Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Adeguamento alla media europea degli stipendi, emolumenti, indennità degli eletti negli organi di rappresentanza nazionale e locale - A.C. 5105 - Elementi per l'istruttoria legislativa
Riferimenti:
AC N. 5105/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 678
Data: 05/09/2012
Descrittori:
ASSESSORI E ASSESSORATI COMUNALI   ASSESSORI E ASSESSORATI PROVINCIALI
ASSESSORI E ASSESSORATI REGIONALI   CONSIGLIERI COMUNALI
CONSIGLIERI PROVINCIALI   CONSIGLIERI REGIONALI
INDENNITA' PARLAMENTARE   PARLAMENTARI
PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI   PRESIDENTE DEL CONSIGLIO O ASSEMBLEA REGIONALE
RETRIBUZIONE   SINDACI DI COMUNI
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni

 

5 settembre 2012

 

n. 678/0

 

Adeguamento alla media europea degli stipendi, emolumenti, indennità degli eletti negli organi di rappresentanza nazionale e locale

A.C. 5105

Elementi per l’istruttoria legislativa

 

 

Numero del progetto di legge

A.C. 5105

Titolo

Adeguamento alla media europea degli stipendi, emolumenti, indennità degli eletti negli organi di rappresentanza nazionale e locale

Iniziativa

Popolare

Iter al Senato

No

Numero di articoli

1

Date:

 

presentazione o trasmissione alla Camera

29 marzo 2012

assegnazione

3 maggio 2012

Commissione competente

I (Affari costituzionali)

Sede

Referente

Pareri previsti

V (Bilancio), XI (Lavoro), Questioni regionali

 


Contenuto

La proposta di legge, di iniziativa popolare, consta di un solo articolo. Esso prevede che i parlamentari eletti al Senato della Repubblica e alla Camera dei deputati, il Presidente del Consiglio dei ministri, i consiglieri e gli assessori regionali, provinciali e comunali, i governatori delle regioni, i presidenti delle province, i sindaci, i funzionari nominati nelle aziende a partecipazione pubblica e soggetti equiparati non possano percepire, a titolo di stipendi, emolumenti, indennità, tenuto conto del costo della vita e del potere reale di acquisto nell'Unione europea, somme superiori alla media europea degli stipendi, emolumenti e indennità percepiti negli altri Paesi membri dell'Unione per incarichi equivalenti.

Relazioni allegate

Al provvedimento è allegata la relazione illustrativa.

 

 

Necessità dell’intervento con legge

La proposta di legge dispone nella materia dei limiti dei trattamenti economici erogati per cariche elettive, per cariche oggetto di nomina, o per rapporti di lavoro.

In tale materia, con riferimento ai trattamenti economici erogati a carico della finanza pubblica per rapporti di lavoro dipendente o autonomo, sono già intervenuti diversi provvedimenti, tra i quali si ricordano: la legge n. 296/2006, finanziaria per il 2007[1], (art. 1, co. 593), la legge n. 244/2007, finanziaria per il 2008[2], (art. 3, co. 44-52-bis), il decreto-legge 97/2008, l’art. 4-quater, comma 52-bis, il regolamento adottato con il DPR 5 ottobre 2010, n. 195[3].  Le discipline illustrate non recano alcuna clausola espressa in merito alla perdurante vigenza o, di contro, all’abrogazione della disciplina precedente, fatta eccezione per quella prevista dall’art. 1, comma 593, della legge 296/2006.

Con l’art. 9 del D.L. 78/2010, conv. con modificazioni dalla L. 122/2010, sono state disposte misure di contenimento delle spese in materia di pubblico impiego, tra cui la riduzione della misura di specifici trattamenti economici.

Tra le fonti normative più recenti, con riferimento anche ai trattamenti economici per cariche elettive, vi sono l’art. 1 del D.L.98/11 modificato dall’art. 1, comma 33, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138[4], nonché l’art. 23 ter del D.L. 201/2011.

In particolare, l’art. 1 del D.L.98/11al comma 1, primo periodo, stabilisce che il trattamento economico omnicomprensivo annualmente corrisposto ai titolari di cariche elettive ed incarichi di vertice o quali componenti degli organismi, enti e istituzioni, anche collegiali, elencati nell’allegato A del provvedimento, non può superare la media, ponderata rispetto al PIL, degli analoghi trattamenti economici percepiti dai titolari di omologhe cariche negli altri sei principali Stati dell'area euro. Il comma 1, secondo periodo, stabilisce per i componenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, fermo il principio costituzionale di autonomia delle Camere, che il costo relativo al trattamento economico omnicomprensivo annualmente corrisposto in funzione della carica ricoperta non può superare la media del costo relativo ai componenti dei Parlamenti nazionali. Il comma 2 dispone che il tetto di cui sopra si applica anche ai segretari generali, ai capi dei dipartimenti, ai dirigenti generali e ai titolari degli uffici a questi equiparati, definendo, ai soli fini del comma de quo, il trattamento economico omnicomprensivo come il complesso delle retribuzioni e delle indennità a carico delle pubbliche finanze percepiti dal titolare delle predette cariche, ivi compresi quelli erogati dalle amministrazioni di appartenenza. Ai sensi del comma 4, le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 costituiscono, norme di principio in materia di coordinamento della finanza pubblica ex art. 117, comma 3 della Costituzione. LE Regioni sono tenute a adeguare la propria legislazione alle previsioni suddette. Le Regioni a statuto speciale e le Province autonome devono adeguare la propria legislazione alle disposizioni di cui ai commi precedenti, secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione. Il comma 6, infine, stabilisce che le suddette disposizioni, ad eccezione del comma 3, si applicano a decorrere dalle prossime elezioni, nomine o rinnovi, e, comunque, per i compensi, le retribuzioni e le indennità che non siano stati ancora determinati, alla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame.

Inoltre, l’art. 23 ter del D.L. 201/2011 ha previsto l’emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, per definire il trattamento economico annuo onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali, di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001 e successive modificazioni, ivi incluso il personale in regime di diritto pubblico di cui all’art. 3 del medesimo decreto legislativo, e successive modificazioni, stabilendo come parametro massimo di riferimento il trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione.

In attuazione di tale previsione il D.P.C.M. 23 marzo 2012 ha fissatoil limite di trattamento economico annuale complessivo a euro 293.658,95, cifra equivalente a quella spettante per la carica al Primo Presidente della Corte di cassazione nell'anno 2011.

 

In materia di compensi per gli amministratori e per i dipendenti delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni è intervenuto l’art. 23 bis del D.L. 201/2011 e successive modificazioni. Tale articolo, oltre a rinviare a decreto del Ministro dell’economia una classificazione delle società non quotate finalizzata alla limitazione dei compensi erogabili, da emanare entro il 31 maggio 2012, al comma 5 bis, ha disposto che il compenso stabilito ai sensi dell'articolo 2389, terzo comma, del codice civile, dai consigli di amministrazione delle società non quotate, direttamente o indirettamente controllate dalle pubbliche amministrazioni, non può comunque essere superiore al trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione; inoltre, al comma 5-ter, ha previsto che il trattamento economico annuo onnicomprensivo dei dipendenti delle società non quotate di cui al comma 5-bis non può comunque essere superiore al trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione. dl 95/2012

 

Con specifico riferimento agli enti territoriali, si ricordano gli interventi normativi previsti: dall’articolo 3 del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 marzo 2010, n. 42 , che, a fini di coordinamento della finanza pubblica e per il contenimento della spesa pubblica, ha previsto che ciascuna regione definisca l'importo degli emolumenti e delle utilità, comunque denominati, ivi compresi l'indennità di funzione, l'indennità di carica, la diaria, il rimborso spese, a qualunque titolo percepiti dai consiglieri regionali in virtù del loro mandato, in modo tale che, ove siano maggiori, non eccedano complessivamente, in alcun caso, l'indennità massima spettante ai membri del Parlamento; dall’art. 6, comma 3, del decreto-legge n. 78 del 2010, per il quale “a decorrere dal 1° gennaio 2011, le indennità, i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le altre utilità comunque denominate, corrisposti dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell’art. 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati ed ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo, sono automaticamente ridotte del 10 per cento rispetto agli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010; dall’art. 14 del D.L. 138/2011, conv. con modificazioni dalla L.148/2011, che ha disposto anche una riduzione del numero dei consiglieri e degli assessori regionali, disponendo che le regioni prevedano che il trattamento economico dei consiglieri regionali sia commisurato all'effettiva partecipazione ai lavori del Consiglio regionale.

 

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

La proposta di legge pone un limite ai trattamenti economici erogabili da parte degli enti territoriali, anche con riferimento a cariche elettive.

Tale materia appare riconducibile al coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 117 Cost., comma terzo.

Il coordinamento della finanza pubblica - insieme con quello del sistema tributario e l’armonizzazione dei bilanci pubblici – è materia di legislazione concorrente, rispetto alla quale spetta allo Stato la determinazione dei principi fondamentali. Secondo il costante orientamento della Corte costituzionale, le disposizioni statali possono solo prevedere «criteri ed obiettivi cui dovranno attenersi le Regioni e gli enti locali nell'esercizio della propria autonomia finanziaria, senza invece imporre loro precetti specifici e puntuali (e plurimis sentenze n. 157 e 95 del 2007, n. 449 del 2005 e n. 390 del 2004).». In siffatta prospettiva, secondo la Corte, risulta quindi decisivo verificare se «la norma statale, emanata nell’esercizio della competenza concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica, sia di principio ovvero di dettaglio, dovendosi considerare soltanto in quest’ultimo caso illegittima. Né, ove fosse di principio, sarebbe necessaria la previsione di un meccanismo di coinvolgimento regionale nella scelta dei contenuti della relativa disciplina.». Come è noto, «la portata di principio fondamentale va riscontrata con riguardo alla peculiarità della materia […] nel coordinamento della finanza pubblica, ciò che viene in particolare evidenza è la finalità cui la disciplina tende» (C. cost. n. 139/2009).

Con riferimento a singole disposizioni e sulla base dei principi enunciati, la Corte ha, ad esempio, ritenuto infondate le questioni di legittimità costituzionale riferite ad una disposizione che prevedeva l’adozione da parte delle regioni di disposizioni, normative o amministrative, finalizzate ad assicurare la riduzione degli oneri degli organismi politici e degli apparati amministrativi, con particolare riferimento alla diminuzione dell'ammontare dei compensi e delle indennità dei componenti degli organi rappresentativi e del numero di questi ultimi, con un miglioramento dei saldi dei bilanci regionali del 10 per cento rispetto all’anno precedente (sentenza n. 159/2008). Contra, la Consulta ha dichiarato l’incostituzionalità della riduzione delle indennità corrisposte ai titolari degli organi politici regionali nella misura del 10 per cento rispetto alla data del 30 settembre 2005, poiché porrebbe «un precetto specifico e puntuale, comprimendo l’autonomia finanziaria regionale» (sentenza n. 157/2007).

Con la sentenza 182/2011, la Consulta ha ricordato che“secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il legislatore statale, con una “disciplina di principio”, può legittimamente «imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti» (sentenza n. 36 del 2004; si veda anche la sentenza n. 417 del 2005). Questi vincoli, perché possano considerarsi rispettosi dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali, devono riguardare «l’entità del disavanzo di parte corrente oppure – ma solo “in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale” – la crescita della spesa corrente». In altri termini, la legge statale può stabilire solo un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (sentenze n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004; si vedano anche le sentenze n. 88 del 2006 e n. 449 del 2005).

 

Con la sent. 151/2012 la Corte costituzionale ha ritenuto indenne da censure di legittimità l’ultimo periodo del comma 7 dell’art. 5 del decreto-legge n. 78 del 2010 che ha previsto che agli amministratori di comunità montane e di unioni di comuni e comunque di forme associative di enti locali non possono essere attribuite retribuzioni, gettoni e indennità o emolumenti in qualsiasi forma siano essi percepiti. In particolare, alle norme è stato ricondotto l’obiettivo di ridurre la spesa pubblica corrente per il funzionamento di tali organismi attraverso una disciplina uniforme, che coordina la legislazione del settore e, pertanto, è riconducibile alla materia «coordinamento della finanza pubblica», di competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. “.

 

Con riferimento all’art. 14 del D.L. 138/2011, conv. con modificazioni dalla L.148/2011, sopra ricordato, la sent. 198/2012 ha ritenuto infondate le censure di costituzionalità sollevate dalle regioni a statuto ordinario in quanto essa detta parametri diretti esplicitamente al «conseguimento degli obiettivi stabiliti nell’ambito del coordinamento della finanza pubblica»; inoltre, ad avviso della Corte, il «tetto» all’ammontare degli emolumenti dei consiglieri, che non possono essere superiori a quelli previsti per i parlamentari “costituisce un limite complessivo, che lascia alle Regioni un autonomo margine di scelta”; la stessa valutazione è stata estesa dalla Consulta alla previsione della commisurazione del trattamento economico dei consiglieri regionali all’effettiva partecipazione ai lavori del Consiglio, in quanto “precetti di portata generale per il contenimento della spesa”.  Analoghe considerazioni sono contenute nelle sentenze n. 182 e n. 91 del 2011; n. 326 del 2010 e n. 297, n. 284 e n. 237 del 2009.

Tuttavia, la stessa sent. 198/2012 ha ritenuto incostituzionali le stesse disposizioni con riferimento alle regioni a statuto speciale, in quanto “la disciplina relativa agli organi delle Regioni a statuto speciale e ai loro componenti è contenuta nei rispettivi statuti. Questi, adottati con legge costituzionale, ne garantiscono le particolari condizioni di autonomia, secondo quanto disposto dall’art. 116 Cost. L’adeguamento da parte delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome ai parametri di cui all’art. 14, comma 1, del decreto-legge n. 138 del 2011 richiede, quindi, la modifica di fonti di rango costituzionale. A tali fonti una legge ordinaria non può imporre limiti e condizioni”.

 

Rispetto degli altri princìpi costituzionali

La proposta di legge non specifica l’ambito temporale di applicazione con riferimento ai rapporti giuridici in essere e a quelli non ancora costituiti.

Pertanto giova ricordare che in tema di lavoro pubblico è stato elaborato il principio del divieto di reformatio in peius dalla giurisprudenza, sulla base della disposizione di cui all’articolo 202del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato. Questo principio trova riscontro nel rapporto di lavoro privato nell’art. 2103 c.c. (Mansioni del lavoratore), nel quale si ritiene generalmente fondato il principio di irriducibilità della retribuzione,interpretato in sede giurisprudenziale nel senso che  “la retribuzione concordata al momento dell'assunzione non è riducibile neppure a seguito di accordo tra il datore e il prestatore di lavoro ed ogni patto contrario è nullo in ogni caso in cui il compenso pattuito anche in sede di contratto individuale venga ridotto. (v. Cass. civ. Sez. lavoro 27ottobre 2003 n. 16106; v. anche Cass. civ. Sez. lavoro 7 dicembre 2000 n. 15517; Cass. civ. Sez. lavoro 8 settembre 1997 n. 87049).

In merito all’estensione dell’ambito soggettivo di applicazione del suddetto principio, si rileva che esso – nato storicamente per i soli dipendenti di amministrazioni statali – è stato successivamente esteso dalla giurisprudenza ai dipendenti delle aziende autonome statali e di altri enti pubblici e dunque alla generalità dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, tanto da far affermare alla stessa Corte Costituzionale, con riferimento al trattamento economico di dipendenti di enti regionali, che “il divieto di una siffatta reformatio è ormai talmente consolidato che non occorre neppure menzionarlo nelle disposizioni di legge che hanno ad oggetto il trattamento medesimo: si tratta di un principio generale elaborato e costantemente affermato dalla giurisprudenza” (Corte Cost., 6 maggio 1985, n.153).

Questo orientamento è rimasto sostanzialmente confermato dalla giurisprudenza successiva, tanto che, quando la Corte costituzionale non ha ritenuto di accogliere questioni di legittimità relative al mutamento di profili attinenti allo stato economico di lavoratori, ha sempre fatto riferimento a questioni peculiari dei casi scrutinati.

In particolare, da alcune successive pronunce della giurisprudenza costituzionale, risulta che la possibilità di ridurre unilateralmente la retribuzione in atto non corrisponde ad un discrezionale ius variandi, ma è collegata ad una oggettiva modificazione della prestazione lavorativa, o ad una nuova (non arbitraria) valutazione della qualità di essa, o a scelte lavorative operate dallo stesso lavoratore (nella fattispecie la libera attività professionale) o, ancora, al carattere del tutto temporaneo dei sacrifici richiesti (Corte Cost., 19 giugno 1998, n. 219 e 20 luglio 1999, n. 330, sent. n. 245/1997 e ord. n. 299/1999).

Non mancano, inoltre, pronunce della Corte costituzionale nelle quali è altresì evidenziato nella materia de quo il profilo del legittimo affidamento. Infatti, la recente sentenza della Corte costituzionale n. 271 del 2011 ha ribadito (cassando la norma regionale che ridefiniva, riducendola, un’indennitàprevista per dipendenti titolari di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato) che il legittimo affidamento nella sicurezza giuridica costituisce elemento fondamentale dello Stato di diritto (e plurimis: sentenze n. 209 del 2010 e n. 236 del 2009) non violabile in modo irragionevole ex art. 3 Cost..

Per le misure di riduzione di trattamenti economici previste dall’art. 9 del D.L. 78/2010, già citate, si fa presente che pende questione di legittimità costituzionale avanti alla Corte costituzionale a seguito di ordinanze di rimessione del giudice amministrativo (Tar Umbria ord. n. 155/2011, Tar Salerno ord. n. 1162/2011).

 

Incidenza sull’ordinamento giuridico

Coordinamento con la normativa vigente

Come sopra ricordato, il provvedimento interviene in materia in cui già dispongono altre fonti normative come l’art. 1 del D.L.98/11. In particolare il comma 3 di tale articolo ha previsto l’istituzione, con D.P.C.M. da adottarsi entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto in esame,di una Commissione, presieduta dal Presidente dell’ISTAT e composta da quattro esperti, che durano in carica quattro anni, la quale, entro il 1° luglio di ciascun anno e con provvedimento pubblicato in Gazzetta Ufficiale, provvede alla ricognizione e all’individuazione della media dei trattamenti economici di cui sopra riferiti all’anno precedente, ed aggiornati all'anno in corso sulla base delle previsioni dell'indice armonizzato dei prezzi al consumo contenute nel documento di economia e finanza. La ricognizione e l'individuazione riferite all'anno 2010 sono provvisoriamente effettuate entro il 31 dicembre 2011 ed eventualmente riviste entro il 31 marzo 2012.

 

Dal comunicato stampa del 4 aprile del 2012 pubblicato sul sito della Presidenza del Consiglio risulta che “Il 30 marzo 2012 la Commissionegovernativa presieduta da Enrico Giovannini ha trasmesso al Governo il rapporto finale per l’anno 2011, rimettendo il mandato affidatole dal Parlamento nel luglio 2011. Alla Commissione Giovannini erano state affidate due funzioni: realizzare un’attenta ricognizione dei trattamenti economici percepiti annualmente dai titolari di cariche e incarichi pubblici nei sei principali Stati dell’Area Euro; e, sulla base dei risultati ottenuti, calcolarne la media ponderata rispetto al PIL. Il rapporto – che segue e completa il primo rapporto, pubblicato a dicembre 2011 – ha tuttavia posto in evidenza le criticità che, secondo la Commissione, hanno impedito di portare a compimento la ricognizione determinando la sua decisione di rimettere il mandato ricevuto. Il Governo prende atto del lavoro svolto dalla Commissione e proseguirà la propria azione nell’obiettivo di giungere ad una razionalizzazione dei trattamenti retributivi in carico alle amministrazioni pubbliche, tenendo conto dell’indisponibilità dei dati di riferimento negli altri paesi europei. Il Governo è consapevole della necessità di completare nel più breve tempo possibile il percorso avviato nel luglio 2011 e proseguito con l’attuazione delle norme contenute nel decreto Salva Italia per il contenimento delle retribuzioni dell’alta dirigenza nei limiti del tetto previsto”.

 

Collegamento con lavori legislativi in corso

La materia dei limiti dei trattamenti economici erogati a carico delle finanze pubbliche è oggetto delle proposte di legge AC 4901 e 5035, all’esame delle Commissioni I e XI, limitatamente ai trattamenti inerenti rapporti di lavoro autonomo e dipendente.

Formulazione del testo

La formulazione del testo consente un’immediata individuazione della platea dei destinatari della misura prevista solo per le cariche elettive o per quelle oggetto di  nomina.

Appare invece necessario un approfondimento dell’interpretazione della clausola “funzionari di aziende a partecipazione pubblica e soggetti equiparati” al fine di individuare i destinatari della misura prevista nel comparto del lavoro dipendente e chiarire se la stessa misura possa riguardare anche il lavoro autonomo. Tale attività interpretativa dovrebbe avere ad oggetto anche il soggetto erogatore delle somme, chiarendone la natura giuridica e valutando gli effetti di un’eventuale estensione delle disposizioni in esame anche a soggetti di natura.

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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[1] L. 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[2] L. 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[3] Regolamento recante determinazione dei limiti massimi del trattamento economico onnicomprensivo a carico della finanza pubblica per i rapporti di lavoro dipendente o autonomo.

[4]     "Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo", convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148.