al momento dell’attraversamento della frontiera.

Con alcuni Paesi, e specificamente con quelli a più alta pressione migratoria, sono stati perfezionati pacchetti di intese di portata più ampia che prevedono non soltanto accordi di riammissione, ma anche intese di cooperazione di polizia, nonché accordi in materia di lavoro. Nei decreti annuali sui flussi di ingresso del lavoratori extracomunitari sono previste quote riservate per gli stranieri provenienti da Paesi che hanno stretto tali accordi globali di cooperazione.

L’integrazione degli stranieri regolari

Per quanto riguarda il terzo dei tre princìpi ispiratori della legislazione vigente, l’integrazione degli stranieri regolari, il nostro ordinamento garantisce una ampia tutela dei diritti degli stranieri e promuove l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati.

Innanzitutto, agli stranieri sono garantiti, alla stregua dei cittadini italiani, i diritti fondamentali di libertà ed eguaglianza fissati dalla prima parte della nostra Costituzione. Tra questi, espressamente destinato agli stranieri, il diritto di asilo (art. 10 della Cost.).

Inoltre, una serie di disposizioni contenute in leggi ordinarie provvedono a fissare contenuti e limiti della possibilità degli stranieri di godere dei diritti propri dei cittadini e dall’altro a promuovere l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati.

In primo luogo, la legge prevede, in presenza di determinate condizioni, la concessione agli stranieri della cittadinanza (per naturalizzazione, per nascita o per matrimonio), quale massimo strumento di integrazione e di possibilità di godimento dei diritti garantiti dall’ordinamento. L’acquisizione della cittadinanza per naturalizzazione presuppone la permanenza regolare e continuativa nel territorio nazionali per dieci anni ed è subordinata alla decisione, in larga parte discrezionale, dell’amministrazione pubblica.

Per quanto riguarda i diritti civili, agli stranieri è garantito il diritto alla difesa in giudizio (art. 17 testo unico).

Inoltre, è prevista una serie di strumenti volti al contrasto della discriminazione razziale: a partire dalla legge 654/1975 di ratifica della Convenzione di New York del 1966 contro il razzismo[23], fino al testo unico che da una definizione puntuale degli atti di discriminazione (art. 43) e disciplina l’azione di sede civile contro tali atti (art. 44).

In questo settore alcuni importanti interventi sono stati realizzati principalmente in attuazione della disciplina comunitaria: il D.Lgs. 215/2003 e il D.Lgs. 216/2003 contengono disposizioni per garantire la non discriminazione a causa delle proprie origini, il primo in generale, il secondo in materia di lavoro[24].

Sono previste, inoltre, alcune disposizioni relative alla tutela dei diritti sociali.

Specifiche disposizioni del testo unico (artt. 28-33) prendono in esame le forme di garanzia del diritto all’unità familiare e al ricongiungimento familiare, riconosciuto agli stranieri regolarmente soggiornanti, e di tutela dei minori, il cui prioritario interesse deve sorreggere tutti i provvedimenti amministrativi e giurisdizionali in materia di diritto all’unità familiare.

Per quanto riguarda il diritto alla salute, viene garantita una ampia assistenza sanitaria a tutti gli stranieri, compresi coloro che non sono in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno (artt. 34-36).

Anche il diritto allo studio è garantito dal testo unico (art. 38, 39 e 39-bis).

Le disposizioni del testo unico in materia di servizi abitativi e di assistenza sociale per stranieri (artt. 40-41) prevedono che le regioni, in collaborazione con gli enti locali e con le associazioni di volontariato, predispongano centri di accoglienza destinati ad ospitare stranieri regolarmente soggiornanti e impossibilitati, temporaneamente, a provvedere autonomamente alle proprie esigenze abitative e di sussistenza.

L’art. 41 del testo unico estende a favore degli stranieri in possesso del permesso di soggiorno (di durata non inferiore a un anno) o del permesso di soggiorno di lungo periodo anche l’accesso ai servizi socio-assistenziali organizzati sul territorio.

Quanto ai diritti politici, va segnalata la Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale fatta a Strasburgo nel 1992 tra i Paesi membri del Consiglio d’Europa (ratificata dall’Italia con legge 203/1994) con la quale vengono garantiti agli stranieri residenti nei Paesi aderenti una serie di diritti. In particolare il capitolo A della Convenzione prevede il riconoscimento agli stranieri, alle stesse condizioni previste per i cittadini, delle libertà di espressione, di riunione e di associazione, ivi compresa quella di costituire sindacati e affiliarsi ad essi, ferme restando le eventuali limitazioni per ragioni attinenti alla sicurezza dello Stato, alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica. Con il capitolo B si riconosce il diritto alle collettività locali che hanno nei loro rispettivi territori un numero significativo di residenti stranieri, di creare organi consultivi volti a rappresentare i residenti stranieri a livello locale, ai quali deve essere data la possibilità di discutere sui problemi di loro interesse per il tramite di rappresentanti eletti o nominati da gruppi associati.

Non si è data, invece, applicazione al capitolo C della Convenzione che impegna le parti a concedere agli stranieri residenti il diritto di elettorato attivo e passivo alle elezioni locali che, pertanto, non è attribuibile agli stranieri non comunitari.

Interventi recenti e prospettive future in materia di immigrazione

Le questioni relative all’immigrazione, ed in particolare il contrasto all’immigrazione clandestina e ai reati connessi, sono argomento di dibattito politico fin dall’inizio della legislatura.

Nell’illustrare alle Camere il programma del nuovo Governo, il Presidente del Consiglio ha sottolineato “le difficoltà e i rischi dell'immigrazione selvaggia e non regolata” ed ha indicato la necessità di “assorbire e integrare con ordine e saggezza le immigrazioni” interne ed esterne all’Unione europea[25].

Il pacchetto sicurezza

Il 21 maggio 2008, nel primo Consiglio dei Ministri dopo il voto di fiducia, il Governo ha approvato una serie di misure legislative in materia di sicurezza (il cosiddetto pacchetto sicurezza) dove ampio spazio è dedicato alle disposizioni volte a contrastare l’immigrazione clandestina e a fare fronte a questioni di ordine e sicurezza pubblica connesse con il fenomeno migratorio.

S tratta, in particolare, di:

§      un decreto-legge recante misure urgenti in materia di sicurezza (decreto-legge 92/2008);

§      due disegni di legge, entrambi approvati, uno contenente anch’esso disposizioni in materia di sicurezza e l’altro di ratifica al Trattato di Prüm (cooperazione transfrontaliera a fini di contrasto del terrorismo, alla criminalità e alla migrazione illegale);

§      tre schemi di decreto legislativo che intervengono rispettivamente in materia di ricongiungimento familiare, di diritto di asilo e di libera circolazione di cittadini comunitari, i primi due dei quali poi emanati;

§      dichiarazione di stato di emergenza volta a fare fronte alla situazione di criticità in Campania, in Lombardia e nel Lazio per la presenza di numerosi cittadini extracomunitari irregolari e nomadi stabilmente insediati (lo stato di emergenza è stato poi esteso anche a Piemonte e Veneto).

Il decreto-legge 92/2008

Il decreto-legge 92/2008[26] contiene diverse misure in materia di immigrazione alcune delle quali riguardano anche gli stranieri comunitari.

Un primo gruppo di disposizioni modificano il codice penale, in particolare:

§      viene ridotto da 10 a 2 anni il periodo minimo di condanna alla reclusione che comporta l’espulsione per ordine del giudice (mod. art. 235 c.p.);.

§      viene previsto la nuova fattispecie di allontanamento dello straniero comunitario per motivi di sicurezza (analoga all’espulsione dello straniero extracomunitario) ordinato dal giudice in caso di condanna penale di due anni (art. 235 c.p. come modificato dal decreto legge) o di condanna per delitti contro la personalità dello Stato (art. 312 c.p.);

§      la trasgressione all’ordine di espulsione o di allontanamento viene punita con la reclusione da 1 a 4 anni con l’arresto obbligatorio, anche al di fuori dei casi di flagranza, e si procede con rito direttissimo;

§      aumento delle pene per chi dichiara falsa identità (da 1 a 6 anni di reclusione);

§      punizione con la reclusione da 1 a 6 anni per chi altera parti del proprio o dell’altrui corpo per impedire la propria o l’altrui identificazione.

Inoltre, il decreto introduceva una nuova circostanza aggravante comune, che comportava l’aumento della pena fino ad un terzo, se il reato fosse stato commesso da soggetto che si trovasse illegalmente sul territorio nazionale (mod. art. 61 c.p.); la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità di tale disposizione in quanto il rigoroso rispetto dei diritti inviolabili implica – secondo la Corte - l’illegittimità di trattamenti penali più severi fondati su qualità personali dei soggetti che derivino dal precedente compimento di atti del tutto estranei al fatto-reato (Sen. 5 – 9 luglio 2010, n. 249).

Anche la procedura penale viene modificata dal decreto sicurezza: i procedimenti relativi ai delitti commessi in violazione delle norme in materia di immigrazione vengono inclusi tra quelli per i quali è assicurata priorità assoluta nella formazione dei ruoli di udienza.

Un terzo gruppo di disposizioni interviene direttamente a modificare il testo unico del 1998:

§      si prevede una nuova fattispecie connessa al reato di favoreggiamento della permanenza di immigrati clandestini a scopo di lucro: quando il fatto è commesso da 2 o più persone, ovvero riguarda la permanenza di 5 o più persone la pena è aumentata da un terzo alla metà;

§      viene introdotto il reato di cessione di immobile ad uno straniero irregolare, punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e la confisca dell’immobile;

§      è abbreviato da 15 a 7 giorni il termine entro il quale l’autorità giudiziaria deve concedere o negare il nullaosta dello straniero sottoposto a procedimento penale che deve essere espulso (si ricorda che in caso l’autorità giudiziaria non provveda nei termini il nulla osta si considera concesso);

§      viene elevata la pena per il datore di lavoro che impiega immigrati clandestini (l’arresto da tre mesi a un anno è aumentato a 6 mesi e 3 anni);

§      i centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA) vengono ridenominati centri di identificazione ed espulsione.

Infine, viene conferito ai sindaci il compito di segnalare alle competenti autorità giudiziaria o di pubblica sicurezza la condizione irregolare dello straniero o del cittadino comunitario per l’eventuale adozione di provvedimenti di espulsione o di allontanamento.

La legge 94/2009

Il decreto-legge 92/2008, sopra brevemente descritto, ha anticipato alcune delle disposizioni del pacchetto sicurezza ritenute dal Governo più urgenti. Un altro nutrito gruppo di interventi è contenuto nella legge n. 94, il cui disegno di legge è stato presentato insieme al decreto legge e poi approvato definitivamente nel luglio 2009.

Per quanto riguarda l’immigrazione, tra le novità principali si segnala l’introduzione di una disposizione volta a sanzionare l’ingresso e il soggiorno illegale nel territorio dello Stato. Si tratta di una contravvenzione punibile con l’ammenda da 5 mila a 10 mila euro[27].

 

La legge 94 apporta numerose altre modifiche al testo unico sull’immigrazione tra le quali:

§      diniego dell’ammissione all’ingresso in Italia anche per condanna non definitiva per gravi reati;

§      inserimento del riferimento alle condanne per reati che prevedono l’arresto obbligatorio in flagranza tra gli elementi da considerare ai fini della revoca o del diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari;

§      previsione che la richiesta di iscrizione anagrafica dello straniero può dar luogo alla verifica delle condizioni igienico-sanitarie dell’immobile;

§      introduzione di una contributo sul permesso di soggiorno tra gli 80 e i 200 euro[28];

§      previsione di un test di conoscenza della lingua italiana per il rilascio del permesso di soggiorno di lungo periodo[29];

§      istituzione di un accordo di integrazione, da sottoscrivere al momento della richiesta del permesso di soggiorno;

§      obbligo di esibizione del permesso di soggiorno agli uffici della pubblica amministrazione anche ai fini del rilascio degli atti di stato civile o per l’accesso a pubblici servizi (ad eccezione delle prestazioni scolastiche obbligatorie e sanitarie);

§      estensione da due a sei mesi del tempo massimo di permanenza nei Centri di identificazione ed espulsione.

 

La legge n. 94 (modificando l’articolo 14 del testo unico) prevedeva anche un inasprimento della pena per lo straniero rintracciato nel territorio nazionale dopo essere già stato espulso per non aver ottemperato a una precedente intimazione di allontanamento, su tale disposizione è intervenuta la Corte costituzionale dichiarandone la parziale incostituzionalità (sen. 13-17 dicembre 2010, n. 359).

 

L'art. 1, co. 22, lett. m), della legge 94/2009 (c.d. “legge sulla sicurezza”) ha modificato l’art. 14, co. 5-quater, del testo unico immigrazione (D.Lgs. 286/1998). Nella formulazione antecedente, la disposizione prevedeva una sanzione penale per coloro che facevano reingresso nel territorio dello Stato dopo essere stati espulsi una prima volta tramite ingiunzione del questore a lasciare il territorio dello Stato (ai sensi del co. 5-bis) e, essendosi trattenuti “senza giustificato motivo”, essere stati espulsi una seconda volta attraverso l’accompagnamento coattivo alla frontiera (ai sensi del co. 5-ter). La legge sulla sicurezza ha modificato tale disposizione prevedendo che la seconda espulsione (quella ai sensi del co. 5-ter) possa avvenire anche con l’ordine del questore, qualora non sia possibile procedere all’accompagnamento alla frontiera. Veniva, inoltre, modificato il co. 5-quater, sanzionando con la stessa pena della reclusione da 1 a 5 anni sia il reingresso dello straniero dopo l’espulsione coattiva, sia l’omissione all’ordine del questore di abbandonare lo Stato, senza tuttavia prevedere, come nel primo caso, la possibilità che la permanenza sia dovuta ad un giustificato motivo  (ad esempio l’indisponibilità da parte dell’espulso dei mezzi per il rimpatrio). La Corte costituzionale ha dichiarato la incostituzionalità di quest’ultima norma proprio nella parte in cui non dispone che l’inottemperanza all’ordine di allontanamento, secondo quanto previsto dal co. 5-ter, sia punita nel solo caso che abbia luogo “senza giustificato motivo”.

 

Da rilevare, inoltre, che negli stessi giorni della pronuncia della Corte costituzionale (precisamente il 24 dicembre 2010) è scaduto il termine di recepimento della direttiva comunitaria 2008/115/CE recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (la cosiddetta direttiva “rimpatri”). La direttiva prevede una procedura in materia di espulsione parzialmente difforme da quella vigente ai sensi del testo unico. Un primo orientamento della giurisprudenza di merito è indirizzato a disapplicare la normativa nazionale in quanto contrastante con quella comunitaria, e di applicare quest’ultima, più favorevole allo straniero[30].

 

La “direttiva rimpatri” si applica ai cittadini non comunitari soggiornanti in posizione irregolare in uno dei Paesi membri. Essa introduce norme comuni riguardanti il rimpatrio, l’allontanamento, l’uso di misure coercitive, la custodia temporanea e il reingresso di cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente. Inoltre, sono disciplinate alcune procedure e modalità relative alla permanenza nei centri di trattenimento, tra cui la determinazione della durata massima della permanenza in detti centri che viene fissata in 18 mesi.

La direttiva attribuisce una dimensione europea agli effetti delle misure di rimpatrio adottate a livello nazionali, ponendo in essere un divieto al rientro sul territorio, valido per l’insieme dell’Unione europea.

In particolare, la direttiva riconosce la legittimità delle procedure di rimpatrio  dei cittadini dei Paesi terzi in posizione irregolare, fermo restando il principio del non respingimento dei richiedenti asilo (non-refoulement). Il rimpatrio volontario deve essere preferito alle forme di allontanamento forzato, se vi sono fondati motivi per ritenere che ciò non comprometta l’effettività del ritorno in patria dell’interessato.

In assenza di tali motivi, oppure trascorsi i termini fissati per il rimpatrio volontario, è possibile procedere all’espulsione forzata.

Dal punto di vista procedurale la direttiva precisa che il provvedimento di rimpatrio volontario deve fissare un congruo periodo di preavviso (tra 7 e 30 giorni prorogabili in presenza di specifiche circostanze), lasciando ai Paesi membri la facoltà di concedere tale periodo solo su richiesta dell’interessato, previa adeguata informazione. Inoltre, possono essere imposti obblighi diretti ad evitare il rischio di fuga (obbligo di dimora, consegna dei documenti ecc.).

La direttiva elenca tassativamente i casi in cui non si ha luogo al rimpatrio volontario che sono i seguenti:

-      pericolo di fuga;

-      respingimento di domanda di soggiorno in quanto manifestamente infondata o fraudolente;

-      pericolo per la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale.

 

Tra le altre misure di interesse introdotte dalla legge sulla sicurezza (n. 94/2009), si ricordano anche:

§      l’introduzione del delitto di impiego di minori nell’accattonaggio;

§      l’obbligo dei gestori degli esercizi di trasferimento di denaro (i c.d. Money Transfer) di acquisire copia del titolo di soggiorno del richiedente il servizio (se cittadino non comunitario);

§      la previsione di nuovi requisiti per l’acquisto della cittadinanza italiana per matrimonio.

Gli altri provvedimenti del pacchetto sicurezza

Il secondo disegno di legge del pacchetto sicurezza ha una portata più circoscritta, riguardando, come anticipato, la ratifica al Trattato di Prüm (legge 85/2009) relativo all’approfondimento della cooperazione transfrontaliera a fini di contrasto del terrorismo, alla criminalità transfrontaliera e alla migrazione illegale. Esso prevede tra l’altro l’istituzione di una banca dati del DNA volta a facilitare l'identificazione degli autori dei delitti.

 

Riferibili interamente alle questioni dell’immigrazione sono i tre schemi di decreto legislativo (due dei quali poi emanati) facenti parte integrante del pacchetto sicurezza.

In estrema sintesi i tre provvedimenti intervengono sulle seguenti questioni:

§      cittadini comunitari: diverse modifiche vengono apportate alla disciplina della condizione giuridica dei cittadini di altri Stati membri dell’Unione europea, regolata dal D.Lgs. 30/2007, di attuazione della normativa comunitaria (non approvato in via definitiva);

§      ricongiungimenti familiari: vengono introdotte alcune restrizioni all’esercizio del diritto al ricongiungimento nei confronti del coniuge, dei figli maggiorenni e dei genitori, tra queste la possibilità di ricorrere all’esame del DNA per l’accertamento del rapporto di parentela, in assenza della documentazione relativa o qualora vi siano dubbi sulla sua autenticità (D.Lgs. 160/2008);

§      rifugiati: il procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato viene modificato in più punti. Tra le modifiche principali l’eliminazione dell’effetto sospensivo del ricorso giurisdizionale avverso la decisione di rigetto della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale e l’introduzione della possibilità da parte del prefetto di stabilire un luogo di residenza ove il richiedente asilo possa circolare (D.Lgs. 159/2008).

 

Gli schemi dei tre decreti legislativi sono stati presentati dal Governo alle Camere e le Commissioni parlamentarti competenti hanno reso i prescritti pareri. Il Consiglio dei ministri nella seduta del 1° agosto 2008, ha recepito in gran parte le proposte e le osservazioni delle Commissioni, ma non ha deliberato in via definitiva sugli schemi decidendo, con una formula definita “irrituale” di inviare i testi per un parere informale alla Commissione europea[31].

Proprio al fine di consentire il confronto con la Commissione europea, è stata disposta una proroga alle autorizzazioni di delega, ormai prossime alla scadenza, di cui i tre schemi costituiscono attuazione[32].

Il 23 settembre 2008 il Consiglio dei Ministri ha approvato due dei tre decreti (asilo e ricongiungimento) che “hanno superato positivamente la verifica di compatibilità con l’ordinamento comunitario”[33].

Riguardo al terzo decreto (quello relativo ai cittadini comunitari) la Commissione si è espressa in senso contrario in quanto è stata ritenuta eccessiva l'espulsione e sufficiente l'invito ad allontanarsi dal nostro paese[34]. Nel corso dell’audizione svolta il 15 ottobre 2008 dinanzi al Comitato parlamentare Schengen, il ministro dell’interno Maroni ha segnalato che, a seguito di rilievi formulati dalla Commissione europea, il Governo ha ritenuto per il momento di accantonare l’adozione del provvedimento di modifica della disciplina relativa alla libertà di circolazione dei cittadini comunitari.

 

Completa il pacchetto la dichiarazione di stato di emergenza volta di fare fronte alla situazione di criticità in Campania, in Lombardia e nel Lazio per la presenza di numerosi cittadini extracomunitari irregolari e nomadi stabilmente insediati in talune aree[35]. Lo stato di emergenza, la cui scadenza era inizialmente fissata al 31 maggio 2009, è stato poi prorogato fino al dicembre 2011 ed esteso anche a Piemonte e Veneto[36].

Il secondo pacchetto sicurezza

A due anni dall’approvazione del primo pacchetto sicurezza, il Governo è intervenuto nuovamente con altri interventi in materia.

Si tratta del decreto-legge 12 novembre 2010, n. 187, convertito dalla legge 17 dicembre 2010, n. 217, che non contiene disposizioni direttamente attribuibili al contrasto dell’immigrazione clandestina, e un disegno di legge, attualmente all’esame del Senato (A.S. 2494). Tale ultimo provvedimento reca diversi interventi in materia di immigrazione, tra cui una nuova disciplina relativa all’allontanamento di cittadini stranieri comunitari per motivi di ordine pubblico. Altre disposizioni del disegno di legge, hanno una portata più generale; tra questi si segnalano:

§      l’abrogazione del documento di programmazione triennale in materia di immigrazione;

§      la delega al Governo per il trasferimento agli enti locali delle competenze in materia di rinnovo del permesso di soggiorno

Altri interventi in materia di immigrazione

Immigrazione clandestina

Al pacchetto sicurezza si sono affiancati nel corso della legislatura altri interventi in materia di immigrazione, alcuni dei quali in attuazione delle disposizioni del pacchetto.

In primo luogo, la dichiarazione dello stato di emergenza sopra citata in Campania, in Lombardia e nel Lazio ha consentito di nominare i prefetti di Napoli, Milano e Roma (e poi anche di Torino e Venezia) commissari delegati per la realizzazione di tutti gli interventi necessari al superamento dello stato di emergenza. Tra questi il monitoraggio dei campi autorizzati in cui sono presenti comunità nomadi; l’individuazione e sgombero degli insediamenti abusivi; l’identificazione e censimento delle persone, anche minori di età, e dei nuclei familiari presenti nei campi nomadi attraverso rilievi segnaletici.

Nella stessa ottica emergenziale si colloca la proroga del luglio 2008 dello stato di emergenza fino al 31 dicembre 2011 per fronteggiare il massiccio afflusso di cittadini extracomunitari[37]. Una nuova dichiarazione di emergenza su tutto il territorio nazionale (sempre fino al 31 dicembre 2011) è stata dichiarata nel febbraio 2011 in relazione all’eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa[38]. La dichiarazione dello stato di emergenza ha consentito l’adozione di numerose ordinanze di protezione civile recanti disposizioni urgenti in materia.

 

Unitamente agli schemi dei tre decreti legislativi del primo pacchetto sicurezza, il Governo ha inviato alla Commissione europea anche un rapporto sulle modalità con cui si sono stati condotti i censimenti nei campi nomadi presenti in Lombardia, Lazio e Campania.

Il rapporto è corredato dai rapporti inviati dai prefetti nominati commissari straordinari per l'emergenza rom nelle tre Regioni, dalle linee guida diramate agli stessi prefetti, da una lettera della Croce Rossa e una nota dell'Unicef e dalla lettera con cui il Garante per la protezione dei dati personali approva le linee guida[39].

La Commissione ha comunicato i risultati dell’analisi dei documenti inviati giudicando le misure adottate dall'Italia per fare fronte all'emergenza dei campi nomadi illegali non discriminatorie e quindi in linea con il diritto comunitario[40].

Il piano per il censimento dei campi nomadi avviato dal Governo nel 2008 ha portato all'individuazione di 361 campi abusivi abitati da 16.355 persone, per 2.657 delle quali, prive dei requisiti di permanenza in Italia, sono stati adottati provvedimenti di allontanamento[41].

 

Nel settembre 2008 il Governo ha approvato un altro decreto legge in materia di sicurezza (decreto-legge 151/2008)[42] che, tra l’altro, reca gli stanziamenti necessari per la costruzione di nuovi centri di identificazione ed espulsione (ex CPT ora CIE) e per l'ampliamento di quelli già esistenti.

 

Il provvedimento è motivato dall’eccezionale afflusso di immigrati: 14.200 tra gennaio e settembre del 2007, 23.600 nello stesso periodo del 2008, che ha posto il problema dell’ampliamento della ricettività dei centri[43]. Come risulta da dati forniti dal Ministro dell’interno in sede di sindacato ispettivo presso la Camera dei deputati, dal 2008 sono stati rimpatriati oltre 52.000 cittadini extracomunitari irregolari e i CIE, considerati strutture adeguate per procedere al rimpatrio, sono attualmente 13, dislocati in 11 regioni italiane per un totale di 1.811 posti; il piano di implementazione dei CIE ne prevede la realizzazione anche in Veneto, Toscana, Marche e Campania[44]. L’obiettivo della prima fase del piano straordinario di potenziamento di queste strutture, come chiarito in sede di sindacato ispettivo, è quello della realizzazione in quattro regioni (Veneto, Toscana, Marche e Campania, valutando i siti idonei con il metodo di consultazione con i presidenti delle regioni.

 

Misure che riguardano l’immigrazione sono contenute anche nel disegno di legge del Governo in materia di prostituzione che stabilisce una procedura accelerata, da definirsi con un successivo regolamento, per il rimpatrio assistito dei minori stranieri non accompagnati che esercitano la prostituzione nel nostro Paese, al fine di consentire il ricongiungimento del minore con la famiglia di origine (art. 2, comma 2, dell’A.S. 1079 all’esame della I e II Commissione del Senato)[45].

Nell’agosto del 2008 il Governo ha sottoscritto un trattato di amicizia e cooperazione con la Libia, che rappresenta la principale via di transito per i migranti africani che tentano di raggiungere clandestinamente l'Italia attraverso il Mediterraneo. L’accordo siglato nell’agosto 2008 e ratificato con la legge 7/2009, prevede anche forme di collaborazione in materia di contrasto all’immigrazione clandestina.

 

In particolare, qui rileva l’articolo 19 del trattato che prevede il rafforzamento della collaborazione nella lotta al terrorismo, alla criminalità e alla immigrazione clandestina, attraverso la creazione di un sistema di controllo delle frontiere terresti libiche e l’attuazione del Protocollo di cooperazione del dicembre 2007 che prevede il pattugliamento congiunto in mare con equipaggi misti e mezzi messi a disposizione dall’Italia.

Da segnalare, infine, la ratifica della Convenzione di Varsavia del 2005 del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani (L. 2 luglio 2010, n. 108).

 

 

Integrazione e cittadinanza

Il decreto-legge 112/2008[46] recante la manovra economica per il 2009, ha inserito gli immigrati a basso reddito tra i soggetti destinatari delle abitazioni del Piano casa, a condizione che siano residenti da almeno 10 anni nel territorio nazionale ovvero da 5 anni nella medesima regione (art. 11) e prevede che l’assegno sociale è corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno 10 anni nel territorio nazionale (art. 20, co. 10)

Il decreto-legge 93/2008[47] ha ridotto alcune delle autorizzazioni di spesa tra cui gli stanziamenti per il Fondo per l’inclusione sociale degli immigrati[48].

 

Si segnala, inoltre, la proposta di legge di iniziativa parlamentare volta a mutare le competenze del Comitato bicamerale di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen che verrebbe trasformato in un comitato parlamentare in materia di immigrazione. La proposta è stata approvata dalla Camera (A.C. 1446) ed è ora all’esame del Senato (A.S. 1700).

Sempre di iniziativa parlamentare, la proposta di legge A.C. 1052 per l’istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sulla condizione delle donne e dei minori nelle comunità rom presenti in Italia.

Di particolare rilievo alcune proposte di legge esaminate alla Camera che modificano la disciplina della cittadinanza al fine di adeguarla alle crescenti dimensioni del fenomeno migratorio. Alcune di queste ampliano le possibilità di acquisizione della cittadinanza per i cittadini stranieri nati in Italia. La I Commissione della Camera ha approvato un testo unificato delle proposte di legge (A.C. 103-A).

 

Tra le innovazioni previste da tale testo si segnalano: la subordinazione del diritto all'acquisto della cittadinanza da parte dello straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto senza interruzioni fino alla maggiore età, alla frequenza con profitto di scuole riconosciute sino all'assolvimento delle diritto-dovere all'istruzione e alla formazione; la subordinazione del diritto all'acquisto della cittadinanza da parte dello straniero alla stabile residenza decennale e ad un percorso di cittadinanza, caratterizzato dal possesso del permesso CE per soggiornanti di lungo periodo e mantenimento dei requisiti di reddito, alloggio e assenza di carichi pendenti per esso necessari, dalla frequenza di un corso di un anno sulla storia e la cultura italiana e la Costituzione, dall’effettiva integrazione sociale e rispetto delle leggi e della Costituzione e dal rispetto degli obblighi fiscali; l’estensione della disciplina del giuramento a tutti i casi di acquisto della cittadinanza.

 

Il 12 gennaio 2010 l’Assemblea ha tuttavia deciso di rinviare il testo in commissione per un approfondimento dell’esame.

 

La Camera ha affrontato la questione dell’immigrazione anche sul versante dell’attività di indirizzo e controllo.

Si segnala a proposito la discussione su di una serie di mozioni sull’accesso alla scuola dell’obbligo degli studenti stranieri[49].

 

Il testo approvato impegna il Governo:

§       a rivedere il sistema di accesso degli studenti stranieri alla scuola di ogni ordine e grado, autorizzando il loro ingresso previo superamento di test e specifiche prove di valutazione;

§       a istituire classi ponte, che consentano agli studenti stranieri che non superano le prove e i test sopra menzionati di frequentare corsi di apprendimento della lingua italiana, propedeutiche all'ingresso degli studenti stranieri nelle classi permanenti;

§       a non consentire in ogni caso ingressi nelle classi ordinarie oltre il 31 dicembre di ciascun anno, al fine di un razionale ed agevole inserimento degli studenti stranieri nelle nostre scuole e a prevedere, altresì, una distribuzione degli stessi proporzionata al numero complessivo degli alunni per classe, per favorirne la piena integrazione e scongiurare il rischio della formazione di classi di soli alunni stranieri;

§       a favorire, all'interno delle predette classi ponte, l'attuazione di percorsi monodisciplinari e interdisciplinari, attraverso l'elaborazione di un curricolo formativo essenziale, che tenga conto di progetti interculturali, nonché dell'educazione alla legalità e alla cittadinanza: a) comprensione dei diritti e doveri (rispetto per gli altri, tolleranza, lealtà, rispetto della legge del paese accogliente); b) sostegno alla vita democratica; c) interdipendenza mondiale; d) rispetto di tradizioni territoriali e regionali del Paese accogliente, senza etnocentrismi; e) rispetto per la diversità morale e cultura religiosa del paese accogliente;

§       a prevedere l'eventuale maggiore fabbisogno di personale docente da assegnare a tali classi, inserendolo nel prossimo programma triennale delle assunzioni di personale docente disciplinato dal decreto-legge 97/2004, convertito con modificazioni, dalla legge 143/2004, alla cui copertura finanziaria si provvede mediante finanziamenti da iscrivere annualmente nella legge finanziaria.

 

Anche la VII Commissione cultura della Camera è intervenuta approvando una risoluzione che, al fine di favorire il processo di integrazione dei bambini stranieri con quelli italiani, chiede l’introduzione di un tetto che preveda la presenza nelle classi di non più del 30 per cento di bambini stranieri (Risoluzione 7/140 approvata nella seduta del 6 maggio 2009). Il principio del limite massimo di studenti stranieri è stato recepito dal Governo con la circolare 8 gennaio 2010 dove si stabilisce che il numero degli alunni con cittadinanza non italiana presenti in ciascuna classe non potrà superare di norma il 30 per cento del totale degli iscritti.

Successivamente la VII Commissione ha svolto una indagine conoscitiva sulle problematiche connesse all'accoglienza degli alunni con cittadinanza non italiana nel sistema scolastico italiano che si è conclusa con l’approvazione di un documento finale pubblicato nel Bollettino delle Giunte e Commissioni parlamentari del 12 gennaio 2011.

 

Particolarmente attiva la Commissione bicamerale infanzia, che ha approvato una risoluzione che impegna il Governo a adottare tutte le opportune iniziative per rafforzare gli strumenti di tutela dei minori stranieri non accompagnati (Doc. XXIV-bis, n. 1, approvato il 21 aprile 2009). Inoltre, la Commissione sta svolgendo da alcuni mesi una indagine conoscitiva volta ad approfondire la condizione dei minori stranieri presenti in Italia in assenza dei genitori.

Sempre sui minori stranieri non accompagnati, si segnala la discussione e approvazione di una mozione alla Camera che impegna il Governo a adoperarsi per una effettiva tutela dei minori stranieri rintracciati nel territorio nazionale (Mozione 1-549, approvata il 20 ottobre 2010).

Tra gli argomenti trattati: la situazione nei centri di accoglienza; l’accertamento dell’età del minore; il diritto di asilo; il rimpatrio; la tratta; la questione della concessione del permesso di soggiorno ai minori al compimento della maggiore età anche alla luce delle modifiche normative intervenute con l’approvazione della legge sulla sicurezza (L. 94/2009).


Lavoro

Le Commissioni riunite I e II della Camera hanno esaminato una proposta di direttiva comunitaria che punisce i datori di lavoro che impiegano clandestini valutandola positivamente e impegnando il Governo a sostenere, in sede di Consiglio dell'Unione europea alcune modifiche e integrazioni al testo della proposta[50].

Sempre alla Camera, nell’aprile 2010 sono state discusse alcune mozioni incentrate sulle politiche migratorie e di integrazione, e per il contrasto al lavoro irregolare. Tutte le mozioni sono accomunate dalla richiesta di moltiplicare gli sforzi per combattere lo sfruttamento dei lavoratori stranieri[51].

 

La I Commissione Affari costituzionali della Camera ha esaminato una proposta di direttiva europea sui lavoratori stranieri stagionali. Nel documento finale, approvato nella seduta del 25 novembre 2010, la Commissione ha espresso la necessità di:

§      elevare i termini massimi di validità del permesso di soggiorno per lavoro stagionale (che nella proposta di direttiva e pari a 6 mesi e nella legislazione nazionale a 9 mesi) in considerazione delle specificità del comparto agricolo italiano;

§      dettagliare più puntualmente la disciplina sanzionatoria nei confronti dei datori di lavoro inadempienti;

§      inserire tra i motivi del rifiuto o revoca del permesso di soggiorno anche la minaccia alla sicurezza dello Stato.

 

La proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi per motivi di lavoro stagionale (COM(2010)379) è stata presentata dalla Commissione europea il 13 luglio 2010. Il termine per l’espressione del parere sulla conformità della proposta al principio di sussidiarietà da parte dei Parlamenti nazionali è scaduto il 15 ottobre 2010.

Scopo della proposta è introdurre una procedura speciale per l'ingresso e il soggiorno dei cittadini di paesi terzi che chiedono di essere ammessi nell'UE per svolgervi un lavoro stagionale, nonché definire i diritti dei lavoratori stagionali. L’iniziativa era già stata annunciata nel "Piano d’azione sull’immigrazione legale" (COM(2005) 669), presentato dalla Commissione europea nel dicembre 2005, la cui validità è stata da ultimo ribadita nel Programma di Stoccolma, per lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia 2010-2014, adottato dal Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre 2009.

 

Riguardo all’attività amministrativa, si segnala che il Governo ha prorogato fino al 31 dicembre 2010 il regime transitorio, consentito in sede comunitaria, per l'accesso al mercato del lavoro dei cittadini rumeni e bulgari, confermando le disposizioni degli anni precedenti che pongono alcune limitazioni in materia di accesso al lavoro subordinato[52].

Inoltre, il Governo ha proceduto alla definizione delle quote di ingresso dei lavoratori stranieri per il 2008 (il cosiddetto decreto flussi) nella misura di 150.000 persone, utilizzando le graduatorie delle domande eccedenti presentate nel 2007[53], mentre per il 2009 le quote autorizzate sono destinate esclusivamente ai lavoratori stagionali solitamente impiegati in agricoltura e nel settore turistico (80.000 persone)[54].

Per il 2010, inizialmente, è stato autorizzato l’ingresso di 80.000 lavoratori stagionali con il DPCM 1° aprile 2010. Con il medesimo provvedimento è stata anticipata una quota di lavoratori non stagionali pari a 6.000 persone di cui 4.000 lavoratori autonomi, imprenditori, artisti ecc. e 2.000 cittadini stranieri che hanno completato programmi di formazione nel Paese di origine[55]. La definizione dei flussi per il 2010 è stata completata nel dicembre 2010 con l’autorizzazione all’ingresso di 98.080 lavoratori non stagionali[56].

 

Nel 2009, per i lavoratori occupati irregolarmente nelle sole attività di assistenza personale o del lavoro domestico, è stata prevista la possibilità di regolarizzare la loro posizione lavorativa (decreto-legge 78/2009, art. 1-ter)[57]. L’intervento ha riguardato sia i lavoratori stranieri (con o senza permesso di soggiorno), sia i lavoratori italiani. Dal 1° al 30 settembre 2009 i datori di lavoro hanno potuto presentare una dichiarazione di emersione, previo pagamento di un

contributo forfetario di 500 euro per ciascun lavoratore. Secondo i dati diffusi dal Ministero dell'interno sono state presentate quasi 300.000 domande[58].


Scheda paese politico-istituzionale
sulla Libia

 


 

 

Libia                            

 


Il quadro istituzionale

Dal punto di vista della forma di governo, la Grande Jamahiryia (traducibile con “masse”) socialista araba del popolo libico, si presenta, a dispetto di una situazione di fatto che vede un controllo pressoché assoluto della vita politica e civile da parte di Muammar Gheddafi, come una sorta di “democrazia diretta”  nella quale tutti i cittadini libici maggiorenni possono partecipare all’attività politica attraverso congressi di base del popolo. Ciascuno di questi congressi designa un comitato del popolo, responsabile degli affari locali. I responsabili dei congressi di base e i componenti dei comitati del popolo costituiscono il Congresso generale del popolo che si riunisce una volta all’anno per circa una settimana. Il congresso generale del popolo nomina un suo segretariato e il Comitato generale del popolo, i cui membri, paragonabili ai ministri di un governo, sono a capo di specifici dipartimenti.

Questa originale struttura istituzionale è stata creata nel 1977, sostituendo il precedente Consiglio di comando rivoluzionario guidato da Gheddafi che, colonnello ventisettenne dell’esercito libico, aveva preso il potere con un colpo di stato nel 1969: essa si presenta come ispirata ai principi della “rivoluzione del 1969”, una sorta di fusione di motivi socialisteggianti, panarabisti ed islamisti, esposti nel libro verde dello stesso Gheddafi.

Per Freedom House la Libia è uno “Stato non libero” e non è una “democrazia elettorale” mentre il Democracy Index 2010 dell’Economist Intelligence Unit la classifica come “regime autoritario” (per ulteriori elementi cfr. infra Indicatori internazionali sul paese). Al riguardo, con riferimento al rispetto delle libertà politiche e civili, fonti indipendenti indicano che la legge libica proibisce la costituzione di gruppi che si oppongano ai “principi della rivoluzione del 1969” e il codice penale punisce con la pena di morte chi aderisca o supporti tali gruppi (nel 2010 si è però registrato il rilascio di 214 prigionieri politici, ancora detenuti nonostante le autorità giudiziarie ne avessero già disposto la liberazione e l’elargizione di compensazioni per detenzioni illegali di alcuni prigionieri); non esistono organizzazioni non governative indipendenti e persistono pesanti limitazioni alla libertà di associazione. La sola organizzazione che è autorizzata a svolgere compiti di monitoraggio sulle violazioni dei diritti umani è la “Società per i diritti umani” della fondazione Gheddafi che è guidata dal  figlio di Gheddafi, Saif al Islam. Per quel che concerne la libertà di stampa, nel quinquennio precedente al 2010 si è registrata una graduale apertura ad un maggiore libertà di dibattito e di discussione, specialmente su Internet. Con riferimento a tale ultimo aspetto, OpenNet Initiative[59] evidenziava, per l’anno 2009, una situazione di censura selettiva dei siti internet che affrontavano temi politici, mentre non si avevano prove di censure per siti che affrontassero problemi sociali o di sicurezza; il tasso di penetrazione di Internet risultava però nel 2008 ancora basso e pari al 4,7 per cento, anche se la situazione appariva destinata a migliorare con l’introduzione del primo servizio Wimax nel gennaio 2009 (l’unico provider per l’accesso ad Internet risultava comunque quello della compagnia statale Libya Telecom). La situazione della libertà di stampa, però, secondo Human Rights Watch sarebbe tornata a deteriorarsi nel 2010, quando il governo libico avrebbe bloccato l’accesso ad almeno sette siti indipendenti e di opposizione; sospeso le trasmissioni della stazione radio “Good Evening Bendasi”, arrestato brevemente alcuni suoi giornalisti; arrestato almeno 20 giornalisti della Libya Press Agency e sospeso la pubblicazione del periodico “Oea” (sia la Libya Press Agency sia “Oea” sono riconducibili a Saif Al-Islam Gheddafi). Freedom House indica inoltre come già nel 2009 fosse stato nazionalizzato l’unico gruppo editoriale semindipendente, vale a dire quello Al-Ghad anch’esso riconducibile a Saif Al-Islam Gheddafi.

Human Rights Watch indica anche come profilo problematico della realtà libica l’assenza di procedure legali per il riconoscimento dello status di rifugiati agli immigrati presenti sul suolo libico.

Inoltre, sulla realtà libica, continuerebbe a pesare il mancato accertamento delle responsabilità del massacro della prigione di Abu Salim, nel quale morirono nel 1996 circa 1200 persone.  In base alle informazioni disponibili, nel marzo 2010, la maggior parte delle famiglie delle vittime, residenti a Bengasi, hanno rifiutato gli indennizzi offerti in cambio della rinuncia all’azione legale.

La situazione politica e sociale

Muammar Gheddafi (n. 1942) non svolge nessun definito ruolo istituzionale, mentre ricopre la carica di leader della rivoluzione

Nel marzo 2010 la carica di segretario del Congresso generale del popolo risulta ricoperta da Mohamed Abdul Quasim Al-Zwai, mentre il Comitato generale del popolo vede, tra gli altri, Al-Baghdadi Al-Mahmoudi come segretario, Mussa Kussa responsabile del dipartimento esteri, Abdel Fatah Yunis Al-Ubaydi responsabile del dipartimento della sicurezza pubblica.

Forte è il peso nella vicenda politica libica della famiglia Gheddafi ed in particolare dei figli del Rais, come testimoniato dal ruolo di Saif Al Islam Gheddafi, che, come sopra richiamato, sembrava aver inaugurato, negli scorsi anni, una fase di relativa apertura del regime.

Con riferimento ad un altro aspetto meritevole di attenzione, anche alla luce degli eventi recenti, le forze armate libiche risultano, in base ai dati del Military Bilance 2010, dell’International Institute for Strategic Studies relativamente piccole rispetto alla quantità di armamenti in loro dotazione: l’esercito è composto di 50.000 unità, metà delle quali sottoposte a coscrizione (la coscrizione varia da uno a due anni); la flotta da 8000 unità; l’aviazione da 18.000 unità. La spesa in armamenti è stata assai rilevante negli anni Settanta e Ottanta per poi declinare negli anni Novanta: ad un’ampia dotazione di provenienza sovietica si affiancano alcuni armamenti di provenienza occidentale come caccia Mirage di costruzione francese e aerei C-130 da trasporto di costruzione USA. Nell’annuario 2010 il SIPRI evidenzia come la Libia si collochi attualmente al 110° posto nella classifica mondiale degli importatori mondiali di armi e le uniche importazioni significative di armi nel periodo 2005-2009 risulterebbero quelle di elicotteri A-109-K di costruzione italiana per i controlli di frontiera e di missili anti-tank Milan 3 di costruzione francese. A fianco delle forze armate esiste poi la riserva delle milizia del popolo con circa 40.000 persone. 

Per ulteriori elementi in ordine alle forze di opposizione al regime di Gheddafi e all’assetto tribale della società libica si rinvia ai sottostanti box 1 e 2.

Le proteste del febbraio 2011 in Libia (per la descrizione delle quali si rinvia alla successiva documentazione che sarà predisposta dal Servizio Studi) si inseriscono in contesto che vede la propagazione di proteste in tutto il Nord Africa e il Medio Oriente. In proposito, alcuni interpreti hanno individuato uno dei fattori scatenanti della crisi, al di là delle ragioni contingenti, in molti casi associate al rincaro di alcuni generi di prima necessità, a partire dal pane, in una situazione di modernizzazione economica e sociale (confermata anche dai tassi di crescita del PIL) che si è accompagnata al disagio di parte significativa della popolazione ed in particolare delle giovani generazioni. Queste ultime hanno peraltro assunto un peso notevole nell’equilibrio demografico dell’area ed hanno acquisito negli ultimi decenni un livello notevole di scolarizzazione, continuando tuttavia a soffrire di alti livelli di disoccupazione ed esclusione sociale. Pertanto nella tabella 1 è fornito un quadro di sintesi di alcuni indicatori economici e sociali della Libia confrontati con quelli degli altri paesi interessati dalle proteste. Dal confronto emergono alcune peculiarità libiche quali la minore popolazione e il più alto PIL pro-capite (anche a fronte della diminuzione del PIL che, in conseguenza della crisi economica, si è registrata in Libia a differenza di quanto avvenuto negli altri paesi; in proposito si ricorda come i tre quarti del reddito nazionale libico derivino dal petrolio e dal gas naturale). A fronte del più alto PIL pro-capite, peraltro, esistono valutazioni differenziate in ordine all’effettiva distribuzione del reddito. In particolare, si segnala dunque che il PIL libico ha subito nel 2009 un calo del 2,3 per cento; inoltre sempre nel medesimo anno (salvo dove diversamente indicato): il PIL pro-capite è pari a 9,5 dollari; la popolazione di età compresa tra i 15 e i 24 anni risulta pari al 17 per cento della popolazione complessiva (stimata nel 2010 a circa 6,5 milioni) e quella tra i 15 e i 29 anni al 28 per cento della popolazione; il tasso di incremento demografico medio registrato nel periodo 2000-2005 è stato di circa il 2 per cento, mentre quello di urbanizzazione nello stesso periodo di circa il 2,1 per cento;  il tasso di disoccupazione giovanile (vale a dire quello dei soggetti compresi tra i 15 e i 24 anni) è del 27,4 per cento (28,3 per cento maschile, 34,3 per cento femminile).

 

Inoltre il 9 febbraio (precedentemente quindi allo scoppio delle più gravi proteste libiche) il settimanale Economist ha elaborato un “indice della protesta politica” negli Stati della Lega araba (qui riportato come grafico 1) che assegnava alla Libia la percentuale più alta (circa 71 per cento), dopo quella dello Yemen, nei rischi di protesta politica. L’indice era elaborato prendendo in considerazione i dati 2010, ovvero quelli dell’ultimo anno disponibile, relativi alla percentuale e al numero assoluto della popolazione con meno di 25 anni di età, alla durata nella permanenza al potere delle leadership politiche dei paesi interessati, alla corruzione percepita ed alla mancanza di democrazia come rilevata dagli indicatori internazionali, al PIL pro-capite e alla situazione della libertà di stampa.   

Indicatori internazionali sul paese[60]:

Libertà politiche e civili: Stato “non libero” (Freedom House); regime autoritario (Economist)

Indice della libertà di stampa: 160 su 178

Libertà religiosa: assenza di eventi significativi (ACS); rispetto in generale della libertà religiosa sia pure con controllo della vita religiosa organizzata e limitazioni delle attività dei movimenti islamisti (USA)

Corruzione percepita: 146 su 178

Variazione PIL 2009: - 2,3 per cento

 

 



 

Tabella 1[61]

 

 

Algeria

Egitto

Giordania

Libia

Tunisia

Yemen

Variazione PIL 2009

+2,2% (stima)

+4,7%

+2,4% (stima)

- 2,3 %

+3,1%

+3,8% (stima)

PIL pro capite

3,8 $

2,45$

3,8 $

9,5 $

3,8 $

1,10$

Popolazione

34,4 mil
(2008)

83 mil
(2009)

5,1 mil
(2004)

6,5 mil.

(stima 2010)

10,4 mil
(2009)

23,6 mil
(stima 2009)

Tasso di incremento demografico medio 2000-2005

1,2 % ca

1,9 % ca

2,3 % ca

2 % ca

0,8 % ca

2,4% ca

Percentua-le di popo-lazione giovanile

15-24

20%

20%

 

17 %

22%

19%

15-29

31%

29%

 

28 %

30%

29%

Tasso di urbanizzazione 2000-2005

2,6 % ca

1,8 % ca

2,9 % ca

2,1 % ca.

1,6% ca

4,9 % ca

Tasso di sco-larizzazione se-condaria

66%

71%

84%

Non       disponibile

66%

37%

Tasso di disoc-cupazione giovanile

45,6%

21,7%

22,2%

27,4 %

27,3%

18,7%

Maschile

47,2%

15%

17,7

28,3 %

27,1%

20,5

Femminile

56,4%

41,5%

39,8

34,3 %

27,8%

13,5%

 

 


 

Grafico 1

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Box 1: Principali forze di opposizione al regime libico[62]

 

La dura repressione delle forze di opposizione operata dal regime libico ne influenza oggi la loro attuale consistenza, che appariva fino allo scoppio delle rivolte in atto (delle quali rimangono però ancora da interpretare le dinamiche) debole. Dal punto di vista idelogico, le forze di opposizione appaiono riconducibili a tre diverse aree: quella monarchica; quella democratica e quella islamista.

Gran parte dei movimenti di opposizione, inoltre, opera in esilio (dove sono stati in passato raggiunti dagli attacchi e dagli omicidi mirati dei servizi segreti libici; a loro volta esponenti dell’opposizione si sono resi responsabili dell’omicidio di esponenti governativi libici all’estero). Centro dell’emigrazione politica libica risulta in particolare Londra: nella capitale britannica hanno sede l’Alleanza nazionale; il Movimento nazionale libico; il Movimento libico per il cambiamento e la riforma; il Raggruppamento islamista; il Fronte nazionale di salvezza libico e il Raggruppamento repubblicano per la democrazia e la giustizia. Sempre a Londra ha sede il movimento monarchico che sostiene Mohammed Al Sanusi, nipote dell’ultimo re di Libia Idris, deposto da Gheddafi nel 1969. Questi movimenti hanno costituito nel 2005 l’Accordo nazionale, chiedendo le dimissioni di Gheddafi e la costituzione di un governo transitorio. Il ritorno in Libia, tra il 2005 e il 2006, di circa 787 dissidenti in esilio aveva lasciato intravedere la possibilità dell’avvio di un processo di dialogo, successivamente sfumato.

Sul territorio libico opera in condizioni di semiclandestinità la Fratellanza musulmana libica. Centinaia di componenti della Fratellanza sono stati sottoposti ad ondate di arresti, processi e condanne, lungo tutta la durata del regime di Gheddafi, in particolare nel 1973 e nel 1998. Anche nel 2001-2002 due leader eminenti della Fratellanza sono stati condannati a morte e oltre settanta all’ergastolo. Leader attuale della Fratellanza libica è Suleiman Abdel Qadir, che, nel 2005 ad Al Jazeera, ha descritto gli obiettivi della fratellanza come pacifici ed ha richiesto l’abrogazione delle leggi che sopprimono i diritti politici. Nel 2008, sempre ad Al Jazeera, Qadir ha espresso apprezzamento per gli intenti riformatori di Saif Al Islam Gheddafi, che, a sua volta, era apparso rivolgere alcune aperture nei confronti della Fratellanza.

Presente sul territorio libico è anche il Gruppo di combattimento islamico libico, organizzazione islamista armata. Saif Al Islam Gheddafi ha avviato negli scorsi anni un dialogo con i leader in prigione del gruppo, ottenendo nel 2009 alcuni impegni sulla rinuncia alla violenza da parte del movimento. Allo stesso tempo, nel 2007, il leader di Al Qa’ida Ayman Al-Zawahiri ha annunciato la fusione tra il gruppo ed Al Qa’ida, fusione smentita da esponenti del gruppo a Londra.    

 

 


 

Box 2: L’assetto tribale della società libica

 

La società libica appare ancora oggi fortemente influenzata dai legami di clan e tribali. In attesa di ulteriori approfondimenti, si rileva che nella rivolta contro Gheddafi appaiono coinvolte le tribù del Gebel, zona non distante da Tripoli ed in particolare gli Orfella, gli Zintan, i Roseban, che già contrastarono l’invasione italiana del 1911. Tra le altre tribù coinvolte si segnalano anche i Warfala, i Rojahan, i Risina, i al Farjane, e ancora i Tuareg, nella zona occidentale del Paese e gli al Zuwayya nel deserto orientale.

In Cirenaica, la zona orientale del paese, con capoluogo Bengasi, appare invece ancora esercitare una forte influenza la tradizione senussa: i senussi sono una confraternita di revival islamico di orientamento sufi sorta alla fine del ‘700 che assunse rapidamente il controllo de facto della Cirenaica. Animatori dell’insurrezione antitaliana nel periodo coloniale, con il loro leader Omar Al Muktar, si schierarono successivamente, durante la seconda guerra mondiale, in funzione antitaliana a fianco dei britannici. Senusso era il re Idris, insediatosi al potere dopo la seconda guerra mondiale.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Servizio Studi – Analisi dei temi di politica estera nell’ambito dell’Osservatorio di Politica internazionale

( 06 6760-4939 – *st_affari_esteri@camera.it

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File: ES0675paese.doc

 

 




[1]     ISTAT, Indicatori demografici. Anno 2010, 24 gennaio 2011, p. 7.

[2]     Caritas/Migrantes, Dossier statistico immigrazione 2010, ottobre 2010, pag. 11. Nel 2009 la stima dei soggiornanti era di 4,33 (Caritas/Migrantes, Dossier statistico immigrazione 2009, ottobre 2009, p. 11).

[3]     L’ultimo rapporto dell’ISMU valuta in 5,3 milioni il numero degli stranieri comprendendovi però anche gli irregolari (544 mila): ISMU, Sedicesimo rapporto sulle migrazioni 2010, Milano 2010, p. 7-8.

[4]     Se si considera il totale dei lavoratori dipendenti l’incidenza degli stranieri arriva al 10% (Dossier Caritas 2010, p. 12).

[5]     ISMU, Sedicesimo rapporto sulle migrazioni 2010, p. 8.

[6]     Audizione di Alessandro Pansa, direttore centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell’interno, Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen, di vigilanza sull’attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione, gestione comune delle frontiere e contrasto all’immigrazione clandestina in Europa, Atti parlamentari, XIV legislatura, Indagini conoscitive e documentazioni legislative n. 19, 2005, p. 235.

[7]     Conferenza stampa del Ministro dell'Interno al termine della riunione del Comitato nazionale ordine e sicurezza pubblica, 14 febbraio 2011 (www.interno.it).

Si veda anche la risposta del Ministro all’interpellanza n. 3-1465 alla Camera (16 febbraio 2011).

[8]     Audizione del Ministro dell'interno, Roberto Maroni. Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, Indagine conoscitiva sulle nuove politiche europee in materia di immigrazione, 12 ottobre 2010.

[9]     Si veda l’intervento del Ministro dell’interno in riposta all’interrogazione 3-870 (Camera dei deputati, seduta del 27 gennaio 2010) e il rapporto del Ministero dell’interno, Iniziative  dell’Italia. Sicurezza, immigrazione e asilo, del 14 aprile 2010, p. 27-28 (www.interno.it).

[10]    Ministero dell’interno, Immigrazione clandestina. Risultati del governo Berlusconi, 31 dicembre 2009 (www.interno.it).

[11]   Legge 6 marzo 1998, n. 40, Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

[12]   Legge 30 luglio 2002, n. 189, Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo.

[13]   Legge 15 luglio 2009, n. 94, Disposizioni in materia di sicurezza pubblica.

[14]   D.L. 30 dicembre 1989, n. 416, Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato, convertito, con modificazioni, con legge 28 febbraio 1990, n. 39.

[15]   L’ultimo documento triennale è del 2005: D.P.R. 13 maggio 2005, Approvazione del documento programmatico relativo alla politica dell’immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato, per il triennio 2004-2006.

[16] Art. 12 del testo unico in materia di immigrazione.

[17] L. 11 agosto 2003, n. 228, Misure contro la tratta di persone. Si veda anche il regolamento di attuazione adottato con il D.P.R. 19 settembre 2005, n. 237, Regolamento di attuazione dell’articolo 13 della legge 11 agosto 2003, n. 228, recante misure contro la tratta di persone.

[18] D.L. 27 luglio 2005, n. 144 (conv. in legge 31 luglio 2005, n. 155), Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, art. 2.

[19] Art. 18 del testo unico in materia di immigrazione.

[20] Art. 14, D.Lgs. 286/1998.

[21] L. 2 ottobre 2008, n. 151 (conv. L. 186/2008), Misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di contrasto alla criminalità organizzata e all'immigrazione clandestina.

[22] Camera dei deputati, Interrogazioni a risposta immediata (Orientamenti del Governo circa l'istituzione in ogni regione di centri di accoglienza per immigrati extracomunitari, con particolare riferimento alla regione Toscana - n. 3-00873), interventi del Ministro dell’interno, Seduta del 28 gennaio 2010.

[23] L. 13 ottobre 1975, n. 654, Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966.

[24] D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215, Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica e D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216, Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

[25] Camera dei deputati, seduta del 13 maggio 2008.

[26] D.L. 23 maggio 2008, n. 92, Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica (convertito dalla Legge 24 luglio 2008, n. 125).

[27] La disposizione originaria, modificata nel corso dell’esame in sede referente al Senato, prevedeva l’introduzione del reato di ingresso illegale nel territorio dello Stato punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e comportante l’arresto obbligatorio, il procedimento con rito direttissimo e, in caso di condanna, l’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato.

[28]    L’importo sarà definito con un decreto del Ministero dell’economia, ancora da emanare. La quantificazione dell’importo dovrà tener conto della normativa comunitaria che vieta il pagamento di contributi per il permesso di soggiorno dei cittadini dei Paesi associati, in misura superiore a quelli per i cittadini dei Paesi membri (Corte di giustizia delle comunità europee, sen. 17 settembre 2009, C-242-06 Sahin)

[29]    Le modalità di svolgimento del test sono state definite con il decreto del Ministro dell’interno 4 giugno 2010.

[30]    Si veda in proposito Tribunale di Torino, 5 gennaio 2011.

[31] Si veda il comunicato del Ministero dell’interno del 1° agosto 2008.

[32] La proroga è stata inserita nel disegno di legge di conversione del decreto-legge 112/2008 (legge 133/2008).

[33] Comunicato della Presidenza del Consiglio dei ministri, 23 settembre 2008.

[34] Comunicato del Ministero dell’interno, 15 ottobre 2008.

[35] D.P.C.M. 21 maggio 2008, Dichiarazione dello stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio delle regioni Campania, Lazio e Lombardia.

[36] D.P.C.M. 28 maggio 2009, Proroga dello stato di emergenza per la prosecuzione delle iniziative inerenti agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio delle regioni Campania, Lazio e Lombardia ed estensione della predetta situazione di emergenza anche al territorio delle regioni Piemonte e Veneto

[37] Lo stato di emergenza era stato dichiarato con DPCM del 20 marzo 2002 più volte prorogato. Il DPCM 25 luglio 2008 ha esteso a tutto il territorio nazionale lo stato di emergenza disposto (limitatamente ai territori delle regioni Sicilia, Calabria e Puglia) con DPCM 14 febbraio 2008 prorogandolo al 31 dicembre 2008. Successivamente, lo stato di emergenza è stato ulteriormente prorogato dal DPCM 18 dicembre 2008 (fino al 31 dicembre 2009), dal DPCM 12 novembre 2009 (fino al 31 dicembre 2010)e dal DPCM 17 dicembre 2010 (fino al 31 dicembre 2011).

[38]    DPCM 12 febbraio 2011.

[39] Si veda ancora il comunicato del Ministero dell’interno del 1° agosto 2008.

[40] Comunicato del Ministero dell’interno del 4 settembre 2008.

[41] Camera dei deputati, Interrogazioni a risposta immediata (Risultati conseguiti dal Governo in ordine alla questione dei campi nomadi abusivi ed iniziative in ambito comunitario per la revisione della disciplina della libera circolazione - n. 3-01239), intervento del Ministro dell’interno, Seduta del 22 settembre 2010.

[42] D.L. 2 ottobre 2008, n. 151 (conv. legge 186/2008), Misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di contrasto alla criminalità organizzata e all'immigrazione clandestina.

[43] Comunicato del Ministero dell’interno del 23 settembre 2008.

[44] Camera dei deputati, Interrogazioni a risposta immediata (Orientamenti in merito alla localizzazione di un centro di identificazione ed espulsione di immigrati clandestini in località Zelo, nel comune di Ceneselli (Rovigo) - n. 3-01238), intervento del Ministro dell’interno, Seduta del 22 settembre 2010.

[45] Di tale disposizione si propone l’estensione anche ai minori comunitari nel citato disegno di legge in materia di sicurezza: l’art. 47, inserito nel corso dell’esame in Commissione (em. 18.0.100), introduce la possibilità di rimpatriare i minori non accompagnati che siano cittadini comunitari (attualmente la procedura di rimpatrio assistito è circoscritta ai minori non comunitari) che esercitano la prostituzione, quando sia necessario nell’interesse del minore stesso, secondo quanto previsto dalla Convenzione sui diritti del fanciullo.

[46] D.L. 25 giugno 2008, n. 112 (conv. L. 133/2008), Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria.

[47] D.L. 27 maggio 2008, n. 93 (conv. L.126/2008), Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie.

[48] In particolare, riduce da 50 a 5,1 milioni lo stanziamento per l’anno 2007 e sopprime quello di 50 milioni per il 2008, disposti dalla legge istitutiva del fondo, legge 296/2006, art. 1, co. 1267 (art. 5, co. 11, decreto-legge 93/2008) e sopprime l’integrazione di ulteriori 50 milioni per il 2008 disposta dalla legge 244/2007, art. 2, co. 536 (elenco 1, decreto-legge 93/2008).

[49] Mozioni Cota ed altri n. 1-00033, Capitanio Santolini ed altri n. 1-00049, De Torre ed altri n. 1-00050 e Evangelisti e Donadi n. 1-00051 concernenti iniziative in materia di accesso degli studenti stranieri alla scuola dell'obbligo, seduta del 14 ottobre 2008.

[50]    Seduta del 26 novembre 2008, esame della Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che introduce sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'UE. COM(2007)249 def. La proposta è stata approvata il 18 giugno 2009 (dir. 2009/52/CE). Il disegno di legge comunitaria 2010, attualmente al’esame del Parlamento (A.S. 2322- A.C. 4059) prevede l’autorizzazione al recepimento della direttiva.

[51]   Camera dei deputati, seduta dell’8 aprile 2010. Sono state approvate le mozioni Pezzotta ed altri n. 1-00354, Pisicchio ed altri n. 1-00355 e Santelli, Caparini ed altri n. 1-00356, nei rispettivi testi riformulati, respinta la mozione Livia Turco ed altri n. 1-00326 e votata per parti separate la mozione Donadi ed altri n. 1-00353.

[52]   Si veda Ministero dell’interno, Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Circolare n. 2 del 20 gennaio 2010.

[53]   D.P.C.M. 3 dicembre 2008, Programmazione transitoria dei flussi d'ingresso dei lavoratori extracomunitari nel territorio dello Stato per l'anno 2008

[54]   D.P.C.M. 20 marzo 2009, Programmazione transitoria dei flussi di ingresso dei lavoratori extracomunitari stagionali, nel territorio dello Stato, per l'anno 2009.

[55]   D.P.C.M. 1° aprile 2010, Programmazione transitoria dei flussi d’ingresso dei lavoratori extracomunitari stagionali e di altre categorie nel territorio dello Stato per l’anno 2010.

[56]   D.P.C.M. 30 novembre 2010, Programmazione transitoria dei flussi d’ingresso dei lavoratori extracomunitari non stagionali nel territorio dello Stato, per l’anno 2010

[57]   D.L. 1 luglio 2009, n. 78 (convertito L. 102/2009), Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali

[59]   OpenNet Initiative è una partnership tra l’Università di Harvard, l’Università di Toronto e la società di consulenza canadese sui rischi globali SecDev Group istituita allo scopo di informare in maniera indipendente sulle pratiche di censura e controllo di Internet.

[60]   Gli indicatori internazionali sul paese, ripresi da autorevoli centri di ricerca, descrivono in particolare: la condizione delle libertà politiche e civili secondo le classificazioni di Freedom House e dell’Economist Intelligence Unit; la posizione del paese secondo l’indice della corruzione percepita predisposto da Transparency International e secondo l’indice della libertà di stampa predisposto da Reporters sans Frontières; la condizione della libertà religiosa secondo i due rapporti annuali di “Aiuto alla Chiesa che soffre” (indicato con ACS) e del Dipartimento di Stato USA (indicato con USA); il tasso di crescita del PIL come riportato dal Fondo monetario internazionale; la presenza di situazioni di conflitto armato secondo l’International Institute for Strategic Studies (IISS). Per ulteriori informazioni sulle fonti e i criteri adottati si rinvia alla nota esplicativa presente in Le elezioni programmate nel periodo febbraio-aprile 2011 (documentazione e ricerche n. 85, 9 febbraio 2011).

[61]    Fonti Brookings Institution; Economist Intelligence Unit; Arab Human Development Report 2009. Per quel che concerne il tasso di incremento demografico medio, l’Arab Human Development Report 2009 sottolinea che questo è diminuito, nel complesso dei paesi arabi, dal 3,2% annuo del quinquennio 1970-1975 al 2,1% annuo del quinquennio 2000-2005. La proiezione per il periodo 2005-2010 compiuta dal rapporto è di un incremento medio annuo del 2%, quasi il doppio di quello stimato a livello globale per il medesimo periodo (1,2%)

[62]    Fonte: Congressional Research Service, Libya: Background and US relations (16 luglio 2010), in www.opencrs.com