Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Repubblica islamica dell'Iran: questioni interne e internazionali
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 116
Data: 15/02/2010
Descrittori:
CRISI POLITICA   IRAN
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari
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Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Repubblica islamica dell’Iran:
questioni interne e internazionali

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 116

 

 

 

15 febbraio 2010

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri

( 066760-4939 – * st_affari_esteri@camera.it

 

 

.

 

 

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File: ES0382.doc

 


INDICE

Schede di lettura

Iran: il quadro politico interno  3

Sviluppi della politica estera iraniana  8

La questione nucleare iraniana  11

§      Dai tentativi di mediazione all’intervento del Consiglio di sicurezza  13

§      Gli sviluppi più recenti15

Documentazione

§      F. Baragli, Iran: la sfida irachena tra accordi politici e contratti economici, in: www.equilibri.net, 3 febbraio 2010  25

§      USA – Office of the Director of National Intelligence – Annual Threat Assestment – February 2, 2010  25

§      Iran and turkish-american relations, in: www.Brookings.edu, February 01, 2010  25

§      Sanctioning Iran: if only it were so simple, in: www.Brookings.edu, January 2010  25

§      CSIS, Center for strategic  and international studies: Cordesman A., Iran’s Evolving Threat, in: www.csis.org, 21 gennaio 2010  25

§      P. Rogers, Israel’s shadow over Iran, in: www.isn.ethz.ch 15 gennaio 2010  25

§      A. Buttitta, Iran: prospettive dello squilibrio interno, in: www.equilibri.net , 13 gennaio 2010  25

§      NTI – Nuclear Threat Initiative, Country profile: Iran, in: www.nti.org, december 2009  25

§      S. Maloney, Iran sanctions: options, opportunities and consequences, in: www.Brookings.edu, december 15, 2009  25

§      Laulan Y.M, L’Iran et la bombe. Et après?, in: Défense nationale et sécurité collective, n. 724, novembre 2009  25

§      IAEA – Board of Governors, 27 november 2009- Implementation of the NPT safeguards agreement and relevant provisions ofSecurity Council resolutions 1737 (2006),1747 (2007), 1803 (2008) and 1835 (2008) in the Islamic Republic of Iran: Resolution adopted by the Board of Governors -25

§      IAEA – Board of Governors, 16 november 2009 -  Implementation of the NPT SafeguardsAgreement and relevant provisions of SecurityCouncil resolutions 1737 (2006), 1747 (2007),1803 (2008) and 1835 (2008) in the IslamicRepublic of Iran: Report by the Director General25

§      S. Casertano, Perché le sanzioni all’Iran potrebbero colpire l’obiettivo sbagliato, in: Affari internazionali, 23 ottobre 2009  26

§      Parlamento europeo: Risoluzione del 22 ottobre 2009 sull’Iran  26

§      A. Bonzanni, Le sanzioni all’Iran e il ruolo chiave della Russia, in: www.affarinternazionali.it, 2 ottobre 2009  26

§      T. Delpech, Iran: le crépuscole de la théocratie?, in: Politique International, n. 125, automne 2009  26

§      N. Pedde, In morte della prima repubblica islamica, in Limes, in: 4/2009  26

§      R. Mauriello, La democrazia iraniana alla prova della piazza, in: Limes, n. 4/2009  26

§      Persicus, Da che parte stanno davvero gli iraniani?, in: Limes, n. 4/2009  26

§      A. Tani, L’Iran e le sue prospettive nucleari, in: Rivista Marittima, gennaio 2009  26

 

 


Schede di lettura

 


Iran: il quadro politico interno

Nella parte finale del mese di luglio 2009 ed in agosto si era assistito a un parziale affievolimento del movimento di protesta sorto a seguito della rielezione del presidente Ahmadinejad. Tale effetto era attribuibile sia ad una prevedibile dinamica interna, sia alla dura reazione repressiva e alla sua capillarità. Si sono infatti celebrati quattro processi collettivi per le manifestazioni post-elettorali, nei quali sono implicati numerosi esponenti di rilievo del fronte riformista.

Nel fronte conservatore uscito vincente dalle elezioni presidenziali si sono tuttavia evidenziate divaricazioni e controversie significative, ricollegate da alcuni osservatori internazionali alle lotte, all’interno dell’élite al potere, per il controllo delle enormi risorse energetiche del Paese.

Il 20 agosto è stata presentata al Parlamento la compagine del nuovo governo, composta da 21 ministri, vicina all’ala dura e militarizzata del regime. Tra le principali novità, oltre alla presenza di tre donne per i dicasteri dell’Educazione, del Welfare e della Salute, figura un nuovo ministro del petrolio, Kazemi, nonché lo spostamento dell’ex ministro della difesa Nadjar al dicastero degli interni. Entrambi hanno subito incontrato una forte opposizione in Parlamento, il primo in quanto ritenuto poco esperto nel decisivo settore petrolifero, il secondo per la sua qualifica di generale dei pasdaran, e quindi troppo sbilanciato verso l’ala militarizzata del regime. Inoltre, il ministro designato per la difesa, Vahidi, è ricercato dall’Interpol, su mandato della magistratura argentina, per complicità in un attentato del 1994 perpetrato a Buenos Aires contro la sede di un’associazione ebraica, che provocò la morte di 85 persone e il ferimento di altre 300. Un’ulteriore spia delle difficoltà parlamentari del riconfermato presidente Ahmadinejad è stato il ritardo nella approvazione degli ultimi tre ministri, intervenuta solo il 15 novembre.

 

 

La ripresa d’iniziativa delle opposizioni e le fratture fra poteri civili e poteri religiosi

 

Alla metà di settembre si è avuta la massiccia ripresa del movimento di opposizione, con migliaia di manifestanti che hanno riempito le piazze di Teheran, inserendosi abilmente nel contesto delle annuali manifestazioni del regime contro Israele e a sostegno dei palestinesi, e nonostante i pesanti ammonimenti preventivi delle forze conservatrici. Il 23 settembre è stata arrestata la responsabile dell’ufficio politico del principale partito riformista iraniano, il Fronte della partecipazione, mentre tra il 9 e il 13 ottobre sono stati condannati a morte – con decisione ancora appellabile – cinque partecipanti alle manifestazioni dei mesi precedenti, quasi tutti appartenenti a organizzazioni a vario titolo illegali.

Lo stesso Karrubi, uno degli sfidanti di Ahmadinejad nelle presidenziali di giugno, è stato messo sotto inchiesta da parte di una corte speciale islamica -Karrubi è infatti un religioso sciita, e quindi non sottoposto alla giurisdizione islamica - come reazione alle denunce da lui sollevate per presunti stupri avvenuti su manifestanti in stato di detenzione.

Il 4 novembre il movimento di protesta ha nuovamente invaso la capitale e numerose altre città, stavolta sfruttando la ricorrenza del trentennale dell’assalto vincente all’Ambasciata USA a Teheran: si sono verificati violenti scontri, e per la prima volta la protesta si è indirizzata anche contro la Guida Suprema Khamenei, giudicata troppo sbilanciata a favore di Ahmadinejad. Le accuse a Khamenei sono state reiterate il 7 dicembre da manifestazioni studentesche nella capitale, durante le quali si è giunti a bruciare immagini della Guida Suprema: oltre duecento persone sono state arrestate, mentre il giorno seguente il leader dell’opposizione Moussavi è stato assediato nel suo ufficio all’Accademia delle arti da un gruppo ristretto ma minaccioso di attivisti fondamentalisti.

Nel frattempo la spirale repressiva colpiva anche il giornalista economico Saeed Leylaz, che dopo la chiusura del giornale finanziario Sarmayeh subiva una condanna a nove anni di carcere. Più in generale, verso la fine del 2009 emergeva con chiarezza il giro di vite che le autorità di governo hanno inteso imprimere nei confronti dell'opposizione: un primo bilancio parla di 3.700 persone arrestate - peraltro quasi tutte rilasciate -, della celebrazione di cinque processi pubblici di massa, dell'uccisione di 72 manifestanti nelle strade o durante interrogatori o sevizie in carcere, della condanna a pene detentive di 81 oppositori e di cinque condanne a morte. La stretta autoritaria sarebbe stata completata con l’unificazione sotto un'unica regia di sette servizi di sicurezza, da un appesantimento della censura sulla stampa di opposizione, dal contrasto alle idee e alle mode occidentali perseguito mediante la nomina di un esponente del clero per ogni scuola.

Il 21 dicembre i funerali dell’ayatollah Montazeri – carismatica guida spirituale, non direttamente impegnato in politica, ma vicino al movimento di protesta - svoltisi nella città santa di Qom, sono stati l’occasione di un nuovo imponente raduno del movimento di protesta, contrastato dalla consueta repressione, giunta fino a presidiare con gruppi di miliziani la casa dello scomparso. Altri appartenenti alla milizia dei Basijihanno assalito l’automobile di Moussavi, che il giorno dopo veniva sollevato dall’incarico di presidente dell’ Accademia delle arti, della quale era a capo sin dalla fondazione, avvenuta undici anni fa.

L’ondata di proteste è proseguita il 23 dicembre nella città di Isfahan per una cerimonia in ricordo dell’ayatollah Montazeri, a seguito della quale vi sono sati numerosi arresti e feriti. Il 26 dicembre, poi, all’ex presidente Khatami è stato vietato di prendere la parola durante una cerimonia in una moschea situata nel quartiere settentrionale di Teheran, nel comprensorio dove abitò e lavorò l’ayatollah Khomeini. Anche numerosi manifestanti che erano accorsi per ascoltare il discorso in programma di Khatami sono stati dispersi, e vi sono stati ancora una volta numerosi arresti. Gli scontri sono proseguiti il 27 dicembre in occasione della commemorazione dell’ayatollah Montazeri a sette giorni dalla morte: il 28 dicembre la stessa televisione di Stato iraniana ha ammesso il numero di 15 morti nelle sole proteste degli ultimi giorni. La repressione si è indirizzata in particolare contro i sostenitori di Moussavi, ai quali è stato impedito di celebrare un pubblico funerale a suffragio del nipote del leader riformista, ucciso negli scontri dei giorni precedenti, per scongiurare una nuova occasione di riunione dell’Onda Verde.

Il 29 dicembre si è avuta notizia dell’arresto della sorella del premio Nobel Shirin Ebadi, ed un collaboratore di Khamenei ha chiesto la pena di morte per i leader riformisti, mentre il Ministro degli esteri Mottaki ha violentemente attaccato le autorità britanniche per le critiche espresse in merito alla repressione in corso in Iran. Il 30 dicembre è stato organizzato a Teheran un corteo di pubblici dipendenti sostenitori della Guida Suprema.

Il 1° gennaio 2010 Moussavi, ha pubblicamente dichiarato di essere pronto a morire, e che – in tal caso - la sua morte rafforzerà il movimento di opposizione. Nel frattempo sembra delinearsi un possibile punto di mediazione fra opposizione e forze di governo, con una richiesta di liberazione dei prigionieri politici e di riforma della legge elettorale nel senso della trasparenza e di una maggiore credibilità dei meccanismi della democrazia iraniana.

Il ripetersi delle manifestazioni e la loro risonanza internazionale hanno accresciuto la tensione delle autorità di Teheran nei confronti della Comunità internazionale, cosicché il 4 gennaio è stata cancellata una visita di deputati dell'Unione europea, ai quali sarebbe stato interdetto di incontrare gli omologhi dell'opposizione iraniana. Inoltre, Teheran ha proceduto all'arresto di numerosi stranieri, accusati di aver avuto un ruolo significativo negli scontri degli ultimi giorni, e ha pubblicato altresì una lista nera di 62 emittenti, università e centri studi stranieri ugualmente accusati di tramare contro l'ordine interno iraniano: nella lista figurano televisioni satellitari come Voice of America e la BBC in lingua persiana, ma anche università come Yale e Stanford, e numerosi centri di ricerca e riflessione in materia internazionale famosi in tutto il mondo. Nella difficile situazione vi è stata anche la lettera di una novantina di insegnanti dell’università di Teheran, che hanno scritto alla Guida Suprema Khamenei denunciando gli attacchi che ogni giorno vengono perpetrati contro gli studenti.

Il 28 gennaio vi sono state due impiccagioni in relazione alle proteste di piazza dei mesi precedenti - anche se da diverse fonti si è appreso che entrambi i giustiziati erano stati arrestati già prima dei disordini succeduti alle elezioni del 12 giugno 2009. Particolarmente dura è stata la critica della Casa Bianca contro le due impiccagioni, con le quali il regime di Teheran avrebbe toccato il fondo della repressione e dell'isolamento.

L'11 febbraio si sono tenute nella capitale iraniana e altre importanti città del paese le celebrazioni per il trentunesimo anniversario della rivoluzione islamica: ancora una volta l'opposizione ha cercato di inserirsi nelle manifestazioni, ma in reazione si è registrata una dura risposta dalla polizia e dalle milizie filogovernative: il bilancio sarebbe, secondo alcune fonti, di tre manifestanti uccisi, tra cui una ragazza di 27 anni.

Anche nei riguardi della stampa estera il regime ha esercitato uno stretto controllo, impedendo ai giornalisti stranieri di mescolarsi ai manifestanti, e consentendo loro solo di raggiungere la Piazza Azadi, dov'era previsto il discorso di Ahmadinejad. Secondo alcuni siti Internet dell'opposizione a due suoi esponenti (l'ex candidato alle presidenziali Karrubi e l'ex presidente Khatami), ai leader dell’opposizione è stato impedito di unirsi ai loro sostenitori: il figlio di Karrubi sarebbe stato addirittura arrestato, mentre la cognata di Khatami, nipote dell'Ayatollah Khomeini ma di orientamento riformista, sarebbe stata costretta ad allontanarsi dalla piazza. Anche a seguito delle violenze contro le rappresentanze diplomatiche europee dei giorni precedenti (9 febbraio), i principali Paesi dell'Unione non hanno inviato rappresentanti diplomatici alle celebrazioni della rivoluzione, ma tale atteggiamento non è stato condiviso da una parte degli altri Stati membri della Ue, con particolare in riferimento a quelli di recente adesione dell'Europa centro-orientale. In ogni modo, l'Alto rappresentante della politica estera e di sicurezza dell'Unione, Catherine Ashton, ha condannato le repressioni.

 

Va rilevato come proprio le manifestazioni degli ultimi mesi abbiano accentuato l'impressione di un movimento di contestazione che tende a espandersi prescindendo dalle indicazioni dei vertici: un’opposizione al regime nella quale prevale, al momento, l’elemento spontaneo. Significativo al proposito è il riferimento del movimento all’ayatollah Montazeri, che non si è mai posto come guida politica, ma solo come grande riferimento spirituale e religioso. Il movimento appare altresì in estensione sociologica, nel senso di un allargamento progressivo da istanze culturali, rappresentate soprattutto da studenti universitari, verso ceti di lavoratori sia urbani che extraurbani, e con una importante componente femminile.

Dal punto di vista, invece, del regime iraniano, la lunga fase di contestazione del risultato elettorale di giugno 2009 sembra avere messo parzialmente in crisi uno dei fondamenti della rivoluzione islamica, ovvero la legittimazione democratica, seppure concessa a un'élite di esperti giuridico-religiosi. Oltre a ciò, sembrano approfondirsi le divisioni interne al clero iraniano, una parte del quale, sulla scia di Montazeri, aveva già manifestato dissenso rispetto alla pesantezza della repressione del movimento di contestazione.

Sembra esservi però nell'atteggiamento del clero anche la preoccupazione per una possibile ulteriore crescita del potere dei pasdaran. Questi ultimi, infatti, pur fondamentalisti e radicali, sono comunque una forza di natura laica e detengono ormai un crescente potere economico e finanziario, che rischia di porsi in diretta concorrenza con quello amministrato da vasti strati clericali. Più strettamente legata a logiche politiche e parlamentari è invece l'azione dell'opposizione interna al fronte fondamentalista, guidata dal presidente del Parlamento Larijani, e che include anche parte della magistratura.

Anche con riferimento alla Guida Suprema Khamenei è necessario puntualizzare ancora una volta dove questi collochi nella contingenza attuale il proprio baricentro di azione: in particolare, sembra che il risoluto appoggio alla rielezione di Ahmadinejad abbia allontanato da Khamenei una parte consistente del clero, oltre naturalmente al movimento di opposizione. Lo schiacciamento della Guida Suprema sui pasdaran, oltre a minare perciò stesso il ruolo equilibratore di Khamenei, sembra tuttavia congiurare contro quella che è forse la sua più forte aspettativa, ossia la successione nel ruolo di Guida Suprema del figlio Mojtada, il quale dovrebbe passare a norma di Costituzione per il vaglio dell'Assemblea degli esperti, che è sotto controllo clericale.

 


Sviluppi della politica estera iraniana

Le relazioni regionali

 

Partendo dalle relazioni con la Federazione russa, occorre notare come questo rapporto si sia sviluppato negli anni con un notevole tasso di ambiguità, anche se i due Paesi risultano reciprocamente assai utili, se non indispensabili.

L'atteggiamento di Mosca, che solo negli ultimi tempi sembra avvicinarsi alla volontà occidentale di un inasprimento delle sanzioni verso Teheran, è consistito sempre in una grande prudenza nei confronti di ogni iniziativa da intraprendere in relazione all'Iran, rispetto al quale ha esercitato un ruolo che si potrebbe definire quasi paternalistico, richiamando Teheran nei momenti più acuti di tensione, ma mostrando nello stesso tempo di essere indispensabile per alcuni snodi essenziali dello stesso programma nucleare iraniano.

Dal punto di vista dell'Iran, oltre all'appoggio tecnologico, la Russia è importante in quanto uno dei principali attori internazionali (se non il principale) capaci di impedire il totale isolamento della Repubblica islamica. Vi sono poi importanti interessi in campo energetico tra i due paesi, che potrebbero condurre a una vera partnership per impedire agli Stati ex sovietici dell'Asia centrale l'appropriazione delle risorse di gas e petrolio del Mar Caspio. Non va inoltre dimenticata la cronica carenza di investimenti lamentata da Teheran nel settore delle infrastrutture energetiche, soprattutto in ragione del disimpegno occidentale: anche qui, in primis con il gigante Gazprom, la Russia esercita un ruolo difficilmente sostituibile.

Assai evidente è il peso della Russia nello sviluppo dell'industria nucleare civile iraniana, con riferimento al quale la principale impresa russa nel campo dell'energia nucleare, la Rosatom, ha già stipulato un contratto per fornire per un decennio il combustibile alle centrali di Teheran. L'affare più importante è stato però probabilmente l'apporto russo nel completamento della centrale nucleare di Bushehr, completamento che peraltro Mosca assai abilmente ha rinviato ogni volta che le contingenze politiche rendevano ciò necessario o vantaggioso. Quel che in effetti emerge con chiarezza è che proprio il programma nucleare iraniano, nella misura in cui non verrà completato, permetterà a Mosca di sfruttare la comoda rendita di posizione di paese moderatore dell'Iran, garante nei confronti dell'Occidente proprio in quanto implicato in buona parte nel programma nucleare medesimo.

Trattando brevemente del ruolo di Teheran in Iraq, va ricordato come il 7 gennaio vi sia stato a Baghdad l’incontro tra i rispettivi ministri degli esteri Mottaki e Zebari, al fine di dare una soluzione all'annosa disputa frontaliera tra i due paesi, per il quale scopo sono stati creati due comitati tecnici. Il 18 dicembre 2009, a ribadire limportanza annessa dai due paesi alla controversia frontaliera, 11 soldati iraniani hanno sconfinato fino al pozzo petrolifero di Fauqa nella provincia di Maysan, rivendicandone l'appartenenza all'Iran. Quest'azione, poco più che dimostrativa, si colloca però sullo sfondo della decisione del primo ministro iracheno al-Maliki di riavviare la produzione petrolifera nella provincia di Maysan - con prevedibili forti introiti e la sigla di numerosi accordi petroliferi - non a caso ferma dal 1980 (inizio della guerra Iran-Iraq).

Assai più importante, tuttavia, è l'influenza che l'Iran ha esercitato e si ripromette di esercitare mediante i forti legami con i partiti politici sciiti iracheni, che hanno acquistato preminenza politica dopo la caduta di Saddam Hussein. È stata quindi proprio l'azione militare americana, in una vera e propria eterogenesi dei fini, ad accrescere a dismisura le possibilità iraniane di influenzare l'Iraq, fino a consentire a Teheran di dar vita a una corrente politica sciita irachena pro-Iran. Anche qui però va ricordato che l’influenza dell'Iran si esercita su una minoranza degli schieramenti politici sciiti iracheni, poiché la maggior parte di essi non intende farsi imbrigliare dalle strategie dell'Iran: ad esempio Moqtada al Sadr e il suo movimento hanno sempre nettamente rifiutato l'egemonia dell'Iran e dell'elemento persiano che esso incarna.

L'influenza di Teheran si esercita poi anche fortemente sul piano economico: l'Iran è un importante investitore e il primo esportatore in Iraq, ed esercita un particolare peso nel settore delle infrastrutture e delle costruzioni. Il ruolo più rilevante però è esercitato nel campo delle forniture energetiche, soprattutto con riferimento alla parte meridionale dell’Iraq: in tal modo si ritorna anche all'influenza politica, poiché l'offerta di energia può divenire, opportunamente modulata, un importante strumento di pressione.

Per quanto riguarda i rapporti dell'Iran con il Pakistan,  essi hanno vissuto un momento di tensione dopo l'attentato terroristico del 18 ottobre 2009 nel territorio del Beluchistan iraniano, costato la vita ad alcuni alti dirigenti del principale servizio segreto di Teheran, il Sepah, e rivendicato dal gruppo ribelle sunnita Jundullah del Beluchistan. Analogamente a quanto avviene per i talebani afghani, anche i membri di Jundullah sembrano trovare facile riparo nel territorio del Beluchistan pakistano, la cui frontiera attraversano facilmente grazie ai legami etnici e religiosi con l'intera popolazione del Beluchistan. Per indurre il Pakistan a un'azione efficace di filtro alla frontiera, dopo l'attentato l'Iran ha accusato Islamabad addirittura di appoggiare i ribelli. Inoltre, gli iraniani frequentemente attraversano essi stessi il confine all'inseguimento dei membri di Jundullah.

 


I rapporti con il nostro Paese

 

Sul piano delle relazioni con l'Italia, subito dopo la visita del presidente del consiglio Berlusconi in Israele all'inizio di febbraio, le autorità iraniane hanno reagito con durezza all'accenno del premier sulla necessità di aiutare l'opposizione interna all'Iran - giudicata una inaccettabile ingerenza negli affari interni di Teheran -, come anche all'annunciato blocco degli affari dell'ENI in Iran, che il direttore della locale compagnia statale petrolifera ha recisamente smentito.

Al riguardo si segnala che vi è stata negli anni più recenti dapprima una stagnazione dei rapporti commerciali italo-iraniani, mentre nel 2009 si è verificata una netta flessione dell'interscambio, pari a circa il 40%. L'amministratore delegato dell'ENI, peraltro, ha ribadito che la sua compagnia non firmerà nuovi contratti con l'Iran, limitandosi a portare a termine quelli in esercizio. Dal canto suo, il Ministro degli affari esteri Frattini ha ribadito quanto già in essere con riferimento alla SACE, ossia l’indisponibilità ad assicurare investimenti italiani in Iran.

Successivamente la tensione con l’Italia - anche in rapporto al prevalente orientamento internazionale per un inasprimento delle sanzioni contro Teheran, dettato dall’insoddisfacente andamento dei negoziati sulla questione nucleare - è sfociata (9 febbraio) in una dura contestazione di alcuni manifestanti davanti all’Ambasciata italiana, che il Ministro degli affari esteri Frattini, durante un'audizione presso le Commissioni esteri riunite della Camera e del Senato, ha identificato come appartenenti alla milizia dei basiji, mentre diverse fonti ufficiali iraniane hanno protestato, sostenendo essersi trattato di una manifestazione di studenti universitari. Va anche ricordato che analoghe manifestazioni sono state tenute davanti alle ambasciate di Francia, Germania e Olanda. Tra l’altro, nei giorni precedenti, l'ambasciatore italiano a Teheran era stato convocato al Ministero degli esteri, ove ha ricevuto una protesta ufficiale in relazione alle prese di posizione del Presidente del consiglio Berlusconi sopra ricordate, in occasione della visita in Israele.


La questione nucleare iraniana

 

 

La contesa che contrappone l’Iran alla Comunità internazionale riguarda un processo (l’arricchimento dell’uranio, fase principale del ciclo di produzione del combustibile nucleare) che non è – di per sé - proibito dal Trattato di non proliferazione del 1968 (TNP), in quanto esso è sì necessario per la fabbricazione di ordigni nucleari, ma lo è anche per la produzione di energia.

Tuttavia, il problema ha origine da violazioni accertate da parte dell’Iran degli obblighi internazionali in materia nucleare che risalgono ormai a diversi anni fa. Infatti nel 2002 - grazie alla denuncia di un gruppo dissidente – la Comunità internazionale seppe dell’esistenza di due impianti tenuti fino ad allora segreti  dalle autorità di Teheran: ad Arak, un reattore ad acqua pesante ed a Natanz, un impianto per l’arricchimento dell’uranio. Tali attività non erano state notificate all’ Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), come prescritto dal Trattato.

Nel 2003 (quindi durante la presidenza Khatami) l’Iran, anche per reagire al discredito internazionale derivato dalla clamorosa scoperta, si impegnò a sospendere ogni attività di arricchimento dell’uranio.

L’ascesa di Ahmadinejad alla Presidenza della Repubblica islamica nell’agosto del 2005 e il suo dichiarato proposito di riprendere le attività di arricchimento dell’uranio su larga scala ha destato allarme nella Comunità internazionale.

In ogni caso, i fattori su cui sembra convergere un consenso internazionale sono due. Da un lato la fase critica che attraversa già oggi il processo di non-proliferazione (crescenti critiche alle potenze del club nucleare per il mancato disarmo; indizi convergenti di una intensificazione del contrabbando di materiale nucleare, pressioni proliferatrici costanti): in questo contesto il raggiungimento dell’obiettivo da parte dell’Iran potrebbe rappresentare un colpo definitivo per il TNP. Inoltre, data la rete di rapporti dell’Iran con gruppi armati in tutto il Medio Oriente, il possesso di armi nucleari potrebbe amplificare il rischio (già alto) del trasferimento di tecnologie nucleari ad organizzazioni terroristiche.

Pur aderendo, fin dal 1970, al Trattato di Non proliferazione (TNP)[1], l’Iran non ha garantito il pieno accesso degli ispettori dell’AIEA ad alcune infrastrutture regolarmente denunciate, ed ha in un primo tempo accolto, ma in seguito apertamente disatteso, l’invito della stessa AIEA a sospendere il proprio programma di arricchimento dell’uranio.

Già nel febbraio 2003, l’AIEA ha confermato l’esistenza in Iran di un avanzato programma nucleare; da allora ha cominciato a diffondersi il sospetto che tale programma avesse in realtà una segreta destinazione militare.

Dalle ispezioni dell’AIEA, effettuate dopo molte pressioni, si evince complessivamente come l’Iran sia impegnato a sviluppare l’intero ciclo del combustibile nucleare (alla base della possibile realizzazione di un dispositivo militare).

Da parte sua, Teheran ha sempre sostenuto che gli scopi del programma di nuclearizzazione sono pacifici.

Va comunque tenuto presente, su un piano più generale, che la questione delle attività nucleari dell'Iran non può venire disgiunta dal peso che dall'eventuale conseguimento di un armamento nucleare l'Iran stesso è portato ad attribuire in termini di incremento della propria influenza regionale. È noto infatti come l'Iran sia il principale sponsor di movimenti come lo sciita Hezbollah in Libano e il sunnita Hamas in Palestina, mediante i quali esercita di fatto un'influenza rilevante in entrambe le situazioni, con il costante obiettivo di erodere le posizioni di forza di Israele. L’obiettivo forse più importante per l’Iran è però quello di porsi come modello - pur non essendo storicamente l'Iran un paese arabo - per le aspirazioni di vaste masse islamiche dei paesi arabi, che nell’Iran possono vedere un'alternativa interessante e credibile al predominio di consolidate oligarchie nei rispettivi paesi. In altri termini, ben al di qua del catastrofico scenario di un'effettiva utilizzazione delle armi nucleari, si intende sostenere che sarebbe assai più difficile contrapporsi alla crescita dell'egemonia nella regione, ovvero alle azioni poste in essere da movimenti che siano appoggiati dall'Iran, qualora il possesso di armi nucleari da parte di quest'ultimo rendesse a priori impossibile ogni azione di forza contro il suo territorio.

Altrettanto importante è tuttavia, come si vedrà in seguito, il legame della questione nucleare con le dinamiche politiche interne del regime di Teheran: premesso che il conseguimento di una autonoma capacità nucleare del paese appare obiettivo largamente condiviso anche nei diversi schieramenti politici, il cammino evidentemente tormentato, anche dal punto di vista iraniano, per giungervi, si modula di volta in volta sugli equilibri politici esistenti e le loro immediate prospettive. Tutto ciò non va inteso semplicisticamente nel senso che una leadership moderata e riformista, come ad esempio quella passata di Khatami, sia automaticamente più propensa ad una trattativa con la Comunità internazionale in merito al nucleare, poiché in tal modo si dimenticherebbe la popolarità che tale questione riveste nei varui strati del paese.

E’ forse meglio porre al centro dell'osservazione il livello di stabilità percepito dalle forze al potere, le quali solo in caso di un forte consolidamento della loro posizione potrebbero permettersi di concedere aperture, che in ogni caso provocherebbero critiche. Viceversa, in una situazione di instabilità dei gruppi dirigenti - come incidentalmente sembra quella attuale - è assai arduo che questi possano crearsi ulteriori difficoltà in ragione di una maggiore collaborazione con l'AIEA e la Comunità internazionale.

 

Dai tentativi di mediazione all’intervento del Consiglio di sicurezza

Dopo una serie di tentativi di mediazione frustrati dal reiterato diniego iraniano di collaborazione con l’AIEA, non interrotto neanche da una risoluzione del 31 luglio 2006 (ris.ne n. 1696), il 23 dicembre 2006 il Consiglio di Sicurezza, al termine di due mesi di trattative, approvava la risoluzione 1737, che imponeva sanzioni all’Iran per non aver interrotto il processo di arricchimento dell’uranio. La risoluzione, proposta da Gran Bretagna, Francia e Germania e approvata  all'unanimità dal Consiglio di sicurezza, richiamava il capitolo VII, articolo 41, della Carta delle Nazioni Unite, che prevede l'applicazione obbligatoria delle misure, pur escludendo azioni di tipo militare.

In particolare, la risoluzione vieta di esportare in Iran materiali o tecnologie che contribuiscano alle attività relative all'arricchimento e al riprocessamento (dell'uranio) e alle attività legate all'acqua pesante, nonché allo sviluppo di sistemi di trasporto di testate nucleari, quali i missili balistici. Singoli Paesi possono peraltro decidere in autonomia se esportare materiali o tecnologie suscettibili di doppio uso (civile o nucleare), ma in tal caso hanno l’obbligo di verificarne finalità e destinazione e devono comunque informare il comitato per le sanzioni del Consiglio di sicurezza. Le sanzioni non si applicano invece a materiali per la costruzione di impianti nucleari ad acqua leggera o ad uranio a basso arricchimento quando questi sia una delle parti di un combustibile nucleare composito[2].

La risoluzione dispone poi il congelamento di finanziamenti o fondi di proprietà o controllati da persone, società o organizzazioni legate ai programmi nucleare o missilistico iraniani; tale congelamento si applica, tra l’altro, all'Organizzazione per l'energia atomica iraniana, a tutti gli impianti legati al programma iraniano di arricchimento dell'uranio, al reattore ad acqua pesante di Arak e all'impianto di centrifughe di Natanz. Viene inoltre fatto obbligo agli Stati di segnalare l’ingresso sul proprio territorio di persone legate al programma nucleare iraniano indicate nell’Annesso alla risoluzione stessa.

Le sanzioni possono essere sospese qualora il direttore generale dell'AIEA ritenga che l'Iran abbia interrotto l'arricchimento dell'uranio e la costruzione delle centrali ad acqua pesante e torni al tavolo dei negoziati, ma possono invece essere ulteriormente aggravate se l'Iran non si conforma ai dettami della risoluzione entro 60 giorni dall’adozione della medesima.

Alla scadenza del termine di sessanta giorni imposto all’Iran dalla risoluzione 1737 del 23 dicembre 2006, il Direttore generale dell'AIEA, Mohammed El Baradei, inviava al Consiglio di sicurezza dell'ONU un ulteriore rapporto nel quale si certificava che Teheran aveva ignorato l'intimazione delle Nazioni Unite a sospendere ogni attività nucleare.

Intanto, a partire dal marzo 2007, si registrava anche un certo peggioramento dei rapporti fra Iran e Russia e un crescente isolamento di Teheran, che portava all’approvazione all’unanimità da parte del Consiglio di Sicurezza di una nuova Risoluzione (la n. 1747 del24 marzo 2007), recante una nuova raffica di sanzioni. Le più significative consistono nel limite alle esportazioni di armi iraniane e nel limite agli aiuti internazionali (esclusi quelli umanitari).

Il rapporto del Direttore generale dell’AIEA, El Baradei, al Consiglio dei governatori sul nucleare iraniano - presentato il 22 febbraio 2008 – non incoraggiava a trarre conclusioni ottimistiche.

Il rapporto informava che, pur avendo fatto progressi in tema di cooperazione in merito al suo programma nucleare, l'Iran continuava tuttavia a non voler fornire chiarimenti circa aspetti determinanti delle sue attività, mantenendo così una situazione di ambiguità sui reali intenti di Teheran. L’Iran non avrebbe poi ottemperato a quanto già previsto nelle risoluzioni ONU in precedenza illustrate, in particolare proseguendo nei processi di arricchimento dell’uranio, e anzi iniziando la sperimentazione di nuove centrifughe con le quali produrre in tempi più ristretti il materiale fissile.

Il 3 marzo 2008 il Consiglio di Sicurezza ha approvato, con la sola astensione dell’Indonesia, la risoluzione n. 1803, che si limitava a inasprire solo lievemente quanto già previsto con le precedenti nei confronti dell’Iran: in particolare, un elenco allegato alla risoluzione ampliava la platea delle società e più in generale dei soggetti ed entii cui beni verranno congelati- in ragione del loro rapporto con i programmi militari e nucleari dell’Iran - nonché la lista dei funzionari ed esponenti del regime di Teheran cui applicare restrizioni alla possibilità di movimento internazionale. Veniva inoltre interdetta la fornitura all’Iran di beni dual use, ossia suscettibili di applicazione militare, e si esortavano gli Stati membri ad un attento monitoraggio di ogni operazione finanziaria che coinvolgesse banche iraniane. Anche questa volta all’Iran erano concessi tre mesi di tempo per adeguarsi al disposto della risoluzione, sospendendo anzitutto i processi di arricchimento dell’uranio.

Le iniziative internazionali per una soluzione negoziata sono state rilanciate nel giugno 2008 dal gruppo dei paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (USA, Russia, Gran Bretagna, Francia e Cina) e dalla Germania (c.d. gruppo “5+1”), che hanno definito alcune proposte di mediazione. Tali proposte rappresentano il frutto dell’iniziativa congiunta di americani ed europei e derivano dalla decisione degli USA di ammorbidire le proprie posizioni intransigenti. In cambio di un pacchetto di incentivi il gruppo “5+1” ha chiesto all’Iran di rinunciare alla prosecuzione delle attività di arricchimento di uranio. L’Alto Rappresentante dell’Unione europea, Javier Solana, ha presentato in quella circostanza una serie di proposte riguardanti la cooperazione nel settore della costruzione di centrali ad acqua leggera di ultima generazione per scopi civili, quello delle infrastrutture, l’aviazione civile, lo sviluppo umano e l’assistenza umanitaria.

A queste richieste, Teheran ha risposto da un lato dichiarandosi ufficialmente non legata a nessun tipo di scadenza nello svolgimento del negoziato e, dall’altro, con il lancio di nuovi missili, in grado di colpire Israele, durante  manovre militari effettuate nel Golfo dai Guardiani della rivoluzione.

Il 23 giugno 2008 il Consiglio europeo, con la decisione n. 475, ha adottato una nuova serie di provvedimenti restrittivi dell’operatività del sistema finanziario iraniano, volti a sottrarre fonti di finanziamento ai programmi nucleari del paese. tunitense sul binario unico delle sanzioni.

Le sanzioni europee contro il regime iraniano colpiscono ancora una volta il sistema finanziario e ampliano la lista degli individui, ricercatori e militari del corpo dei Guardiani della rivoluzione, che sarebbero coinvolti nel programma nucleare e balistico iraniano. In forza del provvedimento, sono bloccati gli asset finanziari della maggiore banca commerciale iraniana, Bank Melli, e delle sue filiali inglese, tedesca, francese, russa e giapponese, alle quali è fatto espresso divieto di operare con controparti europee e di utilizzare la valuta europea nei propri circuiti.

Teheran ha sempre negato che i provvedimenti adottati abbiano indebolito il proprio sistema economico, né tantomeno che essi possano rappresentare un disincentivo ad insistere nel programma di arricchimento dell’uranio che, a detta del regime, segue finalità civili e non belliche.

L’Unione europea assorbe circa un terzo delle esportazioni iraniane, quasi per la totalità derivanti dal settore energetico. Le preoccupazioni e i provvedimenti dettati dalla questione nucleare hanno comportato negli ultimi due anni un calo del 10% nei volumi dell’interscambio.

 

Gli sviluppi più recenti

Con l’avvento della nuova amministrazione statunitense, anche in consonanza con quanto anticipato da Barack Obama durante la campagna elettorale, è cresciuta l’aspettativa per un atteggiamento meno rigido nei confronti di Teheran: così ad esempio la riunione del “gruppo 5+1” del 4 febbraio 2009 ha salutato con favore l’intenzione del nuovo Presidente di avviare un dialogo costruttivo con l’Iran, pur richiamando quest’ultimo ad ottemperare finalmente alle richieste dell’ONU. La risposta iraniana è stata ancora una volta di rivendicazione del proprio diritto a perseguire autonomamente la strada dell’energia nucleare, nel pieno esercizio della sovranità nazionale.

Due ulteriori rapporti dell’AIEA, rispettivamente del 19 novembre 2008 e del 19 febbraio 2009, hanno constatato la progressiva crescita della quantità di uranio poco arricchito, che avrebbe superato la tonnellata, e da cui secondo alcuni esperti USA sarebbe teoricamente possibile ricavare l’uranio arricchito necessario per almeno una bomba atomica. Gli stessi esperti hanno tuttavia posto in dubbio l’imminenza di tale eventualità, in ragione di altri aspetti tecnologici necessari per la concreta disponibilità di un’arma nucleare, che l’Iran non dovrebbe ancora aver raggiunto.

In particolare il rapporto del 19 febbraio lamenta numerosi aspetti di non collaborazione da parte iraniana, in presenza dei quali l’Agenzia “non sarà in grado di fornire credibili assicurazioni in merito all’assenza di materiali e attività nucleari non dichiarati in Iran”. Per quanto poi concerne il profilo militare, il rapporto evidenzia che rimangono aperte una serie di questioni tali da provocare preoccupazioni, e senza il chiarimento delle quali non è possibile escludere l’esistenza di aspetti militari del programma nucleare iraniano.

A fronte delle aperture manifestate dal presidente Obama verso Teheran, tuttavia, sul piano sostanziale, per quanto concerne il procedere dell’Iran nel programma di arricchimento dell’uranio non si sono registrate novità positive, se non forse dal punto di vista iraniano.

Il rapporto dell’AIEA del 5 giugno 2009 ha evidenziato come l’ormai elevatissimo numero di centrifughe messe in opera dall’Iran per l’arricchimento dell’uranio abbia reso assai più difficile il compito degli ispettori incaricati di controllare lo sviluppo del programma nucleare; parallelamente la quantità di uranio a basso arricchimento in possesso dell’Iran sarebbe passata da 500 a oltre 1300 kg.

Quando alla fine di maggio la Corea del Nord ha effettuato un nuovo esperimento nucleare, e nel contempo l’Iran ha dichiarato di considerare ormai chiusa la questione dei colloqui con le potenze riunite nel gruppo dei 5+1, al presidente americano è stato posto un difficile quesito sui risultati della sua politica di apertura. La visita del segretario di Stato Usa Hillary Clinton nel sud-est asiatico nella seconda metà di luglio, con la prospettazione della possibilità di offrire un ombrello di protezione nucleare ai paesi arabi del Golfo, è sembrata una prima presa d’atto dell’estrema difficoltà di ottenere reali risultati nei confronti dell’Iran, e quasi l’annuncio di un nuovo scenario, nel quale il problema tornerà ad essere quello della reciproca deterrenza.

Un elemento di novità è apparso soltanto a partire dal 9 settembre scorso, quando l’Iran ha consegnato alle potenze del gruppo dei 5+1 una serie di proposte per intavolare un dialogo. Le prime reazioni della Comunità internazionale non sono state positive, dal momento che quanto proposto da Teheran non riguarda il programma nucleare iraniano, ma la costruzione di un sistema globale di controllo sulla proliferazione nucleare, con particolare riferimento alla necessità di includere in esso paesi come Israele, India e Pakistan. Soltanto la Russia si è detta sin dall’inizio convinta che le proposte iraniane contengano elementi interessanti, mentre l’Unione europea, ad esempio, le ha accolte con forte scetticismo, preannunciando la possibilità di procedere a nuove sanzioni anche al di fuori della cornice delle Nazioni Unite, qualora Russia e Cina impedissero il raggiungimento di un consenso nel Consiglio di sicurezza. Quando tuttavia il gruppo dei 5+1 ha chiesto all’Iran un incontro urgente, si è registrata l’immediata disponibilità di Teheran, e la riunione è stata fissata per il 1º ottobre a Ginevra.

Tuttavia, le speranze di una ripresa costruttiva dei negoziati sono state già nei giorni precedenti offuscate dall’annuncio, durante il G-20 di Pittsburgh, dell'esistenza nei pressi della città santa iraniana di Qom di un altro impianto per l'arricchimento dell'uranio - del quale gli americani erano per loro ammissione a conoscenza già da due anni -, di cui solo pochi giorni prima, consapevoli di essere stati scoperti, gli iraniani avevano dato una generica notifica all'AIEA. L'Iran è stato accusato di aperta violazione delle regole internazionali in materia di non proliferazione, e si è visto richiedere l'immediata disponibilità a consentire agli ispettori dell'AIEA l'accesso al nuovo sito nucleare.

Tre giorni dopo, il 28 settembre, data che nel 2009 coincideva con lo Yom Kippur ebraico, i pasdaran iraniani hanno proceduto al lancio sperimentale di due tra i missili più potenti in loro possesso, capaci di raggiungere obiettivi ben oltre mille km, e dunque agevolmente anche il territorio israeliano.

Nonostante queste premesse, l'appuntamento del 1º ottobre a Ginevra è sembrato aprire prospettive positive, poiché ha registrato anzitutto il primo incontro bilaterale tra Iran e Stati Uniti dopo trenta anni, ed il disgelo dei rapporti con il Gruppo 5+1. L'Iran si è dimostrato disponibile a favorire un’ispezione dell’AIEA all'impianto di Qom in tempi brevissimi, ma soprattutto ha accettato la prospettiva di esportare il proprio uranio per consentirne l'arricchimento all'estero, con i relativi controlli sulla esclusiva destinazione civile. È stato inoltre fissato un nuovo incontro per la fine del mese di ottobre.

L'atmosfera positiva ristabilitasi è sembrata proseguire per diverse settimane: il 21 ottobre il direttore generale dell’AIEA el-Baradei ha annunciato alla stampa l'accettazione da parte di Teheran di una bozza di accordo per l'invio del proprio materiale nucleare in Russia, e successivamente in Francia, per un ulteriore arricchimento compatibile esclusivamente con usi civili - in particolare per il reattore iraniano di ricerche in campo medico, già sottoposto al controllo dell’AIEA.

Alla fine di ottobre però l’Iran cominciava a porre alcune condizioni, anzitutto quella di non inviare tutto l'uranio previsto se non gradualmente, in diverse spedizioni: ma  la posizione di Teheran emergeva a tutto tondo il 7 novembre, quando il capo della Commissione per la sicurezza nazionale e la politica estera dell'Iran ha escluso completamente la possibilità di dar seguito alla bozza di accordo con l’AIEA.

Il 16 novembre veniva reso noto l'ultimo rapporto dell’AIEA sull’Iran: il documento, dopo aver constatato che la tardiva ammissione da parte di Teheran del sito nucleare nei pressi della città di Qom costituisce una chiara violazione degli obblighi di comunicazione verso l'AIEA medesima, e fa sospettare l'esistenza di ulteriori siti segreti; evidenzia la prosecuzione dei programmi di arricchimento, senza rispettare i limiti imposti dalle Nazioni Unite.

La Russia, come reazione all'atteggiamento di chiusura dell'Iran, annunciava intanto che non avrebbe dato seguito al completamento e alla messa in funzione entro il 2009 della centrale nucleare di Bushehr, la prima dell'Iran.

Il 18 novembre la presa di posizione negativa di Teheran veniva ribadita autorevolmente dal ministro degli esteri Mottaki, che avanzava la controproposta di tenere l'uranio nel paese, seppure sotto supervisione, in cambio dell’immediata consegna di combustibile atomico per gli impieghi nel campo della sanità.

L'atteggiamento complessivo dell'Iran, diveniva chiaro, era quello dell'alternanza di aperture e di dilazioni, ma nella direzione sostanziale di un rifiuto delle proposte della Comunità internazionale. Tra l'altro, sulla questione nucleare emerge una dialettica interna all'Iran parzialmente nuova e diversa da quanto sino ad allora prospettato dagli osservatori internazionali: infatti il maggior interesse a negoziare sarebbe proprio del presidente Ahmadinejad e degli ambienti dei pasdaran, mentre sia l'opposizione progressista che la fronda parlamentare capeggiata dall'ex negoziatore sul nucleare Larijani sembrano pronti a usare ogni cedimento nella trattativa contro il presidente in carica. La stessa Guida Suprema, per non favorire eccessivamente il presidente e i pasdaran, mantiene un atteggiamento di sostanziale chiusura sulla questione.

Il 16 dicembre veniva effettuato dall'Iran un test missilistico di un vettore con 2000 km di gittata e alimentato a combustibile solido, quindi più immediatamente operativo. Gli Stati Uniti, che hanno qualificato il nuovo test missilistico quale dimostrazione delle intenzioni aggressive dell'Iran, alla fine di gennaio 2010 hanno accelerato il dispiegamento già in corso di navi da guerra e sistemi antimissilistici di terra nel Golfo Persico, con il duplice apparente scopo di prevenire attacchi iraniani a seguito di un prevedibile inasprimento del regime sanzionatorio, come anche di rassicurare Israele, che potrebbe in ogni momento anticipare le mosse di Teheran con attacchi preventivi.

Con riferimento alle sanzioni va ricordato che da parte americana vi è già stata nel Congresso l’approvazione di una legge che autorizza il Presidente ad un'estensione dell'apparato sanzionatorio contro società che esportano carburanti in Iran o che lo assistono nella raffinazione: paradossalmente, infatti, l'Iran, uno dei più grandi produttori mondiali di petrolio e gas, soffre di deficit di benzina, gasolio e cherosene, che è costretto ad importare in notevole quantità. La probabilità che siano adottate ulteriori pesanti sanzioni contro l'Iran rimane elevata anche perché non si dà molto credito ormai all'altalena di posizioni di Teheran - è degli ultimi giorni un rilancio del presidente Ahmadinejad, che si è detto d'accordo a spedire l'uranio all'estero, ritornando inopinatamente alle posizioni del mese di ottobre -, mentre però l’imminenza della Conferenza di riesame del Trattato di non proliferazione nucleare, prevista in maggio, impone di aver seriamente affrontato la questione dell’Iran prima di tale scadenza.

L'interrogativo riguarda piuttosto l'ampiezza del fronte che potrebbe adottare le sanzioni, poiché se i russi si mostrano possibilisti, assai diverso è il discorso della Cina, che ha di recente intavolato rapporti molto importanti con l'Iran in campo petrolifero, mentre ha visto raffreddare notevolmente le relazioni con gli Stati Uniti – ancora il 4 febbraio si registra un netto rifiuto di Pechino, secondo cui l’adozione di sanzioni più rigide sarebbe in questo momento pregiudizievole per possibili sbocchi diplomatici. Cionondimeno, anche al di fuori delle Nazioni Unite sarebbe possibile adottare un ampio ventaglio sanzionatorio europeo e statunitense, che potrebbe colpire gli investimenti esteri nel settore energetico dell'Iran, il sistema finanziario e le attività economiche dei pasdaran.

Il Ministro degli esteri Frattini, intervenendo il 5 febbraio alla Conferenza annuale sulla sicurezza in corso a Monaco di Baviera, ha rilevato come l'Iran non abbia finora corrisposto alle aperture della nuova Amministrazione americana, e pertanto la Comunità internazionale, che non può attendere all'infinito, deve ora intraprendere la strada di un livello più penetrante di sanzioni contro Teheran. Di fronte alle più recenti dichiarazioni di Ahmadinejad il Ministro Frattini ha manifestato cautela, in ragione dell'atteggiamento iraniano che ha alternato ripetutamente aperture e chiusure; tuttavia, se effettivamente l’Iran dovesse dar corso al trasferimento all'estero della richiesta quantità di uranio arricchito, ciò rappresenterebbe un importante passo in avanti. Resta ferma la necessità per Teheran di dimostrare pienamente la propria volontà di negoziare e di adempiere alle risoluzioni delle Nazioni Unite, collaborando sul piano informativo e tecnico con l’AIEA.

Nella stessa sede della Conferenza di Monaco ha prevalso nell’insieme la tendenza verso l’imposizione di ulteriori sanzioni: al dichiarato ottimismo del ministro degli esteri iraniano Mottaki ha fatto riscontro lo scetticismo in primis dei rappresentanti USA, secondo i quali – in ciò d’accordo con il neo direttore generale dell’AIEA, il giapponese Yukika – da Teheran non sarebbe venuta alcuna nuova proposta.

Va inoltre segnalata la prosecuzione della contraddittorietà nell’atteggiamento iraniano: dopo che il 3 febbraio infatti Teheran aveva annunciato l’avvenuto test di un vettore satellitare, quattro giorni dopo è stato ordinato di iniziare l’arricchimento dell’uranio fino alla soglia del 20 per cento – quella stessa che si sarebbe raggiunta all’estero, se l’Iran avesse accettato la bozza di accordo dell’ottobre 2009 -, pur alludendo vagamente alla possibilità di ricevere una parte del combustibile dall’estero. L’8 febbraio la decisione di elevare la soglia di arricchimento è stata comunicata ufficialmente all’AIEA, con la motivazione dell’alimentazione di un reattore nucleare da utilizzare in campo sanitario. In realtà la quantità di uranio che verrà arricchita, in base alle dichiarazioni dello stesso capo dell’organizzazione iraniana per l’energia atomica Salehi, risulterebbe almeno doppia rispetto alle necessità del reattore finalizzato alla medicina a Teheran.

Significativamente, la Russia ha ribadito come l’arricchimento dell’uranio iraniano debba essere effettuato all’estero.

Dal canto suo il presidente USA Obama ha reagito all’ennesimo rilancio di Teheran annunciando un inasprimento del regime sanzionatorio a giro di settimane, anzitutto da perseguire con l’unanimità dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU – Obama ha riconosciuto l’avvicinamento russo alle posizioni occidentali, mentre meno ottimista è stata la sua previsione sull’atteggiamento cinese, tuttora nettamente contrario a nuove sanzioni, alle quali contrappone la necessità di mettere a punto una nuova ipotesi di accordo con Teheran. Frattanto Washington ha colpito i pasdaran con sanzioni unilaterali rivolte a colpire la principale cassa finanziaria dei Guardiani della rivoluzione, nonché quattro compagnie ausiliarie: i fondi raccolti da tutte queste entità – è la diretta motivazione del regime sanzionatorioverrebbero usati per finanziare il terrorismo internazionale e la proliferazione di armi di distruzione di massa.

In Israele la percezione della delicatezza del momento è comprensibilmente elevata: da molteplici ambienti, a cominciare dai vertici del Governo, è partita l’esortazione agli Stati Uniti a esercitare appieno la loro leadership per un forte inasprimento delle sanzioni, e non necessariamente in seno all’ONU, se la Russia e soprattutto la Cina frapponessero il veto in Consiglio di sicurezza.

L’11 febbraio il presidente Ahmadinejad, nel discorso in occasione del trentunesimo anniversario della rivoluzione islamica, ha sostenuto la possibilità, per l’Iran di arricchire l’uranio anche oltre la soglia dell’80 per cento necessaria per un’arma atomica, ma ha detto anche che l’Iran non intende acquisire un arsenale nucleare: i sospetti delle potenze occidentali userebbero la questione nucleare e quella dei diritti umani come pretesti per interferire negli affari interni di Teheran.

 

 

 




[1]    Il TNP, sottoscritto il 1 luglio 1968 ed entrato in vigore il 5 marzo 1970, proibisce agli stati firmatari che non disponevano di armamenti nucleari all’epoca della firma (Stati non-nucleari), di ricevere o fabbricare tali armamenti o di procurarsi tecnologie e materiale utilizzabile per la costruzione di armamenti nucleari. Ugualmente il trattato proibisce agli stati nucleari firmatari (USA, URSS/Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna) di cedere a stati non-nucleari, armi nucleari e tecnologie o materiali utili alla costruzione di queste armi. Inoltre il trasferimento di materiale e tecnologie nucleari, da utilizzarsi per scopi pacifici, deve, secondo il trattato, avvenire sotto lo stretto controllo dall’Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA). E’ proprio l’assistenza dell’AIEA per gli sviluppi pacifici che viene offerta in cambio ai paesi firmatari (e negata ai non firmatari). India, Israele e Pakistan (che si sono dotati di armamento nucleare) non sono stati-parte e non hanno aderito agli inviti di entrare nel trattato come stati non nucleari. Anche Argentina e Brasile non hanno firmato il TNP.

[2]    Si fa presente che questo punto consente di fatto alla Russia di portare a compimento la costruzione in Iran dell’impianto nucleare civile ad acqua leggera di Bushehr.