Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
| |||||
---|---|---|---|---|---|
Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari esteri | ||||
Altri Autori: | Servizio Studi - Dipartimento difesa , Servizio Rapporti Internazionali , Ufficio Rapporti con l'Unione Europea | ||||
Titolo: | Missione in Giordania e Libano (6-9 luglio 2009) | ||||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 80 | ||||
Data: | 03/07/2009 | ||||
Descrittori: |
| ||||
Organi della Camera: | III-Affari esteri e comunitari | ||||
Nota: | Questo dossier contiene materiale protetto dalla legge sul diritto d'autore, pertanto la versione html è parziale. La versione integrale in formato pdf può essere consultata solo dalle postazioni della rete Intranet della Camera dei deputati (ad es. presso la Biblioteca) |
|
|||
Camera dei deputati |
|||
XVI LEGISLATURA |
|||
|
|||
|
|||
|
|||
Documentazione e ricerche |
|||
Missione
in Giordania e Libano |
|||
|
|||
|
|||
|
|||
|
|||
n. 80 |
|||
|
|||
|
|||
3 luglio 2009 |
Servizio
responsabile: |
Servizio
Studi Dipartimento Affari esteri ( 066760-4939
/ 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it Dipartimento Difesa ( 066760-4172 /
066760-4404 – * st_difesa@camera.it |
|
|
|
I
dossier dei servizi e degli uffici della Camera
sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli
organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni
responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini
non consentiti dalla legge. |
File: es0245.doc |
INDICE
L’evoluzione del quadro
politico
Scheda paese (a cura del Servizio Rapporti
Internazionali)
Le relazioni
parlamentari Italia-Giordania (a cura del
Servizio Rapporti Internazionali)
Profili biografici (a cura del Servizio Rapporti Internazionali)
L’evoluzione del quadro
politico
La missione UNIFIL in
Libano (a cura del Dipartimento Difesa)
Scheda paese (a cura del Servizo Rapporti Internazionali)
Le relazioni
parlamentari Italia-Libano (a cura del
Servizio Rapporti Internazionali)
Profili biografici (a cura del Servizio Rapporti Internazionali)
Nota
informativa sul Parlamento Giordano
Processo di Pace – Prospettiva giordana ed ultimi sviluppi
Camera dei deputati - III Commissione Affari e comunitari,
Sintesi dell’incontro con l’ex Ministro
degli Affari esteri del Regno Hashemita di Giordania, Salah Eddin Al Bashir (4 febbraio 2009)
Rapporti bilaterali Italia-Giordania (a cura del Ministero degli Affari esteri)
Camera dei Deputati – III Commissione – Comunicazioni del
Presidente sulla missione in Libano, seduta del 25 gennaio 2007
Stato Maggiore della Difesa, Scheda Notizie relativa alla
Partecipazione italiana alla missione ONU – UNIFIL- Operazione Leonte (United Nations Interim Force in
Lebanon)
La situazione
geopolitica della Giordania è quella di un paese di limitate risorse
demografiche (circa 6 milioni di abitanti), con larghe fasce di popolazione
ancora afflitte dalla povertà, nella necessità di condurre un'accorta politica
regionale per il mantenimento degli equilibri indispensabili alla sopravvivenza
della dinastia Hashemita del re Abdallah.
In questo
contesto, il progressivo esaurirsi nel corso del 2008 delle speranze suscitate
dalla conferenza di Annapolis del novembre
Non va al
proposito dimenticato che la maggior
parte della popolazione giordana è di origine palestinese, e che qualsiasi
soluzione del conflitto con Israele dovesse condurre a un incremento del peso
dell'elemento palestinese in Giordania è considerata dalla monarchia Hashemita
un pericolo mortale. I soli i rifugiati palestinesi in Giordania erano nel 2006
1,7 milioni, mentre il rapporto tra la popolazione arabo-palestinese e quella
arabo-giordana raggiunge nel paese quasi il valore di tre a uno. Se è vero che ai
rifugiati palestinesi è riconosciuta la cittadinanza giordana, la pienezza dei
diritti è però accordata solo ai palestinesi stabilitisi in via definitiva in
Giordania a seguito delle crisi del 1948 e del 1967. La restante quota dei
rifugiati palestinesi è presente in Giordania con permessi di soggiorno
temporaneo collegati al lavoro o all'istruzione. Il contenimento dell'accesso
dei palestinesi alla pienezza dei diritti è chiaro se si considera che le
città, in cui la presenza palestinese è assai larga, sono sottorappresentate nella
Camera Bassa (l’unica elettiva), mentre l'accesso agli impieghi nel settore
pubblico avviene in base alle affiliazioni tribali della popolazione arabo-giordana,
da cui evidentemente sono esclusi i palestinesi, ai quali rimane dunque
sostanzialmente solo il settore dell'economia privata.
Altro elemento di
cui la monarchia Hashemita non può non tener conto nei propri calcoli politici
è quello rappresentato dall'islamismo
radicale: anche in Giordania vi è infatti una consistente presenza della
Fratellanza musulmana, dotata di un braccio politico, il Fronte di azione
islamica, che si è dimostrato in più occasioni capace di un'elevata
mobilitazione di massa.
Dopo l'espulsione
dalla Giordania nel 1999 di uno dei più importanti capi di Hamas, Khaled
Meshaal – unitamente ad altri tre esponenti di punta del movimento radicale
palestinese -, i rapporti di Amman con Hamas sono stati praticamente
inesistenti fino a quando nel 2006 la vittoria di Hamas alle elezioni generali
palestinesi ha posto alla Giordania il problema di un rapporto rinnovato con la
forza politica uscita vincitrice. In questa svolta è facile vedere un elemento
di forte realismo, considerando l'oggettivo indebolimento del presidente
palestinese Abu Mazen dopo la vittoria di Hamas. Al tempo stesso, il rapporto
con Hamas si mostra come l'esempio più chiaro del difficilissimo equilibrio che
la diplomazia Giordana deve mantenere nella regione, poiché, anche dopo la
decisione di riprendere i contatti, il profilo di tali rapporti è stato
necessariamente mantenuto basso da Amman, per non rischiare di uscire dal
novero dei paesi arabi moderati e filo occidentali - non va infatti dimenticato
che negli ambienti occidentali il movimento di Hamas è stato ed è considerato
prevalentemente un movimento armato e terroristico, e la sua vittoria del 2006
non venne certo salutata con favore. D'altro canto, tuttavia, una traumatica
fine di Hamas porrebbe alla Giordania problemi di non minore portata, in quanto
vi sarebbe prevedibilmente una nuova ondata di profughi palestinesi che
rischierebbe di ravvivare la forza dell'elemento islamista radicale nel paese, nonché
di alterarne gli equilibri demografici.
In ogni modo, il
progressivo deterioramento della situazione di sicurezza tra Israele e
Alla luce della
nuova situazione, mentre l'operazione israeliana era ancora in corso, in capo
del Dipartimento generale di intelligence,
che aveva ispirato il riavvicinamento a Hamas, è stato sostituito nel gennaio
2009 con un elemento più moderato, segnando in tal modo il ritorno della Giordania entro i più tradizionali binari diplomatici. Peraltro
si è confermato anche nella circostanza dell'operazione israeliana a Gaza il
legame in certo modo inversamente proporzionale tra il livello delle relazioni
della Giordania con Hamas e l'ampiezza della mobilitazione interna da parte
dell'islamismo radicale: vi sono state infatti nella circostanza diverse
manifestazioni, in alcuni casi anche con scontri con le forze dell'ordine. A
riguardo non va sottaciuta la preoccupazione che la marginalizzazione del
Fronte di azione islamica in Parlamento dopo le elezioni del novembre 2007
possa spostare l'azione dell'islamismo radicale prevalentemente nelle piazze,
con il rischio di aperture anche alle istanze estremiste salafite, sovente
collegate con azioni terroristiche.
Nel nuovo scenario
mediorientale inaugurato dalla presidenza Obama, con alcuni atti espliciti di
riconoscimento ai valori islamici e alla cultura dei paesi mediorientali - si
pensi solo al recente discorso di Barack Obama al Cairo - e avendo
apparentemente accantonato i precedenti propositi di un più stretto rapporto
con Hamas, il ruolo della Giordania sembra quindi essere tornato quello
tradizionale di un paese affidabile per gli Stati Uniti, in pace con Israele e
desideroso di mantenere gli equilibri necessari ai propri interessi. In questo
contesto va inquadrata anche la visita
di re Abdallah a Bagdad, che è stata la prima di un capo di Stato
mediorientale dopo la caduta di Saddam Hussein del 2003, nel corso della quale
Su un piano più
generale, è evidente che Amman segue con grande attenzione gli sviluppi
possibili del conflitto israelo-palestinese alla luce degli auspici del nuovo
presidente americano: ciò è dimostrato dalle dichiarazioni solo apparentemente allarmistiche del re Abdallah dopo
il primo incontro tra il premier
israeliano Netanyahu e il presidente Obama alla Casa Bianca, nelle quali,
registrando prontamente i dissapori tra i due interlocutori, il re di Giordania
ha affermato esservi un elevato rischio di nuovo conflitto in Medio Oriente
entro i prossimi 18 mesi (o anche prima) se non verranno intraprese con
sollecitudine trattative dirette tra le varie parti in conflitto - che sono
secondo Abdallah anche i vari paesi arabi.
Le dichiarazioni
del re di Giordania si inseriscono per la verità in un contesto nel quale Abdallah, sin dall'incontro avuto a
Washington con il presidente americano, ha
tentato di accreditarsi come principale elemento moderatore tra gli Stati
arabi, e in tal senso si sarebbe orientato anche l'incontro tra Abdallah e
il presidente siriano Assad a Damasco, nonché il successivo meeting con Netanyahu ad Amman. Il tono
adottato dopo l’incontro tra Obama e Netanyahu non può perciò essere disgiunto
dal ruolo che
(aggiornamento:
marzo 2009)
1. Profilo storico politico
Alla conclusione del primo
conflitto mondiale, la Giordania ed i territori che attualmente fanno parte di
Israele furono assegnati, con un mandato della Lega delle Nazioni, al controllo
della Gran Bretagna. Tuttavia, nel 1922 quest’ultima divise il mandato in due
parti, assegnando le terre ad ovest del fiume Giordano alla Palestina, ed i
territori ad est del fiume alla Transgiordania, nominalmente governata da Abd
Allah ibn Hussein.
Con il trattato anglo-giordano
del 1928 l’ingerenza britannica sulla Giordania fu ulteriormente rafforzata e
il Governo giordano si vide costretto a redigere una nuova Carta
costituzionale, la quale entrò in vigore nel 1928. La legge fondamentale del
1928 prevedeva che tutti i poteri statali fossero riconducibili, in un modo o
in un altro, alla volontà del sovrano e disponeva per ogni riforma
costituzionale la necessaria approvazione dei rappresentanti britannici
presenti in Giordania.
Solo con la fine della Seconda
Guerra mondiale la Giordania ottenne l’indipendenza. Nel novembre del 1946,
terminata l’influenza britannica, fu costituita una monarchia ereditaria e
parlamentare con l’adozione di una nuova Costituzione, entrata in vigore il
primo febbraio del 1947.
Con la nascita dello Stato
d’Israele, importanti flussi di profughi Palestinesi si indirizzarono verso il
Paese per la contiguità geografica e per il sostegno politico ricevuto in
questa prima fase dalla dinastia hashemita. Nella guerra contro lo Stato
ebraico del 1948, la Giordania riuscì ad estendere il suo controllo sulla
Cisgiordania, annettendo il territorio due anni dopo. Dopo la riunificazione
delle due rive del Giordano, furono quindi iniziati anche i lavori per la
redazione di una nuova Carta costituzionale. Il Governo giordano istituì
un’apposita commissione incarica della preparazione del nuovo testo
costituzionale, il quale fu promulgato l’8 gennaio 1952.
Gli anni ’50 si caratterizzarono
per una forte instabilità politica, inducendo il regime a mantenere il diretto
controllo sulla popolazione, a scapito della democraticità delle istituzioni.
Nel 1951, dopo l’assassinio del re Abdullah per mano di un Palestinese,
successe al trono il figlio Talal, che abdicò l’anno successivo in favore del
figlio maggiore, Hussein.
La gestione delle comunità
palestinesi entro il suo territorio divenne sempre più difficile, specialmente
dopo la costituzione dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina nel
1964, che creò una sorta di Stato nello Stato. Con la Guerra dei sei giorni del 1967 e l’occupazione dei Territori da
parte di Israele, aumentò l’afflusso di Palestinesi verso la Giordania.
Divenuta base degli attacchi terroristici palestinesi verso Israele, falliti i
tentativi giordani per porre fine a questi fenomeni, la dinastia hashemita
decise di espellere l’OLP con la forza dal suo territorio nel settembre del
1970. Negli anni ’70, il Paese godette di un lungo periodo di crescita, grazie
all’incremento dei prezzi petroliferi e alle rimesse dei lavoratori nella zona
del Golfo. In quel periodo, la Giordania raggiunse la piena occupazione,
potenziò i servizi pubblici e realizzo grandi progetti di investimento. Con la
fine degli anni ’80, la mancanza di un’adeguata politica economica fiscale da
parte del Governo, in grado di fare fronte alla diminuzione delle risorse
provenienti dal Golfo (sia in termini di rimesse sia in termini di aiuti),
determinò un drastico peggioramento della situazione socio-economica finché,
dopo due crisi valutarie e l’aggravarsi dell’entità del debito estero, la
Giordania si rivolse al FMI. La decisione dell’esecutivo comportò non solo
l’attuazione di una serie di riforme economiche, ma anche il ritorno ad uno
Stato di diritto, più liberale e democratico: nel 1989 si tennero le prime
elezioni pluripartitiche. Tuttavia, questa fase di liberalizzazione subì presto
una battuta di arresto con la firma del Trattato di Pace con Israele nel 1994,
quando le resistenze dell’opinione pubblica si intensificarono. La monarchia
cercò di mantenere il controllo della situazione con una nuova legge
elettorale, che indusse molti partiti dell’opposizione a non partecipare alle
elezioni per protesta.
Colpito da grave malattia nel
1998, Re Hussein decise di designare come suo successore il figlio maggiore
Abdullah II. Salito al trono, il nuovo Sovrano ha dato vita ad un regime meno
conservatore di quello del padre e ha puntato con decisione a migliorare le
condizioni economiche del Paese.
2. Dati
geo-politici
DATI GENERALI |
|
Superficie |
Kmq 92.300 |
Capitale |
Amman
|
Lingua |
Arabo (inglese
molto diffuso in ambito governativo, culturale e sociale)
|
Abitanti |
6.198.677
|
Tasso
crescita popol. |
2,34 % |
Speranza
di vita |
78,7 |
Tasso
alfabetizzazione |
89,9 |
Composizione
etnica |
Arabi (circa 98%,
di cui circa il 55% è arabo-giordana la restante parte arabo-palestinese), Circassi (1%), Armeni (1%) |
Religioni
praticate |
Islamica (sunnita) (92%), cristiani (6%), piccola minoranza
drusa |
CARICHE
DELLO STATO |
|
Capo
dello Stato |
Re Abdullah II (dal 7 febbraio 1999) |
Presidente
della Camera dei deputati |
Abdul Hadi Al-Majali
|
Presidente del Senato |
Zaid al-Rifai
|
Primo Ministro e ministro
della difesa |
Nader al-Dahabi |
Ministro
degli Esteri |
Nasser Judeh
(dal 23 febbraio 2009) |
Ministro
delle Finanze |
Bassem Salem (dal 23 febbraio 2009) |
Ministro
dell’interno |
Nayyef al-Qadi (dal 23
febbraio 2009) |
SCADENZE ELETTORALI |
|
Elezioni
legislative (Camera dei deputati)
|
2011 |
QUADRO POLITICO |
Il Governo, formatosi all’indomani delle elezioni, il 25 novembre 2007, è guidato dal Primo
Ministro Nader al-Dahabi, che ha cercato
di avviare una politica di welfare e
promozione degli investimenti. Tuttavia la linea riformista del Sovrano e del
Governo è stata tiepidamente accolta dalla popolazione, attraversata da
sentimenti anti-liberisti e anti-americani.
Composizione del Parlamento
Le elezioni legislative per la
Camera bassa, svoltesi il 20 novembre
2007 con un’affluenza del 54% su circa 2 milioni e 400 mila elettori, hanno
visto una vittoria schiacciante dei candidati vicini al Governo,
"indipendenti" ed espressione dei vari clan ('ashà'ir) del Paese. L'opposizione
islamista (Jàbhat al-'àmal al-Islàmiyya - Fronte Islamico del Lavoro, vicino ai
Fratelli Musulmani), uscita sconfitta dalle consultazioni, ha accusato il
governo di corruzione e di gravi irregolarità nelle operazioni di voto.
PARTITI |
SEGGI (totale 110) |
Indipendenti ed altri (Rappresentanti delle tribù e
delle famiglie tradizionalmente fedeli alla monarchia hashemita, tra questi è
stata eletta anche una donna) |
98 |
Fronte di Azione Islamico (Jàbhat al-àmal
al-Islàmyyai) |
6 |
Seggi riservati alle donne (riservati dalla legge
elettorale) |
6 |
QUADRO ISTITUZIONALE |
Sistema politico
La Giordania è una monarchia costituzionale sulla base della Costituzione promulgata l'8 gennaio 1952.
La Costituzione è stata modificata più volte nel
corso negli anni in corrispondenza delle vicende che hanno riguardato il mondo
arabo: dall’Unione della Giordania con l’Iraq, tra il febbraio ed il luglio del
1958, alla Guerra dei Sei giorni del 1967. Quest’ultimo evento determinò tra
l’altro l’imposizione della legge marziale, cui seguì nel
Solo nel 1989, indette le prime elezioni libere, il
Parlamento, costituito dai rappresentanti di tutte le forze politiche presenti
nel Paese, riprese l’esercizio delle sue funzioni, e nel 1991 il sovrano
costituì un Comitato incaricato di elaborare una Carta nazionale che stabilisse
“le regole del gioco politico”: la “Magna Carta” della Giordania stabilì
l’impegno della monarchia al rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali e quello degli “attori” della vita politica al rispetto della
monarchia.
La Giordania è uno Stato unitario, suddiviso al suo
interno in 12 province o governatorati, con a capo un governatore nominato dal
Re, cui compete l’esercizio di funzioni amministrative.
Potere esecutivo
Il potere
esecutivo è detenuto dal Re e
dal Consiglio dei ministri,
presieduto da un Primo ministro di nomina regia. Il Re firma le leggi, può
porre un veto che può essere superato dai due terzi di entrambe le Camere che
compongono l'Assemblea Nazionale, nomina e rimuove i giudici per decreto,
approva gli emendamenti alla Costituzione, dichiara guerra e comanda le forze
armate.
La Costituzione prevede che il Re eserciti le sue
prerogative tramite decreti reali (iradah), controfirmati dal Primo Ministro e
dai ministri interessati; in qualità di Capo di Stato, il Re non è responsabile
della sua attività nei confronti degli altri organi costituzionali.
Il Consiglio
dei ministri, guidato da un Primo ministro, è nominato dal re, che può
revocare i ministri su richiesta del Primo ministro. Il Consiglio è
responsabile di fronte alla Camera che può costringerlo alle dimissioni con una
mozione di sfiducia votata dai due terzi dei deputati.
Parlamento
L’Assemblea Nazionale, a struttura bicamerale,
esercita il potere legislativo: la Costituzione, tuttavia, prevede
espressamente che il potere legislativo spetti anche al Sovrano, il quale può
porre sulle delibere legislative il suo veto, superabile, tuttavia,
dall’approvazione della legge a maggioranza dei due terzi delle Camere.
L'Assemblea nazionale è composta da:
·
Camera dei Deputati (Majlis al-Nuwaab), con
110 membri, di cui 104 eletti ogni 4 anni in altrettanti collegi e 6 donne
elette da uno speciale collegio elettorale. Inoltre sono riservati a cristiani
e a circassi, rispettivamente 9 e 6 seggi.
·
Assemblea dei Notabili (Majlis al-Aayan)
composta da non più della metà dei membri della Camera (quindi 55), nominati
dal re tra coloro che hanno rivestito in passato la carica di Primo Ministro,
di Ambasciatore, di Ministro plenipotenziario, di Presidente della Camera dei
deputati, di Presidente o giudice della Corte di cassazione o delle corti
d’appello civili o religiose, oppure su coloro che siano militari a riposo o
sui deputati che abbiano svolto le funzioni parlamentari per almeno due
legislature. Infine, il Re può nominare senatori personalità illustri che,
indipendentemente dalle suddette cariche, abbiano reso servizi alla Nazione ed
al Paese e in cui il popolo ripone la propria fiducia. Il mandato è di quattro
anni, rinnovabile per ulteriori quattro. Ciascun senatore può essere revocato
dal proprio incarico per volontà del Re.
Procedimento legislativo
La Camera dei deputati esercita il potere
legislativo ordinario e di revisione costituzionale insieme al Senato, con
alcune differenziazioni che collocano, nel procedimento legislativo,
Per quanto riguarda il potere legislativo
ordinario, l’iniziativa spetta ad almeno 10 senatori, o 10 deputati, ed il
progetto è trasmesso alla Commissione parlamentare dell’organo di appartenenza,
competente per materia; essa, svolto un primo esame, trasmette il progetto al Governo,
che, a sua volta, provvede alla redazione e alla presentazione del relativo
disegno di legge al Parlamento (art. 95). Ogni disegno di legge presentato dal
Governo, per mezzo del Primo Ministro, deve essere trasmesso prima alla Camera
dei deputati, la quale può approvarlo, rigettarlo o modificarlo, ma in ogni
caso deve trasmetterlo al Senato. Qualora le due Camere deliberino diversamente
sul medesimo disegno di legge, esse debbono riunirsi in seduta comune e per
l’approvazione del disegno di legge è richiesta la maggioranza dei due terzi
dei parlamentari di ciascuna Camera, presenti al momento della deliberazione
(art. 92)
Per il procedimento di revisione costituzionale,
non è prevista alcuna particolare differenza rispetto al procedimento
ordinario, tranne che per la maggioranza richiesta, che è sempre quella dei due
terzi dei componenti l’organo.
Potere giudiziario
Il potere giudiziario prevede tre tipi di
tribunali: civili, religiosi e speciali. Il Re nomina e revoca i giudici per
decreto, ma
PRINCIPALI
INDICATORI ECONOMICI |
|
PIL a
parità di potere di acquisto |
31 miliardi di dollari |
Composizione
per settore |
Agricoltura 3,6%, industria 10,1%, servizi
86,3% |
Crescita
PIL |
4,5% |
PIL pro capite, a parità di potere di
acquisto |
5000 dollari |
Inflazione |
14,9% |
Tasso di
disoccupazione |
12,9% (tasso ufficiale, il tasso reale è
circa il 30%) |
Debito
estero |
6,6 miliardi di dollari |
Fonti: The Cia Worldfactbook 2008 |
La Giordania è annoverata dall’OCSE tra i Paesi a
reddito medio-basso. Essa è priva di risorse naturali, combustibili in primis,
e soffre per la scarsità di acqua[2]. Il tessuto
industriale è ancora poco sviluppato[3] e le aree
coltivabili sono limitate. Malgrado sia stato avviato da alcuni anni un
ambizioso processo di privatizzazione delle aziende pubbliche, oltre il 30% del
PIL è sotto il controllo del Governo, che influenza fortemente settori
economici chiave come quello minerario, agricolo, educativo, dei trasporti e,
sia pur in misura ridotta, quello manifatturiero, immobiliare e delle
costruzioni. Ciò ha contribuito a creare pesanti deficit di bilancio, che nel
corso degli anni hanno condotto ad un sempre crescente debito pubblico. Per far
fronte a questa difficile situazione, nell’ultimo decennio, sotto la guida
delle istituzioni finanziarie internazionali, la politica economica giordana è
stata indirizzata alla liberalizzazione del commercio, per favorirne
l’integrazione a livello regionale e globale, alla ridefinizione del ruolo
dello Stato, con attuazione, come detto, di un ampio programma di
privatizzazione, all’incoraggiamento degli investimenti produttivi orientati
alle esportazioni e alla riduzione del tasso di disoccupazione e di povertà.
A tal proposito, il Paese lamenta una
disoccupazione strutturale che, secondo le ultime stime ufficiali, si
attesterebbe intorno al 14%, ma che in realtà, in alcune aree rurali,
arriverebbe fino al 70%, e grosse difficoltà di assorbimento di nuova forza
lavoro che annualmente si affaccia sul mercato. Inoltre, in Giordania vi è uno
dei più bassi livelli di forza lavoro attiva sul totale della popolazione (si
stima un rapporto di uno a quattro), mentre il livello educativo generale e la
specializzazione della manodopera, nonostante gli indubbi progressi conseguiti
negli ultimi anni, sono ancora al di sotto degli standard necessari per rendere
il Paese sufficientemente competitivo sui mercati internazionali.
Sul fronte sociale, sussistono tuttora forti
disparità a livello locale nell’erogazione e nella qualità dei servizi
pubblici. Consapevole di questa emergenza, Re Abdullah II ha intrapreso una
profonda ristrutturazione della funzione pubblica, allo scopo d’incrementare i
benefici delle recenti riforme economiche e sociali a vantaggio delle fasce più
deboli della popolazione, soprattutto per quanto concerne la sanità e
l’istruzione scolastica e universitaria. Tali concetti sono stati da lui
ribaditi all’apertura del nuovo Parlamento nel novembre 2007, confermando la
necessità di proseguire nel processo globale di riforma e modernizzazione del
Paese, al fine di elevare lo standard di vita medio del popolo giordano, anche
tramite la creazione di una rete di protezione sociale a favore delle classi
meno abbienti e l’espansione della copertura assicurativa sanitaria.
Il Paese resta dipendente dai flussi di aiuti provenienti dalla comunità
internazionale, che conferma un decisivo appoggio alla Giordania, in
particolare per il mantenimento dei profughi iracheni.
Situazione debitoria
La questione del debito estero riveste notevole importanza per Amman. La Giordania
preme affinché i principali Paesi donatori cancellino i loro crediti. La
cancellazione del debito estero giordano è regolata in maniera differente a
seconda che si tratti di debito concessionale, derivante cioè da crediti di
aiuto, oppure da debito commerciale. Nel primo caso, un Accordo firmato tra il
Governo Italiano e quello giordano nel 2002, a seguito di una intesa raggiunta
al Club di Parigi (gruppo che riunisce i principali Paesi creditori ed in seno
al quale l’Italia ha sempre sostenuto le richieste giordane di innalzamento del
tetto del debito convertibile dal 30 al 50%), ha consentito la completa
cancellazione di circa 80 milioni di euro. Per quanto invece riguarda il debito
commerciale, sono stati conclusi due Accordi: uno firmato il 28 aprile 2000,
che prevede il riscadenzamento delle rate del debito per un valore di circa 40
milioni di dollari, l’altro concluso il 13 aprile 2003, per un valore di circa
31,7 milioni di euro. Il 4 aprile 2006 è invece entrato in vigore un nuovo
Accordo di conversione (secondo la formula debt for investment) del debito giordano verso SACE (credito
commerciale), per un importo complessivo pari a circa 14,4 milioni di dollari.
Nel mese di luglio 2007, le Autorità
giordane hanno fatto pervenire all’Italia la richiesta di un appoggio per un
piano di riacquisto del debito da parte dei Paesi del Club di Parigi,
finanziato con i proventi delle privatizzazioni e con i finanziamenti di alcuni
Paesi del Golfo.
Il debito complessivo della Giordania verso
il Club di Parigi ammonta a circa 4.650 milioni di dollari, di cui 2.511 milioni
di debiti commerciali e 2.133 milioni di debiti concessionali. Lo sconto
richiesto dal Ministero delle Finanze giordano, basato sul valore di mercato
del debito estero del Paese, è stato stimato dal Segretariato del Club, in
assenza di indicazioni da parte dei consulenti finanziari del Governo giordano,
tra il 6% e l'8% al di sotto del valore nominale dello stesso. Il Giappone, pur
avendo dato il proprio appoggio alla proposta, si è chiamato fuori
dall'operazione di buyback, in quanto la legge interna non consente riacquisti
anticipati al di sotto del valore nominale. Quanto agli Stati Uniti, e sulla
base delle dichiarazioni rese all’inizio del 2008 dall’Ambasciata americana in
Giordania, il Congresso ha autorizzato
la partecipazione del Governo statunitense all'operazione di buyback del debito della Giordania verso
il Club di Parigi, che nel caso degli Stati Uniti ammonterebbe a 361 milioni di
dollari. L'Italia (come
Da parte italiana si è sottolineata ancora
una volta la necessità che nell'Accordo con il Club di Parigi fosse inserita
una clausola che includesse le somme non utilizzate nell'accordo di swap tra
Ambasciatore italiano ad
Amman:
S.E. Francesco Fransoni
(dal 1° dicembre 2008)
Ambasciatore giordano a
Roma:
S.A.R. Principessa WIJDAN BINT FAWAZ AL HASHEM, Ambasciatore
Straordinario e Plenipotenziario (dal 7 novembre 2006)
Presidente della Camera dei
Rappresentanti:
Abdul Hadi Al- Majali
Presidente del Senato:
Zaid al-Rifai
Si segnala che l’onorevole
Gennaro Malgieri ha ricevuto dal Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini,
l’incarico di coordinare le relazioni parlamentari con i Paesi arabi del bacino
del Mediterraneo. Il 23 gennaio
Incontri del Presidente della Camera |
Il
Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, ha incontrato il 19 gennaio 2009 l’Ambasciatore della
Giordania, Principessa Al-Hashem, nell’ambito di una delegazione del Consiglio
degli Ambasciatori della Lega degli Stati arabi in Italia, composta dagli
Ambasciatori del Qatar, Al-Moraikhi, dell’Egitto, Rashed, dell’Autorità
Nazionale Palestinese, Ateyeh, del Marocco, Ben-Abdalla, accompagnati dal Capo
Missione della Lega degli Stati arabi, Al Gargani.
Il 3 novembre 2008, il Presidente della
Camera, on. Gianfranco Fini, ha ricevuto l’ambasciatore Francesco Fransoni in partenza per la sede di Amman.
L’11 ottobre 2008, il
Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, ha avuto un colloquio bilaterale
con il Presidente della Camera giordana, on. Abdul Hadi Al-Majali, in occasione della riunione dell’Ufficio di
Presidenza dell’Assemblea parlamentare Euro-Mediterranea di cui entrambi sono
membri per il quadriennio 2008-2012, insieme al Presidente del Parlamento
europeo, Hans Gert Pöttering e il Presidente della Camera dei Rappresentanti
del Marocco, Moustafa Mansouri.
Durante l’incontro sono state esaminate questioni
relative alla situazione in Medio Oriente e alla crisi interna di Israele. In
particolare il Presidente giordano ha sottolineato che per avanzare nel
processo di pace occorre, da un lato, che Hamas rinunci alla resistenza e,
dall’altro, che Israele compia gesti distensivi come la rimozione dei posti di
blocco, la diminuzione della pressione sui palestinesi, la liberazione dei
detenuti. Il Presidente Fini ha ribadito che per cercare di sbloccare il
processo di pace occorre un’azione di pressione di tutto il mondo arabo su
Hamas.
Rapporti bilaterali
L’11 gennaio 2009 il Presidente della
Commissione Affari esteri della Camera, on. Stefano Stefani, ha incontrato
l’Ambasciatore della Giordania, Principessa Al-Hashem, nell’ambito di una
delegazione del Consiglio degli Ambasciatori della Lega degli Stati arabi in
Italia, composta dagli Ambasciatori del Libano, Mistou (decano del corpo
diplomatico in Italia), del Qatar, Al-Moraikhi, dell’Egitto, Rashed,
dell’Autorità Nazionale Palestinese, Ateyeh, del Marocco, Ben-Abdalla,
accompagnati dal Capo Missione della Lega degli Stati arabi, Al Gargani.
L’11 marzo 2009 il Presidente della Commissione
Affari Esteri, on. Stefano Stefani, ha incontrato l’Ambasciatore della Giordania,
Principessa Al-Hashem.
Il 4 febbraio 2009
Cooperazione multilaterale
Si
segnala che il 4 luglio 2009 avrà luogo ad Amman il Bureau dell’APEM, sotto
Cooperazione amministrativa
Il 7 e 8 febbraio 2008
UIP
(Unione Interparlamentare)
Nell’ambito
della UIP, opera la sezione di amicizia Italia-Mediterraneo orientale
(Giordania, Libano, Siria, Territori dell’Autorità Palestinese), che per
Disegni di legge di
ratifica
di trattati internazionali
Allo stato attuale all’esame delle Camere
non vi è alcun disegno di legge di ratifica di trattati internazionali riguardante
il Regno di Giordania.
Nader Dahabi, Primo Ministro e
Ministro della Difesa
Nato il 7 ottobre del 1946 ad Amman, dal 25
novembre 2007 ricopre la carica di Primo Ministro e Ministro della Difesa. Dal
2004 al 2007 è stato Chief Commissioner della importante Zona Economica
Speciale di Aqaba (Aqaba Special Economic Zone Authority, ASEZA). Dal 2003 al
Ha
conseguito un Master in Pubblica Amministrazione nel 1987, presso
Parla l’Inglese e il Greco.
Abdullhadi
Majali, Presidente della Camera dei
Deputati
Nato il 28 giugno 1934 nel Governatorato di Karak, a sud della Giordania.
Dal 2007 ricopre la carica di Presidente della Camera dei Deputati, per la sua 15° sessione.
Eletto deputato per quattro volte consecutive, nel 1993, 1998, 2003 e 2007, sempre nel collegio elettorale di Karak, ricopre l’incarico di Presidente della Camera anche nella sessione del 1998.
Nel 2008 è stato Presidente di turno dell’EMPA Bureau (Euro Mediterranean Parliamentary Assembly). Dal 2006 al 2008, inoltre, è stato anche il Presidente dell’Unione Parlamentare Araba.
Nel 1997 è stato il segretario generale del Partito Nazionale Costituzionale.
Nel
Nel 1985 è stato Direttore Generale della Pubblica Sicurezza.
Nel 1981 è stato nominato Ambasciatore del Regno Hascemita di Giordania negli U.S.A.
Nel
Si
è laureato nel
Zaid al-Rifai, Presidente del Senato
Nato il 27 novembre 1936 ad
Amman. Presidente del Senato dal 1997, è considerato uno tra i pochi autorevoli
personaggi che ha partecipato alla vita politica giordana sin dalla fondazione
dell’Emirato di Transgiordania. È stato membro del Senato giordano per due
volte: dal 1979 al 1984 e nel 1993.
Dal 26 maggio 1973 al 13
luglio 1976 e dal 4 aprile 1985 al 27 aprile
Dal 1972 al
Nel 1971 è stato
Ambasciatore di Giordania presso il Regno Unito. Nel 1964 è stato nominato
direttore della Corte Reale Hascemita. Dal 1957 al
Nel
Nel 1957 si è laureato in
Scienze Politiche presso
Nasser Judeh, Ministro degli
Affari esteri
Dal 23 febbraio 2009 ricopre la carica di Ministro degli Affari Esteri.
In precedenza, sempre nell’ambito dell’attuale Governo Dahabi, aveva ricoperto la carica di Ministro di Stato per le Telecomunicazioni e portavoce ufficiale del Governo giordano, ruolo che aveva già avuto, dal 30 novembre 2005 al 25 novembre 2007.
Dal
1999 al
Dal 1998 al 1999 è stato Ministro dell’Informazione e Portavoce ufficiale del Governo.
Nel
1998 è stato Direttore generale della Jordan’s Radio and Television Corporation
(JRTC). Dal 1992 al
Dal
1985 al
Dal
1966 al
Parla l’Inglese e il Francese.
La situazione
attuale del Libano, nonostante mantenga una grande fluidità, si presenta nel complesso notevolmente
migliorata rispetto al convulso periodo di tre anni succeduto all'assassinio
nel febbraio 2005 di Rafik Hariri.
Il paese infatti sembra temporaneamente essersi lasciato
alle spalle la fase di più acuto confronto politico fra lo schieramento
filoccidentale e quello filo siriano.
Nel maggio 2007, l'esercito libanese - riassumendo per questo peraltro un notevole
prestigio - aveva dovuto affrontare la virulenza del gruppo sunnita salafita di
Fatah al Islam, legato ad Al Qaeda e radicato nei maggiori campi
profughi palestinesi del Libano. L’anno
successivo Hezbollah, reagendo a
tentativi della maggioranza governativa filoccidentale di limitarne la forza
logistica e militare, aveva nello spazio di poche ore preso il controllo della
parte più rilevante di Beirut, quella occidentale, senza che stavolta
l'esercito nazionale intervenisse.
Proprio il
riconquistato prestigio dell'esercito libanese, unitamente al mancato
intervento nella crisi del maggio 2008 - che secondo molti osservatori ha
impedito la disgregazione dell'esercito nazionale, che non avrebbe
probabilmente accettato in vasti settori uno scontro con Hezbollah - hanno aperto la strada al Comandante in
capo, il generale cristiano-maronita Suleiman, per l'ascesa alla carica di capo
dello Stato.
Fondamentale per
sbloccare lo stallo negli equilibri politici, che impediva l'elezione della
suprema carica da più di sei mesi, è stato l'intervento
della Lega araba, che il 15 maggio 2008 è riuscita a ottenere una
convergenza delle parti per l'inizio di un dialogo nella capitale del Qatar,
Doha. Contrariamente alla prassi invalsa nelle negoziazioni medio-orientali,
nel caso libanese le trattative si sono svolte in maniera fulminea, e solo sei
giorni dopo le parti avevano raggiunto un accordo
per avviare a soluzione la crisi del paese.
In base a tale
accordo il 25 maggio il Parlamento
libanese, a larghissima maggioranza, eleggeva il nuovo capo dello Stato nella persona del generale Suleiman. L'importanza
dell'evento per
Il ministro degli esteri Frattini ha evidenziato nell'occasione la priorità della
ricostruzione dell'esercito come condizione sine
qua non dell'affermazione dell'autorità dello Stato libanese. Contestuale a
ciò, secondo Frattini, dovrebbe essere la progressiva dismissione della
dimensione militare da parte di Hezbollah,
per acquisire lo statuto di formazione politica pienamente legittimata anche in
una prospettiva di governo. La stessa azione della missione UNIFIL a guida
italiana operante sul confine meridionale del Libano - ribadiva il Ministro
Frattini in un'informativa al Senato del 27 maggio 2008 e in un'audizione
presso le Commissioni congiunte Esteri e Difesa di Camera e Senato dell'11
giugno 2008 - dovrà orientarsi sempre di più all'effettivo disarmo delle
milizie e all'affermazione di un'unica sovranità politica e militare.
Il secondo punto
dell'accordo di Doha prevedeva la formazione
di un esecutivo di unità nazionale, e anche questo adempimento è stato
realizzato con grande tempestività l'11 luglio 2008 (il Governo ha
successivamente, in agosto, ottenuto la fiducia in Parlamento). Alla guida del
nuovo esecutivo si trovava ancora Fuad Siniora, ma l'opposizione filosiriana ha
ottenuto un significativo successo poiché la sua quota di ministri (11)
costituiva una minoranza di blocco, considerato che l'approvazione dei
provvedimenti governativi necessita della maggioranza dei due terzi dei
ministri, che sono 30. Tra i ministri dell'opposizione vi erano cinque
appartenenti al partito del generale cristiano Michel Aoun, uno di Hezbollah e
tre facenti capo a Nabih Berri, presidente sciita del Parlamento. La
maggioranza filoccidentale contava 16 dicasteri, mentre – sulla base
dell’accordo di Doha - il presidente Suleiman ha nominato tre ministri
“neutralI”, tra i quali quelli degli interni e della difesa.
Le intese di Doha
prevedevano infine di far ricorso, in vista delle elezioni parlamentari del
2009, alla legge elettorale del 1960 con piccoli emendamenti, tra i quali la
diminuzione dell'estensione, e quindi l'aumento di numero, delle circoscrizioni
elettorali, onde accrescerne l'omogeneità, ma anche la previsione delle
votazioni da svolgere in un solo giorno - con importanti riflessi positivi
sulla stabilità del paese.
E’ rimasto in
vigore il sistema squisitamente libanese che assegna un numero fisso di
parlamentari ad ogni gruppo religioso del paese, ma con un meccanismo per
rendere più affidabile l'identificazione delle effettive preferenze degli
elettori nell'ambito dei rispettivi gruppi. In ogni caso, la prospettiva elettorale
del giugno 2009 sembrava dare un vantaggio allo schieramento filosiriano, ed in
particolare a Hezbollah: alcuni
analisti non escludevano la possibilità che due terzi dei seggi in Parlamento
andassero ai filosiriani, rafforzando l’ipotesi di mutamenti costituzionali
peraltro suscettibili di riaccendere gravissimi contrasti tra le varie
comunità, cui
Un fattore
determinante per il risultato elettorale sarebbe stato in ogni caso il peso dei cristiano-maroniti: Hezbollah contava moltissimo su un
grande apporto di suffragi per l'alleato Michel Aoun, dopo la ricomposizione
dei rapporti seguita al temporaneo raffreddamento per il mancato appoggio
all’ascesa dello stesso Aoun al vertice dello Stato. Non va tuttavia
dimenticato che alle elezioni avrebbero preso parte anche due importanti
raggruppamenti maroniti che fanno invece capo allo schieramento antisiriano,
guidati da Amin Gemayel e da Samir Geagea.
In merito agli accordi di Doha si può osservare che
essi riflettono nel complesso un certo arretramento della forza della
coalizione maggioritaria antisiriana,
riscontrabile soprattutto nell'ampiezza delle concessioni fatte
all'opposizione, anche se il rinnovato incarico di premier a Siniora segnalava una
“tenuta” della coalizione contraria a Damasco. Il movimento Hezbollah, d'altra parte, che aveva
visto una grande crescita del proprio prestigio nazionale nel momento della
resistenza opposta alle truppe israeliane nell'estate
Per quanto riguarda
Successive visite
dei ministri libanesi dell'interno e dell'informazione hanno consolidato i rapporti bilaterali, in
particolare con la firma di un accordo per dar vita a un comitato congiunto per
il coordinamento nel settore della sicurezza. Le iniziative del governo,
nonostante alcune critiche, hanno registrato anche il consenso del premier Siniora. Allo stesso modo, il
dispiegamento di un migliaio di soldati di Damasco al confine siro-libanese ha
riscosso l'approvazione delle autorità di Beirut. Tali fatti sono stati
accompagnati sul piano internazionale dall'iniziativa anglo-francese per una
ripresa dei contatti con
Il presidente libanese Suleiman, alla fine di
ottobre 2008, si è recato anche in visita ufficiale in Italia, ove ha incontrato il Capo dello Stato Napolitano e
il Presidente del Consiglio Berlusconi: nel corso dei colloqui si è convenuto
sul contributo di prim’ordine assicurato dall’Italia sia nei confronti della
stabilizzazione politica che del mantenimento della sicurezza in Libano,
soprattutto con il ruolo di guida del nostro Paese nella missione delle Nazioni
Unite UNIFIL.
Suleiman si è
inoltre recato il giorno dopo in
Vaticano, ove con il Pontefice ha toccato i temi più delicati dell’area
mediorientale, tra i quali la risoluzione dell’annoso conflitto
israelo-palestinese e la situazione delle minoranze cristiane. Benedetto XVI ha
elogiato gli sforzi del Libano per una completa normalizzazione della politica
interna.
Un elemento di grande criticità al di fuori del già difficilissimo equilibrio
politico è rappresentato tuttora in
Libano dalla presenza imponente di profughi palestinesi (oltre 400.000),
anche al di là dei tentativi finora frustrati di minoranze salafite come Fatah al Islam di assumerne la guida.
L'importanza della presenza palestinese in Libano è stata sottolineata tra
l’altro in novembre da un viaggio del leader
di Hamas in esilio a Damasco, Khaled Meshaal, che ha incontrato le massime
autorità dello Stato senza privilegiare alcuna delle fazioni libanesi. Il
viaggio di Meshal era stato preceduto in agosto da quello del presidente
dell'ANP Abu Mazen, e in entrambi i casi è
stato riaffermato l'impegno per un rientro dei profughi in un futuro Stato
palestinese. L'integrazione in
Libano si presenta infatti per i palestinesi pressoché impossibile, poiché,
tra l'altro, la loro completa appartenenza sunnita minerebbe alla radice i
difficili equilibri interconfessionali libanesi.
Un saggio dei problemi che la presenza di gruppi armati palestinesi in
territorio libanese può originare è stato dato durante e subito dopo
l'operazione militare israeliana a Gaza del dicembre 2008-gennaio 2009, quando
in tre diverse ondate nell'arco di due settimane vi è stato il lancio di razzi
dal territorio meridionale del Libano verso
L'avvio della
presidenza Obama negli Stati Uniti ed i primi segnali di un nuovo corso della
politica americana verso Siria e Iran hanno destato nel mondo arabo speranze
diffuse: in che tuttavia devono
convivere con la preoccupazione per l'impostazione della nuovo governo
israeliano, che con chiarezza ha escluso di poter riprendere il dialogo con il
mondo arabo e con i palestinesi sulla base dei precedenti presupposti.
Quasi subito dopo
l'insediamento, infatti, il Ministro degli esteri Lieberman ha posto in
discussione sia i precedenti impegni sulla creazione di uno Stato autonomo
palestinese, sia la possibilità di un ritorno negoziale delle alture del Golan
alla Siria. In questo quadro il Ministro
degli Esteri Franco Frattini ha visitato il Medio Oriente il 7 e l'8 aprile
2009, recandosi dapprima in Libano
e poi in Siria, e facendosi interprete della volontà occidentale di un nuovo
approccio ai problemi mediorientali, a condizione di una corrispettiva volontà
di cooperazione della Siria e dell'Iran. In particolare a Damasco è stato
chiesto di esercitare una funzione di moderazione sia nei confronti di
Hezbollah in Libano che rispetto al movimento Hamas di Gaza. Il Ministro Frattini ha inoltre sostenuto la
opportunità di un rilancio dei negoziati, mediati dalla Turchia, tra Siria e
Israele - interrotti con l'inizio dell'operazione israeliana a Gaza -, come
anche di una rinnovata funzione di mediazione siriana verso Teheran -
quest'ultimo aspetto ritenuto fondamentale
anche in vista della Conferenza di giugno di Trieste sulla stabilizzazione del
conflitto afghano-pakistano, cui avrebbe dovuto prender parte, secondo i nuovi
auspici di Washington, anche l'Iran, ma le vicende post-elettorali a Teheran
hanno impedito tale circostanza.
L'approssimarsi della scadenza elettorale libanese ha provocato anche sul piano internazionale
diverse iniziative e prese di posizione: il 26 aprile il nuovo Segretario di
Stato USA Hillary Clinton ha effettuato
una visita improvvisa in Libano per dare un chiaro segnale (parole
testuali) nella prospettiva delle elezioni di giugno, mettendo soprattutto in
luce che il nuovo corso americano verso Siria e Iran non comporterebbe il
sacrificio degli interessi libanesi.
La Clinton ha inteso in qualche modo influire sullo svolgimento delle
elezioni, affermando che esse dovranno essere libere e trasparenti e dovranno
tenersi al di fuori di condizionamenti violenti e di interferenze esterne -
allusione trasparente, quest'ultima, alla necessità che l'Iran e
Sul fronte
opposto, Hezbollah ha cercato di
capitalizzare al massimo il rilascio, ordinato il 29 aprile da parte del
Tribunale internazionale per il Libano - insediato il 1º marzo e che indaga
sugli attentati culminati con l'assassinio di Rafik Hariri nel febbraio 2005 -,
di quattro generali libanesi filosiriani incarcerati da quasi quattro anni
perché ritenuti coinvolti nell'attentato a Hariri.
I quattro alti ufficiali erano in effetti in posizioni chiave nel
periodo della massima influenza siriana sul Libano, e Hezbollah ha
immediatamente sfruttato la loro scarcerazione, affermando che essa segna la
caduta della maggioranza parlamentare filoccidentale. Nel festeggiare il
ritorno a casa dei quattro ufficiali, Hezbollah, che ne ha organizzato con efficacia
la spettacolarizzazione, ha rivendicato la necessità di arrestare ora i veri
responsabili e incriminarli per quattro anni di depistaggi e di ritardi.
Peraltro, secondo il procuratore tedesco Mehlis, che aveva diretto
Il 22 maggio gli
Stati Uniti sono tornati a premere sui vertici libanesi in occasione della
visita del vicepresidente USA Biden al capo dello Stato Suleiman, durante la
quale la qualità e il livello quantitativo dell’assistenza americana al Libano
sono stati chiaramente collegati ai risultati elettorali e al governo che da
essi scaturirà – ulteriore prova delle diffuse aspettative, poi smentite, di
una netta affermazione di Hezbollah.
Domenica 7 giugno si sono svolte le elezioni politiche in Libano per il
rinnovo dell’Assemblea nazionale (Majlis
Al-Nuwwab). I 128 deputati rimarranno in carica per quattro anni.
I risultati hanno
registrato l’affermazione della Lista “14 marzo”, coalizione
filo-occidentale, che ha conquistato 71 seggi, mentre la Lista “8 marzo”,
coalizione filo-siriana e filo-iraniana guidata da Hezbollah, ne ha
ottenuti 57.
La partecipazione
è stata pari al 54% (un livello record
per il Libano: nelle scorse elezioni, infatti, tenutesi nel 2005, la
partecipazione era stata pari al 45,8%)
I seggi vengono ripartiti
su base confessionale, con una rappresentanza di
64 seggi a testa tra Cristiani e Musulmani. Ogni confessione ha un numero di
posti in Parlamento che sono predeterminati: in tal modo ai Cristiani maroniti
sono destinati 34 seggi; ai Sunniti ed agli Sciiti 27 seggi a testa; ai
Greco-ortodossi 14 seggi; ai Drusi ed ai Greco-cattolici 8 seggi ognuno; agli
Armeni ortodossi 5 seggi; agli Alawiti 2 seggi ed alle altre comunità cristiane
3 seggi.
Il Paese è diviso in 5 grandi Governatorati, a loro volta suddivisi in
vari collegi elettorali, in ognuno dei quali i seggi destinati alle varie
confessioni sono già prestabiliti. Ogni elettore può votare per tutti i seggi
disponibili nel proprio collegio elettorale ma, per ogni posto, ogni candidato
ha come avversari solo candidati appartenenti alla stessa confessione. In tal
modo coloro che concorrono per l’assegnazione dei seggi devono riuscire non
solo ad ottenere i consensi dei propri correligionari, ma anche quelli degli
appartenenti alle altre confessioni; con questo sistema si mira a dare un vantaggio ai candidati più moderati all’interno
di ogni gruppo confessionale, tentando di ridurre al minimo le tensioni
interconfessionali e di massimizzare il livello di dialogo tra le diverse
comunità religiose.
I delicati rapporti tra le confessioni emergono anche dalla soluzione,
garantita costituzionalmente, di porre ai vertici dello Stato un esponente per
ogni compagine religiosa: la carica di Capo
dello stato spetta ad un maronita, la presidenza
dell’Esecutivo va ad un sunnita e Presidente
del Parlamento deve essere uno sciita.
Nella Repubblica libanese il
Presidente non viene eletto direttamente dal corpo elettorale (viene eletto
ogni sei anni dall’Assemblea nazionale), ma
condivide il potere esecutivo con il Primo ministro, partecipando alle
sedute del Consiglio dei ministri, nominando e revocando il Premier.
Il ministro degli Affari esteri, Franco Frattini, ha commentato l’esito
del voto in Libano dichiarando che “è un
risultato che apprezziamo molto, che ci arriva con un'alta partecipazione di
libanesi al voto, il che dimostra la volontà di partecipare al processo di
stabilizzazione” e “la coalizione vincente potrà garantire il
rafforzamento della collaborazione con l'Occidente, l'Unione europea e
l'Italia”. Il capo della diplomazia italiana si è detto "certo che la coalizione vincente potrà
garantire il rafforzamento della cooperazione con l'Occidente, l'Unione europea
e l'Italia, sotto la guida del presidente Michel Suleiman che apprezziamo
grandemente”. Per quanto riguarda l’impegno dei militari italiani nel paese
il Ministro ha aggiunto che “l'Italia non
farà mancare il suo sostegno alla stabilizzazione del Paese grazie alla
missione UNIFIL, sotto la guida del generale Claudio Graziano”.
Un commento ai
risultati elettorali deve anzitutto registrare la conferma dell’influenza su di
essi del complesso sistema elettorale modellato sulle dimensione confessionale,
che riduce di molto le oscillazioni nelle opzioni di voto: cionondimeno va
osservato che la maggiore delusione è
stata quella del partito maronita legato al Gen. Aoun, del quale si
immaginava la possibilità di una forte affermazione a spese delle formazioni
cristiane filo-occidentali, che non si è verificata, mentre in molti distretti
la tenuta del partito di Aoun è stata resa possibile dal sostegno di Hezbollah, il cui leader Nasrallah ha del resto riconosciuto la sconfitta – Hezbollah, pur avendo ottenuto 12 seggi,
non dispone di una rappresentanza parlamentare paragonabile all’effettiva forza
nel paese, ed è stato per esempio superato con 14 seggi dall’altra formazione,
sciita ma moderata, di Amal.
Saad Hariri, figlio dell’ex
primo ministro Rafik assassinato nel 2005, è il leader sunnita della coalizione filo-occidentale “14 Marzo” che è uscita vincitrice dalle
elezioni. Egli è il primo nome della lista dei probabili candidati alla carica
di Primo ministro, posizione occupata negli ultimi turbolenti quattro anni dal
suo alleato, Fuad Siniora a capo di un governo di coalizione di orientamento
filo-ocidentale.
Posto a capo dell’Esecutivo dopo l’assassinio di Hariri padre, il premier Siniora doveva essere una figura
di transizione, invece, con il tempo, egli ha evidenziato un forte profilo
politico, resistendo per 18 mesi al tentativo di Hezbollah di farlo dimettere, dopo aver criticato, nel corso dei 34
giorni di guerra tra Israele e la milizia sciita, il ruolo di Hezbollah nell’avvio del conflitto
contro lo Stato ebraico. Un sua nuova nomina sembra dunque poco probabile
perché potrebbe essere intesa come una sorta di provocazione da parte del
partito filo-iraniano.
Prima di queste elezioni
Hariri aveva affermato di essere “pronto
ad assumersi la responsabilità di guidare il governo”. Nonostante la
coalizione “14 Marzo” abbia ottenuto
71 dei 128 seggi, i due partiti sciiti dell’altro schieramento, Hezbollah ed Amal ed il loro alleato cristiano, il Movimento patriottico libero
dell’ex generale Michel Aoun,
rimangono i più forti rappresentanti delle rispettive comunità, rendendo
difficile una loro esclusione dalla nuova compagine governativa.
L’Esecutivo, in base alla Costituzione, deve essere
composto per metà da ministri musulmani e per metà da cristiani: Hezbollah
ed Amal insistono nella creazione di
un “governo di unità nazionale” nel quale l'opposizione possa godere del
diritto di veto. Hariri ha più volte respinto questa ipotesi, definendola
“anti-costituzionale”, e se i due partiti sciiti non dovessero cedere, il leader sunnita potrebbe anche rinunciare
alla carica di premier. Una nuova
crisi politico-istituzionale potrebbe allora aprirsi, proprio come e' accaduto
tra il 2006 e il 2008, quando la tensione ha portato il Paese sull'orlo di una
guerra civile, evitata soltanto dopo che Siniora e la coalizione “14 Marzo” accettarono un accordo
promosso dalla diplomazia inter-araba.
Sarà dunque determinante l’evoluzione delle
alleanze per la formazione del nuovo Esecutivo sia per capire gli orientamenti nella politica
estera, sia per una serie di interessi che riguardano l’assetto
economico-finanziario del Paese.
Al proposito va
ricordato che il Libano sta reagendo positivamente alla crisi finanziaria
internazionale potendo contare sull’oculata strategia della Banca centrale e
del suo Governatore, che ha imposto limitazioni alle banche locali sul fronte
degli investimenti nei mercati finanziari.
Il governatore della Banca Centrale, Riad Salameh, ha invitato le banche libanesi a mantenere una
percentuale elevata di liquidità, (pur se a scapito dei profitti),
sottolineando che il 2009 sarà il vero anno di sfida sia sul piano regionale
che internazionale. Il solido sistema bancario libanese, infatti, costituisce
un pilastro fondamentale dell’economia nazionale.
Il Libano gode di una notevole affidabilità sotto il profilo creditizio
(non a caso il Paese dei cedri è stato definito la “Svizzera del Medio
Oriente”), ed il Governatore della sua banca nazionale è stato definito come il
migliore dei tra quelli dei paesi dell’area. Va ricordato, però, che il
mantenimento dei capitali depositati nelle banche va a sfavore degli
investimenti e rallenta la presenza libanese a livello regionale ed internazionale.
Il 27 giugno Saad Hariri ha ricevuto l’incarico di
formare il nuovo governo.
Il 14 marzo 1978, dopo un nuovo attacco in territorio israeliano ad opera di un commando palestinese, le forze armate di Israele hanno invaso il Libano, occupandone la parte meridionale dove si trovavano le postazioni da cui partivano gli attacchi. Il successivo 19 marzo, il Consiglio di sicurezza dell’ONU, in seguito alle proteste del Governo libanese, ha approvato le risoluzioni 425 e 426, con le quali ha invitato Israele alla cessazione delle azioni militari ed al ritiro delle truppe ed ha deliberato contemporaneamente l’immediata costituzione di una forza di interposizione nel Libano meridionale, al confine con Israele.
È, stata, così, costituita la missione UNIFIL (United Nations Interim Force In Lebanon) con il compito di verificare il ritiro delle truppe israeliane, di ristabilire la pace e la sicurezza internazionale, nonché di assistere il Governo del Libano a ripristinare la sua effettiva autorità nella zona.
La partecipazione italiana alla missione è iniziata nel luglio 1979, con uno squadrone di elicotteri dell’Esercito, dotato di 4 velivoli e costituito da circa 50 militari, con compiti di ricognizione, ricerca e soccorso, trasporto sanitario e collegamento. Tale squadrone, dislocato presso Naquora, continua tuttora la sua attività di volo.
Dopo la nuova invasione israeliana del Libano, nel giugno 1982, che giunse quasi fino a Beirut, le attività di UNIFIL sono rimaste relegate dietro le linee israeliane, limitandosi a fornire protezione e assistenza umanitaria alla popolazione locale. Nel 1985, Israele ha proceduto ad un parziale ritiro, mantenendo, con la collaborazione dei miliziani dell’Esercito del Libano del Sud, il controllo del Libano meridionale.
Nei quindici anni successivi sono proseguite le ostilità tra Israele e le forze ausiliarie, da un lato, e le milizie sciite filosiriane di Hezbollah, dall’altro lato, mentre UNIFIL ha continuato a svolgere, anche se parzialmente, il proprio compito, adoperandosi per limitare il conflitto e per proteggere la popolazione dell’area. Il mandato della missione è rimasto infatti invariato, attraverso i rinnovi semestrali decisi dal Consiglio di sicurezza ONU.
A seguito del ritiro totale delle truppe israeliane, avvenuto tra maggio e giugno del 2000, UNIFIL ha svolto un importante ruolo nella fase di transizione, per il pattugliamento (insieme alle forze armate libanesi) e lo sminamento dell’area liberata, per la definizione della linea di confine (linea blu) e per l’assistenza ai libanesi che avevano fatto parte delle milizie filoisraeliane.
A partire dal 2000 la missione ha operato avvalendosi anche dell’assistenza degli osservatori militari della missione UNTSO (United Nations Truce Supervision Organization), istituita nel maggio 1948 per assistere il Mediatore delle Nazioni Unite e la Commissione per la tregua nella supervisione della tregua in Palestina.
Al termine di questa fase la consistenza del contingente impegnato era ridotta a circa 2.000 unità (giugno 2006).
A seguito di una offensiva missilistica di Hezbollah in territorio israeliano e dell’uccisione di alcuni soldati israeliani e la cattura di altri, nel luglio 2006, si è aperta una nuova fase del conflitto, durata 34 giorni, durante la quale Israele ha lanciato un’offensiva in territorio libanese ed ha imposto il blocco aeronavale sul Paese, mentre Hezbollah ha risposto con una intensa attività di guerriglia e con il lancio di razzi che hanno raggiunto anche città ritenute sicure come Nazareth, Haifa e Tiberiade. Le forze militari libanesi non sono intervenute nel conflitto.
L’11 agosto 2006 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato, all’unanimità, la risoluzione n. 1701, che, tra l’altro, ha invitato alla completa cessazione delle ostilità (sia di ogni attacco da parte di Hezbollah sia di tutte le operazioni militari offensive da parte di Israele) ed ha previsto, a tregua avvenuta, il dispiegamento congiunto delle forze libanesi e di UNIFIL (il cui contingente è stato incrementato fino a un massimo di 15.000 unità) nel Libano meridionale, nonché il contestuale ritiro di Israele dalla regione. Il nuovo dispiegamento di UNIFIL, cui hanno contribuito in modo consistente e determinante l’Italia e la Francia, è stato avviato dopo il cessate il fuoco iniziato il 14 agosto. Nella guerra sono morti più di 1.100 libanesi, mentre oltre un milione sono stati costretti a lasciare le loro case. Sono stati danneggiati 150 ponti, 60.000 unità abitative, di cui almeno 15.000 completamente rase al suolo.
La risoluzione ha ridefinito i compiti di UNIFIL ed ha previsto la costruzione di una fascia di sicurezza a sud del fiume Litani, nella quale la missione, insieme all’esercito libanese, esercita una azione "cuscinetto" per prevenire la ripresa delle ostilità. La risoluzione impegna il Governo libanese “a sorvegliare i propri confini in modo da impedire l’ingresso illegale in Libano di armamenti e materiali connessi”, e tutti gli Stati ad adoperarsi affinché armamenti, materiali bellici e assistenza tecnico-militare siano forniti “solo su autorizzazione del Governo libanese o dell’UNIFIL”.
Tra i nuovi compiti di UNIFIL vi sono anche quelli di monitorare l’effettiva cessazione delle ostilità, di “mettere in atto i provvedimenti che impongono il disarmo dei gruppi armati in Libano”, nonché di prestare la propria assistenza per contribuire ad assicurare l’accesso umanitario alle popolazioni civili e il volontario e sicuro ritorno delle persone sfollate. UNIFIL è inoltre autorizzata a resistere a tentativi volti ad impedire ad essa con la forza l’esecuzione dei suoi compiti, e a proteggere il personale, i locali, le installazioni e il materiale delle Nazioni Unite, nonché gli operatori umanitari e i civili “esposti a una minaccia imminente di violenza fisica”.
Dal 2 febbraio 2007, il Generale di divisione Claudio Graziano ha assunto il comando della missione, sostituendo anticipatamente il responsabile francese.
Per quanto riguarda le regole di ingaggio, il Ministro della difesa Ignazio La Russa, l’11 giugno 2008 , dopo aver ricordato che l'obiettivo della missione UNIFIL è ''quello di assistere il governo libanese ad esercitare la sua sovranità nel Paese e di sostenere le forze armate libanesi nel garantire la sicurezza in una specifica area'', – ha, altresì, dichiarato che al momento “non occorre modificare regole di ingaggio; in verità, non credo che occorra modificare alcunché, prima di tutto perché non tocca a noi fare modifiche, in secondo luogo perché nella zona del nostro contingente il pericolo è lo stesso dei mesi precedenti e infine perché a parlare troppo di modifica di regole d'ingaggio si crea una tensione che non è affatto utile”.
Attualmente le attività operative di UNIFIL consistono: nell’osservazione dei posti fissi; nella condotta di pattuglie diurne e notturne e nella realizzazione di check-points; nel collegamento con le forze armate libanesi; nel pattugliamento marittimo. La struttura delle forze UNIFIL prevede anche una componente navale, la Maritime Task Force 448 - UNIFIL (TF 448). L’impiego della TF448 nelle acque prospicienti le coste libanesi, è finalizzato ad impedire il traffico di armi illegali dal mare verso il Libano e a far rispettare le risoluzioni ONU 1701 e 1773.
La sede del Comando della missione UNIFIL, guidata come accennato dal Generale Claudio Graziano è a Naqoura. Nella medesima località il Colonnello Gerardo Restaino è al comando della Componente Nazionale nel cui ambito opera una compagnia di Force Protection e una componente dell’Aviazione dell’Esercito, costituita da elicotteri AB-212 e AB-412 e con compiti d’evacuazione sanitaria, ricognizione, ricerca e soccorso e collegamento tra UNIFIL HQ e le unità operative dipendenti.
Il quartier generale del contingente italiano è presso la base militare di Tibnin (30 chilometri a est di Tiro), dove ha sede anche il Comando del Settore Ovest di UNIFIL. A Tibnin il 2 maggio 2009 è avvenuto l’avvicendamento tra la Brigata di Cavalleria “Pozzuolo del Friuli” e la subentrante Brigata corazzata Ariete, già impiegata in ambito UNIFIL dal 10 ottobre 2007 al 28 maggio 2008. Il comando del Settore Ovest di UNIFIL e del contingente nazionale è quindi passato al Generale Carmelo Di Cicco. Alle sue dipendenze operano due Battle Group di manovra, un gruppo di supporto di aderenza che garantisce il sostegno logistico al contingente, e unità specialistiche (genio, trasmissioni, CIMIC, NBC, EOD), assetti dell’aviazione dell’Esercito, Forze Speciali ed una componente di Polizia Militare dell’Arma dei Carabinieri. Le unità di manovra e i supporti sono suddivisi tra le basi di Ma’ Araka, Al Mansuri, Zibqin, Bayyadah, Hariss e Shaama. Nell’ambito del contingente nazionale operano unità di Francia, Ghana, Corea del Sud, Slovenia e Malesia.
Il contingente della missione UNIFIL è attualmente composto da 12.261 unità; il maggiore contributo è fornito dall’Italia (2.694), dalla Francia (1.440), dall’Indonesia (1.146), dalla Spagna (1.050), dal Ghana, dall’India e dal Nepal (con circa 900 unità per ciascun Paese). Il mandato dell’UNIFIL è stato prorogato, da ultimo, al 31 agosto 2009 dalla risoluzione 1832 (2008) del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Nel corso dei 30 anni di attività sono rimasti uccisi 268 militari della missione, di cui 4 italiani deceduti nel 1997 a causa di un incidente elicotteristico.
In passato sono sorte talune polemiche circa la realizzazione dell’obiettivo di effettuare i controlli sugli armamenti illegalmente detenuti. A questo proposito, la stampa israeliana aveva riferito la notizia di un incidente, accaduto il 30 marzo 2008, ad una pattuglia italiana di UNIFIL, che aveva intercettato un autocarro carico di munizioni scortato da guerriglieri Hezbollah, i quali ne avevano impedito con le armi la perquisizione, costringendo i caschi blu a ritornare alla loro base. L’incidente, definito peraltro una “seria violazione della risoluzione 1701” in un rapporto del segretario generale dell' ONU trasmesso al Consiglio di Sicurezza, è stato confermato dalla portavoce di UNIFIL e dal generale Graziano pur senza fare riferimento esplicito ad Hezbollah. Il Generale Graziano, dopo aver sottolineato che UNIFIL aveva scoperto, da settembre 2006, centinaia di depositi di armi di Hezbollah, in un’intervista rilasciata all'Orient Le Jour, aveva evidenziato i risultati ottenuti dai "circa 400 pattugliamenti quotidiani" e respinto le accuse di indulgenza nei confronti delle milizie mosse dal governo israeliano. Il problema, aveva aggiunto, è che “tra i compiti dell'UNIFIL non vi è quello di disarmare i miliziani ma solo di denunciare le scoperte di armi all'esercito libanese”.
La questione della presenza di armi di Hezbollah nell'area a sud del fiume Litani, che segna il confine settentrionale della zona di operazioni della missione, era già stata toccata dal Generale Graziano il 23 dicembre 2007. In quell’occasione, nel delineare in dichiarazioni rilasciate all’agenzia ANSA le prospettive future per UNIFIL, tracciando anche un positivo bilancio dei primi due anni di incarico alla guida della missione (“a parte qualche difficoltà – ha dichiarato Graziano - abbiamo assolto in modo completo il mandato indicato nella risoluzione Onu n.1701; manteniamo la cessazione di ostilità e con l'esercito libanese assicuriamo stabilità e sicurezza''), il Generale Graziano aveva altresì affermato che ''negli ultimi mesi non abbiamo avuto prove di traffici di armi, ma questo non vuol dire che essi non ci siano”. Il Generale aveva inoltre precisato che il mandato della missione non consente di ispezionare le abitazioni private in assenza di prove di un'eventuale violazione. Infine, a proposito delle ricorrenti minacce contro la missione da parte di sedicenti gruppi estremisti islamici, il generale Graziano aveva sottolineato l’accurato lavoro di intelligence condotto anche insieme all'esercito libanese.
Lo scorso 9 gennaio 2009 una pattuglia di UNIFIL ha scoperto due depositi di vecchie armi (circa 34 razzi Grand-P e alcune scatole di munizioni) in due bunker, all’apparenza abbandonati dalla guerra del 2006, situati tra le colline di Kafer Chouba e Kafer Hammam, nel settore orientale dell’aera operativa della missione nel sud del Libano. In tale occasione, come riportato in un comunicato stampa di UNIFIL, il Generale Graziano ha sottolineato che ''i recenti sviluppi ci hanno indotto a rafforzare la nostra presenza congiunta (con l'esercito libanese) sul campo ed è stato nel corso dell'intensificazione dei pattugliamenti che i due nascondigli sono stati ritrovati''. Il giorno precedente il ritrovamento dei due depositi alcuni razzi erano stati sparati dal Sud del Libano verso Israele, dove avevano causato il ferimento leggero di almeno tre persone. Intervenendo ad una trasmissione televisiva, il Ministro degli esteri Franco Frattini, come riportato dall’agenzia Ansa, dopo aver precisato che i razzi rinvenuti non sono di Hezbollah ma ''di formazioni estremiste palestinesi'', ha affermato che le truppe italiane dislocate in Libano nell'ambito della missione UNIFIL sono da quel momento ''in massima vigilanza'' ed hanno moltiplicato i pattugliamenti “per trovare eventuali basi missilistiche di questi estremisti”. L’intensificazione delle attività di pattugliamento di UNIFIL in cooperazione con l’esercito libanese era stata decisa - come riportato dalle agenzie di stampa - dopo che il 25 dicembre i militari di Beirut avevano trovato, nell’area di operazioni, otto razzi di media e corta gittata puntati verso lo stato ebraico.
Dopo un ulteriore lancio di razzi contro Israele dal Sud del Libano il 14 gennaio 2009, caduti sulla zona di Khiriat Shmona senza causare vittime o danni, le indagini svolte da UNIFIL con le forze armate libanesi (LAF) hanno consentito di individuare diversi siti di lancio. Il Ministro della difesa, Ignazio La Russa, in visita al contingente italiano in Libano in quegli stessi giorni (13 gennaio) ha sottolineato che il livello di attenzione dei militari italiani è sempre alto, ma nonostante la situazione di tensione determinatasi a seguito dell'offensiva israeliana nella Striscia di Gaza ''la situazione appare sotto controllo'' e non viene rilevato ''un accrescimento di pericolo rispetto al passato''. Il Ministro ha inoltre rilevato che l’avere appreso “la ferma volontà di tutto il governo di Beirut, quindi anche della componente Hezbollah, di impedire che partano razzi da questa parte, ci rassicura. I nostri soldati daranno il massimo contributo all'esercito libanese: abbiamo dato indicazioni che il loro intervento si spinga al massimo consentito dalle regole d'ingaggio''.
Il 21 febbraio i caschi blu di UNIFIL hanno individuato il campo dal quale sarebbero partiti i razzi - uno dei quali ha raggiunto il territorio di Israele e causato il ferimento di due persone – sparati dal sud del Libano la mattina di quello stesso giorno.
Si segnala, infine, che, come riportato da agenzie di stampa, la proposta di dare vita a truppe congiunte italo-francesi che operino nell'ambito della missione internazionale in Libano, avanzata dal presidente francese Nicolas Sarkozy nel corso della sua visita a Roma il 24 febbraio, è stata accolta con favore da parte italiana.
Elenco dei
provvedimenti legislativi di autorizzazione, proroga e finanziamento della
missione UNIFIL a partire dall’agosto 2006
Provvedimento
legislativo |
Periodo |
Unità |
Oneri (euro) |
Decreto-legge
28 agosto 2006, n. 253, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 ottobre
2006, n. 270, recante disposizioni concernenti l'intervento di cooperazione
allo sviluppo in Libano e il rafforzamento del contingente militare italiano
nella missione UNIFIL, ridefinita dalla citata risoluzione 1701 (2006) del
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite |
Fino al 31/12/2006 |
2.496 |
186.881.868 |
Decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 marzo 2007, n. 38, recante proroga della partecipazione italiana a missioni umanitarie e internazionali |
Fino al 31/12/2007 |
2.450 |
386.680.214 |
Decreto-legge 31 gennaio 2008, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 marzo 2008, n. 45, recante disposizioni urgenti in materia di interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché relative alla partecipazione delle Forze armate e di polizia a missioni internazionali |
Fino al 30/09/2008 |
2.743 |
297.207.117 |
Decreto-legge 22 settembre 2008, n. 147, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2008, n. 183, recante disposizioni urgenti per assicurare la partecipazione italiana alla missione di vigilanza dell'Unione europea in Georgia |
Fino al 31/12/2008 |
2.460 |
112.542.774 |
Decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 209, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2009, n. 12, recante proroga della partecipazione italiana a missioni internazionali |
Fino al 30/06/2009 |
2.470 |
192.102.649 |
Decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78, recante provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali |
Fino al 31/10/2009 |
Dati non disponibili nella relazione tecnica del D.L. |
(aggiornamento: giugno 2009)
Profilo
storico-politico
Il
Libano ha dichiarato la sua indipendenza il 22 novembre 1943, ma solo con la
fine della presenza militare francese nel Paese, che si ebbe dal 1° gennaio
1946, il Paese può dirsi realmente indipendente.
L’intrinseca
debolezza della società libanese, troppo frammentata al suo interno, e il suo
carattere ibrido (tra identità araba e quella nazionale libanese), hanno reso
il paese facile preda di opposti antagonismi. Dopo la sconfitta della
coalizione araba contro Israele nel 1967 e l’espulsione dell’OLP dalla
Giordania nel 1970 (cd. Settembre nero), si verificò un crescente afflusso di profughi Palestinesi verso il Sud del
Libano, che divenne rifugio dei guerriglieri dell’OLP e base della lotta armata
verso Israele. La guerra civile,
scoppiata nel 1975 e conclusasi nel 1989, fu scatenata proprio dalle profonde
rivalità interne. Da una parte la comunità
sciita, sostenuta inizialmente dalla Siria – successivamente dalla rivoluzione khomeinista – e dall’Iran (coalizione di palestinesi alleati a
libanesi musulmani sunniti, sciiti (Amal) e drusi), chiedeva il riconoscimento di maggiori
diritti. Dall’altra i cristiani
maroniti, incoraggiati da Israele si volsero a destra, soprattutto alla
Falange (organizzazione parafascista guidata dalla famiglia Gemayel).
Come
risposta ai combattimenti tra milizie cristiane e musulmane
Dopo
il disimpegno israeliano, la guerra civile andò ad esaurirsi e nel 1989 si
tenne a Taif, in Arabia Saudita, un
vertice tra le varie componenti politiche libanesi, che pose fine al conflitto.
Beirut rientrò completamente sotto l’ala di Damasco, in particolare nella politica
estera e di difesa:
Dio),
un nuovo raggruppamento sciita militante, molto vicino alle posizioni dello
sciismo iraniano, forza che rimpiazzò la presenza dell’OLP nel Sud del Libano.
Tra
il 1989 e il 2004 il Libano ha progressivamente ripreso la vita normale. Ma il 14 febbraio 2005 un grave avvenimento
impresse una nuova svolta: l’ex Primo Ministro Rafiq Hariri, ostile alla Siria, veniva assassinato in una via di
Beirut (attentato attribuito ai servizi segreti siriani). Per l’occasione, la
popolazione libanese scese in piazza per chiedere il ritiro dei siriani dal
Paese, nuove elezioni e la verità sull’assassinio di Hariri; l’imponente
manifestazione popolare, passata alla storia come la “Primavera di Beirut” ha costretto Damasco al ritiro delle truppe,
completato il 26 aprile 2005.
Il 12 luglio 2006, la cattura di 2 soldati
israeliani e l’uccisione di altri 8, da parte della milizia Hezbollah ha provocato
l’inizio di un conflitto con Israele, durato 33 giorni. I bombardamenti
israeliani si sono accaniti, non solo contro i miliziani e la comunità sciita,
colpendone i villaggi del sud, la periferia meridionale della capitale e quelli
della Bekaa (Baalbeck), ma sono stati estesi all’intero territorio, causando
morti (1300, di cui 600 minori), feriti (4000) e pesantissime distruzioni:
Dopo la cessazione delle ostilità, imposta dalla Risoluzione
1701 e la fine dell’embargo posto da Israele, il Libano si è avviato verso
la fase della ricostruzione, in un contesto politico interno molto deteriorato.
La spirale di violenza in cui è entrato il Paese è sfociata, nel corso
degli ultimi anni, in una serie di attentati mortali a numerosi esponenti
politici. Nel giugno del 2005 il giornalista anti-siriano Samir Kassir e il leader comunista George Hawi vengono uccisi in due
diversi attentati; nel mese di dicembre è la volta del parlamentare anti-siriano Gebran Tueni. Due anni dopo, il
23 novembre 2007, viene assassinato il Ministro dell’Industria Pierre Gemayel, mentre a giugno muore
nello scoppio di un’autobomba il deputato anti-siriano Eido. A settembre dello stesso anno il deputato antisiriano Antoine Ghanem è vittima di un altro
attentato.
In una situazione così difficile, l’elezione alla presidenza della Repubblica libanese del Generale Michel Sleiman (il 25 maggio 2008) e la successiva formazione del Governo di Unità Nazionale, segnano la fine del vuoto istituzionale nel Paese e aprono la strada alla ripresa del dialogo interno. Nonostante tutto, gli episodi di violenza non si sono fermati: dagli scontri nel campo profughi di Nahr al-Basred tra le truppe regolari libanesi e i militanti radicali di Fatah al-Islam (vicini ad al-Qaeda) e l’uccisione (l’11 settembre 2008) dell’uomo politico del Partito Democratico Saleh Aridi (druso filo-siriano). Alcuni giorni dopo, un attentato ad un autobus ha causato la morte di sei militari delle Forze Armate Libanesi.
Dati
geo-politici
DATI GENERALI |
|
Superficie |
10.400 Kmq
(un trentesimo del territorio italiano) |
Capitale |
BEIRUT (403.000
abitanti)
|
Abitanti |
3.971.941 |
Tasso
di crescita della popolazione |
1,1% |
Aspettativa
di vita |
73
anni |
Composizione
etnica |
Arabi
95%, Armeni 4%; altri 1% |
Religioni
praticate |
Musulmani
60% (Sciiti, Sunniti, Drusi, Isma'ili,
Alawiti) [5]; Cristiani 39%
(sono 12 gruppi tra cui i più importanti sono,Maroniti, Greco ortodossi, Armeni, Siriani, Copti, Caldei, Protestanti
e altri); altri 1%.
|
Tasso
alfabetizzazione |
87,4% |
CARICHE
DELLO STATO |
|
Presidente della Repubblica |
Michel Sulayman (dal 25 maggio 2008) |
Presidente del Parlamento e Leader del
Blocco “Sviluppo e Resistenza”, alleato con il movimento Hezbollah |
Nabih
Berry (sciita, dal
1992) filosiriano
rieletto il 25 giugno 2009 |
Capo del Governo |
Saad
Hariri (incaricato dal
Presidente della Repubblica il 27 giugno 2009; sostituisce Fouad Siniora;
sono in corso le consultazioni per la formazione del nuovo esecutivo; cfr. infra)
|
SCADENZE ELETTORALI |
|
Presidenziali |
2014 (le
ultime si sono tenute a maggio 2008) |
Politiche |
Le
elezioni si sono tenute il 7 giugno 2009; le prossime sono previste nel 2013. |
QUADRO POLITICO |
Le elezioni legislative svoltesi lo scorso 7 giugno (su cui si veda infra lo specifico focus)
a conclusione di una campagna elettorale aspra hanno portato all’affermazione
della coalizione filo-occidentale del “14
marzo”. Il raggruppamento guidato da Saad
Hariri ha infatti conquistato 68 dei
128 seggi dell’Assemblea Nazionale, pari al 22%
dei Deputati, ai quali si aggiungeranno altri 3 seggi attribuiti a candidati
indipendenti ma vicini alla maggioranza.
La partita si sposta ora sulla formazione del nuovo esecutivo che Saad
Hariri è stato chiamato a costituire. In un clima di apparente ritrovata
concordia nazionale e di diffusa volontà di collaborare, la formula di un Governo di Unità Nazionale sembra ormai
acquisita anche se occorre ancora stabilire quali garanzie potranno essere
concesse all’opposizione. Hezbollah, per ora, si limita ad esigere preliminari
assicurazioni sul futuro del suo
arsenale cui non intende rinunciare (sulla
formazione del nuovo esecutivo si veda infra lo specifico focus).
La complessa crisi libanese conferma il peso delle "linee di frattura" che corrono lungo l'accidentata
dorsale del Paese: quella geo-politica tra l'asse sciita (con protagonista l'Iran
di Ahmadinejad) e l'asse arabo-sunnita; quella di natura politica interna
(campo filo-occidentale del 14 marzo e campo pro-siriano dell’8 marzo); quella
relativa alla politica dei cristiani, quella, infine, socio-economica (tra
fasce di estrazioni borghese, per lo più sunnite e cristiane, e il
sotto-proletariato sciita).
Si ricorda che le elezioni legislative, a
partire dal 1992, si sono tenute regolarmente ogni quattro anni; si sono
succeduti tre Presidenti della Repubblica. Il sessennio dell’ex Capo dello
Stato, Emile Lahoud, è giunto a scadenza nel settembre 2004, ma è stato
prorogato per tre anni su pressione della Siria. L’approvazione in Parlamento
dell’emendamento costituzionale che ha consentito la suddetta proroga[6] ha messo in luce una sostanziale incapacità dei
principali partiti dell’opposizione, soprattutto cristiani, di adottare
strategie comuni per costituire un blocco compatto. Ignorando
La proroga non è stata ben accolta da
diversi membri del Governo, che hanno rassegnato le dimissioni in segno di
protesta, schiudendo così la via alla crisi
di governo, che ha portato alle dimissioni
del Primo Ministro, Rafiq Hariri (20 ottobre 2004) e alla creazione di un
nuovo Governo filo-siriano. A seguito dell’assassinio
di Hariri le tensioni tra Governo e opposizione si sono
ulteriormente inasprite, anche intorno alla questione relativa alla creazione
del Tribunale[9] a carattere internazionale incaricato di giudicare
i responsabili dell’uccisione dell’ex Primo Ministro Rafiq Hariri.
Le elezioni legislative, a cavallo
tra maggio e giugno 2005, hanno dato vita alla Assemblea parlamentare.[10] Il 19 luglio 2005 è stato formato un Governo
guidato dall’ex Ministro delle finanze e uomo di fiducia di Rafiq Hariri, Fouad
Siniora. Dell' "ordine siriano" sono rimasti Emile Lahoud, Nabih
Berri ed il Segretario Generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah. Hezbollah ha allacciato alleanze
elettorali con il suo nemico e correligionario Nabih Berri, leader della corrente "Amal", con drusi,
cristiani e sunniti, per accrescere la sua presenza in Parlamento, cercando in
tal modo di privilegiare l'aspetto politico su quello militare del movimento,
nonostante le sue dichiarazioni aggressive e scomposte contro la comunità
internazionale (segnatamente USA ed Israele), rea di averne chiesto il disarmo.
Nel marzo del 2006 è iniziato il “Dialogo nazionale”, un esercizio,
promosso da Nabih Berri, che ha riunito le delegazioni dei principali leaders
politici del Paese, per discutere sui più rilevanti temi politici:
dall’inchiesta sull’uccisione di Hariri alla creazione del Tribunale
internazionale, dalla questione del disarmo delle milizie Hezbollah e
palestinesi a quelle inerenti le fattorie di Chebaa (ancora occupate
dall’esercito israeliano). L’esercizio si è protratto fino alla fine di giugno
2006 quando il conflitto con Israele ha causato il sostanziale fallimento del
“Dialogo Nazionale”.
Dopo la cessazione delle ostilità, imposta
dalla Risoluzione 1701, e la fine dell’embargo posto da Israele,
il Libano si è avviato verso una difficile fase di ricostruzione, in un
contesto politico interno incerto che si è progressivamente aggravato fino alle
dimissioni dall’esecutivo dei ministri sciiti Hezbollah e Amal (Esteri, Sanità,
Energia, Lavoro e Agricoltura) avvenute l’11 novembre 2006. Il Paese è quindi
ripiombato in una grave crisi politico-isituzionale culminata negli scontri
violenti del mese di maggio 2008 tra milizie Hezbollah e sunnite.
Solo l’accordo di Doha
il 21 maggio 2008 con la mediazione
della Lega Araba hanno consentito di riportare il Libano sulla via di una
progressiva normalizzazione democratica. L’intesa Qatarina ha aperto la strada
all’elezione alla Presidenza della
Repubblica del Generale Michel Suleiman e alla successiva formazione di un
Governo di Unità Nazionale (l’incarico di formare il nuovo Esecutivo è stato
conferito il 28 maggio a Fouad Siniora,
Capo del Governo uscente). Il 16
settembre 2008 si è svolta la prima
sessione del “Dialogo Nazionale” promossa dal Presidente Sleiman, che ha
riunito gli esponenti delle maggiori forze politiche libanesi allo scopo di
definire consensualmente una serie di questioni politiche determinanti per il
futuro del Paese. Il processo negoziale, che si preannuncia lungo e complesso,
si troverà ad affrontare tematiche particolarmente complesse come quelle
relative al disarmo delle milizie (legata all’elaborazione di una “strategia di
difesa nazionale”) sulla quale si registrano già notevoli divergenze tra le
varie forze politiche. Il Partito di Dio interpreta la “strategia di difesa”
come la definizione di modalità idonee a consentire una complementarietà tra le
attività delle Forze Armate Libanesi e quelle della Resistenza (che
conserverebbe dunque il proprio arsenale), mentre per gli esponenti del
"14 marzo" l'obiettivo resta quello di pervenire ad un assorbimento
delle armi e delle dotazioni logistiche di Hezbollah nel quadro statuale,
conseguendo un generale disarmo di tutte le milizie operanti in Libano.
QUADRO ISTITUZIONALE |
Sistema politico
Il Libano è una Repubblica indipendente dal 1943[11].
L'elemento più importante, però, del sistema politico libanese è il confessionalismo, ossia un assetto
istituzionale in cui l'appartenenza religiosa di ogni singolo cittadino diventa
il principio ordinatore della rappresentanza politica (parlamento e governo) e
il cardine del sistema giuridico. Anche gli incarichi amministrativi sono
suddivisi tra le differenti confessioni religiose secondo un meccanismo
predeterminato di quote riservate, che sono attribuite a ciascun gruppo in
funzione del suo peso demografico e sociale.
In
base a una convenzione costituzionale risalente al "patto nazionale"
(al-mīthāq al-watanī) del 1943, le più alte cariche dello
Stato sono assegnate ai tre gruppi principali: il Presidente della
Repubblica è
maronita, il Primo Ministro è sunnita, mentre il Presidente del Parlamento è sciita.
Gli accordi di Tā'if del 1989 non hanno modificato questo sistema, ma si
sono limitati a riequilibrare i rapporti di forza tra le confessioni maggiori,
facendo in modo che il numero di deputati musulmani fosse pari al numero di
deputati cristiani, e aumentando i poteri e le prerogative del Primo Ministro a
scapito del Presidente della Repubblica. Gli accordi di Taif prevedevano
l’eventuale eliminazione del sistema confessionale a favore dell’esperienza e la
competenza ma poco è stato fatto in questo senso. Una rilevante eccezione,
tuttavia, sono le forze armate libanesi che hanno significativamente ridotto il
ruolo del confessionalismo nella nomina e promozione degli ufficiali.
La vita politica del Libano di fatto è influenzata da poche famiglie e
dalla vicina Siria[12].
Presidente
della Repubblica
E’ eletto dall’Assemblea Nazionale ed il suo mandato dura sei anni, non rinnovabili consecutivamente. Come
già detto, il Presidente della Repubblica deve essere di confessione cristiano-maronita. Il Presidente è
Capo dello Stato e delle Forze armate; è Presidente del Consiglio Superiore di
difesa. Nomina il Presidente del Consiglio, previa consultazione del Presidente
dell'Assemblea Nazionale, sulla base di consultazioni parlamentari
obbligatorie, dei cui risultati lo informa ufficialmente. Il Presidente della
Repubblica può revocare il Presidente del Consiglio.
Promulga il decreto di nomina del Presidente del Consiglio e – in
accordo con questi – il decreto di formazione del Governo, nonché i decreti che
accettano le dimissioni dei Ministri o che dispongono la loro revoca.
Presiede il Consiglio dei ministri quando lo desidera, ma non ha potere
di voto. Ha la facoltà, di concerto con il Primo Ministro ed il Governo, di
negoziare trattati internazionali. Se tali trattati interessano le finanze
statali, il commercio, ed hanno durata pluriennale, devono essere
necessariamente approvati dall’Assemblea Nazionale. Il Presidente ha inoltre la
facoltà di sciogliere l’Assemblea Nazionale, e può rinviare una legge
all’Assemblea Nazionale affinché la riesamini. Entrambe le prerogative devono
essere esercitate in consultazione con il Governo. Il Presidente può essere
infine sottoposto a procedimento di accusa per violazione della Costituzione ed
alto tradimento. La decisione di impeachment
deve essere approvata da due terzi dei membri dell’Assemblea Nazionale. In caso
di approvazione, il Presidente è giudicato dal Consiglio supremo per il
giudizio di Presidenti e Ministri.
Governo
Il Capo del Governo è il
Presidente del Consiglio dei Ministri (musulmano sunnita), responsabile
dell’esecuzione della politica generale delineata dal Consiglio dei Ministri.
Il Presidente del Consiglio:
-
Presiede
di norma il Consiglio dei Ministri;
-
è Vice
Presidente del Consiglio Superiore di difesa;
-
svolge
le consultazioni parlamentari per formare il nuovo governo, il cui decreto di formazione
controfirma con il Presidente della Repubblica; entro 30 giorni dalla
pubblicazione del decreto, il Governo si presenta alla Camera per ottenerne la
fiducia, senza la quale non può esercitare i suoi poteri;
-
espone
la politica generale del Governo davanti alla Camera;
-
controfirma
con il Presidente della Repubblica tutti i decreti, ad eccezione di quello che
lo designa Capo del Governo e di quello che accetta le dimissioni del Governo;
-
firma i
decreti di promulgazione delle leggi e di rinvio per una seconda lettura;
-
convoca
il Consiglio dei Ministri e ne stabilisce l’ordine del giorno, informandone
preliminarmente il Presidente della Repubblica;
-
assicura
il coordinamento tra i Ministri e impartisce le direttive generali per
garantire il buon andamento dei lavori
I Ministri sono responsabili del proprio
operato dinanzi all’Assemblea Nazionale. Il
Governo deve essere per metà musulmano e per metà cristiano.
Parlamento
Il potere legislativo spetta all'Assemblea Nazionale (Majlis al-Nuwab), composta di 128 parlamentari, eletti per quattro anni. I parlamentari, secondo
un complesso meccanismo elettorale, che risponde a criteri geografici e
religiosi, sono divisi equamente tra
cristiani e musulmani. Ai musulmani
sciiti spetta la carica di Presidente
dell’Assemblea Nazionale.
Si
ricorda, infatti, che i seggi vengono ripartiti su base confessionale, con una
rappresentanza di 64 seggi a testa tra Cristiani e Musulmani. Ogni confessione
ha un numero di posti in Parlamento che sono predeterminati: in tal modo ai
Cristiani maroniti sono destinati 34 seggi; ai Sunniti ed agli Sciiti 27 seggi
a testa; ai Greco-ortodossi 14 seggi; ai Drusi ed ai Greco-cattolici 8 seggi
ognuno; agli Armeni ortodossi 5 seggi; agli Alawiti 2 seggi ed alle altre
comunità cristiane 3 seggi.
Il Paese è diviso in 5
grandi Governatorati, a loro volta suddivisi in vari collegi elettorali, in
ognuno dei quali i seggi destinati alle varie confessioni sono già
prestabiliti. Ogni elettore può votare per tutti i seggi disponibili nel
proprio collegio elettorale ma, per ogni posto, ogni candidato ha come
avversari solo candidati appartenenti alla stessa confessione. In tal modo
coloro che concorrono per l’assegnazione dei seggi devono riuscire non solo ad
ottenere i consensi dei propri correligionari, ma anche quelli degli
appartenenti alle altre confessioni; con questo sistema si mira a dare un
vantaggio ai candidati più moderati all’interno di ogni gruppo confessionale,
tentando di ridurre al minimo le tensioni interconfessionali e di massimizzare
il livello di dialogo tra le diverse comunità religiose.
A seguito delle elezioni del 7 giugno 2009, la composizione del Parlamento risulta
la seguente:
ALLEANZA:
|
BLOCCO/PARTITO: |
SEGGI: |
TOTALE: |
|
14 MARZO |
Blocco del Futuro (Hariri) |
28 |
68 |
|
Movimento democratico (Joumblatt) |
10 |
|||
Forze Libanesi (Geagea) |
5 |
|||
Kataeb (Gemayel) |
5 |
|||
Blocco di Tripoli (Safadi) |
3 |
|||
Nazionalisti Liberi (Dory Chamoun) |
1 |
|||
Jamaa Islamica |
1 |
|||
Altri pro 14 marzo |
15 |
|||
Indipendenti |
Circoscrizione di Tripoli |
2 |
3 |
|
|
Circoscrizione di Metn |
1 |
|
|
8 MARZO |
Cambiamento e riforma (Aoun) |
19 |
57 |
|
Liberazione e sviluppo (Berri) |
13 |
|||
Fedeltà alla Resistenza (Hezbollah) |
12 |
|||
Marada (Frangieh) |
3 |
|||
Baath |
2 |
|||
Tashnag (Armeni) |
2 |
|||
Partito naz. Sociale Siriano |
2 |
|||
Blocco Arslan |
1 |
|||
Azione Islamica |
1 |
|||
Altri pro 8 marzo |
2 |
|||
TOTALE
GENERALE |
|
|
128
|
|
FOCUS |
Le elezioni del 7 giugno
Le elezioni svoltesi hanno visto sfidarsi le due coalizioni denominate,
rispettivamente, Fronte 14 marzo e
Fronte 8 marzo, la prima delle quali filo occidentale, mentre la seconda
filo siriana e filo iraniana. Il risultato finale è stato di 71 seggi nel complesso per la
coalizione Fronte 14 marzo, guidata da Saad
Hariri, e 57 seggi per la
coalizione Fronte 8 marzo, i cui principali leaders
sono Berri, Aoun e Nasrallah.
Elemento interessante è rappresentato dalla elevata percentuale di
partecipazione al voto: ha votato il 55%
del totale degli elettori (più 4,2% rispetto al 2005). Sembra quindi che il
Paese che si sia comunque mobilitato e lo abbia fatto nella maniera più
partecipata dalla fine della guerra civile ad oggi. Il Libano nel suo complesso
sembra quindi chiedere stabilità, accettando che la contesa si trasferisca
dagli scontri di strada alle aule parlamentari.
Lo stesso Hariri ha affermato che “queste elezioni non hanno vincitori o
sconfitti, perché l'unico vincitore è la democrazia, il più grande vincitore é
il Libano”.
Un elemento di novità del risultato elettorale è rappresentato dall’impasse del risultato del partito
cristiano maronita dell’ex generale Michel
Aoun, alleato di Hezbollah nel Fronte 8 marzo. Il risultato ha deluso in
particolare nel collegio di Zahleh, dove Aoun è stato sconfitto ad opera di
Samir Geagea, membro del Fronte 14 marzo.
Alcuni osservatori sostengono che
Aoun è stato intralciato in qualche modo anche dall’impegno diretto nella
contesa elettorale da parte del Patriarca
Maronita Boulos Nasrallah Sfeir, il quale ha poi commentato il risultato
elettorale felicitandosi che il Paese non
sia stato consegnato nelle mani di Damasco e Teheran.
Il LMP di Aoun ha tuttavia mantenuto i suoi 19 seggi totali e, insieme
ai suoi alleati cristiani collaterali (il Blocco
per
I due partiti cristiani collocati nel Fronte 14 marzo hanno invece
conseguito un buon risultato: si tratta di due storici partiti cristiani, il Kataeb (legato ai Gemayel) e le Forze Libanesi di Samir Geagea. Essi hanno conseguito 5
seggi a testa.
Ai
due partiti sciiti, (Amal, il partito di Berri, e Hezbollah, il partito di Nasrallah),
membri dell’Alleanza 8 Marzo, sono
andati rispettivamente 13 seggi e 12
seggi.
Nasrallah si è felicitato con i vincitori,
pur lamentandosi per l’impegno diretto nelle elezioni del Patriarca maronita. Amal, il partito di Berri, si è
confermato come primo partito sciita ed ha immediatamente rivendicato la
rielezione di Nabih Berri a Presidente del nuovo parlamento, come poi avvenuto.
Il leader
druso Walid Joumblatt, membro del
Fronte 14 marzo, ha visto una moderata flessione del suo risultato. Egli, già
prima delle elezioni si era espresso per
una apertura nei confronti di esponenti
moderati della coalizione avversa (ovvero Berri) e per un disgelo nei
confronti della Siria.
Nella circoscrizione di Beirut, su 19 seggi totali
in palio, la coalizione 14 Marzo ne ha
ottenuti 17, mentre gli altri due sono andati alla coalizione 8 marzo.
I commentatori politici hanno formulato
alcune riflessioni circa le ricadute del risultato elettorale sulla influenza
di Siria e Iran nell’area. Secondo
alcuni commentatori, osservando il risultato conseguito da Aoun e Nasrallah,
sembra potersi concludere che il generale Aoun esca penalizzato dalle elezioni,
perché ha potuto mantenere il totale dei suoi seggi solo grazie all’appoggio
sciita. Il leader di Hezbollah,
Nasrallah, può invece sostenere di avere mantenuto sostanzialmente integra la
sua forza politica. I due leaders vengono
accreditati come vicini, rispettivamente, a Siria e Iran: in questo modo può
introdursi l’ipotesi che le elezioni ridimensionino l’influenza di Damasco e mantengano inalterata quella
di Teheran. Questa ipotesi potrà
subire un ulteriore vaglio alla luce degli sviluppi della situazione interna in Iran.
Il Ministro degli Affari esteri, Frattini,
ha valutato positivamente l’esito e le modalità con le quali si è svolta la
consultazione elettorale, aspetti che, a suo dire, vanno nella direzione della
stabilizzazione del Paese.
Il capo della diplomazia italiana si
è detto "certo che la coalizione vincente potrà garantire il rafforzamento
della cooperazione con l'Occidente, l'Unione europea e l'Italia, sotto la guida
del presidente Michel Suleiman che apprezziamo grandemente”. Per quanto
riguarda l’impegno dei militari italiani
nel paese il Ministro ha aggiunto che “l'Italia non farà mancare il suo
sostegno alla stabilizzazione del Paese grazie alla missione UNIFIL, sotto la
guida del generale Claudio Graziano”.
Il 25 giugno 2009, Nabih Berri è stato rieletto Presidente
del Parlamento libanese, grazie anche ai voti del partito di Hariri. Con 90
voti su 127 (il Parlamento è composto di 128 seggi e vi era un deputato
assente), il neoeletto Parlamento libanese ha eletto a Beirut, per la quinta
volta consecutiva, il leader sciita Nabih Berri Presidente dell'Assemblea, che
secondo il sistema confessionale locale deve appartenere alla comunità
musulmana sciita.
Berri, leader del partito sciita Amal, alleato del movimento
filo-iraniano Hezbollah, e' alla quinta legislatura in parlamento dal 1990. E'
uno degli esponenti di spicco dell'opposizione libanese, sostenuta da Iran e
Siria, che nelle elezioni del 7 giugno scorso ha perso, per 13 seggi, contro la
passata e attuale maggioranza.
L'elezione di Berri era stata largamente
prevista dopo che tutti i leader dei blocchi parlamentari avevano annunciato,
secondo lo spirito di ''democrazia consensuale'', di voler confermare il leader
sciita alla seconda carica dello Stato, dopo quella del presidente della
Repubblica (cattolico-maronita) e prima di quella del premier (musulmano
sunnita).
Si rappresenta
infine che l’Alto Rappresentante della
UE per
La formazione del nuovo esecutivo
Dopo l'elezione di Berri, il Presidente della Repubblica libanese,
Michel Suleiman ha avviato il 26 giugno le consultazioni
per la formazione del nuovo esecutivo e il giorno seguente ha conferito a Saad Hariri – figlio
dell'ex primo ministro Rafic ucciso in un attentato a Beirut, e leader della
coalizione 14 marzo, che ha vinto le elezioni – la nomina a Presidente del Consiglio.
Quattro anni dopo l'assassinio del padre
Rafik, il figlio Saad Hariri, vicino all'Arabia Saudita e gradito agli Usa, ne
raccoglie oggi pienamente l'eredità politica. Morto il padre, che era stato per
cinque volte primo ministro, è apparso subito chiaro che lo scettro della
politica sarebbe passato a Saad, che però non riteneva di avere ancora
l'esperienza necessaria e ha dedicato questi anni a guidare con successo il
Movimento per il Futuro, il partito moderato filo occidentale fondato dal
padre, che ha vinto le elezioni nel 2005 e nel 2009. Il difficile incarico di
Primo Ministro è stato intanto assunto da Fuad Siniora, stretto collaboratore
di Rafik Hariri.
A favore della sua nomina - approvata a grande maggioranza dal
Parlamento (86 voti a favore su 128)
- hanno votato tutti i deputati della sua coalizione più quelli del movimento
sciita Amal, il cui leader è il Presidente del Parlamento Nabih Berri (rieletto
per la quinta volta anche grazie ai voti del partito di Hariri). Si sono invece
astenuti i parlamentari di Hezbollah e del movimento cristiano di opposizione
del generale Michel Aoun.
“Sarà un governo omogeneo e di
consenso, in linea con i principi costituzionali. (…) Inizieremo le consultazioni
con tutti i blocchi parlamentari sulla base del nostro impegno in favore di un
governo di unità nazionale, nel quale tutti i principali blocchi siano
rappresentati, e che sia armonioso e operativo", ha dichiarato Hariri,
subito dopo aver ricevuto l'incarico di formare il nuovo esecutivo.
“In questa missione - ha aggiunto Hariri - tendo le mani ai nostri
partner nel Paese, assicurando che ascolteremo le loro voci e terremo conto dei
loro interessi”. Il riferimento implicito e' all'opposizione, guidata dal
movimento sciita filo-iraniano Hezbollah, sostenuta anche dalla Siria.
Nabih Berri ha spiegato di aver
appoggiato la nomina di Hariri a condizione che il nuovo premier formi un
governo di unità nazionale: "Voglio vedere un governo formato da
maggioranza e opposizione”. Anche Hezbollah vuole entrare a far parte di un
governo di unità nazionale, ma la maggioranza non vuole che la minoranza
disponga di un potere di veto, come è stato nel governo di unità nazionale attualmente
in carica, guidato da Fouad Siniora. Peraltro, in un eventuale governo formato
da 30 dicasteri (assegnati metà a musulmani sunniti e sciiti e metà a
cristiani), secondo fonti di stampa, l'opposizione chiede di fatto dieci
poltrone, ossia 'un terzo di garanzia' che, in base ad una convenzione mai
sancita dalla Costituzione, assicurerebbe a Hezbollah e ai suoi la possibilità
di bloccare decisioni poco gradite prese dalla maggioranza.
Prima dell'annuncio del nuovo esecutivo potrebbero, quindi, passare
alcuni giorni, necessari a svolgere i negoziati con gli alleati, per conciliare
posizioni assai distanti. Si tratterà, infatti, di far convivere nell'esecutivo di 'unita' nazionale' le numerose anime
politiche del Paese: gli alleati della Siria, dell’Arabia Saudita, di
Teheran e quelli di Washington, accanto a qualche tecnocrate 'indipendente'.
Ad esempio, la legittimità dell'arsenale
della milizia sciita anti-israeliana, messa in discussione da Washington, è la
prima delle questioni - secondo il Partito di Dio - su cui il governo di Beirut
non dovrà mai pronunciarsi.
Intanto giungono dall'estero
le prime reazioni di approvazione alla nomina di Hariri. "Saremo onorati
di lavorare con lui e con il suo governo" ha dichiarato il portavoce del
Dipartimento di Stato Usa, Philip
Crowley. Anche
Anche il Presidente della Repubblica francese, Nicolas Sarkozy, ha elogiato la designazione di
Saad Hariri, che "arriva al termine dell'eccellente svolgimento delle
recenti elezioni politiche che hanno testimoniato la forza della democrazia
libanese". Sarkozy ha assicurato ad Hariri "la prosecuzione del
sostegno pieno e determinato della Francia a favore della sovranità, della
stabilità e della prosperità del Libano".
Dopo l’incarico ad Hariri, il 28 giugno si sono verificati scontri
armati nella zona ovest di Beirut tra i sostenitori del Partito sciita Amal
del presidente del Parlamento Nabih Berri e i sunniti del "movimento del
futuro" del premier designato Saad Hariri. Durante gli scontri una donna è
rimasta uccisa. In serata l'esercito libanese è riuscito a riportare una calma
relativa nella zona.
La radio Voce del
Libano ha precisato che in seguito al massiccio dispiegamento di militari, 'una
calma tesa regna ora ad Aisha Bakkar', centrale quartiere a maggioranza sunnita
della capitale, luogo degli scontri. L'agenzia ufficiale libanese Nna riferisce
inoltre che, per il timore che le violenze possano riesplodere anche in altri
quartieri di Beirut, i soldati dispiegati nella capitale hanno ricevuto
l'ordine di sparare a vista a qualunque individuo imbracci un'arma.
Il Tribunale Internazionale per il Libano
Alla fine del 2005, i risultati della Commissione internazionale
d’inchiesta portarono all’arresto di alti responsabili delle Forze dell’Ordine
e dei Servizi di Sicurezza libanesi attualmente detenuti nel quadro
dell’indagine in corso da parte della Commissione Brammertz. Si tratta di Moustapha
Hamdane, Capo della sicurezza del Presidente della Repubblica; Jamil El Sayyed,
Direttore Generale dei Servizi di sicurezza; Ali El Hajj, Capo della Polizia;
Raymond Azar, Capo dei servizi di sicurezza militari.
Il 30 maggio 2007 si è
giunti all’adozione della Risoluzione 1757, con cui è stata stabilita la
creazione di un Tribunale di natura
internazionale, al fine di giudicare coloro che sono stati incriminati in
relazione all’omicidio di Hariri. Il CdS ha previsto che il Tribunale comincerà
i suoi lavori in una data che sarà determinata dal Segretario Generale, dopo
aver sentito il governo libanese, in base ai progressi della commissione di
inchiesta sull'omicidio Hariri. Il
tribunale sarà
formato da due collegi: uno di primo grado composto da tre giudici, un libanese
e due stranieri; e uno d'appello comprendente cinque magistrati, di cui due
libanesi. Per ragioni di sicurezza, la sede sarà situata al di fuori del
territorio del Paese dei Cedri; tra gli Stati candidati a ospitare il tribunale
ci sono Cipro, l'Olanda e anche l'Italia. L’attuazione della Risoluzione in
questione ha fatto progressi. In occasione delle consultazione del CdS sull’istituzione del Tribunale (28 marzo
2008) è stato espresso il sostegno unanime al processo istitutivo, che ormai
appare irreversibile.
Tale Tribunale, denominato Tribunale
Speciale per il Libano – TSL - si è poi costituito, e si è insediato il primo marzo
L'ufficio del procuratore del Tribunale
Speciale per il Libano (Tsl) che sta indagando sull'assassinio dell'ex
primo ministro Rafik Hariri, ha aperto il 25 giugno 2009 un sito web criptato per chiunque abbia e
intenda fornire informazioni rilevanti all'inchiesta.
I diritti umani
In generale il quadro relativo al rispetto dei
diritti umani nel Paese mostra alcuni elementi di criticità, in particolar modo
per quanto concerne le condizioni delle carceri, la situazione dei rifugiati
palestinesi e dei lavoratori migranti. Ai rifugiati palestinesi
vengono negati l’accesso al mondo del lavoro, l’assistenza sanitaria, i servizi
sociali e l’assistenza legale, mentre ai lavoratori migranti viene negata la
protezione legale.
Per quanto riguarda il sistema carcerario, la situazione degli istituti
di pena libanesi non garantisce ai detenuti trattamenti conformi agli standard
internazionali, e sono numerose le segnalazioni di casi di abusi e di uso della
tortura ad opera delle forze di sicurezza. Per quanto riguarda la libertà di
associazione, nel Paese sono attive numerose ONG, soggette però, insieme agli
attivisti per i diritti umani, a gravi intimidazioni e pressioni.
Sebbene le libertà di stampa e di espressione
siano garantite dalla Costituzione, il Governo libanese in realtà esercita
pressioni sui giornalisti e sulle emittenti radiotelevisive dando luogo a forme
di autocensura.
Poi, non mancano, tuttavia, segnali
incoraggianti come il nuovo
Codice Penale che recepisce i più moderni principi di tutela dei diritti civili
individuali e collettivi. Viva soddisfazione è stata espressa dalla
Commissione Diritti umani.
Si deve, inoltre, segnalare la recente abrogazione della Legge 302/1994,
che impediva ai giudici di prendere in considerazione le circostanze attenuanti
e rendeva nei fatti più facile la comminazione delle condanne a morte. Il nuovo Codice riduce inoltre i poteri della
Procura Generale e della Polizia Giudiziaria, che spesso avevano lasciato a
desiderare sul piano delle garanzie dell’habeas corpus.
La moratoria de facto delle esecuzioni capitali, stabilita nel 1998, è stata sospesa nel gennaio 2004 con tre condanne capitali e successivamente ripristinata.
La risoluzione ONU 1559
In seguito all’approvazione
(il 28 agosto 2004) da parte del Consiglio dei Ministri libanese del disegno di
legge per la revisione dell’art.49 della Costituzione - che fa divieto al
Presidente uscente di essere rieletto o prorogato - il CdS ha adottato il 3 settembre 2004 la risoluzione proposta da Stati Uniti, Francia,
Germania e Regno Unito sulla questione dell’ ingerenza siriana in Libano, con
particolare riguardo al processo elettorale presidenziale. Nel testo si
riafferma il rispetto della sovranità libanese, si chiede il ritiro delle
“remaining forces”nel Paese e si dichiara l’appoggio del CdS ad un processo
elettorale “free and fair”. La
risoluzione, che non ha conseguenze pratiche, poiché nel testo manca ogni
riferimento a sanzioni, è stata accolta da parte siriana ed in Libano, tra i
sostenitori del Presidente Lahoud, come una violazione del principio di non
ingerenza negli affari interni di un Paese.
Il
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite chiede che tutte le rimanenti forze
militari straniere presenti in Libano abbandonino il Paese, chiede il disarmo e
lo scioglimento delle milizie libanesi e straniere presenti in Libano, supporta
l’estensione del controllo del Governo di Beirut a tutto il territorio
nazionale e annuncia il suo supporto affinché le prossime elezioni
presidenziali in Libano siano libere e giuste, in accordo con il dettato della
Carta Costituzionale libanese, senza interferenze o influenze di Paesi
stranieri”.
La discussione in seno al
Consiglio di Sicurezza sul Rapporto del Segretario Generale
sull’applicazione della risoluzione 1559 si è conclusa il 17 maggio 2006
con l’adozione della UNSCR 1680 che fa riferimento allo stabilimento delle
relazioni diplomatiche e della demarcazione dei confini tra Siria e Libano,
argomenti peraltro non contemplati dalla stessa UNSCR 1559. Secondo i siriani,
la risoluzione non contiene invece alcun cenno alla disponibilità dimostrata da
Damasco a stabilire in futuro le relazioni diplomatiche con il Libano, né al
comportamento costruttivo tenuto negli ultimi tempi dalla Siria sui diversi versanti
(dal ritiro delle truppe dal Libano all’interruzione del traffico di armi
clandestine dalla Siria). Soddisfazione è stata
invece espressa dal Governo libanese, dai partiti dell’Alleanza del 14 marzo,
che hanno lottato per il riacquisto della piena sovranità libanese, e dal
Patriarca maronita, Nasrallah Sfeir.
POLITICA ESTERA |
Israele
L’intervento armato israeliano nell’estate del
Il principale ostacolo al miglioramento dei
rapporti rimane il problema delle fattorie
di Chebaa, le alture alle pendici del Monte Hermon sottratte da Israele al
Libano nel
Siria
A seguito del ritiro
delle truppe siriane, ufficialmente
completato il 26 aprile 2005, restano molte le questioni da risolvere,
tra cui la demarcazione delle frontiere ed il ristabilimento di normali
relazioni diplomatiche. Damasco
continua a negare tassativamente le indiscrezioni circolanti sui
presunti trasferimenti di armi ad Hezbollah dal confine terrestre siriano,
invitando a fornirne le eventuali prove.
Un passo avanti
nella qualità delle relazioni tra i due paesi è rappresentato dalla recente
formalizzazione della decisione delle due Capitali di procedere allo stabilimento di relazioni diplomatiche,
fissate con un Decreto presidenziale del Presidente siriano (14 ottobre 2008).
È un atto significativo, il primo dalla nascita nel 1943 della Repubblica
Libanese, in termini di formale riconoscimento, da parte siriana,
dell'esistenza del Paese dei Cedri come Stato indipendente e sovrano. Va
ricordato come l'aspirazione a relazioni fraterne tra Libano e Siria basate sul
mutuo rispetto della sovranità e delle frontiere, nonché sull' istituzione di
relazioni diplomatiche, aveva rappresentato passaggio qualificante del discorso
di investitura pronunciato dal Capo dello Stato libanese in Parlamento lo
scorso 26 maggio. A livello politico, anche esponenti di spicco della
maggioranza non hanno nascosto apprezzamento per il segnale offerto dal vicino
Paese con il decreto. È da notare come la dirigenza siriana punti anche ad un
"successo d’immagine", attraverso un riconoscimento esplicito da
parte della Comunità Internazionale dell'importanza del gesto compiuto con il
provvedimento.
Palestina
La questione dei rifugiati palestinesi in Libano costituisce
un altro problema con cui si deve confrontare il Governo. I rifugiati
registrati all'UNWRA sono 300.000 ripartiti in numerosi campi: non hanno
diritto al lavoro né alla cittadinanza[14] e vivono nei campi profughi sparsi per il Paese in
un stato di indigenza e frustrazione, oltre che in una sorta di limbo tra
impunità assoluta ed anarchia. Il Libano, ritenendoli una minaccia per la
stabilità interna, rifiuta categoricamente il loro stabilimento permanente sul
proprio territorio; la loro presenza ha costituito una delle cause della guerra
civile[15].
Un segnale
positivo sembra venire dalla fine della crisi al campo profughi palestinese di Nahr al-Basred, in gran parte devastato
dai tre mesi di battaglia tra l'esercito e i miliziani filo al-Qaida del gruppo
integralista Fatah al-Islam. L’intento di Siniora è quello di fare della
ricostruzione di Nahr al-Basred un punto di partenza per cambiare radicalmente
i rapporti con i Palestinesi.
Peraltro, il 19
giugno 2009, il Centro di ricerca canadese per lo sviluppo internazionale
(IDRC) ha affermato che i ritardi nella
ricostruzione del campo profughi
palestinese di Nahr al Bared, nel nord del Libano, mettono a rischio il fragile
equilibrio tra rifugiati e governo libanese. Nell'ultimo rapporto dell'Idrc si
legge, infatti, che degli oltre 200 milioni di dollari richiesti per la
ricostruzione, avviata nel marzo scorso, solo 67 sono stati fino ad oggi
stanziati da donatori internazionali.
Dei circa 30.000 palestinesi che abitavano il campo, non piu' di 5.000
vi potranno fare ritorno. Cio' non accadra' prima di un anno, quando si pensa
che sarà ricostruito almeno uno degli otto settori dell'area. Negli scontri
dell'estate 2007, sono morte oltre 400 persone, di cui circa 220 miliziani, 155
soldati e una quarantina di civili.
Turchia
Il 4 gennaio
2007 il Primo Ministro turco Recep Tayyip Erdogan si è recato in visita a
Beirut per incontrare Fouad Siniora, l’allora Presidente della Repubblica,
Emile Lahoud, il Presidente del Parlamento, Nabih Berri, e alcuni rappresentanti
della maggioranza e dell'opposizione (Saad Hariri, Walid Joumblatt e il
deputato Hezbollah, Mohammad Raad). Nel corso della visita Erdogan ha voluto
mantenere un atteggiamento di equidistanza rispetto ai due opposti
schieramenti. Riferendosi alla crisi politica libanese, il Primo Ministro turco
ha dichiarato che il suo paese e' pronto a svolgere un ruolo di mediazione,
"qualora tutte le parti ne facciano richiesta". Una disponibilità,
quella dimostrata da Erdogan che, se pur apprezzata, non pare tuttavia
destinata ad avere seguiti operativi, almeno sul piano strettamente interno.
La posizione turca resta, pertanto, favorevole alla
ricerca quanto prima possibile di una soluzione consensuale agli attuali
problemi, anche perché un eventuale conflitto interno potrebbe essere
devastante non solo per il Libano, ma per tutta la regione.
Iran
Si registra un’intensa
attività politica tra Teheran e
Beirut, caratterizzata da un elevato numero di visite ad alto livello e
da intese sul coordinamento nel settore militare, politico ed economico, forse,
anche a fini elettorali (tali incontri dimostrano il continuo appoggio ad
Hezbollah). L’Iran ha sempre guardato al Libano come ad un paese dove fosse
possibile esportare il modello khomeinista. Il legame tra i due Paesi potrebbe
tuttavia allentarsi, nel quadro di una “svolta nazionale” del movimento sciita
libanese e di una sua trasformazione in movimento politico più che militare.
Relazioni con l’Unione europea
Le
relazioni tra l’Unione Europea e il Libano si inquadrano nel contesto del
Partenariato Euro-Mediterraneo, il cosiddetto “Processo di Barcellona”, il cui volet economico e finanziario prevede
l’instaurazione di una zona di libero scambio euro-mediterranea, entro il 2010,
attraverso Accordi Euro-Mediterranei di Associazione (AEMA) sottoscritti con i
singoli Paesi dell’area.
L’AEMA tra l’Unione Europea e il Libano è stato firmato a
Lussemburgo il 17 giugno 2002, ed è entrato in vigore il 1° aprile 2006.
Esso sostituisce l’Accordo interinale applicato dalle parti fin dal 1°
marzo 2003 che rendeva operative le disposizioni economiche e commerciali
previste dall’AEMA1, e permettendo alla maggior parte dei manufatti e dei
prodotti agricoli libanesi il libero acceso al mercato europeo.
L’AEMA prevede
inoltre l’istituzione di meccanismi di dialogo politico ed una cooperazione
approfondita nei settori più diversi (anche attraverso gemellaggi istituzionali
o twinning), dall’istruzione e la
cultura alla lotta alla criminalità organizzata, alla droga e all’immigrazione
clandestina. Contestualmente alla firma dell’AEMA, le Parti hanno concluso un Accordo
specifico e separato, nella forma di scambio di lettere, in materia di
cooperazione nella lotta al terrorismo, impegnando le Parti ad un regolare
scambio di informazioni su organizzazioni terroristiche e sulle modalità per
contrastare le loro attività.
Le relazioni con il Libano si inquadrano anche nella Politica Europea
di vicinato (PEV).
I negoziati per la conclusione di un Piano d’Azione (PdA), lo strumento
che assicura la concreta attuazione di tale strategia, sono stati avviati il 6
aprile 2006 e si sono conclusi, dopo due sole tornate negoziali, il 25 maggio
2006. Il Piano riafferma l’impegno libanese ad onorare gli impegni assunti in
materia di riforme.
L’assistenza dell’Unione Europea al Libano si
incardina su una strategia di lungo periodo (2007-2013), fissata nell’ambito
del nuovo Strumento Europeo di Vicinato
e Partenariato (ENPI). Tale strategia ha, evidentemente, subito notevoli
integrazioni per rispondere alle contingenti esigenze di ricostruzione
post-bellica a seguito del conflitto dell’estate scorsa.
Durante
Gli aiuti serviranno principalmente al sostegno
alle riforme politiche ed economiche, incluse le attività volte a facilitare
l’attrazione degli investimenti esteri, nonché all’assistenza alla
ricostruzione delle infrastrutture colpite dai bombardamenti e alle attività di sminamento e bonifica
degli ordigni inesplosi.
A questi fondi sono da aggiungere i prestiti
agevolati della Banca europea per gli
investimenti (BEI) e della Banca Mondiale, che si sono impegnate insieme per
una somma pari a più di 2
miliardi di dollari.
PRINCIPALI INDICATORI ECONOMICI |
|
PIL,
a parità di potere d’acquisto |
44,05 miliardi di dollari |
Composizione per settore |
Industria 19,1%, Agricoltura 5,1%, Servizi
75,8% |
Crescita PIL |
4,4% |
PIL pro capite |
11,100 dollari |
Inflazione |
12% |
Disoccupazione |
20% |
Debito estero |
34,48 miliardi di dollari |
Il conflitto di luglio–agosto
1. Andamento
congiunturale
Il 2008 è stato per l’economia libanese l’anno
della “schiarita” (se si considerano la recessione del 2006 e il faticoso
recupero del 2007), caratterizzato da una congiuntura favorevole che ha
consentito una crescita del PIL superiore al 6%. Inoltre, la tregua politica sancita con
l’Accordo di Doha ha creato le condizioni per il rilancio del turismo, degli
investimenti e per il consolidamento della ripresa del settore immobiliare, che
sono i comparti di fondamentale importanza per lo sviluppo del Paese.
Il Libano continua a dimostrare una straordinaria
capacità di gestione degli squilibri strutturali interni, dovuta principalmente
a tre fattori: la percezione della garanzia offerta dai donatori internazionali
che, assicurando il loro sostegno finanziario, dimostrano fiducia nelle
possibilità di ripresa del Paese; la continuità nel pagamento dei debiti
contratti; la solidità del sistema finanziario che garantisce investimenti e
risparmi (il 25% del PIL è costituito dalle rimesse dei libanesi all’estero).
Il Libano è inoltre stato in grado di fronteggiare la crisi finanziaria
mondiale dell’autunno 2008, grazie ad un continuo e accresciuto flusso di
depositi nelle sue banche (considerate più affidabili e meno esposte rispetto
alle istituzioni finanziarie di altri Paesi), all’introduzione da parte della
Banca Centrale di condizioni di credito restrittive al fine di scoraggiare ogni
forma di speculazione e al divieto di investire in derivati. Si potrebbe
pertanto parlare di “immunizzazione” del sistema finanziario libanese, che
sembra addirittura aver beneficiato della situazione.
Tuttavia, permangono le incertezze sulle probabili
ripercussioni nel medio e lungo termine dovute sia al rallentamento delle
economie dei Paesi del Golfo sia ai contesti interno e regionale ancora
altamente instabili, che inducono a formulare previsioni meno ottimistiche per
il 2009/2010. Le prospettive di crescita dell’economia libanese rimangono
comunque strettamente legate al ruolo svolto dal sistema bancario.
L’economia libanese ha dimensioni modeste e ha il
suo punto di forza nel settore dei servizi che rappresenta il 75% del PIL
nominale del Paese. Per uno sviluppo duraturo sarebbero pertanto necessarie
riforme strutturali a favore dei settori produttivi, in primo luogo per quello
dell’energia, che consentano anche la valorizzazione delle risorse umane
presenti nel Paese e di arginare il numero di emigrati che ha raggiunto una
quota pari al 20% della popolazione residente. Sarebbe inoltre auspicabile un
rafforzamento del partenariato tra il settore pubblico e quello privato, sia ai
fini dell’adozione di una strategia di sviluppo coerente che per un miglior
utilizzo delle risorse finanziarie (anche di quelle messe a disposizione dai
donatori) destinate agli investimenti. Per il 2008, si stima che il deficit
pubblico abbia raggiunto il 20% del PNL.
Il settore del turismo, che ha un peso dell’11%
sull’economia libanese ed occupa circa 140.000 lavoratori, ha subito un danno
importante a causa del conflitto: il
Il settore agricolo, della pesca e forestale hanno avuto grosse perdite a seguito del conflitto del 2006. I danni diretti hanno riguardato le colture, gli allevamenti e le attrezzature agricole. Più importanti sono stati i danni indiretti in termini occupazionali e di mercato[16].
Il settore industriale ha subito anch’esso
perdite importanti. Secondo un rapporto commissionato dal Ministero
dell’Industria libanese, risulta che i danni sono valutati a circa 180,5
milioni di dollari relativamente a 192 stabilimenti industriali colpiti durante
il conflitto. Di questi, 114 sono stati completamente danneggiati, mentre 78
sono quelli che hanno subito danni parziali.
Nel settore delle costruzioni, è stata registrata,
per il 2007, una crescita del 4% del numero dei permessi di costruzione. Questo
aumento è stato determinato dalle attività di ricostruzione delle
infrastrutture e degli immobili danneggiati durante il conflitto. E’ comunque
il settore, oltre a quello finanziario, che ha mantenuto un certo dinamismo
anche nel corso del 2008.
L’attività portuale che indicava, per il 2007, una
crescita generale del 26% del tonnellaggio arrivato a Beirut, ha registrato,
nel 2008, un leggero aumento del numero di container destinati
all’import/export, ma anche una diminuzione di quelli destinati al
transshipment in ragione ai minori costi di transito praticati dagli altri
porti dei Paesi limitrofi.
Il debito pubblico
lordo del Paese ha raggiunto, a fine 2008, il valore di 47 miliardi di dollari
(+11,9% rispetto al 2007), con un peso sul PIL pari al 164%, ed è così
composto: debito interno 25,9 miliardi (+24,5% rispetto al 2007), debito estero
21,1 miliardi (-0,4% rispetto al 2007). Le banche commerciali detengono il
62,3% del debito interno, mentre
4.
Privatizzazioni
Sono state espletate le procedure per l’assegnazione della
gestione e sviluppo delle due reti di telefonia mobile. La società classificata
per gestire la rete Cellis è risultata la tedesca DETECOM (nel cui capitale ha
partecipazione maggioritaria
Ci sono buone prospettive per gli investimenti nel settore
della telefonia mobile se si considera che il Libano, come gli altri paesi
MENA, ha registrato un tasso di crescita del settore delle telecomunicazioni
tra i più alti al mondo.
A queste misure ne saranno introdotte altre per
liberalizzare maggiormente l’economia (concorrenza, tutela del consumatore,
tutela della proprietà intellettuale ed antipirateria, anti-dumping)
conformemente all’obiettivo di accedere all’OMC e rendere il Libano attraente
per gli investimenti stranieri.
Per la privatizzazione dei settori dell’energia e
di quello idrico sono in fase di completamento gli studi preliminari. In
particolare, la necessita’ di privatizzare il colosso statale Electricite’ du
Liban (EdL) e’ ormai diventata di fondamentale importanza per il Paese, se si
considera che le perdite dell’azienda sono superiore ad 1/3 del debito pubblico
libanese. Sempre per quanto riguarda il settore elettrico, si prevede il
collegamento del Libano alla rete elettrica regionale che già comprende Siria,
Giordania ed Egitto. Grazie a tale allacciamento, la precaria situazione della
produzione e distribuzione di energia elettrica dovrebbe migliorare
sensibilmente.
La privatizzazione dei porti di Beirut e Tripoli
avverrà invece per settori (turistico, commerciale, area silos, ecc.), ma
saranno comunque necessari ulteriori interventi statali per rendere più
appetibile l'investimento.
5. Relazioni economiche e commerciali
con i principali paesi partner
Investimenti esteri (IDE)
Il Libano è caratterizzato da una legislazione
economica aperta, e storicamente rappresenta il centro di attività commerciali
attorno al quale ruota l’intera area mediorientale. E’ un importatore netto e,
pertanto, la sua bilancia commerciale è tradizionalmente deficitaria.
Lo scopo primario del Governo è quello di attrarre
capitali per finanziare la ricostruzione del Paese. Non vi sono restrizioni ai
movimenti di capitali sia in entrata che in uscita dal Paese, e sono previste
agevolazioni ed esenzioni a seconda della natura e dell’entita’ degli
investimenti.
Secondo il rapporto dell’Inter Arab Investment
Guarantee Corporation (IAIGC), il 18% del totale degli investimenti inter-arabi
è assorbito dal Libano, che si colloca al terzo posto tra i 15 paesi del Medio
Oriente destinatari degli investimenti. Questi si dirigono per l’83% nei
servizi, per il 12% nell’industria e per il 5% nell’agricoltura. IL 38%
proviene dall’Arabia Saudita, il 22% dal Kuwait, il 22% dagli Emirarti Arabi,
seguiti da Giordania, Qatar e Siria. Il valore degli investimenti libanesi nei
paesi arabi è stato, nel 2004, pari a circa 74 milioni di dollari. In base al
World Investment Report (WIR) pubblicato dall’UNCTAD nel 2007 il flusso degli
IDE verso il Libano, nel corso del 2006, è stato di 2.794 milioni di dollari
(inclusi gli acquisti immobiliari) con un incremento del 1,6% rispetto all’anno
precedente. Nel
Sempre nell’ambito degli investimenti, nel marzo
2006 è stato lanciato il Fondo EUROMENA, per un ammontare complessivo di 60
milioni di dollari, al quale contribuiscono istituzioni ed investitori europei
ed arabi attraverso partecipazioni nei capitali di società che operano nei
paesi del nord Africa e del Medio Oriente. Anche
Esportazioni
I Paesi arabi rappresentano anche il principale mercato di sbocco con
una quota del 50% del totale delle
esportazioni libanesi.
Le esportazioni sono costituite prevalentemente da oreficeria, macchinari,
alimentari e prodotti chimici.
Importazioni
Il Libano importa principalmente dagli Stati Uniti, Francia, Siria e
Italia (a lungo, primo partner commerciale).
Le importazioni sono costituite prevalentemente da prodotti energetici
raffinati, macchine ed apparecchi meccanici, prodotti chimici.
6. Rapporti con le Istituzioni
Finanziarie Internazionali
I meccanismi di assistenza finanziaria
internazionale al Libano hanno conosciuto notevoli progressi. Dopo il successo
della Conferenza Internazionale dei Donatori di Stoccolma del 31 agosto 2006
(che ha destinato i primi interventi di ricostruzione finanziaria del Libano),
anche
Il 31 agosto 2007 è stato firmato un “Grant
Agreement” del valore di 75 milioni di dollari con USAID. Si tratta della prima
tranche del dono di 250 milioni di dollari destinato all’aiuto diretto al
bilancio concesso sulla base del Memorandum of Understanding firmato con gli
USA il 4 luglio 2007.[18]
Il 10 marzo 2006 si è svolta, presso
Il Core Group sul Libano è un gruppo di lavoro
voluto da americani e francesi (che
hanno lavorato insieme nel 2005 alla sua costituzione) che ha come compito
quello di sostenere la normalizzazione e la ricostruzione del paese. Riunitosi
per la prima volta il 19 settembre
I Ministri delle Finanze, Jihad Azour e
dell’Economia, Sami Haddad, ed il deputato Ghazi Youssef, hanno fatto il punto
sulle strategie che il Governo intende adottare per introdurre le riforme
strutturali necessarie a risanare ed ammodernare il paese, riducendo il debito
pubblico e rilanciando una dinamica di crescita, per poter meritare gli aiuti
finanziari internazionali. Il piano si articola nel quinquennio 2005-10 e si
prefigge di: ridurre il debito pubblico fino ad un rapporto del 3-4% del PIL;
assicurare la stabilità economica con una crescita del 3-4% annua ed un tasso
di inflazione al 2,5-3%; creare nuovi posti di lavoro qualificati nel settore
dei servizi; modificare la legislazione del mercato azionario per rendere
appetibili le quotazioni di un maggior numero di società libanesi ed
internazionali; ridurre la spesa dell’Amministrazione Pubblica, civile e
militare, razionalizzandola e rendendola più trasparente. Andranno anche
migliorate le spese sociali (istruzione, sanità, trattamento pensionistico). A
fronte di quest’ampio ed ambizioso programma di interventi, il Governo ha necessità
di accrescere le entrate, innalzando l’IVA al 12%, migliorando il regime
impositivo, con l’introduzione, nel 2007, della global income tax, rendendo
maggiormente certa l’esazione delle imposte ed ogni altra percezione dovuta,
innalzandole al 24% del Pil nel 2010.
Nell’aprile 2007
il Fondo Monetario Internazionale ha approvato un prestito di 77 milioni di
dollari erogabile immediatamente.
PRINCIPALI INDICATORI MACROECONOMICI
|
2007 |
2008 |
2009 |
PIL Nominale
(mln dollari) |
24.600 |
27.783 |
30.933 |
PIL Nominale (mld
L£) |
37.085 |
41.883 |
46.632 |
Variazione reale del PIL |
4% |
6,3% |
2,4% |
Composizione del PIL (%) |
Agricoltura: 5,1%
Industria: 19,5%
Servizi:
75,4% |
Agricoltura: 5,1%
Industria: 19,1%
Servizi:
75,8% |
n.d |
Inflazione (media) |
9 ,3% |
5,5% |
2% |
Popolazione (mln) |
4,2 |
4,2 |
4,2 |
Disoccupazione |
9,2% |
n.d |
n.d. |
PIL procapite (US$) |
9.731 |
10.489 |
10.666 |
Debito pubblico (%PIL) |
170,9% |
164,3% |
154,3% |
Tasso di cambio L£: dollaro |
1.507,5 |
1.507,5 |
1.507,5 |
Bilancia partite correnti (mln US$) |
-1.395 |
-3.023 |
3.994 |
Bilancia commerciale (mln US$) |
-7.849 |
-11.218 |
-9.718 |
Esportazioni (mln US$) |
4.077 |
5.035 |
4.884 |
Importazioni (mln US$) |
-11.926 |
-16.253 |
-14.602 |
Principali esportazioni |
1.Gioielli
2.Macchinari
3.Prodotti
alimentari |
n.d |
n.d. |
Principali importazioni |
1.Prodotti
minerali 2.Macchinari
3.Prodotti chimici
|
n.d |
n.d. |
Principali Paesi fornitori (%) 1. Siria 2. Italia 3.
Francia |
12,0%
8,7 % 8,5% |
n.d |
n.d. |
Principali Paesi clienti (%) 1. Siria 2. Emirati Arabi
Uniti 3.
Svizzera |
25,9%
12,7%
6,0% |
n.d |
n.d. |
Debito estero (mln US$) |
31.605 |
34.026 |
33.893 |
Riserve (escluso oro) (US$ mln) |
20.550 |
28.276 |
26.503 |
Fonte: Economist Intelligence Unit, giugno 2009,
CIA aprile 2009 - Stime – Previsioni - n.d.: non disponibile |
L’Italia
svolge un ruolo di primo piano nel sostegno politico ed economico del Libano.
L’azione di supporto all’economia e alla ricostruzione del Paese, unitamente ai
forti vincoli economici e culturali, ha contribuito a creare in Libano una
immagine dell’Italia che non ha eguali nel mondo occidentale, come testimoniato
anche dalla calorosa accoglienza riservata dalle Autorità e dalla popolazione
locale al nostro Contingente facente parte dell’UNIFIL PLUS.
Il
Libano considera l’Italia un Paese amico, sia per i radicati sentimenti di
riconoscenza per il sostegno da noi offerto (anche nei momenti più difficili
della guerra civile e nella fase iniziale della ricostruzione) che per il
fruttuoso rapporto che il Paese ha saputo mantenere con l’area mediorientale. A
seguito di tutto ciò, registriamo un sostegno reciproco alle varie candidature
internazionali ed un frequente scambio di visite bilaterali ad alto livello.
L’Italia,
Paese “amico del Libano”, membro del Core Group, dall’inizio
delle ostilità, scoppiate il 12 luglio
L’Italia
ha giocato un ruolo importante anche per alleviare la gravissima crisi
umanitaria in atto nel Paese tramite la messa in opera di diverse attività
umanitarie di emergenza. Il 23 luglio 2006 con la nave della Marina Militare,
San Giorgio, sono arrivati a Beirut i primi aiuti d’emergenza per la
popolazione libanese, seguiti poi da altre spedizioni di beni di prima
necessità. Tra luglio ed agosto, abbiamo inviato aiuti umanitari per un valore
complessivo di 1, 35 milioni di Euro. Il Governo italiano ha altresì stanziato
30 milioni di Euro per la realizzazione di interventi di cooperazione allo
Sviluppo destinati al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione
libanese. In linea con il suo già rilevante impegno bilaterale in Libano
(l’Italia, assieme alla Francia, è il principale donatore del Libano), l’Italia
ha contribuito al ripristino di servizi di base ed infrastrutture danneggiati a
seguito degli eventi bellici. Alla Conferenza di Stoccolma (31 agosto 2006), il
pledge dell’Italia è stato, tra i Paesi UE, il più elevato.
Nell’ottobre
2008, il Presidente Michel Suleiman è stato in visita ufficiale in Italia e,
nell’aprile 2009, il Ministro Frattini si è recato in Libano.
2. Relazioni economiche, commerciali e
finanziarie
Sul
piano delle relazioni economico-commerciali, l’Italia occupa i primi posti
tra i paesi esportatori verso il Libano.
La
gamma di prodotti italiani forniti al mercato libanese, da circa 9000
esportatori che si avvalgono di accordi di distribuzione e franchising, è ampia
e copre i principali settori merceologici. Per i dettagli si rimanda ai “Dati
statistici bilaterali”.
In
base ai dati ISTAT, alla fine del 2008, le esportazioni italiane verso il
Libano hanno totalizzato 774 milioni di Euro, mentre le importazioni italiane
dal Libano sono state di 35 milioni di Euro. Il saldo positivo a favore
dell’Italia è stato pertanto di 739 milioni di Euro. Rispetto allo stesso
periodo del 2007, le esportazioni italiane verso il Libano sono aumentate del
5,5%, mentre le importazioni dal Libano sono aumentate del 20,3%.
Diversificata
è la presenza italiana con circa 20 aziende
in vari settori: trasporti, lavori pubblici, impiantistica, bancario,
assicurativo.
L`Ansaldo
(Gruppo Finmeccanica) ha ultimato nel 2000 due centrali elettriche da 450
megawatt, le più grosse e funzionali del Paese. La società italiana ha inoltre partecipato alla gara “O&M
Operation and Maintenance” delle centrali elettriche di Beddawi e Zahrani,
ottenendone l’aggiudicazione in seguito al ritiro della società iraniana
TAMIRAT. Il Consiglio dei Ministri Libanese si è però espresso per la
ripetizione della gara dalla quale l’ANSALDO sembra sia stata esclusa a
vantaggio di una società sud-coreana.
L’ENEL Produzione sarebbe interessata alla
privatizzazione dell’Ente per l’Elettricità Libanese (EDL). In merito alla
produzione di energia elettrica in Libano, va osservato che essa raggiungerebbe
oggi i 1.200 MW e dovrebbe essere portata a breve a 1.500 MW, ma sono ancora
frequenti le interruzioni di corrente ed è tuttora necessario ricorrere
all’impiego di generatori. Il settore energetico verrà diviso in due comparti:
il transito di corrente, che rimarrà in mano statale, e produzione e
distribuzione che verranno affidati ad una società anonima; ulteriori problemi
potrebbero derivare anche dal recupero delle oltre 400.000 bollette inevase e
dalla necessità di investimenti di notevole portata per rendere efficienti le 5
centrali elettriche. I conflitti sociali che deriveranno dalla ristrutturazione
saranno, con tutta probabilità, scaricati sulla società acquirente. Secondo le
informazioni disponibili, ANSALDO ed ENEL avrebbero deciso di presentare
proposte diverse ed in competizione tra loro.
La società Lucchini
si è aggiudicata, nell’agosto 2003, una gara per forniture relative al
tratto ferroviario tra Tripoli ed Abboudieh in Siria.
Nell’ambito dell’iniziativa intrapresa dalla Banca
Centrale del Libano (Banque du Liban), denominata “Secure Electronic Banking
and Information for Lebanon (SeBIL)”, la ditta ELSAG (Gruppo Finmeccanica), in consorzio con
Ad oggi, le imprese italiane che hanno realizzato
investimenti diretti in Libano sono
Inoltre,
Nel marzo 2009,
alla presenza del Primo Ministro libanese Siniora e dell’Ambasciatore d’Italia
Checchia, sono state inaugurate le nuove shoow rooms che la stilista italiana
Mariella Burani, anch’ella presente all’evento, ha aperto nel centro di Beirut.
L'investimento del gruppo Burani Design Holding
rappresenta il primo investimento italiano in Libano del periodo post-2006.
L'operazione e' avvenuta stabilendo un partenariato con
l'importante gruppo libanese "Malia Holding", facente capo
all'industriale Jacques Sarraf, col quale e' stata creata un'apposita
joint-venture denominata "Malia Mariella Burani M.M.B".
Si registra un miglioramento
nella situazione delle esposizioni debitorie libanesi nei confronti di aziende
italiane: in particolare, si sono risolti positivamente i contenziosi con OPERE PUBBLICHE, PIRELLI CAVI (società
venduta dalla Pirelli ad un gruppo statunitense) e ICAR. Si è conclusa anche la
vertenza con
3. Relazioni culturali scientifiche e tecnologiche
In
questi ultimi anni si è potuto registrare un notevole incremento delle
relazioni culturali tra Italia e Libano, a seguito della firma, nel novembre
2000, dell’Accordo di collaborazione culturale, scientifica e tecnologica
ratificato sia da parte libanese che da parte italiana.
Risultano
operativi un accordo dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia con
l’Università di Bjblos e con l’Università St-Esprit di Kaslik nel settore
dell'architettura e dell'urbanistica, e tre accordi tra il Politecnico di
Milano e
Si
segnala, inoltre,la presenza di un Istituto di Cultura presente a Beirut, con
succursali anche a Kaslik, Tripoli e Saida.
In
Libano non sono presenti istituzioni scolastiche italiane.
A
seguito dell’entrata in vigore del predetto Accordo di collaborazione
culturale, scientifica e tecnologica è stato introdotto l'insegnamento
dell’italiano, come seconda lingua straniera, in alcune scuole secondarie
libanesi.
Per l’a.a. 2009/2010, le
borse di studio offerte dall’Italia agli studenti libanesi sono di 30 mensilità
per un importo di 700 euro.
Il
Libano è un Paese ad altissimo tasso di emigrazione, dovuto principalmente a
fattori economici ed accentuatosi durante il periodo della guerra civile. I
flussi si sono indirizzati prevalentemente verso gli Stati Uniti, Canada, Sud
America, Australia ed Europa (in particolare Francia). L’Italia non è stata
interessata in misura rilevante ai movimenti migratori di cittadini libanesi.
Negli
ultimi tempi il Libano è altresì diventato in misura crescente un Paese “a
rischio”, in quanto zona di transito di clandestini (soprattutto iracheni,
turchi di etnia curda, siriani) diretti
verso l’Europa.[21]
E’
stata poi creata una apposita “task force” incaricata del coordinamento e dello
scambio di informazioni tra le Autorità locali ed i funzionari di
collegamento distaccati a Beirut dai
Ministeri dell’Interno di Francia,
Germania, Italia. Da parte libanese è stata proposta una Conferenza
sull’immigrazione clandestina tra i Ministri dell’Interno dei Paesi
rivieraschi.
Nel
giugno 2002 è stato sottoposto alle Autorità libanesi il testo di un accordo di riammissione, che dovrebbe
essere però rivisto alla luce dei contatti avuti dai due Ministeri
dell’Interno. Da parte italiana è stato proposto di intensificare la
collaborazione, attraverso corsi di formazione professionale per le forze di
polizia libanesi, iniziative congiunte per il contrasto dell’immigrazione
clandestina via mare (in collaborazione con altri Paesi dell’area) e assistenza
tecnica. Allo stato attuale, tuttavia, mancano firma e relativa ratifica
dell’accordo.
Nel
2005, e’ entrato in vigore l’Accordo di cooperazione per le questioni di
diritto di famiglia che prevede l’istituzione di una Commissione Mista
consultiva competente ad esaminare le materie relative al diritto di
affidamento, di visita, ecc. Questo dovrebbe porre termine alle difficoltà fino
ad oggi riscontrate, imputabili alla difformità tra i due regimi giuridici.[22]
E’
stato inoltre sottoposto alle Autorità libanesi il testo di un accordo in
materia di cooperazione nella lotta alla criminalità organizzata che è
stato accettato dalla controparte. Rimangono da stabilire luogo e data della
firma.
Contesto
di riferimento.
Il Libano deve affrontare diversi
problemi: un debito pubblico di 40 miliardi di dollari ereditato dalla
ricostruzione post-guerra civile, un processo di riforme più volte interrotto,
un tasso di inflazione strutturale superiore al 10% e una crisi politica che
aggrava le tensioni già presenti e peggiora la sicurezza interna.
Su questo sfondo si sviluppano gli
interventi della Cooperazione Italiana in Libano: da una parte l’aiuto alla ricostruzione, il sostegno al bilancio del governo libanese e
l’assistenza tecnica; dall’altra la riabilitazione economica, lo sviluppo
locale e il rafforzamento del tessuto sociale e del dialogo.
Il programma ordinario di cooperazione
bilaterale con il Libano è regolato da due Protocolli del 1997 e del 1998 che
prevedono crediti di aiuto per oltre 132 milioni di euro (principalmente nel
settore idrico, della protezione ambientale, del patrimonio culturale e
dell’agro-industria) e doni per circa 5 milioni di euro (principalmente nei settori
sanitario ed agricolo). I punti di forza delle iniziative sono il raccordo con
le autorità libanesi centrali e locali, regolari missioni sul territorio, il
coordinamento con gli altri donatori e con le organizzazioni internazionali
presenti in Libano, la presenza di numerose ONG italiane dislocate sul
territorio e l’interazione con tutte le componenti della società locale.
A seguito del conflitto dell’estate
2006, le due Conferenze di Stoccolma del 31 luglio 2006 e di Parigi del 25
gennaio 2007 hanno definito il supporto internazionale alla ricostruzione.
Complessivamente la comunità internazionale contribuisce con oltre 8,5 miliardi
di dollari. Con un contributo straordinario complessivo di 150 milioni di euro
(
Il rafforzamento dell’aiuto allo sviluppo italiano in Libano è testimoniato
inoltre dall’apertura di un Ufficio di Cooperazione (Unità Tecnica Locale)
presso l’Ambasciata a Beirut nel settembre 2007. Grazie alla rapida attuazione
di iniziative come il Programma di Emergenza ROSS (che dal febbraio
Principali
iniziative in corso del programma ordinario di cooperazione
Crediti d’aiuto
- Settore idrico. E’ il settore che
assorbe oltre il 40% dell’intera disponibilità finanziaria. Si segnalano le
seguenti iniziative: impianto di trattamento dei reflui urbani per la città di
Zahle (23 milioni di Euro) aggiudicata all’impresa Degrémont; rete di acqua potabile e fognaria di Jbeil
(39,5 milioni di euro), avviata nel 2007; rete di acqua potabile di Tripoli/Koura (6 milioni di euro),
avviata nel 2007. Sono in corso di identificazione progetti per il trattamento
delle acque reflue per circa 50 milioni di euro.
-
Patrimonio culturale. L’iniziativa “Valorizzazione del Patrimonio Culturale e
Sviluppo urbano”, co-finanziata dalla Banca Mondiale, dalla Francia e dal
Libano, prevede un impegno complessivo di 61,9 milioni di dollari. L’Italia
contribuisce con un finanziamento di oltre 10 milioni di euro a credito di
aiuto e 570.000 euro a dono. Il programma riguarda le città di Tripoli, Biblos,
Baalbek, Sidone e Tiro e si sviluppa su tre componenti: 1) riabilitazione dei
centri storici e miglioramento delle infrastrutture urbane; 2) conservazione e
gestione dei siti archeologici; 3) rafforzamento istituzionale e gestione del
progetto.
- Aggiornamento tecnologico. E’ in corso
la fornitura alla Banca Centrale
di apparecchiature informatiche, di programmi gestionali e di formazione a cura
della società Elsag (5,6 milioni di
euro). Si tratta di un’iniziativa non prevista dal vigente Protocollo di
Cooperazione, avviata in considerazione dell’urgenza rappresentata dalle
Autorità libanesi.
Iniziative a dono
- Settore sanitario.
Aggiornamento del personale infermieristico (oltre un milione di euro);
rafforzamento istituzionale del Ministero della Sanità (500 mila euro); realizzazione
di un laboratorio centrale del Ministero della Sanità (800 mila euro); sostegno
ad un piano nazionale per l'assistenza sanitaria di base (3,4 milioni di euro).
- Settore agricolo. Sviluppo agricolo integrato nella
regione di Baalbeck/Hermel (2 milioni di euro) per la sostituzione delle
coltivazioni illecite; produzione di materiale vegetale certificato (1,2
milioni di euro), la cui realizzazione è stata affidata al Centro
Internazionale di Alti Studi Agronomici nel Mediterraneo di Bari (IAM), congiuntamente
all’Istituto di Ricerca Agraria del Libano. L’Italia finanzia inoltre,
attraverso
-
Lotta alla povertà. Dall’ottobre 2006 è in corso un’iniziativa denominata
“Sviluppo socioeconomico delle aree depresse” (6,7 milioni di euro). Il
programma opera sia nel Libano settentrionale (Akkar e Minieh, Dinniyeh e
Tripoli-Bab el Tebbaneh), sia in quello meridionale (Marjeyoun, Bint Jbeil,
Nabatiyeh, Sour, Rashaya, Hasbaya e West Bekaa, aree prima occupate da
Israele). L’iniziativa rientra nel Programma ART-GOLD, realizzato dall’UNDP per
promuovere partenariati locali attraverso il coordinamento tra i donatori
internazionali, gli attori della cooperazione decentrata e gli organismi
internazionali. Un secondo programma di lotta alla povertà, approvato nel
febbraio 2006, è rivolto al sostegno
socio-economico delle famiglie di produttori delle regioni olivicole marginali
del Libano (3,3 milioni di euro) ed è affidato all’Istituto Agronomico
del Mediterraneo.
Programma straordinario di cooperazione
Primo contributo straordinario a
dono (Conferenza
di Stoccolma).
Nell’agosto
2006, rispondendo all’appello del Governo libanese lanciato durante
- progetti di
emergenza (15 milioni di euro, “Programma
di sostegno alla ricostruzione, all’occupazione, ai servizi e allo sviluppo
-ROSS
- 10 milioni di Euro di contributi ad organismi internazionali per finanziare le attività delle Agenzie ONU e di
altre Organizzazioni Internazionali (UNMAS,
UNICEF, CIHEAM-IAM, UNFPA, UNRWA e UNDP);
- aiuto al bilancio dello Stato libanese (5 milioni
di euro). Il Governo libanese ha utilizzato il contributo per
ricostruire il Ponte “Soufar” sull’autostrada Beirut – Damasco. La commessa è
stata affidata all’impresa italiana Opere Pubbliche, la quale beneficerà di un
ulteriore contributo di circa 2,8 milioni di euro (a valere sui fondi
straordinari stanziati per il 2009 dalla Cooperazione italiana), per coprire
l’aumento dei costi di esecuzione dell’opera.
Secondo contributo straordinario a dono (Conferenza di Parigi).
Nell’ambito del
“pledge” annunciato dall’Italia alla Conferenza di Parigi del gennaio 2007 (120
milioni di euro),
- interventi di emergenza (9 milioni di euro): “Programma ROSS
- assistenza tecnica (1 milione di euro);
- sostegno diretto
al bilancio statale per attuare il Programma Nazionale “Recovery,
reconstruction and reform” (10 milioni di euro), orientato ai servizi di base
per la popolazione (accesso all'acqua potabile, ai servizi sanitari, alle reti
di protezione sociale) e al sostegno alle fasce più deboli della popolazione
tra cui minori e disabili;
- contributi ad
Organismi Internazionali per 10 milioni di euro con azioni per
reinserire nella vita produttiva le categorie professionali più colpite dal
conflitto dell’estate 2006, per promuovere lo sviluppo sostenibile del settore
agricolo, per fornire assistenza alle
popolazioni palestinesi ospitate nei campi profughi e alla popolazione libanese
situata in prossimità dei predetti campi. I seguenti Organismi
internazionali sono stati coinvolti: UNRWA (2 milioni di euro), ILO (2 milioni di euro), FAO (3 milioni di
euro), UNFPA (0,7 milioni di euro), UNDP (1,3 milioni di euro) e UNMAS (1
milione di euro).
Terzo contributo straordinario a dono (seguiti della Conferenza di
Parigi).
Per il 2008-2009 la legge n. 45/2008 ha
stanziato un’ulteriore dotazione straordinaria di 25 milioni di Euro a dono,
attualmente in corso di erogazione, così ripartita:
- interventi di emergenza per 9 milioni di euro in gestione diretta
(“ROSS
- 1,4 milioni di euro per interventi di assistenza tecnica e di
ricerca;
- iniziativa di sviluppo locale nell’area del Monte Libano per 1,2
milioni di euro, per riqualificare alcuni servizi di base, migliorare l’uso dei
suoli, riavviare alcune attività agricole di produzione a livello locale,
introdurre dei processi semplici di pianificazione strategica e gestione
partecipata alla programmazione di sviluppo locale, incoraggiare il
ripopolamento dell’area e il rilancio delle attività produttive;
-
sostegno al bilancio statale per sostenere il Programma Nazionale “Recovery, reconstruction and reform”
(8,8 milioni di Euro destinati ai servizi di base per la popolazione: accesso
all'acqua potabile, servizi sanitari, reti di protezione sociale);
-
contributi ad organizzazioni internazionali per 4,6 milioni di euro così
suddivisi: ILO (600.000 euro), UNRWA (1 milione di euro), IOM (300.000 euro),
UNDP (1,2 milioni di euro), UNICEF (1,2 milioni di euro), UNIDO (300.000 euro).
Sostegno
ai campi profughi (Conferenza
di Vienna).
Nell’ambito
della Conferenza, svoltasi il 23 giugno
Iniziative
straordinarie a credito (seguiti
della Conferenza di Parigi).
Dopo
la soluzione della crisi istituzionale e la formazione del nuovo Governo, il
Libano ha accolto nell’agosto 2008 la nostra disponibilità a concedere
ulteriori crediti di aiuto per 75 milioni di euro. I progetti sono in corso di
identificazione, tenendo conto della priorità assegnata dal Governo libanese al
trattamento delle acque reflue.
6. Cooperazione nel settore della difesa
Con
la firma del Memorandum di Intesa in
materia di Difesa, il 21 giugno
PRINCIPALI ESPORTAZIONI E
IMPORTAZIONI ITALIANE GEN.- DIC. 2008 (e % su totale) |
|
ESPORTAZIONI |
IMPORTAZIONI |
1. Prodotti petroliferi
raffinati (27,5%) |
1. Prodotti chimici (51,4%) |
2. Macchine e apparecchi
meccanici (13,8%) |
2. Prodotti della metallurgia
(18,8%) |
3. Prodotti della metallurgia
ed utensili metallici (8%) |
3. Prodotti delle miniere e delle cave (5,4%) |
4. Abbigliamento (6,7%). |
4. Manufatti (4%) |
5. Prodotti chimici, fibre
sintetiche ed artificiali (6%) |
5. Prodotti agricoli (4%) |
Fonte: elaborazioni ICE su dati ISTAT |
QUOTE DI MERCATO 2007 |
|||
PRINCIPALI FORNITORI |
% su import |
PRINCIPALI ACQUIRENTI |
% su export |
1.
Siria |
12,0% |
1. Siria |
25,9% |
2. Italia |
8,7% |
2. Emirati Arabi Uniti |
12,7% |
3. Francia |
8,5% |
3. Svizzera |
6,0% |
4. USA |
7,2% |
4. Arabia Saudita |
5,4% |
Fonte: Economist Intelligence Unit, giugno 2009 |
INCIDENZA INTERSCAMBIO SUL COMMERCIO ESTERO ITALIANO 2008 |
|
Esportazioni verso il Libano sul totale delle
esportazioni italiane |
0,2% |
Importazioni dal Libano sul totale delle
importazioni italiane |
0,009% |
|
Fonte: ISTAT |
SACE |
||
Categoria
di rischio |
7 su 7 |
|
Impegni
in essere (milioni di Euro) |
Non vi sono impegni in essere |
|
Fonte: SACE – 30 settembre 2008 |
FLUSSI
INVESTIMENTI DIRETTI (2007) (migliaia
di Euro) |
|
in Libano |
in Italia |
353 |
-131 |
Fonte:
Ufficio Italiano Cambi (U.I.C.) - Investimenti-disinvestimenti |
FLUSSI TURISTICI BILATERALI |
||
dall’Italia
(presenze) |
verso l’Italia (presenze) |
|
2007 |
n.d. |
9.000 |
Fonte:
Rapporto ENIT 2008 |
||
Scheda di approfondimento sui contenziosi
commerciali bilaterali pendenti e risolti tra Italia e Libano[23]
1. SACE
L’Accordo firmato il 16 novembre 2007 tra SACE ed
il Governo libanese ha posto fine ad un contenzioso ventennale, vertente su un
debito del Governo libanese verso SACE per la garanzia fornita da quest’ultima
alla società DANECO per la costruzione, nel 1987-88, di un impianto di
compostaggio dei rifiuti alla periferia di Beirut.
La riapertura del negoziato bilaterale, sotto
l’egida dell’Ambasciata d’Italia a Beirut, all’inizio del
Alla luce delle complesse vicende politiche interne libanesi,
SACE non ha modificato nel frattempo la sua notazione relativa al Libano, cui
continua ad attribuire il piu’ elevato “rating” di rischio paese, pari a 7/7.
Va pero’ segnalato che da recenti contatti intercorsi tra questa Ambasciata e
2. ANSALDO
Con decisione del Consiglio dei Ministri libanese
del 18 giugno 2009 e’ stato disposto il pagamento ad ANSALDO dell’ultima
“tranche” dovuta alla nostra societa’ dall’Ente Elettrico Libanese (per il
traite del CDR – Consiglio per
Il protrarsi della questione negli anni ha portato
la cifra oggetto di contenzioso a sfiorare, cumulati gli interessi, i 5 milioni
di dollari.
Il pagamento recentemente approvato, per un
ammontare complessivo pari a 1,541,715,899 Lire Libanesi (tasse doganali e
"income taxes"), si somma a quello deliberato nell’aprile scorso e
gia’ regolarmente corrisposto per un ammontare di 1,335,101,892 Lire Libanesi
(“stamp duties”), ed e’ stato ottenuto a seguito di ripetuti passi presso tutte
le molteplici istituzioni libanesi coinvolte, fino al piu’ alto livello
politico. L’interessamento diretto del Primo Ministro Siniora ha infatti
permesso di iscrivere il provvedimento all’ordine del giorno dell’ultima
sessione del CdM uscente – un segnale di attenzione che attesta l’eccellente
stato dei rapporti bilaterali.
La positiva conclusione della vicenda getta le basi
per un potenziale rilancio delle relazioni bilaterali in un settore, come
quello energetico, in cui l'expertise italiana - di assoluta e riconosciuta
eccellenza in Libano per aver realizzato le piu' grandi centrali elettriche del
Paese - potrebbe nuovamente inserirsi a pieno titolo.
3. TOTO Costruzioni
E’ stato riaperto nel novembre 2008 il negoziato
bilaterale tra la societa’ italiana, assistita dall’Ambasciata, e il CDR
(Consiglio per
Parallelamente ad un arbitrato in corso, si spera
che la discussione di sostanza in atto consenta di giungere ad una soluzione
amichevole e soddisfacente per entrambe le parti.
Le due tornate negoziali di fine 2009, precedute da
preliminari incontri a livello tecnico, hanno fatto registrare alcuni progressi
e ottenuto l’impegno della controparte a presentare una proposta che includa la
definizione di un ammontare complessivo sulla base di tutta la documentazione
tecnico-legale trasmessa da Toto.
Tale dinamica incoraggiante e’ stata
temporaneamente sospesa a fronte di alcuni tentativi della controparte di
“prendere tempo” - non da ultimo alla luce di altri complessi contenziosi
bilaterali contemporaneamente in atto. La soluzione di questi ultimi e l’esito
delle consultazioni elettorali del 7 giugno (che dovrebbe lasciare intatti gli
attuali assetti del CDR, e dunque le posizioni degli interlocutori con cui si
e’ approfondito il dossier nei mesi scorsi) fanno sperare in una positiva
ripresa a breve dei colloqui, a partire dagli incoraggianti “punti d’incontro”
emersi nella prima fase del negoziato.
4. ENEL
Questo contenzioso e' oggetto di un procedimento
legale pendente tra le Parti presso il Tribunale di Beirut, vertente sulla
sospensione, da parte di EDL (Electricité du Liban), dei pagamenti dovuti (per
un ammontare di circa 4 milioni di dollari) nel corso dei lavori legati al
contratto di "operation and maintenance" delle due centrali di Deir
Amar e Zahrani (2001-2004).
ENEL non esclude tuttavia di poter addivenire ad
una soluzione per via negoziale, ed ha a tal fine fatto pervenire alla
controparte, per il tramite dell”Ambasciata, un “position paper”, dicendosi
pronta ad effettuare una missione a Beirut non appena EDL dara’ conferma di voler
intavolare una seria discussione a partire da tale base negoziale.
5. OPERE PUBBLICHE
Non si tratta di un vero e proprio contenzioso,
anche se l’assegnazione all’impresa italiana del contratto per la costruzione
del Viadotto di Soufar, sull’autostrada Beirut-Damasco (finanziato dal Governo
Italiano sulla base di un dono di oltre 7 milioni di Euro a titolo di sostegno
al bilancio del Governo Libanese a seguito del conflitto del 2006), avvenuto a
seguito di regolare gara, ha richiesto un’azione di assidua assistenza da parte
dell’Ambasciata, in stretto raccordo con la competente Direzione Generale del
MAE, per superare una serie di ritardi e dirimere alcuni punti controversi
relativi alle modalita’ di avvio dei lavori, ciò che e’ avvenuto con viva
soddisfazione della ditta.
Oltre ai lavori di costruzione del Viadotto di
Saoufar, l’impegno di Opere Pubbliche in Libano si estende ai lavori di
costruzione di un impianto idrico presso Tripoli, nel Nord del Paese, anch’esso
finanziato dal Governo italiano con un credito d’aiuto che supera i 6 milioni
di Euro.
“PROJECT LEBANON” (Beirut,
16-19 giugno 2009)[24]
Di
assoluto rilievo la presenza italiana a Project Lebanon, una delle piu
importanti fiere del settore edile in Medio Oriente, grazie all'azione svolta
dall'Ufficio ICE di Beirut che, dopo circa dieci anni, ha riorganizzato una
partecipazione collettiva di 25 aziende italiane, su un'area espositiva di
circa
La
portata di tale risultato appare ancora piu' ampia ove si consideri che sulle edizioni
2007 e 2008 della manifestazione era gravemente pesata l'atmosfera di forte
insicurezza allora prevalente nel Paese, che aveva indotto molte aziende a fare
"marcia indietro" - e gli stessi organizzatori a ricalendarizzarne
piu' volte lo svolgimento.
L'edizione
2009 pare dunque segnare, anche simbolicamente, lo stato di ripresa di questa
economia e di questo mercato, ancor piu' all'indomani di un'elezione svoltasi
pacificamente che ha rafforzato e diffuso la crescente percezione di
stabilizzazione del contesto generale. Il nostro "sistema Paese" ha
dimostrato di saper cogliere immediatamente questa finestra di opportunita'.
Il
numero degli imprenditori italiani in rappresentanza delle PMI presenti e'
stato di oltre 50, indicando un'attenzione al Libano particolarmente
significativa - non da ultimo anche come potenziale nuovo sbocco a fronte di
una situazione di recessione internazionale (che non sembrerebbe invece aver
ancora toccato sensibilmente il Paese dei Cedri).
Altro
dato interessante e' che circa il 70% delle imprese italiane presenti nel
Padiglione Italiano affrontavano il mercato libanese per la prima volta. Esse
hanno potuto riscontrare una risposta immediata da parte degli operatori
libanesi: basti pensare che gli incontri B2B richiesti ida questi ultimi,
tramite una sensibilizzazione diretta effettuata da questo Ufficio ICE, sono
stati oltre
Al
fine di amplificare l'interesse del pubblico per le aziende italiane riunite
nella collettiva e' stata allestita, nell'area italiana, una elegante mostra di
materiali lapidei italiani ("Marble Show", curato dallo Studio Marco
Piva) che mira ad amplificare le possibilita di applicazione e la duttilita' delle
pietre naturali made in Italy, nonche' le capacita' di lavorazione delle stesse
da parte delle aziende italiane.
Da un
primo riscontro ottenuto dagli imprenditori italiani e' emerso quanto segue:
- il
Libano e' risultato essere una positiva sorpresa per l'attuale dinamismo
economico che investe il Paese, in controtendenza con la crisi internazionale,
e quindi oggetto di particolare interesse per le potenzialita' riscontrate;
- la
quantita' dei visitatori specializzati che si sono avuti in fiera (gli organizzatori
indicano circa 4/5000 al giorno) e la qualita degli stessi e' stata
particolarmente apprezzata dagli espositori italiani, che hanno potuto ottenere
immediati e concreti riscontri alla loro partecipazione;
-
alcune imprese hanno comunicato di aver anche finalizzato degli ordini ed una
azienda ha anticipato anche la decisione di aprire un negozio sia a Beirut che
a Damasco a seguito degli incontri avuti.
Complessivamente,
tutte le imprese hanno avuto commenti molto positivi nei confronti dell'organizzazione
assicurata dall'Ufficio ICE di Beirut e dell'assistenza fornita. A rafforzare
questi sentimenti ha largamente contribuito la percezione di un "sistema
paese" presente, effettivo e funzionante, capace di contare su reali
sinergie tra gli attori a vario titolo coinvolti.
RELAZIONI PARLAMENTARI CON
IL LIBANO
Rappresentanze
diplomatiche |
Ambasciatore d’Italia a Beirut : Gabriele Checchia
Ambasciatore del Libano in Italia: Melhem Nasri Mistou (dal dicembre 2003)
Si
segnala che l’onorevole Gennaro Malgieri ha ricevuto dal Presidente della
Camera, on. Gianfranco Fini, l’incarico di coordinare le relazioni parlamentari
con i Paesi arabi del bacino del Mediterraneo.
Nell’ambito
di tale incarico l’on. Malgieri il 23 gennaio
Incontri
del Presidente della Camera |
Il 4
febbraio 2009 il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha incontrato l'ex Presidente del Libano, Amin Gemayel.
Il colloquio si e'
incentrato sugli sviluppi recenti della situazione politica libanese e regionale. Per quanto riguarda il Libano,
Gemayel ha affermato che esso è vittima della crisi medio-orientale. Ha,
quindi, ricordato che il suo partito è per una cultura della democrazia e della
pace, contrapposta al terrorismo e alla violenza, ricordando il sacrificio del
figlio, morto per questi ideali. Gemayel, ha poi richiamato l’attenzione sul
fatto che Hezbollah (che ha da
sempre avversato
In merito al
conflitto israelo-palestinese ha
osservato che il territorio e popolo palestinese è ormai diviso in due: da una
parte
Il 19
gennaio 2009 il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha incontrato una
delegazione del Consiglio degli Ambasciatori della Lega degli Stati arabi in
Italia, composta dagli Ambasciatori del
Libano, Mistou (decano del corpo diplomatico in Italia), del Qatar, Al-Moraikhi,
dell’Egitto, Rashed, dell’Autorità Nazionale Palestinese, Ateyeh, della
Giordania, Principessa Al-Hashemi, del Marocco, Ben-Abdallah, accompagnati dal
Capo Missione della Lega degli Stati arabi, Al Gargani.
L’obiettivo dei
contatti degli Ambasciatori della Lega degli Stati arabi in Italia era quello
di chiedere una presa di posizione sulla crisi di Gaza.
Commissioni
Il 30
giugno 2009 il Presidente della Commissione Affari esteri della Camera,
Stefano Stefani, ha incontrato l’Ambasciatore
libanese, Melhem Nasri Mistou.
Nel corso dell’incontro, l’Ambasciatore ha
ricordato i risultati delle elezioni legislative dello scorso 7 giugno, con
l'affermazione della coalizione filo-occidentale, che ha conquistato 68 dei 128
seggi dell'Assemblea nazionale. Saad Hariri ha ricevuto l'incarico di formare
un governo di unità nazionale, che comprenda anche rappresentanti della
minoranza Hezbollah. L’Ambasciatore ha quindi ricordato come gli italiani siano
molto ben visti dalla popolazione locale e in particolare la guida italiana del
contingente UNIFIL. Pertanto, proprio virtù del ruolo trainante dell'Italia nel
processo di peace keeping nel sud del
Libano, ritiene pericoloso ridurre il contingente per l’“effetto domino” che potrebbe avere, con
conseguenze disastrose per le forze moderate in Libano e, in generale, per la
democrazia. Infine, l’Ambasciatore ha ricordato che la situazione iraniana
desta preoccupazione ed influisce anche sulla politica interna del Libano
perché l'Iran è uno Stato teocratico che vuole imporre la propria visione
egemone anche al di fuori di esso.
Il 24
giugno 2009 il Presidente della Commissione Affari esteri Stefani ha
incontrato l’Ambasciatore italiano a
Beirut, Gabriele Checchia.
Nel corso del
colloquio è stata affrontata la questione della formazione del nuovo governo
libanese, a seguito delle recenti elezioni, nonché i riflessi che la situazione
iraniana – all’indomani delle elezioni presidenziali del 12 giugno 2009 e dei
successivi disordini – potrebbe avere sugli equilibri interni del Libano.
La delegazione del Consiglio degli
Ambasciatori della Lega degli Stati arabi in Italia - composta dagli Ambasciatori del Libano, Mistou (decano
del corpo diplomatico in Italia), del Qatar, Al-Moraikhi, dell’Egitto, Rashed,
dell’Autorità Nazionale Palestinese, Ateyeh, della Giordania, Principessa
Al-Hashemi, del Marocco, Ben-Abdallah, accompagnati dal Capo Missione della
Lega degli Stati arabi, Al Gargani - ha incontrato il 14 gennaio 2009, il Presidente della Commissione Affari esteri,
Stefani.
Si segnala che il
15 gennaio la delegazione ha altresì incontrato il Ministro degli Affari esteri
Frattini e il Presidente della III Commissione del Senato Dini.
Una delegazione della Commissione difesa ha effettuato una missione in Libano, il 28 e 29 luglio 2008; la
delegazione ha visitato il contingente italiano impegnato nella missione UNIFIL II.
Cooperazione multilaterale
Il Libano partecipa alla cooperazione
parlamentare nell’ambito del Partenariato
Euromediterranea ed alle riunioni dell’Assemblea
parlamentare Euromediterranea (APEM).
UIP
Nell’ambito della UIP, opera la sezione di amicizia Italia-Mediterraneo
orientale (Giordania, Libano, Siria, Territori dell’Autorità Palestinese), che
per
Attività legislativa
Legge n. 12/09 del
24 febbraio 2009, GU n. 47 del 26 febbraio 2009. Testo coordinato G.U. n. 47
del 26 febbraio 2009. "Conversione in legge del decreto-legge 30
dicembre 2008 n. 209, recante proroga della partecipazione italiana a missioni
internazionali" che prevede, tra l’altro, all’art. 1 uno
stanziamento pari a 1.770.00 euro per interventi a favore delle popolazioni in
Libano e autorizza, a decorrere dal 1o gennaio 2009 e fino al 30
giugno 2009, la spesa di euro 192.102.649 per la proroga della partecipazione
del contingente militare italiano alla missione delle Nazioni Unite in Libano.
Atti
di indirizzo e controllo
Si segnalano i seguenti atti:
interrogazione
a risposta scritta 4-00801 presentata da FIAMMA NIRENSTEIN il 24
luglio 2008, nella quale si fa riferimento ad alcune fotografie che
ritrarrebbero soldati italiani in Libano nell'atto di omaggiare col saluto
militare le bare di circa 200 terroristi di Hezbollah, uccisi durante attacchi
in Israele, a cui il governo ha risposto il 19 gennaio 2009.
Interrogazione
a risposta scritta 4-00398 presentata da LUIGI COMPAGNA il 23 luglio
2008 su un presunto comportamento dei soldati italiani della missione UNIFIL, a
cui il governo ha risposto il 13 novembre 2008.
Interrogazione
a risposta scritta 4-00014 presentata da FABRIZIO CICCHITTO il 29
aprile 2008 sulla veridicità di una notizia riportata dal quotidiano Haaretz
circa il comportamento della missione UNIFIL in base alla quale UNIFIL sta
«nascondendo deliberatamente» informazioni sulle attività dell'Hezbollah a sud
del fiume Litani, a cui il governo ha risposto il 14 luglio 2008 negando
la veridicità della notizia.
Interrogazione
a risposta scritta 4-00372 presentata da LUIGI COMPAGNA il 17 luglio
2008 nella quale si chiede al governo, tra l’altro, se non giudichi che il
nuovo equilibrio di governo realizzatosi nel maggio
L’interrogazione
a risposta immediata in Commissione n. 5-00264
Nirenstein presentata il 28 luglio 2008 sul ruolo di Hezbollah nella situazione
libanese cui il governo ha risposto il 29 luglio 2008.
XV legislatura
Incontri
del Presidente
Nel corso della precedente legislatura si
segnala in particolare l’incontro a Roma, il 7 giugno 2007, del Presidente
della Camera, Fausto Bertinotti, con
il Generale Michel Aoun, candidato alle prossime elezioni presidenziali e
Leader del movimento cristiano-maronita
“Libero movimento patriottico”.
Inoltre, il Presidente ha compiuto una visita in Medio Oriente dal 5 al 13 maggio
2007. I Paesi visitati sono stati il Libano,
i Territori dell’Autorità Palestinese,
Israele ed Egitto. Nel corso della visita in Libano, il Presidente della
Camera ha incontrato il Presidente del Parlamento, Nabih Berry, il Primo Ministro, Fouad Siniora, il leader druso Walid
Jumblatt, ed il capo dei deputati hezbollah, Mohammad Raad. Il Presidente ha inoltre incontrato i militari
italiani appartenenti al contingente di pace UNIFIL a Tibnine (Libano
meridionale). Il Presidente Bertinotti ha invitato il Presidente del
Parlamento, Berry, a compiere una visita in Italia.
Incontri
delle Commissioni
Il Presidente della Commissione Affari
Esteri, Umberto Ranieri, ha
incontrato l’11 settembre 2007,
l’Ambasciatore del Libano in Italia, Melhem
Mistou.
Il 7
giugno 2007, il Presidente della Commissione Affari Esteri, on. Umberto Ranieri, ha ricevuto a Roma la
visita del Generale Michel Aoun,
candidato alle elezioni presidenziali del 2007 e Leader del movimento
cristiano-maronita “Libero movimento
patriottico”.
Il Presidente della Commissione Affari
Esteri, Umberto Ranieri, ha
incontrato il 31 maggio 2007,
l’Ambasciatore del Libano in Italia, Melhem
Mistou.
Il 18
e 19 gennaio 2007 una delegazione
congiunta delle Commissioni esteri e difesa della Camera dei deputati
si è recata in Libano per incontrare le principali autorità del Paese e
per visitare il contingente italiano della Missione UNIFIL. La delegazione era
composta dai Presidenti delle due Commissioni, onn. Umberto Ranieri (Ulivo) e
Roberta Pinotti (Ulivo), e dagli onn. Giovanni Crema (Rnp), Alì Rashid (RC),
Dario Rivolta (FI), Marco Zacchera (AN). La delegazione ha incontrato, tra gli
altri, il Presidente del Parlamento libanese Nabih Berry, il Capo del Governo
Fouad Sinora, il Generale Aoun, i capi
delle tre principali comunità religiose (il patriarca cristiano-maronita
Nasrallah Sfeir, il muftì sunnita Mohamad Rachid Kabbani ed il Presidente ad
interim del Consiglio superiore sciita, sceicco Abdel Amir Kabalan) oltre
al Rappresentante del Segretario generale dell'ONU a Beirut, Geir Pedersen.
L’11
gennaio 2007, il Presidente della Commissione Affari
Esteri, on. Umberto Ranieri, ha
incontrato l’Ambasciatore del Libano in Italia, Melhem Nasri Mistou, mentre il giorno precedente aveva incontrato
l’Ambasciatore d’Italia in Libano, Gabriele
Checchia.
Il 20
luglio 2006, il Presidente della Commissione Affari Esteri, on. Umberto Ranieri, ha incontrato il
deputato Saad Hariri, Presidente del
Partito “Mustaqbal” (Movimento per il futuro) e figlio dell’ex Primo Ministro,
Rafiq Hariri.
Nel corso della sua visita, Saad Hariri ha
altresì incontrato il Presidente dell’Unione interparlamentare, on. Pier Ferdinando Casini.
La risoluzione del conflitto arabo-israeliano è una priorità strategica per l’Unione europea, senza la quale poche sono le possibilità di affrontare e risolvere gli altri problemi in Medio Oriente.
L’obiettivo dell’UE è una soluzione a due Stati, con uno Stato palestinese indipendente, democratico e vitale, che coesista accanto ad Israele e agli altri vicini. L’UE ritiene inoltre che la pace in Medio Oriente richieda una soluzione complessiva; ha dunque salutato con favore l’annuncio del maggio 2008 della ripresa di negoziati di pace tra Siria e Israele, con la mediazione turca, (al momento sospesi) e nel dicembre 2008 ha espresso la speranza che dialoghi di pace siano possibili anche tra Israele e Libano. L’UE ha inoltre molto apprezzato l’iniziativa araba di pace, come un passo ulteriore verso il processo di pace in Medio Oriente poiché offre la base di relazioni pacifiche e normalizzate tra Israele e tutti i 22 membri della Lega araba.
In tale contesto, l’Unione europea ha intrapreso diverse attività di natura politica e pratica a sostegno del processo di pace.
Le istituzioni dell’UE hanno ribadito in più occasioni che l’obiettivo politico dell’Unione europea in merito al conflitto in Medio oriente è quello della “coesistenza pacifica, fianco a fianco, di uno Stato palestinese vitale, contiguo, sovrano e indipendente con uno Stato di Israele esistente entro confini riconosciuti e sicuri”[25]. L’Unione punta ad una soluzione negoziata, concordata tra le parti, che risolva in modo equo la complessa questione di Gerusalemme e il problema dei profughi palestinesi.
L’UE ritiene che il futuro Stato palestinese debba avere confini sicuri e riconosciuti. Ciò dovrebbe essere realizzato attraverso il ritiro dai territori occupati nel 1967, se necessario con modificazioni minime e concordate, in conformità con le risoluzioni 242, 338, 1397, 1402 e 1515 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e i principi del processo di Madrid;
Nel dicembre 2008 l’UE ha confermato la sua grande preoccupazione per l’accelerazione dell’espansione degli insediamenti israeliani nei territori occupati. Tale espansione pregiudica il risultato dei negoziati sullo status finale e minaccia il raggiungimento di una soluzione a due stati. L’UE ritiene che la costruzione di insediamenti ovunque nei territori palestinesi occupati, inclusa Gerusalemme est, sia illegale alla luce del diritto internazionale;
L’UE ritiene che i negoziati di pace dovrebbero includere la soluzione di tutte le questioni relative allo status di Gerusalemme. L’UE sostiene l’attività di institution buiding a Gerusalemme est, in particolare nei settori della salute, istruzione e giustizia;
L’UE sostiene una soluzione equa e concordata sulla questione dei rifugiati palestinesi e rispetterà l’accordo che sarà stato raggiunto tra le due parti su questo aspetto. A partire dal 1971 l’UE ha fornito un significativo sostegno all’attività delle agenzie che garantiscono servizi vitali ai rifugiati palestinesi e si impegna ad adeguare tale sostegno in ragione della soluzione della questione.
Per quanto riguarda la sicurezza, l’Unione europea ha condannato in più occasioni senza riserve il terrorismo, la violenza o il suo incitamento, a cui non si può permettere di ostacolare il processo di pace o tenere in ostaggio la stabilità della regione, e ritiene che gli attacchi terroristici contro Israele non abbiano alcuna giustificazione.
A tale
proposito si ricorda che l’UE ha incluso Hamas, Jahad islamica e altri gruppi
palestinesi nelle sue liste di organizzazioni terroristiche al bando. L’Unione
europea riconosce il diritto di Israele di proteggere i suoi cittadini da questi
attacchi, ma enfatizza il fatto che il governo israeliano nell’esercitare
questo diritto dovrebbe agire nel rispetto del diritto internazionale, evitando
di assumere iniziative che aggravino la situazione umanitaria e economica dei
palestinesi. Secondo l’UE, l’assunzione della piena responsabilità della
sicurezza da parte dell’Autorità palestinese nelle aree poste sotto la sua
giurisdizione è un test importante per l’autorità stessa. Pertanto l’UE
richiede che ciò avvenga urgentemente per dimostrare la determinazione
dell’Autorità palestinese nella lotta contro la violenza estremista e gli
attacchi terroristici pianificati e condotti da individui o gruppi.
Sugli specifici sviluppi del processo di pace
in Medio Oriente si sono espresse in più occasioni le diverse istituzioni
europee.
L’intervento più recente risale al 15 giugno
scorso, quando il Consiglio ha
svolto un dibattito approfondito sul Medio Oriente, dopo essere stato informato
dall’Alto Rappresentante per la PESC, Javier Solana, sulla visita effettuata
dal 10 al 14 giugno in Israele, nei territori palestinesi, in Libano e in
Egitto.
Nelle sue conclusioni, il Consiglio accoglie
con favore l'impegno dell'amministrazione statunitense a perseguire con
determinazione la soluzione fondata sulla coesistenza di due Stati e una pace
globale in Medio Oriente e conferma la disponibilità dell'Unione a collaborare
attivamente con gli Stati Uniti e gli altri membri del Quartetto per conseguire
questo obiettivo e a contribuire in misura sostanziale alle intese successive
al conflitto volte ad assicurare la sostenibilità degli accordi di pace,
affrontando anche le dimensioni economica e di sicurezza della regione.
Nell’esprimere
soddisfazione per l’annuncio del Primo Ministro Benjamin Netanyahu di volersi
impegnare a favore di una pace che comprenda uno Stato palestinese, il
Consiglio rimane profondamente preoccupato per le attività di insediamento, la demolizione
delle case e le espulsioni dalle case nei territori palestinesi occupati,
compresa Gerusalemme est. Il Consiglio esorta dunque il governo israeliano a
porre immediatamente fine alle attività di insediamento nonché a smantellare
tutti gli avamposti eretti dal marzo 2001, ribadisce che gli insediamenti
violano il diritto internazionale e sono un ostacolo alla pace. D’altro canto il
Consiglio esorta l'Autorità Palestinese a continuare a compiere ogni sforzo per
migliorare la situazione dell'ordine pubblico.
Per quanto
riguarda la crisi di Gaza, il Consiglio ribadisce l'urgenza di una soluzione
duratura e chiede l'apertura immediata e incondizionata dei valichi per
consentire il flusso di aiuti umanitari, merci e persone verso e da Gaza,
condizione indispensabile per l'inoltro senza ostacoli degli aiuti umanitari,
la ricostruzione e la ripresa economica. Il Consiglio chiede inoltre la
completa cessazione di ogni atto di violenza, con l'arresto duraturo dei lanci
di razzi su Israele, e un meccanismo efficace per impedire il contrabbando di
armi e munizioni verso la Striscia di Gaza.
Il Consiglio
manifesta inoltre la volontà dell’Unione europea di rafforzare ulteriormente le
relazioni bilaterali con l'Autorità Palestinese e di promuovere la costruzione istituzionale
dello Stato palestinese e il suo sviluppo economico sostenibile, in
collaborazione con Israele e con i donatori internazionali.
Il sostegno al processo di pace è fornito dall’UE attraverso diverse iniziative.
L’UE contribuisce a facilitare il processo di pace attraverso incontri regolari con i principali soggetti coinvolti e visite dei leader dell’UE in Medio oriente nonché mediante le attività dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, Javier Solana, e del Rappresentante speciale per il processo di pace, Marc Otte[26]. Inoltre, l’UE è uno dei partner del “Quartetto internazionale” (insieme a Stati Uniti, Federazione russa e Nazioni Unite) che il 30 aprile 2003 ha presentato la road map per il processo di pace formalmente accettata dal Governo israeliano e dall’Autorità palestinese.
Secondo quanto indicato nel preambolo alla road map “la soluzione dei due Stati al
conflitto israeliano-palestinese sarà realizzata soltanto attraverso una
conclusione delle violenze e del terrorismo (quando il popolo palestinese avrà
una leadership che agisce con decisione contro il terrore ed in grado di
sviluppare una democrazia basata su tolleranza e la libertà) e attraverso la
prontezza di Israele nel fare ciò che è necessario per uno Stato palestinese
democratico”. Sempre secondo la road map
“un accordo negoziato fra le parti provocherà l'istituzione di uno Stato
palestinese indipendente, democratico che viva parallelamente nella pace e
nella sicurezza con Israele e gli altri Stati vicini. L'accordo risolverà il
conflitto israeliano-palestinese e concluderà l'occupazione cominciata nel
1967, basandosi sulle conclusioni della Conferenza di Madrid, sul principio
terra per la pace, sulle risoluzioni ONU 242, 338 e 1397, gli accordi
precedentemente raggiunti dalle parti e l'iniziativa del principe saudita
Abdullah, sottoscritto dalla Lega araba a Beirut, che accetta Israele come
vicino in pace e sicurezza”.
Sulla
situazione in Medio Oriente si è espresso il Parlamento europeo che il 12
luglio 2007 ha approvato a larghissima maggioranza una risoluzione in cui ipotizza l'impiego di una forza
internazionale sotto egida ONU. A proposito della fragile situazione della
regione, i deputati considerano la dimensione e l'approccio regionale «il
fondamento di tutti gli sforzi volti a trovare una soluzione pacifica durevole
nel Medio Oriente» e ricordano che «né pregiudiziali, né unilateralismo sono
d'aiuto in tale contesto».
L’UE ha sostenuto il processo di riforme politiche ed economiche avviato dall’Autorità palestinese fornendo, oltre alle risorse finanziarie, anche l’assistenza tecnica in materia di institution-building. In questo contesto si segnala che il 5 ottobre 2005 la Commissione ha presentato la comunicazione “La cooperazione UE-Palestina oltre il disimpegno: verso una soluzione a due Stati”[27], seguita alla fine del 2007 da un documento congiunto predisposto dall’Alto rappresentate per la PESC, Javier Solana, e dal Commissario europeo per le relazioni esterne e la politica di vicinato, Benita Ferrero-Waldner. L’obiettivo è quello di attuare una strategia di medio termine per sfruttare le nuove opportunità offerte dal ritiro di Israele da Gaza, assicurando la fattibilità politica ed economica del futuro stato palestinese:
L’UE è il maggior donatore dell’Autorità palestinese ed un importante partner economico di Israele, Egitto, Giordania, Libano e Siria. La cooperazione bilaterale in campo economico e finanziario con tutte le parti coinvolte nel processo di pace, fornita nell’ambito di diversi strumenti di cooperazione, si prefigge di porre le condizioni per la pace, la stabilità e la prosperità della regione.
L’assistenza
finanziaria da parte dell’UE è cominciata già nel 1971, con il primo contributo
al bilancio dell’Ufficio di assistenza
delle Nazioni Unite per i profughi della Palestina in Medio Oriente (UNRWA).
A partire dal 1986 inoltre l’UE ha garantito l’accesso preferenziale ai prodotti provenienti dai territori
occupati.
Successivamente alla conclusione degli Accordi di Oslo del settembre 1993, l’Unione europea ha dato inizio a un programma speciale per sostenere il Processo di pace in Medio Oriente e lo sviluppo della società palestinese. Tra il 1994 e il 2002 l’UE ha fornito circa 1 miliardo di euro in contributi e prestiti[28] e ulteriori 500 milioni di euro all’UNRWA. L’assistenza unilaterale fornita dagli Stati membri dell’UE ammonta a circa 2,5 miliardi di euro per lo stesso periodo.
Se si considera l'aiuto pro-capite, i palestinesi sono tra i principali destinatari degli aiuti dell'UE nel mondo e l'Unione europea è il principale donatore per la società palestinese.
A seguito della ripresa dei trasferimenti mensili di
tasse da parte del Governo israeliano alla fine del 2002, la Commissione
europea ha aggiornato il suo programma di sostegno, mantenendo un alto livello
di aiuto ma collegandolo più strettamente ai progressi dimostrati negli sforzi
riformatori e alle esigenze specifiche identificate in collaborazione con il
ministro delle finanze dell’Autorità palestinese. Tra il 2003 e il 2005 l’UE ha
messo a disposizione in totale 750 milioni di euro dal bilancio comunitario,
fissando annualmente il contributo finanziario, a causa della volatilità della
situazione.
Nel 2006, a
causa dell’evoluzione della situazione politica e del deterioramento della
situazione socio-economica nei Territori palestinesi, l’assistenza è stata
destinata totalmente ad aiuti umanitari
e di emergenza. In totale sono stati messi a disposizione della popolazione
palestinese 329 milioni di euro dal bilancio dell’UE così ripartiti: 105
milioni al meccanismo temporaneo internazionale (TIM)[29] per
l’assistenza diretta alla popolazione palestinese; 40 milioni di euro per la
fornitura di combustibile; 184 milioni in aiuti per i rifugiati, sicurezza
alimentare e aiuti umanitari.
Con la formazione del governo di unità nazionale nel 2007, l’UE ha ripreso gli aiuti diretti all’Autorità palestinese, con un contributo totale di 550 milioni di euro per il 2007 e di 496 milioni di euro per il 2008. Di questi ultimi, 229 milioni di euro sono stati stanziati tramite il PEGASE, il meccanismo europeo che a partire dal 1° febbraio 2008 ha sostituito il TIM per sostenere il piano triennale di riforma e sviluppo presentato dal primo ministro dell’Autorità palestinese, Salam Fayyad, in occasione della conferenza internazionale di Parigi di dicembre 2007.
Per il 2009, come annunciato in occasione della Conferenza internazionale dei donatori a sostegno della ricostruzione di Gaza, tenutasi in Egitto il 2 marzo 2009, l’assistenza dell’UE ai palestinesi ammonterà a 440 milioni di euro, di cui 235 attraverso il PEGASE, 67 a sostegno dell’attività dell’UNRWA, 61 in aiuti umanitari, quasi 55 in sicurezza alimentare.
Tra le altre iniziative specifiche avviate dall’Unione europea si segnala, a partire dal novembre 2005 e dietro richiesta delle parti, la missione di controllo di frontiera al valico di Rafah, tra Gaza e l’Egitto (EU BAM Rafah), istituita con l'azione comune 2005/889/PESC del 12 dicembre 2005. Il rapido avvio di EU BAM Rafah - sotto la guida del Generale Pietro Pistolese (Carabinieri) - ha consentito l’apertura del valico il 25 novembre 2005.
La missione ha l’incarico di monitorare, verificare e
valutare attivamente i risultati conseguiti dall'Autorità palestinese,
sviluppare le capacità palestinesi relativamente a tutti gli aspetti della
gestione delle frontiere a Rafah e contribuire a mantenere il collegamento tra
le autorità palestinesi, israeliane ed egiziane riguardo alla gestione del
valico[30]. Allo stato
attuale, in conseguenza della situazione di Gaza, la missione è temporaneamente
sospesa, in attesa di riprendere al più presto le attività non appena le
condizioni lo consentano.
Dal 1° gennaio 2006 è attiva anche la missione UE di polizia per i territori palestinesi (Eupol Copps), istituita con l'azione comune 2005/797/PESC del 14 novembre 2005 per un periodo iniziale di tre anni – e successivamente estesa fino al 31 dicembre 2010 - con l’obiettivo di assistere l'autorità palestinese nella creazione di dispositivi di polizia duraturi ed efficaci.
A partire dall’estate 2006, l’Unione europea contribuisce inoltre in maniera determinante alla missione UNIFIL delle Nazioni Unite in Libano.
Inoltre, l’UE ha un ruolo guida nella Task force internazionale[31], istituita nel giugno 2002 con l’obiettivo di sostenere l’attuazione delle riforme civili palestinesi e di coordinare la comunità internazionale dei donatori.
Nella sessione del Consiglio del 26 gennaio 2009, i ministri degli affari esteri dell'UE – dopo aver espresso la loro soddisfazione per la cessazione delle ostilità e aver espresso il proprio pieno sostegno all’iniziativa egiziana in favore di un duraturo cessate il fuoco - hanno concordato di concentrare la risposta dell'UE all'attuale crisi di Gaza sui seguenti punti: aiuti umanitari immediati per la popolazione di Gaza; prevenzione del traffico illecito di armi e munizioni; riapertura duratura dei valichi sulla base dell'accordo del 2005 sulla circolazione e l'accesso; riabilitazione, ricostruzione e ripresa del processo di pace. L'UE porterà avanti questa agenda in stretta cooperazione con gli altri partner del Quartetto e gli altri attori regionali e conformemente all'approccio più ampio alla regione, compresi gli sforzi di costruzione dello Stato. Come si legge nelle conclusioni del Consiglio, l’UE sta sviluppando a tale proposito un piano di lavoro.
Nelle sue conclusioni, il Consiglio ha espresso inoltre profondo rammarico per la perdita di vite umane, in particolare vittime civili, causata dal conflitto e ha condannato il bombardamento delle infrastrutture dell'UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite di soccorso e lavori per i profughi della Palestina nel Vicino Oriente) a Gaza. L'UE è disposta a incrementare il suo contributo in aiuti d'urgenza e continuerà ad appoggiare le Nazioni Unite e le altre organizzazioni internazionali nei loro sforzi. Nel richiamare le parti al pieno rispetto dei diritti umani e degli obblighi internazionali, ha dichiarato che si seguiranno da vicino le indagini su presunte violazioni del diritto internazionale umanitario.
Per portare aiuti umanitari alle vittime del conflitto e contribuire alla riabilitazione, alla ricostruzione e allo sviluppo economico della Striscia di Gaza, i valichi di frontiera debbono essere riaperti al passaggio di aiuti umanitari, merci e persone. A tale proposito, il Consiglio manifesta la disponibilità dell'UE a riprendere la missione di assistenza alle frontiere (EUBAM Rafah) appena le condizioni lo renderanno possibile e a valutare l’eventualità di estendere la propria assistenza agli altri valichi, come parte del suo impegno complessivo nella regione.
In conclusione, i ministri degli esteri dell’UE hanno invitato le parti a riprendere – con il sostegno della comunità internazionale - l’impegno in favore di una soluzione di pace.
L’Unione europea è intervenuta in più occasioni
durante la crisi di Gaza. Il giorno stesso dell'inizio dell'offensiva aerea
israeliana verso la striscia di Gaza, Javier Solana, Alto rappresentante
per la politica estera dell'UE, ha esortato entrambe le parti a cessare ogni
azione militare. Precisando che l'UE ha sempre condannato il lancio di missili
contro Israele, ha però sottolineato che l'attacco israeliano infligge ai
civili palestinesi un costo inaccettabile, peggiora la crisi umanitaria e rende
più complicata la ricerca di una soluzione pacifica.
Analoghe preoccupazioni sono state espresse dalla Presidenza
francese dell'UE e dal Presidente
del Parlamento europeo, che hanno deplorato l’elevatissimo numero di
vittime civili, condannando inoltre «l’uso sproporzionato della forza» e
ricordando «che non esiste una soluzione militare a Gaza». In particolare il
Presidente del Parlamento europeo ha ribadito che una pace duratura basata su
una soluzione fondata su due Stati può essere raggiunta solo con l'attivo
coinvolgimento di tutte le parti ed ha incoraggiato i paesi arabi a contribuire
a restaurare la pace. Allo stesso tempo ha esortato la nuova Amministrazione
USA e l'UE a promuovere congiuntamente una strategia di pace per il Medio
Oriente, in cui l'Europa svolga un ruolo attivo.
Il 30 dicembre 2008 i ministri degli affari esteri dell’UE si sono incontrati per
discutere la situazione in Medio Oriente, come parte degli sforzi della
comunità internazione, particolarmente del Quartetto e della lega araba, per
trovare una soluzione alla crisi. Nell’occasione, l’UE ha chiesto: immediato e
persistente cessate il fuoco; azione umanitaria immediata per consentire
l’invio di cibo, generi di pronto soccorso e combustibile nella striscia di
Gaza, evacuazione dei feriti e accesso sicuro per il personale umanitario;
ripresa del processo di pace.
Tra il 4 e il 6 gennaio, l'UE ha inviato una
missione in Medio Oriente guidata dal Ministro degli affari esteri ceco, in
quanto Presidente del Consiglio UE, accompagnato dai ministri degli esteri
francese e svedese, la commissaria per le relazioni esterne e l'Alto
Rappresentante PESC. L'obiettivo era di instaurare un dialogo con i partner
dell'UE in Medio oriente, valutare la situazione e determinare le possibilità
di restaurare il cessate il fuoco, analizzare la possibilità di inviare aiuti
umanitari per la popolazione civile della Striscia di Gaza e coordinare le
azioni comuni europee. In tale ambito, la delegazione ha avuto incontri ai
massimi livelli in Israele, Giordania, Egitto e con l'Autorità palestinese.
Il 4 gennaio, dopo l'inizio dell'offensiva terrestre
su Gaza, la Presidenza ceca ha ribadito l'appello per la riapertura dei
canali umanitari destinati alla popolazione civile e per il cessate il fuoco.
Il 7 gennaio ha reiterato lo stesso appello ricordando «la responsabilità di
coloro che, lanciando in modo indiscriminato razzi su Israele, anche da zone
densamente popolate di Gaza, hanno dato inizio a questo tragico conflitto». Il
Ministro degli esteri Karel Schwarzenberg ha però sottolineato che la maggiore
preoccupazione riguarda le sofferenze dei civili a Gaza.
La Commissione europea, intanto, ha sbloccato 3
milioni di euro per l'aiuto umanitario d'urgenza ai civili palestinesi,
destinati all'invio di cibo, alla riparazione dei rifugi e al sostegno medico.
Questi fondi si sommano ai 73 milioni di euro già stanziati nel 2008.
Le relazioni tra l’Unione europea e il Libano e la Giordania sono inserite da anni nel quadro del Partenariato euro mediterraneo, di recente evolutosi nell’Unione per il Mediterraneo.
Il Partenariato
euromediterraneo (o Processo di Barcellona) è stato inaugurato dalla Conferenza di Barcellona del 27 e 28 novembre 1995, che ha
riunito i Ministri degli affari esteri degli Stati membri dell'Unione europea
insieme a quelli di Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco,
Siria, Tunisia, Turchia, dell'Autorità palestinese, oltre a Cipro e Malta all’epoca non ancora membri dell’UE. Dal 6 novembre 2007 partecipano a pieno
titolo al Processo di Barcellona anche Albania
e Mauritania.
Obiettivo generale dell'iniziativa è quello di superare
l’approccio bilaterale per adottare il metodo della cooperazione multilaterale
e fare del bacino del Mediterraneo
una zona di dialogo, di scambi e di
cooperazione che garantisca la pace, la stabilità e la prosperità. Il
partenariato si articola in tre aree:
- uno spazio comune di pace e stabilità, attraverso il rafforzamento della cooperazione politica e di sicurezza;
- una zona di prosperità condivisa, attraverso la cooperazione economica e finanziaria e la progressiva creazione di una zona di libero scambio (che dovrebbe realizzarsi entro il 2010);
- l’avvicinamento tra i popoli, attraverso la cooperazione sociale, culturale ed umana, volta ad incoraggiare la comprensione tra le culture e lo scambio tra le società civili.
Come anticipato, il partenariato si è recentemente evoluto nel progetto
dell'Unione per il Mediterraneo
approvato dal Consiglio europeo del marzo 2008, con l’obiettivo di rilanciare le
relazioni dell'UE con i partner della regione mediterranea, puntando in
particolare su tre aspetti: potenziamento del profilo politico dei
rapporti fra l'UE e i suoi partner mediterranei; governance su base
egualitaria, con un maggior coinvolgimento dei paesi della sponda
meridionale del Mediterraneo; priorità data a progetti concreti di
dimensione regionale (in materia di infrastrutture, energia, ambiente, cultura).
Le proposte avanzate dalla Commissione nella comunicazione del 20
maggio 2008 sono state sottoposte all’esame del Vertice inaugurale tenutosi a
Parigi il 13 luglio 2008, che con la dichiarazione congiunta finale le ha
approvate. Di fatto, la successiva crisi di Gaza ha comportato come conseguenza
un parziale rallentamento dell’iniziativa.
Dal 1996 al 2006 il principale strumento finanziario dell’Unione europea per sostenere l’attuazione del partenariato euro mediterraneo è stato il programma MEDA. In tale ambito, tra il 2000 e il 2006 la Commissione ha erogato 4,6 milioni di euro a favore degli otto partner del processo di Barcellona attraverso programmi di cooperazione bilaterale e regionale.
Dal 1° gennaio 2007, nel quadro delle nuove prospettive finanziarie 2007-2013, l’assistenza ai paesi del partenariato euromediterraneo viene fornita attraverso un nuovo strumento, denominato strumento europeo di vicinato e partenariato (anche detto ENPI) destinato alla frontiera esterna dell’UE allargata, con una dotazione finanziaria di oltre 11 miliardi di euro per l’intero periodo[32]. L’ENPI sostituisce i programmi geografici e tematici esistenti, compreso il programma MEDA.
Lo strumento indispensabile per l’attivazione e l’efficace attuazione del partenariato è rappresentato dagli accordi bilaterali di associazione[33]. Questi accordi, di durata illimitata, mirano a rafforzare i legami esistenti tra i firmatari, instaurando relazioni fondate sulla reciprocità, la compartecipazione e il co-sviluppo nel rispetto dei principi democratici e dei diritti umani. Gli accordi prevedono l’instaurazione di un dialogo politico regolare; la delimitazione progressiva di una zona di libero scambio in conformità con le disposizioni dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC); disposizioni in materia di libertà di stabilimento, liberalizzazione dei servizi, libera circolazione dei capitali e concorrenza; il rafforzamento della cooperazione economica; una cooperazione sociale completata da una cooperazione culturale; una cooperazione finanziaria per sostenere gli sforzi di riforma richiesti dalla creazione di una zona di libero scambio tra i paesi terzi mediterranei e l’Unione europea.
Nell’ambito di tale contesto, la Giordania ha firmato l’accordo con l’UE il 24 novembre 1997. L’accordo è poi entrato in vigore il 1° maggio 2002. Per quanto riguarda il Libano l’accordo è stato firmato il 17 giugno 2002 ed è entrato in vigore il 1° aprile 2006. Inoltre, con uno scambio di lettere, le Parti si sono impegnate a cooperare nella prevenzione e repressione degli atti di terrorismo, materia non coperta dall’Accordo di associazione. Con tale strumento le Parti si impegnano, mediante la piena applicazione della risoluzione n. 1373 dell’ONU, a scambiarsi informazioni sui gruppi terroristici e le loro reti di appoggio, sulle risorse e i metodi usati contro il terrorismo, e a condividere esperienze relative alla prevenzione di tale fenomeno.
Il Libano e la Giordania partecipano inoltre – insieme agli altri paesi del Mediterraneo meridionale[34], ai nuovi Stati indipendenti[35], e, a seguito della decisione del Consiglio del 14 giugno 2004, anche agli Stati del Caucaso[36], - alla Politica europea di vicinato, inaugurata dalla Commissione con una comunicazione[37] presentata l’11 marzo 2003 e a più riprese rafforzata, con l’obiettivo di creare una zona di prosperità condivisa e buon vicinato.
Strumento fondamentale della PEV è il piano di azione, che viene predisposto per ciascuno dei paesi coinvolti - una volta che essi siano stati ritenuti pronti - ed è considerato cruciale nel processo di avvicinamento all’Unione. Il piano d’azione individua gli obiettivi strategici della cooperazione politica ed economica tra l’UE e il singolo paese e mira al contempo a favorire l’applicazione dell’accordo di associazione o di cooperazione vigente. Nelle intenzioni della Commissione, l’attuazione del piano di azione dovrebbe contribuire in maniera significativa al ravvicinamento della legislazione, delle norme e degli standard del paese a quelli dell’UE.
I piani d’azione sono differenziati, per riflettere lo stato delle relazioni di ciascun paese con l’UE, le sue necessità e capacità, nonché gli interessi comuni, e definiscono il percorso da seguire nel medio periodo.
Il piano d’azione per il Libano, adottato nell’ottobre 2006 per la durata di 5 anni, individua le seguenti aree prioritarie: rafforzamento del dialogo politico; sviluppo di un sistema giudiziario indipendente e imparziale; definizione di una strategia generale sulla tutela dei diritti umani; promozione della libertà di espressione: ulteriore promozione delle pari opportunità; misure per una politica fiscale sostenibile, con riduzione del debito e miglioramento delle pubbliche finanze; miglioramento del potenziale libanese in termine di esportazione attraverso l’ulteriore liberalizzazione degli scambi in beni e prodotti agricoli, la semplificazione della legislazione e delle procedure doganali, il miglioramento degli standard industriali e la modernizzazione dei sistemi sanitario e fitosanitario; potenziamento della cooperazione in materia di gestione dei flussi migratori e del dialogo sui visti; promozione delle politiche di sviluppo sostenibile e definizione di una strategia di riduzione della povertà.
L’ultima relazione della Commissione relativa ai progressi compiuti dal Libano nel 2008, pubblicata il 23 aprile 2009, segnala come dopo la fine del conflitto militare tra Israele ed Hezbollah nel 2006, il Libano sia entrato in una lunga fase di stallo politico durata 18 mesi e conclusasi nel luglio 2008 con la formazione di un governo di unità nazionale. Secondo quanto riportato nella relazione, la difficile situazione politica che ha caratterizzato parte del 2008 ha rallentato l’attuazione del piano d’azione; nonostante gli intervenuti miglioramenti a livello istituzionale, non è stato possibile discutere alcuna proposta di legge a causa di un’impasse legislativa: il Consiglio dei ministri ha infatti convenuto su varie riforme (compresa quella della politica della concorrenza e dell’IVA), che però non hanno potuto essere attuate. Anche in altri settori (diritti umani, riforma del sistema giudiziario, riforma del settore sociale e riforma normativa e dell’amministrazione), la lentezza dei progressi ha inciso sulla situazione sociale, economica e politica generale del paese e sul dialogo nell’ambito della PEV. Tra gli elementi positivi la Commissione segnala Il primo passo verso la normalizzazione delle relazioni con la Siria, compiuto nell’ottobre 2008 grazie all’instaurazione di relazioni diplomatiche.
Nonostante le difficoltà, nella relazione si rileva che l’economia libanese ha dimostrato una certa forza, raggiungendo una crescita del PIL del 6 percento. L’UE è rimasta nel 2008 il principale partner commerciale del Libano, con un valore di 4,2 miliardi di euro del commercio bilaterale in beni .
In merito alla situazione politica in Libano si è espresso di recente il Consiglio del 15 giugno scorso che ha manifestato il proprio apprezzamento per il regolare svolgimento della campagna elettorale e delle successivi elezioni politiche, come rilevato dalle missioni di osservazione condotte dall’UE e da altre organizzazioni, e ha incoraggiato tutte le parti a proseguire il dialogo, al fine di avviare un programma globale di riforme nell’interesse della stabilità e dell’unità di tutto il Libano.
Il piano d’azione per la Giordania, adottato nel gennaio 2005 per la durata di 5 anni, individua le seguenti aree prioritarie: intensificazione del dialogo nazionale su democrazia e vita politica; proseguimento dello sviluppo di un sistema giudiziario indipendente e imparziale; ulteriore promozione della libertà di espressione e delle pari opportunità; misure per migliorare il clima per gli affari; gestione dei flussi migratori e facilitazione della circolazione delle persone in conformità con l’acquis; miglioramento del potenziale giordano in termine di esportazione attraverso l’ulteriore liberalizzazione degli scambi in beni e prodotti agricoli, la semplificazione della legislazione e delle procedure doganali, il miglioramento degli standard industriali e la modernizzazione dei sistemi sanitario e fitosanitario; attuazione della strategia nazionale sullo sviluppo sostenibile e della strategia del governo per ridurre la povertà.
L’ultima relazione della Commissione relativa ai progressi compiuti dal paese nel corso del 2008, pubblicata il 23 aprile 2009, rileva in primo luogo che la Giordania è un partner attivo e costruttivo della PEV e che ha compiuto ampi progressi nel settore economico; più limitati sono stati i progressi con riguardo a democrazia e politiche sociali. In particolare, secondo la Commissione il paese ha compiuto passi in avanti nel campo della riforma penitenziaria, della trasparenza e della lotta contro la corruzione – con l’istituzione della Commissione anticorruzione nel gennaio 2008 e l’adozione della strategia anticorruzione per il periodo 2008-2012. A parere della Commissione non si riscontrano invece progressi significativi in materia di indipendenza del sistema giudiziario o di libertà d’associazione. Nella relazione si rileva che le autorità giordane hanno preso misure significative per proteggere le donne dalla violenza. con l’adozione della legge in materia di protezione familiare nel febbraio 2008; nell’area dell’inclusione sociale la Giordania ha sviluppato una rete di sicurezza sociale e una strategia generale di riduzione della povertà è stata adottata dal Governo nel novembre 2008. Come anticipato, la Commissione registra progressi soddisfacenti per quanto attiene alla liberalizzazione dell’economia e al miglioramento della concorrenza in settori quali le comunicazioni elettroniche e l’energia, nonché nella governance ambientale; occorrono invece altri interventi per migliorare il contesto imprenditoriale, anche se si registrano alcuni progressi in campo commerciale.
La Commissione segnala inoltre che nel novembre 2008, la Giordania ha espresso il desiderio di intensificare, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, gli scambi politici con l’UE su un’ampia gamma di questioni comuni di politica e sicurezza.
Dello stato della tutela dei diritti umani nei due paesi si è occupata l’ultima relazione annuale sui diritti umani nel mondo, predisposta da Commissione europea e il Segretariato del Consiglio e presentata il 27 novembre 2008.
Per quanto riguarda il Libano, secondo la relazione la situazione generale dei diritti umani resta contrastante, malgrado i miglioramenti registratisi dopo il ritiro della Siria nel 2005. I diritti civili e politici sono nel complesso rispettati, ma permangono gravi difficoltà connesse con le prassi in uso nell'apparato giudiziario e di sicurezza, un concetto debole dello stato di diritto, l'inefficienza dell'amministrazione e la corruzione. Le condizioni carcerarie e le denunce di casi di tortura sono ulteriori motivi di preoccupazione.
La relazione rileva inoltre la presenza di molti gruppi politici armati, il che contribuisce ad un clima di tensione in cui alcune libertà fondamentali sono minacciate, come dimostrano le segnalazioni di violazioni dei diritti umani durante gli eventi verificatisi nel maggio 2008 a Beirut e altrove in Libano. Sono stati compiuti alcuni progressi per quanto riguarda la regolarizzazione della situazione di un numero significativo di profughi iracheni in Libano (100 000). La situazione dei profughi palestinesi e dei lavoratori migranti rimane tuttavia motivo di particolare preoccupazione.
Per quanto riguarda i palestinesi, le condizioni di vita sono estremamente difficili e malgrado i buoni uffici del comitato per il dialogo libanese/palestinese e gli sforzi profusi dal governo nel quadro dell'iniziativa per il miglioramento dei campi ed in relazione all'importante problema delle persone sprovviste di documenti d'identità, i profughi palestinesi non beneficiano ancora di un adeguato accesso al mercato del lavoro ne del diritto di possedere beni immobili.
Per quanto riguarda la Giordania, la relazione rileva i diversi progressi compiuti dal paese, che per altro è il primo della PEV ad aver attivato un sottocomitato per i diritti umani e la democrazia, attraverso il quale è stato instaurato un dialogo positivo dell’UE con il governo. Nella relazione vengono segnalati diversi aspetti postivi: l'adozione di una legge sulla violenza domestica e di una legge sull'accesso all'informazione, l’entrata in funzione della commissione anticorruzione; la promozione della parità di trattamento delle donne, con quote nei consigli comunali e l'istituzione di un'unita speciale presso il Ministero del lavoro: l’attuazione della legge sulla stampa e le pubblicazioni, che ha ampliato la legislazione vigente e rafforzato la tutela dei giornalisti e di tutte le liberta individuali; le misure adottate per lottare contro la tortura e altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Tra gli aspetti che destano preoccupazione la relazione segnala che la legge sulla società civile sia stata adottata dal Parlamento senza tener contro delle raccomandazioni e obiezioni delle organizzazione della società civile che secondo l’UE svolgono un ruolo positivo nel processo di riforma del paese. Inoltre nella relazione si auspica che in tema di riunioni in luogo pubblico si possa trovare un giusto equilibrio tra le esigenze di sicurezza e la tutela della libertà di espressione.
Il 7 marzo 2007 la Commissione ha adottato il documento di strategia per il Libano (Country strategy paper) e il programma indicativo nazionale 2007-2010, in cui, sulla base delle esigenze del paese e dell’agenda politica del governo libanese, sono state individuate le priorità dell’assistenza fornita dall’UE. Per l’intero periodo sono stati messi a disposizione del Libano, nell’ambito dell’ENPI, un totale di 187 milioni di euro così distribuiti:
· 22 milioni di euro per il sostegno alle riforme politiche, in particolare nei settori democrazia, diritti umani, governance, giustizia e sicurezza;
· 86 milioni di euro per il sostegno alle riforme economiche e sociali, con particolare riguardo a energia, miglioramento delle condizioni sanitarie, miglioramento delle condizioni di vita dei rifugiati palestinesi, facilitazioni degli scambi, protezione ambientale, riforma della finanza pubblica;
· 79 milioni di euro in favore della ricostruzione, attraverso la promozione dello sviluppo locale e delle piccole e medie imprese, la riabilitazione delle infrastrutture pubbliche, lo sminamento.
Si ricorda che i 187 milioni di euro sono parte dei 500 milioni di euro che la Commissione europea ha messo a disposizione del Libano a seguito del conflitto con Israele dell’estate 2006, in occasione delle Conferenze internazionali dei donatori di Stoccolma (agosto 2006) e Parigi (gennaio 2007).
Come riconoscimento dell’impegno della Giordania nella realizzazione delle riforme politiche ed economiche, l’UE ha dedicato notevoli risorse finanziarie al paese per aiutarlo a raggiungere i suoi obiettivi. A partire dal 1995 e fino al 2006, nell’ambito del citato programma MEDA la Giordania ha beneficiato di finanziamenti per 500 milioni di euro.
Come per il Libano, nell’ambito dello strumento ENPI istituito a partire dal 1 gennaio 2007, la Commissione ha adottato il documento di strategia per la Giordania (Country strategy paper) e il programma indicativo nazionale 2007-2010, in cui, sulla base delle esigenze del paese e dell’agenda politica del governo libanese, sono state individuate le priorità dell’assistenza fornita dall’UE. Per l’intero periodo sono stati messi a disposizione della Giordania, nell’ambito dell’ENPI, un totale di 265 milioni di euro così distribuiti:
· 17 milioni di euro per il sostegno alle riforme politiche, in particolare nei settori democrazia, diritti umani, governance, giustizia e sicurezza;
· 78 milioni di euro per lo sviluppo degli scambi, liberando il potenziale della libera circolazione di beni e servizi, preparando la Giordania a partecipare al mercato interno, migliorando la logistica degli scambi e i trasporti;
· 63 milioni di euro per assicurare la sostenibilità del processo di sviluppo del paese, con una migliore gestione delle risorse umane e naturali;
· 107 milioni di euro per migliorare le capacità delle istituzioni giordane, investendo nel rafforzamento della pubblica amministrazione, assicurando la stabilità finanziaria e sostenendo l’adeguamento alla legislazione UE.
[1] Fonti: The Cia Worldfactbook 2009, Ministero
degli Affari Esteri, fonti di stampa.
[2] Per far fronte alla grave
emergenza idrica del Paese, oltre all’annuncio della costruzione di una
centrale di desalinizzazione ad Aqaba, per un costo di 30 milioni di dollari,
il Re Abdullah II ha di recente disposto l’istituzione di un Royal Higher Committe for Water Sector,
che sarà competente per la politica sull’acqua e si pronuncerà sulle strategie
da adottare e sulla previsione degli scenari futuri che caratterizzeranno
l’annoso problema della scarsità di acqua nel Regno. Sono inoltre cominciati,
all’inizio del mese di agosto, i lavori della società turca GAMA presso il
giacimento idrico di Disi, uno dei maggiori della Giordania, dal quale, entro tre
anni e mezzo, dovrebbero iniziare a pomparsi circa 100 milioni di metri cubi
d’acqua l’anno verso la capitale del Regno, distante oltre
[3] Lo sviluppo
industriale è stato fino ad oggi rallentato da inefficienze e lungaggini
burocratiche, che scoraggiano potenziali investitori, mancanza di supporto a
livello bancario e governativo, una pressione fiscale tra le più elevate nel
mondo arabo ed eccessivi costi energetici e di trasporto.
[4] L’Assemblea parlamentare
euro-mediterranea (APEM), la cui seduta inaugurale si è svolta ad Atene il
22 e 23 marzo 2004, costituisce l’istituzione più recente del Processo di
Barcellona che, secondo quanto stabilito al punto V del Programma di lavoro
annesso alla Dichiarazione, prevede l’istituzione di un dialogo parlamentare
permanente tra i Parlamenti delle due sponde del Mediterraneo. L’Assemblea è
dotata di un Ufficio di Presidenza,
composta da quattro membri (il Presidente del Parlamento europeo, il Presidente
di un Parlamento nazionale europeo e due Presidenti di Parlamento dei Paesi
della sponda sud del Mediterraneo) che esercitano rispettivamente
[5] Poiché la
consistenza confessionale è una questione sensibile, un censimenti nazionale
non è stato condotto dopo quello del 1932. Tuttavia, secondo alcuni studi
demografici ritenuti affidabili, condotti negli ultimi due anni, circa il 35%
dei musulmani sono sunniti, il 35% sciiti e il 5% drusi. Negli anni, è stato
registrato un evidente declino della popolazione cristiana dovuta alla forte
emigrazione dei cristiano maroniti.
[6] La proposta di
modifica della Costituzione è stata approvata con 96 voti favorevoli, 29
contrari e 3 astenuti, mentre sarebbero stati necessari 43 voti contrari per
impedirne l’approvazione.
[7]
[8] Analoga estensione
era stata già concessa al Presidente Elias Haraoui nel 1995.
[9] Come richiesto dalla Risoluzione
1644 (2005), il Segretario Generale ha iniziato a studiare possibili forme
di assistenza per la creazione di un tribunale di natura internazionale
per giudicare coloro che fossero stati incriminati in relazione all’omicidio di
Hariri. Per ulteriori approfondimenti circa il Tribunale Internazionale per il
Libano si rimanda alla relativa scheda di approfondimento.
[10] Il Parlamento del
[11] Il Libano ottenne
l'indipendenza nel 1943, ma solo nel 1946
le truppe francesi abbandonarono il paese.
[12]
[13] E’ il piano in
sette punti enunciato durante
[14] Per non
compromettere gli equilibri confessionali libanesi.
[15] Essendosi alleati
con Drusi e musulmani contro i cristiani.
1 L’AEMA consentirà di giungere alla rimozione
di tutti i dazi sulle importazioni, da parte libanese, dei prodotti agricoli ed
industriali provenienti dall’UE. L’Accordo sosterrà inoltre, in prospettiva, il
reciproco accesso al mercato dei servizi.
[16] Per il settore
agricolo, va evidenziato che la crisi si è verificata nel periodo del raccolto,
compromettendola produzione annuale di molti prodotti tra cui il tabacco. A ciò
bisogna aggiungere la devastazione dei terreni coltivabili causata dai
combattimenti, il rischio della presenza di ordigni inesplosi nei campi e, per
quanto riguarda la pesca –principale sostegno della fragile economia del sud
del paese- la protratta impossibilità di spingersi in mare e la catastrofe
ambientale di Jiyeh.
[17] Nelle casse dello Stato libanese sono pervenuti,
finora, 777 milioni di dollari finalizzati all’aiuto diretto al bilancio,
versati rispettivamente a titolo di dono dall’Arabia Saudita (100 milioni di
dollari) e a titolo di prestito, nel quadro EPCA, dal FMI (77 milioni di
dollari). Come sottolineato da recenti rapporti del FMI, gli esborsi effettuati
dai donatori risultano ancora insoddisfacenti rispetto agli accordi firmati con
il Libano.
[18] Questo primo dono
di 75 milioni di dollari sarà subordinato all’effettivo compimento di alcune
riforme chiave da parte del Governo libanese e sarà utilizzato per far fronte
al pagamento del servizio del debito contratto conla Banca Mondiale.
[19] Una successiva
riunione del Core Group si è avuta a margine della Conferenza Internazionale
sul Libano svoltasi a Roma il 26-27 luglio 2006.
[20] Fonte: Ministero
Affari Esteri
[21] Si ricorda al riguardo il
caso della nave “Monica”, proveniente dalle coste libanesi e sbarcata in
Sicilia nel marzo 2002 con oltre 900 immigrati clandestini curdi.
Le Autorità libanesi hanno
mostrato una crescente attenzione nei confronti di tale fenomeno, anche per i
suoi evidenti legami con la criminalità organizzata locale ed internazionale.
La collaborazione bilaterale ai fini di contrasto all’immigrazione clandestina
è dunque diventata più intensa ed ha portato, anche di recente, ad operazioni
di polizia che hanno consentito di bloccare numerosi clandestini in partenza e
di smantellare alcune organizzazioni criminali.
[22] In tutti i casi attualmente in
essere, si provvede ad assistere il genitore italiano sia nei suoi rapporti con
il legale di fiducia in loco che assicurandosi che il diritto di visita,
normalmente previsto dalla sentenza libanese, venga garantito. Nei casi più
complessi, si provvede inoltre ad accompagnare il genitore italiano al
domicilio dove risiede il minore, assistendo, ove richiesto, all’incontro.
[23] Fonte: Ambasciata d’Italia a Beirut
[24] Fonte: Ambasciata d’Italia
a Beirut
[25] Gli elementi basilari della posizione dell’UE in merito alla situazione in Medio Oriente sono stati formulati per la prima volta dal Consiglio europeo nella Dichiarazione di Venezia del 1980 e sono stati ripetutamente riaffermati in Vertici successivi e Consigli dei ministri.
[26] Marc Otte è stato nominato Rappresentante speciale dell'UE per il processo di pace in Medio Oriente il 14.07.2003 (Azione comune 2002/965/PESC). Il mandato del rappresentante speciale si basa sugli obiettivi politici dell’UE nei confronti del processo di pace in Medio Oriente, che includono una soluzione che preveda due Stati, Israele e uno Stato di Palestina democratico, vitale, pacifico e sovrano, che vivano fianco a fianco all'interno di frontiere sicure e riconosciute e intrattengano normali relazioni con i paesi limitrofi, conformemente alle risoluzioni 242, 338, 1397 e 1402 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e ai principi della conferenza di Madrid. Il mandato di Marc Otte scade il 28 febbraio 2010.
[27] COM (2005) 458.
[28] Tra il novembre 2000 e la fine del 2002 la Commissione europea ha fornito assistenza finanziaria in forma di aiuto diretto al bilancio palestinese. Nel 2003 l’Ufficio europeo antifrode (OLAF) ha avviato un’indagine per verificare se tali fondi siano stati utilizzati per finanziare attività illegali o attacchi terroristici. Il 17 marzo 2005, a conclusione dell’indagine, l’OLAF ha reso noto che non vi sono prove del collegamento tra fondi dell’UE e terrorismo.
[29] Il TIM è stato istituito dalla Commissione coerentemente con le indicazioni del Quartetto e le conclusioni del Consiglio europeo di giugno 2006, con l’obiettivo di alleviare la crisi socio-economica nei territori palestinesi, garantire la fornitura dei servizi sociali pubblici essenziali alla popolazione palestinese e facilitare la ripresa dei trasferimenti palestinesi da Israele.
[30] La missione che si sarebbe dovuta concludere il 30 maggio 2008 è stata ulteriormente prorogata fino a novembre 2008 (Azione comune 2008/379/PESC); dovrebbe essere approvata dal Consiglio in tempi brevi un’azione comune che proroga ulteriormente la missione al 24 novembre 2009. Si segnala inoltre che il 29 aprile 2007 la Commissione europea ha avviato il primo programma di formazione per funzionari di dogana al valico di Rafah.
[31] La Task
force è composta, oltre che dall’Unione europea, da Stati uniti,
Federazione russa, Nazioni Unite, Norvegia, Giappone, Canada, Banca mondiale e
Fondo monetario internazionale.
[32] Regolamento CE 1638/2006 del 24 ottobre 2006.
[33] Allo stato attuale sono in vigore gli accordi con Tunisia (1° marzo 1998), Marocco (1° marzo 2000), Israele (1° giugno 2000), Egitto (1° giugno 2004), Algeria (1° settembre 2005), l’accordo interinale d’associazione sugli scambi e la cooperazione con l’Organizzazione per la liberazione della Palestina a vantaggio dell’Autorità palestinese (1° luglio 1997). Con la Turchia è in vigore dal 1964 un accordo di associazione, cosiddetto di prima generazione, superato dallo status di paese candidato della Turchia. Il negoziato con la Siria è stato concluso il 19 ottobre 2004. Il 17 dicembre 2004 la Commissione ha presentato una proposta di decisione del Consiglio relativa alla firma dell’accordo (COM (2004) 808) che è ancora in attesa di esame.
[34] Algeria, Autorità palestinese, Egitto, Israele, Libia, Marocco, Siria, Tunisia.
[35] Bielorussia, Moldova, Ucraina.
[36] Armenia, Azerbaigian e Georgia.
[37] COM(2003)104.
[38] Dal 20 novembre al 4 dicembre 2008 si è svolta,
presso la base aerea giordana di Azraq, un’esercitazione bilaterale tra
l’Aeronautica Militare Italiana e
[39] In campo
economico, si segnalano inoltre l’Accordo per Evitare le Doppie Imposizioni in
Materia di Imposte sul Reddito e per Prevenire le Evasioni Fiscali e l’Accordo
di Cooperazione in Materia Doganale, non ancora ratificati.
[40] Le Società italiane sono
state impegnate nella realizzazione di apprezzabili opere infrastrutturali
pubbliche:
- Condotte d’Acqua SpA, che
aveva già eseguito i lavori per la costruzione del tratto autostradale
Naqab-Aqaba, per un valore di 50 milioni di dollari, e ultimato la costruzione
dello svincolo autostradale di Aqaba, finanziata in parte con l’accordo di conversione
del debito firmato con l’Italia il 22 giugno
- Ansaldo SpA
si è aggiudicata nel settembre 2000 la gara per la riabilitazione parziale
della caldaia della Centrale elettrica di Zarqa (a suo tempo costruita dalla
stessa Società italiana), per un valore di circa 160.000 dollari;
- per i lavori
di riabilitazione di una parte della rete idrica di Amman (finanziata dalla
cooperazione) è stata incaricata nel giugno 2001
- nell’agosto
2001, Lotti & Associati SpA, nel quadro di un progetto finanziato con un
credito d’aiuto della cooperazione italiana, si è aggiudicata la gara per la
progettazione degli impianti di smaltimento delle acque reflue nei campi
profughi palestinesi di Sukhna e Jerash, per un valore di circa 566.000 euro.
La stessa si è inoltre aggiudicata la progettazione dei tratti nord-ovest e
sud-ovest del raccordo anulare di Amman;
- nel 2007,
Ansaldo Energia si è aggiudicata la fornitura di due turbine per la costruenda
centrale elettrica di Amman Est, per un valore totale di circa 40,7 milioni di
Euro;
- a marzo
2007, Beretta ha concluso un accordo per la fornitura alle Forze Speciali
dell’Esercito giordano di 250 fucili di precisione TRG-22 (testati per colpire
bersagli a 800m di distanza), prodotti dalla Società controllata SAKO;
- Rodriguez
Cantieri Navali SpA di Messina si è aggiudicata la gara per la fornitura di un
traghetto alla Arab Bridge Maritime Company, Società a capitale misto giordano,
egiziano e iracheno, per un valore di 20 milioni di dollari USA. Il traghetto
ad alta velocità collega i porti di Aqaba e Taba;
- il gruppo
italiano Acotel, specializzato nella fornitura di piattaforme multimediali ed
altre applicazioni agli operatori di telefonia mobile, ha ottenuto dalla
Fastlink, principale operatore giordano di telefonia mobile, l’aggiudicazione
di due contratti relativi rispettivamente alla espansione dei servizi di
messaggistica SMS ed al miglioramento della piattaforma per
- nel marzo
2008, un consorzio italo-giordano, composto dalle Società italiane Action
Stream (che ha fornito la consulenza tecnico-finanziaria), Hafner Group (che
fornirà la componente tecnologica ed impiantistica per la costruzione delle
strutture) e dalla giordana Nasser Group (che opera a livello locale nello
smaltimento dei rifiuti), si è aggiudicato una commessa del valore di circa 30
milioni di euro per la costruzione di un impianto per lo smaltimento dei
rifiuti tossici di natura medica e industriale nell’area di Ghabawi (che
rientra nella Greater Municipality of Amman).
[41] France Télécom controlla il secondo
gestore di telefonia mobile (Mobilecom)
e detiene il 46% della Jordan Telecom.
[42] Nel 2005,
[43] Per
la realizzazione dell'impianto di Talbieh, la gara di appalto era stata vinta
dalla Società Opere Pubbliche. Fin dall'estate 2005,
[44] Si tratta di un
gruppo informale e non strutturato, il cui compito è quello di gestire un
progetto, denominato Water Data Banks Project, che consiste in una serie di
azioni specifiche volte a facilitare l’adozione di tecniche comuni e
standardizzate di raccolta e deposito dati, migliorare la qualità dei dati
sulle risorse idriche raccolti nella regione ed elevare la qualità della
comunicazione nell’ambito della comunità scientifica della regione. Il gruppo è
composto da esperti in materia di acque di nazionalità israeliana, giordana e
palestinese. Attualmente, tra i soggetti donatori di EXACT vi sono gli Stati
Uniti, L’Unione Europea, il Regno Unito e i Paesi Bassi.