Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari comunitari | ||
Altri Autori: | Ufficio Rapporti con l'Unione Europea | ||
Titolo: | Legge comunitaria 2010 - A.C. 4059 - Schede di lettura | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 431 | ||
Data: | 08/02/2011 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | XIV - Politiche dell'Unione europea | ||
Altri riferimenti: |
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Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
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Documentazione per l’esame di |
Legge comunitaria 2010 A.C. 4059 |
Schede di lettura |
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n. 431 |
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8 febbraio 2011 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Affari comunitari ( 066760-4279/ 066760-9409 – * st_affari_comunitari@camera.it |
Ha partecipato alla redazione del dossier: |
Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea ( 066760-2145 – * cdrue@camera.it |
§ La nota di sintesi e le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi. § Le parti relative alla Relazione sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea per l’anno 2009, ai documenti all’esame delle Istituzioni dell’Unione europea e alle procedure di contenzioso sono state curate dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea.
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I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. |
File: ID0018.doc |
INDICE
Introduzione
Il disegno di legge comunitaria 2010 3
La legge comunitaria annuale e la c.d. fase discendente 4
I dati contenuti nella relazione governativa al disegno di legge comunitaria 25
Lo stato di attuazione delle direttive comunitarie in Italia 29
Le leggi comunitarie regionali 31
Relazione annuale sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea per il 2009 (a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea) 34
Schede di lettura sugli articoli
§ Art. 1 (Delega al Governo per l’attuazione di direttive comunitarie) 39
§ Art. 2 (Principi e criteri direttivi generali della delega legislativa) 46
§ Art. 3 (Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di disposizioni comunitarie)53
§ Art. 4 (Oneri relativi a prestazioni e controlli) 55
§ Art. 5 (Delega al Governo per il riordino normativa nelle materie interessate dalle direttive comunitarie) 56
§ Art. 6 (Repertorio nazionale dei dispositivi medici) 59
§ Art. 7 (Modifiche al codice del consumo in materia di servizi finanziari a distanza)62
§ Art. 8 (Delega al Governo per il recepimento della direttiva 2009/65/CE concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di taluni organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM)) 67
§ Art. 9 (Nomenclatura europea di Roma capitale) 74
§ Art. 10 (Delega al Governo per il riordino normativo della disciplina della professione di guide turistiche) 78
§ Art. 11 (Princìpi e criteri direttivi per l’attuazione delle direttive 2009/136/CE e 2009/140/CE in materia di comunicazioni elettroniche) 83
§ Art. 12 (Delega al Governo per la disciplina della fiducia) 90
§ Art. 13 (Qualità delle acque destinate al consumo umano) 100
§ Art. 14 (Modifiche al decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494. Procedura d’infrazione n. 2008/4908) 103
§ Art. 15 (Delega al Governo per il recepimento della direttiva 2010/23/UE del Consiglio, del 16 marzo 2010) 110
§ Art. 16 (Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2009/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009) 114
§ Art. 17 (Gestione della qualità delle acque di balneazione) 121
§ Art. 18 (Adeguamento alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 29 ottobre 2009, resa nella causa C-249/08) 122
Schede sulle direttive contenute negli allegati
Allegato A
§ Direttiva 2009/106/CE (Modifica della direttiva 2001/112/CE concernente i succhi di frutta e altri prodotti analoghi destinati all’alimentazione umana) 131
§ Direttiva 2009/156/CE (Condizioni di polizia sanitaria che disciplinano i movimenti e le importazioni di equidi in provenienza dai paesi terzi) 133
§ Direttiva 2010/31/UE (Prestazione energetica nell’edilizia) 135
§ Direttiva 2010/60/UE (Deroghe per la commercializzazione delle miscele di sementi di piante foraggere destinate per la preservazione dell’ambiente naturale) 140
Allegato B
§ Direttiva 2008/112/CE (Modifica di direttive sulla classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele) 143
§ Direttiva 2009/20/CE (Assicurazione degli armatori per i crediti marittimi)145
§ Direttiva 2009/38/CE (Istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie) 146
§ Direttiva 2009/43/CE (Semplificazione delle modalità e delle condizioni dei trasferimenti all’interno delle Comunità di prodotti per la difesa) 150
§ Direttiva 2009/50/CE (Condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati) 152
§ Direttiva 2009/52/CE (Sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare) 155
§ Direttiva 2009/65/CE (Coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di taluni organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM)) 157
§ Direttiva 2009/109/CE (Modifica di direttive in materia di relazioni e di documentazione in caso di fusioni e scissioni) 159
§ Direttiva 2009/110/CE (Attività degli istituti di moneta elettronica) 163
§ Direttiva 2009/113/CE (Modifica della direttiva 2006/126/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la patente di guida) 165
§ Direttiva 2009/126/CE (Recupero di vapori di benzina durante il rifornimento dei veicoli a motore nelle stazioni di servizio) 168
§ Direttiva 2009/127/CE (Macchine per l’applicazione di pesticidi) 170
§ Direttiva 2009/128/CE (Istituzione di un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi) 171
§ Direttiva 2009/136/CE (Modifiche di direttive in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica e trattamento dei dati personali nel settore delle comunicazioni elettroniche; esecuzione della normativa a tutela dei consumatori) 173
§ Direttiva 2009/140/CE (Modifica di direttive in materia di reti e servizi di comunicazione elettronica)176
§ Direttiva 2009/158/CE (Scambi intracomunitari e le importazioni in provenienza dai paesi terzi di pollame e uova da cova) 182
§ Direttiva 2009/162/UE (Modifiche alla direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto) 184
§ Direttiva 2010/18/UE (Accordo quadro riveduto in materia di congedo parentale) 186
§ Direttiva 2010/23/UE (Modifica della direttiva 2006/112/ce relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto per quanto concerne l'applicazione facoltativa e temporanea del meccanismo dell'inversione contabile alla prestazione di determinati servizi a rischio di frodi) 188
§ Direttiva 2010/24/UE (Recupero dei crediti risultanti da dazi, imposte ed altre misure) 189
§ Direttiva 2010/30/UE (Indicazione del consumo di energia mediante l’etichettatura ed informazioni uniformi relative ai prodotti) 191
§ Direttiva 2010/35/UE (Attrezzature a pressione trasportabili) 193
§ Direttiva 2010/36/UE (Disposizioni e norme di sicurezza per le navi da passeggeri) 194
§ Direttiva 2010/40/UE (Quadro generale per la diffusione dei sistemi di trasporto intelligenti nel settore del trasporto stradale e nelle interfacce con altri modi di trasporto) 195
§ Direttiva 2010/41/UE (Parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un’attività autonoma) 196
§ Direttiva 2010/53/UE (Norme di qualità e sicurezza degli organi umani destinati ai trapianti) 198
Direttive da attuare in via amministrativa
§ Direttiva 2009/161/CE (Esposizione agli agenti chimici durante il lavoro) 203
Tabelle riepilogative (aggiornamento al 3 febbraio 2011)
Tabella 1 DIRETTIVE CONTENUTE NEL DDL COMUNITARIA 2010 DA ATTUARE PER DELEGA E IN VIA AMMINISTRATIVA 207
Tabella 2 STATO DI ATTUAZIONE DELLE DIRETTIVE IN CIASCUNO STATO MEMBRO (dati aggiornati al 24/11/2009) 218
Tabella 3 DIRETTIVE CONTENUTE IN PRECEDENTI LEGGI COMUNITARIE E NON ANCORA RECEPITE 219
Tabella 4 DIRETTIVE SCADUTE ENTRO IL 31/12/2009 NON RECEPITE E NON INSERITE IN LEGGI COMUNITARIE E NEL DDL COMUNITARIA 2009 232
Il disegno di legge comunitaria 2010 (C. 4059), già approvato dal Senato nella seduta del 2 febbraio 2010 (S. 2322-A), reca disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee.
Il provvedimento, che è esaminato congiuntamente alla Relazione sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea relativa all’anno 2009, è stato largamente modificato nel corso dell’esame al Senato e consta attualmente di 18articoli, suddivisi in due Capi, nonché di due allegati A e B, che elencano le direttive da recepire mediante decreti legislativi (recanti rispettivamente 4 e 26 direttive).
Il disegno di legge interviene in diversi settori ora delegando il Governo all’adeguamento dell’ordinamento nazionale mediante l’adozione di decreti legislativi, ora modificando direttamente la legislazione vigente per assicurarne la conformità all’ordinamento comunitario.
La relazione illustrativa (S. 2322) reca altresì l’elenco delle direttive da attuare in via amministrativa e dei provvedimenti assunti a livello regionale per il recepimento e l’attuazione degli atti comunitari nelle materie di competenza delle regioni e delle province autonome.
La legge comunitaria annuale, introdotta per la prima volta dalla legge 9 marzo 1989, n. 86 (c.d. legge “La Pergola”[1]) assume una funzione cruciale nel processo di adeguamento dell’ordinamento interno al diritto comunitario[2], soprattutto a seguito dell’approvazione della legge 4 febbraio 2005, n. 11[3], che ha riscritto e rafforzato le procedure relative alla partecipazione dell’Italia al processo di formazione, trasposizione e attuazione della normativa comunitaria.
La legge n. 11 del 2005 è stata, tra l’altro, oggetto di recenti modifiche a seguito dell’approvazione delle leggi 6 febbraio 2007, n. 13 (comunitaria 2006), 25 febbraio 2008, n. 34 (comunitaria 2007), 7 luglio 2009, n. 88 – (comunitaria 2008) e 4 giugno 2010, n. 96 - (comunitaria 2009).
Attualmente, la riforma della legge n. 11 del 2005 è all’esame della XIV Commissione Politiche dell’Unione europea della Camera che ha adottato, nella seduta del 22 settembre 2010, come testo base per il seguito dell’esame in sede referente, un testo unificato delle proposte di legge proposte di legge C. 2854 Buttiglione, C. 2862 Stucchi, C. 2888 Gozi e C. 3055 Pescante. Nella seduta del 1° febbraio scorso la Commissione ha deliberato l’abbinamento del disegno di legge governativo (A.C. 3866), vertente su identica materia, ed ha costituito un comitato ristretto per il prosieguo dell’esame delle proposte di legge di riforma.
Dal punto di vista costituzionale, il Titolo V prevede che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (art. 117, primo comma). Rientrano nella competenza legislativa esclusiva dello Stato i rapporti dello Stato con l’Unione europea, mentre sono oggetto di legislazione concorrente i rapporti delle regioni con l’Unione europea (art. 117, secondo comma). Le regioni e le province autonome, oltre a partecipare alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari, provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza (art. 117, quinto comma). L’art. 120 Cost. prevede, poi, che, in caso di inerzia da parte delle regioni, delle province, dei comuni e delle città metropolitane nell’attuazione degli obblighi comunitari gravanti sugli stessi enti in relazione ai rispettivi ambiti di competenza, il Governo esercita poteri sostitutivi, garantendo il rispetto del principio di sussidiarietà e di leale collaborazione.
L’articolo 1 della legge n. 11 del 2005 statuisce che le disposizioni ivi contenute sono volte a garantire l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, di proporzionalità, di efficienza, di trasparenza e di partecipazione democratica.
In particolare, la norma chiarisce che tali obblighi derivano:
- dall’emanazione di ogni atto comunitario e dell’Unione europea che vincoli la Repubblica italiana ad adottare provvedimenti di attuazione;
- dall’accertamento giurisdizionale, con sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, della incompatibilità di norme legislative e regolamentari dell’ordinamento giuridico nazionale con le disposizioni dell’ordinamento comunitario;
- dall’emanazione di decisioni-quadro e di decisioni adottate nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.
La legge n. 11 del 2005 dedica alla procedura di presentazione ed approvazione della legge comunitaria gli articoli 8 e 9, il primo dei quali sancisce che lo Stato, le regioni e le province autonome, nelle materie di propria competenza legislativa, sono tenuti a dare tempestiva attuazione alle direttive comunitarie.
In particolare, l’articolo 8 definisce la procedura preparatoria alla predisposizione del disegno di legge comunitaria, che vede il coinvolgimento non solo delle Camere, come in precedenza[4], ma anche delle regioni, ai fini della verifica sullo stato di conformità dell’ordinamento interno a quello comunitario.
La norma prevede che il Presidente del Consiglio o il Ministro per le politiche comunitarie informino tempestivamente le Camere e le regioni e province autonome sugli atti normativi e di indirizzo emanati dall’Unione europea e dalle Comunità europee. L’informazione di regioni e province autonome deve avvenire per il tramite della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome e della Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome (comma 2).
Per quanto riguarda lo Stato, il Presidente del Consiglio ovvero il Ministro per le politiche comunitarie verifica, con la collaborazione delle amministrazioni interessate, la conformità sia dell’ordinamento interno sia degli indirizzi politici del Governo, trasmettendo le risultanze di tale controllo, con cadenza almeno quadrimestrale, agli organi parlamentari competenti nonché alla Conferenza Stato-Regioni e a quella dei Presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome, che possono formulare ogni opportuna osservazione. Il Governo indica, inoltre, le eventuali misure necessarie per l’adeguamento (comma 3).
Per quanto riguarda le regioni e le province autonome, esse – verificato lo stato di conformità dei rispettivi ordinamenti – trasmettono le risultanze del controllo alla Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento per le politiche comunitarie, indicando anche le misure da intraprendere.
Sulla base della verifica compiuta, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con gli altri ministri interessati, presenta il disegno di legge comunitaria entro il 31 gennaio di ogni anno.
Nell’ambito della relazione al disegno di legge comunitaria, il Governo:
· riferisce sullo stato di conformità dell'ordinamento interno al diritto comunitario e sullo stato delle eventuali procedure di infrazione dando conto, in particolare, della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee relativa alle eventuali inadempienze e violazioni degli obblighi comunitari da parte della Repubblica italiana;
· fornisce l'elenco delle direttive attuate o da attuare in via amministrativa;
· dà conto dei motivi per i quali è stato omesso l’inserimento di direttive il cui termine di recepimento sia scaduto o scada nel periodo di riferimento, in relazione ai tempi previsti per l’esercizio della delega legislativa;
· fornisce l’elenco delle direttive attuate con regolamento ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 11 del 2005, nonché gli estremi degli eventuali regolamenti d’attuazione già adottati;
· fornisce l’elenco degli atti normativi regionali e delle province autonome attuativi delle direttive comunitarie, anche con riferimento a leggi annuali di recepimento eventualmente approvate dalle regioni e dalle province autonome. Tale elenco è predisposto dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano e trasmesso alla Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento per le politiche comunitarie non oltre il 25 gennaio di ogni anno.
La legge n. 11 del 2005 ha inoltre ampliato il contenuto della legge comunitaria che, ai sensi dell’articolo 9, deve prevedere disposizioni:
§ modificative o abrogative di norme statali vigenti in contrasto con gli obblighi di attuazione degli atti comunitari, ovvero oggetto di procedure di infrazione (lettere a) e b));
§ volte a dare attuazione, anche mediante il conferimento al Governo di delega legislativa, ad ogni atto comunitario e dell’Unione europea che vincoli la Repubblica italiana ad adottare provvedimenti di attuazione;
§ che autorizzano il Governo ad attuare in via regolamentare le direttive;
§ che danno esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell’Unione europea;
§ che individuano i princìpi fondamentali ai quali devono attenersi le regioni nell’esercizio della funzione legislativa in materie di competenza concorrente;
§ che, nell’ambito di materie di competenza esclusiva delle regioni, conferiscono delega al Governo per l’emanazione di decreti legislativi recanti sanzioni penali per la violazione della normativa comunitaria;
§ emanate nell’esercizio del potere sostitutivo di cui all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione.
La tipica modalità di recepimento del diritto comunitario rimane quella che passa attraverso la delega legislativa. Il modello di legge comunitaria, che si è andato delineando negli anni, individua – come è noto – il conferimento di una delega generale al Governo, con la fissazione di principi e criteri direttivi generali, che vanno ad affiancarsi a quelli specifici eventualmente previsti per le singole direttive. In particolare, le direttive da recepire attraverso questa modalità sono inserite in due distinti allegati (A e B), a seconda che sugli schemi di decreto legislativo sia necessario o meno acquisire il parere delle competenti Commissioni parlamentari.
Quanto al contenuto delle leggi comunitarie più recenti, si segnala che esse presentano un impianto standardizzato, con formulazioni sostanzialmente analoghe dei primi articoli e con un numero minore di norme svincolate dall’attuazione del diritto comunitario e di princìpi e criteri direttivi specifici. Nel tempo si è assistito alla progressiva trasformazione della legge comunitaria in legge di organizzazione della futura legislazione, con una riduzione del contenuto sostanziale immediatamente precettivo e un maggior ricorso ai decreti legislativi o agli atti amministrativi per la concreta disciplina delle materie oggetto della legge.
In ordine alla tipologia delle fonti normative utilizzate per il recepimento nell’ordinamento nazionale della normativa comunitaria, di seguito si riporta la tabella 1 che indica, per ciascuna legge comunitaria approvata nelle ultime tre legislature, le modalità previste per l’attuazione delle direttive, ad eccezione delle disposizioni recanti attuazione diretta.
Tabella 1
Leggi comunitarie |
Direttive da attuare con decreto legislativo |
Direttive da attuare in via regolamentare |
Direttive da attuare in via amministrativa |
XIV Legislatura |
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legge comunitaria 2001 |
58 |
0 |
20 |
legge comunitaria 2002 |
37 |
0 |
48 |
legge comunitaria 2003 |
50 |
0 |
38 |
legge comunitaria 2004 |
50 |
0 |
53 |
legge comunitaria 2005 |
32 |
2 |
54 |
XV Legislatura |
|||
legge comunitaria 2006 |
26 |
1 |
56 |
legge comunitaria 2007 |
16 |
0 |
40 |
XVI Legislatura |
|
|
|
legge comunitaria 2008 |
50 |
0 |
27 |
legge comunitaria 2009 |
56 |
0 |
37 |
Dai dati esposti è possibile desumere le seguenti indicazioni in ordine all’utilizzo dei diversi strumenti normativi di recepimento:
§ ricorsoconsiderevole allo strumento della delega legislativa: nelle diverse leggi comunitarie annuali la percentuale di direttive da recepire mediante decreti legislativi delegati è rimasta negli anni significativamente alta rispetto al numero complessivo delle direttive di cui si prevede il recepimento;
§ tendenza a dare sempre più attuazione in via amministrativa alle direttive: si mantiene relativamente elevato il numero di direttive da recepire in via amministrativa, che supera costantemente quello delle direttive da recepire con delega legislativa;
§ ricorso viepiù limitato all’attuazione delle direttive in via regolamentare:l’autorizzazione all’adozione di regolamenti di delegificazione (o comunque il ricorso ad altri regolamenti governativi) si è ridotta sempre più, anche a seguito della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione[5].
Nella Tabella 2 è evidenziato, per ciascuna legge comunitaria, il numero delle direttive il cui recepimento è stato previsto rispettivamente:
§ in allegato A (direttive da recepire con decreto legislativosenza parere delle competenti Commissioni parlamentari),
§ in allegato B (direttive da recepire tramite decreto legislativo da sottoporre al pareredelle competenti Commissioni parlamentari;
§ in allegato C (direttive da recepire con regolamentoautorizzato).
Si registra un aumento percentuale delle direttive il cui recepimento è previsto in Allegato B, quindi con decreto legislativo da sottoporre al parere parlamentare, rispetto a quelle da recepire sempre con decreto legislativo ma senza il parere parlamentare (con l’esclusione dell’anno 2002). Il rafforzamento del ruolo parlamentare in sede di attuazione delle direttive è stato perseguito anche con l’introduzione, a partire dalla legge comunitaria 2004, dell’istituto del c.d. doppio parere parlamentare. Tale istituto prevede un secondo parere delle Commissioni competenti per verificare che quanto enunciato nella prima pronuncia parlamentare sia stato effettivamente recepito dal Governo. La previsione di tale doppio parere scatta esclusivamente nelle ipotesi in cui l’Esecutivo non intenda conformarsi ai pareri parlamentari relativi a sanzioni penali (contenute negli schemi di decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese negli allegati A e B)), ovvero nel caso in cui il Governo non si conformi alle condizioni relative all’osservanza dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione: in tali casi, infatti, l’Esecutivo è tenuto a ritrasmettere i testi alle Camere – corredati dei necessari elementi integrativi – affinché le Commissioni competenti si esprimano in merito.
Come evidenziato in precedenza, dal 2001 al 2004, come pure nel 2007, 2008 e 2009, non è stata utilizzata la modalità di recepimento con regolamento autorizzato (all. C).
Tabella 2
Leggi comunitarie |
Allegato A |
Allegato B |
Allegato C |
Legge comunitaria 2001 |
21 |
37 |
0 |
Legge comunitaria 2002 |
22 |
15 |
0 |
Legge comunitaria 2003 |
19 |
31 |
0 |
Legge comunitaria 2004 |
10 |
40 |
0 |
Legge comunitaria 2005 |
10 |
22 |
2 |
Legge comunitaria 2006 |
1 |
25 |
1 |
Legge comunitaria 2007 |
1 |
15 |
0 |
Legge comunitaria 2008 |
5 |
45 |
0 |
Legge comunitaria 2009 |
10 |
49 |
0 |
Da ultimo va ricordato che l’articolo 9 della legge n. 11 del 2005, al fine di evitare aggravi delle finanze pubbliche, reca una disposizione di copertura degli oneri derivanti dall’attuazione delle disposizioni comunitarie per le ipotesi in cui gli uffici pubblici siano chiamati a prestazioni e controlli.
La procedura di esame della legge comunitaria
Per quanto concerne l’iter parlamentare di approvazione della legge comunitaria, si osserva che l’esame del relativo disegno di legge avviene contestualmente a quello della relazione sulla partecipazione dell’Italia dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea, al fine di compiere una verifica complessiva in ordine all’adempimento degli obblighi comunitari da parte dell’Italia. In particolare, sui due atti si svolge un esame congiunto fino alla conclusione dell'esame preliminare; successivamente, l’esame dei due provvedimenti segue un iter autonomo, avendo l'uno natura legislativa e l'altro finalità di indirizzo e controllo.
Per quanto riguarda l’esame del disegno di legge comunitaria, l’articolo 126-ter del Regolamento della Camera ha tracciato una procedura “speciale”, prevedendo che il disegno di legge comunitaria e la relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea siano assegnati:
§ per l'esame generale in sede referente, alla Commissione politiche dell'Unione europea;
§ per l'esame delle parti di rispettiva competenza, alle Commissioni competenti per materia.
Le Commissioni sono tenute a esaminare le parti del disegno di legge di propria competenza entro 15 giorni dall'assegnazione, approvando una relazione e nominando un relatore, che può partecipare alle sedute della Commissione politiche dell’Unione europea. Nello stesso termine sono trasmesse le eventuali relazioni di minoranza presentate in Commissione. Un proponente per ciascuna relazione di minoranza può partecipare alle sedute della Commissione politiche dell’Unione europea per riferire in merito. Le eventuali relazioni di minoranza non possono contenere in allegato emendamenti, che devono necessariamente essere approvati dalle Commissioni di settore.
Analogamente, sempre entro 15 giorni, le Commissioni competenti per materia esaminano anche le parti di competenza della relazione annuale, approvando un parere.
Decorso il termine indicato, la Commissione politiche dell'Unione europea, entro i successivi 30 giorni, conclude l'esame in sede referente del disegno di legge comunitaria e della relazione annuale, predisponendo per ciascun atto una relazione generale per l'Assemblea, alla quale sono allegate, rispettivamente, le relazioni e i pareri approvati dalle Commissioni.
Le Commissioni competenti per materia, nel corso dell’esame, votano anche gli emendamenti al disegno di legge comunitaria, che allegano alla relazione per la Commissione politiche dell'Unione europea. Gli emendamenti approvati dalle singole Commissioni si ritengono accolti, salvo che la Commissione politiche dell'Unione europea non li respinga per motivi di compatibilità con la normativa comunitaria ovvero per esigenze di coordinamento generale. Di norma gli emendamenti attinenti al merito sono presentati presso le Commissioni di settore; presso la XIV Commissione sono presentati possibilmente solo gli emendamenti inerenti a profili ordinamentali. Qualora presso la XIV Commissione siano presentati direttamente emendamenti attinenti a profili di merito di competenza delle Commissioni di settore, queste devono esprimere il proprio parere.
Criteri particolari riguardano l’ammissibilità degli emendamenti: oltre ai princìpi generali contenuti all'articolo 89 del Regolamento della Camera, sono considerati inammissibili dai Presidenti delle Commissioni di settore e dal Presidente della Commissione politiche dell'Unione europea gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che riguardino materie estranee all'oggetto proprio della legge comunitaria, come definito dalla legislazione vigente. Nel caso in cui sorga questione sulle valutazioni di ammissibilità svolte dal Presidente della Commissione, la decisione è rimessa al Presidente della Camera. Gli emendamenti dichiarati inammissibili in Commissione non possono essere ripresentati in Assemblea.
Terminata la fase in Commissione, il disegno di legge comunitaria e la relazione sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea approdano in Assemblea, dove si svolge la discussione sulle linee generali del disegno di legge comunitaria si svolge congiuntamente alla discussione sulla citata relazione annuale. Entro il termine di tale discussione possono essere presentate risoluzioni sulla relazione annuale, che si votano dopo la votazione finale sul disegno di legge comunitaria, partendo dalla risoluzione accettata dal Governo.
Si ricorda, infine, che sul disegno di legge comunitaria si esprime anche il Comitato per la legislazione, ai sensi dell’articolo 16-bis, comma 6-bis, del Regolamento della Camera, dal momento che di norma si tratta di una legge contenente deleghe legislative.
L’articolo 10 della legge n. 11 del 2005 definisce gli strumenti giuridici, diversi dalla legge comunitaria annuale, con i quali è possibile ottemperare agli obblighi comunitari di adeguamento dell’ordinamento nazionale, siano essi relativi ad atti normativi da recepire, che conseguenti a sentenze di organi giurisdizionali delle Comunità o dell’Unione europea. La condizione per poter usufruire di questo canale ulteriore rispetto allo strumento tradizionale della legge comunitaria è che il termine di adempimento degli obblighi comunitari scada anteriormente alla data presunta di entrata in vigore della legge comunitaria relativa all’anno in corso.
Per quanto riguarda la tipologia di atti, l’articolo 10 prevede che siano provvedimenti, anche urgenti, adottati dal Consiglio dei ministri,su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per i rapporti con il Parlamento assumono altresì le iniziative necessarie per favorire un tempestivo esame parlamentare di tali atti.
Dalla formulazione letterale dell’articolo 10, il tipo di atti che il Governo può adottare appare pertanto riconducibile non solo a provvedimenti urgenti ma anche ad atti ordinari. In particolare, il termine “provvedimenti” adoperato da legislatore consente di ipotizzare che si possa ricorrere, tra l’altro, a disegni di legge da presentare in Parlamento; in questa chiave si spiegherebbe anche la previsione in base alla quale il Governo deve assumere le iniziative necessarie per favorire un tempestivo esame parlamentare dei provvedimenti in tal modo adottati. Quanto alla natura dei citati provvedimenti, la norma non chiarisce se essi possano essere costituti da atti con valenza normativa oltre che da atti di rango amministrativo. Inoltre, nel caso delle fonti normative di rango primario adottabili dal Governo, si ricorda che i decreti legislativi possono essere emanati solo previa delegazione delle Camere, mentre i decreti-legge necessitano comunque della sussistenza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza.
Comunque, per prassi, l’attuazione di obblighi comunitari si è spesso realizzata, al di fuori della legge comunitaria annuale, attraverso il ricorso alla decretazione d’urgenza. Nella XVI legislatura è stato emanato il decreto-legge 25 settembre 2009, n.135, recante disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166.
Qualora gli “obblighi di adeguamento” riguardino materie rientranti nella competenza legislativa o amministrativa delle regioni e province autonome, si prevede una procedura particolare, secondo la quale il Governo (Presidente del consiglio o Ministro per le politiche comunitarie) informa gli enti titolari del potere-dovere di provvedere, assegnando un termine per l’adempimento. Ove necessario, il Governo può chiedere di sottoporre la questione alla Conferenza permanente Stato-Regioni per concordare le iniziative da assumere.
In caso di mancato adempimento nei termini da parte dell’ente interessato, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie propongono al Consiglio dei ministri di assumere iniziative volte all’esercizio dei poteri sostitutivi di cui agli articolo 117, quinto comma, e 120, secondo comma, della Costituzione.
Infine, lo stesso articolo 10 detta specifiche disposizioni per i decreti legislativi di attuazione di normative comunitarie o di modifica di disposizioni attuative, emanati sulla base di deleghe contenute in leggi diverse dalla comunitaria annuale. Fatti salvi i princìpi e criteri direttivi stabiliti di volta in volta dalle leggi delega (in conformità al diritto comunitario), ed in aggiunta ai princìpi contenuti nelle direttive da attuare, tali decreti legislativi devono essere adottati:
§ nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali previsti dalla legge comunitaria per l’anno di riferimento;
§ su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e con gli altri ministri interessati in relazione all’oggetto della direttiva.
Tale norma è applicabile anche per l’emanazione di testi unici di riordino e armonizzazione, nel rispetto delle competenze di regioni e province autonome.
Questa previsione è finalizzata ad assicurare alle leggi comunitarie annuali una capacità di influenza generale sull'esercizio di tutte le deleghe di attuazione comunitaria, anche se non contemplate nelle leggi comunitarie stesse, e nel contempo a definire gli assetti endogovernativi nella fase preparatoria dei decreti legislativi.
Attuazione in via regolamentare e amministrativa
La possibilità di procedere al recepimento degli atti comunitari anche attraverso i regolamenti governativi era già prevista dalla legge n. 86 del 1989. Peraltro, a seguito della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, sono emerse alcune questioni applicative, soprattutto in relazione all’articolo 117, sesto comma, che limita alle materie di potestà legislativa statale esclusiva l’ambito di intervento dei regolamenti.
La legge n. 11 del 2005 adegua al nuovo dettato costituzionale le modalità di attuazione delle direttive in via regolamentare.
In primo luogo, l’articolo 11 stabilisce che l’attuazione in via regolamentare può avvenire solo nelle materie di competenza statale esclusiva (ossia quelle previste all’articolo 117, secondo comma, della Costituzione). In secondo luogo, la norma prevede una differente disciplina a seconda che l’attuazione venga effettuata attraverso:
· regolamenti governativi;
· regolamenti ministeriali o interministeriali.
In merito alla prima tipologia, l’articolo 11 pone dei requisiti stringenti, in quanto tali regolamenti possono essere adottati solo nelle materie:
- già disciplinate con legge;
- non coperte da riserva assoluta di legge.
In secondo luogo, si stabilisce che i regolamenti siano adottati ai sensi dell’articolo 17, commi 1 e 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia di concerto con gli altri ministri interessati.
Si ricorda che l’articolo 17 della legge n. 400 del 1988 prevede, al comma 1, l’adozione di regolamenti governativi esecutivi, attuativi-integrativi, indipendenti e di organizzazione. Tali regolamenti vengono adottati attraverso decreti del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato. Il comma 2 prevede i regolamenti di delegificazione, che disciplinano materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi, autorizzando il Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari.
Sugli schemi dei regolamenti devono essere acquisiti determinati pareri e in particolare:
- sempreil parere del Consiglio di Stato, che deve esprimersi nei 45 giorni successivi alla richiesta;
- il parere dei competenti organi parlamentari (alle quali gli schemi di regolamento sono trasmessi unitamente alle relazioni illustrative e al parere del Consiglio di Stato), solo ove la legge comunitaria disponga in tal senso. Il parere è espressoentro il termine di 40 giorni dall’assegnazione, decorso il quale il Governo può procedere anche in assenza del parere.
La procedura appena descritta può essere utilizzata anche per recepire (ovviamente con fonte di rango regolamentare) le modifiche delle direttive attuate in via regolamentare se così dispone la legge comunitaria (articolo 12).
I regolamenti in esame devono conformarsi a principi generali espressamente individuati, nel rispetto dei principi e delle disposizioni posti dalle direttive da attuare, e tenendo comunque conto delle eventuali modificazioni della disciplina comunitaria intervenute sino al momento della loro adozione.
La tipologia regolamentare così delineata si discosta parzialmente dal modello definito dalla legge n. 400 del 1988. Infatti, pur richiamando le disposizioni previste dalla citata legge n. 400, l’articolo 11 richiede come ulteriore requisito il rispetto di alcune norme generali oltre che delle disposizioni contenute nelle direttive da attuare. In tal modo, si mira a guidare il futuro intervento del Governo ponendo dei principi generali, sulla falsariga di quanto avviene per la delega legislativa.
Le norme generali alle quali i regolamenti devono conformarsi attengono:
§ all’individuazione della responsabilità e delle funzioni attuative delle amministrazioni, nel rispetto del principio di sussidiarietà;
§ all’esercizio dei controlli da parte degli organismi già operanti nel settore e secondo modalità che assicurino efficacia, efficienza, sicurezza e celerità;
§ all’esercizio delle opzioni previste dalle direttive in conformità alle peculiarità socio-economiche nazionali e locali e alla normativa di settore;
§ alla fissazione di termini e procedure, nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 20, comma 5, della legge 15 marzo 1997, n. 59[6].
I regolamenti in questione devono altresì tener conto delle eventuali modificazioni della disciplina comunitaria intervenute sino al momento della loro adozione.
In merito alla seconda tipologia di regolamenti, l’articolo 11 pone ulteriori requisiti, in quanto i regolamenti ministeriali o interministeriali (nonché gli atti amministrativi generali) possono intervenire nelle materie:
- non disciplinate dalla legge;
- non disciplinate dai regolamenti governativi;
- non coperte da riserva di legge.
I regolamenti in esame sono adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400[7].
Si ricorda che quest’ultima norma prevede l’adozione di regolamenti ministeriali o interministeriali, nelle materie di competenza del ministro o di autorità sottordinate, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo e debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione.
Nelle stesse materie, la disciplina di attuazione può essere posta anche a mezzo di atto amministrativo generale adottato dal Ministro con competenza prevalente per materia, di concerto con gli altri Ministri interessati.
In ogni caso, in relazione ad entrambe le tipologie di regolamenti, è sempre necessario l’intervento della legge comunitaria (o di altra legge):
· laddove le direttive lascino spazio alla discrezionalità del legislatore nazionale quanto alle modalità della attuazione, al fine di individuare principi e criteri direttivi;
· per l’adozione delle disposizioni atte a prevedere sanzioni penali o amministrative nonché quelle necessarie per individuare le autorità pubbliche alle quali affidare le funzioni amministrative attinenti all’applicazione della nuova disciplina;
· ove l’attuazione delle direttive comporti l’istituzione di nuovi organi o strutture amministrative;
· ove l’attuazione delle direttive comporti la previsione di nuove spese o minori entrate.
Si ricorda, inoltre, che i descritti regolamenti possono essere utilizzati anche per porre rimedio all’eventuale inerzia delle regioni nell’attuazione del diritto comunitario.
Ai fini delle previsioni di cui all’articolo 11 della legge n. 11 del 2005, va segnalato che il Governo è tenuto a presentare alle Camere, in allegato al disegno di legge comunitaria, un elenco delle direttive per l’attuazione delle quali chiede l’autorizzazione ad intervenire in via regolamentare[8].
L’articolo 11-bis, introdotto nella legge n. 11 dall’articolo 6 della legge n. 34 del 2008, reca, in via generale, un’autorizzazione permanente al Governo all’attuazione in via regolamentare – ex articolo 17, comma 1, della legge n. 400 del 1988 – delle disposizioni adottate dalla Commissione europea in attuazione di direttive recepite con decreto legislativo.
Infine, si ricorda che l’articolo 13 della legge n. 11 del 2005 prevede anche la possibilità di procedere ad un’attuazione per così dire semplificata, relativa agli adeguamenti tecnici, stabilendo che il Governo, nelle materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato, dia attuazione in via amministrativa – con decreto del Ministro competente – alle norme comunitarie non autonomamente applicabili, che modifichino caratteristiche di ordine tecnico e modalità esecutive di direttive già recepite nell’ordinamento nazionale.
Circa l’attuazione delle norme comunitarie che ricadono nelle competenze legislative delle regioni, l’articolo 13 prevede un potere sostitutivo dello Stato nel caso di inerzia, per il quale si rinvia al paragrafo “I poteri statali sostitutivi”.
L’attuazione delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome
L’articolo 16 della legge n. 11 del 2005 disciplina le competenze delle regioni e delle province autonome nel dare attuazione alle direttive comunitarie.
Al riguardo, si segnala che l’articolo 20 della legge provvede a fare salve le norme previste negli statuti delle regioni ad autonomia differenziata e le relative norme di attuazione. Si tratta di una disposizione volta a salvaguardare l’autonomia delle regioni a statuto speciale e delle province autonome.
La disciplina introdotta dalla legge n. 11 del 2005 attribuisce a tutte le regioni nonché alle province autonome di Trento e di Bolzano nelle materie di propria competenza la facoltà di dare immediata attuazione alle direttive comunitarie. Peraltro si chiarisce che, nelle materie oggetto di potestà legislativa concorrente, la legge comunitaria indica i princìpi fondamentali cui le regioni e le province autonome sono tenute a conformarsi: tali principi sono qualificati come inderogabili dalla legge regionale o provinciale e prevalenti sulle contrarie disposizioni eventualmente già emanate dalle regioni e province autonome.
Si ricorda che la legge ordinaria di attuazione del nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione (Legge n. 131 del 2003, cosiddetta “legge La Loggia”) prevede che “nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la potestà legislativa nell’ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti” (articolo 1, comma 3).
I provvedimenti delle regioni (e province autonome), rientranti nelle materie di competenza legislativa di tali enti, devono indicare nel titolo il numero identificativo della direttiva attuata ed essere trasmessi immediatamente in copia conforme alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie.
L’articolo 16 disciplina altresì l’intervento statale anticipato e cedevole nell’ipotesi di inerzia regionale, per il quale si rinvia al paragrafo “I poteri statali sostitutivi”.
Infine, per le direttive che ricadono in materie di legislazione esclusiva dello Stato, il Governo indica i criteri e formula le direttive alle quali si devono attenere le regioni e le province autonome ai fini del soddisfacimento di esigenze di carattere unitario, del perseguimento degli obiettivi della programmazione economica e del rispetto degli impegni derivanti dagli obblighi internazionali.
Tale indicazione può avvenire con varie modalità. Il Governo, infatti, è libero di utilizzare uno dei seguenti strumenti:
§ la legge o un atto avente forza di legge;
§ i regolamenti governativi sulla base della legge comunitaria;
§ una deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie, d'intesa con i Ministri competenti, secondo le modalità stabilite dall’articolo 8 della legge n. 59 del 1997[9].
La disciplina dei poteri statali sostitutivi è contenuta – nell’ambito della legge n. 11 del 2005 – in vari articoli, che riprendono sostanzialmente quanto già previsto in materia nelle leggi comunitarie approvate dopo l’entrata in vigore della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione.
Si tratta, in particolare, degli articoli 11, comma 8, relativo all’attuazione in via regolamentare, 13, comma 2, relativo agli adeguamenti tecnici, e 16, comma 3, in materia di attuazione regionale.
La disciplina è sostanzialmente quella prevista dall’articolo 11, comma 8, volto a dare attuazione all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione[10]. In particolare, si prevede che spetta allo Stato, secondo modalità da stabilirsi con legge, un potere sostitutivo per i casi di inadempienza delle regioni e delle province autonome agli obblighi di attuazione degli atti normativi dell’Unione europea.
La norma prevede una triplice garanzia per le regioni e province autonome:
§ gli atti statali attuativi di direttive comunitarie, che intervengono su materie rimesse alla competenza legislativa – concorrente o residuale generale – delle regioni o delle province autonome, entrano in vigore solo alla data di scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa comunitaria;
§ tali atti riguardano esclusivamente le regioni e province autonome che non abbiano ancora adottato la propria normativa di attuazione;
§ gli atti statali perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa regionale (o provinciale) di attuazione delle direttive comunitarie, e devono recare l’esplicita indicazione della natura sostitutiva e cedevole del potere esercitato e delle disposizioni in essi contenute.
La norma in oggetto persegue una duplice finalità: da un lato, quella di rispettare il riparto di competenze legislative delineato dall’articolo 117 della Costituzione e le funzioni in materia di attuazione degli atti comunitari attribuite alle regioni dal quinto comma del medesimo articolo 117; dall’altro, quella di garantire allo Stato uno strumento per evitare l’insorgere di una responsabilità nei confronti dell’Unione europea e il verificarsi di ritardi tali da esporre l’Italia a procedure di infrazione[11].
Come ricordato, tra l’altro, l’articolo 117, sesto comma, della Costituzione stabilisce che la potestà regolamentare spetta allo Stato solo nelle materie di legislazione esclusiva. In ogni caso, la possibilità che regolamenti statali intervengano temporaneamente a disciplinare materie di competenza regionale rappresenta una deroga che trova un proprio fondamento costituzionale nell’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, anche secondo quanto evidenziato dalla dottrina e dal Consiglio di Stato. Infatti, l’Adunanza generale del Consiglio di Stato (25 febbraio 2002) si è pronunciata sul punto, rilevando come all’attuazione delle direttive comunitarie nelle materie attribuite alle regioni o alle province autonome in via esclusiva o concorrente, siano competenti le regioni e le province autonome, ma se queste non dovessero provvedere, sussiste il potere dovere dello Stato di attuare, attraverso proprie fonti normative,anche regolamentari, tali direttive, al fine di rispettare i vincoli comunitari; le norme poste dallo Stato in via sostitutiva risultano applicabili solo nell’ambito dei territori delle regioni e province autonome che non abbiano provveduto e siano cedevoli. Ai fini dell’attuazione in via sostitutiva, è necessario sentire previamente la Conferenza Stato-Regioni nel rispetto del principio di leale collaborazione. Inoltre, dal momento che l’articolo 117, quinto comma, della Costituzione prevede il potere sostitutivo in caso di inadempienza, la norma statale, se emanata anteriormente, avrà effetto soltanto dalla scadenza dell’obbligo comunitario di attuazione della direttiva nei confronti delle sole regioni inadempienti. E’ necessario che l’atto normativo dello Stato in funzione sostitutiva contenga la clausola di cedevolezza, in virtù della natura esclusivamente collaborativa dell’intervento dello Stato in materie di competenza regionale.
Analogamente, l’articolo 13, comma 2, sempre in attuazione dell’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, stabilisce che i provvedimenti in materia di adeguamenti tecnici possono essere adottati nelle materie di competenza legislativa regionale in caso di inerzia delle regioni e province autonome. In tale caso, i provvedimenti statali adottati si applicano secondo modalità analoghe a quelle definite dall’articolo 11. In particolare, i citati provvedimenti statali si applicano, per le regioni e le province autonome nelle quali non sia ancora in vigore la normativa di attuazione, a decorrere dalla scadenza del termine stabilito per il recepimento della normativa comunitaria e perdono efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa attuativa. I provvedimenti recano l'esplicita indicazione della natura sostitutiva del potere esercitato e del carattere cedevole delle disposizioni in essi contenute.
Infine, l’articolo 16, comma 3, in riferimento all’attuazione regionale delle direttive comunitarie, chiarisce che le disposizioni legislative adottate dallo Stato per l’adempimento degli obblighi comunitari in materie di competenza regionale si applicano “alle condizioni e secondo la procedura di cui all’articolo 11, comma 8”.
La disciplina dei poteri sostitutivi, dettata dagli articoli in esame, si aggiunge a quanto previsto dall’articolo 8 della legge n. 131 del 2003 (c.d. legge La Loggia), che è volto a regolare l’esercizio del diverso potere sostitutivo previsto dall’articolo 120 della Costituzione.
La norma stabilisce, in via generale, che i provvedimenti sostitutivi devono essere proporzionati alle finalità perseguite e, in particolare, prevede che:
§ l’assegnazione di un congruo termine all’ente interessato per provvedere;
§ l’adozione dell’atto sostitutivo, di natura anche normativa, da parte del Consiglio dei ministri solo a seguito dell’infruttuoso decorso del termine, sentito l’organo interessato.
Qualora l’esercizio del potere sostitutivo si renda necessario al fine di porre rimedio alla violazione della normativa comunitaria, gli atti ed i provvedimenti sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro competente per materia.
Accanto a questa forma di sostituzione, l’articolo 8 ne disciplina un’altra, attivabile nei casi di assoluta urgenza: qualora l’intervento sostitutivo non sia procrastinabile senza mettere in pericolo le finalità tutelate dall’articolo 120 della Costituzione, il Consiglio dei ministri, anche su iniziativa delle regioni o degli enti locali, adotta i provvedimenti necessari, comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza Stato-Città e autonomie locali, che possono chiederne il riesame[12].
Per quanto riguarda i rapporti tra la sostituzione delineata dagli articoli in esame della legge n. 11 e quella disciplinata dalla legge n. 131 del 2003, si evidenzia che le due leggi fanno riferimento a diversi articoli della Costituzione: le disposizioni della legge n. 11 si pongono in attuazione dell’articolo 117, quinto comma, Costituzione, mentre l’articolo 8 della legge n. 131 richiama l’articolo 120, secondo comma, Costituzione.
L’articolo 117, quinto comma, della Costituzione prevede che le regioni e le province autonome provvedono all’attuazione degli obblighi comunitari, “nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza”, mentre l’articolo 120, secondo comma, della Costituzione, stabilisce che il Governo può sostituirsi a organi delle regioni, città metropolitane, province e comuni, in caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o economica e la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni. La norma prevede altresì che la legge definisce le procedure idonee a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione.
Di particolare rilievo sono le disposizioni dettate dall’articolo 16-bis[13] della legge n. 11 del 2005, con il quale sono previste misure volte ad assicurare l’adempimento degli obblighi comunitari e internazionali dello Stato derivanti, in particolare, dalle procedure d’infrazione avviate dalla Commissione europea, dalle sentenze di condanna della Corte di giustizia, dalle sentenze di condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo originate dalla violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (e dei relativi Protocolli addizionali)[14].
A tal fine, viene introdotto il diritto di rivalsa dello Stato nei confronti dei soggetti responsabili dell’inadempimento degli obblighi comunitari e internazionali. In particolare, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici ed i soggetti equiparatidevono:
§ adottare le misure necessarie a porre tempestivamente rimedio alle violazioni, loro imputabili, degli obblighi comunitari, al fine di prevenire l'instaurazione delle procedure d'infrazione o per porre termine alle stesse;
§ dare esecuzione agli obblighi derivanti dalle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee.
In ogni caso,è previstol’esercizio dei poteri statali sostitutivi nei confronti delle regioni e degli altri enti suindicati, responsabili della violazione degli obblighi comunitari o della non tempestiva esecuzione delle sentenze della Corte di giustizia. Tali poteri sostitutivi sono esercitati secondo i princìpi e le procedure stabiliti dall'articolo 8 della legge n. 131 del 2003 (c.d. legge “La Loggia”) e dall’articolo 11, comma 8, della legge n. 11 del 2005.
In caso di inadempimento degli obblighi derivanti dalla normativa comunitaria, lo Stato può esercitare il diritto di rivalersi nei confronti di tali enti nelle regolazioni finanziarie operate a carico dell'Italia a valere sulle risorse del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA), del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e di altri fondi aventi finalità strutturali. Tale diritto di rivalsa è esercitato dallo Stato per compensare gli oneri finanziari derivanti dalle sentenze di condanna della Corte di Giustizia (ex art. 228 del Trattato istitutivo della Comunità europea), e della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Le modalità di esercizio del diritto di rivalsa prevedono che tale facoltà possa essere esercitata in modo differente, a seconda che l’obbligato sia un ente territoriale, ovvero un ente od organismo pubblico diverso assoggettato al sistema di tesoreria unica, ovvero altro ente.
In particolare, nel caso in cui l’obbligato sia un ente territoriale, la misura degli importi dovuti, che comunque non deve essere superiore agli oneri finanziari a carico dell’Italia, è stabilita con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze da adottarsi entro 3 mesi dalla notifica, nei confronti degli obbligati, della sentenza esecutiva di condanna per la Repubblica italiana. Il decreto reca modi e termini per il pagamento, anche rateizzato, e costituisce titolo esecutivo. Qualora gli oneri finanziari a carico dell’Italia siano di carattere pluriennale, o non ancora liquidi, possono adottarsi più decreti ministeriali in relazione al progressivo maturare del credito dello Stato.
I decreti sono emanati previa intesa sull’entità del credito, modalità di recupero e termini di pagamento, anche rateizzato, con l’ente obbligato. Tale intesa, il cui contenuto viene recepito in un provvedimento del Ministro dell’economia e costituisce titolo esecutivo, deve essere perfezionata entro 4 mesi decorrenti dalla data della notifica della sentenza esecutiva di condanna verso l’Italia all’ente obbligato.
Qualora non venga raggiunga l’intesa, l'adozione del provvedimento compete al Presidente del Consiglio dei ministri, nei successivi 4 mesi, sentita la Conferenza unificata. Anche in questo caso possono essere adottati più decreti laddove si sia in presenza di crediti dello Stato che maturano progressivamente.
Nel caso di enti e di organismi pubblici diversi da quelli indicati sopra, assoggettati al sistema di tesoreria unica, il diritto di rivalsa si esercita con un prelevamento diretto sulle contabilità speciali obbligatorie istituite presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato, ai sensi della legge 29 ottobre 1984, n. 720[15].
In ogni altro caso, il diritto di rivalsa si esercita secondo le vie ordinarie, mediante ricorso innanzi all’autorità giudiziaria competente.
Le notifiche delle sentenze di condanna nei confronti degli enti territoriali obbligati sono effettuate a cura e spese del Ministero dell'economia e delle finanze.
Le sessioni comunitarie della Conferenza Stato-regioni e della Conferenza Stato-città
La legge disciplina anche le sessioni comunitarie della Conferenza Stato-regioni e della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, stabilendo rispettivamente che il Presidente del Consiglio convochi:
- almeno ogni sei mesi - anche su richiesta delle regioni e delle province autonome - una sessione speciale della Conferenza Stato-regioni, dedicata alla trattazione degli aspetti delle politiche comunitarie di interesse regionale e provinciale (articolo 17);
La Conferenza Stato-Regioni in sessione comunitaria può, infatti, esprimere il proprio parere sulle seguenti questioni:
§ sugli indirizzi generali relativi all'elaborazione e all'attuazione degli atti comunitari che riguardano le competenze regionali;
§ sui criteri e le modalità per conformare l'esercizio delle funzioni regionali all'osservanza ed all'adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea;
§ sullo schema del disegno di legge comunitaria, sulla base di quanto previsto dall'articolo 5, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 281/1997. Tale norma dispone che la Conferenza Stato-Regioni in sessione comunitaria esprima parere sullo schema di disegno di legge comunitaria e che decorso il termine di 20 giorni dalla richiesta del parere, il disegno di legge sia presentato al Parlamento anche in mancanza di tale parere.
Il Ministro per le politiche comunitarie riferisce al Comitato interministeriale per la programmazione economica per gli aspetti di competenza.
Circa le competenze della Conferenza Stato-Regioni in relazione all’Unione europea, si ricorda che l’articolo 5 del decreto legislativo n. 281 del 1997 prevede che essa, anche su richiesta delle regioni e delle province autonome, si riunisca in apposita sessione almeno 2 volte all'anno al fine di raccordare le linee della politica nazionale, relativa all'elaborazione degli atti comunitari con le esigenze rappresentate dalle regioni e dalle province autonome, nelle materie di competenza di queste ultime, e di esprimere il parere sullo schema di disegno di legge comunitaria. La Conferenza inoltre designa i componenti regionali in seno alla rappresentanza permanente italiana presso l'Unione europea ed esprime il proprio parere – su richiesta dei Presidenti delle regioni e delle province autonome e con il consenso del Governo – sugli schemi di atti amministrativi dello Stato che, nelle materie di competenza delle regioni o delle province autonome, danno attuazione alle direttive comunitarie ed alle sentenze della Corte di giustizia delle comunità europee.
- almeno una volta all'anno - anche su richiesta delle associazioni rappresentative degli enti locali o degli enti locali interessati - una sessione speciale della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, dedicata alla trattazione degli aspetti delle politiche comunitarie di interesse degli enti locali (articolo 18). La conferenza tratta gli aspetti delle politiche comunitarie di interesse degli enti locali, esprimendo genericamente parere sui criteri e le modalità per conformare l'esercizio delle funzioni di interesse degli enti locali all'osservanza e all'adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.
La Conferenza Stato-città ed autonomie locali è un organo collegiale con funzioni consultive e decisionali, sede istituzionale permanente di confronto e raccordo tra lo Stato e gli enti locali. La Conferenza è stata istituita con D.P.C.M. 2 luglio 1996 ed è disciplinata dal decreto legislativo n. 281 del 1997 e successive modificazioni. In particolare, l’articolo 8 del citato decreto legislativo prevede che essa sia presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri (o, per sua delega, dal Ministro dell'interno o dal Ministro per gli affari regionali) e ne facciano parte oltre a vari Ministri (economia, infrastrutture e sanità), il presidente dell'Associazione nazionale dei comuni d'Italia – ANCI, il presidente dell'Unione province d'Italia – UPI ed il presidente dell'Unione nazionale comuni, comunità ed enti montani – UNCEM, nonché, su designazione delle rispettive associazioni, sei presidenti di provincia e quattordici sindaci, di cui cinque sindaci di città che siano aree metropolitane.
Dei risultati emersi in tali sedi il Governo è tenuto ad informare tempestivamente le Camere.
La relazione governativa al disegno di legge comunitaria 2010 (A.S. 2322), come stabilito dell’articolo 8, comma 5, della legge n. 11 del 2005, contiene le seguenti informazioni:
a) i dati sullo stato di conformità dell'ordinamento interno al diritto comunitario e sullo stato delle eventuali procedure di infrazione dando conto, in particolare, della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee relativa alle eventuali inadempienze e violazioni degli obblighi comunitari da parte della Repubblica italiana.
La relazione presentata dal Governo al disegno di legge comunitaria 2010 riferisce che, alla data del 31 dicembre 2009, risultavano complessivamente aperte contro l’Italia 153 procedure, di cui 124 per violazione del diritto comunitario e 29 per mancata trasposizione di direttive.
Viene poi fornita la classificazione per livello delle procedure. Da questa si evince che, per quanto riguarda le 153 procedure, 73 di queste sono lettere di costituzione in mora (primo stadio del contenzioso comunitario) ex art. 258 TFUE, altre 80 sono relative a stadi più avanzati del contenzioso: 4 messe in mora complementare, 39 pareri motivati, 12 ricorsi e 10 sentenze per inadempimento. A queste si aggiungono 16 procedure di cui all’art. 260 TFUE in base al quale la Commissione europea, in caso di mancata esecuzione del giudicato, può adire la Corte di Giustizia per chiedere l’irrogazione di sanzioni pecuniarie per lo Stato membro inadempiente.
Per quanto riguarda la mancata trasposizione di direttive risultano aperte 29 procedure, di cui 11 pareri motivati, 1 ricorso e 2 sentenze per mancata attuazione.
Nella Relazione il Governo fornisce, altresì, la classificazione per amministrazioni competenti. Il maggior numero di procedure riguarda i seguenti settori: ambiente (35 procedure), fiscalità e dogane (21), affari economici e finanziari (12), libera prestazione di servizi (10), lavoro e affari sociali (9), libera circolazione delle merci (7), agricoltura, energia e trasporti (6 procedure per ciascun settore), affari interni e salute (5 procedure per ciascun settore), appalti e comunicazioni (4 procedure per ciascun settore), concorrenza e aiuti di Stato (3), pesca (3), giustizia (2), istruzione e università, affari esteri, libera circolazione delle persone, libera circolazione di capitali, tutela dei consumatori (1 per ciascun settore).
In data 27 gennaio 2011 il Dipartimento per le politiche comunitarie ha comunicato che il Collegio dei Commissari UE ha deciso, per quanto riguarda l'Italia, 16 archiviazioni di procedure di infrazione, di cui 12 concernenti procedure già aperte e 4 ancora allo stadio di reclamo, a fronte dell'apertura di 1 nuova procedure d'infrazione.
Contestualmente alle nuove decisioni, tuttavia, la Commissione ha inviato al Governo italiano 24 lettere di messa in mora per mancato recepimento di direttive dell'Unione. Una larga parte delle nuove procedure riguarda il recepimento di direttive contenute nella Legge comunitaria 2009, per le quali non è stato ancora completato l’iter di approvazione dei decreti attuativi.
Il numero totale delle procedure d'infrazione a carico dell'Italia si attesta così a 144, di cui 95 riguardano casi di violazione del diritto dell'Unione (VDUE) e 49 attengono a mancata trasposizione di direttive nell’ordinamento italiano (MA).
Si rileva che, per quanto riguarda lo stato delle procedure di infrazione relative al solo mercato interno, la Commissione europea, nella Strategia per il mercato interno 2003-2006[16], chiedeva agli Stati membri una riduzione del numero delle procedure di infrazione di almeno il 50 per cento entro il 2006.
La Commissione europea, già a partire dalla “Comunicazione sul miglioramento del controllo dell’applicazione del diritto comunitario” (COM(2002)725def.) ha optato per un approccio differenziato al trattamento delle procedure d’infrazione, a causa della loro costante crescita e alla prospettiva di un ulteriore forte aumento delle stesse dopo l’allargamento dell’Unione. In pratica la Commissione, secondo la gravità della presunta infrazione, decide caso per caso se avviare la procedura d’infrazione ovvero ricorrere a meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie: si tratta principalmente delle c.d. “riunioni pacchetto o cumulative”, che mirano a risolvere politicamente le questioni evitando azioni legali, nonché del meccanismo c.d. SOLVIT.
Il SOLVIT è una rete on-line in funzione dal luglio 2002 che permette di trovare una risoluzione extragiudiziale (informale) alle denunce dei consumatori e delle imprese relative ad una scorretta applicazione delle norme sul mercato interno da parte delle autorità amministrative pubbliche. In ciascuno Stato membro le vittime di un’applicazione erronea del diritto dell’Unione, da parte di autorità locali o nazionali di un altro Stato membro, possono rivolgersi al centro SOLVIT per ottenere che la questione sia rapidamente risolta: i tempi medi sono di 10 settimane per risolvere i reclami. Le soluzioni proposte non sono vincolanti. In ogni caso, se il cliente considera la proposta inaccettabile, può raccomandare di risolvere la controversia per via giudiziaria.
Nell’ottobre 2010 il Dipartimento per le politiche comunitarie ha comunicato che la Direzione generale UE del mercato interno e dei servizi ha trasmesso al Dipartimento una relazione[17] sull'attività del centro SOLVIT italiano sulla base dei casi trattati nel 2009.
La relazione evidenzia come l'Italia abbia registrato un sensibile incremento dei casi aperti "probabilmente - spiega la Commissione - grazie alle attività di sensibilizzazione realizzate". I casi trattati da SOLVIT Italia sono stati 368 (contro i 233 del 2008), di cui 107 riguardanti problemi causati da amministrazioni italiane (erano 105 nel 2008) e 119 relativi a problemi sorti in altri Stati membri (erano 48 nel 2008).
La relazione evidenzia anche un aumento dei casi "non SOLVIT", dagli 80 del 2008 ai 142 del 2009. Si tratta, per lo più, sia di richieste di informazioni di cittadini che non rientrano nelle competenze dei centri SOLVIT oppure di reclami su cui non viene aperto un caso formale perché non viene riscontrata una violazione del diritto comunitario.
b) l'elenco delle direttive attuate o da attuare in via amministrativa.
Si tratta di 55 direttive (riportate nella tabella 1 allegata al presente dossier) pubblicate a partire dal 7 gennaio 2009, non ancora attuate alla data del 15 febbraio 2010, alla cui attuazione provvedono lo Stato ovvero le regioni o le province autonome, nell’ambito del riparto costituzionale di competenze e fermi restando i poteri sostitutivi dello Stato.
Di questa 55 direttive, alla data del 12 febbraio 2011, ne risultano già recepite 41.
Si ricorda, altresì, che non è stato più rispettato a partire dal 2000, in sede di pubblicazione delle leggi comunitarie, l’obbligo previsto dall’articolo 10, comma 3-quater, del Testo unico sulla promulgazione delle leggi (D.P.R. n. 1092/1985) di riportare a titolo informativo nella Gazzetta Ufficiale, unitamente alla legge comunitaria annuale, l’elenco delle direttive attuate o da attuare in via amministrativa.
Il Governo ha inoltre fornito l’elenco di 19 direttive – pubblicate a decorrere dal 7 febbraio 2009 – che alla data del 15 gennaio 2010 risultavano essere già attuate in via amministrativa.
c) l’indicazione dell’eventuale omissione dell’inserimento di direttive il cui termine di recepimento sia scaduto o scada nel periodo di riferimento, in relazione ai tempi previsti per l’esercizio della delega legislativa, quindi entro il 31 dicembre 2009.
Al riguardo, la relazione governativa segnala che non risulta omessa alcuna direttiva pubblicata nell’anno 2008 il cui termine di recepimento sia già scaduto ovvero scada entro il 31 dicembre 2009.
Si segnala, in proposito, che risultano essere 5 (cfr. la tabella 4 allegata) le direttive, già scadute al 31 dicembre 2009, non recepite e non inserite nel disegno di legge comunitaria 2010, oltre a 21 direttive di rifusione o di codifica per le quali non è indicato un termine preciso ai fini del recepimento.
d) l’elenco delle direttive attuate con regolamento, ai sensi dell’art. 11 della legge n. 11/2005, nonché gli estremi degli eventuali regolamenti d’attuazione già adottati.
La relazione al disegno di legge comunitaria 2010 indica che, nell’anno 2009, non risultano essere state attuate direttive con regolamento.
e) l’elenco degli atti normativi regionali e delle province autonome attuativi delle direttive comunitarie, anche con riferimento alle leggi annuali di recepimento eventualmente approvate dalle regioni o dalle province autonome.
Si tratta di dati che devono essere comunicati annualmente (entro il 25 gennaio 2010) al Dipartimento per le politiche comunitarie da parte della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome. Il disegno di legge comunitaria per il 2010 evidenzia che sono pervenuti i dati delle seguenti regioni:
Ø Abruzzo (3 direttive recepite);
Ø Emilia-Romagna (1 direttiva);
Ø Friuli Venezia Giulia (3 direttive recepite, 6 regolamenti ed una Comunicazione della Commissione);
Ø Lombardia (6 direttive recepite e 2 regolamenti);
Ø Piemonte (4 direttive recepite);
Ø Puglia (3 direttive recepite);
Ø Sardegna (4 direttive recepite, 3 regolamenti, il Programma operativo del Fondo europeo della pesca, artt. 43 e 81 del Trattato istitutivo della Comunità europea);
Ø Umbria (1 direttiva recepita);
Ø Valle d’Aosta (4 direttive recepite);
Ø Provincia autonoma di Trento (4 direttive recepite).
Si rileva, infine, che non è più previsto dalla legge n. 11 del 2005 l’obbligo di indicare l’elenco delle direttive che non necessitano di provvedimento di attuazione, in quanto evidentemente di diretta applicazione, in virtù del loro contenuto sufficientemente specifico, ovvero in quanto l’ordinamento interno risulta già conforme ad esse.
Profili generali
Nella tabella 2 allegata al presente dossier è indicato,per ciascuno Stato membro dell’Unione europea, lo stato di attuazione di tutte le direttive comunitarie già scadute alla data del 24 novembre 2009[18]. A tale data risultavano scadute e applicabili in Italia 3.088 direttive. L’Italia si è collocata al 26° posto nella graduatoria del recepimento a 27 Paesi, avendo comunicato i provvedimenti di attuazione relativi a 3.050 di queste, pari al 98,77 per cento delle direttive da recepire (la media CE a 27 Stati è pari al 99,25 per cento). Alla data del 24 novembre 2009 risultava quindi un deficit di attuazione dell’Italia pari a 38 direttive.
Nella tabella 3, allegata al dossier[19], sono riportate le direttive il cui recepimento è stato previsto da leggi comunitarie precedenti a quella del 2010 e che non risultano ancora attuate.Complessivamente, risultano ancora da recepire 77 direttive contenute nelle precedenti leggi comunitarie, a prescindere dal termine di recepimento[20],e, tra queste, 52 direttivesono da attuare in base alla legge comunitaria 2009 (legge n. 96 del 2010).Per 11 direttive risultano già presentati alle Camere per il parere gli schemi di decreto legislativo di recepimento.
Infine, come si desume dalla tabella 4, le direttive scadute o in scadenza nell’anno 2009, non recepite e non inserite in leggi comunitarie, risultano essere 26: di queste, 19 sono direttive di rifusione o di codifica; per una direttiva (2009/14/CE) è stato completato l’iter parlamentare deldecreto attuativo.
Le direttive comunitarie relative al solo “Mercato interno”
La Commissione europea ritiene che il mercato interno svolga un ruolo fondamentale nella realizzazione dell’obiettivo che l’Unione europea si è fissata in materia di crescita e occupazione e che tuttavia esso non possa realizzare pienamente il suo potenziale se la legislazione concordata a livello europeo non viene effettivamente recepita e applicata da tutti gli Stati membri.
In base ai dati dello Scoreboard della Commissione europea pubblicato nel settembre 2010[21], il tasso di mancato recepimento dell’UE a 27 Paesi,che indica la percentuale media delle direttive relative al mercato interno in vigore non trasposte alla scadenza, è pari allo 0,9 per cento (il dato registrato nel mese di marzo 2010 era pari allo 0,7 per cento). Gli Stati membri riescono pertanto a raggiungere l’obiettivo a medio termine del tasso medio dell’1% concordato dai Capi di Stato e di Governo dell’Unione nel Consiglio europeo di marzo 2007, considerato elemento chiave per il successo ed il rilancio della “Strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione”.
Per quanto riguarda la graduatoria dei 27 Stati dell’Unione, 18 Stati membri hanno raggiunto l’obiettivo. Si tratta, nell’ordine, di Danimarca, Malta, Slovenia, Bulgaria, Paesi Bassi, Romania, Slovacchia, Lettonia, Ungheria, Germania, Lituania, Finlandia, Irlanda, Svezia, Belgio, Romania, Regno Unito e Spagna. Danimarca e Malta hanno fatto registrare ex aequo il risultato migliore.
L’Italia si colloca nel gruppo dei 9 Paesi che non hanno ancora centrato l’obiettivo dell’1 per cento, anche se il nostro Paese è riuscito a ridurre il ritardo medio di recepimento delle direttive.
La Commissione europea sottolinea peraltro che presso tutti gli Stati membri, compresi quelli con un deficit di recepimento relativamente basso, si riscontra la presenza di direttive non correttamente recepite.
Per quanto concerne le procedure di infrazione, nello Scoreboard si evidenzia come il numero complessivo delle procedure sia diminuito del 2,1 per cento rispetto all’ultima rilevazione del marzo 2010. I settori nei quali si registrano il maggior numero di infrazioni sono “Fiscalità e unione doganale” e “Ambiente”.
La partecipazione delle regioni alla fase ascendente e discendente del diritto comunitario ha assunto sempre maggior rilievo a partire dalla riforma costituzionale del 2001 e dalla legge 131/2003 (cosiddetta “La Loggia”) che ne disciplina gli aspetti generali. Con la legge 11 del 2005, come già illustrato, sono state emanate norme più specifiche sulla partecipazione delle regioni alla formazione degli atti comunitari (articolo 5) e sui rapporti istituzionali tra Governo e Regioni, con riferimento, in particolare, al ruolo e alle funzioni della Conferenza Stato-Regioni, per la quale viene istituita una sessione comunitaria, e degli organismi rappresentativi dei Governi regionali (Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome) e delle Assemblee legislative (Conferenza dei Presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome)[22].
Molte regioni, a loro volta, hanno adottato norme organiche in materia di partecipazione al processo normativo comunitario e di procedure di attuazione delle politiche comunitarie[23], così le regioni Friuli Venezia Giulia (L.R. n. 10/2004 e L.R. n. 17/2007, artt. 17 e 18), Valle d’Aosta (L.R. n. 8/2006), Marche (L.R. n. 14/2006), Calabria (L.R. n. 3/2007), Umbria (L.R. n. 23/2007, artt. 29-35), Emilia-Romagna (L.R. n. 16/2008), Molise (L.R. n. 32/2008), Campania (L.R. n. 18/2008),Toscana (L.R. 26/2009), Basilicata (L.R. 5-10-2009 n. 31), Abruzzo (L.R. 30-10-2009 n. 22) e da ultimo la Regione siciliana (L.R. 26-4-2010 n. 10) e la regione Sardegna (L.R. 30-6-2010 n. 13).
Le norme regionali disciplinano:
§ la partecipazione della Regione alla formazione degli atti comunitari, in particolare le forme istituzionali di informazione e raccordo tra Giunta e Consiglio, nonché le funzioni di ciascun organo in relazione alla formazione della posizione italiana sui progetti di atti comunitari e i documenti di consultazione (libri verdi, libri bianchi, comunicazioni);
§ la legge comunitaria regionale (in Sicilia si chiama 'Legge sulla partecipazione della Regione all'Unione europea', in Sardegna 'Legge europea regionale') quale strumento principale – ma non esclusivo – per dare attuazione agli atti normativi comunitari e alle sentenze della Corte di giustizia nelle materie di competenza della regione. Fa eccezione la legge della Campania secondo cui la regione adempie agli obblighi comunitari con i consueti strumenti normativi (regolamento, provvedimento amministrativo, legge).
Il disegno di legge comunitaria regionale, presentato annualmente dalla Giunta al Consiglio entro una specifica data (che varia dal 31 marzo in Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta al 31 luglio in Abruzzo), in molte regioni viene esaminato nell’ambito di una sessione comunitaria del Consiglio regionale e, in alcuni casi, insieme al rapporto sullo stato di attuazione delle politiche comunitarie; solo le regioni Umbria e Molise pongono un termine per l’approvazione della legge comunitaria regionale[24].
La legge comunitaria regionale ha un contenuto obbligatorio condiviso dalle regioni che l’hanno disciplinata. Essa, in analogia con quanto disposto per la legge comunitaria nazionale, deve contenere:
§ disposizioni modificative o abrogative di norme legislative in contrasto con gli obblighi comunitari;
§ disposizioni per dare attuazione ad atti comunitari ed anche alle sentenze della Corte di giustizia;
§ disposizioni che autorizzano la Giunta ad attuare le direttive in via regolamentare e/o amministrativa.
Alcune regioni aggiungono inoltre:
§ disposizioni per l’attuazione di programmi regionali cofinanziati dall’Unione europea (Valle d’Aosta, Emilia-Romagna, Abruzzo);
§ indicazione del termine per l’adozione di ogni ulteriore atto regionale di attuazione cui la legge eventualmente rimandi (Emilia-Romagna);
§ elenchi allegati degli atti normativi comunitari che non necessitano di recepimento, in quanto l’ordinamento regionale risulta già conforme (Calabria, Sicilia, Sardegna) e degli atti normativi comunitari attuati in via amministrativa e/o regolamentare dalla Giunta (Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Basilicata, Sicilia, nella regione Toscana l’elenco è inserito nella relazione che accompagna il disegno di legge).
Ancora in analogia con quanto disposto per la legge comunitaria nazionale, nella relazione che accompagna il disegno di legge la Giunta riferisce sullo stato di uniformità dell’ordinamento regionale al diritto comunitario[25] e sulle eventuali procedure di infrazione a carico dello Stato per inadempienze regionali.
Le regioni che hanno dato seguito alle norme generali e che hanno adottato la legge comunitaria regionale sono:
§ la regione Friuli Venezia Giulia che ha adottato annualmente la legge comunitaria regionale ad iniziare dal 2004 fino all’ultima relativa al 2008, legge regionale 30 luglio 2009 n. 13[26].
§ la regione Valle d’Aosta che ha approvato la prima legge comunitaria nel 2007 fino all'ultima relativa al 2010, legge regionale 1° giugno 2010, n. 16[27];
§ la regione Marche che ha adottato fino ad oggi una sola legge comunitaria regionale riferita al 2008, legge regionale 16 dicembre 2008, n. 36[28];
§ le regioni Emilia-Romagna (L.R. 12 febbraio 2010, n. 4[29]) e Abruzzo (L.R. 22-12-2010, n. 59[30]) che hanno adottato la prima legge comunitaria regionale riferita all'anno 2010.
Il 5 agosto 2010 il Governo ha presentato al Parlamento la relazione annuale sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea (anno 2009), ai sensi dell’art. 15 della legge 4 febbraio 2005, n. 11.
La relazione è strutturata in tre parti, ognuna delle quali espone distintamente un consuntivo degli interventi e delle politiche varate nel 2009 dall’UE e dall’Italia e gli orientamenti del Governo per il 2010.
La prima parte tratta del processo di integrazione europea e degli orientamenti generali delle politiche dell’Unione: nella prima sezione si sviluppano i temi istituzionali, nella seconda la risposta dell’Unione alla crisi mondiale, nella terza i temi dell’energia e dell’ambiente.
La seconda parte dà conto della partecipazione dell’Italia al processo di integrazione europea e del recepimento del diritto dell’Unione nell’ordinamento analizzando in tre distinte sezioni: i profili generali di tale partecipazione, quelli legati alle singole politiche comuni, quelli volti alla dimensione esterna dell’Unione, ivi incluse la politica estera comune e quella di sicurezza e difesa.
La terza parte riguarda le politiche di coesione e l’andamento dei flussi finanziari verso l’Italia e la loro utilizzazione.
In appendice sono riportati alcuni dati analitici, l’elenco dei provvedimenti attuativi di norme comunitarie e l’elenco ed i motivi delle impugnazioni deliberate dal Consiglio dei Ministri di decisioni adottate dal Consiglio o dalla Commissione dell’Unione europea nei confronti dell’Italia, nonché le modalità di partecipazione delle Camere e delle Regioni al processo normativo dell’Unione.
Occorre segnalare che la relazione presentata dal Governo, dando conto in un unico documento sia dell’attività svolta dall’Italia a livello di Unione europeanel 2009 sia delle priorità per il 2010, appare predisposta secondo le modalità e i contenuti previsto dallaformulazione dell’art. 15 della legge 4 febbraio 2005, n. 11 previgente alle modifiche introdotte dal comma 1 dell'art. 8, della legge 4 giugno 2010, n. 96 (Legge comunitaria 2009), in vigore dal 10 luglio 2007.
L’articolo 15 vigente ha previsto che il Governo presenti al Parlamento due distinte relazioni una di rendiconto ed l’altra programmatica.
In particolare, la relazione “programmatica” va presentata entro il 31 dicembre di ogni anno e reca indicazione degli orientamenti e le priorità che il Governo intende assumere per l'anno successivo, con riferimento agli sviluppi del processo di integrazione europea, ai profili istituzionali e a ciascuna politica; tale relazione alla Camera è esaminata congiuntamente con il programma legislativo delle Istituzioni europee.
La relazione di rendiconto deve essere invece sottoposta alle Camere entro il31 gennaiodi ogni anno (stessa data prevista per la presentazione del ddl comunitaria) ed illustra le attività svolte nell'anno precedente dall’UE e dal Governo con riguardo all’evoluzione istituzionali, alla normativa e alle politiche dell’UE.
Alla Camera le relazioni sono esaminate da tutte le Commissioni per i profili di rispettiva competenza e dalla Commissione politiche dell’UE, che riferisce all’Assemblea; l’esame in Aula, di norma, si conclude con l’approvazione di una risoluzione.
La Giunta per il regolamento della Camera, nel parere del 14 luglio 2010, ha disposto che la relazione “programmatica” sia oggetto di esame congiunto con gli strumenti di programmazione legislativa e politica delle Istituzioni europee, secondo la procedura già delineata a questo scopo dalla Giunta per il Regolamento il 9 febbraio 2000; la relazione di rendiconto continuerebbe ad essere esaminata congiuntamente con il disegno di legge comunitaria, secondo il disposto di cui all’art. 126-ter del Regolamento.
Il programma legislativo della Commissione europea e il programma del Consiglio dell’UE sono esaminati sulla base di una procedura indicata dalla Giunta per il regolamento della Camera dei deputati nel 2000.
La procedura prevede:
· l'esame da parte di tutte le Commissioni permanenti (per i profili ricadenti nell’ambito delle rispettive competenze), che approvano un parere;
· l’esame generale da parte della Commissione politiche dell’UE (anche con l’audizione degli europarlamentari italiani), che presenta una relazione all’Assemblea;
· la discussione in Assemblea, che di norma si conclude con l'approvazione di atti di indirizzo al Governo.
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro il termine di due mesi antecedenti a quello di recepimento indicato in ciascuna delle direttive elencate negli allegati A e B, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive medesime. Per le direttive elencate negli allegati A e B il cui termine così determinato sia già scaduto ovvero scada nei tre mesi successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo è delegato ad adottare i decreti legislativi di attuazione entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Per le direttive elencate negli allegati A e B che non prevedono un termine di recepimento, il Governo è delegato ad adottare i decreti legislativi entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
2. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati, nel rispetto dell’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione all’oggetto della direttiva.
3. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive elencate nell’allegato B, nonché quelli relativi all’attuazione delle direttive elencate nell’allegato A che prevedono il ricorso a sanzioni penali, sono trasmessi, dopo l’acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica affinché su di essi sia espresso il parere dei competenti organi parlamentari. Decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza del parere. Qualora il termine per l’espressione del parere parlamentare di cui al presente comma, ovvero i diversi termini previsti dai commi 4 e 9 scadano nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini di delega previsti ai commi 1 o 5 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di tre mesi.
4. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive che comportino conseguenze finanziarie sono corredati della relazione tecnica di cui all’articolo 17, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196. Su di essi è richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all’esigenza di garantire il rispetto dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi d’informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro venti giorni.
5. Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può adottare, con la procedura indicata nei commi 2, 3 e 4, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati ai sensi del citato comma 1, fatto salvo quanto previsto dal comma 6.
6. I decreti legislativi, relativi alle direttive elencate negli allegati A e B, adottati, ai sensi dell’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, si applicano alle condizioni e secondo le procedure di cui all’articolo 11, comma 8, della legge 4 febbraio 2005, n. 11.
7. I decreti legislativi adottati ai sensi dell’articolo 3 della presente legge, se attengono a materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, sono emanati alle condizioni e secondo le procedure di cui all’articolo 11, comma 8, della citata legge n. 11 del 2005.
8. Il Ministro per le politiche europee, nel caso in cui una o più deleghe di cui al comma 1 non risultino esercitate alla scadenza del termine previsto, trasmette alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica una relazione che dà conto dei motivi addotti a giustificazione del ritardo dai Ministri con competenza istituzionale prevalente per la materia. Il Ministro per le politiche europee, ogni sei mesi, informa altresì la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano nelle materie di loro competenza, secondo modalità di individuazione delle stesse, da definire con accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
9. Il Governo, ove non intenda conformarsi ai pareri parlamentari di cui al comma 3, relativi a sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi recanti attuazione delle direttive elencate negli allegati A e B, ritrasmette con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni i testi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica. Decorsi venti giorni dalla data di ritrasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza di nuovo parere.
L’articolo 1 conferisce una delega al Governo per l’attuazione delle direttive comunitarie riportate negli Allegati A e B al provvedimento in esame e stabilisce i termini e le modalità di emanazione dei decreti legislativi attuativi.
L’attuazione delle direttive comunitarie mediante delega legislativa, già contemplata dall’art. 3 della legge 86/1989[31] è ora espressamente prevista, in via generale, dalla legge 11/2005[32] il cui art. 9, nel fissare i contenuti della legge comunitaria annuale, prevede che l’adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello comunitario venga assicurato, oltre che con disposizioni modificative o abrogative di norme statali vigenti e con autorizzazione al Governo ad intervenire in via regolamentare, anche mediante conferimento al Governo di delega legislativa.
Il comma 1 individua il termine per l’esercizio della delega senza indicare una data fissa o un periodo uniforme per tutte le direttive comprese negli allegati A e B[33]. Viene, infatti, introdotto un termine flessibile: ciascuna direttiva elencata negli allegati A e B dovrà essere attuata nel termine di due mesi antecedenti a quello di recepimento previsto dalla direttiva stessa.
Si ricorda che, fino al 2006, era stabilito invece un termine generale per l’adozione dei decreti legislativi di recepimento, pari, nella legge comunitaria 2006, a 12 mesi dall’entrata in vigore della legge stessa (L. 6 febbraio 2007, n. 13, art. 1, comma 1).
A partire dalla legge comunitaria 2007 è stato introdotto un termine flessibile, ma questo veniva fatto coincidere con il termine di recepimento di ciascuna delle direttive medesime[34].
Il comma in esame anticipa dunque di due mesi il termine di recepimento rispetto a quanto avveniva in passato. Tale decisione è così motivata nella relazione illustrativa: "Nelle ultime tre leggi comunitarie il disegno di legge prevedeva in via generale, la coincidenza del termine di recepimento della direttiva con quello di esercizio della delega legislativa. Ciò ha consentito di ridurre sensibilmente l’avvio di procedure d’infrazione per mancato recepimento, senza peraltro evitarne del tutto l’insorgenza, atteso che la proroga consentita dall’articolo 1, comma 3, [vedi oltre] alla quale non si ritiene opportuno rinunciare, determina nei fatti un possibile differimento del termine di esercizio della delega sino a tre mesi. Poiché è ormai invalsa la prassi della Commissione europea di avviare procedure d’infrazione per mancato recepimento a distanza di 30-45 giorni dalla scadenza del termine di recepimento delle direttive, considerato altresì che con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, avvenuta il 1º dicembre 2009, lo Stato inadempiente correrà il rischio di incorrere in sanzioni pecuniarie già nel contesto del procedimento giurisdizionale di accertamento dell’inadempienza, si rende necessario operare uno sforzo ulteriore per ridurre i tempi di recepimento, anche per evitare il danno all’immagine che il nostro Paese subisce nel momento in cui vengono avviate nuove procedure d’infrazione per mancato recepimento, a volte proprio quando l’iter di approvazione dei provvedimenti di attuazione è in corso. Per tale ragione [...] si è stabilito di anticipare il termine di delega di due mesi rispetto a quello stabilito nelle ultime leggi comunitarie".
Accanto al termine generale “flessibile”, il comma 1 dispone anche, specificamente, in ordine:
§ alle direttive comprese negli allegati A e B il cui termine di recepimento (individuato dalle stesse direttive) sia già scaduto ovvero scada nei tre mesi successivi all’entrata in vigore del provvedimento in esame: in questo caso il termine della delega è di tre mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame;
§ alle direttive comprese negli allegati A e B che non prevedono un termine di recepimento: in questo caso il termine della delega è di dodici mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame.
La distinzione tra i due allegati riguarda il procedimento: ai sensi del comma 3, il procedimento per l’attuazione delle direttive incluse nell’allegato B prevede l’espressione del parere da parte dei competenti organi parlamentari; decorsi 40 giorni dalla data di trasmissione alle Camere, i decreti possono comunque essere emanati anche in assenza del parere. Tale procedura – che riproduce quella già prevista nelle ultime leggi comunitarie – è estesa anche ai decreti di attuazione delle direttive di cui all’allegato A, qualora in essi sia previsto il ricorso a sanzioni penali.
È inoltre previsto che, qualora il termine fissato per l’espressione del parere parlamentare venga a spirare nei 30 giorni che precedono la scadenza del termine per l’esercizio della delega o successivamente, il termine per la delega sia prorogato di tre mesi. Si intende in tal modo permettere al Governo di usufruire in ogni caso di un adeguato periodo di tempo per l’eventuale recepimento nei decreti legislativi delle indicazioni emerse in sede parlamentare.
Tale ultima previsione normativa si applica anche ai decreti legislativi integrativi o correttivi previsti dal successivo comma 5, nonché alle ipotesi di eventuale “doppio parere” previste dai commi 4 e 9, di cui si dirà tra breve.
Il testo prevede che il parere parlamentare debba essere richiesto dopo aver già acquisito tutti gli altri pareri previsti dalla legge, in linea con la prassi affermatasi nelle scorse legislature, soprattutto a partire dal 1998, a seguito dei reiterati interventi dei Presidenti delle Camere nei confronti del Governo, volti ad ottenere che il testo trasmesso per il parere parlamentare avesse completato la fase procedimentale interna all’esecutivo.
Il comma 2 richiama la procedura prevista dall’art. 14 della legge 400/1988[35] per l’adozione dei decreti legislativi, i quali sono emanati dal Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e con gli altri ministri interessati in relazione all’oggetto della direttiva.
Il comma 4 reca una disposizione (già contenuta nelle leggi comunitarie a partire dal 2004), che prevede modalità procedurali specifiche per il recepimento delle direttive che comportino conseguenze finanziarie. I relativi schemi di decreto legislativo:
§ dovranno essere corredati della relazione tecnica prevista dalla legge 196/2009[36] (art. 17, comma 3);
§ saranno oggetto del parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari.
Per quanto riguarda la prima condizione, va segnalato che l’obbligo di accompagnare con la relazione tecnica gli schemi di decreto legislativo comportanti conseguenze finanziarie è contemplato in via generale dalla suddetta legge 196/2009.
L’art. 17, comma 3, della legge 196/2009 prevede che “i disegni di legge, gli schemi di decreto legislativo, gli emendamenti di iniziativa governativa che comportino conseguenze finanziarie devono essere corredati di una relazione tecnica, predisposta dalle amministrazioni competenti e verificata dal Ministero dell'economia e delle finanze, sulla quantificazione delle entrate e degli oneri recati da ciascuna disposizione, nonché delle relative coperture, con la specificazione, per la spesa corrente e per le minori entrate, degli oneri annuali fino alla completa attuazione delle norme e, per le spese in conto capitale, della modulazione relativa agli anni compresi nel bilancio pluriennale e dell'onere complessivo in relazione agli obiettivi fisici previsti. Alla relazione tecnica è allegato un prospetto riepilogativo degli effetti finanziari di ciascuna disposizione ai fini del saldo netto da finanziare del bilancio dello Stato, del saldo di cassa delle amministrazioni pubbliche e dell'indebitamento netto del conto consolidato delle pubbliche amministrazioni. Nella relazione sono indicati i dati e i metodi utilizzati per la quantificazione, le loro fonti e ogni elemento utile per la verifica tecnica in sede parlamentare secondo le norme di cui ai regolamenti parlamentari, nonché il raccordo con le previsioni tendenziali del bilancio dello Stato, del conto consolidato di cassa e del conto economico delle amministrazioni pubbliche”.
Il comma prevede, altresì, che il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate al fine di garantire il rispetto dell’art. 81, quarto comma, Cost.[37], deve sottoporre i testi (corredati delle necessarie informazioni integrative) a un nuovo parere delle Commissioni competenti per i profili finanziari, che si esprimono entro 20 giorni.
Viene così introdotto il cosiddetto “doppio parere”, limitatamente alla fattispecie finanziaria. Una misura analoga è prevista, come si vedrà, per gli schemi di decreto che prevedono sanzioni penali (comma 9).
Il comma 5 autorizza il Governo ad adottare con la medesima procedura di cui ai commi 2, 3 e 4, entro 24 mesi dall’entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi, disposizioni integrative e correttive dei decreti medesimi, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dal provvedimento in esame.
Il comma 6 dispone che, per i decreti legislativi emanati dal Governo al fine di dare attuazione alle direttive comunitarie comprese negli allegati, in materie di competenza legislativa regionale, valgano le condizioni e le procedure di cui all’art. 11, comma 8, della legge 11/2005. Tale ultima norma prevede un intervento suppletivo anticipato e cedevole da parte dello Stato, in caso di inadempienza delle Regioni nell’attuazione delle direttive nelle materie di loro competenza.
Per quanto concerne l’attuazione della normativa comunitaria, l’art. 117, quinto comma, Cost. stabilisce che le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite dalla legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.
L'art. 11, comma 8, della legge 11/2005 prevede un’articolata garanzia per le Regioni e Province autonome, in forza della quale gli atti statali attuativi di direttive comunitarie, che intervengono su materie rimesse alla competenza legislativa – concorrente o residuale generale – delle regioni o delle province autonome:
- entrano in vigore solo alla data di scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa comunitaria, per le regioni e le province autonome che non abbiano ancora adottato la propria normativa di attuazione;
- perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa regionale (o provinciale) di attuazione delle direttive comunitarie, adottata da ciascuna regione e provincia autonoma e devono recare l’esplicita indicazione della natura sostitutiva e cedevole del potere esercitato e delle disposizioni in essi contenute;
- sono sottoposti al preventivo esame della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.
Analogamente, l’art. 13, comma 2, della medesima legge 11/2005 stabilisce che i provvedimenti in materia di adeguamenti tecnici possono essere adottati nelle materie di competenza legislativa regionale in caso di inerzia delle regioni e province autonome. In tale caso, i provvedimenti statali adottati si applicano:
- per le regioni e le province autonome nelle quali non sia ancora in vigore la propria normativa di attuazione;
- a decorrere dalla scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa comunitaria.
Essi perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione di ciascuna regione e provincia autonoma. I provvedimenti recano l’esplicita indicazione della natura sostitutiva del potere esercitato e del carattere cedevole delle disposizioni in essi contenute.
Infine, l’art. 16, comma 3, in riferimento all’attuazione regionale delle direttive comunitarie, chiarisce che le disposizioni legislative adottate dallo Stato per l’adempimento degli obblighi comunitari in materie di competenza regionale si applicano “alle condizioni e secondo la procedura di cui all’articolo 11, comma 8”. La disciplina applicabile in questi casi è quindi desumibile dalla norma citata, che viene richiamata esclusivamente per quanto riguarda le condizioni e la procedura di attuazione, ma non per le tipologie di atti statali sostitutivi che essa presuppone.
Il comma 7 specifica che quanto previsto in via generale al comma 6 per i decreti legislativi di attuazione delle direttive contenute negli allegati A e B, si applicaanche per i decreti legislativi recanti sanzioni adottati ai sensi dell’articolo 3 del provvedimento in esame, sempre che attengano a materie di competenza regionale o delle province autonome[38]. Si tratta di una norma inserita per la prima volta nella legge comunitaria, non richiamata dalla relazione illustrativa.
Tale disposizione completa, per il profilo dell’intervento sostitutivo statale nella previsione di sanzioni amministrative nelle materie di competenza delle regioni e delle province autonome, la disciplina stabilita dall’articolo 3, nel quale, quindi, la stessa disposizione avrebbe potuto essere più opportunamente inserita.
Il comma 8 prevede l’obbligo per il Ministro per le politiche europee di trasmettere:
- una relazione a ciascuna delle Camere qualora una o più deleghe conferite dal comma 1 non risultino esercitate entro il termine previsto;
- un’informativa periodica (con cadenza semestrale) sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e province autonome nelle materie di loro competenza, secondo modalità di individuazione delle stesse da definire con accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni (una previsione di questo tenore è stata inserita, per la prima volta, nella legge comunitaria 2007).
Il comma 9 concerne i pareri parlamentari aventi ad oggetto le disposizioni penali introdotte negli schemi di decreti legislativi e prevede che, qualora il Governo non intenda conformarsi ai pareri, debba ritrasmettere alle Camere gli schemi con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni. Le Commissioni competenti esprimono il parere definitivo entro 20 giorni, decorsi i quali i decreti sono comunque emanati.
1. Salvi gli specifici princìpi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni di cui al capo II, e in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare, i decreti legislativi di cui all’articolo 1 sono informati ai seguenti princìpi e criteri direttivi generali:
a) le amministrazioni direttamente interessate provvedono all’attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture amministrative, secondo il principio della massima semplificazione dei procedimenti e delle modalità di organizzazione e di esercizio delle funzioni e dei servizi;
b) ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, fatti salvi i procedimenti oggetto di semplificazione amministrativa ovvero le materie oggetto di delegificazione;
c) al di fuori dei casi previsti dalle norme penali vigenti, ove necessario per assicurare l’osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. Le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell’ammenda fino a 150.000 euro e dell’arresto fino a tre anni, sono previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledono o espongono a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi sono previste: la pena dell’ammenda alternativa all’arresto per le infrazioni che espongono a pericolo o danneggiano l’interesse protetto; la pena dell’arresto congiunta a quella dell’ammenda per le infrazioni che recano un danno di particolare gravità. Nelle predette ipotesi, in luogo dell’arresto e dell’ammenda, possono essere previste anche le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, e la relativa competenza del giudice di pace. La sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro è prevista per le infrazioni che ledono o espongono a pericolo interessi diversi da quelli indicati nei periodi precedenti. Nell’ambito dei limiti minimi e massimi previsti, le sanzioni indicate nella presente lettera sono determinate nella loro entità, tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell’interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l’infrazione può recare al colpevole ovvero alla persona o all’ente nel cui interesse egli agisce. Ove necessario per assicurare l’osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste inoltre sanzioni amministrative accessorie della sospensione fino a sei mesi e, nei casi più gravi della privazione definitiva di facoltà e diritti derivanti da provvedimenti dell’amministrazione, nonché sanzioni penali accessorie nei limiti stabiliti dal codice penale. Al medesimo fine è prevista la confisca obbligatoria delle cose che servirono o furono destinate a commettere l’illecito amministrativo o il reato previsti dai medesimi decreti legislativi, nel rispetto dei limiti stabiliti dall’articolo 240, terzo e quarto comma, del codice penale e dall’articolo 20 della legge 24 novembre 1981, n. 689. Entro i limiti di pena indicati nella presente lettera sono previste sanzioni anche accessorie identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi. Nelle materie di cui all’articolo 117, quarto comma, della Costituzione, le sanzioni amministrative sono determinate dalle regioni;
d) eventuali spese non contemplate da leggi vigenti e che non riguardano l’attività ordinaria delle amministrazioni statali o regionali possono essere previste nei decreti legislativi recanti le norme necessarie per dare attuazione alle direttive, nei soli limiti occorrenti per l’adempimento degli obblighi di attuazione delle direttive stesse; alla relativa copertura, nonché alla copertura delle minori entrate eventualmente derivanti dall’attuazione delle direttive, in quanto non sia possibile farvi fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a carico del fondo di rotazione di cui all’articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183;
e) all’attuazione di direttive che modificano precedenti direttive già attuate con legge o con decreto legislativo si procede, se la modificazione non comporta ampliamento della materia regolata, apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione della direttiva modificata;
f) nella predisposizione dei decreti legislativi si tiene conto delle eventuali modificazioni delle direttive comunitarie comunque intervenute fino al momento dell’esercizio della delega;
g) quando si verificano sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse o comunque sono coinvolte le competenze di più amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano, attraverso le più opportune forme di coordinamento, rispettando i princìpi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione e le competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, le procedure per salvaguardare l’unitarietà dei processi decisionali, la trasparenza, la celerità, l’efficacia e l’economicità nell’azione amministrativa e la chiara individuazione dei soggetti responsabili;
h) quando non sono d’ostacolo i diversi termini di recepimento, sono attuate con un unico decreto legislativo le direttive che riguardano le stesse materie o che comunque comportano modifiche degli stessi atti normativi.
L’articolo 2 detta i princìpi ed i criteri direttivi di carattere generale per l’esercizio delle deleghe ai fini dell’attuazione delle direttive comunitarie elencate negli allegati A e B al provvedimento in esame.
Si tratta di princìpi e criteri in gran parte conformi a quelli previsti dalle precedenti leggi comunitarie.
La disposizione, prima di elencare tali princìpi generali, richiama due ulteriori categorie di princìpi e criteri direttivi per l’esercizio delle deleghe:
§ si tratta, innanzitutto, degli specifici criteri di delega previsti dal Capo II del provvedimento in esame, contenente disposizioni particolari e principi e criteri direttivi specifici di delega legislativa;
§ in secondo luogo, sono fatti salvi princìpi e criteri contenuti nelle singole direttive da attuare.
Venendo ai criteri generali di delega, quello di cui alla lettera a) prevede che le amministrazioni interessate provvedano all’attuazione dei decreti legislativi avvalendosi delle loro strutture ordinarie, seguendo il principio della massima semplificazione procedimentale ed organizzativa: si ripropone così un principio introdotto nelle leggi comunitarie 2008 e 2009 in coerenza con gli obiettivi di riduzione degli oneri amministrativi posti anche dalla Commissione europea.
La lettera b) dispone l’introduzione delle modifiche necessarie per un migliore coordinamento con le discipline vigenti nei singoli settori interessati dall’attuazione delle direttive comunitarie. Analogamente alle ultime leggi comunitarie, la norma in esame fa salve “i procedimenti oggetto di semplificazione amministrativa ovvero le materie oggetto di delegificazione”.
Norme specifiche per l’introduzione nei decreti legislativi di recepimento delle direttive comunitarie di sanzioni penali e amministrative, per il caso di violazioni delle disposizioni contenute nei decreti legislativi stessi, sono previste nella lettera c). La scelta che il Governo è autorizzato ad operare, in sede di attuazione della delega, tra la configurazione delle violazioni come reati o come illeciti amministrativi, è ancorata ai seguenti princìpi e criteri direttivi[39]:
§ introduzione di nuove fattispecie al di fuori dei casi previsti dalle norme penali vigenti;
§ introduzione di nuove fattispecie di reati contravvenzionali, sanzionate – in via alternativa o congiunta – con la pena pecuniaria dell’ammenda fino a 150.000 euro e dell’arresto sino a 3 anni, nei casi in cui siano lesi o esposti a pericolo “interessi costituzionalmente protetti”. Quest’ultima formula è stata per la prima volta introdotta nella legge comunitaria per il 2002 (L. 3 febbraio 2003, n. 14). Le leggi comunitarie precedenti facevano, invece, riferimento ad “interessi generali dell’ordinamento interno, compreso l’ecosistema”. In particolare, le pene citate dovranno essere previste come alternative per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l’interesse protetto; viceversa, si applicherà la pena congiunta dell’ammenda e dell’arresto per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità[40];
§ irrogabilità, nelle ipotesi testé dette, delle sanzioni alternative di cui agli artt. 53 e ss. del decreto legislativo 274/2000[41], applicandosi la relativa competenza del giudice di pace; tali sanzioni sono quelle consistenti nell’obbligo di permanenza domiciliare (il sabato e la domenica), nel divieto di accesso a determinati luoghi e nello svolgimento di lavori di pubblica utilità (solo su richiesta del contravventore);
§ introduzione di nuove fattispecie di illeciti amministrativi puniti con la sanzione pecuniaria di importo non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro, per le violazioni che ledano o espongano a pericolo beni giuridici diversi da quelli sopra indicati;
§ nell’ambito del minimo e del massimo previsti, determinazione della pena edittale in ragione delle diverse potenzialità lesive dell’interesse protetto che le infrazioni presentano in astratto, delle specifiche qualità personali del colpevole – con particolare riferimento a quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza – e del vantaggio patrimoniale che l’infrazione può recare al colpevole (o all’ente o alla persona nel cui interesse agisce);
§ entro i limiti di pena sopra indicati, previsione di sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate da leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività (la previsione dei limiti rende pertanto astrattamente possibile la differenziazione punitiva fra fattispecie omogenee e di pari offensività);
§ riserva di determinazione regionale delle sanzioni amministrative, nelle materie di cui all’art. 117, quarto comma, della Costituzione, ossia nelle materie rimesse alla potestà legislativa “residuale” delle regioni.
L'articolo in esame prevede inoltre due criteri che non erano presenti nelle leggi comunitarie precedenti:
§ ove necessario per assicurare l’osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, possono essere previste sanzioni amministrative accessorie della sospensione fino a sei mesi e, nei casi più gravi della privazione definitiva di facoltà e diritti derivanti da provvedimenti dell’amministrazione (licenze commerciali, permessi di costruzione, porto d’armi, ecc.) nonché sanzioni penali accessorie nei limiti stabiliti dal codice penale
Le pene accessorie previste dal codice penale (art. 19) per i delitti sono: l'interdizione dai pubblici uffici; l'interdizione da una professione o da un'arte; 'interdizione legale; l'interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese; l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione; l'estinzione del rapporto di lavoro o di impiego; la decadenza dalla potestà dei genitori e sospensione dall'esercizio di essa. Per le contravvenzioni le pene accessorie sono: la sospensione dall'esercizio di una professione o di un'arte; sospensione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese. Per delitti e contravvenzioni è pena accessoria la pubblicazione della sentenza penale di condanna.
§ al medesimo fine è prevista la confisca obbligatoria delle cose che servirono o furono destinate a commettere l’illecito amministrativo o il reato previsti dai medesimi decreti legislativi, nel rispetto dei limiti stabiliti dall’articolo 240, terzo e quarto comma, c.p. e dall’art. 20 della legge 689/1981[42].
L'art. 240 c.p., terzo comma prevede che, nel caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto ovvero delle cose che costituiscono il prezzo del reato quando queste appartengano a persona estranea al reato;
In base al quarto comma, la confisca delle cose la cui fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna, non si applica se la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa.
L'art. 20 della legge 689/1981 prevede che l'autorità amministrativa con l'ordinanza-ingiunzione o il giudice penale con la sentenza di condanna, può applicare, come sanzioni amministrative, quelle previste dalle leggi vigenti, per le singole violazioni, come sanzioni penali accessorie, quando esse consistono nella privazione o sospensione di facoltà, e diritti derivanti da provvedimenti dell'amministrazione. Le sanzioni amministrative accessorie non sono applicabili fino a che è pendente il giudizio di opposizione contro il provvedimento di condanna o, nel caso di connessione obiettiva con un reato, fino a che il provvedimento stesso non sia divenuto esecutivo. Le autorità stesse possono disporre la confisca amministrativa delle cose che servirono o furono destinate a commettere la violazione e debbono disporre la confisca delle cose che ne sono il prodotto, sempre che le cose suddette appartengano a una delle persone cui è ingiunto il pagamento. È sempre disposta la confisca amministrativa delle cose, la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione delle quali costituisce violazione amministrativa, anche se non venga emessa l'ordinanza-ingiunzione di pagamento (ma ciò non si applica se la cosa appartiene a persona estranea alla violazione amministrativa e la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa).
Il principio di delega di cui alla lettera d) fa riferimento alla copertura finanziaria delle norme delegate. Al riguardo, si stabilisce che le spese derivanti dall’attuazione delle direttive, ove non contemplate dalle leggi vigenti e non riguardanti l’attività ordinaria delle amministrazioni interessate, possono essere previste nei decreti legislativi recanti le norme necessarie per dare attuazione alle direttive nei soli limiti occorrenti per l’adempimento degli obblighi di attuazione delle direttive stesse.
Per la relativa copertura (anche con riferimento alle eventuali minori entrate derivanti dall’attuazione) si farà ricorso alle disponibilità sussistenti sul fondo di rotazione di cui all’art. 5 della legge 183/1987[43] (vedi infra), ove non sia possibile farvi fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni. Analoghe disposizioni sono contenute nelle più recenti leggi comunitarie.
La citata legge 183/1987 istituisce, tra gli organi del coordinamento delle politiche comunitarie, il Fondo di rotazione. Ai sensi dell’art. 5 di tale legge, confluiscono nel fondo le somme erogate dalle istituzioni comunitarie, le somme individuate annualmente in sede di legge finanziaria e altre somme determinate con la legge di bilancio (nonché altre somme specifiche). Le risorse presenti sul fondo vengono erogate, su richiesta e secondo limiti di quote determinate dal CIPE, alle amministrazioni pubbliche e ad altri operatori pubblici e privati per l’attuazione dei programmi di politica comunitaria.
Le procedure finanziarie riguardanti le erogazioni concesse dal Fondo di rotazione delle politiche comunitarie sono state modificate dall’art. 65, comma 2, della legge finanziaria 2001 (legge 23 dicembre 2000, n. 388). Richiamando le nuove procedure finanziarie previste dai regolamenti comunitari per il ciclo di interventi dei Fondi strutturali 2000-2006, la norma ha autorizzato il Fondo di rotazione ad anticipare alle amministrazioni centrali l’acconto dei contributi comunitari previsto dall’art. 32, par. 2, del regolamento (CE) n. 1260/1999, direttamente in base ai programmi operativi previsti dai regolamenti comunitari, anziché, come in precedenza, in base ai progetti in cui si articolano i programmi di intervento. La norma intende facilitare l’avvio da parte delle amministrazioni centrali degli interventi, ovviando alla mancanza di disponibilità di cassa in attesa del ricevimento dell’acconto da parte comunitaria, fermo restando il successivo reintegro al Fondo stesso degli accrediti provenienti dall’Unione europea. I ritardi nell’avvio dell’attuazione degli interventi comportano, infatti, secondo quanto espressamente previsto dal regolamento, il disimpegno automatico delle risorse comunitarie.
Criteri legati all’armonizzazione delle deleghe legislative sono contenuti nelle lettere e) e f). In particolare, si dispone che:
§ l’attuazione di direttive che modificano precedenti direttive già attuate avvenga per mezzo di modifiche apportate ai testi legislativi di attuazione di tali direttive (ove ciò non determini ampliamento della materia regolata);
§ nella predisposizione dei decreti legislativi di attuazione si tenga conto delle eventuali modifiche delle direttive intervenute fino al momento del concreto esercizio della delega.
Criteri connessi all’univocità dei processi decisionali, quando i decreti legislativi investano trasversalmente diverse competenze ed amministrazioni, sono contenuti nella lettera g), che si pone inoltre l’obiettivo di garantire, attraverso specifiche forme di coordinamento, anche la trasparenza nell’azione amministrativa e la chiarezza nell’attribuzione di responsabilità. Sono espressamente richiamati il rispetto delle competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, nonché l’osservanza dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione.
Si ricorda che i primi tre princìpi qui menzionati (sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza), già posti dalla legge 59/1997[44] a fondamento della ripartizione delle funzioni e dei compiti amministrativi tra i vari livelli di governo, hanno assunto rilievo costituzionale in virtù della legge cost. 3/2001, di riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione. Quest’ultima, nel novellare l’art. 118 Cost., ha infatti posto i princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza alla base della ripartizione delle funzioni amministrative tra Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato. Il principio di leale collaborazione, pur non espressamente menzionato dall’art. 118 Cost., è tuttavia riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale quale principio essenziale informatore dei rapporti tra Stato ed autonomie territoriali (v. per tutte la sent. C. Cost. 303/2003).
La lettera h) fissa il principio secondo cui deve darsi attuazione con un unico decreto legislativo alle direttive che:
§ riguardino le stesse materie;
§ pur riguardando materie diverse, comportino modifiche degli stessi atti normativi.
Tale principio di “attuazione unitaria” è destinato a operare qualora non siano “di ostacolo” i diversi termini di recepimento delle direttive.
Art. 3
(Delega al Governo per la disciplina
sanzionatoria di violazioni di disposizioni comunitarie)
1. Al fine di assicurare la piena integrazione delle norme comunitarie nell’ordinamento nazionale il Governo, fatte salve le norme penali vigenti, è delegato ad adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di obblighi contenuti in direttive comunitarie attuate in via regolamentare o amministrativa, ai sensi delle leggi comunitarie vigenti, o in regolamenti comunitari pubblicati alla data di entrata in vigore della presente legge, per i quali non sono già previste sanzioni penali o amministrative.
2. La delega di cui al comma 1 è esercitata con decreti legislativi adottati ai sensi dell’articolo 14 della citata legge n. 400 del 1988, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia. I decreti legislativi si informano ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c), della presente legge.
3. Gli schemi di decreto legislativo di cui al presente articolo sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per l’espressione del parere da parte dei competenti organi parlamentari con le modalità e nei termini previsti dai commi 3 e 9 dell’articolo 1.
L’articolo 3, prevede, analogamente a quanto disposto dalle ultime leggi comunitarie, una delega al Governo per l’introduzione di un trattamento sanzionatorio per le violazioni di obblighi discendenti da:
§ direttive attuate, ai sensi delle leggi comunitarie vigenti, in via regolamentare o amministrativa (ossia per via non legislativa) ai sensi delle leggi comunitarie vigenti;
§ regolamenti comunitari già pubblicati alla data di entrata in vigore della legge comunitaria per i quali però non siano già previste sanzioni penali o amministrative.
La necessità della disposizione risiede nel fatto che, sia nel caso dell’attuazione di direttive in via regolamentare o amministrativa, sia nel caso di regolamenti comunitari (che, come è noto, non necessitano di leggi di recepimento, essendo direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale), è necessaria una fonte normativa di rango primario atta ad introdurre norme sanzionatorie di natura penale ( in tal caso con fonte statale trattandosi di materia di competenza statale esclusiva) o amministrativa nell’ordinamento nazionale.
La finalità dell’articolo è, pertanto, quella di consentire al Governo di introdurre sanzioni volte a punire le trasgressioni commesse in violazione dei precetti contenuti nelle disposizioni normative comunitarie, garantendo il rispetto degli atti regolamentari o amministrativi con cui tali disposizioni comunitarie vengono trasposte nell’ordinamento interno.
A tal fine, il comma 1contiene una delega al Governo per l’adozione, entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge e fatte salve le norme penali vigenti, di disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per la violazione di obblighi contenuti in direttive comunitarie attuate in via regolamentare o amministrativa ai sensi delle leggi comunitarie vigenti (non solo, pertanto, ai sensi della legge comunitaria in commento) nonché di regolamenti comunitari pubblicati alla data di entrata in vigore della legge comunitaria e per i quali non siano già previste sanzioni penali o amministrative.
Il comma 2stabilisce che i decreti legislativi siano adottati, ai sensi dell'art. 14 della legge n. 400 del 1988[45], su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del ministro della giustizia, di concerto con i ministri competenti per materia.
Il comma 3prevede l’acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari sugli schemi di decreto legislativo. I pareri sono espressi con le modalità previste dai commi 3 e 9 dell’articolo 1.
Alla disciplina stabilita da tale articolo quanto previsto dal comma 7 dell’art. 1 che, infatti, fa riferimento all’articolo in commento, nel quale potrebbe essere opportunamente inserito.
Art. 4
(Oneri relativi a prestazioni e controlli)
1. In relazione agli oneri per prestazioni e controlli, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 9, commi 2 e 2-bis, della citata legge n. 11 del 2005, e successive modificazioni.
L’articolo 4 (non modificato durante l’esame parlamentare al Senato) detta disposizioni circa gli oneri derivanti dalle prestazioni e dai controlli che gli uffici pubblici sono chiamati a sostenere in applicazione della normativa comunitaria.
A tal fine viene richiamato il disposto dell’articolo 9, commi 2 e 2-bis, della Legge 11 del 2005, che:
• pone a carico dei soggetti interessati i predetti oneri, secondo tariffe determinate sulla base del costo effettivo del servizio, purché ciò non risulti in contrasto con la disciplina comunitaria (articolo 9, comma 2);
• dispone che le entrate derivanti dalle tariffe siano attribuite, nei limiti previsti dalla legislazione vigente, alle amministrazioni che effettuano le prestazioni e i controlli, mediante riassegnazione alle unità previsionali di base del bilancio statale ai sensi del regolamento di cui al DPR 10 novembre 1999, n. 469 (articolo 9, comma 2-bis).
1. II Governo è delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, con le modalità e secondo i princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, testi unici o codici di settore delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite dalla presente legge per il recepimento di direttive comunitarie, al fine di coordinare le medesime con le altre norme legislative vigenti nelle stesse materie. Qualora i testi unici o i codici di settore riguardino i princìpi fondamentali nelle materie di cui all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione o in altre materie di interesse delle regioni, i relativi schemi di decreto legislativo sono sottoposti al parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nonché al parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
2. I testi unici e i codici di settore di cui al comma 1 riguardano materie o settori omogenei. Le disposizioni contenute nei testi unici o nei codici di settore non possono essere abrogate, derogate, sospese o comunque modificate, se non in modo esplicito mediante l’indicazione puntuale delle disposizioni da abrogare, derogare, sospendere o modificare.
L’articolo 5 conferisce una delega al Governo per l’adozione di testi unici o codici di settore delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite dal disegno di legge in esame per il recepimento di direttive comunitarie, con lo scopo di coordinare tali disposizioni con quelle vigenti nelle stesse materie.
Disposizioni analoghe sono contenute nelle precedenti leggi comunitarie (da ultimo, si veda l'art. 5 della legge comunitaria 2009 - legge 4 giugno 2010, n. 96).
Il termine previsto dal comma 1 per l’esercizio della delega è fissato in 24 mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame.
Si ricorda che anche il disegno di legge comunitaria 2009 (A.C. 2449), conformemente a quanto disposto dalle leggi comunitarie precedenti, prevedeva originariamente che il termine della delega per il riordino normativo decorresse dall'entrata in vigore della legge comunitaria stessa.
Tuttavia, nel corso dell'esame alla Camera dei deputati, la disposizione è stata modificata, prevedendo invece il termine di 24 mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di attuazione, al fine di farlo coincidere con il termine per l’esercizio della delega integrativa e correttiva di cui all’art. 1, comma 5 (cfr. art. 5 della legge comunitaria 2009).
Come si è detto, le leggi comunitarie precedenti presentavano invece la medesima formulazione dell'articolo in esame.
I decreti legislativi di riordino sono adottati secondo le modalità e in conformità ai principi e criteri direttivi posti dall’art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59[46].
Si ricorda che l’art. 20 richiamato reca una pluralità di princìpi e criteri direttivi volti a conformare l’opera del legislatore delegato alla razionalizzazione normativa, in aggiunta ai princìpi e criteri previsti dalle singole leggi annuali di semplificazione.
Il comma in esame precisa che l’esercizio della delega volta al riordino normativo non deve comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Il secondo periodo del comma 1 dispone che gli schemi di decreto legislativo siano sottoposti al parere della Conferenza Stato-regioni e della Commissione parlamentare per le questioni regionali qualora la relativa disciplina riguardi la determinazione dei principi fondamentali nelle materie di competenza concorrente tra Stato e regioni (ai sensi del terzo comma dell’art. 117 della Costituzione) o, più generalmente, “altre materie di interesse delle regioni”.
Con riferimento all'identica formulazione impiegata nel disegno di legge comunitaria 2009 (A.C. 2449, vedi ora art. 5 della legge comunitaria 2009), il Comitato per la legislazione della Camera e le Commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato, nei rispettivi pareri, avevano sottolineato la genericità dell'espressione "altre materie di interesse delle regioni". La formulazione non è stata tuttavia modificata nel corso dell'esame parlamentare ed è dunque presente nei medesimi termini nel testo della legge comunitaria 2009.
Si osserva, inoltre, che l’art. 20 della legge 59/1997, al quale il comma in esame come si è detto fa rinvio prevede, al comma 5, l’acquisizione del parere della Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali su tutti gli schemi dei decreti legislativi adottati ai sensi dell’art. 20 medesimo.
Il comma 2 stabilisce che i testi unici e i codici di settore debbano riguardare materie o settori omogenei. Inoltre, il secondo periodo precisa che le disposizioni contenute nei predetti provvedimenti di riordino possono essere oggetto di interventi di abrogazione, deroga, sospensione o modificazione solo in via esplicita e con indicazione puntuale della disposizione su cui si interviene.
Il secondo periodo - già presente in altre leggi comunitarie - ha ovviamente una valenza solo monitoria nei confronti del legislatore, non potendo una norma di legge vincolare giuridicamente una norma successiva di grado gerarchico equivalente.
Il comma ripropone una norma analoga a quelle recate da diverse tra le precedenti leggi comunitarie, a partire dal 1994[47], in tema di riordino normativo nei settori interessati da direttive comunitarie. L’emanazione del Testo unico in materia di intermediazione finanziaria costituisce – a tutt'oggi – l’unico esempio di riordino normativo effettuato sulla base delle prescrizioni della legge comunitaria annuale (decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, adottato ai sensi degli artt. 8 e 21 della legge comunitaria per il 1994[48]).
Si ricorda che l’art. 13 bis della legge n. 400 del 1988[49], rubricato “Chiarezza dei testi normativi” prevede al comma 1, lett. a), che il Governo, nell’ambito delle proprie competenze, provvede a che ogni norma che sia diretta a sostituire, modificare o abrogare norme vigenti ovvero a stabilire deroghe indichi espressamente le norme sostituite, modificate, abrogate o derogate; lo stesso articolo prevede che le disposizioni della medesima legge n. 400/1988 in materia di chiarezza dei testi normativi costituiscono princìpi generali per la produzione normativa e non possono essere derogate, modificate o abrogate se non in modo esplicito. Pertanto, andrebbe valutata l’opportunità di prevedere per singole discipline normative specifiche disposizioni che riproducono quelle già stabilite in via generale, poiché tale orientamento potrebbe indurre un collaterale effetto di depotenziamento della disciplina generale sulla produzione normativa.
Inoltre l’art. 13 bis prevede che periodicamente, e comunque almeno ogni sette anni, si provvede all’aggiornamento dei codici e dei testi unici con i medesimi criteri e procedure previsti nell’articolo 17-bis della stessa legge, che riguarda i testi unici compilativi, adottando, nel corpo del testo aggiornato, le opportune evidenziazioni.
Art. 6
(Repertorio nazionale dei dispositivi
medici)
1. All’articolo 1, comma 409, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche:
a) alla lettera d), le parole: «contributo pari al 5 per cento» sono sostituite dalle seguenti: «contributo pari a 5,5 per cento»;
b) alla lettera e), le parole da: «Per l’inserimento delle informazioni» fino a: «manutenzione del repertorio generale di cui alla lettera a)» sono soppresse.
L'articolo 6 - novellando l'art. 1, comma 409, della legge finanziaria 2006[50], riformula la disciplina di alcuni oneri finanziari a carico dei soggetti produttori o distributori di dispositivi medici (ivi compresi i dispositivi medico-diagnostici in vitro e i dispositivi su misura).
La novella di cui alla lettera b) del comma 1 dell’articolo in esame sopprime la tariffa di 100 euro, che i summenzionati soggetti devono finora corrispondere al Ministero della salute sia per ogni dispositivo medico, da introdurre nella banca dati concernente il repertorio generale dei dispositivi medici, sia per l'inserimento di informazioni relative a modifiche dei dispositivi già inclusi nella banca dati.
La soppressione della tariffa, come ricorda la relazione illustrativa del disegno di legge in esame, è intesa a definire la procedura di infrazione comunitaria n. 2007/4516. In particolare, la Commissione europea ha emesso un parere motivato, in cui sostiene che la tariffa violerebbe le norme comunitarie sulla libera circolazione dei dispositivi medici[51].
Al fine di compensare gli effetti finanziari negativi derivanti dalla soppressione della tariffa, la novella di cui alla lettera a) dello stesso comma 1 dell'articolo 6 incrementa la misura del contributo dovuto allo Stato dalle imprese che producono o commercializzano in Italia dispositivi medici.
Tale contributo è commisurato alle spese sostenute dalle suddette imprese nell'anno precedente per le attività di promozione rivolte ai medici, agli operatori sanitari, ivi compresi i dirigenti delle aziende sanitarie, e ai farmacisti (al netto delle spese per il personale addetto, nonché[52] di quelle per le attività di informazione ed aggiornamento relative all'assistenza protesica su misura, purché tali attività siano svolte in coerenza con i programmi regionali ovvero siano accreditate nei programmi di educazione continua in medicina).
Sulla base di calcolo così determinata si applica, attualmente, ai fini della determinazione del contributo, un'aliquota pari al 5 per cento; la novella di cui alla lettera a) in esame propone di elevare tale misura a 5,5 punti percentuali.
Si ricorda che il contributo deve essere versato dalle imprese, in conto entrate del bilancio dello Stato, entro il 30 aprile di ciascun anno (entro il medesimo termine le imprese devono dichiarare, mediante autocertificazione, l'ammontare delle spese summenzionate sostenute nell'anno precedente). I relativi proventi sono riassegnati, con uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, allo stato di previsione del Ministero della salute e destinati al miglioramento ed al potenziamento delle attività del settore dei dispositivi medici, con particolare riguardo alle attività di sorveglianza del mercato, anche attraverso l'aggiornamento e la manutenzione della classificazione nazionale dei dispositivi e la manutenzione del summenzionato repertorio generale, all'attività di vigilanza sugli incidenti, alla formazione del personale ispettivo, all'attività di informazione nei riguardi degli operatori professionali e del pubblico, all'effettuazione di studi in materia di valutazione tecnologica, all'istituzione di registri di patologie che richiedano l'impiego di dispositivi medici, nonché alla stipulazione di convenzioni con università e istituti di ricerca o con esperti del settore.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
La Commissione europea prevede di presentare, entro l’aprile del 2012, una proposta di revisione dell’attuale quadro normativo relativo ai dispositivi medici (costituito dalle direttive 93/42/CEE sui dispositivi medici, 90/185/CEE sui dispositivi medici impiantabili e 98/79/CE sui dispositivi medici in vitro).
Sulla base dell’esperienza finora acquisita e delle consultazioni svolte nel 2008 e nel 2010, la Commissione ritiene che il quadro normativo sia troppo frammentario e non offra un livello uniforme di protezione della salute pubblica e che sia necessario tenere in considerazione le nuove tecnologie nonché favorire la competitività dell’industria europea del settore.
Si ricorda inoltre che il 28 agosto 2010, come previsto dalla direttiva 2007/47/CE, la Commissione ha presentato una relazione sulla questione del ricondizionamento (operazioni di pulizia, disinfezione, sterilizzazione nonché test di funzionamento ai fini del riutilizzo del dispositivo medico) dei dispositivi medici nella Comunità (COM(2010)443).
Come indicato nella relazione, tenendo conto dei potenziali rischi e pericoli individuati dal comitato scientifico per i rischi sanitari emergenti e recentemente identificati in termini di contaminazione residua, persistenza di residui chimici e alterazione della funzionalità, la Commissione valuterà le misure appropriate da adottare nel contesto della citata revisione delle direttive sui dispositivi medici per quanto riguarda il ricondizionamento dei dispositivi medici monouso, al fine di garantire un alto livello di protezione dei pazienti. Tale valutazione terrà conto anche delle potenziali conseguenze economiche, sociali ed ambientali che qualsiasi misura prevista può comportare.
Procedure di contenzioso
Il 14 maggio 2009 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato (procedura n. 2007/4516) per violazione della normativa comunitaria (in particolare della direttiva 93/42/CEE concernente i dispositivi medici, modificata da ultimo dalla direttiva 2007/47/CE, e della direttiva 90/385/CEE riguardante i dispositivi medici impiantabili attivi).
In particolare le norme italiane che disciplinano la registrazione dei fabbricanti di dispositivi medici, di cui al decreto del Ministero della salute del 20 febbraio 2007, che prevedono la richiesta di una tariffa di 100 euro ai soggetti produttori o distributori di dispositivi medici per il loro inserimento nella banca dati del repertorio generale dei dispositivi medici, violerebbero le norme comunitarie in materia di libera circolazione.
L’articolo 6 del provvedimento in esame, con la soppressione di tale tariffa, si prefigge di consentire la chiusura di tale procedura di infrazione.
Art. 7
(Modifiche al codice del consumo in
materia di servizi
finanziari a distanza)
1. Al codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, sono apportate le seguenti modifiche:
a) all’articolo 67-quinquies, comma 1, la lettera b) è sostituita dalla seguente:
«b) l’identità del rappresentante del fornitore stabilito nello Stato membro di residenza del consumatore e l’indirizzo geografico rilevante nei rapporti tra consumatore e rappresentante, quando tale rappresentante esista»;
b) all’articolo 67-duodecies, comma 5, lettera c), le parole: «, nonché ai contratti di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile per i danni derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, per i quali si sia verificato l’evento assicurato» sono soppresse;
c) all’articolo 67-terdecies, comma 4, le parole: «entro quindici giorni» sono sostituite dalle seguenti: «quanto prima, e al più entro trenta giorni»;
d) all’articolo 67-terdecies, comma 5, le parole: «entro quindici giorni» sono sostituite dalle seguenti: «quanto prima, e al più entro tenta giorni».
L'articolo 7, inserito durantel’esame del provvedimento al Senato, apporta modifiche alla disciplina recata dal codice del consumo (di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206) sulla commercializzazione a distanza di servizi finanziari.
In primo luogo (comma 1, lettera a)) le norme in commento – novellando l'articolo 67-quinquies, comma 1, lettera b) del D.Lgs. 206/2005 – modificano la disciplina delle informazioni precontrattuali da fornire al consumatore, in particolare quelle relative al fornitore di servizi finanziari oggetto di commercializzazione.
Si ricorda, in proposito, che l’articolo 67-quater del codice del consumo precisa quali informazioni devono essere obbligatoriamente fornite al consumatore nella fase delle trattative e, comunque, prima che sia vincolato da un contratto a distanza o da un'offerta; esse riguardano il servizio finanziario offerto, il contratto a distanza, il ricorso e il soggetto fornitore dei servizi commercializzati.
Il contenuto dell'informativa sul fornitore è descritto, nel dettaglio, dal successivo articolo 67-quinquies.
Nella formulazione vigente, il comma 1, lettera b) dell'articolo 67-quinquies prescrive che l'informativa sul fornitorerechi l'identità del rappresentante del fornitore stabilito in Italia e l'indirizzo geografico rilevante nei rapporti tra consumatore e rappresentante, quando tale rappresentante esista.
A seguito della modifica recata dalla disposizione in commento si prescrive che venga resa nota l’identità del rappresentante del fornitore stabilito nello Stato membro di residenza del consumatore, oltre – come attualmente previsto – all’indirizzo geografico rilevante nei rapporti tra consumatore e rappresentante.
La ratio della disposizione sembra potersi rinvenire nella natura dei contratti a distanza, dal momento che è possibile che lo Stato membro di residenza del consumatore non coincida con il territorio italiano.
In secondo luogo (comma 1, lettera b)), la norma in commento interviene sulla casistica di esclusione dell’applicazione del diritto di recesso in capo al consumatore, modificando nel dettaglio l'articolo 67-duodecies, comma 5, lettera c) del D.Lgs. 206/2005.
Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 67-duodecies,il consumatore può recedere dal contratto, senza penali e senza dover indicare il motivo, entro quattordici giorni (estesi a trenta giorni per i contratti a distanza aventi per oggetto le assicurazioni sulla vita e le operazioni aventi ad oggetto gli schemi pensionistici individuali). Tale termine decorre, alternativamente, dalla data della conclusione del contratto (tranne nel caso delle assicurazioni sulla vita, per cui è prevista una specifica disciplina) o dalla data in cui il consumatore riceve le condizioni contrattuali e le altre informazioni di legge, ove essa sia successiva alla conclusione del contratto. L'efficacia dei contratti relativi ai servizi di investimento è sospesa durante la decorrenza del termine previsto per l'esercizio del diritto di recesso; al fine dell'esercizio del diritto, il consumatore è tenuto a inviare apposita comunicazione scritta.
Il comma 5 disciplina le ipotesi di non applicazione del diritto di recesso. La vigente formulazione della lettera c) dispone, in particolare, che esso non operi per i contratti interamente eseguiti da entrambe le parti su esplicita richiesta scritta del consumatore - prima che quest'ultimo eserciti il suo diritto di recesso – e ai contratti di assicurazione obbligatoria RC per i danni derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, per i quali si sia verificato l'evento assicurato.
Con la modifica recata dalla disposizione in esame viene espunto dalla citata lettera c) il riferimento ai contratti di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile per i danni derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti,per i quali dunque troverà applicazione la disciplina sul diritto di recesso del consumatore.
Infine, (comma 1, lettere c) e d)) le disposizioni in commento apportano modifiche alla disciplina del pagamento del servizio fornito prima del recesso, novellando rispettivamente i commi 4 e 5 dell’articolo 67-terdeciesdel D.Lgs. 206/2005.
Il predetto articolo 67-terdecies prescrive che il consumatore esercitante il diritto di recesso paghi solo l'importo del servizio finanziario effettivamente prestato dal fornitore conformemente al contratto a distanza; l'esecuzione del contratto può iniziare solo previa richiesta del consumatore. L'importo da pagare non può eccedere un importo proporzionale all'importanza del servizio già fornito in rapporto a tutte le prestazioni previste dal contratto a distanza e non deve essere di entità tale da poter costituire una penale. Al fine di esigere il pagamento, il fornitore deve poter provare che il consumatore è stato debitamente informato dell'importo dovuto; in nessun caso può esigere tale pagamento se ha dato inizio all'esecuzione del contratto prima della scadenza del periodo di esercizio del diritto di recesso, senza che vi fosse una preventiva richiesta del consumatore.
Il comma 4 dell'articolo 67-terdecies, nella sua attuale formulazione, concede al fornitore un termine pari a quindici giorni per rimborsare tempestivamente al consumatore tutti gli importi da questo versatigli in conformità del contratto a distanza, salvo l'importo del servizio effettivamente prestato prima del perfezionamento del diritto di recesso. Per effetto delle modifiche recate dalle norme in commento (comma 1, lettera c) dell’articolo 7 in esame), il fornitore è obbligato ad effettuare il rimborso degli importi dovuti in conformità del contratto “quanto prima” e al più entro tenta giorni.
Il comma 5 dell'articolo 67-terdecies, nella formulazione vigente, prescrive che il consumatore recedente sia tenuto altresì – oltre al pagamento del servizio effettivamente prestato – a restituire qualsiasi bene o importo che abbia ricevuto dal fornitore entro quindici giorni dall'invio della comunicazione di recesso.
A seguito delle modifiche apportate dalla disciplina in esame (comma 1, lettera d)), il consumatore è tenuto a effettuare la restituzione “quanto prima” e al più entro trenta giorni.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
Il 20 novembre 2009 la Commissione ha presentato una relazione (COM(2009)626) sul riesame della direttiva 2002/65/CE riguardante la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori. La relazione affronta in particolare gli aspetti non pienamente armonizzati nelle legislazioni nazionali, quali le norme sulle informazioni precontrattuali e il diritto di recesso, e individua le difficoltà che i consumatori e i fornitori possono incontrare a causa di queste differenze.
La relazione evidenzia che la vendita a distanza transfrontaliera di servizi finanziari ai consumatori rappresenta un mercato molto piccolo; ciò è dovuto in parte al fatto che nella maggior parte degli Stati membri la direttiva è stata recepita solo tra il 2005 e il 2006 e che da allora il mercato non ha subito sostanziali trasformazioni. Gli ostacoli maggiori alla partecipazione dei consumatori a questo mercato sono rappresentati dalle preferenze linguistiche e culturali e dall'assenza di informazioni sulla legislazione che disciplina i prodotti finanziari su determinati mercati.
Dalla relazione si evince altresì che allo stato attuale i consumatori non devono far fronte a problemi derivanti da un non corretto recepimento della direttiva; inoltre non risulta che le differenze normative, legate al fatto che gli Stati membri si siano avvalsi in varia misura delle opzioni contenute nella direttiva, abbiano avuto un'incidenza diretta sul basso livello della commercializzazione a distanza transfrontaliera di servizi finanziari.
Alla luce delle suddette considerazioni, la Commissione ritiene che allo stato attuale non sia opportuno proporre alcuna modifica della direttiva.
Procedure di contenzioso
Il 3 giugno 2010 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato (procedura n. 2009/2145) per non aver recepito correttamente alcune disposizioni della citata direttiva 2002/65/CE sulla commercializzazione a distanza di servizi finanziari.
Dopo aver esaminato le disposizioni del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 190, con il quale la direttiva è stata recepita nell’ordinamento italiano, la Commissione ha formulato i seguenti rilievi:
· l’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), del decreto legislativo n. 190/2005 (attualmente articolo 67-quinquies, paragrafo 1, lettera b), del Codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 20), richiede sempre e unicamente informazioni sul rappresentante del fornitore stabilito in Italia, a differenza di quanto stabilito all’articolo 3, paragrafo 1, punto 1, lettera b), della direttiva 2002/65/CE, secondo cui il consumatore deve essere informato dell’identità del rappresentante del fornitore nello Stato membro di residenza del consumatore. In tal modo la legislazione italiana recepirebbe erroneamente la direttiva per quanto riguarda le situazioni in cui il consumatore risiede in uno Stato membro diverso dall’Italia;
· mentre l’articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2002/65/CE, stabilisce che il diritto di recesso non si applica ai contratti interamente eseguiti da entrambe le parti su richiesta esplicita del consumatore prima che quest’ultimo eserciti il suo diritto di recesso, l’articolo 11, paragrafo 5, lettera c),del decreto legislativo n. 190/2005 (attualmente articolo 67-duodecies, paragrafo 5, lettera c), del Codice del consumo), esclude il diritto di recesso anche per i contratti di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile per i danni derivanti dalla circolazione di veicoli a motore e dei natanti per i quali si sia verificato l’evento assicurato;
· mentre l’articolo 7, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2002/65/CE, prevede che qualora il consumatore eserciti il suo diritto di recesso, il fornitore ed il consumatore restituiscono qualsiasi importo nel più breve tempo possibile e comunque non oltre 30 giorni di calendario, l’articolo 12, paragrafi 4 e 5, del decreto legislativo n. 190/2005 (attualmente articolo 67-ter decies, paragrafi 4 e 5, del Codice del consumo), fissa a 15 giorni il termine di rimborso.
La Commissione osserva a tale proposito che, come è indicato al considerando 13 della direttiva 2002/65/CE, gli Stati membri non dovrebbero poter prevedere disposizioni diverse da quelle stabilite dalla direttiva per i settori che essa armonizza, salvo indicazione contraria espressamente menzionata nella direttiva stessa.
1. Nella predisposizione del decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2009/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, il Governo è tenuto al rispetto, oltre che dei princìpi e criteri direttivi generali di cui all’articolo 2, in quanto compatibili, anche dei seguenti princìpi e criteri direttivi specifici:
a) apportare al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, le modifiche e le integrazioni necessarie al corretto ed integrale recepimento della direttiva e delle relative misure di esecuzione nell’ordinamento nazionale, confermando, ove opportuno, il ricorso alla disciplina secondaria e attribuendo le competenze e i poteri di vigilanza alla Banca d’Italia e alla Commissione nazionale per la società e la borsa (CONSOB) secondo quanto previsto dagli articoli 5 e 6 del citato testo unico;
b) prevedere, in conformità alla disciplina della direttiva in esame, le necessarie modifiche alle norme del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, per consentire che una società di gestione del risparmio possa istituire e gestire fondi comuni di investimento armonizzati in altri Stati membri e che una società di gestione armonizzata possa istituire e gestire fondi comuni di investimento armonizzati in Italia;
c) prevedere, in conformità alle definizioni e alla disciplina della direttiva in esame, le opportune modifiche alle norme del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998 concernenti la libera prestazione dei servizi e la libertà di stabilimento delle società di gestione armonizzate anche al fine di garantire che una società di gestione armonizzata operante in Italia sia tenuta a rispettare le norme italiane in materia di costituzione e di funzionamento dei fondi comuni di investimento armonizzati, e che la prestazione in Italia del servizio di gestione collettiva del risparmio da parte di succursali delle società di gestione armonizzate avvenga nel rispetto delle regole di comportamento stabilite nel citato testo unico;
d) attribuire alla Banca d’Italia e alla CONSOB, in relazione alle rispettive competenze, i poteri di vigilanza e di indagine previsti dall’articolo 98 della citata direttiva 2009/65/CE, secondo i criteri e le modalità previsti dall’articolo 187-octies del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, e successive modificazioni;
e) modificare, ove necessario, il citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998 per recepire le disposizioni della direttiva in materia di fusioni transfrontaliere di OICVM e di strutture master-feeder;
f) introdurre norme di coordinamento con la disciplina fiscale vigente in materia di OICVM;
g) ridefinire con opportune modifiche, in conformità alle definizioni e alla disciplina della citata direttiva 2009/65/CE, le norme del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998 concernenti l’offerta in Italia di quote di fondi comuni di investimento armonizzati;
h) attuare le misure di tutela dell’investitore secondo quanto previsto dalla direttiva, in particolare con riferimento alle informazioni per gli investitori, adeguando la disciplina dell’offerta al pubblico delle quote o azioni di OICVM aperti;
i) prevedere l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie per le violazioni delle regole dettate nei confronti delle società di gestione del risparmio armonizzate in attuazione della direttiva, in linea con quelle già stabilite dal citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, e nei limiti massimi ivi previsti, in tema di disciplina degli intermediari;
l) prevedere, in conformità alle definizioni, alla disciplina della citata direttiva 2009/65/CE e ai criteri direttivi previsti dalla presente legge, le occorrenti modificazioni alla normativa vigente, anche di derivazione comunitaria, per i settori interessati dalla normativa da attuare, al fine di realizzare il migliore coordinamento con le altre disposizioni vigenti.
2. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri né minori entrate a carico della finanza pubblica e le amministrazioni interessate devono svolgere le attività previste con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
L'articolo 8 reca principi e criteri direttivi specifici per il recepimento della direttiva 2009/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alcoordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM).
Si ricorda che la direttiva 2009/65/CE ha recato la rifusione della direttiva 85/611/CEE del Consiglio, del 20 dicembre 1985, concernente gli organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM). Essa (articolo 1, n. 2) qualifica come organismi di investimento collettivo in valori mobiliari - OICVM - gli organismi il cui oggetto esclusivo è l'investimento collettivo dei capitali raccolti presso il pubblico in valori mobiliari o in altre attività finanziarie liquide e il cui funzionamento è soggetto al principio della ripartizione dei rischi, e le cui quote sono, su richiesta dei detentori, riacquistate o rimborsate, direttamente o indirettamente, a valere sul patrimonio dei suddetti organismi. È assimilato a tali riacquisti o rimborsi il fatto che un OICVM agisca per impedire che il valore delle sue quote sul mercato si allontani sensibilmente dal valore patrimoniale netto.
Nell'ordinamento interno, (l'articolo 1, comma 1, lettera m) del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria – TUF) gli organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) sono i fondi comuni di investimento e le società di investimento a capitale variabile - SICAV.
L'articolo in commento esplicitamente prescrive, tra i principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega, (lettera a) del comma 1) che siano apportate al TUF le opportune modifiche e le integrazioni necessarie al corretto ed integrale recepimento della direttiva e delle relative misure di esecuzione, confermando, ove opportuno, il ricorso alla disciplina secondaria e attribuendo alla Banca d’Italia e alla Commissione nazionale per la società e la borsa (CONSOB) le competenze e i poteri di vigilanza, secondo quanto previsto dagli articoli 5 e 6 del TUF.
L'articolo 5 del TUF, concernente la finalità e i destinatari della vigilanza, attribuisce alla Banca d'Italia la competenza per quanto riguarda il contenimento del rischio, la stabilità patrimoniale e la sana e prudente gestione degli intermediari. Alla Consob viene invece attribuita la competenza per quanto riguarda la trasparenza e la correttezza dei comportamenti. E' inoltre previsto che le due Autorità esercitino i poteri di vigilanza nei confronti dei soggetti abilitati, operando in modo coordinato anche al fine di ridurre al minimo gli oneri gravanti sui soggetti abilitati.
L'articolo 6 del TUF si occupa di disciplinare l'attività di vigilanza regolamentare, recando in primo luogo i principi cui le Autorità di vigilanza debbono ispirarsi. In materia di OICR la Banca d'Italia, sentita la CONSOB, disciplina con regolamento alcune regole applicabili agli OICR che riguardano – tra l'altro - criteri e divieti all'attività di investimento, norme prudenziali di contenimento e frazionamento del rischio, metodi di calcolo del valore delle quote o azioni di OICR[53].
Con regolamento della Consob, sentita la Banca d'Italia, sono disciplinati gli obblighi dei soggetti abilitati in materia di trasparenza e di correttezza dei comportamenti.[54]
La Banca d'Italia e la Consob disciplinano poi congiuntamente con regolamento, con riferimento alla prestazione dei servizi e delle attività di investimento, nonché alla gestione collettiva del risparmio, una serie di obblighi relativi ai soggetti abilitati.[55]
La successiva lettera b) del comma 1 prescrive che nell'esercizio della delega si prevedano, in conformità alla disciplina della direttiva in esame, le necessarie modifiche al TUF atte a consentire che una società di gestione del risparmio possa istituire e gestire fondi comuni di investimento armonizzati in altri Stati membri e che una società di gestione armonizzata possa istituire e gestire fondi comuni di investimento armonizzati in Italia.
Ai sensi del considerando n. 12 della direttiva, “una società di gestione autorizzata nello Stato membro di origine dovrebbe poter esercitare negli altri Stati membri le seguenti attività: […] commercializzare, mediante lo stabilimento di una succursale, quote dei fondi comuni di investimento armonizzati gestiti da tale società nello Stato membro di origine; commercializzare, mediante lo stabilimento di una succursale, azioni delle società di investimento armonizzate gestite da detta società; commercializzare le quote dei fondi comuni di investimento armonizzati o le quote delle società di investimento armonizzate gestite da altre società di gestione; svolgere tutte le altre funzioni e tutti gli altri compiti insiti nell’attività di gestione di un portafoglio collettivo; gestire il patrimonio di società di investimento costituite in Stati membri diversi da quello di origine; esercitare, sulla base di mandati, per conto di società di gestione costituite in Stati membri diversi dal proprio Stato membro di origine, le funzioni insite nell’attività di gestione di un portafoglio collettivo“.
La lettera c) del comma 1 dispone siano recate le opportune modifiche al TUF in tema di libera prestazione dei servizi e libertà di stabilimento delle società di gestione armonizzate recate dalla direttiva 2009/65/CE, anche al fine di garantire che una società di gestione armonizzata operante in Italia sia tenuta a rispettare le norme italiane in materia di costituzione e di funzionamento deifondi comuni di investimento armonizzati, e che la prestazione in Italia del servizio di gestione collettiva del risparmio da parte di succursali delle società di gestione armonizzate avvenga nel rispetto delle regole di comportamento stabilite nel citato testo unico.
Il Capo III, sez. 4 della direttiva 2009/65/CE (articoli da 16 a 21) reca le disposizioni in materia di libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi da parte degli OICVM.
In particolare, gli Stati membri provvedono affinché le società di gestione autorizzate dal proprio Stato membro di origine possano esercitare nel loro territorio le attività per le quali hanno ricevuto l’autorizzazione, costituendovi una succursale o in regime di libera prestazione di servizi. Le disposizioni della direttiva stabiliscono quali sono gli obblighi informativi a carico della società di gestione che intende aprire una succursale in uno Stato diverso da quello di origine; disciplinano i flussi informativi tra le Autorità competenti dei diversi Stati membri e gli adempimenti da svolgere per l'inizio dell'attività in uno Stato diverso da quello di origine. Ai sensi dell'articolo 17, n. 4 della direttiva, la società di gestione che fornisce servizi tramite una succursale all’interno del territorio dello Stato membro ospitante deve rispettare le regole di comportamento redatte dallo Stato membro ospitante della società di gestione.
La successiva lettera d) dispone che alla Banca d’Italia e alla CONSOB, siano attribuiti alcuni poteri di vigilanza e di indagine previsti dall’articolo 98 della citata direttiva 2009/65/CE, secondo i criteri e le modalità previsti dall’articolo 187-octies del citato TUF.
L'articolo 98 della direttiva 2009/65/CE, nel conferire alle Autorità competenti i necessari poteri di vigilanza e di indagine sugli OICVM, attribuisce loro il potere, tra l'altro, di:
§ accedere a qualsiasi documento in qualsiasi forma e riceverne copia;
§ richiedere che qualsiasi persona fornisca informazioni e, se necessario, convocarla e disporre audizioni;
§ eseguire ispezioni in loco;
§ richiedere le registrazioni esistenti riguardanti le comunicazioni telefoniche e i dati del traffico telefonico;
§ richiedere il blocco o il sequestro dei beni;
§ richiedere la temporanea interdizione dell'esercizio dell'attività professionale.
L'articolo 187-octies del TUF disciplina i poteri della CONSOB in relazione all'applicazione delle disposizioni della Parte V, Titolo I, Capo IV del TUF, relativo all’abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato. Nell'esercizio dei propri poteri di vigilanza in tale settore essa, nei confronti di chiunque possa essere informato dei fatti, può tra l'altro:
§ richiedere notizie, dati o documenti sotto qualsiasi forma;
§ richiedere le registrazioni telefoniche esistenti;
§ procedere ad audizione personale;
§ procedere al sequestro dei beni;
§ procedere ad ispezioni e perquisizioni.
Alla CONSOB è altresì consentito di avvalersi della collaborazione delle pubbliche amministrazioni, richiedere la comunicazione di dati personali, avvalersi dei dati contenuti nell'anagrafe dei conti e dei depositi, accedere direttamente ai dati contenuti nella Centrale dei rischi della Banca d'Italia.
Ai sensi della lettera e) del comma 1, il legislatore delegato è tenuto a recepire le disposizioni della direttiva in materia di fusioni transfrontaliere di OICVM e di strutture master-feeder.
L'articolo 38 della direttiva 2009/65/CE dispone che, indipendentemente dal modo in cui gli OICVM sono costituiti, gli Stati membri debbono consentire fusioni transfrontaliere e fusioni nazionali, in conformità di una o più tecniche di fusione disciplinate e definite dalla direttiva medesima; le tecniche di fusione utilizzate per le fusioni transfrontaliere devono essere previste ai sensi delle disposizioni vigenti nello Stato membro d'origine dell'OICVM oggetto di fusione.
La direttiva 2009/65/CE reca disposizioni in ordine alle strutture master-feeder al Capo VIII (articoli da 58 a 67) .
In particolare, ai sensi dell'articolo 58 (n. 1) un OICVM feeder è un OICVM o un suo comparto di investimento che ha ricevuto l'approvazione per investire almeno l'85% del proprio patrimonio in quote di un altro OICVM o in comparti di investimento di quest'ultimo (detto OICVM master).
Un OICVM feeder può detenere fino al 15% del suo patrimonio in liquidità detenute a titolo accessorio, strumenti finanziari derivati (utilizzabili solo a fini di copertura) e beni mobili e immobili indispensabili all'esercizio diretto delle attività (se l'OICVM feeder è una società di investimento).
Un OICVM master (articolo 58, n. 3) è invece un OICVM o un suo comparto di investimento che:
a) ha fra i suoi detentori di quote almeno un OICVM feeder;
b) non è esso stesso un OICVM feeder; e
c) non detiene quote di un OICVM feeder.
La lettera f) prescrive l'introduzione di norme di coordinamento con la disciplina fiscale vigente in materia di OICVM, la lettera g) impone,in coerenza con le definizioni e alla disciplina della direttiva 2009/65/CE, di modificare le norme del TUF concernenti l’offerta in Italia di quote di fondi comuni di investimento armonizzati.
Ai sensi dell'articolo 42 del TUF (commi da 1 a 4) l'offerta in Italia di quote di fondi comuni di investimento comunitari rientranti nell'ambito di applicazione delle direttive comunitarie in materia di organismi di investimento collettivo deve essere preceduta da una comunicazione alla Banca d'Italia e alla CONSOB; l'offerta può iniziare decorsi due mesi dalla comunicazione. Con regolamento (citare) della Banca d'Italia, sentita la CONSOB, sono emanate le norme di attuazione delle disposizioni comunitarie concernenti le procedure da rispettare per la predetta offerta, nonché le disposizioni riguardanti il modulo organizzativo da adottare al fine di assicurare in Italia l'esercizio dei diritti patrimoniali dei partecipanti. Spetta ad un regolamento della CONSOB, sentita la Banca d'Italia, di individuare le informazioni da fornire al pubblico nell'ambito della commercializzazione delle quote nel territorio della Repubblica, nonché di determinare le modalità con cui devono essere resi pubblici il prezzo di emissione o di vendita, di riacquisto o di rimborso delle quote. La Banca d'Italia e la CONSOB possono richiedere, nell'ambito delle rispettive competenze, agli emittenti e a coloro che curano la commercializzazione delle quote la comunicazione, anche periodica, di dati e notizie e la trasmissione di atti e documenti.
La lettera h) prescrive, nell'esercizio della delega, di attuare le misure di tutela dell’investitore previste dalla direttiva, in particolare con riferimento alle informazioni per gli investitori, adeguando la disciplina dell’offerta al pubblico delle quote o azioni di OICVM aperti.
La direttiva dedica il Capo IX (articoli da 68 a 82) agli obblighi relativi alle informazioni da comunicare agli investitori. A tale scopo è prevista la pubblicazione di un prospetto e di relazioni periodiche, nonché un breve documento contenente le informazioni chiave per gli investitori, denominato "informazioni chiave per gli investitori".
La lettera i) impone al legislatore delegato di applicare sanzioni amministrative pecuniarie per le violazioni delle regole dettate nei confronti delle società di gestione del risparmio armonizzate in attuazione della direttiva, in linea con quelle già stabilite dal TUF, e nei limiti massimi ivi previsti, in tema di disciplina degli intermediari.
L'articolo 99 della direttiva 2009/65/CE rimanda agli Stati membri per l'individuazione delle norme sulle misure e le sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali di attuazione della direttiva e la previsione di tutte le misure necessarie per la loro esecuzione.
Il TUF individua le sanzioni amministrative applicabili nei casi di violazione delle norme contenute nello stesso Testo unico nel titolo II della parte V dedicata alle sanzioni (articoli da 187-quinquiesdecies a 196).
Infine, la lettera l)reca una disposizione di chiusura, volta - in conformità alle definizioni, alla disciplina della citata direttiva 2009/65/CE e ai criteri direttivi previsti dal disegno di legge in esame – ad arrecare le occorrenti modificazioni alla normativa vigente, anche di derivazione comunitaria, per i settori interessati dalla normativa da attuare, al fine di realizzare il migliore coordinamento con le altre disposizioni vigenti.
Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria, specificando inoltre – a seguito delle modifiche apportate al Senato - che le attività previste dalle norme si svolgano utilizzando le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
Art. 9
(Nomenclatura europea di Roma capitale)
1. Nell’ambito della nomenclatura europea delle unità territoriali per la statistica, al territorio di «Roma Capitale» è riconosciuta la qualifica di livello NUTS 2.
L’articolo 9, non modificato nel corso dell’esame al Senato, riconosce al territorio di "Roma Capitale" la qualifica di livello NUTS 2, nell'ambito della nomenclatura europea delle unità territoriali per la statistica.
La relazione illustrativa al provvedimento evidenzia che “l’assegnazione all’ente «Roma Capitale» della qualifica di territorio europeo NUTS 2 consente di realizzare, anche con risorse di fonte comunitaria, le maggiori funzioni attribuite al comune di Roma, in attuazione dell’articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, ai sensi dell’articolo 114, terzo comma, Cost.
In particolare, la nomenclatura europea delle unità territoriali statistiche (NUTS),identifica la ripartizione del territorio dell’Unione europea a fini statistici.
Tale nomenclatura ha vari livelli e attualmente suddivide i Paesi dell’Unione europea in territori di livello NUTS (i 27 Stati nazionali), territori di livello NUTS 1 (per esempio gli Stati federati della Germania, le regioni del Belgio, le aree sovra-regionali italiane); territori di livello NUTS 2 (come le regioni italiane, le Comunità autonome in Spagna, l’Inner e Outer London) e territori di livello NUTS 3 (ad esempio le province italiane, i dipartimenti francesi, le province spagnole)”.
La relazione evidenzia che “i fondi strutturali europei di cui all’Obiettivo 1 (Convergenza) sono principalmente destinati ai territori qualificati come NUTS 2, mentre quelli meno cospicui di cui all’Obiettivo 2 (Competitività) sono principalmente assegnati alle entità territoriali di livello NUTS 3.
Roma capitale dovrebbe, quindi – secondo quanto afferma la relazione illustrativa – “comparire nella macro-area «Italia centro», immediatamente dopo la regione Lazio, con il titolo «Roma Capitale» ed il codice ITE5. Poiché attualmente in tale lista compare soltanto la provincia di Roma a titolo di area NUTS 3, l’articolo in questione ha lo scopo di sottrarre il territorio di Roma Capitale dalla suddetta qualifica e di elevarlo ad area da comprendere nell’Obiettivo 1”.
La norma – conclude la relazione - non comporta alcun effetto sulla finanza pubblica, in quanto tende ad utilizzare esclusivamente le risorse finanziarie di fonte comunitaria.
Si osserva che il Livello NUTS 2 - quello che viene attribuito dall'articolo in esame a Roma capitale - corrisponde alle unità amministrative regioni (mentre il NUTS 3 corrisponde alle province).
Occorre, inoltre, rilevare che ai fini dell’assegnazione di risorse di fonte comunitaria, ed in particolare, delle risorse dei fondi strutturali europei, la relativa disciplina richiede per le unità di livello NUTS 2 specifici requisiti - quali, per l’obiettivo Convergenza, il PIL pro-capite, misurato in parità di potere di acquisto e calcolato sulla base dei dati comunitari per il periodo 2000-2002, inferiore al 75% del PIL medio dell'UE - nonché una apposita decisione da parte della Commissione europea che includa l’unità territoriale nell’ambito dei territori assegnatari delle suddette risorse (cfr.articolo 5 e 6 del regolamento (CE) 11 luglio 2006, n. 1083/2006[56]).
Si ricorda che, ai sensi del terzo comma dell'art. 114 Cost., Roma è la capitale della Repubblica e la legge dello Stato disciplina il suo ordinamento.
L’articolo 24 della legge n. 42 del 2009 detta norme sull’ordinamento transitorio, anche finanziario, di Roma capitale in attuazione dell’art. 114, terzo comma, della Costituzione, nonché in vista della sua costituzione in città metropolitana.
In particolare, l’articolo configura, in luogo del comune di Roma, un nuovo ente territoriale, denominato “Roma capitale”, l’ordinamento del quale è in parte direttamente introdotto dall’articolo medesimo (commi 2-4); in parte è rimesso ad uno o più decreti legislativi del Governo (commi 5-7) ed in parte è definito mediante richiamo ad altre leggi, vigenti o da adottare (commi 8-10).
I commi da 5 a 7 rimettono ad uno o più decreti legislativi, da adottarsi ai sensi dell’articolo 2 della medesima legge n. 42/2009, la disciplina dell’ordinamento transitorio, anche finanziario, di Roma capitale. Il comma 5 detta i principi e criteri direttivi cui sono tenuti a conformarsi i decreti legislativi [57].
Le disposizioni recate dall’articolo 24 hanno carattere transitorio, ossia costituiscono una “normativa-ponte” in vista dell’attuazione di una disciplina organica delle città metropolitane che, ex articolo 23 della stessa legge n. 42/2009, sarà determinata con apposito decreto legislativo. A decorrere da allora, le disposizioni recate dall’articolo 24 non dovrebbero perdere efficacia ma andare, per così dire, a regime, intendendosi riferite alla città metropolitana di Roma capitale.
In attuazione della delega contenuta nell’articolo 24, comma 5, è stato adottato il decreto legislativo 17 settembre 2010, n. 42[58]. Tale decreto, secondo quanto evidenziato nella relazione illustrativa del provvedimento presentato per il parere alle Camere, si prefigge di predisporre il contesto ordinamentale necessario affinché possano essere successivamente adottati altri decreti legislativi recanti i rimanenti contenuti previsti dalla delega stessa ed in particolare le ulteriori funzioni assegnate a Roma capitale in considerazione della sua specialità.
Il decreto legislativo n. 42 del 2010 provvede, nello specifico, alla individuazione e alla disciplina degli organi di governo di Roma capitale (articoli 2-5), recando altresì talune disposizioni transitorie (articolo 7).
Con l'acronimo NUTS viene indicata la classificazione statistica comune delle unità territoriali, istituita dal regolamento 26 maggio 2003, n. 1059/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, al fine di consentire la raccolta, la compilazione e la diffusione di statistiche regionali armonizzate nella Comunità.
La classificazione NUTS suddivide il territorio economico degli Stati membri in unità territoriali. Essa attribuisce a ogni unità territoriale un nome ed un codice specifici. La classificazione NUTS è gerarchica. Ogni Stato membro è suddiviso in unità territoriali di livello NUTS 1, ognuna delle quali è suddivisa in unità territoriali di livello NUTS 2, a loro volta suddivise in unità territoriali di livello NUTS 3.
Per stabilire in quale livello NUTS debba essere classificata una determinata classe di unità amministrative[59] di uno Stato membro, si considera la dimensione media della classe di unità amministrative dal punto di vista della popolazione facendo riferimento alla tabella seguente:
Livello |
Minimo |
Massimo |
NUTS 1 |
3 milioni |
7 milioni |
NUTS 2 |
800.000 |
3 milioni |
NUTS 3 |
150.000 |
800.000 |
Le modifiche alla classificazione delle aree NUTS determinate dagli appositi provvedimenti legislativi nazionali devono essere oggetto di comunicazione alla Commissione europea a cura di ciascuno Stato membro interessato al fine di essere puntualmente riprese nella lista di cui all’Allegato 1 del suddetto regolamento 1059/2003.
Il nuovo assetto delle unità territoriali NUTS viene recepito dalla Commissione europea e formalmente adottato con apposito regolamento che emenda ed integra l’originaria previsione di cui al citato regolamento (CE) n. 1059/2003.
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto degli statuti delle regioni ad autonomia speciale e delle relative norme di attuazione e con le modalità di cui all’articolo 1 ed al comma 2 del presente articolo, un decreto legislativo per il riordino della professione di guida turistica, con particolare riguardo ai titoli ed ai requisiti per l’esercizio della professione sulla base dei seguenti criteri:
a) individuare i princìpi fondamentali concernenti la definizione e la disciplina del profilo professionale di guida turistica;
b) prevedere percorsi formativi omogenei per l’esercizio della professione;
c) prevedere modalità attuative uniformi per il conseguimento dell’idoneità all’esercizio della professione;
d) determinare le aree omogenee del territorio nazionale, particolarmente ricche e complesse sotto il profilo storico-artistico, culturale o ambientale, ai fini della predisposizione di particolari percorsi formativi;
e) prevedere le modalità con cui le amministrazioni locali possono avvalersi, per la promozione del proprio territorio e dei siti museali dello stesso, di associazioni di volontariato, costituite e formate con finalità di promozione storica, culturale, paesaggistica e ambientale locale, che operino in convenzione con le pubbliche amministrazioni;
f) indicare un appropriato periodo transitorio per consentire l’ordinato ed organico adeguamento della normativa vigente.
2. Il decreto di cui al comma 1 è adottato su proposta del Ministro per il turismo, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, con il Ministro dello sviluppo economico, con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con il Ministro per le politiche europee e con il Ministro della giustizia, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nonché quello delle competenti Commissioni parlamentari.
3. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 1, nel rispetto dei medesimi principi e criteri direttivi e delle procedure di cui al comma 2, il Governo può emanare disposizioni integrative o correttive del decreto di cui al comma 1.
4. Fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 1, continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti ed è consentito alle amministrazioni locali di continuare ad avvalersi per le proprie iniziative promozionali delle associazioni di volontariato che già operano nel territorio di riferimento.
5. Dall’attuazione dei decreti di cui al presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. I soggetti pubblici interessati provvedono ai compiti di cui ai predetti decreti con le risorse umane, strumentali e finanziarie previste a legislazione vigente.
L’articolo 10 conferisce una delega al Governo per l’adozione di un decreto legislativo di riordino della professione di guida turistica, con particolare riferimento ai titoli e requisiti per il suo esercizio. Nel testo si precisa che il decreto legislativo dovrà essere adottato secondo le modalità indicate all’articolo 1 del provvedimento e al comma 2 dell’articolo in esame e nel rispetto degli statuti delle regioni ad autonomia speciale e delle relative norme di attuazione.
L’articolo 7 della legge 29 marzo 2001, n. 135(Riforma della legislazione nazionale del turismo, c.d. Legge quadro del turismo) con riguardo alle professioni turistiche, ossia quelle relative all’organizzazione e alla fornitura di servizi di promozione dell’attività turistica, nonché ai servizi di assistenza, accoglienza, accompagnamento e guida dei turisti, ha stabilito che il relativo esercizio è subordinato ad un’apposita autorizzazione valida sull’intero territorio nazionale (fatta eccezione per le guide turistiche), rilasciata dalla regione.
L'esercizio dell'attività da parte di imprese o di esercenti professioni turistiche non appartenenti alla UE è consentita, nel nostro Paese, previa iscrizione al registro delle imprese e previo accertamento, limitatamente agli esercenti professioni turistiche, del possesso dei requisiti richiesti dalle leggi regionali e dal DPCM di cui all'art. 44 del D.Lgs. 112/1998[60].
Si ricorda che l’articolo 10, comma 4, del decreto-legge 7/2007 c.d. Bersani-bis (Misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese)è intervenuto sulle attività di guida turistica e accompagnatore turistico, come disciplinate dall’art. 7 della legge 135/2001 di riforma del turismo, disponendo, in particolare:
§ l’eliminazione dell’obbligo di autorizzazione preventiva allo svolgimento dell’attività, di rispetto dei parametri numerici e di requisiti di residenza;
§ la conferma della necessità del possesso dei requisiti di qualificazione professionale previsti dalle normative regionali;
§ che l’esercizio dell’attività di guida turistica, per i laureati in lettere con indirizzo in storia dell’arte o archeologia o titolo equipollente, è in ogni caso consentito e non è subordinato allo svolgimento di un esame abilitante o di altre prove selettive, fatta salva la previa verifica delle relative conoscenze linguistiche e del territorio di riferimento;
§ la promozione da parte delle regioni di sistemi di accreditamento, non vincolanti, per le guide turistiche specializzate in particolari siti, località e settori (il fine è quello del miglioramento della qualità dell'offerta del servizio in relazione a specifici territori o contesti tematici);
§ che l'esercizio dell'attività di accompagnatore turistico è in ogni caso consentito ai soggetti titolari di laurea o diploma universitario in materia turistica o titolo equipollente, fatta salva la previa verifica delle conoscenze specifiche quando non siano state oggetto del corso di studi;
§ che è consentito ai soggetti abilitati allo svolgimento dell'attività di guida turistica nell'ambito dell'ordinamento giuridico del Paese UE di appartenenza di operare in regime di libera prestazione dei servizi, senza necessità di alcuna autorizzazione né abilitazione, generale o specifica[61].
La disciplina delle professioni turistiche - quindi anche quella di guida turistica - viene ricondotta dalla Corte costituzionale (sentenze n. 222/2008, n. 271/2009 e n. 132/2010) alla materia "professioni", oggetto di competenza legislativa concorrente di Stato e regioni ai sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost. Si consideri inoltre che la Corte costituzionale, in materia di professioni, ha più volte ribadito (sentenze n. 271/2009, n. 138/2009, n. 222/2008, n. 57/2007, n. 424/2006, n. 153/2006 e n. 355/2005) che allo Stato compete l’individuazione delle figure e profili professionali e dei requisiti necessari per l‘esercizio della relativa professione, mentre alle regioni spetta la disciplina di quegli aspetti che presentano specifico collegamento con la realtà regionale, precisando che tale riparto di competenze vale anche per le professioni turistiche.
Nella relazione illustrativa al disegno di legge, al riguardo, si afferma che "un intervento guida statale, oltre ad essere avvertito come necessario dagli operatori del settore, sembra improcrastinabile al fine di adeguare definitivamente la disciplina della professione di guida turistica in Italia alle indicazioni comunitarie". La relazione prosegue mettendo in evidenza che, a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo 206/2007, di attuazione della direttiva 2005/36/CE sul riconoscimento delle qualifiche professionali (che permette a tutti i cittadini UE di svolgere la propria professione in regime di prestazione occasionale e temporanea in qualsiasi Paese membro), “le guide straniere che intendono svolgere un’attività anche sul nostro territorio nazionale sono tenute unicamente ad informarci preventivamente. In definitiva, si è creato in Italia un curioso ed irragionevole regime di discriminazione a sfavore dei cittadini italiani, dato che l’esercizio dell’attività delle guide italiane continua ad essere vincolato al territorio regionale o provinciale in cui sono abilitate”. Inoltre la relazione illustrativa richiama la segnalazione dell’Antitrust del 3 luglio 2008 che ha evidenziato la necessità di uniformare le diverse discipline regionali, le quali attualmente stabiliscono differenti requisiti di accesso alla professione di guida turistica.
Il termine previsto dal comma 1 per l’esercizio della delega è fissato in dodici mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame.
I criteri e principi direttivi ai quali dovrà attenersi il Governo sono i seguenti:
a) individuazione dei principi fondamentali concernenti la definizione e la disciplina della professione di guida turistica;
b) previsione di percorsi formativi omogenei per l’esercizio della professione[62];
c) previsione di modalità attuative uniformi ai fini del conseguimento dell’idoneità all’esercizio della professione;
d) determinazione di aree omogenee del territorio nazionale, particolarmente ricche e complesse sotto il profilo storico-artistico, culturale o ambientale, ai fini della predisposizione di particolari percorsi formativi.
Tale criterio di delega rappresenta il punto di maggior scostamento rispetto al passato: il Governo sostiene nella relazione illustrativa che “la situazione italiana è certo caratterizzata da particolari esigenze di salvaguardia delle diverse realtà, discendenti dalla straordinaria ricchezza storica, culturale ed artistica presente sul territorio italiano; tuttavia le indicazioni sopranazionali e le ricordate esigenze di direttive e linee guida comuni, impongono un intervento affidato, in termini di proposta, al competente dipartimento governativo. In tale ottica si inquadra la prevista delega, in cui al legislatore nazionale resta affidato il compito della individuazione dei requisiti minimi per l’accesso alla professione e di un percorso formativo uniforme, oltre che l’indicazione di requisiti generali da approfondire poi in sede di disciplina regionale, al fine di adeguarli alle peculiarità territoriali”;
e) previsione delle modalità con cui le amministrazioni locali, per promuovere il proprio territorio e i propri siti museali, possono avvalersi di associazioni di volontariato, finalizzate alla promozione storica, culturale, paesaggistica e ambientale locale, operanti in convenzione con le pubbliche amministrazioni;
f) indicazione di un congruo periodo transitorio che consenta l’adeguamento della normativa vigente in modo ordinato ed organico.
La relazione governativa pone in evidenza che la disciplina transitoria è necessaria per garantire l’attività delle guide turistiche già abilitate.
Il comma 2 reca le modalità di adozione del decreto legislativo. In particolare stabilisce che il decreto sia adottato su proposta del Ministro del turismo, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze, dello sviluppo economico, del lavoro e delle politiche sociali, delle politiche europee e della giustizia, previa acquisizione del parere della Conferenza Stato-regioni[63], nonché quello delle competenti Commissioni parlamentari.
Il decreto potrà essere seguito da decreti correttivi ed integrativi da emanarsi entro dodici mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo medesimo(comma 3)”.
Il comma 4 dispone che, fino alla data di entrata in vigore del decreto legislativo, continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti ed è permesso alle amministrazioni locali di continuare ad avvalersi per le proprie iniziative promozionali delle associazioni di volontariato già operanti nel territorio di riferimento.
Infine, trattandosi di "un riordino organico della disciplina per ottenere le autorizzazioni senza prevedere nuovi procedimenti ma solo la razionalizzazione di quelli esistenti" (cfr. relazione illustrativa al disegno di legge), il comma 5 precisa che l’intervento avviene ad invarianza di oneri, stabilendo, in particolare, che le amministrazioni pubbliche interessate provvedano ai compiti di cui ai decreti legislativi in questione con le risorse umane, strumentali e finanziarie previste a legislazione vigente.
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro il termine e con le modalità di cui all’articolo 1 della presente legge, uno o più decreti legislativi volti a recepire la direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, recante modifica della direttiva 2002/22/CE relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica, della direttiva 2002/58/CE relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche e del regolamento (CE) n. 2006/2004 sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori, e a recepire la direttiva 2009/140/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, recante modifica delle direttive 2002/21/CE che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica, 2002/19/CE relativa all’accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate e all’interconnessione delle medesime e 2002/20/CE relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica.
2. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati attraverso l’adeguamento e l’integrazione delle disposizioni legislative in materia di comunicazioni elettroniche, di protezione dei dati personali e di tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche e di apparecchiature radio e apparecchiature terminali di telecomunicazione anche mediante le opportune modifiche al codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1º agosto 2003, n. 259, al codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e al decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269.
3. I medesimi decreti legislativi sono adottati nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali di cui agli articoli 2 e 3, nonché dei seguenti princìpi e criteri direttivi specifici:
a) garanzia di accesso al mercato con criteri di obiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità;
b) rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, nell’ambito dei procedimenti restrittivi dell’accesso alle reti di comunicazione elettronica;
c) gestione efficiente, flessibile e coordinata dello spettro radio, senza distorsioni della concorrenza ed in linea con i princìpi di neutralità tecnologica e dei servizi, nel rispetto degli accordi internazionali pertinenti, nonché nel prioritario rispetto di obiettivi d’interesse generale o di ragioni di ordine pubblico, pubblica sicurezza e difesa;
d) possibilità di introdurre, in relazione alle ipotesi di cui alla lettera c), limitazioni proporzionate e non discriminatorie in linea con quanto previsto nelle direttive in recepimento e, in particolare, dei tipi di reti radio e di tecnologie di accesso senza filo utilizzate per servizi di comunicazione elettronica, ove ciò sia necessario, al fine di evitare interferenze dannose; proteggere la salute pubblica dai campi elettromagnetici; assicurare la qualità tecnica del servizio; assicurare la massima condivisione delle radiofrequenze; salvaguardare l’uso efficiente dello spettro; conseguire obiettivi di interesse generale;
e) rafforzamento delle prescrizioni in materia di sicurezza ed integrità delle reti;
f) rafforzamento delle prescrizioni a garanzia degli utenti finali, in particolare dei disabili, degli anziani, dei minori e dei portatori di esigenze sociali particolari, anche per ciò che concerne le apparecchiature terminali;
g) rafforzamento delle prescrizioni sulla trasparenza dei contratti per la fornitura di servizi di comunicazione elettronica, in tema di prezzi, qualità, tempi e condizioni di offerta dei servizi, anche nell’obiettivo di facilitare la loro confrontabilità da parte dell’utente e l’eventuale cambio di fornitore;
h) rafforzamento delle prescrizioni in tema di sicurezza e riservatezza delle comunicazioni, nonché di protezione dei dati personali;
i) individuazione, per i rispettivi profili di competenza, del Garante per la protezione dei dati personali e della Direzione nazionale antimafia quali autorità nazionali ai fini dell’articolo 15, paragrafo 1-ter, della citata direttiva 2002/58/CE;
l) adozione di misure volte a promuovere investimenti efficienti e innovazione nelle infrastrutture di comunicazione elettronica, anche attraverso disposizioni relative alla condivisione o alla coubicazione delle stesse e che, nella definizione degli obblighi di accesso, tengano debitamente conto dei rischi degli investimenti sostenuti dalle imprese;
m) previsione di procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti relative alla concessione del diritto di installazione di infrastrutture al fine di promuovere un efficiente livello di concorrenza;
n) revisione delle procedure di analisi dei mercati e definizione degli obblighi regolamentari per i servizi di comunicazione elettronica, nel perseguimento dell’obiettivo di coerenza del quadro regolamentare comunitario di settore e nel rispetto delle specificità delle condizioni di mercato nazionali e subnazionali;
o) promozione di un efficiente livello di concorrenza infrastrutturale, al fine di conseguire un’effettiva concorrenza nei servizi al dettaglio;
p) valutazione della proporzionalità degli obblighi regolamentari tenendo conto della diversità delle condizioni di concorrenza a livello subnazionale;
q) definizione del riparto di attribuzioni tra Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e Garante per la protezione dei dati personali, nell’adempimento delle funzioni previste dalle direttive di cui al comma 1, nel rispetto del quadro istituzionale e delle funzioni e dei compiti del Ministero dello sviluppo economico, fatta salva la competenza generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri in materia di diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica e quella del Ministero per i beni e le attività culturali;
r) revisione delle sanzioni e degli illeciti già previsti nelle materie di cui al comma 1 del presente articolo, con particolare riguardo alle previsioni di cui al codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al citato decreto legislativo n. 259 del 2003, e alla legge 28 marzo 1991, n. 109. Alla revisione si provvede nel rispetto dei princìpi e criteri generali di cui alla lettera c) del comma 1 dell’articolo 2 della presente legge, prevedendo sanzioni amministrative in caso di violazione delle norme introdotte dall’articolo 2 della citata direttiva 2009/136/CE, con il conseguente riassetto del sistema sanzionatorio previsto, in particolare, dal codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al citato decreto legislativo n. 196 del 2003, anche mediante depenalizzazione;
s) abrogazione espressa di tutte le disposizioni incompatibili con quelle adottate in sede di recepimento.
4. All’articolo 33, comma 1, lettera d-ter), quarto periodo, della legge 7 luglio 2009, n. 88, le parole: «in favore dell’ente gestore», sono sostituite dalle seguenti: «in favore del titolare dell’archivio».
5. Dall’esercizio della presente delega non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono all’adempimento dei compiti derivanti dall’esercizio della presente delega con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
L’articolo 11, al comma 1, reca la delega per il recepimento di due direttive in materia di comunicazioni elettroniche: la direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, e la direttiva 2009/140/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009[64].
La direttiva2009/136/CE apporta modifiche alla direttiva 2002/22/CE, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica; alla direttiva 2002/58/CE, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche; al regolamento (CE) n. 2006/2004, sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori.
La direttiva 2009/140/CE reca invece modifiche alla direttiva 2002/21/CE, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica; alla direttiva 2002/19/CE, relativa all'accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e all'interconnessione delle medesime; alla direttiva 2002/20/CE, relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica.
Il comma 2 individua gli atti normativi nazionali destinati ad essere oggetto di modifiche ed integrazioni: il codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo n. 259/2003; il codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo n. 196/2003; il decreto legislativo n. 269/2001 sulle apparecchiature radio ed i terminali di telecomunicazione.
Il comma 3, oltre a rinviare ai princìpi e criteri direttivi generali di cui agli articoli 2 e 3 del disegno di legge, reca una serie di ulteriori e specifici principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega:
a) garanzia di accesso al mercato con criteri di obiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità;
b) rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali;
c) gestione efficiente, flessibile e coordinata dello spettro radio senza distorsioni della concorrenza, in linea con i princìpi di neutralità tecnologica e dei servizi e con gli accordi internazionali pertinenti, nel prioritario rispetto di obiettivi d’interesse generale o di ragioni di ordine pubblico, pubblica sicurezza e difesa;
d) possibilità di introdurre limitazioni proporzionate e non discriminatorie in linea con quanto previsto nelle direttive in recepimento e, in particolare, dei tipi di reti radio e di tecnologie di accesso senza filo utilizzate per servizi di comunicazione elettronica, ove ciò sia necessario, al fine di:
evitare interferenze dannose;
proteggere la salute pubblica dai campi elettromagnetici;
assicurare la qualità tecnica del servizio;
assicurare la massima condivisione delle radiofrequenze;
salvaguardare l’uso efficiente dello spettro;
conseguire obiettivi di interesse generale.
e) rafforzamento delle prescrizioni in materia di sicurezza ed integrità delle reti;
f) rafforzamento delle prescrizioni a garanzia degli utenti finali, in particolare dei disabili, degli anziani, dei minori e dei portatori di esigenze sociali particolari, anche per ciò che concerne le apparecchiature terminali;
g) rafforzamento delle prescrizioni sulla trasparenza dei contratti per la fornitura di servizi di comunicazione elettronica, in tema di prezzi, qualità, tempi e condizioni di offerta dei servizi, anche al fine di facilitare la loro confrontabilità da parte dell’utente e l’eventuale cambio di fornitore;
h) rafforzamento delle prescrizioni in tema di sicurezza e riservatezza delle comunicazioni e di protezione dei dati personali;
i) individuazione, per i rispettivi profili di competenza, del Garante per la protezione dei dati personali e della Direzione nazionale antimafia quali autorità nazionali ai fini dell’articolo 15, comma 1-ter, della citata direttiva 2002/58/CE, il quale prevede che i fornitori di servizi di telecomunicazione istituiscono procedure interne per rispondere alle richieste di accesso ai dati personali degli utenti e, su richiesta, forniscono alla competente autorità nazionale informazioni su dette procedure, sul numero di richieste ricevute, sui motivi legali addotti e sulla loro risposta;
Si segnala l’opportunità di individuare espressamente l’autorità nazionale competente per la tutela della sicurezza dello Stato, in quanto il citato articolo 15, al comma 1, fa riferimento anche a tale ulteriore finalità.
l) adozione di misure volte a promuovere investimenti efficienti e l’innovazione nelle infrastrutture di comunicazione elettronica, anche attraverso disposizioni relative alla condivisione o alla coubicazione delle stesse che nella definizione degli obblighi di accesso, tengano debitamente conto dei rischi degli investimenti sostenuti dalle imprese.
L’articolo 1, comma 5-bis del decreto-legge 40/2010[65] ha aggiunto un nuovo articolo 87-bis al citato codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo 259/2003) prevedendo che è sufficiente la denuncia di inizio di attività per il completamento della rete di banda larga mobile, nel caso di installazione di apparati con tecnologia UMTS, sue evoluzioni o altre tecnologie su infrastrutture per impianti radioelettrici preesistenti o di modifica delle caratteristiche trasmissive; la denuncia è priva di effetti qualora entro trenta giorni dalla presentazione del progetto e della relativa domanda sia stato comunicato un provvedimento di diniego da parte dell’ente locale o un parere negativo da parte dell’organismo competente alla protezione dai campi magnetici.
m) procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti relative alla concessione del diritto di installazione di infrastrutture al fine di promuovere un efficiente livello di concorrenza;
n) revisione delle procedure di analisi dei mercati e definizione degli obblighi regolamentari per i servizi di comunicazione elettronica, nel perseguimento dell’obiettivo di coerenza del quadro regolamentare comunitario di settore e nel rispetto delle specificità delle condizioni di mercato nazionali e subnazionali;
o) promozione di un efficiente livello di concorrenza infrastrutturale, al fine di conseguire un’effettiva concorrenza nei servizi al dettaglio;
p) valutazione della proporzionalità degli obblighi regolamentari tenendo conto della diversità delle condizioni di concorrenza a livello subnazionale;
q) definizione del riparto di attribuzioni tra Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e Garante per la protezione dei dati personali, nell’adempimento delle funzioni previste dalle direttive di cui al comma 1. Tale ripartizione deve avvenire nel rispetto del quadro istituzionale e delle funzioni e dei compiti del Ministero dello sviluppo economico, e fatta salva la competenza generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri in materia di diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica e del Ministero per i beni e le attività culturali;
r) revisione delle sanzioni e degli illeciti già previsti nelle materie di cui al comma 1 del presente articolo, con particolare riguardo alle previsioni di cui al citato codice delle comunicazioni elettroniche, e alla legge n. 109/1991in materia di allacciamenti e collaudi di impianti telefonici interni. Alla revisione si provvede nel rispetto dei princìpi e criteri generali di cui alla lettera c) del comma 1 dell’articolo 2 del presente disegno di legge, prevedendo sanzioni amministrative in caso di violazione delle norme introdotte dall’articolo 2 della citata direttiva 2009/136/CE, con il conseguente riassetto del sistema sanzionatorio previsto, in particolare, dal codice in materia di protezione dei dati personali, anche mediante depenalizzazione.
Il citato articolo 2 della direttiva 2009/136/CE ha inserito un nuovo articolo 15-bis alla direttiva 2002/58/CE (Direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche) in tema di attuazione e controllo dell’attuazione della direttiva, demandando agli Stati membri di determinare le sanzioni, anche penali, da irrogare in caso di violazione delle norme nazionali di attuazione della direttiva ed a prendere tutti i provvedimenti necessari per la loro applicazione.
s)abrogazione espressa di tutte le disposizioni incompatibili con quelle adottate in sede di recepimento.
Il comma 4 precisa che dall’esercizio della delega non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, e che le amministrazioni interessate provvedono all’adempimento dei compiti derivanti dall’esercizio della presente delega con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
Il 19 maggio 2010 la Commissione europea ha adottato la comunicazione “Un’agenda digitale europea” (COM(2010)245), una delle sette “iniziative faro” della Strategia UE 2020,che si articola in linee d’azione fondamentali per affrontare in modo sistematico sette aree problematiche.
La Commissione si dovrebbe adoperare per:
- creare un quadro giuridico stabile al fine di incentivare investimenti per internet ad alta velocità;
- definire una politica efficiente in materia di spettro radio;
- creare un vero e proprio mercato unico per i contenuti e i servizi online;
- promuovere l'accesso a internet, in particolare mediante azioni a sostegno dell'alfabetizzazione digitale e dell'accessibilità;
Gli Stati membri dovrebbero:
- elaborare strategie operative per internet ad alta velocità e orientare i finanziamenti pubblici, compresi i fondi strutturali, verso settori non totalmente coperti da investimenti privati;
- creare un quadro legislativo per coordinare i lavori pubblici in modo da ridurre i costi di ampliamento della rete;
- promuovere la diffusione e l'uso dei moderni servizi online .
Nell’ambito dell’agenda digitale europea, il 20 settembre 2010 la Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure finalizzate al raggiungimento dell’obiettivo di fornire ai cittadini europei l’accesso alla banda larga (base per il 2013 e veloce per il 2020), composto da:
· una comunicazione per promuovere gli investimenti nella rete di banda larga (COM(2010)472), che indica l’obiettivo di assicurare l’accesso a internet per tutti i cittadini ad una velocità di connessione superiore a 30 megabit per secondo, e per almeno il 50% delle famiglie la disponibilità di un accesso a internet con una velocità superiore a 100 Megabit per secondo entro il 2020;
· una raccomandazione sull’accesso regolato alla rete Next Generation Access (NGA) (C(2010)6223, pubblicato in G.U.U.E. L, n. 251 del 25.9.2010) che mira a favorire lo sviluppo del mercato unico rafforzando la certezza del diritto e promuovendo gli investimenti, la concorrenza e l'innovazione sul mercato dei servizi a banda larga;
· una proposta di decisione sulla creazione di un programma per la politica dello spettro radio (COM(2010)471) che espone orientamenti per la pianificazione strategica e l'armonizzazione dell'uso dello spettro radio per realizzare il mercato interno e mira a garantirne l'uso e la gestione efficiente.
Il 1° giugno 2010 la Commissione europea ha pubblicato una relazione (COM(2010)271) sul consolidamento del mercato interno delle comunicazioni elettroniche nell’UE dalla quale si evince che, sebbene tali mercati siano diventati più concorrenziali, non esiste ancora un mercato unico.
A tale proposito la relazione ricorda che l'Agenda digitale per l'Europa, sopra citata, invita ad attuare la normativa UE in materia di comunicazioni in maniera rapida e coerente e preannuncia l’intenzione della Commissione di proporre misure adeguate per ridurre i costi derivanti dalla mancanza di un mercato unico di servizi competitivi nel settore delle comunicazioni.
Il 25 maggio 2010 la Commissione europea ha adottato la quindicesima relazione sui mercati europei delle comunicazioni elettroniche (COM(2010)253) nella quale si sottolinea che l'applicazione disomogenea delle norme UE in materia impedisce ai consumatori, alle imprese e all'economia europea di godere pienamente dei benefici economici di un mercato unico delle telecomunicazioni che sia competitivo.
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti la disciplina della fiducia.
2. La disciplina di cui al comma 1, tenuti in considerazione i principali modelli normativi dei Paesi dell’Unione europea, nel rispetto e in coerenza con la normativa comunitaria e con le convenzioni internazionali, e in conformità ai princìpi e ai criteri direttivi specifici previsti dal comma 6, realizza il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti, anche tributarie.
3. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro dell’economia e delle finanze.
4. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 1 sono trasmessi alle Camere perché sia espresso il parere delle Commissioni parlamentari competenti, entro il termine di sessanta giorni dalla data della ricezione; decorso tale termine, i decreti sono emanati, anche in mancanza del parere. Qualora detto termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine previsto dal comma 1, o successivamente, la scadenza di quest’ultimo è prorogata di tre mesi.
5. Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, il Governo può emanare disposizioni correttive e integrative nel rispetto dei princìpi e dei criteri direttivi di cui al comma 6 e con la procedura di cui al comma 4.
6. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere, nell’ambito del titolo III del libro IV del codice civile, la disciplina speciale del contratto di fiducia, quale contratto con cui il fiduciante trasferisce diritti, beni o somme di denaro specificamente individuati in forma di patrimonio separato ad un fiduciario che li amministra, secondo uno scopo determinato, anche nell’interesse di uno o più beneficiari determinati o determinabili;
b) prevedere che il contratto di fiducia venga stipulato per atto pubblico o scrittura privata autenticata a pena di nullità;
c) prevedere, quali effetti del contratto di fiducia, la separazione patrimoniale, la surrogazione del fiduciario e l’opponibilità del contratto ai terzi ed ai creditori mediante idonee formalità pubblicitarie riguardanti i diritti ed i beni che costituiscono oggetto della fiducia. In particolare:
1) escludere che, qualora il fiduciario sia una persona fisica, i diritti e i beni oggetto del rapporto siano parte della comunione legale tra coniugi, o cadano in successione;
2) prevedere che il denaro facente parte del patrimonio fiduciario sia versato in un deposito nella disponibilità del fiduciario e che in tale ipotesi il contratto di fiducia, fermo restando il vincolo di forma di cui alla lettera b), si perfezioni con il versamento dell’intero importo;
d) dettare una disciplina specifica per:
1) la fiducia a scopo di garanzia, quale contratto con cui si garantiscono crediti determinati o determinabili, con previsione, in quest’ultimo caso, dell’importo massimo garantito. In particolare prevedere:
1.1) che risulti dal contratto, a pena di nullità, il debito garantito e il valore del bene trasferito in garanzia;
1.2) che il contratto possa essere concluso esclusivamente con un fiduciante che agisce per scopi inerenti alla propria attività professionale o imprenditoriale;
1.3) che la fiducia possa essere destinata a garantire debiti diversi da quelli per cui era originariamente costituita, qualora l’atto costitutivo preveda tale possibilità e purché si tratti di crediti derivanti da rapporti già costituiti ovvero da costituirsi entro limiti temporali specificamente determinati;
1.4) la nullità di qualunque patto che abbia per oggetto o per effetto di liberare il fiduciario dall’obbligo di corrispondere al beneficiario o, se diversamente previsto dal titolo, al fiduciante, il saldo netto risultante dalla differenza tra il valore dei beni costituenti la garanzia e l’ammontare del debito garantito, all’epoca della escussione della garanzia;
1.5) la disciplina per il caso in cui i beni concessi in garanzia, anche nell’ipotesi di complesso di beni o altri elementi aziendali, siano sostituiti nel corso del rapporto, disponendo in particolare che il valore dei beni sostitutivi non possa essere superiore a quello dei beni sostituiti e che, qualora lo sia, la garanzia non si estenda oltre il valore del bene originario;
2) il contratto di fiducia a scopo assistenziale, prevedendo che il valore dei beni conferiti non possa eccedere i bisogni del beneficiario e facendo salve le disposizioni a tutela dei diritti dei legittimari. Tali disposizioni non si applicano qualora il beneficiario sia una persona disabile;
e) disciplinare i diritti, gli obblighi e i poteri del fiduciario e del fiduciante, o del terzo che sia nominato per far valere gli obblighi del fiduciario;
f) disciplinare l’opponibilità ai terzi aventi causa delle eventuali limitazioni apposte ai poteri del fiduciario e l’obbligo di rendiconto;
g) disciplinare la cessazione del fiduciario dall’incarico, prevedendo la possibilità di sua sostituzione anche da parte del giudice e l’ingresso del nuovo fiduciario nella titolarità dei beni oggetto del rapporto;
h) disciplinare la durata del contratto, la revoca e la rinuncia del fiduciario, nonché la possibilità di nominare da parte del giudice, in caso di urgenza, un fiduciario provvisorio;
i) disciplinare le cause di scioglimento del contratto di fiducia, prevedendo tra di esse l’unanime deliberazione di tutti i beneficiari, purché pienamente capaci di agire;
l) determinare i casi in cui gli effetti del contratto di fiducia possono derivare dalla sentenza del giudice;
m) prevedere che la disciplina della fiducia si applichi anche qualora gli effetti di questa derivino da testamento, salva la disciplina contenuta nell’articolo 627 del codice civile;
n) prevedere che la disciplina della fiducia si applichi anche nell’ipotesi in cui il titolare di beni se ne dichiari fiduciario per il perseguimento di uno scopo nell’interesse di terzi beneficiari;
o) dettare norme di coordinamento e, ove necessario, per la realizzazione dei princìpi e criteri direttivi di cui alle lettere da a) a n), di deroga alla disciplina di tutela dei creditori, alla disciplina sul contratto a favore di terzo, alla disciplina sulla cessione dei crediti futuri ed alla disciplina degli strumenti finanziari;
p) dettare norme di coordinamento e, ove necessario, per la realizzazione dei princìpi e criteri direttivi di cui alle lettere da a) a o), di deroga alla disciplina fallimentare, regolando in particolare la possibilità per il curatore fallimentare di concludere il contratto di fiducia al fine di agevolare il riparto dell’attivo tra i creditori;
q) assicurare, in ogni caso, il coordinamento con le norme vigenti in materia di antiriciclaggio, antimafia, conflitto di interessi ed a tutela dell’ordine pubblico;
r) dettare, ove necessario, norme di coordinamento con la disciplina fiscale vigente in materia di trust.
7. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi e maggiori oneri per il bilancio dello Stato.
L’articolo 12 contiene una delega al Governo per l’emanazione di uno o più decreti legislativi per la disciplina della fiducia (comma 1). Con la nuova disciplina dovrà realizzarsi il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti anche tributarie (comma 2).
Tale disposizione riprende l’articolo 1 di un disegno di legge del Governo recante Delega al Governo per apportare modifiche al codice civile in materia di disciplina della fiducia e del contratto autonomo di garanzia, nonché modifica della disciplina dell'adempimento, della clausola penale, della conclusione del contratto e del codice del consumo in materia di disciplina del credito al consumo, trasmesso al Senato e il cui esame non è ancora iniziato (AS 2284).
La relazione illustrativa spiega l’introduzione della disciplina del contratto di fiducia in relazione al fatto che “nell’ultimo decennio il mercato italiano ha registrato una crescente domanda di prestazioni legali e più ampiamente professionali inerenti ad operazioni fiduciarie. Questa domanda si è tradotta in larga misura nella ricerca di soluzioni basate sul ricorso al trust”.
In proposito si ricorda che la Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985 disciplina la legge applicabile ai trusts e il loro riconoscimento; a seguito della sua ratifica (avvenuta con legge n. 364 del 1989), il giudice italiano può risolvere conflitti nel caso in cui i beni del trust, creato da uno straniero in base alla propria legge che lo prevede, siano situati in Italia. In base all’articolo 2 della Convenzione, per trust s'intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona, il costituente - con atto tra vivi o mortis causa - qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell'interesse di un beneficiario o per un fine specifico. Il trust presenta le seguenti caratteristiche: a) i beni del trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee; b) i beni del trust sono intestati a nome del trustee o di un'altra persona per conto del trustee; c) il trustee è investito del potere e onerato dell'obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre beni secondo i termini del trust e le norme particolari impostegli dalla legge. La scelta della legge applicabile può avvenire espressamente o implicitamente (art. 6); se l'ordinamento scelto non ha una disciplina del trust, l’indicazione del costituente non e' valida e si applicano i criteri previsti dall’articolo 7. In base all’articolo 11, un trust che presenti le caratteristiche sopra menzionate deve essere riconosciuto come tale (salvi i limiti derivanti dalle successive disposizioni della Convenzione); dal riconoscimento deriva l'autonomia dei beni oggetto del trust da qualsiasi vicenda del trustee per cui: a) i creditori personali del trustee non possono aggredire quei beni; b) in caso di fallimento del trustee, i beni non fanno parte della massa fallimentare; c) i beni del trust non fanno parte della comunione matrimoniale del trustee o del suo coniuge, né fanno parte del patrimonio ereditario in caso di morte del trustee; d) infine, i beni possono essere recuperati dal beneficiario se il trustee, in violazione dei suoi obblighi, li confonde con il suo patrimonio oppure li trasferisce a terzi (in ogni caso sono fatte salve le disposizioni dettate dai singoli ordinamenti a tutela dei terzi).
Una delle principali questioni sorte in Italia dall’applicazione della Convenzione consiste nella possibilità di riconoscere trust interni, ovvero trust costituiti da cittadini italiani, con beni situati in Italia e a favore di beneficiari italiani. Sul punto si registrano alcune pronunce di merito che riconoscono la validità e la possibilità di trascrivere il trust interno, con la conseguenza che il creditore del disponente non può aggredire, con azione esecutiva di espropriazione, i beni che il debitore ha trasferito al "trustee" con atto avente data certa anteriore al pignoramento, in quanto essi danno vita ad un patrimonio c.d. segregato, inattaccabile dai rispettivi creditori (cfr. da ultimo Trib. Reggio Emilia 14 maggio 2007).
Nell’ordinamento italiano si richiama l’articolo 2645-ter, introdotto dal decreto-legge n. 273 del 2005 (convertito dalla legge n. 51 del 2006), che prevede la possibilità di trascrivere gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell'articolo 1322, secondo comma, c.c..
Dalla trascrizione derivano: l’opponibilità ai terzi del vincolo di destinazione; l’attribuzione al conferente e a qualsiasi interessato della possibilità di agire per la realizzazione di tali interessi anche durante la vita del conferente; la possibilità di impiegare i beni conferiti e i loro frutti solo per la realizzazione del fine di destinazione; la possibilità che tali beni costituiscano oggetto di esecuzione solo per debiti contratti per tale scopo. La giurisprudenza rileva che tale disposizione ha inteso invece prevedere e disciplinare un nuovo effetto negoziale destinatorio-separatorio, fissando i requisiti minimi dell'atto di autonomia idoneo a produrlo, senza entrare - volutamente - nel merito della struttura o della giustificazione causale di tale atto (T. Trieste 7.4.2006). Con riferimento alla medesima disposizione, la relazione illustrativa precisa che essa “è stata senza dubbio ispirata dalla volontà di arginare il ricorso alla legge straniera da parte di soggetti italiani in contesti in cui la prassi si orientava verso l’utilizzo del trust. Il passo compiuto in tale direzione non consente ancora, tuttavia, all’Italia di disporre di uno strumento di utilità generale, che possa competere con il trust”. Il passo compiuto in tale direzione non consente ancora, tuttavia, all’Italia di disporre di uno strumento di utilità generale, che possa competere con il trust.
Il termine per l’esercizio della delega è di 24 mesi dalla data di entrata in vigore della legge comunitaria (comma 1).
Per quanto riguarda la procedura (comma 4), si prevede:
§ la proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro dell’economia e delle finanze;
§ il parere delle Commissioni parlamentari, da esprimere nel termine di sessanta giorni dalla ricezione, decorso il quale i decreti possono essere comunque adottati.
Con riferimento ai principi e criteri direttivi, a parte il richiamo ai principali modelli normativi dei Paesi dell’UE e la coerenza con la normativa comunitaria (comma 2), essi sono specificamente indicati dal comma 6.
Con riferimento agli altri Paesi UE, la relazione illustrativa – richiamando il recente modello francese della fiducia, introdotto con un’ampia novella al codice civile nel 2007 ed emendata con provvedimenti entrati in vigore nel 2008 e nel 2009 – osserva come “la riforma francese mira essenzialmente a mettere a disposizione dell’operatore giuridico d’oltralpe uno strumento competitivo rispetto al trust, sia sotto il profilo delle operazioni fiduciarie rivolte a scopo di gestione, sia per quelle dirette a costituire una garanzia”.
Più in dettaglio, il comma 6 prevede che:
a) la nuova disciplina sia inserita nell’ambito del titolo III del libro IV del codice civile (relativo ai contratti speciali) e che il contratto di fiducia sia definito quale il contratto con cui il fiduciante trasferisce diritti, beni o somme di denaro specificamente individuati in forma di patrimonio separato ad un fiduciario che li amministra, secondo uno scopo determinato, anche nell’interesse di uno o più beneficiari determinati o determinabili;
b) il contratto di fiducia venga stipulato per atto pubblico o scrittura privata autenticata a pena di nullità;
In proposito si ricorda che l’articolo 3 della Convenzione dell’Aja prevede esclusivamente la forma scritta ad probationem.
c) il contratto di fiducia produca gli effetti della separazione patrimoniale, della surrogazione del fiduciario e dell’opponibilità del contratto ai terzi ed ai creditori mediante idonee formalità pubblicitarie riguardanti i diritti ed i beni che costituiscono oggetto della fiducia.
Tali caratteristiche valgono a distinguere il contratto di fiducia rispetto al negozio fiduciario, il quale ha natura meramente obbligatoria. Con il negozio fiduciario il fiduciante si accorda con il fiduciario nel senso che il primo trasferirà al secondo la piena proprietà del bene, che costui dovrà amministrare per poi ritrasferirlo al fiduciante o a un terzo da lui designato.
Come ulteriori corollari di tale principio di delega, la disposizione prevede che i beni oggetto del rapporto non rientrano nella comunione legale tra i coniugi e non entrano a far parte della successione del fiduciario e che il denaro facente parte del patrimonio fiduciario sia versato in un deposito nella disponibilità del fiduciario. Essa precisa inoltre che, nel caso in cui il rapporto fiduciario abbia ad oggetto somme di denaro, il contratto si perfezioni con il versamento dell’intero importo. Sulla base di tale ultima disposizione si desume che, al di fuori di tale ultima ipotesi in cui il contratto ha natura reale, il contratto ha natura consensuale.
d) sia inserita una disciplina specifica nel caso in cui il contratto non abbia una finalità di mera gestione patrimoniale, ma miri alla costituzione di una garanzia o a realizzare una disposizione a scopo assistenziale.
ü La causa del contratto di fiducia a scopo di garanzia consiste nella garanzia di crediti determinati o determinabili (con previsione, in tal caso, dell’importo massimo garantito); dal contratto deve risultare il debito garantito e il valore del bene trasferito in garanzia, a pena di nullità, la fiducia potrà garantire debiti diversi da quelli per i quali era stata costituita solo se l'atto costitutivo preveda tale eventualità e sempre che si tratti di crediti derivanti da rapporti già costituiti o da costituirsi entro specifici limiti temporali; qualora i beni concessi in garanzia vengano sostituiti durante il rapporto, il valore dei beni sostitutivi non potrà essere superiore a quello dei beni sostituiti e, in tale eventualità, la garanzia non si estenderà oltre il valore del bene originario. Con riferimento ai profili soggettivi, il contratto potrà essere concluso solo con un fiduciante che agisce per scopi connessi alla propria attività professionale/imprenditoriale. La disposizione, infine, prevede la nullità dei patti finalizzati a liberare il fiduciario dall'obbligo di corrispondere al beneficiario o al fiduciante il saldo netto derivante dalla differenza tra il valore dei beni costituenti la garanzia e l'ammontare del debito garantito.
Tale ultima previsione costituisce specifica applicazione alla disciplina del contratto di fiducia del principio generale che ispira le disposizioni codicistiche in tema di divieto del patto commissorio (si vedano in particolare gli articoli 1963 e 2744 del codice civile).
ü Nel contratto di fiducia a scopo assistenziale, il valore dei beni conferiti non può eccedere i bisogni del beneficiario; in ogni caso, nell’esercizio della delega occorrerà fare salve le disposizioni a tutela dei legittimari, che tuttavia non trovano applicazione se beneficiario della liberalità è una persona disabile.
La relazione illustrativa ritiene la deroga “ragionevole alla luce della particolare condizione del soggetto”.
Occorre valutare la possibilità di derogare alle disposizioni in materia di tutela dei legittimari alla luce del principio di intangibilità della legittima ai sensi dell’articolo 549 c.c.
Tale disposizione prevede che il testatore non possa imporre pesi o condizioni sulla quota spettante ai legittimari, salva l'applicazione delle norme contenute nel titolo IV del Libro IV c.c. Tra le eccezioni si segnala l'art. 692, primo comma, c.c. che consente la sostituzione fedecommissaria anche sui beni costituenti la legittima. Tale disposizione, con finalità assistenziale, prevede che ciascuno dei genitori o degli altri ascendenti in linea retta o il coniuge dell'interdetto possano istituire rispettivamente il figlio, il discendente, o il coniuge con l'obbligo di conservare e restituire alla sua morte i beni anche costituenti la legittima, a favore della persona o degli enti che, sotto la vigilanza del tutore, hanno avuto cura dell'interdetto medesimo. Nonostante la finalità assistenziale dell’istituto, con riferimento ai beni costituenti la legittima, in dottrina si è dubitato della legittimità della disposizione alla luce del principio della intangibilità della quota di riserva dell'interdetto.
e) siano specificamente disciplinati i diritti, gli obblighi e i poteri del fiduciario e del fiduciante, ovvero del soggetto terzo nominato per far valere gli obblighi del fiduciario;
f) sia disciplinata anche l'opponibilità ai terzi aventi causa delle eventuali limitazioni apposte ai poteri del fiduciario e l'obbligo di rendicontazione;
g) sia disciplinata anche la cessazione del fiduciario dall'incarico. A tal riguardo, dovrà essere prevista la possibilità della sua sostituzione anche da parte del giudice, nonché l'ingresso del nuovo fiduciario nella titolarità dei beni oggetti del rapporto.
h) siano inoltre disciplinate: la durata del contratto (al fine, come spiegato nella relazione illustrativa, di evitare il congelamento di patrimoni per un tempo eccessivo), la revoca/rinuncia del fiduciario, la possibilità di nomina di un fiduciario provvisorio da parte del giudice.
i) siano disciplinate le cause di scioglimento del contratto di fiducia. Tra di esse, dovrà essere compresa l'unanime deliberazione in tal senso dei beneficiari, sempre che siano pienamente capaci di agire. In proposito si segnala che lo scioglimento del contratto viene ricollegato alla manifestazione di volontà da parte di soggetti (i beneficiari) che possono non essere parti del contratto.
l) vengano determinate le ipotesi in cui gli effetti del contratto in esame possano scaturire da sentenza del giudice.
m) la disciplina della fiducia si applichi anche qualora i relativi effetti derivino da testamento, salvo quanto statuito dall'articolo 627 del codice civile.
Tale disposizione stabilisce l'inammissibilità dell'azione in giudizio per accertare che le disposizioni fatte a favore di persona dichiarata nel testamento sono soltanto apparenti e che in realtà riguardano altra persona, anche se espressioni del testamento possono indicare o far presumere che si tratta di persona interposta. Tuttavia la persona dichiarata nel testamento, se ha spontaneamente eseguito la disposizione fiduciaria trasferendo i beni alla persona voluta dal testatore, non può agire per la ripetizione, salvo che sia un incapace. Tali disposizioni non si applicano al caso in cui l'istituzione o il legato sono impugnati come fatti per interposta persona a favore d'incapaci a ricevere.
n) la nuova disciplina contenga una specifica previsione circa l'applicabilità della stessa anche all'ipotesi in cui il titolare di beni se ne dichiari fiduciario per il perseguimento di uno scopo nell'interesse di terzi beneficiari.
o), siano dettate norme di coordinamento alle seguenti discipline: di tutela dei creditori; sul contratto a favore di terzo; sulla cessione dei crediti futuri; degli strumenti finanziari. Si segnala che la disposizione fa anche riferimento alla possibilità di derogare a tali discipline, ove necessario, per la realizzazione dei principi della delega.
p) siano dettate norme di coordinamento e, se del caso, anche di deroga, alla disciplina fallimentare, stabilendo in particolare la possibilità per il curatore fallimentare di concludere il contratto di fiducia allo scopo di agevolare il riparto dell'attivo tra i creditori;
q) con finalità di trasparenza delle operazioni poste in essere sulla base della nuova disciplina, sia assicurato il coordinamento della nuova disciplina con le norme vigenti in materia di antiriciclaggio, antimafia, conflitto di interessi e a tutela dell’ordine pubblico.
r) la medesima disciplina sia coordinata con la vigente disciplina fiscale sul trust.
Si ricorda in proposito che con la legge finanziaria 2007 (articolo 1, comma 74 della legge 296/2006) il trust è entrato espressamente nel novero dei soggetti passivi ai fini dell’applicazione dell’imposta sul reddito delle società – IRES.
Ai sensi dell’articolo 73 del Testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono infatti soggetti all'imposta sul reddito delle società anche gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali (lettera b) del comma 1); gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali (lettera c)); le società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato (lettera d)).
Nei casi in cui i beneficiari del trust siano individuati, i redditi conseguiti dal trust sono imputati in ogni caso ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell'atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi ovvero, in mancanza, in parti uguali (articolo 73, comma 2).
Lo stesso articolo precisa poi che (comma 3), ai fini delle imposte sui redditi, si considerano residenti nel territorio dello Stato le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale, la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello Stato: si considerano altresì residenti nel territorio dello Stato, salvo prova contraria, i trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze previsto dall'articolo 168-bis del medesimo testo unico (Paesi e territori che consentono un adeguato scambio di informazioni ai fini dell’applicazione delle disposizioni del Testo unico delle imposte sui redditi, ovvero i cd. Paesi “white list”), in cui almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari del trust siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato. Si considerano, inoltre, residenti nel territorio dello Stato i trust istituiti in uno Stato diverso da quelli appartenenti alla white list, quando, successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore del trust un'attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi.
A completamento della predetta disciplina, l’articolo 13 del D.P.R. n. 600 del 1973 comprende i trust nel novero dei soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi. La disposizione riguarda sia i trust aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali, sia quelli che non hanno tali attività quale oggetto esclusivo o principale.
Ai medesimi principi e criteri direttivi e alla stessa procedura sopra descritta dovranno attenersi i decreti legislativi integrativi e correttivi, che in base al comma 5, il Governo può emanare nel termine di ventiquattro mesi dall’entrata in vigore di ciascuno dei decreti di cui al comma 1.
Con riferimento alla procedura per l’adozione dei decreti correttivi, il comma 5 richiama esclusivamente il comma 4 (che disciplina il parere parlamentare); occorre valutare se estendere il richiamo anche al comma 3 (che disciplina l’iniziativa per l’adozione dei decreti).
Il comma 7, infine, reca la clausola di invarianza finanziaria.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
Allo stato attuale non esistono iniziative legislative a livello dell’Unione europea relative ai contratti di fiducia (trust). Il tema non risulta affrontato nel Libro verde (COM(2010)348) sulle opzioni possibili in vista di un diritto europeo dei contratti per i consumatori e le imprese, presentato dalla Commissione europea il 1 luglio 2010.
Nella relazione introduttiva al disegno di legge comunitaria 2010, presentato dal Governo al Senato il 5 agosto 2010, si sottolineava che la scelta di predisporre una disciplina del contratto di fiducia risulterebbe resa necessaria dall’esigenza di allineamento dell’ordinamento interno rispetto ai princìpi del diritto comunitario. Al riguardo, la relazione ricordava il progetto di quadro comune di riferimento per il diritto contrattuale europeo (Draft Common Frame of Reference-DCFR) “elaborato su richiesta della Commissione europea e con il concorso di autorevoli studiosi italiani, che precisa la disciplina applicabile alle ipotesi di titolarità fiduciaria”.
Si segnala che il citato Draft Common Frame of Reference-DCFR[66], studio finanziato dalla Commissione europea nell'ambito sesto programma quadro di ricerca, è stato realizzato e pubblicato alla fine del 2009 a cura di una rete internazionale di accademici incaricata di svolgere le ricerche giuridiche in materia. Il progetto contiene principi, definizioni e norme modello di diritto civile[67], in particolare di diritto dei contratti e responsabilità extracontrattuale, e si riferisce sia ai contratti commerciali che ai contratti dei consumatori.
Il Libro X dello studio reca alcune indicazioni per quanto concerne la disciplina del trust, ispirati in larga parte all’ordinamento giuridico inglese, segnalando, quali aspetti meritevoli di particolare attenzione, una migliore normativa dei diritti del beneficiario e della segregazione patrimoniale.
Con Decisione del 26 aprile 2010, la Commissione europea ha istituito un gruppo di esperti destinato ad assisterla nella selezione delle parti del DCFR direttamente o indirettamente connesse con il diritto dei contratti, al fine della prossima presentazione di una vera e propria proposta su un quadro comune di riferimento, in linea con le indicazioni contenute nel programma di Stoccolma per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia 2010-2014. Sulla materia è intervenuto anche il Consiglio giustizia e affari interni del 4-5 giugno 2009 adottando conclusioni sulla struttura del futuro quadro comune di riferimento, struttura che dovrà essere articolata in tre parti rispettivamente dedicate a: definizione di concetti fondamentali in materia di diritto contrattuale; enunciazione di principi fondamentali comuni di diritto contrattuale; formulazione di norme tipo.
Art. 13
(Qualità delle acque destinate al consumo
umano)
1. All’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31, la lettera c) è sostituita dalla seguente:
«c) per le acque confezionate in bottiglie o contenitori, rese disponibili per il consumo umano, nel punto in cui sono imbottigliate o introdotte nei contenitori».
2. Conseguentemente è abrogata la lettera c) del comma 1 dell’articolo 1 del decreto legislativo 2 febbraio 2002, n. 27.
Nella seduta del 30 settembre 2010, la Commissione europea ha espresso un parere motivato sulla procedura di infrazione 2007/4125[68] in materia di libera circolazione delle merci. La Commissione ha ritenuto che la legislazione italiana in materia di acque destinate al consumo umano imponga restrizioni ingiustificate ostacolando l'importazione in Italia di acqua potabile in bottiglia confezionata o commercializzata legalmente in altri paesi dell'Unione europea. La Commissione ha pertanto deciso di richiedere una modifica della legislazione in materia per renderla conforme alle norme europee in materia di libera circolazione delle merci.
L’articolo 13, inserito nel corso dell’esame al Senato, risponde a tale richiesta intervenendo sul D.Lgs. 31/2001[69].
In particolare, il comma 1 dell’articolo in esame modifica la disciplina sulla verifica dei valori di parametro per le acque confezionate in bottiglie o contenitori, rese disponibili per il consumo umano.
L'attuale norma che si intende novellare - di cui all'art. 5, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 31, e successive modificazioni - prevede che i valori di parametro richiesti[70] debbano essere rispettati, per le acque messe in vendita in bottiglie o contenitori:
§ sia nel punto in cui esse siano imbottigliate (o introdotte nei contenitori);
§ sia nelle confezioni in fase di commercializzazione (o comunque di messa a disposizione per il consumo).
L’articolo in esame sopprime il secondo punto di verifica, ripristinando, in tal modo, il testo originario della norma citata, la quale era stata così novellata dall'art. 1, comma 1, lett. c), del D.Lgs. 2 febbraio 2002, n. 27[71].
In merito all'articolo all'art. 5, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 31/2001, si ricorda che la Commissione europea ha instaurato la procedura di infrazione 2007/4125, ritenendo che esso dia luogo ad una nuova procedura di controllo, non prevista dalla disciplina comunitaria in materia[72] e suscettibile di limitare la distribuzione commerciale delle acque in bottiglia. La Commissione ha formulato, nell'ambito della procedura d'infrazione, un parere motivato, in cui ha confermato di ravvisare un'infrazione ai principi e norme comunitari - anche sulla base della considerazione che, dopo l'imbottigliamento, i valori microbiologici dell'acqua potabile possono variare senza determinare rischi aggiuntivi per i consumatori.
Il comma 2, di mero coordinamento, provvede ad abrogare la su richiamata disposizione del decreto legislativo n. 27 del 2002.
Procedure di contenzioso
In un parere motivato inviato il 30 settembre 2010 (procedura n. 2007/4125) la Commissione europea ha contestato all’Italia l’introduzione, con il D.Lgs. n. 27/2002, di criteri troppo rigidi in ordine alla commercializzazione dell’acqua potabile in bottiglia, tali da costituire un ostacolo alla vendita del medesimo prodotto importato da altri Stati membri, in contravvenzione al principio di libera circolazione delle merci sancito dall’art 34 TFUE (ex 28 TCE).
In particolare, il D.Lgs. n. 27/2002 ha introdotto per le acque potabili in bottiglia standards più rigorosi di quelli già previsti dal precedente D.Lgs. n. 31/2001 che, dando attuazione alla direttiva 98/83/CE stabiliva, in conformità con essa, che i valori microbiologici richiesti per dette acque dovevano essere necessariamente soddisfatti al momento dell’imbottigliamento o dell’introduzione in altri contenitori, mentre non era richiesta la permanenza di tali requisiti in relazione ai momenti successivi della catena di distribuzione.
Viceversa, il D.Lgs. n. 27/2002 ha stabilito che l’acqua confezionata in bottiglie o in altri contenitori deve rispettare i parametri non solo in fase di imbottigliamento, ma anche al momento della commercializzazione o comunque di messa a disposizione per il consumo, rendendo ad avviso della Commissione impossibile per taluni importatori francesi e tedeschi la possibilità di commerciare i loro prodotti in Italia, pur presentando i requisiti stabiliti dalla normativa europea.
Inoltre, ai sensi della direttiva 98/34/CE, la Commissione ha contestato all’Italia la mancata comunicazione dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 27/2002, in quanto contenente parametri tecnici da soddisfarsi a pena dell’incommerciabilità di un prodotto.
1. Il comma 2 dell’articolo 01 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, è abrogato.
2. All’articolo 01, comma 2-bis, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, e successive modificazioni, le parole: «comma 2» sono sostituite dalle seguenti: «comma 1» e dopo le parole: «con licenza» sono aggiunte le seguenti: «, ad eccezione di quelle rilasciate dalle autorità portuali di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84, nell’ambito delle rispettive circoscrizioni territoriali».
3. All’articolo 03, comma 4-bis, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, e successive modificazioni, le parole: «Ferme restando le disposizioni di cui all’articolo 01, comma 2,» sono soppresse.
L'articolo 14, inserito durante l'esame presso il Senato, modifica gli articoli 1 e 3 del D.L. 400/1993, recante "Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime”.
In particolare il comma 1 dell'articolo in esame abroga il comma 2 dell’art. 1 del decreto-legge n. 400 del 1993, il quale fissava la durata delle concessioni dei beni demaniali marittimi in 6 anni (rinnovabili automaticamente alla scadenza).
Più in dettaglio, il comma di cui si propone l'abrogazione prevede che la concessione dei beni demaniali marittimi ha durata di sei anni, indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività. Alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni e così successivamente ad ogni scadenza, fatto salvo quanto previsto dall'art. 42, comma 2, del codice della navigazione secondo il quale le concessioni di durata superiore al quadriennio o che comunque importino impianti di difficile sgombero sono revocabili per specifici motivi inerenti al pubblico uso del mare o per altre ragioni di pubblico interesse, a giudizio discrezionale dell'amministrazione marittima.
Il comma 2 novella il comma 2-bis dell’art. 1 del D.L. 400/1993, con il quale si prevede che le concessioni dei beni demaniali marittimi di competenza statale siano rilasciate dal capo del compartimento marittimo con licenza.
In particolare, oltre a modificare il richiamo al comma 2 dell’art. 1 (soppresso dalla disposizione sopra riportata), la norma in esame precisa che, per quanto concerne il rilascio delle concessioni di competenza statale da parte del capo del compartimento marittimo con licenza, fanno eccezione quelle rilasciate dalle autorità portuali di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84, nell’ambito delle rispettive circoscrizioni territoriali.
Al riguardo, si ricorda che ai sensi dell'art. 6 della citata legge n. 84 del 1994, le autorità portuali sono state costituite nei porti di Ancona, Bari, Brindisi, Cagliari, Catania, Civitavecchia, Genova, La Spezia, Livorno, Manfredonia (soppressa, questa, con D.P.R. 12 ottobre 2007), Marina di Carrara, Messina, Napoli, Palermo, Ravenna, Savona, Taranto, Trieste e Venezia.
Il comma 3, infine, novella il comma 4-bis dell’art. 3 del D.L. 400/1993, concernente le concessioni demaniali marittime rilasciate o rinnovate con finalità turistico-ricreative, al fine di sopprimere il richiamo ivi contenuto al comma 2 dell'art. 1 soppresso dal già citato comma 1.
Nello specifico, il comma in esame prevede che le concessioni demaniali marittime, rilasciate o rinnovate con finalità turistico-ricreative, possano avere una durata compresa tra i sei e i venti anni, determinata in ragione dell'entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare e sulla base dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo predisposti dalle regioni.
Si ricorda che in materia è intervenuto l’art. 1, comma 18, del D.L. 194/2009, modificato dalla legge di conversione n. 25/2010, il quale, in attesa della revisione della legislazione nazionale in materia, ha prorogato sino al 31 dicembre 2015 le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative che erano in essere al 30 dicembre 2009 (data di entrata in vigore del decreto-legge) e la cui scadenza era fissata entro la suddetta data del 31 dicembre 2015; per le concessioni la cui scadenza era fissata in data successiva al 31 dicembre 2015, la norma, mediante un richiamo all’articolo 3, comma 4-bis, del D.L. 400/1993, ha confermato tali scadenze.
Lo stesso comma 18 ha infine previsto l'abrogazione del secondo periodo del secondo comma dell'art. 37 del Codice della navigazione.
La necessità di procedere alla revisione della normativa in materia di concessioni demaniali marittime era stata sollevata dall'apertura di una procedura di infrazione comunitaria nei confronti dell'Italia circa la disciplina che prevedeva il rinnovo automatico delle concessioni e la preferenza accordata al concessionario uscente.
Si tratta in particolare della procedura d’infrazione n. 2008/4908 per il mancato adeguamento della normativa nazionale in materia di concessioni demaniali marittime ai contenuti previsti dalla "direttiva servizi", meglio conosciuta come direttiva Bolkestein (direttiva 123/2006/CE). La direzione generale del mercato interno e dei servizi della Commissione europea, in una nota del 4 agosto 2009 inviata dalla Rappresentanza permanente presso la CE al Dipartimento delle politiche comunitarie presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, aveva evidenziato che la preferenza accordata dall’articolo 37 del codice della navigazione al concessionario uscente, oltre ad essere contraria all’articolo 43 del trattato che istituisce la Comunità europea, era in contrasto con l’articolo 12 della “direttiva servizi”, invitando le autorità italiane ad adottare tutte le misure necessarie al fine di rendere l’ordinamento italiano pienamente conforme a quello comunitario entro il termine ultimo del 31 dicembre 2009.
Di conseguenza, nelle more di una revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreative, con il comma 18 dell’art. 1 del D.L. 194/2009 è stata disposta l'abrogazione della disposizione contenuta nel secondo comma dell'articolo 37 del Codice della navigazione.
Con provvedimento successivo (messa in mora complementare 2010/2734 del 5 maggio 2010) la Commissione europea ha preso atto delle modifiche apportate alla normativa dallo Stato italiano, illustrando contemporaneamente ulteriori profili di illegittimità delle disposizioni censurate.
In particolare la Commissione avrebbe notato che la citata legge di conversione n. 25 del 2010 contiene all’articolo 1, comma 18, un rinvio all’art.1, comma 2 del D.L. 400/1993 il quale non era previsto dal D.L. 194/2009. Il rinvio ad altri articoli di legge, secondo la Commissione, avrebbe privato di ogni effetto utile il testo del decreto legge, che mirava alla messa in conformità della legislazione italiana con il diritto dell’Unione europea, eliminando la preferenza in favore del concessionario uscente nell’ambito della procedura di attribuzione delle concessioni.
Procedure di contenzioso
Il 29 gennaio 2009 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura di infrazione n. 2008/4908) con riferimento ad alcune norme nazionali e regionali che sollevano questioni di compatibilità con il diritto comunitario e, in particolare, con l’art. 43 del Trattato CE, relativo alla libertà di stabilimento.
Tali norme, che secondo la Commissione prevedono una preferenza per il concessionario uscente nell’ambito della procedura di attribuzione delle concessioni del demanio pubblico marittimo, sono:
· il codice della navigazione che, all’art. 37, comma 2, stabilisce che per il rilascio di nuove concessioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative, sia data preferenza alle richieste che comportano attrezzature non fisse, amovibili, nonché, in caso di rinnovo, sia data preferenza, rispetto alle nuove, alle concessioni già rilasciate precedentemente;
· la legge regionale Friuli Venezia Giulia 13 novembre 2006, n. 22, che all’art. 9, comma 4, stabilisce che:
“Per la determinazione della più proficua utilizzazione della concessione, si provvede alla comparazione delle istanze concorrenti mediante il criterio dell'offerta più vantaggiosa, sulla base di almeno sei dei seguenti criteri, scelti preventivamente e resi noti contestualmente alla pubblicazione dell'avviso di selezione:
- a) valutazione degli standard qualitativi dei servizi;
- b) piano degli investimenti del concessionario;
- c) capacità di interazione con il sistema turistico-ricettivo;
- d) durata della concessione;
- e) qualità di impianti e manufatti da valutarsi anche con riferimento al pregio architettonico;
- f) fruibilità e accessibilità per i soggetti diversamente abili;
- g) trovarsi nella situazione di priorità indicata all'articolo 37, comma secondo, secondo periodo, del codice della navigazione;
- h) altri eventuali da indicarsi in sede di selezione del concessionario”.
Il Piano di utilizzazione (Decreto Presidente Regione n. 320 del 9 ottobre 2007) in relazione al concorso di domande e alla procedura di comparazione, stabilisce che i criteri di cui all’art. 9 della L.reg. 22 del 2006 devono essere posseduti almeno nel numero di sei; che per le concessioni destinate a enti o associazioni senza finalità di lucro il criterio di cui alla lettera g) è obbligatorio ed è considerato in misura non inferiore al 30%; che per le concessioni con finalità turistico-ricreative già oggetto di concessione, il criterio è obbligatorio ed è considerato in misura non inferiore al 10%.
La Commissione giudica tali norme discriminatorie sia per le imprese a scopo di lucro sia per gli enti che non operano a scopo di lucro, provenienti da altri Stati membri, che si trovano nella condizione di essere ostacolati dall’associazione concessionaria uscente cui viene accordata la preferenza.
A conclusione dell’esame della normativa italiana, la Commissione ha invitato il governo italiano a farle pervenire le proprie osservazioni entro due mesi dalla data di ricevimento della lettera di messa in mora.
Con una nota del 7 aprile 2009 il governo italiano si è impegnato a modificare le disposizioni contestate dalla Commissione al fine di renderle conformi alla normativa UE. Successivamente, il 21 gennaio 2010, il governo ha notificato alla Commissione il testo del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, volto a modificare le disposizioni del Codice della navigazione oggetto dei rilievi della Commissione; il 5 marzo 2010 ha fatto seguito la notifica alla Commissione della legge 26 febbraio 2010, n. 25, di conversione del suddetto decreto-legge.
Dopo aver effettuato un esame delle disposizioni notificate dall’Italia, la Commissione ha notato alcune discrepanze tra il testo del decreto-legge n. 194/2009 e quello della rispettiva legge di conversione la quale, in particolare, all’articolo 1, comma 18, reca un rinvio - che non era previsto nel decreto legge n. 194/2009 - all’articolo 1, comma 2, del decreto legge 5 ottobre, 1993, n. 400.
Il citato articolo 1, comma 18, della legge n. 25/2010, infatti, stabilisce che “ferma restando la disciplina relativa all’attribuzione di beni a regioni ed enti locali, nonché in funzione del superamento del diritto di insistenza di cui all’articolo 37, comma 2, secondo periodo del codice della navigazione, il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 è prorogato fino a tale data, fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 3, comma 4-bis, del decreto legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito con modificazioni dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494”.
L’articolo 3, comma 4-bis, del decreto-legge n. 400/93, convertito con modificazioni dalla legge n. 494/93, recita “ferme restando le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 2, le concessioni di cui al presente articolo possono avere durata superiore a sei anni e comunque non superiore a venti anni in ragione dell'entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare e sulla base dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo predisposti dalle regioni”.
Infine, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del decreto-legge n. 400/93 “Le concessioni di cui al comma 1, indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività, hanno durata di sei anni. Alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni, e così successivamente ad ogni scadenza, fatto salvo il secondo comma, dell’articolo 42, del codice della navigazione. Le disposizioni del presente comma non si applicano alle concessioni rilasciate nell’ambito delle rispettive circoscrizioni territoriali dalle autorità portuali di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84”.
La Commissione ritiene che i rinvii alle norme precedentemente richiamate che stabiliscono il rinnovo automatico, di sei anni in sei anni, per le concessioni che giungono a scadenza, privino di effetto il decreto-legge n. 194/2009 che, eliminando la preferenza in favore del concessionario uscente nell’ambito della procedura di attribuzione delle concessioni, era inteso ad adeguare la normativa italiana a quella dell’UE.
La Commissione conclude che le disposizioni italiane sono palesemente contrarie alla normativa dell’UE, e in particolare per quanto riguarda:
· l’articolo 12 della direttiva 2006/123/CE sui servizi nel mercato interno (cosiddetta direttiva servizi) che prevede una procedura di selezione imparziale e trasparente, con un’adeguata pubblicità sul suo avvio, svolgimento e completamento, nel caso in cui il numero delle autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitatoa causa della scarsezza delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili. Il paragrafo 2 dell’articolo 12, inoltre, vieta il rinnovo automatico delle autorizzazioni nonché eventuali altri vantaggi al prestatore uscente. La Commissione ritiene che le concessioni di beni pubblici marittimi oggetto della procedura di infrazione costituiscano autorizzazioni il cui numero è limitato ai sensi dell’articolo 12 in esame; pertanto l’articolo 1, comma 2, del decreto-legge n. 400/93, viola il citato articolo 12 laddove favorisce l’attribuzione di concessioni marittime a concessionari già titolari di una concessione e quindi già stabiliti in Italia, attribuendo un privilegio ai prestatori uscenti per i quali viene rinnovata la concessione senza applicare una procedura imparziale o trasparente. Le norme italiane, di conseguenza, dissuadono o addirittura impediscono ad altre imprese di candidarsi e offrire servizi più efficienti per le nuove concessioni;
· l’articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro. In particolare, le persone giuridiche devono poter esercitare tale libertà senza essere soggette all’applicazione di norme nazionali che non rispettano il principio della parità di trattamento. A tale riguardo la Commissione si richiama alla giurisprudenza della Corte di giustizia[73] la quale stabilisce che, conformemente al principio della parità di trattamento, sono vietate non soltanto le discriminazioni palesi in base alla cittadinanza, o alla sede per quanto riguarda le società, ma anche qualsiasi discriminazione dissimulata che, pur fondandosi su altri criteri di distinzione, produca lo stesso effetto. La Corte di giustizia ha inoltre sottolineato l’incompatibilità delle norme nazionali che rendono più difficile l’accesso al mercato di operatori provenienti dagli altri Stati membri[74]. A tale proposito la Commissione ritiene che il rinnovo automatico delle concessioni marittime a favore dell’operatore uscente previsto dalla normativa italiana sia contrario al principio della libertà di stabilimento di cui all’articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e che a tale fattispecie non si possano applicare le deroghe previste dagli articoli 51 e 52 del medesimo Trattato (attività che partecipano all’esercizio di pubblici poteri, motivi di ordine pubblico, sicurezza pubblica e sanità pubblica).
La Commissione osserva, infine, che il combinato disposto dell’articolo 1, comma 18, della legge n. 25/2010, e dell’articolo 1, comma 2, del decreto-legge n. 400/93, oltre a rimettere in discussione gli effetti derivanti dall’abrogazione dell’articolo 37, comma 2, secondo periodo, del Codice della navigazione al fine di aprire il mercato delle concessioni senza discriminazioni e senza differenziazioni a seconda della loro durata, crea un quadro giuridico ambiguo per gli operatori economici in quanto il rinnovo automatico sembra essere previsto solo per le concessioni della durata di sei anni e che altri tipi di concessioni siano sottoposte ad un regime giuridico diverso. A tale proposito la Commissione sottolinea che, conformemente al principio della certezza del diritto, uno dei princìpi generali del diritto comunitario, le norme giuridiche devono essere chiare, precise e prevedibili nei loro effetti.
Alla luce delle suddette considerazioni la Commissione ha deciso, il 5 maggio 2010, di inviare all’Italia una lettera di messa in mora complementare con la quale chiede di trasmetterle, entro due mesi, le proprie osservazioni sui nuovi rilievi formulati. Dopo aver preso conoscenza di tali osservazioni, oppure in caso di mancata trasmissione delle stesse entro il termine fissato, la Commissione si riserva di emettere un parere motivato.
1. Nella predisposizione del decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2010/23/UE del Consiglio, del 16 marzo 2010, recante modifica della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto per quanto concerne l’applicazione facoltativa e temporanea del meccanismo dell’inversione contabile alla prestazione di determinati servizi a rischio di frodi, il Governo è tenuto, oltre che al rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali di cui all’articolo 2, in quanto compatibili, anche a determinare un periodo di validità delle disposizioni di attuazione della direttiva non inferiore a trenta mesi e che comunque non vada oltre il 30 giugno 2015.
2. In ragione della finalità della direttiva 2010/23/UE di evitare frodi in materia di imposta sul valore aggiunto e in ragione della similarità ai fini dell’imposta sul valore aggiunto delle transazioni aventi ad oggetto le quote di emissioni di gas a effetto serra definite all’articolo 3 della direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 2003, e le altre unità che possono essere utilizzate per conformarsi alla stessa direttiva, disciplinate dalla direttiva 2010/23/UE, con le transazioni aventi ad oggetto i diritti di cui all’articolo 11, comma 3, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, rilasciati nell’ambito dell’applicazione delle direttive di cui al comma 5 dell’articolo 11 del medesimo decreto legislativo e i titoli di efficienza energetica di cui all’articolo 10 del decreto del Ministro delle attività produttive 20 luglio 2004, recante «Nuova individuazione degli obiettivi quantitativi per l’incremento dell’efficienza energetica negli usi finali di energia, ai sensi dell’articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79» e di cui all’articolo 10 del decreto del Ministro delle attività produttive del 20 luglio 2004, recante «Nuova individuazione degli obiettivi quantitativi nazionali di risparmio energetico e sviluppo delle fonti rinnovabili, di cui all’articolo 16, comma 4, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164», pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n. 205 del 1º settembre 2004, il Governo è delegato ad adottare, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, misure volte ad evitare frodi fiscali in materia di imposta sul valore aggiunto, nel rispetto dei prìncipi e dei criteri previsti dalla direttiva 2010/23/UE per i diritti di cui all’articolo 11, comma 3, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, rilasciati nell’ambito dell’applicazione delle direttive di cui al comma 5 dell’articolo 11 del medesimo decreto legislativo e per i titoli di efficienza energetica di cui all’articolo 10 del citato decreto del Ministro delle attività produttive 20 luglio 2004, adottato ai sensi dell’articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, e di cui all’articolo 10 del citato decreto del Ministro delle attività produttive 20 luglio 2004, adottato ai sensi dell’articolo 16, comma 4, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164.
3. L’efficacia delle disposizioni di cui al comma 2 è subordinata alla preventiva autorizzazione da parte del Consiglio dell’Unione europea, ai sensi dell’articolo 395 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006.
L'articolo 15, inserito durante l'esame del provvedimento al Senato, reca specifici principi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva 2010/23/UE del Consiglio, del 16 marzo 2010, recante modifica della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto per quanto concerne l’applicazione facoltativa e temporanea del meccanismo dell’inversione contabile (cd. reverse charge) alla prestazione di determinati servizi a rischio di frodi.
La direttiva 2010/23/UE concede agli Stati membri la facoltà, per un periodo di tempo limitato, di prevedere l’applicazione del meccanismo di inversione contabile (reverse charge) ai trasferimenti di quote di emissione di gas ad effetto serra (come definiti dall'articolo 3 della direttiva 2003/87/CE del 13 ottobre 2003) e ai trasferimenti di altre unità che possono essere utilizzate dai gestori per conformarsi a tale direttiva. Per approfondimenti, si veda la sintesi della direttiva medesima.
Il reverse charge è un meccanismo di inversione contabile, ai sensi del quale l’obbligo di versamento dell’imposta è trasferito all’acquirente, se soggetto passivo IVA, in luogo del cedente o prestatore. A norma della direttiva 2006/112/CE del Consiglio[75], i soggetti passivi che effettuano operazioni comportanti cessioni di beni o prestazioni di servizi imponibili sono tenuti a versare l’imposta sul valore aggiunto; tuttavia, nel caso delle operazioni transfrontaliere e di alcuni settori nazionali ad alto rischio, come quello della costruzione o dei rifiuti, è previsto che l’obbligo di versare l’IVA spetti al destinatario della cessione di beni o della prestazione di servizi.
Il comma 1 della norma in esame prescrive che il Governo, nel recepimento della direttiva 2010/23/UE, preveda per le relative disposizioni di attuazione un periodo di validità non inferiore a trenta mesi che, comunque, non oltrepassi il 30 giugno 2015.
La direttiva 2010/23/UE ha previsto per il meccanismo del reverse charge una durata minima biennale e, comunque, fino al 30 giugno 2015, con specifici obblighi di comunicazione posti in capo allo Stato membro che esercita tale facoltà.
Il comma 2 contiene la delega al Governo ad estendere il meccanismo del reverse charge previsto dalla direttiva 2010/23/UE anche ad altri servizi, similari ai trasferimenti delle quote di emissione di gas ad effetto serra.
In particolare il Governo viene delegato ad adottare - previo parere delle Commissioni parlamentari competenti - misure dirette ad evitare frodi IVA, nel rispetto dei principi e dei criteri previsti dalla citata direttiva 2010/23/UE, anche per i trasferimenti delle seguenti unità:
§ i diritti di cui all’articolo 11, comma 3, del decreto legislativo n. 79 del 1999[76], rilasciati nell’ambito dell’applicazione delle relative direttive ministeriali (c.d. certificati verdi);
§ i titoli di efficienza energetica di cui all’articolo 10 del D.M. 20 luglio 2004 «Nuova individuazione degli obiettivi quantitativi per l'incremento dell'efficienza energetica negli usi finali di energia[77]» e di cui all’articolo 10 del D.M. 20 luglio 2004 «Nuova individuazione degli obiettivi quantitativi nazionali di risparmio energetico e sviluppo delle fonti rinnovabili[78]» (c.d. certificati bianchi).
Si ricorda che i “certificati verdi” possono essere utilizzati per assolvere all’obbligo, posto a carico dei produttori ed importatori di energia elettrica prodotta da fonti non rinnovabili, di immettere nella rete elettrica una quota minima di elettricità prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili.
L’elettricità prodotta da fonti rinnovabili viene immessa in rete, godendo della precedenza nel dispacciamento. In aggiunta, vengono rilasciati al produttore, su richiesta e previo riconoscimento all’impianto della qualifica di impianto alimentato da fonti rinnovabili, i certificati verdi, titoli comprovanti la produzione di elettricità da fonti rinnovabili, che costituiscono lo strumento con il quale i soggetti sottoposti all’obbligo della quota minima devono dimostrare di avervi adempiuto.
I certificati verdi sono commerciabili in un mercato parallelo svincolato da quello dell’elettricità, attraverso la piattaforma di negoziazione organizzata presso la società Gestore del mercato, oppure mediante contratti bilaterali.
Per quanto concerne i “titoli di efficienza energetica” o “certificati bianchi” si tratta di un meccanismo basato sull'imposizione ai distributori di energia elettrica e di gas naturale di maggiori dimensioni di obblighi annuali di risparmio energetico da realizzare attraverso progetti attuati presso i clienti finali, propri o altrui.
Tale meccanismo prevede in particolare la creazione di un mercato dei titoli di efficienza energetica, attestanti gli interventi realizzati, per certi versi simile a quello dei certificati verdi, a favore dei soggetti che hanno conseguito i risparmi energetici prefissati. L'emissione dei titoli da parte del Gestore dei mercati energetici (GME) viene effettuata sulla base di una comunicazione dell'Autorità per l’energia elettrica e il gas che certifica i risparmi conseguiti. La compravendita di questi titoli avviene tramite contratti bilaterali o in un mercato apposito istituito dal GME e regolato da disposizioni stabilite dal GME stesso d'intesa con l'Autorità.
Gli obiettivi di incremento di efficienza energetica possono essere conseguiti dai distributori oltre che attraverso la realizzazione di progetti di efficienza energetica - con conseguente emissione dei titoli - anche con l’acquisto dei certificati da altri soggetti. L’acquisto e lo scambio di titoli è consentito all’interno del mercato dei titoli di efficienza energetica organizzato e gestito dal GME.
L'estensione del meccanismo del reverse charge previsto dalla direttiva 2010/23/UE ad altri servizi viene spiegato sia con la finalità della stessa direttiva, mirata ad evitare frodi in materia di IVA, sia in ragione della similarità - sempre ai fini IVA - tra le transazioni aventi ad oggetto le quote di emissioni di gas a effetto serra[79] e le transazioni aventi ad oggetto i "certificati verdi" ed i "certificati bianchi".
Il comma 3 subordina l’efficacia delle disposizioni recate dal comma precedente alla preventiva autorizzazione da parte del Consiglio dell’Unione europea, ai sensi dell’articolo 395 della direttiva 2006/112/CE.
L'articolo 395 della direttiva 2006/112/CE dispone che il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione, può autorizzare ogni Stato membro a introdurre speciali misure di deroga a quanto previsto dalla direttiva medesima, con la finalità di semplificare la riscossione dell'IVA o di evitare talune evasioni o elusioni fiscali.
Le misure aventi lo scopo di semplificare la riscossione dell'imposta non devono influire, se non in misura trascurabile, sull'importo complessivo delle entrate fiscali dello Stato membro riscosso allo stadio del consumo finale.
Lo Stato membro che desidera introdurre le misure in deroga deve inviare una domanda alla Commissione fornendole tutti i dati necessari. Non appena la Commissione dispone di tutti i dati che ritiene necessari per la valutazione, ne informa lo Stato membro richiedente e trasmette la domanda agli altri Stati membri. Entro i tre mesi successivi la Commissione presenta al Consiglio una proposta appropriata o, qualora la domanda di deroga susciti obiezioni, una comunicazione nella quale espone tali obiezioni.
La procedura deve comunque essere completata entro otto mesi dal ricevimento della domanda da parte della Commissione.
1. Il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi per dare attuazione alla direttiva 2009/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, che semplifica le modalità e le condizioni dei trasferimenti all’interno delle Comunità di prodotti per la difesa, entro la scadenza del termine di recepimento fissato dalla stessa direttiva e nel rispetto dei princìpi contenuti nella medesima nonché nelle posizioni comuni 2003/468/PESC del Consiglio e 2008/944/PESC del Consiglio, rispettivamente del 23 giugno 2003 e dell’8 dicembre 2008.
2. La delega di cui al comma 1 deve essere esercitata in conformità ai princìpi di cui alla legge 9 luglio 1990, n. 185.
3. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati, su proposta del Ministro per le politiche europee, di concerto con i Ministri per la semplificazione normativa, degli affari esteri, della difesa, della giustizia, dell’interno e dell’economia e delle finanze, sentito il Ministro dello sviluppo economico, con le modalità e le procedure di cui all’articolo 1 con particolare riferimento, in ragione della materia trattata, al parere delle competenti Commissioni parlamentari e nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali di cui agli articoli 2 e 3, prevedendo, ove necessario, semplificazioni di natura organizzativa e amministrativa, nonché ulteriori fattispecie sanzionatorie di natura amministrativa nel rispetto dei princìpi di cui alla legge 9 luglio 1990, n. 185.
4. Con uno o più regolamenti si provvede ai fini dell’esecuzione ed attuazione dei decreti legislativi di cui al presente articolo, con le modalità e le scadenze temporali ivi previste.
5. Gli oneri relativi alle autorizzazioni per le forniture, alle certificazioni e ai controlli da eseguire da parte di uffici pubblici, ai fini dell’attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo, sono posti a carico dei soggetti interessati, secondo tariffe determinate sulla base del costo effettivo del servizio, ove ciò non risulti in contrasto con la disciplina comunitaria. Le tariffe di cui al presente comma sono determinate con decreto del Ministro degli affari esteri, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Gli introiti derivanti dal pagamento delle tariffe determinate ai sensi del presente comma sono versati all’entrata del bilancio dello Stato per essere successivamente riassegnati, nei limiti previsti dalla legislazione vigente, alle amministrazioni che rilasciano le citate autorizzazioni ed effettuano i controlli previsti dal presente articolo.
6. I tempi di rilascio dei pareri tecnici e delle autorizzazioni connessi alle attività di certificazione di cui alla direttiva 2009/43/CE sono disciplinati secondo i princìpi di semplificazione e trasparenza di cui alla legge 9 luglio 1990, n. 185, non potendo, comunque, superare la durata massima di trenta giorni.
L'articolo 16, inserito nel corso dell’esame del provvedimento presso la 14a Commissione del Senato, ove si è accolto un emendamento presentato del Governo e dallo stesso riformulato, contiene disposizioni in materia di trasferimenti all’interno delle Comunità di prodotti per la difesa.
In relazione alla materia in esame si segnala che il 25 ottobre 2010 il Governo ha presentato al Senato l’A.S. 2404 (non ancora iniziato l’esame) recante la delega al Governo per l'attuazione della direttiva 2009/43/CE in materia di semplificazione delle modalità e delle condizioni dei trasferimenti all'interno delle Comunità di prodotti per la difesa, delega al Governo per la riforma delle disposizioni su autorizzazione alle operazioni di esportazione, importazione, transito, trasferimento, trasbordo, ed intermediazione dei prodotti per la difesa e per il riordino dei procedimenti nella materia di cui alla legge 9 luglio 1990, n. 185, e successive modificazioni; ratifica ed esecuzione dell'emendamento all'articolo 16 dell'Accordo quadro ratificato e reso esecutivo dalla legge 17 giugno 2003, n. 148.
Nello specifico, in virtù del comma 1 il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi per dare attuazione alla direttiva 2009/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, che disciplina le modalità e le condizioni dei trasferimenti all’interno delle Comunità di prodotti per la difesa. Essa mira a semplificare «le modalità e le condizioni dei trasferimenti all’interno delle Comunità dei prodotti per la difesa» in una nuova logica di certificazione e responsabilizzazione delle imprese.
L’attuale disciplina regolante i trasferimenti di materiali d’armamento trova riferimento esclusivamente in disposizioni nazionali, in particolare la legge 9 luglio 1990, n. 185, che individua in via generale e preventiva alcune fattispecie di divieto ad esportare ed importare i materiali in questione ed i requisiti indispensabili per poter operare nel settore e fissa dettagliatamente le modalità e le varie fasi dei procedimenti autorizzativi, nonché le misure sanzionatorie in caso di violazione delle norme. Essa vieta l’autorizzazione ad effettuare le movimentazioni di prodotti per la difesa quando queste contrastino con il principio della Costituzione italiana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, con gli impegni internazionali dell’Italia, con gli accordi concernenti la non proliferazione e con i fondamentali interessi della sicurezza dello Stato, della lotta contro il terrorismo e del mantenimento di buone relazioni con altri Paesi, nonché quando mancano adeguate garanzie sulla definitiva destinazione dei prodotti per la difesa ovvero sussistono elementi per ritenere che il destinatario previsto utilizzi gli stessi prodotti a fini di aggressione contro un altro Paese. Ne discende, tra l'altro, il divieto di autorizzazione delle operazioni in questione: quando il Paese destinatario è in stato di conflitto armato, in contrasto con l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite; nel caso sia stato dichiarato l’embargo totale o parziale delle forniture di armi da parte di organizzazioni internazionali cui l’Italia aderisce; quando il governo di quel Paese sia responsabile di gravi violazioni dei diritti umani accertate da organizzazioni internazionali cui l’Italia aderisce; quando vi si destinino a bilancio militare risorse eccedenti le proprie esigenze di difesa. L’effettuazione delle operazioni relative ai prodotti per la difesa, poi, è consentita solo alle imprese iscritte nel registro delle imprese del settore della difesa. Tali operazioni possono avere come destinatari solo Governi esteri, organizzazioni internazionali riconosciute dal Governo italiano ovvero imprese estere autorizzate dai rispettivi Governi. Benché si trattasse di una legge sostanzialmente in linea con i criteri valutativi stabiliti dal codice di condotta europeo - anche, se ovviamente, non poteva conoscere i futuri sviluppi sulle prescrizioni europee in materia di evidenza pubblica[80] - secondo il Governo si tratta di una legge che risente delle mutate condizioni geopolitiche e del "forte aumento dell’interscambio di sottosistemi e componenti militari e dei programmi di collaborazione intergovernativa per lo sviluppo e la produzione di equipaggiamenti per la difesa", per cui le stesse modifiche "hanno toccato la norma solo in alcuni limitati aspetti, rimanendo quest’ultima sostanzialmente inadeguata al nuovo assetto comunitario"[81]. Il processo di europeizzazione, particolarmente avanzato nel settore dei "beni duali", risulta, per i materiali per la difesa, tuttora fortemente condizionato dall’art. 346 del Trattato di funzionamento dell'Unione europea, che esclude esplicitamente questi materiali dal mercato interno. Eppure, nell'ambito dell’Unione Europea, i paesi membri conducono discussioni ed approfondimenti su aspetti di collaborazione nel settore, nel quadro dei comuni impegni discendenti da intese internazionali in materia, che si sono tradotti principalmente nell'adozione di specifici impegni politici riferiti in particolare:
· al rispetto di un comune Codice di condotta nei trasferimenti di tali tipologie di materiali, attualmente sostituito ed integrato dalla Posizione comune 2008/944/PESC dell'8 dicembre 2008, in cui si definiscono le norme «per il controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari»;
· all'adozione, nel luglio del 2002, di un’azione comune sul contributo dell’Unione Europea alla lotta contro l’accumulazione e la diffusione destabilizzanti di armi portatili e di armi leggere;
· all'adozione, il 23 giugno 2003 da parte del Consiglio, di una posizione comune 2003/468/PESC sul controllo dell’intermediazione delle armi.
A tali iniziative, va aggiunta la sottoscrizione nel luglio 2000 di un accordo quadro tra i sei principali paesi produttori di armamenti dell’Unione Europea, relativo alle misure per facilitare la ristrutturazione e le attività dell’industria europea per la difesa, che comporta dirette ricadute sui sistemi autorizzativi esportativi nazionali dei paesi partecipanti all’accordo. Tale Accordo quadro - relativo alle misure per facilitare la ristrutturazione e le attività dell’industria europea per la difesa, noto come Accordo quadro/LOI - fu ratificato dalla legge 17 giugno 2003, n. 148, che apportò modifiche anche alla citata legge 9 luglio 1990, n. 185. I sei Paesi europei che hanno sottoscritto nel 2000 l’Accordo quadro/LOI, poi, hanno approvato a Bruxelles il 13 marzo 2008 un emendamento all’articolo 16 del medesimo Accordo quadro, volto ad introdurre una «licenza per l’interscambio di componenti» che consente di semplificare il controllo limitatamente a tali prodotti, migliorando l’efficienza delle imprese del settore e garantendo, nel contempo, ai Governi la supervisione sulle eventuali esportazioni verso Paesi terzi (alla sua ratifica ed al relativo ordine di esecuzione era volto l'articolo 8 del citato disegno di legge Atto Senato n. 2404).
Sempre al comma 1 si prescrive che l'esercizio della delega per il recepimento della direttiva - in scadenza il 30 giugno 2011 - avvenga nel rispetto dei princìpi contenuti nella medesima direttiva, nonché delle citate posizioni comuni 2003/468/PESC del Consiglio e 2008/944/PESC del Consiglio.
Il comma 2 aggiunge che tale delega deve essere esercitata in conformità ai principi di cui alla legge 9 luglio 1990, n. 185. Tale complesso normativo da un lato tende a dare efficacia vincolante alle posizioni comuni[82], dall'altro a salvaguardare il meccanismo di controllo[83] frutto di una spinta d'opinione pubblica nazionale consacrata nella legge del 1990.
In riferimento alla posizione comune 2003/468/PESC, che all'articolo 4 facoltizzava gli Stati membri a richiedere un'autorizzazione scritta preventiva e ad istituire un apposito registro, il testo approvato non prende posizione. In proposito, va ricordato che - pur essendo disciplinato nella direttiva 2009/43/CE sia il "trasferimento" di prodotti per la difesa che l' "attraversamento" tra gli Stati membri - il disegno di legge governativo Atto Senato n. 2404 introduceva[84] un limite alle operazioni di intermediazione, optando per non consentire l’intermediazione alle persone fisiche e concedendo di operare in regime di intermediazione solo alle imprese iscritte al registro delle imprese del settore difesa che hanno stabilito sul territorio italiano la loro sede legale ovvero hanno l’oggetto principale dell’impresa. La stessa definizione di intermediazione era appositamente statuita, come "la negoziazione o l’organizzazione di transazioni, compreso il finanziamento, dirette all’acquisto, alla vendita o alla fornitura di prodotti per la difesa da un Paese terzo a qualunque altro Paese terzo ovvero la vendita o l’acquisto di prodotti per la difesa ubicati in Paesi terzi"; vi si estendeva inoltre il controllo anche a quegli aspetti dell’intermediazione finanziaria effettuata per la produzione e l’esportazione dei prodotti per la difesa[85].
Il comma 3, invero, laddove dispone che i decreti legislativi sono adottati, su proposta del Ministro per le politiche europee, di concerto con i Ministri per la semplificazione normativa, degli affari esteri, della difesa, della giustizia, dell’interno e dell’economia e delle finanze (sentito il Ministro dello sviluppo economico e con particolare riferimento al parere delle competenti Commissioni parlamentari), contempla "ove necessario, semplificazioni di natura organizzativa e amministrativa, nonché ulteriori fattispecie sanzionatorie di natura amministrativa nel rispetto dei principi di cui alla legge 9 luglio 1990, n. 185".
Si deve quindi ritenere:
a) che, sebbene l'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 escluda dalla segnalazione certificata di inizio attività gli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale (e l'articolo 20 dal silenzio assenso i procedimenti riguardanti la difesa nazionale), la delega debba ispirarsi ad una semplificazione procedimentale anche rispetto alla legge del 1990[86], ferma restando la natura preventiva dell'autorizzazione (prescritta dall'articolo 4 della direttiva);
b) restano dunque esclusi aggravamenti delle fattispecie penali previste nel capo VI nella legge del 1990 (a differenza di quanto previsto nel testo originario dell'emendamento 11.0.9 del Governo).
Dopo che il comma 4 ha previsto il potere regolamentare di esecuzione ed attuazione dei decreti legislativi, il comma 5 esclude oneri a carico del bilancio delle pubbliche amministrazioni per quanto discenda dal procedimento autorizzatorio[87] e dai controlli da eseguire da parte di uffici pubblici: essi sono posti a carico dei soggetti interessati ed i proventi tariffari vengono riassegnati alle amministrazioni competenti.
L'intento semplificatorio affacciato al comma 3 riemerge al comma 6, ove ci si sofferma sui termini per gli adempimenti istruttori (pareri tecnici e autorizzazioni) connessi alle attività di certificazione di cui all'articolo 9 della direttiva 2009/43/CE (riguardante i destinatari dei prodotti per la difesa che godono di licenze di trasferimento pubblicate da altri Stati membri): da un lato li si riconduce ai "princìpi di semplificazione e trasparenza di cui alla legge 9 luglio 1990, n. 185", dall'altro lato si esclude che tali tempi possano superare la durata massima di trenta giorni.
Art. 17
(Gestione della qualità delle acque di
balneazione)
1. L’articolo 13 del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 116, recante attuazione della direttiva 2006/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 febbraio 2006, relativa alla gestione della qualità delle acque di balneazione, è sostituito dal seguente:
«Art. 13. - (Cooperazione per le acque transfrontaliere e interregionali) – 1. Se il bacino idrografico comporta un impatto transfrontaliero sulla qualità delle acque di balneazione, lo Stato italiano collabora con gli altri Stati dell’Unione europea interessati nel modo più opportuno per attuare il presente decreto, anche tramite scambio di informazioni e un’azione comune per limitare tale impatto.
2. Se il bacino idrografico comporta un impatto sulla qualità delle acque di balneazione che coinvolge più regioni e province autonome, gli enti interessati collaborano ai sensi del comma 1».
L’articolo in esame, aggiunto nel corso dell’iter al Senato, integral’articolo 13 del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 116, sullagestione delle acque di balneazione, prevedendo, oltre alla collaborazione tra enti territoriali nel caso di acque interregionali (già prevista dall’art. 10 sostituito dall’articolo in esame), anche la cooperazione con gli altri Stati dell’Unione europea, qualora il bacino idrografico comporti un impatto transfrontaliero sulla qualità delle acque di balneazione.
Tale sostituzione permette, pertanto, l’integrale recepimento dell’articolo 10 della direttiva 2006/7/CE che prevede, nel caso il bacino idrografico abbia un impatto transfrontaliero sulla qualità delle acque di balneazione, la collaborazione tra Stati, attuata anche tramite scambio di informazioni ed un’azione comune per limitare l’impatto stesso. L’art. 13 del decreto legislativo n. 116 del 2008 aveva, invece, recepito le disposizioni della direttiva citata limitando la cooperazione ai soli casi di impatto sulla qualità delle acque interregionali. Tale disposizione permane all’interno del comma 2 dell’articolo 13, come novellato dall’articolo in esame.
Si ricorda che con il d.lgs. 116/2008 è stata recepita la direttiva 2006/7/CE, al fine di semplificare le procedure relative ai parametri di analisi delle acque di balneazione, in considerazione degli sviluppi scientifici e di migliorare i processi partecipativi delle parti interessate, nonché l'informazione fornita al pubblico.
1. Al fine di adeguare la normativa nazionale alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 29 ottobre 2009, resa nella causa C-249/08, all’articolo 27 della legge 14 luglio 1965, n. 963, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche:
a) al comma 1, alinea, dopo le parole: «dell’articolo 15, lettere a) e b),» sono inserite le seguenti: «e dell’articolo 26, comma 8,»;
b) al comma 1, lettera b), dopo le parole: «apparecchi di pesca usati» sono inserite le seguenti: «ovvero detenuti».
L'articolo 18, inserito nel corso dell’esame in Senato, è volto ad adeguare la normativa nazionale alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 29 ottobre 2009, resa nella causa C-249/08, avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art.226 CE, proposto il 5 giugno 2008, dalla Commissione europea contro la Repubblica italiana.
In tale sentenza la Corte di Giustizia ha stabilito che la Repubblica italiana, è venuta meno ad una serie di obblighi di cui all’articolo 1, n.1, del regolamento (CEE) del Consiglio 23 luglio 1987, n.2241, che istituisce alcune misure di controllo delle attività di pesca, e degli articoli 2, n.1, e 31, nn.1 e 2, del regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1993, n.2847, che istituisce un regime di controllo applicabile nell’ambito della politica comune della pesca.
Secondo la sentenza infatti, l’Italia non avrebbe provveduto a controllare, ispezionare e sorvegliare in modo adeguato, sul proprio territorio e nelle acque marittime soggette alla propria sovranità o giurisdizione, l’esercizio della pesca (segnatamente per quanto riguarda il rispetto delle disposizioni che disciplinano la detenzione a bordo e l’impiego delle reti da posta derivanti), e non avrebbe provveduto in misura sufficiente a che fossero adottati adeguati provvedimenti nei confronti dei responsabili delle infrazioni alla normativa comunitaria in materia di detenzione a bordo e di utilizzo di reti da posta derivanti, in particolare con l’applicazione di sanzioni dissuasive contro i soggetti di cui sopra.
L’articolo 1 del regolamento n. 2847/93 prevede che Stati membri adottino provvedimenti atti a garantire l’efficacia del regime comunitario di conservazione e di gestione delle risorse in materia di pesca. Il rispetto degli obblighi che incombono agli Stati membri in forza delle norme comunitarie è da ritenersi imperativo per garantire la protezione dei fondali, la conservazione delle risorse biologiche marine ed il loro sfruttamento sostenibile in condizioni economiche e sociali appropriate. Gli Stati membri sono tenuti, segnatamente, a garantire il rispetto della normativa comunitaria che vieta la detenzione a bordo di reti da posta derivanti di lunghezza individuale o addizionata superiore a 2,5 km ovvero l’impiego delle medesime nell’esercizio delle attività di pesca nonché, a decorrere dal 1°gennaio 2002, la detenzione a bordo o l’utilizzazione di reti di tal genere, a prescindere dalla loro lunghezza, ai fini della cattura di talune specie. A tal fine, l’art. 2 del regolamento n.2847/93, che ricalca gli obblighi dettati dall’art. 1, n. 1, del regolamento n.2241/87, impone agli Stati membri di controllare l’esercizio della pesca e le attività ad essa connesse. Esso impone che gli Stati membri ispezionino i pescherecci e controllino tutte le attività nel settore della pesca e, in particolare, l’esercizio della pesca. A tale scopo, gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per garantire il miglior controllo possibile sul loro territorio e nelle acque marittime soggette alla loro sovranità o alla loro giurisdizione.
A sostegno del ricorso la Commissione europea ha prodotto 33 relazioni di ispezioni, nel periodo compreso tra il 1993 e il 2005, in vari porti di pesca italiani al fine di verificare il rispetto della normativa comunitaria relativa alla pesca mediante reti da posta derivanti. Dalle ispezioni è emerso che la detenzione a bordo e l’impiego, da parte dei pescatori italiani, di reti da posta derivanti di cui è vietato l’uso erano frequenti, abituali e ampiamente diffusi durante tutto il periodo oggetto del procedimento. Dalle ispezioni è risultato altresì che le autorità incaricate della vigilanza di controllo delle attività di pesca non avevano posto in essere un’azione sufficientemente efficace per reprimere le violazioni alla normativa comunitaria e per evitare la loro reiterazione. Dalle ispezioni è emerso, in particolare, che il Corpo delle Capitanerie di Porto non disponeva delle risorse umane e materiali sufficienti per effettuare operazioni in alto mare, che operazioni di tal genere potevano essere effettuate unicamente dalla Guardia di Finanza e che il Corpo delle Capitanerie di Porto non disponeva di sistemi di localizzazione via satellite dei pescherecci. Si tratta di dati di fatto inopposti dalla Repubblica italiana, per cui la Corte ha statuito che la sorveglianza e il controllo delle attività di pesca non erano efficacemente garantiti dalle autorità italiane e che era fondato l’addebito relativo all’inefficienza delle autorità italiane nell’esercizio e nella pianificazione dei loro compiti di sorveglianza e di controllo.
In caso di violazione della normativa comunitaria in materia - specie quella delle restrizioni all’impiego delle reti da posta derivanti - le autorità competenti di uno Stato membro sono tenute ad intentare un’azione penale o amministrativa contro i responsabili, in conformità dell’art.1, n.2, del regolamento n.2241/87. Analogo obbligo incombe agli Stati membri dal 1°gennaio 1994, ai sensi dell’art.31, n.1, del regolamento n.2847/93. La Corte ha riconosciuto che la legge 6 giugno 2008, n.101, emanata successivamente alla scadenza del termine fissato nel parere motivato della Commissione, prevedeva sanzioni in caso di detenzione a bordo di reti di tal genere. Tuttavia, tale legge era priva di effetti sulla valutazione della sussistenza dell’inadempimento contestato, essendo pacifico che, prima di essa, la legge 14 luglio 1965, n.963, non puniva la semplice detenzione a bordo di dette reti; anzi, al momento della scadenza del termine fissato nel parere motivato, i regi decreti 8 ottobre 1931, n.1604, e 4 aprile 1940, n.1155, non costituivano un fondamento normativo sufficiente per l’esercizio di azioni volte a sanzionare la detenzione a bordo di reti da posta derivanti il cui impiego è vietato dalla normativa comunitaria[88].
Gli elementi da cui emerge, nella sentenza, che la Repubblica italiana è venuta meno ai propri obblighi (di avviare azioni amministrative o penali sufficientemente efficaci per sanzionare i responsabili delle violazioni della normativa in materia di pesca mediante reti da posta derivanti e per privarli effettivamente dei benefici economici ricavati dalle infrazioni medesime) risiedono nei dati contenuti nel rapporto del Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto secondo cui, per quanto riguarda l’anno 2000, non erano praticamente mai state avviate azioni penali. Le stesse constatazioni risultano dagli allegati alla lettera del Ministero delle politiche agricole del 13 luglio 2006, secondo cui, nel periodo compreso tra il 2003 e il 2006, le sanzioni inflitte erano state scarse e le ammende amministrative ammontavano ad un importo di circa mille euro (§ 73 della sentenza). Anche per quanto attiene alla confisca delle reti da posta derivanti di cui è vietato l’uso, si rilevava, da un lato, che i dati forniti partivano dagli anni 2005-2007 e che, nel 2006, erano stati sequestrati 633000 metri di reti, corrispondenti a 108 reti, e che, nel 2007, tali cifre ammontavano rispettivamente a 697000 metri e a 235 reti. Tali dati alla Corte (§§ 74-75 della sentenza) sembravano quindi confermare le affermazioni della Commissione secondo cui il quantitativo di metri di reti sequestrato non era di per sé significativo e corrispondeva ad un numero di reti decisamente ridotto.
Ai fini di adeguare la normativa interna alla sentenza, l’articolo in esame novella alcune norme sulle sanzioni amministrative accessorie[89] contenute nell'articolo 27 della legge 14 luglio1965, n. 963 (Disciplina della pesca marittima). In particolare, si prevede che tale tipo di sanzioni - confisca del pescato; confisca degli strumenti, degli attrezzi e degli apparecchi di pesca; obbligo di rimettere in pristino, entro un termine prestabilito, le zone in cui sono stati costruiti opere o impianti non autorizzati e sospensione della licenza di pesca - venga applicato anche a chi viola le norme relative ai piani di ricostituzione di specie ittiche previste da normative nazionali e comunitarie (a latere dell'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 12.000 euro di cui all’articolo 26, comma 8). Inoltre, la sanzione accessoria della confisca degli strumenti, degli attrezzi e degli apparecchi di pesca usati in contrasto con le norme di legge, è estesa ai medesimi anche quando risultano detenuti e non solo utilizzati in contrasto con le norme di legge.
Procedure di contenzioso
Con sentenza del 29 settembre 2009 (causa C-249/08), la Corte di giustizia europea ha condannato l’Italia per non avere provveduto a controllare, ispezionare e sorvegliare in modo adeguato, sul proprio territorio e nelle acque marittime soggette alla propria sovranità o giurisdizione, l’esercizio della pesca. In particolare, il riferimento è al mancato rispetto delle disposizioni che disciplinano la detenzione a bordo e l’impiego delle reti da posta derivanti e alla mancata adozione di adeguati provvedimenti nei confronti dei responsabili delle infrazioni alla normativa comunitaria in materia di detenzione a bordo e di utilizzo di reti da posta derivanti.
Le norme disattese sarebbero l’art. 1, par. 1, del Reg. (CEE) 23 luglio 1987, n.2241, che istituisce alcune misure di controllo delle attività di pesca, nonché gli articoli 2, par.1, e 31, par. 1 e 2, del Reg. (CEE) 12 ottobre 1993, n. 2847, che istituisce un regime di controllo applicabile nell’ambito della politica comune della pesca, e succ. mod. .
A seguito di due ispezioni effettuate nel 1992 e nel 1993 dalla Commissione europea, sarebbero state rilevate carenze da parte delle autorità italiane nell’uso delle reti da posta derivanti. Pertanto la Commissione il 14 marzo 1994 inviava all’Italia una lettera di messa in mora in cui richiamava l’esigenza di garantire, ai sensi del regolamento n.2241/87, mediante controlli e l’irrogazione di sanzioni, il rispetto della normativa concernente la lunghezza delle reti da posta derivanti. Dopo la replica del Governo italiano con lettera dell’11 maggio 1994 venivano effettuate ripetute ispezioni tra i mesi di luglio 1994 e giugno 1996 che avrebbero rilevato la persistenza di numerose infrazioni alla normativa che vieta il possesso di reti da posta derivanti di lunghezza superiore a 2,5 km nonché l’insufficienza dell’intervento delle autorità italiane in materia.
Il 23 ottobre1996, la Commissione inviava pertanto alla Repubblica italiana una lettera di messa complementare. Le ispezioni si susseguivano poi fino al mese di giugno 2001 e un nuovo sollecito veniva inviato all’Italia il 18 luglio 2001. Dopo ulteriori controlli e ispezioni il 16 marzo 2005, la Commissione trasmetteva alla Repubblica italiana un parere motivato.
Poiché la Commissione non si riteneva soddisfatta dagli elementi di risposta forniti dalle autorità italiane, il 5 giugno 2008 decideva di proporre il ricorso alla Corte di giustizia.
La direttiva in esame modifica la direttiva 2001/112/CE, che ha stabilito disposizioni specifiche in merito alla produzione, alla composizione e all'etichettatura dei succhi di frutta e di altri prodotti analoghi, aggiungendovi l'allegato V, al fine di adeguarsi alla norma del Codex Alimentarius (norma Codex 247-2005), adottata dalla Commissione del Codex in occasione della sua ventottesima sessione (4-9 luglio 2005). In base a tale norma, il prodotto ottenuto mediante ricomposizione del succo di frutta concentrato viene definito "succo di frutta a base di succo concentrato". La suddetta norma, nonché il codice di buone pratiche dell'Associazione europea dei produttori di succhi di frutta (AIJN) stabilisce dei valori Brix minimi per un elenco di succhi di frutta ottenuti da succo concentrato: tali valori sono ora contenuti nel nuovo allegato V.
Il valore Brix è una misura delle sostanze allo stato solido dissolte in un liquido: nell'industria alimentare indica il contenuto dei solidi solubili espressi come g/100 g di saccarosio e costituisce un requisito di qualità, assicurando che il prodotto finito abbia, mediamente, le stesse caratteristiche di un succo ottenuto direttamente dalla spremitura del frutto.
Il termine entro il quale ciascuno Stato membro dovrà conformarsi alla direttiva mediante l'emanazione di disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie, è fissato al 1° gennaio 2011.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
La Commissione europea ha presentato il 21 settembre 2010 una proposta di direttiva che modifica la direttiva 2001/112/CE concernente i succhi di frutta e altri prodotti analoghi destinati all'alimentazione umana (COM)2010)490).
La proposta costituisce la seconda modifica della citata direttiva, dopo quella recata dalla direttiva 2009/106/CE che introduceva valori relativi al tenore di sostanza secca solubile (Brix minimi) per 18 succhi di frutta ricostituiti e specificava la denominazione da utilizzare per la vendita del succo di frutta a base di succo concentrato. Le modifiche si basavano su norme internazionali rivedute, in particolare il Codex Alimentarius per i succhi di frutta e i nettari e il Codice di buone pratiche dell'Associazione europea dei produttori di succhi di frutta.
La proposta di direttiva 2010/490 mira a proseguire l'integrazione delle norme del Codex Alimentarius tenendo conto nel contempo del Codice di buone pratiche. Ribadisce la distinzione fra succo di frutta e succo di frutta a base di succo concentrato, semplifica le disposizioni relative alla ricostituzione di gusto e aroma, prevede l'eliminazione dello zucchero dall'elenco degli ingredienti autorizzati e include i pomodori nell'elenco dei frutti utilizzati per la produzione di succo di frutta.
La proposta, che segue la procedura legislativa ordinaria, dovrebbe essere esaminata dal Parlamento europeo nell’ambito della sessione plenaria del 5 luglio 2011.
Procedure di infrazione
Il 26 gennaio 2011 la Commissione europea ha inviato al Governo italiano una lettera di costituzione in mora ai sensi dell’articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) per mancata attuazione di 24 direttive, tra le quali la direttiva 2009/106 il cui termine di scadenza per il recepimento era il 31 dicembre 2010.
Durante l’esame al Senato della legge Comunitaria 2010 è stata introdotta la Direttiva del 30 novembre 2009, n. 2009/156/CE, sulle condizioni di polizia sanitaria che disciplinano i movimenti e le importazioni di equidi in provenienza dai paesi terzi. La direttiva, entrata in vigore il 12 agosto 2010, è composta di 24 articoli e sei allegati.
In particolare, la direttiva in esame codifica la direttiva 90/426/CEE, e, conseguentemente, costituisce un provvedimento che integra ed abroga gli atti oggetto della codificazione medesima, senza cambiarne la sostanza.
La materia in esame è stata disciplinata dalla citata Direttiva 26 giugno 1990, n. 90/426/CEE, recepita in Italia con il D.P.R. 11 febbraio 1994, n. 243, e successivamente attuata dal Regolamento comunitario del 6 giugno 2008 n. 504/2008, applicato a decorrere dal 1 luglio 2009.
L’articolo 22 della presente direttiva abroga la citata direttiva 90/426/CEE, modificata dagli atti elencati nell'allegato V, parte A, fatti salvi gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini di recepimento nel diritto nazionale delle direttive di cui all'allegato V, parte B. I riferimenti alla direttiva abrogata si intendono fatti alla direttiva in esame e si leggono secondo la tavola di concordanza di cui all'allegato VI.
L’adozione della direttiva 2009/156 è volta ad aggiornare e razionalizzare la disciplina recata dalla direttiva 90/426/CEE, che ha subito nel tempo, diverse e sostanziali, modificazioni, al fine di stabilire norme comuni, in materia di polizia sanitaria, per favorire uno sviluppo razionale della produzione di equidi ed aumentare la produttività del settore. In particolare, la direttiva in esame fissa le regole per i movimenti di equidi tra gli Stati membri ( artt. 3-10) e quelle per le importazioni di equidi da Paesi terzi (artt. 11-19), prevedendo inoltre una possibile regionalizzazione delle misure restrittive, per le importazioni da Paesi terzi (artt. 12, 13 e 14).
Di seguito, sono descritti i principali articoli.
L’articolo 3 stabilisce che uno Stato membro autorizza il movimento nel proprio territorio di equidi registrati e spedisce equidi verso un altro Stato membro, soltanto se soddisfatte determinate condizioni di polizia sanitaria, al fine di evitare la propagazione di malattie infettive o contagiose (articoli 4 e 5), consentendo, tuttavia, specifiche deroghe.
L’articolo 7 prevede che il trasporto degli animali sia effettuato assicurando una protezione sanitaria efficace e il benessere degli equidi, secondo quanto stabilito dal regolamento (CE) n. 1/2005[90].
L’articolo 9 applica le norme della direttiva 90/425/CEE[91] segnatamente per quanto riguarda i controlli all'origine, l'organizzazione e gli esiti dei controlli da effettuare da parte dello Stato membro destinatario e le misure di salvaguardia da attuare.
Gli articoli 8 e 16 prevedono che gli equidi siano scortati da un certificato sanitario compilato da un veterinario ufficiale.
L’articolo 10 consente agli esperti veterinari della Commissione di procedere a controlli in loco.
L’articolo 12 autorizza l'importazione di equidi unicamente da un elenco di paesi terzi, la cui scelta deve rispettare criteri di ordine generale, come lo stato sanitario del patrimonio zootecnico, l'organizzazione e i poteri dei servizi veterinari e la regolamentazione sanitaria vigente.
L’articolo 18 affida ad esperti veterinari degli Stati membri e della Commissione controlli in loco, per verificare l’applicazione della presente direttiva.
Per quanto riguarda i sei allegati alla direttiva, l’Allegato I reca l’elenco delle malattie soggette a obbligo di denuncia, gli Allegati II e III presentano i modelli dell’attestato sanitario e del certificato medico che accompagnano i movimenti degli equidi. Infine, l’Allegato IV reca le procedure di diagnosi riguardante la Peste equina.
Direttiva 2010/31/UE
(Prestazione energetica nell’edilizia)
La direttiva 2010/31/UE è volta a promuovere il miglioramento della prestazione energetica degli edifici, delle loro parti e delle unità immobiliari[92], ai fini della riduzione dei consumi energetici che nel settore edilizio rappresentano il 40% del consumo totale di energia nell'Unione europea (UE). La loro riduzione costituisce, pertanto, una priorità nell'ambito degli obiettivi “20-20-20” in materia di efficienza energetica.
Le disposizioni della direttiva, con la quale si provvede ad una rifusione della direttiva 2002/91/CE – che è stata modificata più volte e che necessita di ulteriori modifiche sostanziali (considerando 1) - riguardano in particolare: il quadro comune generale di una metodologia di calcolo della prestazione energetica; l’applicazione di requisiti minimi alla suddetta prestazione energetica; i piani nazionali per l’aumento di edifici ad energia zero; la certificazione energetica; l’ispezione periodica degli impianti di riscaldamento; i sistemi di controllo indipendenti per gli attestati di prestazione energetica.
Gli Stati membri sono tenuti ad adottare, a livello nazionale o regionale, una metodologia di calcolo della prestazione energetica degli edifici che dovrà tener conto di determinati aspetti (cfr. All. I), tra cui:
§ le caratteristiche termiche dell'edificio e delle sue divisioni interne (capacità termica, isolamento, riscaldamento passivo ecc.);
§ l'impianto di riscaldamento e di produzione di acqua calda;
§ gli impianti di condizionamento d’aria;
§ l'impianto di illuminazione incorporato;
§ le condizioni climatiche interne.
Va anche tenuto conto di altri aspetti come le condizioni locali di esposizione al sole, l'illuminazione naturale, i sistemi di cogenerazione dell'elettricità e gli impianti di teleriscaldamento o teleraffrescamento urbano o collettivo. Inoltre, il calcolo della prestazione energetica deve essere differenziato a seconda della categoria di edificio (abitazioni monofamiliari, condomini, uffici, scuole, ospedali, alberghi e ristoranti, impianti sportivi, esercizi commerciali).
Compete agli Stati membri fissare, in conformità alla citata metodologia di calcolo, i requisiti minimi di prestazione energetica per edifici o unità immobiliari, in modo da conseguire livelli ottimali in funzione dei costi. I requisiti minimi di prestazione energetica dovranno essere rivisti a scadenze regolari non superiori a cinque anni e se necessario aggiornati in funzione dei progressi tecnici nel settore edile.
Gli elementi edilizi che fanno parte dell’involucro dell’edificio e hanno un impatto significativo sulla prestazione energetica di tale involucro (gli infissi, ad esempio) devono anch'essi rispettare i requisiti minimi in materia di prestazione energetica quando sono rinnovati o sostituiti, in modo da raggiungere livelli ottimali in funzione dei costi.
Nel fissare i requisiti minimi, gli Stati membri possono distinguere tra gli edifici già esistenti e quelli di nuova costruzione, nonché tra diverse tipologie edilizie.
Gli Stati possono escludere dall'applicazione dei requisiti minimi:
§ gli edifici ufficialmente protetti (ad esempio gli edifici storici);
§ gli edifici adibiti a luoghi di culto;
§ i fabbricati temporanei;
§ gli edifici residenziali destinati ad essere utilizzati per un periodo limitato dell’anno (meno di 4 mesi);
§ i fabbricati indipendenti con una metratura utile totale inferiore a 50 m2.
Entro il 30 giugno 2011 la Commissione europea provvede a stabilire un quadro metodologico comparativo per il calcolo dei livelli ottimali, in funzione dei costi, dei requisiti di prestazione energetica degli edifici ed elementi edilizi. Il quadro metodologico distinguerà tra edifici nuovi ed esistenti e tra diverse tipologie edilizie. Gli Stati membri calcoleranno i livelli ottimali avvalendosi del quadro comparativo e di altri parametri - condizioni climatiche, accessibilità delle infrastrutture energetiche - e compareranno i risultati di tale calcolo con i requisiti minimi di prestazione energetica in vigore. Entro il 30 giugno 2012, gli Stati trasmetteranno alla Commissione la prima relazione contenente tutti i dati e le ipotesi utilizzati per il calcolo, con i relativi risultati. Se i requisiti minimi vigenti risulteranno sensibilmente meno efficienti dei livelli ottimali, gli Stati dovranno giustificare tale differenza per iscritto alla Commissione e ridurre il divario.
Sarà cura degli Stati membri adottare le misure necessarie affinché gli edifici nuovi rispettino i requisiti, garantendo che prima dell'inizio dei lavori di costruzione sia valutata la fattibilità tecnica, ambientale ed economica di sistemi alternativi ad alta efficienza basati su: fonti rinnovabili; cogenerazione; teleriscaldamento o teleraffrescamento; pompe di calore.
Gli edifici esistenti, destinati a subire ristrutturazioni importanti, dovranno beneficiare di un miglioramento della loro prestazione energetica in modo da poter soddisfare i requisiti minimi.
In caso di nuova installazione, sostituzione o miglioramento, i sistemi tecnici per l'edilizia, quali gli impianti di riscaldamento, gli impianti di produzione di acqua calda, gli impianti di condizionamento d’aria e i grandi impianti di ventilazione, devono anch'essi rispettare i requisiti in materia di prestazione energetica.
In caso di costruzione o rinnovamento di un edificio, la direttiva in esame incoraggia fortemente l'introduzione di sistemi intelligenti per la misurazione del consumo energetico, conformemente alla direttiva relativa alle norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica 2009/72/CE.
Entro il 31 dicembre 2020 tutti gli edifici di nuova costruzione dovranno essere a energia quasi zero. Gli edifici di nuova costruzione occupati da enti pubblici e di proprietà di questi ultimi dovranno rispettare gli stessi criteri a partire dal 31 dicembre 2018.
La Commissione promuove l'incremento degli edifici di questo tipo tramite l'attuazione di piani nazionali, elaborati dagli Stati membri, che comprendono i seguenti elementi:
§ l’indicazione del modo in cui lo Stato membro applica la definizione di edifici a energia quasi zero;
§ gli obiettivi intermedi di miglioramento della prestazione energetica degli edifici di nuova costruzione entro il 2015;
§ informazioni sulle politiche e sulle misure finanziarie o di altro tipo adottate per promuovere il miglioramento della prestazione energetica degli edifici.
Alla Commissione compete la valutazione dei piani nazionali entro il 31 dicembre 2012 (e successivamente ogni 3 anni) e la pubblicazione di una relazione sui progressi realizzati.
La direttiva sottolinea l’importanza di mettere a disposizione adeguati strumenti di finanziamento e incentivi per favorire l’efficienza energetica degli edifici e il passaggio a edifici a energia quasi zero. Pertanto gli Stati membri dovranno adottare gli strumenti più pertinenti sulla base delle circostanze nazionali ed entro il 30 giugno 2011 dovranno redigere un elenco degli strumenti esistenti ed eventualmente proposti - compresi quelli finanziari - che promuovono il miglioramento della prestazione energetica degli edifici. Tale elenco è aggiornato ogni tre anni.
La Commissione valuta l’efficacia delle misure esistenti o proposte. Sulla base della valutazione essa può fornire consulenza o raccomandazioni e su richiesta anche assistenza agli Stati membri nell’elaborazione di programmi di sostegno finanziario .
Gli Stati membri adottano un sistema di certificazione energetica degli edifici. L'attestato può comprendere informazioni sul consumo energetico degli edifici, nonché raccomandazioni per il miglioramento in funzione dei costi.
In caso di vendita o locazione di un edificio o di un'unità immobiliare, l’indicatore di prestazione energetica che figura nell’attestato di prestazione energetica va riportato in tutti gli annunci dei mezzi di comunicazione commerciali.
In caso di costruzione, vendita o locazione di un edificio o di un'unità immobiliare, l'attestato va mostrato al potenziale acquirente o nuovo locatario e consegnato all’acquirente o al nuovo locatario.
Per gli edifici in cui una metratura utile totale di oltre 500 m² è occupata da enti pubblici e per gli edifici con una superficie totale di oltre 500 m² abitualmente frequentati dal pubblico, l'attestato di prestazione energetica va affisso in un luogo chiaramente visibile per il pubblico (il 9 luglio 2015 la soglia sarà abbassata a 250 m²).
Gli Stati membri adottano le misure necessarie per prescrivere ispezioni periodiche degli impianti di riscaldamento e climatizzazione degli edifici (artt. 11-15).
La direttiva in esame abroga la direttiva 2002/91/CE con effetto dal 1° febbraio 2012.
Il termine di recepimento della direttiva in esame è fissato al 9 luglio 2012, mentre il termine di applicazione delle relative disposizioni è fissato al 9 gennaio 2013. In relazione al termine di applicazione sono previste alcune eccezioni: al 9 luglio 2013 è fissato il termine per l'applicazione agli edifici che non sono pubblici delle norme sui requisiti minimi, sul calcolo dei livelli ottimali e sull'ispezione dei sistemi di riscaldamento e condizionamento d'aria; al 31 dicembre 2015 è fissato il termine per l'applicazione delle norme sul rilascio dell'attestato di prestazione energetica in riferimento a singole unità immobiliari in locazione.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
Il 18 gennaio il Parlamento europeo ha approvato in seconda lettura, secondo la procedura legislativa ordinaria, una proposta di regolamento che fissa, a partire dal 1° luglio 2013, norme armonizzate per la commercializzazione dei prodotti da costruzione (COM(2008)311). In particolare, tra i requisiti fondamentali delle costruzioni, viene indicato il risparmio energetico e ritenzione del calore: le costruzioni e i relativi impianti di riscaldamento, raffreddamento e aerazione devono essere concepiti e costruiti in modo che il consumo di energia durante l’uso sia moderato, tenuto conto delle condizioni climatiche del luogo e il benessere termico degli occupanti.
Procedure di contenzioso
Il 24 novembre 2010 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato (procedura di infrazione n. 2006/2378) contestandole la non completa attuazione delle disposizioni contenute nella direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico degli edificientro il termine massimo consentito del 4 gennaio 2009.
Si ricorda che la direttiva 2010/31/CE, che provvede alla rifusione della direttiva 2002/91/CE e del regolamento CE n. 1137/2008, fa salvi gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini di recepimento nel diritto nazionale e di applicazione della direttiva 2002/91/CE.
In particolare, la Commissione contesta all’Italia di non aver soddisfatto nel proprio ordinamento quanto previsto dall’articolo 7 della direttiva, concernente l’obbligo di presentare un attestato di certificazione energetica in caso di vendita o locazione di un immobile, né l’obbligo di garantire l’indipendenza degli esperti certificatori (art. 10). Inoltre, nell’avviso della Commissione, l’Italia non avrebbe finora adottato alcuna misura relativa all'obbligo di ispezioni periodiche degli impianti di condizionamento dell'aria la cui potenza nominale è superiore a 12 kw per valutarne il rendimento, previsto dall’articolo 9 della medesima direttiva.
La Commissione ritiene che con l’abrogazione disposta dall’art 35 della L. 133/2008 delle disposizioni contenute nel D.Lgs. 29 dicembre 2006, n. 311, intese a dare piena attuazione al predetto art. 7 della direttiva 2002/91, in Italia non sia più vigente il l’obbligo di consegna di un attestato di certificazione energetica in caso di vendita o di locazione di un immobile.
Inoltre, secondo la Commissione l’articolo 9 delle Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici contenute nel decreto 26 giugno 2009, che consente al proprietario dell’immobile di optare per un’autocertificazione che dichiari l’edificio di classe energetica molto bassa, non consente in realtà ai consumatori acquirenti di valutare correttamente il rendimento energetico dell’edificio (art. 7, par. 1, Dir. 2009/33/CE) né fornisce le raccomandazioni per il miglioramento del rendimento formulate dall’esperto indipendente (art. 7, par. 2, Dir. 2009/33/CE).
La direttiva stabilisce delle deroghe all’applicazione della direttiva 66/401/CEE al fine di consentire la commercializzazione delle miscele di sementi di piante foraggere destinate a essere utilizzate per la preservazione dell’ambiente naturale nel contesto della conservazione delle risorse genetiche.
Per garantire che le miscele commercializzate come miscele di sementi per la preservazione soddisfino le condizioni previste per l’applicazione di tali deroghe, è necessario subordinare la loro commercializzazione a un’autorizzazione, da concedere su domanda. In particolare, gli Stati membri possono autorizzare la commercializzazione delle miscele di sementi a condizione che le miscele siano conformi alle disposizioni dell’articolo 5 - che disciplina le condizioni per le miscele di sementi per la preservazione raccolte direttamente - o dell’articolo 6, che disciplina invece le condizioni delle miscele di sementi per la preservazione coltivate.
La direttiva dispone altresì l'obbligo per gli Stati membri di procedere ad ispezioni visuali nei rispettivi siti di raccolta e di accertarsi, tramite monitoraggio, del rispetto delle disposizioni in essa contenute. Si stabilisce inoltre che da una parte essi dispongano che i produttori operanti nel proprio territorio notifichino per ogni stagione il quantitativo delle miscele per la preservazione commerciale, e dall'altra che gli Stati membri, a richiesta, notifichino alla Commissione tali informazioni, oltre a quelle inerenti le autorità responsabili delle risorse citogenetiche o le organizzazioni da essi riconosciute in tale settore.
Il termine per il recepimento della direttiva è fissato al 30 novembre 2011.
Direttiva 2008/112/CE
(Modifica di direttive sulla classificazione, etichettatura e imballaggio
delle sostanze e delle miscele)
La direttiva in esame, composta di nove articoli ed entrata in vigore il 12 gennaio 2009, modifica diverse norme europee allo scopo di adeguarle al regolamento (CE) n. 1272/2008 relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele pericolose.
Il citato regolamento n. 1272/2008 reca norme sull'armonizzazione della classificazione ed etichettatura di sostanze, miscele ed esplosivi, per favorirne la libera circolazione nell'Unione europea e garantire un elevato livello di protezione della salute dell'uomo e dell'ambiente. Tale regolamento sostituisce - secondo una progressione che termina il 1° giugno 2015 - la direttiva 67/548/CEE, sulle sostanze pericolose, e la direttiva 1999/45/CE, concernente i preparati pericolosi.
Il citato regolamento non si applica, tra l’altro, ai medicinali, ai cosmetici e alle sostanze e miscele radioattive.
La direttiva 2008/112/CE in esame modifica:
- la direttiva 76/768[93] sui cosmetici (articolo 1);
- la direttiva 88/378[94] sulla sicurezza dei giocattoli (articolo 2);
- la direttiva 1999/13[95] sulla limitazione delle emissioni di composti organici volatili, dovute all'uso di solventi organici (articolo 3);
- la direttiva 2000/53[96] relativa ai veicoli fuori uso (articolo 4);
- la direttiva 2002/96[97] sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) (articolo 5);
- la direttiva 2004/42/CE[98] relativa alla limitazione delle emissioni di composti organici volatili, dovute all'uso di solventi organici in talune pitture e vernici e in taluni prodotti per carrozzeria (articolo 6).
I termini per l'adozione da parte degli Stati membri delle misure di recepimento della direttiva in esame e per l'applicazione delle medesime misure di recepimento sono scaduti, rispettivamente, il 1° aprile 2010 e 1° giugno 2010 (articolo 7).
La direttiva, già contenuta nella legge Comunitaria 2009, non è stata recepita ed è andata dunque soggetta alla procedura d’infrazione n. 2010_0366 per mancato recepimento (messa in mora art 258 TFUE (ex art 226 TCE)).
Direttiva 2009/20/CE
(Assicurazione degli armatori per i
crediti marittimi)
La direttiva 2009/20/CE stabilisce un quadro giuridico armonizzato in materia di assicurazioni degli armatori per i crediti marittimi, al fine di responsabilizzare gli operatori economici e innalzare la qualità del trasporto marittimo mercantile.
La direttiva in esame, che consta di 11 articoli e un allegato, si applica alle navi di stazza lorda pari o superiore a 300 tonnellate, mentre non si applica alle navi da guerra, alle navi da guerra ausiliarie o alle altre navi di proprietà dello Stato o gestite dallo Stato per servizi pubblici a fini non commerciali.
La direttiva 2009/20/CE prevede che ciascuno Stato membro prescriva, a carico degli armatori delle navi battenti la sua bandiera, di stipulare un’assicurazione che copra tali navi e, a carico degli armatori di navi battenti bandiera di un altro paese, l'obbligo di essere coperte da un’assicurazione quando tali navi entrano in un porto soggetto alla propria giurisdizione.
L’assicurazione in questione deve coprire i crediti marittimi fatte salve le limitazioni di cui alla Convenzione relativa alla limitazione della responsabilità per i crediti marittimi (adottata nel 1976 sotto gli auspici dell’Organizzazione marittima internazionale e modificata dal protocollo del 1996) e deve consentire una copertura pari all’importo massimo applicabile per la limitazione di responsabilità previsto dalla Convenzione.
La direttiva 2009/20/CE prevede, inoltre, che ciascuno Stato membro si assicuri che le navi in un porto soggetto alla propria giurisdizione siano dotate dei previsti certificati di assicurazione e che essi rechino le prescritte informazioni. In caso contrario, e fatte salve le disposizioni della direttiva 2009/16/CE, che prevede il fermo delle navi per motivi di sicurezza, la direttiva in esame permette all’autorità competente di emanare un ordine di espulsione della nave (da notificare alla Commissione e agli altri Stati membri), in conseguenza del quale verrà negato l’accesso in tutti i porti dell’Unione fino alla notifica del certificato da parte dell’armatore.
Gli Stati membri devono, infine, stabilire un sistema sanzionatorio efficace, proporzionato e dissuasivo per la violazione delle disposizioni nazionali di attuazione della direttiva 2009/20/CE, il cui termine di recepimento è fissato al 1° gennaio 2012.
La Direttiva 2009/38/CE del 6 maggio 2009, del Parlamento europeo e del Consiglio, riguardante l’istituzione di un comitato aziendale europeo (di seguito CAE) o di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie, mira a potenziare il diritto dei lavoratori all'informazione e alla consultazione transnazionali nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie. Dal momento che l’aggiornamento della pregressa normativa comunitaria sulla materia avrebbe comportato l'apporto di modifiche sostanziali alla Direttiva 94/45/CE (considerando n. 1), per ragioni di chiarezza si è proceduto alla rifusione[99] di tale direttiva. Ciò con l'obiettivo (considerando n. 7) di garantire l'effettività dei diritti di informazione e consultazione transnazionale dei lavoratori, di innalzare la percentuale di istituzione dei CAE, di risolvere i problemi constatati nell'applicazione della direttiva 94/45/CE, nonché di garantire una migliore articolazione tra gli strumenti legislativi comunitari in tema di informazione e consultazione dei lavoratori.
La direttiva, ai sensi dell’articolo 16, deve essere attuata entro il 5 giugno 2011. Il successivo articolo 17 abroga la direttiva 94/45/CE, con effetto dal 6 giugno 2011. Infine, gli allegati II e III recano - rispettivamente - i riferimenti della direttiva abrogata, con le relative modifiche e i termini di recepimento nel diritto interno, e la tavola di concordanza con la direttiva in esame.
Si ricorda che la Direttiva 94/45/CE, già modificata dalla direttiva 97/74/CE, che ha esteso l'applicazione della direttiva 94/45 al Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord cui inizialmente non si applicava, ha posto in capo alle imprese – o gruppi di imprese- di grandi dimensioni con stabilimenti in più Stati membri l'obbligo a negoziare la costituzione di un CAE o di una procedura per l'informazione e la consultazione dei lavoratori.
Ai fini della direttiva si intende per:
· impresa di dimensioni comunitarie, un'impresa che impiega almeno 1.000 lavoratori negli Stati membri e almeno 150 lavoratori per Stato membro in almeno due Stati membri;
· gruppo di imprese, un gruppo costituito da un'impresa controllante e dalle imprese da questa controllate;
· gruppo di imprese di dimensioni comunitarie, un gruppo di imprese che soddisfa le seguenti condizioni:
- il gruppo impiega almeno 1.000 lavoratori negli Stati membri,
- almeno due imprese del gruppo si trovano in Stati membri diversi,
- almeno un'impresa del gruppo impiega non meno di 150 lavoratori in uno Stato membro e almeno un'altra impresa del gruppo impiega non meno di 150 lavoratori in un altro Stato membro;
· impresa controllante, un'impresa che può esercitare un'influenza dominante su un'altra impresa in conseguenza, a titolo esemplificativo, della proprietà, della partecipazione finanziaria o delle norme che la disciplinano (articolo 3)[100];
· consultazione, lo scambio di opinioni e l'instaurazione di un dialogo tra i rappresentanti dei lavoratori e la direzione centrale o qualsiasi altro livello di direzione più appropriato.
Sono esonerate dalla disciplina comunitaria le imprese in cui esiste già un accordo applicabile all'insieme dei lavoratori che prevede un'informazione e una consultazione transnazionale dei lavoratori.
Le competenze del CAE si limitano all'informazione e alla consultazione dei lavoratori sulle questioni che riguardano l'insieme delle imprese o del gruppo di imprese di dimensioni comunitarie, o di almeno due stabilimenti o imprese del gruppo, situati in Stati membri diversi.
Per realizzare il miglioramento del diritto all’informazione e alla consultazione dei lavoratori, la Direzione centrale dell’impresa, responsabile della realizzazione delle condizioni e degli strumenti necessari per l’istituzione di un CAE, avvia la procedura di negoziazione a tali fini. In relazione a ciò, viene istituita una Delegazione speciale di negoziazione operante secondo specifici orientamenti.
Il CAE è composto da un minimo di 3 e un massimo di 30 membri e, se le sue dimensioni lo giustificano, può eleggere un comitato ad hoc composto al massimo da 3 membri. Quattro anni dopo la sua istituzione, il CAE delibera in merito all’opportunità di rinegoziare l'accordo sulle modalità di attuazione dell'informazione e della consultazione dei lavoratori
Qualora si verifichino circostanze eccezionali che incidano notevolmente sugli interessi dei lavoratori, in particolare nel caso di delocalizzazione, chiusura di imprese e di stabilimenti oppure licenziamenti collettivi, il comitato ristretto o, ove non esista, il comitato aziendale europeo ha il diritto di esserne informato.
Le spese di funzionamento del CAE sono sostenute dalla direzione centrale dell’impresa.
Nel nostro ordinamento la direttiva 94/45/CE è stata attuata con il D.Lgs. 2 aprile 2002, n. 74.
Rispetto al testo originario, si segnalano, tra l’altro, le seguenti innovazioni:
· le modalità di informazione e consultazione devono essere definite e attuate in modo da garantirne l'efficacia e consentire un processo decisionale efficace nell'impresa o nel gruppo di imprese. Le richiamate modalità, inoltre, devono avvenire al pertinente livello di direzione e di rappresentanza, in funzione della questione trattata, limitando con ciò la competenza del CAE e della procedura di informazione e consultazione alle sole questioni transnazionali (articolo 1, paragrafi 2, 3 e 4);
· si fornisce una definizione di “informazione”, cioè la trasmissione di dati da parte del datore di lavoro ai rappresentanti dei lavoratori per consentire a questi ultimi di prendere conoscenza della questione trattata e di esaminarla (articolo 2, paragrafo 1, lettera f));
· si precisa che le modalità di consultazione debbano poter consentire ai rappresentanti dei lavoratori di esprimere, entro un termine ragionevole, un parere in merito alle misure proposte cui si riferisce la stessa consultazione (articolo 2, paragrafo 1, lettera g));
· si definisce la responsabilità della direzione centrale di impresa di ottenere e trasmettere alle parti interessate dall’applicazione della direttiva le informazioni indispensabili per l’avvio dei negoziati per l’istituzione del CAE o della procedura per l’informazione e consultazione, in particolare quelle concernenti la struttura dell’impresa o del gruppo e la sua forza lavoro (articolo 4, paragrafo 4);
· si precisano le modalità di elezione dei membri della delegazione speciale di negoziazione, prevedendo altresì la possibilità che la stessa delegazione possa essere assistita da esperti di propria scelta (articolo 5, paragrafi 2 e 4);
· in riferimento all’accordo sulle modalità di attuazione dell’informazione e consultazione, di cui all’articolo 6, si richiede che lo stesso evidenzi: che la composizione del CAE sia il più possibile equilibrata in base alle attività, alle categorie di lavoratori, al sesso e alla durata del mandato (paragrafo 2, lettera b)); che le modalità di informazione e consultazione del CAE siano coordinate con l’informazione e consultazione degli organi di rappresentanza nazionale dei lavoratori (paragrafo 2, lettera c)); di evidenziare, nel caso, la composizione, le modalità di designazione, le attribuzioni e le modalità di riunione del comitato ristretto istituito in seno al CAE (paragrafo 2, lettera e)); le modalità di modifica, cessazione o rinegoziazione dell’accordo (paragrafo 2, lettera g));
· si chiariscono i poteri e gli obblighi dei rappresentanti dei lavoratori in particolare in riferimento all’informazione dei lavoratori in ordine alla sostanza ed ai risultati della procedura di informazione e consultazione, stabilendo altresì il diritto alla retribuzione dei rappresentanti medesimi nel periodo di formazione (articolo 10, paragrafi 2, 3 e 4);
· si evidenzia il coordinamento dell’informazione e consultazione del CAE con quelle degli organi nazionali , precisando che la loro articolazione è stabilita con l’accordo di cui all’articolo 6. Si precisa altresì che l’applicazione della direttiva non giustifica, in ogni caso, un regresso rispetto alla situazione esistente negli Stati membri per quanto attiene al livello generale di protezione dei lavoratori nel settore contemplato (articolo 12);
· si statuisce in merito all'adeguamento degli accordi nell'eventualità di modifiche significative della struttura dell'impresa o del gruppo di imprese, nonché in assenza di disposizioni negli accordi vigenti o di contrasto tra disposizioni di accordi applicabili (articolo 13);
· infine, nel disciplinare gli accordi vigenti, si individuano le imprese non soggette agli obblighi derivanti dalla direttiva in esame (articolo 14).
La direttiva in titolo punta ad agevolare la circolazione dei prodotti destinati alla difesa - enumerati in un apposito allegato, fra cui si annoverano armi ad anima liscia di vario calibro, munizioni, bombe, siluri, razzi, missili, dispositivi esplosivi, apparecchiature per la direzione del tiro, veicoli di terra, agenti chimici o biologici tossici, materiali radioattivi, navi da guerra ed aeromobili - nel mercato interno e ad accrescere al contempo la sicurezza degli approvvigionamenti transfrontalieri a beneficio delle forze armate e delle cooperazioni industriali europee. Essa dispone la semplificazione e l'armonizzazione delle procedure nazionali di rilascio delle licenze, per la realizzazione di un sistema più razionale di licenze globali e generali, al cui interno il rilascio delle licenze più vincolanti, ovvero delle licenze individuali, avrà carattere eccezionale.
In particolare, essa stabilisce che il trasferimento di prodotti per la difesa fra Stati membri sia subordinato al rilascio di un’autorizzazione preventiva dello Stato membro da cui partono i prodotti - salvo i casi di fornitori o destinatari facenti parte di un organismo governativo o delle forze armate, di forniture effettuate dall’Unione europea, dalla NATO, dalla IAEA o da altre organizzazioni intergovernative per lo svolgimento dei propri compiti o di programmi di cooperazione tra Stati membri in materia di armamenti, o ancora di fornitura di aiuti umanitari per fronteggiare catastrofi - , autorizzazione accordata sotto forma di una licenza di trasferimento. A tal riguardo, la direttiva individua tre tipi di licenze di trasferimento, generali, globali e, da accordare in via eccezionale, individuali, ognuna delle quali passibile di revoca o di sospensione per motivi di sicurezza o per il mancato rispetto delle condizioni per il rilascio. Mentre le licenze generali di trasferimento sono pubblicate dagli Stati membri e indirizzate a tutti i fornitori insediati sul loro territorio, le licenze globali di trasferimento sono attribuite a singoli fornitori che ne facciano apposita richiesta. Le licenze individuali di trasferimento, viceversa, attribuite su richiesta dei fornitori, devono essere limitate ad un solo trasferimento di prodotti, ad un solo destinatario e consentite solo in casi limitatissimi, fra cui quando sia necessario tutelare gli interessi essenziali della sicurezza degli Stati membri, l’ordine pubblico o per il rispetto dei regimi internazionali di non proliferazione.
Per quanto concerne i meccanismi di informazione, la direttiva istituisce un sistema di certificazione in grado di comprovare - per un massimo di cinque anni - l’affidabilità dell’impresa destinataria, in particolare in relazione alla sua capacità di rispettare le restrizioni all’esportazione dei prodotti per la difesa ricevuti da un altro Stato membro. Gli Stati membri a tal riguardo sono chiamati a designare le autorità competenti per la certificazione dei destinatari dei prodotti per la difesa stabiliti nel loro territorio che godono di licenze di trasferimento pubblicate da altri Stati membri.
La norma comunitaria stabilisce altresì un generale principio di cooperazione e di scambio di informazioni tra le autorità nazionali competenti degli Stati membri, d’intesa con la Commissione.
La direttiva, entrata in vigore il 30 giugno 2009, reca come termine ultimo per il recepimento da parte degli Stati membri la data del 30 giugno 2011.
Nel piano d’azione sull’immigrazione legale del 21 dicembre 2005, la Commissione ha presentato cinque proposte legislative relative a diverse categorie di cittadini di paesi terzi. La direttiva in titolo realizza la prima proposta prevista da tale piano d’azione, stabilendo le condizioni e le procedure di ammissione dei lavoratori altamente qualificati provenienti da Paesi terzi e definendo, al contempo, anche le condizioni ed i diritti relativi al soggiorno nello Stato di rilascio e negli altri Stati membri, per i periodi superiori a tre mesi.
Scopo della direttiva è aumentare la capacità dell’Unione europea (UE) di attrarre cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati. Si tratta non soltanto di potenziare la competitività nel contesto della strategia di Lisbona, ma anche di limitare la fuga dei cervelli. Gli obiettivi della direttiva sono:
§ facilitare l’ammissione dei cittadini in questione, armonizzando le condizioni del loro ingresso e soggiorno nell’Unione europea;
§ semplificare le procedure di ammissione;
§ migliorare lo status giuridico di coloro che sono già presenti sul territorio degli Stati membri.
Le norme della direttiva si applicano ai cittadini dei Paesi terzi che svolgono lavori altamente qualificati ed ai loro familiari. Quanto disposto dalla direttiva non si applica invece a tutti coloro che sono autorizzati a soggiornare in uno Stato membro in forza di una particolare protezione (status di rifugiato, protezione internazionale) o per altri differenziati motivi (status di ricercatore, familiare di cittadini dell'Unione, soggiornante di lungo periodo, soggetto che può accedere sul territorio dello Stato membro grazie ad accordi internazionali, lavoratore stagionale, lavoratore distaccato nell'ambito di una prestazione di servizi).
Per essere ammessi i candidati, oltre a non costituire un problema di ordine pubblico per lo Stato interessato, devono possedere:
§ un contratto di lavoro o un’offerta di lavoro vincolante ed altamente qualificato di durata almeno annuale (con uno stipendio il cui ammontare corrisponde ad almeno una volta e mezza lo stipendio medio annuale lordo nello Stato membro interessato, soglia salariale che gli Stati membri possono abbassare a 1,2 volte, per talune professioni che necessitano in particolare di lavoratori cittadini di paesi terzi);
§ un documento di viaggio valido o un permesso di soggiorno valido o un visto a lungo termine;
§ la prova che beneficiano di un’assicurazione contro le malattie;
§ per le professioni regolamentate, documenti che dimostrino che la persona rispetta le condizioni necessarie e, per le professioni non regolamentate, documenti che attestino il possesso delle qualifiche professionali superiori.
Sono naturalmente fatte salve tutte le condizioni più favorevoli stabilite dal diritto comunitario o da accordi bilaterali tra gli Stati interessati. Le norme della direttiva non costituiscono deroga a quelle sulle quote di ingresso che sono decise autonomamente dai singoli Stati dell'Unione europea.
L'autorizzazione all'ingresso e al soggiorno è certificata dalla Carta Blu UE, valida da 1 a 4 anni ovvero, se il contratto di lavoro ha una durata inferiore ai termini indicati, per il periodo corrispondente alla sua durata, aumentata di tre mesi. La domanda di rilascio della Carta deve essere presentata obbligatoriamente dal candidato o dal suo datore di lavoro. La risposta è notificata entro un termine di 90 giorni dalla presentazione. In caso di accettazione, il beneficiario ottiene le agevolazioni necessarie per l’ottenimento di un visto.
E' previsto che gli Stati membri possano limitare l'accesso al lavoro per le attività che, per legge, sono riservate ai cittadini nazionali o dell'Unione o cittadini SEE (ad esempio attività che comportano una partecipazione all'esercizio dell'autorità pubblica e la responsabilità della salvaguardia di interessi generali dello Stato).
Sono cause del respingimento della domanda di Carta blu UE:
§ la presentazione di documenti falsificati od ottenuti con la frode;
§ la decisione dello Stato membro di accordare, alla luce della situazione del mercato del lavoro, la preferenza ai cittadini dell’Unione europea ovvero ai cittadini di Paesi terzi che beneficiano di uno status favorevole in virtù del diritto comunitario (soggiornano legalmente o sono residenti di lungo periodo desiderosi di trasferirsi in tale Stato membro);
§ le quote di ammissione stabilite dallo Stato membro, o le politiche in favore delle assunzioni etiche in settori che soffrono di carenza di lavoro qualificato nei paesi di origine o il fatto che il datore di lavoro è stato oggetto di sanzioni in virtù della legge nazionale, a causa di lavoro non dichiarato e/o di occupazione illegale.
Se il titolare della Carta non dovesse avere più risorse sufficienti per mantenere se stesso e, nel caso, i propri familiari, senza dover ricorrere al regime di assistenza sociale o se il periodo di disoccupazione superasse i tre mesi consecutivi o si registrasse più di un periodo di disoccupazione durante il periodo di validità del documento, la Carta potrebbe essere revocata. Questa peraltro potrebbe non essere rinnovata per ragioni di ordine, sicurezza e sanità pubblica ovvero per la mancata comunicazione del proprio indirizzo da parte del richiedente.
La Carta dà ai cittadini dei paesi terzi ed alla loro famiglia il diritto di:
§ entrare e soggiornare nello Stato membro di rilascio, uscirne e passare attraverso gli altri Stati membri;
§ accedere al mercato del lavoro nel settore interessato;
§ beneficiare dello stesso trattamento riservato ai cittadini nazionali, in particolare per quanto riguarda le condizioni di lavoro, la sicurezza sociale, la pensione, il riconoscimento dei diplomi, l’istruzione e la formazione professionale;
§ essere riconosciuti nello status di soggiornante di lungo periodo se sono rispettati determinati requisiti con conseguente possibilità di rilascio di permesso di soggiorno.
Due anni di lavoro regolare danno diritto a ricevere lo stesso trattamento riservato ai cittadini nazionali per quanto riguarda l’accesso a qualsiasi lavoro altamente qualificato e 18 mesi di residenza legale in un Paese allo spostamento in un altro Stato membro per svolgervi un lavoro altamente qualificato (fatti salvi, come già richiamato, i limiti fissati dalle autorità di tale Stato per quanto riguarda il numero di cittadini che possono essere ammessi).
Il soggiorno in altri Stati membri è autorizzato con procedura identica a quella attivata per il primo ingresso. Il secondo Stato membro può decidere di non consentire al cittadino del paese terzo di lavorare finché una decisione positiva sulla domanda non sia stata presa dalla propria autorità competente; tuttavia la domanda potrà essere presentata alle autorità competenti del secondo Stato membro mentre il titolare della Carta blu UE soggiorna ancora nel territorio del primo Stato. In caso di diniego del secondo Stato ad accesso avvenuto nel suo territorio, il primo Stato è tenuto a riammettere immediatamente nel proprio, senza procedure formali, il titolare di Carta blu ed i suoi familiari.
Per quanto riguarda l'attuazione delle norme e gli obblighi informativi, la direttiva stabilisce che, a decorrere dal 2013, gli Stati membri forniscano annualmente alla Commissione statistiche sul numero di cittadini di Paesi terzi a cui viene rilasciata, rinnovata, revocata o rifiutata una Carta blu UE, sulle loro nazionalità e professioni e sui loro familiari. Ogni tre anni inoltre, e per la prima volta nel 2014, la Commissione presenterà al Consiglio e al Parlamento una relazione sull’applicazione della direttiva, proponendo eventuali modifiche utili.
Il termine per il recepimento delle norme è fissato alla data del 19 giugno 2011.
La direttiva 2009/52/CE del 18 giugno 2009, del Parlamento europeo e del Consiglio, introduce un divieto generale di impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, allo scopo di contrastare il fenomeno dell'immigrazione illegale, stabilendo altresì norme minime comuni relative alle sanzioni e ai provvedimenti applicabili negli Stati membri verso i datori di lavoro che violano tale divieto. Viene fatta comunque salva la facoltà, per i singoli Stati membri, di mantenere o introdurre norme più rigorose (considerando n. 4 e articolo 3, paragrafo 3).
Ai sensi dell’articolo 17, il termine per l'attuazione della direttiva è fissato al 20 luglio 2011.
In particolare, la direttiva, nel vietare le assunzioni di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare (articolo 3, paragrafo 1), obbliga i datori di lavoro (articolo 4, paragrafo 1):
· a chiedere che un cittadino di un paese terzo, prima di assumere l'impiego, possieda e presenti al datore di lavoro un permesso di soggiorno valido;
· a tenere una copia o registrazione del permesso di soggiorno o altra autorizzazione di soggiorno a disposizione delle autorità competenti degli Stati membri, a fini di un'eventuale ispezione;
· ad informare le autorità competenti designate dagli Stati membri dell'inizio dell'impiego di un cittadino di un paese terzo.
Sono altresì previste apposite procedure semplificate nel caso in cui i datori di lavoro siano persone fisiche e l’impiego sia a fini privati (articolo 4, paragrafo 2).
In caso di violazione del divieto di assunzione, opera il sistema sanzionatorio di cui al successivo articolo 5.
Le sanzioni in caso di violazione del divieto di assunzione dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare includono sanzioni finanziarie, che aumentano a seconda del numero di cittadini di paesi terzi assunti illegalmente, nonché il pagamento dei costi di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi assunti illegalmente, nei casi in cui siano effettuate procedure di rimpatrio. Gli Stati membri possono decidere che le sanzioni finanziarie riflettano almeno i costi medi di rimpatrio.
Sempre in relazione alle violazioni del divieto di assunzione, è previsto altresì il pagamento, da parte dei datori di lavoro, di ogni retribuzione arretrata al cittadino di paese terzo assunto illegalmente, sulla base di un livello di remunerazione pari almeno al salario minimo previsto dalla legislazione vigente o dai contratti collettivi, di un importo pari a tutte le imposte e i contributi previdenziali che avrebbero dovuto pagare in caso di assunzione legale (in tali casi, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, si presuppone un rapporto di lavoro di almeno 3 mesi), e di tutti i costi derivanti dal trasferimento delle retribuzioni arretrate nel paese del rimpatrio (articolo 6, paragrafo 1). Sono previsti altresì meccanismi che consentano ai cittadini di paesi terzi assunti illegalmente di presentare domanda e ottenere esecuzione di una sentenza nei confronti dei rispettivi datori di lavoro (articolo 6, paragrafo 2, lettera a)).
Oltre a quelle evidenziate, l’articolo 7 prevede ulteriori sanzioni per datori di lavoro inadempienti, consistenti nell’esclusione dal beneficio di prestazioni, sovvenzioni e aiuti pubblici, compresi i fondi UE gestiti dagli Stati membri, per un periodo da uno a cinque anni, nonché nell’esclusione dalla partecipazione a gare pubbliche di appalto, al rimborso di prestazioni, sovvenzioni e aiuti pubblici concessi fino a dodici mesi prima dell'assunzione illegale e alla chiusura temporanea o permanente degli stabilimenti in cui ha avuto luogo la violazione.
Nel caso in cui il datore di lavoro è un subappaltatore, gli Stati membri adottano altresì le misure necessarie affinché la responsabilità della violazione possa essere estesa anche all'appaltante (articolo 8).
La violazione del divieto, secondo il successivo articolo 9, se intenzionale, si configura come reato:
· nel caso in cui sia reiterata;
· nel caso in cui riguardi l'impiego simultaneo di un numero significativo di lavoratori irregolari;
· nel caso in cui sia accompagnata da condizioni lavorative di particolare sfruttamento;
· nel caso in cui il datore di lavoro sia al corrente che il cittadino di paese terzo assunto irregolarmente sia vittima della tratta di esseri umani;
· nel caso in cui l'assunzione illegale riguardi un minore.
In tali casi, gli Stati membri sono tenuti a irrogare sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive (articolo 10).
La direttiva inoltre reca disposizioni al fine di estendere la responsabilità per l'assunzione illegale di cittadini di paesi terzi anche alle persone giuridiche (articolo 11), per le quali sono previste misure quali quelle del precedente articolo 7 (articolo 12, paragrafo 1).
Inoltre, gli Stati membri devono predisporre meccanismi volti ad agevolare le denunce da parte dei cittadini di paesi terzi; in caso di assunzione di minori e di condizioni di particolare sfruttamento può essere prevista la concessione di permessi di soggiorno di durata limitata (articolo 13).
Gli Stati membri devono infine garantire che siano effettuate ispezioni efficaci e adeguate sul loro territorio, previa identificazione dei settori a più alta incidenza di assunzioni irregolari (articolo 14).
La direttiva 2009/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009 ha operato la rifusione della direttiva 85/611/CEE del Consiglio del 20 dicembre 1985, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative in materia di taluni organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM). Nel fissare le norme applicabili a questi organismi, la direttiva mira a rendere maggiormente efficiente il mercato dei fondi di investimento.
Le norme comunitarie fissano anzitutto le modalità di autorizzazione e gli obblighi relativi agli OICVM (capi II e III della direttiva). Gli OICVM sono autorizzati all’esercizio della propria attività ai sensi delle norme della direttiva stessa e tale autorizzazione vale in tutti gli Stati membri (articolo 5). Essi possono assumere forma contrattuale (fondi comuni di investimento, gestiti dalle società di gestione), statuaria (società di investimento) o di trust (articolo 1, n. 3).
Per quanto concerne l’autorizzazione allo svolgimento dell’attività, l’articolo 7 della direttiva prescrive che la società di gestione abbia determinati requisiti: essi riguardano il capitale (il cui limite minimo di capitale deve essere pari almeno a 125.000 euro), l’onorabilità e l’esperienza dei soggetti che dirigono di fatto la società di gestione, la domanda di autorizzazione (corredata di un programma di attività con un contenuto minimo) e l’ubicazione dell’amministrazione centrale e della sede legale (devono essere situate nello stesso Stato membro).
Viene prevista la possibilità, per una società di gestione, di svolgere la sua attività in una altro Stato membro per mezzo di una succursale o in virtù del principio della libera prestazione di servizi.
Il Capo III, sez. 4 della direttiva 2009/65/CE (articoli da 16 a 21) reca le disposizioni in materia di libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi da parte degli OICVM. Le disposizioni della direttiva stabiliscono quali sono gli obblighi informativi a carico della società di gestione che intende aprire una succursale in uno Stato diverso da quello di origine; disciplinano i flussi informativi tra le Autorità competenti dei diversi Stati membri e gli adempimenti da svolgere per l'inizio dell'attività in uno Stato diverso da quello di origine.
La direttiva reca inoltre la disciplina delle fusioni transfrontaliere e nazionali di OICVM, che devono essere autorizzate dallo Stato membro di origine dell'OICVM oggetto di fusione.
Sono introdotte specifiche norme relative alle cd. strutture master-feeder, in base alle quali un OICVM feeder è un OICVM che investe almeno l'85% del proprio patrimonio in un altro OICVM. Un feeder può detenere fino al 15% del suo patrimonio in liquidità detenute a titolo accessorio, in strumenti finanziari derivati, o in beni mobili e immobili.
Per quanto attiene alla tutela degli investitori e agli obblighi informativi, la direttiva prevede che siano fornite le cd. "informazioni chiave": esse dovranno comprendere, tra l'altro, il tipo di OICVM, i suoi obiettivi e la sua politica di investimento, gli scenari di performance, una valutazione dei rischi e delle possibilità di rendimento. Tali informazioni, contenute in un unico documento, dovranno essere comprensibili agli investitori, senza alcun riferimento ad altri documenti. Oltre al documento sulle informazioni chiave, le società di gestione e le società di investimento dovranno continuare a produrre un prospetto, una relazione semestrale e una relazione annuale per ciascuno dei fondi di investimento che gestiscono.
Infine, la presente direttiva semplifica l'attuale procedura di notifica per gli OICVM che commercializzano le proprie quote in un altro Stato membro.
Il termine per il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri è il 30 giugno 2011
La direttiva 2009/109/CE reca modifiche alle direttive del Consiglio 77/91/CEE, 78/855/CEE e 82/891/CEE e la direttiva 2005/56/CE, con lo scopo di ridurre gli obblighi informativi e documentali a carico delle società coinvolte in processi di fusione e scissione.
Si ricorda che la direttiva 77/91/CEE ha inteso coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie richieste negli Stati Membri alle società per tutelare gli interessi dei soci e dei terzi in relazione alla costituzione della società per azioni, nonché garantire la salvaguardia e le modificazioni del capitale sociale della stessa; la direttiva 78/855/CEE ha dettato norme relative alle fusioni delle società per azioni; la direttiva 82/891/CEE concerne le scissioni di società e, infine, la direttiva 2005/56/CE ha introdotto disposizioni atte a facilitare le fusioni transfrontaliere tra società di capitali.
Come emerge dai considerando, le disposizioni europee mirano (considerando n. 4) a orientare i processi di semplificazione verso l'utilizzo di procedure e strumenti telematici anche per adempiere ad obblighi legali di pubblicità e nelle comunicazioni a soci e azionisti.
Ai predetti scopi di semplificazione, la direttiva in commento consente di effettuare gli adempimenti di pubblicità legale relativi ai progetti di fusione, di scissione e agli altri documenti da rendere disponibili ai soggetti interessati, tramite pubblicazione degli stessi sul web (sito della società medesima ovvero altro sito web designato a tale scopo dagli Stati membri) e l'invio di copia via posta elettronica, purché siano soddisfatte le garanzie di integrità e autenticità dei medesimi atti e documenti (articolo 2, n. 2 e 5; articolo 3, n. 1 e 5; articolo 4, n. 1).
Le norme europee inoltre stabiliscono che le società possano essere esonerate da alcuni obblighi di redazione documentale, previo accordo degli azionisti (articolo 2, n. 4).
Si prevede inoltre la possibilità di omettere la redazione della situazione contabile, ove l’emittente, i cui valori mobiliari siano ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato, pubblichi relazioni semestrali ai sensi delle disposizioni vigenti (articolo 2, n. 5).
Nell'ipotesi di fusione transfrontaliera mediante incorporazione realizzata da una società che detenga una quota pari o superiore al 90 per cento - ma non la totalità - delle quote e degli altri titoli rappresentativi del capitale sociale che conferiscono diritti di voto nell’assemblea generale della società o delle società incorporate, le relazioni di uno o più esperti indipendenti, nonché i documenti necessari per il controllo, sono richiesti soltanto se espressamente previsto dalla legislazione nazionale cui è soggetta la società incorporante o la società incorporata, conformemente a quanto previsto dalla direttiva 78/855/CEE (articolo 2, punto 10).
Gli Stati membri sono chiamati ad adottare entro il 30 giugno 2011 le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per il recepimento.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
Il 29 gennaio 2008 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva (COM(2008)26) volta a codificare la terza direttiva 78/855/CEE relativa alle fusioni delle società per azioni.
Al fine di tenere conto delle modifiche prospettate alla proposta iniziale durante l’iter legislativo, il 30 agosto 2010 la Commissione ha presentato una proposta modificata (COM(2010)391) che riguarda:
· l’esenzione per le società partecipanti alla fusione dall’obbligo di pubblicare gli atti e le indicazioni soggetti a pubblicità se, per un periodo continuativo che inizia un mese prima del giorno fissato per l’assemblea generale in cui sarà stabilito il progetto di fusione e termina non prima della conclusione di detta assemblea, tali società pubblicano il progetto di fusione nel proprio sito web, tramite la piattaforma elettronica centrale o in qualsiasi altro sito web designato a tale scopo;
· l’obbligo per gli organi amministrativi o di direzione di ciascuna delle società partecipanti alla fusione di redigere una relazione scritta particolareggiata che illustra e giustifica, sotto il profilo giuridico ed economico, il progetto di fusione e, in particolare, il rapporto di cambio delle azioni;
· l’obbligo per gli organi di direzione o di amministrazione delle società interessate di informare le proprie assemblee generali in merito ad ogni modifica importante del patrimonio attivo e passivo intervenuta tra la data di elaborazione del progetto di fusione e la data delle assemblee generali che devono deliberare su tale progetto. Tali informazioni possono non essere richieste qualora tutti gli azionisti e i detentori di altri titoli con diritto di voto di ciascuna delle società partecipanti alla fusione abbiano espresso il loro accordo;
· la possibilità di non richiedere una situazione contabile se la società pubblica una relazione finanziaria semestrale e la mette a disposizione degli azionisti o se hanno espresso il loro accordo a rinunciarvi tutti gli azionisti e i detentori di altri titoli con diritto di voto di ciascuna delle società partecipanti alla fusione;
· il diritto dei creditori di ottenere adeguate garanzie, qualora le situazioni finanziarie della società scissa e della società cui sarà trasferito l’obbligo conformemente al progetto di scissione lo richiedano. A tal fine i creditori potranno rivolgersi all’autorità amministrativa o giudiziaria competente a condizione che possano dimostrare che la scissione compromette i loro crediti e che la società non ha fornito loro adeguate garanzie;
· l’obbligo per gli Stati membri di disciplinare a favore delle società soggette alla loro legislazione l'operazione con la quale una o più società si sciolgono senza liquidazione e trasferiscono l'intero patrimonio attivo e passivo a un'altra società che sia titolare di tutte le loro azioni e di tutti gli altri titoli che conferiscono un diritto di voto all'assemblea generale;
· nel caso di fusione mediante l'incorporazione di una o più società da parte di un'altra società che è titolare del 90 % o più, ma non della totalità, delle loro azioni rispettive e degli altri titoli che conferiscono diritto di voto nell'assemblea generale, gli Stati membri possono non imporre l'approvazione della fusione da parte dell'assemblea generale della società incorporante, se sussistono almeno le condizioni seguenti:
- il progetto di fusione è reso pubblico per la società incorporante almeno un mese prima della data della riunione dell'assemblea generale della o delle società incorporate che deve deliberare sul progetto di fusione;
- almeno un mese prima della data sopra indicata, ogni azionista della società incorporante è legittimato a prendere visione, presso la sede legale di questa società, del progetto di fusione, dei conti annuali,nonché delle relazioni di gestione degli ultimi tre esercizi delle società partecipanti alla fusione, e se necessario di una situazione contabile riferita a una data che non deve essere anteriore al primo giorno del terzo mese precedente la data del progetto di fusione - qualora gli ultimi conti annuali si riferiscano ad un esercizio chiuso oltre sei mesi prima di tale data -, delle relazioni degli organi di amministrazione o di direzione delle società partecipanti alla fusione e delle relazioni degli esperti indipendenti sul progetto di fusione destinata agli azionisti;
- uno o più azionisti della società incorporante che dispongono di azioni per una percentuale minima del capitale sottoscritto, che non può essere fissata a più del 5 %, convocano un’assemblea generale della società incorporante che deve deliberare sulla fusione. Gli Stati membri possono prevedere che le azioni senza diritto di voto siano escluse dal calcolo di questa percentuale;
· nel caso di fusione mediante incorporazione, non si applicano gli obblighi riguardanti la presentazione di relazioni dettagliate sul progetto di fusione da parte degli organi di amministrazione e di direzione e di esperti indipendenti, né l’obbligo per ogni azionista della società incorporante di prendere visione dei documenti di cui alla lettera g), punto 2, qualora gli azionisti minoritari della società incorporata esercitino il diritto di fare acquistare, a fronte di un’adeguata contropartita, le loro azioni dalla società incorporante. Tale disposizione non si applica qualora la normativa nazionale consenta alla società incorporante, senza un precedente offerta pubblica di acquisto, di richiedere a tutti i detentori dei rimanenti titoli della società o delle società che saranno acquisite di vendere i titoli in questione prima della fusione a un prezzo equo.
La proposta, che segue la procedura legislativa ordinaria, è stata esaminata in prima lettura dal Parlamento europeo il 18 gennaio 2011 ed è in attesa della prima lettura del Consiglio.
Direttiva 2009/110/CE
(Attività degli istituti di moneta
elettronica)
La direttiva 2009/110/CE reca disposizioni in materia di moneta elettronica, istituti di emissione della stessa e vigilanza prudenziale.
Come emerge dai considerando, le modifiche alle direttive 2005/60/CE e 2006/48/CE sono state rese necessarie, tra l’altro, dall’emanazione della direttiva 2007/64/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno
Le norme europee definiscono (articolo 2, n. 2)) "moneta elettronica" il valore monetario immagazzinato elettronicamente o magneticamente, rappresentato da un credito nei confronti dell'emittente, emesso dietro ricevimento di fondi per effettuare operazioni di pagamento, accettato da persone fisiche e giuridiche diverse dall'emittente. Non rientra in questa definizione il valore monetario immagazzinato in strumenti utilizzati per acquistare beni o servizi nella stessa sede dell'emittente o in base a un accordo commerciale con l'emittente (articolo 3, lettera k) della citata direttiva 2007/64/CE in materia di servizi di pagamento; si citano, a titolo di esempio, le tessere per il carburante, per il trasporto pubblico, i buoni pasto)
Viene altresì definito “istituto di moneta elettronica" (articolo 2, n. 1) lai persona giuridica autorizzata ad emettere moneta elettronica. La direttiva contempla anche altri emittenti di moneta elettronica cui si applicano le norme in essa contenuta (ai sensi dell'articolo 1, n. 1: enti creditizi, uffici postali autorizzati a norma del diritto nazionale, la Banca centrale europea e le banche centrali nazionali, gli Stati membri o le loro autorità regionali e locali che agiscano in veste pubblica).
Il Titolo II della direttiva sancisce le condizioni per l'avvio, l'esercizio e la vigilanza prudenziale dell'attività degli istituti di moneta elettronica. In particolare, si stabilisce una misura minima di capitale iniziale pari ad almeno 350 mila euro (articolo 4) e sono recate misure volte a determinare l'ammontare ed il calcolo dei fondi propri (articolo 5). Gli istituti di moneta elettronica dovranno tutelare i fondi ricevuti e tale protezione dovrà essere effettiva al più tardi entro cinque giornate operative dopo l'emissione di moneta elettronica.
Ai sensi dell'articolo 6, gli istituti possono svolgere anche attività ulteriori (quali la prestazione dei servizi di pagamento e la concessione di crediti connessi a servizi di pagamento, la prestazione di servizi operativi e di servizi accessori strettamente connessi all’emissione di moneta elettronica e le attività diverse dall’emissione di moneta elettronica, nel rispetto del diritto comunitario e del diritto nazionale applicabile).
Il Titolo III della direttiva concerne l'emissione e la rimborsabilità. Si impone agli Stati membri l'obbligo di assicurare che gli istituti emettano moneta elettronica al valore nominale dietro ricevimento di fondi, vietando la concessione di interessi o altro beneficio legato alla durata di detenzione della moneta elettronica sancite dalla direttiva; inoltre, su richiesta del detentore, gli istituti dovranno rimborsare, in qualsiasi momento e al valore nominale, il valore della moneta elettronica detenuta secondo le condizioni stabilite nel contratto tra l'emittente e il detentore (articolo 11 e 12). Il rimborso può essere soggetto al pagamento di una commissione se il contratto lo prevede e solo in alcuni casi: se è richiesto prima della scadenza del contratto; se il detentore recede dal contratto prima della scadenza dello stesso o se è richiesto più di un anno dopo la data di scadenza del contratto.
Infine, la direttiva introduce norme per le procedure di reclamo e di ricorso extragiudiziali (articolo 13).
Il termine indicato per il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri è il 30 aprile 2011.
L'obiettivo della presente direttiva consiste nell'adeguamento al progresso scientifico e tecnologico delle norme mediche relative ai requisiti minimi per l'idoneità fisica e mentale alla guida di veicoli a motore, così come previste dall'allegato III della direttiva 2006/126/CE. L'opportunità di un tale adattamento delle norme comunitarie è peraltro già contemplato dall'articolo 8, paragrafo 1 della direttiva del 2006. Questa direttiva prevede anche la possibilità per gli Stati membri di imporre norme più severe dei requisiti minimi europei (art. 5), rendendo così possibile l'esistenza di requisiti in parte difformi fra uno Stato membro e l'altro. E' dunque anche in vista di un’armonizzazione delle norme minime concernenti l'idoneità fisica e mentale per la guida di veicoli a motore che il Consiglio ha inteso modificare la direttiva 2006/126 nella parte che disciplina tali norme.
Gruppi di lavoro appositamente istituiti e composti da specialisti nominati dagli Stati membri hanno consigliato di prendere maggiormente in considerazione le menomazioni del campo visivo, il diabete e l'epilessia come patologie mediche che possono incidere sull'idoneità alla guida. Sulla base delle relazioni degli specialisti è stato predisposto l'aggiornamento dell'allegato III della direttiva 2006/126, che è anche conforme al parere del Comitato per le patenti di guida.
La presente direttiva sostituisce i punti 6, sulla vista, 10, sul diabete mellito, 12, sull'epilessia, dell'allegato III della direttiva 2006/126, con altrettanti punti aggiornati, ognuno diviso in misure diverse a seconda del tipo di patente di guida del conducente, come specificato al punto 1 dello stesso allegato. Le misure previste vanno dall'interdizione alla guida ad un rilascio o rinnovo della patente di guida subordinato a valutazioni mediche appropriate, secondo precisi parametri e a scadenza più o meno ravvicinata.
Secondo l'art. 2 della direttiva, gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro un anno dalla sua entrata in vigore, fissata al ventesimo giorno successivo alla pubblicazione (avvenuta il 26 agosto 2009). Il termine per il recepimento è quindi scaduto il 15 settembre scorso. Ai fini dell'esercizio della delega, si applica il termine di cui all'articolo 1, comma 1, secondo periodo, del disegno di legge (tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge comunitaria).
Si segnala che è in corso il recepimento della presente direttiva 2009/113/CE da parte dello schema di decreto legislativo n. 323, recante attuazione della direttiva 2006/126/CE. Il citato schema è all’esame delle competenti Commissioni parlamentari per il prescritto parere, che dovrà essere espresso entro il 27 febbraio 2011.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
Specifici orientamenti in materia di patenti di guida sono contenuti nel nuovo piano di azione sulla sicurezza stradale “Verso uno spazio europeo della sicurezza stradale: orientamenti 2011-2020 per la sicurezza stradale” (COM(2010)389), presentato dalla Commissione il 20 luglio 2010. Le misure prospettate sono destinate a favorire il perseguimento dell’obiettivo di dimezzare entro il 2020, rispetto al 2010, il numero delle vittime della strada nell’UE e a realizzare uno spazio comune della sicurezza stradale.
Le possibili azioni, da adottare anche nell’ambito di una strategia comune di educazione e formazione che la Commissione intende elaborare in cooperazione con gli Stati membri, potrebbero riguardare:
· la preparazione prima dell’esame di guida basata su esercitazioni pratiche. Tra le possibili opzioni l’inserimento della guida accompagnata nella preparazione in vista del conseguimento della patente e l’introduzione di requisiti minimi armonizzati per le persone che partecipano alla formazione, quali accompagnatori ed istruttori;
· l’esame per il conseguimento della patente non dovrà semplicemente valutare la conoscenza delle norme del codice della strada o la capacità di eseguire manovre, ma anche prendere in considerazione competenze di guida più estese nonché valori e comportamenti legati alla sicurezza stradale quali la consapevolezza del rischio e la guida difensiva o finalizzata alla riduzione dei consumi di carburante;
· la formazione continua successiva al conseguimento della patente per i conducenti non professionisti, soprattutto in considerazione dell’invecchiamento della popolazione europea, al fine di mantenere l'attitudine alla guida negli anziani.
Procedure di contenzioso
La Commissione ha inviato all’Italia:
· una lettera di messa in mora (procedura n. 2010/812) per non avere comunicato le misure di recepimento della direttiva 2009/113/CE che modifica la direttiva 2006/126/CE relativa alla patente di guida. Il termine di recepimento era il 26 agosto 2010. Il recepimento della direttiva 2009/113/CE è oggetto dello schema di decreto legislativo n. 323 attualmente all’esame delle commissioni Trasporti, Politiche dell’Unione europea e bilancio della Camera;
· una lettera di messa in mora (procedura n. 2010/811) per non avere comunicato le misure di recepimento della direttiva 2009/112/CE recante modifica della direttiva 91/439/CEE concernente la patente di guida. Il termine di recepimento era il 26 agosto 2010.
La direttiva stabilisce misure intesea ridurre la quantità di vapori di benzina che fuoriescono dal serbatoio dei veicoli a motore durante il rifornimento nelle stazioni di servizio (art. 1).
Già la direttiva 94/63/CE relativa al controllo delle emissioni di composti organici volatili (COV) derivanti dal deposito della benzina e dalla sua distribuzione dai terminali alle stazioni di servizio ha disposto misure finalizzate al recupero dei vapori di benzina emessi dal deposito e dalla distribuzione della benzina fra i terminal petroliferi e le stazioni di servizio (la cosiddetta "fase I" del recupero dei vapori di benzina).
La nuova direttiva avvia, pertanto, la fase II del recupero dei vapori di benzina, cd. «PVR – phase II» (Petrol Vapour Recovery), disponendo l'utilizzo di una idonea attrezzatura volta a recuperare i vapori di benzina da parte dei distributori delle stazioni di servizio.
Le stazioni di servizio
L'articolo 3 stabilisce che gli Stati membri dovranno assicurare che le nuove stazioni di servizio o quelle esistenti oggetto di una ristrutturazione completa, siano equipaggiate con il sistema della fase II del recupero dei vapori di benzina il cui flusso effettivo/previsto è superiore a 500 m3 all’anno, o se quello effettivo/previsto è superiore a 100 m3 all’anno se sono situate in edifici utilizzati in modo permanente come luoghi di residenza o di lavoro.
Le stazioni di servizio esistenti più grandi, il cui flusso è superiore a 3.000 m3 all’anno, dovranno applicare i sistemi della fase II entro il 2018.
Sono, invece, escluse dall'obbligo le stazioni di servizio utilizzate esclusivamente in associazione alla produzione e alla consegna di nuovi veicoli a motore.
Nel considerando n. 9 si sottolinea che per le stazioni di servizio esistenti è preferibile installare attrezzature di recupero dei vapori di benzina in caso di ristrutturazioni complete del sistema di alimentazione, poiché ciò ridurrebbe notevolmente il costo dei necessari adeguamenti, mentre per le nuove stazioni le installazioni potrebbero essere immediate inserendole già in fase di progettazione/costruzione della stazione di servizio. Infine, per le stazioni di servizio di dimensioni maggiori viene auspicata una loro più rapida installazione a causa delle maggiori emissioni prodotte.
Livello minimo di recupero dei vapori di benzina
Ai sensi dell’art. 4 della direttiva, i sistemi della fase II di cui saranno equipaggiati i distributori di benzina delle stazioni di servizio dovranno catturare almeno l'85 % dei vapori di benzina. L’efficienza della cattura dei vapori di benzina di tali sistemi dovrà essere certificata dal costruttore conformemente alle pertinenti norme tecniche o secondo le relative procedure di omologazione europee o, in mancanza di tali norme o procedure, di qualsiasi norma nazionale.
I sistemi della fase II aspirano i vapori di benzina che vengono quindi trasferiti in una cisterna di stoccaggio nella stazione di servizio.
I controlli periodici e informativa per il consumatore
Ai sensi dell’art. 5, l'efficienza della cattura dei vapori di benzina dei sistemi della fase II del recupero dei vapori di benzina dovrà essere verificata almeno una volta l’anno, controllando che il rapporto vapori/benzina, in condizioni di simulazione di flusso di benzina, rispetti le disposizioni già definite, o utilizzando qualsiasi altro metodo adeguato.
In caso di installazione di un sistema di controllo automatico, l'efficienza della cattura sarà verificata almeno una volta ogni tre anni.
Qualora le verifiche rivelassero un guasto, il gestore della stazione di servizio dovrà ripararlo entro sette giorni.
L'art. 5 stabilisce inoltre l'obbligo per le stazioni di servizio che abbiano installato un sistema della fase II del recupero dei vapori di benzina di informarne i consumatori, attraverso l'esposizione di un cartello, un adesivo o qualsiasi altra forma di notifica, posti sul distributore di benzina o nelle immediate vicinanze.
Le sanzioni
Gli Stati membri dovranno infine determinare le relative sanzioni che dovranno essere efficaci, proporzionate e dissuasive, nonché definire le misure necessarie per assicurarne l’applicazione (art. 6).
Riesame e adeguamenti tecnici
La Commissione riesamina, entro il 31 dicembre 2014, l'attuazione della direttiva e, se necessario, ai fini della coerenza con le pertinenti norme elaborate dal comitato europeo di normalizzazione (CEN), può adattare al progresso tecnico alcune disposizioni della direttiva (artt. 7 e 8).
Termine per il recepimento
Gli Stati membri dovranno recepire la direttiva entro il 1° gennaio 2012 (art. 10).
Direttiva 2009/127/CE
(Macchine per l’applicazione di pesticidi)
La direttiva 2009/127/CE, che integra la direttiva 2006/42/CE[101] e già ridenominata "nuova direttiva macchine", è volta alla determinazione dei requisiti essenziali di sicurezza e di tutela della salute che devono essere rispettati nella progettazione e nella fabbricazione delle macchine per l'applicazione di pesticidi, al fine di migliorarne il livello di sicurezza.
Nel secondo considerando della direttiva si evidenzia, infatti, come la progettazione, la costruzione e la manutenzione delle macchine utilizzate per l'applicazione dei pesticidi svolgano un ruolo significativo ai fini della riduzione degli effetti nocivi dei pesticidi per la salute umana e l'ambiente.
La nuova direttiva stabilisce, pertanto, i requisiti essenziali di protezione dell’ambiente applicabili alla progettazione e alla costruzione di nuove macchine per l’applicazione di pesticidi, assicurando che essi siano coerenti con quelli della direttiva quadro in materia di manutenzione e ispezione delle macchine.
In particolare viene aggiunta una nuova sezione al capitolo 2 dell’allegato I della direttiva 2006/42/CE relativa alle macchine per l'applicazione di pesticidi introducendo la relativa definizione, il comando e controllo, il riempimento e lo svuotamento, l’applicazione, la distribuzione e la dispersione di pesticidi, la manutenzione, il lavaggio, le riparazioni e le ispezioni. Vengono inoltre inserite norme relative alle condizioni dettagliate d’uso per i diversi ambienti operativi previsti, comprese le corrispondenti regolazioni richieste per assicurare la deposizione dei pesticidi nelle zone bersaglio, riducendo al minimo le perdite nelle altre zone, nonché la frequenza dei controlli e i criteri e i metodi per la sostituzione delle parti soggette a usura che influiscono sul corretto funzionamento della macchina. Le macchine per l’applicazione dei pesticidi devono, infine, essere progettate e costruite tenendo in considerazione i risultati della valutazione dei rischi in modo da poter essere utilizzate, regolate e sottoposte a manutenzione senza causare un’esposizione non intenzionale dell’ambiente ai pesticidi.
Gli Stati membri devono adottare le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva entro il 15 giugno 2011 e applicano tali disposizioni a decorrere dal 15 dicembre 2011.
La direttiva 2009/128/CE istituisce un quadro per realizzare un uso sostenibile dei pesticidi riducendone i rischi e gli impatti sulla salute umana e sull'ambiente e promuovendo l'uso della difesa integrata e di approcci o tecniche alternativi, quali le alternative non chimiche ai pesticidi.
L'Unione Europea con questa Direttiva per la prima volta interviene a regolamentare con una normativa specifica la fase dell'impiego dei prodotti fitosanitari, "al fine di ridurre la dipendenza dall'utilizzo dei pesticidi". La riduzione del rischio per la salute umana e per l'ambiente si persegue in questo caso attraverso un quadro di azioni per l'impiego sostenibile dei prodotti fitosanitari, lo sviluppo delle tecniche di agricoltura integrata e di approcci e tecniche alternative a quella tradizionale.
Gli Stati membri dovranno recepire questa direttiva e mettere in vigore le disposizioni legislative necessarie, ovvero i Piani d'azione nazionale (PAN), entro il 2014.
I piani d'azione devono prevedere le misure e i tempi per ridurre i rischi legati all'utilizzo dei pesticidi sulla salute umana e sull'ambiente, prevedere l'introduzione della difesa integrata e biologica per ridurre anche l'utilizzo di tali prodotti, e incoraggiare lo sviluppo di tecniche non chimiche di difesa delle colture. Dal 2014 gli utilizzatori di prodotti fitosanitari dovranno adottare i principi della difesa integrata delle colture.
Il PAN stabilisce due livelli di adeguamento rispetto alla Direttiva, uno definito IPM "base" e l'altro "avanzato". L'adesione all'IPM avanzata prevederà il rispetto delle Norme Tecniche regionali, valutate dal Comitato nazionale per la difesa integrata.
Per quanto riguarda il programma "IPM base" le aziende avranno a loro disposizione dei documenti di indirizzo al fine di attuare i principi della difesa integrata. I documenti di indirizzo principali saranno rappresentati da:
- Linee guida nazionali di difesa integrata;
-Manuale sulle tecniche della difesa integrata e controllo integrato delle infestanti;
-Manuale sulle tecniche di agricoltura biologica.
Entro il 2014 gli stati membri dovranno aver stabilito le condizioni necessarie per assicurare l'applicazione obbligatoria, da parte degli utilizzatori di prodotti fitosanitari, dei principi di difesa integrata.
Entro il 2016 tutte le attrezzature irroratrici dei prodotti fitosanitari devono essere ispezionate almeno una volta, e con il sistema a regime, il primo controllo deve essere eseguito entro 5 anni dall'acquisto del nuovo, con controlli successivi ogni 3 anni. In Italia l'ENAMA (Ente Nazionale di Meccanizzazione Agraria) metterà a punto i protocolli per l'esecuzione di questi controlli.
Gli ulteriori elementi introdotti dalla Direttiva n. 128 sono:
- obbligo di sottoporre ad ispezione le attrezzature per la distribuzione dei pesticidi;
- adozione di provvedimenti che assicurino un maggiore rispetto dell'ambiente e della salute anche durante le operazioni di manipolazione, stoccaggio, smaltimento delle confezioni e degli imballaggi dei prodotti fitosanitari;
- adozioni di provvedimenti orientati alla tutela dell'ambiente acquatico e delle fonti di approvvigionamento di acqua potabile;
- divieto di irrogazione aerea (saranno previste deroghe per casi circoscritti e giustificati);
- informazione e sensibilizzazione degli utilizzatori professionali e non, a ai consumatori anche attraverso siti web.
Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 14 dicembre 2011.
La direttiva in esame apporta modifiche alle direttive 2002/22/CE (servizio universale) e alla direttiva 2002/58/CE (vita privata e comunicazioni elettroniche) che fanno parte di un 'pacchetto' normativo di cinque direttive sulle comunicazioni elettroniche approvato nel 2002. Questo pacchetto è sottoposto ad un riesame periodico al fine di determinare se siano necessarie modifiche in funzione del progresso tecnico e dell'evoluzione dei mercati. La direttiva in esame ha l'obiettivo di aggiornare il quadro normativo per le comunicazioni elettroniche in Europa, rafforzando determinati diritti dei consumatori e degli utenti e garantendo che le comunicazioni elettroniche siano affidabili, sicure e attendibili ed assicurino un livello elevato di tutela della vita privata e dei dati di carattere personale.
La direttiva 2009/136/CE consiste di quattro articoli: il primo riguarda le modifiche alla direttiva 2002/22/CE, il secondo contiene le modifiche alla direttiva 2002/58/CE, il terzo articolo modifica il regolamento (CE) 2006/2004 sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa che tutela i consumatori (aggiungendo la direttiva 2002/58/CE nell'elenco che compare nell'allegato del regolamento, tra le direttive che contengono norme sulla protezione degli interessi dei consumatori). Il quarto ed ultimo articolo riguarda il recepimento della direttiva stessa, il cui termine è fissato al 25 maggio 2011.
Per quanto riguarda le modifiche alla direttiva 2002/22/CE, allo scopo di migliorare la trasparenza e la pubblicazione delle informazioni destinate agli utenti, si interviene per accrescere la trasparenza dei prezzi a vantaggio dei consumatori imponendo agli operatori l'obbligo di pubblicare informazioni comparabili, adeguate ed aggiornate e in forma facilmente accessibile, permettendo ai terzi di utilizzare le tariffe pubblicate ed imponendo alle autorità nazionali di regolamentazione l'obbligo di rendere queste guide disponibili. Le Autorità nazionali di regolamentazione hanno la competenza di esigere dagli operatori una migliore trasparenza tariffaria, nonché informazioni chiare sulle eventuali restrizioni dell'accesso a contenuti ed applicazioni.
Gli Stati membri provvedono affinché qualsiasi richiesta ragionevole di connessione in postazione fissa a una rete di comunicazione pubblica sia soddisfatta quantomeno da un'impresa, e sia in grado di supportare trasmissioni vocali, facsimile e dati a una velocità che consenta l'accesso efficace a internet, tenendo conto delle tecnologie disponibili. Gli Stati membri devono provvedere affinché sia comunque garantita l'accessibilità a postazioni di telefonia fissa per soddisfare le esigenze degli utenti finali.
Allo scopo di facilitare l'utilizzo e l'accesso alle comunicazioni elettroniche da parte degli utenti disabili, la prevista facoltà concessa agli stati membri di adottare misure specifiche viene ora trasformata in obbligo. Le Autorità nazionali di regolamentazione possono esigere che gli operatori pubblichino informazioni destinate agli utenti finali sulla qualità dei servizi offerti anche per gli utenti disabili. Inoltre gli Stati membri hanno l'obbligo di garantire che gli utenti disabili possano accedere ai servizi di emergenza.
Gli Stati membri, nell'ambito dell'attività di sorveglianza dell'evoluzione delle tariffe, possono prescrivere che le imprese designate propongano ai consumatori formule tariffarie per garantire che i consumatori a basso reddito o con esigenze sociali particolari non siano esclusi dall'accesso alla rete.
Le Autorità nazionali di regolamentazione devono fissare obiettivi qualitativi per le imprese assoggettate ad obblighi di servizio universale, e quelle che detengono un rilevante potere di mercato sono sottoposte ad obblighi normativi fissati dalle stesse Autorità nazionali di regolamentazione. Gli Stati membri devono garantire ai consumatori la libertà di scegliere l'operatore che fornisce la connessione di rete, sottoscrivendo contratti chiari, dettagliati e facilmente comprensibili. Viene inoltre introdotta una disposizione che garantisce agli utenti disabili la scelta e l'accesso ai servizi di comunicazione a condizioni equivalenti a quelle della maggior parte degli utenti finali.
Viene modificato l'articolo relativo ai servizi di emergenza e al numero di emergenza unico europeo "112". Gli Stati membri devono provvedere affinché l'accesso a tale numero unico sia garantito da tutti gli operatori e dalle imprese che forniscono servizi di comunicazione elettronica e si obbligano altresì a informare i cittadini in merito all'esistenza e all'uso di tale numero. Viene inoltre introdotto un articolo relativo ai numeri armonizzati destinati a servizi di valenza sociale "116" con le relative disposizioni per gli Stati membri affinché provvedano all'attivazione e diffusione delle informazioni su tali servizi.
In merito all'accesso ai numeri e ai servizi, gli Stati membri devono provvedere, tramite le pertinenti autorità, affinché - ove ciò sia tecnicamente ed economicamente fattibile e salvo che gli utenti interessati abbiano scelto diversamente - gli utenti finali siano in grado di accedere e utilizzare i numeri dei servizi di telefonia mobile e i numeri di chiamata gratuita all'interno della Comunità.
Gli Stati membri provvedono affinché tutti gli abbonati che ne facciano richiesta possano conservare il loro numero o i loro numeri, indipendentemente dall'impresa fornitrice del servizio, senza che siano applicate tariffe distorsive della concorrenza. Il trasferimento dei numeri e la loro attivazione devono essere effettuati nel più breve tempo possibile, le Autorità nazionali di regolamentazione possono stabilire il processo globale della portabilità del numero tenendo conto delle disposizioni nazionali in materia dei contratti e della fattibilità tecnica, ma senza che l'interruzione del servizio durante le operazioni di trasferimento ecceda il giorno lavorativo.
Gli Stati membri provvedono a garantire procedure extragiudiziali trasparenti, non discriminatorie, semplici e poco costose per l'esame delle controversie tra i consumatori e le imprese che forniscono reti e servizi di comunicazione elettronica.
Per quanto riguarda la parte relativa alle modifiche apportate alla direttiva 2002/58/CE (vita privata e comunicazioni elettroniche), si ribadisce lo scopo della norma comunitaria, che mira ad assicurare un livello equivalente di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, in particolare con riferimento alla vita privata e alla riservatezza, con riguardo al trattamento dei dati personali nel settore delle comunicazioni elettroniche. La direttiva si applica al trattamento dei dati personali connesso alla fornitura di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico su reti di comunicazioni pubbliche nella Comunità, e riguarda la sicurezza del trattamento (i dati personali devono essere accessibili solo a personale autorizzato per fini legalmente autorizzati), la tutela dei dati personali archiviati, gli obblighi del fornitore di servizi di comunicare alle persone interessate ogni violazione, anche accidentale, dei dati personali.
Per quanto concerne le comunicazioni indesiderate, l'uso di sistemi automatizzati di chiamata o di posta elettronica al fine di commercializzazione diretta è consentito solo nei confronti degli abbonati o degli utenti che abbiano manifestato preliminarmente il loro consenso.
Gli Stati membri determinano le sanzioni, eventualmente anche penali, da irrogare in caso di violazione delle norme nazionali di attuazione della direttiva, provvedono affinché l'Autorità nazionale competente disponga delle risorse e delle competenze necessarie per applicare e controllare l'attuazione della direttiva e fanno in modo che le Autorità nazionali adottino misure volte ad assicurare un'efficace collaborazione trasfrontaliera nell'applicazione delle norme nazionali in attuazione della normativa europea.
La direttiva n. 140 del 2009 reca modifiche a tre direttive del cosiddetto "Pacchetto telecom" recante la disciplina del settore delle comunicazioni elettroniche. In particolare sono oggetto di modifica la direttiva quadro per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (2002/21/CE), la "direttiva accesso" (n. 2002/19/CE) e la "direttiva autorizzazioni" (2002/20/CE). Il termine di recepimento è fissato al 25 maggio 2011.
L'articolo 1 della direttiva n. 140 introduce modifiche alla direttiva quadro n. 2002/21. La direttiva reca le definizioni di base del settore delle comunicazioni elettroniche; detta disposizioni sulle autorità nazionali di regolamentazione; introduce la nozione di potere di mercato e detta regole per la concessione di alcune risorse indispensabili come le radiofrequenze, i numeri o i diritti di passaggio. In relazione al campo di applicazione della direttiva, si ricorda che esso si estende a tutte le reti e i servizi di comunicazione elettroniche, comprendendo la telefonia vocale fissa, le comunicazioni mobili a larga banda, nonché la televisione via cavo e satellitare. I contenuti di servizi forniti sulle reti di comunicazione elettronica, come i contenuti trasmessi via radio o i servizi finanziari, ne sono invece esclusi. Lo stesso vale per le apparecchiature terminali di telecomunicazioni per rendere più agevole l’accesso agli utenti disabili. A tale proposito si osserva che la definizione della disciplina relativa a tali apparecchiature è stata inserita tra le finalità della direttiva quadro con le modifiche introdotte dalla direttiva n. 140. Inoltre, sempre in virtù della novella della direttiva in commento, il nuovo par. 3-bis stabilisce che tutti i provvedimenti adottati dagli Stati membri riguardanti accesso ed uso delle reti da parte di utenti finali "devono rispettare i diritti e le libertà fondamentali" come fissati dalla Convenzione europea sui diritti dell'uomo e dai principi generali del diritto comunitario. La direttiva n. 140 modifica, poi, talune definizioni della direttiva quadro e ne inserisce di nuove.
La direttiva n. 140 incide anche sulla disciplina relativa alla autorità nazionali di regolamentazione (ANR). Le ANR si configurano quali organismi indipendenti, giuridicamente distinte e funzionalmente autonome da tutti gli organismi che forniscono reti, apparecchiature o servizi di comunicazione elettronica. Ai principi di imparzialità e trasparenza cui deve conformarsi l'azione delle ANR, la nuovaformulazione del par. 3 dell'articolo 3 della direttiva quadro aggiunge il riferimento alla tempestività degli interventi e l'obbligo in capo agli Stati membri di assicurare sufficienti risorse umane e finanziarie alle stesse ANR. Il nuovo par. 3-bis stabilisce inoltre che le ANR, responsabili della regolamentazione ex ante dei mercati, non devono accettare istruzioni da nessun altro organismo. I nuovi par. 3-ter e 3-quater stabiliscono che le ANR collaborino con il BEREC, l’Organismo dei regolatori europei delle comunicazioni elettroniche istituito dal Regolamento (CE) n. 1211/2009, tenendo conto dei pareri e delle posizioni da questa assunti.
L'articolo 4 della direttiva quadro è finalizzato ad assicurare meccanismi nazionali efficienti per ricorrere contro una decisione dell'ANR dinanzi ad un organo indipendente. In seguito a modifica introdotta dalla direttiva n. 140, gli Stati membri forniscono le informazioni sul ricorso alla Commissione e al BEREC. Sono inoltre introdotte modifiche all'articolo 5, relativo agli obblighi di comunicazione di informazioni alle ANR da parte delle imprese che forniscono reti e servizi di comunicazione elettronica, e all'articolo 6, relativo ai meccanismi di consultazione e trasparenza in occasione dell'adozione di provvedimenti che abbiano un impatto rilevante nel settore. All'articolo 7, relativo al consolidamento del mercato interno delle comunicazioni elettroniche, sono aggiunti due articoli: gli articoli 7-bis e 7-ter, che fissano la procedura per l'adozione di talune misure correttive adottate dalle ANR e recano disposizioni di attuazione relative alle stesse.
L'articolo 8 della direttiva quadro reca gli obiettivi e i principi dell'attività delle autorità nazionali che possono essere ricondotti alla promozione della concorrenza nella fornitura delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica, allo sviluppo del mercato interno, alla promozione degli interessi dei cittadini europei. Il nuovo par. 5 dell'articolo 8 specifica che nel perseguire gli obiettivi così delineati, le autorità applichino principi regolamentari obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati.
Ai sensi del nuovo articolo 8-bis, gli Stati membri collaborano fra loro e con la Commissione per attuare la pianificazione strategica, il coordinamento e l’armonizzazione dello spettro radio nell’Unione europea.
L'articolo 9 prevede che le autorità nazionali di regolamentazione provvedono alla gestione delle radiofrequenze nel rispetto di criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati. Le imprese che intendono trasferire i diritti di uso delle radiofrequenze devono notificare tale intenzione alle autorità nazionali che vigilano affinché tali operazioni non ostacolino la libera concorrenza. La regola generale secondo la quale nelle bande di frequenze dichiarate disponibili possano essere utilizzati tutti i tipi di tecnologie e forniti tutti i tipi di servizi può incontrare limitazioni solo in relazioni a gravi motivi quali la protezione della salute pubblica, il mantenimento degli standard tecnici, la promozione della coesione sociale e della diversità culturale e linguistica e del pluralismo, evitare usi inefficienti. Il nuovo articolo 9-bis dispone in ordine ai procedimenti di riesamedelle eventuali limitazioni ai diritti d'uso delle radiofrequenze esistenti e l'articolo 9-ter reca disposizioni sul trasferimento o affitto di diritti individuali d'uso.
L'articolo 10 obbliga gli Stati membri a garantire, attraverso le autorità nazionali, il controllo e l'assegnazione di tutte le risorse nazionali di numerazione e la gestione dei piani nazionali di numerazione. Le autorità nazionali di regolamentazione stabiliscono a tal fine procedure obiettive, trasparenti e non discriminatorie per la concessione dei diritti d’uso.
L'articolo 11 dispone in ordine alla concessione di diritti di passaggio (la possibilità da parte di un'impresa di installare strutture su proprietà pubbliche o private ovvero al di sopra o al di sotto di esse). Nell'esaminare una domanda per la concessione di diritti di passaggio l'autorità competente deve agire in base a procedure trasparenti e pubbliche, nonché "semplici" ed "efficaci", secondo la nuova formulazione introdotta dalla direttiva n. 140, applicate senza discriminazioni né ritardi, entro sei mesi (tale termine è stato inserito con la novella della stessa direttiva n. 140).
L'articolo 12 reca disposizioni relative alla coubicazione e condivisione di elementi della rete e risorse correlate per i fornitori di reti di comunicazione elettronica: si tratta dei casi in cui gli Stati membri possono imporre la condivisione di strutture o proprietà ad un'impresa che gestisce una rete di comunicazione elettronica. Tali decisioni sono connesse a limitazione degli accessi alle strutture dovute ad esigenze di protezione dell'ambiente, della salute o della sicurezza pubbliche o all’impossibilità di riprodurre le infrastrutture. La nuova formulazione introduce ulteriori specificazioni, rispetto alla disciplina previgente, in particolare richiamando il rispetto del principio di proporzionalità e le diverse tipologie di strutture che possono essere interessate dai provvedimenti di cui al presente articolo.
L'articolo 13 della direttiva quadro, in materia di separazione contabile e rendiconti finanziari delle imprese che forniscono reti pubbliche di comunicazione o servizi, non è oggetto di modica.
Dopo l'articolo 13 la direttiva n. 140 inserisce un intero capitolo III-bis, composto da due articoli, dal titolo "Sicurezza e integrità delle reti e dei servizi". Gli Stati membri sono chiamati ad assicurare che le imprese che forniscono reti o servizi adottino misure adeguate, anche preventive, per assicurarne la sicurezza e l'integrità. Ogni violazione della sicurezza o perdita dell’integrità delle reti deve essere comunicata all’autorità nazionale di regolamentazione competente, che a sua volta informa le ANR degli altri Stati membri e l'ENISA, l'Agenzia europea per la sicurezza delle reti e dell'informazione. Le ANR, inoltre, devono avere la possibilità di impartire istruzioni vincolanti alle imprese e di disporre di poteri di indagine ai fini della sicurezza e dell'integrità delle reti e dei servizi. Le imprese, inoltre, devono fornire all'autorità tutte le informazioni necessarie a tali fini e hanno obbligo di sottostare ad una verifica sulla sicurezza effettuata da un organismo indipendente e qualificato.
La direttiva n. 140 introduce, poi, alcune modifiche alle disposizioni contenute nel Capo IV ("Disposizioni comuni"). La definizione di impresa che dispone di un significativo potere di mercato, cioè le imprese che godono di una posizione tale da consentirle di comportarsi in modo indipendente dai concorrenti, dai clienti e, in definitiva, dai consumatori, rimane nella sostanza immutata rispetto alla formulazione previgente. Modifiche sono introdotte alla disciplina relativa alle procedure per la individuazione e definizione dei mercati e per l'analisi degli stessi. A tale proposito si ricorda che la Commissione europea è incaricata di adottare una raccomandazione avente ad oggetto i mercati rilevanti dei servizi e dei prodotti, tenendo conto del parere del BEREC. Questa raccomandazione mira ad individuare i mercati le cui caratteristiche sono tali da giustificare l'imposizione di obblighi di regolamentazione stabiliti dalle direttive particolari (cioè le altre direttive del "Pacchetto telecom"). Inoltre, le autorità nazionali di regolamentazione effettuano un'analisi dei mercati rilevanti tenendo conto degli orientamenti definiti dalla Commissione. Quando l'autorità nazionale di regolamentazione accerta che un mercato non è realmente concorrenziale, individua le imprese che dispongono di un significativo potere di mercato e impone loro gli appropriati obblighi di regolamentazione. Ai fini della "normalizzazione" del settore, la Commissione pubblica un elenco di norme non obbligatorie nella Gazzetta ufficiale intese a favorire l'armonizzazione del settore delle comunicazioni elettroniche.
L'articolo 18, sull'interoperabilità dei servizi di televisione interattiva digitale, reca norme finalizzate ad incoraggiare i fornitori di servizi di televisione digitale interattiva ad utilizzare un'interfaccia di programmi d'applicazione (API) aperta e, conseguentemente, i fornitori delle apparecchiature digitali televisive ad applicare un'API aperta. Si ricorda che la sigla "API" (Application Programme Interface) designa un'interfaccia software tra le applicazioni e le risorse delle apparecchiature digitali televisive avanzate per la televisione e i servizi radiofonici digitali.
Riguardo al problema dell'armonizzazione delle norme, la Commissione ha la possibilità di pubblicare una raccomandazione o una decisione con tale finalità, qualora siano state rilevate divergenze nell'applicazione delle presenti disposizioni nei vari Stati membri (art. 19). L'ANR deve garantire la risoluzione delle controversie che è chiamata ad emettere entro un termine di quattro mesi una decisione vincolante. In caso di controversia transfrontaliera le parti possono investire il BEREC che pubblica un parere sulle misure da adottare.
Infine, la direttiva n. 140 sostituisce l'Allegato II sui criteri per accertare l'esistenza di una posizione dominante (l'Allegato I, sulla raccomandazione iniziale della Commissione relativa ai mercati dei prodotti e dei servizi, è oggetto di abrogazione insieme all'articolo 27 sulle disposizioni transitorie). Tra le caratteristiche attestanti l'esistenza di posizione dominante in un mercato, il nuovo allegato II della direttiva enuncia, a titolo esemplificativo, le seguenti: scarsa elasticità della domanda, analoghe quote di mercato, forti ostacoli giuridici o economici alla penetrazione, integrazione verticale con rifiuto collettivo di fornitura, mancanza di un controbilanciante potere contrattuale dell'acquirente, mancanza di potenziale concorrenza.
L'articolo 2 della direttiva in commento novella la direttiva n. 19 del 2002, "direttiva accesso", la quale impone agli Stati membri di garantire che non vi sia alcuna limitazione che possa impedire alle imprese di uno Stato membro o di diversi Stati membri di negoziare accordi di accesso e/o di interconnessione. Inoltre la direttiva prevede che tutti gli operatori di rete hanno il diritto e, se le altre imprese titolari di autorizzazione lo richiedono, l'obbligo di negoziare l'interconnessione reciproca per fornire servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico. La direttiva impone quindi agli operatori obblighi di varia natura: trasparenza (articolo 9); non discriminazione (articolo 10); separazione contabile (articolo 11); obblighi in materia di accesso e uso di determinate risorse di rete, ad esempio quello di concedere l'accesso a terzi determinati elementi o risorse di rete o di negoziare in buona fede e non revocare accessi già concessi (articolo 12); obblighi in materia di controllo dei prezzi o recupero dei costi prevedendo, ad esempio, l'obbligo che i prezzi siano orientati ai costi (articolo 13); obbligo di separazione funzionale (articolo 13). L'articolo 15 prevede che gli obblighi suddetti devono essere pubblicati in forma atta a consentire a tutte le parti interessate di accedervi agevolmente, escludendo comunque la pubblicazione di informazioni riservate o di segreti aziendali.
L'articolo 3 della direttiva n. 140 reca modificazioni alla direttiva n. 20 del 2002, in materia di autorizzazioni. La modifica all'articolo 2 ("Definizioni") ha espunto la nozione di "interferenza dannosa" e mantiene invece sostanzialmente inalterata la definizione di "autorizzazione generale": con essa si intende il quadro normativo istituito dallo Stato membro che stabilisce i diritti alla fornitura di reti o servizi e stabilisce obblighi specifici per il settore, in conformità a quanto stabilito dalla stessa direttiva. Gli Stati membri sono chiamati ad incoraggiare il regime delle autorizzazioni generali. Accanto al regime generale permane comunque la possibilità di concedere diritti individuali d'uso. In relazione ai diritti d'uso delle radiofrequenze e dei numeri, la novella della direttiva n. 140 all'articolo 5 specifica le condizioni che giustificano la concessione dei diritti individuali: evitare interferenze dannose; preservare la qualità tecnica del servizio; assicurare un utilizzo efficiente dello spettro delle radiofrequenze; conseguire obiettivi di interesse generale.
Il testo della direttiva come novellato introduce poi una serie di specificazioni in ordine al contenuto, alla durata, alla titolarità della concessione, nonché a diversi aspetti procedurali che devono essere comunque informati ai principi di apertura, obiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità. Ladirettiva introduce quindi modifiche in relazione all'osservanza delle condizioni contenute nell'autorizzazione generale e dei relativi obblighi, nonché alle informazioni richieste, ulteriormente specificando i poteri di controllo delle autorità nazionale a tale riguardo.
L'articolo 4 della direttiva n. 140 abroga il regolamento (CE) n. 2887/2000 relativo all'accesso disaggregato alla rete locale. L'allegato alla stessa direttiva reca modifiche all'allegato della "direttiva autorizzazioni" contenente l’elenco esaustivo delle condizioni che possono corredare le autorizzazioni generali (parte A), i diritti d’uso delle radiofrequenze (parte B) e i diritti d’uso dei numeri (parte C).
In allegato alla direttiva è inserita la "Dichiarazione della Commissione sulla neutralità della rete".
La direttiva in oggetto provvede alla codificazione della direttiva 90/539/CE del Consiglio, del 15 ottobre 1990, relativa alle norme di polizia sanitaria che disciplinano gli scambi intracomunitari e le importazioni in provenienza dai paesi terzi di pollame e uova di cova, che ha subito numerose e sostanziali modificazioni al fine di garantire chiarezza e razionalizzazione della disciplina.
L'interesse e la necessità nello stabilire a livello comunitario delle norme di polizia sanitaria per la commercializzazione di tali prodotti (volatili e uova destinate all'incubazione) ha come finalità ultima la garanzia di uno sviluppo razionale della produzione di pollame, rientrante nel quadro delle attività agricole come fonte di reddito per parte della popolazione rurale, e l'aumento in tal modo della produttività del settore. Ulteriore finalità nel predisporre una normativa comune applicabile anche alle importazioni in provenienza dai paesi terzi è la riduzione delle disparità di disciplina esistenti negli Stati membri con conseguente miglioramento e sviluppo armonioso degli scambi intracomunitari.
La direttiva in esame stabilisce dei criteri per l'accreditamento degli stabilimenti di produzione volti a garantire la sicurezza sanitaria delle strutture attraverso la predisposizione di controlli restrittivi finalizzati ad evitare rischi di contagio da malattie alle quali il pollame è sensibile. La facoltà di riconoscere e contrassegnare da un numero distintivo e riconoscibile gli stabilimenti che soddisfano le norme tecniche della presente direttiva e di vigilare sul rispetto della loro corretta applicazione è lasciata alle autorità competenti degli Stati membri. Ogni Stato deve redigere e tenere aggiornato un elenco di tali enti riconosciuti e dei loro numeri di registrazione al fine di metterlo a disposizione degli altri Stati e del pubblico. La Commissione si riserva comunque la possibilità di controlli in collaborazione con le competenti autorità statali.
Requisiti di polizia sanitaria sono previsti nello specifico anche per il pollame stesso e le uova sul presupposto che gli stessi prodotti possono essere veicolo principale per la diffusione di malattie contagiose, nonché vengono fissate delle norme anche per il trasporto. A tal proposito possono essere oggetto di scambio solo i volatili e le uova da cova accompagnati da un certificato sanitario rilasciato da un veterinario ufficiale e destinato ad accompagnare i prodotti fino al luogo di destinazione.
Per quanto riguarda le disposizioni comunitarie per la definizione di un regime applicabile alle importazioni provenienti dai paesi terzi, la direttiva delinea la necessità di compilare un elenco di paesi terzi legittimati alle importazioni sulla base di una verifica dello stato sanitario del pollame e degli altri animali, l'organizzazione e i poteri dei servizi veterinari e la normativa sanitaria vigente, escludendo per prevenzione i paesi contaminati o indenni da troppo poco tempo da malattie contagiose del pollame. Anche i prodotti provenienti da paesi terzi devono essere accompagnati da un certificato sanitario conforme ad un determinato modello come garanzia di applicazione e di adeguamento alla normativa comunitaria. Al fine di porre gli Stati membri nelle condizioni di tutelare la salute degli uomini e degli animali, la direttiva consente di adottare tutte le misure appropriate, comprese la macellazione e la distruzione, al momento dell'arrivo del pollame o delle uova sul territorio della Comunità.
Al fine di garantire l'attualità della disciplina, la direttiva obbliga gli Stati destinatari ad un periodico adattamento dei metodi di lotta contro le malattie del pollame in linea con la costante evoluzione delle tecniche avicole.
Essendo una direttiva di codificazione (un atto, cioè, che integra e abroga gli atti oggetto della codificazione, costituiti dalla direttiva 90/539/CEE, modificata dagli atti di cui all’allegato VI), non è previsto un termine di recepimento espresso. Rimangono, tuttavia, fermi i termini di recepimento nel diritto nazionale previsti dall'art. 36 e dall'allegato VI.
La direttiva 2009/162/UE apporta modifiche alla direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, per introdurvi degli adeguamenti, definiti dallo stesso legislatore comunitario di carattere prevalentemente tecnico.
La direttiva è entrata in vigore il 15 gennaio 2010.
Le premessa della direttiva enuncia le finalità e i principali elementi di novità che essa apporta.
Le principali modifiche sono introdotte sulle disposizioni relative all'importazione e al luogo di tassazione delle cessioni di gas e di energia elettrica.
In particolare, la direttiva 2006/112/CE testualmente non applicava il regime speciale derivante dalla direttiva 2003/92/CE[102] relativamente alle norme sul luogo di cessione di gas e di energia elettrica alle importazioni e cessioni di gas trasportato mediante i gasdotti che non fanno parte della rete di distribuzione e soprattutto ai gasdotti transfrontalieri.
La direttiva in esame si prefigge di chiarire che il regime speciale si applica alle importazioni e alle cessioni di gas effettuate mediante ogni sistema del gas naturale situato nel territorio della Comunità o ogni rete connessa a un siffatto sistema (articolo 1, paragrafo 1, numero 1).
La direttiva 2009/162/UE interviene per assimilare il regime applicabile al gas naturale e all'energia elettrica al calore e al freddo. La cessione e l'importazione di calore o di freddo presentano, infatti, la stessa problematica della cessione e dell' importazione di gas o di energia elettrica. Le norme attuali già assicurano, per il gas e l'energia elettrica, che l'IVA sia riscossa nel luogo in cui tali beni sono effettivamente consumati dall'acquirente, evitando così ogni distorsione di concorrenza tra Stati membri (articolo 1, paragrafo 1, lett. 3) - 5)).
A tal proposito, ritenendo obsoleto un controllo preventivo della Commissione per pronunciarsi sull'esistenza di un rischio di distorsione di concorrenza conseguente all'applicazione di un'aliquota IVA ridotta su questi beni, la direttiva in oggetto interviene per introdurre una procedura semplificata di consultazione preliminare del comitato IVA, volta a garantire che la Commissione e gli altri Stati membri vengano correttamente informati in presenza di riduzione di aliquota da parte di uno Stato membro in questo settore estremamente sensibile (articolo 1, paragrafo1, n. 8).
Tramite la direttiva in oggetto, la Bulgaria e la Romania, in relazione alla loro adesione, sono autorizzate a concedere un'esenzione alle piccole imprese e a continuare ad applicare un'esenzione ai trasporti internazionali di persone; si integra cosi la portata applicativa della direttiva 2006/112/CE (articolo 1, paragrafo 1, n. 14 e n. 15).
Ultimo elemento di rilievo introdotto riguarda il diritto di detrazione, che sorge soltanto nella misura in cui i beni e servizi sono utilizzati dal soggetto passivo ai fini della sua attività professionale; a tal proposito si precisa che qualora i beni immobili non siano utilizzati esclusivamente ai fini connessi all'attività professionale del soggetto passivo, non è applicabile la detrazione dell'IVA se non per la parte di uso del bene destinata all'attività dell'impresa.
Benché i beni immobili e le relative spese siano sicuramente il settore più a rischio, visto il frequente uso promiscuo di questo tipo di beni, la questione si pone anche in relazione ai beni mobili di natura durevole; a tal proposito la direttiva fornisce la possibilità agli Stati membri di adottare le stesse misure nei confronti di questo tipo di beni mobili quando fanno parte del patrimonio dell'impresa (articolo 1, paragrafo 1, n. 12).
Gli Stati membri sono chiamati ad adottare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva in esame con effetto dal 1 gennaio 2011.
Direttiva 2010/18/UE
(Accordo quadro riveduto in materia di
congedo parentale)
La Direttiva 2010/18/UE dell’8 marzo 2010, del Consiglio, attua l'accordo-quadro riveduto sul congedo parentale (di seguito Accordo), concluso il 18 giugno 2009 dalle tre organizzazioni generali europee interprofessionali delle parti sociali (CES, CEEP e BUSINESSEUROPE) e dall'organizzazione europea interprofessionale delle parti sociali che rappresenta una determinata categoria di imprese (UEAPME). L'accordo è posto in allegato alla direttiva stessa.
Esso costituisce la revisione dell'accordo quadro del 14 dicembre 1995. Di conseguenza, la nuova direttiva provvede anche ad abrogare - a decorrere dall'8 marzo 2012 - la Direttiva 96/34/CE, la quale ha attuato il richiamato accordo-quadro del 1995.
Essa risponde alla necessità (considerando n. 4) di “migliorare ulteriormente la conciliazione di vita professionale, vita privata e vita familiare e, in particolare, la legislazione comunitaria vigente in tema di protezione della maternità e congedo parentale, nonché alla possibilità di introdurre nuove forme di congedo per ragioni familiari”.
La Direttiva deve essere recepita, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, entro l'8 marzo 2012. In alternativa, i Paesi membri possono accertarsi che, entro tale data, le parti sociali attuino le disposizioni necessarie mediante accordo. Gli Stati membri possono inoltre fruire (articolo 3, paragrafo 2) di un periodo supplementare non superiore a un anno, ove sia necessario in considerazione di difficoltà particolari o dell'attuazione tramite contratto collettivo.
L'Accordo si applica a parità di condizioni a tutti i lavoratori di ambo i sessi, aventi un contratto o rapporto di lavoro definito dalla legge, dalla contrattazione collettiva e/o dalle prassi vigenti negli Stati membri; non sono inoltre previste esclusioni dall’applicazione in ordine a particolari fattispecie lavorative (es. lavoro a tempo parziale o a tempo determinato (clausola 1, punti 1 e 2).
In particolare, ai lavoratori è riconosciuto il diritto individuale ad un congedo parentale per la nascita o l'adozione di un figlio, affinché possano averne cura fino a un'età stabilita dalla normativa nazionale e/o dai contratti collettivi, ma non superiore a otto anni (clausola 2, punto 1). Il congedo parentale è riconosciuto per un periodo minimo di quattro mesi. Secondo l'accordo, andrebbe prevista, in linea di principio, la non trasferibilità da un genitore all'altro; in ogni caso, almeno uno dei quattro mesi è attribuito in forma non trasferibile (clausola 2, punto 2).
La definizione delle condizioni di accesso e delle modalità di applicazione del congedo è operata dalle legislazioni nazionali e/o dai contratti collettivi (Clausola 3, punto 1).In particolare, gli Stati membri e/o le parti sociali possono:
· prevedere che il congedo parentale sia accordato a tempo pieno, a tempo parziale, in modo frammentato o nella forma di un credito di tempo, al fine di tener conto delle esigenze dei datori di lavoro e dei lavoratori;
· subordinare il diritto ad una determinata anzianità, la quale non può superare un anno (in caso di più contratti a tempo determinato, il periodo deve essere calcolato tenendo conto di tutti i successivi contratti a termine intercorsi con lo stesso datore di lavoro);
· definire le circostanze in base alle quali un datore di lavoro sia autorizzato a differire la concessione del congedo, per ragioni giustificabili connesse al funzionamento dell'organizzazione;
· consentire accordi particolari, intesi a soddisfare le esigenze operative e organizzative delle piccole imprese.
Spetta agli Stati membri definire i termini di preavviso per l'esercizio del diritto di congedo parentale (clausola 3, punto 2), nonché la valutazione della necessità di adeguare l’accesso e l’applicazione del congedo parentale alle esigenze dei genitori di figli con disabilità o malattie a lungo decorso (clausola 3, punto 3), e di adottare ulteriori misure per rispondere alle esigenze specifiche dei genitori adottivi (clausola 3, punto 4).
Al termine del congedo parentale, il lavoratore ha diritto di ritornare allo stesso posto di lavoro o, qualora ciò non sia possibile, a un lavoro equivalente o analogo (clausola 5, punto 1).Restano immutati i diritti acquisiti, o in via di acquisizione, da parte del lavoratore, alla data di inizio del congedo parentale, e, dopo la conclusione del periodo di congedo, essi si applicano con le eventuali modifiche derivanti dalle leggi, dai contratti collettivi e/o dalle prassi nazionali (clausola 5, punto 2).
Gli Stati membri e/o le parti sociali definiscono il regime del contratto e del rapporto di lavoro durante il periodo di congedo parentale (clausola 5, punto 3). La disciplina deve in ogni caso assicurare:
· l'esclusione di un trattamento meno favorevole - per il lavoratore - o del licenziamento, causati dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale (clausola 5, punto 4);
· la possibilità per i lavoratori, al termine del periodo di congedo, di richiedere modifiche dell'orario lavorativo e/o dell'organizzazione della vita professionale per un periodo determinato (clausola 6, punto 1);
· garantire adeguate misure di reintegrazione, decise tra le parti interessate (clausola 6, punto 2).
Infine, Gli Stati membri e/o le parti sociali sono obbligati ad autorizzare i lavoratori ad assentarsi per cause di forza maggiore (clausola 7, punto 1).
Direttiva 2010/23/UE
(Modifica della direttiva 2006/112/ce
relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto per quanto concerne
l'applicazione facoltativa e temporanea del meccanismo dell'inversione contabile
alla prestazione di determinati servizi a rischio di frodi)
La direttiva 2010/23/UE reca modifiche alla direttiva 2006/112/CE in materia di imposta sul valore aggiunto (inserendovi l’articolo 199-bis), al fine di consentire agli Stati membri di prevedere, per un periodo limitato di tempo, l’applicazione del meccanismo di inversione contabile alle operazioni che comportano cessioni di beni o prestazioni di servizi imponibili effettuate nell'ambito del sistema per lo scambio di quote ed emissioni di gas a effetto serra (come disciplinato dalla Direttiva 2003/87/CE). In sostanza, l'obbligo di versare l'IVA spetta al soggetto al quale sono trasferite le quote di emissioni e non, come di norma previsto, al soggetto passivo che effettua l'operazione. Come emerge dai considerando della direttiva, l’obiettivo della direttiva è di combattere le frodi ai danni dell’IVA tramite una misura temporanea, che deroga alle norme vigenti nell’Unione.
Il meccanismo opera:
a) per i trasferimenti di quote di emissioni di gas a effetto serra, come definiti all’articolo 3 della direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 2003;
b) per trasferimenti di altre unità che possono essere utilizzate dai gestori per conformarsi alla stessa direttiva.
La misura si applica fino al 30 giugno 2015 e per un periodo minimo di due anni.
In occasione dell’introduzione del meccanismo di inversione contabile, gli Stati membri devono informarne la Commissione, fornendole altresì informazioni sull’ambito di applicazione della misura e una descrizione particolareggiata delle misure di accompagnamento; devono altresì inviare alla Commissione i criteri di valutazione che consentano il confronto fra le attività fraudolente che interessano i servizi interessati dalla misura temporanea prima e dopo l’applicazione del meccanismo, le attività fraudolente che interessano altri servizi prima e dopo l’applicazione del meccanismo ed eventuali aumenti di altri tipi di attività fraudolente prima e dopo l’applicazione del meccanismo. E’ inoltre da notificare la data di inizio e il periodo di validità della misura che attua il meccanismo.
La direttiva, dal momento che autorizza (senza obbligarli) gli Stati membri a prevedere il meccanismo sull'inversione contabile limitatamente ad alcune operazioni, non prevede un termine di recepimento. In tal caso l'articolo 1, comma 1, ultimo periodo, del disegno di legge in esame, fissa il termine di recepimento in dodici mesi dall'entrata in vigore della legge stessa.
Direttiva 2010/24/UE
(Recupero dei crediti risultanti da dazi,
imposte ed altre misure)
La direttiva 2010/24/UE disciplina le modalità di assistenza reciproca tra Stati membri per il recupero dei crediti derivanti da determinate imposte e altre misure, sia nazionali che dell’Unione Europea.
Tale forma di assistenza contribuisce al buon funzionamento del mercato interno in quanto, oltre a garantire la neutralità fiscale, ha permesso agli Stati membri di eliminare nel tempo misure di protezione discriminatorie adottate in relazione alle operazioni transfrontaliere. L'obiettivo è dunque di facilitare lo scambio di informazioni tra gli Stati membri, tenendo conto delle tipologie sempre crescenti di istituti giuridici e in un'ottica di copertura di tutte le persone fisiche e giuridiche nell'Unione. Le norme estendono l’ambito di applicazione delle norme in materia di recupero crediti rispetto a quanto già previsto dalla precedente direttiva 2008/55/CE; di conseguenza, essa è abrogata a decorrere dal 1° gennaio 2012.
In primo luogo, la direttiva 2010/24/UE reca (articolo 2) l'ambito di applicazione delle misure dettate. Essa concerne infatti il recupero:
a) della totalità delle imposte e dei dazi, di qualsiasi tipo, riscossi da uno Stato membro o dalle sue ripartizioni territoriali o amministrative, o per conto di essi, comprese le autorità locali, ovvero per conto dell’Unione;
b) delle restituzioni, gli interventi e le altre misure che fanno parte del sistema di finanziamento integrale o parziale del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), ivi compresi gli importi da riscuotere nel quadro di queste azioni;
c) dei contributi e gli altri dazi previsti nell’ambito dell’organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero.
La direttiva si applica a:
a) penali, sanzioni, tasse e soprattasse di natura amministrativa relative ai crediti per i quali l’assistenza reciproca può essere chiesta, irrogate dalle autorità amministrative competenti per la riscossione delle imposte o dei dazi interessati o l’effettuazione di indagini amministrative al riguardo, o confermate da organi amministrativi o giudiziari su richiesta di tali autorità amministrative;
b) tasse per il rilascio di certificati o documenti analoghi in relazione a procedure amministrative che riguardano dazi o imposte;
c) interessi e spese relativi ai crediti per i quali può essere chiesta l’assistenza reciproca.
Per quanto riguarda invece le procedure di recupero, è fatto obbligo per ciascuno Stato di individuare e comunicare alla Commissione un'autorità competente alle relative attività, presso la quale viene designato un ufficio centrale di collegamento, responsabile principale dei contatti con gli altri Stati membri nel settore dell'assistenza reciproca (articolo 4). Previa istanza dell'autorità richiedente, l'autorità adita fornisce tutte le informazioni che possono prevedibilmente aiutare a recuperare i crediti, disponendo della facoltà di effettuare tutte le indagini amministrative necessarie per ottenerle, oltre a quella di notificare al debitore tutti gli atti provenienti dallo Stato membro richiedente relativi a tali misure (articoli 5 e 8).
Ove sussista domanda di recupero proveniente dall'autorità richiedente, l'autorità adita può procedere alla riscossione di crediti sorti con esecuzione nello Stato richiedente (articolo 10). Essa può anche adottare misure cautelari, a specifiche condizioni (articolo 16, n. 1): a tale scopo si richiede, tra l’altro, che l’adozione di misure cautelari sia possibile, in una situazione analoga, anche in base alla legislazione nazionale e alle prassi amministrative dello Stato membro richiedente.
Al fine di assicurare una procedura omogenea e risolvere i problemi di riconoscimento e traduzione degli strumenti provenienti da un altro Stato, la direttiva disciplina l'adozione di un titolo uniforme che consenta l'adozione di misure esecutive nello Stato adito, nonché la predisposizione di un modulo standard per la notifica degli atti e delle decisioni relativi al credito (articolo 12 ed articolo 21).
Sono altresì recate disposizioni sulla risoluzione di eventuali controversie concernenti il credito, la procedura di recupero, la notifica o il titolo che consente l'esecuzione (articolo 14); infine, a tutela del principio di assistenza reciproca e per incoraggiare gli Stati membri a stanziare risorse per il recupero dei crediti, lo Stato adito è posto nelle condizioni di poter recuperare le spese sostenute presso il debitore (articolo 20).
La direttiva dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 31 dicembre 2011.
La direttiva 2010/30/UE[103] istituisce un quadro per l’armonizzazione delle misure nazionali sull’informazione degli utilizzatori finali, realizzata in particolare mediante etichettatura e informazioni uniformi sul prodotto, sul consumo di energia e, se del caso, di altre risorse essenziali durante l’uso nonché informazioni complementari per i prodotti connessi all’energia, in modo che gli utilizzatori finali possano scegliere prodotti più efficienti.
Per quanto riguarda l'ambito di applicazione della direttiva, è specificato che questa si applica ai prodotti che hanno un notevole impatto diretto o indiretto sul consumo di energia e su altre risorse essenziali durante l’uso. La direttiva non riguarda i prodotti usati, i mezzi adibiti al trasporto di cose o persone, la piastrina indicante la potenza dei prodotti.
La direttiva prescrive agli Stati membri di garantire che i fornitori immettano sul mercato prodotti muniti di un’etichetta contenente le informazioni relative al consumo del prodotto di energia elettrica o di altre forme di energia. I fornitori devono altresì produrre una documentazione tecnica che contenga una descrizione generale del prodotto, i risultati dei calcoli progettuali effettuati, i risultati delle prove, i riferimenti che permettono l’identificazione di modelli analoghi. I fornitori tengono tale documentazione tecnica a disposizione per un periodo di almeno cinque anni.
Per i casi in cui l’utilizzatore finale non può prendere visione del prodotto, in particolare qualora i prodotti siano posti in vendita, noleggio o locazione-vendita per corrispondenza, su catalogo, mediante internet o tramite televendita, egli deve tuttavia disporre di informazioni relative al prodotto attraverso atti delegati che specificano le modalità di apposizione dell’etichetta e della scheda o della loro fornitura all’utilizzatore finale.
Se un prodotto è contemplato da un atto delegato, le amministrazioni aggiudicatrici che concludono appalti pubblici di lavori, forniture o servizi di cui alla direttiva 2004/18/CE, devono acquistare soltanto i prodotti che soddisfano i criteri di conseguimento dei livelli massimi di prestazione e di appartenenza alla migliore classe di efficienza energetica. La direttiva specifica tali criteri: i prodotti devono permettere di realizzare notevoli risparmi di energia; i prodotti con funzionalità equivalenti disponibili sul mercato devono presentare livelli molto diversi delle relative prestazioni; la Commissione deve tenere conto della legislazione dell’Unione europea e degli strumenti di autoregolamentazione pertinenti.
Un atto delegato deve indicare in particolare: la definizione del prodotto; le norme e i metodi di misurazione; le caratteristiche della documentazione tecnica; la forma grafica e il contenuto dell’etichetta (la classificazione del prodotto sull’etichetta si indica con le lettere da A a G. La classe più efficiente è rappresentata dalla A+++. È inoltre utilizzata una scala cromatica composta da non più di sette colori diversi che vanno dal verde scuro, che è sempre il codice cromatico della classe migliore, al rosso); il posto in cui l’etichetta deve essere apposta sul prodotto; la durata della classificazione energetica.
L'articolo 11 della direttiva conferisce alla Commissione il potere di adottare atti delegati per un periodo di cinque anni dal 19 giugno 2010. Tale periodo è automaticamente prorogato, tranne in caso di revoca della delega dei poteri da parte del Parlamento europeo o del Consiglio. Il Parlamento europeo o il Consiglio, a norma dell'articolo 13, possono inoltre sollevare obiezioni all’atto delegato entro due mesi dalla data di notifica.
Il termine di recepimento della direttiva per gli Stati membri è fissato al 20 giugno 2011, mentre il termine di applicazione delle relative disposizioni è fissato al 20 luglio 2011. La direttiva 92/75/CEE è quindi abrogata a decorrere dal 21 luglio 2011.
Direttiva 2010/35/UE
(Attrezzature a pressione trasportabili)
La direttiva 2010/35/UE stabilisce norme dettagliate riguardanti le attrezzature a pressione trasportabili[104], per rafforzare la sicurezza stradale e garantire la libera circolazione di tali attrezzature nell’Unione europea. La direttiva in esame, oltre ad abrogare le direttive 76/767/CEE, 84/525/CEE, 84/526/CEE, 84/527/CEE e 1999/36/CE, aggiorna alcune specifiche disposizioni tecniche riguardanti i requisiti, le valutazioni e le procedure di conformità in relazione alle citate attrezzature, al fine di evitare contraddizioni tra le norme.
La direttiva 2010/35/UE impone una serie di obblighi a carico degli operatori economici, ovvero di fabbricanti, rappresentanti autorizzati, importatori, distributori, proprietari o operatori che intervengono nel corso di un’attività commerciale o di servizio pubblico, a titolo oneroso o gratuito.
In particolare, la direttiva in esame prevede che i fabbricanti garantiscano che le loro attrezzature immesse sul mercato siano progettate, fabbricate e corredate di documentazione conformemente ai requisiti stabiliti nella direttiva 2008/68/CE (relativa al trasporto interno di merci pericolose) e nella direttiva in esame. In caso contrario, i fabbricanti devono adottare le misure correttive necessarie per rendere conformi tali attrezzature. I fabbricanti possono, inoltre, nominare un rappresentante autorizzato per lo svolgimento dei seguenti compiti: mantenere a disposizione delle autorità nazionali di vigilanza la documentazione tecnica; fornire all’autorità nazionale competente le informazioni e la documentazione necessarie a dimostrare la conformità delle attrezzature; cooperare con le autorità nazionali competenti a qualsiasi azione intrapresa per eliminare i rischi presentati dalle attrezzature. La direttiva prescrive, poi, che gli importatori e i distributori immettano sul mercato UE solo attrezzature conformi, che assicurino su di esse l'apposizione del relativo marchio e siano accompagnate dal certificato di conformità.
Infine, la direttiva in esame prevede in capo ad importatori, distributori e proprietari, i seguenti obblighi:
•informare il fabbricante e l’autorità competente dei rischi dell’attrezzatura;
•documentare i casi di non conformità e le misure correttive;
•garantire che quando l’attrezzatura è sotto la loro responsabilità, le condizioni di immagazzinamento o trasporto non ne mettano a rischio la conformità.
Il termine di recepimento della direttiva è fissato al 30 giugno 2011.
Direttiva 2010/36/UE
(Disposizioni e norme di sicurezza per le
navi da passeggeri)
La presente direttiva modifica la direttiva 2009/45/CE, alla luce dell'articolo 10 della stessa, il quale disciplina la possibilità di adattare alcune parti del testo per tenere conto dell'evoluzione della normativa a livello internazionale, ovvero di convenzioni internazionali, protocolli, codici e risoluzioni dell'IMO (Organizzazione marittima internazionale). Poiché dall'entrata in vigore della direttiva 2009/45/CE sono state apportate modifiche a tali strumenti, occorre tenere conto delle modifiche nei pertinenti articoli e allegati della direttiva.
Gli aggiornamenti introdotti dalla direttiva 2010/36/UE mirano quindi ad aggiornare i richiami alla normativa internazionale che riguardano: alcune definizioni, tra cui quella di "codice per le unità veloci" (HSC code) e di "unità veloce da passeggeri"; l'ambito di applicazione, in particolare una categoria di navi escluse da esso; i requisiti di sicurezza; le visite di controllo delle navi da parte dell'amministrazione dello Stato in cui sono registrate (Stato di bandiera).
La direttiva, inoltre, sostituisce interamente gli allegati da I a V, che riguardano rispettivamente: i requisiti di sicurezza per le navi dei passeggeri, nuove ed esistenti, adibite ai viaggi nazionali; il modello del certificato di sicurezza per le navi da passeggeri; gli orientamenti sui requisiti di sicurezza delle navi da passeggeri e delle unità veloci da passeggeri per le persone a mobilità ridotta; l'elenco delle direttive abrogate e la tavola di concordanza.
Il termine di recepimento della direttiva per gli Stati membri è stabilito al 29 giugno 2011.
La direttiva 2010/40/UE istituisce un quadro a sostegno della diffusione e dell'utilizzo coordinato di sistemi di trasporto intelligenti (ITS) nell'Unione, con particolare attenzione alla dimensione transfrontaliera, e rientra tra le misure finalizzate a far fronte all'aumento del trasporto stradale nell'Unione, associato alla crescita dell'economia europea e delle esigenze di mobilità dei cittadini.
Settori prioritari del quadro d'azione disegnato dalla direttiva sono l'uso ottimale dei dati relativi alle strade, al traffico e alla mobilità; la continuità dei servizi ITS di gestione del traffico e del trasporto merci; le applicazioni ITS per la sicurezza stradale e del trasporto; il collegamento tra i veicoli e l'infrastruttura di trasporto.
Nell'ambito dei suddetti settori, la direttiva individua un nucleo di azioni prioritarie, che includono la predisposizione in tutto il territorio dell'Unione europea di servizi di informazione sulla mobilità multimodale e sul traffico in tempo reale; i dati e le procedure per la comunicazione gratuita agli utenti di informazioni minime universali sul traffico connesse alla sicurezza stradale; la predisposizione armonizzata in tutto il territorio UE di un servizio elettronico di chiamata di emergenza (eCall) interoperabile, e di servizi di informazione e prenotazione di aree di parcheggio sicure per gli automezzi pesanti e i veicoli commerciali.
Le specifiche necessarie ad assicurare la compatibilità, l'interoperabilità e la continuità per la diffusione e l'utilizzo operativo degli ITS nei vari Stati membri saranno adottate dalla Commissione europea entro il 27 febbraio 2013, ricorrendo anche ad atti delegati ex art. 290 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Al più tardi un anno dopo l'adozione delle specifiche, distinte per azione prioritaria, la Commissione presenterà, se del caso, una proposta al Parlamento europeo e al Consiglio per la diffusione delle azioni.
Sulle misure poste in essere nel quadro della presente direttiva − che include un richiamo esplicito alle esigenze di tutela della vita privata e alla sicurezza delle informazioni − gli Stati membri sono tenuti a presentare una prima relazione entro il 27 agosto 2011, incentrata sulle attività e sui progetti nazionali riguardanti i settori prioritari, e una seconda entro il 27 agosto 2012, nella quale dovranno comunicare alla Commissione le azioni nazionali previste in materia di ITS nei successivi cinque anni.
Il termine per il recepimento della direttiva è fissato al 27 febbraio 2012.
La direttiva 2010/41/UE del 7 luglio 2010, del Parlamento europeo e del Consiglio, ha lo scopo di applicare il principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un’attività autonoma.
Contestualmente, la direttiva in esame abroga la Direttiva 86/613/CEE, relativa all’applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un’attività autonoma, ivi comprese le attività nel settore agricolo, e relativa altresì alla tutela della maternità, che, secondo quanto affermato nel considerando n. 1, non si è dimostrata molto efficace ai fini del riconoscimento del principio richiamato.
In particolare, la direttiva in esame vuole salvaguardare i diritti relativi alla condizione di madre o padre dei lavoratori autonomi e dei coniugi che li assistono (considerando n. 3) nonché rafforzare la protezione della maternità delle lavoratrici autonome e di migliorare la situazione dei coniugi dei lavoratori autonomi (considerando n. 4).
Inoltre, si specifica che la direttiva non dovrebbe applicarsi a settori già disciplinati da altre direttive in materia (considerando nn. 7 e 10).
In relazione a ciò, l’articolo 1 stabilisce che la direttiva in esame stabilisce un quadro per l’attuazione negli Stati membri del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne che svolgono un’attività autonoma o che contribuiscono all’esercizio di un’attività autonoma, per gli aspetti che non sono disciplinati dalle direttive 2006/54/CE e 79/7/CEE[105]. Inoltre, l’attuazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura resta disciplinata dalla direttiva 2004/113/CE.
La direttiva, ai sensi dell’articolo 16, deve essere attuata entro il 5 agosto 2012. Lo stesso articolo dispone altresì che gli Stati membri, per particolari difficoltà, possano usufruire di un periodo supplementare di due anni – e quindi fino al 5 agosto 2014 – per conformarsi alle disposizioni di protezione sociale (articolo 7) e per la prestazioni di maternità relativamente ai conviventi di lavoratori autonomi.
L’articolo 2 definisce l’ambito soggettivo di applicazione precisando che la direttiva si applica ai lavoratori autonomi, ai coniugi di lavoratori autonomi o, se e nella misura in cui siano riconosciuti dal diritto nazionale, i conviventi di lavoratori autonomi non salariati né soci, che partecipino abitualmente, alle condizioni previste dalla legislazione nazionale, all’attività del lavoratore autonomo, svolgendo compiti identici o complementari.
L’articolo 4 reca il principio di parità di trattamento, consistente nel divieto di porre in atto qualsiasi discriminazione fondata sul sesso nei settori pubblico o privato, né direttamente né indirettamente, “ad esempio per quanto riguarda la creazione, la fornitura di attrezzature o l’ampliamento di un’impresa o l’avvio o l’ampliamento di ogni altra forma di attività autonoma”.
Il successivo articolo 6 prevede specifiche misure da parte degli Stati membri volte a rendere identiche - e non più restrittive - le condizioni per la costituzione di una società tra coniugi, o tra conviventi a quelle per la costituzione di una società tra altre persone.
L’articolo 7 estende il sistema di protezione sociale per i lavoratori autonomi ai coniugi e conviventi, riconoscendo tuttavia la facoltà, per gli stessi Stati, di applicare la protezione sociale su base obbligatoria o volontaria.
L’articolo 8 disciplina le prestazioni di maternità, disponendo la concessione, alle lavoratrici autonome e alle coniugi o conviventi, di un’indennità di maternità sufficiente, tale da consentire “interruzioni nella loro attività lavorativa in caso di gravidanza o per maternità per almeno 14 settimane”.
Tale indennità, che può essere concessa su base obbligatoria o volontaria, è ritenuta sufficiente se assicura redditi almeno equivalenti a:
· l’indennità che la persona interessata otterrebbe in caso di interruzione delle sue attività per motivi connessi al suo stato di salute; e/o;
· la perdita media di reddito o di profitto in relazione ad un periodo precedente comparabile, entro i limiti di un’eventuale massimale stabilito dalla legislazione nazionale; e/o;
· qualsiasi altra indennità connessa alla famiglia prevista dalla legislazione nazionale, entro i limiti di un eventuale massimale stabilito dalla legislazione nazionale.
Si prevede, inoltre, un sistema di indennizzo in caso di discriminazione (articolo 10), nonché la competenza degli organismi per la parità, di cui alla direttiva 2006/54/CE, in relazione alla parità di trattamento delle persone contemplate nella direttiva in esame (articolo 11). Infine, gli Stati membri possono introdurre o mantenere disposizioni più favorevoli alla tutela del principio della parità di trattamento tra uomini e donne rispetto a quelle contenute nella presente direttiva (articolo 13).
Direttiva 2010/53/UE
(Norme di qualità e sicurezza degli
organi umani destinati ai trapianti)
La presente direttiva si inserisce nel processo di rafforzamento della cooperazione tra gli Stati membri, previsto dal Piano di azione per la donazione e il trapianto di organi (2009-2015) - COM (2008) 819 def.
Essa delimita un quadro comune relativo alle norme di qualità e sicurezza degli organi di origine umana destinati al trapianto nel corpo umano. Non si applica al sangue, ai componenti sanguigni, alle cellule e ai tessuti umani, agli organi, ai tessuti e alle cellule di origine animale.
La direttiva mira inoltre a proteggere i donatori e a ottimizzare gli scambi tra paesi membri e paesi terzi, contribuendo indirettamente anche alla lotta contro il traffico di organi tramite l’istituzione di autorità competenti, l’autorizzazione di centri per i trapianti e la fissazione di condizioni in materia di reperimento e di sistemi di tracciabilità.
La direttiva si applica a tutte le fasi del processo, ovvero la donazione, il reperimento, l'analisi, la caratterizzazione, il trasporto e l'utilizzo di organi. Essa non si applica ad organi destinati alla ricerca a meno che essi siano destinati al trapianto nel corpo umano.
In particolare, la direttiva mira a migliorare le attività svolte dalle varie organizzazioni operanti in materia di trapianti, mediante l'introduzione di programmi nazionali di qualità che definiscono le procedure operative in materia di identità di donatori, di consenso, di caratterizzazione (ovvero raccolta di informazioni sulle caratteristiche dell'organo), di reperimento, di conservazione, di etichettatura degli organi e trasporto degli stessi, nonché di formazione del personale incaricato di tali attività.
Per quanto riguarda il reperimento, gli Stati membri dovranno provvedere affinché questo avvenga attraverso appositi organismi, in luoghi idonei e sotto la supervisione di un medico. La caratterizzazione degli organi e dei donatori dovrà fornire le informazioni e i dati più puntuali possibile, mentre il trasporto degli organi dovrà garantire l'integrità degli stessi e la minima durata. La direttiva prevede norme in materia di etichettatura degli organi trasportati, in base alle quali sui contenitori utilizzati dovranno essere indicati i dati dell'organismo di reperimento, le condizioni di trasporto, eventuali istruzioni di sicurezza, nonché i dati del centro di trapianti destinatario. Spetterà a quest'ultimo verificare la caratterizzazione dell’organo e il rispetto delle condizioni di trasporto. Al fine di salvaguardare la salute dei riceventi e dei donatori, gli Stati membri dovranno adottare dei sistemi che garantiscano la tracciabilità degli organi dal donatore al ricevente e viceversa, pur nel rispetto del principio dell'anonimato dei donatori.
La direttiva contiene anche misure specifiche volte a proteggere i donatori e i riceventi, stabilendo innanzitutto i principi che regolano le donazioni, in base ai quali esse dovranno essere volontarie, non remunerate ed effettuate da organismi senza fini di lucro. Un indennizzo può, tuttavia, essere concesso per coprire le spese e le perdite di reddito connesse alla donazione, purché sia escluso qualsiasi incentivo finanziario. E' inoltre vietata qualsiasi pubblicità riguardante la disponibilità di organi. Per quanto riguarda i donatori viventi, si stabilisce che essi vengano adeguatamente informati e che si tenga un registro dei donatori viventi, al fine di raccogliere le informazioni su eventuali possibili complicazioni a breve, medio e lungo termine. Agli Stati membri è lasciata invece competenza sul consenso al prelievo, nel rispetto delle differenze esistenti. E' inoltre garantito il rispetto dei dati personali , nonché l'anonimato sia dei donatori che dei riceventi.
Gli Stati membri devono poi designare una o più autorità competenti, responsabili, tra l'altro, dell'attuazione della direttiva, dell'aggiornamento del programma nazionale di qualità e del controllo periodico dei centri di trapianto. Tali autorità dovranno inoltre tenere un registro degli organismi di reperimento e dei centri per i trapianti, nonché delle loro attività, pubblicando una relazione annuale. Al fine di favorire la cooperazione europea in questo settore, la Commissione europea istituisce altresì autorità competenti per la condivisione delle informazioni riguardanti le esperienze in merito all'attuazione della direttiva. Per quanto riguarda gli scambi di organi da o verso i paesi terzi, gli Stati membri provvedono affinché lo scambio di organi con paesi terzi sia controllato sia per quanto riguarda la loro tracciabilità sia per il rispetto dei parametri di qualità e sicurezza stabiliti dalla direttiva stessa. A tal fine, l’autorità competente e le organizzazioni europee per lo scambio di organi possono stipulare accordi con le controparti nei paesi terzi.
La direttiva lascia infine agli Stati membri il compito di determinare il sistema sanzionatorio da applicare in caso di mancato rispetto delle norme nazionali di attuazione della direttiva, asserendo che esse dovranno essere efficaci, proporzionate e dissuasive.
La direttiva, entrata in vigore il 26 agosto 2010, reca, come termine ultimo per il recepimento negli Stati membri, il 27 agosto 2012.
Direttiva 2009/161/CE
(Esposizione agli agenti chimici durante
il lavoro)
La Direttiva 2009/161/CE del 17 novembre 2009, della Commissione, definisce un terzo elenco di valori indicativi di massima esposizione professionale agli agenti chimici durante il lavoro, in attuazione della direttiva 98/24/CE, del Consiglio (sulla protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici durante il lavoro - quattordicesima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE), e che modifica la direttiva 2000/39/CE, della Commissione (relativa alla messa a punto di un primo elenco di valori limite indicativi in applicazione della direttiva 98/24/CE).
Tali misure sono conformi (considerando n. 14) al parere del comitato istituito in forza dell'articolo 17 della direttiva 89/391/CEE, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro (cd. direttiva “madre”).
In particolare, la direttiva richiede agli Stati membri (considerando n. 4 e articolo 2) la fissazione di un valore limite nazionale dell'esposizione professionale che tenga conto del valore limite comunitario, la cui natura può essere determinata conformemente alla legislazione e alle prassi nazionali.
La direttiva in oggetto deve essere adottata entro il 18 dicembre 2011.
Avvertenza: nella colonna “TERMINE DI RECEPIMENTO” di ciascuna delle tabelle che seguono sono evidenziati in grassetto i termini scaduti al 3 febbraio 2011.
Tabella
1
|
Direttive da attuare con decreti legislativi
(Direttive indicate negli Allegati A e B del ddl comunitaria 2010 – A.C. 4059)
Allegato A
DIRETTIVA |
TITOLO |
TERMINE DI |
PARERE DELLE COMMISSIONI |
2009/106/CE |
della Commissione, del 14 agosto 2009, recante modifica della direttiva 2001/112/CE del Consiglio concernente i succhi di frutta e altri prodotti analoghi destinati all’alimentazione umana |
1/1/2011 |
No |
2009/156/CE |
del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativa alle condizioni di polizia sanitaria che disciplinano i movimenti degli equidi e le importazioni di equidi in provenienza dai paesi terzi |
12/8/2010 |
No |
2010/31/UE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 maggio 2010, sulla prestazione energetica nell'edilizia |
9/7/2012 |
No |
2010/60/UE |
della Commissione, del 30 agosto 2010, che dispone deroghe per la commercializzazione delle miscele di sementi di piante foraggere destinate a essere utilizzate per la preservazione dell'ambiente naturale |
30/11/2011 |
No |
Allegato B
DIRETTIVA |
TITOLO |
TERMINE DI |
PARERE DELLE COMMISSIONI |
2008/112/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, che modifica le direttive del Consiglio 76/768/CEE, 88/3789/CEE, 1999/13/CE e le direttive del parlamento europeo e del Consiglio 2000/53/CE, 2002/96/CE e 2004/42/CE allo scopo di adeguarle al regolamento (CE) n. 1272/2008 relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele |
1/4/2010 (applicazione 1/6/2010) |
Sì |
2009/20/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, sull'assicurazione degli armatori per i crediti marittimi |
1/1/2012 |
Sì |
2009/38/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 maggio 2009 riguardante l’istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie |
5/6/2011 |
Sì |
2009/43/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, che semplifica le modalità e le condizioni dei trasferimenti all'interno della Comunità di prodotti per la difesa |
30/6/2011 (applicazione 30/6/2012) |
Sì |
2009/50/CE |
del Consiglio, del 25 maggio 2009, sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati |
19/6/2011 |
Sì |
2009/52/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2009, che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare |
20/7/2011 |
Sì |
2009/65/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di taluni organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) |
30/6/2011 |
Sì |
2009/109/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, che modifica le direttive del Consiglio 77/91\/CEE, 78/855/CEE e 82/891/CEE e la direttiva 2005/56/CE per quanto riguarda gli obblighi in materia di relazione e di documentazione in caso di fusioni e scissioni |
30/6/2011 |
Sì |
2009/110/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, concernente l’avvio, l’esercizio e la vigilanza prudenziale dell’attività degli istituti di moneta elettronica, che modifica le direttive 2005/60/CE e 2006/48/CE e che abroga la direttiva 2000/46/CE |
30/4/2011 |
Sì |
2009/113/CE |
della Commissione, del 25 agosto 2009, recante modifica della direttiva 2006/126/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la patente di guida |
14/9/2010 |
Sì |
2009/126/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, relativa alla fase II del recupero di vapori di benzina durante il rifornimento dei veicoli a motore nelle stazioni di servizio |
1/1/2012 |
Sì |
2009/127/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, che modifica la direttiva 2006/42/CE relativa alle macchine per l’applicazione di pesticidi |
15/6/2011 |
Sì |
2009/128/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria ai fini dell’utilizzo sostenibile dei pesticidi |
14/12/2011 |
Sì |
2009/136/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, recante modifica della direttiva 2002/22/CE relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica, della direttiva 2002/58/CE relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle telecomunicazioni elettroniche e del regolamento (CE) n. 2006/2004 sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa a tutela dei consumatori |
25/5/2011 |
Sì |
2009/140/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, recante modifica delle direttive 2002/21/CE che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica, 2002/19/CE relativa all’accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e all’interconnessione delle medesime e 2002/20/CE relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica |
25/5/2011 |
Sì |
2009/158/CE |
del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativa alle norme di polizia sanitaria per gli scambi intracomunitari e le importazioni in provenienza dai Paesi terzi di pollame e uova da cova (versione codificata) |
non è previsto termine espresso |
Sì |
2009/162/UE |
del Consiglio, del 22 dicembre 2009, che modifica varie disposizioni della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto |
1/1/2011 |
Sì |
2010/18/UE |
del Consiglio, dell'8 marzo 2010, che attua l'accordo quadro riveduto in materia di congedo parentale concluso da BUSINESSEUROPE, UEAPME, CEEP e CES e abroga la direttiva 96/34/CE |
8/3/2012 |
Sì |
2010/23/UE |
del Consiglio, del 16 marzo 2010, recante modifica della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto per quanto concerne l’applicazione facoltativa e temporanea del meccanismo dell’inversione contabile alla prestazione di determinati servizi a rischio di frodi |
30/6/2010 |
Sì |
2010/24/UE |
del Consiglio, del 16 marzo 2010, sull’assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da dazi, imposte ed altre misure |
31/12/2011 |
Sì |
2010/30/UE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 maggio 2010, concernente l'indicazione del consumo di energia e di altre risorse dei prodotti connessi all'energia, mediante l'etichettatura ed informazioni uniformi relative ai prodotti |
20/6/2011 (applicazione 20/7/2011) |
Sì |
2010/35/UE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 giugno 2010, in materia di attrezzature a pressione trasportabili e che abroga le direttive del Consiglio 76/767/CEE, 84/525/CEE, 84/526/CEE, 84/527/CEE e 1999/36/CE |
30/6/2011 |
Sì |
2010/36/UE |
della Commissione, del 1° giugno 2010, che modifica la direttiva 2009/45/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle disposizioni e norme di sicurezza per le navi da passeggeri |
31/5/2011 |
Sì |
2010/40/UE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 luglio 2010, sul quadro generale per la diffusione dei sistemi di trasporto intelligenti nel settore del trasporto stradale e nelle interfacce con altri modo di trasporto |
27/2/2012 |
Sì |
2010/41/UE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 luglio 2010, sull'applicazione del principio di parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un'attività autonoma e che abroga la direttiva 86/613/CEE del Consiglio |
5/8/2012 |
Sì |
2010/53/UE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 luglio 2010, relativa alle norme di qualità e sicurezza degli organi umani destinati ai trapianti |
27/8/2012 |
Sì |
Direttive da attuare in via amministrativa
(Indicate nella relazione governativa al disegno di legge comunitaria 2010 - AS 2322)
N.B.: A sfondo grigio sono evidenziate le direttive che risultano già attuate alla data del 3 febbraio 2011
DIRETTIVA |
TITOLO |
TERMINE DI RECEPIMENTO |
2009/26/CE |
della Commissione, del 6 aprile 2009, recante modifica della direttiva 96/98/VE del Consiglio sull'equipaggiamento marittimo |
6/4/2010[106] |
2009/27/CE |
della Commissione, del 7 aprile 2009, che modifica taluni allegati della direttiva 2006/49/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le disposizioni tecniche relative alla gestione del rischio |
adozione 31/10/2010 applicazione 31/12/2010 |
2009/39/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, relativa ai prodotti alimentari destinati ad un'alimentazione particolare (rifusione) |
non è previsto termine espresso |
2009/42/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, concernente la rilevazione statistica dei trasporti di merci e di passeggeri via mare (rifusione) |
non è previsto termine espresso |
2009/46/CE |
della Commissione, del 24 aprile 2009, che modifica la direttiva 2006/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa i requisiti tecnici per le navi della navigazione interna |
30/6/2009[107] |
2009/70/CE |
della Commissione, del 25 giugno 2009, che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio al fine di includere le sostanze attive difenacum, cloruro di didecilmetilammonio e zolfo |
30/6/2010[108] |
2009/74/CE |
della Commissione, del 26 giugno 2009, che modifica le direttive 66/401/CEE, 66/402/CEE, 2002/55/CE e 2002/57/CE del Consiglio per quanto riguarda le denominazioni botaniche delle piante e le denominazioni scientifiche di altri organismi, nonché alcuni allegati delle direttive 66/401/CEE, 66/402/CEE e 2002/57/CE alla luce dell'evoluzione delle conoscenze scientifiche e tecniche |
30/6/2010[109] |
2009/77/CE |
della Commissione, del 1° luglio 2009, che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio con l'iscrizione di clorsulfuron, ciromazina, dimetaclor, etofenprox, lufenuron, penconazolo, tri-allato e triflusulfuron come sostanze attive |
30/6/2010[110] |
2009/82/CE |
del Consiglio, del 13 luglio 2009, che modifica la direttiva 91/414/CEE con l'iscrizione della sostanza attiva tetraconazolo |
1/7/2010[111] |
2009/83/CE |
della Commissione, del 27 luglio 2009, che modifica alcuni allegati della direttiva 2006/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le disposizioni tecniche relative alla gestione del rischio |
31/10/2010 |
2009/84/CE |
della Commissione, del 28 luglio 2009, recante modifica della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al fine di iscrivere il fluoruro di solforile come principio attivo nell'allegato I della direttiva |
30/6/2010[112] |
2009/85/CE |
della Commissione, del 28 luglio 2009, recante modifica della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al fine di iscrivere il fluoruro di solforile come principio attivo nell'allegato I della direttiva |
30/6/2010[113] |
2009/86/CE |
della Commissione, del 29 luglio 2009, recante modifica della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al fine di includere il fenpropimorf come principio attivo nell'allegato I della direttiva |
30/6/2010[114] |
2009/89/CE |
della Commissione, del 4 agosto 2009, recante modifica della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al fine di iscrivere l'azoto come principio attivo nell'allegato I della direttiva |
31/8/2010[115] |
2009/91/CE |
della Commissione, del 31 luglio 2009, recante modifica della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al fine di includere il tetraborato di sodio come principio attivo nell'allegato I della direttiva |
31/8/2010[116] |
2009/92/CE |
della Commissione, del 31 luglio 2009, recante modifica della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al fine di includere il bromadiolone come principio attivo nell'allegato I della direttiva |
1/7/2011 |
2009/93/CE |
della Commissione, del 31 luglio 2009, recante modifica della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al fine di includere l'alfa-cloraloso come principio attivo nell'allegato I della direttiva |
1/7/2011 |
2009/94/CE |
della Commissione, del 31 luglio 2009, recante modifica della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al fine di includere l'acido borico come principio attivo nell'allegato I della direttiva |
31/8/2010[117] |
2009/95/CE |
della Commissione, del 31 luglio 2009, recante modifica della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al fine di includere il fosfuro d'alluminio come principio attivo nell'allegato I della direttiva |
31/8/2010[118] |
2009/96/CE |
della Commissione, del 31 luglio 2009, recante modifica della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al fine di includere l'ottaborato di sodio tetraidrato come principio attivo nell'allegato I della direttiva |
31/8/2010[119] |
2009/98/CE |
della Commissione, del 4 agosto 2009, recante modifica della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al fine di iscrivere l'anidride borica come principio attivo nell'allegato I della direttiva |
31/8/2010[120] |
2009/99/CE |
della Commissione, del 4 agosto 2009, recante modifica della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al fine di iscrivere il clorofacinone come principio attivo nell'allegato I della direttiva |
30/6/2010[121] |
2009/112/CE |
della Commissione, del 25 agosto 2009, recante modifica della direttiva 91/439/CEE del Consiglio concernente la patente di guida |
14/9/2010[122]
|
2009/114/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, recante modifica della direttiva 87/372/CEE del Consiglio sulle bande di frequenza da assegnare per l'introduzione coordinata del servizio pubblico digitale paneuropeo di radiotelefonia mobile terrestre della Comunità |
9/5/2010[123]
|
2009/115/CE |
della Commissione, del 31 agosto 2009, che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio con l'iscrizione della sostanza attiva metomil |
31/1/2010[124] |
2009/116/CE |
del Consiglio, del 25 giugno 2009, che modifica la direttiva 91/414/CEE con l'iscrizione degli oli di paraffina n. CAS 64742-46-7, n. CAS 72623-86-0 e n. CAS 97862-82-3 come sostanze attive |
30/6/2010[125] |
2009/117/CE |
del Consiglio, del 25 giugno 2009, che modifica la direttiva 91/414/CEE con l'iscrizione dell'olio di paraffina n. CAS 8042-47-5 come sostanza attiva |
30/6/2010[126] |
2009/120/CE |
della Commissione, del 14 settembre 2009, che modifica la direttiva 2001/83/CE del parlamento europeo e del Consiglio recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano per quanto riguarda i medicinali per terapie avanzate |
5/4/2010[127] |
2009/121/CE |
della Commissione, del 14 settembre 2009, che modifica, per adeguarli al progresso tecnico, gli allegati I e V della direttiva 2008/121/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle denominazioni del settore tessile |
15/9/2010[128] |
2009/122/CE |
della Commissione, del 14 settembre 2009, che modifica, per adeguarli al progresso tecnico, l'allegato II della direttiva 96/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a taluni metodi di analisi quantitativa di mischie binarie di fibre tessili |
15/9/2010 |
2009/129/CE |
della Commissione, del 9 ottobre 2009, che modifica la direttiva 76/768/CEE del Consiglio relativa ai prodotti cosmetici al fine di adeguare al progresso tecnico il suo allegato III |
15/4/2010[129] |
2009/130/CE |
della Commissione, del 12 ottobre 2009, che modifica la direttiva 76/768/CEE del Consiglio relativa ai prodotti cosmetici al fine di adeguare al progresso tecnico il suo allegato III |
15/4/2010[130] |
2009/134/CE |
della Commissione, del 28 ottobre 2009, che modifica la direttiva 76/768/CEE del Consiglio relativa ai prodotti cosmetici, al fine di adeguare al progresso tecnico il suo allegato III |
1/11/2011[131] |
2009/137/CE |
della Commissione, del 10 novembre 2009, che modifica la direttiva 2004/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa agli strumenti di misura per quanto riguarda lo sfruttamento degli errori massimi tollerati di cui agli allegati specifici relativi agli strumenti da MI-001 a MI-005 |
1/12/2010[132] |
2009/141/CE |
della Commissione, del 23 novembre 2009, che modifica l'allegato I della direttiva 2002/32/CE del parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda i livelli massimi di arsenico, teobromina, Datura sp., Ricinus communis L., Croton tiglium L. e Abrus precatorius L. |
1/7/2010[133] |
2009/146/CE |
della Commissione, del 26 novembre 2009, che rettifica la direttiva 2008/125/CE della Commissione che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio al fine di iscrivere il fosfuro di alluminio, il fosfuro di calcio, il fosfuro di magnesio, il cioxanil, il dodemorf, l'estere metilico dell'acido 2,5-diclorobenzoico, il metamitron, il sulcotrione, il tebuconazolo e il triadimenol quali sostanze attive |
28/2/2010[134] |
2009/150/CE |
della Commissione, del 27 novembre 2009, recante modifica della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al fine di includere il flocoumafen come principio attivo nell'allegato I della direttiva |
30/9/2010[135] |
2009/151/CE |
della Commissione, del 27 novembre 2009, recante modifica della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al fine di includere il tolilfluanide come principio attivo nell'allegato I della direttiva |
30/9/2010[136] |
2009/152/CE |
della Commissione, del 30 novembre 2009, che modifica la direttiva 91/414/CEE per quanto riguarda la scadenza dell'iscrizione della sostanza attiva carbendazim nell'allegato I |
31/12/2009[137] |
2009/153/CE |
della Commissione, del 30 novembre 2009, che modifica l'allegato I della direttiva 91/414/CEE del Consiglio per quanto riguarda il nome comune e la purezza della sostanza attiva proteine idrolizzate |
28/2/2010[138] |
2009/154/CE |
della Commissione, del 30 novembre 2009, che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio ai fini dell'inserimento della sostanza attiva cilflufenamid |
30/9/2010[139] |
2009/155/CE |
della Commissione, del 30 novembre 2009, che modifica l'allegato I della direttiva 91/414/CEE del Consiglio per quanto riguarda il nome comune e la purezza della sostanza attiva metazachlor |
31/1/2010[140] |
2009/159/CE |
della Commissione del 16 dicembre 2009 che modifica l'allegato III della direttiva 76/7689/CEE del Consiglio relativa ai prodotti cosmetici al fine di adeguarlo al progresso tecnico |
31/12/2009[141] |
2009/161/CE |
della Commissione, del 17 dicembre 2009, che definisce un terzo elenco di valori indicativi di esposizione professionale in attuazione della direttiva 98/24/CE del Consiglio e che modifica la direttiva 2000/39/CE della Commissione |
18/12/2011 |
2009/163/CE |
della Commissione, del 22 dicembre 2009, che modifica la direttiva 94/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sugli edulcoranti destinati ad essere utilizzati nei prodotti alimentari per quanto riguarda il neotame |
12/10/2010[142] |
2009/164/CE |
della Commissione, del 22 dicembre 2009, che modifica gli allegati II e III della direttiva 76/768/CEE del Consiglio relativa ai prodotti cosmetici al fine di adeguarli al progresso tecnico |
15/08/2010[143] |
2010/1/CE |
della Commissione, dell’8 gennaio 2010, che modifica gli allegati II, III e IV della direttiva 2000/29/CE del Consiglio concernente le misure di protezione contro l’introduzione nella Comunità di organismi nocivi ai vegetali o ai prodotti vegetali e contro la loro diffusione nella Comunità |
28/2/2010[144] |
2010/3/UE |
della Commissione, del 1° febbraio 2010, che modifica gli allegati III e VI della direttiva 76/768/CEE del Consiglio relativa ai prodotti cosmetici al fine di adeguarli al progresso tecnico |
1/9/2010 |
2010/4/UE |
della Commissione, dell’8 febbraio 2010, che modifica l’allegato III della direttiva 76/768/CEE del Consiglio relativa ai prodotti cosmetici al fine di adeguarlo al progresso tecnico |
1/9/2010 |
2010/5/UE |
della Commissione, dell’8 febbraio 2010, recante modifica della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, al fine di iscrivere l’acroleina come principio attivo nell’allegato I della direttiva |
31/8/2010 |
2010/7/UE |
della Commissione, del 9 febbraio 2010, recante modifica della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al fine di includere il fosfuro di magnesio che rilascia fosfina come principio attivo nell’allegato I della direttiva |
31/1/2011 |
2010/8/UE |
della Commissione del 9 febbraio 2010, recante modifica della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al fine di iscrivere il warfarin sodico come principio attivo nell’allegato I della direttiva |
31/1/2011 |
2010/9/UE |
della Commissione del 9 febbraio 2010, recante modifica della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al fine di estendere l’inclusione nell’allegato I della direttiva del principio attivo fosfuro d’alluminio che rilascia fosfina al tipo di prodotto 18 definito nell’allegato V |
31/1/2011 |
2010/10/UE |
della Commissione del 9 febbraio 2010, recante modifica della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al fine di includere il brodifacum come principio attivo nell’allegato I della direttiva |
31/1/2011 |
2010/11/UE |
della Commissione del 9 febbraio 2010, recante modifica della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al fine di includere il warfarin come principio attivo nell’allegato I della direttiva |
31/1/2011 |
Tabella 2
|
Graduatoria |
Stato membro |
Direttive con termine di recepimento scaduto al 24/11/2009 |
Direttive per le quali sono state comunicate misure di attuazione |
Percentuale di direttive attuate
|
1 |
Germania |
3078 |
3064 |
99,55% |
2 |
Lettonia |
3134 |
3119 |
99,52% |
3 |
Lituania |
3136 |
3119 |
99,46% |
4 |
Slovacchia |
3136 |
3118 |
99,43% |
5 |
Malta |
3125 |
3107 |
99,42% |
6 |
Spagna |
3097 |
3079 |
99,42% |
7 |
Svezia |
3078 |
3060 |
99,42 |
8 |
Paesi Bassi |
3237 |
3217 |
99,38% |
9 |
Svezia |
3063 |
3044 |
99,38% |
10 |
Belgio |
3132 |
3112 |
99,36% |
11 |
Bulgaria |
3237 |
3216 |
99,35 |
12 |
Repubblica ceca |
3136 |
3114 |
99,30% |
13 |
Danimarca |
3077 |
3055 |
99,29% |
14 |
Estonia |
3123 |
3100 |
99,26% |
15 |
Francia |
3080 |
3057 |
99,25% |
16 |
Regno Unito |
3073 |
3050 |
99,25% |
17 |
Slovenia |
3133 |
3109 |
99,23% |
18 |
Finlandia |
3075 |
3051 |
99,22% |
19 |
Ungheria |
3129 |
3104 |
99,20% |
20 |
Irlanda |
3091 |
2065 |
99,16% |
21 |
Austria |
3083 |
3057 |
99,16% |
22 |
Portogallo |
3118 |
3091 |
99,13% |
23 |
Cipro |
3126 |
3096 |
99,04% |
24 |
Polonia |
3135 |
3104 |
99,01% |
25 |
Lussemburgo |
3083 |
3052 |
98,99% |
26 |
Italia |
3088 |
3050 |
98,77% |
27 |
Grecia |
3082 |
3042 |
98,70% |
|
Media CE |
3114 |
3091 |
99,25% |
Fonte: Commissione europea- Segretariato Generale
Tabella
3
|
Legge comunitaria 1999
(Legge 21 dicembre 1999, n. 526)
Direttive da recepire con decreto legislativo
DIRETTIVA |
TITOLO |
TERMINE DI RECEPIMENTO |
PARERE DELLE COMMISSIONI |
98/49/CE |
del Consiglio, del 29 giugno 1998, relativa alla salvaguardia dei diritti a pensione integrativa dei lavoratori subordinati e autonomi che si spostano all'interno della Comunità. |
25/07/2001 |
Non previsto |
Legge comunitaria 2000
(Legge 29 dicembre 2000, n. 422)
Direttive da attuare in via amministrativa
DIRETTIVA |
TITOLO |
TERMINE DI RECEPIMENTO |
1999/17/CE |
della Commissione, del 18 marzo 1999, che adegua al progresso tecnico la direttiva 76/761/CEE del Consiglio relativa ai proiettori dei veicoli a motore con funzione di fari abbaglianti e/o anabbaglianti nonché alle lampade ad incandescenza per tali proiettori |
1/10/99 al più tardi 6 mesi dopo la pubbl. dei regolamenti ECE/ONU della Commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite (nov.-dic. 2001) |
1999/18/CE |
direttiva 1999/18/CE della Commissione, del 18 marzo 1999, che adegua al progresso tecnico la direttiva 76/762/CEE del Consiglio relativa ai proiettori fendinebbia anteriori dei veicoli a motore, nonché alle lampade ad incandescenza per tali proiettori |
1/10/99 al più tardi 6 mesi dopo la pubbl. del regolamento (ECE/ONU) n. 19 della Commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite (nov.-dic. 2001) |
1999/81/CE |
del Consiglio, del 29 luglio 1999, che modifica la direttiva 92/79/CEE relativa al ravvicinamento delle imposte sulle sigarette, la direttiva 92/80/CEE relativa al ravvicinamento delle imposte sui tabacchi lavorati diversi dalle sigarette e la direttiva 95/59/CE relativa alle imposte diverse dall'imposta sul volume d'affari che gravano sul consumo dei tabacchi lavorati |
1/1/99 |
Legge comunitaria 2001
(Legge 1° marzo 2002, n. 39)
Tutte le direttive indicate negli articoli e negli Allegati A e B sono state recepite
Legge comunitaria 2002
(Legge 3 febbraio 2003, n. 14)
Tutte le direttive indicate negli articoli e negli Allegati A e B sono state recepite
Legge comunitaria 2003
(Legge 31 ottobre 2003, n. 306)
Direttive contenute negli articoli e negli Allegati A e B (da recepire con decreto legislativo)
Il termine per l’attuazione delle deleghe è scaduto il 30 maggio 2005
DIRETTIVA |
TITOLO |
TERMINE DI |
PARERE DELLE COMMISSIONI |
2002/83/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 novembre 2002, relativa all’assicurazione sulla vita |
17/11/2002 20/9/2003 19/6/2004 |
No |
2002/86/CE |
della Commissione del 6 novembre 2002 recante modifica della direttiva 2001/101/CE per quanto concerne il termine a partire da cui sono vietati gli scambi di prodotti non conformi alla direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio |
non definito (modifica termine di precedente direttiva) |
No |
Legge comunitaria 2004
(Legge 18 aprile 2005, n. 62)
Tutte le direttive indicate negli articoli e negli Allegati A e B sono state recepite
Direttive da attuare in via amministrativa
(Indicate nella relazione governativa al disegno di legge comunitaria 2004 - A.S. 2742 - XIV legislatura)
DIRETTIVA |
TITOLO |
TERMINE DI RECEPIMENTO |
2003/65/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 luglio 2003, che modifica la direttiva 86/609/CEE del Consiglio concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici |
16/9/2004 |
Legge comunitaria 2005
(Legge 25 gennaio 2006, n. 29)
Direttive indicate negli articoli e negli Allegati A e B (direttive da recepire con decreto legislativo)
DIRETTIVA |
TITOLO |
TERMINE DI |
PARERE DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI |
2005/1/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2005, che modifica le direttive 73/239/CEE, 85/611/CEE, 91/675/CEE, 92/49/CEE e 93/6/CEE del Consiglio e le direttive 94/19/CE, 98/78/CE, 2000/12/CE, 2001/34/CE, 2002/83/CE e 2002/87/CE al fine di istituire una nuova struttura organizzativa per i comitati del settore dei servizi finanziari |
13/5/2005 |
No |
Direttive da attuare in via amministrativa
(Indicate nella relazione governativa al disegno di legge comunitaria 2005 A.C. 5767 – XIV legislatura)
TITOLO |
TERMINE DI RECEPIMENTO |
|
2003/107/CE |
che modifica la direttiva 96/16/CE del Consiglio relativa alle indagini statistiche da effettuare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari |
31/3/2004 |
2004/63/CE
|
del 26 aprile 2004, che modifica la direttiva 2003/79/CE della Commissione per quanto riguarda i termini di attuazione |
eventuale revoca autorizzazioni entro il 30/6/2005 |
2004/97/CE |
modifica la direttiva 2004/60/CE della Commissione per quanto riguarda i termini di attuazione |
eventuale revoca autorizzazioni entro il 28/2/2006 |
Legge comunitaria 2006
(Legge 6 febbraio 2007, n. 13)
Tutte le direttive indicate negli articoli e negli Allegati A, B e C sono state recepite
Direttive da attuare in via amministrativa
(Indicate nella Relazione governativa al ddl comunitaria 2006 – AC 1042 – XV Legislatura)
DIRETTIVA |
TITOLO |
TERMINE DI RECEPIMENTO |
2005/38/CE |
della Commissione, del 6 giugno 2005, relativa ai metodi di campionamento e di analisi per il controllo ufficiale del tenore di tossine di Fusarium nei prodotti alimentari |
1/7/2006 |
Legge comunitaria 2007
(Legge 25 febbraio 2008, n. 34)
Direttive indicate negli articoli e negli Allegati A e B (direttive da recepire con decreto legislativo)
DIRETTIVA |
TITOLO |
TERMINE DI RECEPIMENTO |
2006/69/CE |
del Consiglio, del 24 luglio 2006, che modifica la direttiva 77/388/CEE per quanto riguarda talune misure aventi lo scopo di semplificare la riscossione dell'imposta sul valore aggiunto e di contribuire a contrastare la frode o l'evasione fiscale e che abroga talune decisioni che autorizzano misure derogatorie |
1/1/2008 |
2006/112/CE |
del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto |
1/1/2008 |
Direttive da attuare in via amministrativa
(Indicate nella relazione governativa al disegno di legge comunitaria 2007 - AS 1448 XV Legislatura)
DIRETTIVA |
TITOLO |
TERMINE DI RECEPIMENTO |
2006/91/CE |
del Consiglio, del 7 novembre 2006, concernente la lotta contro la cocciniglia di San Josè (versione codificata) |
Non presente |
2006/125/CE |
della Commissione, del 5 dicembre 2006, sugli alimenti a base di cereali e gli altri alimenti destinati ai lattanti e ai bambini |
Non presente |
2006/126/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, concernente la patente di guida (Rifusione) |
Adozione delle misure: 19/1/2011[145] Applicazione: 19/1/2013 |
Legge comunitaria 2008
(Legge 7 luglio 2009, n. 88)
Direttive indicate negli articoli e negli Allegati A e B (direttive da recepire con decreto legislativo)
Articoli
ARTICOLO |
DIRETTIVA |
TITOLO |
TERMINE DI RECEPIMENTO |
20 |
2008/13/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2008, che abroga la direttiva 84/539/CE del Consiglio per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli apparecchi elettrici utilizzati in medicina veterinaria |
31/12/2008 |
27 |
2007/68/CE |
della Commissione, del 27 novembre 2007, che modifica l'allegato III bis della direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto concerne l'inclusione di alcuni ingredienti alimentari |
31/5/2008 |
Allegato A
Le direttive indicate nell’Allegato A sono state tutte recepite.
Allegato B
DIRETTIVA |
TITOLO |
TERMINE DI |
2005/47/CE |
del Consiglio, del 18 luglio 2005, concernente l’accordo tra la Comunità delle ferrovie europee (CER) e la Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) su taluni aspetti delle condizioni di lavoro dei lavoratori mobili che effettuano servizi di interoperabilità transfrontaliera nel settore ferroviario |
27/7/2008[146] |
2006/112/CE |
del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto |
1/1/2008 |
2007/30/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2007, che modifica la direttiva 89/391/CEE del Consiglio, le sue direttive particolari e le direttive del Consiglio 83/477/CEE, 91/383/CEE, 92/29/CEE, e 94/33/CE ai fini della semplificazione e della razionalizzazione delle relazioni sull'attuazione pratica |
31/12/2007
|
2008/5/CE |
della Commissione, del 30 gennaio 2008, relativa alla specificazione sull'etichetta di alcuni prodotti alimentari di altre indicazioni obbligatorie oltre a quelle previste dalla direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (versione codificata) |
20/2/2008 |
Direttive da attuare in via amministrativa
(Indicate nella relazione governativa al disegno di legge comunitaria 2008 - AS 1078- XVI Legislatura)
DIRETTIVA |
TITOLO |
TERMINE DI RECEPIMENTO |
2007/61/CE |
del Consiglio, del 26 settembre 2007, che modifica la direttiva 2001/114/CE relativa a taluni tipi di latte conservato parzialmente o totalmente disidratato destinato all'alimentazione umana |
31/08/2008 |
2008/47/CE |
della Commissione, dell'8 aprile 2008, che modifica, per adeguarla al progresso tecnico, la direttiva 75/324/CEE del Consiglio per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli aerosol |
29/10/2009
|
Legge comunitaria 2009
(Legge 4 giugno 2010, n. 96)
Direttive indicate negli articoli e negli allegati A e B (direttive da recepire con decreto legislativo)
Direttive indicate solo negli articoli
ARTICOLO |
DIRETTIVA |
TERMINE DI |
PARERE DELLE COMMISSIONI |
26 |
Direttiva 2007/61/CE del Consiglio, del 26 settembre 2007, che modifica la direttiva 2001/114/CE relativa a taluni tipi di latte conservato parzialmente o totalmente disidratato destinato all'alimentazione umana |
31/8/2008 |
Sì |
37 |
Direttiva 200(76/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 febbraio 2008, che modifica della direttiva 67/97/CE per quanto riguarda il pieno completamento del mercato interno dei servizi postali comunitari |
31/12/2010 |
Sì |
42 |
Direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (versione codificata) |
non è previsto termine espresso |
Sì |
Allegato A
DIRETTIVA |
TITOLO |
TERMINE DI |
PARERE DELLE COMMISSIONI |
2008/72/CE |
del Consiglio, del 15 luglio 2008, relativa alla commercializzazione delle piantine di ortaggi e dei materiali di moltiplicazione di ortaggi, ad eccezione delle sementi (Versione codificata) |
non è previsto termine espresso |
NO |
2008/106/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare (rifusione) |
non è previsto termine espresso |
NO |
2008/119/CE |
del Consiglio, del 18 dicembre 2008, che stabilisce le norme minime per la protezione dei vitelli (versione codificata) |
non è previsto termine espresso |
NO |
2008/120/CE |
del Consiglio, del 18 dicembre 2008, che stabilisce le norme minime per la protezione dei suini (versione codificata) |
non è previsto termine espresso |
NO |
2008/124/CE |
della Commissione, del 18 dicembre 2008, che limita la commercializzazione delle sementi di talune specie di piante foraggere, oleaginose e da fibra alle sementi ufficialmente certificate "sementi di base" o "sementi certificate" (versione codificata) |
non è previsto termine espresso |
NO |
2009/15/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa alle disposizioni ed alle norme comuni per gli organismi che effettuano le ispezioni e le visite di controllo delle navi e per le pertinenti attività delle amministrazioni marittime |
17/6/2011 |
NO |
2009/41/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, sull'impiego confinato di microrganismi geneticamente modificati (rifusione) |
non è previsto termine espresso |
NO |
2009/145/CE |
della Commissione, del 26 novembre 2009, che prevede talune deroghe per l'ammissione di ecotipi e varietà vegetali tradizionalmente coltivati in particolari località e regioni e minacciati dall'erosione genetica, nonché di varietà vegetali prive di valore intrinseco per la produzione vegetale a fini commerciali ma sviluppate per la coltivazione in condizioni particolari e per la commercializzazione di sementi di tali ecotipi e varietà |
31/12/2010 |
NO |
Allegato B
DIRETTIVA |
TITOLO |
TERMINE DI |
PARERE DELLE COMMISSIONI |
2008/92/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, concernente una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas ed energia elettrica (rifusione) |
non è previsto termine espresso |
Sì |
2008/95/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (Versione codificata) |
non è previsto termine espresso |
Sì |
2008/96/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali |
19/12/2010 |
Sì[147] |
2008/99/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, sulla tutela penale dell’ambiente |
26/12/2010 |
Sì |
2008/104/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa al lavoro tramite agenzia interinale |
5/12/2011 |
Sì |
2008/110/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, che modifica la direttiva 2004/49/CE relativa alla sicurezza delle ferrovie comunitarie (direttiva sulla sicurezza delle ferrovie) |
24/12/2010 |
Sì[148] |
2008/112/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, che modifica le direttive del Consiglio 76/768/CEE, 88/3789/CEE, 1999/13/CE e le direttive del parlamento europeo e del Consiglio 2000/53/CE, 2002/96/CE e 2004/42/CE allo scopo di adeguarle al regolamento (CE) n. 1272/2008 relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele |
1/4/2010 applicazione: 1/6/2010 |
Sì |
2008/114 |
del Consiglio, dell'8 dicembre 2008, relativa all'individuazione e alla designazione delle infrastrutture critiche europee e alla valutazione della necessità di migliorarne la protezione |
12/1/2011 |
Sì[149] |
2009/12/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2009, concernente i diritti aeroportuali |
15/03/2011 |
Sì |
2009/13/CE |
del Consiglio, del 16 febbraio 2009, recante attuazione dell'accordo concluso dall'Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e dalla Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) sulla convenzione sul lavoro marittimo del 2006 e modifica della direttiva 1999/63/CE |
non è previsto termine espresso |
Sì |
2009/14/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2009, recante modifica della direttiva 94/19/CE relativa ai sistemi di garanzia dei depositi per quanto riguarda il livello di copertura e il termine di rimborso |
30/6/2009 |
Sì[150] |
2009/16/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa al controllo da parte dello Stato di approdo |
31/12/2010 |
Sì[151] |
2009/17/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, recante modifica della direttiva 2002/59/CE relativa all'istituzione di un sistema comunitario di monitoraggio del traffico navale e d'informazione |
30/11/2010 |
Sì |
2009/18/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, che stabilisce i prìncipi fondamentali in materia di inchieste sugli incidenti nel settore del trasporto marittimo e che modifica la direttiva 1999/35/CE del Consiglio e la direttiva 2002/59/CE del parlamento europeo e del Consiglio |
17/6/2011 |
Sì |
2009/21/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa al rispetto degli obblighi dello Stato di bandiera |
17/6/2011 |
Sì |
2009/28/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE |
5/12/2010 |
Sì |
2009/29/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, che modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra |
31/12/2012 |
Sì |
2009/30/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, che modifica la direttiva 98/70/CE per quanto riguarda le specifiche relative a benzina, combustibile diesel e gasolio nonché l'introduzione di un meccanismo inteso a controllare e ridurre le emissioni di gas a effetto serra, modifica la direttiva 1999/32/CE del Consiglio per quanto concerne le specifiche relative al combustibile utilizzato dalle navi adibite alla navigazione interna e abroga la direttiva 93/12/CEE |
31/12/2010 |
Sì[152] |
2009/31/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa allo stoccaggio geologico di biossido di carbonio e recante modifica della direttiva 85/337/CEE del Consiglio, delle direttive del parlamento europeo e del Consiglio 2000/60/CE, 2001/80/CE, 2004/35/CE, 2008/1/CE e del regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio |
25/6/2011 |
Sì |
2009/33/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa alla promozione di veicoli puliti e a basso consumo energetico nel trasporto su strada |
4/12/2010 |
Sì |
2009/44/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, che modifica la direttiva 98/26/CE concernente il carattere definitivo del regolamento dei sistemi di pagamento e nei sistemi di regolamento titoli e la direttiva 2002/47/CE relativa ai contratti di garanzia finanziaria per quanto riguarda i sistemi connessi e i crediti |
30/12/2010 |
Sì[153] |
2009/48/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2009, sulla sicurezza dei giocattoli |
20/1/2011 |
Sì[154] |
2009/49/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2009, che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio per quanto riguarda taluni obblighi di comunicazione a carico delle società di medie dimensioni e l'obbligo di redigere conti consolidati |
1/1/2011 |
Sì |
2009/53/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2009, che modifica le direttive 2001/82/CE e 2001/83/CE per quanto concerne le modifiche dei termini delle autorizzazioni all'immissione in commercio dei medicinali |
20/1/2011 |
Sì |
2009/54/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2009, sull'utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali naturali (rifusione) |
non è previsto termine espresso |
Sì |
2009/69/CE |
del Consiglio, del 25 giugno 2009, che modifica la direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto in relazione all'evasione fiscale connessa all'importazione |
1/1/2011 |
Sì |
2009/71/EURATOM |
del Consiglio, del 25 giugno 2009, che istituisce un quadro comunitario per la sicurezza nucleare degli impianti nucleari |
22/7/2011 |
Sì |
2009/72/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica e che abroga la direttiva 2003/54/CE |
3/3/2011 |
Sì |
2009/73/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale e che abroga la direttiva 2003/55/CE |
3/3/2011 |
Sì |
2009/81/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 luglio 2009 relativa al coordinamento delle procedure per l'aggiudicazione di taluni appalti di lavori, di forniture e di servizi nei settori della difesa e della sicurezza da parte delle amministrazioni aggiudicatrici/degli enti aggiudicatori, e recante modifica delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE |
21/8/2011 |
Sì |
2009/90/CE |
della Commissione, del 29 luglio 2009, recante modifica della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al fine di iscrivere l'indoxacarb come principio attivo nell'allegato I della direttiva |
20/2/2010 |
Sì |
2009/101/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell'articolo 48, secondo comma, del trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi (versione codificata) |
non è previsto termine espresso |
Sì |
2009/102/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, in materia di diritto delle società, relativa alle società a responsabilità limitata con un unico socio (versione codificata) |
non è previsto termine espresso |
Sì |
2009/107/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, recante modifica della direttiva 98/8/CE, relativa all'immissione sul mercato dei biocidi, per quanto riguarda l'estensione di determinati periodi di tempo |
14/5/2010 |
Sì |
2009/119/CE |
del Consiglio, del 14 settembre 2009, che stabilisce l'obbligo per gli Stati membri di mantenere un livello minimo di scorte di petrolio greggio e/o di prodotti petroliferi |
31/12/2012 |
|
2009/123/CE |
del parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, che modifica la direttiva 2005/35/CE relativa all'inquinamento provocato dalle navi e all'introduzione di sanzioni per violazioni |
16/11/2010 |
Sì |
2009/125/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, relativa all'istituzione di un quadro per l'elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti connessi all'energia |
20/11/2010 |
Sì |
2009/138/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2009 in materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione (solvibilità II) |
31/10/2012 |
Sì |
2009/148/CE |
del parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con un'esposizione all'amianto durante il lavoro (versione codificata) |
non è previsto termine espresso |
Sì |
2009/149/CE |
della Commissione, del 27 novembre 2009, che modifica la direttiva 2004/49/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda gli indicatori comuni di sicurezza e i metodi comuni di calcolo dei costi connessi agli incidenti |
18/6/2010 |
Sì |
2010/12/UE |
del Consiglio, del 16 febbraio 2010, recante modifica delle direttive 92/79/CEE, 92/89/CEE e 95/59/CE per quanto concerne la struttura e le aliquote delle accise che gravano sui tabacchi lavorati e della direttiva 2008/118/CE |
31/12/2010 |
Sì[155] |
Direttive da attuare in via amministrativa
(Indicate nella relazione governativa al disegno di legge comunitaria 2009 - AC 2449)
DIRETTIVA |
TITOLO |
TERMINE DI RECEPIMENTO |
2008/1/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2008, sulla prevenzione e riduzione integrate dall’inquinamento (VERSIONE CODIFICATA) |
non è previsto termine espresso |
2008/2/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2008, concernente il campo di visibilità e i tergicristalli dei trattori agricoli o forestali a ruote (VERSIONE CODIFICATA) |
1/5/2008 |
2008/47/CE |
della Commissione, dell'8 aprile 2008, che modifica, per adeguarla al progresso tecnico, la direttiva 75/324/CEE del Consiglio per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli aerosol |
29/10/2009 applicaz.: 29/4/2010 |
2008/64/CE |
della Commissione, del 27 giugno 2008, che modifica gli allegati da I a IV della direttiva 2000/29/CE del Consiglio concernente le misure di protezione contro l’introduzione nella Comunità di organismi nocivi ai vegetali o ai prodotti vegetali e contro la loro diffusione nella Comunità |
31/8/2008 |
2008/76/CE |
della Commissione, del 25 luglio 2008, che modifica l’allegato I della direttiva 2002/32/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle sostanze indesiderabili nell’alimentazione degli animali |
1/4/2009 |
2008/88/CE |
della Commissione, del 23 settembre 2008, che modifica la direttiva 76/768/CEE del Consiglio sui prodotti cosmetici al fine di adeguare al progresso tecnico i suoi allegati II e III |
14/2/2009 |
2008/116/CE |
della Commissione, del 15 dicembre 2008, che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio con l’iscrizione delle sostanze attive aclonifen, imidacloprid, e metazachlor |
31/1/2010 |
Tabella 4
|
In grassetto sono evidenziate le direttive già scadute alla data del 3/2/2011
DIRETTIVA |
TITOLO |
TERMINE DI |
2000/64/CE |
del 7 novembre 2000, che modifica le direttive 85/611/CEE, 92/49/CEE, 92/96/CEE e 93/22/CEE del Consiglio per quanto riguarda lo scambio d'informazioni con i paesi terzi |
17/11/2002 abrogata parzialmente dalla direttiva 2002/83/CE |
2005/75/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2005, che rettifica la direttiva 2004/18/CE relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi |
31/01/2006 |
2006/29/CE |
della Commissione, dell’8 marzo 2006, che modifica la direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda l’inclusione di taluni enti nel campo di applicazione di tale direttiva o la loro esclusione da esso |
30/06/2006 |
2007/42/CE |
della Commissione, del 29 giugno 2007, relativa ai materiali e agli oggetti di pellicola di cellulosa rigenerata destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari (versione codificata) |
non è previsto termine espresso |
2008/55/CE |
del Consiglio, del 26 maggio 2008, sull'assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da taluni contributi, dazi, imposte ed altre misure (versione codificata) |
non è previsto termine espresso |
2008/72/CE |
del Consiglio, del 15 luglio 2008, relativa alla commercializzazione delle piantine di ortaggi e dei materiali di moltiplicazione di ortaggi, ad eccezione delle sementi (versione codificata) |
non è previsto termine espresso |
2008/94/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in casi d'insolvenza del datore di lavoro (versione codificata) |
non è previsto termine espresso |
2008/95/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (versione codificata) |
non è previsto termine espresso |
2008/106/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare (rifusione) |
non è previsto termine espresso |
2009/2/CE |
della Commissione, del 15 gennaio 2009, recante trentunesimo adeguamento al progresso tecnico della direttiva 67/548/CEE del Consiglio concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative alla classificazione, all'imballaggio e all'etichettatura delle sostanze pericolose |
1/6/2009 |
2009/14/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2009, recante modifica della direttiva 94/19/CE relativa ai sistemi di garanzia dei depositi per quanto riguarda il livello di copertura e il termine di rimborso |
30/6/2009[156] |
2009/22/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori (versione codificata) |
non è previsto termine espresso |
2009/23/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa agli strumenti per pesare a funzionamento non automatico (versione codificata) |
non è previsto termine espresso |
2009/32/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri riguardanti i solventi da estrazione impiegati nella preparazione dei prodotti alimentari e dei loro ingredienti (rifusione) |
non è previsto termine espresso |
2009/34/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa alle disposizioni comuni agli strumenti di misura ed ai metodi di controllo metrologico (rifusione) |
non è previsto termine espresso |
2009/40/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, concernente il controllo tecnico dei veicoli a motore e dei loro rimorchi (rifusione) |
non è previsto termine espresso |
2009/55/CE |
del Consiglio, del 25 maggio 2009, relativa alle esenzioni fiscali applicabili all'introduzione definitiva di beni personali di privati provenienti da uno Stato membro (versione codificata) |
non è previsto termine espresso |
2009/57/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, relativa ai dispositivi di protezione in caso di capovolgiomento dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata) |
non è previsto termine espresso |
2009/66/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, relativa al dispositivo di sterzo dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata) |
non è previsto termine espresso |
2009/75/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, relativa ai dispositivi di protezione in caso di capovolgimento dei trattori agricoli o forestali a ruote (prove statiche) (versione codificata) |
non è previsto termine espresso |
2009/79/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, relativa ai cavalletti dei veicoli a motore a due ruote |
non è previsto termine espresso |
2009/100/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, sul reciproco riconoscimento degli attestati di navigabilità rilasciati per le navi della navigazione interna |
non è previsto termine espresso |
2009/105/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, relativa ai recipienti semplici a pressione (versione codificata) |
non è previsto termine espresso |
2009/132/CE |
del Consiglio, del 19 ottobre 2009, che determina l'ambito d'applicazione dell'articolo 143, lettere b) e c), della direttiva 2006/112/CE per quanto concerne l'esenzione dell'imposta sul valore aggiunto di talune importazioni definitive di beni (versione codificata) |
non è previsto termine espresso |
2009/133/CE |
del Consiglio, del 19 ottobre 2009, relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, alle scissioni parziali, ai conferimenti d'attivo ed agli scambi d'azioni concernenti società di Stati membri diversi e al trasferimento della sede sociale di una SE e di una SCE tra Stati membri (versione codificata) |
non è previsto termine espresso |
2009/147/CE |
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (versione codificata) |
non è previsto termine espresso |
[1] La “legge la Pergola” è stata abrogata ai sensi dell’articolo 22, comma 2, della legge n. 11 del 2005. Prima della legge n. 86 del 1989, trovava applicazione la legge 16 aprile 1983, n. 87 (c.d. “legge Fabbri”) che, oltre ad aver istituito il Dipartimento per le politiche comunitarie, ha regolato l’attuazione del diritto comunitario sia in via amministrativa, mediante regolamenti o atti amministrativi generali, sia in via legislativa, attraverso disegni di legge o delega legislativa.
[2] La prima legge comunitaria è stata approvata nel 1990.
[3] Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari.
[4] Articolo 2, comma 1, della legge n. 86 del 1989.
[5] Tale norma ha limitato l’intervento dei regolamenti governativi nelle sole materie di competenza statale esclusiva (articolo 117, sesto comma, della Costituzione).
[6] Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa. Si segnala che i principi cui riferirsi sono ora contenuti nel comma 4, anziché nel comma 5, dell’articolo 20 della legge n. 59 del 1997, a seguito della riformulazione dell’articolo 20 ad opera dell’articolo 1 della legge 29 luglio 2003, n. 229. Si tratta di principi finalizzati alla semplificazione e razionalizzazione normativa e procedurale.
[7] Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
[8] In linea generale, per quanto concerne gli obblighi di trasmissione ed informazione previsti dalla legge n. 11 del 2005, si ricorda che l’articolo 19 autorizza il Presidente del Consiglio o il Ministro per le politiche comunitarie ad avvalersi di strumenti informatici.
[9] La norma citata prevede la seguente procedura. Gli atti di indirizzo e coordinamento delle funzioni amministrative regionali, gli atti di coordinamento tecnico, nonché le direttive relative all'esercizio delle funzioni delegate, sono adottati previa intesa con la Conferenza Stato-regioni o con la singola regione interessata. Qualora nel termine di 45 giorni dalla prima consultazione l'intesa non sia stata raggiunta, gli atti sopra indicati sono adottati con deliberazione del Consiglio dei ministri, previo parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali da esprimere entro 30 giorni dalla richiesta. In caso di urgenza il Consiglio dei ministri può provvedere senza l'osservanza delle suddette procedure. I provvedimenti in tal modo adottati sono sottoposti all'esame della Conferenza Stato-regioni o della Commissione parlamentare per le questioni regionali (a seconda della diversa procedura seguita) entro i successivi 15 giorni. Il Consiglio dei ministri è tenuto a riesaminare i provvedimenti in ordine ai quali siano stati espressi pareri negativi. Gli atti di indirizzo e coordinamento, gli atti di coordinamento tecnico, nonché le direttive adottate con deliberazione del Consiglio dei ministri, sono trasmessi alle competenti Commissioni parlamentari.
[10] In base all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, oltre a partecipare alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari, provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.
[11] Tale meccanismo appare in linea con la giurisprudenza della Corte costituzionale, alla stregua della quale, in caso di inerzia delle regioni e province autonome nell’attuazione delle direttive comunitarie “si fa necessariamente strada il potere-dovere dello Stato di assicurare l'adempimento degli obblighi comunitari, ciò di cui, unitariamente e per tutto il territorio nazionale, lo Stato stesso è responsabile. […] Allo Stato, dunque, il compito di supplire all'eventuale inerzia con proprie norme, colmando la lacuna; alle Regioni e alle Province autonome il potere di far uso in qualunque momento delle proprie competenze, rendendo di conseguenza inapplicabile la normativa statale” (sentenza n. 425/1999).
[12] Si segnala, comunque, che la dottrina (Rescigno, Anzon, D’Atena, Caretti, Gianfrancesco, Scaccia, Marazzita) è divisa circa l’interpretazione da attribuire ai due diversi disposti costituzionali: alcuni ritengono che le due norme facciano sistema, andando a configurare un’unica fattispecie di intervento sostitutivo, che ricorrerebbe in caso di inerzia regionale e si esplicherebbe attraverso un intervento governativo. Altri sostengono, invece, che mentre l’articolo 117, quinto comma, della Costituzione riguarderebbe i poteri sostitutivi di natura legislativa, che presuppongono l’inadempimento regionale, l’articolo 120, secondo comma, della Costituzione, disciplinerebbe i poteri sostitutivi di natura amministrativa, che non presuppongono l’inadempimento delle regioni e devono essere esercitati esclusivamente dal Governo. Infine, vi è chi ricostruisce il rapporto tra le due norme costituzionali in termini di sostituzione ordinaria e straordinaria. Il dettato costituzionale configurerebbe, quindi, una sostituzione ordinaria, che può essere tanto legislativa (articolo 117, quinto comma) quanto amministrativa (articolo 118), ed una sostituzione straordinaria (articolo 120, secondo comma), cui ricorrere a fronte di emergenze istituzionali di particolare gravità. Si tratterebbe in questo caso di una norma di chiusura, che svolge il ruolo residuale di estrema ratio, attivabile dal Governo in relazione all’esercizio di funzioni amministrative e normative, ma non legislative. La Corte costituzionale ha esaminato il tema dei poteri sostitutivi, in riferimento alla disciplina regionale della sostituzione di organi comunali da parte della regione. In tale circostanza, la Corte ha delineato l’articolo 120, secondo comma, della Costituzione, come norma di chiusura, volta ad assicurare comunque – in un sistema di più largo decentramento delle funzioni – taluni interessi essenziali. Configurandosi come estrema ratio, la norma non esaurisce le possibilità di esercizio di poteri sostitutivi, dal momento che essa ”prevede solo un potere sostitutivo straordinario in capo al Governo”, da esercitarsi in casi tassativamente indicati (si vedano, in particolare, la sentenza n. 43 del 2004 e le successive sentenze nn. 69, 74, 112 e 173 del 2004).
[13] L’articolo 16-bis della legge 11 del 2005 è stato introdotto dall’articolo 6 della legge n. 34 del 2008 (legge comunitaria 2007).
[14] L’articolo 42-ter del decreto-legge dicembre 2008, n. 207, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti, ha fornito l’interpretazione autentica dell’art. 16-bis della L. 11/2005, precisando che il diritto di rivalsa nei confronti delle regioni e degli altri enti pubblici può essere esercitato dallo Stato anche in relazione agli oneri finanziari sostenuti per la definizione di controversie presso la Corte europea dei diritti dell’uomo che si siano concluse con sentenza di radiazione o cancellazione dal ruolo. La nuova disposizione consente, quindi, di esercitare il diritto di rivalsa anche nelle ipotesi di controversie cessate con la cancellazione del ricorso dal ruolo, ai sensi dell’art. 37 CEDU, o con la conclusione di un regolamento amichevole ex art. 39 CEDU.
[15] Istituzione del sistema di tesoreria unica per enti ed organismi pubblici.
[16] COM(2003)238 final del 7 maggio 2003.
[17] La relazione "individuale" viene inviata ogni anno ad ogni Stato membro e approfondisce i dati già esaminati nel Rapporto annuale che esamina complessivamente il lavoro del SOLVIT e viene presentato in primavera.
[18] I dati della tabella 2 sono forniti dal Segretariato generale della Commissione europea.
[19] I dati della tabella 3 sono elaborati dal Servizio Studi della Camera.
[20] Tale dato comprende quindi anche le direttive il cui termine di recepimento non è ancora scaduto.
[21] Dati pubblicati il 23 settembre 2010 e aggiornati al 10 maggio 2010.
[22] Cfr. gli articoli 8 e 17.
[23] Si ricorda brevemente che alcune regioni avevano adottato norme di procedura per l’adeguamento della normativa regionale alle direttive comunitarie e per la partecipazione della regione alla formazione del diritto comunitario anche prima della riforma del Titolo V della Costituzione; sono le regioni Toscana (L.R. 37/1994), Liguria (L.R. 44/1995), Veneto (L.R. 30/1996) Basilicata (L.R. 30/1997 art. 10) e Sardegna (L.R. 20/1998).
[24] In Umbria il disegno di legge deve essere presentato entro il 30 giugno e approvato in tempo utile per la predisposizione dell'elenco degli atti normativi con i quali nelle singole regioni e province autonome si è provveduto a dare attuazione alle direttive nelle materie di loro competenza. Il riferimento della legge umbra è all’elenco di cui all’art. 8, comma 5, lett. e) della legge n. 11 del 2005, che deve essere predisposto dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano e trasmesso alla Presidenza del Consiglio non oltre il 25 gennaio di ogni anno. Per la regione Molise invece il termine per l’approvazione è entro l’anno di riferimento.
[25] Il regolamento interno del Consiglio regionale dell’Emilia-Romagna prevede invece che la relazione sullo stato di conformità dell’ordinamento regionale all’ordinamento comunitario sia esaminata congiuntamente al programma legislativo della Commissione europea.
[26] Regione Friuli Venezia Giulia, L.R. 30-7-2009 n. 13 Disposizioni per l'adempimento degli obblighi della Regione Friuli-Venezia Giulia derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Attuazione della direttiva 2006/123/CE. Attuazione dell'articolo 7 della direttiva 79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici. Attuazione del Regolamento (CE) n. 853/2004 in materia di igiene per gli alimenti di origine animale. Modifiche a leggi regionali in materia di sportello unico per le attività produttive, di interventi sociali e artigianato, di valutazione ambientale strategica (VAS), di concessioni del demanio pubblico marittimo, di cooperazione allo sviluppo, partenariato internazionale e programmazione comunitaria, di gestione faunistico-venatoria e tutela dell'ambiente naturale, di innovazione (Legge comunitaria 2008)
[27] Regione Valle d'Aosta, L.R. 1-6-2010 n. 16 Disposizioni per l’adempimento degli obblighi della Regione autonoma Valle d’Aosta derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Attuazione della direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno. Legge comunitaria regionale 2010.
[28] Regione Marche, L.R. 16 dicembre 2008, n. 36 Legge comunitaria regionale 2008.
[29] Regione Emilia-Romagna, L.R. 12-02-2010, n. 4 Norme per l’attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno e altre norme per l’adeguamento all’ordinamento comunitario – legge comunitaria regionale per il 2010.
[30] Regione Abruzzo L.R. 22-12-2010, n. 59, Disposizioni per l'adempimento degli obblighi della Regione Abruzzo derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea. Attuazione della direttiva 2006/123/CE, della direttiva 92/43/CEE e della direttiva 2006/7/CE- (Legge comunitaria regionale 2010).
[31] L. 9 marzo 1989, n. 86, Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari.
[32] L. 4 febbraio 2005, n. 11, Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari.
[33] Si ricorda che la legge comunitaria per il 2006, in linea con le precedenti leggi comunitarie, fissava un termine generale pari a 12 mesi dall’entrata in vigore della legge: cfr. art. 1, comma 1, della legge 6 febbraio 2007, n. 13.
[34] Il riferimento è alla legge comunitaria 2007 (legge 25 febbraio 2008, n. 34), alla legge comunitaria 2008 (legge 7 luglio 2009, n. 88) e alla legge comunitaria 2009 (legge 4 giugno 2010, n. 96).
[35] L. 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri.
[36] L. 31 dicembre 2009, n. 196, Legge di contabilità e finanza pubblica.
[37] L’art. 81, comma quarto, Cost. stabilisce che ogni legge che importi nuove o maggiori spese, rispetto alla legge di bilancio, deve indicare i mezzi per farvi fronte.
[38] L’articolo 3, come si vedrà, autorizza il Governo ad emanare decreti legislativi recanti la disciplina sanzionatoria per le violazioni di obblighi contenuti in direttive comunitarie attuate in via regolamentare o amministrativa, o in regolamenti comunitari.
[39] Al riguardo si ricorda che la Corte costituzionale, con la sent. 53/1997, confermata dalla successiva sent. 456/1998, ha avuto modo di pronunciarsi criticamente sulla scarsa precisione dei princìpi e criteri direttivi relativi alle sanzioni penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi delegati. La Corte ha infatti affermato, in relazione alla disposizione dell’art. 2, lett. d), della legge 146/1994 – legge comunitaria per il 1993 – analoga a quella contenuta nella lett. c) in esame, che la disposizione, che stabilisce i criteri e princìpi direttivi della delega conferita al Governo, in ordine alle sanzioni per le infrazioni alle norme delegate “non appare certo perspicua. […] La Corte esprime dunque l’auspicio che il Legislatore, ove conferisca deleghe ampie di questo tipo, adotti, per quanto riguarda il ricorso alla sanzione penale, al cui proposito è opportuno il massimo di chiarezza e certezza, criteri configurati in modo più preciso”.
[40] Le infrazioni lesive di determinati interessi generali dell’ordinamento interno, in quanto ritenuti meritevoli di tutela penale, erano state escluse dalla depenalizzazione effettuata dalla legge 689/1981 e, da ultimo, dalla ulteriore depenalizzazione prevista dalla legge 205/1999, e dal decreto legislativo 507/1999, emanato in base alla delega ivi prevista.
[41] D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della L. 24 novembre 1999, n. 468.
[42] L. 24 novembre 1981, n. 689, Modifiche al sistema penale.
[43] L. 16 aprile 1987, n. 183, Coordinamento delle politiche riguardanti l’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee ed adeguamento dell’ordinamento interno agli atti normativi comunitari.
[44] L. 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.
[45] Legge 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
[46] L. 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa (c.d. “Bassanini 1”). L’art. 20, norma base delle leggi di semplificazione, è stato più volte modificato, da ultimo dalla legge 246/2005 (legge di semplificazione 2005).
[47] Legge 22 febbraio 1994, n. 146, art. 8.
[48] Legge 6 febbraio 1996, n. 52, art. 8.
[49] Legge 23 agosto 1988, Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’art. 13 bis è stato introdotto dall’art. 3 della legge n. 69 del 2009 Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile.
[50] L. 23 dicembre 2005 n. 266, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006).
[51] Norme di cui all'art. 4 della direttiva 90/385/CEE del Consiglio, del 20 giugno 1990, e successive modificazioni, e all'art. 4 della direttiva 93/42/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, e successive modificazioni.
[52] In base alla norma di esclusione posta dall'art. 2, comma 381, della L. 24 dicembre 2007, n. 244.
[53] In attuazione di tale disposto è stato emanato il regolamento della Banca d’Italia del 14 aprile 2005 – successivamente modificato nel tempo – sulla gestione collettiva del risparmio.
[54] In attuazione del disposto, la CONSOB ha adottato il regolamento di attuazione del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 in materia di intermediari (adottato con delibera n. 16190 del 29 ottobre 2007 e successivamente modificato con delibere n. 16736 del 18 dicembre 2008 e n. 17581 del 3 dicembre 2010).
[55] In attuazione del disposto è stato emanato il provvedimento congiunto Banca d’Italia – CONSOB del 29 ottobre 2007, recante il regolamento in materia di organizzazione e procedure degli intermediari che prestano servizi di investimento o di gestione collettiva del risparmio.
[56] Regolamento del Consiglio recante disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione e che abroga il regolamento (CE) n. 1260/1999.
[57] In particolare, ai sensi del comma 5, i decreti devono recare:
§ la specificazione delle nuove funzioni amministrative attribuite a Roma capitale in base al comma 3 e definizione delle modalità per il trasferimento all’ente delle risorse umane e dei mezzi necessari;
§ l’assegnazione a Roma capitale di ulteriori risorse finanziarie, parametrate sulle nuove funzioni amministrative attribuite, nonché sulle specifiche esigenze di finanziamento derivanti dal ruolo di capitale della Repubblica, ferme restando le norme di legge sul finanziamento dei comuni.
[58] "Disposizioni recanti attuazione dell'articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di ordinamento transitorio di Roma Capitale".
[59] Ai sensi del citato Regolamento (articolo 3, paragrafo 4) per «unità amministrativa» si intende una zona geografica in cui un'autorità amministrativa ha la competenza di prendere decisioni amministrative o politiche per tale zona, all'interno del quadro giuridico e istituzionale dello Stato membro.
[60] Si ricorda che ai sensi dell’art. 44 è stato adottato in attuazione dell’art. 2, co. comma 4, della L. 135/01, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, il DPCM 13 settembre 2002, volto alla definizione dei principi e degli obiettivi per la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico.
[61] Secondo la relazione illustrativa che accompagnava il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 7/2007, obiettivo delle disposizioni concernenti l’attività di guida turistica era quello di ottenere come unico requisito richiesto per l’esercizio di dette attività la competenza professionale basata sulla conoscenza del territorio e delle lingue straniere. Nella stessa relazione si sottolineava inoltre l’esiguità del numero delle guide turistiche se rapportato alle esigenze del settore. Tra i diversi fattori che determinavano tale esiguità rientrava, in particolare, la tempistica degli esami di abilitazione organizzati a livello regionale o provinciale che, diversamente da quanto prescritto dalle normative settoriali, non venivano banditi con cadenza annuale.
[62] La citata sentenza n. 271/2009, invero, conferma la «potestà primaria delle Regioni in materia di formazione professionale» (p. 2.3 in diritto, nel dichiarare non fondata la questione relativa alle disposizioni legislative regionali che attribuiscono alle Province funzioni per attività formative riguardanti le professioni turistiche) e riconosce, nell’ambito della materia concorrente delle professioni, la competenza regionale relativa all’istituzione di elenchi o albi «meramente ricognitivi» di professioni (turistiche) «già riconosciute dalla legge statale» (p. 2.4 in diritto).
[63] Nella relazione illustrativa si sottolinea l’impossibilità da parte del legislatore di accogliere l’osservazione formulata nel proprio parere al provvedimento in esame dalla Conferenza Stato-regioni, che “in considerazione del fatto che la materia del turismo fosse implicitamente ricompresa fra le materie residuali o innominate di cui al quarto comma dell’articolo 117 della Costituzione, chiedeva di prevedere che il decreto legislativo, concernente il riordino della disciplina in materia di professione di guida turistica, venisse adottato non con il parere, bensì previa intesa con la stessa Conferenza Stato-regioni”. Il mancato accoglimento di tale richiesta è dovuto al fatto che la materia interessata dal provvedimento in esame attiene innanzitutto alla disciplina delle professioni appartenente alla legislazione concorrente di Stato e regioni.
[64] Tali direttive, unitamente al Regolamento n. 2009/1211, costituiscono il c.d. “Pacchetto Telecom”.
[65] Decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40 “Disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e nazionali operate, tra l'altro, nella forma dei cosiddetti «caroselli» e «cartiere», di potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in particolari settori”.
[66] Von Bar, C., Clive, E. e Schulte Nölke, H. (a cura di), Principles, Definitions and Model Rules of European Private Law. Draft Common Frame of Reference (DCFR), München, Sellier, 2009.
[67] Alcuni di questi si ispirano ai principi e alle norme modello elaborate dalla Association Henri Capitant e dalla Société de législation comparée ("European Contract Law. Materials for a Common Frame of Reference : Terminology, Guiding Principles, Model Rules", Ass. H. Capitant et SLC, 2008, Sellier European law publishers).
[68] 2007/4125 – Libera circolazione delle merci – Ostacoli all'importazione in Italia di acqua imbottigliata per il consumo umano – Violazione del diritto comunitario (direttiva 98/83/CE).
[69] D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 31, Attuazione della direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano.
[70] Di cui all'allegato I del citato D.Lgs. 31/2001, e successive modificazioni.
[71] D.Lgs. 2 febbraio 2002, n. 27, Modifiche ed integrazioni al D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 31, recante attuazione della direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano.
[72] Direttiva 98/83/CE del Consiglio del 3 novembre 1998 concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano.
[73] Causa C-330/91, sentenza del 13 luglio 193, Commerzbank.
[74] Causa C-442/02, sentenza del 5 ottobre 2004, Caixabank.
[75] Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto.
[76] Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica.
[77] Decreto del Ministero delle attività produttive emanato ai sensi dell'art. 9, comma 1, del D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79, e pubblicato nella Gazz. Uff. 1° settembre 2004, n. 205.
[78] Decreto del Ministero delle attività produttive emanato ai sensi dell'art. 16, comma 4, del D.Lgs. 23 maggio 2000, n. 164, e pubblicato nella Gazz. Uff. 1° settembre 2004, n. 205.
[79] Le quote di emissioni di gas a effetto serra sono definite all’articolo 3 della direttiva 2003/87/CE (che ha istituito un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità e ha modificato la direttiva 96/61/CE del Consiglio). Al riguardo, si ricorda che, ai sensi di tale direttiva, per "quota di emissioni"si intende il diritto di emettere una tonnellata di biossido di carbonio equivalente per un periodo determinato e cedibile conformemente alla medesima direttiva, mentre per “gas a effetto serra” si intendono i gas indicati nell’allegato II alla stessa direttiva e altri costituenti gassosi dell’atmosfera, sia naturali che di origine antropica, che assorbono e riemettono radiazioni infrarosse.
[80] Per i quali cfr., alla URL del Senato/Servizio per i rapporti con gli organismi internazionali e comunitari ((http://www.senato.intranet/documenti/repository/lavori/affariinternazionali/approfondimenti/82.pdf)), il dossier di approfondimenti n. 82 del novembre 2007 "Il processo di integrazione del mercato della difesa europeo e le sue implicazioni per l'Italia", che a pagina 12 illustra il Libro Verde della Commissione CE su “Gli appalti pubblici della difesa" e quanto ne è derivato. Rispetto ad esso, si segnala che l'articolo 16 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) dispone, al comma 1, che, "nel rispetto dell'articolo 296 del Trattato che istituisce la Comunità europea, sono sottratti all'applicazione del presente codice i contratti, nel settore della difesa, relativi alla produzione o al commercio di armi, munizioni e materiale bellico, di cui all'elenco deliberato dal Consiglio della Comunità europea, che siano destinati a fini specificamente militari", mentre il comma 2 dichiara che "restano ferme le disposizioni vigenti, anche derivanti da accordi internazionali, o da regolamenti del Ministero della difesa". Una norma di rinvio alla disciplina appaltistica, per quanto non diversamente disposto, è recata dall'articolo 574 del Decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90 (Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, a norma dell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246), ma riguarda esclusivamente gli atti negoziali aventi a oggetto la permuta di materiale e prestazioni aventi la finalità di favorire il contenimento delle spese di ricerca, potenziamento, ammodernamento, manutenzione e supporto relative ai mezzi, sistemi, materiali e strutture in dotazione alle Forze armate.
[81] Relazione al disegno di legge Atto Senato n. 2404 (Delega al Governo per l'attuazione della direttiva 2009/43/CE in materia di semplificazione delle modalità e delle condizioni dei trasferimenti all'interno delle Comunità di prodotti per la difesa. Delega al Governo per la riforma delle disposizioni su autorizzazione alle operazioni di esportazione, importazione, transito, trasferimento, trasbordo, ed intermediazione dei prodotti per la difesa e per il riordino dei procedimenti nella materia di cui alla legge 9 luglio 1990, n. 185, e successive modificazioni. Ratifica ed esecuzione dell'emendamento all'articolo 16 dell'Accordo quadro ratificato e reso esecutivo dalla legge 17 giugno 2003, n. 148).
[82] Cosa che corrisponde anche alle richieste di organizzazioni come Rete Disarmo: cfr. ((http://www.disarmo.org/rete/docs/3430.pdf)). Si rammenta che la posizione comune del 2008, all'articolo 2, contiene i seguenti criteri di concessione dell'autorizzazione all'esportazione di materiali d'armamento:
Criterio 1: rispetto degli obblighi e degli impegni internazionali degli Stati membri, segnatamente delle sanzioni adottate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite o di quelle adottate dall’Unione europea, degli accordi concernenti la non proliferazione ed altre materie, nonché degli altri obblighi internazionali. Criterio 2: rispetto dei diritti umani nel paese di destinazione finale e rispetto del diritto internazionale umanitario da parte di detto paese. Criterio 3: valutazione della situazione interna del paese di destinazione finale in termini di esistenza di tensioni o conflitti armati. Criterio 4: mantenimento della pace, della sicurezza e della stabilità regionali. Criterio 5: sicurezza nazionale degli Stati membri e dei territori le cui relazioni esterne rientrano nella competenza di uno Stato membro, e sicurezza nazionale dei paesi amici e alleati. Criterio 6: comportamento del paese acquirente nei confronti della comunità internazionale, segnatamente per quanto riguarda la sua posizione in materia di terrorismo, la natura delle sue alleanze e il rispetto del diritto internazionale. Criterio 7: esistenza del rischio che la tecnologia o le attrezzature militari siano sviate all’interno del paese acquirente o riesportate a condizioni non ammissibili. Criterio 8: compatibilità delle esportazioni di tecnologia o di attrezzature militari con la capacità tecnica e economica del paese destinatario, tenendo conto che gli Stati dovrebbero essere in grado di soddisfare le loro legittime esigenze in materia di sicurezza e difesa con una diversione minima di risorse umane ed economiche per gli armamenti.
[83] Benché, ovviamente, con modalità diverse. Le tipologie di autorizzazione discendenti dalla direttiva 2009/43/CE - che verranno a normalizzare ed integrare le precedenti tipologie permesse dalla legge n. 185 del 1990 - sono infatti le autorizzazioni generali, le autorizzazioni globali e le autorizzazioni specifiche. L’autorizzazione generale è concessa attraverso decreto ministeriale e consente a tutte le imprese appositamente certificate di esportare parti, componenti e sottosistemi, appartenenti alle categorie specificate nel decreto, ad imprese di uno dei Paesi membri dell’UE quando certificate dal Governo dello Stato di appartenenza. L’autorizzazione globale consente di movimentare prodotti per la difesa ben identificati nell’autorizzazione a precisi destinatari, in precisi Paesi membri senza limitazione di quantità e valore. L’autorizzazione specifica, del tutto uguale all’autorizzazione attuale, consente di esportare prodotti identificati a specifici destinatari in specifici Paesi con limitazioni di quantità e valore.
[84] In aggiunta a quanto previsto per la possibilità di importare e introdurre nel territorio nazionale prodotti per la difesa. Tale operazione, nel disegno di legge governativo, era concessa solo alle imprese iscritte nel registro delle imprese del settore della difesa ed a soggetti che si trovano nelle particolari condizioni di seguito indicate: amministrazioni o enti pubblici, anche se trasformate in fondazioni (musei e fondazioni storico-culturali); persone fisiche o giuridiche per conto di imprese straniere per operazioni di natura temporanea in occasione di mostre, fiere campionarie o attività dimostrative.
[85] Come prodotti per la difesa si definiscono tutti i materiali, tecnologie e disegni ed ogni altro tipo di documentazione e di informazione che costituisce materiale appositamente progettato o modificato per impiego militare: in proposito alla direttiva 2009/43/CE è allegato un apposito elenco. Il disegno di legge governativo estendeva il controllo alle esportazioni effettuate utilizzando le moderne tecnologie, includendo, ad esempio, il trasferimento di tecnologie, disegni e quant’altro tra le branche della stessa società ubicate in differenti Nazioni. Tra le tipologie di prodotti per la difesa esclusi dal campo di applicazione vi sono i prodotti per la difesa destinati alle Forze armate e di polizia nazionali ed ai Corpi armati dello Stato, le operazioni effettuate dallo Stato con altri Stati a seguito di accordi con il Governo di altri Stati ovvero in applicazione di accordi internazionali NATO o IAEA o in caso di pubbliche calamità.
[86] Il citato disegno di legge n. 2404 prevedeva, inoltre: all'articolo 6 si procedeva alla semplificazione ed alla razionalizzazione della componente organizzativa attraverso la creazione di uno sportello unico. Nella relativa relazione, si legge infatti: "Sino ad oggi le autorizzazioni, nelle loro varie tipologie, e con le loro procedure interne, venivano rilasciate da tre distinti dicasteri (affari esteri, difesa, economia e finanze), e ad essi si sommavano le autorizzazioni ad operare rilasciate dai dicasteri dell’interno e della difesa. Il riordino, ferme restando le competenze specifiche di ciascuna amministrazione, esercitata attraverso la formulazione di appositi pareri, affida al Ministero degli affari esteri la responsabilità di rilasciare le varie tipologie di autorizzazioni alla movimentazione dei prodotti per la difesa in qualità di sportello unico".
[87] Va rammentato, in proposito, che la legge del 1990 contemplava varie fasi del procedimento autorizzatorio, che investono sia la fase prenegoziale, sia quella post-contrattuale.
[88] Dalle circolari 19 giugno 2006, n. 1/2006, e 10 gennaio 2007, n. 4/2007 emerge che il governo italiano incitava l’amministrazione a procedere alla confisca delle reti da posta derivanti di cui è vietato l’impiego e a disporre sanzioni amministrative fondandosi sui regi decreti medesimi; tuttavia, nelle proprie memorie la Repubblica italiana riconosce che la confisca delle reti in questione si fondava su un’interpretazione di detti decreti i quali, secondo l’amministrazione, potevano continuare ad essere considerati vigenti laddove sussistevano invece dubbi in ordine alla questione se fossero stati abrogati o meno.
[89] Consistenti in:
a) la confisca del pescato;
b) la confisca degli strumenti, degli attrezzi e degli apparecchi di pesca;
c) l'obbligo di rimettere in pristino, entro un termine prestabilito, le zone in cui sono stati costruiti opere o impianti non autorizzati;
c-bis) la sospensione della licenza di pesca.
[90] Regolamento del Consiglio sulla protezione degli animali durante il trasporto e le operazioni correlate.
[91] Direttiva del Consiglio relativa ai controlli veterinari e zootecnici applicabili negli scambi intracomunitari di taluni animali vivi e prodotti di origine animale, nella prospettiva della realizzazione del mercato interno.
[92] Ai sensi della definizione recata dall'articolo 2, per "prestazione energetica di un edificio" dovrà intendersi la "quantità di energia, calcolata o misurata, necessaria per soddisfare il fabbisogno energetico connesso ad un uso normale dell'edificio, compresa, in particolare, l'energia utilizzata per il riscaldamento, il rinfrescamento, la ventilazione, la produzione di acqua calda e l'illuminazione".
[93] Direttiva recepita con D.M. 27 gennaio 1979, D.M. 10 dicembre 1979, D.M. 15 febbraio 1980, D.M. 6 giugno 1980, L. 11 ottobre 1986, n. 713 e Circolare 18 ottobre 1990 n. 27.
[94] Direttiva recepita con D.Lgs. 27 settembre 1991, n. 313 e con D.M. 9 ottobre 2007. Il D.M. 13 dicembre 1991 ha emanato le modalità di presentazione delle istanze di autorizzazione alla certificazione CEE previste dalla Dir. 88/378/CEE. Si ricorda che la direttiva 2009/48/CE (che stabilisce le nuove norme sulla sicurezza dei giocattoli e sulla loro libera circolazione nell’Unione europea) dispone l’abrogazione della direttiva 88/378/CEE a decorrere dal 20 luglio 2011, ad eccezione dell’art. 2, par. 1 e dell’All. II, parte II, punto 3 che saranno abrogati a decorrere dal 20 luglio 2013. Per recepire la citata direttiva 2009/48/CE è stato predisposto e trasmesso alle Camere lo schema di decreto legislativo n. 322.
[95] Direttiva recepita con D.M. 16 gennaio 2004, n. 44.
[96] Direttiva recepita con D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209.
[97] Direttiva recepita con D.Lgs. 25 luglio 2005, n. 151.
[98] Direttiva recepita con D.Lgs. 27 marzo 2006, n. 161.
[99] Si ricorda che lo strumento della rifusine legislativa crea un nuovo atto che, in un unico testo, integra sia le disposizioni dell’atto originario e le modifiche successive, sia modifiche sostanziali. In sintesi, rilevata la necessità di modificare l’atto in vigore, si procede, non all’adozione di un ulteriore atto modificativo bensì alla sostituzione - e quindi abrogazione – dell’atto esistente, procedendo allo stesso tempo ad integrare nello stesso le modifiche avvenute e ricorrendo alla procedura di codificazione (soppressione disposizioni obsolete, armonizzazione dei tempi, correzioni errori etc.) in modo meno vincolato.
[100]In particolare, tale legame di influenza si riscontra quando un'impresa:
• detiene la maggioranza del capitale sottoscritto di un’altra impresa;
• dispone della maggioranza dei voti in rapporto alle partecipazioni al capitale di un’altra impresa;
• può nominare più della metà dei membri del consiglio di amministrazione, di direzione o di vigilanza dell'impresa.
[101]Recepita con D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 17.
[102]Direttiva 7 ottobre 2003, n. 2003/92/CE, Direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 77/388/CEE relativamente alle norme sul luogo di cessione di gas e di energia elettrica.
[103]Che provvede alla rifusione della direttiva 92/75/CEE concernente l'indicazione del consumo di energia e di altre risorse degli apparecchi domestici, mediante l'etichettatura ed informazioni uniformi relative ai prodotti.
[104]Con tale locuzione si intendono: i recipienti a pressione, i loro rubinetti e altri accessori, se presenti; le cisterne, i veicoli/vagoni batteria, i contenitori per gas a elementi multipli (MEGC), i loro rubinetti e altri accessori, se presenti; le cartucce di gas, eccetto i diffusori di aerosol, i recipienti criogenici aperti, le bombole per gas per apparecchi di respirazione e gli estintori.
[105]Riguardanti, rispettivamente, l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione) ed alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale.
[106]DM Infrastrutture e trasporti 14/6/2010, n. 121.
[107]DM Infrastrutture e trasporti 22/7/2010.
[108]DM Lavoro, salute politiche sociali 11/2/2009.
[109]DM Politiche agricole 15/4/2010.
[110]DM Lavoro, salute politiche sociali 3/12/2009.
[111]DM Lavoro, salute e politiche sociali 11/2/2009.
[112]DM Salute 11/3/2010.
[113]DM Salute 28/4/2010.
[114]DM Salute 28/4/2010.
[115]DM Salute 6/5/2010.
[116]DM Salute 6/5/2010.
[117]DM Salute 18/6/2010.
[118]DM Salute 18/6/2010.
[119]DM Salute 18/6/2010.
[120]DM Salute 18/6/2010.
[121]DM Salute 18/6/2010.
[122]DM Infrastrutture e Trasporti 30/11/2010.
[123]DM Sviluppo economico 4/11/2010
[124]DM Salute 29/12/2009.
[125]DM Salute 29/12/2009.
[126]DM Salute 29/12/2009.
[127]DM Salute 18/5/2010.
[128]DM Sviluppo economico 2/8/2010.
[129]DM Salute 29/3/2010.
[130]DM Salute 29/3/2010.
[131]DM Salute 29/3/2010.
[132]DM Sviluppo economico 12/5/2010.
[133]DM Salute 29/3/2010.
[134]DM Salute 18/6/2010.
[135]DM Salute 29/7/2010.
[136]DM Salute 29/7/2010.
[137]DM Salute 18/6/2010.
[138]DM Salute 18/6/2010.
[139]DM Salute 18/6/2010.
[140]DM Salute 18/6/2010.
[141]DM Salute 8/10/2010.
[142]DM Salute 16/04/2010.
[143]DM Salute 8/10/2010.
[144]DM Politiche agricole forestali 2/8/2010.
[145]Lo schema del decreto legislativo di recepimento è attualmente all’esame delle competenti Commissioni parlamentari (atto 323).
[146]Il decreto attuativo, sul quale le Commissioni parlamentari hanno espresso il parere (atto n. 277) non è stato ancora pubblicato nella G.U.
[147]Lo schema del decreto attuativo è in corso d’esame da parte delle competenti Commissioni parlamentari (atto n. 307).
[148]Lo schema del decreto attuativo è in corso d’esame da parte delle competenti Commissioni parlamentari (atto n. 309).
[149]Lo schema del decreto attuativo è in corso d’esame da parte delle competenti Commissioni parlamentari (atto n. 319).
[150]Il decreto attuativo, sul quale le Commissioni parlamentari hanno espresso il parere (atto n. 314) non è stato ancora pubblicato nella G.U.
[151]Lo schema del decreto attuativo è in corso d’esame da parte delle competenti Commissioni parlamentari (atto n. 311).
[152]Lo schema del decreto attuativo è in corso d’esame da parte delle competenti Commissioni parlamentari (atto n. 311).
[153]Lo schema del decreto attuativo è in corso d’esame da parte delle competenti Commissioni parlamentari (atto n. 312).
[154]Lo schema del decreto attuativo è in corso d’esame da parte delle competenti Commissioni parlamentari (atto n. 312).
[155]Lo schema del decreto attuativo è in corso d’esame da parte delle competenti Commissioni parlamentari (atto n. 322).
[156]Il decreto attuativo, sul quale le Commissioni parlamentari hanno espresso il parere (atto n. 313) non è stato ancora pubblicato nella G.U..