Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Bilancio dello Stato
Altri Autori: Servizio Studi - Dipartimento bilancio
Titolo: (D6) DPEF Documento di Programmazione economico-finanziario 2010-2013
Riferimenti:
DOC LXVII, N. 2     
Serie: Documenti e ricerche    Numero: 6
Data: 20/07/2009
Descrittori:
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO FINANZIARIA     
Organi della Camera: V-Bilancio, Tesoro e programmazione

                                              

 

 

XVI legislatura

 

 

 

 

Documento di Programmazione Economico-Finanziaria 2010-2013

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luglio 2009

n. 6


DOCUMENTAZIONE DI FINANZA PUBBLICA

 

 

 

SENATO DELLA REPUBBLICA:

 

Servizio del bilancio

Tel. 066706-5790

 

 

CAMERA DEI DEPUTATI:

 

Servizio Bilancio dello Stato

Tel. 066760-2174 – 066760-9455

 

Servizio Studi – Dipartimento bilancio e politica economica

Tel. 066760-9932 – 066760-2233

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il presente dossier è destinato alle esigenze di documentazione interna per l’attività degli organi parlamentari e dei parlamentari.

Si declina ogni responsabilità per l’eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

Il presente lavoro tiene conto dei dati disponibili alla data del 21 luglio 2009, ore 13.00.



I N D I C E

 

 

1. Il quadro macroeconomico. 1

1.1 La congiuntura internazionale. 1

1.2 Le prospettive dell’economia mondiale: segnali di ripresa e fattori di rischio  6

1.3 Lo scenario macroeconomico nazionale. 8

1.4 Le prospettive dell’economia italiana. 15

2. Il quadro di finanza pubblica. 18

2.1 La spesa. 26

2.2 Le entrate. 34

2.3 Le previsioni tendenziali post D.L. 78/2009 per il 2009-2013. 41

2.4 Il quadro programmatico. 44

3. I saldi strutturali48

4. La spesa per interessi, il fabbisogno ed il debito pubblico. 57

4.1 La spesa per interessi57

4.2 Il fabbisogno del settore pubblico. 58

4.3 Il debito pubblico. 60

 

 

 


1. Il quadro macroeconomico

1.1 La congiuntura internazionale

Gli effetti della crisi economico-finanziaria iniziata negli Stati Uniti si sono estesi rapidamente sul resto del mondo.

Le tensioni nei mercati finanziari hanno causato una progressiva caduta degli indici azionari internazionali. Le banche hanno operato un irrigidimento delle condizioni di credito alle imprese, che a loro volta hanno dovuto ridurre gli investimenti, anche in ragione delle aspettative negative sulla crescita del commercio mondiale.

 

L’impatto della crisi finanziaria sull’economia reale è risultato di particolare intensità, determinando, nel primi trimestri del 2009, una generalizzata e profonda contrazione del prodotto in tutte le economie avanzate, accompagnata da una progressiva riduzione del numero degli occupati.

 

Un rallentamento significativo delle attività si è registrato anche nelle economie emergenti dell’Asia, le quali hanno tuttavia mantenuto tassi di crescita positivi, nonché nei Paesi in via di sviluppo, che hanno visto ridursi sensibilmente il livello dei flussi internazionali di capitale, registrando un deprezzamento dei tassi di cambio ed un aumento dei differenziali di rendimento sui titoli pubblici.

 

La contrazione della crescita economica e il deterioramento del clima di fiducia di consumatori e imprese si sono acuiti all’inizio del 2009, in concomitanza con la più profonda caduta del commercio internazionaleregistrata dal secondo dopoguerra.

 

Nel 2009, la stima della riduzione del PIL dell’economia mondiale è pari al -1,7 per cento, a fronte di una contrazione del commercio internazionale pari al 16,2 per cento. Entrambi tali valori sono previsti tornare in crescita dal 2010 e stabilizzarsi su un livello di variazione positiva superiore al 4 e al 5 per cento nel triennio 2011-2013.

 

La tabella seguente pone a confrontoi dati di consuntivo e previsionali della crescita mondiale e di quella dei principali paesi dell’Area dell’euro, degli Stati Uniti e del Giappone nel periodo 2006-2013.

 

 

Tabella 1.1

Prodotto interno lordo – Confronti internazionali

                                                                                                        (variazioni %)

 

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

2013

Stati Uniti

2,9

2,2

1,1

-2,8

0,8

2,2

2,3

2,3

Giappone

2,4

2,1

-0,6

-6,4

1,0

1,7

1,7

2,0

UEM

2,9

2,6

0,8

-4,7

0,2

1,7

2,0

2,1

Italia

2,0

1,6

-1,0

-5,2

0,5

2,0

2,0

2,0

Francia

2,2

2,2

0,7

-3,1

0,6

1,8

2,1

2,1

Germania

3,0

2,5

1,3

-6,2

0,2

1,7

1,8

2,0

Regno Unito

2,8

3,0

0,7

-4,3

0,0

1,8

2,3

2,7

Spagna

3,9

3,7

1,2

-4,4

-1,5

1,5

2,3

2,3

Paesi industrializzati

3,0

2,7

0,8

-4,0

0,6

2,1

2,4

2,5

Mondo

5,1

5,1

3,0

-1,7

2,3

4,1

4,3

4,3

Commercio mondiale

9,5

7,0

2,5

-16,2

1,5

5,0

6,0

6,5

Fonte: DPEF 2009-2013. Elaborazioni su dati FMI, OCSE e UE.

 

Per contrastare gli effetti della crisi le autorità politiche e monetarie dei principali paesi industriali hanno adottato manovre di bilancio antirecessive e misure straordinarie dirette a stabilizzare i sistemi bancari e finanziari.

 

Politiche di bilancio espansive e di sostegno alla domanda, accompagnate dell’attivazione di stabilizzatori automatici, sono state adottate in modo tempestivo e coordinato in quasi tutti i paesi al fine di attenuare la caduta della domanda aggregata e i costi sociali della recessione.

 

Di segno espansivo sono stati anche gli interventi predisposti dalle principali banche centrali. Al fine di garantire una elevata offerta di liquidità e stimolare la ripresa dell’attività creditizia, favorendo nel contempo il rafforzamento patrimoniale delle istituzioni creditizie, le autorità monetarie hanno posto in essere drastiche riduzioni del livello dei tassi ufficiali, nonché effettuato, in taluni casi, operazioni monetarie straordinarie finalizzate ad incrementare l’offerta di moneta ed influenzare i costi di finanziamento a lungo termine per le famiglie e le imprese.

 

Nell’area dell’eurola Commissione europea ha adottato, con comunicazione del 26 novembre 2008 COM(2008), il Piano europeo di ripresa economica (European Economic Recovery Plan), approvato dal Consiglio europeo l’11 dicembre 2008, il quale ha previsto interventi di stimolo dell’economia pari, complessivamente, all’1,5 per cento del prodotto dell’area, volte a rilanciare la domanda anche attraverso l'erogazione di un sostegno di bilancio.

La Banca centrale europea ha progressivamente ridotto il tasso di riferimento fino ad abbassarlo all’1 per cento nella riunione del maggio scorso.

Nonostante le misure adottate, la crescita congiunturale dell’area nella prima metà del 2009 è rimasta negativa e le componenti della domanda mostrano ancora segnali di debolezza.

Nel 2009 è prevista una contrazione del PIL pari al 4,7per cento; gli indicatori anticipatori prefigurano una lenta ripresa della crescita a partire dal 2010.

 

Iniziative dell’UE a fronte della crisi economica e finanziaria

Le Istituzioni dell’UE hanno adottato numerose iniziative, anche di carattere normativo e finanziario, per far fronte della crisi economica e finanziaria internazionale. Già nel corso del 2007 erano state definite, in relazione alle turbolenze determinate dalla crisi dei mutui sub-prime americani, alcune misure a sostegno della stabilità delle istituzioni finanziarie. Con l’aggravarsi della crisi finanziaria e delle sue ricadute sull’economia reale sono state assunte a livello europeo ulteriori e più articolati interventi.

A partire dal 2008 la Banca centrale europea (BCE) ha perseguito una politica monetaria ispirata all’obiettivo di ridurre progressivamente i tassi di interesse.

Il Consiglio europeo ha successivamente definito nell’ottobre 2008 un approccio comune coordinato per il conseguimento di obiettivi riconducibili alla stabilità, liquidità e vigilanza delle istituzioni finanziarie, nonché al sostegno della crescita e dell'occupazione.

In coerenza con gli orientamenti e le priorità definite dal Consiglio europeo, sono state quindi poste in essere misure operative riconducibili a tre principali canali di intervento:

-    il piano di ripresa dell’economia europea, adottato dalla Commissione il 26 novembre 2008, che ha previsto interventi intesi a rilanciare la crescita e a sostenere l’occupazione;

-    una serie di specifiche iniziative, in parte collegate al piano di ripresa, volte a rendere più flessibile la disciplina degli aiuti concessi dagli Stati membri per assicurare la stabilità delle istituzioni finanziarie e l’accesso al credito a fronte dell’aggravarsi della crisi;

-    alcune misure per ripristinare il corretto funzionamento dei mercati finanziari, in particolare del settore bancario, e rafforzare la vigilanza finanziaria.

Il Consiglio europeo di giugno 2009 ha da ultimo sottolineato la necessità che l'UE e gli Stati membri continuino a sviluppare le misure necessarie per fronteggiare l’attuale crisi finanziaria, sulla base degli importanti risultati conseguiti negli ultimi mesi in linea con il piano europeo di ripresa economica e con le ulteriori iniziative dell’UE.

In particolare il piano di ripresa ha definito obiettivi e interventi da attuare sia mediante misure normative e finanziarie dirette dell’UE sia, in gran parte, attraverso l’azione coordinata degli Stati membri, nella cornice del patto di stabilità e di crescita e della strategia di  Lisbona. Il piano ha previsto, in particolare, la mobilizzazione di risorse

complessive a sostegno dell’economia pari a 200 miliardi di euro (1,5% del PIL dell'UE), di cui 170 miliardi di euro (circa 1,2% del PIL dell'UE) di stanziamenti aggiuntivi da parte degli Stati membri nei rispettivi bilanci per il 2009 e 30 miliardi di euro (circa 0,3 % del PIL dell'UE) di finanziamenti per misure immediate a carico del bilancio dell’UE.

 

Anche negli Stati Uniti, oltre ai piani di salvataggio di importanti istituti di credito e assicurativi, sono state adottate misure di stimolo per l’economia pari a 787 miliardi di dollari.

La Federal Reserve ha a sua volta iniettato massicce dosi di liquidità nel sistema finanziario; il costo del denaro è stato inoltre pressoché azzerato, collocandosi in un intervallo di riferimento tra lo 0 e lo 0,25 per cento.

Quanto alle previsioni economiche, per l’anno in corso è stimata un contrazione del PIL del 2,8 per cento, inferiore a quella dell’area dell’euro. La ripresa è invece anch’essa prevista nel 2010 (0,8%), con un successivo consolidamento dei tassi di crescita nel triennio 2011-2013 intorno al 2,25 per cento.

 

I piani di rilancio dell’economia e di stabilizzazione finanziaria degli Stati Uniti

L’American Recovery and Reinvestment Plan è il piano di rilancio dell’economia americana presentato all’inizio del 2009, per il quale è stata prevista una spesa di circa 775 miliardi di dollari e cui ha fatto seguito l’iniziativa legislativa, denominata American Recovery and Reinvestment Act of 2009, che prospetta una spesa complessiva di 838 miliardi di dollari.

Il Piano promuove l’adozione di misure fiscali a favore delle famiglie e dei lavoratori che prevedono un taglio delle tasse per il 95% delle famiglie, nonché forme di aiuto gli americani che hanno perso il lavoro mediante l’estensione della durata del sussidio di disoccupazione e dell’assistenza sanitaria.

Successivamente, nel marzo 2009 gli Stati Uniti hanno annunciato il varo di un ulteriore piano di rilancio dell’economia (cd “piano Geithner”, dal nome del Segretario di Stato al Tesoro), allo scopodi risolvere il problema dei cd. “legacy assets” (attività finanziarie tossiche), aventi forma di mutui immobiliari o di prodotti finanziari strutturati. E’ stato pertanto stanziato  un  ammontare tra i  75 e  i 100 miliardi di dollari, a valere sia

sul capitale appositamente stanziato (c.d. TARP Il “Troubled Asset Relief Program”), sia sul capitale di investitori privati, in grado di generare 500 miliardi di disponibilità di risorse per l’acquisto delle attività tossiche con un potenziale espansivo fino a mille miliardi di dollari nel tempo.

L’eccesso di mutui “tossici” accumulatisi nei bilanci delle banche, infatti, ha reso difficile alle stesse l’accesso ai mercati per l’ottenimento di nuovo capitale, limitando altresì la loro capacità di prestare denaro. Inoltre, i mercati secondari sono diventati fortemente illiquidi e le transazioni si sono svolte a prezzi più bassi rispetto a quelli dei mercati regolarmente funzionanti.

Un altro obiettivo è dato dal programma denominato “Legacy Securities Program” volto a far ripartire il mercato dei titoli tossici, al fine di consentire alle banche e alle altre istituzioni finanziarie di liberare capitale e stimolare l’estensione di nuovo credito. Esso consiste di due parti correlate, finalizzate a portare capitali privati nei mercati, fornendo il finanziamento sotto forma di titoli di debito da parte della Federal Reserve, secondo quanto previsto nel “Term Asset-Backed Securities Loan Facility (TALF)”. Quest’ultimo è uninsieme di misure volte a facilitare il settore creditizio, per favorire l’accesso al credito da parte dei consumatori e delle piccole imprese, emettendo strumenti finanziari derivanti da operazioni di cartolarizzazione (asset-backed securities -ABS) e in genere migliorando le condizioni di mercato per questa tipologia di titoli.

Il Tesoro americano e la Federal Reservehanno inoltre annunciato un programma di prestito, da incorporare nel TALF, che indirizzerà i mercati in crisi verso titoli legati a mutui immobiliari commerciali, mutui residenziali e al credito al consumo. Da tale operazione ci si attende che la provvista di leva finanziaria fornita con il piano conferisca agli investitori una maggiore fiducia nell’acquisto dei titoli, aumentando così la liquidità del mercato.

Infine, il Tesoro americano ha sottolineato la necessità di correggere l’eccessiva instabilità e fragilità del sistema finanziario, tramite un’ampia riforma della regolamentazione finanziaria della quale sono state preannunciate alcune linee di intervento, al fine di migliorare la stabilità del sistema finanziario.

 

 


1.2 Le prospettive dell’economia mondiale: segnali di ripresa e fattori di rischio

Pur permanendo condizioni di difficoltà, il Documento di programmazione sottolinea come la velocità di peggioramento della congiuntura internazionale possa aver raggiunto un massimo nel primo trimestre dell’anno in corso.

Nel secondo trimestre si sono ripetuti “segnali non negativi”, sia per l’economia mondiale sia per quella italiana, che evidenziano una attenuazione delle spinte recessive, pur in un quadro caratterizzato da una elevata incertezza sulle prospettive economiche.

I principali mercati azionari, che avevano registrato forti perdite nei primi mesi del 2009, in particolare nei settori finanziari, hanno manifestato segnali di ripresa dei corsi, anche in virtù del rafforzamento degli interventi pubblici di sostegno adottati in modo coordinato da Governi e Banche centrali nelle sedi del G8 e del G20.

Anche se la volatilità delle quotazioni azionarie nel mercato statunitense e in quello dell’area dell’euro è rimasta su livelli elevati, a partire dalla seconda metà del primo trimestre dell’anno le tensioni sui mercati finanziari si sono attenuate e le quotazioni di borsa hanno parzialmente recuperato, tornando sui livelli di inizio anno.

I prezzi delle materie prime hanno mostrato una tendenza all’aumento nei mesi più recenti, a partire del prezzo del petrolio che si è attestato a giugno a 69 dollari al barile, in aumento di 12 dollari rispetto al mese precedente.

 

Anche gli indicatori hanno mostrato, nell’ultimo trimestre, un’attenuazione delle tendenze recessive.

Nel Vecchio continente l’indice euro-coin – che fornisce una stima sintetica del quadro congiunturale corrente nell'area dell'euro - è salito nel mese di giugno per la quarta volta consecutiva, ritornando sul livello toccato ad ottobre 2008[1].

 

La stima della crescita di fondo dell'area dell'euro permane ancora negativa, ma appare nel contempo confermata una “lenta ripresa” rispetto al minimo raggiunto nel primo trimestre dell'anno (-2,5%), sostenuta dal recupero del commercio internazionale, in un quadro tuttavia caratterizzato da un apprezzamento del cambio dell’euro, da condizioni di credito alle imprese ancora restrittive e da una maggiore propensione al risparmio precauzionale delle famiglie per effetto del deterioramento del mercato del lavoro.

Nel complesso, i principali organismi internazionali tendono a collocare una ripresa della crescita economica mondiale nella seconda metà del2010.

 

Grafico 1.2

Fonti: Fondo Monetario Internazionale, World Economic Outlook - Update (luglio 2009); OCSE Economic outlook – Preliminary Edition (giugno 2009); Commissione UE, Spring Forecast (maggio 2009).

 

Sulle previsioni di ripresa della crescita economica pesano tuttavia una serie di incognite.

 

Il DPEF sottolinea la riguardo come i rischi per l’economia mondiale provengano anzitutto dalle incertezze ancora presenti nel sistema finanziario internazionale.

L’andamento dei mercati azionari rimane infatti fragile, nonostante una riduzione del livello della volatilità.

Permane inoltre l’esigenza di garantire i normali meccanismi di erogazione del credito al settore privato, in un contesto nel quale il permanere di una elevata avversione al rischio potrebbero determinare fenomeni di contrazione del credito, con le relative conseguenze negative per il finanziamento delle imprese e la dinamica degli investimenti.

 

Sotto altro profilo, il Documento segnala come in uno scenario globale caratterizzato da differenti velocità di ripresa dell’economia potrebbe determinarsi uno sfasamento ciclico tra le diverse aree geografiche e all’interno delle singole aree; in tale contesto, i fattori strutturali che caratterizzano le economie dei paesi asiatici emergenti potrebbero favorire una loro ripresa anticipata, il cui effetto di traino per le economie più avanzate rimarrebbe peraltro tutto da verificare; la ripresa della crescita economica potrebbe inoltre risultare disomogenea nei paesi sviluppati in relazione al diverso grado di vulnerabilità dei medesimi alla cause della crisi.

 

Considerato il probabile venir meno degli stimoli fiscali e monetari adottati per fronteggiare la crisi – come previsto del resto dai paesi del Gruppo degli Otto (G8) nel recente incontro a L’Aquila - il Documento sottolinea il permanere di elementi di incertezza in ordine alla solidità complessiva della ripresa ciclica mondiale.

 

1.3 Lo scenario macroeconomico nazionale

Il DPEF 2010-2013 presenta una revisione delle stime di crescita dell’economia italiana per l’anno in corso e per il 2010.

In particolare, per il 2009 il PIL è stimato ridursi del -5,2 per cento, rispetto al -4,2 per cento indicato nella Relazione Unificata sull’economia e la finanza pubblica (RUEF) presentata nell’aprile scorso.

Una inversione del ciclo è prevista a partire dal 2010,anno nel quale il prodotto dovrebbe ricominciare a crescere ad un tasso pari allo 0,5 per cento.

Nel triennio successivo la crescita media annua è prevista attestarsi al 2 per cento, con una ripresa abbastanza sostenuta per effetto dell’atteso recupero del commercio internazionale e degli effetti di rimbalzo da livelli produttivi molto contenuti.

La contrazione del prodotto attesa per il 2009 è ascrivibile ad una sensibile diminuzione delle principali componenti della crescita.

 

Il grafico seguente espone i valori di consuntivo di alcune voci del conto delle risorse e degli impieghi dal 2004 e le previsioni contenute nel DPEF 2010-2013.

 

 

Grafico 1.3

Conto delle risorse e degli impieghi – Anni 2004 – 2013

(variazioni % a prezzi costanti)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Fonte: DPEF 2010-2013, dati ISTAT (consuntivo) e previsioni del Governo.

 

Nel 2009, i consumi finali sono complessivamente previsti in calo di un punto percentuale a -1,5 per cento. Su di essi pesa la riduzione dei consumi privati (-2,2%), influenzata anche dal peggioramento delle aspettative occupazionali e dall’ulteriore contrazione della ricchezza finanziaria reale netta rispetto al 2008.

L’andamento negativo dei consumi privati appare parzialmente mitigato dalla ripresa dei corsi azionari avvenuta a partire dalla seconda metà del mese di marzo 2009; effetti positivi potrebbero inoltre discendere dalla generale riduzione della pressione inflattiva e dagli incentivi introdotti per il rinnovo del parco auto.

Viceversa, la dinamica dei consumi potrebbe essere influenzata negativamente da un inasprimento delle condizioni del credito bancario e da un ulteriore aumento della propensione al risparmio precauzionale da parte delle famiglie.

A pesare sulle decisioni di spesa delle famiglie potrebbero inoltre essere le condizioni del mercato del lavoro, che rimarrebbero sfavorevoli anche in ragione del ritardo con il quale la dinamica dell’occupazione normalmente risponde alle oscillazioni del ciclo economico.

Una ripresa dei consumi delle famiglie dello 0,3 per cento è prevista nel 2010, mentre negli anni seguenti si proietta un aumento compreso tra l’1,6 e l’1,9 per cento.

 

Di rilevante entità è anche la riduzione degli investimenti fissi lordi (-11,6%), sulla quale ha pesato una consistente diminuzione degli acquisti in macchinari e attrezzature (-16,5%), superiore al calo delle costruzioni (-6,6%). La riduzione stimata tiene conto delle agevolazioni fiscali di detassazione degli acquisti dei beni di investimento delle imprese introdotte dal decreto-legge n. 78/2009 con effetti dalla seconda metà del 2009, che contribuirebbero al rialzo degli investimenti in macchinari dell’1,5% previsto nel 2010.

Sugli investimenti fissi influiscono negativamente sia la generale debolezza della domanda, sia l’inasprimento del credito alle imprese, che risulta peraltro aver registrato nel primo trimestre 2009 una moderazione significativa rispetto al trimestre precedente; i tagli ai piani di investimento avrebbero inoltre contribuito a determinare, per la prima volta dalla fine del 2004, una riduzione della domanda di finanziamento delle imprese italiane. I dati sulle consistenze della Banca d’Italia confermano comunque la tendenza al rallentamento del credito bancario erogato alle imprese.

 

Anche la concessione di mutui alle famiglie per l’acquisto delle abitazioni ha subito una congiuntura negativa, benché negli ultimi mesi il dato abbia mostrato segnali di ripresa. Nel 2010 gli investimenti in costruzioni dovrebbero rallentare la caduta attestandosi ad un livello del -0,3 per cento.

 

Per quanto concerne il contributo estero, la brusca frenata del commercio internazionale si riflette sulle esportazioni, che dovrebbero registrare una marcata contrazione nel 2009 (-19,2%), cui dovrebbe seguire un recupero dello 0,3 per cento nel 2010, grazie alla ripresa attesa per il commercio mondiale, sulla base della quale si prevede una loro stabilizzazione su di un livello di crescita media pari al 4,2 per cento nel triennio 2011-2013.

Il Documento sottolinea, inoltre, come a fronte della riduzione della quota di mercato dell’Italia sulle esportazioni di beni in valore in base alle quote di mercato mondiali - passata dal 4,6 per cento del 1995 al 3,5 del 2008 anche in ragione della concorrenza delle economie emergenti - l’Italia, nel medesimo periodo, sia l’unico paese, dopo la Germania, ad aver incrementato la propria quota di esportazioni nell’ambito del Gruppo dei paesi del G6[2]. La perdita di quote rispetto al mercato mondiale è risulta pertanto limitata e su di essa hanno pesato anche possibili effetti distorsivi derivanti dall’incremento dei prezzi delle materie prime energetiche ed agricole.

La generale debolezza della domanda interna si riflette anche sulle importazioni, che mostrano una forte contrazione nel 2009 (-15,3%), cui segue un rallentamento anche nel 2010 (-0,2%).

Per quando concerne la bilancia dei pagamenti il disavanzo di parte corrente dovrebbe peggiorare rispetto al 2008, attestandosi al 3,9% in rapporto al PIL, e permanendo intorno a tale valore anche negli anni successivi.

In relazione alla dinamica dei prezzi, l’inversione della tendenza alla crescita dei prezzi internazionali delle materie prime energetiche ed alimentari, coniugata con la debolezza della domanda mondiale, ha determinato una sensibile diminuzione della crescita dei prezzi al consumo, passata dal 4,1% dell’agosto 2008 allo 0,5% del giugno 2009, con riduzioni differenziate delle singole componenti del paniere.

L’inflazione programmata è stimata attestarsi allo 0,7% nel 2009, per poi attestarsi all’1,5% nell’intero periodo previsionale.

La spesa delle P.A. si mantiene, infine, su valori positivi per tutto il periodo previsionale, salvo il 2011, nel quale rimane ad un livello stazionario rispetto all’anno precedente.

 

La tabella che segue mostra l’andamento delle principali componenti del PIL, delle grandezze relative al mercato del lavoro e al livello dei prezzi.

 

Tabella 1.3

Quadro macroeconomico

(variazioni %)

 

2008

2009

2010

2011

2012

2013

PIL

-1,0

-5,2

0,5

2,0

2,0

2,0

Importazioni

-4,5

-15,3

-0,2

3,8

4,1

4,3

Consumi nazionali

-0,5

-1,5

0,3

1,6

1,9

1,8

- spesa famiglie residenti

-0,9

-2,2

0,3

2,2

2,1

2,0

- spesa delle PA e ISP

0,6

0,5

0,4

0,0

1,2

1,0

Investimenti fissi lordi

-3,0

-11,6

0,6

2,1

2,4

2,5

- macchinari e attrezzature

-4,2

-16,5

1,5

2,0

3,0

3,5

- costruzioni

-1,8

-6,6

-0,3

2,2

1,8

1,6

Esportazioni

-3,7

-19,2

0,3

4,2

4,1

4,3

Deflatore PIL

2,8

2,0

1,4

1,7

1,8

1,9

Deflatore consumi

3,2

0,1

1,4

1,7

1,8

1,9

Occupazione (ULA)

-0,1

-2,7

-0,2

1,0

1,0

1,0

Tasso disoccupazione

6,7

8,8

8,9

8,5

8,1

7,7

Tasso occupazione

58,7

57,3

57,2

57,8

58,5

59,3

Inflazione programmata

1,7

0,7

1,5

1,5

1,5

1,5

Fonte: DPEF 2010-2013. Il quadro è stato elaborato secondo le informazioni disponibili al 26 giugno 2009. Il PIL è calcolato a prezzi concatenati (base=2000) e non è corretto per i giorni lavorativi.

Per quanto concerne la situazione occupazionale, il DPEF, sulla base dei dati dei primi mesi del 2009, comprensivi degli utilizzi della Cassa integrazione guadagni (CIG), stima per il 2009 una riduzione delle Unità standard di lavoro (ULA) del 2,7% che dopo una fase sostanzialmente stazionaria nel 2010, riprenderebbero a crescere dal 2011. Sulla base di tali previsioni, il tasso di disoccupazione si colloca nell’anno in corso all’8,8% per poi iniziare a decrescere dal 2011; in termini pressoché speculari, il tasso di occupazione, pari al 57,3% quest’anno ed il lieve decremento nel 2010, è previsto in crescita negli anni successivi.

 

Il mercato del lavoro nell’Area dell’euro

Disoccupazione

Tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009 la situazione del mercato del lavoro si è deteriorata progressivamente, registrando un ulteriore peggioramento negli ultimi mesi dell’anno in corso: secondo gli ultimi dati diffusi da Eurostat[3], il tasso di disoccupazione nell’Area dell’euro è salito in maggio al 9,5 per cento, con un incremento di 0,2 punti percentuali sul mese di aprile (9,3 per cento).

Per l’Area euro, si tratta del tasso di disoccupazione più alto registrato sin dal maggio 1999, e per l’Unione europea, il più alto registrato dal giugno 2005.

Anche l’OCSE, che ha recentemente aggiornato le proprie previsioni nell’Outlook di giugno, stima, per l’intero anno 2009, un incremento del tasso di disoccupazione nell’Area dell’euro: esso si attesterebbe al 10 per cento, con un aumento di 2,5 punti percentuali rispetto al 2008.

Per l’Italia, l’OCSE stima nel 2009 un tasso di disoccupazione pari all’8,4 per cento, superiore di 1,7 punti percentuali rispetto al 2008.

Rispetto a tale stima dell’8,4 per cento, il DPEF 2010-2013, prevede, per il 2009, un tasso di disoccupazione all’8,9 per cento.

Per l’Italia, l’OCSE prevede per l’anno 2010 un aumento del tasso di disoccupazione, che si attesterebbe al 10,2 per cento, superiore di 1,8 punti rispetto al 2009.

Rispetto a questa previsione OCSE, il DPEF 2010-2013 prevede invece che il tasso di disoccupazione nel 2010 si attesti all’8,8 per cento.

 

Tabella 1.4

Tasso di disoccupazione – Confronti internazionali

(in % della forza lavoro)

Disoccupazione

Consuntivo (eurostat)

Previsioni
OCSE

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

Italia

10,1

9,1

8,6

8,4

8,0

7,7

6,8

6,1

6,7

8,4

10,2

Francia

9,0

8,3

8,6

9,0

9,3

9,2

9,2

8,3

7,8

9,7

11,2

Spagna

11,1

10,3

11,1

11,1

10,6

9,2

8,5

8,3

11,3

18,1

19,6

Germania

7,5

7,6

8,4

9,3

9,8

10,7

9,8

8,4

7,3

8,7

11,6

AREA EURO

8,2

7,8

8,2

8,6

9,0

9,0

8,3

7,5

7,5

10,0

12,0

 

Fonte:  Per i consuntivi, Eurostat. Per l’Italia, dati ISTAT Per le previsioni, OSCE, Economic Outlook – Preliminary Edition, di giugno 2009.

 

Occupazione

Secondo le prime stime Eurostat[4], nel primo quadrimestre dell’anno 2009 l’occupazione nell’Area euro è diminuita dello 0,8 per cento rispetto all’ultimo quadrimestre del 2008, segnando così il terzo declino consecutivo.

L’OCSE, analogamente, nell’Outlook di giugno, stima, per l’intero anno 2009, una contrazione dell’occupazione nell’Area euro, che si attesterebbe al 65,6 per cento. Tale dato sarebbe più basso di 0,5 punti percentuali rispetto a quello 2008.

 

L’occupazione in Italia è prevista attestarsi nel 2009 al 58,1 per cento con una flessione di 0,6 punti percentuali rispetto al 2008.

La previsione dell’OCSE si attesta su valori più alti di quelli stimati dal DPEF 2010-2013, il quale prevede per il 2009 un tasso di occupazione al 57,3 per cento.

 

Per il 2010, l’OCSE prevede una ulteriore contrazione.

 

Nell’Area euro l’occupazione si attesterebbe al 63,9 per cento, con una riduzione rispetto al 2009 di 1,7 punti percentuali.

In Italia il tasso di occupazione è previsto scendere di ulteriori 1,1 punti percentuali rispetto al 2009, al 57,0 per cento.

Il DPEF 2010-2011 prevede per il 2010 un tasso di occupazione pari al 57,2 per cento.

 

Tabella 1.5

Tasso di occupazione – Confronti internazionali

(in % della forza lavoro)

Occupazione

Consuntivo

Previsioni
OCSE

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

Italia

54,8

55,9

56,7

57,5

57,4

57,5

58,4

58,7

58,7

58,1

57,0

Francia

62,1

62,8

63,0

64,0

63,7

63,9

63,8

64,6

65,2

62,7

61,4

Spagna

56,3

57,8

58,5

59,8

61,1

63,3

64,8

65,6

64,3

60,8

58,8

Germania

65,6

65,8

65,4

65,0

65,0

66,0

67,5

69,4

70,7

73,0

70,7

AREA EURO

61,7

62,2

62,4

62,7

63,1

63,8

64,8

65,7

66,1

65,6

63,9

 

Fonte:  Per i consuntivi, Eurostat. Per l’Italia, dati ISTAT. Per le previsioni, OSCE, Economic Outlook – Preliminary Edition, di giugno 2009.

 

Come evidenzia la BCE, - che nel bollettino mensile di giugno e di luglio si è pronunciata sui dati del mercato del lavoro nell’area euro relativi al primo quadrimestre dell’anno in corso- i dati relativi all’andamento del mercato del lavoro nell’attuale situazione di crisi debbono essere letti alla luce del fatto che la dinamica dell’occupazione normalmente risponde in ritardo alle oscillazioni del ciclo economico, mentre l’intervallo temporale di risposta varia da settore a settore.


1.4 Le prospettive dell’economia italiana

Alla base delle previsioni macroeconomiche il Documento rileva come l’impatto della crisi abbia avuto effetti di segno diverso in relazione alle caratteristiche strutturali del sistema economico nazionale.

 

La caduta degli scambi internazionali e la riduzione degli investimenti hanno avuto un forte impatto sull’attività produttiva, stante la propensione all’esportazione delle imprese nazionali ed il notevole peso dell’industria manifatturiera sul valore aggiunto.

Una dinamica simile è stata registrata anche in altri paesi a forte vocazione esportatrice, come ad esempio la Germania.

A pesare sull’andamento degli investimenti sono stati alcuni effetti indiretti della crisi, quali il basso livello di utilizzo della capacità produttiva, la diminuzione della profittabilità delle imprese e l’inasprimento delle condizioni del credito bancario.

 

D’altra parte, il documento sottolinea come l’economia italiana si presenti meno esposta ai fattori specifici della crisi finanziaria, grazie ad alcune caratteristiche strutturali quali:

§      il ridotto indebitamento delle famiglie rispetto alla media dell’area dell’euro;

§      la minore vulnerabilità del settore immobiliare;

§      una redditività (ROE) del settore bancario che nel 2008 è risultata superiore agli altri paesi dell’area dell’euro, nonostante una riduzione rispetto all’anno precedente e, in generale, una maggiore solidità del sistema bancario nazionale il quale, pur necessitando di interventi di ricapitalizzazione, non è stato colpito dalle gravi crisi che si sono verificate in molti altri paesi.

 

A fianco di tali fattori, il Documento menziona altresì il progressivo miglioramento, nel periodo 1995-2007, del debito aggregato – ossia della somma del debito del settore pubblico e di quello privato - che ha consentito all’Italia di posizionarsi, a fine periodo, al di sotto della media dei principali paesi europei.

 

Il grafico che segue mostra il confronto del debito aggregato tra alcuni paesi europei nel 2007.

 

Grafico 1.4

Fonte: DPEF 2010-2013. Elaborazioni su dati EUROSTAT e Commissione europea

 

Nel formulare le previsioni macroeconomiche il DPEF evidenzia quindi i segnali positivi e, nel contempo, i fattori di rischio per le prospettive di crescita dell’economia italiana.

Nell’ambito dei primi vengono annoverati:

l’allentamento delle tensioni sui mercati finanziari;

la tendenza alla ripresa dei corsi azionari rispetto ai minimi registrati nella prima metà del marzo scorso;

la riduzione dei differenziali di interesse rispetto ai tassi di riferimento.

Altri segnali positivi provengono altresì da alcuni indicatori qualitativi; in proposito il documento cita l’indicatore anticipatore elaborato dall’OCSE (Composite Leading Indicator), che sembra prefigurare una inversione del ciclo economico, nonché l’indice di fiducia delle imprese manifatturiere elaborato dall’ISAE e l’indicatore degli acquisiti delle PMI, anch’essi in miglioramento, pur restando su valori storicamente bassi. Tra gli indicatori reali, si evidenzia, inoltre, l’attenuazione del calo della produzione industriale, la quale, pur continuando a contrarsi a ritmi sostenuti su base tendenziale, ha registrato nel mese di aprile un primo recupero (1, 2 per cento), per poi stabilizzarsi nel mese di maggio.

 

Tra le incognite per le prospettivedi ripresa economica il documento sottolinea due principali fattori di rischio, quali:

§      la possibilità di una retroazione negativa dall’economia reale al sistema finanziario, la quale potrebbe alimentare un deterioramento della qualità del credito, peraltro già manifestatosi lievemente negli ultimi mesi sia per le famiglie che per le società non finanziarie, stante l’aumento, registrato dal novembre scorso, del rapporto tra sofferenze e credito concesso;

§      il sensibile deterioramento del mercato del lavoro nelle economie più industrializzate (cfr. oltre).

 

 


2. Il quadro di finanza pubblica

Il Documento di programmazione economico-finanziaria per il 2010-2013 aggiorna il quadro di finanza pubblica per il 2009 e per il quadriennio successivo, rispetto alle previsioni presentate in aprile con la Relazione unificata per l'economia e la finanza (RUEF).

Il conto economico delle pubbliche amministrazioni riflette, per il 2009, l'ulteriore peggioramento del quadro macroeconomico, mentre per il quadriennio successivo prospetta il superamento della fase acuta della crisi economica, evidenziando un miglioramento graduale dei parametri di finanza pubblica.

Nel 2009 l'indebitamento netto tendenziale è previsto pari al -5,3 per cento del PIL (-81,3 miliardi), con un peggioramento di -2,6 punti di PIL rispetto al valore registrato nel 2008 (cfr. tabella 2.2)[5]. Negli anni successivi il rapporto tendenziale tra indebitamento netto e PIL si mostra in riduzione, pari a -5 per cento nel 2010, -4,4 nel 2011, -4,1 nel 2012 e -3,8 nel 2013.

 

Il miglioramento dell’indebitamento netto tendenziale sembrerebbe principalmente riconducibile alle previsioni di crescita del prodotto interno lordo sottostanti alla costruzione del conto economico delle PA, che si riflette sull'avanzo primario attraverso la dinamica delle entrate.

Esso riflette, altresì, il criterio di costruzione delle previsioni basate su ipotesi a legislazione vigente; per alcune voci di spesa, in particolare, (reddito da lavoro dipendente, per la componente di rinnovo contrattuale; spesa in conto capitale; etc.) l’assenza di autorizzazioni su base permanente implica che le previsioni pluriennali a legislazione vigente presentino una dinamica decrescente, anche se non sempre corrispondente ad un criterio di continuità dell’azione pubblica.

Al fine di rappresentare in modo più completo il quadro tendenziale sarebbe utile affiancare al corrente quadro a legislazione vigente anche previsioni a politiche invariate. Tale elemento conoscitivo aggiuntivo consentirebbe di valutare meglio le eventuali esigenze di intervento necessarie per realizzare gli obiettivi programmatici.

 

L'avanzo primario tendenziale, pari al 2,4 nel 2008 e previsto negativo nel 2009 (-5.590 miliardi di euro, pari a -0,4 per cento del PIL), inizia il percorso di miglioramento nel 2010, registrando valori positivi crescenti (0,2 per cento nel 2010, 1,1 per cento nel 2011, 1,7 per cento nel 2012, 2,2 per cento nel 2013).

La spesa per interessi viene prevista in crescita, registrando un incremento di 1 punto sul PIL nel corso del periodo di programmazione (dal 5 per cento nel 2009 al 6 per cento nel 2013).

 

Rispetto alle previsioni presentate nella RUEF l'indebitamento netto tendenziale della PA mostra un peggioramento di -0,7 punti percentuali per il 2009, di -0,4 per cento nel 2010 e di -0,1 per cento nel 2011.

 

Si segnala che la differenza tra il quadro di previsione della RUEF (triennale: 2009-2011) e quello del DPEF (quadriennale: 2010-2013) non consente di sviluppare confronti per il 2012[6]. Sarebbe utile che i documenti infrannuali di aggiornamento delle previsioni presentassero la stessa prospettiva temporale dell'ultimo documento di programmazione deliberato.

 

Il peggioramento del saldo rispetto alle stime presentate in aprile deriva, dal lato delle entrate, alla revisione legata alla ulteriore modifica del quadro macroeconomico. Dal lato della spesa l'effetto di peggioramento è riconducibile principalmente agli effetti del disegno di legge di assestamento per il 2009, inclusi negli andamenti tendenziali del conto economico della PA[7]. Il quadro tendenziale presentato nel DPEF incorpora anche gli effetti del decreto legge a favore delle aree colpite dal terremoto in Abruzzo[8], che però, essendo un provvedimento a carattere compensativo, non dovrebbe incidere sui saldi .

Con riferimento al ddl di assestamento il DPEF specifica che il quadro tendenziale della PA incorpora gli effetti dell'assestamento e ricorda che tale provvedimento peggiora il saldo netto da finanziare del bilancio dello Stato per circa 37 miliardi, sottolineando che tale peggioramento era già in parte scontato nelle precedenti previsioni relative al conto economico della PA. Secondo le indicazioni del DPEF, l'assestamento determina un incremento dell'indebitamento netto della PA in rapporto al PIL di 0,3 punti percentuali.

 

Si ricorda che il ddl di assestamento per il 2009 dispone significativi incrementi di alcune dotazioni di competenza e di cassa del bilancio dello Stato. In particolare, vengono finanziati i Fondi per la riassegnazione dei residui perenti di parte corrente (1.000 milioni di euro in termini di competenza giuridica e cassa) e di parte capitale (4.000 milioni in termini di cp cassa), finalizzati ad accelerare i pagamenti dei crediti maturati dalle imprese nei confronti delle amministrazioni centrali; le dotazioni di cassa vengono incrementate per complessivi 18 miliardi circa[9], nell'ambito delle quali, in particolare, viene alimentato Fondo di riserva per l'integrazione delle autorizzazioni di cassa (5,5 miliardi).

 

Il quadro informativo presentato nel DPEF non consente di valutare pienamente gli effetti finanziari associati al ddl di assestamento[10]. Si ricorda che tale ultimo provvedimento - a differenza della maggior parte dei disegni di legge recanti nuovi oneri - non reca le valutazioni delle misure proposte in termini di fabbisogno e indebitamento netto.

 

Per meglio ricostruire l'effetto del ddl di assestamento sul conto economico della PA occorrerebbe disporre di una valutazione più dettagliata - in particolare, la scomposizione tra componenti di entrata e di spesa - del peggioramento di 0,3 dell'indebitamento netto associato al ddl di assestamento.

Quale metodo alternativo vengono confrontate le proposte operate con l'assestamento e la revisione delle previsioni tra RUEF e DPEF (cfr Tabella 2.1), tenendo conto che le previsioni del DPEF incorporano anche il decreto-legge a favore dell'Abruzzo e - probabilmente - altri elementi informativi emersi nei mesi intercorsi tra le due previsioni.

L'allineamento della revisione delle previsioni di entrata risulta non agevole, in quanto l'assestamento aggiorna un quadro finanziario basato sul quadro macroeconomico disponibile a settembre 2008, mentre il DPEF aggiorna le previsioni di entrata rispetto all'ultimo quadro disponibile, cioè aprile 2009. Il peggioramento del saldo netto del bilancio dello Stato riconducibile alle entrate (pari a -32 miliardi) è, quindi, già quasi completamente incorporato nel precedente quadro di previsione della PA. Si tratta di una difficoltà incrementata dal fatto che il bilancio dello Stato registra le sole imposte erariali di competenza dello Stato, mentre il conto della PA indica le entrate di tutti i soggetti facenti parte delle amministrazioni pubbliche; poiché le informazioni disponibili non articolano le previsioni tendenziali di entrata per sottosettori, non è possibile risalire alla parte della revisione operata con il DPEF riconducibile alle imposte erariali di competenza dello Stato.

Dal lato della spesa, il confronto tra proposte dell'assestamento e revisione delle previsioni rende esplicita l'importanza delle ipotesi adottate per valutare l'impatto dei maggiori pagamenti sul conto economico delle PA. Ad esempio, l'accelerazione dei pagamenti relativi a crediti di parte corrente sembrerebbe riflettersi in modo parziale sull'indebitamento netto (3,9 miliardi sulla competenza giuridica del bilancio dello Stato; 11 miliardi sulla cassa del bilancio dello Stato; 2,5 miliardi sulle spese correnti della PA), probabilmente scontando il fatto che parte di tale somme è stata già imputata sul conto economico (in corrispondenza dell'atto di impegno).

Dal lato della spesa in conto capitale, invece, l'accelerazione dei pagamenti dal bilancio dello Stato sembrerebbe implicare un impatto maggiore sull'indebitamento netto (4 miliardi sulla competenza giuridica del bilancio dello Stato, 6,5 miliardi sulla cassa del bilancio dello Stato; 3,8 miliardi circa sulla competenza economica delle Ap), riflettendo il fatto che tale categoria di spesa, in linea generale, si riverbera sul conto economico in corrispondenza dell'esborso di cassa.

 

Un ausilio alla comprensione degli effetti attesi dei finanziamenti aggiuntivi disposti con l'assestamento potrebbe venire dal conto consolidato di cassa del settore pubblico (SP), in relazione al quale non rileverebbe il diverso criterio di contabilizzazione delle operazioni tra assestamento e conto del SP, ma verrebbe registrato il solo effetto finanziario sul fabbisogno dell'accelerazione dei pagamenti. Purtroppo, il DPEF non rende disponibili le previsioni tendenziali aggiornate del settore pubblico, evidenziando il solo valore del fabbisogno in rapporto al PIL (pari a -6,1). La differenza con le previsioni presentate nella RUEF è pari a -0,6 punti di PIL, divario che peraltro incorpora anche la revisione della stima delle entrate.

Al fine di una compiuta valutazione delle scelte operate sarebbe pertanto utile che il Governo fornisse un quadro tendenziale a legislazione vigente non comprensivo dell’ assestamento, nonché un quadro tendenziale dei conti di cassa del settore pubblico. 

 

Tabella 2.1

Confronto tra assestamento e revisione delle previsioni RUEF - DPEF

 

Il DPEF 2010-2013 presenta un secondo quadro tendenziale che incorpora gli effetti del D.L. 78/2009, provvedimento adottato in senso anticrisi il 1 luglio 2009. Essendo il provvedimento compensato, il nuovo quadro evidenzia i medesimi saldi negli anni 2009-2012 e un lieve miglioramento nel 2013, con una diversa composizione delle voci interne al conto. Si ricorda che gli effetti incorporati nel quadro a legislazione vigente non tengono conto degli emendamenti approvati dalla Camera dei deputati.


 

Tabella 2.2

Principali aggregati - Confronto tra  DPEF 2010-2013 e RUEF  

Tabella 2.3

Conto della PA 2009-2011 - Confronto tra DPEF 2010-2013 e RUEF

 

Tabella 2.4

Conto della PA - DPEF 2010-2013 - Rapporti su PIL e variazioni percentuali

 


2.1 La spesa

Le previsioni per il 2009

 

Il DPEF aggiorna, rispetto al quadro presentato nella RUEF, le previsioni di spesa per l'anno in corso (si vedano le tabelle 2.2 e 2.3).

 

Nel 2009, le spese finali sono previste pari a 803.949 milioni di euro, in aumento di circa 5,7 miliardi rispetto alle stime presentate nella RUEF (798.213 milioni di euro). Le spese primarie scontano un aumento di 6,4 miliardi circa, passando da 721.798 milioni a 728.225 milioni nel quadro aggiornato. La spesa per interessi, pari a 75.724 milioni di euro, viene prevista, invece, in riduzione di circa 690 milioni rispetto alle precedenti previsioni (76.415 milioni).

Le revisione in aumento delle spese primarie è ascrivibile sia alla parte corrente, che spiega circa il 40 per cento della revisione complessiva, sia alla parte capitale. In particolare, le spese correnti primarie segnano un incremento di 2.551 milioni (da 657.728 a 660.279 milioni di euro), interamente ascrivibile alla revisione delle previsioni di spesa di consumi intermedi e delle altre spese correnti. Le spese in conto capitale sono stimate in aumento di 3.876 milioni rispetto alle precedenti previsioni (nella RUEF pari a 64.070 milioni di euro), con particolare riferimento agli investimenti fissi lordi e ai contributi in conto capitale.

 

Due sono i principali provvedimenti che - dal lato della spesa – influiscono sulla differenza di previsione tra la RUEF e il DPEF: il decreto legge a favore delle aree colpite dal terremoto in Abruzzo[11] e il disegno di legge di assestamento per il 2009. Il primo, a carattere compensativo, porta ad una ricomposizione del conto economico della PA; il secondo dispone – come più approfonditamente descritto nel paragrafo precedente - significativi incrementi di alcune dotazioni di competenza e di cassa del bilancio dello Stato.

 

Come già evidenziato, una valutazione più compiuta delle stime del conto economico della PA presentate nel DPEF 2010-2013 richiederebbero la presentazione del conto economico tendenziale al netto degli effetti stimati del disegno di legge di assestamento. Tale considerazione vale, in particolare, per le categorie di spesa dei consumi intermedi, delle altre spese correnti, degli investimenti fissi lordi e dei contributi agli investimenti.

Sarebbe, inoltre, opportuno acquisire indicazioni sulle ipotesi adottate per la costruzione delle stime per il 2009 (e sull’eventuale effetto sugli esercizi successivi) in relazione alla riprogrammazione delle risorse sul FAS, prevista dallo decreto legge a favore dell’Abruzzo (destinazione di risorse per la ricostruzione, tra 2 e 4 miliardi).

 

Esaminando nel dettaglio le singole componenti di spesa, relativamente ai redditi da lavoro dipendente, l'aggiornamento delle stime lascia  pressoché invariata (pari a 175.041 milioni) la stima di tale categoria di spesa. In rapporto al PIL, la spesa per redditi da lavoro dipendente, è pari all'11,5 per cento.

 

La previsione di spesa per consumi intermedi, stimata nel quadro aggiornato e pari a 132.572 milioni di euro, risulta, rispetto alle previsioni della RUEF, in aumento di 1.140 milioni di euro. In rapporto al PIL, la spesa per consumi intermedi del 2009 è pari all'8,7 per cento, scontando un incremento di 0,1 punti rispetto alle precedenti previsioni.

 

Per quanto riguarda la spesa per prestazioni sociali, il DPEF non opera alcuna revisione rispetto alle precedenti previsioni, mantenendo le stime per tale categoria di spesa pari a 291.280 milioni di euro. In rapporto al PIL, la previsione di spesa è pari a 19,1 per cento.

 

Con riferimento alle altre spese correnti l'aggiornamento delle stime per il 2009 rivede in aumento di 1.409 milioni tale categoria di spesa, che passa da 59.976 milioni a 61.385 milioni nel nuovo quadro di previsione. In rapporto al PIL la revisione segna un aumento di 0,1 punti, collocando le nuove stime al 4,0 per cento. 

 

Il DPEF indica per la sanità una spesa per il 2009 pari a 112.929 milioni di euro, in riduzione di 380 milioni rispetto alle precedenti previsioni (113.309 milioni). In rapporto al PIL, la spesa sanitaria risulta in linea con le previsioni precedenti per lo stesso anno e  pari al 7,4 per cento.

 

La nuova stima sconta gli effetti del D.L. 39/2009, recante interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici della regione Abruzzo, non presi in  considerazione dalla RUEF. In particolare, tale decreto-legge, disponendo alcune misure in materia di spesa farmaceutica, determina una riduzione netta della spesa sanitaria (e del livello di finanziamento del SSN cui concorre lo Stato) per 380 milioni di euro per l’esercizio in corso.

 

Relativamente agli investimenti fissi lordi l'aggiornamento delle stime colloca tale categoria di spesa a 39.176 milioni di euro, in aumento di 2.029 milioni rispetto alle stime precedenti (37.147 milioni). La spesa per investimenti fissi lordi segna, analogamente, un incremento in rapporto al PIL, passando dal 2,4 per cento nelle precedenti previsioni a 2,6 nel quadro aggiornato.

Per quanto riguarda i contributi agli investimenti,pari a 27.107 milioni nel quadro aggiornato, il DPEF stima un incremento di 1.568 milioni rispetto al precedente quadro di previsione (25.539 milioni di euro). In rapporto al PIL, tale spesa risulta pari all'1,8 per cento, in aumento di 0,1 punti rispetto al quadro precedente.

Con riferimento agli altri trasferimenti in conto capitale l'aggiornamento delle stime colloca tali spese a 1.663 milioni, segnando un aumento di 279 milioni rispetto all'analogo dato presentato nella RUEF (1.384 milioni).

 

Si ricorda che, nel confronto con l'esercizio precedente, l'evoluzione della spesa per gli investimenti fissi lordi risente, per il 2009, oltre che delle misure del ddl assestamento, anche della revisione della strategia relativa agli investimenti  immobiliari (valutati pari a +1,9 miliardi di euro nella RUEF).

 

 


Le previsioni di spesa per il quadriennio 2010-2013

 

Il DPEF presenta il quadro di previsione per la spesa per il periodo 2010-2013 (si vedano le tabelle 2.2 e 2.3).

 

Le spese finali sono previste pari a 805,7 miliardi di euro nel 2010, a 823,4 nel 2011, a 848,5 nel 2012 e a 874,2 nel 2013, evidenziando una crescita nel primo anno dello 0,2 per cento, del 2,2 per cento nel 2011 e del 3 per cento in ciascun esercizio del biennio successivo.

In particolare, le spese correnti primarie sono previste crescere in media nel quadriennio dell’1,9 per cento,  con un tasso di crescita che dallo 0,9 per cento nel 2010 passa al 2,7 per cento nel 2013.

La spesa in conto capitale segna, invece, una riduzione del -11,9 nel 2010 e del -5,6 per cento nel 2011, e un incremento rispettivamente dell'1,1 e dello 0,9 per cento nel 2012 e nel 2013.

Gli interessi passivi crescono del 5 per cento nel 2010, mostrando una dinamica più sostenuta negli anni 2011 e 2012 (pari all'11,6 e al 10,3 rispettivamente), per poi attestarsi su un valore pari al 6,2 per cento nel 2013.

 

La revisione delle stime, rispetto alla RUEF, e relativa al biennio 2010-2011, mostra un incremento delle spese primarie di 1.745 milioni nel 2010 e una riduzione di 152 milioni nel 2011. Relativamente al 2010, l'incremento delle spese primarie è in gran parte attribuibile alle spese in conto capitale (1.580 milioni) e, in minore entità, alle spese correnti (166 milioni). Nel 2011 si registra nuovamente un incremento delle spese in conto capitale (474 milioni), cui si accompagna una riduzione delle spese correnti (-627 milioni).

 

Come già evidenziato la differenza tra la proiezione triennale della RUEF (2009-2011) e quella quadriennale del DPEF (2010-2013) limita la possibilità di sviluppare confronti per il periodo di riferimento.

 

Si presenta di seguito una analisi sintetica con riferimento alle principali voci di spesa.

La spesa per i redditi da lavoro dipendente presenta, in valore assoluto, un andamento crescente nel quadriennio (la previsione di spesa passa, infatti, da 175.368 milioni nel 2010 a 180.157 nel 2013). La stima della spesa per le retribuzioni pubbliche è stata effettuata - come evidenziato nel DPEF - incorporando la corresponsione di arretrati per circa 700 milioni  e la concessione della sola indennità contrattuale a partire dal 2010, nonché tenendo conto di una riduzione del personale pubblico nel periodo di programmazione.

Rispetto alle precedenti previsioni, relative al 2010 e al 2011, il valore annuo si posiziona sostanzialmente sullo stesso livello (-83 milioni nel 2010 e -102 milioni nel 2011). In rapporto al PIL, la spesa per i redditi da lavoro dipendente evidenzia un profilo decrescente nel quadriennio, passando dall'11,3 per cento nel 2010 al 10,4 nel 2013.

 

Occorre osservare che le previsioni di spesa per redditi da lavoro dipendente presentate nella RUEF e confermate nel documento in esame scontavano, rispetto alle stime precedenti, una forte revisione al ribasso per ciascun anno del biennio 2010-2011. Nella RUEF non venivano fornite indicazioni circa le motivazioni alla base della revisione.

Sarebbe opportuna quindi l'esplicitazione delle ipotesi relative al'evoluzione della massa salariale, con evidenziazione della componente connessa con il numero dei dipendenti pubblici e di quella legata all'evoluzione monetaria delle retribuzioni.

 

Con riferimento alla spesa per consumi intermedi, le stime per il quadriennio 2010-2013 mostrano un profilo di crescita pari allo 0,5, all’1,4, al 2,8 e al 3 per cento in ciascun esercizio. Rispetto alle analoghe previsioni della RUEF, per il biennio 2010-2011, si evidenzia una modesta riduzione in valore assoluto su ciascun anno (- 83 milioni nel 2010 e - 399 milioni nel 2011). In rapporto al PIL, l'aggiornamento delle stime colloca la spesa per consumi intermedi in media all'8,4 per cento, in linea con il valore medio evidenziato nella precedenti previsioni.

Il DPEF indica che la dinamica della spesa per consumi intermedi viene stimata ipotizzando per il 2010 un tasso di crescita inferiore al PIL nominale e successivamente con un'elasticità implicita media rispetto al PIL nominale intorno allo 0,7 per cento.

 

La stima di crescita di questa categoria di spesa evidenzia nel quadriennio di riferimento e, soprattutto per gli anni 2010 e 2011, un profilo significativamente più basso di quello registrato nella media del periodo 2000-2007 (4,8 punti percentuali). Tale andamento, osservato anche nelle precedenti previsioni, potrebbe essere connesso con ipotesi specifiche relative all’andamento della spesa delle autonomie territoriali. La disponibilità del quadro tendenziale articolato per sottosettori aiuterebbe nell’analisi delle stime proposte.

 

La spesa per prestazioni sociali, per il quadriennio 2010-2013, risulta rispettivamente pari a 298.030, 306.670, 316.430 e 328.700 milioni di euro, con un tasso di variazione medio pari al 3,1 per cento. In particolare, le stime evidenziano un andamento crescente, in termini assoluti, e un valore nel quadriennio sostanzialmente costante in rapporto al PIL (la spesa per prestazioni sociali risulta in media pari al 19,1). La spesa pensionistica, che costituisce circa l'80 per cento della spesa per prestazioni sociali - stimata in relazione al numero di pensioni di nuova liquidazione, ai tassi di cessazione e alle regole di rivalutazione in base all'inflazione - evidenzia un trend crescente nel quadriennio (in media +3,4 per cento). Rispetto alle stime precedenti, l'aggiornamento interviene esclusivamente sulla previsione di spesa per il 2010, per la quale si osserva un incremento di circa 100 milioni.

 

Il DPEF propone nuove  stime del deflatore del PIL, in riduzione rispetto a quelle contenute nella RUEF di -0,1 punti percentuali sia nel 2010 che nel 2011. Tale revisione non sembra riflettersi nella previsione di spesa complessiva. Sarebbe utile avere una maggiore articolazione delle ipotesi relative alle nuove pensioni liquidate al netto delle cessazioni, evidenziando gli effetti della legislazione in materia di pensionamento anticipato (legge 243/2004, modificata nel 2007), che il documento indica come inclusi nella stima proposta.

 

Il DPEF presenta, inoltre, con riferimento al quadriennio 2010-2013, le previsioni per la spesa sanitaria, stimata pari a 114.719 milioni nel 2010, a 118.364 nel 2011, 122.769 nel 2012 e 127.677 milioni nel 2013. Tale evoluzione comporta il mantenimento dell’incidenza sul PIL al valore previsto per l’esercizio in corso (7,4 per cento). Relativamente all'incidenza della spesa sanitaria sulla spesa primaria le stime evidenziano un rapporto crescente, passando dal 15,8 nel 2010 al 16,6 per cento nel 2013.

 

La spesa sanitaria complessiva è prevista crescere sulla base di un tasso medio nel periodo pari al 3,1 per cento, in linea con il PIL nominale (+3,3 per cento). Tali stime tengono conto, come precisato dal Documento, dei criteri previsivi concernenti la spesa per il personale (incremento medio del 2,4 per cento), la spesa per acquisti di beni e servizi (in aumento in media del 5,3) e la spesa per prestazioni fornite da produttori in regime di mercato (incremento medio del 3,6)[12].

 

Al riguardo appare opportuno precisare che le previsioni della spesa sanitaria per il quadriennio 2010-2013 non includono gli oneri per i rinnovi contrattuali per il successivo biennio, per i quali si dovranno individuare le risorse necessarie.

 

Le previsioni scontano, infine, gli effetti delle misure di contenimento della spesa varate con le precedenti leggi finanziarie, nonché gli effetti delle manovre di contenimento dei costi previste dai Piani di rientro delle regioni in disavanzo strutturale.

 

Essendo a tal fine stimata, dalla RUEF, una riduzione dei costi complessivi pari a circa 2 miliardi per l'anno 2009, sembra opportuna, anche per la valutazione delle previsione di spesa sanitaria per gli anni successivi, l'acquisizione di un'informativa circa gli esiti dei Tavoli di verifica sull’andamento dei Piani 2008. Per quanto riguarda le Regioni non soggette ai Piani di rientro, appare opportuno un chiarimento alla luce delle recenti valutazioni dei Tavoli di verifica e di quanto disposto dall'art. 22 del decreto-legge 78 del 2009.

 

Per il quadriennio 2010-2013 le nuove stime evidenziano un profilo di crescita della spesa per investimenti fissi lordi, in riduzione dell' -11,3 e del -7 per cento rispettivamente nel 2010 e nel 2011, e in aumento del 2,9 e dell'1,3 per cento nel 2012 e nel 2013.  In seguito all'aggiornamento, le stime 2010-2011 risultano, rispetto agli analoghi dati indicati nella RUEF, in incremento rispettivamente di 857 milioni nel 2010 e 225 milioni nel 2011. In rapporto al PIL, la spesa per investimenti si attesta a 2 punti percentuali in media nel quadriennio.

Relativamente ai contributi agli investimenti, il nuovo quadro di previsione colloca tale categoria di spesa a 23.459, 22.765, 22.636 e a 22.783 milioni di euro rispettivamente per ciascuno degli esercizi 2010-2013. In particolare, tali spese sono stimate in riduzione nel 2010 (-13,5 per cento rispetto al 2009), mantengono un trend decrescente seppur meno marcato nel 2011 e nel 2012 (rispettivamente -3 e -0,6 per cento), per poi, segnare un leggero incremento nel 2013 (+0,6). Le nuove stime per il biennio 2010-2011 mantengono il profilo decrescente di evoluzione della spesa della RUEF (passando nel DPEF da 23.459 nel 2010 a 22.765 nel 2011), risultando in valore assoluto, rispetto alle stime precedenti, in aumento rispettivamente di 723  nel 2010, e  di 249 milioni nel 2011.

Con riferimento agli altri trasferimenti in conto capitale le nuove previsioni per il quadriennio 2010-2013 evidenziano, in valore assoluto, un profilo decrescente, passando da 1.637 milioni nel 2010 a 1.128 milioni di euro nel 2013 e mantenendosi costanti in rapporto al PIL (0,1 per cento). Rispetto alle stime precedenti per il biennio 2010-2011 non si evidenziano scostamenti.

Analogamente a quanto evidenziato per i consumi intermedi e per le altre spese correnti, l’evoluzione temporale delle stime per le categorie appena descritte (investimenti fissi lordi, contributi in conto capitale e altre spese in conto capitale) risente di alcuni fattori che incidono sul valore del 2009: in particolare, la revisione della strategia relativa agli investimenti  immobiliari (valutate nella RUEF pari a +1,9 miliardi di euro), nonché le misure del disegno di legge di assestamento.

Parte delle revisioni rispetto alla stima della RUEF per il 2010 e per il 2011 sembrerebbero riconducibili al decreto-legge a favore dell’Abruzzo. Occorrerebbe esplicitare, peraltro, quali effetti di tale provvedimento siano eventualmente scontati sugli esercizi successivi, 2012 e 2013. In tali anni, infatti, le categorie Investimenti fissi lordi e Contributi agli investimenti mostrano una crescita positiva, nonostante che le ipotesi a legislazione vigente dovrebbero comportare una riduzione di tali voci. Al fine di valutare le componenti di crescita, sarebbe opportuno acquisire le previsioni di tali categorie di spesa per sottosettori.

 

 


2.2 Le entrate

Le previsioni per il 2009

 

Le entrate finali delle PA, evidenziate nel conto economico tendenziale del DPEF 2010-2013, subiscono gli effetti di una ulteriore revisione negativa della stima del PIL nominale rispetto a quanto riportato nella RUEF[13] (si vedano tabelle 2.2 e 2.3). Questo documento ipotizzava, in aprile, una contrazione del PIL nominale del -2,8 per cento per il 2009, mentre nel DPEF la contrazione del PIL si attesta al -3,2 per cento. Il PIL reale subisce una revisione di 1 punto percentuale, passando da -4,2 nella RUEF a -5,2 nel DPEF.

La modifica delle ipotesi relative al prodotto interno implicano nel 2009 una riduzione di circa 4,5 miliardi nelle previsioni delle entrate correnti rispetto alla RUEF, spiegato per 2,6 miliardi da una discesa delle entrate tributarie, per circa 2,1 miliardi da minori contributi sociali e da un limitato aumento delle altre entrate correnti. Le altre entrate correnti aumentano di 0,3 miliardi. Per effetto di questi andamenti le entrate tributarie si collocano su un valore pari a 445.253 milioni di euro (29,3 per cento del PIL), mentre i contributi sociali assumono un valore pari a 214.359 milioni di euro (14,1 per cento del PIL). La pressione fiscale si riduce di 0,1 punti percentuali rispetto alle previsioni della RUEF,  attestandosi al 43,5 per cento del PIL.

Nell'ambito delle entrate tributarie le imposte dirette, pari a 237.492, risultano sostanzialmente stabili rispetto alla RUEF (-800 milioni circa), mentre le imposte indirette, pari a 207.283, sono stimate in calo di 1,8 miliardi circa. In rapporto al PIL le imposte dirette rimangono invariate rispetto alla RUEF, collocandosi al 15,6 per cento del prodotto, mentre le imposte indirette subiscono una variazione negativa dello 0,1 per cento, raggiungendo un valore pari al 13,6 per cento.

 

Rispetto al 2008 le entrate totali delle amministrazioni pubbliche sono stimate in discesa dell'1,3 per cento. Questo andamento deriva da una sostenuta contrazione delle entrate tributarie (-2,7 per cento)  e da una lieve discesa dei contributi sociali (-0,2 per cento circa).

All'interno del comparto delle entrate tributarie  la caduta del gettito risulterebbe spiegata, prevalentemente, dal calo delle imposte indirette (-3,8 per cento), mentre la riduzione delle imposte dirette risulterebbe più contenuta (-1,6 per cento).

Le entrate in conto capitale non tributarie sono previste, nel 2009 rispetto al 2008, in aumento di circa 3,1 miliardi (+101,6 per cento).

 

Come già evidenziato nel dossier sulla RUEF, la stima di questa categoria di entrate presenta elementi di estrema variabilità nella sequenza dei documenti di finanza pubblica.

Il dato di consuntivo per il 2008, pubblicato dall'Istat nel marzo 2009, risulta inferiore di -2,2 miliardi rispetto al valore previsto nella Nota Informativa nel febbraio 2009 per il medesimo esercizio. Tale diverso valore di consuntivo non sembrava però riflettersi sulle previsioni di aprile della RUEF, nella quale le entrate in conto capitale per il 2009 erano previste - rispetto a quanto riportato nella Nota informativa - in aumento di ulteriori 700 milioni. Il DPEF conferma sostanzialmente il valore riportato dalla RUEF, riducendo di soli 81 milioni la stima precedente.

Sarebbe opportuno che il Governo chiarisse le ipotesi metodologiche e informative sottostanti alla predisposizione della previsione di tale voce di entrata.

 

Il DPEF presenta le stime di entrata in base alla aggregazione economica per grandi categorie, senza evidenziare il dettaglio dei singoli tributi. Dall'analisi del disegno di legge di assestamento del bilancio per il 2009 - presentato al Parlamento il 30 giugno e basato su un quadro macroeconomico simile a quello adottato nel DPEF[14] - è possibile desumere le previsioni relative alle singole imposte erariali.

In base al ddl di assestamento il gettito dell'Ire (dato dalla somma degli accertamenti in via ordinaria e degli incassi da ruoli[15]) risulta in crescita dell'1,1 per cento tra il 2008 e il 2009. L'Ires è stimata in significativa diminuzione (-7,3 per cento), mentre le imposte sostitutive sono previste in calo del 5,6 per cento. Tale dinamica deriva da una marcata riduzione delle imposte sostitutive ricorrenti attenuata, però, dalla crescita del gettito delle imposte sostitutive non ricorrenti,  previste in sensibile aumento nel 2009, per effetto dell'imposta sostitutiva una tantum, relativa al riallineamento dei valori contabili aziendali secondo i criteri IAS (art.15 della L.2/2009). A seguito di questi diversi andamenti le imposte dirette erariali registrate nel bilancio dello Stato risulterebbero in diminuzione rispetto al 2008 dello 0,8 per cento.

In base all'assestamento la riduzione in valore assoluto delle imposte dirette erariali nel 2009 rispetto al 2008 risulta pari a -1,9 miliardi di euro; nel DPEF, le imposte dirette della PA del 2009 sono stimate in calo di circa 3,9 miliardi rispetto al valore registrato nel 2008.

 

La maggiore riduzione delle imposte dirette della PA potrebbe essere riconducibile ad una diversa dinamica della componente locale delle imposte dirette (si tratta, principalmente, delle addizionali locali all'IRE).

Il DPEF non riporta il quadro tendenziale per sottosettori e non è quindi possibile valutare l'andamento delle entrate di competenza delle autonomie territoriali al fine di completare l'analisi di coerenza tra le previsioni proposte nei due documenti esaminati.

Come già evidenziato in precedenti dossier[16], sarebbe opportuno che venissero fornite maggiori informazioni sulla dinamica del gettito delle imposte attribuite alle autonomie territoriali.

 

Relativamente al comparto delle imposte indirette, l'assestamento prevede, nel 2009, una riduzione dell'IVA pari al 3,5 per cento. L'insieme delle imposte di registro, bollo e sostitutiva sono previste in diminuzione dell'8 per cento, mentre l'imposta sugli oli minerali è stimata in riduzione del 2,8 per cento. Fra le imposte indirette l'unico tributo che farebbe riscontrare una variazione positiva è l'imposta sui monopoli prevista in crescita dell'3,3 per cento. Il totale delle imposte indirette erariali sconterebbe secondo quando riportato dall'assestamento una riduzione del 2,1 per cento. La riduzione, in valore assoluto, delle imposte indirette erariali, desumibile dall'assestamento, risulta pari a 4,1 miliardi di euro, mentre le imposte indirette della PA sono stimate, nel DPEF, in calo di circa 8,2 miliardi.

 

Anche in questo caso l'assenza di informazioni per sottosettore non consente di completare i raccordi tra bilancio dello Stato e PA; la divergenza osservata potrebbe essere in parte spiegata da una significativa contrazione dell'IRAP. Si ricorda che nel 2008 il gettito IRAP è diminuito di oltre tre miliardi di euro rispetto all'anno precedente.

 

Le previsioni di entrata per il quadriennio 2010-2013

 

Negli anni 2010-2013 le entrate finali delle amministrazioni pubbliche sono previste crescere ad un ritmo medio del 2,8 per cento annuo. Questa dinamica risulta ascrivibile ad un profilo di crescita che, secondo le previsioni, recupererebbe vigore a partire dal 2011, manifestando ritmi di incremento superiori al 3 per cento. Le entrate tributarie tornerebbero su un sentiero di crescita positivo, seppur lieve, già nel 2010 (+0,61 per cento), mentre negli anni successivi l'incremento risulterebbe pari al 3,45 per cento nel 2011, 3,92 per cento nel 2012 e 4,21 per cento nel 2013. 

Tali previsioni riflettono le ipotesi di crescita del PIL nominale che viene rivisto al rialzo nel DPEF, rispetto alle ipotesi della RUEF, di 0,2 punti percentuali nel 2010 e di 0,7 punti percentuali nel 2011. Alla luce di queste correzioni il tasso di crescita del PIL nominale si collocherebbe all' 1,9 per cento nel 2010 (1,7 nella RUEF) e al 3,6 per cento nel 2011 (2,9 nella RUEF).

 

Rispetto alle stime presentate nella RUEF il quadro presentato nel DPEF relativo alle entrate tributarie vede una riduzione di 2,9 miliardi nel 2010, dovuta, in particolare, all'effetto della correzione subita dalla base 2009, soggetta alla revisione al ribasso del PIL nel medesimo anno. Nel 2011 invece, si osserva un miglioramento rispetto alle previsioni della RUEF, frutto del rialzo della stima di crescita del PIL nominale, che passa dal 2,9 per cento della RUEF al 3,6 per cento.

 

Come già evidenziato, la differenza tra la proiezione triennale della RUEF (2009-2011) e quella quadriennale del DPEF (2010-2013) limita la possibilità di sviluppare confronti per il periodo di riferimento.

 

Analizzando l'evoluzione delle componenti delle entrate tributarie nel quadriennio, si osserva che le imposte dirette rimangono sostanzialmente stabili nel 2010, mentre a partire dal 2011 si incrementerebbero ad un ritmo di poco superiore al 4,1 per cento, per poi raggiungere un crescita percentuale pari al 5,2 per cento nel 2013. Le imposte indirette tornerebbero su un sentiero di crescita positivo già dal 2010 (+1,4 per cento), per poi mostrare una dinamica di crescita più contenuta delle imposte dirette, che le condurrebbe ad incrementarsi del 2,8 per cento come media annua del periodo 2011-2013.

I contributi sociali sono previsti in aumento dell'1,5 per cento nel 2010 e del 3,1 per cento in media nel periodo 2011-2013.

 

In rapporto al PIL le imposte dirette scenderebbero di 0,3 punti percentuali nel 2010, collocandosi su un valore pari al 15,3 per cento, per poi ritornare a crescere negli anni successivi ad un ritmo superiore a quello del prodotto e raggiungere quota 15,8 per cento nel 2013. Le imposte indirette in rapporto al PIL nominale sono previste invece in costante riduzione. Esse sono stimate passare dal 13,6 per cento del prodotto nel 2010 al 13,2 per cento nel 2013. I contributi sociali si ridurrebbero nel corso del quadriennio considerato di 0,2 punti percentuali passando dal 14 per cento del prodotto nel 2010 al 13,8 nel 2013.

 

Per l'effetto combinato delle diverse dinamiche la pressione fiscale scenderebbe dal 43 per cento nel 2010 al 42,8 per cento nel 2011, mantenendosi stabile negli anni successivi

 

La dinamica negativa delle imposte dirette nel 2010 può risultare ascrivibile a due fattori: in primo luogo, sebbene già dal 2010 la crescita del PIL sia stimata tornare su un sentiero positivo, l'occupazione è prevista in diminuzione di ulteriori 0,2 punti percentuali. Ciò deriva dal fatto che l'occupazione è una variabile che risponde con un certo ritardo temporale alle variazioni del ciclo economico.  La riduzione nel numero di occupati potrebbe incidere sulla crescita dell'IRE, per effetto della limitata espansione del monte salari. In secondo luogo, rileva nella previsione per il 2010 il venire meno delle imposte sostitutive una tantum sul riallineamento dei valori aziendali secondo i criteri IAS, che contribuiscono per 2,8 miliardi alla crescita delle imposte dirette nel 2009.

Negli anni successivi la crescita del prodotto e la ripresa dell'occupazione, previste nel quadro macroeconomico del DPEF, spiegherebbero la dinamica, di nuovo sostenuta, delle imposte dirette.

 

Il DPEF riporta che il valore medio (per il periodo 2009-2013) dell'elasticità per la stima delle entrate tributarie adottata è pari a 0,9.

 

Il valore dell'elasticità media del periodo non permette di cogliere, né la dinamica annuale dell'elasticità, né le differenze fra l'elasticità delle imposte dirette e quella delle imposte indirette.

L'importo dell'elasticità media indicato nel DPEF sembrerebbe, in effetti, corrispondere all'elasticità media, per il periodo 2009-2013, delle entrate tributarie al netto degli effetti delle manovre legislative, calcolato sulla base delle previsioni di crescita del Pil e di variazione delle entrate desumibili dalle previsioni[17].

Esaminando i valori calcolati per i singoli esercizi le previsioni di entrata del DPEF implicherebbero un'elasticità che tende ad aumentare nel periodo 2009-2013, passando dallo 0,9 del 2009 al 1,1 del 2013.

Ciò risulterebbe coerente con le analisi condotte a livello internazionale, in base alle quali l'elasticità si riduce in periodi di bassa crescita del prodotto, periodi nei quali appunto la reattività delle imposte rispetto alla variazione del PIL risulta inferiore. In fasi di crescita del prodotto più sostenuta, l'elasticità delle imposte di breve periodo risulta maggiore rispetto alla media di lungo periodo.

 

Relativamente alle imposte dirette, l'elasticità, calcolata sulla base delle previsioni indicate nel DPEF, al netto degli effetti delle misure legislative, presenterebbe un valore sempre crescente nel periodo di previsione 2010-2013[18]

Come evidenziato dal grafico 2.2.1, il valore dell'elasticità passerebbe da 0,91 nel 2010 a 1,34 nel 2013. Il valore del 2010 riflette  una crescita del PIL nominale dell'1,9 per cento, cui corrisponderebbe una crescita delle imposte dirette (al netto degli effetti delle misure legislative e delle una tantum) dell'1,7 per cento. Nel 2013, invece, a fronte di una crescita del PIL nominale del 3,9 per cento, le imposte dirette crescerebbero in misura più che proporzionale (5,2 per cento).

Con riferimento alle imposte indirette - categoria che nel 2009 ha fatto registrare una riduzione del gettito superiore a quella del PIL nominale - le stime del DPEF implicherebbero un'elasticità  piuttosto stabile nel periodo 2010-2013 e inferiore all'unità (grafico 2.2.2).

 

 


Grafico 2.2.1

Analisi dell'elasticità per le imposte dirette - Anni 2010-2013

 

Grafico 2.2.2

Analisi dell'elasticità per le imposte indirette - Anni 2010-2013

2.3 Le previsioni tendenziali post D.L. 78/2009 per il 2009-2013

Il DPEF presenta il quadro tendenziale di finanza pubblica per il 2009-2013 integrato con gli effetti del D.L. 78/2009. Il nuovo quadro evidenzia gli effetti di una serie di interventi che - seppur provocando una ricomposizione delle voci interne al conto - non incidono sul livello di indebitamento per gli anni 2009-2012, determinando solo nel 2013 una marginale riduzione del deficit per effetto di maggiori entrate tributarie e lievi minori esborsi per prestazioni sociali. La tabella 2.3.1 evidenzia le differenze tra i due quadri di previsione.

 

Tabella 2.3.1

Differenze tra i quadri tendenziali pre e post D.L. 78/2009

 

Le previsioni di entrata

 

Dal lato delle entrate il D.L. n.78/2009 produce variazioni delle previsioni delle entrate finali delle PA per l'intero quinquennio di previsione. Le entrate tributarie aumentano, negli anni 2009 e 2010, rispettivamente di 300 milioni e 600 milioni di euro; si riducono, nel 2011, di 62 milioni per poi registrare un incremento di 1.757 milioni per il 2012 e il 2013. 

In particolare, le imposte dirette risentono principalmente della disposizione relativa alla detassazione degli investimenti in macchinari, misura che - a causa del meccanismo saldo-acconto - influenza la dinamica del gettito di tale categoria di imposte, che aumenta di 223 milioni nel 2009 e si riduce nei due anni successivi, rispettivamente di 500 milioni e 1.156 milioni di euro. Nel 2012 andando ad esaurirsi per la quasi totalità gli effetti di gettito della suddetta norma, le imposte dirette registrano un aumento di 732 milioni di euro, importo che si mantiene stabile nell'anno successivo.

Per le imposte indirette il decreto causa nel 2009 un aumento delle entrate di 89 milioni, mentre per gli anni successivi l'incremento di gettito si colloca su un valore di poco superiore a 1 miliardo di euro.

Per effetto della norma che prevede il recupero rateizzato dei versamenti tributari e contributivi, sospesi per le popolazioni colpite dal sisma dell'Abruzzo, i contributi sociali diminuiscono di 240 milioni nel 2009, per poi registrare un aumento di gettito di 120 milioni di euro nel 2010 e nel 2011.

Da segnalare nel 2009 l'incremento delle altre entrate correnti legato alle disposizioni connesse con le nuove concessioni sui giochi.

 

Le previsioni di spesa

 

Le previsioni tendenziali della spesa delle PA con gli effetti del DL n. 78/2009 segnano, rispetto al quadro tendenziale, un incremento di 571 e 763 milioni rispettivamente nel 2009 e nel 2010, una riduzione di 37 milioni nel 2011, un aumento di 1.526 milioni nel 2012 e una riduzione di 498 milioni nel 2013.

Gli effetti del DL incidono sulle previsioni di spesa primaria in ciascun anno del periodo di riferimento (rispettivamente di 571 milioni nel 2009, 818 nel 2010, 58 nel 2011 e 1.757 nel 2012), ad eccezione del 2013, in cui si evidenzia una riduzione di 50 milioni di euro. Le previsioni di spesa per interessi passivi rimangono, invece, invariate nel 2009 e segnano una riduzione, rispetto al quadro tendenziale, negli esercizi successivi, con riduzioni di 55 milioni nel 2010, 95 milioni nel 2011, 231 milioni nel 2012 e di 448 milioni nel 2013.

 

Il miglioramento della spesa per interessi desumibile dal confronto tra i due quadri di previsione non sembra direttamente riconducibile ad una misura disposta dal DL. Gli effetti di tali misure sul primario, riepilogati nella tabella III.5, risultano infatti compensati; il richiamato miglioramento degli interessi produce quindi una riduzione dell'indebitamento netto. Sarebbe utile acquisire chiarimenti dal Governo sulle ipotesi sottostanti a tale revisione.

 

Con riferimento alla parte corrente le spese primarie aumentano nel 2009 (514 milioni) e nel 2010 (11 milioni), mentre si riducono limitatamente negli anni successivi. L'incremento osservato nel 2009 è interamente attribuibile agli effetti della disposizione di proroga delle missioni di pace (510 milioni), che ha effetto sui consumi intermedi. La riduzione nel triennio 2011-2013 risulta, invece, da minori autorizzazioni di spesa per altre prestazioni sociali (30 milioni nel 2010 e 50 milioni in ciascuno dei due anni successivi).

Le spese in conto capitale, per effetto del decreto-legge, aumentano in ciascun anno del quadriennio 2009-2012, mentre rimangono invariate nel 2013. Nel 2010 si evidenzia l'incremento di circa 800 milioni di euro, di cui 573 milioni riferiti ai contributi in conto capitale, tra i quali rientra, ad esempio, l'incremento del fondo per la compensazione degli effetti finanziari per 289 milioni. Infine, nel 2012, l'incremento di circa 1,8 miliardi, risulta ascrivibile all'effetto congiunto di incremento degli investimenti fissi lordi per circa 1,9 miliardi e della riduzione per 100 milioni degli altri trasferimenti in conto capitale.

 

L'incremento di 1,9 miliardi osservato nel 2012 sembrerebbe attribuibile all'integrazione del fondo interventi strutturali di politica economica, che risulta classificato nel bilancio dello Stato tra le spese di parte corrente (cap. 3075). La registrazione dell'impatto nell'ambito della parte capitale del conto della PA lascerebbe supporre che si ipotizzi una destinazione di tale fondo rivolta alla parte capitale. Sarebbe utile che il Governo fornisse indicazioni maggiori sulle ipotesi che hanno portato a contabilizzare gli effetti del finanziamento di tale fondo.


2.4 Il quadro programmatico

Il DPEF presenta il quadro programmatico per l’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni e per gli altri saldi di finanza pubblica (cfr. tabella 2.4.1).

Per l’indebitamento netto delle PA, il quadro programmatico conferma l’assenza di manovra correttiva per il 2010 e la ripresa del percorso verso l’obiettivo di medio termine a partire dall’esercizio successivo, in coerenza con le aspettative di miglioramento del contesto economico. Sono indicati interventi di riduzione del saldo primario per 0,4 punti di Pil nel 2011 e di ulteriori 0,8 punti nel 2012. Contribuisce all’obiettivo la previsione di riduzione della spesa per interessi per 0,1 per cento nel 2011 e nel 2012.

L’indebitamento netto programmatico in rapporto al Pil è quindi nel 2010 uguale al valore tendenziale (-5,0 per cento), per poi presentare un percorso di discesa negli esercizi successivi (-4,0 per cento nel 2011, -2,9 per cento nel 2012, -2,4 per cento nel 2013).

 

Tabella 2.4.1

DPEF 2010-2013 - Valori programmatici


Si ricorda che, lo scorso anno, l'emanazione del decreto legge n. 112 del 2008 contestualmente al DPEF 2009-2013 consentì di includere nel DPEF stesso l'intero conto economico programmatico, articolato per voci di spesa (cd. "triennalizzazione della manovra"). Nessuna componente degli obiettivi programmatici era rinviata a manovre future.

Il quadro programmatico attuale vede nuovamente indicata (come nei documenti di programmazione degli anni precedenti) una manovra correttiva dei saldi tendenziali, espressa in termini percentuali sul PIL. Il documento in esame non presenta l’articolazione della manovra in termini di entrate e spese, né contiene informazioni sulla composizione del saldo programmatico (es. pressione fiscale, spese correnti su PIL, etc.).

Tale quadro informativo rende difficile comprendere le scelte di policy sottostanti al quadro programmatico, come anche valutare la potenziale efficacia dell’azione di contenimento.

 

 

 

Al fine di realizzare il quadro programmatico, il documento precisa che si interverrà con una azione di contenimento della spesa primaria corrente e con “…misure che non comportino un incremento della pressione fiscale a carico di settori economici che operano nel pieno rispetto delle regole fiscali e che non riducano il livello dei servizi alla collettività, ma puntino all’ottimizzazione dell’impiego delle risorse..” (pag. 29).

Tra gli ambiti di intervento sulla spesa il DPEF cita una serie di misure, da attuare anche in via amministrativa, che possono generare economie di spesa, quali il completamento del risanamento delle regioni che presentano un disavanzo sanitario, una rigorosa attività di individuazione dei costi standard dei servizi, soprattutto nell’ambito del federalismo fiscale, la diffusione delle best practices. Nell’ambito del confronto con le parti sociali viene prospettata la possibilità di un contenimento della spesa pensionistica; mentre, in concertazione con le confederazioni sindacali, verranno definite le risorse da destinare agli incrementi salariali e la eventuale quota della contrattazione integrativa.

 

Tali indicazioni qualitative non permettono di valutare compiutamente il quadro programmatico.

Dal punto di vista della pressione fiscale l’indicazione di non aumentare la pressione a carico dei settori che operano nel rispetto delle regole non consente di evincere cosa avverrà per il complesso dell’economia. Il risultato complessivo dipende dalla destinazione delle maggiori entrate attese dal preannunciato rafforzamento delle azioni di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale: se si predisporrà la riduzione del prelievo a favore dei settori “rispettosi delle regole”, la pressione fiscale rimarrà invariata; se si aumenterà la spesa, la pressione fiscale si innalzerà nella misura del recupero di entrate.

 

Dal lato della spesa, il paragrafo III.6 sottolinea l’importanza delle infrastrutture materiali e dell’investimento in capitale umano, ma gli elementi quantitativi disponibili non danno indicazioni sul livello e sulla composizione della spesa programmatica in conto capitale. Al medesimo quadro programmatico potrebbero corrispondere situazioni estremamente differenziate, dalla conferma delle disponibilità a legislazione vigente (ma molti stanziamenti in conto capitale richiedono di essere rifinanziati), allo stanziamento di risorse aggiuntive rispetto a quelle disponibili (a fronte del quale dovrebbero essere rafforzate le misure di contenimento sulle altre voci di bilancio).

Le misure prospettate in relazione alla spesa corrente continuano sulla linea della razionalizzazione intrapresa con la spending review e rafforzata, nell’ambito della delega sul federalismo fiscale, con l’indicazione della definizione di costi standard e di best practices, ma non vengono specificate in termini più concreti, soprattutto con riferimento ad obiettivi quantitativi di contenimento annuale.

Tale aspetto risulterebbe particolarmente rilevante per i soggetti istituzionali coinvolti nella gestione delle risorse pubbliche.

 

All’articolazione della manovra programmatica dovrebbe, infine, essere associata la presentazione di una elencazione degli impegni a politiche invariate (rinnovi contrattuali, contratti di servizio, impegni internazionali, etc.), in assenza delle quali il quadro di programmazione - ancorché articolato - non renderebbe pienamente l’onere dell’azione di contenimento richiesta in via programmatica.

 

Con riferimento ai saldi di cassa il fabbisogno programmatico del settore statale e del settore pubblico riflettono l’assenza di manovra correttiva per il 2010 e di un percorso di miglioramento nell’arco del periodo di programmazione. In particolare, il fabbisogno programmatico del settore pubblico è pari a -4,9 nel 2010, -3,8 nel 2011, -2,5 nel 2012 e -1,7 nel 2013.

 

Le limitate informazioni relative ai conti di cassa non consentono di sviluppare analisi, anche di raccordo tra saldi di finanza pubblica. Si rileva che il miglioramento dei saldi programmatici di cassa rispetto ai tendenziali (sia del SS che del SP) risulta  maggiore rispetto a quella dell'indebitamento netto delle PA.

 

Per il bilancio dello Stato il quadro programmatico prevede che il saldo netto da finanziare, al netto delle regolazioni debitorie e contabili, sia non superiore a 61,4 miliardi per il 2010, 48,1 miliardi per il 2011, e 40,6 miliardi per il 2012.

 

Risulta quindi difficile valutare l’indicazione programmatica riferita al bilancio dello Stato, poiché non si dispone dell’articolazione per il quadriennio 2010-2013 del quadro tendenziale relativo al bilancio dello Stato.

I saldi del bilancio pluriennale programmatico per il 2010 e 2011, contenuti nel bilancio 2009, sono pari a -16,5 e -3,1 milioni di euro rispettivamente, ma si riferiscono ad un quadro di previsione obsoleto, soprattutto dal lato delle entrate.

La previsione di saldo netto da finanziare (al netto delle regolazioni contabili e debitorie) relativa al 2009, come emerge dal ddl di assestamento, risulta pari a 69,7 milioni di euro; la previsione programmatica relativa al 2010 sconta quindi un forte miglioramento del quadro finanziario pubblico.

 

 


3. I saldi strutturali

Il DPEF 2010-2013 presenta gli indicatori delle variabili macroeconomiche e di finanza pubblica rilevanti per la stima del saldo di bilancio strutturale, cioè al netto delle misure una tantum e degli effetti del ciclo economico[19]. Esso aggiorna, altresì, gli obiettivi programmatici dei saldi strutturali per il periodo 2010-2013, tenuto conto del mutato quadro macro-economico internazionale e interno.

 

Gli indicatori strutturali consentono di confrontare le indicazioni programmatiche del DPEF con quanto prescritto dal Patto di Stabilità e Crescita (PSC).[20]

 

La Tabella 3.1 riporta le variabili macroeconomiche inserite nel DPEF e le analoghe variabili contenute nella RUEF 2009, nell’Aggiornamento del Programma di stabilità, nel DPEF 2009-2013 e nella relativa Nota di Aggiornamento. Si nota che un confronto omogeneo è possibile solo con il DPEF 2009-2013 e la Nota di Aggiornamento, in quanto sia l’Aggiornamento del Programma di stabilità sia la RUEF hanno come orizzonte temporale il periodo 2009-2011.

Si osserva anzitutto che la crescita potenziale del PIL[21] viene rivista al ribasso nell’attuale DPEF. Le nuove stime di crescita del PIL potenziale riflettono il rallentamento della crescita effettiva del PIL e il peggioramento del quadro macroeconomico. Il potenziale di crescita è in media pari allo 0,54 per cento nel periodo 2009-2013, a fronte di una media pari all’1,22 per cento indicata, per lo stesso arco temporale, un anno fa nel DPEF 2009-2013. Il Governo sottolinea come la recessione potrebbe aver contribuito a ridurre sia il livello sia il tasso di crescita del prodotto potenziale rispetto alle stime precedenti.

Nel DPEF viene presentato un approfondimento analitico sulla crisi e il prodotto potenziale, nel quale si evidenzia come il prodotto potenziale si sia ridotto in media dello 0,6 per cento all’anno rispetto alle stime incorporate nella Nota di aggiornamento. Il 40 per cento di tale riduzione è attribuibile alla revisione al ribasso delle stime di crescita della produttività totale dei fattori, il 45 per cento alla riduzione del contributo dello stock di capitale, determinato a suo volta dalla riduzione degli investimenti, mentre la parte rimanente, 15 per cento, è dovuta al peggioramento delle stime sul tasso di disoccupazione strutturale.[22]   

 

Tabella 3.1

Variabili macroeconomiche e saldi strutturali: DPEF 2010-2013, Ruef 2009, Aggiornamento del Programma di stabilità, Nota di Aggiornamento al DPEF 2009-2013, DPEF 2009-2013.  

 

 

Con riferimento all’output gap il DPEFprevede un forte ampliamento rispetto alla Nota di aggiornamento, ma il peggioramento del ciclo è evidente anche rispetto alla RUEF 2009, ossia l’ultimo documento presentato dal Governo in ordine di tempo prima del DPEF 2010-2013. Per tutto il periodo considerato, secondo l’attuale DPEF, l’output gap si mantiene negativo, ma con una chiara tendenza alla diminuzione. Dal -4,4 per cento previsto sia per il 2009 sia per il 2010, l’output gap si riduce a -3,1 (2011), a -1,8 (2012) e a -0,6 per cento (2013).

Per il 2008, l’output gap viene ora ricalcolato al +1 per cento, contro lo -0,3 per cento della Nota di aggiornamento. Come sottolinea lo stesso DPEF, tale valore da un lato pone problemi interpretativi, e dall’altro evidenzia i limiti della metodologia adottata a livello europeo per la stima del potenziale. Infatti, la revisione delle previsioni di medio periodo influenza anche i valori passati, come appunto la stima dell’output gap per il 2008, a causa delle tecniche statistiche impiegate.

 

Il DPEF evidenzia un peggioramento dei saldi nominali e strutturali, rispetto ai precedenti documenti. Anche rispetto alla RUEF 2009 l’indebitamento netto nominale programmatico peggiora dello 0,7 per cento quest’anno e dello 0,4 nel 2010.

Il DPEF conferma il rinvio dell’obiettivo del pareggio del saldo di bilancio strutturale da raggiungere entro il 2011, indicato nei precedenti documenti programmatici, alla luce del mutato quadro macroeconomico internazionale ed interno.[23]Si ricorda che l’obiettivo di azzeramento del deficit strutturale previsto per il 2011 nella Nota di aggiornamento al DPEF presentata a settembre 2008 era già stato rinviato in occasione della Nota informativa e dell’Aggiornamento del Programma di stabilità, i quali indicavano per il 2011 un saldo ancora negativo (-1,7 per cento del PIL). Il Governo al riguardo precisava che l’aggravarsi della crisi e la conseguente maggiore criticità delle condizioni di finanza pubblica portavano ad un rinvio nel processo di aggiustamento, pur restando confermato l’impegno al conseguimento del pareggio di bilancio nel medio termine (MTO).

 

Il DPEF 2010-2013 evidenzia disavanzi strutturali programmatici in graduale riduzione, pari a -3,1 per cento nel 2009, -2,8 nel 2010,  -2,5 nel 2011, -2,1 nel 2012. Nel 2013 è previsto un leggero aumento a -2,2 per cento.  

Nella Nota di aggiornamento al DPEF 2009-2013, per ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013, era invece previsto un surplus strutturale pari allo 0,2 per cento del PIL. Il DPEF prevede per il quadriennio 2010-2013 una correzione strutturale complessiva pari a 0,9 punti percentuali di PIL, rispetto al 2 per cento previsto nel settembre 2008 dalla Nota di Aggiornamento.

 

Rispetto all’Aggiornamento del Programma di stabilità e in riferimento all’indebitamento netto strutturale si nota un peggioramento di 0,5 per cento nel 2009 e di 0,8 per cento sia nel 2010, sia nel 2011. Rispetto alla RUEF si ha un peggioramento nel 2009 (0,2), invarianza nel 2010, e un miglioramento di 0,4 nel 2011. Con riferimento al triennio 2009-2011, il DPEF prevede una correzione dello 0,9 per cento, rispetto allo 0,6 per cento della Ruef e all’uno per cento dell’Aggiornamento del Programma di stabilità.

 

Si osserva che il DPEF modifica il profilo delle misure una tantum rispetto alla RUEF. Il DPEF indica misure una tantum nette pari a zero sia per il 2009 sia per il 2011. Per gli anni 2010, 2012 e 2013 viene invece confermato il valore di 0,1 per cento del PIL derivante dalle dismissioni immobiliari operate in via ordinaria dalla AP. La rideterminazione dei valori per il 2009 e il 2011 dovrebbe essere una conseguenza degli interventi per l'Abruzzo.

 

Sarebbe utile in tal senso un chiarimento da parte del Governo.

 

Grafico 3.1

Indebitamento netto: un confronto tra DPEF 2010-2013, Ruef 2009, Aggiornamento del Programma di stabilità, Nota di Aggiornamento al DPEF 2009-2013 e DPEF 2009-2013

Fonte: DPEF 2010-2013, Ruef 2009, Aggiornamento del Programma di stabilità, Nota di Aggiornamento al DPEF 2009-2013, DPEF 2009-2013

 

 

Grafico 3.2

Indebitamento netto strutturale: un confronto tra DPEF 2010-2013, Ruef 2009, Aggiornamento del Programma di stabilità, Nota di Aggiornamento al DPEF 2009-2013 e DPEF 2009-2013

Fonte: DPEF 2010-2013, Ruef 2009, Aggiornamento del Programma di stabilità, Nota di Aggiornamento al DPEF 2009-2013, DPEF 2009-2013.

 

Un indicatore sintetico sulla direzione della politica fiscale, ossia degli interventi discrezionali di policy, è l’avanzo primario corretto per il ciclo e al netto delle una tantum.

L’avanzo strutturale per il 2008 è stato ricalcolato all’1,7 per cento, rispetto all’1,8 della RUEF, a seguito della nuova stima della componente ciclica del saldo di bilancio per il 2008, che è passata da 0,4 a 0,5 per cento. Si noti che nel 2009, in termini nominali, l’avanzo primario è negativo e pari a -0,4 per cento. In termini strutturali, considerata l’impatto nullo sul PIL delle misure una tantum, e una componente ciclica pari a -2,2, l’avanzo primario strutturale viene calcolato in +1,8 del PIL nel corrente anno. Il DPEF evidenzia un sentiero di progressivo consolidamento dell’avanzo strutturale, con valori pari a 1,8 per il 2009, 2,3 per il 2010, 3 per il 2011, 3,7 per ciascuno degli anni 2012 e 2013. Rispetto alla RUEF il sentiero di consolidamento è traslato verso il basso.[24]

 

La fiscal stance (ossia la direzione della politica di bilancio rispetto alla posizione dell’economia nel ciclo economico) può essere rappresentata graficamente. Le variabili utilizzate nell’analisi grafica sono riportate nella seguente Tabella 3.2.

 

Tabella 3.2

Output gap e avanzo primario corretto per il ciclo al netto delle una tantum

 

 

Il Grafico 3.3 confronta la variazione dell’avanzo primario strutturale con l’output gap. Il Grafico 3.3 si compone di quattro quadranti. Quello in alto a sinistra contiene i punti che rappresentano situazioni di restrizione fiscale e di ciclo economico negativo. In basso a sinistra, si posizionano le combinazioni di manovre espansive e ciclo economico negativo. I due quadranti a destra, corrispondenti a situazioni economiche favorevoli, illustrano, quello in alto, una politica fiscale restrittiva, quello in basso, una politica fiscale espansiva. La raffigurazione di una politica di bilancio anti-ciclica richiederebbe che la serie dei punti – che rappresentano, per ciascun esercizio, l’output gap e la variazione del saldo primario strutturale – si posizionasse nel quadrante in basso a sinistra e in quello in alto a destra.[25]

Grafico 3.3

Fiscal stance e output gap, DPEF 2010-2013

Fonte: elaborazione su dati DPEF 2010-2013

 

Passando all’esame della politica di bilancio, così come delineata dal DPEF, si nota che nell’anno corrente ad una posizione negativa nel ciclo corrisponde una leggera restrizione della politica fiscale. L’avanzo primario strutturale infatti aumenta rispetto al 2008 dello 0,1 per cento.

Nel triennio 2010-2012 la politica fiscale diventa più restrittiva, ancorché pro-ciclica; l’avanzo primario strutturale cresce nei tre anni, rispettivamente, dello 0,5 per cento, dello 0,7 per cento e dello 0,7 per cento. L’output gap a partire dal 2011 tende a chiudersi, assumendo nel 2013 un valore pari a -0,6. Contemporaneamente al miglioramento del ciclo la politica fiscale nel 2013 diventa neutra (l’avanzo primario rimane costante rispetto all’anno precedente).

 

Occorre osservare tuttavia che i dubbi metodologici esposti in relazione alla rideterminazione dell'output gap per il 2008 a +1 per cento potrebbero coinvolgere anche il valore dell'avanzo primario strutturale per il 2008. Di conseguenza, la valutazione della posizione fiscale nel 2009 potrebbe non riflettere correttamente le azioni intraprese nel corso dell’esercizio.

 

Una valutazione più accurata si ottiene guardando alla combinazione dei punti che mette in relazione il miglioramento (peggioramento) del ciclo economico - misurato dalla variazione dell’output gap - con la variazione dell’avanzo primario strutturale (si veda il Grafico 3.4). Questo tipo di analisi ha assunto una valenza sempre più significativa nell’ambito della revisione del Patto di Stabilità e Crescita avvenuta nel 2005, che - rispetto all’impostazione originale del Patto - pone più attenzione alla dinamica del ciclo economico.

 

Grafico 3.4

Fiscal stance e variazione dell’output gap, DPEF 2010-2013

Fonte: elaborazione su dati DPEF 2010-2013

 

Nel Grafico si nota la leggera restrizione fiscale in fase di peggioramento del ciclo nel 2009 (l’avanzo primario aumenta di 0,1 per cento). Nel 2010, ad una posizione invariata nel ciclo rispetto al 2009, corrisponde una stretta fiscale (l'avanzo primario strutturale aumenta di 0,5). Nel 2011 e nel 2012 il ciclo migliora (l’output gap si riduce in entrambi gli anni, ma rimane negativo) e la politica fiscale diventa più restrittiva (l’avanzo primario aumenta di 0,7 per cento in entrambi gli anni). Infine nel 2013, ad un ulteriore miglioramento del ciclo, evidenziato dall’output gap che migliora di 1,2 per cento in termini di PIL, portandosi a -0,6 per cento, si accompagna una politica fiscale neutra (l’avanzo primario strutturale non varia rispetto all’anno precedente).

 

 


4. La spesa per interessi, il fabbisogno ed il debito pubblico

4.1 La spesa per interessi

La spesa per interessi delle amministrazioni pubbliche ammonta nella previsione tendenziale del DPEF 2010-2013, comprensiva degli effetti del decreto-legge n. 78 del 2009[26], a 75.724 milioni di euro per l’anno in corso, con una riduzione rispetto  al 2008 del 6,4 per cento.

Negli anni successivi, la spesa per il servizio del debito continuerebbe ad aumentare ad un tasso medio annuo dell’8,2 per cento raggiungendo nel 2013 la cifra di oltre 103 miliardi di euro ed una quota di Pil pari al 6 per cento, con un incremento di un punto percentuale rispetto al 2009.

Nel confronto con le previsioni della RUEF le stime mostrano una riduzione in valore assoluto della spesa per interessi per il  2009 e il 2010, anni nei quali l’effetto della riduzione dei tassi a breve e dell’inflazione sembrerebbe compensare le maggiori emissioni di debito.

 

Si segnala in proposito che, successivamente alla presentazione della RUEF, la BCE ha provveduto ad un’ulteriore riduzione di un quarto di punto del tasso di riferimento per le operazioni di rifinanziamento principali che, pertanto, dal 13 maggio 2009, si applica nella misura dell’1,00 per cento.

 

Nel 2011, ultimo anno in cui si dispone di entrambe le previsioni, tale effetto compensativo appare ridursi, in concomitanza con le aspettative di una ripresa dei tassi e dell’inflazione.

 

Lo stesso DPEF precisa che, nella previsione della spesa per interessi nei prossimi anni, a differenza della RUEF, sono state assunte curve dei rendimenti più ripide per i primi anni ed un incremento più sostenuto dei tassi a breve termine verso la parte finale dell’orizzonte temporale.

 

In rapporto al Pil, il confronto con le stime della RUEF non mostra alcuna variazione, salvo una leggera riduzione pari a 0,1 punti percentuali nel 2010, in relazione ad una stima di crescita del Pil nominale leggermente superiore a quella formulata in sede di Relazione unificata (1,9 per cento a fronte dell’1,7 per cento).

 

 

 

Tabella 4.1

Spesa per interessi: DPEF 2010- 2013 e  RUEF

(milioni di euro - % Pil)

 

2008

2009

2010

2011

2012

2013

 

 

 

 

 

 

 

DPEF 2010-2013

 

 

 

 

 

 

Quadro tendenziale

 

 

 

 

 

 

Spesa per interessi

80.891

75.724

79.493

88.685

97.656

103.544

Variazione assoluta

3.676

-5.167

3.769

9.192

8.971

5.888

Variazione percentuale

4,8

-6,4

5,0

11,6

10,1

6,0

in % del PIL

5,1

5,0

5,1

5,5

5,9

6,0

Costo medio del debito

5,1

4,6

4,5

4,8

5,1

5,2

 

 

 

 

 

 

 

 Quadro programmatico

 

 

 

 

 

 

in % del PIL

5,1

5,0

5,1

5,5

5,8

5,9

 

 

 

 

 

 

 

RUEF

 

 

 

 

 

 

Spesa per interessi

80.891

76.415

80.469

87.654

 

 

Variazione assoluta

3.676

-4.476

4.054

7.185

 

 

Variazione percentuale

4,8

-5,5

5,3

8,9

 

 

in % del PIL

5,1

5,0

5,2

5,5

 

 

Costo medio del debito

5,1

4,6

4,6

4,8

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: Elaborazioni su dati MEF

 

 

Nello scenario programmatico del DPEF, rispetto al quadro tendenziale, la dinamica della spesa per interessi, disponibile esclusivamente in termini di Pil, risulta leggermente meno sostenuta negli anni 2012 e 2013, a causa degli effetti sul debito dell’aumento dell’avanzo primario, indotto dalla manovra di finanza pubblica.

4.2 Il fabbisogno del settore pubblico

Le stime tendenziali e programmatiche del fabbisogno del settore statale e del settore pubblico sono fornite nel DPEF  2010- 2013 in termini di Pil.

In entrambi gli scenari, i due aggregati dovrebbero presentare nel periodo di previsione una dinamica costantemente discendente, dopo l’elevato valore negativo stimato per l’anno in corso.

Per il 2009, in particolare, le previsioni tendenziali mostrano un fabbisogno del settore pubblico in termini di Pil, pari al 6,1 per cento, di 0,6 punti percentuali superiore a quello stimato nella RUEF, non solo a causa del peggioramento delle stime della variazione del Pil nominale, ma anche per effetto di un peggioramento delle stime del saldo di cassa.

 

Tabella 4.2

DPEF 2010- 2013: fabbisogno del settore statale e del settore pubblico

( in  % Pil)

 

2008

2009

2010

2011

2012

2013

 

 

 

 

 

 

 

SETTORE STATALE

 

 

 

 

 

 

Tendenziale

-3,5

-5,9

-4,6

-4,1

-3,7

-3,1

Programmatico

-3,5

-5,9

-4,6

-3,6

-2,2

-1,5

Differenza

0,0

0,0

0,0

0,5

1,5

1,6

 

 

 

 

 

 

 

SETTORE PUBBLICO

 

 

 

 

 

 

Tendenziale

-3,3

-6,1

-4,9

-4,3

-4,0

-3,3

Programmatico

-3,3

-6,1

-4,9

-3,8

-2,5

-1,7

Differenza

0,0

0,0

0,0

0,5

1,5

1,6

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: Elaborazioni su dati MEF

 

 

Nella tavola seguente si riportano le differenze, in base ai dati del DPEF, tra l’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche ed il fabbisogno del settore pubblico, con riferimento alle previsioni tendenziali ed a quelle programmatiche. Dai dati emerge che, a differenza di quanto registrato nel 2008 e stimato per l’anno in corso, a decorrere dal 2010, il fabbisogno del settore pubblico dovrebbe risultare migliore dell’indebitamento netto, con uno scostamento che si andrebbe ampliando alla fine del periodo di previsione. Tale differenza è più elevata nelle previsioni programmatiche rispetto a quelle a legislazione vigente, toccando 0,7 punti di Pil nel 2013.

Occorrerebbe acquisire indicazioni sui fattori che consentirebbero al fabbisogno di collocarsi su valori inferiori a quelli assunti dall’indebitamento netto, in misura crescente a partire dal 2010. 

 

Tabella 4.3

DPEF 2010- 2013: Andamenti tendenziali e programmatici dell’indebitamento netto e  del fabbisogno del settore pubblico

( in  % Pil)

 

2008

2009

2010

2011

2012

2013

 

 

 

 

 

 

 

TENDENZIALE

 

 

 

 

 

 

Fabbisogno settore pubblico

-3,3

-6,1

-4,9

-4,3

-4,0

-3,3

Indebitamento netto P.A.

-2,7

-5,3

-5,0

-4,4

-4,1

-3,7

Differenza

-0,6

-0,8

0,1

0,1

0,1

0,4

 

 

 

 

 

 

 

PROGRAMMATICO

 

 

 

 

 

 

Fabbisogno settore pubblico

-3,3

-6,1

-4,9

-3,8

-2,5

-1,7

Indebitamento netto P.A.

-2,7

-5,3

-5,0

-4,0

-2,9

-2,4

Differenza

-0,6

-0,8

0,1

0,2

0,4

0,7

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: Elaborazioni su dati MEF

 

 

4.3 Il debito pubblico

Le stime del DPEF collocano il rapporto debito/Pil per l’anno in corso a 115,3 punti percentuali, con un incremento di un punto  percentuale rispetto all’analogo dato della RUEF, per effetto sia della revisione al ribasso della stima del Pil nominale, sia del peggioramento del fabbisogno.

Nello scenario tendenziale il rapporto è previsto crescere fino al 2011, per poi ridursi di 0,1 punti percentuali nel 2012 e di 0,8 punti percentuali nel 2013, nonostante dal 2011 si registrino tassi di crescita del Pil nominale superiori al 3,5 per cento.

Nello scenario programmatico la riduzione del rapporto è anticipata al 2011 e presenta decrementi annui più sostenuti. 

 

 

 

Tabella 4.4

DPEF 2010- 2013: Andamenti tendenziali e programmatici del rapporto debito – Pil

 

( in  % Pil)

 

2008

2009

2010

2011

2012

2013

 

 

 

 

 

 

 

DPEF 2010-2013

 

 

 

 

 

 

Debito/Pil tendenziale

105,7

115,3

118,2

118,6

118,5

117,7

Debito/Pil programmatico

105,7

115,3

118,2

118,0

116,5

114,1

 

 

 

 

 

 

 

RUEF

 

 

 

 

 

 

Debiti/Pil

105,8

114,3

117,1

118,3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: dati MEF

 

 

Nella tavola che segue è riportata, con riferimento alle previsioni tendenziali e programmatiche, un’analisi delle componenti che determinano la variazione del rapporto debito/Pil. Il segno algebrico delle singole componenti indica l’effetto, ad incremento o a riduzione del rapporto, esercitato dalle medesime.

 

Tabella 4.5

DPEF 2010- 2013: Analisi delle componenti del rapporto debito/Pil nelle stime tendenziali e programmatiche.

 

 

2008

2009

2010

2011

2012

2013

 

 

 

 

 

 

 

TENDENZIALE

 

 

 

 

 

 

Variazione del rapporto

2,2

9,6

2,9

0,4

-0,1

-0,8

Componenti

 

 

 

 

 

 

Avanzo primario

-2,4

0,4[27]

-0,2

-1,1

-1,7

-2,3

Var. % Pil nominale

-1,8

3,2[28]

-1,9

-3,6

-3,8

-3,9

Costo medio del debito

5,1

4,6

4,5

4,8

5,1

5,2

Componente residuale

1,4

1,4

0,4

0,3

0,3

0,1

 

 

 

 

 

 

 

PROGRAMMATICO

 

 

 

 

 

 

Variazione del rapporto

 

 

2,9

-0,2

-1,5

-2,4

Componenti

 

 

 

 

 

 

Avanzo primario

 

 

-0,2

-1,5

-2,9

-3,5

Var. % Pil nominale

 

 

-1,9

-3,6

-3,8

-3,9

Costo medio del debito

 

 

4,5

4,8

5,1

5,3

Componente residuale

 

 

0,5

0,1

0,1

-0,3

 

 

Fonte: Elaborazione su dati MEF

 

L’analisi mostra, nelle previsioni tendenziali, come nell’anno in corso tutte le componenti concorrano alla crescita del rapporto. Nel 2010, la modesta dinamica dell’avanzo primario e del prodotto non sono sufficienti a compensare il livello del costo del debito. Tali dinamiche si attenuano negli anni successivi in presenza di una più favorevole crescita del prodotto. In tutti gli anni considerati, la componente residuale concorre in senso incrementativi alla dinamica del rapporto. L’analoga analisi condotto in riferimento alle previsioni tendenziali mostra coma la riduzione del rapporto dal 2011 sia in misura preponderante attribuibile alla favorevole dinamica dell’avanzo primario.

 

Il DPEF dedica un ampio paragrafo alle modalità ed ai criteri di gestione del debito pubblico. In particolare, pone l’accento su come la gestione del debito nell’anno in corso permanga ancora fortemente influenzata dalle conseguenze della crisi finanziaria internazionale. Oltre alla sostenuta volatilità dei mercati, si è assistito ad un progressivo ridimensionamento del ruolo degli operatori con profilo speculativo ed ad un generalizzato incremento dell’avversione al rischio da parte degli operatori. Tali circostanze hanno determinato una amplificazione dei differenziali di rendimento tra i titoli di Stato nazionali e quelli degli altri emittenti sovrani.

Tali differenziali, dopo aver raggiunto un punto di massimo a fine gennaio dell’anno in corso, sono diminuiti progressivamente fino ai primi di maggio, seppure in un contesto di forte volatilità.

 

Dati più recenti, resi noti dalla Banca d’Italia[29], tuttavia, indicano che il differenziale di rendimento tra i titoli di Stato decennali italiani ed i corrispondenti Bund tedeschi, dopo essersi ridotto da 135 a 80 centesimi tra aprile e metà maggio 2009, è successivamente risalito raggiungendo i 115 centesimi alla metà del mese di luglio.

 

Inoltre, il documento, segnala come ulteriore elemento di pressione sull’offerta di titoli di Stato, l’aumento di emissione di titoli pubblici da parte di tutti gli Stati europei per finanziare gli interventi di sostegno delle rispettive economie e dei sistemi finanziari.

A fronte di tali difficoltà, la politica di gestione del debito ha cercato di garantire il contenimento del costo nel medio periodo ed una contenuta esposizione al rischio, anche attraverso il ricorso a diverse misure di flessibilità basate soprattutto su un’ampia diversificazione dell’offerta di titoli.

 

Con riferimento, infine, alla politica di privatizzazione degli assets pubblici, la cui attuazione potrebbe concorrere alla riduzione dello stock di debito pubblico, il documento afferma che, per le partecipazioni di potenziale più immediato smobilizzo, quali le società quotate in borsa (Enel, Eni e Finmeccanica), lo Stato intende mantenere l’attuale quota di controllo al fine di presidiare i settori strategici per il Paese.

Nei prossimi anni, nonostante il contesto macroeconomico e finanziario sia attualmente non favorevole, potrebbero realizzarsi operazioni di privatizzazione di quote di partecipazione di Poste italiane S.p.a e del capitale dell’Istituto poligrafico dello Stato. Potranno, inoltre, considerarsi iniziative destinate all’apertura del capitale della Sace ai privati. Dovrebbe, invece, realizzarsi in tempi brevi il processo di privatizzazione, già avviato, di Tirrenia.

Con riguardo a Fincantieri, che sarà a breve ricapitalizzata dalla controllante Fintecna, potrebbe concretarsi il collocamento in borsa di una quota del capitale, operazione prevista nel 2009 dal precedente DPEF e non portata a realizzata a causa delle non favorevoli condizioni dei mercati finanziari. 

 


 



[1]    Pur restando negativo, l’indice è passato al -0,61% dal -0,89 registrato a maggio. Si ricorda che l’indice, pubblicato mensilmente dalla Banca d'Italia e dal CEPR, esprime una stima del quadro congiunturale dell’area euro in termini di tasso di crescita trimestrale del PIL depurato dalle componenti più erratiche (stagionalità, errori di misura e volatilità di breve periodo).

[2]    Stati Uniti, Giappone, Regno Unito, Francia, Germania e Italia.

[3]    Eurostat, News release, Euroindicators, n. 97/2009, diffuso il 2 luglio 2009.

[4]    Eurostat, News release, Euroindicators, n. 86/2009, diffuso il 15 giugno 2009.

[5] L'analisi che segue è sviluppata sul quadro tendenziale pre decreto legge n. 78/2009.

[6]    In molti paesi i documenti di programmazione hanno una prospettiva di medio periodo, pluriannuale e sono formulati a scorrimento (rolling), ovvero ogni anno viene aggiunto un esercizio rispetto al precedente quadro di previsione. E' quindi normale che l'ultimo anno del periodo (l'esercizio 2013, in questo caso) non sia presente nei precedenti documenti ed entri per la prima volta nel quadro di previsione; anomalo è, invece, il mancato aggiornamento per un esercizio, il 2012, che era già entrato nel quadro di programmazione.

[7]    Il conto economico della PA a legislazione vigente presentato nei documenti di programmazione incorpora, di solito, gli effetti del disegno di legge di assestamento per l'esercizio in corso, anche se si tratta di provvedimento non ancora entrato in vigore. Tale deroga ai criteri generali di costruzione della legislazione vigente deriva dal fatto che l'assestamento, nel sistema di contabilità italiano, riveste un carattere essenzialmente manutentivo e di aggiornamento delle previsioni. Per maggiori dettagli sul disegno di legge di assestamento per il 2009 si veda Elementi di documentazione n. 16, luglio 2009 a cura del Servizio del Bilancio del Senato.

[8]    Decreto legge del 28 aprile 2009, n. 39, recante interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile, convertito dalla L. 24 giugno 2009, n. 77.

[9]  Tale importo è comprensivo dell'aumento delle dotazioni di cassa connesse con il finanziamento dei fondi residui perenti.

[10]   Si ricorda che a tale provvedimento risulta associato l'articolo 9 del decreto legge n. 78 del 2009, che dispone una ricognizione straordinaria dei crediti di terzi, con pagamenti nei limiti delle dotazioni incrementate con l'assestamento. Si veda Elementi di documentazione n. 16, luglio 2009 a cura del Servizio del Bilancio del Senato.

[11]   Decreto legge 28 aprile 2009, n. 39, recante interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile, convertito dalla L. 24 giugno 2009, n. 77.

[12]   Si ricorda che la riduzione del tetto della spesa farmaceutica territoriale dal 14 al 13,3 per cento a decorrere dal 2010 (e del corrispondente livello del finanziamento del SSN cui concorre ordinariamente lo Stato) disposta dall’articolo 22 del DL 78/2009 non incide sulla spesa sanitaria complessiva, in quanto le suddette economie sono destinate ad alimentare un fondo per interventi nel medesimo comparto sanitario.

[13]   Per una analisi più approfondita delle revisioni operate in relazione al quadro macroeconomico, si veda dossier n. 5, Documentazione di finanza pubblica, Relazione Unificata sull'economia e la finanza pubblica, maggio 2009, a cura del Servizio del Bilancio del Senato, e dei Servizi Bilancio dello Stato e Studi della Camera.

[14]   Nella relazione introduttiva del disegno di legge per l'assestamento si fa riferimento ad un quadro macroeconomico datato 12 giugno 2009, nel quale si indica per il 2009 una riduzione del PIL reale del -5,2 per cento e del PIL nominale del -3,3 per cento.

[15]   Nel conto delle amministrazioni pubbliche le entrate sono registrate secondo il criterio della competenza economica, che corrisponde agli accertamenti di competenza giuridica per quella parte di gettito accertata in via ordinaria, mentre vengono prese come riferimento le somme effettivamente incassate, per gli accertamenti tramite ruoli.

[16]    Cfr. dossier n. 5, Documentazione di finanza pubblica, Relazione Unificata sull'economia e la finanza pubblica, maggio 2009, a cura del Servizio del Bilancio del Senato, e dei Servizi Bilancio dello Stato e Studi della Camera, pag. 25.

[17]   Per una analisi dell'elasticità delle entrate si veda il dossier citato su Relazione Unificata sull'economia e la finanza pubblica, n. 5, maggio 2009, a cura del Servizio del Bilancio del Senato, e dei Servizi Bilancio dello Stato e Studi della Camera.

[18]   Dall'analisi dell'elasticità annuale delle imposte dirette e delle imposte indirette viene esclusa per semplicità l'anno 2009. Nel 2009 si prevede una crescita del PIL nominale negativa, per cui il valore assunto dall'elasticità non risulta immediatamente confrontabile con quello degli anni successivi.  Per una analisi più approfondita del valore dell'elasticità nei periodi in cui si osserva una riduzione del PIL, si veda il dossier citato nella nota precedente.

[19]   Il saldo di bilancio corretto per il ciclo e al netto dei provvedimenti una tantum misura infatti il saldo delle Amministrazioni pubbliche al netto dell’impatto delle fluttuazioni economiche, consentendo in tal modo di distinguere le variazioni automatiche di entrate e spese pubbliche rispetto all’andamento del sistema economico, dalla componente discrezionale di politica fiscale. Per un approfondimento delle analisi legate ai saldi strutturali, si veda il dossier Conti pubblici, contesto di riferimento e andamenti. Una sintesi, Senato della Repubblica, Servizio Bilancio, maggio 2008, n. 3, parte prima, e il dossierAnalisi degli effetti finanziari delle norme e dei principali andamenti di finanza pubblica”, Camera dei deputati, Servizio Bilancio dello Stato, maggio 2008, Parte II.

[20]   Con la riforma del Patto, nel 2005, l’enfasi degli esercizi di sorveglianza da parte della Commissione e del Consiglio dell’Unione europea è posta, infatti, sulla correzione strutturale operata annualmente.

[21]   Si definisce PIL potenziale il prodotto che si otterrebbe con la piena occupazione di tutti i fattori produttivi, in assenza di spinte inflazionistiche. Non trattandosi di una variabile osservabile il PIL potenziale deve essere stimato sulla base di altre variabili misurabili, tra cui il PIL effettivo. Tali stime sono soggette ad errori e fortemente dipendenti dalle metodologie utilizzate. Nell’ambito dell’Unione europea esiste una metodologia condivisa, approvata dall’ECOFIN e utilizzata da tutti gli Stati membri.

[22]   La crescita potenziale del prodotto dipende da tre componenti: il capitale fisico, il lavoro e la produttività totale dei fattori, ossia una misura della produttività complessiva dei fattori della produzione. Il prodotto potenziale è tanto maggiore quanto maggiori sono i contributi apportati dalle tre componenti menzionate. Il tasso di disoccupazione strutturale è definito come quel livello di disoccupazione compatibile con la stabilità dei salari.   

[23]   L’obiettivo del pareggio di bilancio per i paesi membri dell’Unione è formulato, come è noto, in termini strutturali.

[24]   La Ruef prevedeva, infatti, 2 per cento per il 2009, 2,4 per il 2010, 2,7 per il 2011.  

[25]  In teoria, la politica di bilancio dovrebbe essere anti-ciclica, ossia restrittiva nelle fasi di espansione economica ed espansiva nella fasi di recessione. Nella pratica, negli ultimi anni molti paesi europei, in considerazione del bilancio pubblico in deficit, hanno dovuto adottare politiche pro-cicliche, cioè restrittive in fasi recessive, ai fini del rispetto dei parametri previsti dal Trattato di Maastricht. Sulla base del PSC, i paesi dovrebbero mantenere il bilancio pubblico in sostanziale pareggio over the cycle, lasciando operare liberamente gli stabilizzatori automatici, ossia meccanismi economici, legati a fattori istituzionali, tendenti a contenere le fluttuazioni cicliche. Ciò implica, in termini del Grafico 3.4, che i paesi dovrebbero trovarsi sull’asse orizzontale (stance neutrale). I paesi che non hanno raggiunto il sostanziale pareggio di bilancio dovrebbero invece trovarsi in punti situati nei due quadranti superiori (politiche fiscali restrittive) ai fini del raggiungimento del pareggio.

[26]   Con riferimento alla spesa per interessi passivi, gli effetti del decreto legge sono neutrali per l’anno 2009, mentre determinano una leggera flessione dei valori assoluti di spesa negli anni successivi. Rimane invariato, per ciascuno degli anni considerati, il dato della quota in termini di Pil. 

[27]   Nel 2009 è previsto un valore negativo del saldo primario in rapporto al Pil pari allo 0,4 per cento. Nella tavola tale variazione è indicata con segno positivo, in quanto la  presenza di un disavanzo primario opera in senso accrescitivo del rapporto debito/ Pil. 

[28]   Nel 2009 è prevista una variazione negativa del Pil nominale del 3,2 per cento. Nella tavola tale variazione è indicata con segno positivo, in quanto la riduzione del prodotto opera in denso accrescitivo del rapporto debito/Pil.

[29]   Banca d’Italia, Bollettino economico n. 57, luglio 2009.