Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Bilancio dello Stato
Altri Autori: Servizio Studi - Dipartimento bilancio
Titolo: (D 11) Documento di economia e finanza 2011 (Doc. LVII, n. 4)
Riferimenti:
DOC LVII, N. 4     
Serie: Documenti e ricerche    Numero: 11
Data: 20/04/2011
Descrittori:
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO FINANZIARIA     
Organi della Camera: V-Bilancio, Tesoro e programmazione

 

 

 

XVI legislatura

 

 

 

 

Documento di economia e finanza 2011

(Doc. LVII, n. 4)

 

 

 

 

 

 

Aprile 2011

n. 11

 


DOCUMENTAZIONE DI FINANZA PUBBLICA

 

 

 

SENATO DELLA REPUBBLICA:

 

Servizio del bilancio

Tel. 066706-5790

sbilanciocu@senato.it

 

 

 

CAMERA DEI DEPUTATI:

 

Servizio Bilancio dello Stato

Tel. 066760-2174 – 066760-9455

bs_segreteria@camera.it

 

Servizio Studi – Dipartimento bilancio e politica economica

Tel. 066760-9932 – 066760-2233

st_bilancio@camera.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il presente dossier è destinato alle esigenze di documentazione interna per l’attività degli organi parlamentari e dei parlamentari.

Si declina ogni responsabilità per l’eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

 

 

 

 

 


 


 


INDICE

Premessa. 1

1. Il quadro macroeconomico. 12

1.1 La congiuntura internazionale. 12

1.2 Lo scenario macroeconomico nazionale. 13

1.3 Confronti internazionali19

1.4 Impatto macroeconomico delle riforme contenute nel PNR.. 21

2. La finanza pubblica. 36

2.1 Il quadro programmatico. 36

2.1.1 Gli obiettivi di saldo. 36

2.1.2 La correzione richiesta. 39

2.1.3 Obiettivi di saldo e discesa del debito. 41

2.1.4 Avanzo primario, ciclo economico e fiscal stance. 43

2.2 Gli andamenti tendenziali di finanza pubblica. 47

2.2.1 Il consuntivo 2010. 48

2.2.2 Gli andamenti tendenziali di finanza pubblica per il periodo 2011-2014. 51

2.2.3 L'analisi degli andamenti tendenziali per sottosettori55

2.2.4 Approfondimento di alcune voci di spesa. 65

2.3 Spesa per interessi, fabbisogno e debito. 78

3. Analisi speciali112

3.1 Analisi di sensitività del debito. 112

3.1.1 Analisi di sensitività del debito ai tassi d'interesse. 112

3.1.2. Analisi di sensitività del debito alla crescita economica. 113

3.2 L’analisi di sostenibilità di lungo periodo. 117

3.3 L'impatto finanziario del Piano nazionale delle riforme. 129

 

Approfondimenti:

 


1. Il sistema economico italiano e l’analisi degli squilibri macroeconomici...................... 23

2. L’impatto delle riforme sulla crescita: la metodologia di stima utilizzata nel PNR........ 31

3. Regole di bilancio nazionali..................................................................................... 89

4. Le misure una tantum............................................................................................ 92

5. L'applicazione del criterio delle politiche invariate: aspetti metodologici...................... 99

6. Gli indicatori di lotta all'evasione fiscale e di compliance........................................ 102

7. Il meccanismo di stabilizzazione............................................................................ 105

8. Il coordinamento tra il bilancio europeo e i bilanci nazionali..................................... 109


 

 

 

 

 

 


Premessa

L’adeguamento del sistema delle decisioni di bilancio alla nuova governance economica europea

L’introduzione, a livello comunitario, di moduli decisionali ed operativi tesi a favorire, nell’ambito del cosiddetto “Semestre europeo”, un più intenso coordinamento ex ante delle politiche economiche e di bilancio degli Stati membri della UE ed una più stretta sorveglianza in campo fiscale e macro-economico, nonché la revisione dei contenuti e dei tempi di presentazione dell’Aggiornamento del Programma di Stabilità e del Programma Nazionale di Riforma[1], hanno indotto il Legislatore a regolamentare in modo nuovo i profili sostanziali e procedurali della normativa contabile nazionale.

 

Con la recente legge 7 aprile 2011, n. 39[2] sono state pertanto apportate talune modifiche alla legge di contabilità e finanza pubblica[3], volte, in via generale, ad assicurare la coerenza della programmazione finanziaria delle amministrazioni pubbliche con le procedure e i criteri stabiliti in sede europea.

 

A tal fine sono stati rivisitati il ciclo, la denominazione ed il contenuto dei principali strumenti della programmazione economico-finanziaria, nonché introdotte alcune disposizioni volte a rafforzare la disciplina fiscale in linea con le indicazioni formulate dalle istituzioni comunitarie ai fini della riduzione del deficit e del debito. Sono state, invece, confermate le rilevanti innovazioni già introdotte con la riforma del 2009, quali il metodo della programmazione almeno triennale delle risorse, delle politiche e degli obiettivi, la ripartizione degli obiettivi di finanza pubblica per i diversi sottosettori del conto della PA e l’indicazione di previsioni a politiche invariate per i principali aggregati del conto economico della PA.

La nuova articolazione del ciclo di bilancio

Per quanto concerne, segnatamente, il ciclo di bilancio, mentre la riforma della disciplina contabile del 2009 aveva posticipato al 15 settembre il termine di presentazione al Parlamento dello schema di Decisione di finanza pubblica - al fine di disporre di un quadro previsivo, economico e di finanza pubblica più aggiornato di quello disponibile al 30 giugno (data di presentazione del vecchio DPEF) - le recenti modifiche apportate alla legge di contabilità, allineandosi con il nuovo calendario stabilito in sede europea[4], anticipano alla prima parte dell’anno l’intero processo di programmazione nazionale, fissando al 10 aprile la data di presentazione alle Camere, per le conseguenti deliberazioni parlamentari, del Documento di Economia e Finanza (DEF).

La presentazione, nella prima metà del mese di aprile, del DEF – che costituisce il principale strumento di programmazione economica e finanziaria, sostitutivo sia della Relazione sull’economia e la finanza pubblica (REF), sia della Decisione di finanza pubblica (DFP) – consente alle Camere di esprimersi sugli obiettivi programmatici in tempo utile per l’invio, entro il 30 aprile, al Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione europea, del Programma di stabilità e del Programma nazionale di riforma. Quest’ultimo documento potrà, inoltre, tener conto delle indicazioni fornite nell’Analisi annuale della crescita predisposta all’inizio di ciascun anno dalla Commissione europea.

Al fine di garantire una partecipazione degli enti territoriali al processo di programmazione economico-finanziaria, entro il medesimo termine del 10 aprile il DEF è altresì inviato alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica[5], affinché essa esprima il proprio parere in tempo utile per le deliberazioni parlamentari.

Al fine di assicurare, invece, nel corso del Semestre europeo, un pieno e tempestivo coinvolgimento del Parlamento nell’esame dei progetti, degli atti e dei documenti elaborati dalle istituzioni dell’Unione europea, le modifiche introdotte alla disciplina contabile prevedono che tali atti, contestualmente alla loro ricezione, siano trasmessi dal Governo alle Camere ai fini dell'esame e dell’esercizio delle attività di controllo parlamentare. Nella medesima prospettiva si prevede, inoltre, che entro quindici giorni dalla trasmissione delle linee guida di politica economica e di bilancio a livello dell'UE elaborate dal Consiglio europeo, il Ministro dell'economia riferisca alle competenti Commissioni parlamentari, fornendo una valutazione dei dati e delle misure prospettate dalle linee guida, nonché delle loro implicazioni per l'Italia, anche ai fini della predisposizione del Programma di stabilità e del Programma nazionale di riforma.

 

Entro il 30 giugno di ciascun anno il DEF è integratodaun apposito allegato – che il Ministro dell'economia è tenuto a trasmettere alle Camere - in cui sono riportati i risultati del monitoraggio degli effetti sui saldi di finanza pubblica, sia per le entrate sia per le spese, derivanti dalle misure contenute nelle manovre di bilancio adottate anche in corso d'anno, con indicazione degli scostamenti rispetto alle valutazioni originarie e le relative motivazioni.

 

Sulla base del PNR e del Patto di Stabilità, nel mese di giugno la Commissione europea dovrebbe elaborare le raccomandazioni di politica economica e di bilancio rivolte ai singoli Stati. Successivamente, entro il mese di luglio, il Consiglio ECOFIN e, per la parte che gli compete, il Consiglio Occupazione e affari sociali, dovrebbero esaminare ed approvare le raccomandazioni della Commissione, anche sulla base degli orientamenti espressi dal Consiglio europeo di giugno.

 

Una volta completato il processo di coordinamento delle politiche economiche nell’ambito del Semestre europeo, e al fine di tener conto delle eventuali raccomandazioni formulate dalle autorità europee, è prevista la presentazione, entro il 20 settembre di ciascun anno, di una Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza.

In coerenza con quanto previsto per il DEF, il Governo, qualora sia necessario procedere a una modifica degli obiettivi di finanza pubblica, è tenuto ad inviare, entro il 10 settembre, alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, per il preventivo parere, da esprimere entro il 15 settembre, le linee guida per la ripartizione degli obiettivi. Le linee guida sono altresì trasmesse, entro il 10 settembre, alle Camere, cui è in seguito trasmesso anche il parere espresso su di esse dalla Conferenza.

 

Quale norma di chiusura, la legge di contabilità - come novellata ai sensi della citata legge 7 aprile 2011, n. 39 – prevede, infine, che il Governo, qualora per le medesime finalità di aggiornamento previste per la presentazione della Nota, ovvero per il verificarsi di eventi eccezionali, intenda aggiornare gli obiettivi programmatici di finanza pubblica, ovvero in caso di scostamenti rilevanti degli andamenti di finanza pubblica tali da rendere necessari interventi correttivi, sia tenuto a trasmettere una relazione al Parlamento, recante le ragioni dell'aggiornamento ovvero degli scostamenti, nonché l’indicazione degli interventi correttivi che si intendono adottare.

Per quanto concerne gli altri adempimenti del ciclo di bilancio, la riforma introdotta dalla legge n. 39 del 2011 non ha modificato la fase di attuazione degli obiettivi programmatici, che dovrà essere realizzata in autunno, attraverso la presentazione alle Camere, entro il 15 ottobre di ciascun anno, del disegno di legge di stabilità e del disegno di legge del bilancio dello Stato, che compongono la manovra di finanza pubblica su base triennale.

Entro il successivo mese di gennaio dovranno essere presentati gli eventuali disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica, che sono stati a loro volta precedentemente indicati nel DEF ovvero nella Nota di aggiornamento del medesimo.

 

Nella tabella che segue sono posti a raffronto il ciclo e gli strumenti della programmazione previsti dal testo originario della legge n. 196/2009 con quelli prevista a seguito della recente legge di riforma.


 

LEGGE n. 196/2009

LEGGE n. 196/2009
come modificata dalla Legge n.39/11

Relazione sull’economia
e la finanza pubblica
(15 aprile)

Soppressa

Decisione di finanza pubblica (DFP)
(15 settembre)

Documento di Economia e Finanza (DEF)

(10 aprile)

Aggiornamento del Programma di stabilità
(secondo calendario concordato in sede europea)

 

Allegato al DEF
sul monitoraggio degli effetti delle manovre adottate anche in corso d'anno
(entro il 30 giugno)

Nota di aggiornamento alla DFP
(prevista solo in caso di modifica degli obiettivi o scostamenti degli andamenti)

Nota di aggiornamento del DEF
(20 settembre)

Disegno di legge di stabilità
(15 ottobre)

Disegno di legge di stabilità
(15 ottobre)

Disegno di legge
del bilancio dello Stato
(15 ottobre)

Disegno di legge
del bilancio dello Stato
(15 ottobre)

Disegno di legge di assestamento
(30 giugno)

Disegno di legge di assestamento
(30 giugno)

Disegni di legge collegati
(entro febbraio)

Disegni di legge collegati
(entro gennaio)

Le disposizioni in materia di stabilità finanziaria

Le modifiche apportate alla disciplina contabile non si limitano ad incidere sul complessivo processo di programmazione economica di medio termine, bensì introducono nuovi criteri di prudenzialità della gestione finanziaria, finalizzati ad agevolare il controllo degli andamenti ed il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica.

In tale prospettiva, in coerenza con le richieste dell’Unione europea di destinare alla riduzione del deficit e del debito le eventuali maggiori entrate non previste a legislazione vigente, l’articolo 3 della legge n. 39/2011, modificando il disposto dell’art. 11, comma 6, della legge n. 196 del 2009, consente l’utilizzo di del risparmio pubblico a copertura degli oneri correnti della legge di stabilità unicamente per finanziare riduzioni entrata e solo a condizione che risulti assicurato un valore positivo del risparmio pubblico.

Nella medesima logica s’inscrive il comma 1-bis introdotto all’art. 17 della legge di contabilità, recante il divieto di utilizzare a copertura di nuovi oneri finanziari le maggiori entrate correnti che dovessero verificarsi in corso di esercizio rispetto a quelle iscritte nel bilancio di previsione derivanti da variazioni degli andamenti a legislazione vigente, nonché l’espressa previsione che l’eventuale “extra gettito” connesso ad un miglioramento del quadro economico possa essere destinato solo al miglioramento dei saldi di finanza pubblica.

Un ulteriore modifica volta a rafforzare la disciplina fiscale in conformità a uno schema di programmazione e di bilancio ispirato a procedure e regole di tipotop down”, consiste, infine, nella previsione, introdotta nell’ambito di una delega al Governo per il completamento della riforma del bilancio dello Stato, contenuta nell’art. 40 della legge n.196/09, della possibilità di fissare “tetti” di spesa all’intero aggregato delle risorse iscritte nel bilancio, ivi comprese pertanto anche quelle non rimodulabili, ferma restando la necessità di tenere conto della loro peculiarità.

La struttura del Documento di Economia e Finanza

A seguito delle modifiche introdotte alla disciplina di bilancio, il DEF diviene il principale strumento della programmazione economico finanziaria, che ricomprende lo schema del Programma di stabilità e lo schema del Programma nazionale di riforma, documenti, questi ultimi, che dovranno essere presentati al Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione europea entro il 30 aprile.

I contenuti specifici del Documento sono articolati in tre sezioni.

La prima sezione espone lo schema del Programma di stabilità, che dovrà contenere tutti gli elementi e le informazioni richiesti dai regolamenti dell'Unione europea e, in particolare, dal nuovo Codice di condotta sull'attuazione del Patto di stabilità e crescita, con specifico riferimento agli obiettivi da conseguire per accelerare la riduzione del debito pubblico.

In tale ambito, nel confermare il principio, già introdotto dalla legge n.196/09, della programmazione triennale delle risorse, si prevede che l’indicazione dell'articolazione della manovra necessaria per il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica per i sottosettori del conto della PA - relativi alle amministrazioni centrali, alle amministrazioni locali e agli enti di previdenza e assistenza sociale - sia accompagnata anche da un'indicazione di massima delle misure attraverso le quali si prevede di raggiungere gli obiettivi; la sezione deve, inoltre, contenere le previsioni di finanza pubblica di lungo periodo e gli interventi che si intende adottare per garantirne la sostenibilità, nonché le diverse ipotesi di evoluzione dell'indebitamento netto e del debito rispetto a scenari di previsione alternativi riferiti al tasso di crescita del prodotto interno lordo, della struttura dei tassi di interesse e del saldo primario.

La seconda sezione contiene una serie di dati e informazioni che il Governo era in passato tenuto a fornire nell'ambito della Relazione sull'economia e la finanza pubblica e della Decisione di finanza pubblica. In questa sezione è previsto che siano individuate regole generali sull’evoluzione della spesa delle amministrazioni pubbliche, in linea con l’esigenza, evidenziata in sede europea, di individuare forme efficaci di controllo dell’andamento della spesa pubblica, anche attraverso la fissazione di tetti di spesa.

La sezione reca, tra l’altro, un'indicazione delle previsioni a politiche invariate per i principali aggregati del conto economico della PA riferite almeno al triennio successivo, le informazioni di dettaglio sui risultati e sulle previsioni dei conti dei principali settori di spesa, con particolare riferimento a quelli relativi al pubblico impiego, alla protezione sociale e alla sanità, nonché sul debito delle amministrazioni pubbliche e sul relativo costo medio.

All’interno della sezione deve inoltre essere dato conto anche delle risorse destinate allo sviluppo delle aree sottoutilizzate, con evidenziazione dei fondi nazionali addizionali.

In allegato alla sezione è riportata una nota metodologica che espone analiticamente i criteri di formulazione delle previsioni tendenziali.

La terza sezione reca, infine, lo schema del Programma Nazionale di riforma (PNR), recante gli elementi e le informazioni previsti dai regolamenti dell'Unione europea e dalle specifiche linee guida per tale Programma.

Il PNR, che costituisce la più rilevante novità del DEF, è un documento strategico che, in coerenza con il Programma di Stabilità, definisce gli interventi da adottare per il raggiungimento degli obiettivi nazionali di crescita, produttività, occupazione e sostenibilità delineati dalla nuova “Strategia Europa 2020”.

In tale ambito sono indicati:

lo stato di avanzamento delle riforme avviate, con indicazione dell'eventuale scostamento tra i risultati previsti e quelli conseguiti;

le priorità del Paese, con le principali riforme da attuare, i tempi previsti per la loro attuazione e la compatibilità con gli obiettivi programmatici indicati nel Programma di stabilità;

gli squilibri macroeconomici nazionali e i fattori di natura macroeconomica che incidono sulla competitività;

i prevedibili effetti delle riforme proposte in termini di crescita dell'economia, di rafforzamento della competitività del sistema economico e di aumento dell'occupazione.

 

In allegato al DEF – ovvero alla Nota di aggiornamento del medesimo - sono indicati gli eventuali disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica, da presentarsi alle Camere entro il mese di gennaio di ogni anno. Ciascun disegno di legge reca disposizioni omogenee per materia, tenendo conto delle competenze delle amministrazioni, e concorre al raggiungimento degli obiettivi programmatici anche attraverso interventi di carattere ordinamentale, organizzatorio ovvero di rilancio e sviluppo dell'economia.

 

Al DEF devono, infine, essere allegati, sulla base della nuova legge di contabilità, una serie di documenti, recanti:

a)    un’unica relazione di sintesi sugli interventi realizzati nelle aree sottoutilizzate, nell’ambito della quale il Ministro dello sviluppo economico è tenuto a evidenziare il contributo dei fondi nazionali addizionali e i risultati conseguiti, con particolare riguardo alla coesione sociale, alla sostenibilità ambientale, nonché alla ripartizione territoriale degli interventi;

b)    il Programma delle infrastrutture strategiche previsto dalla legge obiettivo, nonché lo stato di avanzamento del medesimo programma relativo all'anno precedente, predisposto dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;

c)    un documento, predisposto dal Ministro dell'ambiente, relativo allo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra derivanti dagli obblighi internazionali assunti dall'Italia in sede europea e internazionale, e sui relativi indirizzi;

d)    un documento recante l’esposizione, con riferimento agli ultimi dati di consuntivo disponibili, delle risorse del bilancio dello Stato destinate alle singole regioni, con separata evidenza delle categorie economiche relative ai trasferimenti correnti e in conto capitale agli enti locali e alle province autonome di Trento e di Bolzano;

e)    uno specifico rapporto sullo stato di attuazione della legge di riforma della contabilità e finanza pubblica.


 

Il Programma Nazionale di Riforma – Quadro di sintesi del contenuto

In vista dell’avvio del semestre europeo dal gennaio 2011, l’Italia ha presentato, lo scorso autunno, come stabilito per ciascuno Stato membro dalla Commissione europea per la fase transitoria, un progetto preliminare di PNR che aveva già definito quattro questioni essenziali (meridionale, fiscale, nucleare e legale) per favorire la crescita senza incrementare il disavanzo e nel rispetto dei vincoli di riduzione del debito pubblico, indicando una serie di riforme prioritarie in merito a:

-                 debito pubblico, per garantire stabilità all’economia (riforma pensionistica, completamento del federalismo fiscale e riforma complessiva del sistema tributario);

-                 competitività del sistema produttivo italiano (introduzione di zone a burocrazia “zero” nel Mezzogiorno, revisione del modello contrattuale di lavoro, approvazione di una legge annuale sulla concorrenza);

-                 sistema dell’istruzione e formazione, nonché politiche inerenti al lavoro (attuazione di un piano triennale per il lavoro, incremento del tasso di occupazione delle donne e dei giovani);

-                 incentivazione della ricerca e dell’innovazione (energie rinnovabili e riduzioni delle emissioni e nuovo ruolo dell’energia nucleare).

Nella sua versione aggiornata, contenuta nel DEF 2011, il PNR illustra gli obiettivi e le azioni di riforma tra loro integrate considerate necessarie per eliminare gli squilibri macroeconomici, potenziare la competitività del Paese, stimolare la concorrenza nel mercato dei prodotti e migliorare le condizioni del mercato del lavoro, nel quadro di una rafforzata sostenibilità delle finanze pubbliche.

Le misure descritte nel PNR sono ispirate dall’azione comunitaria per creare un’Europa competitiva, inclusiva e sostenibile, e rispondono alle priorità elencate nell’Analisi annuale sulla crescita (Annual Growth Survey) della Commissione, alle azioni previste dal Patto Euro Plus per aumentare il grado di competitività e convergenza, nonché agli obiettivi specifici previsti dalla Strategia Europa 2020 declinate negli obiettivi nazionali.

I pilastri principali sui cui fondare un’azione di riforma volta a superare le principali criticità dell’economia italiana sono rinvenibili nell’attuazione del federalismo fiscale; nel riordino del sistema fiscale; nella promozione di interventi di tipo regolatorio finalizzati ad incrementare l’efficienza del sistema economico e nell’adozione di iniziative per orientare il risparmio privato verso obiettivi di politica economica.

Tali indirizzi dovrebbero stimolare il tasso di crescita dell’economia - contribuendo in tal modo al processo di riduzione del debito – nonché favorire la riduzione dei divari territoriali – qualificati nel Documento come “vero problema per l’Italia” – e rendere più competitive le imprese nazionali.

L’indicazione delle riforme già avviate e di quelle programmate per il raggiungimento dei target nazionali fissati nella Strategia Europa 2020 è preceduta da un’analisi quantitativa, realizzata sulla base della metodologia sviluppata nell’ambito del Lisbon Assessment Framework (LAF), che ha svolto un ruolo significativo nell’individuazione delle priorità di politica economica e le aree di policy critiche dei Paesi membri, contribuendo alla definizione di quelli che sono stati definiti i “colli di bottiglia” (bottlenecks), ossia i fattori checostituiscono un impedimento alla crescita del Paese e su cui è necessario intervenire.

A tale riguardo, la Commissione europea ha analizzato le componenti del PIL per l’Italia che contribuiscono negativamente alla crescita, sia in termini assoluti che in relazione alla media EU15, evidenziando come il significativo rallentamento dell’economia italiana degli ultimi anni sia dovuto sostanzialmente alla permanenza di numerosi aspetti critici nelle componenti strutturali della crescita, come la persistente rigidità nel mercato del lavoro e il basso grado di competizione nel mercato dei prodotti.

 

Per l’Italia i principali ostacoli alla crescita individuati dal Consiglio europeo del giugno 2010 sono:

-                 il consolidamento fiscale durevole e la riduzione del debito pubblico;

-                 l’incremento della produttività in termini di allineamento dei salari alla produttività e di riduzione delle disparità regionali;

-                 l’aumento del tasso di occupazione delle donne, dei giovani e dei lavoratori anziani;

-                 l’apertura ulteriore del mercato dei servizi e delle industrie di rete e il miglioramento dell’efficienza amministrativa;

-                 il miglioramento del capitale umano, attraverso il collegamento tra scuola e mercato del lavoro, nonché l’aumento della spesa privata in ricerca e sviluppo.

Le principali misure nel Programma Nazionale di Riforma sono state sinteticamente riportate in un prospetto, posto in calce alla terza sezione del DEF, che si compone di diverse voci che hanno lo scopo di descrivere le riforme, quantificarne l’impatto sul bilancio pubblico ed evidenziarne la loro funzionalità rispetto agli obiettivi comunitari.

Le azioni di riforma sono state raggruppate nelle seguenti macro-aree d’intervento:

1)      contenimento della spesa pubblica;

2)      energia e ambiente;

3)      federalismo;

4)      infrastrutture e sviluppo;

5)      innovazione e capitale umano;

6)      lavoro e pensioni;

7)      mercato dei prodotti, concorrenza ed efficienza amministrativa;

8)      sostegno alle imprese.

Per ciascuna misura viene individuato il riferimento normativo, cui segue una breve descrizione della misura stessa e l’indicazione dello stato di implementazione e avanzamento, con specifiche indicazioni anche in ordine alla tempistica di attuazione. Per ciascuna misura si valuta, laddove possibile, l’impatto sulla finanza pubblica, in termini di maggiori-minori spese o maggiori-minori entrate. Nel prospetto, sono inserite misure con impatto negativo sulla finanza pubblica, fermo restando che vi possono essere anche misure senza nessun impatto e altre che consentono risparmi di spesa e aumenti di entrate. Le misure sono quindi ordinate in base agli obiettivi e alle priorità definite a livello europeo. Con specifico riferimento ai “colli di bottiglia” (bottleneck) dell’economia italiana ciascuna misura è stata inclusa in una delle seguenti aree:

-        Consolidamento fiscale e debito pubblico (bottleneck n. 1);

-        Competitività salari e produttività (bottleneck n. 2);

-        Mercato Prodotti - Concorrenza ed efficienza amministrativa (bottleneck n. 3);

-        Innovazione – Ricerca Sviluppo (bottleneck n. 4);

-        Ridurre le disparità regionali (bottleneck n. 5).

Se la misura risulta di pronta attuazione (frontloading) per rafforzare la crescita, essa è classificata come segue: incentivi al lavoro; riforma del sistema di contrattazione salariale; competizione di settore e liberalizzazione del mercato; miglioramento dell'ambiente imprenditoriale.

Sono, inoltre, indicati gli obiettivi in base alla “Strategia Europa 2020”:

-        aumento della quota di fonti rinnovabili

-        aumento del tasso di occupazione

-        aumento dell’efficienza energetica

-        riduzione dell’abbandono scolastico

-        miglioramento dell’istruzione universitaria;

-        aumento della spesa in Ricerca e Sviluppo e innovazione.

Infine, ciascuna misura è classificata secondo la priorità indicate nell’Analisi annuale della crescita.

 

 

 


 

1. Il quadro macroeconomico

1.1 La congiuntura internazionale

Dopo la crisi che ha investito l’economia mondiale negli anni 2008 e 2009, il DEF, nella prima Sezione relativa al Programma di stabilità e crescita, evidenzia la ripresa economica mondiale che ha caratterizzato il 2010, nonostante alcuni segnali di rallentamento emersi nell’ultimo scorcio dell’anno.

Nel corso del 2010 l’economia mondiale è tornata a crescere a ritmi sostenuti, facendo registrare un aumento del PIL del 4,8 per cento, imputabile soprattutto alla consistente ripresa del commercio mondiale,che risulta aumentato del 12 per cento nel 2010 dopo la sensibile riduzione registrata nel 2009 (-10,7 per cento).

Per il 2011 nel DEF si prospetta una crescita dell'economia globale del 4,0 per cento ed una espansione del commercio mondiale al 7,1 per cento. Il commercio mondiale è previsto mantenersi su tassi sostanzialmente stabili, in media all’incirca intorno al 7 per cento, per tutto il periodo 2012-2014.

 

Tabella 1.1

La ripresa del commercio mondiale                                                        (variazioni percentuali)

 

2009

2010

2011

2012

2013

2014

Commercio mondiale

-10,7

12,0

7,1

6,8

7,0

7,0

Prezzo del petrolio
(Brent FOB dollari/barile)

61,7

80,2

110,7

109,7

109,7

109,7

Fonte: DEF 2011, Sezione II: Sezione II: Analisi e tendenze di Finanza pubblica, Tab.I.1.

 

Con riferimento all’economia mondiale, il DEF evidenzia, tuttavia, come la ripresa economica sia stata disomogenea e differenziata (contraddistinta da tassi più elevati nei paesi emergenti) e come persistano, nei paesi più avanzati, elementi di rischio connessi ad un possibile indebolimento della congiuntura legato al graduale venir meno delle eccezionali misure di politica fiscale e monetaria adottate in ambito internazionale negli ultimi due anni.

Le economie avanzate potrebbero, inoltre, risentire della minore crescita dei paesi emergenti, in parte indotta da politiche economiche che iniziano a farsi restrittive.

Anche l’andamento dei prezzi delle materie prime è tornato a crescere in modo significativo, soprattutto nei mesi più recenti e ciò a discapito dei paesi importatori, in un quadro geopolitico che presenta elevate tensioni in varie aree.

1.2 Lo scenario macroeconomico nazionale

Il DEF espone il quadro macroeconomico italiano per l’anno in corso e per il triennio 2012-2014, che riflette le incertezze che caratterizzano le prospettive economiche mondiali, determinate dal difficile contesto internazionale e dall’esaurirsi delle politiche di stimolo fiscale e monetario che hanno caratterizzato il trascorso biennio.

 

Il quadro evidenzia un trend di crescita dell’economia italiana meno favorevole rispetto alle previsioni formulate nella Decisione di finanza pubblica presentata a settembre 2010.

 

Tabella 1.2

Confronto tra DFP e DEF sulle previsioni di crescita del PIL               (variazioni percentuali)

 

DFP 2011-2013
settembre 2010

DEF 2011
aprile 2011

 

2011

2012

2013

2011

2012

2013

2014

PIL

1,3

2,0

2,0

1,1

1,3

1,5

1,6

 

 

In particolare, per il 2011 il PIL italiano è stimato crescere ad un tasso dell’1,1 per cento (rispetto all’1,3 per cento indicato a settembre)[6].

Una crescita ancora modesta è indicata anche per gli anni 2012 e 2013, in cui il PIL è previsto, rispettivamente, all’1,3 per cento e all’1,5 per cento rispetto al 2 per cento stimato per entrambi gli anni nel settembre scorso.

Nel 2014 la crescita dell’economia italiana si attesterebbe all’1,6 per cento.

 

 

Per quanto concerne i dati macroeconomici, il quadro riportato nel Documento è illustrato nella tabella successiva.

 

Tabella 1.3

Il quadro macroeconomico                                                                           (variazioni percentuali)

 

Consuntivi

Previsioni

 

2009

2010

2011

2012

2013

2014

PIL

-5,2

1,3

1,1

1,3

1,5

1,6

Importazioni

-13,7

10,5

4,5

3,9

4,2

4,6

Consumi finali nazionali

-1,1

0,6

0,8

0,9

1,1

1,3

- spesa delle famiglie

-1,8

1,0

1,1

1,2

1,3

1,5

Investimenti fissi lordi

-11,9

2,5

1,8

2,5

2,7

3,0

- macchinari, attrezzature, vari

-15,3

9,6

2,8

3,7

3,7

4,0

- costruzioni

-8,7

-3,7

0,0

1,2

1,6

1,7

Esportazioni

-18,4

9,1

4,8

4,3

4,5

4,8

 

Occupazione (ULA)

-2,9

-0,7

0,5

0,6

0,6

0,7

Tasso di disoccupazione

7,8

8,4

8,4

8,3

8,2

8,1

 

Deflatore PIL

2,3

0,6

1,8

1,8

1,8

1,8

Inflazione programmata

0,7

1,5

1,5

1,5

1,5

1,5

Fonte: DEF 2011, Sezione II: Analisi e tendenze di Finanza pubblica, Tab.I.1.

 

Come si evince dalla tabella, rispetto ai risultati raggiunti nel 2010, le variabili del quadro macroeconomico manifestano un rallentamento nell’anno in corso.

Nel complesso, per il periodo post-crisi 2011-2014, si evidenzia un andamento positivo, in un quadro, tuttavia, di crescita lenta.

 

Per quanto concerne i risultati del 2010, il DEF evidenzia come l’economia italiana sia cresciuta dell’1,3 per cento, ad un tasso analogo a quello registrato da altri paesi europei, leggermente superiore a quanto stimato nella Decisione di finanza pubblica presentata a settembre 2010 (1,2 per cento).

La ripresa è stata sostenuta dalla domanda interna: in particolare, i consumi privati e gli investimenti fissi hanno fornito un contributo alla crescita del PIL rispettivamente pari a 0,6 e 0,5 punti percentuali.

Gli investimenti fissi lordi, dopo la forte contrazione degli anni 2008-2009,sono aumentati del 2,5 per cento. Il dato è essenzialmente attribuibile alla dinamica degli investimenti in macchinari (+9,6 per cento), sostenuta dalle agevolazioni fiscali introdotte dal Governo e dalle esportazioni. Gli investimenti in costruzioni, invece, hanno continuato ancora a risentire del ciclo negativo che ha interessato il settore (-3,7 per cento nel 2010).

Anche i consumi privati (spesa delle famiglie) sono complessivamente aumentati dell’1,0 per cento nel 2010.

 

Per il 2011, gli investimenti fissi lordi sono stimati in crescita dell’1,8 per cento grazie alla dinamica espansiva degli investimenti in macchinari e attrezzature (+2,8 per cento). Gli investimenti in costruzioni, invece, continuano ancora nel 2011 a risentire del ciclo negativo che ha interessato il settore, risultando stazionari. Dopo i primi segnali di recupero emersi nel primo semestre del 2010, infatti, sia la produzione nel settore delle costruzioni che le transazioni nel comparto residenziale hanno subito una battuta d’arresto.

Nel triennio successivo, gli investimenti in macchinari sono previsti ulteriormente in crescita, in media del 3,8 per cento. Anche gli investimenti in costruzioni riprenderebbero a crescere a partire dal 2012, in media nel triennio dell’1,5 per cento.

 

I consumi finali sono complessivamente previsti in aumento nel periodo considerato, sebbene in misura moderata, dallo 0,8 per cento nel 2011 fino all’1,3 per cento nel 2014. Sulla ripresa dei consumi privati pesa comunque, come evidenziato nel DEF, il recupero ancora graduale e moderato dell’occupazione.

 

Gli scambi con l’estero mostrano segnali di ripresa. In particolare, le esportazioni sono stimate in crescita del 4,8 per cento nel 2011, nonostante il rallentamento, nel breve periodo, della domanda estera e l’apprezzamento dell’euro. La crescita delle esportazioni si manterrebbe ad un livello medio del 4,5 per cento anche nel triennio successivo.

 

Grafico 1.1

Conto economico delle risorse e degli impieghi                                     (variazioni % a prezzi costanti)

 

Le previsioni di ripresa delle esportazioni italiane analizzate alla luce dei risultati 2010, sono oggetto di uno specifico approfondimento all’interno della I Sezione.

 

le esportazioni italiane nello scenario post-crisi

Nel 2010 le esportazioni hanno registrato una ripresa (+9,1%), seguendo l’andamento positivo del commercio internazionale e della produzione industriale globale. I risultati del 2010 si avvicinano ai livelli pre-crisi, sebbene siano ancora al di sotto del livello registrato nell’anno 2007 (+7,5 per cento).

Il tasso di espansione delle esportazioni nel 2010 è comunque stato inferiore rispetto a quello delle importazioni (+10,5 per cento).

Sul piano geografico, i flussi commerciali sono risultati più dinamici verso i paesi extra-europei, rispetto a quelli verso i paesi UE. Tale risultato è dovuto soprattutto alla forte integrazione con i paesi più industrializzati, ed in particolare, l’Unione europea, che hanno avuto una crescita più moderata: la quota delle esportazioni italiane verso l’Europa è pari a circa il 60 per cento del totale nazionale.

Relativamente ai paesi extra-europei, sono migliorate le esportazioni verso i paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina): in particolare, le esportazioni complessive in volume sono cresciute del 24,6 per cento verso la Cina e del 42,2 per cento verso il Brasile.

Maggiore è stato inoltre il dinamismo verso nuovi mercati, come quello della Turchia, in relazione alla quale è cresciuta la quota delle esportazioni italiane rispetto alle esportazioni complessive dell’Italia (+2,4 per cento nel 2010 rispetto al +1,9 per cento del 2009).

In un quadro internazionale caratterizzato da un elevato grado di globalizzazione e di integrazione delle economie, le esportazioni hanno anche risentito delle peculiarità del sistema produttivo nazionale, contraddistinto dalla presenza di una moltitudine di imprese medio piccole specializzate per lo più in settori tradizionali, maggiormente esposti alla concorrenza dei paesi in via di sviluppo.

In particolare, la Cina è concorrente dell’Italia, sia pure con contenuti qualitativi diversi, nei settori tradizionali del tessile, dell’abbigliamento, delle calzature, del cuoio, del vetro, delle ceramiche, dei prodotti d’arredo.

 

Secondo le previsioni contenute nel DEF, il Governo stima il recupero completo degli scambi in valore già nel 2011. Considerando, invece, i dati in volume, il recupero è previsto nel 2013-2014, per effetto del consolidamento della ripresa nei paesi più avanzati, che sono i principali partner commerciali dell’Italia.

In previsione, le esportazioni italiane sono attese beneficiare della crescita della domanda dei beni intermedi e d’investimento. Il contributo dei beni agricoli e di consumo apparirebbe invece minore.

 

L’andamento delle esportazioni viene specificamente analizzato, quale indicatore del livello di competitività, nell’ambito della terza sezione del DEF, dedicata allo schema di PNR, nella parte relativa all’Analisi degli squilibri macroeconomici (§ III.2).

 

 

Per quanto concerne l’occupazione,il Documento conferma come nel 2010 la crisi abbia continuato ad influire negativamente sul mercato del lavoro, nonostante i dati italiani risultino migliori della media europea.

Nel 2010, in media d’anno, l’occupazione calcolata in termini di unità di lavoro standard (ULA), ha registrato una contrazione pari a -0,7 per cento. Il tasso di disoccupazione si è collocato all’8,4 per cento[7].

Per il 2011 e per gli anni successivi, le stime del Governo mostrano un moderato recupero.

L’occupazione tornerebbe a crescere dello 0,5 per cento nel 2011, sebbene ad valore più basso rispetto alle previsioni formulate nella DFP di settembre (0,7 per cento). La crescita dell’occupazione, pur mantenendosi sostanzialmente su livelli di miglioramento modesti, si attesterebbe allo 0,6 per cento nel 2012 fino ad aumentare di un ulteriore decimo di punto nel 2014 (0,7 per cento).

In presenza di una lieve ripresa dell’offerta di lavoro, il tasso di disoccupazione è stimato stabile all’8,4 per cento nel 2011, per poi ridursi gradualmente fino al 2014 (8,1 per cento).

La stima del DEF del tasso di disoccupazione per l’anno in corso è ad un livello lievemente migliore di quello prospettato dal Governo a settembre 2010 (8,7 per cento).

 

 

Il grafico che segue mostra l’andamento del tasso di disoccupazione nell’ultimo decennio e le previsioni per gli anni 2011-2012 per i principali paesi della UE e per gli Stati Uniti, tratte dal recente rapporto del Fondo monetario internazionale (Word Economic Outlook, aprile 2011).

 

Grafico 1.2

Andamento del tasso di disoccupazione                                                          (variazione percentuale)

Fonte:  Per i consuntivi 2003-2010, per i paesi della UE, dati della Commissione Europea, per USA, dati FMI. Per le previsioni 2011-2012, FMI, Word Economic Outlook (aprile 2011)

 

Relativamente al costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP), misurato in termini di rapporto sul PIL, esso è risultato stazionario nel 2010 rispetto all’anno 2009, per effetto della moderazione salariale e del recupero della produttività del lavoro. I tassi di crescita del CLUP resterebbero moderati per il periodo considerato, passando dallo 0,7 per cento nel 2011 allo 0,9 per cento nel 2014.

Si rileva che anche tale fattore è oggetto di esame da parte del Governo in sede di Analisi degli squilibri macroeconomici, nel contesto degli indicatori valutati – in conformità a quanto previsto a livello comunitario - ai fini della misurazione del livello di competitività.

 

Quanto all’inflazione, il deflatore del PIL - cresciuto nel 2010 dello 0,6 per cento - è stimato in crescita nell’anno in corso all’1,8 per cento.

Per quanto riguarda l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) il Governo stima che esso, valutato al netto dei prodotti energetici, si attesti nel 2011 al 2 per cento (rispetto all’1,3 per cento del 2010).

1.3 Confronti internazionali

Le stime di crescita per l’anno 2011 e le previsioni per l’anno 2012 dell’economa italiana, esposte nello schema di DFP, risultano in linea con le previsioni aggiornate presentate nei recenti rapporti della Commissione europea (Interim forecast, di febbraio 2011) e del Fondo Monetario Internazionale (Word economic outlook, di aprile 2011).

 

Si osserva, in via preliminare, che nel nuovo quadro di interventi volti al rafforzamento della governance economica europea, nell’ambito delle misure finalizzate al completamento della disciplina del Patto di stabilità e crescita, è prevista una maggiore vincolatività delle previsioni formulate dalla Commissione europea.

In particolare, la Proposta di direttiva del Consiglio relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati Membri (Proposta di direttiva COM(2010)523 def.) prevede che le previsioni macroeconomiche e di bilancio sono preparate dagli Stati membri tenendo conto in modo appropriato delle previsioni della Commissione e che le differenze tra lo scenario macrofinanziario scelto e le previsioni della Commissione devono essere adeguatamente giustificate (articolo 4, par. 1).

Nella stessa proposta di direttiva, inoltre, si prevede che gli Stati Membri rendono pubbliche le previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica preparate per la programmazione di bilancio, comprese le metodologie, le ipotesi ed i parametri utilizzati (articolo 4, par. 4).

A tale proposito, il quadro macroeconomico contenuto nella DFP è stato elaborato sulla base dei criteri di formulazione delle previsioni illustrati in una apposita Nota metodologica sui criteri di formulazione delle previsioni tendenziali, allegato alla Sezione II del DFP, conformemente a quanto previsto dalla legge di riforma della contabilità (art. 10, comma 4, legge n. 196/09).

 

Per quanto concerne le previsioni per il 2011, nell’Interim forecast di febbraio, la Commissione ha aggiornato le stime di crescita dei paesi europei in ragione dell’andamento sostenuto della ripresa economica nell’Unione europea, seppure confermando un quadro di elevata incertezza con sviluppi irregolari nei vari paesi europei.

La Commissione ha operato una lieve revisione al rialzo delle previsioni di autunno relative all’Area euro, la cui stima di crescita nel 2011 si attesterebbe all’1,6 per cento (rispetto all’1,5 per cento stimato in autunno); una revisione al rialzo è stata operata anche con riferimento alle previsioni di crescita di alcuni paesi membri, in particolare per la Germania, dal 2,2 al 2,4 per cento, e, più limitatamente, per la Francia (dall’1,6 all’1,7 per cento) e la Spagna (da 0,7 a 0,8 per cento).

Per quanto concerne l’Italia, le stime di crescita per il 2011 sono state confermate dalla Commissione UE sui medesimi valori indicati nell’Autumn forecast di novembre 2010, all’1,1 per cento, al di sotto della media dell’area euro.

 

Tabella 1.4

Prodotto interno lordo – Confronti internazionali                          (variazioni %)

 

2011

2012

 

Commissione UE
febbraio ‘11

FMI
 aprile ‘11

FMI
 aprile ‘11

Italia

1,1

1,1

1,3

Francia

1,7

1,6

1,8

Germania

2,4

2,5

2,1

Spagna

0,8

0,8

1,6

Area euro

1,6

1,6

1,8

Regno Unito

2,0

1,7

2,3

USA

-

2,8

2,9

Giappone

-

1,4

2,1

Fonte:   Commissione UE: Interim Forecast (febbraio 2011); FMI: World Economic Outlook (aprile 2011).

 

Anche il Fondo Monetario Internazionale, nel nuovo rapporto di aprile 2011, presenta stime di crescita per l’anno in corso migliori di quanto previsto nel precedente documento, e sostanzialmente in linea con le previsioni della Commissione UE.

 

Per quanto concerne il 2012, la previsione dell’FMI conferma per l’Italia il dato previsionale contenuto nel DEF in esame, pari all’1,3 per cento.

La previsione di crescita del PIL italiano continua, tuttavia, a mantenersi ad un livello inferiore rispetto alla crescita media prevista per l’area dell’euro (1,8 per cento).

Secondo quanto riportato nel World Economic outlook, la ripresa dell’economia italiana si mantiene debole in quanto problemi di competitività di lunga data limitano la crescita delle esportazioni mentre sulla domanda privata pesa il programmato risanamento dei conti pubblici (WEO, april 2011, pag. 65).

 

Il grafico che segue mostra l’andamento del PIL dei maggiori Stati dell’Unione europea e degli Stati Uniti per gli anni 2008-2010 (a consuntivo) e 2011-2012 (dati previsionali FMI).

 

Grafico 1.3

Prodotto interno lordo - Confronti internazionali                                             (variazioni percentuali)

1.4 Impatto macroeconomico delle riforme contenute nel PNR

Secondo quanto esposto nel DEF 2011, sulle prospettive di crescita dell’economia italiana va considerato l’impatto degli interventi strutturali previsti nel Piano Nazionale di Riforma.

Ai fini della valutazione quantitativa di tali effetti sull’economia, nella I Sezione del Documento è riportato un esercizio di simulazione, finalizzato a quantificare i guadagni in termini di crescita, occupazione, consumi ed investimenti derivanti dalle misure relative alle seguenti macro-aree: a) lavoro e pensioni; b) mercato dei prodotti; c) concorrenza ed efficienza amministrativa, d) innovazione e capitale umano; e) sostegno alle imprese; f) infrastrutture e sviluppo[8].

 

Secondo la simulazione, le suddette misure determinerebbero nel quadriennio 2011-2014 un impatto positivo sul tasso di variazione del PIL rispetto allo scenario macroeconomico di base, pari in media a 0,4 punti percentuali l’anno.

Analogamente,l’effetto sul tasso di variazione dei consumi, degli investimenti e dell’occupazione è stimato, per il periodo 2011-2014, in media annua intorno a 0,3 punti percentuali.

Il Documento considera effetti positivi sulle variabili macroeconomiche fino all’anno 2020.

 

Nell’analizzare tale impatto positivo, il Documento afferma peraltro che i risultati delle simulazioni devono essere interpretati con estrema cautela poiché esse non tengono conto delle condizioni cicliche del sistema economico nel momento in cui le riforme vengono adottate.

Pertanto, in considerazione dell’attuale attuale fase economica, caratterizzata da una ripresa alquanto debole dopo la crisi economico-finanziaria, allo scenario illustrato in precedenza si è deciso di affiancare uno scenario “prudenziale”, dove l’entità degli effettisimulati attraverso i modelli è stata ridotta del 50 per cento.

 

Tabella 1.5

Impatto delle riforme del PNR sulle principali variabili macroeconomiche

(differenza media nei tassi di variazione)

 

simulazione

scenario prudenziale

 

2011-2014

2011-2014

PIL

0,4

0,2

Consumi

0,3

0,1

Investimenti

0,3

0,2

Occupazione

0,3

0,2

 

 

Nella costruzione dello scenario macroeconomico 2011-2014 del Programma di Stabilità sono stati considerati questi effetti “prudenziali” limitando, inoltre, la valutazione solamente alle misure adottate nel 2010 e nell’anno corrente, in quanto gli effetti derivanti dalle riforme avviate negli anni precedenti sono comunque già incorporati nella definizione dello scenario macroeconomico di base.


 

Approfondimento

1. Il sistema economico italiano e l’analisi degli squilibri macroeconomici

 

Le nuove regole della governance proposte in sede europea estendono la sorveglianza comune agli squilibri macroeconomici[9] che possono accompagnare, e in alcuni casi influenzare, il processo di crescita dei singoli paesi. Ciò rende necessario, anche nell’ambito dei documenti programmatici nazionali, l’analisi delle diverse dimensioni degli squilibri rilevanti nell’ambito delle procedure di sorveglianza europea.

Questa analisi è svolta nel terzo capitolo del PNR, considerando dapprima gli squilibri riferibili alla posizione esterna dell’Italia e poi la presenza di eventuali squilibri di tipo interno[10]. La suddivisione è proposta per esigenze espositive, dal momento che esistono stretti legami di dipendenza fra le varie manifestazioni degli squilibri macroeconomici e dei problemi legati alla competitività di un paese.

 

Squilibri esterni

La presenza di squilibri verso l’esterno è rivelata dalla compresenza di disavanzi della bilancia delle partite correnti, dal deterioramento della posizione patrimoniale con l’estero e dall’erosione della competitività, così come misurata dagli indicatori di tasso di cambio reale. 

Gli andamenti di queste variabili sono puntualmente descritti dal PNR, rivelando l’assenza di particolari criticità per l’Italia, in particolare per quel che riguarda il saldo di parte corrente e la posizione netta sull’estero che rimangono al di sotto delle soglie di allerta proposte dalla Commissione[11].

Il saldo di parte corrente italiano ha registrato un graduale peggioramento, con un disavanzo salito, tra il 2000 e il 2010, dallo 0,5 a oltre il 3% del Pil, principalmente a motivo del venir meno del surplus registrato nello scambio di merci e servizi fino al 2004.

 

 

Secondo i dati della Banca d’Italia[12], il disavanzo di parte corrente è aumentato nel 2010 è aumentato di oltre 19 miliardi, salendo dal 2.1 al 3.3% del Pil.  La voce relativa agli scambi di merci e servizi ha registrato un peggioramento di ammontare equivalente (19,3 miliardi). Si è invece ridotto da 10 a 7,9 miliardi il disavanzo nella voce dei Redditi da capitale.

Secondo i dati Istat, il saldo commerciale, riferito al solo scambio di beni, ha sfiorato un disavanzo di 30 miliardi (5,8 miliardi nel 2009). All’aumento del deficit nello scambio di prodotti energetici da 41,7 a 52,9 miliardi, conseguito all’aumento del prezzo del petrolio, si è accompagnata la determinazione di un disavanzo nei Prodotti intermedi (-11,1 miliardi), dove pure ha influito l’incremento dei prezzi internazionali delle materie prime. E’ invece aumentato l’avanzo dei Beni strumentali (da 24,8 a 28 miliardi), tradizionale punto di forza del commercio estero italiano. Un più lieve miglioramento, di circa un miliardo, si è avuto anche nello scambio di Beni di consumo.

Il PNR osserva, tuttavia, come il progressivo peggioramento del saldo delle partite correnti si associ a una limitata esposizione debitoria verso l’estero, ponendo l’Italia in una situazione più favorevole di quella riscontrata in molti altri paesi ed in particolare delle economie che oggi si confrontano con una crisi del debito sovrano. La posizione netta sull’estero dell’Italia, ossia il saldo fra attività e passività di un paese verso il resto del mondo, pur negativa, si colloca infatti su valori lontani dalla soglia di insostenibilità individuata dalle istituzioni europee (-45% del Pil).

Il dato comunicato dalla Banca d’Italia indica come nel 2010 la posizione negativa sull’estero dell’Italia sia diminuita di circa 30 miliardi, scendendo dal 19 al 17% del Pil[13].

 

In prospettiva, la possibilità di conservare condizioni non critiche nella posizione sull’estero dipendono, tra l’altro, dall’andamento della competitività, ossia dalla capacità di migliorare le performance nell’interscambio commerciale. La forte divergenza apertasi in Europa in tema di competitività è all’origine dell’accumulo degli squilibri di parte corrente interni all’area e della netta separazione che si riscontra, dopo la crisi del passato biennio, tra il ciclo economico della Germania (economia fortemente competitiva e con elevato surplus di parte corrente) e quello di molti paesi periferici, poco competitivi e con disavanzi di parte corrente.

L’indicatore comunemente utilizzato per verificare le evoluzioni della competitività è il tasso di cambio effettivo reale, che a sua volta può essere costruito sulla base di indicatori diversi. 

Il tasso di cambio reale si determina ponderando l’andamento degli indicatori di prezzo (o di costo) con le variazioni del tasso di cambio. Si ha perdita di competitività quando un aumento dei prezzi interni rispetto alla media dei prezzi internazionali non è compensato da una svalutazione del cambio di pari ammontare.

Il PNR propone quattro misure di cambio reale, basate sull’utilizzo del costo del lavoro per unità di prodotto (clup), dell’indice IPCA dei prezzi al consumo, del deflatore del Pil, dei prezzi alle esportazioni. Il tasso di cambio reale rivela per l’Italia una perdita di competitività a partire dall’inizio dello scorso decennio ma, come si sottolinea, i guadagni o le perdite di competitività variano a seconda dell’indicatore utilizzato.

La perdita di competitività risulta più pronunciata se si considera il tasso di cambio basato sul clup o sui prezzi delle esportazioni.

Tali indicatori evidenziano come l’Italia subisca un’erosione della competitività sui mercati internazionali da ormai un decennio: nella misura utilizzata dal PNR (tasso di cambio effettivo ponderato in base al clup), questa perdita di competitività raggiunge circa il 15%[14].

 

Non risultano invece particolari squilibri negli andamenti di produttività misurati attraverso l’indice dei prezzi al consumo o del deflatore del Pil.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Concludendo l’analisi sugli squilibri esterni, il PNR ricorda come vi siano anche fattori non legati ai prezzi o ai costi di produzione (quindi non misurabili attraverso il tasso di cambio reale) che risultano determinanti per la capacità di competere nei confronti dei concorrenti esteri. Tipicamente, questi fattori riguardano il contenuto qualitativo dei prodotti, la presenza di un’ampia disponibilità di servizi alle imprese, la presenza di adeguate infrastrutture di trasporto nonché, più in generale, l’esistenza di condizioni di contesto favorevoli allo svolgimento dell’attività produttiva da parte delle imprese.

A questo riguardo, alcuni contributi di analisi, citati dal PNR, evidenziano come, di fronte all’emergere della concorrenza dei paesi emergenti, le quote dell’Italia sui mercati esteri avrebbero registrato una sostanziale tenuta, in virtù del processo di miglioramento della qualità media dei prodotti esportati.

 

 

Squilibri interni

Due sono gli aspetti a cui alla luce della recente crisi, si ritiene di dover prestare attenzione nel PNR: le dinamiche del mercato immobiliare e l’andamento del debito nelle sue varie dimensioni. La crisi del 2008-2009 è stata, infatti, innescata dall’esplosione di una bolla immobiliare e dall’accumulo di valori di indebitamento troppo elevati. Sia l’andamento del mercato immobiliare, sia l’indebitamento complessivo di un paese saranno, pertanto, oggetto delle nuove procedure di sorveglianza macroeoconomiche.

Si tratta, altresì, di due aspetti nei quali l’Italia ben si colloca nel confronto europeo.

 

Dal 2000, l’aumento dei prezzi delle case è stato in Italia sostenuto, ma meno che in altri paesi europei e anche la flessione registrata nel corso della crisi è stata meno pronunciata.

 

 

Minore che in altri paesi risulterebbe poi in Italia il legame fra ricchezza immobiliare e propensione al consumo, per cui l’aumento del valore delle case non avrebbe influito sulle scelte di risparmio delle famiglie italiane. Infine, si rileva come il peso sul Pil del valore aggiunto delle costruzioni sia rimasto sostanzialmente costante negli ultimi anni (compreso tra il 5 e il 5,5 per cento), segnalando l’assenza di un fenomeno di bolla immobiliare.

 

Si può osservare che l’Italia presenta semmai un problema di segno opposto. Il valore aggiunto reale del settore delle costruzioni è in contrazione dal 2008, con una perdita cumulata di circa il 15%. A partire dal 2009, alla caduta del valore reale si accompagna una contrazione dei deflatori, ridottisi nell’ultimo biennio di oltre il 4%. Il comparto delle costruzioni registra cioè una severa recessione che, secondo le stesse previsioni formulate nel PNR, non verrebbe superata neanche nel 2011. Su tali andamenti influisce il ridimensionamento della spesa in conto capitale delle Pubbliche Amministrazioni.

 

Sul lato del debito, si richiamano i dati che descrivono l’Italia come un paese con un settore privato poco indebitato, fatto che bilancerebbe l’elevato disavanzo pubblico. In particolare, il debito delle famiglie italiane è pari al 44% del Pil, contro una media europea dell’82,3%), mentre quello delle imprese non finanziarie è inferiore all’85% del prodotto (oltre il 120% nella media europea).

Lo stesso livello del debito pubblico (119% nel 2010 e stimato pari al 112,8% nel 2014[15]) è considerato limitatamente esposto a situazioni di crisi, in considerazione dell’elevata scadenza media, dell’alta quota detenuta da residenti (55.7%; 31.1% in Francia e 47.1% in Germania), della non esposizione al rischio di cambio.

La sostenibilità del debito pubblico italiano sarebbe inoltre preservata dal fatto che non si riscontrano necessità di intervenire a favore del sistema bancario e finanziario. Non vi é dunque il rischio di una cessione al bilancio pubblico di passività nascoste del settore finanziario[16].

Alla luce di queste evidenze, il PNR osserva pertanto che la relativa maggiore solidità del sistema bancario italiano rispetto a quello di altri paesi e il limitato stock del debito del settore privato hanno consentito all’Italia in questi ultimi anni di registrare livelli complessivi di debito più contenuti rispetto alla media dei paesi esaminati.

 

A ciò si può aggiungere che, sulla base dei dati contenuti nella Analisi sulla crescita della Commissione presentata a gennaio 2011[17], le principali aree di criticità dell’economia italiana venivano riscontrate nelle basse condizioni di crescita e nello stato sfavorevole di alcuni indicatori di mercato del lavoro, elementi non contemplati dall’analisi sugli squilibri economici contenuti nel PNR, perché affrontati in altre parti del DEF, in specie nella valutazione degli impatti delle riforme.

Va, tuttavia, ricordato che in base agli indicatori di patrimonializzazione contenuti nel citato documento della Commissione gli istituti bancari italiani si collocano agli ultimi posti europei. Ciò non pone un rischio per il bilancio pubblico, ma evidenzia la necessità di aumenti di capitale anche consistenti, cui potrebbe accompagnarsi l’adozione di criteri più stringenti nella concessione di prestiti al sistema economico.

 


 

Approfondimento

2. L’impatto delle riforme sulla crescita: la metodologia di stima utilizzata nel PNR

 

Le riforme economiche possono accelerare le dinamiche della crescita attraverso vari canali, quali l’innalzamento della produttività generale del sistema, la modifica dei meccanismi di formazione di prezzi e salari, il miglioramento delle condizioni di accesso al mercato del lavoro, la riduzione dei costi amministrativi e delle posizioni di rendita. Attivando questi canali, la realizzazione di un programma di riforme conduce, tipicamente, a un nuovo equilibrio caratterizzato da produttività più elevata, maggiore occupazione, minore inflazione e, più in generale, da una migliore competitività esterna.

Nel PNR[18], si afferma che gli obiettivi e le azioni di riforma illustrate “tendono a potenziare la competitività del paese, stimolare la concorrenza nel mercato dei prodotti e migliorare le condizioni del mercato del lavoro, nel quadro di una rafforzata sostenibilità delle finanze pubbliche”[19].

Il documento, pertanto, con un’analisi innovativa nell’ambito dei documenti programmatici di finanza pubblica presenta una stima quantitativa degli effetti sulla crescita delle riforme indicate dal Piano.

L’individuazione delle misure

L’elenco completo delle riforme selezionate – tutte riferite a misure già approvate nel corso della legislatura - è riportato in Allegato al PNR e comprende, in totale, 85 provvedimenti. In linea con le priorità indicate nell’Annual Growth Strategy concordata in sede europea, esse vengono raggruppate in otto aree di politiche obiettivo:

 

  1. Contenimento della spesa pubblica;
  2. Energia e ambiente;
  3. Federalismo;
  4. Infrastrutture e sviluppo;
  5. Innovazione e capitale umano;
  6. Mercato del lavoro e pensioni;
  7. Mercato dei prodotti, concorrenza ed efficienza amministrativa;
  8. Sostegno alle imprese.

 

Nella valutazione degli effetti, vengono considerate le sole aree 5, 6, 7 e 8. Viene inoltre richiamata l’area 4 Infrastrutture e sviluppo, che viene tuttavia analizzata a parte e della quale non vengono stimati gli effetti sulla crescita.

La scelta di fare riferimento ai soli provvedimenti già attuati consente di dare dimensione finanziaria al pacchetto di riforme. La tavola IV.1 del PNR[20] sintetizza, a tal fine, le principali misure, distinte per aree di intervento e i relativi effetti finanziari in termini di impatto sul conto economico della P.A. Nella tavola viene indicata “l’intera manovra” computando quindi anche le correzioni all’indebitamento netto operate all’interno di tali aree: complessivamente, l’insieme delle misure considerate ha un effetto positivo sul saldo di finanza pubblica, in quanto i risparmi di spesa superano i maggiori costi sostenuti per gli interventi (per una ricostruzione di tali effetti cfr. infra – L’analisi finanziaria delle riforme).

Nel documento si precisa che nell’esercizio di simulazione “i valori dell’impatto sulle variabili macroeconomiche sono da considerarsi al netto degli effetti derivanti dalla copertura finanziaria delle misure in oggetto”[21]: Le misure, cioè, vanno considerate solo nel loro impatto espansivo, dal momento che rientrano in una più generale manovra di bilancio, che già prevede una correzione dell’indebitamento.

L’esercizio è inoltre, limitato alle misure adottate nel 2010 e nell’anno corrente, in quanto gli effetti derivanti dalle riforme avviate negli anni precedenti sono comunque già incorporati nello scenario economico di base.

Gli effetti addizionali sulla crescita

La metodologia utilizzata per stimare gli effetti sulla crescita è diretta, pertanto, a identificare effetti addizionali rispetto a quelli di natura contabile, associati al segno restrittivo della manovra di finanza pubblica e presumibilmente già inglobati nello scenario di base.

Contabilmente, una manovra di contenimento del bilancio pubblico determina infatti una compressione delle dinamiche di crescita. Questo effetto può, tuttavia, essere attenuato (c.d. effetti non-keynesiani delle manovre di bilancio pubblico) nel caso in cui un minor indebitamento conduca a una riduzione di tassi di interesse pagati sui titoli di debito pubblico; oppure in presenza di elementi di calcolo intertemporale, per cui il minore disavanzo odierno viene scontato da famiglie e imprese in termini di minor tassazione futura, dando luogo a incrementi dei consumi e degli investimenti rispetto allo scenario base.

La metodologia utilizzata nel PNR, nel dar conto degli effetti espansivi delle riforme, non fa riferimento a tali canali di trasmissione (presumibilmente già contemplati nelle definizione dello scenario di base) ma intende quantificare effetti addizionali rispetto a quelli incorporati nei quadri contabili utilizzati per la formazione del PIL.

La metodologia del PNR si concentra, quindi, direttamente sulle variabili che si ritiene vengano influenzate dalle misure di riforma, dando a esse un impulso esogeno, proporzionato alla dimensione finanziaria degli interventi. Gli effetti di questi shock esogeni vengono poi simulati all’interno dei modelli econometrici del Ministero dell’Economia.

 

Gli impulsi esogeni imposti al modello sono complessivamente tredici:

o     Riduzione del mark-up sui salari;

o     Aumento produttività del lavoro;

o     Riduzione costo del lavoro per unità di prodotto;

o     Innalzamento e adeguamento alla speranza di vita dell’età pensionabile;

o     Aumento dei contributi alla produzione;

o     Aumento base imponibile oneri sociali per emersione lavoro irregolare;

o     Riduzione delle barriere all’entrata e stimolo della concorrenza;

o     Riduzione oneri amministrativi;

o     Riduzione del mark-up sui beni;

o     Aumento della produttività della PA;

o     Credito di imposta per i ricercatori;

o     Riduzione del costo dei beni intangibili;

o     Aumento di contributi agli investimenti.

L’impatto

Gli shock sono sistematizzati all’interno delle quattro aree di riforma considerate e portano a misurare un effetto addizionale sulla crescita pari, in termini cumulati, a 1,6 punti nel 2014 (v. tavola IV.5 del PNR). Le singole aree di intervento così contribuiscono al risultato generale: 0,6 punti l’area Lavoro e pensioni; 0,8 punti l’area Mercato dei prodotti, concorrenza ed efficienza amministrativa; 0,1 punti l’area Innovazione e capitale umano, 0,1 punti dall’area Sostegno alle imprese.

Le simulazioni indicano inoltre che gli effetti avrebbero natura permanente. Nel 2020, la maggiore crescita ascrivibile agli interventi di riforma attuati nel 2010-2011 risulterebbe pari a 3,2 punti, per la metà determinati all’interno dell’area Lavoro e pensioni.

In particolare nel documento si rileva come “l’output risponda in maniera positiva e sensibile soprattutto alle misure che riguardano direttamente il mercato del lavoro, sia da lato della domanda, sia dal lato dell’offerta, ma anche a politiche volte a favorire la concorrenza tra imprese riducendo quindi i costi per unità di lavoro. Infatti, mentre da un lato la moderazione salariale consente di allineare l’andamento dei salari alla produttività, dall’atro le riforme orientate ad aumentare la competitività consentono di moderare le distorsioni derivanti dalla rigidità del mercato del lavoro (costi di aggiustamento), rendendo in tal modo meno costoso e quindi più veloce l’adeguamento dell’occupazione alle mutate condizioni del mercato”[22].

Per quanto riguarda l’area dell’innovazione e del capitale umano, da una parte, sono stati simulati gli effetti di un aumento del credito di imposta per i ricercatori, dall’altra, i provvedimenti che favoriscono reinvestimenti del capitale in R&S sono stati implementati nel modello attraverso una riduzione del costo sostenuto dalle imprese per l’acquisto dei beni immateriali (intangibles costs). Per entrambi i tipi di shock, il meccanismo attraverso cui si producono effetti sull’economia è indiretto e passa attraverso la maggiore domanda di lavoro a elevato contenuto di competenze (high skilled). L’aumento del credito di imposta rende, infatti,più contenuto il costo dei beni immateriali, incentivando le imprese ad acquistarne ulteriormente. La maggiore domanda di brevetti comporta un maggiore utilizzo dell’input lavoro che, in questo comparto, è costituito dai soli addetti high skilled. Questo genera un conseguente aumento della produttività media con effetti positivi sul prodotto e l’occupazione. Nel PNR si sottolinea che i benefici derivanti dagli interventi per promuovere l’innovazione, quali l’aumento della spesa per istruzione e per R&S si manifestano pienamente solo nel lungo periodo.

Le riforme nello scenario macroeconomico del Programma di stabilità

Secondo l’esercizio di simulazione, nel periodo 2011-2014 l’insieme delle misure prese in considerazione determina una maggiore crescita annua di 0,4 punti (v. tavola seguente tratta dal PNR), con un valore cumulato pari all’1,6% nell’ultimo anno del triennio.

 

Tavola IV.3

Impatto delle riforme del PNR sulle principali variabili macroeconomiche

(differenza media nei tassi di variazione)

 

2011-2014

2015-2017

2018-2020

PIL

0,4

0,3

0,2

Consumi

0,3

0,2

0,3

Investimenti

0,3

0,3

0,7

Occupazione

0,3

0,2

0,1

Fonte: PNR

 

 

 

 

Come precisato nel documento, tale maggiore crescita viene incorporata nello scenario macroeconomico del Programma di stabilità e quindi utilizzata per la definizione degli andamenti di finanza pubblica. Tuttavia, dato il carattere teorico dell’esercizio di simulazione e in considerazione del fatto che l’attuazione delle riforme può risentire delle incertezze delle condizioni cicliche, nel PdS vengono utilizzati dei valori prudenziali, fissati per ipotesi pari alla metà degli impulsi stimati.

Il Programma di stabilità ingloba pertanto, in ognuno degli anni fra il 2011 e il 2014, 0,2 punti in più di crescita del PIL, degli investimenti e dell’occupazione e 0,1 punti di maggior incremento dei consumi delle famiglie.

 

Tavola IV.4

Scenario prudenziale - Impatto delle riforme del PNR sulle principali variabili macroeconomiche

(differenza media nei tassi di variazione)

 

2011-2014

2015-2017

2018-2020

PIL

0,2

0,2

0,2

Consumi

0,1

0,1

0,2

Investimenti

0,2

0,2

0,5

Occupazione

0,2

0,1

0,1

Fonte: PNR

 

 

 

 

I valori indicati nelle Tavole IV.3 e IV.4 sembrano implicare l’assenza (o quantomeno il limitato rilievo) di effetti sulla produttività del lavoro nonostante l’obiettivo delle riforme di accrescere l’efficienza generale del sistema: gli incrementi del PIL e dell’occupazione hanno, infatti, la medesima dimensione.

Ciò potrebbe conseguire sia dal fatto che, come specificato nel PNR, le politiche che intervengono nell’area dell’innovazione e del capitale umano manifestano i propri effetti solo nel lungo periodo, sia dall’esclusione dalla simulazione delle politiche riguardanti l’area Infrastrutture e sviluppo. Pur tenendo conto di tali precisazioni, si rileva che la produttività potrebbe essere influenzata non favorevolmente da una dinamica della spesa in conto capitale quale emerge dai quadri tendenziali: la spesa per investimenti fissi si riduce, infatti, in quota PIL, passando dal valore del 2 per cento circa nel 2011 all’1,6 per cento del 2014; parallelamente, i contributi in conto capitale alle imprese passano dall’1,12 allo 0,92 per cento.

 

Ai fini di una valutazione complessiva del quadro macroeconomico e di finanza pubblica contenuto nei documenti in esame si rileva, inoltre, l’opportunità che, accanto alla simulazione relativa agli effetti sulla crescita delle riforme (prese in considerazione nella loro dimensione “espansiva”), sia fornita una quantificazione degli effetti sul PIL delle manovre correttive adottate.

 


 

2. La finanza pubblica

2.1 Il quadro programmatico

La Sezione I del Documento di Economia e Finanza 2011 (DEF) aggiorna il quadro programmatico di finanza pubblica per il quadriennio 2011-2014 rispetto a quanto presentato nella Decisione di Finanza Pubblica 2010 (DFP) dello scorso settembre.

In generale, la programmazione di medio periodo della finanza pubblica ruota intorno ad un set di variabili che dipendono dalle regole europee e si articolano nelle variabili rilevanti per la decisione di politica fiscale. La fissazione degli obiettivi di saldo strutturale, ossia corretti per il ciclo economico e per le misure una-tantum, riflettono l’impegno del paese per il raggiungimento dell'Obiettivo di Medio Termine (OMT)[23] concordato in sede europea, che risulta coerente con la riduzione programmatica del debito pubblico nel lungo periodo. Dati gli obiettivi strutturali e considerata la posizione dell'economia rispetto al ciclo, ne deriva l’obiettivo di indebitamento netto della PA, cioè quel valore di saldo che consente di realizzare il percorso di consolidamento desiderato. L’obiettivo programmatico per la PA viene poi confrontato con l'andamento tendenziale per definire l'aggiustamento necessario. Il programmatico della PA viene poi articolato nei saldi per i sottosettori della PA.

2.1.1 Gli obiettivi di saldo

La tabella 2.1 espone il consuntivo 2010 e gli obiettivi programmatici 2011-2014 per i principali saldi di finanza pubblica in rapporto al PIL  (saldo strutturale, avanzo primario, indebitamento netto, debito) esposti nel DEF rispetto a quelli contenuti nel DFP di settembre scorso. 

 

Tabella 2.1

Obiettivi programmatici della PA. Rapporti sul PIL

Fonte: DEF 2011 e DFP 2010

 

A differenza di quanto riportato nella DFP, gli obiettivi della PA scontano il nuovo quadro macroeconomico, che vede un leggero rallentamento dell'attività economica e una chiusura dei conti per il 2010 migliore delle previsioni, anche se a fronte di un saldo strutturale leggermente peggiore rispetto a quanto previsto a settembre. In particolare, per il 2010 l’indebitamento netto strutturale si attesta al -3,5 per cento del PIL, di -0,1 punti percentuali superiore rispetto a quanto fissato dalla DFP, mentre quello nominale si attesta al -4,6 per cento del PIL contro il -5 per cento previsto lo scorso settembre.

Nel 2011 il saldo strutturale viene programmato pari al -3 per cento, contro il -2,5 per cento della DFP, evidenziando un miglioramento di 0,5 punti percentuali. Il saldo nominale viene confermato al -3,9 per cento.

Per quanto riguarda il triennio di programmazione 2012-2014 si prevede di rispettare gli impegni di finanza pubblica presi in sede europea, in termini sia di progressivo avvicinamento all’OMT attraverso aggiustamenti strutturali di almeno -0,5 punti percentuali all’anno, sia di rientro nei parametri fissati dal Patto di Stabilità e Crescita. Per il quadriennio 2011-2014, il disavanzo strutturale è stimato ridursi ad un tasso medio di 0,8 punti percentuali annui, in linea con gli orientamenti strategici per le politiche economiche approvati dal Consiglio Europeo a fine marzo. In quella occasione si ribadiva la necessità di consolidare i bilanci pubblici operando aggiustamenti strutturali superiori allo -0,5 per cento annuo del PIL, cui affiancare riforme del mercato del lavoro e politiche di sostegno alla crescita.

In particolare, nel 2012, come richiesto dalla Commissione Europea per la chiusura della procedura per disavanzo eccessivo aperta contro l’Italia nel 2009, il saldo strutturale scenderà sotto la soglia del -3 per cento, attestandosi al -2,2 per cento. Nel biennio 2013-2014, la DEF fissa un obiettivo di saldo strutturale pari, rispettivamente, a -1,4 e -0,5 per cento.

Gli obiettivi strutturali indicati si traducono in termini nominali in un indebitamento netto pari al -2,7 per cento 2012, a -1,5 per cento nel 2013, per raggiungere il quasi pareggio di bilancio nel 2014 con un saldo pari al -0,2 per cento.

 

Gli scostamenti delle previsioni della DEF rispetto a quelle della DFP scontano una revisione della stime della componente ciclica alla base del calcolo dell'indebitamento netto strutturale. Per gli anni 2010-2012, l'output gap, ossia la differenza tra PIL effettivo e potenziale, si attesterà su valori più bassi rispetto alle previsioni di settembre, continuando a rimanere negativo fino al 2013. Le ragioni della revisione dell'output gap sono da ricondursi a stime di crescita del PIL più basse rispetto alle previsioni della DFP, più che compensate da una revisione al ribasso dell'output potenziale.

 

Il miglioramento del quadro macroeconomico ciclico (indicato dalla riduzione dell'output gap) apre diverse opzioni di policy in termini di saldo strutturale e nominale. Da un lato, un peggioramento delle prospettive di crescita del PIL effettivo implica un minor gettito fiscale e quindi un peggioramento del saldo nominale. Dall'altro lato, un output gap più favorevole (legato alla riduzione del potenziale) implica una minore correzione ciclica del saldo strutturale. Dall'interazione di questi due effetti risulta che la revisione dell'output gap implica una certa dinamica del saldo strutturale tendenziale, sollecitando eventualmente una correlata scelta di policy. A parità di obiettivo di saldo strutturale, un output gap più favorevole richiede una correzione maggiore in termini di indebitamento netto nominale; alternativamente, a parità di saldo nominale, un miglioramento dell'output gap implica un peggioramento del saldo strutturale[24].

 

Nel 2010 il differenziale di output-gap rispetto alle stime di settembre ha portato ad un peggioramento del saldo strutturale (rispetto alle corrispondenti stime), non compensato dal miglioramento dell'indebitamento netto nominale.

Con riferimento al periodo di programmazione 2011-2014, la migliore posizione ciclica si traduce in un peggioramento del saldo strutturale in ciascuno degli anni di riferimento. Nel 2011 e nel 2012, il DEF conferma gli importi dei saldi strutturali tendenziali quali obiettivi programmatici e non viene prevista una manovra correttiva. In termini nominali, le nuove previsioni di saldo corrispondente agli obiettivi strutturali indicano un valore analogo a quello della DFP per il 2011 e lievemente peggiore per il 2012.

Nel 2013, la revisione dell'output gap implica un peggioramento del saldo strutturale tale da non garantire un miglioramento coerente con un aggiustamento di almeno 0,5 punti di PIL verso l'OMT.  In conseguenza, il Governo presenta un aggiornamento degli obiettivi programmatici, prevedendo una manovra di 1,2 punti di PIL.

 

Il progressivo miglioramento dell'indebitamento netto programmatico, che passerà dal -2,7 per cento del 2012 allo -0,2 per cento, sarà determinato da un'evoluzione positiva del saldo primario, che da leggermente negativo nel 2010 si attesterà al 5,5 per cento nel 2014. Al contrario, la spesa per interessi continuerà ad aumentare fino al 2014, attestandosi al 5,6 per cento del PIL.

2.1.2 La correzione richiesta

Per raggiungere tali obiettivi di indebitamento netto, la DEF evidenzia come sarà necessaria una manovra correttiva cumulata di 2,3 punti percentuali per il biennio 2013-2014, atta ad aumentare l’avanzo primario dell’ammontare necessario a realizzare (data la stima della spesa per interessi) l’obiettivo di indebitamento netto. Il DEF, nell'illustrare la strategia per il triennio 2012-14, specifica che perseguirà il mantenimento dell'incidenza del gettito sul livello realizzato nel 2010 e che l'aumento dell'avanzo primario avverrà dal lato della spesa al netto degli interessi, senza sacrificare la spesa necessaria a favorire la crescita economica.

Pertanto, il Governo si impegna a mantenere la crescita della spesa pubblica al di sotto del tasso di crescita del PIL di medio termine, congruentemente con i principi della politica di bilanci prudente in corso di definizione in sede europea[25]. Il DEF indica che, sulla base della evoluzione del PIL dal 2005 al 2014, il tasso di crescita prudente della spesa dovrebbe essere pari all'1,7 per cento.

Il DEF indica che la riduzione programmata della spesa primaria sarà di oltre 4 punti percentuali di PIL.

 

A differenza di quanto prescritto dall'art. 10, comma e, della legge 196/2009 riformata dall'AC 3921, il Documento non riporta gli obiettivi programmatici per sottosettore, indicando i valori tendenziali dei relativi saldi (nella sezione I) e il conto economico tendenziale per sottosettori (nella sezione II). Si segnala che per gli anni 2011 e 2012 i valori tendenziali (che incorporano la manovra attuata nel luglio 2010) coincidono con quelli programmatici.

La nuova legge di contabilità richiede altresì che sia indicata - sempre per sottosettori - l'articolazione della manovra necessaria al conseguimento degli obiettivi.

 

Il grafico 2.1 illustra, in rapporto sul PIL, le spese primarie tendenziali e programmatiche (queste ultime incorporano la riduzione di 4 punti percentuali indicata dal governo). Tale andamento conferma il raggiungimento degli obiettivi programmatici sulla base di un rapporto entrate su PIL costante al 46 per cento (come indicato nel paragrafo sulle strategie per il triennio). Le spese primarie nel 2013 dovrebbe attestarsi al 42,1 per cento (dal 43,9 per cento tendenziale), mentre nel 2014 dovrebbero registrarsi al 40,6 (dal 43,5 per cento tendenziale). 

 

A fronte di tale manovra netta, il quadro relativo alle previsioni a politiche invariate suggerisce che nel 2014 la manovra lorda dovrebbe includere ulteriori 5,1 miliardi di euro (cfr. tavola III.3 della sezione I del DEF), che rifletterebbero la continuità delle politiche. Al riguardo si veda l'approfondimento n. 5.

 

Grafico 2.1

Spesa primaria tendenziale e spesa primaria programmatica (simulata)

2.1.3 Obiettivi di saldo e discesa del debito

L’impegno nella fissazione degli obiettivi di saldo strutturale e nominale si riflette sull’andamento del debito pubblico. Il perseguimento di un saldo strutturale coerente con l’OMT, e i connessi obiettivi di indebitamento netto, sono diretti a garantire la sostenibilità del debito pubblico nell’intero arco di programmazione. Il grafico 2.2, che riporta l’andamento del debito e del saldo strutturale nel periodo di programmazione, mostra come il progressivo avvicinamento del saldo netto strutturale al pareggio di bilancio determini una riduzione del debito. Il debito pubblico, che tocca nel 2011 il picco del 120 per cento del PIL, inizierà a diminuire a partire dal 2012, raggiungendo la quota programmatica del 112,4 per cento nel 2014.

 

L'obiettivo di correzione strutturale realizzata sull'indebitamento netto appare coerente con il soddisfacimento per l'anno 2014 della regola sul debito in discussione in sede europea (5 per cento di riduzione per la quota in eccesso rispetto alla soglia del 60 per cento).

 

Il grafico 2.3, riportando sull'asse delle ascisse la variazione dell'indebitamento netto e su quello delle ordinate la variazione del debito, mostra come il disavanzo nominale, che influisce direttamente sulla formazione del debito, continuerà a ridursi per il quinquennio 2010-2014, spingendo ad una riduzione del debito pubblico dal 2012 in avanti.

 

Qualora si raggiungesse e si rispettasse l'OMT dal 2015 in avanti, nell'ipotesi di una situazione di espansione economica reale e potenziale, il rapporto debito/PIL continuerebbe la sua discesa. Nel breve periodo, un saldo nominale in pareggio o in avanzo porterebbe ad un mancato incremento o ad una  riduzione del livello del debito. Nel medio periodo, uno stock del debito in diminuzione determinerebbe una riduzione della spesa per interessi, che contribuirebbe ad una ulteriore miglioramento dell'indebitamento (o lascerebbe spazio per azioni di policy, in quanto, a parità di obiettivo di saldo nominale, ma con una spesa per interessi inferiore, si potranno conseguire avanzi primari sempre maggiori).

Inoltre, l'evoluzione del rapporto è fortemente influenzata dalla crescita dell'economia e dal livello dei tassi di interesse (si veda al riguardo il paragrafo 3.1 del presente dossier).

 

Grafico2.2

Debito pubblico e indebitamento netto strutturale

 

 

Grafico 2.3

Variazione dell'indebitamento netto e del debito pubblico

 

 

Per comprendere quali fattori, di cui solo una parte direttamente controllabili dall’esecutivo, contribuiscano all’andamento futuro del debito, bisogna scomporre il suo tasso di crescita in tre componenti: il saldo primario, lo snow-ball effect e lo stock-flow adjustment. In particolare, il saldo primario riflette le scelte di finanza pubblica attuate dall’esecutivo, lo snow-ball effect rappresenta l'effetto combinato di fattori solo parzialmente influenzabili dall'esecutivo come i tassi d'interesse e la crescita del PIL nominale, e lo stock-flow adjustment misura l’effetto di operazioni finanziarie, come le privatizzazioni, che hanno un impatto una tantum sull'andamento del debito pubblico.

 

Tabella 2.2

Scomposizione del tasso di crescita del debito pubblico.

 

Come mostra la tabella 2.2, l’aumento del debito pubblico nel biennio 2010-2011 è da ricondurre principalmente ad un elevato snow-ball effect, dovuto ad una combinazione di bassa crescita ed elevata spesa per interessi. La discesa del debito a partire dal 2012 sarà principalmente guidata da un avanzo primario sufficientemente grande da compensare l’effetto di una spesa per interessi in continua crescita. Lo stock-flow adjustment, invece, non appare avere effetti rivelanti per nessuno degli esercizi di programmazione considerati.

2.1.4 Avanzo primario, ciclo economico e fiscal stance

Per valutare appieno le scelte di politica fiscale poste in essere è utile ricorrere all’analisi della fiscal stance, che misura il livello di discrezionalità della politica fiscale rispetto all'andamento del ciclo economico, utilizzando come indicatore sintetico il saldo primario strutturale. Questo tipo di approccio permette di catturare la componente strutturale delle decisioni di politica fiscale attraverso la depurazione del saldo di bilancio da variabili non direttamente controllate dagli esecutivi, e quindi non discrezionali, come la componente ciclica e la spesa per interessi. In altre parole, questo tipo di analisi evidenzia l'indirizzo espansivo o restrittivo della politica fiscale a fronte dell'andamento macroeconomico del Paese.

Il grafico 2.4, basato sulle previsioni riportate nella DEF, illustra la direzione della politica fiscale, mettendo a confronto la variazione dell'avanzo primario strutturale (asse verticale) con l'output gap (asse orizzontale) nel periodo 2011-2014.

Per misurare la reazione della politica fiscale a fronte dell'andamento economico generale, si utilizza la variazione del saldo primario strutturale e non il suo valore assoluto. Variazioni positive corrispondono a politiche fiscali restrittive e possono essere dovute ad un incremento dell'avanzo primario strutturale o ad una riduzione del disavanzo primario strutturale; entrambi i casi sono caratterizzati da una direzione restrittiva della politica fiscale, in quanto aumenta la differenza tra entrate e uscite, calcolate in termini strutturali, al netto della spesa per interessi. Al contrario, variazioni negative dei saldi strutturali indicano una direzione espansiva della politica fiscale, attraverso una riduzione dell'avanzo primario strutturale o attraverso un aumento del disavanzo primario strutturale.

 

Il grafico 2.4 si compone di quattro quadranti. I due di sinistra sono caratterizzati da fasi negative del ciclo economico (output gap negativo). Il quadrante in alto considera situazioni di restrizione fiscale (variazioni dell'avanzo primario strutturale positive), mentre quello in basso si compone di manovre espansive (variazioni negative dei saldi strutturali). I due quadranti di destra, relativi a fasi economiche espansive (output gap positivo), illustrano una politica fiscale restrittiva nel quadrante alto (variazione dell'avanzo primario strutturale positiva) e una espansiva nel quadrante basso (variazioni negative dei saldi strutturali).

Per comprendere appieno il ruolo della fiscal stance, bisogna inserirla nel contesto delle regole sancite dal Patto di Stabilità e Crescita. L'asse orizzontale rappresenta il raggiungimento dell'obiettivo di medio termine, in quanto il saldo strutturale non varia da un periodo all'altro, ma rimane costante over-the-cycle, lasciando operare liberamente gli stabilizzatori automatici (stance neutrale). Qualora gli Stati Membri non avessero ancora raggiunto l'obiettivo di medio termine, una fiscal stance restrittiva - anche in presenza di un andamento non favorevole del ciclo - sarebbe necessaria per permettere un graduale avvicinamento a tale obiettivo. Pertanto, il pieno rispetto del Patto di Stabilità e Crescita porterebbe ad un posizionamento nei due riquadri in alto. In altre parole gli Stati dovrebbero perseguire politiche fiscali restrittive, in maniera tale da rispettare gli impegni presi in sede Europea. E' importante, tuttavia, sottolineare come le istituzioni europee prevedano margini di flessibilità circa il percorso di avvicinamento all'obiettivo di medio termine quando uno Stato si trovi a fronteggiare condizioni economiche particolarmente negative, come quella manifestatasi nel 2009.

Come mostra il grafico2.4 la fiscal stance per il triennio 2012-2014 è sempre restrittiva, con un saldo primario strutturale che migliora annualmente ad un tasso medio dello 0,8 per cento. Tuttavia, per gli anni 2012-2013, caratterizzate da un output gap negativo, e quindi da un’economia che cresce al di sotto del suo potenziale, la politica fiscale risulta essere restrittiva e pro-ciclica. In altre parole, il miglioramento dei conti pubblici in una fase negativa del ciclo rischia di rallentare ulteriormente la ripresa economica. Il 2014 sarà caratterizzato, invece, da una politica fiscale restrittiva ma anticiclica, in quanto l’economa viaggerà ad un livello superiore rispetto al proprio potenziale, e, quindi, con output gap positivo

Un secondo metodo per valutare la fiscal stance mette in relazione le variazioni dell'output gap, con le variazioni dell'avanzo primario strutturale. Un simile approccio viene considerato più accurato rispetto al precedente, perché permette di porre maggiore enfasi sulla dinamica del ciclo economico. Nel grafico 2.5, a sinistra dell'asse verticale si hanno variazioni negative dell'output gap e, quindi, un peggioramento dell'andamento economico; alla sua destra si ha un miglioramento dello scenario macroeconomico.

Dal grafico 2.5 si può dare una valutazione leggermente diversa della fiscal stance rispetto a quanto detto precedentemente. L’intero quinquennio si concentra nel quadrante in altro a destra, che è caratterizzato da una restrizione fiscale, ma a fronte di un miglioramento del ciclo economico. Pertanto, nonostante negli anni 2010-2013 l’output gap sia negativo, esso tende a migliorare di anno in anno, attribuendo così alla politica fiscale un ruolo di stabilizzatore (ossia le politiche restrittive vengono poste in essere in situazioni di miglioramento del quadro economico).

 

Grafico 2.4

Fiscal Stance e output gap

 

Grafico 2.5

Fiscal stance e variazione output gap

 


 

2.2 Gli andamenti tendenziali di finanza pubblica

Il Documento di Economia e Finanza (DEF) espone gli andamenti tendenziali di finanza pubblica per gli anni 2010-2014 in due sezioni distinte del documento.

La Tavola III.2 della sezione I del DEF riporta l'evoluzione dei principali aggregati delle Amministrazioni Pubbliche (AP) rilevanti ai fini della trasmissione alla Unione Europea del Programma di stabilità.

La Tabella II.2-2 della sezione II del DEF mostra invece i dati relativi al Conto Economico delle AP redatto secondo le regole di contabilità nazionale.

 

La tabella 2.3 riporta l'andamento degli aggregati di spesa ed entrata nelle due versioni dei conti. Dal confronto degli andamenti risulta che, nel periodo considerato, gli aggregati di entrata e di spesa totali costruiti secondo le definizioni contenute nel Programma di Stabilità risultano essere più bassi in media dello 0,5 per cento rispetto a quelli riportati nel Conto Economico delle AP. Tuttavia, tale differenza non incide sull'andamento dell'indebitamento netto, poiché si tratta di poste compensative di analoga entità dal lato dell'entrata e della spesa. Altresì non risulta influenzata la pressione fiscale.

 

La tabella 2.4 fornisce il raccordo tra le due versioni effettuato dall'Istat per i dati di consuntivo, in particolare per gli anni 2008 e 2009, con le voci che le differenziano. L'esame dei dati evidenzia che gli ammortamenti ed i ricavi dalla vendita di beni e servizi rappresentano le voci più rilevanti in termini di differenza tra le due definizioni degli aggregati.

 

Tabella 2.3

Aggregati di entrata e di spesa delle AP

 

Tabella 2.4

Raccordo tra aggregati di entrata e spesa delle AP

2.2.1 Il consuntivo 2010

Il Documento di Economia e Finanza (DEF) riporta l'analisi del conto economico delle AP in relazione ai dati di consuntivo dell'esercizio 2010[26] (cfr. tabella 2.5). Il commento che segue si basa sui conti presentati nella sezione II del DEF.

L’indebitamento netto della PA nell'anno 2010 si attesta a 71.211 milioni, inferiore rispetto ai 81.741 milioni del 2009 (-12,9 per cento). Il saldo primario del 2010 migliora significativamente rispetto al 2009, passando da -11.333 milioni a -1.059 milioni nel 2010. Rilevante è lo scostamento dei dati di consuntivo rispetto alle previsioni della DFP, nelle quali il disavanzo per il 2010 era stimato pari a 77.124 milioni e l'avanzo primario pari a -5.055 milioni

Il netto miglioramento del saldo del 2010 rispetto all'anno precedente è riconducibile sia ad una contrazione delle spese che ad un aumento delle entrate. Le entrate finali nel 2010 sono pari a 722.302 milioni di euro, in aumento dello 0,9 per cento. Le spese finali nel 2010 si attestano su 793.513 milioni di euro, in riduzione di -0,5 per cento rispetto al 2009. Rispetto alle previsioni del Documento di Finanza Pubblica (DFP) di settembre scorso, le spese per il 2010 risultano inferiori alle stime di 14.140 milioni.

 

In dettaglio, la spesa primaria corrente mostra un aumento nel 2010 rispetto all’anno precedente pari all’1,3 per cento (8.531 milioni), più che compensato da una significativa riduzione della spesa in conto capitale (pari al -18,5 per cento, -12.241 milioni) e da una lieve diminuzione della spesa per interessi, pari allo -0,4 per cento (-256 milioni). Il DFP stimava dinamiche superiori per tutte le componenti di spesa corrente e in conto capitale.

 

Le entrate tributarie sono risultate pari a 445.416 milioni di euro (+ 1 per cento rispetto al 2009), la cui crescita è attribuibile principalmente alle imposte indirette (+ 5,1 per cento), parzialmente compensata dalla dinamica negativa delle entrate in conto capitale (-72,3 per cento), legata al venir meno delle entrate una tantum del 2009. Anche le imposte dirette mostrano una evoluzione positiva, attestandosi a 222.857 (+ 1,2 per cento). I contributi sociali risultano pari a 213.542 milioni di euro, in aumento rispetto al valore registrato nel 2009 (+ 0,5 per cento).

Rispetto alle previsioni contenute nel DFP, le entrate finali del 2010 risultano inferiori alle stime di settembre scorso (–1,1 per cento), in coerenza con la minore crescita del PIL realizzata a consuntivo rispetto alle previsioni. La revisione al ribasso è attribuibile principalmente alle imposte indirette (-1,2 per cento), parzialmente compensata dalla rettifica delle entrate in conto capitale (+50,7 per cento). Da registrare anche la revisione della stima dei contributi sociali (- 1,26 per cento), legata - secondo la DEF - alla minore dinamica dei salari rispetto a quella ipotizzata in settembre, nonché alla revisione del dato 2009 operata dall'Istat.

Il DEF evidenzia che lo scostamento rispetto alle previsioni DFP è riconducibile a maggiori entrate lorde per circa 1.125 milioni (+1.728 dallo Stato e - 605 nella componente degli enti territoriali) e ad una revisione in aumento delle poste correttive. Queste ultime, in particolare, segnano a consuntivo un aumento rispetto alle previsioni DFP per un importo pari a 3.493 milioni. Le poste correttive riflettono principalmente il volume dei rimborsi e delle compensazioni d'imposta godute dai contribuenti in sede di versamento delle imposte stesse, nonché altre voci come le vincite del lotto o i contributi UE.

 

Esercizio 2010

 

 

 

 

Stime DFP

Risultati

Differenza

Entrate finali

447.786

445.416

-2.370

Bilancio Stato

405.319

407.047

1.728

Poste correttive PA

-27.269

-30.761

-3.493

Enti territoriali

69.735

69.130

-605

 

Sarebbe utile acquisire maggiori informazioni sulle cause di una revisione così significativa delle poste correttive. Sarebbe altresì utile che le ipotesi relative alla costruzione delle previsioni fossero esplicitate nel momento della presentazione delle stime stesse. La disponibilità di tali informazioni solo a consuntivo (il DFP non esplicitava le ipotesi relative a tale voce, ora rese disponibili; analogamente il presente documento non esplicita le ipotesi relative a tali poste per gli anni 2011-2014) contribuisce in modo limitato alla lettura dei quadri previsivi stessi. Il Rapporto sulle entrate tributarie di Dicembre 2010 redatto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze presenta alcuni dati di consuntivo per il 2009 e 2010 delle poste compensative che non sono comparabili con quelle esposte nel documento in esame. Il Bollettino della Banca d'Italia del corrente mese riconduce la vivacità del gettito IVA alle minori compensazioni, quantificate in circa il 30 per cento - quasi 6 miliardi - dovute all'introduzione, dal gennaio 2010, di vincoli normativi più stringenti.

Il citato Rapporto sulle entrate tributarie sottolinea il venir meno di alcune voci che hanno caratterizzato la dinamica delle entrate nel 2009; in particolare, tale esercizio è stato caratterizzato da alti versamenti dell’imposta sostitutiva sugli interessi corrisposti sui buoni postali fruttiferi rimborsati nel 2009 e su altri redditi da capitale. Tra le entrate in conto capitale il Rapporto ricorda quelle legate al rimpatrio dei capitali dall’estero (c.d. "scudo fiscale") e al riallineamento dei valori contabili per l’adozione dei principi contabili IAS.

Positivo nel 2010, invece, il contributo del gettito Irpef, dovuto, in particolare, all’andamento delle ritenute versate dai lavoratori autonomi, anche per effetto di una parziale ripresa dell’attività economica. Sempre secondo il Rapporto, la ripresa degli scambi ha comportato anche effetti benefici sul principale tributo indiretto, l’IVA, il cui gettito è stato trainato principalmente dall’andamento dell’imposta sulle importazioni e da una moderata ripresa degli scambi interni.

 

Le altre entrate non tributarie registrano nel 2010 un decremento rispetto al 2009 pari a -3.126 milioni, connesso - secondo il DEF - con una diminuzione dei versamenti erogati dall'Unione Europea a titolo di cofinanziamento per -1.200 milioni (in relazione ai ritardi nell'effettuazione delle relative spese e della conseguente rendicontazione), a minori trasferimenti correnti da famiglie e imprese (circa -820 milioni) e a minori incassi di capitale per - 500 milioni.

2.2.2 Gli andamenti tendenziali di finanza pubblica per il periodo 2011-2014

Il DEF presenta le stime relative al periodo 2011-2014 - aggiornate rispetto a quelle presentate nel settembre scorso, sulla base delle informazioni di consuntivo del 2010 - della revisione del quadro macroeconomico e l'impatto delle normative introdotte. Viene presentata per la prima volta la stima dell'esercizio 2014 (Cfr. Tabella 2.5).

 

Gli andamenti del 2011 mostrano un indebitamento netto atteso pari a 61.919 milioni di euro (-3,9 punti di PIL, rispetto ai -4,6 del 2010). Netto è il miglioramento atteso sul saldo primario, che nel 2011 torna positivo e si attesta a 14.168 milioni (0,9 punti di PIL). Per quanto riguarda gli anni successivi l'andamento dell'indebitamento netto della PA sconta gli effetti del decreto-legge 78/2010 e della legge di Stabilità 2011, nonché del criterio di costruzione dei conti a legislazione vigente. L'andamento dell'indebitamento in rapporto sul PIL resta sostanzialmente costante negli anni 2012 e 2013, attestandosi al -2,7 per cento, per poi scendere al -2,6 per cento nel 2014.

 

Tabella 2.5

Conto economico AP

Casella di testo: * Dati 2010 provvisori: fonte ISTAT
 


Le spese finali mostrano un tasso di evoluzione medio annuo pari al 2 per cento per cento. Nel 2011 sono stimate pari a 801.885 milioni, con una variazione attesa rispetto al 2010 pari a 1,05 per cento, dinamica riconducibile ad un significativo aumento atteso della spesa per interessi (8,4 per cento), ad un moderato incremento delle spese correnti (1,14 per cento) e ad una contrazione della spesa in conto capitale (-9,66 per cento).Negli anni successivi la spesa primaria corrente presenta un tasso di aumento medio annuo dell'1,3 per cento. In termini di PIL, la spesa primaria mostra un andamento decrescente su tutto il periodo, passando dal 42,5 per cento del 2011 al 40,9 per cento nel 2014. Le spese per interessi sono previste in continua crescita nel periodo 2011- 2014, con un aumento medio annuo del 8,6 per cento che porta la loro consistenza in termini di PIL dal 4,8 per cento nel 2011 al 5,6 per cento nel 2014.

Per quanto riguarda le spese in conto capitale infine, dopo l'ulteriore contrazione nel 2012 di -3.474 milioni di euro (-7,5 per cento), esse oscillano negli esercizi successivi poco al di sopra del valore per il 2012. In termini di PIL tale aggregato di spesa mostra un andamento decrescente in tutto il periodo, passando dal 3,5 per cento nel 2010 al 2,6 per cento nel 2014, che rappresenta una riduzione di un quarto rispetto al livello iniziale.

La riduzione più accentuata riguarda i contributi in conto capitale, che diminuirebbero del 21 per cento a fine periodo. La riduzione degli investimenti fissi è invece prevista pari al 12 per cento.  

Il quadro non è modificato dalla considerazione del criterio delle politiche invariate, che non prevede nessun esborso aggiuntivo per tale componente di spesa.

Non è chiaro il motivo per cui non si prevedano risorse finanziarie aggiuntive, rispetto agli andamenti tendenziali, a titolo di finanziamento delle politiche invariate. Secondo la metodologia indicata nella sezione seconda del DEF (pg. 34)[27], il complesso della spesa tendenziale in conto capitale sembrerebbe, infatti, dover essere incrementata dello 0,1% (differenza tra l’andamento tendenziale previsto, pari a -0,2% e l’andamento effettivo riscontrato nel quinquennio 2004-2008).

 

 

Relativamente alle previsioni d'entrata, nel 2011 le entrate finali delle AP si attesteranno a 739.966 milioni con un incremento del 2,4 per cento rispetto all'anno precedente. La dinamica positiva è confermata anche per gli anni 2012-2014 (3,8 per cento nel 2012; 2,9 per cento nel 2013; 3 per cento nel 2014). Come evidenziato nel DEF, la variazione delle entrate tributarie presenta in media, nell'arco del quadriennio considerato, tassi analoghi al PIL, confermando una elasticità unitaria tra le due variabili.

La pressione fiscale rimane tendenzialmente costante, passando dal 42,5 per cento del 2011 al 42,7 per cento del 2012, al 42,6 per cento del 2013 e al 42,5 del 2014.

Rispetto alla previsione DFP, nel 2011 le variazioni più consistenti sono riconducibili alle innovazioni legislative contenute nella legge di Stabilità 2011 (incremento pari a 2.400 milioni di euro per introiti derivanti dalle procedure di assegnazione delle frequenze radioelettriche), nonché dall'effetto di trascinamento dei risultati 2010 (minori entrate complessive pari a -6.100 milioni di euro).

 

Il trend positivo è confermato per tutte le tipologie d'entrata. Infatti, le entrate tributarie passano dai 457.066 milioni del 2011 ai 507.935 del 2014 (tasso di crescita medio pari a 3,6 per cento), soprattutto per effetto dell'incremento delle imposte dirette (tasso di crescita medio pari a 3,9 per cento) e delle indirette (tasso di crescita medio pari a 3,3 per cento). Dinamiche più moderate si registrano per i contributi sociali (tasso di crescita medio pari a 2,6 per cento) e per le altre entrate correnti (tasso di crescita medio pari a 2,8 per cento).

Le entrate tributarie vedrebbero aumentare il loro peso sul PIL, passando dal 28,7 per cento del 2011 al 28,9 per cento del 2014, mentre i contributi sociali dovrebbero scendere da 13,8 del 2011 al 13,5 del 2014.

Aumenta anche la componente rappresentata dalle entrate in conto capitale non tributarie, che si attestano a 6.069 milioni (tasso di crescita medio pari a 10 per cento).

 

Il grafico 2.6 mostra, per il periodo 2010-2014, l'andamento delle entrate totali e delle spese totali della PA ed il relativo indebitamento netto.

 

Grafico 2.6

Indebitamento netto della PA                                                                        (Valori in rapporto sul Pil)

 

 

2.2.3 L'analisi degli andamenti tendenziali per sottosettori

In coerenza con quanto previsto dalla legge di contabilità, il DEF contiene un apparato di tabelle relative ai conti economici dei sottosettori delle AP: Amministrazioni Centrali (AC), Amministrazioni Locali (AL) e Enti di Previdenza e assistenza sociale (EP); per gli stessi sottosettori sono presentati anche i conti di cassa (cfr. tabelle 2.7, 2.8, 2.9).

 

La tabella 2.6 riepiloga, in termini di PIL, l'indebitamento netto e il saldo primario tendenziale della PA e dei relativi sottosettori come esposti nel DEF. L'articolazione del saldo della PA (-3,9 per cento nel 2011, -2,7 per cento nel 2012, -2,7 per cento nel 2013, -2,6 per cento nel 2014) mostra come il miglioramento atteso sia riconducibile all'indebitamento netto delle AC, in diminuzione per tutti gli anni di riferimento (tra il 2011 e il 2014, variazione di -1,5 punti di PIL), tale da compensare un lieve peggioramento dell’indebitamento delle AL (-0,5 per cento nel 2011, -0,6 nel 2012 e 2013, -0,7 nel 2014). Il saldo degli EP resta costante per ciascuno degli anni considerati dal documento, attestandosi su un valore positivo pari allo 0,3 per cento.

 

Tabella 2.6

Indebitamento e saldo primario netto secondo i settori della Pubblica Amministrazione

(% del Pil)

 

La dinamica del saldo primario articolato per sottosettori indica che il miglioramento delle AP è ancora una volta riconducibile alla evoluzione del saldo delle AC, che migliora costantemente nel triennio di riferimento (da 0,9 per cento del 2011 a 3,2 per cento del 2014), compensando altresì la maggiore spesa per interessi. Il saldo primario delle AL risulta riflettere l’evoluzione dell’indebitamento netto del settore medesimo, in peggioramento di -0,2 negli anni di riferimento.

Dal lato della spesa, l’articolazione del conto per sottosettori evidenzia che la spesa corrente primaria degli EP mostra un tasso di evoluzione medio annuo del 3,2 per cento. Il conto delle AC indica una riduzione della componente corrente primaria nel 2012 (-1,6 per cento) e si evolve con variazioni positive nel periodo 2013-2014 (1,5 per cento nel 2013 e 2,0 nel 2014); il tasso medio annuo è pari a 0,63 per cento nel triennio. Le spese correnti al netto degli interessi delle AL sono in costante crescita su tutto il periodo, con un tasso media annuo del 2 per cento.

Con riferimento alla spesa in conto capitale, si evince una riduzione soprattutto nel 2012 che caratterizza sia le AC (-4,9 per cento) che le AL (-7,1 per cento). Per gli anni successivi, la dinamica della spesa per le AL rimane stazionaria (-0,5 e 0,9 per cento rispettivamente nel 2013 e 2014), mentre per le AC si evince una crescita nel 2013 (2 per cento), seguita da una nuova contrazione nel 2014 (-1,3 per cento), verosimilmente riconducibile al criterio di costruzione a legislazione vigente dei conti esposti.

Le spese in conto capitale degli EP, in genere poco significative, presentano un valore negativo nel 2012 (-350 milioni) in corrispondenza probabilmente di una quota di dismissioni immobiliari (contabilizzate come minori spese in conto capitale).

La spesa per interessi presenta una crescita differenziata per le AC e AL (tasso medio annuo pari a 8,7 per cento nelle AC e circa 3 annuo medio per le AL).

 

La mancanza della ripartizione del debito per sottosettori (come previsto dalla legge 196/2009) non consente di valutare se tale diversa dinamica differenziata rifletta una ipotesi di progressiva riduzione del debito delle AL. Sarebbe utile che il Governo fornisse qualche informazione al riguardo.

 

Con riferimento alle entrate, il totale delle entrate finali delle AC si evolve con una crescita media annua del 3,9 per cento, trainata principalmente dalle entrate tributarie (4,6 per cento medio annuo). Le entrate finali delle AL dopo una contrazione nel 2012 (-0,13 per cento) evidenziano una evoluzione moderata per i restanti esercizi del triennio (1,3 e 1,5 per cento rispettivamente). Tale dinamica riflette una riduzione della componente dei trasferimenti (-0,96 in media annua, -3,9 nel 2012), solo in parte compensata dalla crescita delle entrate tributarie, che aumentano ad un tasso medio di circa il 2 per cento nel triennio di riferimento.

Infine, relativamente al comparto degli EP, i trasferimenti dalle AC si evolvono in modo tale da equilibrare il settore, tenuto conto della dinamica della spesa e delle entrate contributive.

 

I conti per sottosettori presentati nel DEF non presentano le variazioni alla struttura di finanziamento delle amministrazioni locali connesse con l'attuazione del federalismo fiscale municipale e regionale. In base alle norme recentemente approvate, infatti, per regioni, province e comuni, si avrà la sostituzione dei trasferimenti dello Stato con addizionali o compartecipazioni di imposte erariali o con l’assegnazione di imposte proprie. La posta "trasferimenti da amministrazioni pubbliche" dovrebbe continuare a indicare i trasferimenti perequativi e per gli interventi speciali.

Tabella 2.7

Conto economico Amministrazioni Centrali.


Tabella 2.8

Conto economico Amministrazioni Locali.

 

Tabella 2.9

Conto economico degli Enti previdenziali e assistenziali.

 

Interessante è valutare l’evoluzione delle poste di finanza pubblica per sottosettori al netto dei flussi interni alle AP, cioè sottraendo i trasferimenti per/da amministrazioni pubbliche e gli interessi passivi. Questa analisi serve principalmente per valutare la spesa primaria “economica” per sottosettore, escludendo quindi quelle poste che scompaiono con il consolidamento e che riflettono le caratteristiche del finanziamento di un determinato servizio o settore.

 

La tabella 2.10 mostra la composizione per sottosettori della spesa primaria e delle entrate consolidate. Esaminando l'andamento della quota di spesa primaria sul totale della PA, si evince una diminuzione relativa delle AC che, nel periodo considerato, passa dal 25,3 per cento del 2010 al 22,9 per cento del 2014 (-3,4 per cento complessivo). Le AL mostrano che la propria quota sul totale della PA rimane sostanzialmente invariata. Quanto agli EP, risulta un andamento crescente della quota di spesa primaria sul totale in misura analoga alla riduzione delle AC.

 

Tabella 2.10

Composizione delle spese e delle entrate della PA per sottosettore, Conto Economico consolidato

(valori percentuali)

 

La tabella 2.11 - elaborando le informazioni contenute nella DFP - riporta le principali voci del conto economico della PA, articolato per sottosettori, dalle quali sono state escluse le poste di consolidamento. Esaminando i dati in percentuale del PIL si nota che, per il quadriennio 2011-2014, le Amministrazioni Centrali registrano un avanzo pari a 9,3 per cento nel 2012 e pari a 9,4 e 9,6 nel 2013 e 2014 rispettivamente. Le Amministrazioni locali registrano un indebitamento netto sul PIL pari al -6,5 per cento nel 2012 e 6,4 nel 2013 e 2014; gli Enti di Previdenza registrano un indebitamento netto in lieve peggioramento (-5,5 per cento nel 2012, -5,8 nel 2014).

 

Il quadro diverso che sembrerebbe derivare dalla raffigurazione qui presentata, in realtà, riflette le specificità dei criteri di finanziamento dei sottosettori all’interno della PA e in particolare le caratteristiche di finanza derivata sia delle amministrazioni territoriali che degli enti di previdenza, i quali basano sui trasferimenti dal bilancio dello Stato una quota rilevante del proprio finanziamento. Poiché, infatti, essi ricevono trasferimenti dalle Amministrazioni Centrali, l’esclusione di tali voci ai fini del consolidamento implica l’evidenziazione di divari tra entrate e spese di entità significativamente diversa dai saldi che le includono. Tale aspetto non riflette comportamenti di maggiore o minore disciplina fiscale, quanto piuttosto le caratteristiche istituzionali di finanziamento delle attività pubbliche.

L'analisi rende evidente peraltro come la misura dei valori di saldo programmatico delle Amministrazioni Locali e degli Enti di Previdenza dipenda dalla entità dei trasferimenti che i settori ricevono dal livello centrale, soprattutto in presenza di una regola sul saldo (come quella relativa al patto di stabilità interno) che influisce sulla dinamica di spesa degli enti.

 

Di maggiore significatività è il confronto della dinamica della spesa corrente e in conto capitale consolidata. L'evoluzione della spesa finale (corrente primaria e capitale) delle AL risulta simile a quella del conto di contabilità nazionale. Per le AC, invece, le due prospettazioni divergono: l’andamento della spesa finale (corrente primaria e capitale) risulta migliore in tutti gli anni di riferimento.

I grafici 2.7 e 2.8 mostrano la variazione delle spese correnti e in conto capitale nei sottosettori AL e AC per gli anni 2011-2014.

 

Tabella 2.11

Conto economico consolidato (al netto dei trasferimenti e interessi).

Nota: il conto consolidato della PA viene ottenuto escludendo dalle voci di spesa i trasferimenti tra sottosettori e riducendo la spesa per interessi delle AL, per la quota corrispondente agli interessi pagati alle AC (gli importi di tale componente sono stati forniti per le vie brevi dalla Ragioneria Generale dello Stato).

 

Grafico 2.7

Spese correnti (tassi di variazione annui)

 

Grafico 2.8

Spese in conto capitale (tassi di variazione annui)

 

 

2.2.4 Approfondimento di alcune voci di spesa

 

Il pubblico impiego

 

Il preconsuntivo 2009 e 2010

 

I dati di preconsutivo per il 2009 e 2010 sono stati aggiornati coerentemente con le nuove stime fornite dall’ISTAT nelle tavole allegate al comunicato “PIL e indebitamento delle amministrazioni pubbliche” del 1° marzo 2011. I precedenti dati, forniti dalle tavole allegate alla Decisione di finanza pubblica, ipotizzavano una spesa di 171.578 milioni per il 2009 e di 174.964 milioni per il 2010 mentre le nuove previsioni stimano una spesa, rispettivamente, di 171.026 e 171.905 milioni. Il minor onere sarebbe, conseguentemente, pari a 552 milioni per il 2009 ed a 3.059 milioni per il 2010. I fattori che concorrono a determinare il miglior risultato conseguito nel 2010 sono:

·        la revisione al ribasso della spesa per l’anno 2009. La riduzione del dato stimato per tale anno (-552 milioni), si trascina nel 2010 “abbassando il pavimento” utilizzato come dato di partenza per il 2010 stesso;

·        il mancato rinnovo di alcuni contratti collettivi di lavoro nell’anno 2010. Si fa riferimento ai contratti collettivi nazionali di lavoro riferiti al biennio economico 2008-2009 dei vigili del fuoco e dei prefetti. Il contratto dei vigili del fuoco è stato sottoscritto nel 2010 ma pubblicato nel 2011 e determina uno slittamento dal 2010 al 2011 di una spesa pari a circa 108 milioni di euro[28]. Per quanto riguarda i prefetti, la spesa differita all’anno successivo ammonta a circa 8 milioni di euro[29]. La spesa complessiva traslata al 2011 ammonta, quindi, a circa 120 milioni di euro;

·        gli effetti di slittamento salariale meno incidenti rispetto a quanto previsto, a riflesso delle misure contenitive della spesa adottate negli ultimi anni. Lo slittamento salariale, come precisato dalla Nota metodologica, indica il fenomeno del divario di crescita tra retribuzioni di fatto e retribuzioni contrattuali ed è determinato da una pluralità di fattori anche di natura strutturale. Sembrerebbe, dunque, desumersi che le esatte determinanti che hanno consentito l’ulteriore contrazione della spesa, per un importo pari a circa 2,3 miliardi di euro, non possano essere ancora puntualmente descritte, in attesa di conoscere i dati di dettaglio dei pagamenti per retribuzioni effettuati nel corso del 2010.

Deve, comunque, rilevarsi che la quasi totalità della minore spesa è dovuta ai risparmi conseguiti dalle amministrazioni centrali (che rappresentano circa il 55 per cento della spesa complessiva per retribuzioni dei dipendenti pubblici) pari a 2.858 milioni a cui fanno riscontro solo 294 milioni conseguiti dalle amministrazioni locali (che determinano, invece, circa il 42 per cento della spesa) .

L’incremento della spesa per il 2010 è pari allo 0,5 per cento, in rallentamento rispetto alla dinamica rilevata nel 2009 (0,8 per cento). Il DEF individua, quali fattori di riduzione della spesa nel 2010, il dispiegamento degli effetti di contenimento degli oneri di personale disposti dal decreto legge n. 112/2008 ed in particolare quelli derivanti dalle misure di razionalizzazione del comparto scuola.

L'incidenza della spesa per redditi sul PIL passa dall’11,3 all’11,1 per cento.

 

Le previsioni 2011-2014 a tendenziale a legislazione vigente

 

La tabella che segue mette a confronto le previsioni contenute nella Decisione di finanza pubblica dello scorso settembre con quelle recate dal Documento in esame.

 

Redditi da lavoro dipendente                                                                                         (milioni di euro)

 

2010

2011

2012

2013

2014

 

Decisione di finanza pubblica 2011-2013

174.964

173.893

174.102

174.707

n.d.

 

Variazione rispetto all’anno precedente

-

-0,6

+0,1

+0,3

n.d.

 

Documento di economia e finanza 2011

171.905

171.090

170.693

170.840

172.191

 

Variazione rispetto all’anno precedente

-

-0,5

-0,2

+0,1

+0,8

 

Differenza tra le previsioni in valore assoluto

-3.059

-2.803

-3.409

-3.867

-

 

Fonte: Decisione di finanza pubblica di settembre 2010 e Documento di economia e finanza 2011


Le previsioni proposte nel Documento in esame riflettono, principalmente, l’andamento di tre fattori:

·        il blocco delle dinamiche retributive fino al 2013;

·        gli effetti delle manovre contenitive di finanza pubblica. Il Documento fa riferimento ai decreti legge n. 112/2008 e n. 78/2010;

·        la stima degli effetti di slittamento salariale.

La previsione sconta, oltre alla sottoscrizione nell’anno 2011 dei pochi contratti ed accordi negoziali relativi ai bienni economici pregressi ancora in attesa di definizione, la sola erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale per i trienni 2010-2012 e 2013-2015. Con riguardo a tali profili si rileva che la sottoscrizione dei contratti in attesa di definizione comporta, come già accennato, lo slittamento dal 2010 al 2011 di una spesa pari circa a 120 milioni di euro. Per quanto concerne l’indennità di vacanza contrattuale riferita al triennio 2010-2012 si rammenta che l’articolo 9, comma 17 del decreto legge n. 78/2010 ne aveva già disposto l'erogazione nella misura prevista a decorrere dall'anno 2010, in applicazione dell'articolo 2, comma 35, della legge 22 dicembre 2008, n. 203. Ne consegue che l’erogazione di tale importo non dovrebbe aver determinato la revisione delle stime. Infine, per quanto concerne l’indennità di vacanza contrattuale per il triennio 2013-2015, si rileva che il vigente blocco dei trattamenti disposto per il triennio 2011-2013 determina lo slittamento del pagamento degli importi riferiti al 2013 all’anno 2014. Nel corso del 2014 l’indennità di vacanza contrattuale, calcolata sulla base del tasso di inflazione programmata del 2013 pari all’1,5 per cento, verrà erogata nella sua misura a regime, ossia lo 0,75 per cento delle retribuzioni contrattuali. Il monte delle retribuzioni contrattuali è inferiore al monte delle retribuzioni di fatto, ne consegue che la parte dell’incremento stimato per il 2014, pari allo 0,8 per cento, dovuto all’erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale ammonterà ad un valore prossimo allo 0,6 per cento del monte complessivo delle retribuzioni. Secondo quanto affermato dal Documento di economia e finanza ci si attende, inoltre, che l’impatto delle misure contenitive della spesa disposte dal decreto legge n. 112/2008, in misura peraltro non precisata, si incrementi nell’anno 2011 per poi quasi stabilizzarsi nel 2012 ed entrare a regime nel 2013. Si chiarisce, altresì, che anche le misure recate dal decreto legge n. 78/2010 sono attese produrre effetti consistenti, non quantificati, di contenimento negli anni 2012 e 2013 per poi stabilizzarsi nel 2014. Infine si chiarisce che gli effetti di slittamento salariale sono stimati, prudenzialmente, sulla base delle risultanze dell’ultimo quinquennio; in pratica il Documento afferma che per l’intero periodo previsionale è stata considerata, appunto per motivi prudenziali, una percentuale di incremento delle retribuzioni peraltro non puntualmente precisata. Si evince, dunque, che la revisione delle stime per il triennio 2011-2013 ed il dato previsionale del 2014 sono, soprattutto, conseguenza della revisione del dato 2010 e dell’effetto di trascinamento di questo valore negli anni successivi. I dati corretti sono, da un lato, ridotti per tenere conto degli effetti delle misure contenitive della spesa di cui ai D.L. n. 112/2008 e n. 78/2010, che non sono pienamente dispiegati, dall’altro, incrementati per valutare una certa misura di slittamento salariale.

 

Le previsioni a politiche invariate

Rinviando all’apposito approfondimento per la metodologia utilizzata nella costruzione delle previsioni a politiche invariate, si rileva che il Documento calcola il tasso medio di evoluzione della spesa per redditi da lavoro dipendente considerando che i periodi di osservazione, rispettivamente quadriennale, quinquennale e sessennale, si concludano nell’anno 2008. La tabella che segue riassume i seguenti risultati.

 

Redditi da lavoro dipendente                                                                                                                      

Periodo di osservazione

4 anni (2005-2008)

5 anni (2004-2008)

6 anni (2003-2008)

Tasso medio di evoluzione della spesa

1,3

1,9

2,3

 

 

 

 

 

Nel Documento si assume come parametro di riferimento la media quinquennale 2004-2008, pari a 1,9 per cento. Dal momento che la crescita tendenziale prevista per il 2014 è pari allo 0,8 per cento, lo scenario a politiche invariate comporterebbe una ulteriore spesa dell’1,1 per cento: tale incremento si applica alla base del 2013 pari a 170.840 milioni di euro, per un maggior onere di circa 1,9 miliardi di euro.

Per quanto concerne gli elementi da valutare per effettuare le stime della spesa per redditi da lavoro dipendente a politiche invariate per il 2014 si rileva che:

·        l’incremento annuo della spesa storica sostenuta per tale voce di reddito è risultato, di norma, superiore al tasso programmato di inflazione;

·        durante il triennio 2011-2013 apposite disposizioni normative inibiranno la crescita delle retribuzioni dei pubblici dipendenti;

·        il 2014 sarà il primo anno utile, del triennio contrattuale 2013-2015, per consentire la crescita delle retribuzioni;

·        l’inflazione programmata del 2013 e del 2014, utilizzato nel passato quale parametro di riferimento per i rinnovi contrattuali, sarà dell’1,5 per cento in ciascun anno. L’IPCA (indice dei prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo per l’Italia) depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati (IPCA) che dovrebbe costituire il nuovo indice di riferimento per i rinnovi contrattuali[30] è stimato pari all’1,7 per il 2013 mentre non si dispone del dato riferito all’anno 2014.

 

Le prestazioni sociali in denaro

 

Come specificato nella nota metodologica allegata al DEF, la spesa per prestazioni sociali in denaro ingloba la spesa per pensioni e quella per altre prestazioni sociali in denaro. La prima componente è riconducibile alla spesa pensionistica, costituita dal complessivo sistema pensionistico obbligatorio cui si aggiunge la spesa per pensioni sociali o assegni sociali per i cittadini con età pari o superiore a 65 anni; la spesa per altre prestazioni sociali in denaro include: le rendite infortunistiche, le liquidazioni per fine rapporto a carico di Istituzioni pubbliche, le prestazioni di maternità, malattia ed infortuni, le prestazioni di integrazione salariale (cassa integrazione ordinaria, straordinaria, in deroga), le prestazioni di sussidio al reddito nei casi di disoccupazione (indennità di disoccupazione, indennità di mobilità, ecc.), i trattamenti di famiglia, le pensioni di guerra, le prestazioni per invalidi civili, ciechi e sordomuti e, in via residuale, gli altri assegni a carattere previdenziale ed assistenziale.

L’andamento dell’aggregato nel 2010

La spesa per prestazioni sociali in denaro nel 2010 è risultata in linea con le previsioni contenute nella Decisione di finanza pubblica 2011-2013 ed è stata pari a 298.199 milioni (+2,3 per cento rispetto all’anno precedente). L’incidenza rispetto al PIL è stata pari al 19,3 per cento. Il dettaglio della spesa risulta dalla tabella che segue:

 

Andamento della spesa 2009-2010

 

 

(milioni di euro-%)

 

2009

2010

2009

2010

 

 

 

 

%PIL

%PIL

 

 

 

 

 

 

 

Prestazioni sociali

291.468

298.199

19,2

19,3

 

Pensioni

231.333

236.931

15,2

15,3

 

Altre prestazioni sociali

60.135

61.268

4,0

4,0

 

PIL

1.519.702

1.548.816

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Più in particolare, per quanto riguarda la spesa pensionistica, l’aumento del 2,4 per cento rispetto all’anno precedente è da attribuire essenzialmente all’indicizzazione ai prezzi[31], al saldo tra le nuove pensioni liquidate[32] e le pensioni eliminate, sia in termini numerici che di importo, nonché alle ricostituzioni di importo delle pensioni in essere e ad arretrati liquidati.

 

Per quanto riguarda la spesa per altre prestazioni sociali in denaro, l’aumento dell’1,9 per cento rispetto all’anno precedente è stato condizionato da diversi fattori di segno contrastante. Da una parte, si sono registrati il venire meno di taluni effetti di onerosità a carattere temporaneo relativi al 2009[33], la riduzione della spesa per rendite infortunistiche[34], il contenimento della dinamica della spesa per trattamenti di famiglia, indennità di maternità e indennità di malattia e infortunistiche, anche per effetto della contrazione della base occupazionale; dall’altra parte si sono avuti fattori di segno opposto, quali l’incremento della spesa per liquidazioni di fine rapporto[35] e l’incremento, più contenuto di quello registrato nel 2009, della spesa per ammortizzatori sociali.

 

Le stime per il 2011 e le previsioni per il periodo 2012-2014

Il documento precisa preliminarmente che le previsioni della spesa per prestazioni sociali in denaro sono state elaborate sulla base della normativa vigente, tenuto anche conto degli effetti conseguenti al D.L. n. 78/2010, alla legge di stabilità 2011 (legge n. 220/2010) e al D.L. n. 225/2010 nonché del quadro macroeconomico di riferimento.

L’andamento dell’aggregato è esposto dalla tabella che segue:

 

Previsioni 2011-2014

 

(milioni di euro-%)

 

2011

2012

2013

2014

Prestazioni sociali

306.200

313.630

324.940

336.540

in % del PIL

19,2

19,1

19,1

19,2

 

 

 

 

 

PIL

1.593.314

1.642.432

1.696.995

1.755.013

 

 

Rispetto alle previsioni contenute nella Decisione di finanza pubblica 2011-2013, si registra nel 2011 una differenza di 600 milioni di euro interamente ascrivibile al rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga disposto dalla legge di stabilità 2011 successivamente alla presentazione della Decisione di finanza pubblica medesima.

Il tasso di variazione medio nel periodo 2012-2014 è del 3,2 per cento (prendendo a riferimento il 2011), a fronte di un tasso di variazione medio del PIL del 3,3 per cento.

 

Per quanto riguarda la spesa pensionistica, l’andamento nel periodo è il seguente:

 

Previsioni 2011-2014

 

(milioni di euro-%)

 

2011

2012

2013

2014

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pensioni

244.630

252.100

260.790

270.740

in % del PIL

15,4

15,3

15,4

15,4

 

 

 

 

 

PIL

1.593.314

1.642.432

1.696.995

1.755.013

 

La previsione dell’aumento della spesa nel 2011 (+3.2 per cento rispetto al 2010) tiene conto del numero di pensioni di nuova liquidazione, dei tassi di cessazione stimati sulla base dei più aggiornati elementi, della rivalutazione delle pensioni in essere ai prezzi[36], delle ricostituzioni degli importi delle pensioni in essere, nonché degli effetti conseguenti alle disposizioni del D.L. n. 78/2010. Il documento precisa che la stima tiene altresì conto degli elementi emersi nell’ambito dell’attività di monitoraggio.

Per quanto riguarda il successivo periodo 2012-2014, gli specifici tassi di variazione sono condizionati dalla rivalutazione delle pensioni ai prezzi, dal numero di pensioni di nuova liquidazione, dai tassi di cessazione e dalla ricostituzione delle pensioni in essere. Le stime tengono inoltre conto delle economie derivanti dalle disposizioni del D.L. n. 78/2010, in particolare con riferimento alla revisione del regime delle decorrenze dei trattamenti pensionistici (con effetto, in particolare, dal 2012) nonché all’elevazione (dal medesimo 2012) del requisito anagrafico per l’accesso al pensionamento di vecchiaia ordinario delle lavoratrici del pubblico impiego.

Il tasso di variazione medio del periodo, prendendo a base l’anno 2011, è pari al 3,4 per cento.

 

Per quanto riguarda la spesa per altre prestazioni sociali in denaro, esse presentano il seguente andamento:

 

Previsioni 2011-2014

 

 

(milioni di euro-%)

 

2011

2012

2013

2014

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Altre prestazioni sociali

61.570

61.530

64.150

65.800

in % del PIL

3,9

3,7

3,8

3,7

 

 

 

 

 

PIL

1.593.314

1.642.432

1.696.995

1.755.013

 

Per quanto riguarda il 2011, nella previsione del contenuto aumento rispetto all’anno precedente (+0,5 per cento) si tiene conto del rifinanziamento delle proroghe per ammortizzatori sociali in deroga[37] nonché degli interventi previsti dai D.L. n. 78/2010 e 225/2010. Più in particolare, per il 2011 la previsione risente degli elementi emersi in sede di monitoraggio; del citato rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga e di una sostanziale stabilità su base annua della spesa per ammortizzatori sociali rispetto ai livelli medi del biennio 2009-2010, nell’ipotesi, comunque, di una riduzione del ricorso a tali istituti rispetto al 2010; di un contenimento, già programmato, della dinamica della spesa per liquidazioni di fine rapporto[38]; dell’economie derivanti dalla razionalizzazione dei procedimenti e dal potenziamento dei controlli e verifiche in materia di invalidità civile.

Per quanto riguarda il periodo 2012-2014, i tassi di variazione risentono delle specifiche basi tecniche riferite alle diverse tipologie di prestazioni e degli aspetti normativo-istituzionali che le caratterizzano. Si segnala che, a normativa vigente, non è previsto il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga a decorrere dal 2012.

La spesa sanitaria

I risultati 2010 e le previsioni per il 2011

 

Il DEF espone i dati relativi alla spesa sanitaria 2010 e formula le previsioni relative al 2011 e al triennio 2012-2014.

 

La spesa sanitaria nel conto della P.A.

(milioni di euro - %)

 

2008

2009

2010

2011

valore assoluto

108.468

110.435

113.457

114.836

var % su anno precedente

6,6

1,81

2,74

1,22

incidenza % su spesa corrente netto interessi

17,10

16,71

16,95

16,96

incidenza % su PIL

6,92

7,27

7,33

7,21

Fonte: DEF, sezione II, aprile 2011,

 

 

 

Sulla base dei dati acquisiti al IV trimestre. nel 2010 la spesa è risultata pari a 113.457 milioni, con un incremento del 2,7 per cento rispetto all’anno precedente. A fronte di un aumento di 0,2 punti percentuali dell’incidenza sulla spesa al netto degli interessi, si conferma il peso in quota PIL al 7,3 per cento.

 

Il livello della spesa registrato a consuntivo è inferiore di oltre 1.500 milioni a quello indicato dalla Decisione di finanza pubblica, pari a 114.962 milioni. Il documento in esame non spiega le motivazioni di tale differenza nelle stime.

 

Tabella 2.11

Spesa sanitaria: risultato 2010 e previsioni 2011                                                                         (var %)

 

2009

2010

2011

Beni e servizi da produttori non market,

di cui

0,8

n.d..

n.d..

Redditi da lavoro dipendente

-2,4

4

-0,7

Consumi intermedi

+5,4

3,7

3,9

Beni e servizi da produttori market

3,7

1,1

1,3

Farmaci

-1,9

-0,6

1,2

medicina di base

+14,8

1,7

-4,1

altre prestazioni (ospedaliera , specialistica, riabilitative, integrative, altra assistenza)

+3,5

1,7

2,9

Altre componenti di spesa

 

1,3

 

 

 

 

 

Fonte: DEF, aprile 2011

 

Analizzando le componenti sottostanti la dinamica della spesa (v. Tabella 2.11), si rileva che sulla spesa per prestazioni relative a produttori non market (assistenza ospedaliera e altri servizi sanitari offerti direttamente dagli operatori pubblici), incidono gli oneri (comprensivi degli arretrati per 500 milioni) per i rinnovi contrattuali relativi al biennio 2008-2009 e l’erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale per il 2010, che hanno portato ad un aumento del 4 per cento dei redditi per lavoro dipendente.

Nel Documento si specifica che sul 2009 pesano i rinnovi contrattuali del personale non dirigente relativi al biennio 2008-2009, comprensivi di arretrati per 115 milioni. Al netto degli arretrati in entrambi gli anni, nel 2010 i redditi di lavoro dipendente crescono del 2,9 per cento. Su tale evoluzione, in linea con i trend attesi, incidono favorevolmente gli effetti di contenimento della spesa conseguenti all’obbligo per le regioni di garantire con appositi accantonamenti la copertura integrale degli oneri derivanti dai rinnovi contrattuali. Ciò ha comportato una maggiore congruità nella valutazione dei relativi costi e, come rilevato dal DEF, una riduzione delle sopravvenienze passive di rilevante entità negli esercizi finanziari successivi a quello della sottoscrizione del contratto.

Aumentano, inoltre, del 3,7 per cento i consumi intermedi: tale dinamica riflette, da un lato, la conferma della scelta di molte regioni di ricorrere alla distribuzione diretta dei farmaci ai fini di un controllo complessivo della spesa, dall’altro, gli effetti di contenimento della spesa farmaceutica ospedaliera (per 300 milioni nel 2010 e 600 milioni annui a regime) conseguente alle misure adottate con il DL 78/2010[39].

 

Per quanto riguarda la spesa dei produttori market, sul risultato (+1,1 per cento rispetto all’esercizio precedente) incide, oltre alla riduzione della farmaceutica (-0,6 per cento) su cui opera il meccanismo del pay back, la dinamica dell’assistenza medico-generica (+1,7 per cento): tale variazione sconta la contabilizzazione nel 2010 degli oneri per arretrati (400 milioni) per il rinnovo delle convenzioni con i medici di base relative al biennio 2008-2009: considerato che sul 2009 pesavano gli arretrati relativi agli anni 2006, 2007 e 2008, la crescita (al netto di tale componente di spesa in entrambi gli anni) risulta pari nel 2010 al 4,9 per cento.

Le altre prestazioni (che comprendono la specialistica, l’ospedaliera convenzionata, la riabilitativa ed altra assistenza) crescono dell’1,7 per cento. A tale dinamica contenuta contribuisce la migliore regolazione, anche nelle regioni in disavanzo, dell’accreditamento degli operatori privati con l’assegnazione di tetti di spesa e l’attribuzione di budget: come ricordato nel documento, si tratta di misure determinanti per il contenimento della spesa sanitaria che rivestono un ruolo centrale nei piani di rientro di tali regioni.

Le altre componenti di spesa evidenziano, infine, un aumento dell’1,3 per cento.

 

Con riferimento al 2011, come precisato dal DEF, le previsioni sono elaborate sulla base del quadro macroeconomico aggiornato e dei dati ufficiali Istat concernenti il conto consolidato della Sanità 2008-2010 al IV trimestre. Esse scontano, inoltre, l’efficacia delle misure di contenimento della spesa adottate negli anni precedenti e i risparmi derivanti dall’attuazione dei Piani di rientro.

Per l’esercizio in corso è prevista una spesa pari a 114.836 milioni, con un aumento dell’1,2 per cento rispetto al precedente esercizio. Si riduce lievemente (1 decimo di punto) l’incidenza sul PIL.

All’interno della spesa dei produttori non market, il complesso dei redditi da lavoro dipendente si riduce dello 0,7 per cento. Al netto degli oneri per arretrati connessi con i rinnovi contrattuali contabilizzati nel 2010, la variazione è positiva e pari a 0,7 per cento.

Tale variazione sconta la previsione di crescita dell’occupazione dipendente dei servizi pubblici contenuta nel quadro macroeconomico 2011, nonché il riconoscimento della vacanza contrattuale e i risparmi di spesa (circa 246 milioni nel 2011 che aumentano a 628 milioni annui a decorrere dal 2012), derivanti dalla manovra sul personale previsti per il SSN dal DL 78/2010[40].

Per quanto riguarda i consumi intermedi, la prevista crescita del 3,9 per cento sconta, come si è detto, le misure di risparmio sulla farmaceutica ospedaliera (600 milioni annui) previsti dal DL 78/2010.

 

All’interno della spesa dei produttori non market, che aumenta complessivamente dell’1,3 per cento, la riduzione del 4,1 per cento della medicina di base riflette la contabilizzazione nel 2010 degli oneri per arretrati legati al rinnovo delle convenzioni: al netto di tali oneri, si registra una crescita dell’1,3 per cento.

L’assistenza farmaceutica cresce dell’1,2 per cento, in linea con il rispetto del tetto 13,3 per cento stabilito per la farmaceutica territoriale[41]

Le altre prestazioni in convenzione presentano una variazione positiva del 2,9 per cento. Il documento precisa che tale stima incorpora gli effetti economici dell’abolizione del ticket sulla specialistica.

Si ricorda che per il reintegro nel 2011 delle risorse destinate alla copertura dell’abolizione dei ticket risultano stanziate risorse pari a 347,5 milioni[42], corrispondenti a cinque dodicesimi dell’intero importo (stimato in 834 milioni).

La dinamica della spesa sanitaria 2011, così come quella degli esercizi successivi, sconta, come precisato dal documento, il pieno rispetto degli obiettivi previsti per le regioni soggette ai Piani di rientro.

 

La solidità della previsione di spesa sanitaria va, pertanto, valutata alla luce dell’andamento dei Piani nel 2010 come risultante dai Tavoli di verifica annuale.

 

 

Le previsioni per gli anni 2012-2014

 

La spesa sanitaria nel conto della P.A.                                    (milioni di euro - %)

 

2011

2012

2013

2014

valore assoluto

114.836

117.391

122.102

126.512

Var % su anno precedente

1,22

2,22

4,01

3,61

incidenza % su spesa corrente netto interessi

16,96

17,17

17,46

17,64

incidenza % su Pil

7,21

7,15

7,20

7,21

Fonte: DEF, sezione II, aprile 2011,

 

 

 

 

 

Nel periodo 2012-2014, la spesa sanitaria cresce ad un ritmo del 3,3 per cento medio annuo, in linea con il PIL nominale. Si stabilizza pertanto la sua incidenza sul prodotto al 7,2 per cento.

A fronte di un tasso di variazione più contenuto della spesa corrente al netto degli interessi (+1,9 per cento medio annuo nel triennio), l’incidenza su tale aggregato passa dal 17 per cento del 2011 al 17,6 per cento di fine periodo.

Come precisato dal documento, le previsioni (a legislazione vigente) scontano il quadro macroeconomico previsto per il periodo di riferimento, i risultati per il 2010 del conto della sanità, nonché l’efficacia nel biennio 2012-2013 - e l’effetto di trascinamento sul 2014 - delle misure di contenimento della spesa adottate negli anni precedenti. Sono inoltre scontati i risparmi attesi dai Piani di rientro.

A decorrere dal 2012, è atteso un contenimento della spesa per la specialistica a seguito dell’abolizione dei ticket, mentre la farmaceutica convenzionata presenta un’evoluzione coerente con il tetto del 13,3 per cento previsto per la territoriale. Viene infine precisato che la spesa relativa al 2014 comprende gli oneri per la corresponsione della vacanza contrattuale relativa al triennio 2013-2015.

 

Al riguardo, si osserva come determinante per l’evoluzione attesa sia la piena attuazione delle misure di contenimento e razionalizzazione della spesa contenute nei Piani di rientro e, più in generale, l’efficacia dei meccanismi di governance che caratterizzano, ormai da alcuni anni, tale settore. Tale percorso di efficientamento e di riduzione dei costi nella sanità appare particolarmente rilevante anche alla luce del contenimento della dinamica della spesa corrente primaria conseguente alla manovra prevista per il biennio 2013-2014 (quantificata in misura pari al 2,3 per cento del PIL).

 


 

2.3 Spesa per interessi, fabbisogno e debito

La spesa per interessi

Nelle nuove stime del Documento di economia e finanza 2011[43], la spesa per interessi delle amministrazioni pubbliche nel 2010 si cifra in 70.152  milioni, con una riduzione rispetto al dato del 2009 di 256 milioni.

Nel confronto con la stima contenuta nello schema della Decisione di finanza pubblica 2011-2013, risulta una riduzione di 1.917, imputabile in parte ad una revisione al ribasso del dato relativo al 2009 ed in parte ad un livello di fabbisogno inferiore a quello ipotizzato in sede di previsione.

Per gli anni dal 2011 al 2013 le stime odierne collocano la spesa per interessi su livelli costantemente maggiori rispetto alle previsioni di settembre 2010. In percentuale del PIL dal 2010 al 2013 la spesa per interessi aumenta di 0,9 punti percentuali, mentre nelle stime precedenti l’incremento era di 0,2 punti percentuali.

La maggiore dinamica degli interessi è da porsi in relazione principalmente con l’incremento dello stock di debito e con uno scenario dei tassi d’interesse meno favorevole di quello ipotizzato a settembre 2010.

Nel 2014, esercizio esterno al periodo di riferimento oggetto delle previsioni del settembre 2010, la spesa per interessi, continuerebbe ad aumentare, pur se a ritmo decrescente, raggiungendo, in termini di PIL, il 5,6 per cento.

 

Si segnala, in proposito, che, con decorrenza dal 13 aprile 2011, il Consiglio direttivo della BCE ha deliberato un incremento di 25 punti base del tasso minimo sulle operazioni di rifinanziamento principali, portandolo all’1,25 per cento[44].   

 

Come rilevato dal Documento in esame, fin dai primi mesi del 2010 si sono manifestate tensioni sui mercati dei titoli di Stato dei paesi dell’area dell’euro. Tali tensioni hanno assunto rilevanza crescente fino al maggio 2010, a seguito dell’acuirsi della crisi della Grecia che ha determinato l’estensione del fenomeno dell’ampliamento del differenziale di rendimento rispetto ai titoli di Stato tedeschi anche ad altri paesi dell’area. Nel corso dell’estate tali tensioni si sono momentaneamente attenuate per effetto delle azioni coordinate del FMI e delle Autorità europee, degli interventi operati dalla BCE in base al programma di acquisto dei titoli di Stato sul mercato secondario ed a seguito della pubblicazione, in luglio, dei positivi risultati degli stress test effettuati dal Comitato Europeo di Vigilanza del settore bancario in collaborazione con la Commissione Europea, la BCE e gli organismi di vigilanza bancari dei singoli Stati.

Nuove tensioni si sono riproposte alla fine di agosto a seguito delle criticità presentate da alcune banche irlandesi. Nel mese di settembre 2010 sono tornati ad aumentare gli spread  sui titoli di Stato irlandesi e portoghesi e, in misura meno accentuata, spagnoli ed italiani rispetto ai titoli tedeschi, a loro volta ai minimi dei rendimenti per effetto dell’elevata richiesta degli investitori.

La parte finale del 2010 ha presentato ancora tensioni sul debito sovrano di alcuni paesi dell’area euro e per Irlanda e Portogallo le agenzie di rating internazionali hanno ridotto sensibilmente il merito di credito. Tali interventi non hanno riguardato l’Italia i cui rating ed outlook sono stati confermati a più riprese.

Gli effetti dell’instabilità dei mercati finanziari, tuttavia, si sono riflessi sui differenziali di rendimento dei titoli a tasso fisso italiani rispetto alle omologhe obbligazioni tedesche. Per il BTP decennale lo spread è passato da 75 punti base a dicembre 2009 a 189 punti base a dicembre 2010.

Dall’inizio del 2011[45], tuttavia, il differenziale per il nostro Paese si sarebbe ridotto di 63 punti base, analogamente a quanto avvenuto per altri paesi dell’area euro. Le recenti tensioni sul debito pubblico del Portogallo, infatti, che hanno determinato la richiesta ufficiale di prestito all’Unione europea ed al FMI, non sembrano essersi estese ad altri Paesi dell’area.   

 

Rispetto all’inizio del 2010, a fine anno la curva dei rendimenti dei titoli di Stato italiani presentava un riposizionamento verso l’alto. In particolare, il rendimento è aumentato di 104 punti base per i BOT a dodici mesi, di 94 punti base per il BTP quinquennale e di 98 punti base per il BTP decennale, mentre il titolo trentennale ha segnato un incremento di 66 punti base.

 

 

Spesa per interessi: confronto tra le stime del Documento di economia e finanza 2011 e  le stime dello schema della Decisione di finanza pubblica 2011                                    (milioni di euro - % PIL)

 

 

2009

2010

2011

2012

2013

2014

 

 

 

 

 

 

 

Schema DFP 2011 - 2013

 

 

 

 

 

 

Spesa per interessi

71.288

72.069

75.670

80.151

83.780

 

Variazione assoluta

-9.873

781

3.601

4.481

3.272

 

Variazione percentuale

-12,2

1,1

5,0

5,9

4,5

 

in % del PIL

4,7

4,6

4,7

4,8

4,8

 

PIL

1.520.870

1.554.718

1.602.836

1.664.899

1.730.115

 

 

 

 

 

 

 

 

DEF 2011

 

 

 

 

 

 

Spesa per interessi

70.408

70.152

76.087

84.023

91.313

97.605

Variazione assoluta

-10.905

-256

5.935

7.936

7.290

6.292

Variazione percentuale

-13,4

-0,4

8,5

10,4

8,7

6,9

in % del PIL

4,6

4,5

4,8

5,1

5,4

5,6

PIL

1.519.702

 1.548.816

 1.593.314

 1.642.432

 1.696.995

 1.755.013

1.548.816

1.593.314

1.642.432

1.696.995

1.755.013

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: Elaborazioni su dati MEF

 

 

Il fabbisogno del settore pubblico

 

Il Documento di economia e finanza presenta, per gli anni dal 2009 al 2014, il conto consolidato di cassa del settore pubblico.

 

Tale comparto rappresenta in termini soggettivi un universo quasi coincidente con quello delle amministrazioni pubbliche contenute nell’elenco (lista S13) elaborato dall’ISTAT per la costruzione del conto economico della pubblica amministrazione secondo le regole contabili europee.

I dati, nello schema in esame, ai sensi di quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 10 della legge n. 196 del 2009, sono aggregati secondo i sottosettori dell’amministrazione centrale, locale e degli enti di previdenza[46].

 

Nel 2010 il fabbisogno del settore pubblico si è attestato a 67.727 milioni, pari al 4,4 per cento del PIL, con una riduzione, rispetto al 2009, di 21.279 milioni. Si è registrato un avanzo primario di 4.040 milioni a fronte di un disavanzo primario di 14.980 milioni registrato nel 2009.

Alla riduzione del fabbisogno hanno concorso la riduzione delle spese sia in conto capitale (-7.863 milioni) che di parte corrente (-910 milioni), nonché l’incremento delle entrate di parte corrente, il cui aumento, pari  a 8.436 milioni, ha compensato la riduzione delle entrate in conto capitale (-2.076 milioni).

 

L’incremento delle entrate correnti è ascrivibile alle entrate tributarie ed, in particolare, alle imposte indirette, sul cui gettito hanno inciso le misure di contrasto al fenomeno di indebita compensazione dei crediti IVA, introdotte dall’articolo 10 della legge n. 102 del 2009.

Si ricorda che, nel 2009, le entrate tributarie avevano risentito dell’effetto, in termini di imposte sostitutive, di alcune misure di carattere straordinario, quali la regolarizzazione ed il rimpatrio delle attività finanziarie detenute all’estero ed il riallineamento dei valori contabili.

 

Al miglioramento del fabbisogno nel 2010 ha concorso anche la riduzione del disavanzo delle partite finanziarie, passato da 9.770 milioni nel 2009 a 3.630 milioni nel 2010. Sul dato 2009 hanno inciso alcune operazioni di carattere straordinario, tra le quali, la sottoscrizione di emissioni a sostegno del sistema bancario, per un ammontare di 4.050 milioni. Sul dato 2010 incide, peraltro, l’erogazione di quote del prestito in favore della Grecia previste dal programma triennale di sostegno, che nel corso dell’anno nno dato luogo ad esborsi per 3.990 milioni.

Rispetto alle stime contenute nello schema di Decisione di finanza pubblica pubblicato in settembre, il fabbisogno 2010 presenta una riduzione di 16.782 milioni in larga parte ascrivibile alle stime dei pagamenti, sia di parte corrente (-11.462 milioni), che di conto capitale ( - 6.857 milioni). Il più contenuto disavanzo delle partite finanziarie – pari a 3.630 milioni a fronte degli 8.926 stimati a settembre - è da porsi in relazione anche con lo slittamento dal 2010 al 2011 di una quota delle erogazioni programmate in favore della Grecia, per un ammontare di 1.224 milioni.  

       

Fabbisogno del settore pubblico per sottosettori                                                            (milioni di euro)

 

2009

2010

2011

2012

2013

2014

 

 

 

 

 

 

 

Amministrazioni centrali

 

 

 

 

 

 

Fabbisogno

-85.449

-66.975

-64.934

-45.970

-38.347

-38.133

in % del PIL

-5,6

-4,3

-4,1

-2,8

-2,3

-2,2

Amministrazioni locali

 

 

 

 

 

 

Fabbisogno

-3.557

-751

-2.228

-1.338

-583

-252

in % del PIL

-0.2

-0,1

-0,1

-0,1

0,0

0,0

Enti di previdenza

 

 

 

 

 

 

Fabbisogno

0

0

0

0

0

0

in % del PIL

0,0

0,0

0,0

0,0

0,0

0,0

Fabbisogno settore pubblico

 

 

 

 

 

 

Fabbisogno

-89.006

-67.726

-67.162

-47.308

-38.930

-38.385

in % del PIL

-5,9

-4,4

-4,2

-2,9

-2,3

-2,2

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: Elaborazione  su dati MEF

 

Negli anni dal 2011 al 2014 è stimato nel Documento in esame un fabbisogno del settore pubblico in costante riduzione fino a raggiungere, nel 2014, il livello di 38.385 milioni di euro, pari al 2,2 per cento in termini di PIL. Il saldo primario, costantemente positivo nel periodo, passa da 10.035 milioni nel 2011 a 58.034 milioni nel 2014.

La spesa per interessi sale da 77.197 milioni di euro nel 2011 a 96.420 milioni di euro nel 2014, con un incremento complessivo del 24,5 per cento.

 

Le stime per il periodo considerato scontano gli effetti delle misure adottate in ambito europeo in materia di stabilizzazione finanziaria: in particolare, il rispetto del piano triennale di sostegno finanziario alla Grecia, nonché  la quota di pertinenza italiana delle emissioni effettuate a tutto il 31 marzo 2011 dall’ European Financial Stability Facility (EFSF)[47].

Le nuove stime non sembrano considerare, pertanto, gli effetti per l’Italia dell’accoglimento della richiesta ufficiale di prestito avanzata all’Unione europea dal Portogallo l’8 aprile 2011 ed immediatamente accolta dai Ministri finanziari dei Paesi UE. Non considerano altresì, come espressamente precisato nel Documento stesso, i versamenti di pertinenza italiana al capitale del meccanismo europeo di stabilità (ESM), finalizzato alla salvaguardia della stabilità finanziaria dell’area euro (cfr. infra).

Le previsioni per il periodo 2011-2014, con riferimento alle Amministrazioni locali, non considerano, inoltre, gli effetti derivanti dall’attuazione del federalismo fiscale[48] ed ipotizzano il pieno rispetto del patto di stabilità interno previsto dalla legge n. 220 del 2010[49] per il periodo 2012-2013. In particolare, per il 2014, le stime ipotizzano la prosecuzione della disciplina in vigore per il biennio precedente.

     

Con riferimento in particolare all’anno in corso, il fabbisogno del settore pubblico è stimato in 67.162 milioni, pari al 4,2 per cento del PIL, con una riduzione di circa 600 milioni rispetto al 2010. L’avanzo primario aumenta da 4040 a 10.035 milioni.

Rispetto alle previsioni del settembre 2010, la stima di fabbisogno peggiora di circa 2.662 milioni, risentendo del nuovo quadro macroeconomico, nonché di fattori di carattere normativo e amministrativo. 

In particolare, con riguardo agli incassi in conto capitale, le nuove stime scontano i proventi derivanti dall’assegnazione dei diritti d’uso delle frequenze radioelettriche da destinare ai servizi di comunicazione in banda larga[50].

Dal lato dei pagamenti le nuove stime includono, rispetto alle precedenti, 1.000 milioni di maggiori trasferimenti alle imprese connessi agli effetti pregressi della deducibilità del 10 per cento dell’IRAP dal reddito d’impresa; il menzionato slittamento al 2011 di una quota del prestito alla Grecia in precedenza programmata per il 2010; maggiori pagamenti alle regioni per un ammontare di 1.400 milioni derivanti dallo slittamento dal 2010 delle anticipazioni da parte dello Stato destinate a finanziare le regioni interessate dai piani di rientro dai disavanzi sanitari. 

 

Se si confrontano, nel periodo 2009-2014, le stime del fabbisogno del settore pubblico con quelle dell’indebitamento netto si constata che negli  anni 2009, 2011 e 2012 il fabbisogno presenta valori superiori all’indebitamento. Negli altri anni invece l’indebitamento risulta superiore alle stime del fabbisogno, per ammontari anche cospicui negli ultimi due anni del periodo considerato. Tale andamento è solo in parte spiegato dai valori assunti dal disavanzo delle partite finanziarie, non contabilizzate ai fini dell’indebitamento.

 

 

Fabbisogno del settore pubblico ed indebitamento netto                                              (milioni di euro)

 

2009

2010

2011

2012

2013

2014

 

 

 

 

 

 

 

A.Fabbisogno s. pubblico

-89.006

-67.726

-67.162

-47.308

-38.930

-38.385

in % del PIL

-5,9

-4,4

-4,2

-2,9

-2,3

-2,2

di cui

 

 

 

 

 

 

Saldo partite finanziarie

-9.776

-3.630

-7.034

-4.383

-1.529

-617

B.Indebitamento netto

-81.741

-71.211

-61.919

-44.860

-45.758

-45.889

in % del PIL

-5,4

-4,6

-3,9

-2,8

-2,7

-2,6

C.Differenza (A-B)

-7.265

3.485

-5.243

-2.448

6.828

7.504

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: Elaborazione su dati MEF

 

L’analisi della dinamica del fabbisogno per sottosettori evidenzia nel 2011, rispetto al 2010, una crescita del fabbisogno delle Amministrazioni locali, a fronte di una contrazione del fabbisogno del comparto delle Amministrazioni centrali.  Dal 2012 entrambi i saldi si riducono, ma la dinamica riduttiva del fabbisogno delle Amministrazioni locali appare più marcata negli ultimi due anni del periodo di riferimento.

 

Il debito pubblico

In base ai dati recentemente pubblicati dalla Banca d’Italia[51] la consistenza del debito delle amministrazioni pubbliche a fine 2010 è stata pari a 1.843.015 milioni di euro con un incremento di 79.151 milioni di euro rispetto allo stock registrato a fine 2009. La variazione del debito è ascrivibile, oltre che al fabbisogno delle amministrazioni pubbliche, pari a 67.013 milioni, all’incremento delle attività del Tesoro presso la Banca d’Italia, pari a 11.518 milioni di euro. Solo marginalmente hanno influito sull’incremento dello stock di debito gli scarti di emissione (363 milioni) ed il controvalore in euro delle passività in valuta (257 milioni).

 

La Banca d’Italia osserva che l’elevato livello delle disponibilità del Tesoro, pari a 43.249 milioni a fine 2010, a fronte di 31.731 milioni a fine 2009, assicura ampi margini di manovra rispetto alla necessità di rifinanziamento: costituisce, infatti, insieme con il progressivo allungamento della vita residua del debito, uno strumento di gestione che riflette una prudente politica del debito, in un contesto caratterizzato da ampi margini di volatilità ed incertezza.    

 

Con riguardo al debito delle amministrazioni pubbliche , il documento in esame fornisce, nella Sezione I riguardante il Programma di stabilità, il profilo del rapporto debito/PIL per il periodo 2009-2014 nello scenario tendenziale ed in quello programmatico. In riferimento a quest’ultimo, i dati sono forniti rispettivamente al netto ed al lordo degli effetti delle misure di sostegno adottate nell’area euro ai fini della stabilizzazione finanziaria.

 

Debito delle Amministrazioni pubbliche in rapporto al PIL: quadro tendenziale e programmatico                                                                                                                                                               (% PIL)

 

2009

2010

2011

2012

2013

2014

 

 

 

 

 

 

 

Quadro tendenziale

 

 

 

 

 

 

Debito/PIL

116,1

119,0

120,0

119,4

118,1

116,3

 

 

 

 

 

 

 

Quadro programmatico

 

 

 

 

 

 

Debito/PIL netto misure sostegno

116,1

118,8

119,3

118,5

116,1

112,3

Impatto misure sostegno

 

0,3

0,7

0,9

0,8

0,6

Debito/PIL lordo misure sostegno

116,1

119,0

120,0

119,4

116,9

112,8

Variazione

9,8

2,9

1,0

-0,6

-2,5

-4,1

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: MEF

 

Tali effetti riguardano il contributo italiano al programma triennale di sostegno alla Grecia in base alle condizioni fissate l’8 maggio 2010 e la quota di competenza dell’Italia  delle emissioni effettuate dal veicolo EFSF fino al 31 marzo 2011. Non comprendono le eventuali emissione di debito del veicolo EFSF successive a tale data e le contribuzioni al capitale del nuovo meccanismo europeo di stabilità (ESM), che dovrebbero essere previste a partire dal giugno 2013.

Con particolare riguardo alle condizioni previste dal piano triennale di sostegno alla Grecia, si precisa che le stime del rapporto debito/PIL per il periodo di previsione tengono conto anche dei ripagamenti secondo le scadenze previste dall’accordo originario.

 

 

Debito delle Amministrazioni pubbliche in rapporto al PIL: confronto tra Aggiornamento 2009 del Programma di stabilità, Schema della Decisione di finanza pubblica 2011-2013 e Documento di economia e finanza 2011                                                                                                                 (% PIL)

 

2009

2010

2011

2012

2013

2014

 

 

 

 

 

 

 

Agg. 2009 Programma  di

 

 

 

 

 

 

stabilità

 

 

 

 

 

 

Rapporto debito/PIL

115,1

116,9

116,5

114,6

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Schema DFP 2011-2013

 

 

 

 

 

 

Rapporto debito/PIL

115,9

118,5

119,2

117,5

115,2

 

 

 

 

 

 

 

 

DEF 2011

 

 

 

 

 

 

Rapporto debito/PIL

116,1

119,0

120,0

119,4

116,9

112,8

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: MEF

 

Nel confronto con le previsioni contenute nell’Aggiornamento 2009 e nella Decisione di finanza pubblica 2011-2013, per il periodo temporale di coincidenza delle stime, le nuove previsioni mostrano un profilo costantemente superiore del rapporto.

 

Per il 2009 la differenza è dovuta, rispetto alla stima dell’Aggiornamento 2009, ad una revisione al ribasso della stima del PIL effettuata dall’ISTAT nel marzo 2010 per circa 0,8 punti percentuali.

Per il 2010 la differenza rispetto alla precedente stima è determinata dal maggior livello dello stock di debito e da una revisione al ribasso delle stime del PIL nominale di circa 1,8 punti percentuali. Il maggior livello dello stock di debito è la conseguenza di una revisione al rialzo delle stime di fabbisogno, rivelatosi poi ampiamente al di sotto delle previsioni. Il ritmo di emissioni più accentuato ha dato luogo, come si è detto, ad un rilevante accumulo di disponibilità del Tesoro presso la Banca d’Italia.

Negli anni 2011 e 2012 il differenziale è dovuto sia ai maggiori livelli di debito raggiunti negli anni precedenti sia alla revisione al ribasso della crescita in termini nominali. Si segnala, inoltre che, per il 2011, le stime odierne tengono conto del rimborso, per un ammontare di 1.450 milioni di euro, dei titoli emessi ai sensi dell’articolo 12 del decreto legge n. 185 del 2008 (legge n. 2 del 2009), effettuato dal Banco popolare nei primi mesi dell’anno.

 

Per gli anni successivi al 2012 si determina una progressiva riduzione del rapporto in relazione ad una sensibile riduzione del fabbisogno che compenserebbe una dinamica più moderata del ciclo economico rispetto a quella scontata nelle precedenti stime.     

 

 

Nell’ottica dell’attuale contesto di revisione delle regole della governance europea, che pone in rilievo anche la valutazione degli squilibri macroeconomici dei singoli Paesi membri nonché una maggiore attenzione ad “altri fattori rilevanti” derivanti dal settore privato ai fini dell’analisi della sostenibilità del debito pubblico, il documento in esame elabora alcune analisi volte ad evidenziare la posizione dell’Italia con riguardo al debito privato, nonché alle passività potenziali per la PA derivati dal settore bancario.

In particolare, il documento aggiorna al 2009 l’analisi delle componenti del debito privato dei principali Paesi europei (EU-15 con esclusione del Lussemburgo) in rapporto al PIL. Tali componenti riguardano il debito delle famiglie, delle imprese non finanziarie  e delle imprese finanziarie.

Sulla base di tali parametri, l’Italia presenta posizioni notevolmente inferiori alla media riferita alla totalità dei Paesi considerati.

 

Con riferimento al debito delle famiglie l’Italia presenta un rapporto pari al 44,4 per cento a fronte di una media dell’87,3 per cento. Con riguardo al debito delle imprese non finanziarie presenta un valore del rapporto pari all’83,8 per cento, a fronte di una media del 124,8, mentre con riguardo al debito delle imprese finanziarie il livello di debito si colloca al 103,1 per cento, a fronte di una media del 231 per cento.    

 

Con riguardo all’analisi delle passività potenziali per la PA derivanti dal settore bancario, il documento fornisce, in particolare, un’analisi degli interventi adottati dai Paesi UE nel triennio 2007-2009 a sostegno delle istituzioni finanziarie. Complessivamente, nei Paesi UE-27 il valore delle passività sostenute è stato pari al 2 per cento del PIL nel 2008 ed al 3 per cento nel 2009. Nell’Area euro il valore delle passività finanziarie a seguito degli interventi è stato dell’1,9 per cento del PIL nel 2008 e del 2,4 per cento nel 2009.

 

I riflessi più rilevanti sul debito pubblico derivanti nel 2009 dagli interventi a sostegno delle istituzioni finanziarie si registrano per il Regno Unito (125 miliardi), la Germania (96 miliardi) e l’Olanda (57 miliardi). Nel 2009 l’Italia ha registrato interventi per 4 miliardi circa (cosiddetti “Tremonti Bond”) corrispondenti a 0,3 punti di PIL.

Nel complesso, sempre nel 2009, i più alti livelli di passività potenziali in rapporto al PIL si osservano in Irlanda (176 per cento), nel Regno Unito (18 per cento), nei Paesi Bassi (14 per cento) ed in Belgio (18,3 per cento).

Con riguardo alla struttura del valore delle passività potenziali derivanti dagli interventi dei governi si rileva che circa l’80 per cento del valore è attribuibile alle garanzie concesse sulle passività delle istituzioni finanziarie.

 

Il documento segnala, infine, come il sistema bancario italiano sia meno esposto ai rischi di contagio in situazioni di crisi degli intermediari bancari in relazione sia alla bassa incidenza della raccolta interbancaria sulla raccolta complessiva, sia ad una relativamente contenuta propensione delle banche italiane ad attività di trading in strumenti fortemente volatili su mercati finanziari poco liquidi, sia per la loro contenuta esposizione verso i paesi a maggior rischio.

 

Si segnala infine che il Documento non contiene la disaggregazione delle previsioni relative all'andamento del debito della PA nei sottosettori istituzionali (AC, AL, EP), come già previsto dalla legge n. 196 del 2009 e confermato nell'articolo 10 della stessa legge (comma 3, lettera b)), novellato dalla legge n. 39 del 2011.

 

 

 


 

Approfondimento

3. Regole di bilancio nazionali

 

Nel Consiglio Europeo del 24-25 marzo scorso, gli Stati membri hanno approvato il Patto Euro-Plus, caratterizzato da una serie di interventi finalizzati a realizzare un coordinamento più stretto tra le politiche economiche nazionali. La sostenibilità delle finanze pubbliche è uno dei settori compresi nel Patto, in relazione al quale gli Stati si sono impegnati a recepire nella legislazione interna le regole di bilancio UE.

Il Consiglio Europeo del 24-25 marzo scorso ribadisce l'impegno degli stati membri a recepire nella legislazione nazionale le regole fiscali europee. Ciascuno Stato ha facoltà di scegliere la forma della regola e lo specifico strumento giuridico nazionale cui ricorrere. La Commissione avrà inoltre la possibilità di essere consultata in merito, nel rispetto delle prerogative dei parlamenti nazionali, prima dell'adozione definitiva della regola da parte di ciascuno Stato.

L'Italia conferma il suo impegno in tal senso nella Decisione di Economia e Finanza[52] dove, viene annunciata la presentazione di un apposito disegno di legge costituzionale che inserisca nell’ordinamento interno un vincolo alla disciplina di bilancio conforme alle regole fissate in sede europea.

 

Si ricorda che, a partire dal Trattato di Maastricht, gli Stati membri dell'UE si sono impegnati ad osservare le regole di bilancio stabilite nei trattati sovranazionali. In particolare:

·       il Trattato istitutivo dell'Unione Europea (1992) prevede per i paesi aderenti all'Unione Europea il rispetto di due regole quantitative, rappresentate dal limite del 3 per cento per il rapporto deficit/PIL e del 60 per cento per quello debito/PIL.

·       Il Patto di Stabilità e Crescita (PSC, 1997) integra queste regole, prevedendo che ciascuno stato membro si impegni a raggiungere l'obiettivo di medio periodo (OMT, per l’Italia il pareggio di bilancio). Qualora uno stato non abbia raggiunto il proprio OMT (o lo avesse temporaneamente sforato), si impegna a realizzare una procedura di convergenza caratterizzata da un miglioramento annuale del saldo almeno pari a 0,5 per cento del PIL.

·       Con la riforma del PSC del 2005[53], la regola quantitativa relativa al rapporto deficit/PIL e all’obiettivo di medio termine viene riferita al saldo strutturale[54].

 

A seguito degli avvenimenti che hanno investito l’economia mondiale nel 2009 e nel 2010, sono state presentate dalla Commissione europea alcune proposte di modifica del PSC[55] attualmente al vaglio degli organi comunitari, finalizzate a rafforzare la sostenibilità delle finanze pubbliche. In particolare:

·       definire una regola di bilancio prudente attraverso l'individuazione di una regola di evoluzione della spesa. Questa prevederebbe che, per i paesi che hanno già raggiunto l’OMT, la crescita annuale della spesa non dovrebbe essere superiore ad un tasso di crescita del PIL a medio termine definito come “prudente”[56]. Per i paesi che non hanno raggiunto l’OMT, il tasso di crescita della spesa dovrebbe essere inferiore al tasso prudente di crescita del PIL a medio termine. Dinamica della spesa superiore a tali parametri dovrebbe essere coperta attraverso misure discrezionali sul lato delle entrate.

·       definire parametri quantitativi precisi per la riduzione dello stock del debito. Si tratterebbe di definire una regola numerica che quantifichi il principio di riduzione adeguata verso la soglia di riferimento del 60 per cento. Il Consiglio Europeo del 15 marzo 2011 ha avallato la proposta della Commissione europea che prevedeva l'introduzione di una regola dell'1/20 per la quota di debito in eccesso rispetto alla soglia di allerta del 60 per cento del PIL[57]. In caso di mancato rispetto, prima di prendere una decisione in merito all'apertura di una procedura per disavanzi eccessivi, si terrà conto di una serie di fattori rilevanti nella valutazione dell'andamento del debito, come il tasso di crescita nominale, la struttura del debito, l'indebitamento del settore privato e le passività implicite connesse all'invecchiamento della popolazione.

 

Il DEF sottolinea come, per rispettare le disposizioni europee, l'Italia si sia dotata di alcune regole di controllo dei conti che riguardano le Amministrazioni Locali; vengono menzionati, in particolare, il Patto di Stabilità Interno (PSI) e il Patto per la Salute. Il DEF ricorda, inoltre, che l'articolo 119 della Costituzione reca la cd. golden rule per le amministrazioni locali, permettendo loro di ricorrere all'indebitamento soltanto per far fronte alle spese in conto capitale.

 

Il Patto di Stabilità Interno (PSI) è lo strumento attraverso il quale lo Stato assegna a ciascun ente locale un obiettivo in termini di saldo al fine di raggiungere gli obiettivi di finanza pubblica fissati a livello di intera PA. In particolare, il PSI attualmente in vigore[58] prevede una regola a carattere generale secondo la quale, a decorrere dal 2011, l'obiettivo strutturale delle province e dei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti consiste nel conseguimento di un saldo finanziario espresso in termini di competenza mista pari a zero. Tuttavia – come anche chiarito dalla circolare n. 11/2011 del Ministero dell'Economia e delle Finanze - la regola generale non si applica quando, per esigenze di finanza pubblica, è richiesto un contributo specifico al comparto enti locali. È questo il caso del triennio 2011-2013, per il quale la Legge di Stabilità prevede una regola specifica, che individua l'obiettivo di ciascun ente (comune con una popolazione superiore a 5.000 abitanti o provincia) nel conseguimento di un saldo non inferiore alla propria spesa corrente registrata in media nel triennio 2006-2008.

 

Il Patto per la Salute è lo strumento utilizzato per la programmazione della spesa sanitaria, posta esclusa dalla disciplina del PSI sin dal 2001. Il Patto per la Salute è un accordo finanziario e programmatico tra il Governo e le Regioni che definisce l'ammontare delle risorse da destinare al Servizio Sanitario Nazionale. Con l'approvazione del decreto legislativo per l’attuazione del federalismo regionale (AG n. 317), a decorrere dal 2013, la determinazione delle risorse destinate al settore sanitario sarà il risultato di una intesa tra Ministro della Salute, Ministro dell'Economia e Conferenza Stato-Regioni effettuata nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall’Italia in sede comunitaria. L'ammontare delle risorse viene determinato seguendo la procedura stabilita nel decreto, coerentemente con il fabbisogno derivante dalla individuazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA). Le risorse vengono successivamente assegnate alle regioni in modo da coprire il fabbisogno relativo ai LEA, mentre le prestazioni eccedenti devono trovare copertura tra le entrate proprie delle regioni.

 

Il PSI fino ad oggi ha rappresentato un vincolo sul singolo ente non esplicitamente legato alle decisioni aggregate presentate nei documenti di programmazione.

L'evoluzione del PSI in termini di regola generale sul pareggio del saldo finanziario, disposta nella legge di Stabilità 2011, sembrerebbe introdurre un elemento di coerenza tra la regola sul saldo per il singolo ente e la regola aggregata per la PA, articolata nei relativi sottosettori. A proposito di tale regola generale, la norma fa riferimento ad un "obiettivo strutturale" per gli enti locali. Sarebbe opportuno specificare se il termine strutturale debba essere inteso nel senso di un saldo che tenga conto degli effetti del ciclo.


 

Approfondimento

4. Le misure una tantum

 

Il Documento presenta il quadro delle misure una tantum che hanno inciso sul saldo dell’indebitamento netto nel periodo 2008-2010 e le corrispondenti previsioni per il periodo 2011-2014, nonché una disaggregazione delle misure una tantum per livelli di governo (amministrazioni centrali, locali e previdenziali).

Con riferimento a tale disaggregazione si rileva che essa è riferita unicamente al dato complessivo delle misure considerate, non viene invece fornitoli dettaglio delle singole voci ed in particolare di quella relativa alle dismissioni immobiliari[59].

La tavola ricognitiva delle misure una tantum non risulta corredata di una specifica analisi di commento, peraltro alcune informazioni sono comunque rinvenibili nell’ambito delle diverse sezioni del documento.

Rispetto all’ultima analisi contenuta nella Decisione di finanza pubblica dell’ottobre 2010[60], l’incidenza sul PIL delle predette misure risulta ora più elevata di un decimo di punto percentuale per i seguenti esercizi:

- l’esercizio 2009, per il quale i dati definitivi evidenziano – oltre ad un valore più basso del PIL, posto al denominatore del rapporto, comune all’intera serie di esercizi a decorrere dal 2009 - un ammontare maggiore di dismissioni immobiliari rispetto ai dati precedentemente disponibili;

- l’esercizio 2010, per il quale i risultati conseguiti evidenziano alcuni rilevanti scostamenti rispetto alle previsioni da ultimo formulate;

- gli esercizi di previsione 2011 e 2012, per i quali le previsioni precedentemente operate sono state riviste per tenere conto sia di provvedimenti legislativi sopravvenuti, sia di informazioni più aggiornate sugli andamenti delle singole voci considerate.

 

Le misure una tantum

La Nota metodologica sui criteri di formulazione delle previsioni tendenziali richiama la metodologia stabilita in sede europea per l’individuazione delle misure una tantum.

La normativa comunitaria non individua precisi criteri di definizione in base ai quali catalogare con certezza le diverse misure di spesa o di entrata. Il Codice di condotta[61], si limita a definire come una tantum e temporanee quelle misure che hanno un impatto transitorio sui saldi di bilancio e che non apportano variazioni significative all’evoluzione di lungo periodo della finanza pubblica.

A fini esemplificativi il Codice di condotta include tra le una tantum la vendita di beni patrimoniali non finanziari, gli incassi derivanti da aste di vendita di licenze di proprietà pubblica, i condoni fiscali, gli incassi derivanti dal trasferimento di obblighi pensionistici e le spese di emergenza di breve periodo connesse a disastri naturali.

Un’analisi di maggior dettaglio è fornita da altre pubblicazioni della Commissione europea[62] che, oltre a sottolineare l’esigenza che le misure in questione abbiano carattere non ricorrente, integrano la lista aperta del Codice di condotta con altre voci, aventi parimenti carattere meramente indicativo.

Tali voci includono, tra l’altro, le modifiche legislative di carattere temporaneo aventi effetti sulla tempistica degli incassi e dei pagamenti con effetti positivi sul bilancio, le modifiche di aliquote fiscali chiaramente annunciate come temporanee, gli effetti conseguenti a sentenze della Corte di giustizia europea, o a decisioni di altre istituzioni, sia nel caso che queste comportino incassi (come i rimborsi al governo di sussidi, a seguito di decisioni della Commissione), sia nel caso che ne derivino pagamenti (come i rimborsi di imposte dichiarate illegittime); le operazioni di cartolarizzazione con effetti positivi sul bilancio, le spese di breve periodo a carattere emergenziale connesse con grandi eventi eccezionali (come le azioni militari). Viene in particolare sottolineata la necessità di una particolare cautela nell’includere tra le misure una tantum quelle aventi effetti peggiorativi sul deficit, al fine di evitare qualsiasi incentivo per gli Stati membri ad adottare, nell’ambito della legislazione di spesa, misure di carattere temporanee escluse nel calcolo dei saldi strutturali.

 

Misure una tantum                                                                                                                (milioni di euro)

 

Consuntivo

Previsioni

 

2008

2009

2010

2011

2012

2013

2014

 

 

 

 

 

 

 

 

Totale One-Offs

3.192

10.017

3.451

1.758

827

655

850

 In % del Pil

0,2

0,7

0,2

0,1

0,1

0,0

0,0

 

 

 

 

 

 

 

 

- a ) Entrate

2.083

12.856

4.097

388

377

15

0

 In % del Pil

0,1

0,7

0,3

0,0

0,0

0,0

0,0

 

 

 

 

 

 

 

 

Imposte sostitutive varie

1.991

7.284

3.382

358

357

5

0

Rientro dei capitali

0

5.013

656

0

0

0

0

Condono edilizio

92

65

59

30

20

10

0

Contributo U.E. per sisma Abruzzo

0

494

0

0

0

0

0

 

 

 

 

 

 

 

 

- b) Spese

-281

-4.059

-1.712

170

-900

-360

0

 In % del Pil

0,0

-0,3

-0,1

0,0

-0,1

0,0

0,0

 

 

 

 

 

 

 

 

- IVA auto aziendali

-201

-243

-77

-40

0

0

0

- Bonus incapienti DL 185/'08

0

-1.522

0

0

0

0

0

- Dividendi in uscita

 

-405

-176

-200

-100

-60

0

- Riacquisto immobili e danno SCIP2

-80

-938

0

0

0

0

0

- Terremoto dell'Abruzzo

 

-951

-1.459

-1.750

-800

-300

-50

- Asta frequenze

 

 

 

2.400

0

0

0

 - Compensazioni emittenti

 

 

 

-240

0

0

0

 

 

 

 

 

 

 

 

- c ) Dismissioni immobiliari

1.390

1.219

1.066

1.200

1.350

1.000

900

 In % del Pil

0,1

0,1

0,1

0,1

0,1

0,1

0,1

 

 

 

 

 

 

 

 

Ripartizione per Sottosettori

 

 

 

 

 

 

 

 - Amministrazioni Centrali

1.919

9.821

2.161

638

323

145

150

 - Amministrazione Locali

1.202

1.019

1.230

670

550

550

450

 - Enti di previdenza

72

-823

60

450

600

250

250

 

 

 

 

 

 

 

 

Pil (x 1.000)

1.567,8

1.519,7

1.548,8

1.593,3

1.642,4

1.697,0

1.755,0

Fonte: DEF 2011-2014: La tavola riproduce i dati della tabella n. II:2-9 riportata a pag 44 del DEF.

 

Si segnala che nella tabella si riscontrano alcune discrasie tra gli addendi e i totali, presumibilmente riferibili agli arrotondamenti. Si segnala in particolare che la percentuale sul PIL (0,7) indicata con riferimento alle entrate una tantum per l’esercizio 2009 non coincide con quella (0,8) ricavabile dal rapporto tra i corrispondenti valori assoluti riportati nella tabella. Sulla correttezza della percentuale indicata in tabella e sull’imputabilità di tale apparente discrepanza al fattore degli arrotondamenti appare necessaria una conferma.

 

Rinviando ai dossier relativi ai precedenti documenti di finanza pubblica[63] per un’analisi di dettaglio delle misure aventi effetti già sugli esercizi pregressi, si esaminano in questa sede, in particolare, le voci di consuntivo per il 2010 che presentano i maggiori scostamenti rispetto alle previsioni precedentemente formulate, nonché le voci di previsione significativamente modificate o di nuova introduzione.

 

La principale voce sul lato dell’entrata, in merito alla quale si riscontra un risultato di consuntivo molto diverso (pari a più del doppio) rispetto alle previsioni, riguarda le imposte sostitutive[64]. A fronte di una previsione di gettito per il 2010, già rivista al rialzo nella Decisione di finanza pubblica, pari a 1,6 miliardi, sono stati infatti incassati circa 3,4 miliardi. Il documento in esame rivede invece al ribasso le corrispondenti previsioni di incasso per il periodo 2011-2013 [65].

 

Al riguardo si rileva che il Documento non fornisce indicazioni esaustive in merito alle determinati del risultato di gettito. Andrebbe pertanto chiarito in che misura esso sia riferibile al riallineamento dei valori di bilancio ai principi IAS. Andrebbero altresì chiarite le ragioni alla base della riduzione delle corrispondenti previsioni per gli esercizi futuri. Tale revisione, seppure ispirata a criteri di prudenzialità, potrebbe infatti risultare in contrasto con l’andamento riscontrato a consuntivo, il quale, se riferibile principalmente ai principi IAS e dati i relativi meccanismi di versamento[66], sembrerebbe poter produrre effetti di trascinamento anche per gli esercizi futuri.

Andrebbe altresì chiarito se le previsioni di gettito delle imposte dirette siano state corrispondentemente rettificate al ribasso, al fine di tenere conto del minor gettito IRES e IRAP, per maggiori ammortamenti e minori plusvalenze tassabili, conseguente ai maggiori valori oggetto di riallineamento rispetto a quanto precedentemente previsto.

 

Sul lato della spesa i risultati conseguiti nel 2010 mostrano significativi scostamenti rispetto alle previsioni con riferimento alle seguenti voci.

- I rimborsi di imposte pregresse giudicate illegittime da sentenze della Corte di giustizia europea[67], fra cui la deducibilità dell’IVA sulle auto aziendali[68], per la quale sono stati spesi 77 milioni a fronte dei 300 previsti[69], e il rimborso dell’imposta assolta sui dividendi distribuiti da società estere[70], per il quale sono stati spesi 176 milioni a fronte dei 505 previsti. Per entrambi tali voci sono stati inoltre iscritti importi di spesa per gli esercizi di previsione, precedentemente assenti, il cui effetto cumulato corrisponde sostanzialmente, per quanto riguarda l’imposta sui dividendi, alla previsione di spesa precedentemente formulata per il 2010.

Il Documento non fornisce informazioni in merito alle determinanti del risultato conseguito e alle motivazioni alla base delle revisioni delle previsioni. Non è pertanto chiaro se la riduzione complessiva della spesa (per quanto riguarda l’IVA sulle autovetture) o la sua diluizione nel tempo (per quanto attiene all’imposta sui dividendi) siano da ascriversi all’effetto e alla tempistica delle procedure di validazione delle domande presentate ovvero ai flussi di cassa destinati all’erogazione delle somme spettanti.

- Il bonus straordinario per famiglie, lavoratori, pensionati e non autosufficienti[71]. A tale titolo non risulta infatti alcuna erogazione di somme nel 2010, a fronte della precedente previsione di spesa di 400 milioni.

Si ricorda che la previsione di spesa originariamente formulata (pari a 2,4 miliardi per il solo 2009) si è successivamente rivelata sovrastimata, rendendo possibile il parziale utilizzo degli stanziamenti per altra finalità (300 milioni destinati al sostegno dell’Abruzzo). La RUEF ha operato una ulteriore riduzione della stima complessiva di spesa, passata da 2,1 miliardi a 1,922 miliardi, e una sua distribuzione su due annualità: 1.522 milioni nel 2009 e 400 milioni nel 2010.

Si ricorda che in sede di commento ai precedenti documenti di finanza pubblica (RUEF 2010 e Decisione di finanza pubblica 2010 [cfr. i citati dossier nn. 9 e 10]), si rilevava che, essendo il bonus riferito ai redditi conseguiti nel 2008, era prevedibile che i relativi effetti avrebbero inciso pressoché integralmente nell’esercizio 2009 (il comma 17 del citato art. 1 prevedeva, infatti, che tali soggetti presentassero la richiesta del bonus entro i termini previsti per la presentazione della dichiarazione dei redditi 2008). L’eventualità di un effetto residuale sul 2010 sarebbe stata pertanto limitata ai soli importi che non avessero trovato capienza nell’imposta dovuta nel corso dell’esercizio 2009.

- La spesa per gli interventi per il terremoto d’Abruzzo nel 2010 è risultata più elevata di 237 milioni rispetto a quanto precedentemente previsto. A fronte di ciò, si è operata una sensibile riduzione delle previsioni di spesa per gli esercizi futuri e l’importo cumulato di spesa negli anni risulta più basso di 1 miliardi e 240 milioni rispetto a quanto precedentemente previsto.

Al riguardo andrebbe chiarito a quali fattori sia ascrivibile la complessiva riduzione di spesa sopra indicata. Non è chiaro, in particolare, se essa dipenda da una riduzione delle risorse destinate alla finalità in questione o da una loro diversa contabilizzazione[72] nell’ambito delle una tantum ad invarianza di impegno finanziario complessivo.

Con riferimento all’imputazione della voce in questione tra livelli di governo, andrebbe inoltre chiarito se gli importi considerati includano solo le voci di spesa a carico del bilancio dello Stato o anche gli interventi eventualmente sostenuti con risorse finanziarie delle amministrazioni locali. Queste ultime dovrebbero avere carattere di aggiuntività rispetto agli stanziamenti previsti dai provvedimenti di urgenza a sostegno delle popolazioni colpite, posti a carico del bilancio dello Stato.

 

Sempre sul lato della spesa, ma a riduzione di quest’ultima, incidono:

- gli incassi per l’assegnazione di diritti d’uso di frequenze radioelettriche, pari a 2,4 miliardi previsti per il 2011, parzialmente compensati da spese per compensazioni alle emittenti locali per un importo pari a 240 milioni.

La voce in questione, precedentemente non prevista, discende dall’approvazione di una specifica disposizione inserita nella legge finanziaria per il 2011[73]. Le relative quantificazioni risultano conformi alle stime operate dalla relazione tecnica.

- gli incassi per dismissioni immobiliari. Il Documento rettifica al rialzo i risultati conseguiti negli esercizi 2008 e 2009 (rispettivamente di 23 e 142 milioni) ed evidenzia risultati di vendita per il 2010 significativamente inferiori rispetto alle previsioni (484 milioni in meno). Per gli esercizi di previsione si registra una sostanziale conferma degli incassi precedentemente previsti, salvo un loro maggiore differimento nel tempo.

In proposito si segnala che, in assenza di una disaggregazione per livelli di governo del dato relativo alle dismissioni immobiliari, non è chiaro se la riduzione di incassi conseguiti nel 2010 rispetto alle previsioni, di ammontare prossimo a 500 milioni, sia imputabile alla mancata realizzazione entro il 2010 delle dismissioni immobiliari previste per il comune di Roma dalla legge finanziaria per il predetto esercizio[74]. Su tale aspetto appare opportuna una conferma. Dal momento che non è previsto per gli anni successivi un recupero di tale importo, andrebbe altresì chiarito se si ritenga che non verrà data attuazione alla citata disposizione.

Non è chiaro inoltre se le previsioni di dismissioni immobiliari attribuiscano effetti quantitativi all’attuazione del provvedimento relativo al cd. federalismo demaniale (cfr. il D.Lgs n. 85/2010)[75].

Con riferimento all’incremento della previsione di incassi da dismissioni per il comparto degli enti previdenziali, andrebbe chiarito se siano pervenute richieste di autorizzazione alla vendita da parte tali enti, ai sensi dell’art. 8, comma 15 del DL n. 78/2010[76], e se tali richieste siano eventualmente da porsi, almeno in parte, in relazione con il riacquisto, intervenuto nel 2009, degli immobili invenduti dell’operazione di cartolarizzazione SCIP2, per un importo pari a 1.732 milioni di euro.

 


 

Approfondimento

5. L'applicazione del criterio delle politiche invariate: aspetti metodologici

 

Sul piano metodologico merita un approfondimento la novità del Documento di economia e finanza riguardo ai criteri di costruzione delle previsioni tendenziali relative al conto della PA. Per la prima volta, infatti, tali a partire dalla legge n. 206 del 1999previsioni vengono fornite, oltre che a legislazione vigente, anche sulla base del criterio delle politiche invariate: si tratta di una novità derivante dalle modifiche alla legge di contabilità e finanza pubblica introdotte con la legge n. 39 del 2011, recentemente approvata.

In particolare, innovando rispetto al precedente quadro normativo, la legge richiamata ha modificato quanto sul punto prescriveva la legge n. 196 del 2009, stabilendo che il documento di programmazione contenga le previsioni tendenziali relative ai flussi di entrata e di uscita del conto economico consolidato della PA, disaggregato nei sottosettori istituzionali, sulla base del criterio della legislazione vigente, come già previsto dalla legge n. 196 del 2009 (coerentemente con quanto già esposto dalla legge n. 468 del 1978 e successive modificazioni), ma ad esse affianchi anche un'indicazione delle previsioni a politiche invariate per i principali aggregati del conto economico della PA (si veda la lettera c) del comma 3 del novellato articolo 10 della legge n. 196 del 1009).

Si tratta di una novità importante, che concretizza un'armonizzazione tra i criteri di previsione richiesti per la programmazione in sede europea sulla base del Codice di condotta, il quale richiede infatti che le previsioni di finanza pubblica inserite nell'aggiornamento dei programma di stabilità dei singoli Stati membri siano effettuate "under unchanged policy",laddove la legge di contabilità italiana si riferisce al criterio della legislazione vigente. Da questo punto di vista risulta apprezzabile lo sforzo di armonizzare i criteri di previsione utilizzati nella seconda sezione del DEF rispetto a quelli utilizzati nell'aggiornamento del Programma di stabilità, il cui contenuto è incorporato nella prima sezione del DEF.

È utile sottolineare che il criterio della legislazione vigente comporta il vantaggio di rendere nitida la demarcazione tra flussi ricompresi negli andamenti tendenziali e ciò che invece è riconducibile ad ulteriori azioni di politica di bilancio che il Governo intende intraprendere e che si concretizzeranno negli andamenti programmatici. Esso presenta tuttavia lo svantaggio di sottostimare per definizione l'entità di alcuni flussi finanziari della PA nel periodo di riferimento, in quanto obbliga a inserire nelle previsioni esclusivamente quelle poste di entrata e di spesa riconducibili ad atti normativi giuridicamente in vigore e quindi escludendo tutta una serie di voci che incideranno negli esercizi di riferimento ma non sono al momento stabilite da atti normativi giuridicamente perfezionati.

La citata modifica di cui alla legge n. 39 del 2011 dovrebbe comportare dunque un miglioramento della qualità e della credibilità delle previsioni sui flussi di finanza pubblica, in quanto affianca al criterio della legislazione vigente quello delle politiche invariate, con ciò mantenendo i vantaggi di entrambe metodologie. In questo senso la modifica recente della legge di contabilità appare introdurre un elemento di chiarezza metodologica rispetto alla precedente formulazione della legge n. 196 del 2009, che, nel ribadire il criterio della legislazione vigente, aveva previsto "una indicazione di massima (...) delle risorse finanziarie necessarie a confermare normativamente, per il periodo di riferimento del documento, gli impegni e gli interventi di politica economica e di bilancio adottati negli anni precedenti per i principali settori di spesa". Si trattava di una formulazione volta a introdurre nelle previsioni di finanza pubblica ulteriori elementi di analisi rispetto a quelle costruite a legislazione vigente, richiamando implicitamente il concetto delle politiche invariate: in questo senso l'esplicito riferimento al riguardo contenuto nella legge n. 39 del 2011 appare introdurre un elemento di maggiore chiarezza metodologica.

 

Nel DEF viene specificato che non è stata ancora individuata una metodologia concordata e condivisa che definisca il criterio delle politiche invariate. Conseguentemente il Documento adotta l’approccio suggerito dalla Commissione europea nel documento “European economic forecast - Autumn 2010 - Box 1.1.7 – pag. 29”, il quale suggerisce di estrapolare i trend storici integrandoli con le misure conosciute con sufficiente dettaglio[77]. Il periodo di osservazione dovrebbe, secondo il DEF, essere pari a 4-6 anni in modo tale da assicurare da un lato la considerazione di politiche non lontane nel tempo, dall’altro la mancata considerazione di eventi tipicamente congiunturali.

 

Al di là del rinvio all'approccio metodologico suggerito dalla Commissione europea per la stima degli andamenti di finanza pubblica a politiche invariate, nel Documento in esame resta comunque non adeguata l'esplicitazione delle ipotesi sottostanti alla definizione dello scenario a politiche invariate per il periodo di riferimento.

 

Va inoltre sottolineato - sempre dal punto di vista metodologico - che, pur riferendosi il riquadro al periodo di riferimento 2011-2014, l'indicazione delle previsioni a politiche invariate riguarda di fatto unicamente l'esercizio finanziario 2014, come esplicitamente indica il Documento stesso, evidenziando che gli anni 2011-2013 sono già stati interessati dalla manovra correttiva di finanza pubblica a suo tempo disposta con il decreto-legge n. 78 del 2010.

 

Tale scelta metodologica richiederebbe qualche approfondimento, in quanto l'esigenza sottesa all'utilizzo del criterio delle politiche invariate è quella di fornire previsioni sugli andamenti tendenziali di finanza pubblica più credibili e più attendibili, in quanto inclusive di tutti i flussi di entrata e di uscita delle PA riconducibili alla continuità dell'azione politica del Governo e degli orientamenti amministrativi che ne scaturiscono e non limitata alla considerazione formale di quanto previsto da norme giuridicamente in vigore. In questo senso la circostanza che negli esercizi indicati (2011-2013) siano già intervenute misure correttive degli andamenti tendenziali non sembra escludere la necessità di effettuare comunque un'analisi degli andamenti a politiche invariate, soprattutto in relazione ad eventuali esigenze aggiuntive di finanziamento di programmi di spesa che dovessero emergere rispetto agli stanziamenti già previsti a legislazione vigente.

Va infatti sottolineato che la mancata necessità di apportare correzioni al saldo di un determinato esercizio finanziario, escludendo una manovra correttiva netta, non esclude automaticamente anche la necessità di una manovra lorda per reperire le risorse necessarie a garantire la copertura di eventuali ulteriori impegni aggiuntivi. Emblematica della opportunità di distinguere concettualmente tra l'entità della manovra lorda e di quella netta è la vicenda della legge di stabilità per l'anno 2011, in cui, a fronte di un impatto trascurabile sui saldi di finanza pubblica (manovra netta prossima allo zero), nel corso dell'iter parlamentare sono stati introdotti maggiori oneri per circa 5,8 mld (di cui 4,2 mld per maggiori spese e 1,6 mld per minori entrate) e corrispondenti coperture, realizzando una manovra lorda di pari entità.

In secondo luogo, ulteriori elementi di dettaglio sarebbero necessari per comprendere come dalla stima dei tassi medi di variazione annua riscontrati su un periodo rispettivamente di 4, 5 e 6 anni ed applicati a diversi comparti di spesa si passi concretamente alla stima del differenziale a politiche invariate per il solo anno 2014, come indicato sopra. A titolo puramente esemplificativo, andrebbe chiarito il motivo per cui per entrambe le componenti della spesa in conto capitale (investimenti fissi lordi e contributi agli investimenti), il differenziale a politiche invariate sia stimato pari a zero, facendo quindi coincidere la previsione con quella a legislazione vigente.


 

Approfondimento

6. Gli indicatori di lotta all'evasione fiscale e di compliance

 

Il DEF sottolinea come l'incremento di gettito derivante dall'attività di accertamento e controllo confermi l'efficacia dell'attività di contrasto all'evasione fiscale posta in essere dall'Amministrazione finanziaria, a seguito delle numerose norme introdotte nel corso degli ultimi anni.

L’azione di contrasto all’evasione rientra nell’obiettivo più generale di miglioramento della compliance tributaria, intesa come grado con il quale i contribuenti ottemperano ai dettami normativi contenuti nella legislazione fiscale. L'obiettivo rientra tra quelli indicati nello Statuto dell'Agenzia delle Entrate, dove, all'articolo 2, comma 1 si legge che "L’Agenzia svolge tutte le funzioni ed i compiti ad essa attribuiti dalla legge in materia di entrate tributarie e diritti erariali, al fine di perseguire il massimo livello di adempimento degli obblighi fiscali. A tal fine l’Agenzia assicura e sviluppa l’assistenza ai contribuenti, il miglioramento delle relazioni con i contribuenti, i controlli diretti a contrastare gli inadempimenti e l’evasione fiscale, nel rispetto dei principi di legalità, imparzialità e trasparenza e secondo criteri di efficienza, economicità ed efficacia".

 

L'attività di contrasto all'evasione si inserisce, inoltre, tra i più importanti capisaldi della tax administration, definita come l’insieme di organi della Pubblica Amministrazione e delle procedure da essi svolte, dirette alla conduzione del processo di riscossione dei tributi.

L'interesse per le problematiche collegate al miglioramento della capacità di tax administration è particolarmente sentito a livello internazionale e l'OCSE ha intrapreso iniziative per monitorare costantemente il fenomeno[78].

L'OCSE sollecita i governi ad adottare delle buone proxy per il monitoraggio dei risultati relativi all’attività dalla amministrazione fiscale contro il fenomeno dell’evasione (o rivolta, in generale, al miglioramento della compliance) quale requisito fondamentale per poter misurare l'efficacia e l’efficienza di tale attività. L’efficacia viene definita come rapporto tra ammontare degli incassi e gettito potenzialmente riscuotibile, mentre l'efficienza come il rapporto tra costo sostenuto per lo svolgimento dell’azione e output generato dell'attività di contrasto.

Al fine di misurare l'efficacia nel raggiungimento dell'obiettivo di massimizzazione del gettito recuperabile viene sottolineato che l’attività di accertamento deve tradursi in un maggior incasso per l’erario, poiché il mero livello di accertato non è di per sé stesso indice di successo. Se l’ammontare degli incassi in relazione all’ammontare di evasione accertata fosse troppo basso, infatti, i costi amministrativi risulterebbero superiori agli introiti (tenuto conto che l’attività di contrasto è amministrativamente molto costosa), il che renderebbe – paradossalmente e da un punto di vista strettamente economico - l’intera attività di contrasto finanziariamente non conveniente.

Per questo motivo, l'Istat[79] identifica nel rapporto riscossioni/accertamenti l'indice preferibile per misurare la capacità di riscossione. Un utile variante di tale indice utilizza come denominatore il numero di controlli effettuati, al fine di rilevare l’ammontare medio di incasso per singolo controllo. L'Agenzia delle Entrate è solita calcolare anche il rapporto tra numero evasori in rapporto al numero totale di contribuenti, al fine di identificare la percentuale totale di evasori.

Le motivazioni per le quali l’ammontare accertato non si traduce in maggiori incassi sono varie. Una di queste, ad esempio, afferisce alle caratteristiche del processo tributario che si istaura tra contribuente e amministrazione fiscale, a conclusione del quale è ovviamente possibile che si abbia la mancata conversione dell’ammontare accertato in incasso, con la conseguenza che a carico dello Stato rimane soltanto il costo sostenuto per ricercare l’evidenza del comportamento evasivo. Secondo alcuni dati forniti dal Consiglio di presidenza della giustizia tributaria[80] il costo valore monetario delle cause istituite presso le commissioni tributarie provinciali nel 2010 ammonta a 13.782 milioni di euro, con una percentuale di soccombenza a carico della pubblica amministrazione quantificabile in 5.706 milioni (41,4 per cento), valore che sale a 8.173 milioni (59,3 per cento) se si considerano anche le soccombenze parziali.

L’utilità di tali indicatori aumenterebbe se il calcolo venisse disaggregato per tipologia d’imposta, al fine di misurare la capacità di recupero per singolo tributo.

Indicatori di efficacia sono anche quelli cosiddetti di risk-scoring, ottenuti tramite processi di selezione dei contribuenti in peer-group sulla base di analisi del loro livello di rischio, adottando le tecniche di Risk Management e utilizzando le banche dati dell'Agenzia delle Entrate.

La compliance dei contribuenti dipende molto anche dalle caratteristiche dell'amministrazione tributaria e dalla capacità che questa ha di "costringere" il contribuente a pagare le imposte dovute, idoneità che dipende principalmente dalla reputazione che essa è in grado di crearsi nel tempo e nel regime sanzionatorio previsto dalle norme amministrative. Per quanto riguarda le caratteristiche strutturali dell’amministrazione, gli indicatori di bontà dell'attività amministrativa che si possono evincere dai documenti dell'OCSE sono i seguenti:

·    Numero di pratiche svolte;

·    Tempo medio di svolgimento delle pratiche;

·    Numero di errori compiuti;

·    Costo medio dell'errore compiuto;

·    Numero di reclami sollevati dai contribuenti;

·    Numero di reclami risolti;

·    Numero di procedure svolte in via telematica.

Per quanto riguarda l'aspetto della suasion, invece, è opportuno rilevare come diverse agenzie internazionali, come quella svedese, realizzino con frequenza costante dei sondaggi con i quali si rileva il grado di soddisfazione dei contribuenti e l'immagine che essi hanno dell'azione amministrativa di contrasto all'evasione.

Secondo gli ultimi dati consuntivi forniti dalla Agenzia delle entrate[81], nel corso del 2010 gli incassi dovuti ad accertamento fiscale sono stati pari a più di 10,6 miliardi di euro, contro i 9,1 miliardi del 2009, ai quali si aggiungono 480 milioni di riscossioni da ruolo relative a interessi di mora e maggiori rateazioni.

Secondo l'analisi dell'Agenzia, questi dati confermano il trend positivo in termini di recupero di entrate erariali maturato negli ultimi anni a seguito di un miglioramento della strategia di controllo da parte dell'Agenzia stessa. Inoltre, grazie al miglioramento delle strategie di targeting dei contribuenti, nel corso del 2010 si è registrato un aumento pari a + 6 per cento dell'imposta accertata (da 26.338 milioni del 2009 a 27.849 del 2010).

Ulteriori indicatori sono inoltre quelli relativi all'andamento dell'adesione dei contribuenti ai cosiddetti strumenti deflativi del contenzioso, intesi come quegli istituti di conciliazione che mirano ad agevolare l'incontro tra Fisco e cittadini. L'Agenzia delle Entrate ha rilevato che, nel corso del 2010 si è verificato un incremento:

·         dell'adesione ai processi verbali di constatazione (+ 11 per cento del totale riscosso con gli accertamenti definiti);

·         degli inviti al contraddittorio (+ 12 per cento);

·         delle acquiescenze del contribuente (+ 23 per cento sul totale degli incassi da definizione);

Inoltre, gli istituti deflativi del contenzioso hanno portato un incremento di gettito da riscossione pari a un miliardo e 87 milioni di euro nel 2010[82].

 


 

Approfondimento

7. Il meccanismo di stabilizzazione

 

Nel corso del Consiglio europeo tenutosi il 24 e 25 marzo 2011, sono state confermate le decisioni assunte l’11 marzo 2011 dai Capi di Stato e di governo in merito alle caratteristiche tecniche del meccanismo europeo di stabilità (European Stability Mechanism – ESM)[83] con l’auspicio di pervenire alla firma di un accordo definitivo entro il mese di giugno 2011[84]. Il Consiglio ha altresì adottato la decisione di modificare l’articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell’UE. Tale modifica, in particolare, autorizza l’istituzione di un meccanismo di stabilizzazione e subordina qualsiasi forma di assistenza finanziaria a rigorosi criteri di condizionalità. Ove indispensabile alla salvaguardia della stabilità finanziaria della zona euro, il meccanismo sarà attivato dagli Stati membri di comune accordo, ovvero all’unanimità degli Stati partecipanti alla votazione.

A decorrere dal giugno 2013, l’ESM assumerà il ruolo ora esercitato dall’ European Financial Stability Facility (EFSF) e dall’European Financial Stabilization Mechanism (EFSM) ed avrà una capacità effettiva di prestito di 500 miliardi[85].

L’accesso all’assistenza finanziaria dell’ESM sarà offerto allo Stato membro, che ne avrà fatto espressa richiesta agli Stati membri della zona euro, sulla base di una rigorosa condizionalità politica nell’ambito di un programma di aggiustamento macroeconomico e di una analisi scrupolosa della sostenibilità del debito, effettuata dalla Commissione insieme al FMI e di concerto con la BCE. Tale procedura, che prevede fasi successive di monitoraggio dei progressi ottenuti nell’attuazione del piano, è finalizzata a valutare il grado di coinvolgimento diretto del settore privato che lo Stato membro richiedente è tenuto ad attivare, al fine di ripristinare la sostenibilità del debito.

 

Nel contesto della partecipazione del settore privato, al fine di agevolarne l’eventuale coinvolgimento, a decorrere dal luglio 2013, tutti i titoli di Stato nuovi della zona euro con scadenza superiore ad un anno saranno corredati di clausole di azione collettiva (CAC) identiche e standardizzate, che faciliteranno l’accordo per ottenere, nell’ipotesi di insostenibilità, la ristrutturazione del debito detenuto dai privati. L’inclusione di tali clausole lascerà impregiudicato lo status di creditore del debito sovrano.

Per salvaguardare la necessaria liquidità ai titoli in essere e per garantire agli Stati membri il tempo necessario per le emissioni dei nuovi titoli alle diverse scadenze, gli Stati potranno essere autorizzati, anche dopo il giugno 2013, a continuare a rifinanziare i debiti in essere non corredati delle clausole di azione collettiva.

 

L’assistenza finanziaria offerta agli Stati membri avrà prevalentemente la forma di prestiti a breve e medio termine: la durata del programma di aggiustamento macroeconomico e la scadenza dei prestiti dipenderanno dalla natura degli squilibri e dalle possibilità dello Stato membro beneficiario di riacquisire l’accesso ai mercati finanziari entro il periodo di disponibilità delle risorse dell’ESM. Non è esclusa, in via eccezionale, la possibilità che l’ESM acquisti direttamente sul mercato primario le obbligazioni dello Stato membro in difficoltà, al fine di ottimizzare l’efficienza in termini di costi del sostegno.

I prestiti concessi dall’ESM potranno essere a tasso fisso o variabile e la struttura del relativo prezzo sarà decisa dal consiglio dei governatori, organo di governance del meccanismo.

 

La struttura dovrà comunque tenere conto dei costi di finanziamento dell’ESM, di un onere base applicato alla totalità dei prestiti (200 punti base), di una maggiorazione per gli importi non rimborsati dopo tre anni (100 punti base).

Per i prestiti a tasso fisso di durata superiore ai tre anni, il margine rispetto ai costi di finanziamento sarà dato da una media ponderata di 200 punti base per i primi tre anni e di 300 punti base per gli anni successivi.

 

L’EMS avrà un capitale sottoscritto totale di 700 miliardi, di cui 80 versato dagli Stati membri, a decorrere dal luglio 2013, in cinque rate annuali di pari importo.

Inoltre, il meccanismo disporrà di 620 miliardi di capitale richiamabile impegnato e di garanzie degli Stati membri.

 

Nella fase transitoria di funzionamento dell’ESM (2013-2017) gli Stati membri si impegnano ad accelerare, in caso necessario[86], la fornitura di strumenti adeguati al fine di mantenere una proporzione minima del 15 per cento tra capitale versato ed emissioni dell’EMS in essere.

 

La quota di capitale sottoscritto e versato da ciascuno Stato membro della zona euro è stabilita in base alla rispettiva quota di partecipazione alla BCE[87]. Gli Stati membri, sottoscrivendo il trattato istitutivo dell’ESM si impegnano giuridicamente a fornire un contributo al capitale sottoscritto totale, nel limite della quota sottoscritta.

 

La tempistica di eventuali adattamenti del capitale sottoscritto totale o del richiamo del capitale è affidata alla decisione di comune accordo del consiglio dei governatori. Tuttavia, la decisione di ripristino del capitale versato a compensazione di perdite può essere adottata dal consiglio di amministrazione a maggioranza semplice. Sarà, inoltre, attivata una procedura di garanzia su richiesta nei confronti dei partecipanti che consenta il richiamo automatico del capitale, se necessario ad evitare il mancato pagamento dei creditori dell’ESM.

 

Faranno parte del capitale versato, in aggiunta alla quota dovuta in base al trattato istitutivo, anche le risorse rivenienti da eventuali sanzioni applicate agli Stati membri nell’ambito delle procedure del patto di stabilità e crescita e degli squilibri macroeconomici.

 

Appare plausibile ritenere che l’ammontare del capitale versato costituito dalle sanzioni sarà ripartito tra gli Stati membri in base alla quota di partecipazione, riducendo proporzionalmente la quota di capitale sottoscritto richiamabile.

 

Finché l’ESM non sarà attivato ed a condizione che la capacità effettiva di prestito si mantenga non inferiore a 500 miliardi, i proventi del capitale versato saranno restituiti agli Stati membri, al netto delle spese operative. Dopo la prima attivazione del meccanismo, tali proventi saranno mantenuti all’interno dell’ESM. Il consiglio di amministrazione potrà, tuttavia, decidere a maggioranza semplice la distribuzione di dividendi, nel caso in cui il capitale versato superi il livello richiesto per mantenere la capacità di prestito.

 

La sottoscrizione del trattato istitutivo dell’ESM comporterà per l’Italia il versamento di un ammontare almeno pari a 14,33 miliardi in cinque rate annuali costanti di circa 2,87 miliardi a decorrere dal 2013[88]. Comporterà, altresì un impegno in termini di garanzie e di capitale richiamabile fino a 111 miliardi.

Nel caso in cui si farà fronte ai versamenti, come avvenuto nel caso del prestito alla Grecia, con emissioni di titoli di Stato, si determineranno effetti incrementali permanenti sul debito lordo, nonché sui saldi di finanza pubblica, in ragione del maggior onere netto per interessi, anche in considerazione del particolare regime di retrocessione agli Stati membri dei proventi derivanti dal capitale versato.

Si rileva, inoltre, che, alla luce delle nuove regole proposte per la procedura per i disavanzi eccessivi, gli anni di avvio del meccanismo di stabilizzazione (2013-2017) coincideranno in parte con il triennio di riferimento per il calcolo dell’incidenza del debito sul PIL ai fini della determinazione del differenziale rispetto al valore di riferimento del 60 per cento. In tale prospettiva, assume particolare rilievo il fatto che gli eventuali incrementi di debito connessi all’impegno finanziario richiesto agli Stati membri in termini di capitale versato siano considerati o meno ai fini dell’applicazione delle suddette procedure.

Tale questione andrà presumibilmente chiarita in sede di definitiva stesura delle nuove modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi.

 

In proposito si segnala che nella bozza del nuovo regolamento riguardante tale procedura del 17 marzo 2011[89] è previsto che la Commissione, nel valutare il rapporto debito/PIL, tenga in debita considerazione tutti gli altri fattori che, secondo lo Stato membro interessato, siano significativi per valutare in termini qualitativi il superamento del valore di riferimento. In tale contesto è attribuita particolare attenzione ai contributi finanziari a sostegno della solidarietà internazionale e della realizzazione degli obiettivi delle politiche dell’Unione, incluso in particolare il debito sostenuto sotto forma di sostegno bilaterale e multilaterale tra gli Stati membri nell’ambito della salvaguardia della stabilità finanziaria.


 

Approfondimento

8. Il coordinamento tra il bilancio europeo e i bilanci nazionali.

 

Europa 2020 è la strategia dell'Unione europea (UE) finalizzata a promuovere una crescita sostenibile e inclusiva. Essa definisce importanti obiettivi, da raggiungere entro il 2020, in cinque aree: occupazione, innovazione, cambiamento climatico, educazione e povertà[90].

La crisi economica e finanziaria ha però reso difficile il finanziamento dell'agenda Europa 2020 ed in generale delle politiche europee necessarie all'Unione. Come evidenziato anche da Alain Lamassoure, presidente della Commissione per i bilanci del Parlamento europeo, circa venti Paesi europei non rispettano nel 2010 i criteri del Patto di stabilità e di crescita, diversi di essi registrano un deficit superiore al 10 per cento del PIL e altri un debito pubblico superiore al 100 per cento del PIL ed in quasi tutti gli stati membri sarà necessario varare piani di consolidamento molto significativi[91].

Tali limitazioni si riflettono direttamente sul raggiungimento degli obiettivi comuni europei. Infatti, sempre secondo Lamassoure[92], la UE non è dotata di autentiche risorse proprie e gli obiettivi comuni europei rischiano di essere posti in secondo piano nelle politiche nazionali proprio a causa delle difficoltà delle politiche di bilancio negli stati membri.

A fronte delle ridotte dimensioni del bilancio europeo e della crisi economica e finanziaria, Lamassoure sottolinea la necessità di coordinare meglio le risorse del bilancio europeo e dei bilanci nazionali, al fine di ridurre le sovrapposizioni e allineare le priorità tra i due livelli. I fondi europei destinati ai diversi settori delle politiche pubbliche (istruzione, ricerca sviluppo, coesione) risulterebbero spesso non coordinati con le politiche nazionali e ciò non consente la creazione di sinergie[93]. La dimensione europea può aiutare, invece, gli stati membri ad uscire dalla crisi e realizzare gli obiettivi di consolidamento e di riduzione della spesa, favorendo la condivisione di valori comuni, in un'ottica di economia di scala.[94]

In sostanza, secondo Lamassoure, si tratta di applicare il principio di sussidiarietà in materia finanziaria e attingere al bilancio dell'UE per finanziare gli obiettivi della Strategia Europa 2020, mettendo in atto quelle azioni che gli Stati membri non sono in condizioni di finanziare da soli o che possano condurre a migliori risultati se intraprese a livello europeo[95]. Accrescere la sinergia tra il bilancio comunitario e i bilanci nazionali risulterebbe dunque essenziale per realizzare obiettivi di largo respiro nei diversi ambiti in cui è coinvolto il bilancio europeo, dalla ricerca, alla difesa, alle politiche per l'occupazione e favorire una ripresa.

Un esempio - citato da Lamassoure[96] - delle potenzialità di rafforzamento dell’ "efficienza" offerte da una migliore cooperazione tra i bilanci europei si ha in materia di ricerca. Alla ricerca, l'Unione destina ogni anno un importo pari a circa 8 miliardi di euro al programma-quadro per il settore, cui si aggiungono le spese nazionali, decise per la maggior parte senza alcun coordinamento con gli altri Stati. L’esempio evidenzia come le duplicazioni e l’utilizzo inefficiente delle risorse connesse alla mancanza di coordinamento non sia tollerabile soprattutto in presenza di risorse limitate.

Con tale consapevolezza, la Commissione per i bilanci del Parlamento europeo ha commissionato la predisposizione di uno studio specifico sulla possibilità di creare maggiori sinergie tra il bilancio comunitario e i bilanci nazionali. Lo studio[97], presentato il 10 maggio 2010, segnala l'assenza di strumenti formali per il coordinamento tra il bilancio europeo e quelli nazionali. Ad eccezione dei meccanismi di cofinanziamento previsti nel settore dei fondi strutturali, infatti, l'integrazione dei bilanci degli Stati membri con quello europeo si basa su meccanismi "impliciti". Da un lato il bilancio europeo è vincolato da quelli nazionali essendo in ampia parte finanziato da contributi degli Stati membri; dall'altro i bilanci nazionali sono sottoposti a vincoli europei quali il Patto di Stabilità e crescita. Tuttavia tali meccanismi impliciti rivestono uno scarso rilievo pratico e dunque complessivamente la sinergia tra i bilanci ai due livelli risulta debole.

Tra i motivi della scarsa integrazione lo studio cita, in primo luogo, il fatto che il bilancio dell'UE, a differenza di quelli nazionali, è informato rigorosamente alla regola del pareggio che non consente né disavanzi né ricorso al debito. In secondo luogo il bilancio annuale dell'UE ha ridotti margini di manovra, essendo le soglie di spesa per ciascuna politica e ciascun anno predeterminate nell'ammontare massimo dal quadro finanziario pluriennale.

Lo studio, poi, analizza gli interventi finanziati dal bilancio europeo e dai bilanci nazionali di quattro stati membri (Belgio, Francia, Slovenia e Portogallo) e in cinque aree: istruzione, ricerca, politica sociale, aiuto allo sviluppo e politica estera e di difesa.

Secondo lo studio, in generale, le priorità programmatiche dei quattro Stati Membri nei cinque settori analizzati sono congruenti con quelle dell'UE, in particolare nell'ambito degli aiuti allo sviluppo e della politica estera/di sicurezza; analoga congruenza si trova in quegli Stati membri che dipendono più di altri dai trasferimenti di bilancio UE, in quei settori, quali ad esempio la politica sociale, in cui sono presenti obblighi di cofinanziamento.

Tuttavia, anche nel settore della ricerca e sviluppo si rileva un progressivo allineamento tra i bilanci nazionali e il bilancio UE in gran parte attribuibile all' incremento delle risorse finanziarie reso possibile dal Settimo programma quadro.

 

Al fine di potenziare il coordinamento tra i bilanci (obiettivi, priorità, procedure e prassi di spesa) lo studio citato infine suggerisce tre interventi:

1.       allineare le categorie di spesa del bilancio UE e di quelli nazionali alle categorie COFOG per rendere più trasparente e semplice l'analisi della finanza pubblica aggregata e a livello europeo;

2.       legare le decisioni di bilancio nazionali agli sforzi finalizzati al conseguimento degli obiettivi europei;

3.       favorire la cooperazione tra parlamento europeo e i parlamenti nazionali, nell'esercizio delle rispettive competenze, per una convergenza del bilancio annuale dell'UE e di quelli nazionali.

 

Nella prospettiva di percorsi di consolidamento di lungo termine, la comunicazione della Commissione europea sulla revisione del bilancio dell'Unione europea ribadisce che le misure volte a favorire la creazione di sinergie tra le risorse messe a disposizione del bilancio comunitario e quelle dei bilanci nazionali, assumono un'importanza fondamentale in un'ottica di miglioramento della governance economica, della trasparenza e dell'efficacia della spesa pubblica [98].

 


 

3. Analisi speciali

3.1 Analisi di sensitività del debito

3.1.1 Analisi di sensitività del debito ai tassi d'interesse

Nella Sezione I del documento (Programma di stabilità dell’Italia) elabora un’analisi degli effetti di un aumento di 100 punti base (1 punto percentuale) della curva dei rendimenti di mercato sulla spesa per interessi dei titoli di Stato.

L’analisi si fonda sull’attuale e futura composizione del debito rappresentato dai titoli di Stato negoziabili, il cui stock complessivo al 31 dicembre 2010 è aumentato, rispetto al 31 dicembre 2009, del 5,6 per cento. Le stime della spesa per interessi sono state effettuate sulla base dei tassi impliciti nella curva dei rendimenti dei titoli governativi italiani, rilevata a fine marzo 2011.

Se valutata in base a misure sintetiche, l’esposizione al rischio di rifinanziamento e di interesse si è ulteriormente ridotta nel 2010. La vita media complessiva di tutti i titoli di Stato, indicatore dell’esposizione al rischio di rifinanziamento, risulta al 31 dicembre 2010 pari a 7,20 anni a fronte dei 7,07 anni rilevati al 31 dicembre 2009. La durata finanziaria residua del debito, indicatore dell’esposizione al rischio di interesse, si è attestata al 31 dicembre 2010 a 4,90 anni, in lieve aumento rispetto ai 4,81 anni registrati alla fine dell’anno precedente. Anche l’Average Refixing Period, indicatore che misura il tempo medio in cui vengono rifissate le cedole del debito[99], calcolato relativamente ai soli titoli di Stato del programma domestico, è passato dai 5,87 anni di fine 2009 ai 5,98 anni di fine 2010.

Inoltre, a fine 2010, la struttura del debito negoziabile con riferimento ai titoli di Stato in euro del mercato interno presenta un aumento della quota dei titoli a tasso fisso, che è passata dal 70,54 per cento di fine 2009 al 73,18 per cento, mentre si è ridotta la componente a tasso variabile, passata dal 22,06 per cento nel 2009 al 19,70 per cento nel 2010. Si è, infine, lievemente ridotta anche la componente con tasso indicizzato europeo, passata dal 7,40 per cento al 7,11 per cento.

Nell’ipotesi di un aumento istantaneo e permanente di un punto percentuale delle curve dei rendimenti utilizzate per le stime della spesa per interessi per il periodo 2011-2014, l’impatto sull’onere del debito in rapporto al PIL è stimato pari allo 0,20 per cento nel primo anno, allo 0,39 per cento nel secondo anno ed allo 0,50 per cento nel terzo anno.

Tali risultati sono leggermente superiori a quelli dell’analoga simulazione presentata nell’Aggiornamento 2009 del Programma di stabilità. Quest’ultima indicava un impatto sull’onere del debito in rapporto al PIL pari allo 0,17 per cento nel primo anno, allo 0,37 per cento nel secondo anno ed allo 0,48 per cento nel terzo anno, mentre l’intero effetto di incremento dei rendimenti si trasferiva integralmente sul costo del debito dopo circa 5,87 anni.

I risultati odierni della simulazione, pertanto, mostrano come gli effetti della politica di gestione del debito, in termini di composizione e struttura dell’aggregato meno vulnerabile alle oscillazioni dei tassi, non siano in grado di compensare integralmente gli effetti della previsione di una più contenuta crescita economica in termini nominali e dell’incremento del livello di debito.

3.1.2. Analisi di sensitività del debito alla crescita economica

L'andamento della crescita economica ha incidenza sul debito pubblico e condiziona il rapporto debito/Pil.

Il Documento di Economia e Finanza conduce uno studio sulla sensitività del debito pubblico alla crescita ipotizzando due diversi scenari, uno ottimistico e uno pessimistico. In entrambi i casi viene individuato uno scostamento dal Pil atteso nello scenario base pari a 0,5 punti percentuali per ciascun anno del periodo di osservazione, in aumento per il quadro ottimistico ed in diminuzione per quello pessimistico.

Lo scenario di maggiore crescita prevede condizioni più favorevoli che scontano una netta ripresa statunitense e dell'area euro, con una diminuzione del prezzo del petrolio e minori tensioni sui debiti sovrani. Lo scenario di minore crescita, invece, presuppone evoluzioni negative del quadro internazionale, con fattori di nuova incidenza come gli effetti del terremoto e della crisi nucleare in Giappone e i relativi effetti sull’economia globale .

Nell'analisi del rapporto debito/Pil le variazioni del Pil hanno una duplice incidenza sul valore. Ad esempio, nel caso di uno scenario favorevole e a parità di altre condizioni, il rapporto diminuisce maggiormente rispetto allo scenario base  sia per effetto dell'aumento del denominatore (Pil), che per la contrazione del numeratore (debito), dato dal minore disavanzo riconducibile alle maggiori entrate generate dal più elevato Pil e dalla minore spesa per interessi.

Infine, per ipotesi, vengono considerati identici allo scenario di base:

·      la differenza tra la variazione del debito pubblico e il disavanzo/avanzo (cosiddetto stock-flow adjustment);

·      il tasso di interesse implicito.

 

Le analisi presentate coinvolgono nella simulazione di sensitività anche l’esercizio 2011, in corso di gestione. La tabella 3.1 mostra l’andamento del Pil mentre la tabella 3.2 presenta i risultati della simulazione illustrata nel DEF.

 

Tabella 3.1

Ipotesi di crescita del Pil nominale.                                                                             (valori percentuali)

 

Tabella 3.2.

Sensitività del rapporto debito/Pil alla crescita. Anni 2010-2014.

 

Tabella 3.3

Variazioni del rapporto debito/Pil tra gli scenari presunti e quello di base.

 

Nello scenario di maggiore crescita il rapporto assume un andamento decrescente costante in tutti gli anni in esame, a differenza di quanto registrato nello scenario di base che vede un incremento del rapporto nel 2011, per poi mostrare una dinamica discendente a partire dal 2012.

Nello scenario di minore crescita la riduzione del rapporto debito/Pil risulta ulteriormente rinviata nel tempo, avendosi ancora una crescita del rapporto negli anni 2011 e 2012, per poi iniziare la riduzione a decorrere dal 2013.

Nella valutazione dell’intero periodo di programmazione (2010-2014) è netto il miglioramento che si registra nello scenario ottimale, pari ad una diminuzione di -11,9 punti percentuali, rispetto allo scenario di base che vede una riduzione complessiva del rapporto pari a -6,2 .

La tabella 3.3 illustra le variazioni dei due diversi scenari rispetto a quello base, mostrando come gli scostamenti non siano simmetrici. In particolare, anche se i due scenari sono calcolati applicando scostamenti simmetrici al Pil di base (±0,5 punti percentuali), le reazioni del rapporto debito/Pil non rispecchiamo questa simmetria.

 

I grafici 3.1, 3.2 e 3.3 mostrano, per gli anni 2011-2014, le variazioni del rapporto debito/Pil in relazione al Pil previsto nei diversi scenari.

Il grafico 3.1 evidenzia (con l'andamento del Pil previsto per lo scenario di minore crescita) come le variazioni registrate del rapporto debito/Pil siano nel quadrante positivo per il 2011 e 2012, per diventare negative in seguito. Ciò riflette quanto già indicato in precedenza, ossia che, in questo scenario, il rapporto crescerebbe nei primi due anni per iniziare la discesa solo a partire dal 2013. Nel caso base invece il Pil previsto comporta un incremento del rapporto debito/Pil solo per l'anno 2011, riducendosi negli anni successivi (grafico 3.2). Solo con lo scenario di maggiore crescita (grafico 3.3) il rapporto debito/Pil si evolve sempre nel quadrante negativo, evidenziando quindi una riduzione.

 

Sarebbe utile acquisire dal Governo una valutazione sulla probabilità di realizzazione dei due scenari, eventualmente differenziando l’analisi tra breve e medio periodo.

L’elaborazione di tale sensitività è stata condotta coeteris paribus. In particolare si è proceduto all’analisi sui diversi scenari ipotizzati a parità di tasso di interesse registrato negli anni di esame (si veda, al riguardo l'analisi di sensitività al tasso di interesse, sviluppata nel paragrafo precedente), alle variabili demografiche macroeconomiche e di finanza pubblica.

 

Grafico 3.1

Variazione del rapporto debito/Pil rispetto al Pil nominale nello Scenario di minore crescita.

Grafico 3.2

Variazione del rapporto debito/Pil rispetto al Pil nominale nello Scenario di base.

Grafico 3.3

Variazione del rapporto debito/Pil rispetto al Pil nominale nello Scenario di maggiore crescita.


3.2 L’analisi di sostenibilità di lungo periodo

L’aggiornamento del Programma di stabilità 2011 reca, così come richiesto in sede europea, un’analisi della sostenibilità delle finanze pubbliche nel lungo periodo: un’analisi, cioè, che tenga conto degli effetti sulla spesa e sulla dinamica del debito del progressivo invecchiamento della popolazione, alla luce di diverse ipotesi circa il quadro macroeconomico e di riferimento.

L'esame della sostenibilità delle finanze pubbliche di un paese implica valutare se le politiche fiscali correnti condurranno, nel lungo periodo, ad una accumulazione "eccessiva" del debito.

Le finanze pubbliche si definiscono sostenibili se il valore attuale delle passività pubbliche, dato dallo stock di debito di oggi e dal valore delle spese future, è non superiore al valore attuale delle entrate su un orizzonte temporale infinito (vincolo di bilancio inter-temporale). Ciò implica che l'avanzo primario deve essere in grado di coprire le spese crescenti relative all'invecchiamento della popolazione e servire il debito esistente. Se le politiche fiscali correnti sono tali da soddisfare il vincolo intertemporale, allora le finanze si possono definire sostenibili.

Il soddisfacimento del vincolo intertemporale non fornisce, di per sé, indicazioni sul profilo temporale dell'aggiustamento eventualmente necessario, né sulle caratteristiche della manovra (dal lato delle entrate o dal lato delle spese), né su un eventuale specifico valore verso cui il debito dovrebbe convergere. Al riguardo, l’Unione europea ha indicato come anno di riferimento il 2060 e come obiettivo cui il rapporto debito/PIL dovrebbe tendere a quello (60 per cento) fissato dal Trattato di Maastricht.

Il PdS presenta, quindi, una proiezione della spesa pubblica in Italia, per pensioni, sanità, assistenza agli anziani, istruzione e indennità di disoccupazione, nonché il dettaglio delle ipotesi demografiche e macroeconomiche di riferimento.

 

Da tali analisi emerge come, grazie alle riforme implementate negli ultimi venti anni, le spese legate all’invecchiamento risultino essere sotto controllo.

 

Sono poi presentate delle simulazioni sulla dinamica del debito, basate su ipotesi alternative, rispetto allo scenario di riferimento, riguardanti sia le principali variabili macroeconomiche, che la dinamica dei tassi di interesse e il livello di avanzo primario strutturale.

Con riguardo a tale saldo, i risultati delle simulazioni evidenziano come la dinamica del debito si modifichi significativamente a seguito della variazione dell’avanzo primario strutturale rispetto al valore programmatico (4,9 per cento nel 2014) inglobato nello scenario di base. Mentre per livelli del saldo uguali o superiori al 4 per cento il rapporto debito/PIL decresce monotonicamente e raggiunge la soglia obiettivo prima del 2060, per livelli inferiori al 3 per cento la dinamica del rapporto si mostra crescente nel lungo periodo. Un avanzo primario strutturale pari al 2 per cento nel 2014 renderebbe il debito crescente nel 2060 e non sostenibile nel lungo periodo.

L’impatto dell’invecchiamento della popolazione sulla spesa pubblica

 

Le proiezioni della spesa pubblica contenute nella Tabella V.1 contenuta nell’aggiornamento del Programma di stabilità, recepiscono – secondo quanto specificato dal documento - le ipotesi dello scenario baseline concordato in sede europea[100], con alcune modifiche. Queste sono dirette ad aggiornare i dati iniziali per tener conto dei risultati 2008-2010 e del quadro normativo in vigore ad aprile 2011[101]. Per il periodo 2011-2014 le previsioni recepiscono il quadro di finanza pubblica e le ipotesi di crescita previste nel documento in esame. Sono, inoltre, inglobati gli effetti di medio periodo (2008-2020) indotti dalla crisi finanziaria[102].

 

Come evidenziato dalla citata Tabella V.1, le spese legate all’invecchiamento della popolazione in rapporto al PIL dovrebbero aumentare di 2,1 punti nel periodo 2005-2060. Il maggior aumento è concentrato nel biennio 2008-2009 ed è principalmente imputabile alla contrazione del PIL conseguente alla crisi. Negli anni successivi al 2010 la spesa si riduce, per poi aumentare nuovamente a partire dal 2027 fino al 2040-2046, riflettendo l’andamento della spesa previdenziale in corrispondenza del pensionamento della generazione del c.d. baby boom. Alla fine dell’orizzonte di previsione, la spesa age-related tende a ridursi e a convergere (in termini di rapporto con il PIL) su livelli poco inferiori a quelli del 2010 (28,2 per cento).

La sostenibilità del debito

Sulla base delle ipotesi relative all’evoluzione delle variabili demografiche e macroeconomiche e delle proiezioni delle spese legate all’invecchiamento, l’analisi di sostenibilità della finanza pubblica è condotta nel documento attraverso la proiezione del rapporto debito/PIL nel periodo compreso tra il 2015 ed il 2060 ed attraverso il calcolo di indicatori sintetici di sostenibilità (i sustainability gaps indicati con S1 e S2 ed il required primary balance indicato con RPB).

 

La simulazione si basa, inoltre, sui seguenti parametri:

·                    livelli del rapporto debito/PIL e dell’avanzo primario strutturale corrispondenti a quelli indicati dal Governo per l’anno 2014[103] pari, rispettivamente, al 112,8 ed al 4,9 per cento del PIL;

·                    tasso di interesse reale costante per tutto il periodo di riferimento e pari al 3 per cento;

·                    variazione dell’avanzo primario strutturale per effetto delle (sole) variazioni delle spese correlate all’invecchiamento della popolazione e dei redditi proprietari[104].

 

I risultati della simulazione mostrano un andamento del rapporto debito/PIL costantemente decrescente nel periodo di riferimento. Il rapporto si colloca sotto la soglia del 60 per cento del prodotto nel 2026, con otto anni di anticipo rispetto al risultato dell’analoga simulazione condotta nell’aggiornamento 2009 del Programma di stabilità.

Nonostante un livello iniziale del rapporto debito/PIL più elevato rispetto alla precedente simulazione, il raggiungimento dell’obiettivo della soglia del 60 per cento avviene più rapidamente grazie ad un avanzo primario strutturale più consistente ed una lieve revisione in diminuzione delle spese correlate all’invecchiamento della popolazione (dal 28,8 al 28,3 per cento del PIL nella media del periodo).

 

Come si è detto, una indicazione della dimensione degli squilibri eventualmente presenti nei conti pubblici, è fornita dagli indicatori S1 e S2, i quali misurano l'ampiezza dell'aggiustamento fiscale permanente, in termini di saldo primario strutturale, necessario per raggiungere:

1.      l'obiettivo debito/PIL del 60 per cento nel 2060 (S1);

2.      l'obiettivo del vincolo intertemporale su un orizzonte infinito (S2).

 

E' possibile scomporre gli indicatori S1 ed S2 nelle loro rispettive componenti, al fine di valutare se i rischi alla sostenibilità provengono dalla posizione fiscale corrente (saldo primario strutturale e stock di debito) e/o anche dal progressivo invecchiamento della popolazione.

La posizione fiscale iniziale (initial budget position) misura la distanza tra l'avanzo primario strutturale alla fine del periodo coperto dal Programma di stabilità (4,9 per cento del PIL) e quello in grado di mantenere costante il rapporto debito/PIL al livello iniziale, coeteris paribus[105]. Esso indica, quindi, se le finanze sono sostenibili, considerando esclusivamente la posizione fiscale corrente.

La seconda componente, la condizione sul debito (debt requirement) al 2060, è specifica dell'indicatore S1 ed evidenzia l'aggiustamento necessario per portare il debito dal livello iniziale al 60 per cento nel PIL nel 2060.

La terza componente, l'impatto di lungo periodo sul saldo primario (long-term changes in the primary balance), quantifica l'impatto dell'invecchiamento della popolazione sul bilancio, prevedendo un ulteriore aggiustamento per fare fronte all'aumento delle spese connesse con tale fenomeno.

 

S1 e S2 sono dati dalla somma algebrica delle rispettive componenti. Valori positivi di S1 e S2 indicano la necessità di uno sforzo di aggiustamento permanente per soddisfare l’una o l'altra delle condizioni, tanto maggiore quanto maggiore è la grandezza assunta dagli indicatori. Valori negativi indicano, invece, che la sostenibilità di lungo periodo non richiede sforzi addizionali permanenti (ulteriori, cioè, rispetto a quelli richiesti dal raggiungimento degli obiettivi programmatici contenuti nel documento presentato dal Governo).

Un terzo indicatore utilizzato in tali analisi è l'avanzo primario necessario (required primary balance, RPB), che indica l'avanzo primario strutturale medio strutturale nei primi 5 anni del periodo di proiezione[106] coerente con l'aggiustamento suggerito da S2.

 

Come si evince dalla Tabella 3.4, tratta dall'aggiornamento 2011 del Programma di Stabilità, ed elaborata in conformità con la metodologia concordata a livello dell'Unione, il consolidamento previsto è sufficiente ad assicurare finanze pubbliche globalmente sostenibili nel lungo periodo, tenuto conto dell'invecchiamento della popolazione. Gli indicatori sintetici S1 ed S2 assumono, infatti,valori negativi. Tale conclusione è confermata osservando l'avanzo primario necessario (RPB) che, con un valore di 2,1 per cento è inferiore all'avanzo primario strutturale previsto alla fine del periodo coperto dal Programma di stabilità (4,9 per cento nel 2014).

 

Tabella 3.4

Indicatori di sostenibilità di lungo periodo

Confrontando tali valori con quelli contenuti nel precedente aggiornamento del Programma di stabilità[107], si rileva come tutti gli indicatori migliorano significativamente: in particolare, la posizione fiscale iniziale migliora nei due indicatori, rispettivamente di 1,5 e 1,7 punti percentuali. Come si è detto, l’avanzo primario strutturale più elevato alla fine del triennio previsione (ed il suo mantenimento al livello atteso per il 2014 per tutto l’arco temporale preso in considerazione) contribuisce ad una più rapida convergenza del debito alla soglia del 60 per cento, nonostante il valore più elevato dello stock iniziale ed il più alto carico della spesa per interessi. Anche la componente age-related mostra valori più favorevoli in linea con le riforme adottate nel 2010 (da 0,7 a 0,3 per cento)

 

La sensitività della dinamica del debito nel lungo periodo rispetto alle ipotesi demografiche, macroeconomiche e di finanza pubblica

I risultati ottenuti dall’analisi di sostenibilità delle finanze pubbliche in termini di dinamica di lungo periodo del rapporto debito/PIL e di indicatori sintetici mostrano come la tenuta degli obiettivi programmatici indicati a tutto il 2014 sia in grado di garantire contestualmente, nello scenario macroeconomico ipotizzato, la copertura delle spese connesse all’invecchiamento della popolazione ed il raggiungimento del valore obiettivo del rapporto debito/PIL nel periodo di riferimento.

Nel documento in esame tali esiti sono sottoposti ad un test di sensitività, che consiste nell’introdurre modifiche permanenti delle ipotesi assunte nello scenario di base, riguardanti sia la variazione di parametri di natura macroeconomica, sia la variazione del saldo primario strutturale.

Come si legge nel documento, tale analisi ha la finalità di verificare la affidabilità dei risultati dello scenario di riferimento a fronte dell’incertezza che caratterizza proiezioni macroeconomiche e demografiche di lungo periodo e di indicare in quale misura eventuali interventi di riforma, ovvero l’adozione di misure strutturali di bilancio, possano agire sulla sostenibilità del debito.

 

Nell’analisi di sensitività sono ipotizzate dinamiche alternative, rispettivamente, dei flussi migratori e altre variabili demografiche, della produttività del lavoro e del tasso di partecipazione femminile, del tasso di interesse reale e dell’avanzo primario strutturale.

Con riferimento al primo gruppo di variabili, si rileva in premessa come l’Italia sia il paese europeo con il più elevato tasso di invecchiamento della popolazione, e con un indice di dipendenza degli anziani destinato a raddoppiare nel lungo periodo (da un valore di 33,5 nel 2010 al 64,5 nel 2060).

Si sono pertanto valutati gli effetti di una variazione dei flussi migratori (+/- 50.000 unità rispetto al flusso di 221.000 unità all’anno scontate nello scenario di base) [108]. Date le condizioni di debito e di avanzo primario strutturale previste dal Governo per il 2014, in entrambi gli scenari il rapporto debito/PIL scende al di sotto del 60% nel 2026, cioè nell’anno previsto nello scenario di base. Gli effetti di una diversa dinamica dei flussi migratori si manifestano nel lungo periodo, determinando una più o meno rapida riduzione del debito.

Poco significativa risulta poi la variazione nella speranza di vita alla nascita che, negli esercizi di simulazione viene aumentata di 1 anno e 3 anni rispetto allo scenario base.

 

Riguardo alla produttività del lavoro, la simulazione prevede uno scenario alternativo nel quale il tasso di crescita di tale variabile aumenta, rispetto allo scenario di base, di 0,2 punti percentuali a partire dal 2015, raggiungendo tale percentuale di incremento in modo graduale entro il 2025. La più accentuata dinamica della produttività favorisce la riduzione del rapporto debito/PIL, che si colloca sotto la soglia del 60 per cento dal con un anno di anticipo (2025, anziché dal 2026), come previsto nello scenario di base. Effetti speculari si evidenziano in presenza di una più contenuta dinamica della produttività.

L’ipotesi di un graduale aumento del tasso di occupazione femminile, fino a raggiungere, nel 2060, un incremento del 5 per cento, rispetto allo scenario di base, nella fascia di età compresa tra 15 e 64 anni, determina effetti sulle proiezioni del rapporto debito/PIL pari a circa due terzi di quelli ottenuti adottando l’ipotesi di un aumento della produttività del lavoro.

Per entrambe le variabili, gli effetti di una diversa dinamica si manifestano con maggiore evidenza negli anni successivi al 2030.

Tali risultati, (v. grafico V.5 tratto dall’aggiornamento 2011 del PdS, disponibile sul sito del MEF) mostrano come l’adozione di riforme strutturali suscettibili di determinare nel medio periodo aumenti di produttività o del tasso di partecipazione al mercato del lavoro di soggetti attualmente esclusi, potrebbero migliorare, a parità di altre condizioni, la sostenibilità di lungo periodo delle finanze pubbliche.

 

 

 

Ipotizzando una dinamica del tasso reale di interesse del 2 per cento nel periodo 2014-2060, anziché del 3 per cento assunto nello scenario base, il rapporto debito/PIL scende sotto il 60 per cento dal 2024 e si riduce ad un ritmo più sostenuto rispetto allo scenario di base. A fronte di un aumento permanente al 4 per cento, il debito continuerebbe a ridursi, ma ad un ritmo più lento raggiungendo la soglia del 60 per cento nel 2030 (v. grafico V.6 del PdS).

 

 

Nell’ultima simulazione, infine, si ipotizzano variazioni del livello dell’avanzo primario strutturale in termini di PIL rispetto al valore assunto nello scenario base nel 2014 (e mantenuto per tutto il periodo di previsione) coincidente con il 4,9 per cento indicato dal Governo. I valori del saldo sono ridotti di 1 punto percentuale e passano da un massimo di 4,9 punti ad un minimo di 2 punti.

I risultati mostrano (v. grafico V.7 del PdS) che per livelli intorno al 3 per cento il rapporto debito/PIL decresce monotonicamente, ma raggiunge la soglia obiettivo solo nel 2040 (rispetto al 2026 dello scenario base). Per livelli inferiori al 3 per cento la dinamica del rapporto si mostra, invece, crescente nel lungo periodo. Un avanzo pari al 2 per cento nel 2014 renderebbe il debito crescente nel 2060 e non sostenibile nel lungo periodo[109].

 


Il sistema pensionistico nel medio-lungo periodo

L’andamento di medio-lungo periodo della spesa pensionistica è analizzato in più punti del documento in esame per rispondere a diversi obblighi istituzionali, il primo derivante dalla legge n. 335/1995 e il secondo dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea. Le proiezioni elaborate sulla base dei scenari diversi, come prescritto, in un caso, dalla legge n. 335/1995 e, nell’altro caso, dall’ordinamento europeo, conducono comunque a risultati sovrapponibili. Come più estesamente esplicitato nel seguito della scheda, la spesa pensionistica italiana appare sotto controllo ed, anzi, in riduzione alla fine del periodo di osservazione. Ciò è attribuito al dispiegarsi degli effetti delle riforme che si sono susseguite a partire dagli anni novanta. Tali riforme, innalzando progressivamente i requisiti per l’accesso al pensionamento legandoli, infine, all’aumento della speranza di vita ed introducendo il sistema di calcolo contributivo hanno reso il sistema pensionistico stabile, sterilizzando gli effetti dell’invecchiamento demografico.

 

In attuazione di quanto disposto dalla legge n. 335/1995, nella Sezione II si dà conto dell’andamento di medio-lungo periodo della spesa in rapporto al PIL.

La previsione recepisce le ipotesi di fecondità, mortalità e flusso migratorio sottostanti lo scenario centrale elaborato dall’Istat, con base 2007[110]. Per quanto riguarda il quadro macroeconomico, il tasso di crescita reale del PIL si attesta, nel lungo periodo, attorno all’1,5 per cento medio annuo, sostanzialmente in linea con la dinamica media della produttività per occupato. Il tasso di occupazione nella fascia di età 15-64 anni passa dal 58,7 per cento del 2008 al 67,3 per cento del 2060. Per il periodo 2011-2014, le ipotesi di crescita sono coerenti con quelle adottate nel quadro macroeconomico sottostante l’aggiornamento del Programma di stabilità e la II Sezione del Documento di Economia e Finanza. Infine, le previsioni scontano quanto previsto dalla normativa vigente[111].

Sulla base di tali ipotesi, il rapporto fra spesa pensionistica e PIL, dopo la crescita del triennio 2008-2010 (dovuta essenzialmente al rallentamento della crescita del PIL a causa della crisi economica), presenta un andamento inizialmente stabile attorno al 15,3-15,4 per cento nel periodo 2011-2015 e successivamente decrescente, attestandosi intorno al 15 per cento nel 2026[112]. Nel successivo periodo dal 2027 al 2040, il rapporto riprende a crescere per effetto dell’aumento del numero di pensioni (a causa del progressivo aumento della speranza di vita e dell’accesso al pensionamento delle generazioni del baby boom) e della contestuale diminuzione del numero degli occupati. Tali effetti, tuttavia, risultano limitati dall’innalzamento dei requisiti di accesso al pensionamento anticipato (legge n. 243/2004, come modificata dalla legge n. 247/2007), dagli interventi di revisione del regime delle decorrenze nonché dall’adeguamento dei requisiti anagrafici di pensionamento alla speranza di vita. La curva raggiunge il valore massimo di circa il 15,5 per cento nel quadriennio 2040-2043, passa al 14,7 per cento nel 2050 ed, infine, si attesta al 13,4 per cento nel 2060. Tale ultimo miglioramento è dovuto essenzialmente al passaggio dal sistema di calcolo misto a quello contributivo, nonché alla progressiva eliminazione per morte delle generazioni del baby boom.

Il documento sottolinea, come anche evidenziato in sede internazionale[113], che l’Italia presenta una crescita del rapporto spesa pensionistica/PIL inferiore alla media dei paesi europei, nonostante una dinamica demografica meno favorevole.

 

L’efficacia della politica di riforme fin qui seguita, che ha portato ai risultati sopra illustrati, è ribadita dal documento in esame anche nella Sezione I (Programma di stabilità), laddove, nell’ambito dell’analisi dedicata alla sostenibilità delle finanze pubbliche (capitolo V), si dimostra che, nonostante le dinamiche demografiche più sfavorevoli[114], l’impatto dell’invecchiamento della popolazione su alcune componenti di spesa pubblica, direttamente o indirettamente legate agli sviluppi demografici, risulta essere, per l’Italia, sotto controllo.

In particolare, con riferimento al sistema pensionistico italiano, il Joint Pension Report, pubblicato congiuntamente dalla Commissione Europea, dall’Economic and Policy Committee-Ageing Working (EPC-AWG) e Social Protection Committee (Indicators Sub-Group), mostra come la sostenibilità finanziaria di lungo periodo del sistema pensionistico italiano conseguita attraverso le riforme adottate a partire dagli anni novanta non dovrebbe avere, in futuro, conseguenze sull’adeguatezza sociale.

Sono state pertanto elaborate proiezioni che, per quanto attiene al quadro macroeconomico, si basano sulla convergenza nel lungo periodo alle ipotesi macroeconomiche dello scenario baseline, concordate in seno a EPC-AWG, per la stima delle componenti della spesa age-related contenute nell’Ageing Report pubblicato ad aprile 2009. Le previsioni di medio-lungo termine sono effettuate, infatti, sulla base delle ipotesi avanzate in ambito EPC-AWG nel cosiddetto lost decade scenario che consente di raccordare le dinamiche di breve periodo e quelle di lungo periodo del base-line scenario al fine di tenere nella dovuta considerazione gli effetti macroeconomici della crisi. Le ipotesi demografiche si riferiscono alla previsione centrale EUROSTAT con base 2007[115], aggiornate al 2010 per la popolazione residente[116] e mantenendo inalterate le ipotesi sull’evoluzione demografiche:

 

Spesa pubblica per pensioni                                                                                                                  (in % PIL)

 

2005

2010

2015

2020

2025

2030

2035

2040

2045

2050

2055

2060

Spesa pensionistica

14,0

15,3

15,4

15,1

14,9

15,2

14,4

15,7

15,6

14,9

14,3

13,9

di cui:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

vecchiaia e anz.

13,4

14,8

14,9

14,6

14,5

14,8

15,0

15,4

15,3

14,6

14,0

13,6

altre pensioni

0,6

0,5

0,5

0,5

0,5

0,4

0,4

0,3

0,3

0,3

0,3

0,3

Fonte: Elaborazioni su dati MEF

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Scendendo più nel dettaglio, il documento precisa che, dopo una fase iniziale di sostanziale stabilità che si protrae fino al 2015, la spesa per pensioni assume un andamento decrescente fino al 2027. Successivamente, comincia a crescere di nuovo fino a raggiungere, nel 2043, il livello massimo del 15,7 per cento del PIL. Tuttavia, negli anni a seguire, la spesa decresce speditamente fino a raggiungere nel 2060 un livello pari al 13,9 per cento del PIL.

3.3 L'impatto finanziario del Piano nazionale delle riforme

Il Programma di Stabilità esamina le implicazioni di bilancio delle misure strutturali indicate nel Nazionale di Riforma (PNR), riportando l’impatto in termini finanziari delle misure adottate o in corso di adozione. Gli ambiti esaminati sono:

·      lavoro e pensioni

·      contenimento della spesa pubblica

·      mercato e prodotti

·      energia e ambiente

·      innovazione e capitale umano

·      sostegno alle imprese

 

La tabella 3.5 riepiloga le informazioni presentate nel DEF, che evidenziano le indicazioni finanziarie per ambito di intervento e articolate per maggiori/minori spese o entrate. La tabella imputa, ove possibile, l'impatto finanziario agli interventi legislativi che le hanno previste.

 

Nell'area “Lavoro e pensioni” tra le maggiori spese vi sono le misure stanziate dalla Legge di Stabilità 2011 in merito agli ammortizzatori in deroga (1.000 milioni), cui si aggiungono le risorse, relative all’allargamento dei requisiti di accesso all’indennità di disoccupazione e alla protezione dei lavoratori co.co.co., rispettivamente pari a 60 milioni e 304 milioni (legge n 2/2009). Vanno inoltre considerati gli oneri connessi alla detassazione del comparto sicurezza, difesa e ordine pubblico, stimati in 60 milioni. Come si evince dalla tabella, alcune di questi interventi di spesa sono caratterizzati da stanziamenti a valere su più annualità, classificati come “Maggiori spese non ripartibili”. Le minori entrate scontano gli effetti della deducibilità delle imposte sui redditi (rientranti nelle politiche per l'occupazione previste dal decreto-legge 185/2008), stimate in 1.078 milioni nel 2009, 648 milioni nel 2010 e 634 milioni a partire dal 2011. A queste si aggiungono le minori entrate relative alla detassazione del settore privato, pari a 835 milioni nel 2011 e 263 milioni nel 2012.

 

 


 

Tabella 3.5

Impatto finanziario delle misure del PNR                                                                                     (milioni di euro)

Fonte: Documento di Economia e Finanza 2011, sezione III: Programma Nazionale di Riforma


 

 

L’area relativa al "Contenimento della spesa pubblica" comprende, tra le maggiori spese, quelle relative alla costituzione della Banca dati unitaria prevista nella legge di contabilità e finanza pubblica (L. n. 196 del 2009). Le minori entrate sono imputabili agli interventi di contenimento della spesa sanitaria previsti nel D.L. n. 78 del 2010, rappresentati dai risparmi di spesa provenienti dalla riduzione delle spese relative alla farmaceutica (pari a 600 milioni di euro all’anno per il periodo 2011-2013) e al costo del personale del SSN (pari a circa 400 milioni nel 2011, 1.100 milioni per gli anni 2012 e 2013).

Nell’area “Energia e Ambiente”, tra le minori entrate, si hanno misure ricomprese alle agevolazioni fiscali concesse con le leggi n. 31/2008 e 33/2009, valevoli fino al 2011, per la sostituzione  dei veicoli ad alto grado di inquinamento (cui vanno imputate le riduzioni di entrata pari a 33 milioni nel 2010 e 17 milioni nel 2011) e quelle relative alla riqualificazione energetica degli edifici pubblici e privati, che comportano maggiori entrate pari a circa 125 milioni nel 2011 e minori entrate stimate in 300 milioni circa per il biennio 2011-2012 e in 168 milioni per il periodo 2014-2016.

L’area “Innovazione e capitale umano” contiene, tra le maggiori spese, gli incrementi per il fondo ordinario per le università, pari a 800 milioni per il 2011 e 500 milioni annui a partire dal 2012. Le minori spese sono dovute essenzialmente agli effetti degli interventi di riordino della scuola approvati nel 2007 e nel 2008, per i quali è previsto un risparmio di spesa pari a circa 1.300 milioni nel 2009, 2.800 milioni nel 2010, 3.900 milioni nel 2011 e circa 4.500 milioni a decorrere dal 2013. Le minori entrate scontano gli effetti degli incentivi per il rientro in Italia dei ricercatori forniti nel 2009 (9 milioni) e gli incentivi anti-crisi relativi alla detassazione degli investimenti in macchinari introdotti nel D.L. n. 78 del 2010, per i quali vengono stimate minori entrate per 1.800 milioni nel 2011, 2.400 milioni nel 2012 e 200 milioni nel 2013.

 



[1]    Il nuovo sistema di governance economica dell’UE, delineato in seguito all’acuirsi della crisi economica e finanziaria e alla definizione della nuova strategia dell’Unione per la crescita e l’occupazione (Europa 2020), è articolato in una serie di iniziative, legislative e non legislative, assunte dalle istituzioni dell’UE e dagli Stati membri e riconducibili a sei assi di intervento:

1) un meccanismo per il coordinamento ex ante delle politiche economiche nazionali (c.d. “semestre europeo”), che è già stato avviato, per la prima volta, nel 2011; 2) una più rigorosa applicazione del Patto di stabilità e crescita; 3) l’introduzione, mediante appositi regolamenti, di una sorveglianza sugli squilibri macroeconomici che include anch’essa meccanismi di allerta e di sanzione; 4) l’introduzione di requisiti comuni per i quadri nazionali di bilancio; 5) l’istituzione di un meccanismo permanente per la stabilità finanziaria della zona euro; 6) il patto “europlus”, che impegna gli Stati membri dell’area euro e alcuni altri Stati aderenti a porre in essere ulteriori interventi in materia di politica economica.

[2]     Recante “Modifiche alla legge 31 dicembre 2009, n. 196, conseguenti alle nuove regole adottate dall’Unione europea in materia di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri” (Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 84 del 12 aprile 2011).

[3]     Legge 31 dicembre 2009, n. 196.

[4]    Il ciclo di procedure volte ad assicurare un coordinamento ex-ante delle politiche economiche nell’Eurozona e nell’UE, previsto dal Semestre europeo, si articola nelle seguenti fasi:

-         gennaio: presentazione da parte della Commissione dell’Analisi annuale della crescita;

-         febbraio/marzo: il Consiglio europeo stabilisce le priorità di politica economica e di bilancio a livello UE e per gli Stati membri;

-         metà aprile: gli Stati membri sottopongono contestualmente i Piani nazionali di riforma (PNR, elaborati nell’ambito della nuova Strategia UE 2020) ed i Piani di stabilità e convergenza (PSC, elaborati nell’ambito del Patto di stabilità e crescita), tenendo conto delle linee guida dettate dal Consiglio europeo;

-         inizio giugno: sulla base dei PNR e dei PSC, la Commissione elabora le raccomandazioni di politica economica e di bilancio rivolte ai singoli Stati;

-         giugno: il Consiglio ECOFIN e, per la parte che gli compete, il Consiglio Occupazione e affari sociali, approvano le raccomandazioni della Commissione, anche sulla base degli orientamenti espressi dal Consiglio europeo di giugno.

Nella seconda metà dell’anno gli Stati membri approvano le rispettive leggi di bilancio, tenendo conto delle raccomandazioni ricevute. Nell’indagine annuale sulla crescita dell’anno successivo, la Commissione dà conto dei progressi conseguiti dai Paesi membri nell’attuazione delle raccomandazioni stesse.

[5]     La Conferenza, che si configura quale organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica tra i diversi livelli di governo, è stata istituita dal Decreto legislativo – in corso di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale - recanti disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario.

[6]     Le prospettive di crescita nel 2011 riflettono i segnali di rallentamento emersi nell’ultima fase dell’anno 2010, in cui il PIL italiano è aumentato soltanto dello 0,1 per cento rispetto al trimestre precedente (Comunicato ISTAT relativo alla crescita del PIL nel IV trimestre 2010, dell’11 marzo 2011), rispetto alla media europea che è risultata pari allo 0,3% (in particolare, nei principali paesi europei, nel quarto trimestre 2010, il PIL è aumentato, in termini congiunturali, dello 0,4% in Germania, dello 0,6% nel Regno Unito e dello 0,3% in Francia).

[7]     Relativamente all’andamento del mercato del lavoro e ai risultati del 2010, cfr. Comunicato ISTAT “Occupati e disoccupati – Anno 2010” del 1 aprile 2010.

[8]    Le simulazioni considerate nell'esercizio non contemplano tutti gli interventi previsti nel PNR. Ad esempio, non includono le politiche finalizzate ad uno sviluppo e ad una crescita sostenibile (area d’intervento energia ed ambiente) e la riforma legata all’introduzione del federalismo fiscale. Inoltre, le misure comprese nell’area infrastrutture e sviluppo sono analizzate in un box a parte.

[9]    Cfr. Proposta di regolamento (COM(2010)527.

[10]   La suddivisione è proposta per esigenze espositive, dal momento che esistono stretti legami di dipendenza fra le varie manifestazioni degli squilibri macroeconomici e dei problemi legati alla competitività di un paese.

[11]   Per il saldo di parte corrente viene presa in considerazione una deviazione pari a +/- 4% rispetto alla media di lungo periodo; per le attività finanziarie sull’estero la soglia è pari - 45% del PIL.

[12]   Banca d’Italia, Bollettino economico, n. 64, Roma, Aprile 2011.

[13]   Banca d’Italia, Posizione patrimoniale sull’estero dell’Italia, 18 aprile 2011.

[14]   Secondo l’analisi del PNR, nel 2010 si è registrato un incremento del clup rispetto al valore dei tre anni precedenti del 9,1%.

[15]   Il valore, riferito al quadro programmatico è al lordo del sostegno finanziario all’area euro.

[16]   Per un approfondimento, cfr. paragrafo del dossier sul debito pubblico.

[17]   Cfr. Camera dei deputati, Analisi annuale della crescita - Comunicazione della Commissione Europea, dossier n. 201/5 del 28 febbraio 2001.

[18] L’aggiornamento del Programma di stabilità riprende tale analisi, senza modificarla. Nel prosieguo si fa riferimento alla numerazione delle pagine e delle tavole contenute nel PNR.

[19]   V. p. 49 del PNR.

[20] V. p. 37 PNR.

[21] V. p. 43 PNR.

[22]   V. p. 46 PNR.

[23]   L'Obiettivo di Medio Termine consiste nel livello di indebitamento netto strutturale tale da garantire un margine di sicurezza rispetto al rischio di incorrere in un disavanzo eccessivo (oltre il 3 per cento del PIL) ed assicurare un ritmo di avvicinamento ad una situazione di sostenibilità. Per l'Italia, tale obiettivo coincide con il pareggio di bilancio strutturale.

[24]   A tal proposito può essere utile far riferimento alla formula per il disavanzo strutturale: DS=IN+0,5*OG, dove DS è il disavanzo strutturale, IN l’indebitamento netto, OG l’output gap e 0,5 è la misura standard dell’elasticità dei saldi di finanza pubblica all’attività economica.  

[25]   Per i paesi che hanno già raggiunto l’obiettivo di medio termine, la crescita annuale della spesa non dovrebbe essere superiore ad un tasso di crescita del PIL a medio termine definito come “prudente”. Per quelli che non hanno raggiunto l’obiettivo di medio termine, il tasso di crescita della spesa dovrebbe essere inferiore al tasso prudente di crescita del PIL a medio termine. Il tasso prudente di crescita a medio termine deve essere valutato sulla base delle proiezioni su un orizzonte temporale di dieci anni aggiornato a intervalli regolari. Un livello di spesa superiore al tasso di crescita del PIL potrebbe essere attuato soltanto se l’obiettivo di medio termine fosse stato ampiamente superato. Qualora invece l’obiettivo non fosse stato raggiunto ma un paese volesse comunque tenere un livello di spesa superiore ai limiti coerenti con l'evoluzione del PIL "prudente", l’eccedenza dovrebbe essere coperta da misure discrezionali sul lato delle entrate.

[26] Dati 2010 provvisori: fonte Istat.

[27]   Che prende a riferimento, per la determinazione delle risorse necessarie per le politiche invariate il differenziale tra l’andamento tendenziale previsto per il periodo 2013-2014 e il tasso di variazione medio annuo effettivo riscontrato nel periodo 2004-2008.

[28]   La spesa è dovuta alle somme da corrispondere a titolo di arretrati per il 2009 e in competenza per il 2010. A decorrere dal 2008 era già stata erogata l’indennità di vacanza contrattuale. Il dato di spesa è stato acquisito per le vie brevi ed è suscettibile di verifica da parte dei competenti uffici della Ragioneria generale dello Stato.

[29]   Sempre in base a dati acquisiti per le vie brevi suscettibili di verifica.

[30] Si veda l’Accordo quadro di riforma degli assetti contrattuali sottoscritto in data 22 gennaio 2009 da Governo, Confindustria, Cisl, Uil e Ugl e altre parti sociali. L'accordo non è stato sottoscritto dalla Cgil.

[31]   L’indicizzazione applicata al 1° gennaio 2010 è stata pari a 0,6 per cento.

[32]   Nell’anno in esame, a seguito del blocco verificatosi nel 2009 per effetto dell’inasprimento dei requisiti riguardanti l’anno precedente, si è registrato il programmato effetto di sblocco con incremento delle nuove pensioni decorrenti dal 2010.

[33]   Si parla, in particolare, del bonus per famiglie, lavoratori e pensionati, introdotto dal decreto-legge n. 185/2008.

[34]   Il documento precisa che si tratta del venire meno degli oneri per arretrati di rivalutazione delle rendite infortunistiche riconosciuti nel 2009 con riferimento al 2008.

[35]   Anche per l’effetto combinato del previsto aumento degli accessi al pensionamento nel 2009 nel settore della scuola dopo il blocco del 2008 e la liquidazione delle relative buonuscita che si hanno mediamente dopo circa sei mesi.

[36]   Pari nel 2011 a 1,4 per cento.

[37]   Tale rifinanziamento è stato introdotto con apposito emendamento nel corso dell’iter di approvazione della legge di stabilità per il 2011.

[38]   Tale contenimento è da ascrivere sia al minor ricorso al pensionamento anticipato nel settore della scuola nel 2010 (con effetto nel 2011 per quanto riguarda la liquidazione dell’indennità di buonuscita) sia alla prevista liquidazione dell’indennità in tre tranche annuali a seconda dell’importo complessivo (decreto-legge n. 78/2010). In tale aggregato sono incluse anche le erogazioni per prestazioni di TFR per le quote maturate a decorrere dal 2007 ai lavoratori dipendenti del settore privato da aziende con più di 50 dipendenti.

[39]   In particolare, l’art. 11 del DL 78/2010 dispone lo spostamento di una quota della spesa farmaceutica da ospedaliera (600 milioni in termini annui di risparmio per le regioni) a territoriale (600 milioni di maggiori costi). Tali maggiori costi sono recuperati con la riduzione dei margini dei grossisti e dei farmacisti, da cui dovrebbero derivare 400 milioni su base annua, nonché con l’attivazione del meccanismo del pay back ovvero delle altre misure di cui all’articolo 11, per complessivi 200 milioni annui.

La norma dispone, infatti:

- misure dirette a favorire una maggiore appropriatezza delle prescrizioni, da cui si attendono risparmi per 600 milioni annui, che restano nella disponibilità dei SSR.

- il potenziamento degli strumenti di gestione dei SSR per quanto concerne l’acquisizione, l’immagazzinamento e la distribuzione dei medicinali, i cui effetti in termini di risparmio non sono prudenzialmente quantificati;

- la ridefinizione dal 2011 del prezzo di rimborso dei medicinali equivalenti di fascia A, che dovrebbe comportare risparmi quantificati anch’essi in 600 milioni su base annua. In via transitoria, fino al 31 dicembre 2010, si prevede una riduzione del 12,5 per cento del prezzo di tali medicinali. Il complesso di tali risorse (di cui quelle relative al 2010 non vengono quantificate) resta nella disponibilità dei SSR;

- il potenziamento dell’attività di controllo dell’AIFA, con particolare riguardo alla qualità dei principi attivi.

[40]   Articolo 9, comma 16.

[41]   Come da ultimo determinato dall’articolo 22, comma 3, del DL 78/2009, convertito dalla legge n. 102/2009. Si ricorda che le entrate da pay back sono computate in diminuzione della spesa.

[42]   Articolo 1, comma 49, della legge n. 220/2010 (Legge di stabilità 2011).

[43]   I dati utilizzati sono tratti dalla Sezione II, Analisi e tendenze della Finanza pubblica ed afferisconoallo scenario tendenziale. Con riguardo alle previsioni programmatiche, contenute nella Sezione I del documento, la serie della spesa per interessi, fornita in termini di PIL, coincide per il periodo 2011-2013 con quella dello scenario tendenziale. Per il 2014 il quadro programmatico espone un’incidenza della spesa per interessi sul PIL pari al 5,5 per cento, a fronte del 5,6 per cento stimato nel quadro tendenziale.

[44]   Banca Centrale Europea, Comunicato stampa del 7 aprile 2011.

[45]   Fonte: Bollettino economico della Banca d’Italia, n. 64, aprile 2011.

[46]   Nei precedenti documenti di finanza pubblica i dati di cassa erano presentati per alcuni esercizi precedenti (dati di consuntivo) e per l’esercizio in corso (dati di previsione) ed articolati secondo i seguenti comparti: settore statale, enti di previdenza, regioni, sanità, comuni e province, altri enti pubblici consolidati, altri enti pubblici non consolidati.

[47]   Tale quota, in base a quanto affermato nel Bollettino della Banca d’Italia n. 64 dell’aprile 2011 dovrebbe riguardare il prestito di 85 miliardi di euro accordato  in favore dell’Irlanda, la cui quota di pertinenza italiana è valutabile in circa 0,7 miliardi di euro. Si segnala che la decisione assunta da Eurostat il 27 gennaio 2011 ne prevede la contabilizzazione nel debito delle A.P.  

[48]   Cfr. nota n. 48, pag. 172 del Documento di economia e finanza 2011, Camera dei Deputati, Doc. LVII.

[49]   Articolo 1, commi da 87 a 150, successivamente modificati dalla legge n. 10 del 2011.

[50]   Ai sensi dell’articolo 1, comma 13, della legge n. 220 del 2010, tali proventi, in misura non inferiore a 2.400 milioni di euro, devono affluire al bilancio dello Stato entro il 30 settembre 2011. Per il medesimo esercizio 2011 le norme prevedo, altresì, una spesa di 240 milioni di euro a titolo di compensazioni per le emittenti locali.

[51]   Banca d’Italia, Bollettino n. 64, cit.

[52]    DECISIONE DI ECONOMIA E FINANZA, sez. I: Programma di Stabilità, pag. V.

[53]   Si veda il Regolamento (CE) n. 1056/2005 del 27 giugno 2005, che modifica il Regolamento (CE) n. 1466/97.

[54]   Il saldo strutturale equivale al saldo nominale di bilancio corretto per il ciclo e al netto delle misure una tantum.

[55]   Per un approfondimento si vedano gli Elementi di Documentazione del Senato n. 42, "La riforma della governance europea. Sostenibilità macroeconomica e fiscale", e n. 36, "La riforma della governance economica europea. Un'analisi preliminare".

[56]   Secondo la proposta, il tasso prudente di crescita a medio termine deve essere valutato sulla base delle proiezioni su un orizzonte temporale di dieci anni aggiornato a intervalli regolari.

[57]   Si veda il Press Release n. 7691/11 relativo al Consiglio Europeo del 15 marzo 2011, pag. 2.

[58]   Legge n. 220 del 2010. Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2011), art. 1, commi 87-124.

[59]   Tale ultima informazione era invece fornita in precedenza nei documenti di finanza pubblica (fino alla RUEF presentata nel 2010) i quali omettevano, peraltro, la disaggregazione del dato complessivo delle misure una tantum.

[60]   Tale documento stimava un effetto complessivo delle misure una tantum pari a +0,6 per cento nel 2009, +0,1% nel 2010 e un’incidenza nulla a decorrere dal 2011.

[61]   Adottato dal Consiglio dell’Unione Europea, nella versione aggiornata, l’11 ottobre del 2005.

[62]   Cfr. in particolare Public finance in EMU 2006, n. 3/2006, capitolo 4.

[63]   Cfr. in particolare i dossier relativi alla Relazione unificata sull’economia e la finanza pubblica 2010 e alla Decisione di finanza pubblica 2010 (rispettivamente i Dossier nn. 9 e 10 del maggio e dell’ottobre 2010, a cura dei Servizi Studi e Bilancio della Camera e del Servizio Bilancio del Senato).

[64]   Sono classificabili tra tali misure le imposte connesse all’esercizio di opzioni da parte dei contribuenti, quali la rivalutazione volontaria dei cespiti dell’attivo patrimoniale (immobili, terreni e beni d’impresa), e il riallineamento dei valori di bilancio ai principi IAS (Cfr. l’art. 15, commi 1-12 del DL n. 185/2008).

[65]   Da 614 milioni a 358 milioni per il 2011, da 483 milioni a 357 milioni per il 2012 e da 78 a 5 milioni per il 2013.

[66]   I criteri di versamento dell’imposta sostitutiva, previsti dall’art. 15, comma 4, del DL n. 185/2008 prevedono che l'imposta sia versata in unica soluzione entro il termine di versamento a saldo delle imposte relative all'esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007. Se il saldo è negativo, la relativa deduzione concorre, per quote costanti, alla formazione dell'imponibile del secondo esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007 e dei 4 successivi.

[67]   Ai fini dell’indebitamento netto, di norma, una partita debitoria sviluppa i suoi effetti nel momento in cui nasce l’obbligazione, a condizione tuttavia che siano chiaramente identificabili sia i soggetti creditori che l’ammontare del debito. Tale criterio si applica anche se l’iscrizione nel bilancio dello Stato e il flusso dei pagamenti (e quindi l’effetto sul fabbisogno) avviene ratealmente. In mancanza di tali condizioni, la contabilizzazione dell’operazione nel conto della PA segue i flussi di cassa e corrisponde a quanto annualmente viene pagato a titolo di restituzione del debito, oppure è allineata all’ammontare dei rimborsi validato nell’anno dall’Amministrazione finanziaria a prescindere dall’effettivo pagamento: questa seconda procedura è stata seguita, come si è detto, per i rimborsi connessi alla sentenza della Corte di giustizia europea sulla deducibilità IVA sulle auto aziendali.

[68]   In conseguenza della sentenza della Corte di Giustizia europea del 14 settembre 2006, che ha sancito l’illegittimità di una disposizione del DPR n. 633/1972 che escludeva la detraibilità dell’imposta assolta sulle operazioni di acquisto e manutenzione di veicoli aziendali che non formano oggetto dell’attività propria dell’impresa.

[69]   Tale previsione era stata rivista al rialzo di 200 milioni dalla Decisione di finanza pubblica.

[70]   In conseguenza della sentenza della Corte di Giustizia europea del 19 novembre 2009, (C-540/07).

[71]   Previsto dall’art. 1 del DL n. 185/2008.

[72]   Una diversa contabilizzazione potrebbe derivare, ad esempio, dall’eventuale esclusione dal novero delle una tantum di talune voci di spesa precedentemente incluse.

[73]   Cfr. l’art. 1, comma 8-13 della L. n 220/2010.

[74]   Cfr. il comma 195 dell’art. 2 della L. n. 191/2009.

[75]   In merito ai possibili utilizzi delle entrate in questione, si ricorda che il citato D.Lgs n. 85/2010 prevede che le risorse nette derivanti alle autonomie territoriali dalla eventuale alienazione dei beni immobili ricevuti dallo Stato siano acquisite dall’ente interessato per una quota pari al 75 per cento, da destinare alla riduzione del debito dell’ente e, per la parte eventualmente eccedente il debito, a spese di investimento. La residua quota del 25 per cento è destinata al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato.

[76]   Tale disposizione prevede che le operazioni di acquisto e vendita di immobili da parte degli enti previdenziali, nonché le operazioni di utilizzo dei relativi ricavi, siano subordinate alla verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica, da attuarsi con DPCM.

[77]   “…The 'no-policy-change' assumption used in the forecasts implies the extrapolation of revenue and expenditure trends and the inclusion of measures that are known in sufficient detail”.

[78]   Si veda OECD, Forum on Tax Administration, 2011.

[79]   Cfr. Istat, Glossario dei termini.

[80]   Cfr. Relazione del presidente della giustizia tributaria per la "giornata celebrativa della giustizia tributaria".

[81]   Fonte: Agenzia delle Entrate, Comunicato Stampa del 29 Marzo 2011

[82]   Fonte: Agenzia delle Entrate

[83]   Cfr. Allegato II alle Conclusioni del Consiglio europeo (24/25 marzo 2011). Cfr. anche RUE, Nota n. 167 del 28 marzo 2011.

[84]   L’ESM sarà istituito con un trattato tra gli Stati membri della zona euro come organizzazione intergovernativa disciplinata dal diritto pubblico internazionale. La governance sarà affidata ad un consiglio di governatori composto dai ministri delle finanze degli Stati membri della zona euro, membri con diritto di voto, nonché dal commissario europeo per gli affari economici e monetari e dal presidente della BCE quali osservatori. I membri con diritto di voto eleggeranno, nel loro ambito, un presidente. Il consiglio dei governatori adotta tutte le decisioni a maggioranza qualificata (80 per cento dei voti), salvo disposizione contraria e si avvale di un consiglio di amministrazione che svolgerà i compiti specifici ad esso delegati e di un amministratore delegato responsabile della gestione ordinaria.

[85]   La congruità della capacità di prestito sarà rivista periodicamente ed almeno ogni cinque anni. Potrà essere integrata attraverso la partecipazione del FMI, mentre gli Stati membri non appartenenti alla zona euro possono partecipare alle operazioni di assistenza finanziaria su una base ad hoc.

[86]   Nelle conclusioni del Consiglio europeo tale evenienza è definita come “improbabile”.

[87]   E’ prevista una correzione della quota per gli Stati membri della zona euro che presentano un PIL pro capite inferiore al 75 per cento della media UE. La minore quota versata da tali Stati sarà ridistribuita proporzionalmente tra gli altri Stati membri, sempre in relazione alla percentuale di partecipazione al capitale BCE.

[88]   La quota di partecipazione dell’Italia al capitale BCE sottoscritto dai Paesi dell’area euro è pari al 17,914 per cento. A tale quota dovrebbe aggiungersi la quota parte del capitale versato non dovuto dagli Stai membri con minore reddito pro-capite.

[89]   ECOFIN, Nota del Segretario generale del Consiglio del 17 marzo 2011, Progetto di regolamento (UE) n. 14496/10 del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1467/97 per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi. Il documento fa parte del materiale consegnato dal Ministro dell’economia e delle finanze nel corso dell’audizione presso la Commissione V della Camera dei Deputati del 29 marzo 2011.

[90]   http://ec.europa.eu/regional_policy/policy/future/eu2020_it.htm.

[91]   Lamassoure Alain, Financing the 2020 Agenda despite the budgetary crisis, Working document, 2010.

[92]   Senato della Repubblica, Resoconto stenografico n.1, XV legislatura, 7 febbraio 2007.

[93]   Camera dei deputati, Resoconto della V Commissione permanente, 6 luglio 2010.

[94]   Commissione europea, Revisione del bilancio dell'Unione europea, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e ai parlamenti nazionali, Bruxelles, 2010.

[95]   Lamassoure Alain, Budgetary crisis: How can we protect the future of Europe?, European Issue n° 181, Foundation Robert Schuman, 2010

[96]   Lamassoure Alain, Financing the 2020 Agenda despite the budgetary crisis, Working document, 2010.

[97]   Parlamento europeo, Creating greater synergy between European and national budgets, 2010. A cura di Deloitte. I risultati dello studio si basano su una rassegna della letteratura e su interviste ai rappresentanti degli Stati membri e dell'Unione europea

[98]   Commissione europea, Revisione del bilancio dell'Unione europea, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e ai parlamenti nazionali, Bruxelles, 2010.

[99]   Per i titoli zero coupon o i titoli con cedola fissa, tale indicatore corrisponde alla vita residua dei titoli. Per i titoli con cedola variabile, corrisponde al tempo che rimane fino alla fissazione della cedola successiva.

[100]2009 Ageing Report, a cura della Commissione europea e dell’Economic and Policy Committee-ageing Working Group (EPC-AWG).

[101]Sono considerati gli effetti delle misure contenute nei decreti legge n. 112/2008, n. 185/2008, n. 78/2009 e n. 78/2010, nonché delle misure relative al Patto per la salute come recepite dalla legge finanziaria 2010 e delle ulteriori misure relative alla sanità contenute nella Legge di stabilità per il 2011. In particolare, il quadro macroeconomico tiene conto degli effetti sui tassi di attività indotti dalle modifiche normative riguardanti i requisiti di accesso al pensionamento di vecchiaia delle donne nel pubblico impiego, la revisione del regime delle decorrenze per le pensioni di vecchiaia e di anzianità e, dal 2015, l’adeguamento automatico dei requisiti anagrafici per il pensionamento all’aumento della speranza di vita. Per quanto riguarda la spesa per ammortizzatori sociali, le previsioni scontano il rifinanziamento per il solo 2011 degli ammortizzatori sociali in deroga. L’istruzione ingloba il contenimento della spesa derivante dal processo di riduzione del rapporto medio alunni/docenti, nonché gli effetti del blocco, senza possibilità di recupero, delle procedure contrattuali relative al triennio 2010-2012, del divieto di riconoscere un trattamento economico complessivo per il periodo 2011-2013 superiore a quello del 2010, fatta salva la vacanza contrattuale, e il blocco del meccanismo automatico delle progressioni stipendiali per il triennio 2011-2013.

[102]Per tener conto della crisi 2008-2009 e della minore crescita del PIL, la produttività del lavoro nel periodo 2008-2020 è stata rivista al ribasso rispetto allo scenario originario (pre-crisi), definito in ambito EPC-AWG. Viene, infatti, ipotizzato che, entro il periodo 2020-2025, si determini un graduale riallineamento, nei livelli occupazionali e nei tassi di variazione della produttività, a quelli previsti nello scenario baseline. Tali ipotesi portano ad uno scenario sostanzialmente simile a quello ottenuto dall’EPC-AWG (nella versione aggiornata sulla base delle previsioni economiche della Commissione del maggio 2009) simulando uno scostamento dalla scenario base per effetto di uno shock temporaneo (lost decade scenario).

[103]In termini programmatici.

[104]Per redditi proprietari si intendono i redditi da capitale (titoli azionari ed obbligazionari) e le rendite da proprietà di risorse naturali. La loro dinamica di lungo periodo viene stimata in base ad una metodologia concordata a livello di Unione europea

[105]Ossia mantenendo costanti, per tutto il periodo previsivo, le spese legate all'invecchiamento della popolazione (in percentuale del PIL) al livello del 2014.

[106]Ossia dal 2015 al 2019.

[107]L’aggiornamento 2009 del Programma di stabilità recava tali valori per gli indicatori sintetici:

 

 

S1

S2

RPB

Valore

-0,3

-0,9

2,8

di cui

 

 

 

Posizione fiscale iniziale

-1,8

-1,6

 

Condizione sul debito nel 2060

0,8

 

 

Impatto di lungo periodo sul saldo primario

0,7

0,7

 

Fonte: Aggiornamento 2009 del Programma di stabilità

 

[108]Si ipotizza che la struttura per età e per genere della popolazione immigrata mantenga, in entrambi gli scenari alternativi, la stessa distribuzione presa in considerazione in ambito EPC-AWG.

[109]Come precisato nel documento, l’indicatore S1 sarebbe positivo e pari 0,7 per cento.

[110]In particolare, tale ipotesi prevedono: un aumento della speranza di vita, al 2050, di 6,4 anni per i maschi e di 5,8 anni per le femmine, rispetto ai valori del 2005; un tasso di fecondità che converge gradualmente a 1,58; un flusso netto di immigrati di poco inferiore alle 200.000 unità l’anno.

[111]In particolare, gli effetti della revisione dei coefficienti di trasformazione (legge n. 335/1995 e legge n. 247/2004) e gli effetti delle misure previste dal decreto-legge n. 78/2010 (revisione del regime delle decorrenze; accelerazione dell’elevazione del requisito anagrafico per il pensionamento di vecchiaia ordinario per le lavoratrici nel pubblico impiego; adeguamento dei requisiti anagrafici all’aumento della speranza di vita).

[112]In tale fase, l’aumento demografico è contrastato dagli effetti dell’elevamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento anticipato (legge n. 243/2004) degli ulteriori recenti provvedimenti volti all’incremento dell’età di accesso al pensionamento.

[113]Economic Policy Committee Commission (2009), The 2009 Ageing Report: Economic and Budgetary Projections for the EU-27 Member States (2008-2060); Economic Policy Committee-Social Protection Committee-European Commission (2010), Progress and Key Challenges in the Delivery of Adequate and Sustainable Pension in Europe.

[114]Il documento precisa che l’indice di dipendenza degli anziani dalla popolazione attiva è destinato ad aumentare di oltre 30 punti percentuali nei prossimi 50 anni (Eurostat 2007).

[115]Per l’Italia, lo scenario base in esame prevede: un flusso netto annuo di immigrati pari in media a 226.000 unità nel periodo 2005-2060, con un profilo inizialmente costante e successivamente decrescente; un livello della speranza di vita al 2060 pari a 85,5 anni per gli uomini e 90 anni per le donne; un tasso di fecondità totale al 2060 pari all’1,56.

[116]Istat 2010.