Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Altri Autori: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Schema di decreto legislativo recante testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi - Schema di D.Lgs. n. 521 (art. 1, commi 63 e 65, L. 6 novembre 2012, n. 190)
Serie: Atti del Governo    Numero: 465
Data: 18/12/2012
Descrittori:
CANDIDATURE ELETTORALI   CONDANNE PENALI
L 2012 0190     

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Atti del Governo

 

Schema di decreto legislativo recante testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi

 

Schema di D.Lgs. n. 521

(art.1, commi 63 e 65,
L. 6 novembre 2012, n. 190)

 

 

 

 

 

 

n. 465

 

 

 

18 dicembre 2012

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Istituzioni

( 066760-3855 / 066760-9475 – * st_istituzioni@camera.it

 

 

§          

 

 

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File: AC0914.doc


INDICE

Schede di lettura

Quadro normativo e orientamenti della giurisprudenza costituzionale in tema di incandidabilità............................................................................................................................. 5

§      Capo I INCANDIDABILITA’ ALLA CAMERA, AL SENATO E AL PARLAMENTO EUROPEO   12

§      Articolo 1 (Incandidabilità alle elezioni della Camera e del Senato)............. 12

§      Articolo 2 (Accertamento dell’incandidabilità per le elezioni della Camera e del Senato)    39

§      Articolo 3 (Incandidabilità sopravvenuta nel corso del mandato elettivo parlamentare)43

§      Articoli 4 e 5 (Incandidabilità al Parlamento europeo).................................. 45

§      Capo II DIVIETO DI SVOLGERE INCARICHI DI GOVERNO NAZIONALI.... 47

§      Articolo 6 (Divieto di svolgere incarichi di governo nazionali)...................... 47

§      Capo III INCANDIDABILITA’ ALLE CARICHE ELETTIVE REGIONALI......... 49

§      Articolo 7 (Incandidabilità alle elezioni regionali).......................................... 49

§      Articolo 8 (Sospensione e decadenza di diritto per incandidabilità alle cariche regionali)    55

§      Articolo 9 (Cancellazione dalle liste per incandidabilità alle elezioni regionali)59

§      Capo IV Incandidabilità alle cariche elettive negli enti locali63

§      Articolo 10 (Incandidabilità alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali)   63

§      Articolo 11 (Sospensione e decadenza di diritto degli amministratori locali in condizione di incandidabilità).............................................................................................. 69

§      Articolo 12 (Cancellazione dalle liste per incandidabilità alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali)............................................................................................. 73

§      Capo V DISPOSIZIONI COMUNI, TRANSITORIE E FINALI......................... 77

§      Articolo 13 (Durata dell’incandidabilità)......................................................... 77

§      Articolo 14 (Regioni a statuto speciale)........................................................ 81

§      Articolo 15 (Disposizioni comuni)................................................................. 83

§      Articolo 16 (Disposizioni transitorie e finali).................................................. 87

§      Articolo 17 (Abrogazioni).............................................................................. 89

§      Articolo 18 (Entrata in vigore)....................................................................... 91

Ineleggibilità e incandidabilità: le esperienze straniere........................... 92

 

 

 


Schede di lettura

 


 

Quadro normativo e orientamenti della giurisprudenza costituzionale in tema di incandidabilità

Lo schema di decreto legislativo in esame reca il testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi.

 

La categoria dell’incandidabilità costituisce un dato di diritto positivo a livello di legislazione ordinaria, individuabile in alcune delle fonti di rango ordinario richiamate dalle premesse dello schema di decreto.

 

Il dato più recente è costituito dalla disposizione di delega contenuta nell’art. 1, comma 63, della legge n. 190 del 2012 (su cui più diffusamente infra) che indica principi e criteri direttivi per provvedere al riordino e all'armonizzazione della vigente normativa in materia, stabilendo che ogni fattispecie di incandidabilità abbia natura temporanea e possa conseguire solo a provvedimenti giurisdizionali definitivi .

Il citato comma 63 delega il Governo ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, un decreto legislativo recante un testo unico della normativa in materia di incandidabilità alla carica di membro del Parlamento europeo, di deputato e di senatore della Repubblica, di incandidabilità alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali e di divieto di ricoprire le cariche di presidente e di componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, di presidente e di componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, di consigliere di amministrazione e di presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all'articolo 114 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al D.lgs 267/2000 c.d. TUEL, e successive modificazioni, di presidente e di componente degli organi esecutivi delle comunità montane.

Poiché la legge èentrata in vigore il 28 novembre 2012, allo spirare della vacatio legis, la delega scadrà il 28 novembre 2013. Si segnala, che nel corso dell’esame in sede referente al Senato, presso le Commissioni riunite I e II, il Governo ha accolto, il 9 ottobre 2012, l’ordine del giorno G/2156-B/2/1 e 2 che lo impegna ad esercitare entro un mese, ovvero, in ogni caso, in tempo utile per poter consentirne l'entrata in vigore e l'applicazione in occasione delle prossime elezioni politiche, regionali e amministrative la delega per l’adozione del testo unico.

Il comma 64 stabilisce che il decreto legislativo provvede al riordino e all'armonizzazione della vigente normativa ed è adottato secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a)  ferme restando le disposizioni del codice penale in materia di interdizione perpetua dai pubblici uffici, prevedere che non siano temporaneamente candidabili a deputati o a senatori coloro che abbiano riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale;

b) in aggiunta a quanto previsto nella lettera a), prevedere che non siano temporaneamente candidabili a deputati o a senatori coloro che abbiano riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti previsti nel libro secondo, titolo II, capo I, del codice penale ovvero per altri delitti per i quali la legge preveda una pena detentiva superiore nel massimo a tre anni;

c) prevedere la durata dell'incandidabilità di cui alle lettere a) e b);

d) prevedere che l'incandidabilità operi anche in caso di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale;

e) coordinare le disposizioni relative all'incandidabilità con le vigenti norme in materia di interdizione dai pubblici uffici e di riabilitazione, nonché con le restrizioni all'esercizio del diritto di elettorato attivo;

f) prevedere che le condizioni di incandidabilità alla carica di deputato e di senatore siano applicate altresì all'assunzione delle cariche di governo;

g) operare una completa ricognizione della normativa vigente in materia di incandidabilità alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali e di divieto di ricoprire le cariche di presidente della provincia, sindaco, assessore e consigliere provinciale e comunale, presidente e componente del consiglio circoscrizionale, presidente e componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, presidente e componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, consigliere di amministrazione e presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all'articolo 114 del TUEL, presidente e componente degli organi delle comunità montane, determinata da sentenze definitive di condanna;

h) valutare per le cariche di cui alla lettera g), in coerenza con le scelte operate in attuazione delle lettere a) e i), l'introduzione di ulteriori ipotesi di incandidabilità determinate da sentenze definitive di condanna per delitti di grave allarme sociale;

i) individuare, fatta salva la competenza legislativa regionale sul sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del presidente e degli altri componenti della giunta regionale nonché dei consiglieri regionali, le ipotesi di incandidabilità alle elezioni regionali e di divieto di ricoprire cariche negli organi politici di vertice delle regioni, conseguenti a sentenze definitive di condanna;

l) prevedere l'abrogazione espressa della normativa incompatibile con le disposizioni del decreto legislativo di cui al comma 63;

m) disciplinare le ipotesi di sospensione e decadenza di diritto dalle cariche di cui al comma 63 in caso di sentenza definitiva di condanna per delitti non colposi successiva alla candidatura o all'affidamento della carica.

Il comma 65, disciplina il procedimento relativo al parere parlamentare come segue:

§       lo schema di testo unico è corredato della relazione tecnica (art. 17, co. 3, L. 196/2009);

§       è trasmesso alle Camere che esprimono il parere attraverso le competenti commissioni per materia e per i profili finanziari entro 60 giorni;

§       decorso tale termine il testo unico può essere comunque emanato anche in assenza dei predetti pareri.

 

Una forma di incandidabilità, inserita tra le misure sanzionatorie e premiali relative a regioni, province e comuni, è stata introdotta in attuazione degli articoli 2, 17 e 26 della c.d. legge sul federalismo fiscale, n 42 del 5 maggio 2009, dal D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 149. Tale fonte non è richiamata dalle premesse dello schema di decreto.

In particolare, si prevede che il presidente di regione rimosso a seguito di grave dissesto finanziario con riferimento al disavanzo sanitario è incandidabile per un periodo di tempo di dieci anni alle cariche elettive a livello locale, regionale, nazionale ed europeo per un periodo di tempo di dieci anni (art. 2, comma 3). Parimenti isindaci e i presidenti di provincia ritenuti responsabili del dissesto finanziario dell’ente locale non sono candidabili, per un periodo di dieci anni, alle cariche di sindaco, di presidente di provincia, di presidente di Giunta regionale, nonché di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento e del Parlamento europeo (art. 6, comma 1).

 

L'art. 58 deltesto unico degli enti locali (D.Lgs. 267/2000) prevede che non possono essere candidati alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali, e non possono comunque ricoprire le cariche di presidente della provincia, sindaco, assessore e consigliere provinciale e comunale, presidente e componente del consiglio circoscrizionale, presidente e componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, presidente e componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, consigliere di amministrazione e presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all'art. 114 TU, presidente e componente degli organi delle comunità montane coloro che hanno riportato una condanna definitiva per una serie di delitti. L'eventuale elezione di coloro che siano stati condannati in via definitiva è nulla e l'organo che ha convalidato l'elezione è tenuto a revocarla non appena viene a conoscenza della loro esistenza.

In caso di sentenza non definitiva si applica la sospensione dalle carica e con il passaggio in giudicato della sentenza di condanna è prevista la decadenza di diritto (art. 59 TUEL).

Si tratta di condanna per i seguenti delitti:

§       associazione di tipo mafioso o associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti; delitto concernente l’importazione, l’esportazione, la produzione, la vendita di armi; delitto di favoreggiamento personale o reale commesso in relazione a tali reati;

§       peculato, malversazione a danno dello Stato, concussione, corruzione per un atto d’ufficio, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, corruzione in atti giudiziari, corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio;

§       delitti, diversi da quelli di cui al punto precedente, commessi con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio per i quali sia stata comminata definitivamente la pena della reclusione non inferiore a sei mesi;

§       delitti non colposi per i quali sai stata inflitta una pena della reclusione non inferiore a due anni.

Le medesime condizioni di non candidabilità sussistono anche per coloro nei confronti dei quali sia stata applicata, con provvedimento definitivo, una misura di prevenzione, in quanto indiziati di appartenere ad una associazione di stampo mafioso.

 

L'incandidabilità era originariamente disciplinata congiuntamente per le elezioni regionali e per quelle locali dall'art. 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55, come modificato dalla legge 18 gennaio 1992, n. 16. Tuttavia, l'art. 274 del Testo unico degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 ha abrogato il suddetto art. 15 "salvo per quanto riguarda gli amministratori e i componenti degli organi comunque denominati delle aziende sanitarie locali e ospedaliere, i consiglieri regionali". Una disciplina analoga è stata inserita, come si è detto sopra negli artt. 58 e 59 dello stesso TUEL. L’incandidabilità e il divieto di cui sopra scatta per coloro che hanno riportato una sentenza definitiva per gli stessi delitti indicati dall’art. 58 TUEL, sopra richiamato.

L’art. 15 della legge 55/90 riguarda l’incandidabilità alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali e il divieto a ricoprire le cariche di presidente della giunta regionale, assessore e consigliere regionale, presidente della giunta provinciale, sindaco, assessore e consigliere provinciale e comunale, presidente e componente del consiglio circoscrizionale, presidente e componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, presidente e componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, consigliere di amministrazione e presidente delle aziende speciali e delle istituzioni, amministratore e componente degli organi comunque denominati delle unità sanitarie locali, presidente e componente degli organi esecutivi delle comunità montane.

 

L'incandidabilità ha dunque oggi due fonti normative diverse, a seconda che si tratti di elezioni regionali o di elezioni locali, anche se la portata è analoga.

Tali fonti sono state fatte espressamente salve dall’art. 2 della legge n. 165 del 2004[1]che ha posto disposizioni di principio alla disciplina regionale dei casi di ineleggibilità.

 

A livello costituzionale, gli articoli 56, 58, 65, 66 e 122 richiamano le categorie giuridiche dell’eleggibilità/ineleggibilità e dell’incompatibilità, non menzionando espressamente quella dell’incandidabilità.

In particolare, poi, gli articoli 65 e 122, recano una riserva di legge statale: il primo articolo, per la determinazione delle ineleggibilità e delle incompatibilità parlamentari; il secondo articolo, per la determinazione di principi fondamentali anche in tema di ineleggibilità e incompatibilità a livello regionale per le cariche di governo e rappresentative.

Le categorie giuridiche richiamate incidono sull’elettorato passivo, assicurato in via generale dall’art. 51 Cost. e ricondotto dalla Corte costituzionale alla sfera dei diritti inviolabili garantiti dall’art. 2 Cost.[2]

Per l’elettorato attivo, l’art. 48, quarto comma, che stabilisce requisiti negativi del diritto di voto, rinvia alla legge la determinazione dei casi di compressione di tale diritto

Posto che “l'eleggibilità è la regola, e l'ineleggibilità l'eccezione" e che “le norme che derogano al principio della generalità del diritto elettorale passivo sono di stretta interpretazione e devono contenersi entro i limiti di quanto è necessario a soddisfare le esigenze di pubblico interesse cui sono preordinate”[3], secondo la Corte costituzionale una sentenza di condanna irrevocabile può giustificare un effetto irreversibile di esclusione da competizioni elettorali.

Tale assunto è stato ribadito nella sent. n. 25 del 2008, dove viene ricordato che l’art. 51 Cost. assicura, in via generale, il diritto di elettorato passivo senza porre discriminazioni sostanziali tra cittadini (cfr. sen. 288/2007 e 235/1988). Pertanto, le restrizioni del contenuto di tale diritto sono ammissibili solo in presenza di situazioni peculiari ed in ogni caso per motivi adeguati e ragionevoli, finalizzati alla tutela di un interesse generale. Di conseguenza, le cause di ineleggibilità sono di stretta interpretazione e devono essere contenute entro i limiti rigorosamente necessari al soddisfacimento delle esigenze di pubblico interesse, connesse alla funzione elettorale, cui sono di volta in volta preordinate (cfr. sen. 306/ 2003 e 132/2001).

 

In merito al rapporto tra ineleggibilità e incandidabilità, questa seconda categoria, ad avviso della giurisprudenza costituzionale, è riconducibile a quella più ampia dell’ineleggibilità, della quale costituisce una particolare specie, che incide sulla costituzione degli organi.

La medesima giurisprudenza costituzionale, prima della riforma del Titolo V, ha ritenuto indenne da censure di legittimità la disciplina in tema di incandidabilità[4]; orientamento che, alla luce del nuovo testo dell’art.122, le sentenze 378/2004 2/2004, 313/2003; 196/2003; 304/2002, sembrano confermare. L’orientamento che emerge da tali pronunce, oltre a chiarire che gli statuti regionali devono rispettare non solo le disposizioni ma anche lo spirito della Costituzione, evidenzia che l'art. 122 Cost. riserva espressamente alla legge regionale, “nei limiti dei principî fondamentali stabiliti con legge della Repubblica”, la determinazione delle norme relative al “sistema di elezione” e ai “casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali.

Tale orientamento appare confermato anche dalla sent. 352 del 2008 con la quale la Corte, richiamando numerose precedenti pronunce, ha ritenuto, in sede  di conflitto di attribuzioni, che le previsioni in tema di forma di governo di una regione a statuto speciale sancite in legge costituzionale non potessero prevalere sulle disposizioni del citato art. 15 della legge 55/90.

Infatti, ad avviso della Corte, le incandidabilità ivi previstead una serie di cariche elettive, la decadenza di diritto dalle medesime a seguito di sentenza di condanna, passata in giudicato, per determinati reati, nonché la sospensione automatica in caso di condanna non definitiva per gli stessi sono dirette, come già ricordato dalla sentenza n. 288 del 1993 «ad assicurare la salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica, la tutela della libera determinazione degli organi elettivi, il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche allo scopo di fronteggiare una situazione di grave emergenza nazionale coinvolgente gli interessi dell'intera collettività». La sent. 352 del 2008 ricorda che disciplina in questione «ha inteso essenzialmente contrastare il fenomeno dell'infiltrazione della criminalità organizzata nel tessuto istituzionale locale e, in generale, perseguire l'esclusione dalle amministrazioni locali di coloro che per gravi motivi non possono ritenersi degni della fiducia popolare» (sentenza n. 407 del 1992; dello stesso tenore le sentenze n. 141 del 1996; n. 184 e n. 118 del 1994; n. 218 del 1993). La medesima sentenza, richiamando i precedenti in materia, afferma che i delitti contemplati dall'art. 15 fanno «sorgere immediatamente il sospetto di un inquinamento dell'apparato pubblico da parte di quelle organizzazioni criminali, la cui pericolosità sociale va al di là della gravità dei singoli delitti che vengono commessi o contestati»: le misure repressive così configurate operano, dunque, «in relazione alla specificità di siffatti rischi di inquinamento degli apparati amministrativi, e alla necessità di troncare anche visibilmente ogni legame che possa far apparire l'amministrazione, agli occhi del pubblico, come non immune da tali infiltrazioni criminali» (sentenza n. 206 del 1999).

 

In linea generale, la disciplina vigente delle cause di ineleggibilità pone, al soggetto cui si riferiscono, un impedimento giuridico a divenire parte dal lato passivo del rapporto elettorale, traducendosi in limitazioni del diritto di elettorato passivo. In particolare le cause di incandidabilità condizionano la stessa possibilità del cittadino di candidarsi, escludendo l’accesso alle cariche pubbliche di soggetti condannati in via definitiva per gravi reati – compresi, in particolare, quelli contro la pubblica amministrazione – o sottoposti a misure di prevenzione divenute definitive.

La ratio prevalente delle norme sulle ineleggibilità è impedire che alcune categorie di candidati, in virtù della carica ricoperta o dell’attività esercitata al momento dell’elezione, possano godere nella pratica di una posizione privilegiata nel corso della campagna elettorale ed esercitare pressioni in grado di condizionare la libera scelta degli elettori.

Ne consegue che la speciale ineleggibilità costituita dall’incandidabilità preclude la possibilità di esercitare il diritto di elettorato passivo, a differenza della maggior parte delle cause di ineleggibilità che possono essere rimosse entro un termine predefinito.

 


 

Capo I
INCANDIDABILITA’ ALLA CAMERA, AL SENATO E AL PARLAMENTO EUROPEO

Articolo 1
(Incandidabilità alle elezioni della Camera e del Senato)

L’articolo 1 dispone che colui che è stato condannato con sentenza passata in giudicato, per taluni delitti, di seguito elencati, non può candidarsi alla Camera o al Senato e non può comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore.

L’articolo 15, comma 1, al cui commento si rinvia, dispone in ordine al rapporto tra condanna con sentenza definitiva e applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento) ai sensi degli articoli 444 e seguenti del codice di procedura penale.

 

L’articolo 1 dà attuazione all’art. 1, comma 64, lettere a) e b), della legge n. 190 del 2012.

 

I principi e criteri direttivi della delega
art. 1, comma 64

Il decreto legislativo […] provvede al riordino e all'armonizzazione della vigente normativa ed è adottato secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a) ferme restando le disposizioni del codice penale in materia di interdizione perpetua dai pubblici uffici, prevedere che non siano temporaneamente candidabili a deputati o a senatori coloro che abbiano riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale;

b) in aggiunta a quanto previsto nella lettera a), prevedere che non siano temporaneamente candidabili a deputati o a senatori coloro che abbiano riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti previsti nel libro secondo, titolo II, capo I, del codice penale ovvero per altri delitti per i quali la legge preveda una pena detentiva superiore nel massimo a tre anni;

 

Come indicato nella relazione illustrativa, l’art. 1 “ha limitato l’ambito di applicazione dell’istituto della incandidabilità ai delitti non colposi, scelta costituzionalmente necessaria in quanto garantisce la conformità della nuova disciplina ai principi di ragionevolezza e proporzionalità più volte richiamati dalla Corte costituzionale in relazione alle cause di limitazione del diritto di elettorato attivo”.

Inoltre sono stati considerati, oltre ai delitti consumati, i delitti tentati, in virtù del rinvio agli “altri delitti” contenuto nella lettera b) del comma 64.

In attuazione dei principi e criteri direttivi indicati, non qualsiasi condanna penale comporta l’incandidabilità. Lo schema di decreto legislativo, infatti, individua tre diverse ipotesi di condanna.

 

a) condanna a pena detentiva superiore a 2 anni di reclusione per i delitti – consumati o tentati – previsti dall’art. 51, commi 3-bis e 3-quater del codice di procedura penale.

Il Governo riproduce il principio affermato dalla lettera a) della legge delega, con l’unica precisazione che i delitti possono essere sia tentati che consumati; il riferimento ai delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis e 3-quater c.p.p è ai delitti di grave allarme sociale per i quali il legislatore ha attribuito le funzioni di pubblico ministero al PM presso il tribunale capoluogo del distretto di corte d’appello (c.d. procura distrettuale).

In particolare, l’art. 51, comma 3-bis, richiama i seguenti delitti, consumati o tentati, a carattere associativo:

 

§         art. 416, comma 6, c.p. (associazione a delinquere diretta a commettere delitti di tratta o di riduzione e mantenimento in schiavitù o servitù o di acquisto e vendita di schiavi, nonché ipotesi aggravate del delitto di traffico di immigrati clandestini);

§         art. 416, comma 7, c.p. (associazione a delinquere diretta a commettere delitti a sfondo sessuale in danno di minori ovvero diretta a compiere delitti di violenza sessuale in danno di minori, atti sessuali con minorenne o violenza sessuale di gruppo in danno di minori, ovvero diretta a commettere delitti di adescamento di minorenne);

§         art. 416 c.p., realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli 473 e 474 (associazione a delinquere finalizzata a commettere delitti di contraffazione e di commercializzazione di prodotti con segni falsi);

§         art. 416-bis c.p. (associazione mafiosa) nonché delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo;

§         art. 74 TU stupefacenti (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope);

§         art. 291-quater TU dogane (associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri).

 

A questi l’art. 51-comma 3-bis aggiunge inoltre i delitti di tratta di esseri umani, di riduzione e mantenimento in schiavitù o servitù o di acquisto e vendita di schiavi (artt. 600, 601 e 602 c.p.), il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.) e il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (previsto dall’art. 260 del Codice dell’ambiente, d.lgs. 152/2006).

 

Il riferimento al successivo comma 3-quater riguarda i delitti aventi finalità di terrorismo[5], che il codice non elenca[6]. La formula utilizzata dal legislatore è idonea a ricomprendere sia le fattispecie associative tipiche (es. associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico, ex art. 207-bis c.p.) sia ogni delitto comune aggravato dalla finalità di terrorismo. Si ricorda, infatti, che in base all’art. 270-sexies (Condotte con finalità di terrorismo), «sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un'organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un'organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l'Italia».

 

b) condanna a pena detentiva superiore a 2 anni di reclusione per i delitti – consumati o tentati – dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione (artt. 341-335-bis c.p.).

Anche queste cause di incandidabilità erano già espresse dalla legge delega (lettera b), che il Governo riproduce, con l’unica precisazione, anche in tal caso, che i delitti possono essere sia tentati che consumati, l.

Il Titolo II (Delitti contro la pubblica amministrazione), Capo I (Delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione) del codice penale è composto dagli articoli da 314 a 335-bis che peraltro, a discapito della rubrica del Capo, non prevedono solo reati propri del pubblico ufficiale (es. art. 321, pene per il corruttore). Si ricorda inoltre che su tali fattispecie è recentemente intervenuta la stessa legge delega n. 190 del 2012.

 

Più analiticamente, non è candidabile colui che ha riportato una condanna definitiva alla reclusione superiore a 2 anni per uno dei seguenti delitti:

-          Art. 314 (Peculato);

-          Art. 316 (Peculato mediante profitto dell'errore altrui)

-          Art. 316-bis (Malversazione a danno dello Stato)

-          Art. 316-ter (Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato)

-          Art. 317 (Concussione)

-          Art. 318 (Corruzione per l'esercizio della funzione)

-          Art. 319 (Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio)

-          Art. 319-ter (Corruzione in atti giudiziari)

-          Art. 319-quater (Induzione indebita a dare o promettere utilità)

-          Art. 320 (Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio)

-          Art. 321 (Pene per il corruttore)

-          Art. 322 (Istigazione alla corruzione).

-          Art. 322-bis (Peculato, concussione, induzione indebita dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri)

-          Art. 323 (Abuso d'ufficio)

-          Art. 325 (Utilizzazione d'invenzioni o scoperte conosciute per ragione di ufficio)

-          Art. 326 (Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio)

-          Art. 328 (Rifiuto di atti d'ufficio. Omissione)

-          Art. 329 (Rifiuto o ritardo di obbedienza commesso da un militare o da un agente della forza pubblica)

-          Art. 331 (Interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità)

-          Art. 334 (Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall'autorità amministrativa)

-          Art. 335 (Violazione colposa di doveri inerenti alla custodia di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall'autorità amministrativa)

 

Si ricorda, peraltro, che al di là di quanto previsto dalla lettera b), in base all’art. 317-bis del codice penale la condanna per i delitti di cui agli articoli 314 (Peculato), 317 (Concussione), 319 (Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio) e 319-ter (Corruzione in atti giudiziari) importa l'interdizione perpetua dai pubblici uffici, qualsiasi sia l’entità della pena concretamente irrogata.

Si rammenta che, sebbene non espressamente richiamato nello schema in esame, l’art. 1, comma 64, lett. a), della legge delega, introducendo il primo principio e criterio direttivo, esordisce con la locuzione “ferme restando le disposizioni del codice penale in materia di interdizione perpetua dai pubblici uffici”.

c) condanna a pena detentiva superiore a 2 anni di reclusione per i delitti non colposi – consumati o tentati – per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni

In primo luogo si evidenzia che la lettera b) dell’art. 1, comma 64, della legge n. 190 del 2012 delega il Governo a prevedere che non siano temporaneamente candidabili a deputati o a senatori coloro che abbiano riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per altri delitti – rispetto a quelli dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione - per i quali la legge preveda una pena detentiva superiore nel massimo a tre anni.

Il Governo ha tradotto questo principio di delega con «delitti per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni».

Nel codice penale, peraltro, non risultano essere compresi delitti con pena della reclusione compresa fra tre e quattro anni. Sul punto potrebbe risultare utile un chiarimento.

 

Nella relazione illustrativa si dà conto della scelta operata, nel presupposto che la delega abbia riconosciuto un ampio margine di discrezionalità e si sia limitata a fissare il limite di pena edittale al di sotto del quale l’incandidabilità non può operare.

 

Precisa inoltre la relazione illustrativa che il “criterio della pena non inferiore nel massimo a quattro anni di reclusione è stato selezionato in considerazione del fatto che, in base alle vigenti disposizioni, esso comprende le fattispecie criminose più gravi, per le quali, ad esempio, è anche possibile applicare la custodia cautelare in carcere”. Sottolinea poi la relazione che è peraltro del tutto indifferente che nella concreta fattispecie sia stata disposta o meno la custodia cautelare.

 

In primo luogo si evidenzia che la condanna per un delitto colposo non comporta incandidabilità.

 

Si ricorda, infatti, che in base all’art. 42, secondo comma, del codice penale nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come delitto, se non l’ha commesso con dolo, salvi i casi in cui la stessa legge prevede espressamente la punibilità del delitto preterintenzionale o del delitto colposo. La condanna per un delitto colposo è dunque possibile esclusivamente nei seguenti casi, che non danno luogo a incandidabilità:

§         Art. 254. Agevolazione colposa

§         Art. 259. Agevolazione colposa

§         Art. 387. Colpa del custode

§         Art. 388-bis. Violazione colposa dei doveri inerenti alla custodia di cose sottoposte a pignoramento ovvero a sequestro giudiziario o conservativo.

§         Art. 449. Delitti colposi di danno.

§         Art. 450. Delitti colposi di pericolo.

§         Art. 451. Omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro.

§         Art. 452. Delitti colposi contro la salute pubblica.

§         Art. 589. Omicidio colposo

§         Art. 590. Lesioni personali colpose.

 

 

 

 

Inoltre, si evidenzia che lo schema di decreto chiarisce quali siano i parametri da applicare per stabilire l’entità della pena massima astrattamente irrogabile, rinviando all’art. 278 del codice di procedura penale, in tema di determinazione della pena ai fini dell’applicazione delle misure cautelari.

 

Da tale disposizione del codice di rito si ricava che la pena è quella stabilita dalla legge per ciascun delitto non tenendo conto:

-          della continuazione;

-          della recidiva;

-          in generale, delle circostanze del reato.

Le uniche circostanze del reato di cui si deve tener conto nella determinazione della pena sono le seguenti:

§         l’aggravante prevista al numero 5) dell'art. 61 c.p., ovvero «l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa»;

§         l’attenuante prevista al n. 4 dell’art. 62 c.p., ovvero l'avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro, l'avere agito per conseguire o l'avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l'evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità;

§         le circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato

§         le circostanze ad effetto speciale, ovvero circostanze quelle che importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo.

 

Appare utile valutare quali possano essere le modalità applicative per la determinazione della pena ai sensi dell’art. 278 c.p.p., nella fase di verifica della condizione di incandidabilità. Potrebbe infatti risultare non agevole il riscontro delle diverse circostanze che hanno portato a determinare la pena.

 

Di seguito si elencano – distinti in base al discrimine introdotto dalla lettera c), ovvero la reclusione inferiore a 4 anni - i delitti non colposi previsti dal codice penale e dal codice civile. L’elencazione non è da ritenere esaustiva in quanto il nostro ordinamento contiene almeno 400 leggi speciali che prevedono fattispecie penali.

 

Si ricorda che i delitti puniti con l’ergastolo non sono ricompresi in quanto dalla condanna all’ergastolo (e più in generale alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni) discende l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Non sono altresì ricompresi i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione (titolo II, capo I), oggetto della lettera b).


 

Codice penale

Delitti non colposi puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni (incandidabilità)

Delitti non colposi puniti con la reclusione inferiore nel massimo a 4 anni

Titolo I
Dei delitti contro la personalità dello Stato

Capo I – Dei delitti contro la personalità internazionale dello Stato

Art. 241. Attentati contro l’integrità, l’indipendenza e l’unità dello Stato.

 

Art. 243. Intelligenze con lo straniero a scopo di guerra, contro lo Stato italiano

 

Art. 244. Atti ostili verso uno Stato estero, che espongono lo Stato italiano al pericolo di guerra.

 

Art. 245. Intelligenze con lo straniero per impegnare lo Stato italiano alla neutralità o alla guerra.

 

Art. 246. Corruzione del cittadino da parte dello straniero

 

Art. 247. Favoreggiamento bellico.

 

Art. 248. Somministrazione al nemico di provvigioni.

 

Art. 249. Partecipazione a prestiti a favore del nemico

 

Art. 250. Commercio col nemico

 

Art. 251. Inadempimento di contratti di forniture in tempo di guerra.

 

Art. 252. Frode in forniture in tempo di guerra.

 

Art. 253. Distruzione o sabotaggio di opere militari

 

Art. 255. Soppressione, falsificazione o sottrazione di atti o documenti concernenti la sicurezza dello Stato.

 

Art. 256. Procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato

 

Art. 257. Spionaggio politico o militare

 

Art. 258. Spionaggio di notizie di cui è stata vietata la divulgazione

 

Art. 260. Introduzione clandestina in luoghi militari e possesso ingiustificato di mezzi di spionaggio

 

Art. 261. Rivelazione di segreti di Stato.

 

Art. 262. Rivelazione di notizie di cui sia stata vietata la divulgazione, II° e III° comma

Art. 262. Rivelazione di notizie di cui sia stata vietata la divulgazione, I° comma

Art. 263. Utilizzazione dei segreti di Stato

 

Art. 264. Infedeltà in affari di Stato

 

Art. 265. Disfattismo politico

 

Art. 266. Istigazione di militari a disobbedire alle leggi, II° comma

Art. 266. Istigazione di militari a disobbedire alle leggi, I° comma

Art. 267. Disfattismo economico.

 

Art. 270. Associazioni sovversive, I° comma

Art. 270. Associazioni sovversive, II° comma[7]

Art. 270-bis. Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico

 

270-ter. Assistenza agli associati

 

270-quater. Arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale

 

270-quinquies. Addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale

 

Capo II – Dei delitti contro la personalità interna dello Stato

Art. 277. Offesa alla libertà del Presidente della Repubblica.

 

Art. 278. Offese all'onore o al prestigio del Presidente della Repubblica

 

Art. 280. Attentato per finalità terroristiche o di eversione

 

Art. 280-bis. Atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi

 

Art. 283. Attentato contro la costituzione dello Stato

 

Art. 284. Insurrezione armata contro i poteri dello Stato

 

Art. 287. Usurpazione di potere politico o di comando militare

 

Art. 288. Arruolamenti o armamenti non autorizzati a servizio di uno Stato estero

 

Art. 289. Attentato contro organi costituzionali e contro le assemblee regionali

 

Art. 289-bis. Sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione

 

 

Art. 290. Vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate.

 

Art. 291. Vilipendio alla nazione italiana

 

Art. 292. Vilipendio o danneggiamento alla bandiera o ad altro emblema dello Stato

Capo III – Dei delitti contro i diritti politici del cittadino

Art. 294. Attentati contro i diritti politici del cittadino

 

Capo IV – Dei delitti contro gli Stati esteri, i loro Capi e i loro rappresentanti

Art. 295. Attentato contro i Capi di Stati esteri

 

Art. 296. Offesa alla libertà dei capi di Stati esteri

 

Capo V – Disposizioni generali e comuni ai capi precedenti

Art. 302. Istigazione a commettere alcuno dei delitti preveduti dai capi primo e secondo

 

Art. 304. Cospirazione politica mediante accordo

 

Art. 305. Cospirazione politica mediante associazione

 

 

Art. 306. Banda armata: formazione e partecipazione

 

 

Art. 307. Assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata[8].

Art. 312. Espulsione od allontanamento dello straniero dallo Stato

 

Titolo II
Dei delitti contro la pubblica amministrazione

Capo I – Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione

(omissis)

Capo II – Dei delitti dei privati contro la pubblica amministrazione

Art. 336. Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, I° comma

Art. 336. Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, II° comma

Art. 337. Resistenza a un pubblico ufficiale

 

Art. 337-bis. Occultamento, custodia o alterazione di mezzi di trasporto

 

Art. 338. Violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario

 

Art. 340. Interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità, II° comma

Art. 340. Interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità, I° comma

 

Art. 341-bis. Oltraggio a pubblico ufficiale

 

Art. 342. Oltraggio a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario[9]

Art. 343. Oltraggio a un magistrato in udienza, II° comma

Art. 343. Oltraggio a un magistrato in udienza, I° comma

Art. 346. Millantato credito

 

 

Art. 346-bis. Traffico di influenze illecite

 

Art. 347. Usurpazione di funzioni pubbliche

 

 

Art. 348. Abusivo esercizio di una professione

Art. 349. Violazione di sigilli, II° comma

Art. 349. Violazione di sigilli, I° comma

Art. 351. Violazione della pubblica custodia di cose

 

Art. 353. Turbata libertà degli incanti

 

Art. 353-bis. Turbata libertà del procedimento di scelta del contraente

 

 

Art. 354. Astensione dagli incanti

 

Art. 355. Inadempimento di contratti di pubbliche forniture

Art. 356. Frode nelle pubbliche forniture

 

Titolo III
Dei delitti contro l’amministrazione della giustizia

Capo I – Dei delitti contro l’attività giudiziaria

 

Art. 361. Omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale

 

Art. 362. Omessa denuncia da parte di un incaricato di pubblico servizio[10]

Art. 363. Omessa denuncia aggravata (seconda parte)

Art. 363. Omessa denuncia aggravata (prima parte)

 

Art. 364. Omessa denuncia di reato da parte del cittadino

 

Art. 365. Omissione di referto[11]

 

Art. 366. Rifiuto di uffici legalmente dovuti.

 

Art. 367. Simulazione di reato

Art. 368. Calunnia

 

 

Art. 369. Autocalunnia

 

Art. 371. Falso giuramento della parte[12]

Art. 371-bis. False informazioni al pubblico ministero.

 

Art. 371-ter. False dichiarazioni al difensore.

 

Art. 372. Falsa testimonianza

 

Art. 373. Falsa perizia o interpretazione

 

 

Art. 374. Frode processuale

Art. 374-bis. False dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria

 

 

Art. 377. Intralcio alla giustizia

Art. 377-bis. Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria

 

Art. 378. Favoreggiamento personale

 

Art. 379. Favoreggiamento reale

 

 

Art. 379-bis. Rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale

Art. 380. Patrocinio o consulenza infedele, III° comma[13]

Art. 380. Patrocinio o consulenza infedele, I° comma[14]

 

Art. 381. Altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico[15]

Art. 382. Millantato credito del patrocinatore[16]

 

Capo II – Dei delitti contro l’autorità delle decisioni giudiziarie

 

Art. 385. Evasione

Art. 386. Procurata evasione[17]

 

 

Art. 388. Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice

 

Art. 388-ter. Mancata esecuzione dolosa di sanzioni pecuniarie

 

Art. 389. Inosservanza di pene accessorie

Art. 390. Procurata inosservanza di pena

 

 

Art. 391. Procurata inosservanza di misure di sicurezza detentive

Art. 391-bis. Agevolazione ai detenuti e internati sottoposti a particolari restrizioni delle regole di trattamento e degli istituti previsti dall’ordinamento penitenziario.

 

Capo III – Della tutela arbitraria delle private ragioni

 

Art. 392. Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose[18]

 

Art. 393. Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone

Titolo IV
Dei delitti contro il sentimento religioso e contro la pietà dei defunti

Capo I – Dei delitti contro l’attività giudiziaria

 

Art. 403. Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone[19]

 

Art. 404. Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose

 

Art. 405. Turbamento di funzioni religiose del culto di una confessione religiosa

Capo II – Dei delitti contro la pietà dei defunti

Art. 407. Violazione di sepolcro

 

 

Art. 408. Vilipendio delle tombe

 

Art. 409. Turbamento di un funerale o servizio funebre

Art. 410. Vilipendio di cadavere, II° comma

Art. 410. Vilipendio di cadavere, I° comma

Art. 411. Distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere, I° comma

Art. 411. Distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere, IV° comma

 

Art. 412. Occultamento di cadavere.

 

Art. 413. Uso illegittimo di cadavere.


 

Titolo V
Dei delitti contro l’ordine pubblico

Art. 414. Istigazione a delinquere, I° comma, n. 1

Art. 414. Istigazione a delinquere, I° comma, n. 2

Art. 414-bis. Istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia

 

Art. 415. Istigazione a disobbedire alle leggi

 

Art. 416. Associazione per delinquere

 

Art. 416-bis. Associazioni di tipo mafioso anche straniere

 

Art. 416-ter. Scambio elettorale politico-mafioso

 

Art. 418. Assistenza agli associati.

 

Art. 419. Devastazione e saccheggio

 

Art. 420. Attentato a impianti di pubblica utilità.

 

 

Art. 421. Pubblica intimidazione.

Titolo VI
Dei delitti contro l’incolumità pubblica

Capo I – Dei delitti di comune pericolo mediante violenza

Art. 422. Strage.

 

Art. 423. Incendio.

 

Art. 423-bis. Incendio boschivo

 

 

Art. 424. Danneggiamento seguito da incendio.

Art. 426. Inondazione, frana o valanga.

 

Art. 427. Danneggiamento seguito da inondazione, frana o valanga

 

Art. 428. Naufragio, sommersione o disastro aviatorio

 

Art. 429. Danneggiamento seguito da naufragio

 

Art. 430. Disastro ferroviario

 

Art. 431. Pericolo di disastro ferroviario causato da danneggiamento

 

Art. 432. Attentati alla sicurezza dei trasporti, I° comma

 

 

Art. 432. Attentati alla sicurezza dei trasporti, II° comma

Art. 433. Attentati alla sicurezza degli impianti di energia elettrica e del gas, ovvero delle pubbliche comunicazioni

 

Art. 434. Crollo di costruzioni o altri disastri dolosi

 

Art. 435. Fabbricazione o detenzione di materie esplodenti

 

Art. 436. Sottrazione, occultamento o guasto di apparecchi a pubblica difesa da infortuni

 

Art. 437. Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro

 

Capo II – Dei delitti di comune pericolo mediante frode

Art. 439. Avvelenamento di acque o di sostanze alimentari

 

Art. 440. Adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari

 

Art. 441. Adulterazione e contraffazione di altre cose in danno della pubblica salute

 

Art. 442. Commercio di sostanze alimentari contraffatte o adulterate

 

 

Art. 443. Commercio o somministrazione di medicinali guasti

 

Art. 444. Commercio di sostanze alimentari nocive

 

Art. 445. Somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute pubblica

Titolo VII
Dei delitti contro la fede pubblica

Capo I – Della falsità in monete, in carte di pubblico credito e in valori di bollo

Art. 453. Falsificazione di monete, spendita e introduzione nello Stato, previo concerto, di monete falsificate

 

Art. 454. Alterazione di monete

 

Art. 455. Spendita e introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate

 

 

 

Art. 457. Spendita di monete falsificate ricevute in buona fede

Art. 459. Falsificazione di valori di bollo, introduzione nello Stato, acquisto, detenzione o messa in circolazione di valori di bollo falsificati

 

Art. 460. Contraffazione di carta filigranata in uso per la fabbricazione di carte di pubblico credito o di valori di bollo

 

Art. 461. Fabbricazione o detenzione di filigrane o di strumenti destinati alla falsificazione di monete, di valori di bollo o di carta filigranata

 

 

Art. 462. Falsificazione di biglietti di pubbliche imprese di trasporto

 

Art. 464. Uso di valori di bollo contraffatti o alterati

Capo II – Della falsità in sigilli o strumenti o segni di autenticazione, certificazione o riconoscimento

Art. 467. Contraffazione del sigillo dello Stato e uso del sigillo contraffatto

 

Art. 468. Contraffazione di altri pubblici sigilli o strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione e uso di tali sigilli e strumenti contraffatti

 

 

Art. 469. Contraffazione delle impronte di una pubblica autenticazione o certificazione

Art. 470. Vendita o acquisto di cose con impronte contraffatte di una pubblica autenticazione o certificazione

 

 

Art. 471. Uso abusivo di sigilli e strumenti veri

 

Art. 472. Uso o detenzione di misure o pesi con falsa impronta

Art. 473. Contraffazione, alterazione o uso di marchio segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni, II° comma

Art. 473. Contraffazione, alterazione o uso di marchio segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni, I° comma

Art. 474. Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, I° comma

Art. 474. Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, II° comma

 

Capo III – Della falsità in atti

Art. 476. Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici

 

 

Art. 477.  Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrativ

Art. 478. Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in copie autentiche di atti pubblici o privati e in attestati del contenuto di atti, I° comma

Art. 478. Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in copie autentiche di atti pubblici o privati e in attestati del contenuto di atti, III° comma

Art. 479. Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici

 

 

Art. 480. Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati o in autorizzazioni amministrative

 

Art. 481. Falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità

Art. 482. Falsità materiale commessa dal privato

 

 

Art. 483. Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico

 

Art. 484. Falsità in registri e notificazioni

 

Art. 485 . Falsità in scrittura privata

 

Art. 486. Falsità in foglio firmato in bianco. Atto privato

Art. 487. Falsità in foglio firmato in bianco. Atto pubblico (prima ipotesi)

Art. 487. Falsità in foglio firmato in bianco. Atto pubblico (prima ipotesi)

Art. 489. Uso di atto falso.

 

Art. 490. Soppressione, distruzione e occultamento di atti veri.

 

Art. 491. Documenti equiparati agli atti pubblici agli effetti della pena

 

Capo IV – Della falsità personale

 

Art. 494. Sostituzione di persona

Art. 495. Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri

 

 

 

 

Art. 495-bis. Falsa dichiarazione o attestazione al certificatore di firma elettronica sull'identità o su qualità personali proprie o di altri

Art. 495-ter. Fraudolente alterazioni per impedire l’identificazione o l’accertamento di qualità personali

 

Art. 496. False dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri

 

 

Art. 497. Frode nel farsi rilasciare certificati del casellario giudiziale e uso indebito di tali certificati

Art. 497-bis. Possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi

 

Art. 497-ter. Possesso di segni distintivi contraffatti

 

Titolo VIII
Dei delitti contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio

Capo I – Dei delitti contro l'economia pubblica

Art. 499. Distruzione di materie prime o di prodotti agricoli o industriali, ovvero di mezzi di produzione

 

Art. 500. Diffusione di una malattia delle piante o degli animali

 

 

Art. 501. Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio[20]

 

Art. 501 bis. Manovre speculative su merci.

 

Art. 503. Serrata e sciopero per fini non contrattuali.

 

Art. 507. Boicottaggio

Art. 508. Arbitraria invasione e occupazione di aziende agricole o industriali. Sabotaggio, II° comma

Art. 508. Arbitraria invasione e occupazione di aziende agricole o industriali. Sabotaggio, I° comma

Capo II – Dei delitti contro l'industria e il commercio

 

Art. 513. Turbata libertà dell’industria o del commercio

 

Art. 513 bis. Illecita concorrenza con minaccia o violenza

 

Art. 514. Frodi contro le industrie nazionali

 

 

Art. 515. Frode nell’esercizio del commercio

 

Art. 516. Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine

 

Art. 517. Vendita di prodotti industriali con segni mendaci

 

Art. 517-ter. Fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale

 

Art. 517-quater. Contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari

Titolo IX
Dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume

Capo II – Delle offese al pudore e all'onore sessuale

 

Art. 527. Atti osceni

 

Art. 528. Pubblicazioni e spettacoli osceni

Titolo IX-bis
Dei delitti contro il sentimento per gli animali

 

Art. 544-bis. Uccisione di animali

 

Art. 544-ter. Maltrattamento di animali

 

Art. 544-quater. Spettacoli o manifestazioni vietati

 

Art. 544-quinquies. Divieto di combattimenti tra animali

 

Titolo XI
Dei delitti contro la famiglia

Capo I – Dei delitti contro il matrimonio

Art. 556. Bigamia

 

 

Art. 558. Induzione al matrimonio mediante inganno


 

Capo II – Dei delitti contro la morale familiare

Art. 564. Incesto

 

 

Art. 565. Attentati alla morale familiare commessi col mezzo della stampa periodica[21]

Capo III – Dei delitti contro lo stato di famiglia

Art. 566. Supposizione o soppressione di stato

 

Art. 567. Alterazione di stato

 

Art. 568. Occultamento di stato di un fanciullo legittimo o naturale riconosciuto

 

Capo IV – Dei delitti contro l'assistenza familiare

 

Art. 570. Violazione degli obblighi di assistenza familiare

 

Art. 571. Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

Art. 572. Maltrattamenti contro familiari e conviventi

 

 

Art. 573. Sottrazione consensuale di minorenni

 

Art. 574. Sottrazione di persone incapaci

Art. 574-bis. Sottrazione e trattenimento di minore all’estero, I° comma

Art. 574-bis. Sottrazione e trattenimento di minore all’estero, II° comma

Titolo XII
Dei delitti contro la persona

Capo I – Dei delitti contro la vita e l’incolumità individuale

Art. 575. Omicidio

 

Art. 578. Infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale

 

Art. 579. Omicidio del consenziente

 

Art. 580. Istigazione o aiuto al suicidio

 

 

Art. 581. Percosse

 

Art. 582. Lesione personale

Art. 583-bis. Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili

 

Art. 583-quater. Lesioni personali gravi o gravissime a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive

 

 

Art. 588. Rissa[22]

Art. 591. Abbandono di persone minori o incapaci

 

 

Art. 593. Omissione di soccorso

Capo II – Dei delitti contro l’onore

 

Art. 594. Ingiuria

 

Art. 595. Diffamazione

Capo III – Dei delitti contro la libertà individuale
Sezione I - Dei delitti contro la personalità individuale

Art. 600. Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù

 

Art. 600-bis. Prostituzione minorile

 

Art. 600-ter. Pornografia minorile, I°, II°, III° comma

Art. 600-ter. Pornografia minorile, IV° e VI° comma

 

Art. 600-quater. Detenzione di materiale pornografico

Art. 600-quinquies. Iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile

 

 

Art. 600-octies. Impiego di minori nell’accattonaggio

Art. 601. Tratta di persone

 

Art. 602. Acquisto e alienazione di schiavi

 

Art. 603-bis. Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro

 

Capo III – Dei delitti contro la libertà individuale
Sezione II - Dei delitti contro la libertà personale

Art. 605. Sequestro di persona

 

 

Art. 606. Arresto illegale

 

Art. 607. Indebita limitazione di libertà personale

 

Art. 608. Abuso di autorità contro arrestati o detenuti

 

Art. 609. Perquisizione e ispezione personali arbitrarie

Art. 609-bis. Violenza sessuale

 

Art. 609-quater. Atti sessuali con minorenne

 

Art. 609-quinquies. Corruzione di minorenne

 

Art. 609-octies. Violenza sessuale di gruppo

 

 

Art. 609-undecies. Adescamento di minorenni

Capo III – Dei delitti contro la libertà individuale
Sezione III - Dei delitti contro la libertà morale

Art. 610. Violenza privata

 

Art. 611. Violenza o minaccia per costringere a commettere un reato

 

 

Art. 612. Minaccia

Art. 612-bis. Atti persecutori

 

Art. 613, terzo comma. Stato di incapacità procurato mediante violenza

Art. 613, primo comma. Stato di incapacità procurato mediante violenza

Capo III – Dei delitti contro la libertà individuale
Sezione IV - Dei delitti contro l’inviolabilità del domicilio

 

Art. 614. Violazione di domicilio

Art. 615. Violazione di domicilio commessa da un pubblico ufficiale, I° comma

Art. 615. Violazione di domicilio commessa da un pubblico ufficiale, II° comma

Art. 615-bis. Interferenze illecite nella vita privata

 

 

Art. 615-ter. Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico

 

Art. 615-quater. Detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici

 

Art. 615-quinquies. Diffusione di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico o telematico

Capo III – Dei delitti contro la libertà individuale
Sezione V - Dei delitti contro l’inviolabilità dei segreti

 

Art. 616. Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza

Art. 617. Cognizione, interruzione o impedimento illeciti di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche

 

 

Art. 617-bis. Installazione di apparecchiature atte ad intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche

 

Art. 617-ter. Falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche

 

Art. 617-quater. Intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche

 

Art. 617-quinquies. Installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni informatiche o telematiche

 

Art. 617-sexies. Falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni informatiche o telematiche

 

 

Art. 618. Rivelazioni del contenuto di corrispondenza

 

Art. 619. Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza commesse da persona addetta al servizio delle poste, dei telegrafi o dei telefoni.

 

Art. 620. Rivelazione del contenuto di corrispondenza, commessa da persona addetta al servizio delle poste, dei telegrafi o dei telefoni.

 

Art. 621. Rivelazione del contenuto di documenti segreti

 

Art. 622. Rivelazione di segreto professionale

 

Art. 623. Rivelazione di segreti scientifici o industriali


 

Titolo XIII
Dei delitti contro il patrimonio

Capo I – Dei delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle persone

 

Art. 624. Furto

Art. 624-bis. Furto in abitazione e furto con strappo

 

 

Art. 626. Furti punibili a querela dell'offeso

 

Art. 627. Sottrazione di cose comuni

Art. 628. Rapina

 

Art. 629. Estorsione

 

Art. 630. Sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione

 

 

Art. 631. Usurpazione

 

Art. 632. Deviazione di acque e modificazione dello stato dei luoghi

 

Art. 633. Invasione di terreni o edifici

 

Art. 634. Turbativa violenta del possesso di cose immobili

 

Art. 635. Danneggiamento

 

Art. 635-bis. Danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici

Art. 635-ter. Danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici utilizzati dallo Stato o da altro ente pubblico o comunque di pubblica utilità.

 

Art. 635-quater. Danneggiamento di sistemi informatici o telematici

 

Art. 635-quinquies. Danneggiamento di sistemi informatici o telematici di pubblica utilità

 

 

Art. 636. Introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui e pascolo abusivo

 

Art. 637. Ingresso abusivo nel fondo altrui[23]

Art. 638. Uccisione o danneggiamento di animali altrui, I° comma

Art. 638. Uccisione o danneggiamento di animali altrui, I° comma

 

Art. 639. Deturpamento e imbrattamento di cose altrui

Capo II – Dei delitti contro il patrimonio mediante frode

 

Art. 640. Truffa.

Art. 640-bis. Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche

 

 

Art. 640-ter. Frode informatica

 

Art. 640-quinquies. Frode informatica del soggetto che presta servizi di certificazione di firma elettronica

 

Art. 641. Insolvenza fraudolenta

Art. 642. Fraudolento danneggiamento dei beni assicurati e mutilazione fraudolenta della propria persona.

 

Art. 643. Circonvenzione di persone incapaci

 

Art. 644. Usura

 

Art. 645. Frode in emigrazione

 

 

Art. 646. Appropriazione indebita

 

Art. 647. Appropriazione di cose smarrite, del tesoro o di cose avute per errore o caso fortuito

Art. 648. Ricettazione

 

Art. 648 bis. Riciclaggio

 

Art. 648 ter. Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita

 

 


 

Codice civile

Delitti non colposi puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni

Delitti non colposi puniti con la reclusione inferiore nel massimo a 4 anni

TITOLO XI
Disposizioni penali in materia di società e di consorzi

Capo I - Delle falsità

Art. 2622. False comunicazioni sociali in danno della società, dei soci o dei creditori, III° e IV° comma

Art. 2622. False comunicazioni sociali in danno della società, dei soci o dei creditori, I° comma

 

Art. 2625. Impedito controllo

Capo II - Degli illeciti commessi dagli amministratori

 

Art. 2626. Indebita restituzione dei conferimenti

 

Art. 2628. Illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante

 

Art. 2629. Operazioni in pregiudizio dei creditori

Capo III - Degli illeciti commessi mediante omissione

 

Art. 2629-bis. Omessa comunicazione del conflitto d'interessi

Capo IV - Degli altri illeciti, delle circostanze attenuanti e delle misure di sicurezza patrimoniali

 

Art. 2632. Formazione fittizia del capitale

 

Art. 2633. Indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori

 

Art. 2634. Infedeltà patrimoniale

Art. 2635. Corruzione tra privati, IV° comma

Art. 2635. Corruzione tra privati, I° e II° comma

 

Art. 2636. Illecita influenza sull'assemblea

Art. 2637. Aggiotaggio

 

Art. 2638. Ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza

 

 

 


 

Articolo 2
(Accertamento dell’incandidabilità per le elezioni della Camera e del Senato)

 

L’articolo 2 reca disposizioni relative all’accertamento dell’incandidabilità.

Trattandosi appunto di incandidabilità, e non di ineleggibilità, all’accertamento consegue la cancellazione dalla lista dei candidati (comma 1).

 

In base al comma 2, l’accertamento dell’incandidabilità è svolto dall’Ufficio centrale circoscrizionale per la Camera, dall’Ufficio elettorale regionale per il Senato e dall’Ufficio centrale per la circoscrizione estero, per i deputati e i senatori da eleggere all’estero, in occasione della presentazione delle liste ed entro il termine di ammissione delle medesime.

 

Lo schema di decreto non indica espressamente il momento in cui deve sussistere la candidabilità ai fini dell’ammissione del candidato. Si desume che esso coincida con il termine di presentazione delle liste. Si valuti l’opportunità di un chiarimento al riguardo, in quanto la questione ha rilievo ai fini dell’individuazione dei casi di incandidabilità sopravvenuta ai sensi del comma 4, che comportano non la cancellazione della lista ma la mancata proclamazione.

 

L’accertamento avviene sulla base di una dichiarazione sostitutiva (cd. autocertificazione) del candidato attestante l’insussistenza dell’incandidabilità conseguente a sentenza definitiva di condanna (da rendere ai sensi dell’art. 46 DPR n. 445/2000).

Le norme integrano, senza peraltro modificarla testualmente, la disciplina sulla presentazione delle liste elettorali recata dal testo unico per l’elezione della Camera (artt. 17 e ss DPR n. 361/1957), dal testo unico per l’elezione del Senato (art. 8 e ss. D.Lgs. n. 533/1993), e dal regolamento sul diritto di voto degli italiani all’estero (art. 10 e ss. DPR n. 104/2003)

Dal combinato disposto delle disposizioni, si desume che l’autocertificazione prevista dall’articolo in esame rientra tra la documentazione che deve essere depositata dai delegati di lista al momento della presentazione delle liste dei candidati (a norma dell’art. 20 DPR n. 361/1957, richiamato dall’art. 9, comma 5, D.Lgs. n. 533/1993) e che la cancellazione avviene nell’ambito delle verifiche effettuate dall’ufficio elettorale (a norma dell’art. 22 DPR n. 361/1957 per la Camera e dell’articolo 10 D.Lgs. n. 533/1993 per il Senato).

Si valuti peraltro l’opportunità di un coordinamento esplicito con la normativa vigente.

 

Si ricorda che l’art. 46 del DPR 445/2000 elenca le dichiarazioni sostitutive che possono comprovare, anche all’atto di presentazione di un’istanza, alcuni stati, qualità personali e fatti.

L’articolo 76 dello stesso regolamento stabilisce che «chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia» (comma 1). La disposizione precisa inoltre che:

§          le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi dell’art. 46 sono considerate come fatte a pubblico ufficiale;

§          se i reati sono commessi per ottenere la nomina ad un pubblico ufficio o l'autorizzazione all'esercizio di una professione o arte, il giudice, nei casi più gravi, può applicare l'interdizione temporanea dai pubblici uffici o dalla professione e arte.

 

Quanto alle disposizioni del codice penale che possono trovare applicazione laddove si attesti il falso in una dichiarazione sostitutiva, la giurisprudenza richiama usualmente il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, di cui all’art. 483 c.p. che punisce con la reclusione fino a due anni chiunque «attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità».

Si ricorda altresì che, per le elezioni amministrative l’art. 87-bis DPR n. 570/1960 prevede uno specifico reato per le falsità commesse nella dichiarazione autentica di accettazione della candidatura, in cui secondo la vigente disciplina, il candidato deve fra l’altro dichiarare l’assenza di cause di incandidabilità. La pena prevista è la reclusione da sei mesi a tre anni.

 

Ai sensi del comma 2, inoltre, gli uffici elettorali accertano d’ufficio l’incandidabilità anche sulla base di atti o documenti di cui vengano comunque in possesso comprovanti la limitazione del diritto di elettorato passivo.

Non risulta chiaro se questo accertamento sia un atto comunque dovuto da parte dell’ufficio elettorale o si riferisca alle sole ipotesi in cui l’ufficio elettorale venga per qualsiasi ragione in possesso di atti che provano l’incandidabilità.

 

Per i ricorsi contro le decisioni di cui al comma 2, relativo all’accertamento dell’incandidabilità, si applica l’art. 23 del testo unico per l’elezione della Camera (comma 3).

 

Il citato art. 23 prevede che contro le decisioni di eliminazione di liste o di candidati, i delegati di lista possono, entro 48 ore dalla comunicazione, ricorrere all'Ufficio centrale nazionale.

Il ricorso deve essere depositato entro detto termine, a pena di decadenza, nella Cancelleria dell'Ufficio centrale circoscrizionale. Il predetto Ufficio, nella stessa giornata, trasmette, a mezzo di corriere speciale, all'Ufficio centrale nazionale, il ricorso con le proprie deduzioni.

L'Ufficio centrale nazionale decide nei due giorni successivi. Le decisioni sono comunicate nelle 24 ore ai ricorrenti ed agli Uffici centrali circoscrizionali

 

Non risulta chiaro se i ricorsi siano limitati alle decisioni relative alla cancellazione dalla lista di soggetti incandidabili, come sembrerebbe discendere dal richiamo del citato art. 23, o se possano riferirsi anche all’ammissione nelle liste di soggetti di cui sia contestata la candidabilità.

 

Il comma 4 dispone in ordine ai casi di incandidabilità:

§         sopravvenuta, ossia quando la sentenza di condanna passa in giudicato dopo il termine di presentazione delle liste (ma cfr. osservazione sub comma 2);

§         accertata successivamente alla fase di controllo sulla presentazione delle liste di cui al comma 2, ossia quando l’incandidabilità, già sussistente al momento della presentazione delle liste, non sia stata rilevata dall’ufficio elettorale.

In questi casi, l’ufficio elettorale competente (Ufficio centrale circoscrizionale per la Camera, l’Ufficio elettorale regionale per il Senato e l’Ufficio centrale per la circoscrizione estero, per i deputati e i senatori da eleggere all’estero) procedono alla dichiarazione di mancata proclamazione nei confronti del soggetto incandidabile (comma 4).

Tale dichiarazione sembra doversi effettuare, per le elezioni della Camera, al momento della proclamazione degli eletti dal parte del presidente dell'Ufficio centrale circoscrizionale ai sensi dell’art. 84 DPR n. 361/1957.

 

Non risulta chiaro di quali strumenti dispongano gli uffici elettorali per l’accertamento dell’incandidabilità, non essendo prevista alcuna forma di comunicazione della condanna da parte dell’autorità giudiziaria..

Merita in proposito ricordare la disciplina dell’interdizione dai pubblici uffici. L’art. 662 c.p.p. prevede che per l'esecuzione delle pene accessorie il pubblico ministero trasmette l'estratto della sentenza di condanna agli organi della polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza e, occorrendo, agli altri organi interessati, indicando le pene accessorie da eseguire.

Ai fini della verifica dell’interdizione al momento della presentazione delle liste, si ricorda altresì che i delegati di lista sono tenuti a presentare i certificati di iscrizione nelle liste elettorali dei candidati; i soggetti interdetti, essendo privi del diritto di elettorato sia attivo che passivo, sono invece cancellati dalle liste elettorali.

 

L’incandidabilità è inoltre configurata come una conseguenza automatica della condanna definitiva per i delitti indicati dall’art. 1.

Peraltro la verifica della riconducibilità dei delitti oggetto della condanna a quelli indicati dall’art. 1 non appare automatica, ma presuppone una valutazione in concreto della fattispecie di reato oggetto della condanna medesima.

     Lo stesso vale per la determinazione della durata dell’incandidabilità nelle ipotesi previste dall’art. 13, comma 3.

 

Si ricorda infine che nel nostro ordinamento non è allo stato prevista alcuna forma di tutela giurisdizionale nei confronti degli atti del procedimento elettorale preparatorio per le elezioni politiche nazionali, tra i quali rientra la cancellazione dalla lista dei soggetti incandidabili.

 

 


 

Articolo 3
(Incandidabilità sopravvenuta nel corso del mandato elettivo parlamentare)

 

 

L’articolo 3 disciplina l’incandidabilità sopravvenuta nel corso del mandato elettivo parlamentare, prevedendochein tal caso la Camera di appartenenza delibera in sede di verifica dei poteri, a norma dell’art. 66 Cost (comma 1).

 

L’articolo dà attuazione al criterio di delega, contenuto nell’art. 1, comma 64, lettera m), della legge anti-corruzione (L. 190/2012):

m) disciplinare le ipotesi di sospensione e decadenza di diritto dalle cariche di cui al comma 63 in caso di sentenza definitiva di condanna per delitti non colposi successiva alla candidatura o all'affidamento della carica.

 

L’art. 66 Cost. prevede che ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità.

Secondo il Regolamento della Camera, la Giunta delle elezioni riferisce all’Assemblea, non oltre diciotto mesi dalle elezioni, sulla regolarità delle operazioni elettorali, sui titoli di ammissione dei deputati e sulle cause di ineleggibilità, di incompatibilità e di decadenza previste dalla legge, formulando le relative proposte di convalida, annullamento o decadenza (art. 17, comma 1).

L'Assemblea delibera sulle proposte della Giunta in materia di verifica dei poteri, a meno che la proposta non discenda esclusivamente dal risultato di accertamenti numerici (art. 17-bis, comma 1).

Per le deliberazioni su proposte formulate dalla Giunta delle elezioni la Camera può essere convocata anche successivamente al suo scioglimento (art. 17-bis, comma 4).

 

 

La disposizione non sembrerebbe disciplinare l’ipotesi di incandidabilità preesistente al mandato parlamentare ma accertata successivamente all’inizio del mandato medesimo (ma v. comma 2 per la fase di convalida degli eletti).

Dal punto di vista della formulazione, essa fa inoltre riferimento al ‘mandato elettivo’ e non sembra pertanto comprendere i senatori a vita, che non sono eletti.

 

Le sentenze definitive di condanna che comportano l’incandidabilità, emesse nei confronti di parlamentari in carica, sono immediatamente comunicate, a cura del pubblico ministero presso il giudice competente per l’esecuzione (art. 665 c.p.p), alla Camera di appartenenza.

 

Ai sensi del comma 2, se l’accertamento dell’incandidabilità interviene nella fase di convalida degli eletti, la Camera interessata, anche nelle more di conclusione di tale fase, procede immediatamente alla deliberazione sulla mancata convalida.

A differenza del comma 1, il comma 2 fa riferimento non alla ‘sopravvenienza’ ma all’accertamento e pare pertanto idoneo a comprendere anche l’incandidabilità preesistente all’inizio del mandato parlamentare (limitatamente peraltro alla fase di convalida degli eletti).

 

La disposizione deve essere interpretata alla luce dell’articolo 66 Cost., che affida a ciascuna Camera la verifica dei poteri.

Spetta dunque ai regolamenti parlamentari la disciplina delle deliberazioni sulla convalida, l’annullamento o la decadenza dei parlamentari, non potendosi far discendere dalla disposizione impugnata un obbligo di delibera immediata (tanto più se intesa nel senso della mancata convalida).

 

Nel caso in cui rimanga vacante un seggio, la Camera interessata, in sede di convalida del subentrante, verifica per quest’ultimo l’assenza delle condizioni soggettive di incandidabilità.

 

Si ricorda che, secondo il regolamento della Camera, la convalida è un momento successivo alla proclamazione.

 

Ai sensi dell’art. 17-bis, comma 3, Reg. Camera, qualora un seggio, per qualsiasi causa, rimanga vacante, e la legge elettorale non preveda che esso venga attribuito mediante lo svolgimento di elezioni suppletive, il Presidente della Camera proclama eletto il candidato che segue immediatamente l'ultimo eletto nell'ordine accertato dalla Giunta delle elezioni.

Successivamente, la Giunta delle elezioni procede alla convalida.

 

In tal caso, dunque, a differenza di quanto avviene per l’incandidabilità sopravvenuta o accertata dopo la presentazione delle liste ma prima della proclamazione da parte degli uffici elettorali (art. 2, comma 4), l’esistenza di una causa di incandidabilità non sembra precludere la proclamazione ma solo la successiva  convalida.

 

 


 

Articoli 4 e 5
(Incandidabilità al Parlamento europeo)

 

 

L’articolo 4 prevede che non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di membro del Parlamento europeo spettante all’Italia coloro che si trovano nelle condizioni di incandidabilità previste dall’articolo 1 per le cariche di deputato e senatore.

 

L’art. 1, comma 63, della legge anti-corruzione (L. 190/2012) delega il Governo ad adottare un decreto legislativo recante un testo unico della normativa in materia di incandidabilità, concernente, tra le altre, la carica di membro del Parlamento europeo.

Nessuno dei principi e criteri di direttivi di cui al successivo comma 64, fa riferimento ai parlamentari europei (con l’eccezione della lettera m) sulla decadenza dalle cariche che richiama tutte le cariche di cui al comma 63).

 

L’articolo 5, commi 1-2 e 4, concerne l’accertamento dell’incandidabilità in occasione delle elezioni europee, dettando una disciplina che ricalca, con i necessari adattamenti, quella prevista dall’articolo 2 per le elezioni politiche nazionali, alle cui osservazioni si rinvia.

Viene dunque previsto che:

§         l’accertamento dell’incandidabilità comporta la cancellazione dalla lista dei candidati (comma 1);

§         l’accertamento è svolto dall’Ufficio centrale circoscrizionale, in occasione della presentazione delle liste ed entro il termine di ammissione delle medesime, sulla base di una dichiarazione sostitutiva del candidato. L’ufficio accerta l’incandidabilità sulla base di atti o documenti di cui venga comunque in possesso (comma 2).

Tali norme integrano dunque, senza modificarla testualmente, la disciplina sulla presentazione delle liste per le elezioni europee, prevista dagli artt. 12 e ss. L. 18/1979.

§         nei casi di incandidabilità sopravvenuta o accertata successivamente alla fase di controllo sulla presentazione delle liste, l’ufficio elettorale circoscrizionale o l’ufficio elettorale nazionale procedono alla dichiarazione di mancata proclamazione nei confronti del soggetto incandidabile (comma 4).

 

Ai sensi del comma 3, per i ricorsi contro le decisioni dell’Ufficio centrale circoscrizionale relative all’accertamento dell’incandidabilità, si applica l’art. 129 del cd. codice del processo amministrativo (D.Lgs. n. 104/2010).

L’articolo 129 disciplina la tutela giurisdizionale anticipata– ossia la possibilità di ricorrere immediatamente, senza attendere l’esito delle elezioni, avverso i provvedimenti del procedimento elettorale preparatorio – per le elezioni europee, regionali ed amministrative, limitandola ai soli provvedimenti immediatamente lesivi del diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale.

Viene prevista una procedura estremamente rapida, con forme semplificate, sia in primo grado davanti al TAR che in secondo grado innanzi Consiglio di Stato, al fine di consentire che il giudizio si concluda con il minor intralcio possibile per lo svolgimento delle elezioni.

 

Il rinvio immediato alla tutela giurisdizionale prevista dal codice del processo amministrativo sembra escludere il ricorso all’Ufficio elettorale nazionale previsto dall’art. 13, comma 2, L. 18/1979. Si valuti l’opportunità di un chiarimento al riguardo.

Il citato art. 13, comma 2, prevede che contro le decisioni di eliminazione di liste o di candidati, o di non ammissione di collegamento, i delegati di lista possono ricorrere, entro ventiquattro ore dalla comunicazione, all'Ufficio elettorale nazionale.

 

I commi 5 e 6 disciplinano l’incandidabilità sopravvenuta o accertata successivamente alla data di proclamazione.

Essa viene rilevata dall’ufficio elettorale nazionale, ai fini della deliberazione di decadenza dalla carica. La dichiarazione di decadenza è immediatamente comunicata dal Presidente dell’ufficio elettorale nazionale alla segreteria del Parlamento europeo.

A tal fine, le sentenze definitive di condanna che comportano l’incandidabilità, emesse nei confronti di parlamentari europei spettanti all’Italia, sono immediatamente comunicate, a cura del pubblico ministero presso il giudice competente per l’esecuzione (art. 665 c.p.p), all’ufficio elettorale nazionale.

 

Si ricorda che la legge elettorale europea (art. 6 L.18/79) prevede un’altra ipotesi di decadenza del parlamentare europeo dichiarata dall’ufficio elettorale nazionale: la decadenza a seguito di incompatibilità.

In tal caso, il parlamentare dichiarato decaduto può proporre ricorso contro la decisione dell'ufficio elettorale nazionale avanti la corte di appello di Roma (art. 6, quarto comma, L. 18/79).

Al ricorso, che deve essere proposto a pena di decadenza entro venti giorni dalla comunicazione della decisione, si applicano in quanto compatibili le disposizioni dell’art. 23 del D.Lgs. n. 150/2011 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione).

 

L’articolo 5 non prevede alcuna specifica tutela giurisdizionale per il parlamentare dichiarato decaduto. Si valuti l’opportunità di estendere la tutela prevista dall’art. 6, quarto comma, della legge elettorale europea per la dichiarazione di decadenza a seguito di incompatibilità.

 


 

Capo II
DIVIETO DI SVOLGERE INCARICHI DI GOVERNO NAZIONALI

Articolo 6
(Divieto di svolgere incarichi di governo nazionali)

 

 

L’articolo 6 disciplina il divieto di assumere e svolgere incarichi di Governo a livello nazionale per coloro che si trovano nelle condizioni di incandidabilità per le cariche di deputato e senatore.

 

L’articolo dà attuazione ai criteri di delega, contenuti nell’art. 1, comma 64, lettere f) ed m), della legge anti-corruzione (L. 190/2012):

f) prevedere che le condizioni di incandidabilità alla carica di deputato e di senatore siano applicate altresì all'assunzione delle cariche di governo;

m) disciplinare le ipotesi di sospensione e decadenza di diritto dalle cariche di cui al comma 63 in caso di sentenza definitiva di condanna per delitti non colposi successiva alla candidatura o all'affidamento della carica.

 

L’articolo 6 prevede che non possono ricoprire incarichi di Governo coloro che si trovano nelle condizioni di incandidabilità per le cariche di deputato e senatore ai sensi dell’articolo 1 (comma 1).

Per la cariche di governo si fa riferimento a quelle individuate dalla cd. legge sul conflitto di interessi (art. 1, comma 2, L. 215/2004), ossia:

§         Presidente del Consiglio dei ministri;

§         ministri;

§         viceministri e sottosegretari di Stato;

§         commissari straordinari del Governo, ai sensi dell’art. 11 L. 400/1988.

 

Coloro che assumono incarichi di Governo hanno l’obbligo di dichiarare di non trovarsi in alcuna delle citate condizioni di incandidabilità (comma 2).

Per il Presidente del Consiglio ed i ministri, la dichiarazione è rimessa al Presidente della Repubblica, prima dell’assunzione delle funzioni.

Per i viceministri, i sottosegretari e i commissari straordinari la dichiarazione è resa al Presidente del Consiglio, si presume anche in tal caso prima dell’assunzione delle funzioni (comma 3).

 

La norma non precisa la forma della dichiarazione e non indica la sanzione applicabile in caso di falsa dichiarazione; sembrano comunque applicabili le disposizioni del codice penale in materia di falso, rimettendo all’interprete l’individuazione del reato configurabile.

 

Ai fini previsti dall’articolo in esame, le sentenze definitive di condanna che comportano l’incandidabilità, si presume riguardanti titolari di incarichi di governo, sono immediatamente comunicate, a cura del pubblico ministero presso il giudice competente per l’esecuzione (art. 665 c.p.p), alla Presidenza della Repubblica e alla Presidenza del Consiglio.

Le predette sentenze determinano la decadenza di diritto dalla carica ricoperta, la quale è dichiarata dal Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio, o, in caso di decadenza del Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro dell’interno (comma 4).

 

Il criterio di delega (art. 1, comma 64, lettera m), L. 190/2012) fa peraltro riferimento alle ipotesi di decadenza di diritto dalle cariche “di cui al comma 63”, tra le quali non rientrano le cariche di Governo. Appare utile valutare se il criterio di delega recato dalla lettera f) possa essere riferito anche all’ipotesi in cui la condizione di incandidabilità sopravvenga nel corso dello svolgimento dell’incarico di governo.

Il citato comma 63 prevede infatti che il Governo è delegato ad adottare un decreto legislativo recante un testo unico della normativa in materia di incandidabilità alla carica di membro del Parlamento europeo, di deputato e di senatore della Repubblica, di incandidabilità alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali e di divieto di ricoprire le cariche di presidente e di componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, di presidente e di componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, di consigliere di amministrazione e di presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all'articolo 114 TUEL, di presidente e di componente degli organi esecutivi delle comunità montane.

 

 

Restano ferme le incompatibilità previste da altre disposizioni di legge per i titolari di cariche di governo (comma 5).

 


 

 

Capo III
INCANDIDABILITA’ ALLE CARICHE ELETTIVE REGIONALI

Il Capo III dà attuazione alla lettera i) della norma di delega.

 

I principi e criteri direttivi della delega
art. 1, comma 64

Il decreto legislativo di cui al comma 63 provvede al riordino e all'armonizzazione della vigente normativa ed è adottato secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

[…]

i) individuare, fatta salva la competenza legislativa regionale sul sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del presidente e degli altri componenti della giunta regionale nonché dei consiglieri regionali, le ipotesi di incandidabilità alle elezioni regionali e di divieto di ricoprire cariche negli organi politici di vertice delle regioni, conseguenti a sentenze definitive di condanna.

 

 

Articolo 7
(Incandidabilità alle elezioni regionali)

 

L’articolo 7, comma 1, elenca le cause - quasi esclusivamente di natura penale - che impediscono:

-          la candidabilità alle elezioni regionali, la carica di consigliere regionale e di Presidente della giunta regionale;

-          la carica di assessore;

-          la carica di amministratore e componente degli organi della unità sanitarie locali.

Si sottolinea che la norma di delega fa riferimento agli organi politici di vertice delle regioni; il termine è stato inteso in sede di commento della legge come riferito agli organi esecutivi. Il Governo – armonizzando la normativa vigente - ha ritenuto di ricomprendervi anche i vertici delle unità sanitarie locali, attualmente richiamati dall’art. 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55.

 

L’elenco delle c.d. cause di incandidabilità riprende quanto ad oggi disciplinato dall’art. 15 della legge n. 55 del 1990. Di seguito, con l’ausilio di un testo a fronte, si segnalano le novità introdotte dallo schema di decreto legislativo.

 

 

 

 

 

Normativa vigente (art. 15, L. 55/90)

A.G. 521

1. Non possono essere candidati alle elezioni regionali […], e non possono comunque ricoprire le cariche di presidente della giunta regionale, assessore e consigliere regionale […], amministratore e componente degli organi comunque denominati delle unità sanitarie locali […]:

1. Identico:

a) coloro che hanno riportato condanna definitiva per il delitto previsto dall'articolo 416-bis del codice penale o per il delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui all'articolo 74 del testo unico approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 , o per un delitto di cui all'articolo 73 del citato testo unico, concernente la produzione o il traffico di dette sostanze, o per un delitto concernente la fabbricazione, l'importazione, l'esportazione, la vendita o cessione, nonché, nei casi in cui sia inflitta la pena della reclusione non inferiore ad un anno, il porto, il trasporto e la detenzione di armi, munizioni o materie esplodenti, o per il delitto di favoreggiamento personale o reale commesso in relazione a taluno dei predetti reati;

a) identica;

 

b) coloro che hanno riportato condanne definitive per i delitti, consumati o tentati, previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, diversi da quelli indicati alla lettera a);

b) coloro che hanno riportato condanna definitiva per i delitti previsti dagli articoli 314 (peculato), 316 (peculato mediante profitto dell'errore altrui), 316-bis (malversazione a danno dello Stato), 317 (concussione), 318 (corruzione per un atto d'ufficio), 319 (corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio), 319-ter (corruzione in atti giudiziari), 320 (corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio) del codice penale;

c) coloro che hanno riportato condanna definitiva per i delitti – consumati o tentati - previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, 323, 325, 326, 331, secondo comma, 334, 346-bis del codice penale;

c) coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva alla pena della reclusione complessivamente superiore a sei mesi per uno o più delitti commessi con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio diversi da quelli indicati alla lettera b);

d) coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva alla pena della reclusione complessivamente superiore a sei mesi per uno o più delitti commessi con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio diversi da quelli indicati alla lettera c);

d) coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva ad una pena non inferiore a due anni di reclusione per delitto non colposo;

e) identica;

f) coloro nei cui confronti il tribunale ha applicato, con provvedimento definitivo, una misura di prevenzione, in quanto indiziati di appartenere ad una delle associazioni di cui all'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, come sostituito dall'articolo 13 della legge 13 settembre 1982, n. 646.

f) coloro nei cui confronti il tribunale ha applicato, con provvedimento definitivo, una misura di prevenzione, in quanto indiziati di appartenere ad una delle associazioni di cui all'articolo 4, comma 1, lett, a) e b), del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159.

 

Lo schema di decreto legislativo apporta tre novelle alla disciplina vigente:

 

§       inserisce tra le cause di incandidabilità la condanna definitiva per i delitti, consumati o tentati, previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. (per la cui elencazione si rinvia al commento all’art. 1). Si tratta della condanna per delitti di grave allarme sociale (fattispecie prevalentemente di natura associativa) previsti espressamente dalla norma di delega anche per l’incandidabilità in Parlamento: nelle elezioni per la Camera dei deputati e il Senato però questa condanna determina incandidabilità solo se la pena detentiva concretamente irrogata dalla sentenza è alla reclusione superiore a 2 anni. Nelle regioni è sufficiente la condanna, a prescindere dall’entità della pena.

 

§       amplia il catalogo dei delitti contro la pubblica amministrazione che, in caso di condanna, comportano l’incandidabilità. Tale ampliamento è giustificato dal fatto che per le elezioni politiche tutti i delitti di cui al capo I del titolo II del codice penale (v. sopra, commento all’art. 1) determinano incandidabilità se la pena irrogata è superiore ai due anni di reclusione. Nel caso delle elezioni regionali, è sufficiente la condanna, indipendentemente dalla pena, per determinare l’incandidabilità.

Si sottolinea che – diversamente da quanto previsto per le elezioni politiche - per le Regioni con costituisce causa di incandidabilità la condanna:

-          ai sensi dell’art. 319-quater (Induzione indebita a dare o promettere utilità), secondo comma. Si tratta della disposizione – introdotta dalla legge delega - che punisce con la reclusine fino a tre anni chiunque dà o promette denaro o altra utilità al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, l’abbia indotto a farlo;

-          ai sensi dell’art. 328 (Rifiuto di atti d'ufficio. Omissione);

-          ai sensi dell’art. 329 (Rifiuto o ritardo di obbedienza commesso da un militare o da un agente della forza pubblica);

-          ai sensi dell’art. 331 (Interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità);

-          ai sensi dell’art. 335 (Violazione colposa di doveri inerenti alla custodia di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall'autorità amministrativa).

Il Governo ha peraltro inserito tra questi delitti, anche se nel codice è collocato in un diverso capo, l’art. 346-bis, traffico di influenze illecite, introdotto dalla legge n. 190/2012.

Ne deriva che il traffico di influenze illecite impedisce la candidatura alle regionali. In ragione dell’entità della pena massima irrogabile, inferiore a 4 anni, non impedisce l’assunzione della carica di parlamentare.

 

§         aggiorna il riferimento normativo alle associazioni di tipo mafioso, riferendosi ora al recente Codice delle leggi antimafia (d.lgs. n. 159/2011).

 

 

I commi 2 e 3 riproducono rispettivamente il contenuto dei commi 3 e 4 dell’articolo 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55, come modificato dalla legge 18 gennaio 1992, n. 16.

 

Il comma 2 estende l’applicazione delle disposizioni in materia di incandidabilità per le cariche elettive e di governo regionali a qualsiasi incarico la cui elezione o nomina sia di competenza degli organi di governo della Regione.

 

Il comma 2 deve essere valutato alla luce della competenza legislativa residuale delle regioni in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa regionale.

 

Il comma 3 disciplina gli effetti dell'illegittima elezione di un soggetto che si trova in una delle condizioni che determina l'incandidabilità e sanziona espressamente con la nullità l’elezione o nomina del candidato che si trova in una delle suddette condizioni.

All'organo che ha convalidato l'elezione o deliberato la nomina del soggetto incandidabile, e cioè lo stesso Consiglio Regionale contestualmente eletto, è attribuito l’obbligo di provvedere alla revoca di esse.

 

Sulla nullità dell’atto di elezione o nomina del soggetto in candidabile si è pronunciata la Corte costituzionale nella sentenza n. 141 del 1996, sostenendo che “l'elezione di coloro che versano nelle condizioni di non candidabilità è nulla, senza che sia in alcun modo possibile per l'interessato rimuovere l'impedimento all'elezione, come invece è ammesso per le cause di ineleggibilità (cfr. la sentenza n. 97 del 1991)”.

Nella sentenza 295\94 la Corte Cost. sostiene che l'incapacità ad essere candidato alle elezioni amministrative esclude il diritto di elettorato passivo rispetto a quelle elezioni. Dunque l'atto di ammissione di chi versa in una delle condizioni previste di incandidabilità <<è radicalmente nullo, e non, semplicemente, annullabile. L'atto che accerta l'esistenza\inesistenza di quel requisito non può, infatti, ascriversi alla categoria dei provvedimenti amministrativi, essendo, invece, un atto meramente ricognitivo dell'esistenza\inesistenza di un diritto che, per dover essere accertato da un'autorità amministrativa, non degrada ad interesse legittimo>>. La conferma di ciò si ha nel fatto che, come affermato dalla Corte Costituzionale, Corte Cost. n° 118\94 la sentenza di condanna ostativa di quel diritto <<è ... presa in considerazione come mero presupposto oggettivo ... viene configurata quale "requisito negativo" ai fini della capacità>> di essere candidato.

 

 

 


 

Articolo 8
(Sospensione e decadenza di diritto per incandidabilità alle cariche regionali)

 

I principi e criteri direttivi della delega
art. 1, comma 64

Il decreto legislativo di cui al comma 63 provvede al riordino e all'armonizzazione della vigente normativa ed è adottato secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

[…]

m)  disciplinare le ipotesi di sospensione e decadenza di diritto dalle cariche di cui al comma 63 in caso di sentenza definitiva di condanna per delitti non colposi successiva alla candidatura o all'affidamento della carica.

 

L’articolo 8 stabilisce che, in presenza di alcuni elencati presupposti, coloro che ricoprono le cariche indicate dall’articolo precedente (art. 7, comma 1), sono sospesi.

 

La Corte Costituzionale, nella sentenza 25/2002 specifica che in caso di sospensione, “che è una misura sicuramente cautelare, non è comunque prospettabile, un'esigenza di proporzionalità rispetto al reato commesso, ma piuttosto rispetto alla possibile lesione dell'interesse pubblico causata dalla permanenza dell'eletto nell'organo elettivo: non si pone quindi un problema di "adeguatezza" della misura rispetto alla gravità del fatto, ma piuttosto rispetto all'esigenza cautelare”(sentenza n. 206 del 1999). Sotto questo ultimo profilo la Corte sottolinea la facoltà al legislatore “nell'esercizio di una non irragionevole discrezionalità, di effettuare il necessario bilanciamento degli interessi coinvolti, identificando ipotesi circoscritte nelle quali l'esigenza cautelare su cui si basa la sospensione è apprezzata in via generale ed astratta, anziché essere rimessa alla valutazione in concreto dell'amministrazione interessata, così come è apprezzato in via generale ed astratta l'ambito di applicazione della misura cautelare in relazione ai soggetti e al nesso tra la condanna non definitiva e le funzioni elettive svolte” (sent. 206 del 1999). Secondo la corte in ogni caso, nelle ipotesi legislative di decadenza ed anche di sospensione obbligatoria dalla carica elettiva previste non si tratta affatto di "irrogare una sanzione graduabile in relazione alla diversa gravità dei reati, bensì di constatare che è venuto meno un requisito essenziale per continuare a ricoprire l'ufficio pubblico elettivo" (sentenza n. 295 del 1994), nell'ambito di quel potere di fissazione dei "requisiti" di eleggibilità, che l'art. 51, primo comma, della Costituzione riserva appunto al legislatore.

 

Ai sensi del comma 1 la sospensione discende da:

 

§         una condannaanche se non definitiva – per uno dei delitti di cui all’art. 7, comma 1, lettere a), b) e c) (v. sopra).

Il legislatore connette la sospensione alla condanna per alcuni dei delitti che importano la incandidabilità; richiama infatti solo le prime lettere dell’art. 7, relative, ad esempio, ai delitti di mafia (art. 416-bis), di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, ai delitti di grave allarme sociale attribuiti alla competenza della procura distrettuale e ai delitti contro la pubblica amministrazione.

 

§         condanna in primo grado confermata dal giudice dell’appello - per la stessa imputazione del primo grado – a pena non inferiore a 2 anni di reclusione per un delitto non colposo.

Il legislatore anticipa gli affetti della sentenza definitiva – che in base all’art. 7, comma 1, lett. e) impedisce di candidarsi e di ricoprire le cariche regionali – disponendo la sospensione dalla carica già a seguito di una condanna in appello. Ciò purché il giudice dell’impugnazione abbia confermato l’imputazione e dunque la condanna di primo grado.

La lettera b) si chiude con la precisazione «dopo l’elezione o la nomina»; trattandosi della disciplina della sospensione dalla carica ricoperta, non pare utile specificare che l’elezione o la nomina alla carica si è già realizzata.

 

§         applicazione – anche con provvedimento non definitivo – di una misura di prevenzione antimafia.

Si ricorda che le misure di prevenzione trovano applicazione indipendentemente dalla commissione di un reato[24]; nel caso specifico possono infatti essere applicate dall’autorità giudiziaria a coloro che siano indiziati di appartenere ad associazioni mafiose ovvero agli indiziati di uno dei reati attribuiti alla competenza della procura distrettuale dall’art. 51, comma 3-bis del codice di procedura penale.

Le misure hanno natura personale (sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, obbligo o divieto di soggiorno) o patrimoniale (sequestro e confisca) e sono oggi disciplinate dal Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (decreto-legislativo n. 159 del 2011), cui lo schema di decreto legislativo fa riferimento.

Quanto al procedimento per l’applicazione delle misure, la proposta può venire dal questore, dal procuratore nazionale antimafia, dal procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto ove dimora la persona e dal direttore della Direzione investigativa antimafia, e la decisione compete al Tribunale del capoluogo della provincia in cui la persona dimora. La decisione del tribunale è impugnabile in secondo grado e poi ricorribile in Cassazione. Il provvedimento del tribunale stabilisce la durata della misura di prevenzione personale che non può essere inferiore ad un anno né superiore a cinque.

 

Il comma 2 aggiunge ulteriori ipotesi di sospensione dalla carica in caso di applicazione di una misura coercitiva.

 

Si ricorda che le misure coercitive (artt. 280-286-bis, c.p.p.) sono misure cautelari che determinano forme di privazione o di limitazione della libertà personale. Le misure coercitive si suddividono in:

-               misure custodiali, che comportano la privazione integrale della libertà di movimento, giacché devono essere eseguite in luoghi circoscritti, l’uscita dai quali è incriminata come delitto di evasione. L’applicazione di una misura custodiale comporta la detraibilità del presofferto dalla espiazione della pena inflitta all’esito del giudizio. Sono misure custodiali la custodia cautelare in carcere (art. 285 c.p.p.), gli arresti domiciliari (art. 284 c.p.p.) e la custodia in luogo di cura (art. 286 c.p.p.);

-               misure non custodiali, che limitano ma non sopprimono la libertà di movimento (art. 281 c.p.p., divieto di espatrio; art. 282 c.p.p., obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria; art. 282-bis, allontanamento dalla casa familiare; art. 282-ter, divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa; art. 283, divieto e obbligo di dimora).

In particolare, la sospensione opera in caso di applicazione di una misura custodiale nonché in caso di applicazione della misura del divieto di dimora se tale divieto riguarda la sede dove si svolge il mandato elettorale.

 

Si osserva che, nell’attuale formulazione, la disposizione sul divieto di dimora è destinata a trovare applicazione solo per le cariche elettive regionali e non anche, come previsto dal rinvio all’art. 7, comma 1, alle cariche di amministratore e componente degli organi – comunque denominati – delle unità sanitarie locali.

 

 

Il comma 3 riproduce il contenuto del comma 4-bis (terzo, quarto, quinto e sesto periodo) dell’articolo 15 della legge n. 55 del 1990, con riguardo alla disciplina sugli effetti della sospensione.

 

Il comma 3, primo periodo, detta una norma cedevole in merito all’effetto della sospensione con riferimento al computo al fine della verifica del numero legale e per la determinazione di quorum o maggioranze qualificate. Trattandosi di materia di competenza esclusiva delle regioni il legislatore statale fa espressamente salve le diverse specifiche discipline regionali.

 

Si ricorda che l’articolo 123, comma primo, della Costituzione dispone che ciascuna Regione ha uno statuto che, in armonia con la Costituzione, ne determina la forma di governo e i princìpi fondamentali di organizzazione e funzionamento.

 

Il secondo periodo del comma 3 riproduce il contenuto dell’articolo 15, comma 4-bis (terzo, quarto, quinto e sesto periodo) della legge 55 del 1990, fissando in generale in 18 mesi il periodo massimo di sospensione. La sospensione è prorogata di 12 mesi allorché, entro il primo termine, venga rigettata l’impugnazione proposta dall’interessato avverso la sentenza dichiarativa della responsabilità penale. Ove dunque nell'arco del periodo predetto intervenga una sentenza d’appello, il decorso del primo termine si interrompe ed inizia a decorrere un termine nuovo (12 mesi).

 

Sulla durata della sospensione di 18 mesi si è pronunciato il Consiglio di Stato (Sezione I n. 427/01 del 9 maggio 2001) in sede consultiva, il quale ha evidenziato come la norma disciplini la cessazione di diritto della sospensione dopo 18 mesi come fattispecie base, derogabile solo ove entro tale termine intervenga la sentenza negativa d'appello, la quale provoca l'aggiungersi di ulteriori 12 mesi. Ne deriva che la sospensione complessiva non potrà comunque protrarsi oltre gli effettivi trenta mesi sempreché la sentenza di appello intervenga prima dello spirare della sospensione

Il Consiglio di Stato ha sottolineato come sullo specifico punto della sospensione  vengano in contrapposto rilievo valori primari che l’ordinamento protegge in uguale misura: “alla ineludibile esigenza di salvaguardia della trasparente gestione degli enti locali, si contrappongono infatti la presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definitiva (art. 27 Cost.) ed il diritto all’elettorato passivo (art. 51 Cost.) ed al connesso svolgimento del mandato elettivo”.

In tale occasione il Consiglio di Stato ha sottolineato che la norma non prevede una sommatoria dei due periodi di interdizione potenzialmente irrogabili, non stabilisce cioè che alla condanna di primo grado segua una sospensione di 18 mesi ed a quella di secondo una ulteriore sospensione annuale, per un complessivo periodo di sospensione di 30 mesi del condannato anche in appello. Piuttosto la norma disciplina il venir meno della sospensione dopo 18 mesi come fattispecie base, derogabile solo ove entro quale termine intervenga la sentenza negativa d’appello, la quale provoca l’aggiungersi di ulteriori 12 mesi (non al periodo massimo di interdizione irrogabile) ma a quello effettivamente consumato: anche nel caso risolvibile de plano, mai (salvo ipotesi liminari) la sospensione complessiva potrà dunque protrarsi per effettivi 30 mesi.

 

Il comma 5 riproduce il contenuto dell’articolo 15, commi 4-quater della più volte citata legge n. 55 del 1990  con riguardo alla cessazione della sospensione nel caso in cui venga meno l’efficacia della misura coercitiva ovvero venga emessa sentenza anche non definitiva di non luogo a procedere, di proscioglimento, di assoluzione o provvedimento di revoca della misura di prevenzione.

 

Il comma 6, che riproduce il comma 4-quinquies dell’articolo 15 (legge 55/90) disciplina la decadenza di diritto dalle cariche dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna o dalla data in cui diviene definitivo il provvedimento che applica la misura di prevenzione.


 

Articolo 9
(Cancellazione dalle liste per incandidabilità alle elezioni regionali)

 

 

L’articolo 9 dispone la disciplina dell’accertamento delle condizioni di incandidabilità effettuata dagli uffici elettorali regionali in occasione della presentazione delle liste per l'elezione del presidente della regione e dei consiglieri regionali.

Al riguardo la disciplina vigente in materia degli accertamenti da parte degli uffici elettorali regionali - contenuta nella legge 108 del 1968 – risulta modificata in modo non testuale, per quanto riguarda l'accertamento dell'incandidabilità.

L’ articolo 9 della 108 del 1968 infatti,  prevede che la dichiarazione del candidato di non trovarsi in alcuna delle ipotesi di incandidablità debba essere contenuta nella dichiarazione di accettazione della candidatura. Secondo la nuova disciplina l'insussistenza delle cause di incandidabilità deve essere invece oggetto di un'autonoma dichiarazione sostitutiva, resa ai sensi dell'articolo 46 del del DPR 445/2000 (c.d. autocertificazione).

La mancata abrogazione della disposizione riguardante la dichiarazione di incandidabilità nell’atto di accettazione della candidatura, comporta una possibile incertezza sul regime applicabile.

 

 

L'articolo 9 della legge n. 108 del 1968 elencando la documentazione necessaria per la presentazione delle liste prevede altresì  (comma 1, n. 2) la dichiarazione di accettazione della candidatura di ogni candidato. La candidatura deve essere accettata con dichiarazione firmata ed autenticata da un sindaco o da un notaio, da un pretore o da un giudice conciliatore. Per i cittadini residenti all'estero, l'autenticazione della firma deve essere richiesta da un ufficio diplomatico o consolare. La dichiarazione di accettazione della candidatura deve contenere l'esplicita dichiarazione del candidato di non essere in alcuna delle condizioni previste dal comma 1 dell'articolo 15 della L. 19 marzo 1990, n. 55;

 

L’art. 46 del DPR 445/2000 elenca le dichiarazioni sostitutive che possono comprovare, anche all’atto di presentazione di un’istanza, alcuni stati, qualità personali e fatti.

L’articolo 76 dello stesso regolamento stabilisce che «chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia» (comma 1); la disposizione precisa inoltre:

§          che le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi dell’art. 46 sono considerate come fatte a pubblico ufficiale;

§          che se i reati sono commessi per ottenere la nomina ad un pubblico ufficio o l'autorizzazione all'esercizio di una professione o arte, il giudice, nei casi più gravi, può applicare l'interdizione temporanea dai pubblici uffici o dalla professione e arte.

 

Quanto alle disposizioni del codice penale che possono trovare applicazione laddove si attesti il falso in una dichiarazione sostitutiva, la giurisprudenza richiama usualmente il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, di cui all’art. 483 c.p. che punisce con la reclusione fino a due anni chiunque «attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità».

Per le elezioni amministrative però  l’art. 87-bis DPR n. 570/1960 prevede uno specifico reato per le falsità commesse nella dichiarazione autentica di accettazione della candidatura, prevedendo la reclusione da sei mesi a tre anni.

 

Il mancato coordinamento tra le disposizioni introdotte e quelle vigenti in materia di dichiarazione di insussistenza delle cause di incandidabilità, crea una possibile incertezza  giuridica anche sul piano delle conseguenze in caso di attestazione del falso.

Andrebbe dunque valutata l'opportunità di un coordinamento esplicito delle disposizioni in materia di dichiarazione di incandidabilità con la disciplina vigente.

Il comma 2  dispone la cancellazione da parte degli uffici preposti all'esame delle liste dei nomi dei candidati per i quali manchi la dichiarazione sostitutiva o per i quali venga accertata comunque tramite atti o documenti di cui l'ufficio sia in possesso la condizione di incandidabilità.

 

Per quanto riguarda gli uffici preposti all'esame delle liste dei candidati  l'art. 8  della legge 108 del 1968 stabilisce che presso il tribunale nella cui giurisdizione è il comune capoluogo della provincia, è costituito, entro tre giorni dalla pubblicazione del manifesto di convocazione dei comizi, l'ufficio centrale circoscrizionale, composto di tre magistrati, dei quali uno con funzioni di presidente, nominati dal presidente del tribunale e che ai fini della decisione dei ricorsi contro la eliminazione di liste o di candidati, nonché per la attribuzione dei seggi in sede di collegio unico regionale, presso la Corte di appello del capoluogo della regione è costituito, entro cinque giorni dalla pubblicazione del manifesto di convocazione dei comizi, l'Ufficio centrale regionale, composto di tre magistrati, dei quali uno con funzioni di presidente, nominati dal presidente della Corte di appello medesima.

L'articolo 10 della medesima legge prevede che l'Ufficio centrale circoscrizionale, entro ventiquattro ore dalla scadenza del termine stabilito per la presentazione delle liste dei candidati:

1) verifica se le liste siano state presentate in termine, siano sottoscritte dal numero di elettori stabilito e comprendano un numero di candidati inferiore al minimo prescritto; dichiara non valide le liste che non corrispondano a queste condizioni e riduce al limite prescritto quelle contenenti un numero di candidati superiore a quello dei seggi assegnati alla circoscrizione, cancellando gli ultimi nomi; ricusa i contrassegni che non siano conformi alle norme di cui all'articolo precedente;

2) cancella dalle liste i nomi dei candidati a carico dei quali viene accertata la sussistenza di alcuna delle condizioni previste dal comma 1 dell'articolo 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55, o per i quali manca la prescritta accettazione o la stessa non è completa a norma dell'articolo 9, ottavo comma ;

3) cancella dalle liste i nomi dei candidati che non abbiano compiuto e che non compiano il 21° anno di età al primo giorno delle elezioni, di quelli per i quali non sia stato presentato il certificato di nascita, o documento equipollente, o il certificato di iscrizione nelle liste elettorali di un qualsiasi comune della Repubblica;

4) cancella i nomi dei candidati compresi in altra lista già presentata nella circoscrizione.

 

 

Anche con riguardo all'ammissione delle liste sembrerebbe opportuno un coordinamento con la disciplina vigente, eventualmente tramite l'abrogazione esplicita delle disposizioni riguardanti l'accertamento dell'insussistenza delle condizioni di candidablità

 

Il comma 3, prevede che per i ricorsi contro le decisioni dell’Ufficio centrale circoscrizionale relative all’accertamento dell’incandidabilità, si applica l’art. 129 del cd. codice del processo amministrativo (D.Lgs. n. 104/2010).

 

L’articolo 129 L'art. 129 CPA (d.lgs. n. 104/2010) ha introdotto, nel micro sistema del contenzioso elettorale riferibile ai soli enti territoriali, un regime facoltativo di tutela immediata avverso i provvedimenti di esclusione delle liste elettorali

Esso disciplina la tutela giurisdizionale anticipata– ossia la possibilità di ricorrere immediatamente, senza attendere l’esito delle elezioni, avverso i provvedimenti del procedimento elettorale preparatorio – per le elezioni europee, regionali ed amministrative, limitandola ai soli provvedimenti immediatamente lesivi del diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale. Viene prevista una procedura estremamente rapida, con forme semplificate, sia in primo grado davanti al TAR che in secondo grado innanzi al Consiglio di Stato, al fine di consentire che il giudizio si concluda con il minor intralcio possibile per lo svolgimento delle elezioni.

 

Rispetto alla disciplina vigente si introduce dunque un elemento di novità consistente nella tutela giurisdizionale prevista dal codice del processo amministrativo. Attualmente invece, contro le decisioni di cancellazione dalle liste per incandidabilità, così come per tutte le altre cause di cancellazione di liste o candidati, l'articolo 10 della legge 108 prevede il ricorso, entro 24 ore dalla comunicazione, ricorrere all'Ufficio centrale regionale.

 

L'articolo 10 quinto comma, della legge 108 del 1968 prevede altresì cheil ricorso deve essere depositato entro detto termine a pena di decadenza, nella cancelleria dell'Ufficio centrale circoscrizionale. Il predetto Ufficio, nella stessa giornata, trasmette, a mezzo di corriere speciale, all'Ufficio centrale regionale, il ricorso con le proprie deduzioni.

L'Ufficio centrale regionale decide nei due giorni successivi. Le decisioni dell'Ufficio centrale regionale sono comunicate nelle 24 ore ai ricorrenti ed agli Uffici centrali circoscrizionali.

 

Il rinvio alla tutela giurisdizionale prevista dal codice del processo amministrativo sembrerebbe escludere, per le sole decisioni di cancellazione dalle liste per incandidabilità, il ricorso all’Ufficio centrale regionale previsto dall’articolo 10 della L. 17-2-1968, n. 108. Si valuti l’opportunità di un chiarimento al riguardo.

 

 

Il comma 4 infine riproduce la disciplina vigente in materia di l’incandidabilità sopravvenuta o accertata successivamente alle operazioni di esame delle liste, ma antecedentemente alla proclamazione. Essa viene rilevata dagli uffici preposti alla proclamazione degli eletti.

 


 

Capo IV
Incandidabilità alle cariche elettive negli enti locali

Il Capo IV dà attuazione alle lettere g) ed h) della norma di delega.

 

I principi e criteri direttivi della delega
art. 1, comma 64

Il decreto legislativo di cui al comma 63 provvede al riordino e all'armonizzazione della vigente normativa ed è adottato secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

[…]

g) operare una completa ricognizione della normativa vigente in materia di incandidabilità alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali e di divieto di ricoprire le cariche di presidente della provincia, sindaco, assessore e consigliere provinciale e comunale, presidente e componente del consiglio circoscrizionale, presidente e componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, presidente e componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, consigliere di amministrazione e presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all'articolo 114 del testo unico di cui al citato decreto legislativo n. 267 del 2000, presidente e componente degli organi delle comunità montane, determinata da sentenze definitive di condanna;

h) valutare per le cariche di cui alla lettera g), in coerenza con le scelte operate in attuazione delle lettere a) e i), l'introduzione di ulteriori ipotesi di incandidabilità determinate da sentenze definitive di condanna per delitti di grave allarme sociale.

 

 

 

Articolo 10
(Incandidabilità alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali)

 

 

L’articolo 10, comma 1, ricalca il contenuto dell’art. 7, comma 1 (dedicato alle cariche regionali) ed elenca le cause - quasi esclusivamente di natura penale - che impediscono la candidabilità alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali, nonché di ricoprire la carica di:

-          consigliere provinciale, comunale e di componente del consiglio circoscrizionale;

-          presidente della provincia, sindaco, presidente del consiglio circoscrizionale;

-          assessore provinciale e assessore comunale;

-          presidente e componente del consiglio di amministrazione dei consorzi;

-          presidente e componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni;

-          consigliere di amministrazione e presidente delle aziende speciali e delle istituzioni (di cui all’art. 114 del TU enti locali);

-          presidente e componente degli organi delle comunità montane.

Le cariche elencate nello schema di decreto legislativo riproducono integralmente l’elenco già contenuto nella legge delega e nell’art. 58, comma 1, del TU enti locali.

 

L’elenco delle c.d. cause di incandidabilità riprende quanto ad oggi disciplinato dall’art. 58 del suddetto testo unico enti locali (d.lgs. n. 267 del 2000). Di seguito, con l’ausilio di un testo a fronte, si segnalano le novità introdotte dallo schema di decreto legislativo.

 

 

Normativa vigente (art. 58 TU enti locali)

A.G. 521

1. Non possono essere candidati alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali e non possono comunque ricoprire le cariche di presidente della provincia, sindaco, assessore e consigliere provinciale e comunale, presidente e componente del consiglio circoscrizionale, presidente e componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, presidente e componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, consigliere di amministrazione e presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all'articolo 114, presidente e componente degli organi delle comunità montane:

1. Identico:

a) coloro che hanno riportato condanna definitiva per il delitto previsto dall'articolo 416-bis del codice penale o per il delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui all'articolo 74 del testo unico approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, o per un delitto di cui all'articolo 73 del citato testo unico, concernente la produzione o il traffico di dette sostanze, o per un delitto concernente la fabbricazione, l'importazione, l'esportazione, la vendita o cessione, nonché, nei casi in cui sia inflitta la pena della reclusione non inferiore ad un anno, il porto, il trasporto e la detenzione di armi, munizioni o materie esplodenti, o per il delitto di favoreggiamento personale o reale commesso in relazione a taluno dei predetti reati;

a) identica;

 

b) coloro che hanno riportato condanne definitive per i delitti, consumati o tentati, previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, diversi da quelli indicati alla lettera a);

b) coloro che hanno riportato condanna definitiva per i delitti previsti dagli articoli 314, primo comma (peculato), 316 (peculato mediante profitto dell'errore altrui), 316-bis (malversazione a danno dello Stato), 317 (concussione), 318 (corruzione per l'esercizio della funzione), 319 (corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio), 319-ter (corruzione in atti giudiziari), 319-quater, primo comma (induzione indebita a dare o promettere utilità), 320 (corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio) del codice penale;

c) coloro che hanno riportato condanna definitiva per i delitti previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, 323, 325, 326, 331, secondo comma, 334, 346-bis del codice penale;

c) coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva alla pena della reclusione complessivamente superiore a sei mesi per uno o più delitti commessi con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio diversi da quelli indicati nella lettera b);

d) coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva alla pena della reclusione complessivamente superiore a sei mesi per uno o più delitti commessi con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio diversi da quelli indicati alla lettera c);

d) coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva ad una pena non inferiore a due anni di reclusione per delitto non colposo;

e) identica;

e) coloro nei cui confronti il tribunale ha applicato, con provvedimento definitivo, una misura di prevenzione, in quanto indiziati di appartenere ad una delle associazioni di cui all'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, come sostituito dall'articolo 13 della legge 13 settembre 1982, n. 646.

f) coloro nei cui confronti il tribunale ha applicato, con provvedimento definitivo, una misura di prevenzione, in quanto indiziati di appartenere ad una delle associazioni di cui all'articolo 4, comma 1, lett, a) e b), del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159.

 

Anche in questo caso lo schema di decreto legislativo apporta tre novelle alla disciplina vigente:

 

§       inserisce tra le cause di incandidabilità la condanna definitiva per i delitti, consumati o tentati, previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. (per la cui elencazione si rinvia al commento all’art. 1). Si tratta della condanna per delitti di grave allarme sociale (fattispecie prevalentemente di natura associativa) previsti espressamente dalla norma di delega anche per l’incandidabilità in Parlamento: nelle elezioni per la Camera dei deputati e il Senato però questa condanna determina incandidabilità solo se la pena detentiva concretamente irrogata dalla sentenza è alla reclusione superiore a 2 anni. Negli enti locali – al pari delle regioni - è sufficiente la condanna, a prescindere dall’entità della pena.

 

§       amplia il catalogo dei delitti contro la pubblica amministrazione che, in caso di condanna, comportano l’incandidabilità. Tale ampliamento è giustificato dal fatto che per le elezioni politiche tutti i delitti di cui al capo I del titolo II del codice penale (v. sopra, commento all’art. 1) determinano incandidabilità se la pena irrogata è superiore ai due anni di reclusione. Nel caso degli enti locali, è sufficiente la condanna, a prescindere dalla pena, per determinare incandidabilità.

Si sottolinea che – diversamente dalle elezioni politiche - per gli enti locali e le Regioni - con costituisce causa di incandidabilità la condanna:

-          ai sensi dell’art. 319-quater (Induzione indebita a dare o promettere utilità), secondo comma. Si tratta della disposizione – introdotta dalla legge delega - che punisce con la reclusione fino a tre anni chiunque dà o promette denaro o altra utilità al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, l’abbia indotto a farlo;

-          ai sensi dell’art. 328 (Rifiuto di atti d'ufficio. Omissione);

-          ai sensi dell’art. 329 (Rifiuto o ritardo di obbedienza commesso da un militare o da un agente della forza pubblica);

-          ai sensi dell’art. 331 (Interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità);

-          ai sensi dell’art. 335 (Violazione colposa di doveri inerenti alla custodia di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall'autorità amministrativa).

Il Governo ha peraltro inserito tra questi delitti, anche se nel codice è collocato in un diverso capo, l’art. 346-bis, relativo al traffico di influenze illecite, introdotto dalla legge n. 190/2012.

Ne deriva che il traffico di influenze illecite impedisce la candidatura negli enti locali ma – per l’entità della pena massima irrogabile, inferiore a 4 anni – non impedisce l’assunzione della carica di parlamentare.

Si sottolinea, inoltre, che nei delitti contro la PA non è stata riprodotta la specificazione sui delitti consumati o tentati, presente invece nella formulazione che si applica alle cariche regionali.

 

§         aggiorna il riferimento normativo alle associazioni di tipo mafioso, riferendosi ora al recente Codice delle leggi antimafia (d.lgs. n. 159/2011).

 

 

I commi 2 e 3 riproducono testualmente i commi 3 e 4 dell’articolo 58 del D.Lgs. 18-8-2000 n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali).

 

Il comma 2 estende l’applicazione delle disposizioni in materia di incandidabilità per le cariche elettive e di governo regionali a qualsiasi incarico la cui elezione o nomina sia di competenza degli organi di governo locali.

 

Il comma 3 disciplina gli effetti dell'illegittima elezione di un soggetto che si trova in una delle condizioni che determina l'incandidabilità e sanziona espressamente con la nullità l’elezione o nomina del candidato che si trova in una delle suddette condizioni.

All'organo che ha convalidato l'elezione o deliberato la nomina del soggetto incandidabile, è attribuito l’obbligo di provvedere alla revoca di esse.

 

Sulla giurisprudenza costituzionale in merito alla nullità dell’atto si rinvia al commento dell’articolo 7, comma 3.


 

 

Articolo 11
(Sospensione e decadenza di diritto degli amministratori locali in condizione di incandidabilità)

 

 

La disposizione riprende quanto attualmente disciplinato dall’art. 59 del testo unico sugli enti locali (TUEL) in tema di sospensione e decadenza di diritto.

Lo schema di decreto legislativo attua la lettera m) della norma di delega (disciplinare le ipotesi di sospensione e decadenza di diritto dalle cariche di cui al comma 63 in caso di sentenza definitiva di condanna per delitti non colposi successiva alla candidatura o all'affidamento della carica) riproducendo la formulazione già usata in relazione alle cariche regionali dall’art. 8 (v. sopra).

 

In particolare, il comma 1 stabilisce che coloro che ricoprono le cariche indicate dall’articolo 10, comma 1, sono sospesi di diritto in presenza dei seguenti presupposti,:

 

§         condannaanche se non definitiva – per uno dei delitti di cui all’art. 10, comma 1, lettere a), b) e c) (v. sopra).

Il legislatore connette la sospensione alla condanna per alcuni dei delitti che importano la incandidabilità; richiama infatti solo le prime tre lettere dell’art. 7, relative, ad esempio, ai delitti di mafia (art. 416-bis), di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, ai delitti di grave allarme sociale attribuiti alla competenza della procura distrettuale e ai delitti contro la pubblica amministrazione.

 

§         condanna in primo grado confermata dal giudice dell’appello - per la stessa imputazione del primo grado – a pena non inferiore a 2 anni di reclusione per un delitto non colposo.

Il legislatore anticipa gli affetti della sentenza definitiva – che in base all’art. 10, comma 1, lett. e) impedisce di candidarsi e di ricoprire le cariche regionali – disponendo la sospensione dalla carica già a seguito di una condanna in appello. Ciò purché il giudice dell’impugnazione abbia confermato l’imputazione e dunque la condanna di primo grado.

Anche in questo caso, come già visto in sede di commento dell’art. 8, comma 1, la lettera b) si chiude con la precisazione «dopo l’elezione o la nomina»; trattandosi della disciplina della sospensione dalla carica ricoperta, non pare utile specificare che l’elezione o la nomina alla carica si è già realizzata.

 

§         applicazione – anche con provvedimento non definitivo – di una misura di prevenzione antimafia disciplinata ora dal Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (decreto-legislativo n. 159 del 2011), cui lo schema di decreto legislativo fa riferimento (per il quadro sulle misure di prevenzione si veda il commento all’art. 8, comma 1, dello schema).

 

 

Il comma 2 aggiunge ulteriori ipotesi di sospensione dalla carica in caso di:

-               applicazione di una misura coercitiva custodiale (custodia cautelare in carcere ex art. 285 c.p.p., arresti domiciliari ex art. 284 c.p.p. e custodia in luogo di cura ex art. 286 c.p.p.);

-               applicazione della misura del divieto di dimora, se tale divieto riguarda la sede dove si svolge il mandato elettorale.

 

Si osserva che, nell’attuale formulazione, la disposizione sul divieto di dimora è destinata a trovare applicazione solo per le cariche elettive degli enti locali e non anche, come previsto dal rinvio all’art. 10, comma 1, alle cariche, ad esempio, di assessore provinciale o comunale,  di amministratore o presidente di un’azienda speciale.

 

 

I commi da 3 a 9 dell’articolo 11 riproducono testualmente i commi da 2 a 8 dell’articolo 59 del D.Lgs. 18-8-2000 n. 267 (TUEL).

 

Il comma 3 – che riproduce il comma 2 dell’articolo 59 del TUEL - in particolare regola gli effetti della sospensione riferimento al computo al fine della verifica del numero legale e per la determinazione di quorum o maggioranze qualificate.

 

Il comma 4 – che riproduce il comma 3 dell’articolo 59 del TUEL - fissa in generale in 18 mesi il periodo massimo di sospensione. La sospensione è prorogata di 12 mesi allorché, entro il primo termine, venga rigettata l’impugnazione proposta dall’interessato avverso la sentenza dichiarativa della responsabilità penale. Ove dunque nell'arco del periodo predetto intervenga una sentenza d’appello, il decorso del primo termine si interrompe ed inizia a decorrere un termine nuovo (12 mesi).

Sulla durata della sospensione si rinvia al commento dell’articolo 8.

 

 

Il procedimento che porta alla sospensione di diritto dalla carica è così articolato  nel comma 5che riproduce il comma 4  dell’articolo 59 del TUEL :

§         la cancelleria del tribunale o la segreteria del PM (a seconda che la sospensione consegua ad un provvedimento di condanna ovvero all’applicazione di una misura di prevenzione o di una misura coercitiva) comunicano al prefetto del capoluogo di regione l’emanazione del provvedimento dal quale potrebbe discendere la sospensione dalla carica;

§         il prefetto accerta la sussistenza di una causa di sospensione;

§         lo stesso prefetto notifica il provvedimento agli organi che hanno convalidato l’elezione o deliberato la nomina.

 

Secondo la giurisprudenza (Cassazione Civile Sent. n. 16052 del 08-07-2009) l'intervento del Prefetto non è meramente dichiarativo, ma costitutivo dell'efficacia della sospensione. La sospensione di diritto dalla carica non decorre dalla data della pubblicazione della sentenza di condanna, ma dalla comunicazione del provvedimento di sospensione emesso dal Prefetto.

 

Il comma 6 – che riproduce il comma 5 dell’articolo 59 del TUEL - regola la cessazione della sospensione, e la pubblicazione del relativo provvedimento, nel caso in cui venga meno l’efficacia della misura coercitiva ovvero venga emessa sentenza anche non definitiva di non luogo a procedere, di proscioglimento, di assoluzione o provvedimento di revoca della misura di prevenzione.

 

Il comma 7 riproduce il comma 6 dell’articolo 59 del TUEL con riguardo alla decadenza di diritto dalle cariche dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna o dalla data in cui diviene definitivo il provvedimento che applica la misura di prevenzione

 

I commi 8 e 9 riproducono i commi 7 e 8 dell’articolo 59 del TUEL con riferimento alla necessità di verificare che non ricorrano pericoli di infiltrazione di tipo mafioso nei servizi degli enti locali qualora siano stati emessi provvedimenti di sospensione o decadenza di pubblici ufficiali degli enti medesimi. In tali casi è demandata al prefetto la possibilità di acquisire dati e documenti presso gli enti interessati.

Una copia dei provvedimenti di sospensione, in caso di necessità di accertamenti sulle infiltrazione mafiose è trasmessa al Ministro dell’interno (comma 9).


 

Articolo 12
(Cancellazione dalle liste per incandidabilità alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali)

 

 

L’articolo 12 dispone la disciplina dell’accertamento delle condizioni di incandidabilità effettuata dagli uffici preposti all’esame delle liste dei candidati in occasione della presentazione delle liste per l'elezione del presidente della provincia, del sindaco, del presidente della circoscrizione e dei consiglieri provinciali, comunali e circoscrizionali.

Al riguardo la disciplina vigente in materia degli accertamenti da parte degli uffici elettorali risulta modificata in modo non testuale, per quanto riguarda l'accertamento dell'incandidabilità[25].

 

Per quanto riguarda le elezioni comunali gli articoli 28 e 32 del D.P.R. 16-5-1960 n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali) infatti,  prevedono che la dichiarazione del candidato di non trovarsi in alcuna delle ipotesi di incandidablità debba essere contenuta nella dichiarazione di accettazione della candidatura. Secondo la nuova disciplina l'insussistenza delle cause di incandidabilità deve essere oggetto di un'autonoma dichiarazione sostitutiva, che deve essere resa ai sensi dell'articolo 46 del del DPR 445/2000 (c.d. autocertificazione).

 

 

L'articolo 28 e l’articolo 32 del DPR 16-5-1960 n. 570 elencando la documentazione necessaria per la presentazione delle liste prevedono altresì la dichiarazione di accettazione della candidatura di ogni candidato autenticata dal Sindaco, o da un notaio, o dal Pretore, o dal giudice conciliatore. La dichiarazione di accettazione della candidatura deve contenere l'esplicita dichiarazione del candidato di non essere in alcuna delle condizioni di incandidabilità.

 

L’art. 46 del DPR 445/2000 elenca le dichiarazioni sostitutive che possono comprovare, anche all’atto di presentazione di un’istanza, alcuni stati, qualità personali e fatti.

L’articolo 76 dello stesso regolamento stabilisce che «chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia» (comma 1); la disposizione precisa inoltre:

§          che le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi dell’art. 46 sono considerate come fatte a pubblico ufficiale;

§          che se i reati sono commessi per ottenere la nomina ad un pubblico ufficio o l'autorizzazione all'esercizio di una professione o arte, il giudice, nei casi più gravi, può applicare l'interdizione temporanea dai pubblici uffici o dalla professione e arte.

 

La mancata abrogazione della disposizione riguardante la dichiarazione di incandidabilità nell’atto di accettazione della candidatura, comporta una possibile incertezza sul regime applicabile.

 

Quanto alle disposizioni del codice penale che possono trovare applicazione laddove si attesti il falso in una dichiarazione sostitutiva, la giurisprudenza richiama usualmente il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, di cui all’art. 483 c.p. che punisce con la reclusione fino a due anni chiunque «attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità».

Per le elezioni amministrative però  l’art. 87-bis DPR n. 570/1960 prevede uno specifico reato per le falsità commesse nella dichiarazione autentica di accettazione della candidatura, prevedendo la reclusione da sei mesi a tre anni.

 

Il mancato coordinamento tra le disposizioni introdotte e quelle vigenti in materia di dichiarazione di insussistenza delle cause di incandidabilità, crea una possibile confusione anche sul piano delle conseguenze in caso di attestazione del falso.

Andrebbe dunque valutata l'opportunità di un coordinamento esplicito delle disposizioni in materia di dichiarazione di incandidabilità con la disciplina vigente

 

 

Il comma 2  dispone la cancellazione da parte degli uffici preposti all'esame delle liste dei nomi dei candidati per i quali manchi la dichiarazione sostitutiva o per i quali venga accertata comunque tramite atti o documenti di cui l'ufficio sia in possesso la condizione di incandidabilità.

 

Gli articoli 30 e 33 del testo unico 16 maggio 1960, n. 570, stabiliscono che le operazioni per l’esame e l’ammissione delle candidature vengano effettuate dalla commissione elettorale circondariale.

Gli articoli 30 e 33 del DPR 16-5-1960 n. 570 prevedono che la Commissione elettorale circondariale, entro il giorno successivo a quello stabilito per la presentazione delle liste, oltre alle altre verifiche, elimina dalle liste i nomi dei candidati a carico dei quali viene accertata la sussistenza di alcuna delle condizioni di incandidabilità.

 

Anche con riguardo all'ammissione delle liste sembrerebbe opportuno un coordinamento con la disciplina vigente, eventualmente tramite l'abrogazione esplicita delle disposizioni riguardanti l'accertamento dell'insussistenza delle condizioni di incandidablità

 

Il comma 3, prevede che per i ricorsi contro le decisioni degli uffici elettorali preposti all’esame delle liste, relative all’accertamento dell’incandidabilità, si applica l’art. 129 del cd. codice del processo amministrativo (D.Lgs. n. 104/2010).

 

L’articolo 129 CPA (d.lgs. n. 104/2010) ha introdotto, nel micro sistema del contenzioso elettorale riferibile ai soli enti territoriali, un regime facoltativo di tutela immediata avverso i provvedimenti di esclusione delle liste elettorali

Esso disciplina la tutela giurisdizionale anticipata– ossia la possibilità di ricorrere immediatamente, senza attendere l’esito delle elezioni, avverso i provvedimenti del procedimento elettorale preparatorio – per le elezioni europee, regionali ed amministrative, limitandola ai soli provvedimenti immediatamente lesivi del diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale. Viene prevista una procedura estremamente rapida, con forme semplificate, sia in primo grado davanti al TAR che in secondo grado innanzi al Consiglio di Stato, al fine di consentire che il giudizio si concluda con il minor intralcio possibile per lo svolgimento delle elezioni.

 

 

Il comma 4 infine disciplina l’incandidabilità sopravvenuta o accertata successivamente alle operazioni di esame delle liste, ma antecedentemente alla proclamazione. Essa viene rilevata dagli uffici preposti alla proclamazione degli eletti.

 

 

 

 


 

Capo V
DISPOSIZIONI COMUNI, TRANSITORIE E FINALI

 

 

Articolo 13
(Durata dell’incandidabilità
)

 

L’articolo 13 riguarda la durata dell’incandidabilità.

L’art. 1, comma 64, lettera c),  rimette al legislatore delegato la previsione della durata dell’incandidabilità di cui alle lettere a) e b).

Sebbene le predette lettere a) e b) facciano riferimento espresso alla sola incandidabilità di deputati e senatori, il richiamo contenuto nel comma 63 ai parlamentari europei ha portato alla previsione della durata dell’incandidabilità anche per questi ultimi.

 

Stabilisce a tal fine, al comma 1, che l’incandidabilità alla carica di deputato, senatore e membro del Parlamento europeo spettante all’Italia, derivante da sentenza definitiva di condanna per i delitti indicati all’articolo 1, decorre dalla data del passaggio in giudicato della sentenza stessa e ha effetto per un periodo corrispondente al doppio della durata della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici comminata dal giudice. E’ in ogni caso stabilita una durata minima di sei anni per l’incandidabilità, anche in assenza della pena accessoria.

Il riferimento all’assenza della pena accessoria è conseguenza del fatto che si potrebbe avere una condanna definitiva a pena superiore a due ma inferiore a tre anni, per un reato per il quale la legge non prevede la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. Anche in questa evenienza, lo schema di decreto prevede quindi l’incandidabilità per un periodo di sei anni.

In base all’art. 648 c.p.p., sono irrevocabili le sentenze pronunciate in giudizio contro le quali non è ammessa impugnazione diversa dalla revisione (comma 1); se l'impugnazione è ammessa, la sentenza è irrevocabile quando è inutilmente decorso il termine per proporla o quello per impugnare l'ordinanza che la dichiara inammissibile; se vi è stato ricorso per cassazione, la sentenza è irrevocabile dal giorno in cui è pronunciata l'ordinanza o la sentenza che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso (comma 2); il decreto penale di condanna è irrevocabile quando è inutilmente decorso il termine per proporre opposizione o quello per impugnare l'ordinanza che la dichiara inammissibile (comma 3).

Quanto alla durata dell’interdizione, l’art. 28, quarto comma, c.p., stabilisce che l’interdizione temporanea dai pubblici uffici non può avere durata inferiore a un anno né superiore a cinque anni. L’art. 29 c.p. prevede poi l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, nel caso di condanna all’ergastolo o alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni, e l’interdizione temporanea per la durata di cinque anni per la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni. La dichiarazione di abitualità o di professionalità nel delitto ovvero di tendenza a delinquere importa l’interdizione perpetua.

Si rammenta inoltre che, quando la legge stabilisce che la condanna importa una pena accessoria temporanea e la durata di questa non è espressamente determinata, la pena accessoria ha durata pari a quella principale inflitta. In nessun caso essa può oltrepassare il limite minimo e quello massimo stabiliti per ciascuna specie di pena accessoria (art. 37 c.p.).

 

Si osserva che il testo non ribadisce espressamente la clausola contenuta nella legge delega (art. 1, comma 64, lett. a), della legge 190/2012), che fa salve le disposizioni del codice penale relative all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Potrebbe valutarsi l’utilità di richiamare tali disposizioni, in considerazione del carattere tassativo delle fattispecie in materia di incandidabilità.

Inoltre, potrebbe essere indicato espressamente che, nel caso di assenza della pena accessoria, l’incandidabilità è pari a sei anni.

 

Il comma 2 prevede che il divieto di assumere e svolgere incarichi di governo nazionale, derivante da sentenza di condanna definitiva per i delitti indicati all’art. 1, opera con la medesima decorrenza e per la stessa durata prevista per l’incandidabilità alla carica di parlamentare nazionale ed europeo.

E’ da intendere che, secondo quanto si legge nella relazione illustrativa, che si voglia così estendere la disciplina della durata dell’incandidabilità elettiva nazionale alle cariche governative.

Si osserva che, secondo la lettera del comma 2, l’estensione relativa alle cariche di governo riguarderebbe la condanna per i delitti indicati nell’art. 1 senza alcuna specificazione in ordine all’entità della condanna medesima, come invece previsto per le cariche elettive.

 

Il comma 3 prevede l’aumento di un terzo della durata dell’incandidabilità alle cariche elettive e del divieto di assunzione delle cariche governative per il caso in cui il delitto che determina l’incandidabilità o il divieto sia commesso con abuso dei poteri o in violazione dei doveri connessi al mandato elettivo o all’incarico governativo.

La formulazione riecheggia la circostanza aggravante comune prevista dall’art. 61, primo comma, n. 9), oltre all’art. 31 c.p. per il quale ogni condanna per delitti commessi con l’abuso dei poteri o con la violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio importa l’interdizione temporanea dai pubblici uffici.

In giurisprudenza, la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici è applicabile anche se non sia stata contestata l'aggravante dell'abuso di pubblica funzione di cui all'art. 61, n. 9, c.p., trattandosi di pena accessoria inerente ope legis a tutti i reati commessi in violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione (Cass. pen., Sez. II, 19 aprile 1989; Cass. pen. Sez. II, 9 novembre 1982).

 

Occorre considerare se all’abuso dei poteri o alla violazione dei doveri connessi al “mandato elettivo” o “all’incarico governativo” sia riferibile l’attuale disciplina concernente “l’abuso di una pubblica funzione o la violazione di un pubblico servizio”.

In particolare occorre valutare se l’abuso di poteri o violazione dei doveri connessi al mandato elettivo venga a configurarsi solamente nei casi di condanna indicati dall’art. 1 ovvero per qualsiasi condanna, indipendentemente dall’entità della pena, in conformità con l’art. 31 c.p.

Occorre inoltre valutare in quale modo sia determinato -e comunicato- l’aumento di un terzo della durata dell’incandidabilità, nelle ipotesi in cui la condanna comporti l’incandidabilità ma non l’interdizione temporanea dai pubblici uffici.


 

Articolo 14
(Regioni a statuto speciale)

L’articolo 14 estende l’applicazione delle disposizioni in materia di incandidabilità previste dallo schema di decreto in esame alle regioni a statuto speciale e alle province autonome.

 

Come si legge nella relazione illustrativa l’articolo “chiarisce l’immediata applicabilità della disciplina del testo unico nelle regioni a statuto speciale e nelle provincie autonome di Trento e di Bolzano. Le disposizioni sono, infatti, volte a tutelare il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche, l’ordine e la sicurezza, la libera determinazione degli organi elettivi, e rientrano pertanto nella competenza legislativa esclusiva dello Stato”.

 

 

 


 

Articolo 15
(Disposizioni comuni)

 

In attuazione del principio di delega di cui all’art. 1, comma 64, lett. d), l’art. 15 comma 1, dello schema di decreto prevede che le ipotesi di incandidabilità stabilite dal provvedimento, oltre che in relazione alle condanne definitive, valgano anche per le sentenze di condanna pronunciate a seguito di patteggiamento ex art. 444 del codice di procedura penale. La previsione riprende l’analogo contenuto dell’art. 1-bis della legge 55 del 1990 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale) relativo alle ipotesi d’incandidabilità alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali.

 

L’art. 444 c.p.p. prevede l’applicazione della pena su richiesta delle parti (cd. patteggiamento). Sia l'imputato che il pubblico ministero possono, infatti, chiedere al giudice l'applicazione, nella specie e nella misura indicata, di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, ovvero di una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera cinque anni soli o congiunti a pena pecuniaria.

La norma esclude dal suo ambito applicativo una serie di procedimenti per reati di particolare gravità ed allarme sociale, individuati in quelli di cui:

§         all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater (vedi ante, art. 1, lett. a) dello schema di decreto);

§         agli articoli 600-bis (prostituzione minorile), 600-ter (pornografia minorile), esclusa la cessione di materiale a titolo gratuito, 600-quater, (detenzione di ingente quantità di materiale pornografico), 600-quater.1 (pornografia virtuale) relativamente alla condotta di produzione o commercio di materiale pornografico, 600-quinquies (turismo sessuale), nonché 609-bis e 609-ter (violenza sessuale semplice ed aggravata), 609-quater (atti sessuali con minorenne9 e 609-octies (violenza sessuale di gruppo) del codice penale, nonché quelli contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali e per tendenza, o recidivi reiterati (art. 99, quarto comma, c.p.), qualora la pena superi due anni soli o congiunti a pena pecuniaria.

Se vi è il consenso anche della parte che non ha formulato la richiesta e non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell'articolo 129 (declaratoria di cause di non punibilità), il giudice, sulla base degli atti, se ritiene corrette la qualificazione giuridica del fatto, l'applicazione e la comparazione delle circostanze prospettate dalle parti, nonché congrua la pena indicata, ne dispone con sentenza l'applicazione enunciando nel dispositivo che vi è stata la richiesta delle parti. Se vi è costituzione di parte civile, il giudice non decide sulla relativa domanda; l'imputato è tuttavia condannato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile, salvo che ricorrano giusti motivi per la compensazione totale o parziale. Non si applica la disposizione dell'articolo 75, comma 3 (relativa alla sospensione del processo civile fino alla pronuncia della sentenza penale definitiva quando l'azione è proposta in sede civile nei confronti dell'imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado).

La parte, nel chiedere il patteggiamento, può subordinarne l'efficacia, alla concessione della sospensione condizionale della pena. In questo caso il giudice, se ritiene che la sospensione condizionale non può essere concessa, rigetta la richiesta.

L’art. 445, comma 1, c.p.p. prevede che quando la pena patteggiata non superi i due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria, non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento, né di pene accessorie (tra cui l’interdizione dai pubblici uffici) e di misure di sicurezza, fatta eccezione della confisca nei casi previsti dall'articolo 240 c.p..

Il comma 2 dello stesso art. 445 equipara, salve diverse disposizioni di legge, la sentenza di patteggiamento a una sentenza di condanna.

 

 

In attuazione del principio di delega di cui all’art. 1, comma 64, lett. e), il comma 2 dispone che l’incandidabilità disciplinata dallo schema di decreto in esame produce i suoi effetti indipendentemente dalla concomitanza con la limitazione del diritto di elettorato attivo e passivo derivante:

§          dall’applicazione della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici;

§          dall’applicazione, in forza di provvedimenti definitivi, di una delle misure di prevenzione o di sicurezza che comportano la perdita dell’elettorato attivo (e quindi anche passivo) ai sensi dell’art. 2 DPR n. 223/1967, ossia:

s          misura di prevenzione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza (ora prevista dall’art. 6 del cd. codice antimafia  - D.Lgs. n. 159/2011);

s          misure di sicurezza detentive, libertà vigilata, divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più province, a norma dell'articolo 215 c.p.

 

Il comma 3 individua la sentenza di riabilitazione del condannato come unica causa di estinzione anticipata dell’incandidabilità disciplinata dallo schema di decreto legislativo. La sentenza comporta, quindi, la cessazione dell’incandidabilità per il tempo residuo.

 

Con la sentenza di riabilitazione, il condannato riacquista le facoltà giuridiche perdute per la minorazione conseguita alla sentenza.

Condizioni per la concessione della riabilitazione sono (art. 179 c.p.).

§         l’avvenuta esecuzione od estinzione della pena principale;

§         il decorso minimo di tre anni dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o si sia in altro modo estinta (il termine è di otto anni se si tratta di recidivi e di dieci anni per i delinquenti abituali professionali o per tendenza);

§         aver dato prove effettive e costanti di buona condotta.

Specifici termini di decorrenza sono determinati dall’art. 179 in caso di sospensione condizionale della pena ai sensi dell'articolo 163 c.p..

La riabilitazione non può essere concessa quando il condannato:

§         sia stato sottoposto a misura di sicurezza, tranne che si tratti di espulsione dello straniero dallo Stato, di confisca, e il provvedimento non sia stato revocato;

§         non abbia adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che dimostri di trovarsi nell'impossibilità di adempierle.

Ai sensi dell’art.178 c.p., la riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti.

La sentenza di riabilitazione è revocata di diritto se la persona riabilitata commette entro sette anni un delitto non colposo per il quale sia inflitta la pena della reclusione per un tempo non inferiore a due anni od un'altra pena più grave (art. 180 c.p.)

 

L’eventuale revoca della sentenza di riabilitazione comporta il ripristino dell’incandidabilità per il periodo di tempo residuo.

 

 

Il comma 4 dell’art. 15, infine, disciplina l’estinzione dell’incandidabilità in relazione alla speciale riabilitazione “antimafia” di cui all’art. 70 del cd. Codice antimafia.

Il citato art. 70 del D.Lgs 159/2011 prevede che l’interessato, dopo tre anni dalla cessazione di una misura di prevenzione personale antimafia, possa chiedere la riabilitazione. La riabilitazione è concessa, se il soggetto ha dato prova costante ed effettiva di buona condotta, dalla corte di appello nel cui distretto ha sede l'autorità giudiziaria che dispone l'applicazione della misura di prevenzione o dell'ultima misura di prevenzione.

Il comma 4 prevede che detta riabilitazione estingue l’incandidabilità di cui agli articoli 7, comma 1, lett. f) e 10, comma 1, lett. f) del provvedimento in esame. Il riferimento è, quindi, all’incandidabilità derivante dall’applicazione di una misura di prevenzione antimafia definitiva da parte del tribunale in quanto indiziati di appartenere ad associazione di tipo mafioso e di una serie di ulteriori reati associativi[26].

 

 


 

Articolo 16
(Disposizioni transitorie e finali
)

 

L’art. 16 detta norme transitorie per l’applicazione della nuova disciplina delle incandidabilità.

In particolare:

§         per le cause di incandidabilità alla carica di deputato e senatore e di membro del Parlamento Europeo (capo I), per quelle ostative dell’assunzione e dello svolgimento di incarichi di governo (capo II), nonché per le sole nuove ipotesi di incandidabilità alle elezioni regionali e negli enti locali (capi III e IV), il patteggiamento equivale a condanna solo per le sentenze pronunciate ai sensi dell’art. 444 c.p.p. dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo in esame;

§          le procedure dettate dallo schema in esame per l’accertamento dell’incandidabilità nella fase di ammissione delle candidature, per la mancata proclamazione, per i ricorsi e la dichiarazione per incompatibilità sopravvenuta si applicano anche alle incandidabilità (non derivanti da condanne penali) di cui agli artt. 143, comma 111, e 248, comma 5, del TUEL. Il riferimento è, rispettivamente, agli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni mafiose nonché agli amministratori che la Corte dei conti ha riconosciuto, anche in primo grado, responsabili di aver contribuito al dissesto finanziario degli enti locali con condotte, dolose o gravemente colpose, sia omissive che commissive.

 

Lo schema di decreto in esame non contiene invece alcun riferimento alle ipotesi di incandidabilità previste dal decreto legislativo n. 149/2011 (cd. ‘premi e sanzioni’)

In particolare, il decreto legislativo prevede che il presidente di regione rimosso a seguito di grave dissesto finanziario con riferimento al disavanzo sanitario è incandidabile per un periodo di tempo di dieci anni alle cariche elettive a livello locale, regionale, nazionale ed europeo per un periodo di tempo di dieci anni (art. 2, comma 3). Parimenti isindaci e i presidenti di provincia ritenuti responsabili del dissesto finanziario dell’ente locale non sono candidabili, per un periodo di dieci anni, alle cariche di sindaco, di presidente di provincia, di presidente di Giunta regionale, nonché di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento e del Parlamento europeo (art. 6, comma 1).

 

 

L’articolo non detta inoltre una disciplina transitoria per chi sia già titolare di cariche elettive e di incarichi di governo.

La nuova disciplina appare dunque immediatamente applicabile ai titolari di cariche elettive e di incarichi di governo, per i quali può dunque configurarsi una decadenza nel caso in cui si trovino in una condizione di incandidabilità non prevista nell’ordinamento precedente.

 

Non viene infine dettata una disciplina transitoria nel caso cui lo schema di decreto in esame entri in vigore dopo la scadenza del termine di presentazione delle liste elettorali.

Si ricorda in proposito che nel primo semestre del 2013 avranno luogo le elezioni politiche nazionali, le elezioni nelle regioni Lazio, Lombardia e Molise, noché elezioni comunali e circoscrizionali.

Anche in tal caso la disciplina appare dunque immediatamente applicabile.

 


 

Articolo 17
(Abrogazioni)

 

In ossequio al criterio di delega previsto dalla lettera l) del comma 63 dell’articolo 1 della legge 190 del 2012 in base al quale lo schema di decreto legisativo deve prevedere l'abrogazione espressa della normativa incompatibili con le disposizioni introdotte dallo stesso, l’articolo 17 dispone l’abrogazione:

 

a) degli articoli 58 e 59 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267, il cui contenuto è in parte modificato e in parte testualmente riprodotto negli articoli 10 e 11 dello schema di decreto legislativo in esame

 

b) dell’articolo 15 della legge 19 marzo 1990 , n. 55, salvo per quanto riguarda la disciplina del personale delle regioni.

 

Come riportato nelle schede illustrative dell’articolato l’ articolo 58 detta la disciplina delle cause ostative alle candidature alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali, mentre l’articolo 59 disciplina la sospensione e la decadenza di diritto dalle suddette cariche. La disciplina dettata in tali articoli riproduceva a sua volta il contenuto dell’articolo 15 della legge 55/1990 “Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale” (nel testo modificato dall’articolo 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16) che ha introdotto per la prima volta nell’ordinamento l’istituto dell’incandidabilità per le elezioni amministrative.

 

La materia è stata, quindi, ridisciplinata nel contesto del Testo Unico ai citati  articoli 58 e 59, con la contestuale abrogazione dell’articolo 15, salvo per quanto riguarda gli amministratori e i componenti degli organi delle aziende sanitarie locali e ospedaliere e i consiglieri regionali. Infatti il legislatore, nel separare la normativa istituzionale sugli enti locali da quella sulle regioni a statuto ordinario, ha inteso riunire e coordinare le norme sulla sospensione, sulla decadenza, sulla incompatibilità e sulla ineleggibilità dei consiglieri comunali e provinciali, inserendole nel nuovo testo unico e abrogando le disposizioni nelle quali esse erano contenute.

 

Il comma 2 dell’articolo 17 dispone che i rinvii agli articoli 58 e 59 del TUEL vanno riferiti agli articoli 10 e 11 del decreto legislativo in esame.

 

 Nessuna norma di abrogazione è prevista per quanto riguarda la vigente disciplina dell’accertamento dell’ammissibilità delle candidature regionali e locali, rispetto alle quali risulta un difetto di coordinamento (al riguardo si rinvia al commento degli articoli 9 e 12)

 


 

Articolo 18
(Entrata in vigore)

 

L’articolo 18 prevede che il decreto legislativo entri in vigore il giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.


Ineleggibilità e incandidabilità: le esperienze straniere

In alcuni Paesi, le norme sulle cause ostative alla candidatura derivanti da condanne sono espressamente contenute nella legge elettorale o sono previste direttamente dalla Costituzione.

 

Nel Regno Unito il Representation of the People Act 1981 prevede in via generale l’interdizione dalla candidatura alla Camera dei comuni di coloro che sono stati condannati ad una pena detentiva superiore ad un anno ed esclusivamente per il periodo di detenzione. Se il condannato è membro dei Comuni decade dalla carica (art. 1 e 2). Il periodo di interdizione in caso di reati elettorali è più ampio (da 3 a 5 anni).

 

In Spagna la legge elettorale prevede che non sono eleggibili, durante la pena, i condannati con sentenza definitiva ad una pena detentiva. Inoltre, è interdetto all’elettorato passivo chi ha riportato una condanna, anche non definitiva, per gravi reati contro lo Stato quali ribellione e terrorismo (Legge elettorale art. 6).

L’ordinamento spagnolo prevede anche la pena dell’interdizione dai pubblici uffici con la conseguente perdita dell’eleggibilità (Codice penale art. 39-44)

 

Nei Paesi Bassi la Costituzione esclude dall’elettorato passivo coloro che siano stati ritenuti colpevoli di un delitto previsto dalla legge e siano stati condannati, in via definitiva, ad una pena detenitva di almeno un anno e contemporaneamente siano stati interdetti dal voto (art. 54).

 

In Danimarca esiste una specifica disposizione costituzionale in materia, anche se di carattere generale: chiunque ha il diritto di voto può diventare un membro del Parlamento, purché non condannato per un reato che sia avvertito dall’opinione pubblica come causa di indegnità a ricoprire la carica parlamentare (art. 30 Cost.).

 

 

In un secondo gruppo dei Paesi non sono previste espressamente cause di incandidabilità in caso di condanna: tuttavia, viene indicato tra i requisiti necessari per essere eletti il possesso del diritto di voto attivo e, pertanto, se questo viene meno, anche a causa di condanna, automaticamente si definisce una causa ostativa alla candidatura.

 

Fa parte del secondo gruppo la Germania: la legge per l’elezione dei deputati al Bundestag prevede l’incandidabilità a causa dell’esclusione dal diritto di voto attivo (art.15, comma 2, punto 1).

In base all’articolo 13, comma 1, n. 1), della medesima legge elettorale federale il diritto di voto attivo può essere revocato con provvedimento giudiziario in alcuni casi specifici:

§         in caso di abuso dei diritti fondamentali “per combattere l’ordinamento fondamentale democratico e liberale” (articolo 18 Cost.): la perdita dei diritti fondamentali è disposta con sentenza del Tribunale costituzionale (si veda il combinato disposto dell’art. 93 comma 1 n. 5, con l'articolo 18 della Legge fondamentale e gli articoli 13, n. 1; 36 e 39, comma 2, della legge federale sul Tribunale costituzionale;

§         in caso di gravi reati quali quelli contro la sicurezza e l’ordine pubblico, tradimento e attentato allo Stato democratico ecc. (Codice penale artt. 80 e segg.) il giudice può comminare la pena accessoria della perdita del diritto di voto in caso di condanna da 2 a 5 anni.

Inoltre, il medesimo art.15, comma 2, della legge elettorale federale al punto 2) prescrive l’incandidabilità anche di coloro che non possiedono più la capacità a ricoprire incarichi pubblici per effetto di una sentenza giudiziaria.

Nel caso di reati di corruzione e di falso in atti d’ufficio può, con sentenza definitiva, essere revocata la capacità di ricoprire cariche pubbliche con la conseguenza della perdita del diritto di elettorato attivo e dunque anche della possibilità di candidarsi (art. 358 del codice penale).

 

In Francia la legge elettorale prevede che hanno il diritto di candidarsi tutti i cittadini francesi che sono elettori (art. 127).

Hanno diritto di voto i cittadini maggiorenni che godono dei diritti civili e politici e hanno la capacità giuridica: la legge elettorale rinvia quindi alla legge ordinaria l’individuazione delle ipotesi di incapacità (art. 2).

Sono incandidabili, per un periodo da uno a tre anni, coloro che, a seguito di una pronuncia del giudice amministrativo o del Consiglio costituzionale sono stati dichiarati colpevoli di inottemperanza alle disposizioni relative al finanziamento della campagna elettorale e alla relativa rendicontazione, nonché di atti fraudolenti volti a compromettere l’autenticità degli scrutini.

Qualora i suddetti inadempimenti siano accertati nei confronti di soggetti nel frattempo eletti, il Consiglio costituzionale ne dichiara la decadenza dal mandato.

Nella medesima decadenza incorrono i soggetti eletti in caso di inadempimento agli obblighi stabiliti in tema di dichiarazione della propria situazione patrimoniale (art. 128).

 

Fa parte del secondo gruppo anche l’Austria: la legge elettorale prevede che sono eleggibili coloro che, oltre a possedere la cittadinanza e la maggiore età, non sono stati privati del diritto di voto (art. 41). L’art. 22 stabilisce che una persona condannata per un crimine premeditato e condannata a una pena detentiva superiore ad un anno perde il diritto di voto (e quindi il diritto di candidarsi) fino a sei mesi dopo l’espiazione della pena.

 



[1] L. 2 luglio 2004, Disposizioni di attuazione dell'articolo 122, primo comma, della Costituzione

[2] Sentenze 571/1989 e 235 del 1988.

[3] Sentenze 46/1969, 166/1972 571/1989 e 344/1993.

[4] In tal senso sentenze 407/92, 141/96.

 

[5]    La competenza della procura distrettuale antiterrorismo è stata prevista dal decreto legge n. 374 del 2001 (Disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo internazionale) che, introducendo il comma 3-quater c.p.p. prevede che, quando si tratta di procedimenti per i delitti con finalità di terrorismo, le funzioni di P.M., nella fase relativa alle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado, sono attribuite all'ufficio del P.M. presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente.

[6]    Si tratta di una competenza di carattere funzionale che ha destato anche talune perplessità sul piano del rispetto del principio del giudice naturale precostituito per legge (cfr. Filippi, Terrorismo internazionale: le nuove norme interne di prevenzione e repressione. Profili processuali, in DPP, 2002, 2, 176).

[7]    In merito occorre peraltro valutare se non sussista comunque l’incandidabilità ai sensi della lettera a), potendo il delitto essere ricompresso tra quelli con finalità di terrorismo ai sensi dell’art. 51, comma 3-quater, c.p.p.

[8]    In merito occorre peraltro valutare se non sussista comunque l’incandidabilità ai sensi della lettera a), potendo il delitto essere ricompresso tra quelli con finalità di terrorismo ai sensi dell’art. 51, comma 3-quater, c.p.p.

[9]    Il delitto è punito con la sola pena pecuniaria.

[10]   Il delitto è punito con la sola pena pecuniaria.

[11]   Il delitto è punito con la sola pena pecuniaria.

[12]   La condanna per questo delitto comporta l’interdizione temporanea dai pubblici uffici.

[13]   La condanna per questo delitto comporta l’interdizione temporanea dai pubblici uffici.

[14]   La condanna per questo delitto comporta l’interdizione temporanea dai pubblici uffici.

[15]   La condanna per questo delitto comporta l’interdizione temporanea dai pubblici uffici.

[16]   La condanna per questo delitto comporta l’interdizione temporanea dai pubblici uffici.

[17]   La condanna per questo delitto comporta l’interdizione dai pubblici uffici (il carattere perpetuo o temporaneo dell’interdizione discende dall’entità della pena inflitta).

[18]   Il delitto è punito con la sola pena pecuniaria.

[19]   Il delitto è punito con la sola pena pecuniaria.

[20]   La condanna per questo delitto comporta l’interdizione temporanea dai pubblici uffici.

[21]   Il delitto è punito con la sola pena pecuniaria.

[22]   Il delitto è punito con la sola pena pecuniaria.

[23] Il delitto è punito con la sola pena pecuniaria

[24]   Il nostro ordinamento, accanto alle misure cautelari e alle misure di sicurezza (previste, rispettivamente, dagli articoli 13 e 25 della Costituzione), prevede anche le misure di prevenzione: queste si differenziano dalle prime in quanto trovano applicazione indipendentemente dalla commissione di un reato e costituiscono applicazione del principio di «prevenzione e sicurezza sociale, per il quale l’ordinato e pacifico svolgimento dei rapporti fra i cittadini deve essere garantito, oltre che dal sistema di norme repressive dei fatti illeciti, anche da un parallelo sistema di adeguate misure preventive contro il pericolo del loro verificarsi nell’avvenire» (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 27 del 1959).

[25] La disciplina delle elezioni provinciali è stata oggetto di riordino da parte del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 214/2011, recante disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici In base alla disciplina introdotta dal citato decreto alle province sono affidate  esclusivamente funzioni di indirizzo politico e di coordinamento. Inoltre si dispone la riduzione del numero dei consiglieri provinciali e la loro elezione da parte dei consigli comunali. Il Governo ha trasmesso alla Camera il disegno di legge, attuativo del D.L. 201, relativo all'elezione del presidente e del consiglio provinciale (AC 5210) attualmente all’esame della I Commissione.

Per quanto riguarda le elezioni circoscrizionali la disciplina della presentazione delle liste è contenuta nei relativi statuti comunali.

[26]   Si tratta dei reati di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p. ovvero: associazione a delinquere finalizzata a commettere i delitti di tratta o riduzione e mantenimento in schiavitù o servitù o acquisto e vendita di schiavi; delitti a sfondo sessuale in danno di minori; delitti di contraffazione e di commercializzazione di prodotti con segni falsi; traffico illecito di sostanze stupefacenti; contrabbando di tabacchi lavorati esteri.