Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Biblioteca - Ufficio Legislazione straniera
Titolo: A.C. 5052 La disciplina della golden share in Belgio, Regno Unito e Spagna
Riferimenti:
AC N. 5052/XVI     
Serie: Note informative sintetiche    Numero: 34    Progressivo: 2
Data: 28/03/2012
Descrittori:
BELGIO   GRAN BRETAGNA
PRIVATIZZAZIONI   SPAGNA
Organi della Camera: V-Bilancio, Tesoro e programmazione
VI-Finanze

Testatine Biblioteca pdl.jpg

 

 

NOTE INFORMATIVE SINTETICHE

 

 

 

N. 34/II – 28 marzo 2012


 

A.C. 5052

 

La disciplina della golden share in Belgio, Regno Unito e Spagna

 

 

In Belgio l’action spécifique (definizione in lingua francese della golden share) è prevista soltanto in alcune società privatizzate riguardanti il settore dell’energia, tra le quali laSociété nationale de transport par canalisations (SNTC), specializzata nelle condutture e proprietaria delle canalizzazioni che costituiscono le grandi infrastrutture di trasporto interno di prodotti energetici,  e la Société de distribution du gaz (DISTRIGAZ), importante impresa belga i cui attivi di rilevanza strategica sono rappresentati dalle infrastrutture per il trasporto interno e lo stoccaggio di gas, compresi i punti di sbarco e transfrontalieri.

In particolare la golden share, istituita dagli Arrêtés Royaux del 10 giugno 1994 e del 16 giugno 1994 (in particolare dai rispettivi artt. 1, 3 e 4), nei confronti di SNTC e DISTRIGAZ consiste in poteri speciali di opposizione riconosciuti al Governo. 

Il Ministro incaricato per l’energia ha il diritto di opporsi ad operazioni di cessione, assegnazione a titolo di sicurezza o a variazioni di destinazione degli investimenti sociali (operazioni che devono essere necessariamente notificate al Ministro), che possano recare pregiudizio agli interessi nazionali nel settore dell’energia. Il Ministro ha inoltre il potere di nominare due rappresentanti nell’ambito del Consiglio di Amministrazione delle due società sopraindicate.

I rappresentanti del governo possono proporre al Ministro competente l’annullamento delle decisioni societarie ritenute in contrasto con gli orientamenti della politica energetica nazionale, comprese le finalità del governo relative all'approvvigionamento di energia del paese. Il Ministro dell'Energia può così impedire, nelle due società, qualsiasi trasferimento di impianti tecnici o specifici atti di gestione che riguardino gli attivi strategici della società coinvolta e che possano mettere in pericolo l'approvvigionamento nazionale di gas naturale.

Non è stata prevista alcuna autorizzazione preventiva nell'ambito del trasferimento di azioni. I regi decreti inquadrano, in ogni caso, in modo preciso, rigoroso e motivato l'eventuale intervento delle autorità pubbliche belghe che può essere sottoposto al controllo giurisdizionale.

Contro la legittimità dei due citati Arrêtés Royaux del 1994 la Commissione europea ha presentato ricorso davanti alla Corte di Giustizia (causa 503/99), ritenendo fossero state violate le disposizioni del Trattato CE relative alla libera circolazione dei capitali e alla libertà di stabilimento (mancato rispetto delle condizioni enunciate nella Comunicazione del 1997 che ha definitoi criteri di compatibilità comunitaria delle discipline nazionali dei poteri speciali e violazione degli artt. 43 e 56 del Trattato CE).

Nella sua difesa il Governo belga, sostenendo che la sicurezza dell'approvvigionamento di energia del paese costituisse una ragione imperativa di interesse generale tale da giustificare anche eventuali necessarie restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali, ha sottolineato a tal fine la posizione strategica delle due società (SNTC e DISTRIGAZ) soprattutto a causa della dipendenza del Belgio da risorse energetiche straniere ed ha sostenuto, pertanto, la necessità di un certo controllo da parte delle autorità pubbliche, ma anche la proporzionalità delle norme previste dai provvedimenti del 1994.

A conclusione della causa contro il Belgio (C-503/99), la Corte di giustizia delle Comunità europee si è espressa, nella sua sentenza del 4 giugno 2002, a favore della legittimità della normativa belga. La Corte ha dichiarato compatibili con i principi fondamentali del diritto comunitario sia la giustificazione dell’obiettivo seguito dal Belgio – garanzia dell’approvvigionamento minimo di gas naturale in caso di crisi energetica - sia le misure adottate per la sua realizzazione. La Corte ha ritenuto che i provvedimenti in esame rispondessero a criteri di necessità e di proporzionalità. La normativa messa sotto esame permette infatti, secondo la Corte di giustizia, di garantire allo Stato belga un approvvigionamento minimo di energia in caso di minaccia effettiva e grave, senza andare oltre quanto necessario a tal fine. Inoltre, non viene richiesta alcuna autorizzazione preventiva e il potere di opposizione del Governo nell’ambito di un trasferimento di impianti e di intervento nella politica di gestione delle società è giuridicamente inquadrato in termini rigorosi, in quanto deve essere formalmente motivato in modo preciso oltre a poter essere sottoposto ad un efficace controllo giurisdizionale. La Corte ha pertanto sentenziato che i poteri speciali di opposizione dello Stato, previsti dai due regi decreti, sono proporzionati all’obiettivo, oggettivi, chiari e ben delimitati.

 

Nell’esperienza del Regno Unito, il processo di privatizzazione delle imprese pubbliche, avviato a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, si è connotato per il frequente ricorso alla golden share, consistente nel mantenimento alla proprietà pubblica, detentrice di questo titolo privilegiato, di una quota azionaria, talora di valore nominale simbolico, ma comunque idonea a riservare ad essa il controllo sulle decisioni fondamentali concernenti l’assetto e la direzione della società interessata. In questo modo il Governo britannico ha potuto cedere integralmente le partecipazioni pubbliche nelle società avviate alla privatizzazione, ottimizzando i ricavi delle operazioni e conservando, nel contempo, la possibilità di impedire che ne fosse assunto il controllo da parte di investitori esteri, di proteggerle da acquisizioni societarie e di mantenere determinate caratteristiche del loro assetto patrimoniale.

Lo strumento della golden share, contemplato dagli statuti delle società privatizzate, non è stato oggetto, per quanto concerne i suoi profili tipici o costitutivi, di definizioni legislative o di discipline a carattere generale ed organico. Alle stesse norme statutarie, definite in base ai principi del diritto societario, hanno fatto costante rinvio i provvedimenti settoriali con cui il legislatore è intervenuto a regolamentare specifici comparti produttivi allo scopo di aprirli all’investimento privato o di volgerli ad un assetto concorrenziale. La legislazione si è dunque concentrata sulla regolazione dei settori privatizzati e non sulla disciplina di poteri speciali riservati all'azionista pubblico; le sole previsioni rilevanti in materia di golden share si sono limitate, di norma, ad abilitare l’autorità ministeriale competente, di concerto con il Tesoro, a procedere all'acquisto di azioni delle imprese privatizzate entro una determinata soglia (target investement limit), ad esercitare i diritti dell'azionista anche a mezzo di delegati e, infine, a prescrivere il consenso del Tesoro relativamente alle attività di gestione delle azioni di proprietà pubblica.

La golden share si è configurata in termini di volta in volta diversi quanto a portata e modalità applicative, presentando tuttavia, quale elemento ricorrente, il limite temporale (di norma quinquennale) entro il quale possono essere esercitati i poteri pubblici sulle società privatizzate, generalmente riferito alla fase di transizione dalla proprietà pubblica a quella privata; è stata tuttavia stabilita, in alcuni casi, la durata illimitata dell’azione speciale, in relazione al valore strategico riconosciuto a determinate società privatizzate (come nei casi Rolls Royce, Jaguar, British Telecom e British Aerospace).

Negli statuti societari in cui hanno fonte, i poteri derivanti dalla golden share sono disciplinati quanto alle modalità di esercizio da parte dell’azionista pubblico (nella sua veste di special shareholder), configurando in capo ad esso un sostanziale potere di veto e condizionando al suo consenso la modifica delle stesse disposizioni statutarie. Nella prassi, tuttavia, è stato fatto di questi poteri un uso equilibrato, tale da non produrre significative alterazioni delle dinamiche privatistiche proprie della materia societaria: il Governo ha infatti solitamente detenuto la golden share per periodi limitati, e vi ha fatto ricorso non tanto per ostacolare acquisizioni delle società privatizzate, quanto per ottenere nelle fasi negoziali più ampie garanzie da parte del soggetto acquirente.

Nell’esperienza applicativa e nella varietà dei modelli statutari, la golden share è venuta  configurandosi in base a due schemi tipologici principali. Un primo schema prevede l’attribuzione allo special shareholder,in relazione alle decisioni dell’'assemblea ordinaria, di un diritto di voto in più rispetto alla totalità delle azioni degli altri soci, in modo da assegnargli la maggioranza; all’azionista pubblico è altresì riservato il diritto di convocare l'assemblea straordinaria - in cui può contare sulla maggioranza precostituita con il precedente criterio - e di proporvi le proprie risoluzioni. In virtù della cosiddetta “built in majority" così assicurata all'azionista pubblico, esso è perciò in grado di mantenere il controllo societario e di garantirsi l'approvazione delle risoluzioni proposte nell'assemblea straordinaria. Questa soluzione (utilizzata nelle privatizzazioni delle società pubbliche Britoil ed Enterprise Oil, rispettivamente nel 1982 e nel 1984) ha consentito un penetrante intervento pubblico nelle vicende gestionali delle società privatizzate, e ha posto nelle mani pubbliche uno strumento di natura “difensiva” rispetto ad iniziative suscettibili di pregiudicare l’indipendenza della società controllata.

Un secondo tipo (utilizzato in altre privatizzazioni) persegue la finalità di assicurare il rispetto di eventuali limitazioni poste al possesso di pacchetti azionari. Le disposizioni statutarie, in questa ipotesi, impongono ai soci la notifica della detenzione di pacchetti azionari superiori al 5% del totale e la dismissione delle azioni eccedenti il 15% delle azioni con diritto di voto. Qualora gli amministratori della società rilevino il superamento di tale soglia da parte di un socio (qualificato come "relevant person" in ragione delle quote azionarie detenute), essi possono infatti ottenere dall’interessato, ad esito di un procedimento in contraddittorio che comporta la sospensione dei diritti di voto durante il suo svolgimento, la cessione coattiva delle azioni fino al raggiungimento della soglia massima stabilita dallo statuto societario. Disposizioni di questo tenore hanno caratterizzato, in conseguenza delle relative privatizzazioni, le norme statutarie di British Telecom (1984), di British Steel (1988) e degli enti gestori dell’acqua potabile o produttori di elettricità come National Power o PowerGen British (1990).

Le disposizioni legislative adottate in materia di privatizzazione delle public corporations sono passate al vaglio della Corte di giustizia delle Comunità europee nel caso relativo allo Airports Act 1986 e alla privatizzazione del settore aeroportuale. A conclusione della causa contro il Regno Unito (C-98/01), la Corte ha in quell’occasione dichiarato, con la sentenza del 13 maggio 2003, l’incompatibilità con il diritto comunitario delle previsioni statutarie della British Airport Authority, che a seguito della sua privatizzazione attribuivano una golden share al Ministero dei Trasporti e conferivano all’azionista speciale una serie di poteri relativi alla cessione degli aeroporti, alla liquidazione e allo scioglimento delle società gestite, nonché alla modifica dello statuto; un limite, inoltre, era posto alle partecipazioni superiori al 15% del capitale sociale.

Tali previsioni sono state ritenute illegittime in quanto difformi dai criteri direttivi del Trattato CE (art. 43 e 56), che avrebbero ammesso simili restrizioni solo se non discriminatorie in base alla nazionalità, se rispondenti ad esigenze imperative di interesse generale e se – in applicazione del principio di proporzionalità - commisurate al fine perseguito. Coerentemente con la propria giurisprudenza in materia, la Corte ha quindi stabilito che le norme finalizzate a limitare l'acquisto di partecipazioni societarie, o ad ostacolare in altro modo la possibilità di partecipare effettivamente alla gestione di una società o al suo controllo, costituiscono restrizioni della libera circolazione dei capitali, non rilevando l’applicabilità di tali misure restrittive senza distinzione di nazionalità. Né potrebbe avere rilevanza, secondo la Corte, la natura privatistica delle previsioni societarie in materia di golden share (in quell’occasione dedotta dal Governo britannico), quando esse derivino non dalla ordinaria applicazione delle norme di diritto societario, ma da una determinazione legislativa, quale fu, nel caso di specie, la previsione della legge di privatizzazione (Airports Act 1986) che condizionava la vigenza dello statuto societario all’autorizzazione ministeriale.

In Spagna la necessità di procedere a una razionalizzazione delle attività economiche svolte dal settore pubblico aveva determinato in passato, in alcuni casi, l’alienazione della partecipazione dello Stato, diretta o indiretta, in imprese di carattere commerciale. Tuttavia questa partecipazione costituiva spesso una forma di garanzia o di attuazione di un interesse pubblico. Fu pertanto emanata la Ley 5/1995, de 23 de marzo, de Régimen jurídico de enajenación de Participaciones Públicas en determinadas empresas, che individuava appunto un meccanismo alternativo di protezione dell’interesse collettivo, sottoponendo a un regime di autorizzazione amministrativa gli accordi e gli atti che intercorrevano tra lo Stato e gli altri soggetti commerciali privati. Le imprese interessate dall’applicazione della legge erano quelle con una partecipazione dello Stato, diretta o indiretta, in misura superiore al 25% del capitale sociale; inoltre esse dovevano prestare servizi essenziali o servizi pubblici dichiarati come tali, oppure svolgere attività sottoposte a uno specifico regime amministrativo di controllo, ovvero essere esentate, in tutto o in parte, dall’applicazione del principio di libera concorrenza, come definito dall’art. 90 del Trattato istitutivo della CEE. In questi casi era necessario richiedere un’autorizzazione amministrativa per poter procedere a una serie di operazioni societarie elencate dalla legge, affinché queste avessero l’effetto finale di ridurre la partecipazione statale in una misura uguale o superiore al 10% del totale del capitale sociale, oppure la riducessero a una percentuale finale inferiore al 15% del capitale stesso. L’autorizzazione in questione era concessa mediante Regio Decreto - approvato dal Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro competente per materia, e previo parere del Consiglio di Stato - contenente la disciplina di dettaglio.

Successivamente, tuttavia, la sentenza del 13 maggio 2003 della Corte di giustizia delle Comunità europee, a conclusione della causa contro la Spagna (C-463/00), dichiarò la legge 5/1995 (e la successiva disciplina di dettaglio) in contrasto con il diritto comunitario; in particolare il regime di previa autorizzazione amministrativa venne ritenuto non giustificato da ragioni imperative di interesse generale, in mancanza di criteri obiettivi, duraturi nel tempo e resi pubblici, e non conforme al principio di proporzionalità.

In risposta ai rilievi della citata sentenza, la venticinquesima disposizione aggiuntiva della Ley 62/2003, de 30 de diciembre, de medidas fiscales, administrativas y del orden social riscrisse profondamente la Ley 5/1995. Nella nuova disciplina il sistema dell’autorizzazione era sostituito da un regime di notificazione, anch’esso applicato tramite Regio Decreto, che determinava: l’ambito oggettivo di applicazione; l’individuazione degli atti concretamente soggetti alla notificazione; l’organo decisore; infine, il termine entro il quale le società erano soggette alla procedura. Tuttavia anche la nuova disciplina fu ritenuta in contrasto con il diritto comunitario, mediante la lettera di intimazione rivolta dalla Commissione europea al Governo spagnolo il 7 luglio 2004. Con il parere motivato del 5 luglio 2005, la Commissione reiterò l’invito ad eseguire la citata sentenza della Corte di giustizia segnalando che, in caso contrario, la Spagna sarebbe incorsa in sanzioni pecuniarie in virtù dell’articolo 228.2 del Trattato.

Al fine di adeguarsi ai richiami europei, e considerato peraltro che la stabilità delle imprese oggetto della normativa era comunque assicurata e che non sussistevano rischi significativi per il regolare sviluppo delle loro attività, il legislatore spagnolo, con la Ley 13/2006, de 26 de mayo, por la que se deroga el régimen de enajenación de participaciones públicas en determinadas empresas establecido por la Ley 5/1995, de 23 de marzo, y sus disposiciones de desarrollo y ejecución, ha pertanto disposto l’abrogazione dell’intera normativa in materia.

 

 

 

 

 

 

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