Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Il riordino delle province e delle città metropolitane
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 380
Data: 25/09/2012
Descrittori:
AREE METROPOLITANE   CENTRI URBANI
PROVINCE     
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Il riordino delle province e delle città metropolitane

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 380

 

 

 

25 settembre 2012

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Istituzioni

( 066760- 9475 / 066760- 3855 – * st_istitutzioni@camera.it

 

 

 

 

 

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File: ac0872.doc

 


INDICE

Schede di lettura

Le province                                                                                                        3

§      Il riordino delle province nel decreto legge sulla revisione della spesa           3

§      Le province come organi di coordinamento e l’elezione indiretta degli organi provinciali     18

§      Le proposte di legge parlamentari in materia di province                             19

Le città metropolitane                                                                                     23

§      La nuova disciplina delle città metropolitane nel decreto-legge di revisione della spesa      23

§      La normativa previgente                                                                                36

Normativa di riferimento

§      D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, (conv., con mod., Legge 22 dicembre 2011, n. 214). Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici (art. 23, commi 14-21)          41

§      D.L. 6 luglio 2012, n. 95, (conv., con mod., Legge 7 agosto 2012, n. 135). Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario (artt. 17 e 18)                     43

§      Consiglio dei Ministri. Determinazione dei criteri per il riordino delle province, a norma dell'articolo 17, comma 2, del decreto - legge 6 luglio 2012, n. 95                                        50

Documentazione

§      Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento delle Riforme istituzionali, Riordino delle Province e loro funzioni, Nota 3 agosto 2012                                                55

§      Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le Riforme istituzionali, Le Province: istruzioni per l'uso, 13 settembre 2012                                                                         57

§      Ricorso della provincia di Treviso al T.A.R. per il Lazio per l’annullamento della deliberazione del Consiglio dei ministri del 20 luglio 2012 recante determinazione dei criteri per il riordino delle province, a norma dell'articolo 17, comma 2, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, 6 settembre 201297

Dottrina

§      S. Bellotta, Il sistema elettorale nelle nuove province, enti di secondo livello. Prime riflessioni sul disegno di legge in materia, 11 luglio 2012, Federalismi.it, n. 14/2012       143

§      S. Staiano, Le autonomie locali in tempi di recessione: emergenza e lacerazione del sistema, 12 settembre 2012, Federalismi.it, n. 17/2012                                                 171

§      P.A. Capotosti, Parere in ordine all'interpretazione del quadro costituzionale applicabile al procedimento di riordino delle Province previsto dall'art. 17 del decreto-legge n. 95 del 6 luglio 2012, come convertito con I. 7 agosto 2012, n. 135. Parere reso alla provincia di Fermo, 17 settembre 2012                                                                                                             189

§      L. Oliveri, G. Panassidi, Il progetto di istituzione delle Città metropolitane, Leggioggi.it, 18 settembre 2012                                                                                                             203

§      V. Cerulli Irelli, L’istituzione della città metropolitana, Relazione tenuta al Convegno L’istituzione delle città metropolitane: procedure, problemi, ostacoli, opportunità, Milano, 17 settembre 2012            229

 

 


Schede di lettura

 


 

Le province

Il riordino delle province nel decreto legge sulla revisione della spesa

L’articolo 17del decreto legge 95/2012, come modificato dalla legge di conversione, dispone un generale riordino delle province (in luogo della soppressione ed accorpamento previsto dal testo originario) attraverso un articolato procedimento condiviso con le comunità locali (commi 1-5) e la ridefinizione delle loro funzioni, prevedendo tra l’altro il conferimento di ulteriori funzioni oltre a quelle di coordinamento stabilite dal D.L. 201/2011 (commi 6-11). Inoltre, si conferma la soppressione della giunta provinciale (comma 12) e si prevede la redistribuzione tra le province, all’esito della riduzione del loro numero, del patto di stabilità interno in modo da garantire l’invarianza del contributo complessivo (comma 13).

Il riordino delle province è strettamente collegato con l’istituzione delle città metropolitane (ad opera del successivo articolo 18 del medesimo provvedimento) dove si stabilisce la contestuale soppressione delle province nel relativo territorio.

Riordino delle province (art. 17, commi 1-5)

Il comma 1 individua l’oggetto dell’intervento normativo nel riordino delle province delle regioni a statuto ordinario, e la sua finalità nel contribuire al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica imposti dagli obblighi europei necessari al raggiungimento del pareggio di bilancio. Per i criteri e le modalità attuative il comma 1 rinvia ai successivi commi.

Nel testo originario del comma l’obiettivo della disposizione è costituito dalla soppressione e dall’accorpamento delle province, sostituito nel corso dell’esame presso il Senato con il più generale riordino delle stesse. Parimenti, le espressioni soppressione, accorpamento e riduzione, ovunque ricorrenti nell’articolo in esame, sono sostituite da quella di riordino.

Se indubbiamente la nuova definizione intende attenuare, almeno dal punto di vista terminologico, l’impatto dell’intervento normativo, tuttavia non sembra mutarne sostanziamente la portata, in quanto il riordino, sulla base dei criteri fissati dal Governo, già adottati come si dirà, non potrà che tradursi nella soppressione di un certo numero di province, nella loro riaggregazione in nuove province o nell’accorpamento a province supersiti, con il risultato di una sostanziale riduzione del numero delle province stesse.

Nel corso dell’esame del Senato è stata aggiunta la precisazione che il riordino riguarda le province situate nelle regioni a statuto ordinario; anche in questo caso la disposizione ha una limitata portata normativa, in quanto viene mantenuta la disposizione di cui al comma 5 che prevede il riordino anche delle province delle regioni a statuto speciale (ad eccezione di Trento e Bolzano) entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto.

 

I successivi commi 2, 3 e 4 delineano un complesso procedimento, articolato in 4 fasi, che in breve tempo, entro il 2012, porterà al riordino delle province attraverso:

§      la definizione dei requisiti minimi da parte del Governo;

§      la deliberazione, sulla base di tali requisiti, delle ipotesi di riordino da parte dei Consigli delle autonomie locali;

§      la deliberazione di proposte di riordino da parte delle regioni;

§      il riordino operato con legge del Governo sulla base delle proposte delle regioni.

Le fasi della procedura sono sintetizzate nella tabella che segue.

 

Azione

Organo

Atto

Termini

 

I

Determinazione dei criteri per il riordino delle province

Consiglio dei ministri

Deliberazione 20 luglio 2012

Entro 10 gg. dall’entrata in vigore del D.L.

20.7.2012

II

Ipotesi di riordino

Consigli delle autonomie locali o altri organi di raccordo Regione-Enti locali

--

Entro 70 gg dalla data di pubblicazione della deliberazione del CdM

2.10.2012

III

Proposta di riordino (parere sui piani di riduzione)

Regione

--

Entro 20 gg. dalla data di trasmissione dell’ipotesi di riordino e in ogni caso entro 92 gg. dalla pubblicazione della deliberazione del CdM

23.10.2012



24.10.2012

IV

Soppressione e accorpamento delle province

Governo

Atto legislativo

Entro 60 gg dalla legge conversione del DL

13.10.2012

La definizione dei criteri di riordino

Riguardo ai requisiti minimi per le province l’articolo in esame individua due condizioni consistenti nella dimensione territoriale e nella popolazione residente in ciascuna provincia (comma 2 come modificato dal Senato).

 

La definizione di tali requisiti come “minimi” sembra presupporre la possibile individuazione di requisiti ulteriori rispetto ad essi, eventualità esclusa dal testo originario che fa riferimento a criteri di riordino.

 

Il riordino delle province sulla base di tali requisiti minimi è demandato ad una deliberazione del Consiglio dei ministri, da adottare entro 10 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, ossia entro il 16 luglio 2012, su proposta dei Ministri dell’interno e della pubblica amministrazione e di concerto con quello dell’economia.

Ai fini della determinazione della popolazione, si prevede l’utilizzo dei dati relativi all’ultimo censimento ufficiale dell’ISTAT, comunque “disponibili” alla data di entrata in vigore alla legge di conversione. Ciò in deroga al principio generale che prevede in questi casi l’utilizzo della popolazione legale, ossia alla popolazione determinata in base ai dati definitivi del censimento generale ISTAT e recepiti con decreto del Presidente del Consiglio (attualmente la popolazione legale è quella basata sul censimento del 2001, ai sensi del DPCM 2 aprile 2003).

La popolazione legale viene utilizzata, per esempio, per il calcolo delle fasce demografiche dei comuni ai fini della determinazione del numero dei consiglieri comunali (art. 27 TUEL), e per la scelta del sistema elettorale dei comuni.

La disposizione derogatoria è motivata presumibilmente dal fatto che attualmente non sono ancora stati pubblicati i dati definitivi del censimento 2011, mentre sono noti i dati provvisori già diffusi dall’ISTAT e disponibili nel sito http://dati.istat.it/, e pertanto questi sono i dati che potranno essere utilizzati, a meno che nel frattempo non siano disponibili i dati definitivi della popolazione legale.

Il Governo, in sede di risposta ad un atto di sindacato ispettivo, ha poi precisato che sono rilevanti ai fini del riordino delle province i dati demografici risultanti dal XV censimento generale della popolazione e delle abitazioni, svoltosi nel 2011, disponibili alla data del 15 agosto 2012. Nella stessa sede, il Parlamento è stato informato che il 19 giugno sono stati diffusi i dati in versione provvisoria e non vi sono stati ulteriori aggiornamenti rilevanti ai fini del riordino[1].

Risulta dalla citata risposta che l'ISTAT ha confermato lo scostamento tra i dati demografici derivanti dall'aggiornamento anagrafico mensile dei dati del XIV censimento, quello del 2001, e i dati censuari del 2011. Al riguardo, l'ISTAT ha precisato che soltanto in un caso, quello della provincia di Arezzo, i dati aggiornati del 2001, e comunque irrilevanti ai fini del riordino delle province, registrano una popolazione residente superiore ai 350 mila abitanti. Mentre i dati censuari del 2011 attestano che la popolazione residente è inferiore a tale soglia, previsione confermata anche dalla versione definitiva dei dati, quindi aggiornati di recente, e che sarà di prossima diffusione.

Sono individuate alcune deroghe al riordino che riguardano:

§      le province nel cui territorio si trova il capoluogo di regione;

§      le province che confinano solo con province di regioni diverse da quella di appartenenza (e che pertanto non possono essere ad esse accorpate senza l’attivazione, nei territori interessati, del procedimento di cui all’art. 132, secondo comma, Cost., ossia referendum, legge della Repubblica, parere delle regioni coinvolte) o con province destinate a trasformarsi in città metropolitane. La disposizione sembrerebbe applicarsi alla sola provincia di La Spezia, che stante i limiti demografici fissati dal Governo (vedi oltre) andrebbe soppressa e che confina con la provincia di Genova (città metropolitana) e con le regioni Emilia – Romagna e Toscana;

§      le province autonome di Trento e Bolzano (la cui istituzione è prevista a livello costituzionale) sono escluse dalla riduzione.

 

Le province delle regioni a statuto speciale, non comprese dalcomma 1 come modificato dal Senato, decideranno autonomamente le modalità (ma non i termini, che sono fissati in 6 mesi) di riduzione e accorpamento (sul punto si veda oltre).

Il Governo ha attuato la disposizione di cui al comma 2 con la deliberazione del Consiglio dei ministri 20 luglio 2012 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 24 luglio 2012 nel corso dell’esame della legge di conversione dei decreto-legge 95), che ha definito i criteri per il riordino delle province previsti dalla norma in esame. In base ai criteri approvati, i nuovi enti dovranno avere almeno 350 mila abitanti ed estendersi su una superficie territoriale non inferiore ai 2.500 chilometri quadrati. Come espressamente indicato nella deliberazione, i due criteri devono essere posseduti entrambi e sono confermate le deroghe previste dalla norma in esame (vedi sopra).

Senza tener conto dell’esclusione delle province montane, sulla base di tali criteri e utilizzando i dati provvisori dell’ISTAT delle 110 province italiane relativi all’ultimo censimento, disponibili al 25 luglio 2012, se si escludono le 10 città metropolitane, i 10 comuni capoluogo di regione che non sono città metropolitane, le 2 province di Bolzano e Trento, la Valle d’Aosta e la provincia della Spezia, risultano 22 province sopra i limiti suddetti; sono invece ben 64 le province al di sotto dei limiti e che pertanto dovranno essere soppresse e accorpate (dati della popolazione pubblicati sul sito I.Stat, datawarehouse delle statistiche prodotte dall’ISTAT, http://dati.istat.it/, consultati il 25 luglio 2012; per la superficie sono stati utilizzati i dati ISTAT riportati nell'Elenco dei comuni italiani al 30 giugno 2010 pubblicato nel sito www.istat.it/it/archivio/6789).

 

Nelle tabelle che seguono sono indicate, regione per regione, le province soppresse e quelle confermate ai sensi dei criteri indicati nella deliberazione del 20 luglio 2012. Non è considerata l’esclusione delle province montane.

Tab. 1. Regioni a statuto ordinario

Regione

Province soppresse

Province confermate

Piemonte

Vercelli, Asti, Biella, Verbano-Cusio-Ossola, Novara

Torino, Cuneo, Alessandria

Lombardia

Lecco, Lodi, Como, Monza Brianza, Mantova, Cremona, Sondrio, Varese

Milano, Brescia, Bergamo, Pavia

Veneto

Rovigo, Belluno, Padova, Treviso

Venezia, Verona, Vicenza

Liguria

Savona, Imperia

Genova, La Spezia

Emilia-Romagna

Reggio Emilia, Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini, Piacenza

Bologna, Parma, Modena, Ferrara

Toscana

Grosseto, Siena, Arezzo, Lucca, Massa Carrara, Pistoia, Prato, Pisa, Livorno

Firenze

Umbria

Terni

Perugia

Marche

Ascoli Piceno, Macerata, Fermo,

Ancona, Pesaro e Urbino

Lazio

Latina, Rieti, Viterbo

Roma, Frosinone

Abruzzo

Pescara, Teramo

L’Aquila, Chieti

Molise

Isernia

Campobasso

Campania

Benevento

Napoli, Salerno, Caserta, Avellino

Basilicata

Matera

Potenza

Puglia

Taranto, Brindisi, Barletta-Andria-Trani

Bari, Foggia, Lecce

Calabria

Crotone, Vibo Valentia

Cosenza, Reggio Calabria, Catanzaro

Tab. 2. Regioni a statuto speciale

Regione

Province soppresse

Province confermate

Friuli - Venezia Giulia

Pordenone, Gorizia

Trieste, Udine

Sicilia

Caltanissetta, Enna, Ragusa, Siracusa, Trapani

Palermo, Agrigento, Catania, Messina

Sardegna

Olbia-Tempio, Medio Campidano, Ogliastra, Carbonia-Iglesias, Sassari, Nuoro, Oristano

Cagliari

 

Si rileva che nel territorio di tre regioni (Umbria, Molise e Basilicata) sono costituite attualmente due sole province e pertanto, all’esito del riordino, verrebbe a costituirsi in ciascuna delle tre regioni una sola provincia, il cui territorio coincide con quello regionale.

 

Oltre alla definizione dei limiti demo-territoriali, come prescritto dalla norma in esame, la deliberazione del Consiglio dei ministri individua le seguenti ulteriori circostanze, alcune delle quali inserite nel testo dell’articolo in esame da parte del Senato, alle quali dovranno attenersi i piani di riordino:

§      le proposte di riordino dovranno tener conto delle eventuali iniziative comunali in corso alla data del 20 luglio 2012 fermi restando i criteri di popolazione e superficie stabiliti dal Governo (nel corso dell’esame del Senato tale disposizione è stata inserita nel comma 3 dell’articolo 17);

In proposito si osserva che, per quanto riguarda la popolazione, viene individuato un nuovo criterio: fermo restando il limite di 350 mila abitanti e di 2.500 kmq, la deliberazione (prima) e la proposta emendativa (poi) prevedono che questi siano calcolati alla data di adozione della medesima delibera (20 luglio 2012) e non, come previsto dalla norma in esame, alla data di entrata in vigore del decreto-legge.

Inoltre, il Governo ha precisato, con una nota del 3 agosto, che, con riferimento alle province che non possiedono i requisiti minimi specificamente indicati nella deliberazione del Consiglio dei ministri, i CAL e le Regioni possono senz'altro dare seguito ad eventuali iniziative comunali già formalizzate alla data del 24 luglio 2012 volte a modificare le circoscrizioni provinciali. Tuttavia – si precisa nella nota - tali iniziative non hanno l'effetto di far ottenere nè perdere alle suddette province i requisiti minimi di dimensione territoriale e demografica prescritti[2].

§         viene posto il divieto all’accorpamento di una o più province con le città metropolitane che verranno istituite nel territorio delle province delle grandi città, previa soppressione delle stesse province. Tale divieto si ricava anche dall’articolo 17 del decreto, in modo implicito, che prevede, come si è visto, una deroga alla soppressione per le province che confinano esclusivamente con province di altre regioni e con province/città metropolitane;

Tale divieto andrebbe valutato alla luce dell’art. 133, 1° comma, Cost. che prevede la possibilità, senza specifici limiti, di mutare le circoscrizioni provinciali su iniziativa dei comuni. La norma in esame non può ovviamente impedire l’eventuale l’attivazione di tale meccanismo costituzionale anche qualora sia finalizzato a far confluire una o più province nel territorio di una città metropolitana. L’intento della norma sembra piuttosto quello di escludere che i piani di riordino dei CAL prevedano tale possibilità.

Tale lettura è confermata dal fatto che, se da un lato non è espressamente esclusa la possibilità che i piani di riordino prevedano il passaggio di singoli comuni, appartenenti a province che rientrano nel riordino in esame, alla città metropolitana, dall’altro, l’articolo 18, comma 2, facendo salvo l’art. 133, 1° comma, Cost. sembrerebbe consentire il passaggio di comuni, solo con l’attivazione della procedura costituzionale.

(Sulla compatibilità con l’art. 133 Cost. si veda quanto argomentato più diffusamente infra).

§      i piani di riordino stabiliscono la denominazione delle province all’esito della riorganizzazione;

§      il ruolo del comune capoluogo di provincia sarà assunto dal comune capoluogo della provincia soppressa con maggior popolazione residente (fattispecie legificata per effetto del successivo comma 4-bis).

 

Non viene indicata la fonte statistica per la determinazione della popolazione del comune capoluogo, ma essa deve presumibilmente intendersi la stessa che sarà alla base del programma di riordino. Sembra, inoltre, che la norma intenda escludere la possibilità di province con capoluoghi multipli previsti dalla normativa vigente.

Ipotesi di riduzione

Sulla base dei criteri come sopra definiti i Consigli delle autonomie locali (CAL), ai sensi del comma 3, sono tenuti a predisporre delle “ipotesi di riordino” (il testo originale fa riferimento invece a piani di riduzione e accorpamento)delle province situate nelle rispettive regioni e ad approvarli (non viene indicato l’atto formale di approvazione, mentre nel testo originario questo è individuato in una apposita delibera).

Nella deliberazione delle ipotesi di riordino, come precisato nel corso dell’esame del Senato, i CAL devono considerare il rispetto del principio di continuità territoriale della provincia.

I CAL sono organi di consultazione a composizione mista regioni - enti locali istituiti dall’art. 123 Cost. (come modificato dalla riforma del titolo V del 2001). Attualmente risultano costituiti CAL in quasi tutte le regioni, ad eccezione della Basilicata e del Veneto, dove dovrebbero operare ancora gli organismi di raccordo regione-enti locali istituiti anteriormente al 2001. E, infatti, la disposizione in esame prevede che, qualora i CAL non siano ancora costituiti, i piani siano deliberati da tali organi di raccordo.

Nel testo originario del decreto-legge le delibere dei CAL sono definite “costituenti iniziativa di riordino delle province”[3]. Tale definizione è stata soppressa nel corso dell’esame del Senato e sostituita con la previsione che le ipotesi e le proposte di riordino devono tener conto delle eventuali iniziative comunali in corso alla data del 20 luglio 2012.

In ogni caso, sia nella formulazione vigente, sia in quella proposta dal Senato, la disposizione di cui al comma 3 intende verosimilmente affrontare il punto forse più delicato dell’intervento normativo: infatti, la Costituzione prevede, come accennato nel paragrafo precedente, un percorso ben preciso per il mutamento delle circoscrizioni provinciali (o per la creazione di nuove province) che può essere stabilito “con Legge della repubblica, su iniziativa dei comuni, sentita la stessa regione” (art. 133, 1° comma).

 

Si pone pertanto, anche in questo caso, la questione della compatibilità costituzionale della disposizione, per il fatto che interpreta l’attuazione di un obbligo di legge come iniziativa nell’attivazione del procedimento costituzionale.

Inoltre, il coinvolgimento dei comuni - che l'art. 133 Cost. richiede - potrebbe essere ritenuto solo parzialmente realizzato dall'intervento del CAL, per la sua composizione generalmente rappresentativa e mista (non comprende solo i comuni). Il CAL, peraltro, agisce prevalentemente come organo di consulenza.

Si consideri infine che lo spazio deliberativo del CAL (o dell'organo di raccordo) appare apprezzabilmente ridotto sia dagli obiettivi di riduzione/accorpamento, che dai parametri quantitativi relativi al territorio e alla popolazione. Peraltro le delibere di iniziativa sono solo base per la successiva determinazione governativa.

 

Si ricorda in proposito che il procedimento di iniziativa comunale è disciplinato in dettaglio dall’art. 21 del testo unico degli enti locali – TUEL (D.Lgs. 267/2000), che non è espressamente modificato dalla richiamata disciplina. Eppure, lo stesso TUEL, all’art. 1, stabilisce che “ai sensi dell'articolo 128 della Costituzione le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe al presente testo unico se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni”.

 

In particolare il citato articolo 21 del TUEL prevede che per la revisione delle circoscrizioni provinciali e l'istituzione di nuove province i comuni esercitano l'iniziativa di cui all'articolo 133 della Costituzione, tenendo conto dei seguenti criteri ed indirizzi:

§       ciascun territorio provinciale deve corrispondere alla zona entro la quale si svolge la maggior parte dei rapporti sociali, economici e culturali della popolazione residente;

§       ciascun territorio provinciale deve avere dimensione tale, per ampiezza, entità demografica, nonché per le attività produttive esistenti o possibili, da consentire una programmazione dello sviluppo che possa favorire il riequilibrio economico, sociale e culturale del territorio provinciale e regionale;

§       l'intero territorio di ogni comune deve far parte di una sola provincia;

§       l'iniziativa dei comuni, di cui all'articolo 133 della Costituzione, deve conseguire l'adesione della maggioranza dei comuni dell'area interessata, che rappresentino, comunque, la maggioranza della popolazione complessiva dell'area stessa, con delibera assunta a maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati; le regioni emanano norme intese a promuovere e coordinare l'iniziativa dei comuni;

§       di norma, la popolazione delle province risultanti dalle modificazioni territoriali non deve essere inferiore a 200.000 abitanti;

§       l'istituzione di nuove province non comporta necessariamente l'istituzione di uffici provinciali delle amministrazioni dello Stato e degli altri enti pubblici;

§       le province preesistenti debbono garantire alle nuove, in proporzione al territorio ed alla popolazione trasferiti, personale, beni, strumenti operativi e risorse finanziarie adeguati.

 

In caso di inerzia di uno o più CAL il testo dell’originario comma 3 prevede che la riduzione sia operata direttamente dal Governo previo parere della Conferenza unificata. Tale disposizione è stata superata dalle modifiche al procedimento operata al Senato (vedi oltre).

Le proposte delle regioni e l’iniziativa governativa

Dopo che i CAL hanno approvato le ipotesi di riordino, queste passano al vaglio delle regioni.

Mentre il testo originale prevede che le regioni, dopo le deliberazioni dei piani di riordino, esprimono il proprio parere al Governo, il testo approvato dal Senato stabilisce che queste non esprimano un semplice parere, ma elaborino un nuovo (interlocutorio) documento recante proposta di riordino delle province, sulla base delle ipotesi dei CAL (comma 3).

In ogni caso, come chiarito dal Governo nel corso dell’esame in sede referente al Senato, le proposte delle regioni non avranno carattere vincolante (Commissione Bilancio, seduta 748 del 27 luglio 2012).

 

Una doppia norma di chiusura, introdotta al Senato e non prevista dal testo originario, stabilisce che:

§      in caso di mancata trasmissione delle ipotesi dei CAL, le regioni procedono comunque entro 80 giorni dalla data di pubblicazione della delibera del Governo;

§      in caso di mancanza delle proposte delle regioni, il Governo dispone in via sostitutiva, previo parere della Conferenza unificata.

Il testo originario prevede il ricorso alla Conferenza in caso di inottemperanza dei CAL, ma non delle regioni: la norma emendata consente di superare le eventuali inerzie sia dei CAL, sia delle regioni.

 

Il riordino effettivo è stabilito dal Governo sulla base delle proposte delle regioni (comma 4).

Come previsto da modifica introdotta nel corso dell’esame del Senato, il Governo, contestualmente al riordino delle province, provvede alla ridefinizione dell’ambito (territoriale) delle città metropolitane conseguente alle eventuali iniziative di comuni ai sensi dell’art. 133 Cost. (si veda in proposito il successivo articolo 18).

Relativamente alla fonte normativa, si rileva che la norma fa rinvio, in modo non usuale, ad un “atto legislativo di iniziativa governativa” che provvede, entro 60 giorni, al riordino delle province.

Qualora tale locuzione costituisca un implicito riferimento a strumento d’urgenza ex art. 77 Cost. si prefigurerebbero – sin d’ora – requisiti di necessità e urgenza privi del requisito della straordinarietà.

Qualora invece la stessa locuzione sottintenda un richiamo a disegno di legge del Governo, il termine di 60 giorni dovrebbe riferirsi solo all’iniziativa del Governo e non anche all’esame parlamentare, perché i relativi termini sono materia riservata ai regolamenti delle due Camere ai sensi dell’art. 64 Cost.

 

Il complesso procedimento sopra descritto è corredato di una precisa tempistica, peraltro ampiamente modificata dal Senato, di cui si da conto nella tabella riportata sopra.

 

Anche a seguito delle modifiche del Senato, si pone la questione del coordinamento dei termini del procedimento: infatti, come si evince dalla tabella citata, i termini delle prime tre fasi sono collegati alla data della pubblicazione della delibera del Governo sui criteri di riordino (24 luglio 2012) e il termine della terza fase cade il 24 ottobre 2012: entro tale data, al più tardi, devono essere presentate le proposte di riordino da parte delle regioni. Il termine dell’ultima fase, adozione del provvedimento di riordino del Governo, è, invece, parametrata sulla data di entrata in vigore della legge di conversione: entro 60 giorni da tale data (ossia entro il 13 ottobre) dovrà essere emanato il provvedimento in questione. Il termine per l’adozione dell’atto del Governo viene dunque a scadere prima di quello per la presentazione dei piani di riordino mentre ovviamente non potrà che essere adottato successivamente. E in effetti il vademecum del Governo sulla riforma delle province non indica una data determinata per l’adozione del provvedimento governativo finale ma si limita a precisare che questo sarà adottato al termine dell’iter di riforma[4].

Si osserva, inoltre, che il termine per le regioni per deliberare le proposte di riordino in caso di mancata trasmissione delle ipotesi di riordino dei CAL viene a coincidere praticamente con il termine che questi hanno per presentare le medesime ipotesi.

 

Si rileva, infine, che la soppressione delle province sotto soglia e il loro accorpamento, conseguenti al riordino, di fatto supera, solo per queste province, quanto previsto dal citato D.L. 201/2011 in materia di organi provinciali. Infatti, il D.L. 201 ha trasformato i consigli provinciali in organi elettivi di secondo grado, ossia non più eletti direttamente dal corpo elettorale, bensì dai sindaci e dai consiglieri dei comuni del territorio provinciale. Il nuovo sistema elettorale sarà stabilito con legge dello Stato che dovrà essere adottata entro il 31 dicembre 2012 (attualmente è all’esame della Camera un disegno di legge del Governo in materia, l’Atto Camera n. 5210). I consigli provinciali scaduti nel 2012 non sono stati rinnovati e le province sono state commissariate dal Governo in attesa che la definizione della nuova legge elettorale ne permetta il rinnovo. Gli altri consigli provinciali avrebbero dovuto essere rieletti con il nuovo sistema ciascuno a conclusione del proprio mandato. La norma in esame incide evidentemente su tale previsione: presumibilmente tutti i consigli provinciali delle province soppresse dovrebbero, al termine del procedimento, essere sciolti, ma dovrebbero essere sciolti anche i consigli provinciali delle province non soppresse ma destinate a mutare il proprio territorio all’esito del riordino. Rimarrebbero esclusivamente in carica i consiglio delle province sopra i limiti minimi e che non dovranno inglobare porzioni di territorio di province soppresse. Non viene prevista una norma transitoria che regoli opportunamente il passaggio dalle vecchie alle nuove province, che dovrà probabilmente essere disciplinato dall’atto governativo di riordino.

 

Il Senato ha aggiunto il nuovo comma 4-bis che recepisce quanto già previsto nella delibera del Governo del 20 luglio, prevedendo che il ruolo del comune capoluogo di provincia sarà assunto dal comune, già capoluogo della provincia soppressa, con maggior popolazione residente, con la significativa modifica rispetto alla delibera, che è fatta salva l’ipotesi di diverso accordo tra i capoluoghi di provincia.

Le regioni a statuto speciale

Il comma 5 riguarda le regioni a statuto speciale che devono adeguare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto in esame, i propri ordinamenti alle disposizioni di cui all’articolo in esame, che costituiscono principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica nonché principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica. L’adeguamento riguarda tutte le disposizioni recate dall’articolo, quindi sia il riordino delle province, sia la ridefinizione delle funzioni provinciali (per la quale si rinvia al paragrafo successivo).

 

Le regioni a statuto speciale, seppure con diverse formulazioni, hanno competenza primaria in materia di enti locali, ai sensi dei propri statuti di autonomia (che hanno rango costituzionale) e la esercitano entro il limite dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico della Repubblica.

 

La Corte costituzionale (sentenze n. 286 del 2007, 238 del 2007, n. 5 del considerato in diritto, sentenze n. 48 del 2003, n. 230 e 229 del 2001, e n. 415 del 1994) ha riconosciuto al legislatore delle regioni ad autonomia speciale una potestà di disciplina differenziata rispetto alla corrispondente legislazione statale, salvo il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato e dell'ambito delle materie di esclusiva competenza statale (individuate sulla base di quanto prescritto negli statuti speciali).

 

Ai sensi del comma 5, le disposizioni di cui al presente articolo non trovano applicazione per le province autonome di Trento e Bolzano (previste dalla Costituzione art. 116, 2° comma).

Tra le regioni a statuto speciale non è espressamente esclusa la Valle d’Aosta, che però ha una peculiare struttura di articolazione territoriale che, di fatto, rende inapplicabile l’articolo in esame. Infatti, nella regione, dove il territorio della provincia coincide con quello regionale, non esiste una amministrazione provinciale e i compiti della provincia sono svolti dalla regione.

 

Per quanto riguarda la riduzione delle province si ricorda che il 6 maggio 2012 si sono svolti in Sardegna 10 referendum regionali (5 abrogativi e 5 consultivi) tra cui uno (consultivo) relativo alla abrogazione delle quattro province storiche della regione (Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano) e alcuni (abrogativi) volti a sopprimere le nuove province (Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra e Olbia-Tempio) istituite con legge regionale: la maggioranza dei votanti sardi si è espressa a favore di tutti i referendum. La regione ha prorogato fino al 28 febbraio 2013 le amministrazioni provinciali nelle more di una riforma delle autonomie locali (L.R. 25 maggio 2012, n. 11).

Anche la Sicilia si è mossa nella direzione di una ridefinizione del ruolo delle province regionali. La legge regionale 14 del 2012 infatti prevede che, nel quadro di un riassetto complessivo delle funzioni amministrative, spettano alle province regionali funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge regionale entro il 31 dicembre 2012. Tale legge procederà inoltre al riordino degli organi di governo delle province regionali, al fine di ottenere significativi risparmi di spese per il loro funzionamento.

Ridefinizione delle funzioni delle province (art. 17, commi 6-11)

Oltre che sul riordino, l’articolo 17 del decreto legge 95/2012 interviene anche sulla disciplina delle funzioni delle province, provvedendo ad integrare e modificare quanto disposto in materia dal decreto-legge 201/2011[5], che ha stabilito che alle province spettano esclusivamente funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.

Tale impostazione viene superata prevedendo l’affidamento alle province, una volta proceduto all’accorpamento, di ulteriori funzioni: si tratta delle funzioni definite di area vasta, per le quali viene richiamato l’art. 117, secondo comma, lettera p) che affida allo Stato la competenza legislativa a definire le funzioni fondamentali degli enti locali.

Tali funzioni, espressamente indicate, ineriscono alla cura del territorio (pianificazione territoriale; tutela e valorizzazione dell’ambiente), alla gestione dei trasporti (pianificazione dei servizi di trasporto; autorizzazione e controllo del trasporto privato; costruzione e gestione delle strade; circolazione stradale) ovviamente a livello provinciale e, come aggiunto dal Senato, la programmazione della rete scolastica e la gestione dell’edilizia scolastica nelle scuole secondarie di secondo grado (comma 10).

 

Seguono alcuni indicazioni enucleabili dalla giurisprudenza costituzionale in tema di funzioni delle province.

Nella sentenza 238 del 2007 la Corte costituzionale ha occasione - sia pure in un contesto caratterizzato dall'intervento legislativo di un'Autonomia speciale - di disegnare lo spazio proprio delle funzioni provinciali, tra l’esistenza di un nucleo di funzioni intimamente connesso al riconoscimento del principio di autonomia degli enti locali sancito dall’art. 5 Cost, la innegabile discrezionalità riconosciuta al legislatore statale nell’ambito della propria potestà legislativa e la relativa mutevolezza nel tempo delle scelte da esso operate, non potendosi - in tale contesto - parlarsi in generale di competenze storicamente consolidate dei vari enti locali (addirittura immodificabili da parte del legislatore).

La Corte ha riassunto il proprio indirizzo nel senso che il legislatore (regionale) può (nei differenziati ambiti lasciati dalle disposizioni costituzionali o statutarie), in presenza di esigenze di carattere generale, articolare diversamente i poteri di amministrazione locale, con il limite della permanenza di almeno una sfera adeguata di funzioni (sentenze n. 378 del 2000, n. 286 del 1997, n. 83 del 1997).

Nella sentenza 286 del 2007, la Corte ha ritenuto rilevante, ai fini della verifica del rispetto dell'autonomia degli enti locali, non la disciplina di un particolare settore o di uno specifico istituto, ma la complessiva configurazione da parte della legislazione regionale del ruolo della Provincia in termini effettivamente adeguati alla sua natura di ente locale necessario di secondo livello: valutazione, che può essere operata solo avendo riguardo al complesso della legislazione sull'amministrazione locale per accertare la sua coerenza con il principio di autonomia.

 

L’articolo 17 completa il quadro normativo in materia di funzioni delineato dal D.L. 201/2011 provvedendo a disciplinare le competenze delle funzioni già svolte dalle province non ricomprese tra quelle fondamentali. In proposito il D.L. 201/2011 prevede il trasferimento da parte di Stato e regioni, con propria legge, secondo le rispettive competenze, ai comuni, entro il 31 dicembre 2012, delle funzioni conferite dalla normativa vigente alle province, salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle regioni, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

Il provvedimento in esame interviene sulle funzioni amministrative conferite alle province con legge dello Stato prevedendo anche per esse il trasferimento ai comuni (comma 6), previa individuazione puntuale da parte di un DPCM da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge previa intesa con la conferenza unificata (comma 7).

L’esercizio di tali funzioni è subordinato all’effettivo trasferimento dei beni e delle risorse umane da effettuare sempre con DPCM da adottare entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge (comma 8).

I decreti di cui sopra (comma 8-bis), sono adottati previa acquisizione della Commissione parlamentare per la semplificazione di cui alla legge 246/2005 (art. 14, comma 19).

 

La Commissione parlamentare per la semplificazione è composta da venti senatori e venti deputati, nominati rispettivamente dal Presidente del Senato e dal Presidente della Camera nel rispetto della proporzione esistente tra i gruppi parlamentari, su designazione dei gruppi medesimi. Tra i compiti della Commissione quello, attribuito dalla legge 69/2009, di esprimere sui pareri previsti dalla legge 59/1997, recante Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.

 

Ai sensi del successivo comma 9, la decorrenza dell’esercizio delle funzioni trasferite è inderogabilmente subordinata, ed è contestuale, all’effettivo trasferimento dei beni e delle risorse umane e strumentali necessarie all’esercizio delle medesime, nonché al loro effettivo finanziamento, in conformità ai princìpi e ai criteri stabiliti dall’art. 10 della legge n. 42/2009 e concernenti il finanziamento delle funzioni trasferite alle regioni.

Il comma 11 lascia ferme le funzioni di programmazione e di coordinamento delle regioni, loro spettanti nelle materie concorrenti e “residuali” (art. 117, commi terzo e quarto, della Costituzione), e le funzioni esercitate ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione (esercitate per il livello adeguato).

Altre disposizioni in materia di province (art. 17, commi 12-13-ter)

Il comma 12 conferma che gli organi di governo della provincia sono esclusivamente il consiglio provinciale e il presidente della provincia, secondo quanto disposto ai sensi dell’art. 23, comma 15, del citato D.L. 201/2011 che ha soppresso appunto le giunte provinciali.

Il comma 13 prevede che la redistribuzione del patto di stabilità interno tra gli enti territoriali interessati, conseguente all’attuazione dell'articolo in esame, è operata a invarianza del contributo complessivo.

Il comma 13-bis attribuisce, per l'anno 2012, un contributo alle province siciliane e sarde interessate dalla riduzione dei contributi disposta dall'articolo 16, comma 7, del medesimo decreto-legge 95: l’importo complessivo del contributo è di 100 milioni di euro. Il contributo non è conteggiato fra le entrate valide ai fini del patto di stabilità interno ed è destinato alla riduzione del debito. Il riparto del contributo tra le province è stabilito con le modalità previste dal medesimo comma 7.

Alla copertura finanziaria della spesa derivante dall’attribuzione di tale contributo si provvede, ai sensi del successivo comma 13-ter si provvede mediante versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una corrispondente quota delle risorse disponibili sulla contabilità speciale 1778 Agenzia delle entrate-fondo di bilancio.

Lo stato del contenzioso relativo ai criteri di riordino delle province

Attualmente lo stato del contenzioso relativo alla impugnazione contro la deliberazione del Consiglio dei ministri del 20 luglio, nella quale sono fissati i parametri per il riordino delle Province risulta articolato come segue.

Le province di Lodi, Rovigo, Treviso e Lecco hanno proposto impugnazione al Tar Lazio con ricorsi depositati il 6 agosto 2012. Anche la provincia di Sondrio con deliberazione della giunta provinciale resa il 10 agosto 2012 ha presentato ricorso.

A titolo esemplificativo è stato allegato al presente dossier il ricorso della provincia di Treviso.

La provincia di Matera ha proposto ricorso per impugnazione il 30 agosto 2012; tale ricorso verrà discusso nell’udienza del TAR Lazio il 26 settembre 2012, così come il ricorso presentato dalla provincia di Sondrio. Da fonti giornalistiche risulta la possibilità che nella stessa data vengano discussi anche gli altri ricorsi.

Da ultimo, il 20 settembre 2012, anche la provincia di Imperia ha impugnato dinanzi al Tar del Lazio la deliberazione del Consiglio dei Ministri dello scorso 20 luglio.

Anche le province di Latina e Frosinone hanno preannunciato l’intenzione di ricorrere al Tar del Lazio conferendo l'incarico all'Avvocatura dell'ente per impugnare la determinazione del Consiglio dei Ministri.

Nei ricorsi - corredati di istanza di sospensiva - si asserisce il contrasto del procedimento delineato dall’art. 17 del D.L. 95/2012, del quale il decreto impugnato costituisce attuazione, con il disposto dell’art. 133 Cost., prospettando conforme questione di legittimità costituzionale. Si asserisce altresì il contrasto con l’art. 97 Cost., per difetto di idonea istruttoria e motivazione della delibera gravata quanto ai requisiti minimi di territorio e di popolazione. Il riordino delle province, pertanto si tradurrebbe in tagli indiscriminati anziché in una razionalizzazione, con violazione dell’art. 3 Cost.. Ulteriore censura in sede di ricorso attiene alla violazione dell’art. 77 Cost. per carenza degli straordinari e imprevedibili requisiti di necessità e urgenza sulla base dei quali è stata adottato l’art. 17 citato.

 

Per quanto attiene al contenzioso dinanzi alla Corte Costituzionale relativo all’impugnazione dell’art. 17 del D.L. 95/2012, si segnalano le iniziative dei Consigli delle Autonomie locali della regione Marche e della regione Abruzzo volte a sollecitare i competenti organi regioni l’impugnazione delle suddette norme ritenute lesive delle competenze degli enti locali.

Il Consiglio regionale della Campania ha chiesto con un ordine del giorno approvato l’11 settembre 2012 alla Giunta di impugnare davanti alla Corte Costituzionale le norme che prevedono l'abolizione di alcune Province, tra cui quella di Benevento.

Le province come organi di coordinamento e l’elezione indiretta degli organi provinciali

Come accennato, prima del decreto-legge 95, una profonda riforma del sistema delle province è stata prefiguarata dal decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201[6] nell’ambito delle misure volte al contenimento delle spesa pubblica (art. 23, co. 14-21).

Alle province, innanzitutto, venivano affidate esclusivamente funzioni di indirizzo politico e di coordinamento. Tale impostazione è stata di fatto superata all’art. 17 del decreto-legge 95 che come si è visto ha ampliato il novero delle funzioni provinciali.

Viene invece confermata la modifica del sistema di elezione degli organi provinciali. Sia il consiglio provinciale che il presidente della provincia sono configurati - a differenza degli altri enti indicati dall’art. 114 Cost. - come organi ad elezione indiretta, eletto il primo dagli organi elettivi dei comuni ricadenti nel territorio della provincia e il secondo dal consiglio provinciale stesso tra i suoi componenti. Tali organi durano in carica cinque anni e le modalità di elezione del consiglio provinciale, composto da non più di dieci membri, e del presidente della provincia sono stabilite con legge dello Stato entro il 31 dicembre 2012.

Il nuovo sistema elettorale è oggetto del disegno di legge del Governo A.C. 5210, attualmente all’esame della Camera.

 

Il sistema elettorale delineato dal ddl A.C. 5210 è un sistema proporzionale, con voto di lista e preferenze, senza coalizioni, né soglie di sbarramento, né premi di maggioranza. In estrema sintesi:

-      hanno diritto di elettorato attivo e passivo i sindaci e i consiglieri comunali in carica nei comuni della provincia;

-      l’intero territorio provinciale è costituito da una unica circoscrizione elettorale sia ai fini della presentazione delle candidature, sia per l’attribuzione dei seggi;

-      le forze politiche presentano la lista dei candidati al consiglio provinciale e, con essa, il candidato alla carica di presidente della provincia;

-      l'elettore vota insieme la lista e il candidato presidente e può esprimere due preferenze per i candidati alla carica di consigliere;

-      è eletto presidente della provincia il candidato che ottiene il maggior numero di voti;

-      per la composizione del consiglio provinciale invece, l'attribuzione dei seggi alle liste avviene in maniera proporzionale (metodo dei divisori d’Hondt); i seggi sono poi attribuiti ai candidati in ordine al numero di preferenze ricevute.

Per approfondimenti si veda il dossier del Servizio studi n. 651/0 del 6 giugno 2012.

 

Si ricorda che la Corte costituzionale si pronuncerà il 6 novembre 2012 sui ricorsi presentati a titolo di impugnazione diretta da parte di sei regioni avverso l’art. 23, commi 14 e seguenti, del D.L. 201/2012.

Le proposte di legge parlamentari in materia di province

La soppressione delle province

Il 19 maggio 2009 la Commissione affari costituzionali della Camera ha avviato l’esame di sei proposte di legge di modifica costituzionale (A.C. 1990 e abbinate) intese a sopprimere l’ente Provincia, espungendolo dall’ordinamento territoriale della Repubblica. Le sei proposte, tutte di iniziativa parlamentare, modificano vari articoli della Costituzione sopprimendo in essi i riferimenti alla provincia. A seguito dell'iscrizione del provvedimento nel calendario dei lavori dell'Assemblea, la Commissione (8 ottobre 2009) ha conferito al relatore il mandato a riferire in senso contrario all'Assemblea (A.C. 1990-A, presentata dai deputati Donadi ed altri). Nella seduta del 13 ottobre 2009, l'Assemblea della Camera ha approvato una questione sospensiva: la discussione del provvedimento è stata conseguentemente rinviata fino alla presentazione e all'esame del disegno di legge del Governo sulla Carta delle autonomie locali. Nella successiva seduta del 18 gennaio 2011, l'Assemblea ha deliberato un nuovo rinvio in Commissione delle proposte di legge costituzionali n. 1990 e abbinate (n. 1989 e n. 2264). I lavori della Commissione hanno consentito di abbinare un'ulteriore proposta (A.C. 2579) e di adottare come testo base per il seguito dell'esame la proposta di legge costituzionale n. 1990 (25 gennaio 2011); sugli emendamenti si è svolto un approfondimento preliminare in comitato ristretto, che non ha tuttavia concluso i propri lavori a seguito di una ulteriore iscrizione del provvedimento nel calendario dei lavori dell'Assemblea. Dopo che il 25 maggio 2011 la Commissione aveva concluso l'esame conferendo al relatore il mandato a riferire in senso contrario sul provvedimento, l'Assemblea della Camera lo ha respinto il 5 luglio 2011.

La "regionalizzazione" delle province

Pochi giorni dopo che l'Assemblea della Camera aveva respinto la proposta di legge di soppressione delle province, la I Commissione Affari costituzionali ha iniziato l'esame di alcune proposte di legge costituzionale (A.C. 1242, 4439, 4493, 4499, 4506, 4887, nonché 4682 di iniziativa popolare) la maggior parte delle quali trasferiscono dallo Stato alle regioni la competenza in materia di istituzione di nuove province e di mutamento dei confini delle province esistenti.

Il 10 gennaio 2012 la I Commissione ha deliberato l’istituzione di un comitato ristretto per l’esame delle proposte di legge che prosegue i suoi lavori (si veda in proposito il dossier  n. 521 del 9 dicembre 2011).

La Carta delle autonomie

Si ricorda, inoltre, che è all'esame del Senato un disegno di legge del Governo, già approvato dalla Camera, che interviene sulla materia delle funzioni degli enti locali, al fine di adeguarla alla riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione. Tra i punti qualificanti del provvedimento vi è una delega al Governo per l'adozione della «Carta delle autonomie locali», in cui riunire e coordinare sistematicamente le disposizioni statali che disciplinano gli enti locali.

Il provvedimento (A.C. 3118 - A.S. 2259), collegato alla manovra di finanza pubblica, interviene sull’attuale assetto normativo delle autonomie locali, risalente sostanzialmente ai primi anni ’90 del secolo scorso. Con tale intervento si introducono disposizioni di adeguamento alla riforma Titolo V della Parte seconda della Costituzione approvata nel 2001, che ha attribuito nuove funzioni alle comunità locali, dotandole di autonomia finanziaria. In relazione a tale autonomia.

In questo quadro, il disegno di legge individua le funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane e dà attuazione al principio di sussidiarietà, contenuto nell’articolo 118 della Costituzione, prevedendo l’individuazione e il trasferimento di funzioni amministrative a enti locali e regioni.

L'esame del provvedimento, al quale sono state abbinate 13 proposte di iniziativa parlamentare, è iniziato presso la I Commissione Affari costituzionali l'11 marzo 2010 e si è concluso il 10 giugno scorso. L'Assemblea della Camera ha approvato il disegno di legge il 30 giugno 2010. Ora il è all'esame del Senato.

 

 

 


Le città metropolitane

La nuova disciplina delle città metropolitane nel decreto-legge di revisione della spesa

L’articolo 18 del decreto legge 95/2012 ridefinisce la disciplina delle città metropolitane che sono istituite tassativamente entro il 1° gennaio 2014 nei territori delle 10 province, che sono contestualmente soppresse, di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria.

Viene così superata l’impostazione previgente (che viene abrogata), recata dal D.Lgs. 267/2000 recante testo unico degli enti locali (TUEL), che prevedeva l’istituzione (facoltativa) della città metropolitana all’esito di un articolato procedimento che coinvolgeva la popolazione, gli enti locali, le regioni e lo Stato.

Superato anche quanto previsto dalla legge 42/2009 sul federalismo fiscale che, pur mantenendo la disciplina ordinaria del TUEL, introduceva una procedura transitoria (anch’essa facoltativa) e semplificata per la creazione delle città metropolitane che prevedeva: iniziativa del comune capoluogo e della provincia, congiuntamente tra loro o separatamente; parere della regione; referendum confermativo. Una disposizione di delega (ormai scaduta) subordinava l’effettiva istituzione di ciascuna città metropolitana all’adozione di altrettanti decreti legislativi.

Il procedimento di costituzione delle città metropolitane

Il comma 1 sopprime, come accennato, le province di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria e istituisce contestualmente le “relative” città metropolitane; la decorrenza temporale è fissata in modo articolato:

§      dal 1° gennaio 2014;

§      ovvero “precedentemente”, qualora abbia luogo entro il 31 dicembre 2013:

-       la cessazione o lo scioglimento del relativo consiglio provinciale;

-       la scadenza dell’incarico del commissario eventualmente nominato ai sensi del testo unico degli enti locali qualora abbia luogo entro il 31 dicembre 2013.

 

Gli articoli 141 e seguenti TUEL disciplinano le ipotesi e la procedura di scioglimento dei consigli comunali e provinciali e la nomina di commissari straordinari per l’amministrazione temporanea dell’ente locale in diverse ipotesi: dimissioni del presidente della provincia, impossibilità di funzionamento, infiltrazioni mafiose ecc.

 

La norma abroga altresì le disposizioni gli articoli 22 e 23 del citato TUEL nonché gli articoli 23 e 24, commi 9 e 10, della legge n. 42/2009 (c.d. legge sul federalismo fiscale).

 

Le norme citate contenevano:

§       la disciplina delle aree metropolitane (le zone comprendenti i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli e gli altri comuni con rapporti di stretta integrazione territoriale (art. 22 del TUEL);

§       la disciplina delle città metropolitane (che potevano istituirsi nelle aree metropolitane tra il comune capoluogo e gli altri comuni ad esso uniti da contiguità territoriale e da rapporti di stretta integrazione: art. 23 TUEL);

§       la disciplina transitoria delle città metropolitane nell'ambito del c.d. federalismo fiscale (le città metropolitane potevano essere istituite nelle aree metropolitane comprendenti i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria: art. 23 L. 42/2009);

§       la disciplina di Roma capitale, ma esclusivamente in relazione alla applicazionea Roma delle disposizioni sulle città metropolitane (art. 24, commi 9 e 10 legge 42/2009).

 

Finalità esplicita è la garanzia dell’efficace ed efficiente svolgimento delle funzioni amministrative, in attuazione degli articoli 114 e 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione.

 

L'art. 114 elenca anche le Città metropolitane tra gli enti costitutivi della Repubblica, la citata lettera b) assegna allo Stato la competenza in tema di elezioni, organi e funzioni fondamentali degli enti locali, comprese le città metropolitane.

 

Il comma 2 chiarisce che il territorio della città metropolitana coincide con quello della provincia contestualmente soppressa ai sensi del comma 1, fermo restando il potere di iniziativa dei comuni, ai sensi dell’articolo 133, primo comma, della Costituzione, per il mutamento delle circoscrizioni provinciali o la creazione di nuove province.

 

Si ricorda in proposito che il procedimento di iniziativa comunale è disciplinato in dettaglio dall’art. 21 del testo unico degli enti locali – TUEL (D.Lgs. 267/2000) per il quale si rinvia al capitolo sulle province del presente dossier.

 

Nel corso dell’esame del Senato, è stato specificato che:

§         il potere di iniziativa dei comuni si estrinseca in un atto del consiglio;

§         i comuni possono con tale atto deliberare l’adesione alla città metropolitana o, in alternativa, ad altra provincia limitrofa. Sembra restare preclusa la possibilità di deliberare l’istituzione di una nuova provincia.

 

L’articolo 17 del medesimo decreto-legge n. 95/2012 (riordino delle province) prevede che l’atto legislativo del Governo che dovrà, a conclusione del complesso procedimento di razionalizzazione delle province, ridisegnare le circoscrizioni provinciali, provvederà anche alla contestuale ridefinizione dell’ambito (territoriale) delle città metropolitane conseguente alle eventuali iniziative di comuni ai sensi dell’art. 133 Cost.

 

La soppressione – sia pure a scadenza non immediata e con contestuale istituzione di città metropolitane – di talune province anche in (eventuale) assenza dell’iniziativa dei comuni di cui all’art. 133 Cost. (che pure resta ferma), sono elementi che potrebbero far ritenere la norma meritevole di esame sotto il profilo della compatibilità costituzionale.

 

Il comma 2-bis prevede la possibilità di articolare in più comuni il territorio del comune, già capoluogo della ex provincia, confluito nella città metropolitana.

In altre parole sia dà la facoltà al comune capoluogo di mantenere la propria integrità, oppure scegliere di suddividere il proprio territorio in comuni (magari riproducendo i confini delle circoscrizioni di decentramento comunale, ove presenti). In questo caso la città metropolitana verrebbe ad essere composta dai comuni della ex provincia e dai nuovi comuni sorti dalla suddivisione del comune capoluogo.

 

L’esercizio della facoltà prevista dal comma in esame comporta necessariamente un aumento delle spese derivanti dalla creazione di più comuni (e quindi più sindaci, giunte e consigli comunali) nel territorio dove ora insiste un solo comune. Tanto più che la disposizione in esame non prevede requisiti minimi di popolazione o territorio per questi nuovi comuni con il rischio proliferazione di microcomuni; ma anche se venissero trasformati in comuni le circoscrizioni di decentramento comunale ugualmente sarebbe notevole l’onere complessivo. Infatti, quest’ultime hanno organi politici generalmente composti da pochi membri, in maniera adeguata alle funzioni limitate proprie del decentramento comunale. Nella trasformazione in comuni tali organi aumenterebbero inevitabilmente il numero dei propri componenti.

 

Per dare un idea dell’ordine di grandezza degli organi delle grandi città si riporta nella tabella che segue la composizione dei consigli e delle giunte comunali a seguito delle riduzioni intervenute negli ultimi anni (fonte: Ministero del’interno, Dipartimento per gli affari interni e territoriali, Circolare n. 2915 del 18 febbraio 2011).

 

 

Si ricorda, inoltre, che il D.L. 138/2011, art. 16, co. 17, ha ridotto ulteriormente il numero dei consiglieri e degli assessori fino a 10.000 abitanti (si veda in proposito Ministero del’interno, Dipartimento per gli affari interni e territoriali, Circolare n. 2379 del 16 febbraio 2012).

 

L’articolazione in più comuni del capoluogo, se si sceglie tale possibilità, deve essere inserita nello statuto della città metropolitana con una particolare procedura rinforzata che prevede:

§      proposta del comune capoluogo deliberata dal consiglio, secondo la stessa procedura prevista per l’approvazione degli statuti comunali e provinciali: maggioranza dei due terzi o in caso di mancato raggiungimento di tale quorum, ripetute votazioni in successive sedute da tenersi entro 30 giorni duranti i quali lo statuto è approvato se ottiene per due volte il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati (art. 6, comma 4, D.Lgs. 267/2000);

§      parere della regione da esprimere entro 90 giorni;

§      referendum tra tutti i cittadini della città metropolitana da effettuare entro 180 giorni dalla sua approvazione sulla base delle relative leggi regionali.

L’esito del parere regionale incide sul quorum di validità del referendum: questo è senza quorum se il parere della regione è favorevole o in mancanza di parere, mentre in caso di parere negativo il quorum è pari al 30% degli aventi diritto.

Nei successivi 90 giorni, in caso di esito favorevole, le regioni provvedono con proprie leggi alla revisione delle circoscrizioni territoriali dei comuni che fanno parte della città metropolitana.

Nel caso di articolazione in più comuni della città metropolitana, una norma di chiusura dispone che la città metropolitana che ha inglobato il comune capoluogo di regione diventa essa stessa capoluogo di regione.

Gli organi della città metropolitana

Il comma 3 individua, al primo periodo, gli organi della città metropolitana in:

§       il consiglio metropolitano;

§       il sindaco metropolitano, il quale può nominare un vicesindaco ed attribuire deleghe a singoli consiglieri.

(Per le ulteriori disposizioni del comma 3 v. infra).

 

Il comma 4 interviene sulla disciplina del sindaco metropolitano prevedendo che:

§       resta ferma l’applicazione dell’articolo 51, commi 2 e 3, del TUEL (limite del “doppio mandato” per il sindaco e per il presidente del consiglio provinciale); la norma non specifica espressamente che ne resta ferma l'applicazione nei confronti del sindaco metropolitano.

§       in sede di prima applicazione, il sindaco del comune capoluogo è di diritto sindaco metropolitano (tale disposizione è stata soppressa al Senato, ma si veda in proposito il nuovo comma 3-ter);

§       lo statuto della città metropolitana può stabilire diverse modalità di designazione del sindaco metropolitano, e in particolare che:

-       sia di diritto il sindaco del comune capoluogo;

-       sia eletto secondo le modalità stabilite per l’elezione del presidente della provincia; questa ipotesi sembra costituire un rinvio “mobile” - a differenza del successivo rinvio “fisso” - alle modalità nel tempo stabilite per l’elezione del presidente della provincia (attualmente art. 23, commi 14 - 21 del D.L. 201/2011 che prevede una legge dello Stato, un disegno di legge del Governo in materia è attualmente all’esame della Camera A.C. 5210);

-       sia eletto a suffragio universale e diretto (ma, è stato precisato nel corso dell’esame del Senato, esclusivamente nel caso in cui lo statuto abbia previsto l’articolazione del comune capoluogo in più comuni di cui al comma 2-bis), secondo il sistema previsto dagli articoli 74 e 75 del TUEL, nel testo vigente alla data di entrata in vigore del decreto in esame; il richiamo di cui al comma 1 del citato art. 75 alle disposizioni di cui alla legge n. 122/1951, è da intendersi al testo vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto. Le norme citate riguardano il sistema elettorale del presidente della provincia e del consiglio provinciale la cui disciplina - nella formulazione utilizzata - appare “congelata” (così come pure la correlata norma del 1951 sulle candidature).

 

La decisione di articolare il comune capoluogo in più comuni comporta dunque la possibilità di poter scegliere tra l’elezione diretta del sindaco metropolitano o l’elezione indiretta; mentre le città metropolitane che non dovessero esercitare tale opzione potranno eleggere solo indirettamente il proprio sindaco oppure scegliere che il sindaco sia di diritto lo stesso del comune capoluogo.

 

La lettera p) del secondo comma dell'art. 117 Cost. assegna allo Stato la competenza sul sistema elettorale - tra l'altro - delle città metropolitane. La disposizione in esame sembra “cedere” la competenza (almeno in parte) allo statuto metropolitano, ma tale norma andrebbe verificata alla luce del rango costituzionale dell’attribuzione statale di tale competenza.

 

E' ancora il comma 3 a prevedere, inoltre, nei periodi successivi al primo, che gli organi metropolitani durano in carica cinque anni (art. 51, comma 1 del TUEL), oppure un periodo minore secondo la disciplina delle fattispecie previste dagli artt. 52 e 53 del TUEL (mozione di sfiducia, nonché dimissioni, impedimento, rimozione, decadenza, sospensione o decesso).

Se il sindaco del comune capoluogo è di diritto il sindaco metropolitano, non trovano applicazione agli organi della città metropolitana i citati articoli 52 e 53.

Si tratta, come visto in precedenza, della disciplina della mozione di sfiducia, nonché di dimissioni, impedimento, rimozione, decadenza, sospensione.

La norma prevede inoltre che - in caso di cessazione dalla carica di sindaco del comune capoluogo - si dà luogo a supplenza delle funzioni del sindaco metropolitano da parte del vicesindaco - se nominato - o del consigliere metropolitano più anziano.

 

Il terzo periodo del comma 3 in esame potrebbe comportare questioni applicative in relazione a talune ipotesi di cui agli artt. 52 e 53, in riferimento alla lett. a) del comma 4. Mentre infatti sembrerebbe pacifico che la conseguenza principale della disposizione sia che, in caso di cessazione dalla carica del sindaco del comune capoluogo - che è anche sindaco metropolitano - nelle ipotesi di cui ai commi del 51.2, 51.3 e 51.4 il consiglio metropolitano - che è eletto in secondo grado (comma 6) - non si scioglie, meno chiara appare la sorte di disposizioni come quella che riguarda la sostituzione temporanea del sindaco (art. 53.2) o la conseguenza del voto contrario del consiglio (52.1) delle quali l’applicabilità, in linea generale possibile, appare invece esclusa; in tale contesto, l'incertezza applicativa potrebbe riverberare sulla stessa applicabilità della mozione di sfiducia (art. 52.2) del consiglio.

Il comma 5 disciplina la composizione del consiglio metropolitano come segue:

§       sedici consiglieri nelle città metropolitane con popolazione residente superiore a 3.000.000 di abitanti;

§       dodici consiglieri nelle città metropolitane con popolazione residente superiore a 800.000 e inferiore o pari a 3.000.000 di abitanti;

§       dieci consiglieri nelle altre città metropolitane.

 

Segue un elenco non ufficiale delle 10 Province interessate per numero di abitanti:

 

1.          Roma

4.042.676

2.          Napoli

3.080.873

3.          Milano

3.072.152

4.          Torino

2.245.252

5.          Bari

1.248.086

6.          Bologna

981.807

7.          Firenze

971.437

8.          Genova

862.267

9.          Venezia

850.523

10. Reggio Calabria

547.897

 

Il comma 6 prevede che i consiglieri metropolitani siano eletti con un sistema di secondo grado.

Sono eleggibili i sindaci dei comuni (e i consiglieri metropolitani, come aggiunto dal Senato) del territorio della città metropolitana. Gli stessi soggetti esercitano in diritto di voto.

Nel corso dell’esame al Senato è stato introdotto un nuovo periodo al comma 6 che disciplina le modalità di elezione del consiglio metropolitano, modificando l’originaria impostazione dell’articolo che prevede l’applicazione del (nuovo) sistema elettorale delle province anche alle città metropolitane, a prescindere dalle modalità di designazione del sindaco metropolitano.

Invece, le modifiche introdotte al Senato sono finalizzate a differenziare il sistema di elezione del consiglio e ad omologarlo a quello del sindaco metropolitano: così si stabilisce che, se il sindaco metropolitano è eletto secondo le nuove modalità (ancora in fieri come si è detto) previste per il presidente di provincia, lo sia anche il consiglio metropolitano. Parimenti, se lo statuto ha optato per l’elezione diretta del sindaco metropolitano secondo il previgente sistema elettorale per il presidente della provincia, disciplinato dal TUEL, anche il consiglio metropolitano sarà eletto secondo tale sistema (ed in particolare si applica l’art. 75 TUEL che prevede un sistema proporzionale basato su candidature presentate in collegi uninominali).

 

Si osserva in proposito che rimane una terza possibilità di designazione del sindaco metropolitano, ossia che il sindaco del comune capoluogo sia di diritto il sindaco metropolitano (art. 4, co. 1, lett. a): in tal caso non viene specificato il sistema elettorale del consiglio metropolitano.

 

La stessa proposta emendativa ha anche soppresso la previsione che il sistema elettorale debba rispettare il principio di rappresentanza delle minoranze.

 

Il penultimo periodo del comma 6 fissa il termine per l’elezione del consiglio metropolitano entro 45 giorni dalla proclamazione del sindaco del comune capoluogo o, nel caso in cui sia eletto secondo le modalità stabilite per l’elezione del presidente della provincia (comma 4, lett. b), contestualmente alla sua elezione.

 

A prima lettura, la norma non appare di immediata ed univoca leggibilità quanto alle conseguenze.

L’elezione del consiglio metropolitano - che è elezione di secondo grado da parte di consiglieri comunali - appare evidentemente scandita dalla sorte della sua componente preminente, identificata nelle vicende elettorali (del sindaco) del comune capoluogo e del relativo consiglio comunale.

Tuttavia, nel caso in cui il sindaco metropolitano sia eletto con le modalità proprie della legge statale sull'elezione degli organi provinciali (allo stato in secondo grado dal consiglio metropolitano), il consiglio metropolitano è eletto contestualmente alla sua elezione”, ergo all'elezione del sindaco del comune capoluogo; essendo l'elezione indiretta, non appare agevole ipotizzare la contestualità di elezione tra l'eligendo consiglio metropolitano e il consiglio comunale che esprime diversi suoi componenti.

 

Entro quindici giorni dalla proclamazione dei consiglieri della città metropolitana, il sindaco metropolitano convoca il consiglio metropolitano per il suo insediamento.

Gli statuti

Nel corso dell’esame del Senato, sono stati aggiunti 3 commi ulteriori, dopo il comma 3, che recano norme sull’elaborazione dello statuto che si innestano sul procedimento di approvazione previsto dal comma 9.

 

In particolare, il comma 3-bis, affida il compito di elaborare e deliberare lo statuto ad una specie di organo costituente, la conferenza metropolitana, composta da tutti i sindaci dei comuni del territorio della provincia - città metropolitana e dal presidente della provincia.

La conferenza elabora lo statuto almeno 90 giorni prima della scadenza del mandato del presidente della provincia (se questo scade prima del 2014); se invece il mandato scade dopo tale data, il termine per la deliberazione dello statuto è il 31 ottobre 2013. La deliberazione deve essere approvata con la maggioranza dei due terzi dei membri della conferenza e, comunque, con il voto favorevole sia del sindaco del comune capoluogo, sia del presidente della provincia.

Lo statuto deliberato dalla conferenza entra in vigore fino all’approvazione dello statuto definitivo. La deliberazione della conferenza costituisce dunque un atto intermedio e provvisorio perché l’approvazione (definitiva come specificato dal Senato) spetta al consiglio metropolitano ai sensi del comma 9 (cui si rinvia).

 

Il nuovo comma 3-ter reca una norma di chiusura che disciplina la mancata approvazione dello statuto entro i termini previsti dal comma 3-bis.

La disposizione prevede che, in mancanza dell’approvazione dello statuto “provvisorio”, il sindaco metropolitano è di diritto il sindaco del comune capoluogo fino alla data di approvazione dello statuto definitivo, se questo dovesse prevedere l’elezione (diretta o indiretta) del sindaco metropolitano; il sindaco rimane in carica fino alla scadenza del mandato se invece lo statuto dovesse optare per l’ipotesi che il sindaco metropolitano è il sindaco del comune capoluogo.

 

Ai sensi del comma 3-quaterla conferenza cessa di esistere alla data di approvazione dello statuto, o in mancanza, il 1° novembre 2013.

 

Il comma 9 disciplina lo statuto (definitivo come specificato dal Senato) metropolitano (su cui vedi anche oltre il comma 11), da adottarsi da parte del consiglio metropolitano, a maggioranza assoluta, entro sei mesi dalla prima convocazione.

 

Sembrerebbe che l’approvazione dello statuto da parte del consiglio costituisca un mero atto formale vista la procedura rinforzata prevista dal comma 3-bis. Tuttavia, l’approvazione formale non avrebbe alcun effetto stante l’immediata efficacia dello statuto provvisorio ai sensi del medesimo comma 3-bis.

 

Nel corso dell’esame del Senato è stato introdotto, nel procedimento di adozione dello statuto, il parere dei comuni, da rendere entro 3 mesi dalla proposta di statuto.

 

In relazione al loro contenuto, la proposta di statuto e lo statuto definitivo:

§      regolano l’organizzazione interna e le modalità di funzionamento degli organi e di assunzione delle decisioni;

§      regolano le forme di indirizzo e di coordinamento dell’azione complessiva di governo del territorio metropolitano;

§      disciplinano i rapporti fra i comuni facenti parte della città metropolitana e le modalità di organizzazione e di esercizio delle funzioni metropolitane, prevedendo le modalità con le quali la città metropolitana può conferire funzioni ai comuni, o alle associazioni di comuni, ricompresi nel proprio territorio con il contestuale trasferimento delle relative risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie per il loro svolgimento (il testo originario, che fa riferimento alla delega di poteri e funzioni è stato così modificato nel corso dell’esame del Senato);

§      prevedono le modalità con le quali i comuni facenti parti della città metropolitana possono conferire compiti e funzioni alla medesima: il testo originario prevede le modalità di delega (e non di conferimento) quale contenuto eventuale dello statuto, mentre a seguito dell’approvazione di una proposta emendativa al Senato tali modalità sono obbligatorie;

§      possono regolare le modalità in base alle quali i comuni non ricompresi nel territorio metropolitano possono istituire accordi con la città metropolitana.

 

Il comma rimette allo statuto metropolitano la possibilità di disporre sulla delega di funzioni, sia da parte dei comuni alla città metropolitana, sia da parte della città ai comuni; la competenza a disciplinare la titolarità di funzioni – quantomeno non fondamentali – spetta allo Stato o alle Regioni in funzione della relativa competenza legislativa (art. 118: “con legge statale o regionale…..”). Pertanto l’attribuzione da parte della legge statale alla Città metropolitana di tale possibilità di delega potrebbe essere ritenuta da approfondire sotto il profilo della compatibilità costituzionale, specie per quanto riguarda funzioni eventualmente attribuite dalla legge regionale.

Funzioni fondamentali

Il comma 7 individua le funzioni fondamentali delle città metropolitana in:

§      le funzioni fondamentali delle province (cfr. comma 10 dell'art 17);

§      le seguenti funzioni fondamentali (non viene specificato, come altrove nel testo - cfr. art. 17 - l'ambito territoriale proprio):

-       pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali;

-       strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, nonché organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano;

-       mobilità e viabilità;

-       promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale.

 

Si tratta delle stesse funzioni assegnate alle città metropolitane dall’articolo 23 della legge 42/2009 recante la disciplina transitoria delle città metropolitane nell'ambito del federalismo fiscale, con l’aggiunta di mobilità e viabilità.

Nella sentenza 238 del 2007 la Corte costituzionale, a proposito della presunta illegittimità della attribuzione alle città metropolitane della «funzione di pianificazione di area vasta», che costituirebbe, invece, una delle «funzioni tradizionalmente spettanti alle province», osserva che la infondatezza di tale censura deriva, prima ancora che dalla sostanziale analogia fra quanto previsto nella [scrutinata] legge regionale n. 1 del 2006 e quanto previsto dall’art. 23 del testo unico degli enti locali in riferimento alle Città metropolitane, dal fatto che nel sistema di entrambi questi testi legislativi, la Città metropolitana corrisponde all’ente locale di area vasta, tanto che nel territorio in cui si crea la Città metropolitana, questa succede alla Provincia”.

 

Per un esame più approfondito delle tematiche legate alla definizione del,e funzioni degli enti locali si rinvia alla scheda relativa all’articolo 19 del decreto-legge n. 95 contenuta nel dossier n. 672 del 31 luglio 2012.

 

Nel corso dell’esame del Senato è stato aggiunto un nuovo comma 7-bis che fa salve le funzioni di programmazione e coordinamento che spettano alle regioni nelle materie a legislazione concorrente Stato-regioni (art. 117, 3° comma, Cost.) e nelle materie di competenza esclusiva delle regioni (art. 117, 4° comma, Cost.). Parimenti restano ferme le funzioni amministrative esercitate dalle regione in virtù del principio di sussidiarietà (art. 118 Cost.).

 

Il comma 8 dispone che ciascuna città metropolitana succede a titolo universale in tutti i rapporti attivi e passivi della provincia soppressa e individua le risorse della città metropolitana in:

§       il patrimonio e le risorse umane e strumentali della provincia soppressa;

§       le risorse finanziarie di cui agli articoli 23 (che istituisce il fondo perequativo delle province e delle città metropolitane) e 24 (che disciplina articolatamente il sistema finanziario delle città metropolitane) del D.Lgs. n. 68/2011; il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al citato articolo 24 (quello con cui sono attribuite a ciascuna città metropolitana le proprie fonti di entrata e assicura l'armonizzazione di tali fonti di entrata con il sistema perequativo e con il fondo di riequilibrio) è adottato entro tre mesi dall’entrata in vigore del presente decreto.

 

Infine, è stato aggiunto dal Senato un nuovo comma 11-bis che interviene in materia di funzioni delle città metropolitane, oggetto anche del comma 7 (vedi sopra).

Il nuovo comma stabilisce che lo Stato e le regioni, ciascuna nelle materie di propria competenza, attribuiscono ulteriori funzioni alle città metropolitane in attuazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza indicati dal 1° comma del’art. 118 Cost. Tali funzioni si aggiungono alle funzioni fondamentali di cui al citato articolo 7.

La disposizione non fa altro che ribadire quanto disposto dal 2° comma del citato art. 118 che prevede che gli enti territoriali, oltre ad esercitare di diritto le funzioni amministrative proprie, sono titolari anche di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.

Altre disposizioni

Il comma 10 dispone che la titolarità delle cariche metropolitane sia a titolo esclusivamente onorifico e non comporti la spettanza di alcuna forma di remunerazione.

 

Il comma 11 dispone l’applicazione, in quanto compatibili, delle disposizioni del TUEL e dell’articolo 4 della n. 131/2003; come precisato nel corso dell’esame presso il Senato le disposizioni applicabili sono solamente quelle relative ai comuni; sono quindi escluse implicitamente le disposizioni che riguardano i comuni e quelle, eventualmente residuali a seguito dell’abrogazione degli articoli 22 e 23 TUEL operata dal comma 1 dell’articolo in esame, delle città metropolitane.

 

L'art. 4 della legge 5 giugno 2003, n. 131, Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3, disciplina la potestà normativa degli enti locali (comuni, province e Città metropolitane) prescrivendo che questa consiste nella potestà statutaria e in quella regolamentare. Dispone altresì che lo statuto (su cui v. anche comma 9 del testo in esame) stabilisca i principi di organizzazione e funzionamento dell'ente, le forme di controllo, anche sostitutivo, nonché le garanzie delle minoranze e le forme di partecipazione popolare. La disciplina dell'organizzazione, dello svolgimento e della gestione delle funzioni è riservata alla potestà regolamentare dell'ente, nell'ambito della legislazione dello Stato o della Regione, che ne assicura i requisiti minimi di uniformità, secondo le rispettive competenze, conformemente a quanto previsto dagli articoli 114, 117, sesto comma, e 118 della Costituzione.

 

Il comma contiene anche una disposizione - eterogenea rispetto alla precedente - a norma della quale, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto in esame, nel rispetto degli statuti speciali, le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano adeguano i propri ordinamenti alle disposizioni di cui al presente articolo, che costituiscono principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica.

Sulle competenze (e sui relativi limiti) delle Regioni a statuto speciale in materia di enti locali e sul valore relativo dell'autoqualificazione legislativa, si rinvia a quanto osservato a commento dell’articolo 17.

La normativa previgente

Le città metropolitane sono enti locali intermedi tra provincia e comune previsti fin dalla legge n. 142 del 1990. Attraverso questo istituto si tende a differenziare l’ordinamento delle grandi città dagli altri comuni, medi e piccoli, attualmente amministrati con le stesse regole, e semplificare il sistema degli enti locali. La loro disciplina è poi confluita nel testo unico delle leggi sugli enti locali (D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) ed in particolare negli articoli 22, 23, 24, 25 e 26. In base alla disciplina contenuta nel TUEL, le città metropolitane possono essere costituite su iniziativa degli enti locali interessati in alcune aree del Paese, denominate aree metropolitane,individuate dal testo unico[7].

Con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, che ha modificato la disciplina costituzionale relativa alle autonomie territoriali contenuta nel Titolo V della Parte II della Costituzione, le città metropolitane sono state inserite tra gli elementi costitutivi della Repubblica, accanto ai comuni, alle province, alle regioni ed allo Stato. Inoltre, è previsto un regime speciale per l’ordinamento della città di Roma in quanto capitale della Repubblica la cui disciplina viene demandata alla legge ordinaria.

In attesa della attuazione delle disposizioni costituzionali e proprio al fine di consentire l’attuazione delle norme relative alle città metropolitane è successivamente intervenuta la L. 42/2009, con le disposizioni contenute negli articoli 23, 24 e 15.

Sia le disposizioni del TUEL in materia di città metropolitane, sia la disciplina transitoria della legge 42 sono state abrogate dal decreto-legge 95.

 

Si segnala che è in corso di esame presso al I Commissione (Affari costituzionali) e la VIII Commissione (Ambiente) la proposta di legge A.C. 3979 che prevede, tra l'latro, l'istituzione della città metropolitana di Venezia.

Disposizioni sulle città metropolitane sono contenute nel disegno di legge AC 3118 (Semplificazione dell’ordinamento regionale e degli enti locali, trasferimento di funzioni amministrative e Carta delle autonomie locali) approvato dalla Camera e attualmente all’esame del Senato (AS 2259).

La disciplina ordinaria del TUEL

Per quanto concerne l'identificazione delle "aree metropolitane" - al cui interno sono circoscritte le Città metropolitane - l'art. 22 del D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, disponeva, al comma 1, che fossero considerate aree metropolitane le zone comprendenti i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli e gli altri comuni i cui insediamenti avessero con essi rapporti di stretta integrazione territoriale e in ordine alle attività economiche, ai servizi essenziali alla vita sociale, nonché alle relazioni culturali e alle caratteristiche territoriali.

Il comma 2 prevedeva che fosse la regione, entro centottanta giorni dalla conforme proposta degli enti locali interessati, a procedere alla relativa delimitazione territoriale dell'area metropolitana. Qualora la regione non provvedesse entro tale termine indicato, il Governo, sentita la Conferenza unificata, invitava la regione a provvedere entro un ulteriore termine, scaduto il quale la delimitazione dell'area sarebbe stata effettuata dal Governo.

Il successivo art. 23 regolava - nell'ambito delle aree metropolitane - l'istituzione delle città metropolitane, prevedendola come facoltativa. Nelle aree metropolitane il comune capoluogo e gli altri comuni ad esso uniti da contiguità territoriale e da rapporti di stretta integrazione possono costituirsi in città metropolitane ad ordinamento differenziato secondo la seguente procedura:

§         convocazione dell'assemblea dei rappresentanti degli enti locali interessati;

§         proposta di istituzione della città metropolitana dell'assemblea su conforme deliberazione dei consigli comunali;

§         referendum a cura di ciascun comune partecipante;

§         presentazione della proposta da parte della regione ad una delle due Camere per l'approvazione con legge.

La disciplina transitoria della legge sul federalismo fiscale

L’art. 23 della legge 42/2009 (legge delega sul federalismo fiscale), abrogato dalla decreto 95, introduceva una disciplina transitoria che consentiva, in via facoltativa, una prima istituzione delle città metropolitane situate nelle regioni a statuto ordinario.

Le città metropolitane avrebbero potuto istituirsi, nell’ambito di una regione, nelle aree metropolitane in cui sono compresi i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria.

La proposta di istituzione spettava al comune capoluogo e alla provincia, congiuntamente tra loro o separatamente (in questo caso era assicurato il coinvolgimento dei comuni della provincia interessata).

Successivamente si prevedeva lo svolgimento di un referendum confermativo, indetto tra tutti i cittadini della provincia interessata, previo parere della regione.

Dopo il referendum, l'istituzione di ciascuna città metropolitana sarebbe stata rimessa a decreti legislativi del Governo, da adottare entro il 21 maggio 2012, che avrebbero dettato una disciplina di carattere provvisorio.

L’art. 15 della legge 42/2009 (non abrogato) rimette inoltre ad un apposito decreto legislativo, da adottare entro il 21 maggio 2011, la disciplina delle modalità di finanziamento delle funzioni delle città metropolitane, alle quali dev’essere garantita una maggiore autonomia d’entrata e di spesa, corrispondente alla complessità delle funzioni esercitate. Deve contestualmente procedersi alla riduzione dei finanziamenti agli enti locali le cui funzioni sono trasferite alle città metropolitane.

Per quanto concerne il finanziamento delle funzioni fondamentali, l’articolo 8 del D.Lgs. n. 216/2010 ha esteso le modalità di individuazione dei fabbisogni standard recate da tale provvedimento per gli enti locali, alle città metropolitane, una volta costituite e in quanto compatibili.

 

 

 

 

 


Normativa di riferimento

 


 

D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, (conv., con mod., Legge 22 dicembre 2011, n. 214).
Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici
(art. 23, commi 14-21)

 

 

(1) (2)

----------------------------------------------------

 

(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 6 dicembre 2011, n. 284, S.O.

(2) Convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 22 dicembre 2011, n. 214.

(omissis)

Art. 23

Riduzione dei costi di funzionamento delle Autorità di Governo, del CNEL, delle Autorità indipendenti e delle Province

In vigore dal 28 dicembre 2011

(omissis)

14. Spettano alla Provincia esclusivamente le funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. (126)

15. Sono organi di governo della Provincia il Consiglio provinciale ed il Presidente della Provincia. Tali organi durano in carica cinque anni.

16. Il Consiglio provinciale è composto da non più di dieci componenti eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia. Le modalità di elezione sono stabilite con legge dello Stato entro il 31 dicembre 2012. (126)

17. Il Presidente della Provincia è eletto dal Consiglio provinciale tra i suoi componenti secondo le modalità stabilite dalla legge statale di cui al comma 16. (126)

18. Fatte salve le funzioni di cui al comma 14, lo Stato e le Regioni, con propria legge, secondo le rispettive competenze, provvedono a trasferire ai Comuni, entro il 31 dicembre 2012, le funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province, salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle Regioni, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. In caso di mancato trasferimento delle funzioni da parte delle Regioni entro il 31 dicembre 2012, si provvede in via sostitutiva, ai sensi dell'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, con legge dello Stato. (126) (132)

19. Lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono altresì al trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l'esercizio delle funzioni trasferite, assicurando nell'ambito delle medesime risorse il necessario supporto di segreteria per l'operatività degli organi della provincia.

20. Agli organi provinciali che devono essere rinnovati entro il 31 dicembre 2012 si applica, sino al 31 marzo 2013, l’ articolo 141 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni. Gli organi provinciali che devono essere rinnovati successivamente al 31 dicembre 2012 restano in carica fino alla scadenza naturale. Decorsi i termini di cui al primo e al secondo periodo del presente comma, si procede all’elezione dei nuovi organi provinciali di cui ai commi 16 e 17. (129)

20-bis. Le regioni a statuto speciale adeguano i propri ordinamenti alle disposizioni di cui ai commi da 14 a 20 entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Le medesime disposizioni non trovano applicazione per le province autonome di Trento e di Bolzano. (127)

21. I Comuni possono istituire unioni o organi di raccordo per l'esercizio di specifici compiti o funzioni amministrativi garantendo l'invarianza della spesa.

(omissis)

 

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(126) Comma così modificato dalla legge di conversione 22 dicembre 2011, n. 214.

(127) Comma inserito dalla legge di conversione 22 dicembre 2011, n. 214.

 (129) Comma così sostituito dalla legge di conversione 22 dicembre 2011, n. 214.

 (132) In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi l’art. 17, comma 6, D.L. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 135.

 


 

D.L. 6 luglio 2012, n. 95, (conv., con mod., Legge 7 agosto 2012, n. 135).
Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario
(artt. 17 e 18)

 

 

(1) (2) (3)

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 6 luglio 2012, n. 156, S.O.

(2) Convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 7 agosto 2012, n. 135.

(3) Titolo così modificato dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135.

(omissis)

Art. 17

Riordino delle province e loro funzioni (91)

1. Al fine di contribuire al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica imposti dagli obblighi europei necessari al raggiungimento del pareggio di bilancio, tutte le province delle regioni a statuto ordinario esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto sono oggetto di riordino sulla base dei criteri e secondo la procedura di cui ai commi 2 e 3. (85)

2. Entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Consiglio dei Ministri determina, con apposita deliberazione, da adottare su proposta dei Ministri dell'interno e della pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il riordino delle province sulla base di requisiti minimi, da individuarsi nella dimensione territoriale e nella popolazione residente in ciascuna provincia. Ai fini del presente articolo, anche in deroga alla disciplina vigente, la popolazione residente è determinata in base ai dati dell'Istituto nazionale di statistica relativi all'ultimo censimento ufficiale, comunque disponibili alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Sono fatte salve le province nel cui territorio si trova il comune capoluogo di regione. Sono fatte salve, altresì, le province confinanti solo con province di regioni diverse da quella di appartenenza e con una delle province di cui all'articolo 18, comma 1. (85) (92)

3. Il Consiglio delle autonomie locali di ogni regione a statuto ordinario o, in mancanza, l'organo regionale di raccordo tra regioni ed enti locali, entro settanta giorni dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della deliberazione di cui al comma 2, nel rispetto della continuità territoriale della provincia, approva una ipotesi di riordino relativa alle province ubicate nel territorio della rispettiva regione e la invia alla regione medesima entro il giorno successivo. Entro venti giorni dalla data di trasmissione dell'ipotesi di riordino o, comunque, anche in mancanza della trasmissione, trascorsi novantadue giorni dalla citata data di pubblicazione, ciascuna regione trasmette al Governo, ai fini di cui al comma 4, una proposta di riordino delle province ubicate nel proprio territorio, formulata sulla base dell'ipotesi di cui al primo periodo. Le ipotesi e le proposte di riordino tengono conto delle eventuali iniziative comunali volte a modificare le circoscrizioni provinciali esistenti alla data di adozione della deliberazione di cui al comma 2. Resta fermo che il riordino deve essere effettuato nel rispetto dei requisiti minimi di cui al citato comma 2, determinati sulla base dei dati di dimensione territoriali e di popolazione, come esistenti alla data di adozione della deliberazione di cui al medesimo comma 2. (86)

4. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, con atto legislativo di iniziativa governativa le province sono riordinate sulla base delle proposte regionali di cui al comma 3, con contestuale ridefinizione dell'ambito delle città metropolitane di cui all'articolo 18, conseguente alle eventuali iniziative dei comuni ai sensi dell'articolo 133, primo comma, della Costituzione nonché del comma 2 del medesimo articolo 18. Se alla data di cui al primo periodo una o più proposte di riordino delle regioni non sono pervenute al Governo, il provvedimento legislativo di cui al citato primo periodo è assunto previo parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, che si esprime entro dieci giorni esclusivamente in ordine al riordino delle province ubicate nei territori delle regioni medesime. (86)

4-bis. In esito al riordino di cui al comma 1, assume il ruolo di comune capoluogo delle singole province il comune già capoluogo di provincia con maggior popolazione residente, salvo il caso di diverso accordo tra i comuni già capoluogo di ciascuna provincia oggetto di riordino. (87)

5. Le Regioni a statuto speciale, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, adeguano i propri ordinamenti ai principi di cui al presente articolo, che costituiscono principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica nonché principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica. Le disposizioni di cui al presente articolo non trovano applicazione per le province autonome di Trento e Bolzano.

6. Fermo restando quanto disposto dal comma 10 del presente articolo, e fatte salve le funzioni di indirizzo e di coordinamento di cui all'articolo 23, comma 14, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, nel rispetto del principio di sussidiarietà di cui all'articolo 118, comma primo, della Costituzione, e in attuazione delle disposizioni di cui al comma 18 del citato articolo 23, come convertito, con modificazioni, dalla citata legge n. 214 del 2011, sono trasferite ai comuni le funzioni amministrative conferite alle province con legge dello Stato fino alla data di entrata in vigore del presente decreto e rientranti nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell'articolo 117, comma secondo, della Costituzione.

7. Le funzioni amministrative di cui al comma 6 sono individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'interno di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, previa intesa con la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali.

8. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'interno, del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e del Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, previa intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, sulla base della individuazione delle funzioni di cui al comma 7, si provvede alla puntuale individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connessi all'esercizio delle funzioni stesse ed al loro conseguente trasferimento dalla provincia ai comuni interessati. Sugli schemi dei decreti, per quanto attiene al trasferimento di risorse umane, sono consultate le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.

8-bis. Sui decreti di cui ai commi 7 e 8 è acquisito il parere della Commissione parlamentare per la semplificazione di cui all'articolo 14, comma 19, della legge 28 novembre 2005, n. 246, e successive modificazioni. (87)

9. La decorrenza dell'esercizio delle funzioni trasferite ai sensi del comma 6 è inderogabilmente subordinata ed è contestuale all'effettivo trasferimento dei beni e delle risorse finanziarie, umane e strumentali necessarie all'esercizio delle medesime.

10. All'esito della procedura di riordino, sono funzioni delle province quali enti con funzioni di area vasta, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione: (88)

a) pianificazione territoriale provinciale di coordinamento nonché tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza;

b) pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale nonché costruzione, classificazione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente;

b-bis) programmazione provinciale della rete scolastica e gestione dell'edilizia scolastica relativa alle scuole secondarie di secondo grado (89).

11. Restano ferme le funzioni di programmazione e di coordinamento delle regioni, loro spettanti nelle materie di cui all'articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, e le funzioni esercitate ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione.

12. Resta fermo che gli organi di governo della Provincia sono esclusivamente il Consiglio provinciale e il Presidente della Provincia, ai sensi dell'articolo 23, comma 15, del citato decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge 22 dicembre 2011, n. 214.

13. La redistribuzione del patto di stabilità interno tra gli enti territoriali interessati, conseguente all'attuazione del presente articolo, è operata a invarianza del contributo complessivo.

13-bis. Per l'anno 2012 alle province di cui all'articolo 16, comma 7, è attribuito un contributo, nei limiti di un importo complessivo di 100 milioni di euro. Il contributo non è conteggiato fra le entrate valide ai fini del patto di stabilità interno ed è destinato alla riduzione del debito. Il riparto del contributo tra le province è stabilito con le modalità previste dal medesimo comma 7. (90)

13-ter. Alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dal comma 13-bis, pari a 100 milioni di euro per l'anno 2012, si provvede mediante versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una corrispondente quota delle risorse disponibili sulla contabilità speciale 1778 "Agenzia delle entrate-Fondi di bilancio". (90)

 

 

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(85) Comma così modificato dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135.

(86) Comma così sostituito dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135.

(87) Comma inserito dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135.

(88) Alinea così modificato dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135.

(89) Lettera aggiunta dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135.

(90) Comma aggiunto dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135.

(91) Rubrica così sostituita dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135.

(92) In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi la Deliberazione 20 luglio 2012.

 


 

Art. 18

Istituzione delle Città metropolitane e soppressione delle province del relativo territorio

1. A garanzia dell'efficace ed efficiente svolgimento delle funzioni amministrative, in attuazione degli articoli 114 e 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, le Province di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria sono soppresse, con contestuale istituzione delle relative città metropolitane, il 1° gennaio 2014, ovvero precedentemente, alla data della cessazione o dello scioglimento del consiglio provinciale, ovvero della scadenza dell'incarico del commissario eventualmente nominato ai sensi delle vigenti disposizioni di cui al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, qualora abbiano luogo entro il 31 dicembre 2013. Sono abrogate le disposizioni di cui agli articoli 22 e 23 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, nonché agli articoli 23 e 24, commi 9 e 10, della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni.

2. Il territorio della città metropolitana coincide con quello della provincia contestualmente soppressa ai sensi del comma 1, fermo restando il potere dei comuni interessati di deliberare, con atto del consiglio, l'adesione alla città metropolitana o, in alternativa, a una provincia limitrofa ai sensi dell'articolo 133, primo comma, della Costituzione. Le città metropolitane conseguono gli obiettivi del patto di stabilità interno attribuiti alle province soppresse. (93)

2-bis. Lo statuto della città metropolitana può prevedere, su proposta del comune capoluogo deliberata dal consiglio secondo la procedura di cui all'articolo 6, comma 4, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, una articolazione del territorio del comune capoluogo medesimo in più comuni. In tale caso sulla proposta complessiva di statuto, previa acquisizione del parere della regione da esprimere entro novanta giorni, è indetto un referendum tra tutti i cittadini della città metropolitana da effettuare entro centottanta giorni dalla sua approvazione sulla base delle relative leggi regionali. Il referendum è senza quorum di validità se il parere della regione è favorevole o in mancanza di parere. In caso di parere regionale negativo il quorum di validità è del 30 per cento degli aventi diritto. Se l'esito del referendum è favorevole, entro i successivi novanta giorni, e in conformità con il suo esito, le regioni provvedono con proprie leggi alla revisione delle circoscrizioni territoriali dei comuni che fanno parte della città metropolitana. Nel caso di cui al presente comma il capoluogo di regione diventa la città metropolitana che comprende nel proprio territorio il comune capoluogo di regione. (94)

3. Sono organi della città metropolitana il consiglio metropolitano ed il sindaco metropolitano, il quale può nominare un vicesindaco ed attribuire deleghe a singoli consiglieri. Gli organi di cui al primo periodo del presente comma durano in carica secondo la disciplina di cui agli articoli 51, comma 1, 52 e 53 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000. Se il sindaco del comune capoluogo è di diritto il sindaco metropolitano, non trovano applicazione agli organi della città metropolitana i citati articoli 52 e 53 e, in caso di cessazione dalla carica di sindaco del comune capoluogo, le funzioni del sindaco metropolitano sono svolte, sino all'elezione del nuovo sindaco del comune capoluogo, dal vicesindaco nominato ai sensi del primo periodo del presente comma, ovvero, in mancanza, dal consigliere metropolitano più anziano.

3-bis. Alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto è istituita, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, la Conferenza metropolitana della quale fanno parte i sindaci dei comuni del territorio di cui al comma 2 nonché il presidente della provincia, con il compito di elaborare e deliberare lo statuto della città metropolitana entro il novantesimo giorno antecedente alla scadenza del mandato del presidente della provincia o del commissario, ove anteriore al 2014, ovvero, nel caso di scadenza del mandato del presidente successiva al 1° gennaio 2014, entro il 31 ottobre 2013. La deliberazione di cui al primo periodo è adottata a maggioranza dei due terzi dei componenti della Conferenza e, comunque, con il voto favorevole del sindaco del comune capoluogo e del presidente della provincia. Lo statuto di cui al presente comma resta in vigore fino all'approvazione dello statuto definitivo di cui al comma 9. (94)

3-ter. In caso di mancata approvazione dello statuto entro il termine di cui al comma 3-bis, il sindaco metropolitano è di diritto il sindaco del comune capoluogo, fino alla data di approvazione dello statuto definitivo della città metropolitana nel caso in cui lo stesso preveda l'elezione del sindaco secondo le modalità di cui al comma 4, lettere b) e c), e comunque, fino alla data di cessazione del suo mandato. (94)

3-quater. La conferenza di cui al comma 3-bis cessa di esistere alla data di approvazione dello statuto della città metropolitana o, in mancanza, il 1° novembre 2013. (94)

4. Fermo restando che trova comunque applicazione la disciplina di cui all'articolo 51, commi 2 e 3, del citato testo unico, lo statuto della città metropolitana di cui al comma 3-bis e lo statuto definitivo di cui al comma 9 possono stabilire che il sindaco metropolitano: (98)

a) sia di diritto il sindaco del comune capoluogo;

b) sia eletto secondo le modalità stabilite per l'elezione del presidente della provincia;

c) nel caso in cui lo statuto contenga la previsione di cui al comma 2-bis, sia eletto a suffragio universale e diretto, secondo il sistema previsto dagli articoli 74 e 75 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, nel testo vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto; il richiamo di cui al comma 1 del citato articolo 75 alle disposizioni di cui alla legge 8 marzo 1951, n. 122, è da intendersi al testo vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto (95).

5. Il consiglio metropolitano è composto da:

a) sedici consiglieri nelle città metropolitane con popolazione residente superiore a 3.000.000 di abitanti;

b) dodici consiglieri nelle città metropolitane con popolazione residente superiore a 800.000 e inferiore o pari a 3.000.000 di abitanti;

c) dieci consiglieri nelle altre città metropolitane.

6. I componenti del consiglio metropolitano sono eletti tra i sindaci e i consiglieri comunali dei comuni ricompresi nel territorio della città metropolitana, da un collegio formato dai medesimi. L'elezione è effettuata, nei casi di cui al comma 4, lettera b), secondo le modalità stabilite per l'elezione del consiglio provinciale e, nei casi di cui al medesimo comma 4, lettera c), secondo il sistema previsto dall'articolo 75 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000 nel testo vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto. Il richiamo di cui al comma 1 del citato articolo 75 alle disposizioni di cui alla legge 8 marzo 1951, n. 122, è da intendersi al testo vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto. L'elezione del consiglio metropolitano ha luogo entro quarantacinque giorni dalla proclamazione del sindaco del comune capoluogo o, nel caso di cui al comma 4, lettera b), contestualmente alla sua elezione. Entro quindici giorni dalla proclamazione dei consiglieri della città metropolitana, il sindaco metropolitano convoca il consiglio metropolitano per il suo insediamento. (96)

7. Alla città metropolitana sono attribuite:

a) le funzioni fondamentali delle province;

b) le seguenti funzioni fondamentali:

1) pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali;

2) strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, nonché organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano;

3) mobilità e viabilità;

4) promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale.

7-bis. Restano ferme le funzioni di programmazione e di coordinamento delle regioni, loro spettanti nelle materie di cui all'articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, e le funzioni esercitate ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione. (97)

8. Alla città metropolitana spettano:

a) il patrimonio e le risorse umane e strumentali della provincia soppressa, a cui ciascuna città metropolitana succede a titolo universale in tutti i rapporti attivi e passivi;

b) le risorse finanziarie di cui agli articoli 23 e 24 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68; il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui al citato articolo 24 è adottato entro tre mesi dall'entrata in vigore del presente decreto, ferme restando le risorse finanziarie e i beni trasferiti ai sensi del comma 8 dell'articolo 17 del presente decreto e senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio statale.

9. Lo statuto definitivo della città metropolitana è adottato dal consiglio metropolitano a maggioranza assoluta entro sei mesi dalla prima convocazione, previo parere dei comuni da esprimere entro tre mesi dalla proposta di statuto. Lo statuto di cui al comma 3-bis nonché lo statuto definitivo della città metropolitana: (101)

a) regola l'organizzazione interna e le modalità di funzionamento degli organi e di assunzione delle decisioni;

b) regola le forme di indirizzo e di coordinamento dell'azione complessiva di governo del territorio metropolitano;

c) disciplina i rapporti fra i comuni facenti parte della città metropolitana e le modalità di organizzazione e di esercizio delle funzioni metropolitane, prevedendo le modalità con le quali la città metropolitana può conferire ai comuni ricompresi nel suo territorio o alle loro forme associative, anche in forma differenziata per determinate aree territoriali, proprie funzioni, con il contestuale trasferimento delle risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie per il loro svolgimento; (99)

d) prevede le modalità con le quali i comuni facenti parte della città metropolitana e le loro forme associative possono conferire proprie funzioni alla medesima con il contestuale trasferimento delle risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie per il loro svolgimento; (99)

e) può regolare le modalità in base alle quali i comuni non ricompresi nel territorio metropolitano possono istituire accordi con la città metropolitana.

10. La titolarità delle cariche di consigliere metropolitano, sindaco metropolitano e vicesindaco è a titolo esclusivamente onorifico e non comporta la spettanza di alcuna forma di remunerazione, indennità di funzione o gettoni di presenza.

11. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni relative ai comuni di cui al citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, e successive modificazioni, ed all'articolo 4 della legge 5 giugno 2003, n. 131. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, nel rispetto degli statuti speciali, le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano adeguano i propri ordinamenti alle disposizioni di cui al presente articolo, che costituiscono principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica. (93)

11-bis. Lo Stato e le regioni, ciascuno per le proprie competenze, attribuiscono ulteriori funzioni alle città metropolitane in attuazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui al primo comma dell'articolo 118 della Costituzione. (100)

 

 

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(93) Comma così modificato dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135.

(94) Comma inserito dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135.

(95) Lettera così modificata dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135.

(96) Comma così sostituito dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135.

(97) Comma inserito dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135.

(98) Alinea così modificato dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135.

(99) Lettera così sostituita dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135.

(100) Comma aggiunto dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135.

(101) Alinea così sostituito dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135.

(omissis)

 


Consiglio dei Ministri.
Determinazione dei criteri per il riordino delle province, a norma dell'articolo 17, comma 2, del decreto - legge 6 luglio 2012, n. 95

 

(1)

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Pubblicato in G.U. n. 171 del 24 luglio 2012.

 

IL CONSIGLIO DEI MINISTRI

nella riunione del 20 luglio 2012

 

 

Visto l'articolo 2, comma 3, lettera q), della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, recante «Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri»;

 

Visto l'articolo 17, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini» il quale dispone che tutte le province delle Regioni a statuto ordinario esistenti alla data di entrata in vigore del citato decreto-legge sono oggetto di riordino sulla base dei criteri e secondo la procedura di cui ai commi 2 e 3;

 

Visto l'articolo 17, comma 2, del citato decreto-legge n. 95 del 2012, il quale stabilisce che il Consiglio dei Ministri determina il riordino delle province sulla base di requisiti minimi da individuarsi nella dimensione territoriale e nella popolazione residente in ciascuna provincia;

 

Considerata la necessità di dare attuazione all'articolo 17 del citato decreto-legge n. 95 del 2012 anche al fine di contribuire al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica imposti dagli obblighi europei e necessari al raggiungimento del pareggio di bilancio e considerata altresì la necessità di favorire il conseguimento degli obiettivi di contenimento della spesa pubblica;

 

Ritenuto pertanto che, ai fini dell'adozione della deliberazione del piano di riordino delle province, e' necessario determinare i relativi criteri, da individuarsi nella dimensione territoriale e nella popolazione residente in ciascuna provincia;

 

Sulla proposta dei Ministri dell'interno e per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;

 

Delibera:

 

Art. 1

Criteri per il riordino delle province

Ai fini dell'attuazione dell'articolo 17 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini», tutte le Province delle regioni a statuto ordinario esistenti alla data di adozione della presente delibera sono oggetto di riordino sulla base dei seguenti requisiti minimi:

a) dimensione territoriale non inferiore a duemilacinquecento chilometri quadrati;

b) popolazione residente non inferiore a trecentocinquantamila abitanti.

2. Le nuove province risultanti dalla procedura di riordino devono possedere entrambi i requisiti di cui al comma 1, ferme restando le deroghe previste dall'articolo 17, comma 2, terzo e quarto periodo del citato decreto-legge n. 95 del 2012.

3. La proposta di riordino delle province tiene conto delle eventuali iniziative comunali volte a modificare le circoscrizioni provinciali esistenti alla data di adozione della presente delibera, fermo restando che il riordino deve essere deliberato sulla base dei dati di dimensione territoriale e di popolazione di cui al comma 1 come esistenti alla medesima data di adozione della presente delibera.

4. Il riordino di cui all'articolo 17, comma 1, del citato decreto-legge n. 95 del 2012 non può comportare l'accorpamento di una o più province esistenti alla data di adozione della presente delibera con le province di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria che, ai sensi dell'articolo 18, comma 1, del medesimo decreto-legge e con le modalità e i tempi ivi indicati, sono soppresse con contestuale istituzione delle relative Città metropolitane.

5. Le iniziative di riordino delle province stabiliscono le denominazioni delle province esistenti in esito al riordino di cui al comma 1.

6. In esito al riordino di cui al comma 1, assume il ruolo di comune capoluogo delle singole province il comune già capoluogo delle province oggetto di riordino con maggior popolazione residente.

 

Art. 2

Ulteriori adempimenti

1. Ai sensi dell'articolo 17, comma 3, del citato decreto-legge n. 95 del 2012, la presente deliberazione e' trasmessa al Consiglio delle autonomie locali di ogni Regione a statuto ordinario o, in mancanza, all'organo regionale di raccordo tra Regione ed enti locali, per la deliberazione di competenza.

 

La presente delibera verrà pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

 

 

 

 


Documentazione

 


 

Presidenza del Consiglio dei Ministri

Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione

 

 

Nota del Dipartimento delle Riforme Istituzionali: riordino delle Province e loro funzioni

 

 

Il Dipartimento delle Riforme Istituzionali in riferimento alle disposizioni in materia di riordino delle Province e loro funzioni precisa quanto segue:

con riferimento alle Province che non possiedono i requisiti minimi specificamente indicati nella deliberazione del Consiglio dei Ministri dello scorso 20 luglio - dimensione territoriale non inferiore ai 2500 chilometri quadrati e popolazione residente non inferiore a 350 mila abitanti - i CAL e le Regioni possono senz'altro dare seguito ad eventuali iniziative comunali già formalizzate alla data del 24 luglio 2012 volte a modificare le circoscrizioni provinciali.

Tuttavia resta fermo che tali iniziative non hanno l'effetto di far ottenere ne perdere alle suddette province i requisiti minimi di dimensione territoriale e demografica prescritti dalla suddetta deliberazione.

 

 

venerdì 3 agosto 2012


 

 

 

 

 

 


 

 

 

 


Dottrina

 


 

 

 

 


 

 

 

 


Prof. Aw. Piero Alberto Capotosti

Emerito dì Diritto pubblico nella

Università "La Sapienza" di Roma

 

 

P A R E R E

 

Oggetto: Parere in ordine all'interpretazione del quadro costituzionale applicabile al procedimento di riordino delle Province previsto dall'art. 17 del decreto-legge n. 95 del 6 luglio 2012, come convertito con I. 7 agosto 2012, n. 135.

 

 

1. — Mi è stato richiesto parere sui profili di legittimità costituzionale dell'art. 17 del d.l. 6 luglio 2012 n. 95, come convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, che introduce, anche a seguito delle modifiche apportate in sede di conversione, un procedimento articolato e del tutto innovativo ai fini, secondo quanto dichiara la rubrica attualmente vigente della disposizione, del "riordino" delle province.

Secondo una scansione delle diverse fasi connotata da termini apparentemente serrati, la norma, in particolare, prevede che

"entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Consiglio dei ministri determina, con apposita deliberazione ... il riordino delle province sulla base di requisiti minimi, da individuarsi nella dimensione territoriale e nella popolazione residente in ciascuna provincia" (art. 17, comma 2). La delibera è stata adottata dal Consiglio dei Ministri il 20 luglio ed è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 24 luglio 2012.

"Entro settanta giorni da tale pubblicazione - prosegue la disposizione - // Consiglio delle autonomie locali di ogni regione a statuto ordinario o, in mancanza, l'organo regionale di raccordo tra regioni ed enti locali... approva una ipotesi di riordino relativa alle province ubicate nel territorio della rispettiva regione e la invia alla regione medesima entro il giorno successivo (art. 17, comma 3, primo periodo).

Considerando anche il caso che il Consiglio delle Autonomie Locali (CAI) non adempia alla formulazione dell'ipotesi di riordino, la norma prevede poi che

"Entro venti giorni dalla data di trasmissione dell'ipotesi di riordino o, comunque, anche in mancanza della trasmissione, trascorsi novantadue giorni dalla citata data di pubblicazione ciascuna regione trasmette al Governo una proposta di riordino delle province ubicate nel proprio territorio" (art. 17, comma 3, secondo periodo).

Infine, essa dispone che

"entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, con atto legislativo di iniziativa governativa le province sono riordinate sulla base delle proposte regionali di cui al comma 3" (art. 17, comma 4). Anche qui il legislatore considera l'ipotesi che le proposte regionali non pervengano nel termine, e dispone che il provvedimento legislativo di riordino venga assunto, nel caso, "previo parere" della Conferenza unificata Stato-Regioni.

 

2 . — Occorre subito osservare che, dettando una tale disciplina, l'art. 17 in esame si pone in linea di continuità con le previsioni contenute nell'art. 23 del d.l. 6.12.2011 (convertito nella legge n. 214 del 2011) e con l'opera di "svuotamento" degli organi e delle funzioni provinciali che il predetto art. 23 ha effettato, anticipando una sostanziale "soppressione" delle Province in vista di quella formale, da attuare con una futura legge costituzionale. Si trattava di un disegno legislativo che, secondo l'opinione di molti costituzionalisti, presentava forti dubbi di costituzionalità soprattutto in riferimento al fatto che le Province non sono soltanto enti territoriali autonomi, ma, ai sensi dell'art. 114 Cost., elementi costitutivi della Repubblica.

D'altra parte, che la disciplina recata dall'art. 17 cit. sia anch'essa finalizzata alla soppressione di Province è rivelato dalla stessa rubrica dell'articolo, la quale nel testo originario del decreto legge così s'intitolava:"Soppressione e razionalizzazione delle province e loro funzioni". La sostituzione del termine "soppressione" con "riordino", effettuato nella legge di conversione, in realtà è solo un aspetto formale, giacché, anche dopo le modifiche della legge di conversione, continua egualmente a porsi, come conseguenza del "riordino", un problema di soppressione di molte delle Province italiane, poiché la logica del processo di rivisitazione dei territori provinciali si ripropone chiaramente di giungere ad una drastica riduzione del numero delle Province, alimentando così rilevanti perplessità di ordine costituzionalistico sull'art. 17 medesimo.

 

3. — In questa ottica, in primo luogo è da chiedersi se il ricorso alla decretazione di urgenza, nel caso in esame, sia conforme all'art. 77 Cost, nell'attuale interpretazione della giurisprudenza costituzionale sulla permanente rilevanza dei presupposti di necessità ed urgenza. Il dubbio si fonda sulla circostanza che con l'art. 17 si introduce un'autentica riforma di sistema, la cui straordinaria necessità ed urgenza di attuazione è molto difficile da dimostrare. Nella specie, non sembra infatti individuabile "la preesistenza di una situazione di fatto comportante la necessità e l'urgenza di provvedere, tramite l'utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto legge", la cui mancanza, secondo la giurisprudenza costituzionale, costituisce appunto un vizio di costituzionalità del decreto (Corte costituzionale, sentenza n. 93 del 2011); vizio che, una volta intervenuta la legge di conversione, comporta un'illegittimità in procedendo della relativa legge (sentenza n. 128 del 2008). Si deve peraltro trattare, per essere rilevante, di un difetto dei presupposti "evidente" (sentenza n.171 del 2007).

Ma come non ritenere "evidente" tale difetto, considerando che il decreto introduce addirittura un'autentica riforma di sistema in materia di rilevanza costituzionale e che il relativo procedimento, che prevede una serie di interventi di determinati soggetti, si dovrebbe concludere con "un atto legislativo di iniziativa governativa" che è solo futuro ed eventuale nonché da adottare, in via di principio, una volta esplicati tutti gli adempimenti dell'articolato procedimento previsto? Al riguardo si deve osservare che le numerose e in apparenza serrate scadenze temporali previste nel procedimento in esame devono in realtà qualificarsi come termini meramente "sollecitatori", non essendo stabilita alcuna specifica decadenza per la loro inosservanza. Di conseguenza, non si può logicamente prevedere sin da oggi la durata effettiva di questo procedimento di riordino.

Ma c'è di più. Il decreto legge n. 95 riguarda, come si evince chiaramente dal titolo: "Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario", ambiti materiali diversi ed eterogenei, la cui ratto unitaria di intervenire con urgenza è molto difficile da individuare, poiché si incide su una disciplina "a regime" di settori di materie, per i quali non può valere il medesimo presupposto della necessità temporale. Si palesa infatti di difficile valutazione oggettiva il fattore unificante apparentemente invocato dal Governo, costituito dall'esigenza, per propria natura estremamente generica ed omnicomprensiva, di riduzione della spesa. Nella specie, invece, si può dire che risulta, secondo la giurisprudenza costituzionale, "in contrasto con l'art. 77 Cost. la commistione e la sovrapposizione, nello stesso atto normativo, di soggetti e finalità eterogenee, in ragione di presupposti, a loro volta, eterogenei" (Corte cost. n. 22 del 2012).

Alla necessaria omogeneità del decreto deve inoltre corrispondere anche l'omogeneità della legge di conversione, che, nella specie, è tutta da provare. Tanto più che nella legge di conversione sono stati introdotti frequenti e corposi emendamenti, che a loro volta, però, debbono essere "non del tutto estranei all'oggetto ed alle finalità del testo originario del decreto", per non violare l'art. 77, secondo comma, Cost. In definitiva, sussistono forti perplessità, sul piano dei vizi formali di legittimità costituzionale, che la disciplina de qua possa costituire oggetto di un decreto-legge.

 

4. — Venendo al merito, la disciplina legislativa in esame si deve confrontare con l'art. 133, comma primo, Costituzione, che da un lato attribuisce al legislatore statale la potestà di revisione delle circoscrizioni provinciali, ma, dall'altro lato, impone una serie di adempimenti rivolti a consentire la partecipazione al relativo procedimento delle comunità territoriali interessate: la legge di modifica delle circoscrizioni, infatti, può essere adottata, ai sensi del predetto art. 133, soltanto "su iniziativa dei comuni" e dopo avere "sentita la regione".

Questo espresso intento del Costituente di condizionare la legislazione statale alla partecipazione delle comunità locali interessate produce l'effetto - ben conosciuto nella dottrina del diritto costituzionale - di istituire per la modifica della circoscrizioni provinciali un tipo di potestà legislativa statale diversa rispetto a quella ordinaria. Essa viene appunto definita "rinforzata" perché presenta alcuni "adempimenti procedurali destinati a "rinforzare" il procedimento (Corte costituzionale, sentenza n. 374 del 1994), e cioè l'obbligatorietà di alcune necessarie fasi ulteriori rispetto a quelle ordinariamente previste, la cui caratteristica saliente sta nel fatto di essere imposte dalla stessa Costituzione.

In materia di mutamento delle circoscrizioni provinciali, il ricorso ad una legge "rinforzata" non costituisce del resto una singolarità, bensì rappresenta l'applicazione coerente di una scelta adottata dal testo costituzionale per tutti i casi di variazione delle circoscrizioni degli enti territoriali riconosciuti. E difatti, tanto per quanto concerne le Regioni, quanto per quanto concerne le province ed i comuni, l'istituzione di un nuovo ente, o la fusione di enti precedenti, ovvero la modifica dei loro confini e delle loro circoscrizioni è destinata ad avvenire, secondo gli articoli 132 e 133 della Costituzione, con legge, a seconda dei casi, statale ovvero regionale, ma sempre sulla base della partecipazione, pur se in forme diverse, delle popolazioni interessate, secondo procedure che finiscono appunto per determinare il carattere "rinforzato" di queste leggi, che, in difetto di tale partecipazione, risultano contrarie alla Costituzione.

Questa costante scelta costituzionale non è affatto casuale, ma costituisce una soluzione di necessaria applicazione del principio autonomistico e della connessa garanzia riconosciuta agli enti territoriali.

Si tratta dunque, come sottolinea la Corte costituzionale, di un "principio di portata generale che trova puntuale espressione negli art. 132 e 133 della Costituzione, ma che è comunque desumibile dal contesto dell'intero titolo V della parte seconda della Costituzione", costituendo "uno dei principi di portata generale che connotano il significato pluralistico della nostra democrazia" (sentenza n. 543 del 1989). E difatti la garanzia dell'autonomia riconosciuta alle comunità territoriali sarebbe del tutto vanificata se l'ente maggiore e, in particolare, lo Stato, potesse disporre a suo piacimento dell'identità degli enti relativi, sopprimendoli, unificandoli o attribuendo parti della popolazione residente ora all'uno ora all'altro di essi.

Non a caso l'art. 114 stabilisce che "la Repubblica è costituita", come dallo Stato, così allo stesso modo "dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni". Il Costituente, dunque, pur se non ha direttamente determinato i confini dei diversi enti locali, ne ha però, per così dire, recepito le relative circoscrizioni come esistenti al momento della Assemblea Costituente, ed ha esteso la sua garanzia anche al territorio delle Regioni, delle Province e dei Comuni. Questo ne è risultato, per così dire, "cristallizzato", in quanto la Costituzione, istituendo, come ha stabilito la Corte, una specifica tutela al "diritto alla integrità territoriale" (sentenza n. 38 del 1969), ha sottratto il territorio dell'ente all'esclusiva disponibilità del legislatore, ed anche se tale garanzia non sempre è stata estesa, del tutto ragionevolmente, sino alla previsione di una revisione costituzionale per la modifica dei confini, tuttavia è stata in ogni caso fatta consistere, in modo non equivocabile, nella necessaria partecipazione formale delle popolazioni e delle comunità locali interessate al relativo procedimento.

Ne deriva quindi che, secondo la Costituzione, la revisione delle circoscrizioni degli enti territoriali costituisce il frutto necessario di un contemperamento fra interesse della generalità ed interessi locali, e se la tutela del primo è appunto assicurata dalla previsione del necessario intervento dell'atto legislativo per la modifica, i secondi risultano salvaguardati attraverso l'introduzione formale nel procedimento della partecipazione delle popolazione e degli enti locali interessati, cosicché il difetto di una tale partecipazione, nelle forme previste, produce necessariamente l'esito della invalidità della legge di modifica delle circoscrizioni.

 

5. — II carattere indefettibile della partecipazione delle comunità locali al procedimento risulta confermato da un orientamento risalente e tuttavia consolidato della giurisprudenza costituzionale nell'applicazione dell'art. 133 della Costituzione. Con riferimento alla modifica delle circoscrizioni comunali – che nella prassi si è verificata con frequenza maggiore - la Corte ha infatti stabilito che il difetto di una tale partecipazione "non viene ad essere solo una mera irregolarità ... ma, principalmente, ha determinato una grave omissione, che ha impedito la valutazione della volontà delle popolazioni interessate alla variazione territoriale, cui non è stato permesso di esprimersi" (sentenza n. 36 del 2011), e ciò perché l'art. 133 "non consente in nessun caso di surrogare con altri elementi procedimentali" quelli ivi previsti (sentenza n. 214 del 2010). "L'obbligo di sentire le popolazioni interessate - infatti, secondo la Corte - è espressione di un generale principio ricevuto dalla tradizione storica che vuole la partecipazione delle comunità locali a talune fondamentali decisioni che le riguardano" (sentenza n. 279 del 1994).

Non sembra dubitabile che questi principi - affermati a proposito delle circoscrizioni comunali - debbano valere anche per l'ipotesi della revisione dei confini provinciali. E' noto infatti che fu una scelta deliberata e consapevole dell'Assemblea costituente quella di assumere le province come enti territoriali anch'essi espressione, alla pari dei comuni e delle regioni, del principio autonomistico, secondo una linea di superamento della tradizione liberale che vedeva invece nella provincia un ente di mero decentramento amministrativo di funzioni imputate allo Stato.

Nella sua originaria formulazione l’art. 114 della Costituzione - stabilendo che la Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni - attestava l'assunzione deliberata di questa scelta da parte del Costituente, e il punto, non a caso, venne sottolineato in Assemblea proprio all'atto di votare gli articoli del progetto relativi alla modifica delle circoscrizioni provinciali, posto che la relativa procedura di modifica non poteva non risultare strettamente consequenziale alla nuova concezione della Provincia come ente autonomo (Assemblea Costituente, seduta del 17 luglio 1947, pag. 5878). Ma questa scelta in senso autonomistico risulta poi, come noto, ancor più accentuata dalla riforma del Titolo V della Costituzione, che include ora l'ente Provincia, nell'art. 114 riformato, fra gli enti autonomi dei quali è costituita la Repubblica, ciascuno dei quali "con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione". L'analisi degli articoli 118 e 119 della Costituzione conferma questa ricostruzione, sulla base del riconoscimento anche a favore delle Province della titolarità di funzioni amministrative proprie, e della relativa autonomia finanziaria.

L'insieme di queste disposizioni conferma l'inclusione a pieno titolo della Province fra gli enti protetti dal principio autonomistico sancito dall'art. 5 della Costituzione, con la conseguenza che la garanzia dell'integrità territoriale assicurata dall'art. 133 non può non valere per esse con la medesima intensità con cui essa vale, per costante giurisprudenza costituzionale, per i Comuni.

A questa ricostruzione di carattere sistematico e generale, deve poi aggiungersi il rilevante argomento di carattere particolare che si desume con chiarezza ancora una volta dai lavori preparatori, riguardo all'intento consapevole e deliberato dei Costituenti di apprestare anche per le Province una specifica garanzia relativa alla partecipazione delle comunità locali interessate alla modifica delle loro circoscrizioni. E difatti mentre il testo del progetto prevedeva in origine che "la istituzione di nuove Provincie è stabilita con leggi della Repubblica, su iniziativa delle Regioni, sentite le popolazione interessate", l'Assemblea costituente rovesciò la logica dell'impianto e votò due distinti emendamenti, con i quali da un lato fu inserita espressamente la previsione che lo stesso procedimento valesse anche per il "cambiamento delle circoscrizioni provinciali" (seduta del 17 luglio 1947, pag. 5889); dall'altro lato si mutò l'iniziativa delle Regioni in "iniziativa dei comuni interessati, sentita la Regione". L'emendamento fu illustrato nel senso che esso fosse "più democratico" rispetto al progetto, occorrendo che "l'iniziativa parta non dall'alto ma dal basso, cioè sono le popolazioni interessate che devono dire se vogliono formare una nuova Provincia, sono i Comuni interessati che devono chiedere al governo la possibilità di formare una Provincia" (seduta del 17 luglio 1947, pag. 5891).

Quando deliberò l'attuale testo dell'art. 133, comma primo, di conseguenza, l'Assemblea costituente espresse la chiara decisione di condizionare non solo l'istituzione di nuove province, ma anche la revisione delle circoscrizioni di quelle esistenti alla volontà delle popolazioni interessate, che sarebbero state rappresentate nel relativo procedimento attraverso la necessaria iniziativa condizionante dei Comuni.

Vale dunque certamente anche per le Province quello speciale interesse degli enti territoriali garantiti in Costituzione, che la giurisprudenza definisce come una vero e proprio "diritto all'integrità territoriale", con la conseguenza che il difetto degli adempimenti procedurali previsti in via di "rinforzamento" della procedura legislativa di modifica delle loro circoscrizioni sarebbe destinato a costituire, per usare le parole della Corte, non già una mera irregolarità ma una "grave omissione", non surrogabile "in nessun caso ... con altri elementi procedimentali", e suscettibile di determinare l'invalidità della legge (sentenza n. 214 del 2010).

L'esattezza di questa conclusione sembra puntualmente confermata dalla disciplina recata dall'art. 21 del d.Igs. n. 267 del 18 agosto 2000 (Testo Unico degli Enti Locali - TUEL) in materia appunto di "Revisione delle circoscrizioni provinciali", che, applicando e sviluppando la previsione costituzionale, stabilisce che l'iniziativa dei Comuni "deve conseguire l'adesione della maggioranza dei comuni dell'area interessata, che rappresentino, comunque, la maggioranza della popolazione complessiva dell'area stessa, con delibera assunta a maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati".

Come si vede, il TUEL ha applicato puntualmente e sviluppato la previsione costituzionale relativa alla "iniziativa dei Comuni", facendo ragionevolmente coincidere tali Comuni con la maggioranza di quelli interessati alla modifica della circoscrizione provinciale, purché rappresentanti la maggioranza della popolazione residente nell'area relativa. Un'attività iniziale di impulso delle amministrazioni comunali è quindi ritenuta imprescindibile, tale impulso dovendo anzi provenire da un numero qualificato dei Comuni dell'area.

Il rilievo di questa disciplina risiede non tanto nella forza condizionante nei confronti dei singoli atti legislativi - aventi pari grado formale - necessari per la revisione delle circoscrizioni provinciali, quanto piuttosto nel fatto che essa applica e sviluppa adeguatamente una norma costituzionale, idonea, questa sì, ad operare con forza cogente nei confronti delle leggi di modifica dei territori provinciali.

Ne consegue che il confronto fra il procedimento del TUEL e quello del tutto diverso recato dal decreto legge in esame vale proprio quale ulteriore strumento di verifica per puntualizzare la distanza della regolazione introdotta dal Governo rispetto al testo costituzionale.

6. — Nel procedimento delineato dall'art. 17 in esame sembrano infatti mancare in radice sia l'uno che l'altro degli adempimenti procedurali prescritti a questi fini dall'art. 133, primo comma, Costituzione.

Fa difetto in primo luogo "l'iniziativa dei Comuni", perché per quanto si possano interpretare in senso restrittivo i requisiti dell'interesse dei Comuni all'iniziativa, secondo il margine di discrezionalità che la giurisprudenza riconosce al legislatore nella disciplina della procedura, sembra quanto meno necessario che l'impulso al procedimento promani dalle amministrazioni comunali interessate. Ma anche di questa versione "minima" dell'adempimento procedurale non si trova traccia, posto che il decreto legge prevede invece una "ipotesi di riordino" ad opera dei CAL, che sono organi, come stabilisce la Costituzione all'art. 123, di "consultazione fra la Regione e gli enti locali", e quindi incaricati di esprimere una sorta di voce "unitaria" di tali enti, cosa ben diversa ed irriducibile rispetto alla volontà dei singoli comuni interessati alla revisione del territorio della Provincia cui appartengono.

E, del resto, che l'ipotesi proveniente dal CAL non possa equivalere all'iniziativa dei Comuni è chiarissimo anche all'estensore del decreto-legge, sia perché la disposizione considera al tempo stesso le "iniziative comunali" come meramente "eventuali" (art. 17, comma 3, secondo periodo), sia perché essa stessa espressamente prevede che l'ipotesi di riordino da parte del CAL possa anche fare difetto, senza che ciò possa esimere la Regione dal presentare la proposta di riordino al Governo nei termini prescritti (art. 17, comma 3, primo periodo).

Un discorso analogo deve farsi, in secondo luogo, anche per quanto riguarda l'interpello regionale, perché se è vero che la proposta regionale vale a soddisfare il requisito, la norma prevede parimenti che difetto della proposta regionale possa essere surrogato dal Governo con il parere della Conferenza unificata (art. 17, comma 4), che, di nuovo, è organo deputato ad esprimere la volontà unitaria dei diversi enti rappresentati, cosa ben diversa dalla volontà della Regione interessata alla singola ipotesi di riordino provinciale.

In definitiva, mentre l'art. 133 impone al legislatore statale di operare esclusivamente in posizione di recepimento di istanze provenienti dai territori interessati, viceversa la disciplina del decreto-legge prevede una procedura del tutto diversa, dominata dal Potere esecutivo, che da inizio alla procedura con la delibera del Consiglio dei ministri e la conclude con "l'atto legislativo di iniziativa governativa".

Occorre quindi parlare più che di una difformità, di un vero e proprio capovolgimento della logica di fondo della previsione costituzionale, che non sembra poter trovare alcuna effettiva giustificazione, sotto nessun profilo.

 

7. — Neppure il fatto che ci si trovi in presenza di una revisione generalizzata ed estesa dei territori provinciali sembra poter operare da elemento giustificativo della grave deviazione rispetto al procedimento costituzionale, se si considera che la costante giurisprudenza costituzionale definisce come inderogabili i requisiti di procedura dell'art. 133, e ciò tanto nelle ipotesi minimali di "scarsa entità dell'intervento" (sentenza n. 279 del 1994), quanto nelle ipotesi massimali di "complessivo riaggiustamento territoriale" coinvolgente più enti locali, e che "potrebbero astrattamente realizzarsi in modi diversi" (sentenza n. 94 del 2000).

Ciò si spiega agevolmente considerando che il Costituente, come già detto, ha adottato, nell'art. 133, il punto di vista proprio e particolare delle comunità locali interessate, per le quali non ha alcun rilievo il fatto che la revisione della circoscrizione di interesse si inserisca o meno in un disegno più ampio.

Del resto, proprio il principio autonomistico sta ad imporre, semmai, che la garanzia assicurata agli enti locali debba risultare a maggior ragione operante nei casi in cui, come in quello di specie, il potere centrale coltivi un progetto di radicale ridimensionamento dei loro territori. Nella logica del contemperamento degli interessi perseguito dal testo costituzionale, è infatti del tutto paradossale che l'interesse degli enti al proprio territorio debba rinunciare ad ottenere evidenza procedimentale, proprio nelle ipotesi in cui esso subisce il rischio della massima compressione, fino addirittura alla soppressione.

Le distorsioni provocate da questa violazione del principio autonomistico risultano del tutto evidenti nella disciplina del decreto legge. Basti pensare, a questo proposito, al carattere del tutto unilaterale con cui il Governo ha, in perfetta solitudine, deliberato un trattamento del tutto difforme e più favorevole per alcune province in ragione della relativa posizione geografica, come ad esempio avviene per quelle che sono sede del capoluogo di Regione, o per quelle confinanti solo con province di regioni diverse da quella di appartenenza nonché con province soppresse al fine dell'istituzione delle Città Metropolitane (art. 17, comma 2, ult. periodo). Ancor prima che il carattere più o meno plausibile della distinzione operata dalla norma, stride il carattere assoluto e dominante della scelta legislativa in un ambito normativo, quello appunto della revisione delle circoscrizioni territoriali, nel quale invece è garantito costituzionalmente il concorso formalizzato di più volontà diverse.

 

8. — A ciò deve aggiungersi un argomento ulteriore.

Per consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale, infatti, le ipotesi di variazione del territorio degli enti locali appartengono alla materia delle "circoscrizioni e dell'ordinamento degli enti locali" regionali, provinciali o comunali che siano, essendo proprio sulla base di questo ambito di competenza che la Corte costituzionale ha potuto riconoscere alle Regioni speciali la potestà di istituzione di nuove Province (sentenza n. 230 del 2001) ed alle Regioni ordinarie di disciplinare con proprie leggi le forme di consultazione delle popolazioni interessate al mutamento delle circoscrizioni comunali (sentenza n. 94 del 2000).

Se dunque si ritiene che l’art. 133 della Costituzione non si possa applicare all'ipotesi di riordino generalizzato delle Province prospettato dal Governo, si finisce inevitabilmente per privare il legislatore statale di qualsiasi legittimazione al relativo intervento. All'interno del catalogo di cui all'art. 117, comma secondo, della Costituzione, non solo, difatti, non vi è alcuna voce attributiva allo Stato della competenza in materia di "circoscrizioni e ordinamento degli enti locali", ma anzi la lettera p) di tale elenco, riferita appunto ai "Comuni, Province e Città metropolitane", limita espressamente la competenza legislativa esclusiva dello Stato ai soli oggetti della "legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali" degli enti predetti.

Anche per questo motivo, si deve dunque concludere che l'art. 133, primo comma, della Costituzione, costituisce il necessario parametro della legittimità costituzionale dell'art. 17 del d. I. n. 95 del 2012, e del procedimento di riordino delle circoscrizioni provinciali ivi previsto, il cui contenuto sembra dunque palesarsi, o contrastante con l'art. 133, comma prima, oppure privo in radice di qualsiasi titolo legittimante.

 

9. — Rimangono peraltro da precisare - anche in adempimento dell'espressa formulazione del quesito - i modi con i quali una tale situazione di verosimile illegittimità costituzionale possa venir accertata nelle forme previste dall'ordinamento.

Il ragionamento deve partire dalla considerazione che il vizio di costituzionalità dell'art. 17 del d.l. n. 95 del 2012, come convertito dalla relativa legge di conversione, riguardando un atto con forza di legge, può essere accertato soltanto dalla Corte costituzionale.

Ciò significa, in primo luogo, che un'impugnativa diretta è consentita unicamente alle Regioni, sotto il profilo che l'illegittima procedura previsto dal decreto-legge menoma la competenza consultiva regionale e, ledendo le prerogative degli enti territoriali in cui la Regione si articola, implica necessariamente anche un'ulteriore lesione delle competenze regionali costituzionalmente garantite. Un tale ricorso diretto deve essere proposto dinnanzi alla Corte costituzionale, a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla pubblicazione (avvenuta il 14 agosto 2012) della legge 7 agosto 2012, di conversione del decreto legge.

Ogni altro soggetto, invece, deve invece assoggettarsi ad una procedura più articolata, instaurando dinnanzi al giudice amministrativo - posto che si tratta di atti di pubblici poteri - una controversia nella quale possa essere tale giudice a sollevare la questione di costituzionalità.

A questi fini è peraltro necessario individuare un atto scaturente dalla procedura in esame, che possa dirsi, da un lato immediatamente lesivo della posizione del soggetto interessato alla declaratoria di illegittimità, ma anche, dall'altro lato, adottato in applicazione di quella parte della disciplina del decreto-legge che appare in contrasto con la disciplina costituzionale. Entrambi i presupposti sono infatti necessari perché la questione, anche se per la via indiretta che si è descritta, possa essere portata dinnanzi alla Corte.

Nell'ambito di questi atti, la delibera che il Consiglio dei Ministri ha adottato lo scorso 20 luglio al fine di stabilire i requisiti di dimensione e di popolazione che le Province dovranno possedere all'esito dell'operazione di riordino, ha certamente un contenuto immediatamente lesivo della posizione di tutte le amministrazioni provinciali che non raggiungano i requisiti minimi prescritti, ma tuttavia non sembra potersi definire con altrettanta certezza come emanata in applicazione di quella parte del decreto legge che appare direttamente in contrasto con l'art. 133 della Costituzione. E difatti bisogna ricordare, a questo riguardo, che si tratta di far valere dinnanzi alla Corte costituzionale un vizio attinente al procedimento di riordino, ed essenzialmente relativo alla scelta deliberata dell'art. 17 in esame - in deroga al procedimento costituzionalmente conforme previsto dal TEUEL - di non considerare necessaria l'iniziativa comunale prescritta dall'art. 133 della Costituzione.

Appare quindi logico non procedere all'impugnativa della predetta delibera, salva una valutazione svolta precipuamente sul piano dell'opportunità politica, e sulla base della condotta degli altri soggetti interessati.

Per questi motivi - con tutte le cautele derivanti dal piano ipotetico del ragionamento - sembra più appropriata la soluzione, ai fini che si perseguono, di procedere piuttosto all'impugnativa della "ipotesi di riordino" adottata dal Consiglio delle Autonomie locali, poiché non sembra dubbio che si tratti esattamente del'atto che l'art. 17 prevede, per così dire, in sostituzione o in surroga dell'iniziativa dei Comuni. Ne deriva un vizio di costituzionalità del relativo provvedimento amministrativo, vizio che si deve definire come "indiretto", in quanto discendente a sua volta dal vizio di legittimità dell'art. 17, nella parte in cui prevede, in violazione dell'art. 133 della Costituzione, l'intervento nel procedimento del CAL in luogo di quello dei Comuni interessati.

Un'analoga impugnativa, in caso che il CAL non si pronunci, sembra poter essere rivolta anche nei confronti della proposta regionale.

Anche in questo caso sotto il profilo che tale proposta viene formulata - sempre in applicazione dell'art. 17 - in difetto dell'iniziativa dei Comuni, che costituisce infatti il presupposto, ai sensi dell'art. 133, per il parere della Regione interessata.

In queste ipotesi, il ricorso dovrebbe contenere un'istanza di sospensione dell'atto impugnato, per consentire al giudice di sollevare immediatamente, in sede di tutela cautelare, la questione di costituzionalità, anche prescindendo dalla rigorosa verifica delle condizioni dell'azione, che invece è propria della sede di merito.

In entrambi i casi, comunque, non sembra che debba essere d'ostacolo all'ammissibilità il fatto che si tratti di atti endoprocedimentali, in quanto, secondo la giurisprudenza prevalente, ai fini dell'onere di immediata impugnazione conta non tanto la collocazione dell'atto all'interno del procedimento, quanto il fattore della lesione che esso arreca all'interesse sostanziale del ricorrente {cfr. Consiglio di Stato, sentenza 31-12-2007, n. 6788), con la conseguenza che, l'impugnazione dell'atto negativo, anche se endoprocedimentale, costituisce comunque una facoltà per il destinatario (Cons. Stato, sez. IV, 20 giugno 2012, n. 3607).

Certo, rimane vero il fatto che, nella procedura prevista dall'alt. 17 del decreto-legge in esame, sia l'ipotesi di riordino da parte del CAL sia la proposta regionale sono disciplinati come atti soltanto "eventuali", posto che la loro mancata deliberazione non impedisce al Governo di esercitare l'iniziativa per l'atto legislativo di riordino delle Province.

Nel caso in cui tali ipotesi dovesse realizzarsi, la tutela giurisdizionale da preventiva dovrebbe farsi necessariamente successiva, impugnandosi dinnanzi al giudice gli atti esecutivi della disciplina legislativa contenente il riordino delle Province.

 

10. — In conclusione, deve dirsi che l'art. 17 del decreto-legge n. 95 del 2012, come modificato dalla relativa legge di conversione, introduce un procedimento di revisione delle circoscrizioni provinciali che appare a prima vista suscettibile di sollevare gravi dubbi di costituzionalità sotto diversi profili.

In primo luogo, sotto il profilo formale, per quanto attiene alla fonte scelta dal Governo, in quanto, secondo la più recente giurisprudenza costituzionale, lo strumento del decreto legge non può venir utilizzato nei casi di evidente mancanza dei presupposti della necessità e dell'urgenza del provvedere, e neppure può venir utilizzato per far confluire in un unico atto una serie eterogenea di provvedimenti non collegati realmente fra loro sotto il profilo della materia trattata.

In secondo luogo, sotto il profilo sostanziale delle relative disposizioni del decreto, perché non sembra sussistere alcuna plausibile giustificazione per la palese difformità fra il procedimento di riordino previsto dal decreto legge e la ben diversa procedura di modifica dei territori delle Province stabilita in Costituzione. In questo senso può essere opportuno ricordare ancora una volta come ben più aderente al dettato costituzionale è il cennato procedimento previsto dal TUEL.

Sembra quindi possibile fin da ora ritenere, con riferimento alla tutela giurisdizionale avverso gli atti del procedimento, che un eventuale giudizio davanti alla Corte costituzionale, nei modi e nei tempi consentiti, abbia significative possibilità di successo, anche se non si possono sottovalutare le prevedibili implicazioni problematiche connesse alla generalizzata situazione di emergenza che il Governo negli ultimi mesi regolarmente invoca a fondamento della propria, ripetuta attività normativa in via di urgenza.

 

Nei termini riferiti rendo dunque il richiesto parere.

 

 

Roma, 17 settembre 2012

 

Prof. Avv. Piero Alberto Capotosti

 

 


 

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Il progetto di istituzione delle Città metropolitane

Pubblicato da Luigi Oliveri

La soluzione adottata dal Governo in via d’urgenza con la spending review sembra troppo affrettata e si presta a diverse critiche

Testo

di Luigi Oliveri e Giuseppe Panassidi

 

1. Premessa

Il progetto di istituzione delle dieci Città metropolitane dell’art. 18 del decreto legge n. 95 del 2012, sulla spending review, ha il merito di avere rilanciato il difficile tema del governo delle aree metropolitane, di cui si discute da tanto tempo senza riuscire ad individuare un modello condiviso dai diversi soggetti istituzionali e dalle forze politiche.

La soluzione adottata in via d’urgenza nel provvedimento di revisione della spesa pubblica del 6 luglio scorso, però, sembra troppo affrettata e si presta a diverse critiche per i tanti punti di debolezza e di ambiguità presenti nella nuova disciplina.

1.1. Prima di affrontare il contenuto della nuova disciplina ed esaminarne gli aspetti più critici, è opportuno ricordare che è da tempo sentita l’esigenza di creare un distinto modello di governo per le grandi aree urbane. Ovvero, per quelle aree, non necessariamente molto estese, ad alta ma anche a bassa densità, costituite, di regola, dal Comune capoluogo e da altri comuni in contiguità territoriale, da centri e periferie, da aree forti per economia e servizi e da aree deboli, dove risaltano relazioni economiche e culturali fortemente integrate e interessi complessi che superano i singoli confini comunali. Queste aree, dove è presente anche una forte esigenza di fruizione comune di servizi generali essenziali per la vita sociale, si configurano spesso come un unico complesso, strettamente integrato o organizzato gerarchicamente.

Il fenomeno, presente in tutte le grandi città del continente europeo e non solo, creato all’origine dall’avvento della società industriale, con il passare del tempo si è aggravato per gli effetti della globalizzazione e la presenza in questi territori di un numero sempre più crescente di non residenti “fruitori” giornalieri o per periodi limitati nell’anno dei servizi urbani (turisti, uomini d’affari, studenti, ecc). Sono aumentate, con il passare degli anni, le grandi concentrazioni urbane, e, più in generale, le cosiddette “città diffuse o esplose” , quelle che si estendono nel territorio contiguo ai propri confini convenzionali e diventano luogo di intersezione, e, nello stesso tempo, di frammentazione, di diverse relazioni economiche, sociali e culturali.

Giova ricordare anche che è patrimonio comune l’idea secondo cui questo fenomeno, non sia gestibile, con efficienza ed efficacia, con le strutture amministrative locali tradizionali (comuni e province) per la complessità e varietà delle problematiche sottese, e che debba essere affrontato con altri modelli di governo. Questo anche perché i comuni capoluogo di queste realtà urbane si trovano sempre più in affanno nel governare i grandi fenomeni dell’area, che oltrepassano i loro confini municipali, quali i trasporti, la qualità dell’ambiente, l’organizzazione e gestione dei rifiuti, la viabilità, ecc.

E’ opinione diffusa, in particolare, che in queste realtà urbane, le complesse problematiche si possono affrontare e risolvere, in modo più efficiente ed efficace, con la creazione di un unico e specifico centro decisionale amministrativo, dedicato proprio alla composizione e cura degli interessi, comuni a tutta l’area e non frazionabili, e all’organizzazione e gestione dei servizi pubblici di interesse generale non programmabili e non governabili, in modo ottimale, dalle singole realtà municipali.

I diversi modelli di governo metropolitano -Diversi sono i modelli di governo di queste aree utilizzati. Il governo metropolitano, in particolare, è organizzato, a volte, come associazione volontaria di comuni con poteri delegati dagli associati, come New York, Los Angeles, San Francisco; in altri casi, come agenzia funzionale per specifiche politiche, sull’esempio dei special districts degli Stati Uniti o dei joint committees di Londra fino al 2000, o di Barcellona dopo la soppressione dell’autorità metropolitana nel 1987. Altre volte, il governo metropolitano è stato identificato come “città – stato” o “città – regione” con tutti i poteri di questo livello di governo, alla maniera di Berlino, Amburgo, Vienna, Bruxelles, o ha assunto la forma di ente sovracomunale, e, in questo caso, a elezione diretta, sul modello di Londra dal 1965 al 2000, o espressione dei comuni del territorio metropolitano, ad elezione diretta o meno, con poteri legali e una fiscalità, a volte, autonoma, come Lione, Bordeaux, Lisbona, Porto (Luigi Bobbio, I governi locali nelle democrazie contemporanee, Bari, 2002).

1.2. In Italia, com’è noto, i progetti di istituzione delle città metropolitane sono rimasti sulla carta: dal primo più datato della legge n. 142 del 1990 (artt.17- 21), all’altro del testo unico degli enti locali n. 267 del 2000 (artt. 22 – 27), fino a quello più recente della legge sul federalismo fiscale n. 42 del 2009 (art. 23).

Così come non sono riusciti – è bene ricordarlo – neppure i più modesti e limitati progetti dei piani urbanistici intercomunali, dei comprensori promossi dalle regioni e dei consorzi funzionali fra comuni e fra questi e la provincia.

La questione è rimasta irrisolta per diversi fattori: per un verso, la difficoltà di applicare il modello di governo unico e non differenziato della sovracomunalità, individuato dalla norma, in tutte le nove concentrazioni urbane qualificate come aree metropolitane, molto disomogenee fra di loro per dimensioni e caratteristiche e di coordinarlo con gli altri livelli di governo locale tradizionali (regione, provincia, comuni); e, per l’altro, l’esistenza di forti veti istituzionali incrociati, che hanno paralizzato l’azione delle regioni e delle autonomie locali

In definitiva, le nove, e, dal 2009, le dieci città metropolitane non sono mai state istituite, anche se l’ente “città metropolitana” ha ottenuto, con la riforma del 2001 del Titolo V della Costituzione, il pieno riconoscimento costituzionale (artt. 114, 117,118 e 119 Cost.).

La disciplina delle città metropolitane, dopo diverse e disorganiche modifiche, ha trovato, quindi, il suo rilancio in un provvedimento di decretazione d’urgenza, estraneo alla materia del riordino istituzionale e dedicato alla revisione della spesa pubblica per centrare gli obiettivi di finanza pubblica imposti dagli obblighi europei. Mentre sarebbe stato auspicabile che la regolamentazione definitiva di questo nuovo ente fosse contenuta nella nuova Carta delle Autonomie, giacente da tempo in Parlamento (ddl S. n. 2259), ossia in un progetto organico di ridefinizione del sistema delle autonomie locali.

2. L’evoluzione del quadro normativo

Prima di descrivere il nuovo progetto di città metropolitana disegnato dal decreto legge 95 del 2012, è opportuna una breve sintesi dell’evoluzione del quadro normativo in questa materia, anche per comprendere il percorso effettuato fino al 6 luglio 2012, e le difficoltà attuative causa dell’insuccesso.

 

2.1. La legge n. 142 del 1990

Come anticipato in premessa, le Città metropolitane sono state previste, per la prima volta, dallalegge di riforma organica dell’ordinamento dei comuni e delle province 8 giugno 1990, n. 142.

La suddetta legge n. 142 del 1990 (artt. 17 – 21) individuava direttamente le nove realtà in cui avrebbero dovuto essere costitute le Città metropolitane e definiva per queste concentrazioni urbane un modello indifferenziato di governo da realizzare o in un’ “area ristretta” comprendente il comune capoluogo e i centri urbani collegati, o in un’ “area vasta” comprensiva anche delle altre realtà unite al centro urbano da rapporti di stretta integrazione.

L’art. 17 della legge 142 considerava, in particolare, aree metropolitane le zone comprendenti i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli e gli altri comuni i cui insediamenti avessero con essi rapporti di stretta integrazione in ordine alle attività economiche, ai servizi essenziali alla vita sociale, nonché alle relazioni culturali e alle caratteristiche territoriali.

Prevedeva, inoltre, che la regione potesse procedere alla delimitazione territoriale di ciascuna area metropolitana, sentiti i comuni e le province interessate, entro un anno dalla data di entrata in vigore della stessa legge (13 giugno 1991), con eventuale riordino della circoscrizione provinciale se l’area metropolitana non fosse coincisa con il territorio di una provincia.

Stabiliva, ancora, che nell’area metropolitana, l’amministrazione locale si dovesse articolare in due livelli, città metropolitana e comuni, e individuava nel sindaco, giunta e consiglio gli organi elettivi della nuova istituzione.

Affidava alla regione il compito di coordinare il riparto delle funzioni amministrative, con rilevanza sovra comunale, fra comuni e città metropolitana, nel campo della pianificazione, della viabilità, della mobilità, della tutela e valorizzazione dei beni culturali e dell’ambiente, della difesa del suolo, della tutela idrogeologica, della tutela e valorizzazione delle risorse idriche, dello smaltimento dei rifiuti, della raccolta e distribuzione delle acque e delle fonti energetiche, dei servizi per lo sviluppo economico e della grande distribuzione commerciale, e  dei servizi di area vasta nei settori della sanità, della scuola e della formazione professionale e degli altri servizi urbani di livello metropolitano (art. 19).

La legge 142 assegnava, inoltre, alla regione il compito del riordino, sentiti i comuni interessati, delle circoscrizioni territoriali dei comuni dell’area metropolitana, con possibilità di istituzione di nuovi comuni per scorporo da aree di intensa urbanizzazione o per fusione di comuni contigui, che avrebbero aggiunto all’originaria denominazione quella più caratteristica dei quartieri o delle circoscrizioni che li componevano (art. 20).

2.2. Il Tuel del 2000

Come sappiamo, il modello della legge n. 142 del 1990, di costruzione centralista, non è stato mai realizzato per i problemi e i veti incrociati di cui s’è fato cenno in premessa. Occorre riconoscere che la causa principale dell’insuccesso della legge n. 142/1990è da addebitare, però, alla difficoltà oggettiva di applicare il modello unico di città metropolitana, istituzionalizzato e strutturato in modo uniforme, in realtà urbane molto disomogenee fra di loro, dalla città globale di Milano all’ “isola” di Venezia.

Tralasciando di richiamare la successiva e caotica evoluzione legislativa della fine degli anni novanta, è sufficiente ricordare che, a distanza di nove anni, il progetto della città metropolitana è stato ripreso dalla legge 3 agosto 1999, n. 265 (cosidetta Napolitano – Vigneri), con variazioni finalizzate a valorizzare l’iniziativa dei comuni e a ricercare soluzioni differenziate per i diversi e disomogenei territori metropolitani. Quest’ultima disciplina è stata poi trasfusa nel Testo unico degli enti localiapprovato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (in prosieguo Tuel).

Il Tuel prevede un modello di Città metropolitana meno rigido e maggiormente diversificato in relazione alle specificità locali rispetto a quello della legge n. 142 del 1990.

Nella costruzione del Tuel del 2000, infatti, la Città metropolitana è configurata come ente locale eventuale e, soprattutto, ad ordinamento differenziato (artt. 22 – 26).

La Regione, infatti, secondo il Tuel, avrebbe potuto scegliere fra tre opzioni:

a) procedere alla delimitazione della città metropolitana, senza creare altre strutture (art. 22);

b) definire per determinate materie, ambiti sovra comunali, associativi o di cooperazione, per l’esercizio coordinato delle funzioni degli enti locali (art. 24);

c) istituire la Città metropolitana fra il comune capoluogo e gli altri comuni ad esso uniti da contiguità, con rinvio per la definizione degli elementi fondamentali (territorio, organizzazione, articolazione interna e funzioni) al statuto della stessa città metropolitana (art. 23).

IL Tuel, in sostanza, valorizzava i requisiti caratterizzanti la città metropolitana di “area ristretta”, prevedendo un ente amministrativo costituito da una grande città (il Comune capoluogo) e i comuni in contiguità territoriale, ad essa strettamente legati per questioni economiche, sociali e di servizio, nonché culturali e territoriali (cosiddetta “conurbazione”), senza escludere, però, la possibilità  di una organizzazione territoriale per “area vasta”.

E, soprattutto, lasciava alla competenza delle autonomie locali la decisione sul futuro dei loro territori, coinvolgendo nella scelta anche le popolazioni interessate attraverso lo strumento del referendum. Introduceva, infatti, l’obbligo della consultazione elettorale sulla proposta di istituzione della città metropolitana, da svolgersi obbligatoriamente a cura di ciascun comune partecipante.

Prevedeva, inoltre, la possibilità di optare per un modello meno strutturato e più funzionale, attraverso forme associative e di cooperazione collaborativa per l’esercizio coordinato delle funzioni degli enti locali in ambiti sovra comunali (sull’esempio delle agenzie funzionali specializzate per determinati temi).

Il TUEL, in particolare, confermava le stesse aree metropolitane già individuate dalla legge n. 142 del 1990, e cioè le zone comprendenti i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli e gli altri comuni con insediamenti in rapporti di stretta integrazione territoriale in ordine alle attività` economiche, ai servizi essenziali alla vita sociale, alle relazioni culturali e alle caratteristiche territoriali (art. 22).

Prevedeva, inoltre, che, su conforme proposta degli enti locali interessati, la regione, e, in caso di inadempimento il Governo, dovesse procedere alla delimitazione territoriale dell’area metropolitana.

Stabiliva che nelle aree metropolitane il comune capoluogo e gli altri comuni ad esso uniti da contiguità territoriale e da rapporti di stretta integrazione potevano costituirsi in città metropolitane ad ordinamento differenziato.

A tale fine, su iniziativa degli enti locali interessati, il sindaco del comune capoluogo e il presidente della provincia avevano il compito di convocare l`assemblea dei rappresentanti degli enti locali interessati. L’assemblea, su conforme deliberazione dei consigli comunali, adottava una proposta di statuto della città metropolitana, con la definizione del territorio, dell`organizzazione, dell`articolazione interna e delle funzioni.

La proposta di istituzione della città metropolitana doveva essere sottoposta a referendum a cura di ciascun comune partecipante. E solo nel caso di esito favorevole del referendum, la proposta poteva essere presentata dalla regione ad una delle due Camere per l’approvazione con legge, con la conseguenza di avere tante leggi quante regioni proponenti.

La città metropolitana avrebbe acquisito le funzioni della provincia; attuato il decentramento previsto dallo statuto, salvaguardando l’identità delle originarie collettività locali.

In caso di non coincidenza della città metropolitana con il territorio di una provincia, si sarebbe dovuto procede alla nuova delimitazione delle circoscrizioni provinciali o all’istituzione di nuove province, considerando l`area della città come territorio di una nuova provincia.

Istituita la città metropolitana, la regione, previa intesa con gli enti locali interessati, avrebbe potuto procedere alla revisione delle circoscrizioni territoriali dei comuni compresi nell`area metropolitana

Anche il Tuel, come è noto, non ha avuto attuazione e, dal 7 luglio 2012, gli articoli 22 e 23 sono stati abrogati dal comma 1, ultimo periodo, dell’art. 18 del decreto legge n. 95 sulla spending review.

2.3. Riforma costituzionale del 2001

Con la riforma del 2011 del titolo V della Costituzione, la città metropolitana ha ottenuto il riconoscimento costituzionale come componente essenziale della Repubblica, unitamente a Regioni, Province, Comuni e Stato.

La Costituzione, in estrema sintesi:

a) equipara la città metropolitana agli altri enti territoriali, ma non ne da una definizione né li localizza;

b) non dice nulla circa il procedimento per la loro istituzione, lasciando il dubbio sull’applicabilità o meno a questa fattispecie dell’art. 133 della Costituzione, richiesta nei casi di modifica della circoscrizione provinciale;

c) attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia della “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane” (v. l’art. 117, comma 2, lett. p). Cost.).

Per la Costituzione riformata dalla legge costituzionale n. 3 del 2011, le città metropolitane, al pari di comuni, province e regioni, sono “enti autonomi con propri statuti, funzioni e poteri secondo i principi fissati dalla Costituzione” (art. 114, secondo comma), ed hanno un potere regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni ad esse attribuite (art. 117, c. 6).

Le città metropolitane, sempre per la Costituzione, sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze e possono esercitare quelle funzioni che, di norma, spettano ai comuni ma che, allo scopo di assicurarne l’esercizio unitario, possono esserle conferite sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza (art. 118).

Esse, insieme con lo Stato, le regioni, le province e i comuni, devono favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà orizzontale (art. 118, terzo comma).

Sono enti dotati di autonomia finanziaria di entrata e di spesa e devono avere risorse autonome e la possibilità di stabilire ed applicare tributi ed entrate proprie, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, e di disporre di una compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio (art. 119). Le città metropolitane hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato (art. 119, comma sesto).

Lo Stato guadagna la competenza esclusiva in materia di legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali delle città metropolitane (, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. p), mentre spetta alla competenza residuale delle Regioni la potestà legislativa per le rimanenti materie (art. 117, quarto comma).

2.4. Legge “La Loggia” del 2003

La stessa legge 5 giugno 2003, n. 131, emanata per adeguare l’ordinamento della Repubblica alla riforma costituzionale del 2001, non ha fornito una nozione generale di area metropolitana, né ne ha definito i caratteri, limitandosi a delegare ogni decisione in merito al Governo, con poche indicazioni generiche.

Il Governo veniva delegato, in particolare, ad adottare uno o più decreti legislativi diretti alla individuazione delle funzioni fondamentali essenziali per il funzionamento di Comuni, Province e Città metropolitane, nonché per il soddisfacimento dei bisogni primari delle comunità di riferimento.

Questa legge superava la previsione del Tuel, che affidava allo statuto della città metropolitana, elaborato dagli stessi enti costituenti, il compito di disciplinare gli organi e l’articolazione interna della Città metropolitana e di definirne le funzioni. Diversamente, la riorganizzazione delle circoscrizioni comunali e il riordino territoriale delle Province continuavano ad essere regolati dall’art. 23, comma 6, del Tuel.

Come è noto, il termine per l’adozione dei decreti delegati di cui alla legge La Loggia era fissato al 31 dicembre 2005, ma la delega è rimasta del tutto inattuata.

2.5. Legge sul federalismo fiscale del 2009

Il tema della Città metropolitana è stato rilanciato, senza successo, dalla legge 5 maggio 2009, n. 42, recante “Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione sul federalismo fiscale”.

L’art. 23 della legge n. 42 del 2009 introduceva “la disciplina per la prima istituzione” delle Città metropolitane, in via “transitoria”, mentre rinviava ad un’ “apposita legge”, la disciplina ordinaria sulle funzioni fondamentali, gli organi e il sistema elettorale(art. 23, comma 1).

La legge, cui rinviava l’art.23, comma 1, della legge n. 42/2009, avrebbe dovuto:

- disciplinare il trasferimento delle funzioni e delle risorse umane, strumentali e finanziarie inerenti alle funzioni trasferite alla città metropolitana (art.23, comma 8);

- dare attuazione “alle nuove perimetrazioni stabilite ai sensi (dell’art. 23)” della legge n.42/2009;

- disciplinare l’esercizio dell’iniziativa da parte dei comuni della provincia non inclusi nella perimetrazione dell’area metropolitana, in modo da assicurare la scelta da parte di ciascuno di tali comuni circa l’inclusione nel territorio della città metropolitana ovvero in altra provincia già esistente , nel rispetto della continuità territoriale (art. 23, comma 9).

La città metropolitana sperimentale – La legge n. 42 del 2009 aveva introdotto, in particolare, la possibilità di “sperimentare” l’istituzione della città metropolitana prevedendone il relativo iter procedimentale:

i. proposta di istituzione della città metropolitana formulata da parte degli enti locali individuati come a ciò legittimati (provincia o comune o entrambi), da sottoporre al vaglio preventivo della Regione;

ii. indizione di un referendum tra “ tutti i cittadini della Provincia” in ordine alla proposta.

Nessun comune o provincia delle aree interessate ha ritenuto di dovere sfruttare la possibilità di sperimentare nel proprio territorio l’istituzione della città metropolitana. La questione delle città metropolitane, quindi, è rimasta ancora una volta irrisolta, anche a causa, fra l’altro, dell’immobilismo dei territori interessati.

Nella legge n.42 del 2009, era previsto un complesso di disposizioni sulle città metropolitane, fra le quali, una disciplina per l’istituzione in via transitoria e sperimentale delle città metropolitane (art. 23, comma 1). La legge delega consentiva, in particolare, la facoltà di una prima istituzione delle città metropolitane che sarebbe rimasta in vigore fino all’approvazione di un’apposita legge ordinaria sulle modalità per la definitiva istituzione delle città metropolitane, con la definizione delle funzioni fondamentali, degli organi e del sistema elettorale.

L’istituzione in via transitoria della città metropolitana era facoltativa ed avveniva a conclusione di un articolato procedimento. Nello specifico, la legge n. 42 assegnava l’iniziativa al comune capoluogo e alla provincia, congiuntamente tra di loro o separatamente, prevedendo che, se la proposta fosse stata presentata solo da uno dei due enti locali, comune capoluogo o provincia, avrebbe dovuto essere sostenuta da almeno il venti per cento dei comuni della provincia interessata, che rappresentino nel complesso il sessanta per cento della popolazione.

Prescriveva che l’oggetto della proposta di istituzione della città metropolitana dovesse essere composto da tre elementi: a) la perimetrazione della città metropolitana; b) l’articolazione interna della stessa in comuni; c) una proposta di statuto provvisorio.

Stabiliva che la perimetrazione della città metropolitana, nel rispetto del principio di continuità territoriale, doveva comprendere almeno tutti i comuni proponenti e il comune capoluogo, e coincidere con il territorio di una sola provincia o di una sua parte.

Prevedeva che la proposta di statuto provvisorio avrebbe dovuto definire le forme di coordinamento dell’azione di governo all’interno del territorio metropolitano e disciplinare le modalità di scelta del presidente del consiglio provvisorio della città metropolitana.

Disponeva, inoltre, che, previa acquisizione del parere regionale doveva essere indetto un referendum tra tutti i cittadini della provincia interessata, secondo la disciplina di un apposito regolamento governativo da emanarsi con decreto del Presidente della Repubblica.

Stabiliva, ancora, che l’eventuale parere negativo della regione non precludeva il proseguimento della procedura, ma incideva solo sul quorum di validità del referendum confermativo fissato al trenta per cento degli aventi diritto, e non richiesto in presenza di un parere positivo regionale.

L’ambito di applicazione della disciplina transitoria riguardavo solo nove delle dieci città metropolitane: restava esclusa la Città di Roma, destinataria nella stessa legge di una specifica disciplina transitoria anch’essa con effetti  “fino all’attuazione della disciplina delle città metropolitane”, ovvero fino all’adozione di un’apposita legge organica (art. 24).

La provincia di riferimento cessava di esistere ed erano soppressi i relativi organi a decorrere dalla data di insediamento dei nuovo organi (definitivi) della città metropolitana” (art.23, c. 8).

Lo statuto definitivo della città metropolitana doveva essere adottato dai competenti organi entro sei mesi dalla data del loro insediamento” (art.23, c. 8).

Lo schema di regolamento per lo svolgimento del referendum di cui all’art.23 della legge n.42/2009 è stato approvato dal CdM solo in data 28 luglio 2011.

La legge n. 42 demandava ad uno specifico decreto legislativo il compito di assicurare il finanziamento delle funzioni delle città metropolitane, anche mediante l’attribuzione di specifici tributi, allo scopo di assicurare ai suddetti enti una più ampia autonomia di entrata e di spesa, in relazione alla complessità delle funzioni ad essi attribuite.

Prevedeva, infine, che il suddetto decreto in parola contenga la disciplina concernente la facoltà per le città metropolitane di applicare i tributi in relazione al finanziamento delle spese riconducibili all’esercizio delle loro funzioni fondamentali (art. 15).

Anche gli articoli 23 e 24, commi 9 e 10, della suddetta legge  42 del 2009 sono stati abrogati dal comma 1, ultimo periodo, dell’art. 18 del decreto legge n. 95 del 2012.

2.6 Proposta UPI del 2012

Si ricorda che anche l’UPI ha formulato nel 2012 una proposta di legge recante “Delega al Governo per l’istituzione delle città metropolitane, la razionalizzazione delle province, il riordino dell’amministrazione periferica dello Stato e degli enti strumentali”.

Anche nella proposta UPI rimane la scelta del modello sovra comunale strutturato ed istituzionalizzato, ma esclusivamente di area vasta.

La proposta conteneva, tuttavia, alcune novità; fra cui:

- la delega legislativa al Governo ad emanare, entro quattro mesi, uno o più decreti legislativi per l’istituzione delle città metropolitane, nell’ambito di una regione, nelle materie previste dalla legge sul federalismo fiscale e per il riordino delle provincie;

- la definizione, entro un mese, attraverso un accordo in Conferenza Unificata, degli indici demografici, geografici ed economici per la delimitazione delle aree metropolitane e delle circoscrizione provinciale;

- l’aggregazione dei comuni del territorio, entro i successivi due mesi, nelle nuove circoscrizioni provinciali o metropolitane, nel rispetto del principio di continuità territoriale;

- la coincidenza del territorio della Città metropolitana con il territorio di una o di più province;

- lo svolgimento da parte della città metropolitana di tutte le funzioni della provincia e del comune capoluogo di ambito metropolitano;

- l’assegnazione alla città metropolitana delle risorse umane, strumentali e finanziarie.

Nel suddetta proposta UPI, la città metropolitana prende il posto della provincia e del comune capoluogo e si articola al suo interno in comuni metropolitani, con un sindaco, la giunta e il consiglio eletti direttamente dai cittadini.

La proposta UPI prevedeva anche la razionalizzazione delle circoscrizioni provinciali, con la riduzione del numero delle province e il conseguente accorpamento degli uffici territoriali di governo e l’eliminazione degli enti e le agenzie statali e regionali e il conseguente passaggio delle funzioni amministrative alle stesse province.

2.7. Nuova Carta delle Autonomie

Come è noto, è fermo al Senato, 1ª Commissione permanente (Affari Costituzionali), il disegno di legge sulla nuova Carta delle Autonomie, (S. 22599), già licenziato dalla Camera (C. 3118), per adeguare le funzioni degli enti locali alla riforma del titolo V della Costituzione, con delega al Governo alla raccolta delle disposizioni statali sugli enti locali.

Il progetto della nuova Carta delle Autonomie conferma il procedimento istitutivo delle città metropolitane previsto dalla legge n. 42 del 2009, individua gli organi di governo del nuovo ente nel sindaco metropolitano e consiglio e giunta, eletti a suffragio universale e diretto, salvo diversa disposizione statutaria, e ne definisce le relative funzioni soprattutto in materia di pianificazione, trasporti, mobilità,

3. Art. 18 del decreto legge del 2012

L’art. 18 del decreto legge n. 95 del 2012 introduce una nuova disciplina – la quarta – sull’istituzione, le funzioni e gli organi delle Città metropolitane, con contestuale abrogazione della precedente regolamentazione degli artt. 22 e 23 del Tuel e degli artt. 23 e 24, commi 9 e 10, della legge – delega n. 42 del 2009.

Diverse sono le criticità dell’articolo 18. La disposizione, infatti, oltre a presentare profili di incostituzionalità, risulta non chiara, a tratti confusa, di complessa applicazione, e fonte di prevedibili aumenti dei costi specie, in quei territori in cui sarà attuato il previsto frazionamento del comune capoluogo in più comuni.

Dei punti di debolezza di questo progetto si tratterà in relazione ai singoli aspetti della disciplina. Fin d’ora è opportuno evidenziare, però, la sua prevedibile vulnerabilità sotto il profilo di un eventuale scrutinio di costituzionalità, per almeno tre aspetti fondamentali:

1) la scelta dello strumento della decretazione d’urgenza, in mancanza evidente dei presupposti della straordinaria necessità ed urgenza richiesti dall’art. 77 della Costituzione;

2) lo scioglimento anticipato degli organi eletti a suffragio universale e diretto, prima della loro naturale scadenza, in violazione degli articoli 1, 5 e 114 della Costituzione;

3)la configurazione della città metropolitana come ente di secondo grado, in contrasto con gli articoli 5 e 114 della Costituzione.

Primo. Per la Corte costituzionale, il Governo può legittimamente adottare provvedimenti provvisori con forza di legge solo alla presenza di una “evidente emergenza costituzionale”, ossia solo se, ricorrendo una circostanza eccezionale ed imprevedibile, non sia possibile utilizzare gli strumenti legislativi ordinari per la necessità di produrre subito gli effetti della norma. Il Giudice delle leggi ha ritenuto che l’evidente mancanza dei presupposti costituzionali configuri un vizio in procedendo della stessa legge di conversione e come tale sindacabile sotto l’aspetto della legittimità costituzionale, rifiutando di riconoscere efficacia sanante dei vizi alla legge di conversione (ex plurimis, sentenza n. 29 del 1995, n. 330 del 1996 e più di recente, sentenze n. 341 del 2003, n. 6 e n. 299 del 2004, n. 272 del 2005 e n.171 del 2007). Mentre è ormai superato l’opposto orientamento, sostenuto per un certo periodo anche dalla stessa Corte costituzionale, secondo cui il giudizio su quali materie rivestano natura emergenziale, dopo la conversione in legge, doveva ritenersi sottratto alla valutazione del diritto. Ciò in quanto le Camere con la conversione opererebbero una vera e propria novazione della fonte con effetti quindi sananti anche della mancanza dei presupposti costituzionali (ex multis, Corte cost. sentenze n. 108 del 1986, n. 808 del 1988, n. 263 del 1994 e fra le altre più recenti, n. 419 del 2000, n. 376 del 2001 e 29 del 2002; in dottrina, Giuseppe Marazzita, L’emergenza costituzionale. Definizioni e modelli, Milano, 2003).

La mancanza nell’art. 18 dei presupposti costituzionali per la decretazione d’urgenza è del tutto evidente. In primo luogo, sono assenti i presupposti dell’eccezionalità e dell’imprevedibilità, essendo la “città metropolitana” già regolata nel nostro ordinamento (testo unico degli enti locali del 2000 e legge delega sul federalismo fiscale del 2009). Manca, poi, il presupposto della necessità di far decorrere da subito gli effetti della norma: la decorrenza della disposizione è fissata alla scadenza dei consigli in carica e per quelli in scadenza dopo il 31 dicembre 2013, al 1° gennaio 2014, cioè a distanza di diversi mesi dall’emanazione del decreto, tempo ragionevolmente più che sufficiente per consentire il ricorso alla legislazione ordinaria.

Non è rinvenibile, inoltre, un collegamento dell’art. 18 all’obiettivo generale dello stesso decreto legge: la disposizione in esame, infatti, individua espressamente la ragione della sua emanazione nell’attuazione degli articoli 114 e 117, comma 2, lett. p, della Costituzione, ossia nelle norme sulle autonomie locali, mentre l’oggetto e le finalità del decreto risiedono nella necessità di ridurre la spesa pubblica per centrare gli obiettivi imposti all’Italia dall’appartenenza alla Comunità europea.

Sembra del tutto evidente che si tratta anche in questo caso, come ha rilevato la Corte costituzionale per altre fattispecie, di una norma “intrusa“, inserita in un decreto-legge relativo a misure di finanza pubblica. L’art. 77, secondo comma, della Costituzione impone, infatti, il collegamento dell’intero decreto legge al caso straordinario di necessità ed urgenza impedendo di trasformare “il decreto legge in una congerie di norme assemblate soltanto da mera casualità temporale” (da ultimo, Corte cost. sentenza n. 22 del 13 – 16 febbraio 2012). Lo stesso art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1998, n. 400, sulla disciplina dell’attività di Governo, prescrive, in esplicitazione della ratio implicita del secondo comma dell’art. 77 della Costituzione, che il contenuto del decreto legge debba essere “specifico, omogeneo e corrispondente al titolo“.

Nella stessa relazione tecnica di accompagnamento del decreto legge n. 95, manca in relazione all’art. 18 qualsiasi riferimento, anche non quantificato, alle economie di spesa derivanti dall’istituzione di questo nuovo livello di governo.

La “evidente estraneità” della norma rispetto alla materia disciplinata dalle altre disposizioni del decreto legge in cui è inserita, è uno dei parametri di verifica dell’evidenza o meno della “carenza del requisito della straordinarietà del caso di necessità e d’urgenza di provvedere” (Corte cost. sentenze n. 171 del 2007 e 128 del 2008; n. 22 del 2012).Secondo. L’altro aspetto che desta serie perplessità di conformità costituzionale è il previsto scioglimento degli organi elettivi prima della loro naturale scadenza, con la previsione, per decreto, della decorrenza della soppressione delle province e dell’istituzione delle città metropolitane dal 1° gennaio 2014. E’ questo un precedente pericoloso, che si somma all’altra forzatura dell’art. 23, comma 20, del decreto legge n. 201 del 2011 (cosiddetto Salva Italia) di  commissariamento delle province che sarebbero dovute andare al voto nel 2012.

Terzo. La configurazione della città metropolitana come ente di secondo grado, sembra contrastare con gli articoli 5 e 114 della Costituzione, che hanno assimilato nello stesso regime le diverse componenti della Repubblica configurandoli, in particolare, come enti politici rappresentativi della collettività inclusa nell’ambito territoriale di riferimento, e, quindi, come enti di governo elettivi di primo grado.

Oltre ai profili di costituzionalità, si rilevano nella disposizione diverse ambiguità fonte di incertezza interpretativa. La tecnica normativa per la disciplina dell’opzione dei comuni fra la città metropolitana e una provincia limitrofa, in particolare, è talmente confusa, carente e disorganica da risultare irragionevole. Non è previsto il termine per l’esercizio del potere d’iniziativa da parte dei consigli comunali, ricavabile solo dal comma 4 dell’art. 17 sul riordino delle province. Quest’ultima disposizione, infatti, con riferimento all’ “atto legislativo” di iniziativa governativa di riordino delle province, fa riferimento oltre che alle proposte regionali anche alla “contestuale definizione dell’ambito delle città metropolitane di cui all’art. 18, conseguente alle eventuali iniziative dei comuni ai sensi dell’art. 133, primo comma della Costituzione nonché del comma 2 del medesimo articolo 18”.

Non è chiaro il significato di provincia “limitrofa”, cui i comuni dissenzienti possono aderire, specie per gli enti che confinano solo con circoscrizioni provinciali di regioni a statuto speciale o con altri comuni della stessa provincia. Resta il dubbio se l’adesione ad una provincia limitrofa possa essere deliberata solo da un comune oggi confinante con altra provincia oppure, in senso più ampio, anche da altro comune in contiguità territoriale con quello che ha già deliberato l’opzione di adesione alla provincia limitrofa.

Non è chiaro neppure se, per l’individuazione della provincia limitrofa, debba farsi riferimento alla situazione antecedente al piano di riordino delle circoscrizione provinciali di cui all’art. 17 dello stesso decreto, oppure se i comuni deve tenere conto nell’esercizio dell’iniziativa dei nuovi limiti dimensionali previsti per il mantenimento delle province. Ed ancora, se l’iniziativa comunale vincoli la scelta del consiglio delle Autonomie locali (CAL), e della regione e entro quali limiti.

La disciplina – L’art. 18 istituisce le dieci città metropolitane di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria, con contestuale soppressione delle Province dei relativi territori. Il legislatore del 2012 opta, diversamente dal passato, per l’individuazione puntuale delle Città metropolitane.

Prevede, infatti, l’obbligatoria coincidenza del territorio delle Città metropolitane con quello delle province soppresse, mitigandola con la possibilità offerta ai comuni interessati di deliberare, con atto del consiglio, l’adesione, in alternativa alla città metropolitana, ad una provincia limitrofa ai sensi dell’art. 133 della Costituzione (art. 118, c. 2).

Questa è la prima novità di rilievo della nuova disciplina. Come ricordato, le precedenti disposizioni normative prevedevano, invece, che il territorio della città metropolitana potesse coincidere anche solo con parte del territorio provinciale, lasciando la decisone alla Regione (legge n. 142), allo statuto della stessa città metropolitana (Tuel), o alla proposta istitutiva della Città metropolitana (L. 42 del 2009).

Questo aspetto accentua la debolezza del provvedimento e potrebbe decretarne il suo definitivo fallimento. L’obbligatoria coincidenza della città metropolitana con il territorio della provincia non è un modello adeguato per tutte le dieci aree metropolitane. In alcune di queste sarebbe stata più funzionale e realizzabile una “conurbazione”, ossia l’individuazione come territorio della città metropolitana solo dell’area comprendente il comune capoluogo e le altre città che, con la crescita della popolazione e l’espansione urbana, si sono saldate fra loro o con parte del territorio del comune capoluogo, o un’agglomerazione se la città più grande ha inglobato, con la sua espansione, i centri minori.

Decorrenza – La decorrenza della soppressione delle province e dell’istituzione delle città metropolitane è fissata al 1° gennaio 2014, ovvero precedentemente, in caso di cessazione o scioglimento del consiglio provinciale, o di scadenza dell’incarico del commissario entro il 31 dicembre 2013 (comma 1). Non sono stati accolti i diversi emendamenti presentati in sede di conversione tesi a far coincidere l’istituzione della città metropolitana con la scadenza, per qualsiasi ragione, degli organi di governo in carica.

Questo è un altro aspetto di estrema debolezza del provvedimento per i profili di incostituzionalità di cui si è già trattato.

Articolazione facoltativa del territorio del capoluogo – Il comma 2-bis introduce la possibilità di inserire nello statuto della città metropolitana, su proposta del comune capoluogo, deliberata con il voto favorevole dei due terzi dei consiglieri o, in mancanza di questo quorum qualificato, con il voto per due volte favorevole della maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati, l’articolazione del territorio del comune capoluogo in più comuni. In questa ipotesi è prevista l’acquisizione del parere della regione e l’indizione di un referendum fra tutti i cittadini della città metropolitana. Come nel caso del referendum previsto dall’art. 23 della legge 42 del 2009, l’eventuale parere negativo della regione non preclude il proseguimento della procedura di approvazione dello statuto della città metropolitana, ma incide sul quorum di validità della consultazione, fissato al trenta per cento degli aventi diritto, e non richiesto in presenza di un parere positivo regionale.

Nell’ipotesi di frazionamento del comune capoluogo in più comuni, il capoluogo della regione diventa la città metropolitana che comprende nel proprio territorio il comune capoluogo di regione (comma 2-bis). E lo statuto può prevedere che il sindaco metropolitano sia eletto a suffragio universale e diretto (comma 4, lett. c).

Anche la legge n. 142 del 1990 prevedeva la possibilità di istituzione di nuovi comuni per scorporo da aree di intensa urbanizzazione o per fusione di comuni contigui, ma in quel caso, il riordino riguardava l’intero territorio metropolitano, e non solo il comune capoluogo, ed era di competenza della regione art. 20).

Lo stesso Tuel prevedeva che, una volta istituita la città metropolitana, la regione, previa intesa con gli enti locali interessati, potesse procedere alla revisione delle circoscrizioni territoriali dei comuni compresi nell’area metropolitana (art. 25).

Per quanto riguarda la previsione del referendum, si ricorda che la legge 142 del 1990 non prevedeva la consultazione popolare nel procedimento istitutivo della città metropolitana, ma affidava le decisioni alla regione sentiti i comuni interessati.

Il Tuel, invece, richiedeva il referendum confermativo sulla proposta di istituzione della città metropolitana da svolgersi in ogni comune partecipante alla città metropolitana, come presupposto di procedibilità della stessa proposta. Solo, infatti, nel caso di voto favorevole della maggioranza degli aventi diritto espressa nella metà più uno dei comuni partecipanti, la proposta poteva essere presentata dalla regione ad una delle due Camere.

Anche l’art. 23 della legge 42 del 2009 introduceva il referendum sulla proposta istituiva della città metropolitana in via transitoria e sperimentale, con quorum differenziati a seconda del parere favorevole o meno della regione.

Statuto – Le città metropolitane avranno uno statuto provvisorio e uno definitivo. Il contenuto minimo dei due atti è lo stesso (comma 9), mentre diversa è la competenza e la procedura per la loro approvazione.

Lo statuto ha un contenuto obbligatorio ed uno facoltativo. Esso dovrà regolare aspetti organizzativi, che sarebbe stato più opportuno affidare allo strumento regolamentare, quali l’organizzazione interna e le modalità di funzionamento degli organi e le modalità di organizzazione ed esercizio delle funzione. Dovrà, inoltre, regolamentare le forme di indirizzo e di coordinamento dell’azione complessiva di governo del territorio, individuando, ad esempio, gli strumenti che saranno utilizzati per pianificare e programmare le linee generali di politica in questo ambito. Dovrà prevedere, ancora, le modalità con cui la città metropolitana potrà conferire ai comuni, o alle loro forme associative, proprie funzioni, o riceverne.

Lo statuto ha la possibilità, infine, di disciplinare le modalità per  eventuali accordi con i comuni non compresi nel territorio metropolitano e, si aggiunge, tutti gli altri aspetti che la conferenza metropolitana, per il provvisorio, o il consiglio metropolitano, per il definitivo, riterrà opportuno declinare almeno in via di principio.

Rispetto alla precedente disciplina della legge n. 42 del 2009 e del Tuel, il contenuto dello statuto è più limitato, per la scelta costituzionale di riservare alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, oltre alla legislazione elettorale, anche la materia degli organi e delle funzioni fondamentali prima rimessi all’autonomia normativa delle città metropolitane.

Lo statuto provvisorio è di competenza di un apposito organismo temporaneo, la conferenza metropolitana, composta dai sindaci dei comuni del territorio e dal presidente della provincia. La conferenza ha tempo per deliberare lo statuto provvisorio fino al novantesimo giorno antecedente alla scadenza del mandato del presidente della Provincia o del commissario, ove anteriore al 2014, ovvero entro il 31 ottobre 2013.

Per la sua approvazione, è richiesta una maggioranza particolarmente qualificata: il voto dei due terzi dei componenti della Conferenza e, in ogni caso, il voto favorevole sia del sindaco del comune capoluogo che del presidente della provincia. Questo statuto avrà, però, vita breve, in quanto destinato ad essere sostituito da quello definitivo, ragione per cui è difficile giustificare la scelta di predisporre un contenuto normativo così ampio.

Non è chiarito a chi competa la convocazione della Conferenza metropolitana. In applicazione del principio di leale collaborazione, l’organismo dovrebbe essere convocato d’intesa fra il sindaco del comune capoluogo e il presidente della provincia.

Per la perentorietà del termine e, soprattutto, per gli alti quorum di approvazione richiesti, potrebbe accadere che la Conferenza non riesca a deliberare lo statuto provvisorio. In questo caso, scatterà la salvaguardia prevista dal comma 3-ter e il sindaco del comune capoluogo diventerà di diritto il sindaco metropolitano fino all’approvazione dello statuto definitivo da parte del consiglio metropolitano.

Lo statuto definitivo dovrà essere adottato dal consiglio metropolitano a maggioranza assoluta, entro sei mesi dalla prima convocazione e previo parere dei comuni (comma 9).

La norma non richiede per la sua deliberazione una maggioranza qualificata, come per lo statuto provvisorio e come prescritto per gli statuti dei comuni e delle province dall’art. 6, comma 4, del Tuel. Non specifica neppure se il quorum funzionale debba essere calcolato sul numero dei consiglieri assegnati, sui presenti o sui votanti.

Organi – L’art. 18 individua due soli organi della Città metropolitana: il sindaco e il consiglio metropolitano.

La legge n. 142 del 1990 prevedeva, invece, oltre al sindaco e al consiglio, anche la giunta, organi tutti da eleggere a suffragio universale e diretto secondo le modalità ,prevista per le province, fino all’emanazione della nuova legge elettorale specifica.

Il Tuel rimetteva allo statuto di definire l’organizzazione e l’articolazione interna della città metropolitana, prevedendo solo che gli organi andavano eletti nel primo turno utile ai sensi delle leggi vigenti in materia di elezioni degli enti locali (art. 23).

Per ciò che riguarda il “sindaco metropolitano”, l’art. 18 rinvia allo statuto della città metropolitana la scelta se individuare questa figura nel sindaco del comune capoluogo, oppure in un soggetto eletto secondo le modalità per l’elezione del presidente della provincia, o, nell’ipotesi di frazionamento del comune capoluogo in più comuni, eletto a suffragio universale e diretto.

Il “consiglio metropolitano” sarà composto da un minimo di 10 ad un massimo di 16 componenti, a seconda della popolazione residente, eletti in modo indiretto tra i sindaci e i consiglieri dei comuni ricompresi nel territorio della città metropolitana, da un collegio formato da sindaci e consiglieri dei medesimi comuni, secondo le stesse modalità di elezione, da stabilirsi con legge dello Stato, per il consiglio provinciale. L’elezione dovrà avere luogo entro quarantacinque giorni dalla proclamazione del sindaco del comune del capoluogo o contestualmente all’elezione del sindaco metropolitano, a seconda se la scelta dello statuto è stata, rispettivamente, per il sindaco di diritto o per il sindaco eletto.

La titolarità delle cariche di consigliere metropolitano, di sindaco e vicesindaco è solo onorifica e non comporta alcuna forma di remunerazione (comma 10).

La previsione di solo due organi, sindaco metropolitano e consiglio metropolitano, priva le città metropolitane, al pari delle nuove province, dell’organo esecutivo, la giunta, ossia dell’ organo collegiale storico degli enti locali cui la città metropolitana è costituzionalmente equiparata.

Funzioni – Alla città metropolitana compete lo svolgimento delle funzioni fondamentali previste dall’art. 18, di quelle ulteriori eventualmente da conferire dallo Stato e dalla regione in base alla previsione del comma 11-bis, e, nel caso, dai comuni con le modalità stabilite dallo statuto.

Manca un riferimento al necessario coordinamento delle funzioni metropolitane con quelle comunali e regionali per le materie in cui la normativa prevede il concorso di più livelli di governo, presente invece nella legge 142 del 1990, secondo cui “.. la legge regionale, nel ripartire fra i comuni e la città metropolitana le funzioni amministrative, attribuisce alla città metropolitana, oltre alle funzioni di competenza provinciale, le funzioni normalmente affidate ai comuni quando hanno precipuo carattere sovracomunale o debbono, per ragioni di economicità ed efficienza, essere svolte in forma coordinata nell’area metropolitana ..” (art. 19).

Sarebbe stato opportuno richiamare il principio, nei fatti fortemente disatteso nel decentramento amministrativo dell’ultimo decennio, dell’assoluta unicità delle competenze per ogni componente della Repubblica, sancito dalla legge 15 marzo 1997, n. 59, secondo cui fra i criteri da osservare nel decentramento delle funzioni, rileva anche quello “… di responsabilità ed unicità dell’amministrazione, con la conseguente attribuzione ad un unico soggetto delle funzioni e dei compiti connessi, strumentali e complementari, e quello di identificabilità in capo ad un unico soggetto anche associativo della responsabilità di ciascun servizio o attività amministrativa”.

Alle Città metropolitane sono attribuite, innanzitutto, le funzioni fondamentali delle province (comma 7), e, quindi, quelle elencate al comma 10 dell’art. 17:

a) coordinamento ed indirizzo dell’attività dei comuni;

b) pianificazione territoriale provinciale di coordinamento;

c) tutela e valorizzazione dell’ambiente, per gli aspetti di competenza;

d) pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale;

e) autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato;

f) costruzione, classificazione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente.

g) programmazione della rete scolastica e gestione dell’edilizia scolastica relative alle scuole secondarie di secondo grado;

Son assegnate, inoltre, al nuovo ente le seguenti ulteriori funzioni, qualificate anch’esse come fondamentali:

a) la pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali;

b) la strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, nonché organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano;

c) la mobilità e viabilità;la promozione e il coordinamento dello sviluppo economico e sociale;

Il bagaglio delle funzioni delle città metropolitane sarà arricchito dalla funzioni conferite dallo Stato e dalle regione e, eventualmente, dai comuni dell’area metropolitana.

Lo Stato e le regioni, infatti, ciascuno per le proprie competenze, sono tenuti ad attribuire alle Città metropolitane ulteriori funzioni, in attuazione dei principi costituzionali di sussidiarietà, di differenziazione e adeguatezza (comma 11-bis). Anche i comuni potranno conferire alla città metropolitana ulteriori funzioni con le modalità previste dallo statuto metropolitano (comma 9, lett. d).

Il conferimento delle funzioni dovrà essere accompagnato, in ogni caso, dalla definizione delle risorse strumentali, finanziarie e umane per il loro svolgimento.

Sono assegnate, comunque, alle città metropolitane il patrimonio, le risorse umane e strumentali delle province soppresse.

La legge n. 142 del 1990 demandava alla legge regionale di attribuire alla città metropolitana, oltre alle funzioni di competenza provinciale, le funzioni normalmente affidate ai comuni di precipuo carattere sovracomunale o da svolgere, per ragioni di economicità ed efficienza, in forma coordinata nell’area metropolitana, nell’ambito delle materie della pianificazione territoriale dell’area, della viabilità, del traffico e dei trasporti, e di tutela e valorizzazione dei beni culturali e dell’ambiente; della difesa del suolo, della tutela idrogeologica; della tutela e valorizzazione delle risorse idriche, smaltimento dei rifiuti, ecc (art. 19).

Il Tuel, invece, oltre alle funzioni della provincia, rinviava allo statuto della città metropolitana la definizione delle funzioni (art. 23)

Regole applicabiliAlle città metropolitane si applicano le norme del Tuel relative ai comuni e quelle sull’autonomia normativa dell’art. 4 della legge 131 del 2003.

Sul punto, è da annotare che in sede di conversione è stata aggiunta la precisazione che il riferimento alle norme del Tuel è solo a quelle relative ai comuni. Mentre nella legislazione precedente il rinvio era stato operato con riferimento, in prevalenza, all’ordinamento delle province.

4. Considerazioni conclusive

Il giudizio complessivo su questo ennesimo tentativo di disciplina delle città metropolitane è negativo, in discordanza con l’opinione maggioritaria che, semmai si limita a chiosare su aspetti specifici della nuova disciplina, ma non ne contesta nel suo complesso l’impianto.

Sembra che il nuovo modello di città metropolitana disegnato dall’art. 18 della spending review sia un ritorno al passato, alla disciplina uniforme e rigida della prima normativa organica in materia del 1990, di cui riproduce, aggravandoli, difetti, carenze e rigidità.

Il decreto n. 95/2012, infatti, anziché far tesoro dell’esperienza dei passati fallimenti, insiste su uno schema unico, astratto ed omogeneo di città metropolitana entro cui assumere rigidamente tutte le situazioni territoriali individuate dalla stessa norma.

Irrigidisce, addirittura, la soluzione strutturale della riforma dei poteri locali del 1990, eliminando, con la forzata coincidenza del territorio metropolitano con quello provinciale, anche l’ipotesi di definire un’area più ristretta comprendente solo il comune capoluogo e i comuni urbani collegati.

L’art. 18 del decreto – legge n. 95 abbandona, in via definitiva, con la scelta del rigido modello sovracomunale e strutturale della legge n. 142 del 1990, la possibilità di una soluzione meramente funzionalistica e volontaria. strutturata sul modello francese, come abbozzata dal Tuel con la possibilità offerta alla regione di optare, in alternativa alla città metropolitana, per l’azione di cooperazione collaborativa dei comuni (art. 24 Tuel).

Il progetto risente anche della complessità e delle ambiguità di quello di riordino delle province avviato dall’art. 17 dello stesso decreto – legge n. 95, cui è fortemente collegato per due ragioni. Primo: l’iniziativa legislativa di riordino delle province dovrà tenere conto anche delle iniziative dei comuni delle istituende città metropolitane di aderire ad altra provincia limitrofa (art. 17, c.4). In secondo luogo, considerato che le città metropolitane sono chiamate a svolgere anche le funzioni provinciali, occorrerà attendere il decreto che definirà l’elenco di quelle sottratte alle province e trasferite ai comuni (art. 17, c. 6).

Il progetto è destinato ad un probabile insuccesso e, se attuato, rischia di consegnare alla collettività solo una nuova provincia, rinominata “città metropolitana”; lo stesso ente provinciale rafforzato nelle funzioni di area vasta, ma fortemente indebolito nella sua rappresentatività democratica della collettività amministrata a causa dell’elezione indiretta dei suoi organi di governo.

Un ente, in altri termini, nuovo solo nella forma, inadeguato a risolvere le complesse problematiche delle concentrazioni urbane e delle “città – diffuse” di cui si è fatto cenno in premessa.

A ben vedere, in una prospettiva de jure condendo, il maggior difetto della disciplina dell’articolo 18 consiste nel non aver saputo cogliere, nel merito, la specificità della città metropolitana.

E’ abbastanza evidente come l’attivazione di questo ente sia fortemente connessa alla possibilità, da parte del legislatore, di dimostrare che siano state simmetricamente “tagliate” altrettante province. Come si è detto, di fatto la configurazione delle città metropolitane nel d.l. n. 95/2012 è sostanzialmente quella di una provincia sotto altro nome, sia pur con la differenza di qualche funzione fondamentale in più.

E’ proprio, tuttavia, sulle funzioni, più che sulla dimensione territoriale (comunque strategica) che il legislatore dovrebbe puntare per dare effettività ad un ente come la città metropolitana ed evitare il rischio di un cambiamento gattopardesco, volto a non modificare nulla. La peculiarità di una città metropolitana non discende dall’esercizio delle funzioni “di area vasta” o, comunque, da riservare ad un ente intermedio tra il comune e la regione.

Non ha alcuna rilevanza, per la fisionomia e la funzione di una città metropolitana vera e propria, affidarle, ad esempio, la funzione provinciale qualificata come fondamentale della “programmazione provinciale della rete scolastica e gestione dell’edilizia scolastica relativa alle scuole secondarie di secondo grado”.

Una città metropolitana vera e propria deve attendere al fondamentale compito, piuttosto, di assicurare nell’hinterland composito e complesso che la caratterizza orari, trasporti pubblici, collegamenti telematici, ecc  coordinati, evoluti e sviluppati.

La funzione fondamentale della “mobilità e viabilità” risulta, allora, quella rilevante e strategica, ma si dovrebbe specificare che il sindaco metropolitano dovrebbe assumere al posto dei sindaci dei comuni dell’area metropolitane anche le competenze proprie di quest’ultimi in questo ambito.

La città metropolitana, insomma, tale è solo ed esclusivamente se non risulti la mera riconfigurazione politico-amministrativo-geografica di una provincia: a questo punto, basterebbe rivedere le funzioni di tutte le province alla luce di quanto prevede l’articolo 18 della legge 135/2012 (e forse non sarebbe una cattiva idea), per dare un minimo di razionalità all’intervento oggettivamente frettoloso, sconnesso e poco efficace della “spending review”.

Un altro esempio riguarda la non ben definita funzione fondamentale relativa alla “promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale”. Si tratta solo di un titolo, che andrebbe arricchito di contenuti e, soprattutto, ben tarato rispetto alle rilevanti e pervasive competenze che in tema di sviluppo economico e sociale hanno Stato e regioni. Basti pensare, ad esempio, al tema delle vertenze per esuberi lavorativi delle grandi aziende, degli incentivi alle imprese, del sostegno ad infrastrutture e telematica, all’operato di promozione delle Camere di commercio.

Nessun ente locale, non il comune, non le province, assume parte effettivamente attiva in politiche di sviluppo di questo genere. I comuni possono creare l’humus per progetti di sviluppo, mediante una pianificazione territoriale e sociale adeguata. Le province possono concorrere allo sviluppo con le politiche attive del lavoro (fin quando e se resteranno loro appannaggio), ma non attraverso iniziative per l’incentivazione delle attività economiche.

Sull’esempio di Roma Capitale, la città metropolitana per essere realmente utile e diversa dagli altri enti locali dovrebbe essere, allora, dotata di specifiche competenze, sottratte a Stato e regioni o, in alcuni casi, in concorso con esse, finalizzate allo sviluppo economico. I grandi appalti per i nodi autostradali, gli aeroporti; le vertenze sulle crisi aziendali delle grandi aziende (che impiegano generalmente lavoratori dell’hinterland); le iniziative di promozione dell’economia e delle aziende anche all’estero (caso Expo, ad esempio). Sono queste, per fermarsi a qualche esempio, le funzioni che dovrebbero caratterizzare le città metropolitane per rendere davvero utili per il territorio.

Se si partisse da un’analisi concreta di quello che una città metropolitana dovrebbe fare e, dunque, quali competenze gestire, risulterebbe anche più semplice comprendere come non sempre, nella realtà quasi mai, l’estensione territoriale della città metropolitana debba coincidere con quella della provincia cui succederebbe. Si prenda il caso eclatante di Venezia: a parte il fatto che la città di Venezia, la laguna, farebbero di essa un caso a parte, più una “  città – stato” (sul modello delle anseatiche tedesche) che non una città metropolitana, comprendendo, comunque, Mestre e Marghera, si capisce perfettamente che con la città metropolitana veneziana nulla abbiano a che fare i territori dell’est dell’attuale provincia, proiettati economicamente e territorialmente, verso il Friuli Venezia Giulia. Per comuni come San Michele al Tagliamento, Gruaro, San Donà di Piave, Portogruaro, Concordia Sagittaria, ecc è più Pordenone o Udine il polo di attrazione economico, ospedaliero e lavorativo, che non Venezia.

La città metropolitana veneziana, pertanto, se realmente mirata alle necessità di collegamenti, economiche, lavorative del suo reale hinterland, dovrebbe contenersi entro confini molto più ristretti di quelli della provincia cui succederebbe.

La frettolosità con la quale il dl. n. 95/2012 prova a ridisegnare gli assetti delle province e, di conseguenza, delle città metropolitane, mentre svuota le prime, non riesce a caratterizzare e finalizzare utilmente le seconde.

L’impressione è, dunque, di un disegno non solo incompiuto, ma lasciato solo allo stato embrionale, per dare un “segnale” di cambiamento, senza che effettivamente sul piano ordinamentale le potenzialità della città metropolitana siano nemmeno minimamente attivate nella loro pienezza.

In questo senso, il tentativo di attivare le città metropolitane appare condizionato dalla frettolosità e sommarietà del complesso del “riordino” delle province, come dimostra il più evidente degli elementi di criticità della norma: la sostanziale sovrapposizione delle città metropolitane alle province soppresse, il che determina l’effetto del semplice “cambio del nome” dell’istituzione.

 

 


 

 

 


 



[1]     Camera dei deputati, Seduta 13 settembre 2012, n. 685, Risposta all’interpellanza urgente n. 2-01647.

[2]     Presidenza del Consiglio dei ministri. Dipartimento delle riforme istituzionali. Nota 3 agosto 2012, Riordino delle Province e loro funzioni (http://www.funzionepubblica.gov.it).

[3]     Si legge inoltre nella relazione governativa che “anche a voler prescindere dalla considerazione che, trattandosi di un riordino complessivo, non trova applicazione l'art. 133 della Costituzione, va rilevato in ogni caso che detto articolo è, nella sostanza, rispettato, visto che i comuni sono pienamente coinvolti tramite il Consiglio delle autonomie locali”.

[4]     Presidenza del Consiglio dei ministri. Dipartimento per le riforme istituzionali, Le province: istruzioni per l’uso [13 settembre 2012]

[5]     D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici (convertito L. 22 dicembre 2011, n. 214).

[6]     Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici.

[7]     Si tratta delle zone comprendenti i comuni delle maggiori città italiane (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari e Napoli) e i comuni ad essi vicini e legati da stretti rapporti economici e sociali. Le regioni a statuto speciale individuano autonomamente le zone dove costituire le aree metropolitane. Le disposizioni del TUEL disciplinano la modalità di costituzione delle città metropolitane.