Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: La situazione dei diritti umani in Iran
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 130
Data: 17/03/2010
Descrittori:
DIRITTI CIVILI E POLITICI   DIRITTI DELL'UOMO
IRAN     
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Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

La situazione dei diritti umani in Iran

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 130

 

 

 

17 marzo 2010

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Esteri

( 066760-4939– * st_affari_esteri@camera.it

 

 

 

 

 

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File: ES0426.doc

 


INDICE

Schede di lettura

La situazione dei diritti umani nella repubblica islamica dell’Iran  3

§      Le manifestazioni di protesta post-elettorali e la repressione del movimento.4

Pubblicistica

§      Amnesty International  Rapporto Annuale 2009:Iran  15

§      Human Rights Watch: World Report 2010: Iran  22

§      L. Boroumand, Civil society’s choice, in: Journal of Democracy, volume 20, Number 4, October 2009  26

§      R. Redaelli, Il dissenso iraniano, Modello per il Medio Oriente?, in: Vita e pensiero, n. 5, ottobre 2009  31

§      J.M. Vernochet, Iran: minorités, forces centrifuges et fractures endogène, in: Aghreb Achrek, n. 201, Automne 2009  39

§      N. Vahabi, Iran: civil revolution?, in: Fondation pour l’innovation politique, November 2009  61

§      R. Afshari, A historic moment in Iran, in: Human Rights Quarterly, n. 31, number 4, November 2009  77

§      O. Memarian, Q and A: Omid on human rights, 30 novembre 2009, in: www.insideiran.org  90

§      A. Aramesh, Iran filters and jams internet to combat the opposition, 15 dicembre 2009, in: www.insideiran.org  93

§      O. Blondeau e L. Allard, Iran 2009: le Web 2.0 en ordre de bataille, 8gennaio 2010, in : www.fondapol.org  94

§      S. Ghajar, What Does the Green Movement Want from the United States? 20 gennaio 2010, in www.insideiran.org  98

§      Q & A: Fatemeh Haghighatjoo on How the United States Should Respond to Iran’s Opposition Movement, 20 gennaio 2010, in www.insideiran.org  100

§      Comunicato di Human Rights Watch - UN: Council Review Highlights Iran's Poor Record  (February 16, 2010)102

§      S. Ghajar, Iranian Government Launches Communications Blackout on February 11, 11 febbraio 2010, in www.insideiran.org  104

 

 


Schede di lettura

 


 

La situazione dei diritti umani nella repubblica islamica dell’Iran

Il carattere fortemente religioso-integralista dell’organizzazione politica iraniana, unitamente all’esistere nel Paese di consistenti minoranze etniche e religiose, costituisce di per sé un terreno di coltura di potenziali abusi contro i diritti umani e civili, incluso il mancato rispetto delle garanzie democratiche – e ciò tanto sul piano della regolarità delle consultazioni elettorali, quanto sul piano della libertà di espressione del dissenso. Negli anni successivi al consolidamento della Repubblica islamica tali potenzialità hanno avuto puntuali riscontri fattuali, con il largo ricorso finanche alla pena capitale, ma con l’utilizzazione ancora maggiore della tortura, dell’intimidazione e della detenzione extra-giudiziale, per tacere delle amputazioni e delle pubbliche fustigazioni.

 

Il rapporto annuale 2009 di Amnesty international registra un peggioramento della condizione dei protagonisti della società civile in Iran, ivi compresi quelli operanti a difesa dei diritti umani, nei confronti dei quali si è proceduto ad arresti e a processi non equi, impedendone altresì le riunioni e sottoponendoli a torture e ad altri maltrattamenti. Quanto alla pena di morte, nel 2009 risultano ufficialmente 346 esecuzioni capitali, ma si stima che siano molte di più, ed esse sono state irrogate anche nei confronti di minorenni. Per quanto concerne poi le minoranze etniche e religiose dell’Iran (azeri, baluci, curdi) vi sono stati nelle regioni di rispettivo insediamento continui disordini, come reazione alla compressione dei loro diritti economici e sociali, culturali, civili e politici. D’altra parte anche la legislazione programmata dalle autorità, se approvata, condurrebbe a un’ulteriore restrizione dello spazio per i diritti umani, soprattutto nei confronti delle donne. Al proposito, in ambito Nazioni Unite, un rapporto di ottobre del Segretario generale ha richiesto cambiamenti della legislazione iraniana conformi agli standard internazionali, per porre fine alle discriminazioni contro le donne e le minoranze etniche e religiose, mentre il mese dopo l’Assemblea generale ONU ha esortato il governo di Teheran a mettere fine alle intimidazioni e persecuzioni di oppositori politici, consentendo altresì visite ispettive da parte di organismi delle Nazioni Unite competenti per i diritti umani.

Tra gli attivisti per la difesa dei diritti umani la stessa Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace, ha ricevuto sempre maggiori vessazioni e intimidazioni da parte di organi dello Stato, culminati in dicembre, quando è stato anche chiuso il Centro per i difensori dei diritti umani di Teheran, del quale la Ebadi è cofondatrice. D’altra parte le donne hanno visto proseguire le discriminazioni di legge e le repressioni nei loro riguardi, soprattutto se impegnate nella difesa dei loro diritti, e le autorità si sono servite a questo scopo anche della chiusura di giornali e siti Web, nonché del divieto di raduni pacifici.

 

Su questo sfondo, l’emergere clamoroso del movimento di protesta dopo le elezioni presidenziali del giugno 2009 non poteva non suscitare dure pratiche repressive, che il regime ha inesorabilmente messo in atto.

 

Le manifestazioni di protesta post-elettorali e la repressione del movimento.

Non appena resi noti i risultati delle elezioni presidenziali del 12 giugno 2009, con una schiacciante vittoria del presidente uscente Ahmadinejad sul principale sfidante Mousavi, distanziato di quasi 30 punti percentuali, già dalla mattinata del 13 giugno si assisteva nella capitale iraniana a scontri tra la polizia e gruppi di dimostranti che protestavano contro i risultati delle elezioni, a loro dire frutto di brogli. Le proteste, dapprima pacifiche, assumevano toni più minacciosi in parallelo con il crescere delle azioni repressive, mentre Mousavi invitava alla calma e ad astenersi da atti violenti. Iniziavano intanto proteste in altri paesi contro le rappresentanze diplomatiche iraniane, a cominciare da Londra e New York.

Il 14 giugno l'ondata di proteste si accresceva considerevolmente, facendo apparire quelli in corso come i tumulti più gravi dalla rivoluzione islamica del 1979. In breve tempo numerose strade di Teheran, comprese alcune di quelle di accesso alla città, si trovavano bloccate da autobus o cassonetti incendiati, mentre gli attacchi dei dimostranti si estendevano a negozi, uffici governativi, stazioni di polizia e relativi veicoli, e anche l'Università di Teheran veniva coinvolta da proteste su vasta scala sfociate poi in tumulti. L'ondata di contestazione si estendeva nel frattempo a numerose altre città iraniane, nelle quali venivano inviati reparti di Basij - la milizia scelta all'interno dei Guardiani della rivoluzione o Pasdaran -, visto che la polizia ordinaria antisommossa esiste praticamente solo nella capitale.

Mentre le manifestazioni di solidarietà con i dimostranti di Teheran si moltiplicavano considerevolmente in tutto il mondo, alcune troupe di giornalisti italiani e britannici denunciavano di essere stati malmenati dalla polizia, che procedeva anche al sequestro del materiale girato. Nella notte fra il 14 e il 15 giugno 15 studenti sono stati seriamente feriti - ma non si esclude la morte di alcuni di essi - in un attacco della polizia e delle milizie governative all’Università, verificatosi mentre gli studenti dormivano nei loro alloggiamenti.

Il 15 giugno più di centomila sostenitori di Mousavi potevano assistere al suo primo intervento dopo le elezioni, durante un raduno nella Piazza della Libertà di Teheran, tenutosi nonostante il divieto delle autorità. Nell'occasione sembra che una parte dei dimostranti abbia attaccato un edificio della milizia filogovernativa, dal quale per tutta risposta sono partiti colpi di arma da fuoco che avrebbero ucciso sette dimostranti. Nonostante la gravità di questo episodio va detto che il raduno di Piazza della Libertà era stato per il resto assolutamente tranquillo.

Il 16 giugno, seppure in misura minore dei giorni precedenti, migliaia di persone percorrevano le strade di Teheran in segno di protesta: al crescere dei tumulti il governo iraniano ha iniziato a prendere provvedimenti contro l'attività dei giornalisti stranieri nel paese, in particolare revocando le credenziali ai giornalisti presenti per le elezioni, e cercando di interdire agli altri ogni possibilità di riferire sulle proteste in corso.

Il 17 giugno un’ennesima dimostrazione sfilava per le strade di Teheran, incurante dei divieti e degli ammonimenti delle autorità. Lo stesso giorno, almeno quattro giocatori della nazionale iraniana di calcio, impegnati in una partita nella Corea del sud, si univano idealmente alla protesta indossando sul polso fasce verdi, e venivano sospesi (23 giugno) per questo dalla partecipazione alla nazionale.

Affollate manifestazioni avevano luogo anche il 18 giugno, in risposta alla chiamata di Mousavi per la commemorazione dei dimostranti uccisi nelle proteste del 15 giugno. Una contromanifestazione è stata tenuta da studenti di opposte idee politiche, con accuse all'ex presidente Rafsanjani di essere dietro le proteste a favore di Mousavi. Tutto ciò avveniva mentre il Consiglio dei guardiani invitava i tre principali sfidanti delle presidenziali a incontrarsi per una composizione delle controversie.

Il 19 giugno si aveva l'intervento in prima persona della Guida Suprema Ali Khamenei, in occasione di un appuntamento televisivo già programmato: Khamenei accusava mezzi di comunicazione di proprietà di sionisti di un tentativo di dividere lo Stato, unitamente a quello portato avanti dalle potenze occidentali nel gettare ombre sulle recenti elezioni presidenziali. Khamenei annunciava di voler resistere a tali pressioni illegali, e ammoniva i capi dell'opposizione, che sarebbero stati ritenuti responsabili degli spargimenti di sangue e del caos in corso nelle strade di molte città, qualora non avessero ordinato di porre fine alle dimostrazioni.

Nonostante la dura presa di posizione, alcune ore dopo il candidato alle presidenziali Kharrubi rinnovava la richiesta di cancellazione del risultato elettorale. Nel frattempo il portavoce di Mousavi riferiva che il quartiere generale di questi era stato messo a soqquadro da poliziotti in borghese, che avevano anche arrestato molti dei suoi collaboratori, mentre allo stesso Mousavi i Pasdaran avevano ordinato di rimanere in silenzio. Intanto sia la Camera dei rappresentanti che il Senato degli Stati Uniti formulavano un'esplicita condanna delle violenze contro i dimostranti perpetrate dalle autorità iraniane.

Secondo la stessa televisione di Stato iraniana, il 20 giugno vi sono state almeno dieci vittime e un centinaio di feriti negli scontri a Teheran tra i dimostranti, che sfidavano il divieto di manifestare formulato il giorno prima dalla Guida Suprema, e la polizia antisommossa, rafforzata da reparti della milizia filogovernativa dei Basij. Sempre secondo alcuni media filogovernativi, nell'occasione sarebbero state arrestate oltre 450 persone.

L'uccisione di una giovane donna ventiseienne, Neda Soltan, presumibilmente da parte della milizia Basij, con le sconvilgenti immagini della sua morte in mezzo alla strada, hanno fatto rapidamente il giro del mondo e della Rete, facendola divenire un simbolo assai efficace della rivolta. Anche lo speaker del Parlamento iraniano Larijani si schierava contro la repressione, dichiarando che il numero di persone convinte del carattere fraudolento delle elezioni presidenziali era molto elevato, e le loro opinioni andavano rispettate. Nel mondo intanto si moltiplicavano le manifestazioni di solidarietà con le proteste iraniane, mentre il presidente degli Stati Uniti Obama rilasciava una dichiarazione con la quale esortava il governo di Teheran a porre fine alle violenze contro i dimostranti.

Il 21 giugno, mentre per la prima volta si registrava una relativa calma nelle strade di Teheran, si verificava un pesante attacco del ministro degli esteri iraniano Mottaki contro la Francia e la Germania, per aver sollevato la questione delle irregolarità nelle operazioni di voto culminate con la rielezione di Ahmadinejad.

Assai più gravi le critiche di Mottaki al Regno unito, i cui servizi di intelligence sono stati accusati di aver infiltrato agenti in Iran prima delle elezioni per influenzarne l'esito: a queste accuse reagiva con forza il segretario britannico agli esteri Miliband. Lo stesso giorno si verificava l'espulsione del corrispondente a Teheran della BBC, accusato di diffusione di notizie prive di fondamento, di ignorare la neutralità nel proprio lavoro e di fornire supporto ai dimostranti. Un altro giornalista, un cittadino canadese di origine iraniana, risultava arrestato nello stesso giorno, mentre suoi colleghi di Reporters Sans Frontières asserivano essere ormai 23 i giornalisti iraniani arrestati nell'ultima settimana. Il 21 giugno si assisteva inoltre all'arresto della figlia di Rafsanjani e di quattro altri parenti, mentre le forze di sicurezza etichettavano i dimostranti come terroristi, nei confronti dei quali si era pronti ormai all'uso della forza.

Il 22 giugno - mentre la situazione nelle strade di Teheran si manteneva tranquilla, salvo che per scontri tra le forze di sicurezza e un migliaio di dimostranti, dispersi con l'uso di lacrimogeni - il Consiglio dei guardiani rompeva gli indugi, dichiarando la vittoria di Ahmadinejad, poiché le irregolarità già ammesse non sarebbero state tali da inficiare il risultato del voto.

Il 23 giugno il presidente degli Stati Uniti tornava a condannare l'uso della violenza contro i dimostranti in Iran, riferendosi esplicitamente anche alla vicenda di Neda Soltan.

Il 24 giugno, seppure proseguendo nella modalità dei piccoli raduni di dimostranti, gli scontri assumevano nuovamente una dimensione cruenta, con notizie di varia fonte che riferivano anche di uso di armi da fuoco contro i dimostranti.

Il 26 giugno, mentre a Stoccolma poco più di un centinaio di persone si riunivano per protestare davanti all'ambasciata iraniana, ove alcuni manifestanti riuscivano a penetrare, provocando incidenti con il personale iraniano poi risolti dall'intervento della polizia svedese, un appartenente ai ranghi più elevati del clero iraniano, l’ayatollah Ahmed Khatami, invocava una punizione senza pietà per i capi della protesta, non escludendo nemmeno la pena capitale.

Nella stessa giornata il Vertice dei ministri degli esteri del G8 tenutosi a Trieste ha pronunciato una forte condanna per le perdite di vite umane in seguito alla repressione delle manifestazioni di protesta in Iran, invitando la Repubblica islamica al rispetto dei diritti fondamentali, ma evitando toni troppo duri, suscettibili di provocare una rottura non coerente con la prosecuzione degli sforzi per risolvere la questione del nucleare iraniano.

Il 27 giugno, mentre nell'Università si teneva una piccola e pacifica veglia in memoria delle vittime delle proteste, secondo Human Rights Watch la milizia dei Basij effettuava raid notturni, con bastonature di cittadini e distruzione di cose, nel tentativo di porre fine alle proteste sui tetti delle case che avevano caratterizzato la mobilitazione sin dall'inizio.

L'atteggiamento repressivo delle autorità iraniane si è inoltre manifestato su un altro fronte, con l'arresto di otto impiegati dell'ambasciata britannica -di cui solo quattro trattenuti.

Il 29 giugno il Consiglio dei guardiani ribadiva la vittoria di Ahmadinejad, dopo aver proceduto al riconteggio del 10 per cento dei voti. In seguito all'annuncio, si verificavano nelle strade della capitale nuove manifestazioni di protesta, con rinnovati scontri. Nel frattempo a Parigi migliaia di dimostranti davano vita a una manifestazione di solidarietà con le proteste in Iran, mentre le autorità egiziane, che pure pochi giorni prima avevano denunciato l'azione repressiva del governo di Teheran, proibivano una marcia di solidarietà nelle strade del Cairo in onore di Neda Soltan.

Il 30 giugno veniva riferito che gli oppositori del governo iraniano, in risposta alla chiusura di alcuni giornali, avevano iniziato a tracciare graffiti antigovernativi sui muri della città.

il 2 luglio migliaia di parenti di vittime della repressione dei giorni precedenti marciavano verso il cimitero nel quale erano state disposte sepolture di massa per le vittime, e nel quale è sepolta anche Neda Soltan. Anche in questo caso vi sarebbe stato un pesante intervento poliziesco. Ciononostante, il 4 luglio migliaia di persone hanno commemorato Neda Soltan nel cimitero di Behesht, circondando la sua tomba con petali di rosa. Nella città santa di Qom, l'assemblea degli insegnanti e degli studiosi del diritto islamico, importanti protagonisti della formazione del clero sciita, dichiarava illegittime le elezioni vinte da Ahmadinejad.

Il 21 luglio vi è stato un nuovo intervento repressivo a Teheran, contro una manifestazione con alcune centinaia di partecipanti, decine dei quali sarebbero stati arrestati. Già prima della manifestazione il capo della polizia aveva preannunciato fermezza contro ogni altra dimostrazione dell’opposizione, accusandola di diffondere sedizione nel paese.

 

Nella parte finale del mese di luglio e in agosto si è assistito a un parziale affievolimento del movimento di protesta, sia per una prevedibile dinamica interna, sia per effetto di una repressione meno eclatante  che nei primi giorni, ma – a detta di molti appartenenti all’opposizione di piazza - piuttosto capillare ed efficace. Si sono inoltre celebrati quattro processi collettivi per le manifestazioni post-elettorali, nei quali sono comparsi alla sbarra anche numerosi esponenti di rilievo del fronte riformista.

Sul fronte dell’opposizione va segnalato che dopo aver denunciato più volte abusi sessuali e maltrattamenti avvenuti in carcere ai danni di manifestanti arrestati per le contestazioni post-elettorali, il 13 agosto Kharroubi, uno dei candidati sconfitti, ha rincarato la dose, pubblicando sul proprio sito Internet notizie di torture perpetrate nelle prigioni iraniane a danno di giovani manifestanti, alcuni dei quali ne sarebbero morti. Kharroubi ha anche ribadito le accuse in merito agli abusi sessuali, annunciando la prossima presentazione di prove inoppugnabili, e ha chiesto l’intervento di una commissione per accertare la verità sulle morti sotto tortura. Quattro giorni dopo, il giornale facente capo a Kharroubi è stato chiuso dalla censura governativa, e le proteste di alcuni manifestanti sono state duramente represse.

 

Alla metà di settembre si è avuta la massiccia ripresa del movimento di opposizione, con migliaia di manifestanti che hanno riempito le piazze di Teheran, inserendosi abilmente nel contesto delle annuali manifestazioni del regime contro Israele e a sostegno dei palestinesi, e nonostante i pesanti ammonimenti preventivi delle forze conservatrici. Il 23 settembre è stata arrestata la responsabile dell’ufficio politico del principale partito riformista iraniano, il Fronte della partecipazione, mentre tra il 9 e il 13 ottobre sono stati condannati a morte – con decisione ancora appellabile – cinque partecipanti alle manifestazioni dei mesi precedenti, quasi tutti appartenenti a organizzazioni a vario titolo illegali.

Lo stesso Karrubi, uno degli sfidanti di Ahmadinejad nelle presidenziali di giugno, è stato messo sotto inchiesta da parte di una corte speciale islamica -Karrubi è infatti un religioso sciita, e quindi non sottoposto alla giurisdizione islamica - come reazione alle denunce da lui sollevate per presunti stupri avvenuti su manifestanti in stato di detenzione.

Il 4 novembre il movimento di protesta ha nuovamente invaso la capitale e numerose altre città, stavolta sfruttando la ricorrenza del trentennale dell’assalto vincente all’Ambasciata USA a Teheran: si sono verificati violenti scontri, e per la prima volta la protesta si è indirizzata anche contro la Guida Suprema Khamenei, giudicata troppo sbilanciata a favore di Ahmadinejad. Le accuse a Khamenei sono state reiterate il 7 dicembre da manifestazioni studentesche nella capitale, durante le quali si è giunti a bruciare immagini della Guida Suprema: oltre duecento persone sono state arrestate, mentre il giorno seguente il leader dell’opposizione Moussavi è stato assediato nel suo ufficio all’Accademia delle arti da un gruppo ristretto ma minaccioso di attivisti fondamentalisti. Nel frattempo la spirale repressiva colpiva anche il giornalista economico Saeed Leylaz, che dopo la chiusura del giornale finanziario Sarmayeh subiva una condanna a nove anni di carcere.

Più in generale, verso la fine del 2009 emergeva con chiarezza il giro di vite che le autorità di governo hanno inteso imprimere nei confronti dell'opposizione: un primo bilancio parla di 3.700 persone arrestate - peraltro quasi tutte rilasciate -, della celebrazione di cinque processi pubblici di massa, dell'uccisione di 72 manifestanti nelle strade o durante interrogatori o sevizie in carcere, della condanna a pene detentive di 81 oppositori e di cinque condanne a morte. La stretta autoritaria sarebbe stata completata con l’unificazione sotto un'unica regia di sette servizi di sicurezza, da un appesantimento della censura sulla stampa di opposizione, dal contrasto alle idee e alle mode occidentali perseguito mediante la nomina di un esponente del clero per ogni scuola.

Il 21 dicembre i funerali dell’ayatollah Montazeri – carismatica guida spirituale, non direttamente impegnato in politica, ma vicino al movimento di protesta - svoltisi nella città santa di Qom, sono stati l’occasione di un nuovo imponente raduno del movimento di protesta, contrastato dalla consueta repressione, giunta fino a presidiare con gruppi di miliziani la casa dello scomparso. Altri appartenenti alla milizia dei Basiji hanno assalito l’automobile di Moussavi, che il giorno dopo veniva sollevato dall’incarico di presidente dell’ Accademia delle arti, della quale era a capo sin dalla fondazione, avvenuta undici anni fa.

L’ondata di proteste è proseguita il 23 dicembre nella città di Isfahan per una cerimonia in ricordo dell’ayatollah Montazeri, a seguito della quale vi sono sati numerosi arresti e feriti. Il 26 dicembre, poi, all’ex presidente Khatami è stato vietato di prendere la parola durante una cerimonia in una moschea situata nel quartiere settentrionale di Teheran, nel comprensorio dove abitò e lavorò l’ayatollah Khomeini. Anche numerosi manifestanti che erano accorsi per ascoltare il discorso in programma di Khatami sono stati dispersi, e vi sono stati ancora una volta numerosi arresti. Gli scontri sono proseguiti il 27 dicembre in occasione della commemorazione dell’ayatollah Montazeri a sette giorni dalla morte: il 28 dicembre la stessa televisione di Stato iraniana ha ammesso il numero di 15 morti nelle sole proteste degli ultimi giorni. La repressione si è indirizzata in particolare contro i sostenitori di Moussavi, ai quali è stato impedito di celebrare un pubblico funerale a suffragio del nipote del leader riformista, ucciso negli scontri dei giorni precedenti, per scongiurare una nuova occasione di riunione dell’Onda Verde.

Il 29 dicembre si è avuta notizia dell’arresto della sorella del premio Nobel Shirin Ebadi, ed un collaboratore di Khamenei ha chiesto la pena di morte per i leader riformisti, mentre il Ministro degli esteri Mottaki ha violentemente attaccato le autorità britanniche per le critiche espresse in merito alla repressione in corso in Iran. Il 30 dicembre è stato organizzato a Teheran un corteo di pubblici dipendenti sostenitori della Guida Suprema. Inoltre, Teheran ha proceduto all'arresto di numerosi stranieri, accusati di aver avuto un ruolo significativo negli scontri degli ultimi giorni, e ha pubblicato altresì una lista nera di 62 emittenti, università e centri studi stranieri ugualmente accusati di tramare contro l'ordine interno iraniano: nella lista figurano televisioni satellitari come Voice of America e la BBC in lingua persiana, ma anche università come Yale e Stanford, e numerosi centri di ricerca e riflessione in materia internazionale famosi in tutto il mondo. Nella difficile situazione vi è stata anche la lettera di una novantina di insegnanti dell’università di Teheran, che hanno scritto alla Guida Suprema Khamenei denunciando gli attacchi che ogni giorno venivano perpetrati contro gli studenti.

Il 28 gennaio vi sono state due impiccagioni in relazione alle proteste di piazza dei mesi precedenti - anche se da diverse fonti si è appreso che entrambi i giustiziati erano stati arrestati già prima dei disordini succeduti alle elezioni del 12 giugno 2009. Particolarmente dura è stata la critica della Casa Bianca contro le due impiccagioni, con le quali il regime di Teheran avrebbe toccato il fondo della repressione e dell'isolamento.

L'11 febbraio si sono tenute nella capitale iraniana e altre importanti città del paese le celebrazioni per il trentunesimo anniversario della rivoluzione islamica: ancora una volta l'opposizione ha cercato di inserirsi nelle manifestazioni, ma in reazione si è registrata una dura risposta dalla polizia e dalle milizie filogovernative: il bilancio sarebbe, secondo alcune fonti, di tre manifestanti uccisi, tra cui una ragazza di 27 anni.

Anche nei riguardi della stampa estera il regime ha esercitato uno stretto controllo, impedendo ai giornalisti stranieri di mescolarsi ai manifestanti, e consentendo loro solo di raggiungere la Piazza Azadi, dov'era previsto il discorso di Ahmadinejad. Secondo alcuni siti Internet dell'opposizione a due suoi esponenti (l'ex candidato alle presidenziali Karrubi e l'ex presidente Khatami), ai leader dell’opposizione è stato impedito di unirsi ai loro sostenitori: il figlio di Karrubi sarebbe stato addirittura arrestato, mentre la cognata di Khatami, nipote dell'Ayatollah Khomeini ma di orientamento riformista, sarebbe stata costretta ad allontanarsi dalla piazza. Anche a seguito delle violenze contro le rappresentanze diplomatiche europee dei giorni precedenti (9 febbraio), i principali Paesi dell'Unione non hanno inviato rappresentanti diplomatici alle celebrazioni della rivoluzione, ma tale atteggiamento non è stato condiviso da una parte degli altri Stati membri della Ue, con particolare in riferimento a quelli di recente adesione dell'Europa centro-orientale. In ogni modo, l'Alto rappresentante della politica estera e di sicurezza dell'Unione, Catherine Ashton, ha condannato le repressioni.

 

Il 15 febbraio a Ginevra, in preparazione della 13ma sessione (1°-26 marzo 2009) del Consiglio ONU per i diritti umani, la situazione dell’Iran è stata sottoposta al vaglio della Comunità internazionale, che da parte dei Paesi occidentali si è trasformato in un atto di accusa contro Teheran per le estese violazioni, particolarmente aggravate dopo lo scoppio in giugno del movimento di contestazione. Da parte degli Stati Uniti e del Regno Unito l’Iran si è visto richiedere di accogliere una visita del Relatore delle Nazioni Unite sulla tortura, mentre la Francia ha sponsorizzato un’inchiesta internazionale sulla repressione degli ultimi mesi. La rappresentante dell’Italia, l’Ambasciatore presso le Organizzazioni internazionali site a Ginevra Laura Mirachian, ha posto l’accento sul sistematico ricorso iraniano alla pena di morte - anche nei confronti di minorenni – e sulla difficoltà di conoscere la sorte degli arrestati , come anche sul mancato rispetto dei diritti di minoranze religiose: tali pratiche rendono improponibile, secondo l’Italia, la candidatura di Teheran a far parte dei Consiglio per i diritti umani nel periodo 2010-2013.

Il 1º marzo nella sua casa di Teheran veniva arrestato il regista Jafari Panahi, uno dei più famosi dell’Iran, unitamente alla moglie, alla figlia e ad altre persone che si trovavano con loro. Panahi è stato vincitore nel 2000 del Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia con il film “Il cerchio”, che illustra la condizione delle donne in Iran: le sue opere sono state in generale boicottate nel paese, e alle presidenziali del 2009 il regista aveva sostenuto la candidatura di Mussavi, aderendo poi alle proteste contro la rielezione di Ahmadinejad. Tra le numerose reazioni di condanna a livello internazionale va segnalata quella delMinistro italiano ai beni culturali Sandro Bondi, che si è spinto fino a porre in discussione la futura collaborazione italo-iraniana nei settori culturali, qualora il Governo di Teheran non desista dalle repressioni, liberando anzitutto proprio Panahi.

Il 3 marzo è stata resa nota la conferma in appello della condanna a morte di un oppositore iraniano ventenne arrestato dopo le manifestazioni del 27 dicembre, la cui esecuzione è divenuta dunque possibile in ogni momento: già in precedenza, in febbraio, si era sparsa la notizia della condanna a morte di un altro oppositore ventunenne, appartenente a un’organizzazione monarchica e come tale ritenuto colpevole, per il quale pende tuttavia una richiesta di esame in appello.

Un forte richiamo al rispetto dei diritti delle donne iraniane è venuto in occasione dell’8 marzo da parte della moglie di Mussavi, la docente universitaria Zahra Rahnavard, che si è impegnata a battersi perché il movimento di contestazione includa tra i proprii progetti anche l’eliminazione delle leggi discriminatorie e tiranniche contro la libertà delle donne dell’Iran. In particolare la Rahnavard, sempre a fianco del marito dal momento delle presidenziali, ha sostenuto la necessità di migliorare le leggi che riguardano i divorzi, la custodia dei figli e il calcolo del valore pecuniario della vita di una persona nei procedimenti giudiziar – in cui oggi viene attribuita alle donne la metà del valore rispetto agli uomini. Un’altra battaglia, secondo la Rahnavard, dovrebbe riguardare l’elemento dell’età minima per essere considerati responsabili innanzi alla legge, che per le bambine scatta già dai nove anni, a fronte dei 15 anni per i maschi.

Come contributo al contrasto della spirale repressiva in Iran, e nell’ambito della battaglia per la libertà totale della Rete che ha condotto tra l’altro a notevoli frizioni con la Cina, l’Amministrazione statunitense ha esentato le imprese americane del settore dal rispetto dell’embargo nei confronti di paesi come Sudan, Cuba e Iran, in considerazione della valenza democratica degli strumenti veicolati da Internet - si ricordi infatti quanto in precedenza richiamato sulle azioni delle autorità di Teheran per oscurare sistematicamente siti Internet e telecomunicazioni di vario tipo  nei giorni più caldi della protesta.