Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari comunitari
Altri Autori: Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: Legge comunitaria 2008 - A.C. 2320 - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 2320/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 139
Data: 27/03/2009
Descrittori:
DIRETTIVE DELL'UNIONE EUROPEA   DIRITTO DELL' UNIONE EUROPEA
REGOLAMENTI DELL'UNIONE EUROPEA     
Organi della Camera: XIV - Politiche dell'Unione europea

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Legge comunitaria 2008

A.C. 2320

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 139

 

 

 

27 marzo 2009

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Affari comunitari

( 066760-9409– * st_affari_comunitari@camera.it

Ha partecipato alla redazione del dossier l’Ufficio:

 

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – *cdrue@camera.it

§       L’introduzione e le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi.

§       Le parti relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea e alle procedure di contenzioso sono state curate dall'Ufficio Rapporti con l'Unione europea

§       Il dossier è stato realizzato anche tenendo conto della documentazione predisposta dal Servizio Studi e dal Servizio Affari internazionali del Senato in relazione all’A.S. 1078.

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: ID0007.doc

 


INDICE

Introduzione

Il disegno di legge comunitaria 2008  3

La legge comunitaria annuale e la c.d. fase discendente  4

I dati contenuti nella relazione governativa al disegno di legge comunitaria  27

Lo stato di attuazione delle direttive comunitarie in Italia  33

Le leggi comunitarie regionali35

Schede di lettura sugli articoli

§      Art. 1 (Delega al Governo per l’attuazione di direttive comunitarie)43

§      Art. 2 (Princìpi e criteri direttivi generali della delega legislativa)49

§      Art. 3 (Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di disposizioni comunitarie)55

§      Art. 4 (Oneri relativi a prestazioni e controlli)57

§      Art. 5 (Delega al Governo per il riordino normativo nelle materie interessate dalle direttive comunitarie)59

§      Art. 6 (Modifiche alla legge 4 febbraio 2005, n. 11)61

§      Art. 7 (Delega al Governo per il coordinamento delle disposizioni attuative della direttiva 2004/41/CE con la normativa vigente in materia di alimenti e mangimi e con i regolamenti (CE) n. 178/2002, 852/2004, 853/2004, 854/2004, 882/2004 e 183/2005)63

§      Art. 8 (Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2007/47/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 settembre 2007, che modifica la direttiva 90/385/CEE del Consiglio per il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai dispositivi medici, la direttiva 93/42/CEE del Consiglio concernente i dispositivi medici e la direttiva 98/8/CE relativa all’immissione sul mercato dei biocidi)67

§      Art. 9 (Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2006/54/CE riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego)71

§      Art. 10 (Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa)75

§      Art. 11 (Modifica all’articolo 5 della legge 10 febbraio 1992, n. 164, recante nuova disciplina delle denominazioni di origine)85

§      Art. 12 (Delega al Governo per il riordino e la revisione della disciplina in materia di fertilizzanti)87

§      Art. 13 (Disposizioni sanzionatorie per l’applicazione del regolamento (CE) n. 479/2008 e del regolamento (CE) n. 555/2008, relativi all’organizzazione comune del mercato vitivinicolo)91

§      Art. 14 (Modifiche alla legge 8 luglio 1997, n. 213, e al decreto legislativo 29 gennaio 2004, n. 58)97

§      Art. 15 (Modifiche all’articolo 2 della legge 23 dicembre 1986, n. 898, in tema di sanzioni amministrative e penali in materia di aiuti comunitari nel settore agricolo)101

§      Art. 16 (Modifiche alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante norme per la tutela della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio in attuazione della direttiva 79/409/CEE)103

§      Art. 17 (Disposizioni per il parziale recepimento della direttiva 2007/61/CE che modifica la direttiva 2001/114/CE relativa a taluni tipi di latte conservato parzialmente o totalmente disidratato destinato all’alimentazione umana)109

§      Art. 18 (Disposizioni per l’attuazione della direttiva 2008/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2008)113

§      Art. 19 (Modifiche al decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269, recante attuazione della direttiva 1999/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 1999, riguardante le apparecchiature radio e le apparecchiature terminali di telecomunicazione e il reciproco riconoscimento della loro conformità)115

§      Art. 20 (Modifiche al codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206)117

§      Art. 21 (Abrogazione dell’articolo 1 della legge 3 aprile 1961, n. 286)127

§      Art. 22, commi 1-3 (Adeguamento comunitario di disposizioni tributarie: regime degli utili distribuiti ai fondi pensione)129

§      Art. 22, commi 4-10 (Adeguamento comunitario di disposizioni tributarie)133

§      Art. 22, commi 11-34 (Adeguamento comunitario di disposizioni tributarie: esercizio e raccolta a distanza dei giochi in Italia)149

§      Art. 23 (Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2007/65/CE)161

§      Art. 24 (Disposizioni per l’attuazione della direttiva 2007/68/CE)165

§      Art. 25 (Delega al Governo per la modifica della disciplina in materia di composizione e denominazione degli estratti alimentari e dei prodotti affini, in esecuzione della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 19 giugno 1990, nella causa C-177/89)169

§      Art. 26 (Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2007/23/CE relativa all’immissione sul mercato di articoli pirotecnici)171

§      Art. 27 (Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2008/43/CE relativa all’istituzione, a norma della direttiva 93/15/CEE, di un sistema di identificazione e tracciabilità degli esplosivi per uso civile)175

§      Art. 28 (Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2007/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa all’esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate)179

§      Art. 29 (Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2007/64/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, relativa ai servizi di pagamento nel mercato  interno, recante modifica delle direttive 97/7/CE, 2002/65/CE, 2005/60/CE e 2006/48/CE, e abrogazione della direttiva 97/5/CE)187

§      Art. 30 (Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE e previsione di modifiche ed integrazioni alla disciplina relativa ai soggetti operanti nel settore finanziario di cui al decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, ai mediatori creditizi ed agli agenti in attività finanziaria)193

§      Art. 31 (Modifiche al decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, recante attuazione della direttiva 2001/83/CE, e successive direttive di modifica, relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE)203

§      Art. 32 (Modifica del termine di cui all’articolo 4, comma 2, del decreto-legge 30 gennaio 2004, n. 24, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2004, n. 87)209

§      Art. 33 (Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2008/51/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, che modifica la direttiva 91/477/CEE del Consiglio, relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi)211

§      Art. 34 (Disposizioni relative all’attuazione dei regolamenti (CE) n. 1234/2007 del Consiglio e n. 589/2008 della Commissione, per quanto riguarda la commercializzazione delle uova)215

§      Art. 35 (Controlli della Commissione europea, a tutela della concorrenza, in locali non societari)219

§      Art. 36 (Modifiche al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia resa in data 25 luglio 2008 nella causa C-504/06. Procedura di infrazione n. 2005/2200)221

§      Art. 37 (Disposizioni per l’accreditamento dei laboratori di autocontrollo del settore alimentare)225

§      Art. 38 (Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno)227

§      Art. 39 (Disposizioni in materia di recepimento della direttiva 2003/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 luglio 2003, che modifica la direttiva 68/151/CEE del Consiglio per quanto riguarda i requisiti di pubblicità di taluni tipi di società)233

§      Art. 40 (Costituzione e natura giuridica dei GECT)237

§      Art. 41 (Autorizzazione alla costituzione di un GECT)243

§      Art. 42 (Norme in materia di contabilità e bilanci del GECT)247

§      Art. 43 (Delega al Governo per l’attuazione di decisioni quadro)249

§      Art. 44 (Princìpi e criteri direttivi per l’attuazione della decisione quadro 2006/783/GAI relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca)253

§      Art. 45 (Princìpi e criteri direttivi per l’attuazione della decisione quadro 2006/960/GAI relativa alla semplificazione dello scambio di informazioni e intelligence tra le autorità degli Stati membri dell’Unione europea incaricate dell’applicazione della legge)267

§      Art. 46 (Principi e criteri direttivi di attuazione della decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea)275

Schede sulle direttive contenute negli allegati

Allegato A

§      2007/47/CE (Dispositivi medici impiantabili attivi)287

§      2007/60/CE (Valutazione e gestione dei rischi di alluvioni)291

§      2007/63/CE (Relazione di un esperto in occasione di fusione o scissione di società per azioni)297

§      2008/5/CE (Indicazioni obbligatorie sulle etichette di prodotti alimentari)299

§      2008/43/CE (Identificazione e tracciabilità degli esplosivi per uso civile)301

§      2008/62/CE (Deroghe per l’ammissione di ecotipi e varietà agricole e per la commercializzazione di sementi e di tuberi di patata)303

§      2008/90/CE (Commercializzazione dei materiali di moltiplicazione delle piante da frutto)305

§      2008/97/CE (Divieto di utilizzo di talune sostanze nocive nelle produzioni animali)307

Allegato B

§      2005/47/CE (Lavoratori transfontalieri nel settore ferroviario)311

§      2005/94/CE (Lotta contro l’influenza aviaria)315

§      2006/17/CE (Tessuti e cellule umani)319

§      2006/38/CE (Tassazione a carico di autoveicoli pesanti)321

§      2006/42/CE (Direttiva macchine)325

§      2006/43/CE (Revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati)327

§      2006/54/CE (Pari opportunità)333

§      2006/86/CE (Tessuti e cellule umani)335

§      2006/112/CE, 2008/8/CE, 2008/9/CE e 2008/117/CE (Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto)337

§      2006/123/CE (Servizi nel mercato interno)341

§      2006/126/CE (Patente di guida)343

§      2007/2/CE (Infrastruttura per l’informazione territoriale nella Comunità europea)345

§      2007/23/CE (Immissione sul mercato di articoli pirotecnici)349

§      2007/30/CE (Sicurezza e salute dei lavoratori)351

§      2007/36/CE (Diritti degli azioni di società quotate)353

§      2007/43/CE (Protezione dei polli da carne)355

§      2007/44/CE (Acquisizioni e incrementi di partecipazioni nel settore finanziario)357

§      2007/45/CE (Quantità nominali dei prodotti preconfezionati)359

§      2007/58/CE (Sviluppo delle ferrovie comunitarie e ripartizione della capacità di infrastruttura)363

§      2007/59/CE (Certificazione dei macchinisti nel sistema ferroviario)365

§      2007/64/CE (Servizi di pagamento nel mercato interno)367

§      2007/65/CE (Esercizio delle attività televisive)369

§      2007/66/CE (Procedure di ricorso in materia di appalti)373

§      2008/48/CE (Contratti di credito ai consumatori)379

§      2008/49/CE (Ispezioni a terra sugli aeromobili)383

§      2008/50/CE (Qualità dell’aria)385

§      2008/51/CE (Acquisizione e detenzione di armi)389

§      2008/52/CE (Mediazione in materia civile e commerciale)391

§      2008/56/CE (Strategia per l’ambiente marino)393

§      2008/57/CE (Interoperabilità del sistema ferroviario comunitario)399

§      2008/59/CE e 2008/87/CE(Requisiti tecnici per le navi della navigazione interna)401

§      2008/63/CE (Concorrenza sui mercati delle apparecchiature terminali di telecomunicazioni)405

§      2008/68/CE (Trasporto interno di merci pericolose)407

§      2008/71/CE (Identificazione e registrazione dei suini)409

§      2008/73/CE (Informazioni in campo veterinario e zootecnico)411

§      2008/98/CE (Rifiuti)415

§      2008/100/CE (Etichettatura nutrizionale dei prodotti alimentari)419

Tabelle riepilogative (aggiornamento al 20 marzo 2009)

Tabella 1 DIRETTIVE CONTENUTE NEL DDL COMUNITARIA 2008 DA ATTUARE PER DELEGA E IN VIA AMMINISTRATIVA  423

Tabella 2 STATO DI ATTUAZIONE DELLE DIRETTIVE IN CIASCUNO STATO MEMBRO (dati aggiornati al 9 marzo 2009)433

Tabella 3 DIRETTIVE CONTENUTE IN PRECEDENTI LEGGI COMUNITARIE E NON ANCORA RECEPITE   435

Tabella 4 DIRETTIVE GIA’ SCADUTE ed IN SCADENZA ENTRO IL 31/12/2009 NON RECEPITE E NON INSERITE IN LEGGI COMUNITARIE E NEL DDL COMUNITARIA 2008  443

 


Introduzione


Il disegno di legge comunitaria 2008

Il disegno di legge comunitaria 2008 (C. 2023), già approvato dal Senato nella seduta del 17 marzo 2009 (S. 1078-A), reca norme volte ad assicurare l’osservanza degli obblighi derivanti dalla partecipazione dell’Italia all’Unione europea nonché a recepire ed attuare nell’ordinamento nazionale la normativa adottata a livello comunitario.

Il provvedimento, che è esaminato congiuntamente alla Relazione annuale sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea riferita all’anno 2007, è stato largamente modificato nel corso dell’esame al Senato e consta attualmente di 46 articoli, suddivisi in quattro Capi, nonché di due allegati A e B, che elencano le direttive da recepire mediante decreti legislativi (recanti rispettivamente 8 e 42 direttive).

Il disegno di legge interviene in diversi settori ora delegando il Governo all’adeguamento dell’ordinamento nazionale mediante l’adozione di decreti legislativi, ora modificando direttamente la legislazione vigente per assicurarne la conformità all’ordinamento comunitario.

La relazione di accompagnamento evidenzia che il testo riproduce in gran parte il contenuto dispositivo del disegno di legge comunitaria per l’anno 2008 presentato in Parlamento nel corso della XV legislatura (C. 3434), che non si è tradotto in legge a causa dello scioglimento anticipato delle Camere. Dal testo in questione sono state tuttavia espunte le disposizioni che nelle more della ripresa dell’attività parlamentare hanno trovato collocazione in altri provvedimenti (in particolare, nel decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59). La relazione illustrativa evidenzia che, al contempo, si è provveduto ad inserire nel disegno di legge le disposizioni necessitate dall’evoluzione del quadro normativo comunitario, nonché ad aggiornare gli allegati contenenti le direttive da recepire mediante decreti legislativi.

La relazione illustrativa reca altresì l’elenco delle direttive da attuare in via amministrativa e dei provvedimenti assunti a livello regionale per il recepimento e l’attuazione degli atti comunitari nelle materie di competenza delle regioni e delle province autonome.


La legge comunitaria annuale e la c.d. fase discendente

La legge comunitaria annuale, introdotta per la prima volta dalla legge 9 marzo 1989, n. 86 (c.d. legge “La Pergola”[1]) assume una funzione cruciale nel processo di adeguamento dell’ordinamento interno al diritto comunitario[2], soprattutto a seguito dell’approvazione della legge 4 febbraio 2005, n. 11[3], che ha riscritto e rafforzato le procedure relative alla partecipazione dell’Italia al processo di formazione, trasposizione e attuazione della normativa comunitaria.

La legge n. 11 del 2005 è stata, tra l’altro, oggetto di recenti modifiche a seguito dell’approvazione delle leggi 6 febbraio 2007, n. 13 (comunitaria 2006) e 25 febbraio 2008, n. 34 (comunitaria 2007).

Le innovazioni apportate dalla legge n. 11 del 2005 hanno riguardato principalmente i seguenti profili:

·       la partecipazione del Parlamento e degli altri soggetti interessati alla cosiddetta fase “ascendente” della formazione del diritto comunitario, che attiene alla partecipazione dello Stato alla formazione delle decisioni comunitarie e dell'Unione europea;

·       l’introduzione della riserva di esame parlamentare sui progetti di atti comunitari, che il Governo può apporre in sede di Consiglio dei ministri dell’Unione europea;

·       la previsione di nuove modalità per il recepimento del diritto comunitario nella cosiddetta fase “discendente”, finalizzata ad assicurare l’adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello dell’Unione europea mediante la trasposizione e l’attuazione degli atti normativi comunitari;

·       la procedimentalizzazione della partecipazione delle regioni, degli enti locali e delle parti sociali a tutto il processo di integrazione dell’ordinamento nazionale con quello dell’Unione europea, anche in relazione alle modifiche apportate al Titolo V della Parte II della Costituzione dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

Dal punto di vista costituzionale, il nuovo Titolo V prevede che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (art. 117, primo comma). Rientrano nella competenza legislativa esclusiva dello Stato i rapporti dello Stato con l’Unione europea, mentre sono oggetto di legislazione concorrente i rapporti delle regioni con l’Unione europea (art. 117, secondo comma). Le regioni e le province autonome, oltre a partecipare alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari, provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza (art. 117, quinto comma). L’art. 120 Cost. prevede, poi, che, in caso di inerzia da parte delle regioni, delle province, dei comuni e delle città metropolitane nell’attuazione degli obblighi comunitari gravanti sugli stessi enti in relazione ai rispettivi ambiti di competenza, il Governo esercita poteri sostitutivi, garantendo il rispetto del principio di sussidiarietà e di leale collaborazione.

L’articolo 1 della legge n. 11 del 2005 statuisce che le disposizioni ivi contenute sono volte a garantire l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, di proporzionalità, di efficienza, di trasparenza e di partecipazione democratica.

In particolare, la norma chiarisce che tali obblighi derivano:

-      dall’emanazione di ogni atto comunitario e dell’Unione europea che vincoli la Repubblica italiana ad adottare provvedimenti di attuazione;

-      dall’accertamento giurisdizionale, con sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, della incompatibilità di norme legislative e regolamentari dell’ordinamento giuridico nazionale con le disposizioni dell’ordinamento comunitario;

-      dall’emanazione di decisioni-quadro e di decisioni adottate nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.

La legge n. 11 del 2005 dedica alla procedura di presentazione ed approvazione della legge comunitaria gli articoli 8 e 9, il primo dei quali sancisce che lo Stato, le regioni e le province autonome, nelle materie di propria competenza legislativa, sono tenuti a dare tempestiva attuazione alle direttive comunitarie.

In particolare, l’articolo 8 definisce la procedura preparatoria alla predisposizione del disegno di legge comunitaria, che vede il coinvolgimento non solo delle Camere, come in precedenza[4], ma anche delle regioni, ai fini della verifica sullo stato di conformità dell’ordinamento interno a quello comunitario.

La norma prevede che il Presidente del Consiglio o il Ministro per le politiche comunitarie informino tempestivamente le Camere e le regioni e province autonome sugli atti normativi e di indirizzo emanati dall’Unione europea e dalle Comunità europee. L’informazione di regioni e province autonome deve avvenire per il tramite della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome e della Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome (comma 2).

Per quanto riguarda lo Stato, il Presidente del Consiglio ovvero il Ministro per le politiche comunitarie verifica, con la collaborazione delle amministrazioni interessate, la conformità sia dell’ordinamento interno sia degli indirizzi politici del Governo, trasmettendo le risultanze di tale controllo, con cadenza almeno quadrimestrale, agli organi parlamentari competenti nonché alla Conferenza Stato-Regioni e a quella dei Presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome, che possono formulare ogni opportuna osservazione. Il Governo indica, inoltre, le eventuali misure necessarie per l’adeguamento (comma 3).

Per quanto riguarda le regioni e le province autonome, esse verificato lo stato di conformità dei rispettivi ordinamenti trasmettono le risultanze del controllo alla Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento per le politiche comunitarie, indicando anche le misure da intraprendere.

In questo ambito, particolari funzioni sono attribuite al Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE). Ai sensi del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 gennaio 2006[5], il predetto Comitato, al fine di consentire il puntuale adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, può, tra l’altro, esprimere valutazioni e segnalazioni in merito allo stato di conformità dell'ordinamento interno e degli indirizzi di politica del Governo agli atti normativi e di indirizzo emanati dagli organi dell'Unione europea e delle Comunità europee (ai fini dell’attuazione delle previsioni di cui al comma 3 dell'articolo 8 della legge n. 11 del 2005) e formulare le direttive e gli indirizzi conseguenti.

Allo stesso Comitato compete altresì di:

§       pronunciarsi sulle misure urgenti per l'adeguamento agli obblighi derivanti dall'ordinamento comunitario e dell'Unione europea, formulando valutazioni e proposte;

§       adottare direttive per il coordinamento delle amministrazioni dello Stato in vista della approvazione del disegno di legge comunitaria, sulla base degli indirizzi del Parlamento, delle indicazioni delle amministrazioni interessate e del parere della Conferenza Stato-regioni;

§       formulare valutazioni e proposte ai fini dell'esercizio dei poteri sostitutivi previsti dalla legislazione vigente, esprimendosi sulla opportunità di intervenire con provvedimento legislativo;

§       proporre questioni relative all'attuazione degli atti comunitari e dell'Unione europea da sottoporre alla Conferenza Stato-regioni, anche ai fini della convocazione della sessione comunitaria, a norma dell'articolo 17 della legge n. 11 del 2005;

§       valutare la coerenza degli obiettivi di semplificazione e di qualità della regolazione con la definizione della posizione italiana da sostenere in sede di Unione europea nella fase di predisposizione della normativa comunitaria, ai sensi dell'articolo 20, comma 8-bis, della legge 15 marzo 1997, n. 59.

Sulla base della verifica compiuta, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con gli altri ministri interessati, presenta il disegno di legge comunitaria entro il 31 gennaio di ogni anno.

Al disegno di legge comunitaria deve essere allegata un’apposita nota aggiuntiva, aggiornata al 31 dicembre, recante i seguenti elementi informativi[6]:

·       i dati sullo stato di conformità dell'ordinamento interno al diritto comunitario e sullo stato delle eventuali procedure di infrazione dando conto, in particolare, della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee relativa alle eventuali inadempienze e violazioni degli obblighi comunitari da parte della Repubblica italiana;

·       l'elenco delle direttive attuate o da attuare in via amministrativa;

·       l’indicazione dell’eventuale omissione dell’inserimento di direttive il cui termine di recepimento sia scaduto o scada nel periodo di riferimento, in relazione ai tempi previsti per l’esercizio della delega legislativa;

·       l’elenco delle direttive attuate con regolamento ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 11 del 2005, nonché gli estremi degli eventuali regolamenti d’attuazione già adottati;

·       l’elenco degli atti normativi regionali e delle province autonome attuativi delle direttive comunitarie, anche con riferimento a leggi annuali di recepimento eventualmente approvate dalle regioni e dalle province autonome.

La legge n. 11 del 2005 ha inoltre ampliato il contenuto della legge comunitaria che, ai sensi dell’articolo 9, deve prevedere disposizioni:

§      modificative o abrogative di norme statali vigenti in contrasto con gli obblighi di attuazione degli atti comunitari, ovvero oggetto di procedure di infrazione (lettere a) e b));

§      volte a dare attuazione, anche mediante il conferimento al Governo di delega legislativa, a:

-      ogni atto comunitario e dell’Unione europea che vincoli la Repubblica italiana ad adottare provvedimenti di attuazione;

-      decisioni-quadro e decisioni adottate nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale previste dall’articolo 34 del Trattato dell’Unione europea.

La tipica modalità di recepimento del diritto comunitario rimane quella che passa attraverso la delega legislativa. Il modello di legge comunitaria, che si è andato delineando negli anni, individua – come è noto – il conferimento di una delega generale al Governo, con la fissazione di principi e criteri direttivi generali, che vanno ad affiancarsi a quelli specifici eventualmente previsti per le singole direttive. In particolare, le direttive da recepire attraverso questa modalità sono inserite in due distinti allegati (A e B), a seconda che sugli schemi di decreto legislativo sia necessario o meno acquisire il parere delle competenti Commissioni parlamentari.

§      recanti autorizzazione al Governo per l’attuazione in via regolamentare e amministrativa delle direttive, sulla base di quanto previsto dall’articolo 11.

§      volte a dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell’Unione europea;

§      di individuazione dei princìpi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano la propria competenza normativa per dare attuazione o assicurare l’applicazione di atti comunitari nelle materie di competenza concorrente di cui all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione;

§      recanti delega al Governo, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, per l’adozione di decreti legislativi recanti sanzioni penali per la violazione delle disposizioni comunitarie recepite dalle regioni e dalle province autonome;

§      emanate nell’esercizio del potere sostitutivo di cui all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, in conformità ai princìpi e nel rispetto dei limiti di cui all’articolo 16, comma 3.

Quanto al contenuto delle leggi comunitarie più recenti, si segnala che esse presentano un impianto standardizzato, con formulazioni sostanzialmente analoghe dei primi articoli e con un numero minore di norme svincolate dall’attuazione del diritto comunitario e di princìpi e criteri direttivi specifici. Nel tempo si è assistito alla progressiva trasformazione della legge comunitaria in legge di organizzazione della futura legislazione, con una riduzione del contenuto sostanziale immediatamente precettivo e un maggior ricorso ai decreti legislativi o agli atti amministrativi per la concreta disciplina delle materie oggetto della legge.

In ordine alla tipologia delle fonti normative utilizzate per il recepimento nell’ordinamento nazionale della normativa comunitaria, di seguito si riporta la tabella 1 che indica, per ciascuna legge comunitaria approvata nelle ultime due legislature, le modalità previste per l’attuazione delle direttive, ad eccezione delle disposizioni recanti attuazione diretta.

Tabella 1

Leggi comunitarie

Direttive da attuare con decreto legislativo

Direttive da attuare in via regolamentare

Direttive da attuare in via amministrativa

XIV Legislatura

legge comunitaria 2001

58

0

20

legge comunitaria 2002

37

0

48

legge comunitaria 2003

50

0

38

legge comunitaria 2004

50

0

53

legge comunitaria 2005

32

2

54

XV Legislatura

legge comunitaria 2006

26

1

56

legge comunitaria 2007

16

0

40

Dai dati esposti è possibile desumere le seguenti indicazioni in ordine all’utilizzo dei diversi strumenti normativi di recepimento:

§      ricorsoconsiderevole allo strumento della delega legislativa: nelle diverse leggi comunitarie annuali la percentuale di direttive da recepire mediante decreti legislativi delegati è rimasta negli anni significativamente alta rispetto al numero complessivo delle direttive di cui si prevede il recepimento;

§      tendenza a dare sempre più attuazione in via amministrativa alle direttive: si mantiene relativamente elevato il numero di direttive da recepire in via amministrativa, che supera costantemente quello delle direttive da recepire con delega legislativa;

§      ricorso viepiù limitato all’attuazione delle direttive in via regolamentare:l’autorizzazione all’adozione di regolamenti di delegificazione (o comunque il ricorso ad altri regolamenti governativi) si è ridotta sempre più, anche a seguito della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione[7].

Nella Tabella 2 è evidenziato, per ciascuna legge comunitaria, il numero delle direttive il cui recepimento è stato previsto rispettivamente:

§      in allegato A (direttive da recepire con decreto legislativo senza parere delle competenti Commissioni parlamentari),

§      in allegato B (direttive da recepire tramite decreto legislativo da sottoporre al parere delle competenti Commissioni parlamentari;

§      in allegato C (direttive da recepire con regolamento autorizzato).

Si registra un aumento percentuale delle direttive il cui recepimento è previsto in Allegato B, quindi con decreto legislativo da sottoporre al parere parlamentare, rispetto a quelle da recepire sempre con decreto legislativo ma senza il parere parlamentare (con l’esclusione dell’anno 2002). Il rafforzamento del ruolo parlamentare in sede di attuazione delle direttive è stato perseguito anche con l’introduzione, a partire dalla legge comunitaria 2004, dell’istituto del c.d. doppio parere parlamentare. Tale istituto prevede un secondo parere delle Commissioni competenti per verificare che quanto enunciato nella prima pronuncia parlamentare sia stato effettivamente recepito dal Governo. La previsione di tale doppio parere scatta esclusivamente nelle ipotesi in cui l’Esecutivo non intenda conformarsi ai pareri parlamentari relativi a sanzioni penali (contenute negli schemi di decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese negli allegati A e B)), ovvero nel caso in cui il Governo non si conformi alle condizioni relative all’osservanza dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione: in tali casi, infatti, l’Esecutivo è tenuto a ritrasmettere i testi alle Camere – corredati dei necessari elementi integrativi – affinché le Commissioni competenti si esprimano in merito.

Come evidenziato in precedenza, dal 2001 al 2004, come pure nel 2007, non è stata utilizzata la modalità di recepimento con regolamento autorizzato (all. C).

Tabella 2

Leggi comunitarie

Allegato A

Allegato B

Allegato C

Legge comunitaria 2001

21

37

0

Legge comunitaria 2002

22

15

0

Legge comunitaria 2003

19

31

0

Legge comunitaria 2004

10

40

0

Legge comunitaria 2005

10

22

2

Legge comunitaria 2006

1

25

1

Legge comunitaria 2007

1

15

0

Da ultimo va ricordato che l’articolo 9 della legge n. 11 del 2005, al fine di evitare aggravi delle finanze pubbliche, reca una disposizione di copertura degli oneri derivanti dall’attuazione delle disposizioni comunitarie per le ipotesi in cui gli uffici pubblici siano chiamati a prestazioni e controlli.

La procedura di esame della legge comunitaria

Per quanto concerne l’iter parlamentare di approvazione della legge comunitaria, si osserva che l’esame del relativo disegno di legge avviene contestualmente a quello della relazione sulla partecipazione dell’Italia dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea, al fine di compiere una verifica complessiva in ordine all’adempimento degli obblighi comunitari da parte dell’Italia. In particolare, sui due atti si svolge un esame congiunto fino alla conclusione dell'esame preliminare; successivamente, l’esame dei due provvedimenti segue un iter autonomo, avendo l'uno natura legislativa e l'altro finalità di indirizzo e controllo.

Per quanto riguarda l’esame del disegno di legge comunitaria, l’articolo 126-ter del Regolamento della Camera ha tracciato una procedura “speciale”, prevedendo che il disegno di legge comunitaria e la relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea siano assegnati:

§       per l'esame generale in sede referente, alla Commissione politiche dell'Unione europea;

§       per l'esame delle parti di rispettiva competenza, alle Commissioni competenti per materia.

Le Commissioni sono tenute a esaminare le parti del disegno di legge di propria competenza entro 15 giorni dall'assegnazione, approvando una relazione e nominando un relatore, che può partecipare alle sedute della Commissione politiche dell’Unione europea. Nello stesso termine sono trasmesse le eventuali relazioni di minoranza presentate in Commissione. Un proponente per ciascuna relazione di minoranza può partecipare alle sedute della Commissione politiche dell’Unione europea per riferire in merito. Le eventuali relazioni di minoranza non possono contenere in allegato emendamenti, che devono necessariamente essere approvati dalle Commissioni di settore.

Analogamente, sempre entro 15 giorni, le Commissioni competenti per materia esaminano anche le parti di competenza della relazione annuale, approvando un parere.

Decorso il termine indicato, la Commissione politiche dell'Unione europea, entro i successivi 30 giorni, conclude l'esame in sede referente del disegno di legge comunitaria e della relazione annuale, predisponendo per ciascun atto una relazione generale per l'Assemblea, alla quale sono allegate, rispettivamente, le relazioni e i pareri approvati dalle Commissioni.

Le Commissioni competenti per materia, nel corso dell’esame, votano anche gli emendamenti al disegno di legge comunitaria, che allegano alla relazione per la Commissione politiche dell'Unione europea. Gli emendamenti approvati dalle singole Commissioni si ritengono accolti, salvo che la Commissione politiche dell'Unione europea non li respinga per motivi di compatibilità con la normativa comunitaria ovvero per esigenze di coordinamento generale. Di norma gli emendamenti attinenti al merito sono presentati presso le Commissioni di settore; presso la XIV Commissione sono presentati possibilmente solo gli emendamenti inerenti a profili ordinamentali. Qualora presso la XIV Commissione siano presentati direttamente emendamenti attinenti a profili di merito di competenza delle Commissioni di settore, queste devono esprimere il proprio parere.


Criteri particolari riguardano l’ammissibilità degli emendamenti: oltre ai princìpi generali contenuti all'articolo 89 del Regolamento della Camera, sono considerati inammissibili dai Presidenti delle Commissioni di settore e dal Presidente della Commissione politiche dell'Unione europea gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che riguardino materie estranee all'oggetto proprio della legge comunitaria, come definito dalla legislazione vigente. Nel caso in cui sorga questione sulle valutazioni di ammissibilità svolte dal Presidente della Commissione, la decisione è rimessa al Presidente della Camera. Gli emendamenti dichiarati inammissibili in Commissione non possono essere ripresentati in Assemblea.

Terminata la fase in Commissione, il disegno di legge comunitaria e la relazione sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea approdano in Assemblea, dove si svolge la discussione sulle linee generali del disegno di legge comunitaria si svolge congiuntamente alla discussione sulla citata relazione annuale. Entro il termine di tale discussione possono essere presentate risoluzioni sulla relazione annuale, che si votano dopo la votazione finale sul disegno di legge comunitaria, partendo dalla risoluzione accettata dal Governo.

Si ricorda, infine, che sul disegno di legge comunitaria si esprime anche il Comitato per la legislazione, ai sensi dell’articolo 16-bis, comma 6-bis, del Regolamento della Camera, dal momento che di norma si tratta di una legge contenente deleghe legislative.

Misure urgenti di attuazione

L’articolo 10 della legge n. 11 del 2005 definisce gli strumenti giuridici, diversi dalla legge comunitaria annuale, con i quali è possibile ottemperare agli obblighi comunitari di adeguamento dell’ordinamento nazionale, siano essi relativi ad atti normativi da recepire, che conseguenti a sentenze di organi giurisdizionali delle Comunità o dell’Unione europea. La condizione per poter usufruire di questo canale ulteriore rispetto allo strumento tradizionale della legge comunitaria è che il termine di adempimento degli obblighi comunitari scada anteriormente alla data presunta di entrata in vigore della legge comunitaria relativa all’anno in corso.

Per quanto riguarda la tipologia di atti, l’articolo 10 prevede che siano provvedimenti, anche urgenti, adottati dal Consiglio dei ministri,su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per i rapporti con il Parlamento assumono altresì le iniziative necessarie per favorire un tempestivo esame parlamentare di tali atti.

Dalla formulazione letterale dell’articolo 10, il tipo di atti che il Governo può adottare appare pertanto riconducibile non solo a provvedimenti urgenti ma anche ad atti ordinari. In particolare, il termine “provvedimenti” adoperato da legislatore consente di ipotizzare che si possa ricorrere, tra l’altro, a disegni di legge da presentare in Parlamento; in questa chiave si spiegherebbe anche la previsione in base alla quale il Governo deve assumere le iniziative necessarie per favorire un tempestivo esame parlamentare dei provvedimenti in tal modo adottati. Quanto alla natura dei citati provvedimenti, la norma non chiarisce se essi possano essere costituti da atti con valenza normativa oltre che da atti di rango amministrativo. Inoltre, nel caso delle fonti normative di rango primario adottabili dal Governo, si ricorda che i decreti legislativi possono essere emanati solo previa delegazione delle Camere, mentre i decreti-legge necessitano comunque della sussistenza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza.

L’attuazione di obblighi comunitari si è spesso realizzata, al di fuori della legge comunitaria annuale, anche attraverso il ricorso alla decretazione d’urgenza.

Nel corso della precedente legislatura sono stati adottati, tra l’altro:

§       il decreto legge 15 settembre 2006, n. 258, recante Disposizioni urgenti di adeguamento alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee in data 14 settembre 2006 nella causa C-228/05, in materia di detraibilità dell'IVA, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2006, n. 278.

§       il decreto legge 27 dicembre 2006, n. 297, Disposizioni urgenti per il recepimento delle direttive comunitarie 2006/48/CE e 2006/49/CE e per l'adeguamento a decisioni in ambito comunitario relative all'assistenza a terra negli aeroporti, all'Agenzia nazionale per i giovani e al prelievo venatorio, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2007, n. 15;

§       il decreto legge 15 febbraio 2007, n. 10, Disposizioni volte a dare attuazione ad obblighi comunitari ed internazionali, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 aprile 2007, n. 46.

§       il decreto legge 18 giugno 2007, n. 73, recante misure urgenti per l’attuazione di disposizioni comunitarie in materia di liberalizzazione dei mercati dell’energia, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2007, n. 125.

§       il decreto legge 28 maggio 2007, n. 67, Misure urgenti in materia fiscale, non convertito in legge.

Infine, a seguito dello scioglimento anticipato delle Camere, è stato emanato il decreto legge 8 aprile 2008, n. 59, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2008, n. 101.

Anche nel corso della XVI legislatura alcune specifiche disposizioni volte a garantire l’osservanza degli obblighi derivanti dalla partecipazione all’Unione europea sono state adottate ricorrendo alla decretazione d’urgenza. Tra gli altri, si segnalano:

§       il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 (v., in particolare, l’art. 1 della legge di conversione, che proroga i termini per l’esercizio della delega integrativa e correttiva di decreti legislativi di attuazione di direttive comunitarie);

§       il decreto-legge 3 novembre 2008, n. 171, recante misure urgenti per il rilancio competitivo del settore agroalimentare convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2008, n. 205 convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2 (v., in particolare, l’art. 4, che reca norme per la chiusura degli interventi cofinanziati dall’Unione europea nel settore della pesca e dell’acquacoltura per il periodo di programmazione 1994/1999 (programma SFOP));

§       il decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anticrisi il quadro strategico nazionale, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2 (v., in particolare, l’art. 14 che definisce una nuova disciplina in materia di assunzione di partecipazioni in istituti di credito da parte di soggetti che svolgono in misura rilevante attività d'impresa in settori non bancari né finanziari);

§       il decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208, recante misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell'ambiente, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 13. (v., in particolare, l’art. 1 che – in conformità alla direttiva 2000/60/CE – fissa il termine entro il quale devono essere adottati i piani di bacino al 22 dicembre 2009).

Qualora gli “obblighi di adeguamento” riguardino materie rientranti nella competenza legislativa o amministrativa delle regioni e province autonome, si prevede una procedura particolare, secondo la quale il Governo (Presidente del consiglio o Ministro per le politiche comunitarie) informa gli enti titolari del potere-dovere di provvedere, assegnando un termine per l’adempimento. Ove necessario, il Governo può chiedere di sottoporre la questione alla Conferenza permanente Stato-Regioni per concordare le iniziative da assumere.

In caso di mancato adempimento nei termini da parte dell’ente interessato, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie propongono al Consiglio dei ministri di assumere iniziative volte all’esercizio dei poteri sostitutivi di cui agli articolo 117, quinto comma, e 120, secondo comma, della Costituzione.

Infine, lo stesso articolo 10 detta specifiche disposizioni per i decreti legislativi di attuazione di normative comunitarie o di modifica di disposizioni attuative, emanati sulla base di deleghe contenute in leggi diverse dalla comunitaria annuale. Fatti salvi i princìpi e criteri direttivi stabiliti di volta in volta dalle leggi delega (in conformità al diritto comunitario), ed in aggiunta ai princìpi contenuti nelle direttive da attuare, tali decreti legislativi devono essere adottati:

§      nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali previsti dalla legge comunitaria per l’anno di riferimento;

§      su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e con gli altri ministri interessati in relazione all’oggetto della direttiva.

Tale norma è applicabile anche per l’emanazione di testi unici di riordino e armonizzazione, nel rispetto delle competenze di regioni e province autonome.

Questa previsione è finalizzata ad assicurare alle leggi comunitarie annuali una capacità di influenza generale sull'esercizio di tutte le deleghe di attuazione comunitaria, anche se non contemplate nelle leggi comunitarie stesse, e nel contempo a definire gli assetti endogovernativi nella fase preparatoria dei decreti legislativi.

 

Attuazione in via regolamentare e amministrativa

La possibilità di procedere al recepimento degli atti comunitari anche attraverso i regolamenti governativi era già prevista dalla legge n. 86 del 1989. Peraltro, a seguito della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, sono emersi alcune questioni applicative, soprattutto in relazione all’articolo 117, sesto comma, che limita alle materie di potestà legislativa statale esclusiva l’ambito di intervento dei regolamenti. Nelle leggi comunitarie successive alla riforma – in particolare, a partire dalla legge n. 39 del 2002 – non è stata pertanto più utilizzata tale modalità di recepimento.

La legge n. 11 del 2005 adegua al nuovo dettato costituzionale le modalità di attuazione delle direttive in via regolamentare.

In primo luogo, l’articolo 11 stabilisce che l’attuazione in via regolamentare può avvenire solo nelle materie di competenza statale esclusiva (ossia quelle previste all’articolo 117, secondo comma, della Costituzione). In secondo luogo, la norma prevede una differente disciplina a seconda che l’attuazione venga effettuata attraverso:

·       regolamenti governativi;

·       regolamenti ministeriali o interministeriali.

In merito alla prima tipologia, l’articolo 11 pone dei requisiti stringenti, in quanto tali regolamenti possono essere adottati solo nelle materie:

-          già disciplinate con legge;

-          non coperte da riserva assoluta di legge.

In secondo luogo, si stabilisce che i regolamenti siano adottati ai sensi dell’articolo 17, commi 1 e 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia di concerto con gli altri ministri interessati.

Si ricorda che l’articolo 17 della legge n. 400 del 1988 prevede, al comma 1, l’adozione di regolamenti governativi esecutivi, attuativi-integrativi, indipendenti e di organizzazione. Tali regolamenti vengono adottati attraverso decreti del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato. Il comma 2 prevede i regolamenti di delegificazione, che disciplinano materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi, autorizzando il Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari.

Sugli schemi dei regolamenti devono essere acquisiti determinati pareri e in particolare:

-       sempreil parere del Consiglio di Stato, che deve esprimersi nei 45 giorni successivi alla richiesta;

-       il parere dei competenti organi parlamentari (alle quali gli schemi di regolamento sono trasmessi unitamente alle relazioni illustrative e al parere del Consiglio di Stato), solo ove la legge comunitaria disponga in tal senso. Il parere è espressoentro il termine di 40 giorni dall’assegnazione, decorso il quale il Governo può procedere anche in assenza del parere.

Al riguardo, si ricorda che il regolamento della Camera, a seguito delle modifiche apportate nel 1999, ha previsto la possibilità per le Commissioni di applicare all’esame di tali atti, in quanto compatibili, le disposizioni relative all’esame in sede referente dei progetti di legge, prevedendo altresì la possibilità di trasmetterli al Comitato per la legislazione (articolo 96-ter).

La procedura appena descritta può essere utilizzata anche per recepire (ovviamente con fonte di rango regolamentare) le modifiche delle direttive attuate in via regolamentare se così dispone la legge comunitaria (articolo 12).

I regolamenti in esame devono conformarsi a principi generali espressamente individuati, nel rispetto dei principi e delle disposizioni posti dalle direttive da attuare, e tenendo comunque conto delle eventuali modificazioni della disciplina comunitaria intervenute sino al momento della loro adozione.

La tipologia regolamentare così delineata si discosta parzialmente dal modello definito dalla legge n. 400 del 1988. Infatti, pur richiamando le disposizioni previste dalla citata legge n. 400, l’articolo 11 richiede come ulteriore requisito il rispetto di alcune norme generali oltre che delle disposizioni contenute nelle direttive da attuare. In tal modo, si mira a guidare il futuro intervento del Governo ponendo dei principi generali, sulla falsariga di quanto avviene per la delega legislativa.

Le norme generali alle quali i regolamenti devono conformarsi attengono:

§      all’individuazione della responsabilità e delle funzioni attuative delle amministrazioni, nel rispetto del principio di sussidiarietà;

§      all’esercizio dei controlli da parte degli organismi già operanti nel settore e secondo modalità che assicurino efficacia, efficienza, sicurezza e celerità;

§      all’esercizio delle opzioni previste dalle direttive in conformità alle peculiarità socio-economiche nazionali e locali e alla normativa di settore;

§      alla fissazione di termini e procedure, nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 20, comma 5, della legge 15 marzo 1997, n. 59[8].

I regolamenti in questione devono altresì tener conto delle eventuali modificazioni della disciplina comunitaria intervenute sino al momento della loro adozione.

In merito alla seconda tipologia di regolamenti, l’articolo 11 pone ulteriori requisiti, in quanto i regolamenti ministeriali o interministeriali (nonché gli atti amministrativi generali) possono intervenire nelle materie:

-          non disciplinate dalla legge;

-          non disciplinate dai regolamenti governativi;

-          non coperte da riserva di legge.

I regolamenti in esame sono adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400[9].

Si ricorda che quest’ultima norma prevede l’adozione di regolamenti ministeriali o interministeriali, nelle materie di competenza del ministro o di autorità sottordinate, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo e debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione.

Nelle stesse materie, la disciplina di attuazione può essere posta anche a mezzo di atto amministrativo generale adottato dal Ministro con competenza prevalente per materia, di concerto con gli altri Ministri interessati.

In ogni caso, in relazione ad entrambe le tipologie di regolamenti, è sempre necessario l’intervento della legge comunitaria (o di altra legge):

·       laddove le direttive lascino spazio alla discrezionalità del legislatore nazionale quanto alle modalità della attuazione, al fine di individuare principi e criteri direttivi;

·       per l’adozione delle disposizioni atte a prevedere sanzioni penali o amministrative nonché quelle necessarie per individuare le autorità pubbliche alle quali affidare le funzioni amministrative attinenti all’applicazione della nuova disciplina;

·       ove l’attuazione delle direttive comporti l’istituzione di nuovi organi o strutture amministrative;

·       ove l’attuazione delle direttive comporti la previsione di nuove spese o minori entrate.

Si ricorda, inoltre, che i descritti regolamenti possono essere utilizzati anche per porre rimedio all’eventuale inerzia delle regioni nell’attuazione del diritto comunitario.

Ai fini delle previsioni di cui all’articolo 11 della legge n. 11 del 2005, va segnalato che il Governo è tenuto a presentare alle Camere, in allegato al disegno di legge comunitaria, un elenco delle direttive per l’attuazione delle quali chiede l’autorizzazione ad intervenire in via regolamentare[10].

L’articolo 11-bis, introdotto nella legge n. 11 dall’articolo 6 della legge n. 34 del 2008, reca, in via generale, un’autorizzazione permanente al Governo all’attuazione in via regolamentare ex articolo 17, comma 1, della legge n. 400 del 1988 delle disposizioni adottate dalla Commissione europea in attuazione di direttive recepite con decreto legislativo.

I regolamenti governativi di esecuzione/attuazione in esame sono adottati secondo quanto disposto dagli articoli 9 e 11 della legge n. 11 del 2005 e con le procedure ivi previste.

Al riguardo, si ricorda che la Commissione, in base all’articolo 202 del Trattato CE, esercita i poteri ad essa delegati per l’attuazione degli atti comunitari “legislativi”, vale a dire adottati dal Parlamento e dal Consiglio o dal solo Consiglio secondo una delle procedure decisionali previste dal citato Trattato (consultazione, codecisione, cooperazione, parere conforme). Le procedure mediante le quali si esplicano tali poteri sono definite con il termine “comitatologia” o “comitologia”. Le procedure di comitatologia (consultazione, gestione, regolamentazione, regolamentazione con controllo e di salvaguardia), attualmente disciplinate dalla decisione del Consiglio n. 1999/468/CE, così come modificata, prevedono l’obbligo della Commissione di sottoporre i progetti di misure di attuazione a comitati composti da funzionari delle amministrazioni nazionali. L’efficacia del parere del comitato dipende dal tipo di procedura di cui l’atto legislativo dispone di volta in volta l’applicazione.

Infine, si ricorda che l’articolo 13 della legge n. 11 del 2005 prevede anche la possibilità di procedere ad un’attuazione per così dire semplificata, relativa agli adeguamenti tecnici, stabilendo che il Governo, nelle materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato, dia attuazione in via amministrativa con decreto del Ministro competente alle norme comunitarie non autonomamente applicabili, che modifichino caratteristiche di ordine tecnico e modalità esecutive di direttive già recepite nell’ordinamento nazionale.

Circa l’attuazione delle norme comunitarie che ricadono nelle competenze legislative delle regioni, l’articolo 13 prevede un potere sostitutivo dello Stato nel caso di inerzia, per il quale si rinvia al paragrafo “I poteri statali sostitutivi”.

L’attuazione delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome

L’articolo 16 della legge n. 11 del 2005 disciplina le competenze delle regioni e delle province autonome nel dare attuazione alle direttive comunitarie.

Al riguardo, si segnala che l’articolo 20 della legge provvede a fare salve le norme previste negli statuti delle regioni ad autonomia differenziata e le relative norme di attuazione. Si tratta di una disposizione volta a salvaguardare l’autonomia delle regioni a statuto speciale e delle province autonome.

La disciplina introdotta dalla legge n. 11 del 2005 attribuisce a tutte le regioni nonché alle province autonome di Trento e di Bolzano nelle materie di propria competenza la facoltà di dare immediata attuazione alle direttive comunitarie. Peraltro si chiarisce che, nelle materie oggetto di potestà legislativa concorrente, la legge comunitaria indica i princìpi fondamentali cui le regioni e le province autonome sono tenute a conformarsi: tali principi sono qualificati come inderogabili dalla legge regionale o provinciale e prevalenti sulle contrarie disposizioni eventualmente già emanate dalle regioni e province autonome.

Si ricorda che la legge ordinaria di attuazione del nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione (Legge n. 131 del 2003, cosiddetta “legge La Loggia”) prevede che “nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la potestà legislativa nell’ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti” (articolo 1, comma 3).

I provvedimenti delle regioni (e province autonome), rientranti nelle materie di competenza legislativa di tali enti, devono indicare nel titolo il numero identificativo della direttiva attuata ed essere trasmessi immediatamente in copia conforme alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie.

L’articolo 16 disciplina altresì l’intervento statale anticipato e cedevole nell’ipotesi di inerzia regionale, per il quale si rinvia al paragrafo “I poteri statali sostitutivi”, pag. 37.

Infine, per le direttive che ricadono in materie di legislazione esclusiva dello Stato, il Governo indica i criteri e formula le direttive alle quali si devono attenere le regioni e le province autonome ai fini del soddisfacimento di esigenze di carattere unitario, del perseguimento degli obiettivi della programmazione economica e del rispetto degli impegni derivanti dagli obblighi internazionali.

Tale indicazione può avvenire con varie modalità. Il Governo infatti è libero di utilizzare uno dei seguenti strumenti:

§         la legge o un atto avente forza di legge;

§         i regolamenti governativi sulla base della legge comunitaria;

§         una deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie, d'intesa con i Ministri competenti, secondo le modalità stabilite dall’articolo 8 della legge n. 59 del 1997[11].

I poteri statali sostitutivi

La disciplina dei poteri statali sostitutivi è contenuta – nell’ambito della legge n. 11 del 2005 – in vari articoli, che riprendono sostanzialmente quanto già previsto in materia nelle leggi comunitarie approvate dopo l’entrata in vigore della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione.

Si tratta, in particolare, degli articoli 11, comma 8, relativo all’attuazione in via regolamentare, 13, comma 2, relativo agli adeguamenti tecnici, e 16, comma 3, in materia di attuazione regionale.

La disciplina è sostanzialmente quella prevista dall’articolo 11, comma 8, volto a dare attuazione all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione[12]. In particolare, si prevede che spetta allo Stato, secondo modalità da stabilirsi con legge, un potere sostitutivo per i casi di inadempienza delle regioni e delle province autonome agli obblighi di attuazione degli atti normativi dell’Unione europea.

La norma prevede una triplice garanzia per le regioni e province autonome:

§      gli atti statali attuativi di direttive comunitarie, che intervengono su materie rimesse alla competenza legislativa – concorrente o residuale generale – delle regioni o delle province autonome, entrano in vigore solo alla data di scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa comunitaria;

§      tali atti riguardano esclusivamente le regioni e province autonome che non abbiano ancora adottato la propria normativa di attuazione;

§      gli atti statali perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa regionale (o provinciale) di attuazione delle direttive comunitarie, e devono recare l’esplicita indicazione della natura sostitutiva e cedevole del potere esercitato e delle disposizioni in essi contenute.

La norma in oggetto persegue una duplice finalità: da un lato, quella di rispettare il riparto di competenze legislative delineato dall’articolo 117 della Costituzione e le funzioni in materia di attuazione degli atti comunitari attribuite alle regioni dal quinto comma del medesimo articolo 117; dall’altro, quella di garantire allo Stato uno strumento per evitare l’insorgere di una responsabilità nei confronti dell’Unione europea e il verificarsi di ritardi tali da esporre l’Italia a procedure di infrazione[13].

Come ricordato, tra l’altro, l’articolo 117, sesto comma, della Costituzione stabilisce che la potestà regolamentare spetta allo Stato solo nelle materie di legislazione esclusiva. In ogni caso, la possibilità che regolamenti statali intervengano temporaneamente a disciplinare materie di competenza regionale rappresenta una deroga che trova un proprio fondamento costituzionale nell’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, anche secondo quanto evidenziato dalla più recente dottrina e dal Consiglio di Stato. Infatti, l’Adunanza generale del Consiglio di Stato (25 febbraio 2002) si è pronunciata sul punto, rilevando come all’attuazione delle direttive comunitarie nelle materie attribuite alle regioni o alle province autonome in via esclusiva o concorrente, siano competenti le regioni e le province autonome, ma se queste non dovessero provvedere, sussiste il potere dovere dello Stato di attuare, attraverso proprie fonti normative,anche regolamentari, tali direttive, al fine di rispettare i vincoli comunitari; le norme poste dallo Stato in via sostitutiva risultano applicabili solo nell’ambito dei territori delle regioni e province autonome che non abbiano provveduto e siano cedevoli. Ai fini dell’attuazione in via sostitutiva, è necessario sentire previamente la Conferenza Stato-Regioni nel rispetto del principio di leale collaborazione. Inoltre, dal momento che l’articolo 117, quinto comma, della Costituzione prevede il potere sostitutivo in caso di inadempienza, la norma statale, se emanata anteriormente, avrà effetto soltanto dalla scadenza dell’obbligo comunitario di attuazione della direttiva nei confronti delle sole regioni inadempienti. E’ necessario che l’atto normativo dello Stato in funzione sostitutiva contenga la clausola di cedevolezza, in virtù della natura esclusivamente collaborativa dell’intervento dello Stato in materie di competenza regionale.

Analogamente, l’articolo 13, comma 2, sempre in attuazione dell’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, stabilisce che i provvedimenti in materia di adeguamenti tecnici possono essere adottati nelle materie di competenza legislativa regionale in caso di inerzia delle regioni e province autonome. In tale caso, i provvedimenti statali adottati si applicano secondo modalità analoghe a quelle definite dall’articolo 11. In particolare, i citati provvedimenti statali si applicano, per le regioni e le province autonome nelle quali non sia ancora in vigore la normativa di attuazione, a decorrere dalla scadenza del termine stabilito per il recepimento della normativa comunitaria e perdono efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa attuativa. I provvedimenti recano l'esplicita indicazione della natura sostitutiva del potere esercitato e del carattere cedevole delle disposizioni in essi contenute.

Infine, l’articolo 16, comma 3, in riferimento all’attuazione regionale delle direttive comunitarie, chiarisce che le disposizioni legislative adottate dallo Stato per l’adempimento degli obblighi comunitari in materie di competenza regionale si applicano “alle condizioni e secondo la procedura di cui all’articolo 11, comma 8”.

La disciplina dei poteri sostitutivi, dettata dagli articoli in esame, si aggiunge a quanto previsto dall’articolo 8 della legge n. 131 del 2003 (c.d. legge La Loggia), che è volto a regolare l’esercizio del diverso potere sostitutivo previsto dall’articolo 120 della Costituzione.

La norma stabilisce, in via generale, che i provvedimenti sostitutivi devono essere proporzionati alle finalità perseguite e, in particolare, prevede che:

§       l’assegnazione di un congruo termine all’ente interessato per provvedere;

§       l’adozione dell’atto sostitutivo, di natura anche normativa, da parte del Consiglio dei ministri solo a seguito dell’infruttuoso decorso del termine, sentito l’organo interessato.

Qualora l’esercizio del potere sostitutivo si renda necessario al fine di porre rimedio alla violazione della normativa comunitaria, gli atti ed i provvedimenti sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro competente per materia.

Accanto a questa forma di sostituzione, l’articolo 8 ne disciplina un’altra, attivabile nei casi di assoluta urgenza: qualora l’intervento sostitutivo non sia procrastinabile senza mettere in pericolo le finalità tutelate dall’articolo 120 della Costituzione, il Consiglio dei ministri, anche su iniziativa delle regioni o degli enti locali, adotta i provvedimenti necessari, comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza Stato-Città e autonomie locali, che possono chiederne il riesame[14].

Per quanto riguarda i rapporti tra la sostituzione delineata dagli articoli in esame della legge n. 11 e quella disciplinata dalla legge n. 131 del 2003, si evidenzia che le due leggi fanno riferimento a diversi articoli della Costituzione: le disposizioni della legge n. 11 si pongono in attuazione dell’articolo 117, quinto comma, Costituzione, mentre l’articolo 8 della legge n. 131 richiama l’articolo 120, secondo comma, Costituzione.

L’articolo 117, quinto comma, della Costituzione prevede che le regioni e le province autonome provvedono all’attuazione degli obblighi comunitari, “nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza”, mentre l’articolo 120, secondo comma, della Costituzione, stabilisce che il Governo può sostituirsi a organi delle regioni, città metropolitane, province e comuni, in caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o economica e la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni. La norma prevede altresì che la legge definisce le procedure idonee a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione.

Il diritto di rivalsa

Di particolare rilievo sono le disposizioni dettate dall’articolo 16-bis[15] della legge n. 11 del 2005, con il quale sono previste misure volte ad assicurare l’adempimento degli obblighi comunitari e internazionali dello Stato derivanti, in particolare, dalle procedure d’infrazione avviate dalla Commissione europea, dalle sentenze di condanna della Corte di giustizia, dalle sentenze di condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo originate dalla violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (e dei relativi Protocolli addizionali)[16].

A tal fine, viene introdotto il diritto di rivalsa dello Stato nei confronti dei soggetti responsabili dell’inadempimento degli obblighi comunitari e internazionali. In particolare, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici ed i soggetti equiparatidevono:

§      adottare le misure necessarie a porre tempestivamente rimedio alle violazioni, loro imputabili, degli obblighi comunitari, al fine di prevenire l'instaurazione delle procedure d'infrazione di cui agli articoli 226 e seguenti del Trattato istitutivo della Comunità europea o per porre termine alle stesse;

§      dare esecuzione agli obblighi derivanti dalle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, pronunciate ai sensi dell'articolo 228, paragrafo 1, del Trattato istitutivo della Comunità europea.

In ogni caso,è previstol’esercizio dei poteri statali sostitutivi nei confronti delle regioni e degli altri enti suindicati, responsabili della violazione degli obblighi comunitari o della non tempestiva esecuzione delle sentenze della Corte di giustizia. Tali poteri sostitutivi sono esercitati secondo i princìpi e le procedure stabiliti dall'articolo 8 della legge n. 131 del 2003 (c.d. legge “La Loggia”) e dall’articolo 11, comma 8, della legge n. 11 del 2005.

In caso di inadempimento degli obblighi derivanti dalla normativa comunitaria, lo Stato può esercitare il diritto di rivalersi nei confronti di tali enti nelle regolazioni finanziarie operate a carico dell'Italia a valere sulle risorse del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA), del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e di altri fondi aventi finalità strutturali. Tale diritto di rivalsa è esercitato dallo Stato per compensare gli oneri finanziari derivanti dalle sentenze di condanna della Corte di Giustizia (ex art. 228 del Trattato istitutivo della Comunità europea), e della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Le modalità di esercizio del diritto di rivalsa prevedono che tale facoltà possa essere esercitata in modo differente, a seconda che l’obbligato sia un ente territoriale, ovvero un ente od organismo pubblico diverso assoggettato al sistema di tesoreria unica, ovvero altro ente.

In particolare, nel caso in cui l’obbligato sia un ente territoriale, la misura degli importi dovuti, che comunque non deve essere superiore agli oneri finanziari a carico dell’Italia, è stabilita con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze da adottarsi entro 3 mesi dalla notifica, nei confronti degli obbligati, della sentenza esecutiva di condanna per la Repubblica italiana. Il decreto reca modi e termini per il pagamento, anche rateizzato, e costituisce titolo esecutivo. Qualora gli oneri finanziari a carico dell’Italia siano di carattere pluriennale, o non ancora liquidi, possono adottarsi più decreti ministeriali in relazione al progressivo maturare del credito dello Stato.

I decreti sono emanati previa intesa sull’entità del credito, modalità di recupero e termini di pagamento, anche rateizzato, con l’ente obbligato. Tale intesa, il cui contenuto viene recepito in un provvedimento del Ministro dell’economia e costituisce titolo esecutivo, deve essere perfezionata entro 4 mesi decorrenti dalla data della notifica della sentenza esecutiva di condanna verso l’Italia all’ente obbligato.

Qualora non venga raggiunga l’intesa, l'adozione del provvedimento compete al Presidente del Consiglio dei ministri, nei successivi 4 mesi, sentita la Conferenza unificata. Anche in questo caso possono essere adottati più decreti laddove si sia in presenza di crediti dello Stato che maturano progressivamente.

Nel caso di enti e di organismi pubblici diversi da quelli indicati sopra, assoggettati al sistema di tesoreria unica, il diritto di rivalsa si esercita con un prelevamento diretto sulle contabilità speciali obbligatorie istituite presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato, ai sensi della legge 29 ottobre 1984, n. 720[17].

In ogni altro caso, il diritto di rivalsa si esercita secondo le vie ordinarie, mediante ricorso innanzi all’autorità giudiziaria competente.

Le notifiche delle sentenze di condanna nei confronti degli enti territoriali obbligati sono effettuate a cura e spese del Ministero dell'economia e delle finanze.

Le sessioni comunitarie della Conferenza Stato-regioni e della Conferenza Stato-città

La legge disciplina anche le sessioni comunitarie della Conferenza Stato-regioni e della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, stabilendo rispettivamente che il Presidente del Consiglio convochi:

-       almeno ogni sei mesi - anche su richiesta delle regioni e delle province autonome - una sessione speciale della Conferenza Stato-regioni, dedicata alla trattazione degli aspetti delle politiche comunitarie di interesse regionale e provinciale (articolo 17);

La Conferenza Stato-Regioni in sessione comunitaria può infatti esprimere il proprio parere sulle seguenti questioni:

§       sugli indirizzi generali relativi all'elaborazione e all'attuazione degli atti comunitari che riguardano le competenze regionali;

§       sui criteri e le modalità per conformare l'esercizio delle funzioni regionali all'osservanza ed all'adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea;

§       sullo schema del disegno di legge comunitaria, sulla base di quanto previsto dall'articolo 5, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 281/1997. Tale norma dispone che la Conferenza Stato-Regioni in sessione comunitaria esprima parere sullo schema di disegno di legge comunitaria e che decorso il termine di 20 giorni dalla richiesta del parere, il disegno di legge sia presentato al Parlamento anche in mancanza di tale parere.

Il Ministro per le politiche comunitarie riferisce al Comitato interministeriale per la programmazione economica per gli aspetti di competenza.

Circa le competenze della Conferenza Stato-Regioni in relazione all’Unione europea, si ricorda che l’articolo 5 del decreto legislativo n. 281 del 1997 prevede che essa, anche su richiesta delle regioni e delle province autonome, si riunisca in apposita sessione almeno 2 volte all'anno al fine di raccordare le linee della politica nazionale, relativa all'elaborazione degli atti comunitari con le esigenze rappresentate dalle regioni e dalle province autonome, nelle materie di competenza di queste ultime, e di esprimere il parere sullo schema di disegno di legge comunitaria. La Conferenza inoltre designa i componenti regionali in seno alla rappresentanza permanente italiana presso l'Unione europea ed esprime il proprio parere – su richiesta dei Presidenti delle regioni e delle province autonome e con il consenso del Governo – sugli schemi di atti amministrativi dello Stato che, nelle materie di competenza delle regioni o delle province autonome, danno attuazione alle direttive comunitarie ed alle sentenze della Corte di giustizia delle comunità europee.

-       almeno una volta all'anno - anche su richiesta delle associazioni rappresentative degli enti locali o degli enti locali interessati - una sessione speciale della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, dedicata alla trattazione degli aspetti delle politiche comunitarie di interesse degli enti locali (articolo 18). La conferenza tratta gli aspetti delle politiche comunitarie di interesse degli enti locali, esprimendo genericamente parere sui criteri e le modalità per conformare l'esercizio delle funzioni di interesse degli enti locali all'osservanza e all'adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.

La Conferenza Stato-città ed autonomie locali è un organo collegiale con funzioni consultive e decisionali, sede istituzionale permanente di confronto e raccordo tra lo Stato e gli enti locali. La Conferenza è stata istituita con D.P.C.M. 2 luglio 1996 ed è disciplinata dal decreto legislativo n. 281 del 1997 e successive modificazioni. In particolare, l’articolo 8 del citato decreto legislativo prevede che essa sia presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri (o, per sua delega, dal Ministro dell'interno o dal Ministro per gli affari regionali) e ne facciano parte oltre a vari Ministri (economia, infrastrutture e sanità), il presidente dell'Associazione nazionale dei comuni d'Italia – ANCI, il presidente dell'Unione province d'Italia – UPI ed il presidente dell'Unione nazionale comuni, comunità ed enti montani – UNCEM, nonché, su designazione delle rispettive associazioni, sei presidenti di provincia e quattordici sindaci, di cui cinque sindaci di città che siano aree metropolitane.

Dei risultati emersi in tali sedi il Governo è tenuto ad informare tempestivamente le Camere.


I dati contenuti nella relazione governativa al disegno di legge comunitaria

Il testo previgente dell’articolo 8, comma 5, della legge n. 11 del 2005 ampliava il contenuto della relazione di accompagnamento al disegno di legge comunitaria. Da un lato, infatti, si confermava l’esigenza che la relazione illustrasse alcuni profili, già considerati dalla legge n. 86 del 1989 (cfr. infra le lettere a), b) e c)), dall’altro si introduceva l’obbligo di fornire nuove specifiche informazioni. In particolare, si prevedeva che, in aggiunta ai predetti dati, la relazione contenesse l’elenco delle direttive attuate con regolamento (lett. d)) e l’indicazione dei provvedimenti regionali attuativi di direttive comunitarie (lett. e)), “anche con riferimento a leggi annuali di recepimento eventualmente approvate dalle regioni e dalle province autonome”.

Successivamente, l’articolo 6 della legge n. 34/2008 (legge comunitaria 2007) ha disposto che i dati sopra descritti siano riportati in un’apposita “Nota aggiuntiva”, aggiornata al 31 dicembre. Il Governo, peraltro, nel presentare il disegno di legge comunitaria 2008, ha inserito i suddetti dati nella relazione illustrativa (come in passato), anticipando in tal senso il contenuto dell’articolo 6 dello stesso disegno di legge che ripristina la disposizione originaria.

La relazione governativa al disegno di legge comunitaria 2008 contiene, pertanto,anche i dati che, secondo il testo vigente della legge n. 11 del 2005, devono essere riportati nella predetta nota aggiuntiva, ossia:

a)    i dati sullo stato di conformità dell'ordinamento interno al diritto comunitario e sullo stato delle eventuali procedure di infrazione dando conto, in particolare, della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee relativa alle eventuali inadempienze e violazioni degli obblighi comunitari da parte della Repubblica italiana.

La relazione presentata dal Governo al disegno di legge comunitaria 2008 (A.S. 1078) riferisce che, al 10 giugno 2008, risultavano complessivamente aperte contro l’Italia 181 procedure, di cui 151 per violazione del diritto comunitario e 30 per mancata trasposizione di direttive.

Viene poi fornita la classificazione per livello delle procedure. Da questa si evince che, per quanto riguarda le 181 procedure, 72 di queste sono lettere di costituzione in mora (primo stadio del contenzioso comunitario) ex art. 226del Trattato, altre 97 sono relative a stadi più avanzati del contenzioso: 5 messe in mora complementare, 41 pareri motivati, 4 pareri motivati complementari, 20 ricorsi e 15 sentenze per inadempimento. A queste si aggiungono 12 procedure di cui all’art. 228 del Trattato CE in base al quale la Commissione europea, in caso di mancata esecuzione del giudicato, può adire la Corte di Giustizia per chiedere l’irrogazione di sanzioni pecuniarie per lo Stato membro inadempiente.

Per quanto riguarda la mancata trasposizione di direttive risultano aperte 30 procedure, di cui 18 procedure di messa in mora, 10 pareri motivati e 1 sentenza per mancata attuazione. A queste si aggiunge 1 procedura per parere motivato di cui all’art. 228 del Trattato CE. Nella Relazione il Governo fornisce, altresì, la classificazione per settori delle procedure. Il maggior numero di procedure riguarda la materia ambientale (51 procedure) seguita dai seguenti settori: appalti (21), fiscalità e dogane (21), salute (15), lavoro e affari sociali (12), affari economici e finanziari (9).

Si segnala che dai dati forniti dal Ministro per le politiche europee, alla data del 19 febbraio 2009, risultano aperte complessivamente contro l’Italia 164 procedure di infrazione, di cui 136 per violazione del diritto comunitario e 28 per mancata trasposizione di direttive nell’ordinamento interno[18]. Di recente il Collegio dei Commissari UE ha deciso per l'Italia 9 archiviazioni di cui 2 concernenti procedure già aperte[19] e 7 ancora allo stadio di reclamo. Sono state tre invece le nuove procedure d'infrazione aperte.

Per quanto riguarda lo stato delle procedure di infrazione relative al solo mercato interno, la Commissione europea, nella Strategia per il mercato interno 2003-2006[20], chiedeva agli Stati membri una riduzione del numero delle procedure di infrazione di almeno il 50 per cento entro il 2006. Dagli ultimi dati forniti dalla Commissione europea[21] risulta che l’Italia, pur avendo fatto registrare la maggiore riduzione dei procedimenti di infrazione aperti (15), rimane – con 164 procedure di infrazione – il Paese, insieme alla Spagna, con il maggior numero di procedure avviate relative al solo mercato interno[22].

A tale proposito, si ricorda anche che la Commissione europea, già a partire dalla “Comunicazione sul miglioramento del controllo dell’applicazione del diritto comunitario” (COM(2002)725def.) ha optato per un approccio differenziato al trattamento delle procedure d’infrazione, a causa della loro costante crescita e alla prospettiva di un ulteriore forte aumento delle stesse dopo l’allargamento dell’Unione. In pratica la Commissione, secondo la gravità della presunta infrazione, decide caso per caso se avviare la procedura d’infrazione ovvero ricorrere a meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie: si tratta principalmente delle c.d. “riunioni pacchetto o cumulative”, che mirano a risolvere politicamente le questioni evitando azioni legali, nonché del meccanismo c.d. SOLVIT.

Il SOLVIT è una rete on-line in funzione dal luglio 2002 che permette di trovare una risoluzione extragiudiziale (informale) alle denunce dei consumatori e delle imprese relative ad una scorretta applicazione delle norme sul mercato interno da parte delle autorità amministrative pubbliche. In ciascuno Stato membro le vittime di un’applicazione erronea del diritto dell’Unione, da parte di autorità locali o nazionali di un altro Stato membro, possono rivolgersi al centro SOLVIT per ottenere che la questione sia rapidamente risolta: i tempi medi sono di 10 settimane per risolvere i reclami. Le soluzioni proposte non sono vincolanti. In ogni caso, se il cliente considera la proposta inaccettabile, può raccomandare di risolvere la controversia per via giudiziaria. Nel 2008 sono stati presentati a SOLVIT 1000 casi, registrando un aumento del 22 per cento, mentre la percentuale di casi risolti è stata pari a circa l’83 per cento. Il tempo medio di soluzione dei problemi, sempre nel 2008, è stato di circa due mesi. I risparmi derivanti dalla soluzione dei problemi tramite SOLVIT sono stati stimati pari a 32,6 milioni di euro[23].

b)    l'elenco delle direttive attuate o da attuare in via amministrativa.

Si tratta di 27 direttive (riportate nella tabella 1 allegata al presente dossier) pubblicate nel periodo 1° febbraio 2007 - 10 giugno 2008, alla cui attuazione provvedono lo Stato ovvero le regioni o le province autonome, nell’ambito del riparto costituzionale di competenze e fermi restando i poteri sostitutivi dello Stato. Al riguardo, si segnala che 20 delle direttive indicate nella relazione governativa risultano già attuate (nella tabella 1 allegata sono riportati gli estremi dei provvedimenti di attuazione[24]).

Si ricorda, altresì, che non è stato più rispettato a partire dal 2000, in sede di pubblicazione delle leggi comunitarie, l’obbligo previsto dall’articolo 10, comma 3-quater, del Testo unico sulla promulgazione delle leggi (D.P.R. n. 1092/1985) di riportare a titolo informativo nella Gazzetta Ufficiale, unitamente alla legge comunitaria annuale, l’elenco delle direttive attuate o da attuare in via amministrativa.

Il Governo ha inoltre fornito l’elenco di 44 direttive – pubblicate dal 1° febbraio 2007 al 10 giugno 2008 – che, alla data di presentazione al Senato del disegno di legge originario (6 ottobre 2008), risultavano essere già attuate in via amministrativa.

c)   l’indicazione dell’eventuale omissione dell’inserimento di direttive il cui termine di recepimento sia scaduto o scada nel periodo di riferimento, in relazione ai tempi previsti per l’esercizio della delega legislativa, quindi per lo meno entro l’anno 2008.

Al riguardo, la relazione governativa segnala che non risulta omessa alcuna direttiva pubblicata nell’anno 2007 il cui termine di recepimento sia già scaduto ovvero scada entro il 31 dicembre 2008.

Si segnala, in proposito, che (cfr. la tabella 4 allegata) risultano essere2 le direttive, già scadute al 31 dicembre 2008, non recepite e non inserite nel disegno di legge comunitaria 2008. A queste vanno aggiunte altre 5 direttive di anni precedenti già scadute, non ancora recepite ed il cui recepimento non è previsto da alcuna legge comunitaria.

d)    l’elenco delle direttive attuate con regolamento, ai sensi dell’art. 11 della legge n. 11/2005, nonché gli estremi degli eventuali regolamenti d’attuazione già adottati.

La relazione al disegno di legge comunitaria 2008 indica che, nell’anno 2007, non risultano essere state attuate direttive con regolamento.

e)    l’elenco degli atti normativi regionali e delle province autonome attuativi delle direttive comunitarie, anche con riferimento alle leggi annuali di recepimento eventualmente approvate dalle regioni o dalle province autonome.

Si tratta di dati che devono essere comunicati annualmente (entro il 25 gennaio) al Dipartimento per le politiche comunitarie da parte della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome. Il disegno di legge comunitaria per il 2008 evidenzia che, alla data del 10 giugno 2008, sono pervenuti i dati delle seguenti regioni:

Ø      Abruzzo (6 direttive recepite);

Ø      Emilia-Romagna (4 direttive recepite);

Ø      Friuli Venezia Giulia (3 direttive recepite);

Ø      Lazio (1 direttiva recepita);

Ø      Lombardia (1 direttiva recepita);

Ø      Marche (1 direttiva recepita);

Ø      Piemonte (1 direttiva recepita);

Ø      Valle d’Aosta (3 direttive recepite);

Ø      Veneto (2 direttive recepite);

Ø      Provincia autonoma di Bolzano (1 direttiva recepita);

Ø      Provincia autonoma di Trento (4 direttive recepite).

Le regioni Puglia e Toscana hanno comunicato di non aver dato, nel corso dell’anno 2007, diretta attuazione a direttive comunitarie.

La regione Sardegna ha comunicato di aver adottato la legge regionale 7 agosto 2007, n. 5, in attuazione della direttiva 2004/18/CE in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi. Alcune disposizioni di tale provvedimento sono state tuttavia impugnate dal Governo innanzi la Corte costituzionale in quanto “non in linea con i principi costituzionali che presiedono al riparto delle competenze legislative in materia”. La Corte, con la sentenza n. 411 del 3-17 dicembre 2008, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme regionali impugnate “per violazione dell’art. 3, lettera e), dello statuto, in quanto stabiliscono una disciplina difforme da quella nazionale, alla quale avrebbero dovuto adeguarsi alla stregua dell’art. 4, comma 5, del d. lgs. n. 163 del 2006, in materie, quelle della tutela della concorrenza e dell’ordinamento civile, estranee alla competenza legislativa regionale e riservate viceversa allo Stato”.

Si rileva, infine, che non è più previsto dalla legge n. 11 del 2005 l’obbligo di indicare l’elenco delle direttive che non necessitano di provvedimento di attuazione, in quanto evidentemente di diretta applicazione, in virtù del loro contenuto sufficientemente specifico, ovvero in quanto l’ordinamento interno risulta già conforme ad esse.


Lo stato di attuazione delle direttive comunitarie in Italia

Profili generali

Nella tabella 2 allegata al presente dossier è indicato,per ciascuno Stato membro dell’Unione europea, lo stato di attuazione di tutte le direttive comunitarie già scadute alla data del 9 marzo 2009[25]. A tale data risultano scadute e applicabili in Italia 3.001 direttive. L’Italia si colloca al 25° posto nella graduatoria del recepimento a 27 Paesi, avendo comunicato i provvedimenti di attuazione relativi a 2.965 di queste, pari al 98,80 per cento delle direttive da recepire (la media CE a 27 Stati è pari al 99,30 per cento). Alla data del 9 marzo 2009 risulta quindi un deficit di attuazione dell’Italia pari a 36 direttive.

Nella tabella 3, allegata al dossier[26], sono invece riportate le direttive il cui recepimento è stato previsto da leggi comunitarie precedenti a quella del 2008 e che non risultano ancora attuate. Complessivamente, risultano ancora da recepire 59 direttive contenute nelle precedenti leggi comunitarie, a prescindere dal termine di recepimento[27],e, tra queste, 23 direttivesono da attuare in base alla legge comunitaria 2006 (legge n. 13 del 2007)[28].

Le direttive contenute in precedenti leggi comunitarie, il cui termine di recepimento è già scaduto (al 20 marzo 2009) e che non sono ancora state attuate risultano essere 43.

Si segnala che di recente sono stati presentati dal Governo, e sono attualmente all’esame delle competenti Commissioni parlamentari, 26 schemi di decreto per il recepimento di direttive.

Infine, come si desume dalla tabella 4, le direttive scadute o in scadenza nell’anno 2009, non recepite e non inserite in leggi comunitarie, risultano essere 22.

 

Le direttive comunitarie relative al solo “Mercato interno”

La Commissione europea ritiene che il mercato interno svolga un ruolo fondamentale nella realizzazione dell’obiettivo che l’Unione europea si è fissata in materia di crescita e occupazione e che tuttavia esso non possa realizzare pienamente il suo potenziale se la legislazione concordata a livello europeo non viene effettivamente recepita e applicata da tutti gli Stati membri.

In base ai dati dell’ultimo scoreboard della Commissione europea[29], il tasso di mancato recepimento dell’UE a 27 Paesi[30], che indica la percentuale media delle direttive relative al mercato interno in vigore e non trasposte alla scadenza, è pari all’1 per cento, con una diminuzione dello 0,2 per cento rispetto al dato registrato nel mese di luglio 2007 (1,2 per cento). È stato pertanto raggiunto l’obiettivo a medio termine concordato dai Capi di Stato e di Governo dell’Unione,nel Consiglio europeo di marzo 2007, considerato elemento chiave per il successo ed il rilancio della “Strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione”.

Per quanto riguarda la graduatoria dei singoli Stati dell’Unione, considerando l’UE a 27 Paesi, 17 Stati membri hanno raggiunto l’obiettivo. Si tratta, nell’ordine, di Danimarca, Malta, Slovenia, Bulgaria, Paesi Bassi, Romania, Slovacchia, Lettonia, Ungheria, Germania, Lituania, Finlandia, Francia, Austria, Irlanda, Svezia e Spagna. Danimarca e Malta hanno fatto registrare ex aequo il risultato migliore.

L’Italia si colloca nel gruppo dei 10 Paesi che non hanno ancora centrato l’obiettivo dell’1 per cento. In particolare, l’Italia risulta avere un deficit pari all’1,3 per cento e si colloca al 20° posto della graduatoria a 27 Paesicon 21 direttive relative al solo mercato interno ancora da recepire alla data del 19 febbraio 2009.


Le leggi comunitarie regionali

Il quadro normativo regionale concernente il raccordo con la normativa comunitaria è complesso e in continua evoluzione. La partecipazione delle regioni alla fase ascendente e discendente del diritto comunitario ha assunto sempre maggior rilievo a partire dalla riforma costituzionale del 2001 e dalla legge 131/2003 (cosiddetta “La Loggia”) che ne disciplina gli aspetti generali. Con la legge 11 del 2005, come già illustrato, sono state emanate norme più specifiche sulla partecipazione delle regioni alla formazione degli atti comunitari (articolo 5) e sui rapporti istituzionali tra Governo e Regioni, con riferimento, in particolare, al ruolo e alle funzioni della Conferenza Stato-Regioni, per la quale viene istituita una sessione comunitaria, e degli organismi rappresentativi dei Governi regionali (Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome) e delle Assemblee legislative (Conferenza dei Presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome)[31].

Molte regioni hanno adottato norme organiche in materia, così le regioni Friuli-Venezia Giulia (L.R. n. 10/2004 e L.R. n. 17/2007, artt. 17 e 18), Valle d’Aosta (L.R. n. 8/2006), Marche (L.R. n. 14/2006), Calabria (L.R. n. 3/2007), Umbria (L.R. n. 23/2007, artt. 29-35), Emilia-Romagna (L.R. n. 16/2008[32]), Molise (L.R. n. 32/2008) e Campania (L.R. n. 18/2008)[33]. Le norme regionali disciplinano:

§      la partecipazione della Regione alla formazione degli atti comunitari, in particolare le forme istituzionali di informazione e raccordo tra Giunta e Consiglio, nonché le funzioni di ciascun organo in relazione alla formazione  della posizione italiana sui progetti di atti comunitari e i documenti di consultazione (libri verdi, libri bianchi, comunicazioni);

§      l’attuazione degli atti comunitari e delle sentenze della Corte di Giustizia, principalmente attraverso la legge comunitaria regionale;

In alcuni casi le norme regionali disciplinano altresì le attività di rilievo internazionale della regione – tra cui gli accordi con altri Stati e le intese con enti territoriali interni ad altro Stato dell’UE – e i rapporti interregionali (Emilia-Romagna; Umbria; Valle d’Aosta).

Disposizioni di principio sui rapporti con l’Unione europea sono contenute in tutti i nuovi statuti adottati dalle regioni a statuto ordinario a seguito della riforma costituzionale del 2001[34]. In alcuni casi per la disciplina di dettaglio lo statuto fa rinvio alla legge regionale, in altri casi, invece, sono presenti anche disposizioni specifiche:

§      adozione della legge comunitaria regionale quale strumento principale per l’attuazione degli obblighi derivanti dall’appartenenza alla CE (Calabria, Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Piemonte e Umbria)

§      previsione di una sessione comunitaria dei lavori del Consiglio regionale (Lazio, Piemonte, Lombardia);

§      istituzione di una specifica Commissione competente in materia comunitaria (Calabria, Lazio e Liguria)[35].

Le leggi regionali di cui sopra[36] indicano la legge comunitaria regionale quale strumento principale – ma non esclusivo – per dare attuazione agli atti normativi comunitari e alle sentenze della Corte di giustizia nelle materie di competenza della regione. Fa eccezione la legge della Campania secondo cui la regione adempie agli obblighi comunitari con i consueti strumenti normativi (regolamento, provvedimento amministrativo, legge).

Il disegno di legge comunitaria, presentato annualmente dalla Giunta al Consiglio entro una specifica data (che varia dal 31 marzo in Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta al 1° luglio in Molise), viene esaminato nell’ambito di una sessione comunitaria del Consiglio regionale, in alcuni casi insieme al rapporto sullo stato di attuazione delle politiche comunitarie.

Le regioni Umbria e Molise pongono un termine per l’approvazione della legge comunitaria regionale. In Umbria il disegno di legge deve essere presentato entro il 30 giugno e approvato in tempo utile per la predisposizione dell'elenco degli atti normativi con i quali nelle singole regioni e province autonome si è provveduto a dare attuazione alle direttive nelle materie di loro competenza. Il riferimento della legge umbra è all’elenco di cui all’art. 8, comma 5, lett. e) della legge n. 11 del 2005, che deve essere predisposto dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano e trasmesso alla Presidenza del Consiglio non oltre il 25 gennaio di ogni anno. Per la regione Molise invece il termine per l’approvazione è entro l’anno di riferimento.

La legge comunitaria regionale ha un contenuto obbligatorio condiviso dalle regioni che l’hanno disciplinata. Essa, in analogia con quanto disposto per la legge comunitaria nazionale, deve contenere:

§      disposizioni modificative o abrogative di norme legislative in contrasto con gli obblighi comunitari;

§      disposizioni per dare attuazione ad atti comunitari ed anche alle sentenze della Corte di giustizia;

§      disposizioni che autorizzano la Giunta ad attuare le direttive in via regolamentare e/o amministrativa.

Alcune regioni aggiungono inoltre:

§      disposizioni per l’attuazione di programmi regionali cofinanziati dall’Unione europea (Valle d’Aosta, Emilia-Romagna);

§         indicazione del termine per l’adozione di ogni ulteriore atto regionale di attuazione cui la legge eventualmente rimandi (Emilia-Romagna);

§      elenchi allegati degli atti normativi comunitari che non necessitano di recepimento, in quanto l’ordinamento regionale risulta già conforme (Calabria) e degli atti normativi comunitari attuati in via amministrativa e/o regolamentare dalla Giunta (Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta).

Ancora in analogia con quanto disposto per la legge comunitaria nazionale, nella relazione che accompagna il disegno di legge la Giunta riferisce sullo stato di uniformità dell’ordinamento regionale al diritto comunitario e sulle eventuali procedure di infrazione a carico dello Stato per inadempienze regionali.

La normativa regionale si differenzia maggiormente in relazione ai rapporti istituzionali tra i soggetti coinvolti e le funzioni di ciascuno.

In alcune regioni la Giunta regionale presenta al Consiglio – insieme al disegno di legge comunitaria nella sessione comunitaria – il Rapporto sullo stato di attuazione delle politiche comunitarie nella regione, in cui sono esposte le posizioni sostenute dalla Regione in seno alla Conferenza Stato-Regioni nell’ambito della sessione comunitaria della stessa e nell’ambito del Comitato delle Regioni, lo stato di avanzamento dei programmi di competenza della Regione e gli orientamenti, le misure che si intendono adottare per l’attuazione delle politiche comunitarie per l’anno in corso (Calabria, Marche e Molise)[37]. Nella regione Campania analogo rapporto deve essere elaborato nell’ambito della sessione comunitaria della Giunta regionale, convocata dal Presidente della Regione almeno una volta all’anno al fine di verificare lo stato di avanzamento degli interventi regionali e definire le linee di azione[38]. La legge della regione Emilia-Romagna non prevede un unitario rapporto, ma elenca nel dettaglio le informazioni che la Giunta è tenuta a fornire al Consiglio, tra cui quelle relative alle osservazioni inviate al Presidente del Consiglio ai fini della posizione italiana (art. 5, comma 3, legge n. 11 del 2005) e quindi le informazioni sull’iter di formazione degli atti come comunicato dalla Conferenza dei Presidenti, nonché sulle risultanze delle riunioni del Consiglio UE aventi ad oggetto le proposte ed atti su cui la regione (Giunta o Consiglio) ha espresso una posizione.

In altre regioni – Valle d’Aosta e Umbria – è il Presidente della Regione che riferisce annualmente sulle iniziative e sulle attività svolte in relazione alle politiche comunitarie. In Friuli Venezia Giulia il Presidente della Regione ha, inoltre, il compito di informare il Consiglio regionale delle risultanze delle riunioni del Consiglio dei ministri dell’Unione europea entro quindici giorni dal loro svolgimento.

Le regioni che hanno adottato la legge comunitaria regionale sono:

§         la regione Friuli Venezia Giulia che ha adottato annualmente la legge comunitaria regionale ad iniziare dal 2004 fino all’ultima relativa al 2007, legge regionale 21 luglio 2008, n. 7[39].

§      la regione Valle d’Aosta che ha approvato la prima legge comunitaria nel 2007 (L.R. 21 maggio 2007, n. 8), avente ad oggetto le stesse direttive cui dà attuazione la legge comunitaria del Friuli Venezia Giulia per il 2006[40].

§      la regione Marche che ha adottato la prima legge comunitaria regionale riferita al 2008, L.R. 16 dicembre 2008, n. 36[41].

 


Schede di lettura sugli articoli

 


Art. 1

 

(Delega al Governo per l’attuazione

di direttive comunitarie)

 

 


1. Il Governo è delegato ad adottare, entro la scadenza del termine di recepimento fissato dalle singole direttive, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B. Per le direttive elencate negli allegati A e B il cui termine di recepimento sia già scaduto ovvero scada nei tre mesi successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo è delegato ad adottare i decreti legislativi di attuazione entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Per le direttive elencate negli allegati A e B che non prevedono un termine di recepimento, il Governo è delegato ad adottare i decreti legislativi entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

2. I decreti legislativi sono adottati, nel rispetto dell’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione all’oggetto della direttiva.

3. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese nell’elenco di cui all’allegato B, nonché, qualora sia previsto il ricorso a sanzioni penali, quelli relativi all’attuazione delle direttive comprese nell’elenco di cui all’allegato A, sono trasmessi, dopo l’acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perché su di essi sia espresso il parere dei competenti organi parlamentari. Decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza del parere. Qualora il termine per l’espressione del parere parlamentare di cui al presente comma ovvero i diversi termini previsti dai commi 4 e 8 scadano nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini previsti ai commi 1 o 5 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di novanta giorni.

4. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive che comportino conseguenze finanziarie sono corredati della relazione tecnica di cui all’articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Su di essi è richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all’esigenza di garantire il rispetto dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi d’informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro venti giorni.

5. Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può adottare, con la procedura indicata nei commi 2, 3 e 4, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati ai sensi del citato comma 1, fatto salvo quanto previsto dal comma 6.

6. I decreti legislativi, relativi alle direttive di cui agli allegati A e B, adottati, ai sensi dell’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, si applicano alle condizioni e secondo le procedure di cui all’articolo 11, comma 8, della legge 4 febbraio 2005, n. 11.

7. Il Ministro per le politiche europee, nel caso in cui una o più deleghe di cui al comma 1 non risultino esercitate alla scadenza del termine previsto, trasmette alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica una relazione che dà conto dei motivi addotti a giustificazione del ritardo dai Ministri con competenza istituzionale prevalente per la materia. Il Ministro per le politiche europee ogni sei mesi informa altresì la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome nelle materie di loro competenza, secondo modalità di individuazione delle stesse da definire con accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

8. Il Governo, quando non intende conformarsi ai pareri parlamentari di cui al comma 3, relativi a sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B, ritrasmette con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni i testi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica. Decorsi venti giorni dalla data di ritrasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza di nuovo parere.

 


 

 

L’articolo 1 conferisce una delega al Governo per l’attuazione delle direttive comunitarie riportate in allegato alla legge comunitaria e stabilisce i termini e le modalità di emanazione dei decreti legislativi attuativi.

L’attuazione delle direttive comunitarie mediante delega legislativa, già contemplata dall’art. 3 della L. 86/1989[42] è ora espressamente prevista, in via generale, dalla L. 11/2005[43] il cui art. 9, nel fissare i contenuti della legge comunitaria annuale, prevede che l’adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello comunitario venga assicurato, oltre che con disposizioni modificative o abrogative di norme statali vigenti e con autorizzazione al Governo ad intervenire in via regolamentare, anche mediante conferimento al Governo di delega legislativa.

In particolare, il comma 1, nel fare richiamo ai due elenchi di direttive comprese negli allegati A e B, pone i relativi termini di attuazione mediante decreto legislativo con le stesse innovative modalità introdotte dalla legge comunitaria 2007.

Il termine generale per l’esercizio della delega, infatti, non è determinato mediante indicazione di una data fissa o di un periodo uniforme per tutte le direttive, ma viene fatto coincidere con il termine di recepimento previsto da ciascuna delle direttive medesime (mentre la legge comunitaria per il 2006, in linea con le precedenti leggi comunitarie, fissava un termine generale pari a dodici mesi dall’entrata in vigore della legge: cfr. art. 1, co. 1, della legge n. 13/2007).

Accanto al termine generale “flessibile”, dianzi illustrato, il comma 1 dispone anche, specificamente, in ordine:

§      alle direttive comprese negli allegati il cui termine di recepimento sia già scaduto ovvero scada nei tre mesi successivi all’entrata in vigore della legge comunitaria: in questo caso il termine della delega è di tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge;

§      alle direttive comprese negli allegati che non prevedono un termine di recepimento: in questo caso il termine della delega è di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge comunitaria.

Si ricorda, al riguardo, che il termine rappresenta uno degli elementi essenziali della delega che, a mente dell’articolo 76 Cost., deve tra l’altro essere conferita per un “tempo limitato”. La peculiarità della tecnica legislativa usata in questo caso dal Governo risiede nel fatto che il termine delle singole deleghe è determinato per relationem: non è, infatti, espressamente indicato nella legge di delega, ma va ricostruito caso per caso, ricorrendo a fonti esterne alla legge stessa.

La distinzione tra i due allegati risiede nel fatto che (comma 3) il procedimento per l’attuazione delle direttive incluse nell’allegato B prevede l’espressione del parere da parte dei competenti organi parlamentari; decorsi 40 giorni dalla data di trasmissione, i decreti possono comunque essere emanati anche in assenza del parere. Tale procedura – che riproduce quella già prevista nelle ultime leggi comunitarie – è estesa anche ai decreti di attuazione delle direttive di cui all’allegato A, qualora in essi sia previsto il ricorso a sanzioni penali.

È inoltre previsto che, qualora il termine fissato per l’espressione del parere parlamentare venga a spirare nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine per l’esercizio della delega o successivamente, il termine per la delega sia prorogato di 90 giorni. Si intende in tal modo permettere al Governo di usufruire in ogni caso di un adeguato periodo di tempo per l’eventuale recepimento nei decreti legislativi delle indicazioni emerse in sede parlamentare.

Tale ultima previsione normativa si applica anche ai decreti legislativi integrativi o correttivi previsti dal successivo comma 5, nonché alle ipotesi di eventuale “doppio parere” previste dai commi 4 e 8, di cui si dirà tra breve.

Il testo prevede che il parere parlamentare debba essere richiesto dopo aver già acquisito tutti gli altri pareri previsti dalla legge, in linea con la prassi affermatasi nelle scorse legislature, soprattutto a partire dal 1998, a seguito dei reiterati interventi dei Presidenti delle Camere nei confronti del Governo, volti ad ottenere che il testo trasmesso per il parere parlamentare avesse completato la fase procedimentale interna all’esecutivo.

Il comma 2 richiama la procedura prevista dall’art. 14 della L. 400/1988[44] per l’adozione dei decreti legislativi, i quali sono emanati dal Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e con gli altri ministri interessati in relazione all’oggetto della direttiva.

Il comma 4 reca una disposizione (già contenuta nelle leggi comunitarie a partire dal 2004), che prevede modalità procedurali specifiche per il recepimento delle direttive che comportino conseguenze finanziarie. I relativi schemi di decreto legislativo:

§      dovranno essere corredati della relazione tecnica prevista dalla L. 468/1978[45] (art. 11-ter, co. 2);

§      saranno oggetto del parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari.

Per quanto riguarda la prima condizione, va segnalato che l’obbligo di accompagnare con la relazione tecnica gli schemi di decreto legislativo comportanti conseguenze finanziarie è già contemplato in via generale dalla L. 468/1978.

Il comma prevede, altresì, che il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate al fine di garantire il rispetto dell’art. 81, quarto comma, Cost.[46], deve sottoporre i testi (corredati delle necessarie informazioni integrative) a un nuovo parere delle Commissioni competenti per i profili finanziari, che si esprimono entro 20 giorni. Viene così introdotto il cosiddetto “doppio parere”, limitatamente ai provvedimenti di recepimento delle direttive sopra indicate. Una misura analoga è prevista, come si vedrà, per gli schemi di decreto che prevedono sanzioni penali (comma 8).

Il comma 5 autorizza il Governo ad adottare con la medesima procedura di cui ai commi 2, 3 e 4, entro 24 mesi dall’entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi, disposizioni integrative e correttive dei decreti medesimi, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dal testo in commento.

Il comma 6 prevede che per i decreti legislativi emanati dal Governo al fine di dare attuazione alle direttive comunitarie comprese negli allegati, in materie di competenza legislativa regionale, valgano le condizioni e le procedure di cui all’art. 11, co. 8, della L. 11/2005. Tale ultima norma prevede – in attuazione del quinto comma dell’art. 117 della Costituzione – un intervento suppletivo anticipato e cedevole da parte dello Stato, in caso di inadempienza delle Regioni nell’attuazione delle direttive nelle materie di loro competenza.

Come illustrato in precedenza (cfr. il paragrafo I poteri statali sostitutivi), la disciplina dei poteri statali sostitutivi è contenuta – nell’ambito della L. 11/2005 – negli artt. 11, co. 8, relativo all’attuazione in via regolamentare, 13, co. 2, relativo agli adeguamenti tecnici e 16, co. 3, in materia di attuazione regionale.

La disciplina è sostanzialmente quella prevista dall’art. 11, co. 8, in base al quale spetta allo Stato, secondo modalità da stabilirsi con legge, un potere sostitutivo delle regioni e province autonome per i casi di loro inadempienza agli obblighi di attuazione degli atti normativi dell’Unione europea. La norma prevede un’articolata garanzia per le Regioni e Province autonome:

§       gli atti statali attuativi di direttive comunitarie, che intervengono su materie rimesse alla competenza legislativa – concorrente o residuale generale – delle regioni o delle province autonome, entrano in vigore solo alla data di scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa comunitaria, per le regioni e le province autonome che non abbiano ancora adottato la propria normativa di attuazione;

§       gli atti statali perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa regionale (o provinciale) di attuazione delle direttive comunitarie, adottata da ciascuna regione e provincia autonoma e devono recare l’esplicita indicazione della natura sostitutiva e cedevole del potere esercitato e delle disposizioni in essi contenute.

Analogamente, l’art. 13, co. 2, stabilisce che i provvedimenti in materia di adeguamenti tecnici possono essere adottati nelle materie di competenza legislativa regionale in caso di inerzia delle regioni e province autonome. In tale caso, i provvedimenti statali adottati si applicano:

§       per le regioni e le province autonome nelle quali non sia ancora in vigore la propria normativa di attuazione;

§       a decorrere dalla scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa comunitaria.

Essi perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione di ciascuna regione e provincia autonoma. I provvedimenti recano l’esplicita indicazione della natura sostitutiva del potere esercitato e del carattere cedevole delle disposizioni in essi contenute.

Infine, l’art. 16, co. 3, in riferimento all’attuazione regionale delle direttive comunitarie, chiarisce che le disposizioni legislative adottate dallo Stato per l’adempimento degli obblighi comunitari in materie di competenza regionale si applicano “alle condizioni e secondo la procedura di cui all’articolo 11, comma 8”. La disciplina applicabile in questi casi è quindi desumibile dalla norma citata, che viene richiamata esclusivamente per quanto riguarda le condizioni e la procedura di attuazione, ma non per le tipologie di atti statali sostitutivi che essa presuppone.

Il comma 7 prevede l’obbligo per il Ministro per le politiche europee di trasmettere:

§      una relazione a ciascuna delle Camere qualora una o più deleghe conferite dal comma 1 non risultino esercitate entro il termine previsto (termine che in base al testo in esame coincide – generalmente – con quello per il recepimento della singola direttiva);

§      un’informativa periodica (con cadenza semestrale) sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e province autonome nelle materie di loro competenza, secondo “modalità di individuazione” delle stesse da definire con accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni (una previsione di questo tenore è stata inserita, per la prima volta, nella legge comunitaria 2007).

Si ricorda che il quadro delle competenze regionali è definito a livello costituzionale. Per quanto in particolare concerne l’attuazione della normativa comunitaria, l’art. 117 Cost. stabilisce che le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite dalla legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.

Il comma 8 concerne i pareri parlamentari aventi ad oggetto le disposizioni penali introdotte negli schemi di decreti legislativi e prevede che, qualora il Governo non intenda conformarsi ai pareri, debba ritrasmettere alle Camere gli schemi con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni. Le Commissioni competenti esprimono il parere definitivo entro 20 giorni, decorsi i quali i decreti sono comunque emanati.

 


Art. 2

 

(Princìpi e criteri direttivi generali della delega legislativa)

 

 


1. Salvi gli specifici princìpi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni di cui ai capi II e III, ed in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare, i decreti legislativi di cui all’articolo 1 sono informati ai seguenti princìpi e criteri direttivi generali:

a) le amministrazioni direttamente interessate provvedono all’attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture amministrative, secondo il principio della massima semplificazione dei procedimenti e delle modalità di organizzazione e di esercizio delle funzioni e dei servizi;

b) ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, fatti salvi i procedimenti oggetto di semplificazione amministrativa ovvero le materie oggetto di delegificazione;

c) al di fuori dei casi previsti dalle norme penali vigenti, ove necessario per assicurare l’osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. Le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell’ammenda fino a 150.000 euro e dell’arresto fino a tre anni, sono previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi sono previste: la pena dell’ammenda alternativa all’arresto per le infrazioni che espongono a pericolo o danneggiano l’interesse protetto; la pena dell’arresto congiunta a quella dell’ammenda per le infrazioni che recano un danno di particolare gravità. Nelle predette ipotesi, in luogo dell’arresto e dell’ammenda, possono essere previste anche le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, e la relativa competenza del giudice di pace. La sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro è prevista per le infrazioni che ledano o espongano a pericolo interessi diversi da quelli indicati nei periodi precedenti. Nell’ambito dei limiti minimi e massimi previsti, le sanzioni indicate nella presente lettera sono determinate nella loro entità, tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell’interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l’infrazione può recare al colpevole ovvero alla persona o all’ente nel cui interesse egli agisce. Entro i limiti di pena indicati nella presente lettera sono previste sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi. Nelle materie di cui all’articolo 117, quarto comma, della Costituzione, le sanzioni amministrative sono determinate dalle regioni. Le somme derivanti dalle sanzioni di nuova istituzione, stabilite con i provvedimenti adottati in attuazione della presente legge, sono versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate, entro i limiti previsti dalla legislazione vigente, con decreti del Ministro dell’economia e delle finanze, alle amministrazioni competenti all’irrogazione delle stesse;

d) eventuali spese non contemplate da leggi vigenti e che non riguardano l’attività ordinaria delle amministrazioni statali o regionali possono essere previste nei decreti legislativi recanti le norme necessarie per dare attuazione alle direttive, nei soli limiti occorrenti per l’adempimento degli obblighi di attuazione delle direttive stesse; alla relativa copertura, nonché alla copertura delle minori entrate eventualmente derivanti dall’attuazione delle direttive, in quanto non sia possibile farvi fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a carico del fondo di rotazione di cui all’articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183;

e) all’attuazione di direttive che modificano precedenti direttive già attuate con legge o con decreto legislativo si procede, se la modificazione non comporta ampliamento della materia regolata, apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione della direttiva modificata;

f) nella predisposizione dei decreti legislativi si tiene conto delle eventuali modificazioni delle direttive comunitarie comunque intervenute fino al momento dell’esercizio della delega;

g) quando si verifichino sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse o comunque siano coinvolte le competenze di più amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano, attraverso le più opportune forme di coordinamento, rispettando i princìpi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione e le competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, le procedure per salvaguardare l’unitarietà dei processi decisionali, la trasparenza, la celerità, l’efficacia e l’economicità nell’azione amministrativa e la chiara individuazione dei soggetti responsabili;

h) quando non siano d’ostacolo i diversi termini di recepimento, sono attuate con un unico decreto legislativo le direttive che riguardano le stesse materie o che comunque comportano modifiche degli stessi atti normativi.

 


 

 

L’articolo 2, modificato nel corso dell’esame al Senato, detta i princìpi ed i criteri direttivi di carattere generale per l’esercizio delle deleghe ai fini dell’attuazione delle direttive comunitarie; si tratta di princìpi e criteri in gran parte conformi a quelli previsti dalle precedenti leggi comunitarie.

La disposizione, prima di elencare tali princìpi generali, richiama due ulteriori categorie di princìpi e criteri direttivi per l’esercizio delle deleghe:

§      si tratta, innanzitutto, dei princìpi e criteri contenuti nelle singole direttive comunitarie da attuare;

§      in secondo luogo, sono fatti salvi gli specifici criteri di delega previsti dal capo II e dal capo IV della legge comunitaria, contenenti disposizioni particolari di adempimento e criteri specifici di delega relativi ad alcune delle direttive da attuare, nonché disposizioni volte a dare attuazione a decisioni quadro adottate nell'ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.

Venendo ai criteri generali di delega, quello di cui alla lettera a) prevede che le amministrazioni interessate provvedano all’attuazione dei decreti legislativi avvalendosi delle loro strutture ordinarie, seguendo il principio della massima semplificazione procedimentale ed organizzativa: quest’ultimo costituisce un principio nuovo, rispetto alle precedenti leggi comunitarie, introdotto – come rileva la relazione illustrativa al disegno di legge – in coerenza con l’obiettivo della riduzione degli oneri amministrativi posto anche dalla Commissione europea.

La lettera b) dispone l’introduzione delle modifiche necessarie per un migliore coordinamento con le discipline vigenti nei singoli settori interessati dall’attuazione delle direttive comunitarie. Analogamente alle ultime cinque leggi comunitarie, la norma in esame fa salve “le materie oggetto di delegificazione ovvero i procedimenti oggetto di semplificazione amministrativa”.

Norme specifiche per l’introduzione nei decreti legislativi di recepimento delle direttive comunitarie di sanzioni penali e amministrative, per il caso di violazioni delle disposizioni contenute nei decreti legislativi stessi, sono previste nella lettera c). La scelta che il Governo è autorizzato ad operare, in sede di attuazione della delega, tra la configurazione delle violazioni come reati o come illeciti amministrativi, è ancorata ai seguenti princìpi e criteri direttivi[47]:

§      introduzione di nuove fattispecie al di fuori dei casi previsti dalle norme penali vigenti;

§      introduzione di nuove fattispecie di reati contravvenzionali, sanzionate – in via alternativa o congiunta – con la pena pecuniaria dell’ammenda fino a 150.000 euro e dell’arresto sino a 3 anni, nei casi in cui siano lesi o esposti a pericolo “interessi costituzionalmente protetti”. Quest’ultima formula è stata per la prima volta introdotta nella legge comunitaria per il 2002 (L. 14/2003). Le leggi comunitarie precedenti facevano, invece, riferimento ad “interessi generali dell’ordinamento interno, compreso l’ecosistema”. In particolare, le pene citate dovranno essere previste come alternative per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l’interesse protetto; viceversa, si applicherà la pena congiunta dell’ammenda e dell’arresto per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità[48];

§      irrogabilità, nelle ipotesi testé dette, delle sanzioni alternative di cui agli artt. 53 ss. del d.lgs. 274/2000[49], applicandosi la relativa competenza del giudice di pace; tali sanzioni sono quelle consistenti nell’obbligo di permanenza domiciliare (il sabato e la domenica), nel divieto di accesso a determinati luoghi e nello svolgimento di lavori di pubblica utilità (solo su richiesta del contravventore);

§      introduzione di nuove fattispecie di illeciti amministrativi puniti con la sanzione pecuniaria di importo non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro, per le violazioni che ledano o espongano a pericolo beni giuridici diversi da quelli sopra indicati;

§      nell’ambito del minimo e del massimo previsti, determinazione della pena edittale in ragione delle diverse potenzialità lesive dell’interesse protetto che le infrazioni presentano in astratto, delle specifiche qualità personali del colpevole – con particolare riferimento a quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza – e del vantaggio patrimoniale che l’infrazione può recare al colpevole (o all’ente o alla persona nel cui interesse agisce);

§      entro i limiti di pena sopra indicati, previsione di sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate da leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività (la previsione dei limiti rende pertanto astrattamente possibile la differenziazione punitiva fra fattispecie omogenee e di pari offensività);

§      riserva di determinazione regionale delle sanzioni amministrative, nelle materie di cui all’articolo 117, quarto comma, della Costituzione, ossia nelle materie rimesse alla potestà legislativa “residuale” delle regioni (si tratta di un principio innovativo rispetto a quanto previsto dalla legge comunitaria 2007);

§      riassegnazione delle somme derivanti dalle sanzioni di nuova istituzione alle amministrazioni competenti all’irrogazione delle stesse (entro i limiti previsti dalla legislazione vigente, previo versamento all’entrata del bilancio dello Stato e tramite decreti del Ministro dell’economia e delle finanze).

Il principio di delega di cui alla lettera d) fa riferimento alla copertura finanziaria delle norme delegate. Al riguardo, si stabilisce che le spese derivanti dall’attuazione delle direttive, ove non contemplate dalle leggi vigenti e non riguardanti l’attività ordinaria delle amministrazioni interessate, possono essere previste nei decreti legislativi recanti le norme necessarie per dare attuazione alle direttive nei soli limiti occorrenti per l’adempimento degli obblighi di attuazione delle direttive stesse.

Per la relativa copertura (anche con riferimento alle eventuali minori entrate derivanti dall’attuazione) si farà ricorso alle disponibilità sussistenti sul fondo di rotazione di cui all’art. 5 della L. 183/1987 (vedi infra), ove non sia possibile farvi fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni. Analoghe disposizioni sono contenute nelle leggi comunitarie per il 2006 e per il 2007.

La citata legge n. 183/1987[50] istituisce, tra gli organi del coordinamento delle politiche comunitarie, il Fondo di rotazione. Ai sensi dell’art. 5 della legge, confluiscono nel fondo le somme erogate dalle istituzioni comunitarie, le somme individuate annualmente in sede di legge finanziaria e altre somme determinate con la legge di bilancio (nonché altre somme specifiche). Le risorse presenti sul fondo vengono erogate, su richiesta e secondo limiti di quote determinate dal CIPE, alle amministrazioni pubbliche e ad altri operatori pubblici e privati per l’attuazione dei programmi di politica comunitaria.

Le procedure finanziarie riguardanti le erogazioni concesse dal Fondo di rotazione delle politiche comunitarie sono state modificate dall’art. 65, co. 2, della legge finanziaria 2001 (legge 23 dicembre 2000, n. 388). Richiamando le nuove procedure finanziarie previste dai regolamenti comunitari per il ciclo di interventi dei Fondi strutturali 2000-2006, la norma ha autorizzato il Fondo di rotazione ad anticipare alle amministrazioni centrali l’acconto dei contributi comunitari previsto dall’art. 32, par. 2, del regolamento (CE) n. 1260/1999, direttamente in base ai programmi operativi previsti dai regolamenti comunitari, anziché, come in precedenza, in base ai progetti in cui si articolano i programmi di intervento. La norma intende facilitare l’avvio da parte delle amministrazioni centrali degli interventi, ovviando alla mancanza di disponibilità di cassa in attesa del ricevimento dell’acconto da parte comunitaria, fermo restando il successivo reintegro al Fondo stesso degli accrediti provenienti dall’Unione europea. I ritardi nell’avvio dell’attuazione degli interventi comportano, infatti, secondo quanto espressamente previsto dal regolamento, il disimpegno automatico delle risorse comunitarie.

Criteri legati all’armonizzazione delle deleghe legislative sono contenuti nelle lettere e) ed f). In particolare, si dispone che l’attuazione di direttive che modificano precedenti direttive già attuate avvenga per mezzo di modifiche apportate ai testi legislativi di attuazione di tali direttive (ove ciò non determini ampliamento della materia regolata), e che nella stesura dei decreti legislativi di attuazione si tenga conto delle eventuali modifiche delle direttive intervenute fino al momento del concreto esercizio della delega.

Criteri connessi all’univocità dei processi decisionali, quando i decreti legislativi investano trasversalmente diverse competenze ed amministrazioni, sono contenuti nella lettera g), che si pone inoltre l’obiettivo di garantire, attraverso specifiche forme di coordinamento, anche la trasparenza nell’azione amministrativa e la chiarezza nell’attribuzione di responsabilità. Sono espressamente richiamati il rispetto delle competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, nonché l’osservanza dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione.

Si ricorda che i primi tre princìpi qui menzionati (sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza), già posti dalla L. 59/1997[51] a fondamento della ripartizione delle funzioni e dei compiti amministrativi tra i vari livelli di governo, hanno assunto rilievo costituzionale in virtù della L. Cost. 3/2001, di riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione. Quest’ultima, nel novellare l’art. 118 Cost., ha infatti posto i princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza alla base della ripartizione delle funzioni amministrative tra Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato. Il principio di leale collaborazione, pur non espressamente menzionato dall’art. 118 Cost., è tuttavia riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale quale principio essenziale informatore dei rapporti tra Stato ed autonomie territoriali (v. per tutte la sent. C. Cost. 303/2003).

La lettera h) fissa il principio secondo cui deve darsi attuazione con un unico decreto legislativo alle direttive che:

§      riguardino le stesse materie;

§      pur riguardando materie diverse, comportino modifiche degli stessi atti normativi.

Tale principio di “attuazione unitaria” è destinato a operare qualora non siano “di ostacolo” i diversi termini di recepimento delle direttive.


Art. 3

 

(Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di disposizioni comunitarie )

 

 


1. Al fine di assicurare la piena integrazione delle norme comunitarie nell’ordinamento nazionale, il Governo, fatte salve le norme penali vigenti, è delegato ad adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di obblighi contenuti in provvedimenti attuativi di direttive comunitarie, di natura regolamentare o amministrativa, emanati ai sensi delle leggi comunitarie vigenti, o in regolamenti comunitari pubblicati alla data di entrata in vigore della presente legge, per i quali non sono già previste sanzioni penali o amministrative.

2. La delega di cui al comma 1 è esercitata con decreti legislativi adottati ai sensi dell’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia. I decreti legislativi si informano ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c).

3. Gli schemi di decreto legislativo di cui al presente articolo sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per l’espressione del parere da parte dei competenti organi parlamentari con le modalità e nei termini previsti dai commi 3 e 8 dell’articolo 1.


 

 

L’articolo 3, modificato nel corso dell’esame al Senato, prevede, in analogia con quanto disposto dalle ultime leggi comunitarie, l’introduzione di un trattamento sanzionatorio per le violazioni di obblighi discendenti da direttive attuate, ai sensi delle leggi comunitarie vigenti, in via regolamentare o amministrativa (ossia per via non legislativa) e per le violazioni di regolamenti comunitari già pubblicati alla data di entrata in vigore della legge comunitaria.

La necessità della disposizione risiede nel fatto che, sia nel caso dell’attuazione di direttive in via regolamentare o amministrativa, sia nel caso di regolamenti comunitari (che, come è noto, non necessitano di leggi di recepimento, essendo direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale), è necessaria una fonte normativa di rango primario atta ad introdurre norme sanzionatorie di natura penale nell’ordinamento nazionale.

La finalità dell’articolo è, pertanto, quella di consentire al Governo di introdurre sanzioni volte a punire le trasgressioni commesse in violazione dei precetti contenuti nelle disposizioni normative comunitarie, garantendo il rispetto degli atti regolamentari o amministrativi con cui tali disposizioni comunitarie vengono trasposte nell’ordinamento interno.

A tal fine, il comma 1 contiene una delega al Governo per l’adozione, entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge e fatte salve le norme penali vigenti, di disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per la violazione di obblighi contenuti in provvedimenti attuativi di direttive comunitarie, di natura regolamentare o amministrativa, emanati ai sensi delle leggi comunitarie vigenti (non solo, pertanto, ai sensi della legge comunitaria in commento) nonché di regolamenti comunitari pubblicati alla data di entrata in vigore della legge comunitaria e per i quali non siano già previste sanzioni penali o amministrative.

La formulazione originaria dell’articolo faceva riferimento da una parte, alle direttive “attuate”, anziché ai “provvedimenti attuativi di direttive” e, dall'altra, ai regolamenti “vigenti” anziché pubblicati; la modifica appare finalizzata ad evitare ritardi nell'adozione delle discipline sanzionatorie, possibili soprattutto quando intercorre un lungo lasso di tempo tra la pubblicazione del regolamento e la sua entrata in vigore.

Il comma 2 stabilisce che i decreti legislativi siano adottati, ai sensi dell'art. 14 della L. 400/1988[52], su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia.

La tipologia e la scelta delle sanzioni deve essere effettuata secondo i princìpi e i criteri direttivi di cui all’articolo 2, co. 1, lett. c).

Il comma 3 prevede l’acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari sugli schemi di decreto legislativo. I pareri sono espressi con le modalità previste dai co. 3 e 8 dell’articolo 1.

 


Art. 4

 

(Oneri relativi a prestazioni e controlli )

 

 


1. In relazione agli oneri per prestazioni e controlli di cui all’articolo 9, comma 2, della legge 4 febbraio 2005, n. 11, le entrate derivanti dalle tariffe determinate ai sensi del predetto articolo, qualora riferite all’attuazione delle direttive di cui agli allegati A e B, nonché di quelle da recepire con lo strumento regolamentare, sono attribuite, nei limiti previsti dalla legislazione vigente, alle amministrazioni che effettuano le prestazioni e i controlli, mediante riassegnazione ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1999, n. 469.


 

 

L’articolo 4 detta disposizioni circa gli oneri derivanti dalle prestazioni e dai controlli che gli uffici pubblici sono chiamati a sostenere in applicazione della normativa comunitaria ed appare volto ad evitare – in aggiunta a quanto già prevede l’art. 9 della legge n. 11 del 2005 che lo stesso articolo richiama – che dall’effettuazione delle prestazioni e dei controlli medesimi possano derivare oneri per le amministrazioni interessate.

L’articolo in commento è stato modificato durante l’esame al Senato, al fine di eliminare possibili problematiche applicative riconducibili al testo iniziale. Il testo originario, infatti, si limitava a richiamare l’articolo 9, comma 2, della legge n. 11 del 2005, che pone a carico dei soggetti interessati i predetti oneri per prestazioni e controlli, secondo tariffe determinate sulla base del costo effettivo del servizio, purché ciò non risulti in contrasto con la disciplina comunitaria[53]. In aggiunta a tale disposizione è stata introdotta un’ulteriore norma relativa alle entrate derivanti dalle tariffe determinate ai sensi del citato articolo 9, qualora riferite all’attuazione delle direttive di cui agli allegati A e B, nonché di quelle da recepire mediante regolamento.

Tali entrate sono attribuite, nei limiti della legislazione vigente, alle amministrazioni che effettuano le prestazioni e i controlli, mediante riassegnazione ai sensi del regolamento di cui al D.P.R. n. 469 del 1999[54], che disciplina il procedimento per la riassegnazione alle unità previsionali di base del bilancio statale, con particolare riferimento ai finanziamenti dell’Unione europea.

Si segnala che la modifica approvata dal Senato integra l’articolo con una disposizione che risulta identica a quelle approvate nelle ultime leggi comunitarie.

 


Art. 5

 

(Delega al Governo per il riordino normativo nelle materie interessate dalle direttive comunitarie)

 

 


1. Il Governo è delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, con le modalità e secondo i princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, testi unici o codici di settore delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite dalla presente legge per il recepimento di direttive comunitarie, al fine di coordinare le medesime con le altre norme legislative vigenti nelle stesse materie.

2. I testi unici e i codici di settore di cui al comma 1 riguardano materie o settori omogenei. Le disposizioni contenute nei testi unici o nei codici di settore non possono essere abrogate, derogate, sospese o comunque modificate, se non in modo esplicito mediante l’indicazione puntuale delle disposizioni da abrogare, derogare, sospendere o modificare.

 


 

 

L’articolo 5 conferisce, al comma 1, una delega al Governo – da esercitare entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore della legge – per l’adozione di testi unici o codici di settore delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite dal disegno di legge in esame per il recepimento di direttive comunitarie, con lo scopo di coordinare tali disposizioni con quelle vigenti nelle stesse materie.

I decreti legislativi di riordino devono osservare i principi e criteri direttivi posti dall’art. 20 della L. 59/1997[55] e successive modificazioni, richiamato dal comma in commento.

Si ricorda che l’art. 20 richiamato reca una pluralità di princìpi e criteri direttivi volti a conformare l’opera del legislatore delegato alla razionalizzazione normativa, in aggiunta ai princìpi e criteri previsti dalle singole leggi annuali di semplificazione.

Il comma precisa che l’esercizio della delega volta al riordino normativo non deve comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

La previsione di riordino mediante codici di settore – oltre che tramite testi unici – è stata inserita per la prima volta nella legge comunitaria 2007. Tale scelta, innovativa rispetto ai contenuti delle precedenti leggi comunitarie, appare volta a prefigurare un “assestamento normativo”, dando luogo nelle singole materie ad un complesso di norme stabili e armonizzate, in virtù della maggiore portata innovativa del codice di settore rispetto a quella del testo unico.

Si può ricordare che, nell’evoluzione delle politiche di semplificazione, in materia di testi unici era intervenuta la disciplina generale di cui all’art. 7 della L. 50/1999[56], che prevedeva il riordino della normativa attraverso lo strumento dei testi unici cosiddetti “misti”, ossia recanti sia disposizioni di rango legislativo, che regolamentari.

È in seguito intervenuta la legge di semplificazione per il 2001 (legge n. 229/2003)[57], che ha innovato profondamente le metodologie di razionalizzazione normativa, modificando il contenuto della legge annuale di semplificazione (così come disciplinato dall’art. 20 della L. 59/1997), privilegiando il ricorso alla delegazione legislativa ed alla delegificazione e sancendo l’abbandono dei testi unici misti, con l’abrogazione del citato art. 7 della L. 50/1999, che li aveva introdotti.

La differenza fra testo unico e codice – fermo restando che entrambe le tipologie sono volte alla “riorganizzazione” (termine che ricomprende sia il “riordino” che il “riassetto”) delle fonti di regolazione e a una drastica riduzione del loro numero, in modo da permettere ai cittadini di avere un quadro ben preciso e unitario delle regole che disciplinano un settore della vita sociale – è stata individuata nel fatto che il secondo strumento di semplificazione autorizza il legislatore delegato non soltanto ad apportare modifiche di “coordinamento formale” alla disciplina di rango legislativo, ma anche consistenti innovazioni del merito della disciplina codificata. In altri termini, il codice, rispetto al testo unico, è connotato da una maggiore capacità innovativa dell’ordinamento (si veda, in tal senso, il parere reso dall’Adunanza generale del Consiglio di Stato in data 24 ottobre 2004, sullo schema di Codice dei diritti di proprietà industriale).

Il comma 2 stabilisce che i testi unici e i codici di settore debbano riguardare materie o settori omogenei. Inoltre, esso precisa che le disposizioni contenute nei predetti provvedimenti di riordino possono essere oggetto di interventi di abrogazione, deroga, sospensione o modificazione solo in via esplicita e con indicazione puntuale della disposizione su cui si interviene.

Il comma ripropone una norma analoga a quelle recate da diverse tra le precedenti leggi comunitarie, a partire dal 1994[58], in tema di riordino normativo nei settori interessati da direttive comunitarie. L’emanazione del testo unico in materia di intermediazione finanziaria costituisce il primo esempio di riordino normativo effettuato sulla base delle prescrizioni della legge comunitaria annuale (d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, adottato ai sensi degli artt. 8 e 21 della legge comunitaria per il 1994[59]).

 


Art. 6

 

(Modifiche alla legge 4 febbraio 2005, n. 11)

 

 

1. Alla legge 4 febbraio 2005, n. 11, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 8, comma 5, l’alinea è sostituito dal seguente: «Nell’ambito della relazione al disegno di legge di cui al comma 4 il Governo:»;

b) all’articolo 11-bis, comma 1, le parole: «per le quali la Commissione europea si è riservata di adottare disposizioni di attuazione» sono sostituite dalle seguenti: «che conferiscono alla Commissione europea il potere di adottare disposizioni di attuazione».

 

 

L’articolo in commento, introdotto nel corso dell’esame al Senato, modifica alcune disposizioni della legge n. 11/2005. In particolare:

a)    al comma 1 viene modificato l’alinea del comma 5 dell’articolo 8, stabilendo che tutte le informazioni ivi contenute siano inserite nella relazione al disegno di legge comunitaria annuale presentata dal Governo, anziché nella apposita Nota aggiuntiva, aggiornata al 31 dicembre, come stabilito dall’art. 6 della legge n. 34/2008 (legge comunitaria 2007). In tal modo viene ripristinata la formulazione originaria della norma.

Trattasi, in particolare, delle seguenti indicazioni:

-          i dati sullo stato di conformità dell'ordinamento interno al diritto comunitario e sullo stato delle eventuali procedure di infrazione dando conto, in particolare, della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee relativa alle eventuali inadempienze e violazioni degli obblighi comunitari da parte della Repubblica italiana;

-          l'elenco delle direttive attuate o da attuare in via amministrativa;

-          l’indicazione dell’eventuale omissione dell’inserimento di direttive il cui termine di recepimento sia scaduto o scada nel periodo di riferimento, in relazione ai tempi previsti per l’esercizio della delega legislativa.

-          l’elenco delle direttive attuate con regolamento ai sensi dell’art. 11 della legge n. 11/2005, nonché gli estremi degli eventuali regolamenti d’attuazione già adottati.

-         l’elenco degli atti normativi regionali e delle province autonome  attuativi delle direttive comunitarie, anche con riferimento a leggi annuali di recepimento eventualmente approvate dalle regioni e dalle province autonome.

b)    al comma 2: si modifica il comma 1 dell’art. 11-bis della legge n. 11 del 2005[60], che reca, in via generale, un’autorizzazione permanenteal Governo all’attuazione in via regolamentare ex art. 17, comma 1, della legge n. 400/1988[61] delle disposizioni adottate dalla Commissione europea in attuazione di direttive recepite con decreto legislativo.

La modifica in esame è volta a chiarire che l'articolo 11-bis ha ad oggetto il recepimento delle disposizioni di attuazione adottate dalla Commissione sulla base del potere conferitole espressamente dalle direttive comunitarie.

 


Art. 7

 

(Delega al Governo per il coordinamento delle disposizioni attuative della direttiva 2004/41/CE con la normativa vigente in materia di alimenti e mangimi e con i regolamenti (CE)
n. 178/2002, 852/2004, 853/2004, 854/2004, 882/2004 e 183/2005)

 

 


1. Il Governo è delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, con le modalità e secondo i princìpi e i criteri di cui all’articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro il termine di due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi al fine di coordinare le disposizioni attuative della direttiva 2004/41/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, con la vigente normativa in materia di alimenti e mangimi, nonché con i regolamenti (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, nn. 852/2004, 853/2004, 854/2004 e 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, e n. 183/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 gennaio 2005, e successive modificazioni.

2. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati, su proposta del Ministro per le politiche europee, del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali e del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro della giustizia, nel rispetto anche dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) riordino e coordinamento delle disposizioni vigenti, nel rispetto delle normative comunitarie e delle convenzioni internazionali in materia di armonizzazione della disciplina della produzione e della commercializzazione dei prodotti alimentari e dei mangimi, anche mediante l’abrogazione totale o parziale delle vigenti disposizioni in materia;

b) rispetto della tutela degli interessi relativi alla salute dell’uomo, degli animali e dei vegetali, dell’ambiente, della protezione ed informazione del consumatore e della qualità dei prodotti, garantendo la libera circolazione, allo scopo di assicurare competitività alle imprese;

c) abrogazione o modificazione delle norme rese inapplicabili o superate dallo sviluppo tecnologico e non più adeguate all’evoluzione produttiva e commerciale delle imprese;

d) riformulazione, razionalizzazione e graduazione dell’apparato sanzionatorio, in conformità ai criteri indicati all’articolo 2, comma 1, lettera c), con previsione di una sanzione amministrativa il cui importo, non inferiore a 500 euro e non superiore a 500.000 euro, deve tenere conto anche della dimensione dell’impresa e del relativo fatturato, al fine di rendere più incisive le sanzioni amministrative come deterrente effettivo;

e) conferma del principio della prescrizione «a priori» preventiva rispetto all’accertamento ed alla contestazione o notificazione delle violazioni nel relativo procedimento sanzionatorio;

f) reintroduzione e definizione delle modalità di semplificazione delle procedure di autocontrollo applicate nelle micro e piccole imprese, in conformità ai criteri di flessibilità riconosciuti dal regolamento (CE) n. 852/2004;

g) semplificazione delle procedure esistenti in materia di registrazione e riconoscimento delle imprese del settore alimentare e mangimistico, in conformità alle disposizioni comunitarie;

h) circolazione delle informazioni tra le Amministrazioni;

i) razionalizzazione e coordinamento delle attività degli organi di vigilanza e controllo nell’attuazione del Piano integrato di controllo nazionale pluriennale di cui all’articolo 41 del regolamento (CE) n. 882/2004, individuando, per detto Piano, il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali quale punto di contatto con gli organi comunitari;

l) individuazione, da demandare a decreti di natura non regolamentare, di requisiti e prescrizioni igienico-sanitarie degli alimenti, delle sostanze e dei materiali destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari, delle sostanze non alimentari impiegate negli e sugli stessi alimenti, compresi i prodotti fitosanitari, nonché determinazione delle modalità tecniche per l’effettuazione dei relativi controlli sanitari ufficiali;

m) individuazione di adeguate modalità e procedure di collaborazione tra gli uffici doganali e gli uffici periferici delle altre amministrazioni coinvolte nel controllo degli alimenti e dei mangimi;

n) definizione delle modalità di coordinamento e delle procedure di collaborazione ed interscambio delle informazioni tra le amministrazioni coinvolte nel controllo degli alimenti e dei mangimi e le autorità di controllo in materia di condizionalità della Politica agricola comune (PAC);

o) programmazione di una capillare e puntuale azione formativa e informativa rivolta a tutti i soggetti coinvolti e interessati dalle norme in questione.

3. Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui ai commi 1 e 2 e con la procedura di cui ai medesimi commi, il Governo può emanare disposizioni integrative e correttive dei decreti medesimi.

4. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

5. Le Amministrazioni statali interessate provvedono agli adempimenti previsti dal presente articolo con le risorse umane e strumentali disponibili a legislazione vigente.

 


 

 

L’articolo 7, modificato nel corso dell’esame presso il Senato, reca una delega al Governo ai fini del riordino della normativa in materia di igiene degli alimenti e dei mangimi, da esercitare entro due anni dall’entrata in vigore della legge, mediante l’emanazione di uno o più decreti legislativi, acquisito il parere della Conferenza Stato-regioni e secondo i criteri e le modalità stabiliti dall’articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59 per gli interventi adottati sulla base delle leggi annuali di semplificazione e di riassetto normativo. Il riordino oggetto della delega è finalizzato a coordinare la disciplina interna non costituente attuazione di normativa comunitaria e non abrogata successivamente in quanto non contrastante con il diritto comunitario – con quella che ha recepito la direttiva 2004/41/CE[62] nonché con i regolamenti comunitari[63] in materia, che sono direttamente applicabili (comma 1).

Al comma 2 sono poi stabiliti alcuni principi e criteri direttivi specifici per l’esercizio della delega, tra i quali si ricordano: l’adeguamento della normativa vigente in relazione allo sviluppo tecnologico e all’evoluzione delle imprese (lettera c)); la revisione dell’apparato sanzionatorio secondo alcuni limiti e principi espressamente stabiliti (lettera d)); semplificazione delle procedure di autocontrollo applicate alle micro e piccole imprese (lettera f)); la semplificazione delle procedure in materia di registrazione e riconoscimento delle imprese del settore alimentare e mangimistico (lettera g)); il coordinamento e la collaborazione tra le pubbliche amministrazioni aventi competenza in materia (cfr. le lett. h), i), m) e n)); l’individuazione, mediante decreti di natura non regolamentare, di alcune prescrizioni tecniche igienico sanitarie (lett. l)); la programmazione di un’azione formativa e informativa, rivolta a tutti i soggetti interessati dalle norme in esame (lett. o )).

Il comma 3 prevede che entro 24 mesi dall’entrata in vigore dei decreti legislativi possano essere emanate, secondo i medesimi principi e la medesima procedura, disposizioni integrative e correttive. Viene poi sancita la clausola dell’invarianza degli oneri finanziari (comma 4) e stabilito che le amministrazioni statali interessate provvedano agli adempimenti previsti dalla nuova disciplina con le risorse umane e strumentali disponibili a legislazione vigente (comma 5).

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 3 marzo 2008 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento sull’immissione sul mercato e sull’uso dei mangimi (COM(2008)124).

La proposta è finalizzata a consolidare, rivedere e aggiornare le direttive relative alla circolazione e all'etichettatura delle materie prime per mangimi e mangimi composti, garantendo al contempo il livello elevato di sicurezza dei mangimi e degli alimenti raggiunto nella Comunità. In particolare, la proposta intende garantire che i requisiti per ottenere un'autorizzazione per l'immissione sul mercato del prodotto siano proporzionali al rischio.

La proposta, che segue la procedura di codecisione, è stata approvata con emendamenti dal Parlamento europeo nella seduta del 5 febbraio 2009.

Il 30 gennaio 2008 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento sulla fornitura di informazioni alimentari ai consumatori, che aggiorna la legislazione comunitaria in materia di etichettatura degli alimenti (COM(2008)40).

Il documento stabilisce requisiti generali sul modo in cui le informazioni nutrizionali vanno presentate sulle etichette degli alimenti, anche se gli Stati membri avranno la facoltà di applicare misure nazionali addizionali sempre che queste non vanifichino le regole UE. La proposta estende gli attuali requisiti in materia di etichettatura degli allergeni, in modo da coprire anche gli alimenti non preconfezionati, compresi gli alimenti venduti nei ristoranti e in altri luoghi di ristorazione.

La proposta, che figura tra le priorità del programma della Presidenza ceca dell’UE, verrà esaminate secondo la procedura di codecisione. La prima lettura del Parlamento europeo è prevista per il 6 maggio 2009.

Il 14 gennaio 2008 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento sui nuovi prodotti alimentari (COM(2007)872).

La proposta mira a garantire la sicurezza degli alimenti, a proteggere la salute umana e a garantire il funzionamento del mercato interno degli alimenti. A tal fine, essa intende snellire la procedura di autorizzazione, sviluppare un sistema meglio adattato di valutazione della sicurezza degli alimenti tradizionali provenienti dai Paesi terzi, considerati come nuovi prodotti alimentari ai sensi del regolamento attuale, e chiarire la definizione di nuovi prodotti alimentari, includendo le nuove tecnologie con un impatto sugli alimenti, nonché il campo d’applicazione del regolamento sui nuovi prodotti alimentari.

La proposta, che segue la procedura di codecisione, sarà esaminata in prima lettura del Parlamento europeo il 25 marzo 2009.

 


Art. 8

(Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2007/47/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 settembre 2007, che modifica la direttiva 90/385/CEE del Consiglio per il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai dispositivi medici, la direttiva 93/42/CEE del Consiglio concernente i dispositivi medici e la direttiva 98/8/CE relativa all’immissione sul mercato dei biocidi)

 


1. Nella predisposizione del decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2007/47/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 settembre 2007, che modifica la direttiva 90/385/CEE del Consiglio per il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai dispositivi medici impiantabili attivi, la direttiva 93/42/CEE del Consiglio concernente i dispositivi medici e la direttiva 98/8/CE relativa all’immissione sul mercato dei biocidi, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, anche i princìpi e criteri direttivi di cui al comma 2.

2. Il decreto legislativo di cui al comma 1 provvede, altresì, alla riformulazione delle disposizioni contenute nei decreti legislativi 14 dicembre 1992, n. 507, e 24 febbraio 1997, n. 46, al fine di assicurare, nel rispetto della disciplina comunitaria, una maggiore coerenza fra le due diverse discipline e di eliminare incongruenze e contraddizioni presenti nelle norme in vigore assicurando:

a) una più adeguata disciplina della vigilanza sugli incidenti, mediante la ridefinizione della sfera dei soggetti destinatari delle comunicazioni degli incidenti e degli eventi da comunicare e una più organizzata gestione dei dati, da parte del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali;

b) la revisione delle norme sulle indagini cliniche, differenziando le ipotesi relative alle indagini riguardanti tipi di dispositivi mai utilizzati sull’uomo da quelle concernenti tipi di dispositivi già utilizzati, specificando le condizioni in presenza delle quali le indagini possono essere effettuate presso istituti privati e affidando ai comitati etici previsti per le sperimentazioni cliniche dei medicinali anche le valutazioni in tema di sperimentazioni con dispositivi medici;

c) la revisione delle norme sull’uso compassionevole dei dispositivi medici al fine di precisarne i limiti e le modalità per l’applicabilità, prevedendo, altresì, una specifica modalità per il trattamento di singoli pazienti in casi eccezionali di necessità e di emergenza, nei limiti posti dalle disposizioni di cui ai decreti legislativi n. 507 del 1992 e n. 46 del 1997;

d) la revisione delle norme sulla pubblicità dei dispositivi medici, individuando, nell’ambito dei dispositivi per i quali è consentita la pubblicità sanitaria, le fattispecie che non necessitano di autorizzazione ministeriale;

e) la previsione delle misure necessarie a garantire, con continuità nel tempo, efficaci collegamenti tra le banche dati nazionali e la banca dati europea Eudamed;

f) la riformulazione delle norme a contenuto sanzionatorio prevedendo anche la necessaria armonizzazione con le sanzioni previste dal decreto legislativo 8 settembre 2000, n. 332.

3. Il decreto legislativo di cui al comma 1 provvede, altresì, alla riformulazione delle previsioni riguardanti i dispositivi medici per risonanza magnetica nucleare contenute nel regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 agosto 1994, n. 542, assicurando:

a) la coerenza con le disposizioni di carattere generale riguardanti tutti i dispositivi medici, previsti dall’adozione della direttiva 2007/47/CE;

b) l’adeguamento allo sviluppo tecnologico ed alla evoluzione delle conoscenze scientifiche, con particolare riferimento alla sicurezza d’uso ed alle indicazioni cliniche dei dispositivi medici in relazione all’intensità del campo magnetico statico espresso in tesla, modificando in tal senso il sistema autorizzativo per renderlo più coerente con le competenze regionali e delle province autonome in materia di programmazione sanitaria previste dalle leggi vigenti, affidando conseguentemente alle regioni e province autonome l’autorizzazione all’installazione delle apparecchiature per risonanza, con esclusione delle sole apparecchiature a risonanza magnetica ritenute di carattere sperimentale.

4. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le Amministrazioni pubbliche competenti provvedono con le risorse umane, strumentali e finanziarie previste a legislazione vigente.

 


 

 

L’articolo 8, modificato nel corso dell’esame presso il Senato,reca una delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2007/47/CE[64], che modifica precedenti direttive comunitarie[65] sui dispositivi medici, e per il riordino delle norme interne in materia. Per quanto attiene alla normativa interna oggetto di riordino, vengono in particolare richiamati il decreto legislativo 14 dicembre 1992, n. 507[66] e il decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 46[67].

Ai fini dell’attuazione della delega, in aggiunta ai principi e criteri generali di cui all’articolo 2 del disegno di legge, vengono richiamati anche alcuni specifici principi stabiliti dal comma 2 dell’articolo in esame.

Oltre all’esigenza di assicurare una maggiore coerenza tra le norme interne, i principi direttivi specifici della delega fanno riferimento, sinteticamente: alla definizione di una più adeguata disciplina della vigilanza sugli incidenti (lett. a)); alla revisione delle norme sulle indagini cliniche (lett. b)); all’uso compassionevole inteso come impiego terapeutico sperimentale in relazione a particolari esigenze dei dispositivi medici (lett. c)) e alla pubblicità di questi ultimi, anche individuando, nell’ambito dei dispositivi per i quali è ammessa la pubblicità sanitaria, le fattispecie che non necessitano di autorizzazione ministeriale (lett. d)); alla previsione di strumenti per garantire collegamenti efficaci tra le banche dati nazionali e la banca dati europea Eudamed[68] (lett. e)); alla riformulazione delle norme a carattere sanzionatorio, anche armonizzandole con le previsioni del decreto legislativo 8 settembre 2000, n. 332[69] (lett. f)).

E’ demandata al decreto legislativo di cui all’articolo in esame anche la riformulazione delle previsioni relative ai dispositivi medici per risonanza magnetica nucleare, di cui al D.P.R. 8 agosto 1994, n. 542[70], in modo da assicurarne la coerenza con le disposizioni riguardanti tutti i dispositivi medici e l’adeguamento allo sviluppo tecnologico e all’evoluzione delle conoscenze scientifiche.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 5 dicembre 2008 la Commissione ha pubblicato una breve sintesi dei risultati della consultazione pubblica on line condotta tra l’8 maggio e il 2 luglio 2008 sulla eventuale riformulazione della direttiva 2007/47/CE.

In linea generale la Commissione segnala che - secondo la maggior parte dei soggetti interessati che hanno risposto al questionario - vi sono spazi di miglioramento e di rafforzamento del quadro regolamentare in materia (con particolare riguardo alla blanda vigilanza degli organi notificatori, al non uniforme livello di competenze all’interno di tali organi, all’assenza di regolazione per alcuni prodotti). Inoltre, benché siano considerati utili ulteriori elementi di centralizzazione, la maggior parte dei soggetti ha rigettato la proposta di estendere le competenze dell’Agenzia europea per i medicinali anche ai dispositivi medici. Con riguardo ai tempi dell’intervento, la maggioranza dei soggetti ritiene che tale esercizio sia prematuro.

La Commissione ha reso pubblica anche la sintesi dei risultati della prima consultazione pubblica avviata sul tema del ricondizionamento[71] dei dispositivi medici nella Comunità. L’obiettivo finale è la predisposizione di una relazione – corredata da eventuali proposte aggiuntive - da presentare al Consiglio e al Parlamento europeo entro il 5 settembre 2010, come previsto dalla direttiva 2007/47/CE (con l’introduzione dell’articolo 12bis al testo della direttiva 93/42/CEE concernente i dispositivi medici).

 

Procedure di contenzioso

Il 29 gennaio 2009 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura n. 2009/67)per il mancato recepimento della direttiva 2007/47/CE entro il termine prescritto del 21 dicembre 2008.

 


Art. 9

 

(Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2006/54/CE riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego)

 

 

1. Nella predisposizione del decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione ed impiego (rifusione), il Governo è tenuto ad acquisire anche il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

 

 

L’articolo 9, modificato nel corso dell’esame al Senato, stabilisce che nell’esercizio della delega ai fini del recepimento della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione), il Governo, nella predisposizione del decreto legislativo, da adottare entro il 15 agosto 2009, è tenuto ad acquisire anche il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 27 febbraio 2009 la Commissione europea ha presentato la relazione annuale sulla parità tra donne e uomini – 2009 (COM(2009)77), nella quale illustra i progressi raggiunti verso la parità tra donne e uomini nonché le priorità in materia per il futuro.

 

 

Procedure di contenzioso

Il 18 settembre 2008 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora[72] sostenendo che l’articolo 15, commi 6 e 7 della legge n. 230 dell’8 luglio 1998 comporta una discriminazione indiretta nell’accesso all’occupazione, contraria alla direttiva 76/207/CEE (come modificata dalla direttiva 2002/73/CE).

In base ai richiamati  commi 6 e 7 dell’articolo 15 della legge 230 del 1998, agli uomini nati prima del 1985 che hanno optato per il servizio civile invece del servizio obbligatorio di leva è fatto divieto, per il resto della loro vita, di accedere ad alcuni ruoli nella fabbricazione e commercializzazione di armi, munizioni e materiali esplodenti, ruoli nelle Forze armate, nell’Arma dei carabinieri, nella Polizia di Stato, nel Corpo della guardia di finanza, nel Corpo di Polizia penitenziaria, nel Corpo forestale dello Stato, poiché è vietato prendere parti a concorsi per questi arruolamenti, in cui non è sempre previsto l’uso di armi. Questa disposizione, ad avviso della Commissione, collocherebbe gli uomini in una situazione svantaggiata rispetto alle donne, oltre a  costituire una discriminazione indiretta per quanto riguarda l’accesso all’occupazione, contraria alla direttiva 2000/78/CE.

Il 27 novembre 2008 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato[73] poiché ritiene che non sarebbero state correttamente o esaurientemente recepite alcune disposizioni della direttiva 2002/73/CE, che modifica la direttiva 76/207/CEE relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro.

La direttiva è stata recepita in Italia con il decreto legislativo n. 145 del 30 maggio 2005, che introduce modifiche alla legge n. 125 del 10 aprile 1991 e alla legge n. 903 del 9 dicembre 1977.

La Commissione ritiene, in particolare, che non sarebbero state pienamente attuate nella legislazione nazionale le seguenti disposizioni della direttiva:

·       il nuovo articolo 2, paragrafo 7, in base al quale alla fine del periodo di congedo per maternità, la donna ha il diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non le siano meno favorevoli e a beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che le sarebbero spettati durante la sua assenza;

·       il nuovo testo dell’articolo 6, paragrafo 1, in base al quale gli Stati membri provvedono affinché tutte le persone che si ritengono lese, in seguito alla mancata applicazione nei loro confronti del principio della parità di trattamento, possano accedere, anche dopo la cessazione del rapporto che si lamenta affetto da discriminazione, a procedure giurisdizionali e/o amministrative. Il paragrafo 2 del medesimo articolo dispone che gli Stati membri introducano nei rispettivi ordinamenti giuridici nazionali le misure necessarie per garantire un indennizzo o una riparazione reale ed effettiva che essi stabiliscono per il danno subito da una persona lesa a causa di una discriminazione;

·        il nuovo articolo 6, paragrafo 3, in base al quale gli Stati membri riconoscono alle associazioni, organizzazioni o altre persone giuridiche il diritto di avviare, in via giurisdizionale e/o amministrativa, per conto o a sostegno della persona che si ritiene lesa e con il suo consenso, una procedura finalizzata all’esecuzione degli obblighi derivanti dalla direttiva;

·       il nuovo articolo 8 bis, in virtù del quale gli Stati membri designano uno o più organismi per la promozione, l’analisi, il controllo e il sostegno della parità di trattamento di tutte le persone senza discriminazioni fondate sul sesso;

·       i nuovi articoli 2, paragrafo 5, nonché 8ter e 8quater, sulla base dei quali gli Stati membri devono incoraggiare i datori di lavoro ad adottare misure per impedire qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, ad adottare misure per favorire il dialogo sociale al fine di promuovere la parità di trattamento, a spingere le parti sociali a stipulare degli accordi, a incoraggiare i datori i lavoro a promuovere la parità di trattamento e a favorire il dialogo con le organizzazioni non governative interessate.

Il 24 gennaio 2007 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato[74]nella quale contesta l’incompatibilità dell’articolo 53 comma 1 del decreto legislativo n. 151 del 2001 con l’articolo 2, paragrafo 7, della direttiva 76/207/CEE (modificata dalla dir. 2002/73), volta a garantire l’attuazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne relativamente all’accesso al lavoro ed alle condizioni di lavoro.

L’articolo 2 paragrafo 7 della direttiva, prevede l’obbligo, per gli Stati membri, di adottare tutte le misure necessarie ad evitare che le lavoratrici gestanti (o puerpere o in fase di allattamento) siano obbligate a svolgere del lavoro notturno. Secondo la Commissione l’articolo 53 comma 1 del decreto n. 151/2000 andrebbe ben oltre quanto previsto dalla norma comunitaria, in quanto non si limita a “non prevedere un obbligo” (per le donne incinte o puerpere) a svolgere del lavoro notturno ma introduce un vero e proprio divieto, per le donne incinte o puerpere, di svolgere del lavoro notturno. L’articolo 53, infatti, vieta che si adibiscano donne incinte o puerpere ad attività lavorative tra le ore 24 e le 6 dal momento in cui si è accertata la gravidanza e fino a quando il bambino raggiunge un anno di età. La Commissione, inoltre, evidenzia come le lavoratrici che, proprio in ragione di tale divieto, non hanno la possibilità di lavorare, percepiscono, in luogo della retribuzione, una forma di indennità pari all’80 per cento della retribuzione per l’intero periodo.

 


Art. 10

 

(Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa)

 

 


1. Nella predisposizione del decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa, il Governo è tenuto ad acquisire il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ed a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) prevedere adeguati poteri di coordinamento, di approvazione e di risoluzione dei casi di inadempimento, diretti a garantire un approccio coerente ed uniforme in materia di valutazione e gestione della qualità dell’aria ambiente nel quadro del riparto di competenze tra Stato, regioni ed enti locali per l’attuazione dei compiti definiti dalla legislazione comunitaria;

b) coordinare la disciplina relativa alla pianificazione ed alla programmazione della qualità dell’aria ambiente con le norme vigenti in materia di autorizzazioni alle emissioni, agli impianti termici civili, ai combustibili e alla circolazione veicolare, allo scopo di permettere l’attuazione dei piani e programmi mediante gli strumenti e gli interventi previsti da tali norme di settore;

c) introdurre una specifica disciplina e una ripartizione delle competenze, in materia di qualità dell’aria, relativamente all’approvazione degli strumenti di campionamento e misura, delle reti di misurazione e dei metodi di valutazione, all’accreditamento dei laboratori, alla definizione delle procedure di approvazione e di accreditamento, alla garanzia della qualità delle misurazioni ed ai connessi controlli;

d) al fine di unificare la normativa nazionale in materia di qualità dell’aria ambiente, abrogare espressamente le disposizioni con cui sono state attuate le direttive 96/62/CE del Consiglio, del 27 settembre 1996, 1999/30/CE del Consiglio, del 22 aprile 1999, 2000/69/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2000, 2002/3/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 febbraio 2002, e 2004/107/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2004, nonché le relative norme di esecuzione, e prevedere le opportune modifiche che assicurino la coerenza della parte quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, inerente la tutela dell’aria e la riduzione delle emissioni in atmosfera, con il nuovo quadro normativo in materia di qualità dell’aria

2. Ai fini dell’adozione del decreto legislativo di cui al presente articolo, resta fermo quanto stabilito dall’articolo 1, comma 4.


 

 

Il comma 1 dell'articolo in esame, come modificato nel corso dell’esame al Senato, prevede alcuni adempimenti e l’indicazione di ulteriori criteri direttivi per l’esercizio della delega, da parte del Governo, per il recepimento della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa.

L’attuale panorama legislativo italiano interessato dalle disposizioni della direttiva 2008/50/CE in materia di controllo della qualità dell’aria è il risultato di un lungo processo di recepimento della normativa comunitaria di settore, dalla direttiva 96/62/CE in materia di valutazione e gestione della qualità dell'aria ambiente alle varie direttive succedutesi nel corso degli anni e destinate a completare e/o aggiornare la cornice normativa definita dalla direttiva quadro 96/62/CE e per questo indicate come “direttive figlie” della direttiva 96/62/CE.

La citata direttiva quadro sulla qualità dell’aria (96/62/CE) ha stabilito i principi di base di una strategia comune volta a definire e fissare obiettivi concernenti la qualità dell'aria ambiente per evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi per la salute umana e per l'ambiente, valutare la qualità dell'aria ambiente negli Stati membri, informare il pubblico (anche attraverso soglie di allarme), nonché migliorare la qualità dell'aria quando essa non è soddisfacente. Essa è stata recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 351.

La cornice normativa delineata dalla direttiva 96/62/CE è stata integrata da numerose “direttive derivate” (o “figlie”) volte al controllo di specifici agenti inquinanti (direttiva 1999/30/CE, 2000/69/CE, 2002/3/CE e 2004/107/CE), nonché dalla direttiva 2001/81/CE che ha stabilito limiti nazionali di emissione per alcuni inquinanti, responsabili dei fenomeni di acidificazione, eutrofizzazione e formazione di ozono troposferico[75].

Il recepimento delle direttive citate, come riassunto nella tabella seguente, ha ulteriormente arricchito il panorama legislativo nazionale in tema di inquinamento atmosferico. Esso si è realizzato attraverso un’integrazione delle norme recate dal citato decreto legislativo n. 351/1999, che – del resto – era stato impostato nell’ottica di avviare un processo dinamico di adeguamento della normativa nazionale con il sistema delle “direttive figlie”:

 

Materia

Direttiva

Recepimento

Biossidi di zolfo e azoto, ossidi di azoto, particelle e piombo

1999/30

D.M. 2 aprile 2002, n. 60

Benzene e monossido di carbonio

2000/69

D.M. 2 aprile 2002, n. 60

Ozono nell’aria

2002/3

D.Lgs. 21 maggio 2004, n. 183

Arsenico, cadmio, mercurio, nickel e idrocarburi policiclici aromatici

2004/107

D.Lgs. 3 agosto 2007, n. 152

 

I provvedimenti indicati prevedono in particolare la fissazione di obiettivi di qualità dell’aria e la predisposizione di piani e programmi per il loro raggiungimento. Le direttive più recenti prevedono obiettivi più stringenti da raggiungere entro il 2010-2012.

Si segnala, inoltre, che, in attuazione del d.lgs. 4 agosto 1999, n. 351, è stato emanato il D.M. 1 ottobre 2002, n. 261, che ha definito le modalità di valutazione preliminare della qualità dell'aria ed i criteri per la stesura dei programmi di miglioramento e di mantenimento della stessa.

L’art. 7 del d.lgs. n. 351/1999 affida, infatti, alle regioni, il compito di provvedere, sulla base di una valutazione della qualità dell’aria (in sede di prima applicazione è prevista una valutazione preliminare da eseguirsi sulla base delle modalità dettate dal citato D.M. n. 261/2002), ad individuare le zone del proprio territorio nelle quali i livelli di uno o più inquinanti comportano il rischio di superamento dei valori limite e delle soglie di allarme e ad individuare l'autorità competente alla gestione di tali situazioni di rischio.

In tali zone le regioni devono definire piani d'azione contenenti le misure da attuare nel breve periodo per la riduzione del rischio di superamento dei valori limite e delle soglie di allarme. Tali piani, sempre secondo il dettato del citato art. 7, devono, a seconda dei casi, prevedere misure di controllo e, se necessario, di sospensione delle attività, ivi compreso il traffico veicolare, che contribuiscono al superamento dei valori limite e delle soglie di allarme.

Il successivo art. 8 prevede poi che, nelle zone e negli agglomerati in cui i livelli di uno o più inquinanti eccedono i valori limite, le regioni provvedano all’adozione di piani o programmi (d’intesa con le altre regioni interessate, che coordinano i rispettivi piani, qualora il superamento dei valori limite riguardi il territorio di più regioni) per il raggiungimento dei valori limite entro i termini stabiliti ai sensi dell'art. 4, comma 1, lettera c) del medesimo decreto. Lo stesso articolo dispone che tali piani e programmi devono essere resi disponibili al pubblico.

Ai sensi del comma 1 il Governo, nel predisporre il decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2008/50/CE (contenuta nell'allegato A), relativa alla qualità dell’aria ambiente, deve:

§      acquisire il parere della Conferenza Stato-Regioni;

§      seguire i seguenti princìpi e criteri direttivi aggiuntivi rispetto a quelli dettati dall’art. 2:

a) prevedere adeguati poteri di coordinamento, di approvazione e di risoluzione dei casi di inadempimento, diretti a garantire un approccio coerente ed uniforme in materia di valutazione e gestione della qualità dell’aria ambiente nel quadro del riparto di competenze tra Stato, regioni ed enti locali per l’attuazione dei compiti definiti dalla legislazione comunitaria;

Si ricorda che ai sensi dell’art. 83 del d.lgs. n. 112/1998, rientrano tra i compiti di rilievo nazionale in materia di inquinamento atmosferico:

§      la disciplina del monitoraggio della qualità dell'aria: metodi di analisi, criteri di installazione e funzionamento delle stazioni di rilevamento; criteri per la raccolta dei dati;

§      la fissazione di valori limite e guida della qualità dell'aria;

§      la fissazione delle soglie di attenzione e di allarme;

§      l’individuazione di aree interregionali nelle quali le emissioni nell'atmosfera o la qualità dell'aria sono soggette a limiti o valori più restrittivi, fatto salvo quanto disposto dalla lettera a) del comma 1 dell'art. 84 (che assegna alle regioni il potere di individuare aree regionali nelle quali le emissioni o la qualità dell'aria sono soggette a limiti o valori più restrittivi in relazione all'attuazione di piani regionali di risanamento);

§      la determinazione dei criteri per l'elaborazione dei piani regionali di risanamento e tutela della qualità dell'aria

b) coordinare la disciplina relativa alla pianificazione ed alla programmazione della qualità dell’aria ambiente con le norme vigenti in materia di autorizzazioni alle emissioni, agli impianti termici civili, ai combustibili e alla circolazione veicolare, allo scopo di permettere l’attuazione dei piani e programmi mediante gli strumenti e gli interventi previsti da tali norme di settore;

La normativa relativa alle autorizzazioni alle emissioni in atmosfera, agli impianti termici civili e ai combustibili è contenuta nella parte quinta del d.lgs. n. 152/2006 (Codice ambientale).

In particolare, si ricorda il contenuto dell’art. 271, comma 4, del Codice ambientale, secondo cui i piani e i programmi previsti per zone in cui i livelli di uno o più inquinanti sono più alti dei valori limite ovvero nelle quali i livelli di ozono nell'aria superano i cosiddetti “valori bersaglio” (stabiliti dall'articolo 3 del decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 183), possono stabilire valori limite di emissione e prescrizioni, anche inerenti alle condizioni di costruzione o di esercizio dell'impianto, più severi di quelli fissati nella parte quinta del Codice o dalla legislazione regionale o locale, “purché ciò risulti necessario al conseguimento dei valori limite e dei valori bersaglio di qualità dell'aria”.

Lo stesso comma dispone poi che fino all'emanazione di tali piani e programmi, continuano ad applicarsi i valori limite di emissione e le prescrizioni contenuti nei piani adottati ai sensi dell'abrogato art. 4 del DPR n. 203/1988[76].

Relativamente al coordinamento tra le varie disposizioni si ricorda, altresì, l’art. 14 del d.lgs. n. 351/1999, che ha recato una serie di disposizioni volte a disciplinare la fase transitoria fino all’emanazione dei decreti attuativi (avvenuta con il recepimento delle cd. direttive figlie), facendo salva, in tale fase, la preesistente normativa recata dal D.P.R. n. 203/1988.

Relativamente al traffico veicolare, invece, l’art. 3 della legge n. 413/1997 attribuisce ai sindaci il potere di adottare misure di limitazione della circolazione, di cui all'art. 7 del d.lgs. n. 285/1992 (Codice della strada), “per esigenze di prevenzione dell'inquinamento atmosferico, sulla base dei criteri ambientali e sanitari stabiliti con decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro della sanità”. In attuazione di tale disposizione è stato emanato il D.M. 21 aprile 1999, n. 163, che è stato riscritto ed abrogato in buona parte dall’art. 39 del D.M. 2 aprile 2002, n. 60.

c) introdurre una specifica disciplina e una ripartizione delle competenze, in materia di qualità dell’aria, relativamente all’approvazione degli strumenti di campionamento e misura, delle reti di misurazione e dei metodi di valutazione, all’accreditamento dei laboratori, alla definizione delle procedure di approvazione e di accreditamento, alla garanzia della qualità delle misurazioni ed ai connessi controlli;

Si richiama nuovamente, in proposito, quanto sancito dall’art. 83 del d.lgs. n. 112/1998, in base al quale rientra tra i compiti di rilievo nazionale in materia di inquinamento atmosferico “la disciplina del monitoraggio della qualità dell'aria: metodi di analisi, criteri di installazione e funzionamento delle stazioni di rilevamento; criteri per la raccolta dei dati”.

L’approvazione degli strumenti di campionamento e misura, delle reti di misurazione e dei metodi di valutazione; l’accreditamento dei laboratori e la definizione delle procedure di approvazione e di accreditamento e la garanzia della qualità delle misurazioni e controlli connessi sembrano rientrare tra le “funzioni amministrative non espressamente indicate nelle disposizioni degli articoli 82 e 83” che sono state conferite alle regioni e agli enti locali dall’art. 84 del d.lgs. n. 112/1998.

d) al fine dell’unificazione della normativa nazionale in materia di qualità dell’aria ambiente, abrogare espressamente le disposizioni con cui sono state attuate le direttive 96/62/CE, 1999/30/CE, 2000/69/CE, 2002/3/CE e 2004/107/CE, nonché le relative norme di esecuzione, e prevedere le opportune modifiche che assicurino la coerenza della parte quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, inerente alla tutela dell’aria e alla riduzione delle emissioni in atmosfera, con il nuovo quadro normativo in materia di qualità dell’aria.

Relativamente a quest’ultimo criterio direttivo si fa notare che, rispetto alla direttiva 2008/50/CE, che non prevede l’abrogazione della precedente direttiva 2004/107/CE (almeno in questa prima fase[77]), la norma in commento prevede, al fine di unificare la normativa nazionale in materia, anche l’abrogazione – e quindi la trasposizione delle relative norme nell’emanando schema di decreto – del d.lgs. n. 152/2007.

Al riguardo, occorre sottolineare che, al fine di pervenire ad un testo unico in materia di qualità dell’aria che sia al contempo coerente con le disposizioni della parte quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (cd. Codice dell’ambiente), sembrerebbe opportuno inserire tutta la disciplina della materia direttamente nel Codice dell’ambiente. Ciò consentirebbe di attuare, almeno in buona parte, anche il necessario coordinamento previsto dalla lettera b).

Si segnala, al riguardo, che la relazione illustrativa, evidenzia alcune criticità emerse nella fase di attuazione del precedente quadro normativo con particolare riferimento alla ripartizione delle competenze tra i vari livelli istituzionali. Si segnala quindi l’esigenza di attribuire all’amministrazione centrale adeguati poteri di coordinamento, approvazione ed intervento, attraverso i quali assicurare la coerenza e l’uniformità dell’esercizio delle funzioni conferite. Da ultimo, dalla relazione emerge la necessità di introdurre una specifica disciplina in riguardo agli strumenti di campionamento e di misura, reti di misurazione, metodi di valutazione e laboratori, nonché alla definizione delle procedure di approvazione,alla garanzia della qualità delle misurazioni ed ai connessi controlli.

Il comma 2 dispone che, ai fini dell’adozione del decreto legislativo di cui al presente articolo, resta fermo quanto stabilito dall’art. 1, comma 4.

Si ricorda, in proposito, che tale comma 4 prevede, qualora lo schema di decreto comporti conseguenze finanziarie, che esso sia corredato della relazione tecnica e che venga sottoposto al parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Lo stesso comma dispone che il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all’esigenza di garantire il rispetto dell’art. 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi d’informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro venti giorni.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Nell’ambito dell’accordo di compromesso raggiunto dal Consiglio europeo dell’11 e 12 dicembre 2008 sull’insieme delle proposte relative al pacchetto energia clima, il Parlamento europeo nella seduta del 17 dicembre 2008 ha approvato:

·       una proposta di regolamento per limitare le emissioni di CO2 delle automobili (COM(2007)856) presentata dalla Commissione il 19 dicembre 2007, che ha come obiettivo la riduzione delle emissioni di CO2 dei nuovi veicoli nell’UE fino a 130 grammi per km nel 2012.

Il testo di compromesso approvato consentirebbe alle industrie automobilistiche di raggiungere gradualmente in quattro anni, a partire dal 2012, l’obiettivo di emissione di CO2 di 130 g/km a vettura che dovrà essere rispettato al 100% nel 2015. In caso di mancato rispetto dei limiti previsti dovrebbe essere applicato un sistema progressivo di sanzioni – 5 euro per il primo grammo di sforamento, 15 per il secondo, 25 per il terzo e 95 dal quarto in poi - che dovrebbe restare in vigore fino al 2018 per essere poi sostituito, a partire dal 2019, da una penale unica di 95 euro per ogni grammo in eccesso. Per i produttori che metteranno in commercio modelli di auto ad emissioni bassissime o nulle (ad esempio, auto elettriche, ibride o a  idrogeno) si prospetta il riconoscimento di “supercrediti” da computare nella media complessiva fino ad un massimo di 7 gCO2/km. Infine, sono previste deroghe per le piccole case automobilistiche, con produzione inferiore alle 10.000 auto all’anno, purché abbiano fabbriche e centri di progettazione separati.

·       una proposta di direttiva volta a fissare nuovi standard per i combustibili utilizzati dai mezzi di trasporto, al fine di ridurre il loro contributo al cambiamento climatico e all’inquinamento atmosferico, e a promuovere l’uso di biocarburanti e l’introduzione di veicoli meno inquinanti (COM(2007)18) presentata dalla Commissione il 31 gennaio 2007.

Tra le principali novità che la Commissione propone di introdurre, a partire dal 2009, si segnalano: la riduzione del tenore massimo di zolfo per tutto il combustibile diesel commercializzato (10 parti per milione (ppm), per il gasolio destinato alle macchine non stradali per usi su strada (10 ppm) e alle le vie navigabili interne (300 ppm); riduzione all’8% del tenore massimo di idrocarburi poliaromatici nel combustibile diesel; definizione di una miscela specifica, con un maggior tenore di composti ossigenati (inclusa una percentuale di etanolo fino al 10%), allo scopo di utilizzare nella benzina un quantitativo superiore di biocarburanti; l’introduzione dell’obbligo per i fornitori di combustibile di sorvegliare  le emissioni di gas ad effetto serra prodotte durante il ciclo di vita, a decorrere dal 2011, riducendo ogni anno tali emissioni dell'1%, arrivando nel 2020 ad una riduzione complessiva del 10 %.

Il Parlamento europeo ha approvato entrambe le proposte in prima lettura, secondo la procedura di codecisione. I provvedimenti restano in attesa dell’approvazione definitiva da parte del Consiglio.

In materia di politica energetica e cambiamenti climatici si segnala, inoltre, che il 4 dicembre 2008 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva relativa al recupero di vapori di benzina durante il rifornimento delle automobili nelle stazioni di servizio (COM(2008)812), intesa a rendere obbligatoria in tutte le stazioni di servizio, a partire dal 1 luglio 2012, l’installazione di attrezzature che consentono il recupero dei vapori di benzina attraverso le  tecnologie cosiddette della fase II. Tali tecnologie, infatti, consentono una migliore cattura e riciclaggio dei vapori nocivi di benzina che fuoriescono durante il rifornimento delle automobili, in particolare, del benzene, una sostanza cancerogena per l'uomo di cui non si conosce la soglia di sicurezza.

Il 21 dicembre 2007 la Commissione ha adottato un pacchetto di misure volto a migliorare la politica dell’Unione europea in materia di emissioni degli impianti industriali che comprende:

·       una comunicazione “Verso una politica più efficace in materia di emissioni industriali” (COM (2007) 843)

·       una proposta di rifusione della direttiva sulle emissioni industriali (in materia di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento) (COM (2007) 844), intesa a riunire in un unico strumento normativo chiaro e coerente le disposizioni contenute nelle sette direttive europee relative all’inquinamento industriale.

La proposta della Commissione riguarderebbe 52.000 stabilimenti industriali e intende, tra l’altro, favorire l’impiego delle migliori tecnologie disponibili per ridurre l'inquinamento industriale, attualmente ostacolate da un numero eccessivo di autorizzazioni.

La proposta di direttiva è stata esaminata dal Parlamento europeo in prima lettura, secondo la procedura di codecisione, nella seduta del 10 marzo 2009.

Il 16 febbraio 2009 il Consiglio ha definitivamente approvato in prima lettura una proposta di regolamento (COM(2007)824) intesa a rivedere la direttiva 2001/81/CE relativa ai limiti nazionali di emissione di alcuni inquinanti atmosferici, che disciplina i livelli di emissioni di anidride solforosa, ossido nitrico, ammoniaca e composti organici volatili. In particolare, la Commissione potrà aggiornare le metodologie per gli inventari e le proiezioni delle emissioni su proposta di un comitato di regolamentazione con controllo, composto dei rappresentanti degli Stati membri, previa espressione di un parere da parte del Parlamento europeo e del Consiglio.

Si segnala, infine, che nel corso di una cerimonia solenne svoltasi il 10 febbraio 2009 nell'emiciclo del Parlamento europeo, oltre 350 città europee hanno firmato il Patto dei Sindaci (Covenant of Mayors), impegnandosi a superare entro il 2020 l’obbiettivo di una diminuzione del 20% delle emissioni di CO2. L’iniziativa è stata promossa dalla Commissione europea in cooperazione con il Comitato delle Regioni.

Procedure di contenzioso

La Commissione ha avviato tre procedure d’infrazione nei confronti dell’Italia in materia di qualità dell’aria. Si tratta, in particolare, di:

·   un parere motivato in riferimento alla cattiva applicazione delle direttive 96/62/CE e 99/30/CE concernenti i valori limite di qualità dell'aria (procedura d’infrazione 2004/2116).

Secondo la Commissione, in Italia nel 2001 sono stati riscontrati valori superiori ai limiti consentiti per il biossido di azoto e per l’ossido di azoto, in 26 zone, e per il particolato PM10, in 37 zone. In forza della normativa europea, entro il 31 dicembre 2003 l’Italia avrebbe dovuto predisporre e comunicare alla Commissione i piani o programmi che avrebbero consentito di raggiungere i valori limite consentiti per tali inquinanti. In seguito all’apertura della prima fase della procedura d’infrazione (9 luglio 2004) l’Italia ha trasmesso una documentazione sulla base della quale la Commissione può ritenere che per 17 zone non sia possibile verificare se tali piani siano stati predisposti, avviando pertanto, il 4 aprile 2006, la seconda fase della procedura d’infrazione contestando all’Italia di esser venuta meno agli obblighi previsti dalle direttive 96/62/CE e 99/30/CE.

·   una lettera di messa in mora in riferimento alla cattiva applicazione della direttiva 1999/30/CE relativa ai valori limite di qualità dell'aria per il biossido di zolfo (procedura d’infrazione 2007/2182).

Con lettera del 27 giugno 2007 la Commissione ha contestato all’Italia di non aver rispettato i valori limite per lo zolfo (SO2), sia per quanto concerne il valore limite giornaliero che orario, in varie zone.

·   una lettera di messa in mora relativa qualità dell'aria: valori limite PM10 (procedura d’infrazione 2008/2194)

Con lettera del 29 gennaio 2009, la Commissione ha rilevato che nel 2006 e nel 2007 in numerose zone sono stati superati i valori limite giornalieri ed annuali consentiti per le particelle PM10. Tali dati sono desunti dalle relazioni annuali 2006 e 2007 trasmesse dall’Italia ai sensi dell’art 11 della direttiva 96/62/CE. Poiché l’Italia non ha mai notificato alla Commissione che tali zone soddisfano le condizioni previste per il loro esonero dagli obblighi di applicazione dei valori limite, la Commissione conclude che ciò sia indice di una tendenza al superamento dei valori limite di lungo periodo e che, pertanto, l’Italia sia venuta meno agli obblighi derivanti dalla direttiva 1999/30/CE, concernente i valori limite di qualità dell’aria.

 


Art. 11

 

(Modifica all’articolo 5 della legge 10 febbraio 1992, n. 164, recante nuova disciplina delle denominazioni di origine )

 

 

1. Al comma 1 dell’articolo 5 della legge 10 febbraio 1992, n. 164, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «In tale zona non si possono impiantare e iscrivere vigneti all’albo dei vigneti del Chianti DOCG, né produrre vini Chianti DOCG.».

 

 

L'articolo 11 reca una modifica all'art. 5 della legge n. 164/1992[78], che disciplina le denominazioni d'origine dei vini, allo scopo di meglio definire le modalità di produzione delle due tipologie di vino Chianti DOCG: il “Chianti” ed il “Chianti classico”.

Più precisamente l’articolo in esame proibisce di piantare vigneti del Chianti DOCG, di iscrivere all’albo dei vigneti i vigneti del Chianti DOCG o di produrre vini Chianti DOCG all’interno della zona riservata al “Chianti classico”, nell’intento asserisce la relazione illustrativa di ottenere una migliore produzione dei due vini "Chianti" e “Chianti classico”, i cui disciplinari di produzione sono autonomi e separati.

Le denominazioni di cui possono fregiarsi i vini a denominazione protetta sono così classificate dall’articolo 3 della legge n. 164:

a) denominazioni di origine controllata e garantita (DOCG);

b) denominazioni di origine controllata (DOC);

c) indicazioni geografiche tipiche (IGT).

Il primo comma dell’articolo 5 dispone che la specificazione aggiuntiva “classico” sia riservata ai vini non spumanti della zona di origine più antica e che agli stessi possa essere attribuita una regolamentazione autonoma anche nell'ambito della stessa DOCG o DOC; il medesimo comma stabilisce che per il “Chianti classico” questa zona storica sia quella delimitata con il decreto interministeriale del 31 luglio 1932.

A determinate condizioni l’articolo 6 consente poi che nell'ambito di una denominazione di origine coesistano diversi vini DOCG; tale coesistenza è fra l’altro ammessa purché i vini siano prodotti in sottozone che devono essere delimitate e regolamentate da disciplinari di produzione più restrittivi ed avere albi dei vigneti distinti.

Ai sensi dell’articolo 15, infine, i terreni vitati dediti a produzioni DOC devono essere iscritti in un apposito albo dei vigneti per vini a denominazione di origine, contraddistinto dalla rispettiva denominazione di origine e, se prevista dal disciplinare di produzione, dalla sottozona dal vitigno.

La DOC “Chianti” era stata già riconosciuta dal DPR 9 agosto 1967, mentre il successivo D.P.R. 2 luglio 1984 aveva attribuito la denominazione di origine controllata e garantita DOCG "Chianti", approvando il relativo disciplinare di produzione; in conseguenza delle istanze di modifica di tale disciplinare, presentate da taluni produttori allo scopo di riservare la DOCG al prodotto “Chianti classico”, con il DM 5 agosto 1996 (GU n. 219 del 18/9/96, SO n. 153) il dicastero agricolo ha approvato due distinti disciplinari di produzione rispettivamente per i vini DOCG "Chianti"[79] e per il vino DOCG "Chianti classico", le cui zone di produzione sono descritte all’art. 3 dei due disciplinari.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Si veda il paragrafo Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE relativo all’art. 13.

 


Art. 12

 

(Delega al Governo per il riordino e la revisione della disciplina in materia di fertilizzanti )

 

 


1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e con le modalità di cui all’articolo 1, un decreto legislativo di riordino e revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) adeguamento e ammodernamento delle definizioni di «concime» e delle sue molteplici specificazioni, di «fabbricante» e di «immissione sul mercato», ai sensi dell’articolo 2 del regolamento (CE) n. 2003/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 2003;

b) utilizzo della forma delle indicazioni obbligatorie come stabilita dall’articolo 6 del citato regolamento (CE) n. 2003/2003 per i concimi immessi sul mercato con l’indicazione «concimi CE»;

c) individuazione delle misure ufficiali di controllo per valutare la conformità dei concimi, ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 2003/2003;

d) revisione delle sanzioni da irrogare in base ai princìpi di effettività, proporzionalità e dissuasività, ai sensi dell’articolo 36 del regolamento (CE) n. 2003/2003.

2. Dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1 è abrogato il decreto legislativo 29 aprile 2006, n. 217.

3. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri, né minori entrate a carico della finanza pubblica. Le Amministrazioni interessate svolgono le attività previste dal presente articolo con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

 


 

 

L’articolo 12, introdotto nel corso dell’esame al Senato, delega il Governo ad adottare senza oneri a carico della finanza pubblica un decreto legislativo di riordino della disciplina in materia di fertilizzanti, nel rispetto di specifici principi e criteri direttivi che prescrivono l’adeguamento alle disposizioni recate dal regolamento (CE) n. 2003/2003; contestualmente viene abrogato, con decorrenza dall’entrata in vigore del nuovo decreto, il decreto legislativo n. 217 del 2006, che ha recato la Revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, proprio per adeguarla alla nuova disciplina comunitaria della materia, recata appunto dal regolamento (CE) n. 2003/2003.

L’abrogazione del decreto legislativo n. 217 del 2006 ed il conferimento di una nuova delega al Governo per l’adeguamento della normativa interna ai principi stabiliti nel regolamento (CE) n. 2003/2003 devono essere posti in connessione con la procedura di infrazione n. 2007/4535 avviata dalla Commissione europea in relazione al citato decreto legislativo (v. infra), a causa dell’inosservanza dell’obbligo di notifica preventiva alla Commissione europea previsto dalla direttiva n. 98/34/CE sulle regolamentazioni tecniche.

I principi e criteri direttivi della delega, che riproducono esattamente quelli contenuti nell’art. 13 della legge n. 62/2005[80], in base al quale è stato adottato il d.lgs. n. 217/2006, riguardano in particolare:

§      l'adeguamento delle definizioni di “concime”, “fabbricante” e di “immissione sul mercato”;

§      relativamente a talune indicazioni obbligatorie, l’utilizzo della forma indicata dalle disposizioni comunitarie;

§      l'individuazione delle misure ufficiali di controllo per valutare la conformità dei concimi;

§      la revisione delle sanzioni in base ai principi di effettività, proporzionalità e dissuasività.

Con l’approvazione del regolamento (CE) n. 2003/2003[81], entrato in vigore l’11 dicembre 2003, sono state in primo luogo ricondotte ad unitarietà le norme che in precedenza erano disciplinate in una pluralità di direttive, peraltro più volte oggetto di modifiche, tutte volte ad avvicinare la legislazione degli Stati membri in tema di concimi. I provvedimenti, che sono stati conseguentemente abrogati, sono la direttiva 76/116/CEE di carattere generale sui concimi, la 77/535/CEE sui metodi di campionatura e analisi, la direttiva 80/876/CEE sui concimi semplici a base di nitrato d’ammonio ad elevato titolo d’azoto nonché la direttiva 87/94/CEE, che per i medesimi concimi a base di azoto ha stabilito le procedure di controllo delle caratteristiche, dei limiti e dalla detonabilità.

La codifica e l’accorpamento delle menzionate direttive in un unico provvedimento, allo scopo di pervenire ad una maggiore chiarezza e semplificazione normativa, si è accompagnata anche alla scelta dello strumento regolamentare, in sostituzione della direttiva, allo scopo di rendere immediatamente applicabili disposizioni dal contenuto fortemente tecnico, quali sono le prescrizioni che debbono rispettare i fabbricanti di concimi.

Le disposizioni precedentemente in vigore elencavano i prodotti che avevano diritto di fregiarsi della dicitura “concime CE” senza tuttavia fornire la definizione delle espressioni maggiormente in uso. In proposito, il regolamento n. 2003 interviene, invece, con l’articolo 2, che in primo luogo attribuisce la definizione di concime alle sostanze la cui funzione principale è quella di fornire elementi nutritivi alle piante. Definite poi le diverse tipologie di concime, il medesimo articolo 2 identifica nell’immissione sul mercato qualsiasi operazione di fornitura (sia onerosa che a titolo gratuito), immagazzinamento o importazione del prodotto, ed indica come fabbricante il produttore, importatore o confezionatore del prodotto.

Rilievo assumono poi gli artt. 6 (par. 1 e 2) in tema di indicazioni obbligatorie, 29 (par. 1) sull’attività di controllo e 36 sulle sanzioni, poiché in base al successivo articolo 37 le disposizioni nazionali adottate in recepimento dei menzionati articoli andranno comunicate dagli Stati membri, entro l’11 giugno 2005.

Più precisamente gli Stati dovranno comunicare quali siano le forme da essi prescelte fra quelle indicate all’art. 6, par. 1 in merito alla indicazione dei titoli di azoto, fosforo e potassio presenti nei concimi, nonché – ma in tale ipotesi trattasi di facoltà e non di obbligo – fra quelle di cui all’art. 6, par. 2 relative al titolo presente di calcio, magnesio, sodio e zolfo.

Dovranno altresì essere notificate le misure ufficiali di controllo dirette a verificare la conformità dei concimi alle disposizioni comunitarie, misure che l’art. 29, par. 1 lascia alla facoltà dei singoli Stati di rendere obbligatorie per i produttori stabiliti sul proprio territorio, e che potranno eventualmente essere finanziate con l’imposizione di tasse.

Infine, all’obbligo della notifica sono anche assoggettate le disposizioni nazionali dirette a definire il sistema delle sanzioni volte ad assicurare il rispetto del regolamento comunitario, sanzioni che l’art. 36 impone debbano essere effettive, proporzionate, dissuasive.

Procedure di contenzioso

Il 26 giugno 2008 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura n. 2007/4535), contestando la violazione della direttiva 1998/34/CE per la mancata notificazione delle prescrizioni in materia di fertilizzanti.

In particolare, il d.lgs. 29 aprile 2006, n. 217, recante revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, contiene prescrizioni riguardanti i prodotti immessi sul mercato come concimi CE, definiti dal regolamento (CE) n. 2003/2003. Tale decreto legislativo non è stato notificato alla Commissione secondo la particolare procedura di informazione disciplinata dalla direttiva 1998/34/CE, benché esso sembri costituire nel suo complesso una regola tecnica rientrante nel campo di applicazione della direttiva stessa.

 


Art. 13

 

(Disposizioni sanzionatorie per l’applicazione del regolamento (CE) n. 479/2008 e del regolamento (CE) n. 555/2008, relativi all’organizzazione comune del mercato vitivinicolo )

 

 


1. Ai sensi dell’articolo 86 del regolamento (CE) n. 479/2008 del Consiglio, del 29 aprile 2008, i produttori regolarizzano le superfici vitate, impiantate prima del 1º settembre 1998 senza disporre dei corrispondenti diritti di impianto, mediante versamento di una somma di 6.000 euro/ha; il versamento non è dovuto per le superfici regolarizzate ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 1493/1999 del Consiglio, del 17 maggio 1999.

2. Se il versamento previsto dal comma 1 non è effettuato entro il 31 dicembre 2009 o la relativa superficie non è estirpata entro il 30 giugno 2010, si applica, a decorrere dal 1º luglio 2010, la sanzione di cui al comma 3.

3. Chiunque, alla data del 31 dicembre 2008, non ha estirpato le superfici vitate impiantate dopo il 31 agosto 1998 senza disporre dei corrispondenti diritti di impianto, è punito con la sanzione amministrativa di 12.000 euro/ha.

4. Chiunque ha impiantato dopo il 3 luglio 2008 superfici vitate senza disporre dei corrispondenti diritti di impianto è punito con la sanzione di cui al comma 3.

5. Le sanzioni di cui ai commi 2, 3 e 4 si applicano ogni dodici mesi, secondo le modalità previste all’articolo 55 del regolamento (CE) n. 555/2008 della Commissione, del 27 giugno 2008.

6. Il termine entro il quale i produttori comunicano, ai sensi dell’articolo 57 del regolamento (CE) n. 555/2008, alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano, l’intenzione di ricorrere alla vendemmia verde o alla distillazione, è il 31 maggio di ciascuna campagna.

7. Le facoltà previste dall’articolo 57 del regolamento (CE) n. 555/2008 sono attribuite alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano, nei limiti delle loro competenze.

8. Il produttore che detiene una superficie vitata superiore a 0,1 ettari e non ottempera o ottempera in modo incompleto o inesatto agli obblighi previsti dall’articolo 56, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 555/2008 è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.000 a euro 6.000, per ogni ettaro o frazione di ettaro di superficie.

9. La sanzione di cui al comma 8 si applica a decorrere dai seguenti termini:

a) in caso di mancata presentazione del contratto di distillazione, un mese dopo la data di cui al comma 6 o dalla diversa data fissata dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano, nei limiti delle loro competenze;

b) in caso di mancata osservanza delle disposizioni in materia di vendemmia verde, il 1º settembre dell’anno civile considerato.

10. Per le sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente articolo, ad eccezione di quelle previste dal comma 8, non è ammesso il pagamento in misura ridotta di cui all’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni.

11. Ai sensi dell’articolo 117, quinto comma, della Costituzione ed in attuazione di quanto previsto dall’articolo 11, comma 8, della legge 4 febbraio 2005, n. 11, le disposizioni del presente articolo si applicano, per le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano che non abbiano ancora provveduto al recepimento delle disposizioni dei regolamenti (CE) n. 479/2008 e n. 555/2008, fino alla data di entrata in vigore della normativa di attuazione adottata da ciascuna regione e provincia autonoma nei limiti delle loro competenze.

12. Le sanzioni amministrative pecuniarie previste nel presente articolo sono applicate dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano nei limiti delle loro competenze.

13. Se i produttori non eseguono l’estirpazione delle viti, come prescritto ai commi 2, 3 e 4, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono provvedere, nei limiti delle loro competenze, alla rimozione degli impianti, ponendo a carico degli stessi produttori le relative spese.


 

 

L'articolo 13, introdotto nel corso dell’esame al Senato, dispone ai commi 1-5 che i produttori possano regolarizzare le superfici vitate, impiantate prima del 1° settembre 1998 senza disporre dei corrispondenti diritti di impianto, con il versamento di una somma pari a 6.000 euro/ha; nel caso che tale versamento non venga effettuato entro il 31 dicembre 2009, o la superficie irregolare non sia estirpata entro il 30 giugno 2010, si applica una sanzione pari a 12.000 euro/ha. La medesima sanzione si applica alle superfici vitate illegali impiantate a partire dal 1° settembre 1998 e che non siano state estirpate alla data del 31 dicembre 2008, e si applica in ogni caso agli impianti illegalmente realizzati successivamente al 3 luglio 2008.

Le sanzioni, dalle quali sono esclusi i produttori che abbiano a suo tempo regolarizzato le superfici in base all’art. 2, par. 3, del regolamento (CE) n. 1493/1999, si applicano ogni dodici mesi secondo le scadenze previste dall’art. 55 del regolamento (CE) n. 555/2008 (di applicazione delle nuove norme sulla OCM vitivinicola).

Poiché le norme in commento rinviano all’art. 86 del regolamento (CE) n. 479/2008, anche la nuova possibilità di regolarizzare le superfici vitate dovrà svolgersi nel rispetto dell’art. 2, par. 3 del regolamento (CE) n. 1493/1999.

Il comma 13 prevede l’intervento sostitutivo delle regioni che, qualora i produttori non eseguano l'estirpazione delle viti richieste dai commi 2-4, possono procedere alla rimozione degli impianti ponendo a carico degli stessi produttori le relative spese.

Viene poi stabilito il termine annuale del 31 maggio entro il quale i produttori comunicano alle regioni l'intenzione di ricorrere alla vendemmia verde[82] o alla distillazione (comma 6), mentre è alle singole regioni che spetterà di decidere se attivare sia la vendemmia verde che la distillazione o una sola delle due misure e quale (comma 7), come previsto dall’art. 57 del regolamento (CE) n. 555/2008, che, al par. 2, stabilisce che gli Stati membri possono anche limitare la scelta dei produttori.

Le sanzioni previste in caso di mancata o incompleta comunicazione del contratto di distillazione o della decisione di procedere alla vendemmia verde vanno da 2.000 a 6.000 euro per ettaro o frazione di ettaro (comma 8) e si applicano a decorrere dai termini stabiliti con il comma 9. Dette sanzioni, peraltro, sono le uniche, tra quelle previste dall’articolo in commento, per le quali è ammessa la cd. oblazione ovvero il pagamento in misura ridotta di cui all’art. 16 della legge n. 689 del 1981 di modifica del sistema penale (comma 10).

La disposizione citata prevede che, entro 60 giorni dalla contestazione immediata dell’illecito (o dalla notificazione del verbale), è ammesso il pagamento in misura ridotta pari alla terza parte del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa o (se più favorevole e quando sia stabilito il minimo della sanzione) pari al doppio del relativo importo, oltre alle spese del procedimento.

Il comma 11, recante una clausola di salvaguardia, stabilisce che le disposizioni di cui ai precedenti commi si applicano alle regioni e province autonome fino all’entrata in vigore delle norme regionali e provinciali di attuazione dei regolamenti (CE) n. 479/2008 e n. 555/2008.

Il comma 12 precisa, infine, che le sanzioni amministrative pecuniarie sono applicate dalle regioni e dalle province autonome nei limiti delle loro competenze.

Il regime comunitario applicabile al settore del vino è stato oggetto di una recente profonda modifica approvata con il regolamento (CE) n. 479/2008[83], del 29 aprile 2008, accompagnato dalle norme di attuazione di cui al regolamento (CE) n. 555/2008[84], del 27 giugno 2008, regolamenti che si applicano entrambi a decorrere dal 1° agosto 2008.

In occasione della revisione della OCM vitivinicola la Commissione ha potuto costatare che le eccedenze produttive di vino nell’area comunitaria sono state aggravate dalla violazioni del divieto provvisorio di nuovi impianti[85] dal quale è derivato un numero consistente di impianti illegali che oltre a costituire una fonte di concorrenza sleale contribuiscono ad acuire i problemi del settore vitivinicolo.

Pertanto, operando una distinzione tra le superfici impiantate illegalmente prima e dopo il 31 agosto 1998, e solo per le prime, con l’art. 86 del regolamento (CE) n. 479/2008 è stata prevista un’ultima possibilità di regolarizzazione alle condizioni di cui all’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 1493/1999. A differenza di quanto previsto con il regolamento (CE) n. 1493/1999 che non prevedeva alcun obbligo di estirpazione, le nuove norme di cui all’art. 86 istituiscono l’obbligo, per i produttori in questione, di mettersi in regola mediante il versamento di una tassa (che deve essere fissata dai singoli Stati in misura pari ad almeno il doppio del valore medio del corrispondente diritto di impianto), richiedendo, in mancanza della regolarizzazione entro il 31 dicembre 2009, l’estirpazione delle superfici prive di diritti d’impianto con accollo delle relative spese. La mancata osservanza dell’obbligo di estirpazione comporta il pagamento di sanzioni pecuniarie (quantificate dagli Stati ma comunque proporzionate alla gravità).

Con l’art. 85 il divieto transitorio di nuovi impianti viene protratto al 2015 e per le superfici impiantate illegalmente successivamente al 31 agosto 1998 viene imposto l’obbligo di estirpazione.

L’art. 87 attribuisce agli Stati membri il compito di controllare che le uve raccolte sulle superfici in attesa di estirpazione o di regolarizzazione possano circolare esclusivamente per la distillazione che deve essere a carico del produttore e dalla quale deve derivare dell’alcole avente titolo alcolometrico volumico effettivo superiore a 80% di volume.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 29 luglio 2008 la Commissione ha presentato una proposta di modifica del regolamento (CE) n. 1234/2007 recante organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli (regolamento unico OCM (COM(2008)489).

In un’ottica di semplificazione legislativa, la proposta mira ad includere nel regolamento (CE) n. 1234/2007, recante organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli (regolamento unico OCM), la disciplina dell’organizzazione del mercato vitivinicolo, da ultimo modificata con il regolamento (CE) n. 479/2008.

La proposta, che segue la procedura di consultazione, è stata esaminata dal Parlamento europeo nella seduta del 20 novembre 2008, ed è in via di approvazione definitiva.

 


Art. 14

 

(Modifiche alla legge 8 luglio 1997, n. 213, e al decreto legislativo 29 gennaio 2004, n. 58)

 

 


1. Alla legge 8 luglio 1997, n. 213, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 1, dopo il comma 1, è inserito il seguente:

«1-bis. Tutte le carcasse o mezzene di bovini di età non superiore a dodici mesi alla macellazione sono classificate dai responsabili delle strutture di macellazione ai sensi dell’allegato XI-bis del regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio, del 22 ottobre 2007, e dell’articolo 2 del decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 8 agosto 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 240 del 13 ottobre 2008.»;

b) il comma 1 dell’articolo 3 è sostituito dal seguente:

«1. Salvo che il fatto costituisca reato, il titolare dello stabilimento, che viola l’obbligo di identificazione e di classificazione di cui all’articolo 1, commi 1 e 1-bis, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 3.000 a euro 18.000.»;

c) il comma 2 dell’articolo 3 è sostituito dal seguente:

«2. Il titolare dello stabilimento che utilizza una marchiatura o etichettatura difforme da quanto previsto dall’articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Ministro per le politiche agricole 4 maggio 1998, n. 298, e dall’articolo 2 del decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 8 agosto 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 240 del 13 ottobre 2008, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.000 a euro 6.000».

2. All’articolo 5 del decreto legislativo 29 gennaio 2004, n. 58, dopo il comma 1, è inserito il seguente:

«1-bis. Salvo che il fatto costituisca reato, l’operatore o l’organizzazione, come definiti dall’articolo 12 del regolamento (CE) n. 1760/2000, che in ogni fase della produzione e della commercializzazione non apponga, o apponga in maniera errata, sulle carni ottenute da bovini di età non superiore a dodici mesi un’etichetta recante le indicazioni obbligatorie, previste dagli articoli 13, paragrafi 2 e 5, e 14 del medesimo regolamento, e dalla parte IV dell’allegato XI-bis del regolamento (CE) n. 1234/2007, secondo le modalità indicate dagli articoli 2 e 3 del regolamento (CE) n. 1825/2000 e dall’articolo 3 del decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 8 agosto 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 240 del 13 ottobre 2008, è soggetto al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 12.000 euro».


 

 

L’articolo 14, introdotto nel corso dell’esame al Senato, novella con il comma 1 le norme che disciplinano la classificazione delle carcasse bovine, recate dalla legge n. 213/1997[86], e con il comma 2 le disposizioni sull’etichettatura delle carni bovine e derivati, regolata dal D.lgs. n. 58/2004[87], allo scopo di disciplinare anche le carni di bovini al di sotto dei 12 mesi.

Intervenendo sulla legge n. 213/1997, la lettera a) del comma 1 dispone con norme integrative dell’articolo 1 (comma 1-bis) che le carcasse (e mezzene) di bovini di età non superiore a 12 mesi siano classificate sulla base delle nuove norme recate dal regolamento (CE) n. 361/2008 che, modificando il regolamento n. 1234/2007 (regolamento unico OCM), ha introdotto disposizioni specifiche per la commercializzazione delle carni ottenute dai giovani bovini, le quali si applicano ai capi macellati a partire dal 1° luglio 2008 (art. 113-ter e allegato XI bis del regolamento n. 1234/2007[88]). I bovini adulti restano regolati dalle disposizioni di cui all’art. 42 ed all’allegato V del regolamento 1234/2007 che hanno sostituito le norme precedentemente recate dal regolamento (CEE) n. 1186/90 del 7 maggio 1990.

Ai giovani bovini, specifica ancora la lettera a), si applicano altresì le disposizioni di cui al D.M. 8 agosto 2008[89] che regola la commercializzazione delle menzionate carni proprio in attuazione del regolamento n. 1234/2007, ed indica con l’art. 2 i criteri di classificazione alla macellazione dei bovini al di sotto dei 12 mesi.

La lettera b) del comma 1, novellando il primo comma dell’art. 3 della legge 213/1997, estende l’applicazione delle sanzioni già previste per la classificazione e marchiatura delle carcasse dei bovini adulti anche alle operazioni sui vitelli di cui al nuovo comma 1-bis.

La lettera c) del comma 1 novellando il secondo comma dell’art. 3 della legge 213/1997 dispone che l’identificazione e marchiatura delle carcasse e mezzene debba avvenire sia nel rispetto del decreto n. 298/1998[90] che si applica ai bovini adulti che dell’art. 2 del già menzionato decreto dell’8 agosto 2008 valido per i capi al di sotto dei 12 mesi.

Il comma 2, infine, inserendo un comma aggiuntivo nell’art. 5 del D.lgs. n. 58/2004 prevede delle sanzioni, per i medesimi importi previsti per i bovini adulti, per l’errata o incompleta etichettatura delle carni ottenute dai bovini di età non superiore a 12 mesi.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 18 settembre 2008 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento relativo alla protezione degli animali durante l’abbattimento (COM(2008)553).

La proposta intende raggiungere i seguenti obiettivi:

-   sviluppare una metodologia comune per incoraggiare nuovi metodi di stordimento;

-   assicurare una maggiore integrazione del benessere degli animali nel processo di produzione imponendo procedure operative standard e la nomina di responsabili della tutela del benessere animale nei macelli;

-   innalzare il livello delle norme relative alla costruzione e alla dotazione dei macelli;

-   aumentare il livello di competenza degli operatori;

-   migliorare la protezione degli animali durante le operazioni di abbattimento in massa.

La proposta, che segue la procedura di consultazione, sarà esaminata dal Parlamento europeo il 5 maggio 2009.

 


Art. 15

 

(Modifiche all’articolo 2 della legge 23 dicembre 1986, n. 898, in tema di sanzioni amministrative e penali in materia di aiuti comunitari nel settore agricolo)

 

 


1. All’articolo 2 della legge 23 dicembre 1986, n. 898, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 ottobre 1986, n. 701, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, dopo le parole: «del Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia» sono inserite le seguenti: «, del Fondo europeo agricolo di garanzia e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale» e le parole: «a lire sette milioni settecentoquarantacinquemila» sono sostituite dalle seguenti: «ad euro 3.999,96»;

b) al comma 2, dopo le parole: «del Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia» sono inserite le seguenti: «, del Fondo europeo agricolo di garanzia e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale» e le parole: «detto Fondo» sono sostituite dalle seguenti: «detti Fondi».


 

 

L'articolo in esamereca alcune modifiche all'art. 2 della legge n. 898 del 1986[91] estendendo la disciplina sanzionatoria ivi prevista per l'indebito conseguimento dei contributi o delle erogazioni a carico del “Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia” anche ai medesimi fatti commessi in danno dei due fondi di nuova istituzione, il “Fondo europeo agricolo di garanzia” (FEAGA) ed il “Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale” (FEASR).

L’importo al di sotto del quale si applica la sola sanzione amministrativa, sinora espresso in lire, viene quindi convertito in euro sostituendo la cifra di lire 7.745.000 con quella di euro 3.999,96, in conformità anche a quanto previsto dall'art. 316-ter del codice penale per il reato di “Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato”.

Le modifiche introdotte sono dirette ad adeguare la disciplina sanzionatoria nazionale alle modifiche apportate alla disciplina dei fondi europei dal Regolamento (CE) n. 1290/2005 del Consiglio relativo al finanziamento della politica agricola comune.

Detto regolamento, più volte modificato, ha istituito un quadro giuridico unico per il finanziamento delle spese connesse alla politica agricola comunitaria scaturita dalla riforma del 2003 e ormai diretta alla realizzazione non solo di una politica di sostegno dei mercati agricoli, che costituisce il primo pilastro, ma anche delle misure di sviluppo rurale che costituiscono il secondo pilastro. A tale scopo il regolamento ha istituito due nuovi fondi, il Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) per le spese relative al primo pilastro ed il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) diretto al sostegno del secondo pilastro, in sostituzione del precedente unico Fondo europeo agricolo articolato nelle due sezioni di “garanzia”, per le politiche di mercato, e di “orientamento” riservato agli interventi sulle strutture agricole.

L'art. 2 della legge 898 del 1986, oggetto di modifica, prevede che, ove il fatto non costituisca più grave reato previsto dall'articolo 640-bis del codice penale, chiunque consegua indebitamente aiuti, premi, indennità, restituzioni, contributi o altre erogazioni a carico totale o parziale del vecchio Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (FEOGA) sia punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Nel caso le somme indebitamente percepite siano pari od inferiori a lire 7.745.000 è prevista solo l'applicazione di una sanzione amministrativa. Agli effetti di queste disposizioni sono assimilate alle erogazioni del FEOGA le quote nazionali previste dalla normativa comunitaria a complemento delle somme a carico di detto Fondo, nonché le erogazioni poste a totale carico della finanza nazionale sulla base della normativa comunitaria.

Con la sentenza il giudice determina anche l'importo indebitamente percepito e condanna il colpevole alla restituzione di tale importo all'amministrazione che ha disposto l'erogazione.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 7 marzo 2009 è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea il regolamento (CE) n. 182/2009che modifica il regolamento (CE) n. 1019/2002 relativo alle norme di commercializzazione dell'olio di oliva.

In particolare, la nuova disciplina rende obbligatoria l’indicazione dell’origine per l’olio d’oliva extra vergine e l'olio d'oliva vergine. Le nuove norme si applicano dal 1° luglio 2009.

 

 


Art. 16

 

(Modifiche alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio in attuazione della direttiva 79/409/CEE)

 

 


1. All’articolo 1 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, sono apportate le seguenti modificazioni:

 

a) dopo il comma 2 è inserito il seguente:

«2-bis. Lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano si adoperano, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, per mantenere o adeguare le popolazioni delle specie di uccelli di cui all’articolo 1 della direttiva 79/409/CEE ad un livello corrispondente alle esigenze ecologiche, scientifiche e culturali, tenendo conto delle esigenze economiche e ricreative secondo i dettami della “Guida alla disciplina della caccia nell’ambito della direttiva 79/409/CEE sulla conservazione degli uccelli selvatici“ della Commissione europea quale documento di orientamento relativo alla caccia per un prelievo praticato in forma sostenibile, a norma della direttiva 79/409/CEE del Consiglio e delle modifiche in prosieguo proposte, nel rispetto del testo della direttiva e dei princìpi generali sui quali si basa la legislatura comunitaria nella specifica materia.»;

b) dopo il comma 7 è aggiunto, in fine, il seguente:

«7-bis. Il Ministro per le politiche europee, di concerto con i Ministri interessati, trasmette alla Commissione europea tutte le informazioni a questa utili al fine di coordinare le ricerche e i lavori riguardanti la protezione, la gestione e la utilizzazione delle specie di uccelli di cui all’articolo 1 della direttiva 79/409/CEE, nonché quelle sull’applicazione pratica della presente legge, limitatamente a quanto previsto dalla direttiva 79/409/CEE».

2. Al comma 2 dell’articolo 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, il primo periodo è sostituito dal seguente: «I termini di cui al comma 1 possono essere modificati per determinate specie in relazione alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali, anche al fine di garantire la tutela delle specie di uccelli di cui all’articolo 1 della direttiva 79/409/CEE nel periodo di nidificazione e durante le fasi di riproduzione e di dipendenza e, nei confronti delle specie migratrici, durante il periodo di riproduzione e durante il ritorno al luogo di nidificazione.».

3. Al comma 2 dell’articolo 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, il terzo periodo è sostituito dal seguente: «I termini devono comunque garantire il rispetto della direttiva 79/409/CEE per le specie in essa tutelate».

4. Al comma 3 dell’articolo 20 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e, per quanto concerne le specie di uccelli che non vivono naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri dell’Unione europea, previa consultazione della Commissione europea».

5. All’articolo 21, comma 1, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) alla lettera o), sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «; distruggere o danneggiare deliberatamente nidi e uova, nonché disturbare deliberatamente le specie protette di uccelli, fatte salve le deroghe e le attività venatorie previste dalla presente legge»;

b) alla lettera bb), dopo le parole: «detenere per vendere» sono inserite le seguenti: «trasportare per vendere,».

 


 

 

L'articolo 16, modificato nel corso dell’esame al Senato, rivede la legge n. 157 del 1992, recante norme per la tutela della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, c.d. legge sulla caccia, al fine di adeguarla, come afferma la relazione illustrativa, alla direttiva 79/409/CE del Consiglio e superare le censure formulate dalla Commissione europea nel parere motivato adottato il 28 giugno 2006 nell'ambito della procedura d’infrazione 2006/2131 (v. infra).

Con il comma 1, lettera a), si aggiunge dopo il comma 2 dell'art. 1 della citata legge n. 157 del 1992 un ulteriore comma ove si prevede, parafrasando in parte l’articolo 2 della direttiva 79/409/CE, che lo Stato, le Regioni e le province autonome, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, si adoperino per assicurare un livello della popolazione della fauna selvatica corrispondente alle esigenze ecologiche, scientifiche e culturali, tenendo conto degli aspetti economici e ricreativi; le iniziative in materia dovranno peraltro seguire i dettami della Guida alla disciplina della caccia nell’ambito della direttiva 79/409/CEE sulla conservazione degli uccelli, pubblicata dalla Commissione nel febbraio 2008, che assume la veste di documento di orientamento per un prelievo praticato in forma sostenibile.

Secondo la relazione al disegno di legge la modifica consentirebbe di superare la censura, contenuta nel parere motivato del giugno 2006, circa il mancato recepimento dell’articolo 2 della direttiva 79/409/CE.

La relazione precisa, altresì, che le attività che eventualmente si renderà necessario intraprendere a tal fine saranno poste in essere utilizzando gli ordinari stanziamenti di bilancio e che esse consisteranno in misure di ripopolamento o di reintroduzione ovvero di miglioramento ambientale in relazione alle specie che si renderà necessario adeguare.

Si segnala che con accordo sottoscritto il 12 ottobre 2004, nel quadro dell’Iniziativa per la caccia sostenibile (ICS) della Commissione europea, la Federazione delle associazioni di caccia e conservazione della fauna selvatica dell’UE - FACE (Federation of Associations for Hunting and Conservation of the EU) e il BirdLife International hanno convenuto di attribuire importanza prioritaria all’applicazione della direttiva uccelli secondo le indicazioni contenute nella Guida.

Con la lettera b) del comma 1 viene inserito dopo il comma 7 dell'art. 1 della citata legge n. 157 del 1992 un comma aggiuntivo ove si prevede che il Ministro per le politiche europee, di concerto con i Ministri interessati, trasmetta alla Commissione europea tutte le informazioni utili per le ricerche riguardanti la protezione, la gestione e l'utilizzazione della fauna selvatica, nonché quelle sull’applicazione pratica della legge.

La modifica è volta, come precisato nella relazione che accompagna il disegno di legge in esame, a superare la censura circa il mancato recepimento della direttiva 79/409/CE nella parte in cui impone agli Stati membri l’obbligo di trasmettere alla Commissione europea tutte le informazioni utili per coordinare le ricerche e i lavori riguardanti la protezione, la gestione e l’utilizzazione della fauna selvatica, nonché quelle sull’applicazione pratica della legislazione nazionale.

Si ricorda che la direttiva 79/409/CE del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici prevede, all'art. 10, che gli Stati membri incoraggino le ricerche e i lavori necessari per la protezione, la gestione e l'utilizzazione della popolazione di tutte le specie di uccelli previste dalla direttiva e che, tra l'altro, gli Stati membri trasmettano alla Commissione tutte le informazioni ad essa necessarie per prendere misure appropriate per coordinare le ricerche e i lavori svolti in tale settore.

Il comma 2 ed il comma 3 (quest’ultimo introdotto durante l’esame al Senato) dell’articolo in esame modificano l'art. 18 della legge n. 157 del 1992, che individua le specie cacciabili per periodi di attività venatoria, sostituendo il primo ed il terzo periodo del comma 2. Il testo proposto continua a consentire alle regioni di modificare il calendario stabilito dal primo comma (in dipendenza delle diverse realtà territoriali), eliminando tuttavia il vincolo (attuale terzo periodo del comma 2 dell’art. 18) in base al quale” i termini devono essere comunque contenuti tra il 1° settembre ed il 31 gennaio dell’anno nel rispetto dell’arco temporale massimo indicato al comma 1”. La nuova formulazione stabilisce invece che i diversi termini per l’esercizio della caccia debbano anche garantire la tutela delle diverse specie durante il periodo della nidificazione o durante le fasi della riproduzione e della dipendenza, ovvero, per quanto concerne le specie migratrici, durante il periodo della riproduzione e il ritorno al luogo di nidificazione, e debbono in ogni caso garantire il rispetto della direttiva 79/409/CEE (così il nuovo terzo periodo).

L'articolo 18 della legge n. 157 del 1992, nel testo attualmente vigente, definisce gli orari e giorni in cui la caccia è consentita ed individua le specie che sono cacciabili.

L'art. 18 fissa il calendario venatorio per le varie specie, ripartendole in quattro gruppi:

-        le specie che possono essere cacciate a partire dalla terza domenica di settembre al 31 dicembre ( in particolare, fra le altre, quaglie, pernici e lepri);

-        quelle che possono essere cacciate dalla terza domenica di settembre al 31 gennaio ( in particolare, fra le altre, fagiani, beccacce e anatre);

-        quelle che possono essere cacciate tra il 10 ottobre e il 30 novembre (in particolare, fra le altre, camoscio, capriolo, cervo, daino e muflone);

-        il cinghiale non può essere cacciato che fra il 10 ottobre e il 31 dicembre o fra il 10 novembre e il 31 gennaio. La caccia è vietata quando il terreno sia coperto dal manto nevoso.

Il comma 2 dell’art. 18 consente tuttavia alle regioni di modificare il calendario nazionale, previo parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, nonché di vietare la caccia per determinate specie, in relazione “alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali”, ovvero alla densità della fauna presente sul proprio territorio, per ragioni climatiche particolari, o per motivi sanitari. Resta tuttavia l'obbligo di contenere i termini tra il 1° settembre ed il 31 gennaio e per l’arco massimo temporale stabilito al primo comma. L'autorizzazione regionale è peraltro condizionata alla preventiva predisposizione di adeguati piani faunistico-venatori (così il terzo ed il quarto periodo attualmente in vigore).

Ogni regione è tenuta alla pubblicazione del calendario venatorio entro il 15 giugno di ogni anno, accompagnato dalla determinazione del numero di animali che possono essere abbattuti per ogni giorno di caccia (comma 4).

La legge nazionale stabilisce che la caccia sia vietata nei giorni di martedì e di venerdì demandando alle regioni di scegliere i giorni della settimana durante i quali è possibile cacciare, purché in numero non superiore a tre (comma 5); a tali ultime disposizioni tuttavia, fermo restando l’obbligo di silenzio venatorio nei giorni di martedì e venerdì, le regioni possono derogare secondo le consuetudini locali per la caccia agli uccelli migratori, che si svolge dal 10 ottobre al 30 novembre (comma 6).

La caccia, secondo la legge nazionale, è consentita da un'ora prima del sorgere del sole fino al tramonto, ma la caccia di selezione per gli ungulati è consentita fino ad un'ora dopo il tramonto.

Le singole regioni determinano l'orario di caccia giornaliero facendo riferimento a periodi di quindici giorni.

Il comma 4 modifica il comma 3 dell’articolo 20 della legge n. 157 del 1992, richiedendo che l'introduzione dall'estero della fauna selvatica, che, si ricorda, è consentita a scopo di miglioramento genetico, possa avvenire dietro autorizzazione, nel rispetto non solo delle convenzioni internazionali, ma anche secondo la modifica introdotta previa consultazione della Commissione europea. La modifica dovrebbe ovviare alla censura contenuta nel parere motivato del giugno 2006 relativa alla non completa trasposizione dell’articolo 11 della direttiva.

Il comma 5 modifica l'art. 21, comma 1, della legge n. 157, inserendo espressamente il divieto di distruzione e danneggiamento deliberato dei nidi e delle uova ed il divieto di disturbare deliberatamente le specie di uccelli protette, fatte salve le deroghe previste dalla stessa legge n. 157, nonché il divieto di trasporto per la vendita, con ciò recependo quanto stabilito dagli artt. 5 e 6, paragrafo 1, della direttiva uccelli.

L'articolo 21 della legge n. 157 del 1992 prevede un'ampia enumerazione di divieti di caccia, divieti già in parte enunciati nell’articolo 5 della legge stessa, ma che sono fondamentalmente contemplati nell’articolo 21. Peraltro, il dettagliato elenco di cui al comma 1 è volto non solo ad assicurare la salvaguardia della selvaggina o ad evitarle sofferenze particolari, ma anche a garantire condizioni generali di sicurezza, tranquillità e incolumità delle persone, nonché l’integrità delle strutture pubbliche.

E' vietato, tra l'altro: alla lettera o), prendere e detenere uova, nidi e piccoli nati di mammiferi e uccelli appartenenti alla fauna selvatica. Ciò è possibile solo per cattura temporanea e inanellamento.da parte degli istituti scientifici delle università o, in talune zone, per sottrarli a sicura distruzione o morte, previo avviso all'autorità competente; alla lettera bb) vendere, detenere per vendere, acquistare uccelli vivi o morti, nonché loro parti o prodotti derivati facilmente riconoscibili, appartenenti alla fauna selvatica, che non appartengano alle seguenti specie: germano reale (anas platyrhynchos); pernice rossa (alectoris rufa); pernice di Sardegna (alectoris barbara); starna (perdix perdix); fagiano (phasianus colchicus); colombaccio (columba palumbus).

Va segnalato che presso il Senato sono stati presentati numerosi disegni di legge di totale revisione della legge n. 157 che, dopo essere stati esaminati congiuntamente dalla XIII Commissione (Territorio, ambiente, beni ambientali) in una prima seduta tenutasi il 22 ottobre 2008, sono confluiti in un testo unificato proposto dal relatore nella seduta dell’11 marzo 2009.

Procedure di contenzioso

Il 22 dicembre 2008 la Commissione europea ha presentato un ricorso alla Corte di giustizia delle Comunità europee (procedura n. 2006/2131, causa C-573/08) sostenendo che la “legislazione italiana non costituisce recepimento completo e conforme della direttiva 79/409/CEE”, concernente la conservazione degli uccelli selvatici.

In particolare, risulterebbero non recepiti, o trasposti in modo non conforme, i seguenti articoli della direttiva:

·       articolo 2 (misure necessarie per mantenere o adeguare la popolazione di tutte le specie di uccelli selvatici): non recepito;

·       articolo 3 (misure necessarie per preservare , mantenere o ristabilire , per tutte le specie di uccelli selvatici una varietà e una superficie di habitat): recepimento non conforme derivato dal mancato recepimento dell'articolo 2;

·       articolo 4, paragrafo 4 (misure idonee a prevenire, nelle zone di protezione, l'inquinamento o il deterioramento degli habitat): non recepito;

·       articolo 5 (misure necessarie per instaurare un regime generale di protezione di tutte le specie di uccelli selvatici): non sono recepiti il divieto di distruzione e danneggiamento deliberato dei nidi e delle uova nonché il divieto di disturbo deliberato degli uccelli protetti dalla direttiva;

·       articolo 6 (misure riguardanti la vendita, il trasporto e la detenzione per la vendita): non è recepito il divieto di trasporto per la vendita;

·       articolo 7, paragrafo 4: recepimento non completo (nella legislazione italiana la suddivisione temporale per periodi di attività venatoria non prevede il divieto di caccia durante il periodo di nidificazione e riproduzione, in particolare quando si tratta di specie migratrici; non risulta inoltre recepito l'obbligo di trasmettere alla Commissione le informazioni utili sull'applicazione pratica della legislazione sulla caccia);

·       articolo 9: recepimento non conforme a livello statale (i controlli di legittimità delle deroghe sono inefficaci e intempestivi); recepimento e applicazione non conforme a livello regionale (Abruzzo, Lazio, Toscana, Lombardia, Emilia Romagna, Marche, Calabria e Puglia);

·       articolo 10, paragrafo 2: recepimento non completo (manca l'obbligo di trasmettere alla Commissione le informazioni necessarie per coordinare le ricerche e i lavori per la protezione, la gestione e l'utilizzazione delle popolazioni di uccelli protetti dalla direttiva);

·       articolo 11: recepimento non completo (non è previsto l'obbligo di consultare la Commissione in materia di introduzione di specie esotiche);

·       articolo 13 (misure per evitare il deterioramento della situazione attuale per quanto riguarda la conservazione degli uccelli selvatici): non recepito;

·       articolo 18, paragrafo 2: mancata comunicazione delle autorità italiane dei testi regionali in materia di caccia per le regioni Lazio, Lombardia, Toscana e Puglia.

Il 29 giugno 2006 la Commissione europea ha deferito l’Italia alla Corte di giustizia delle Comunità europee (procedure n. 2004/4242 e 2004/4926) per violazione della direttiva 79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici da parte della legislazione regionale di Sardegna e Veneto. La normativa regionale del Veneto e della Sardegna, infatti, non prevedrebbe alcun meccanismo di controllo nei casi in cui la cattura o l'uccisione di uccelli tutelati dalla direttiva sia autorizzata per motivi eccezionali. La Commissione ritiene che la mancanza di tale meccanismo porti alla cattura e all'uccisione di un numero troppo elevato di uccelli.

 


Art. 17

 

(Disposizioni per il parziale recepimento della direttiva 2007/61/CE che modifica la direttiva 2001/114/CE relativa a taluni tipi di latte conservato parzialmente o totalmente disidratato destinato all’alimentazione umana)

 

 

1. L’articolo 2 del decreto legislativo 20 febbraio 2004, n. 49, di attuazione della direttiva 2001/114/CE del Consiglio, del 20 dicembre 2001, relativa a taluni tipi di latte conservato parzialmente o totalmente disidratato destinato all’alimentazione umana, è abrogato.

 

 

L'articolo in esameabroga l'art. 2 del decreto legislativo n. 49 del 2004[92], che consente l'aggiunta di vitamine nella produzione di alcuni tipi di latte conservato, parzialmente o totalmente disidratato, destinati all'alimentazione umana.

Mediante tale abrogazione – come evidenziato dalla relazione illustrativa – viene parzialmente attuata la direttiva 2007/61/CE del Consiglio, del 26 settembre 2007, che, a seguito dell’approvazione del regolamento 1925/2006 concernente l'aggiunta di vitamine e minerali e di talune altre sostanze agli alimenti, ha modificato la direttiva 2001/114/CE recante norme comuni per la composizione, le caratteristiche di fabbricazione e l'etichettatura dei menzionati tipi di latte destinati all'alimentazione, sopprimendo l’articolo 2 che consentiva agli Stati membri di autorizzare l'aggiunta di vitamine.

Le restanti modifiche, apportate alla direttiva 2001/114/CE dalla direttiva 2007/61/CE, incidono sulla denominazione e definizione dei prodotti e poiché richiedono un adeguamento tecnico delle norme interne saranno recepite con semplici provvedimenti amministrativi.

La direttiva 2001/114/CE del Consiglio, del 20 dicembre 2001, definisce e classifica i seguenti prodotti che rientrano nel suo campo di applicazione:

§       il latte parzialmente disidratato (zuccherato o meno);

§       il latte totalmente disidratato (contenente differenti percentuali di materie grasse).

Per tali prodotti la direttiva enuncia anche una lista di denominazioni particolari utilizzate in alcuni Paesi.

La direttiva prevede che l'etichetta riporti, a fianco della denominazione di vendita, la percentuale di materie grasse e la percentuale di estratto secco sgrassato derivante dal latte. L'etichetta del latte totalmente disidratato deve riportare indicazioni per la diluizione o la ricostruzione del prodotto e spiegare chiaramente che esso non è destinato all'alimentazione dei minori di dodici mesi.

La direttiva 2001/114/CE è stata in seguito modificata dal regolamento (CE) n. 1925/2006, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, che ha stilato un elenco armonizzato di vitamine, sostanze minerali e altre sostanze, come fibre e acidi grassi essenziali, che possono essere aggiunte volontariamente dai fabbricanti di derrate alimentari, stabilendo che possono essere utilizzate soltanto le sostanze presenti nell'elenco. Le vitamine e i minerali contenuti negli integratori alimentari restano al di fuori del campo di applicazione del regolamento.

Tuttavia, gli Stati membri hanno la possibilità di autorizzare sul loro territorio talune sostanze non incluse nell'elenco per un periodo transitorio di sette anni a partire dalla data di entrata in vigore del regolamento. Per ottenere questa deroga è necessario, tra l'altro, che l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) non si sia pronunciata contro la sostanza in questione e che essa sia stata utilizzata negli alimenti al più tardi alla data di entrata in vigore del regolamento.

Il regolamento si applica senza pregiudizio delle disposizioni concernenti:

§       alimenti destinati a una alimentazione particolare;

§       nuovi alimenti e nuovi ingredienti alimentari;

§       alimenti OGM;

§       additivi e aromi;

§       pratiche e trattamenti enologici.

Vengono dettate disposizioni anche relativamente all'etichettatura dei prodotti: l'indicazione nutrizionale di vitamine, sostanze minerali e alcuni altri prodotti aggiunti agli alimenti è obbligatoria. Le informazioni che devono essere incluse nell'etichetta sono le seguenti:

-        quantità complessiva di vitamine e di minerali aggiunti;

-        quantità di proteine, di glucidi, di zuccheri, di lipidi, d'acidi grassi saturi, di fibre alimentari e di sodio;

-        valore energetico del prodotto;

-        limiti massimi e minimi.

Il regolamento prevede, inoltre, dei limiti massimi di minerali e vitamine che possono essere aggiunti agli alimenti. Le quantità massime tengono conto dei limiti di sicurezza stabiliti dall'autorità europea di sicurezza degli alimenti, degli apporti in vitamine e minerali provenienti da altre fonti alimentari e delle quantità raccomandate alla popolazione. Vengono inoltre dettati divieti e limitazioni di uso.

Il Regolamento 1925/2006 è stato successivamente modificato in alcune sue parti dal Regolamento (CE) n. 108/2008, del Parlamento europeo e del Consiglio.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 15 gennaio 2009 il Commissario per l'agricoltura, Mariann Fischer Boel, ha annunciato la reintroduzione delle restituzioni all'esportazione per il burro, il formaggio e il latte in polvere, intero e scremato, per far fronte alla crisi del settore lattiero-caseario. La Commissione s'impegna ad acquistare, se necessario, quantità maggiori di quelle che verranno stabilite mediante regolari gare d'appalto.

L'acquisto di burro e latte scremato in polvere è ripreso dunque il 1° marzo e rimarrà in vigore fino alla fine di agosto. Fin da marzo 2009 inizieranno gli acquisti al prezzo di intervento di burro e latte scremato in polvere.

Con l'aumento dell'offerta nel mercato mondiale e la riduzione della domanda nel mercato interno, i prezzi dei prodotti lattiero-caseari sono stati spinti al ribasso, vicino se non addirittura sotto ai livelli d'intervento. Il prezzo pagato ai produttori lattieri segue la stessa evoluzione e ai netti cali già registrati ne seguiranno probabilmente altri.

Procedure di contenzioso

Il 30 settembre 2008 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura n. 2008/0680) per mancato recepimento della direttiva 2007/61/CE che modifica la direttiva 2001/114/CE relativa a taluni tipi di latte conservato parzialmente o totalmente disidratato destinato all’alimentazione umana.

Il termine di recepimento della direttiva era il 31 agosto 2008.

 


Art. 18

 

(Disposizioni per l’attuazione della direttiva 2008/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2008)

 

 


1. All’elenco A della legge 16 aprile 1987, n. 183, le parole: «84/539 Direttiva del Consiglio del 17 settembre 1984 per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli apparecchi elettrici utilizzati in medicina umana e veterinaria» sono soppresse.

 

2. Il decreto del Ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie 28 novembre 1987, n. 597, recante attuazione della direttiva 84/539/CEE del Consiglio, del 17 settembre 1984, relativa agli apparecchi elettrici utilizzati in medicina umana e veterinaria, è abrogato.

 


 

L’articolo 18 abroga le norme interne che hanno dato attuazione alla direttiva 84/539/CEE[93] del Consiglio, del 17 settembre 1984, concernente gli apparecchi elettrici impiegati in medicina umana e veterinaria. Si tratta, più in particolare, del decreto ministeriale 28 novembre 1987, n. 597[94] e del riferimento alla citata direttiva contenuto nell’Elenco A allegato alla legge 16 aprile 1987, n. 183[95].

In tal modo, le disposizioni in esame danno attuazione alla direttiva 2008/13/CE[96] del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2008, la quale ha disposto l’abrogazione della citata direttiva 84/539/CEE a decorrere dal 31 dicembre 2008.

Nella premessa della direttiva 2008/13/CE, infatti, si osserva che le prescrizioni contenute nelle norme abrogate non appaiono più necessarie e che il funzionamento del mercato interno e la protezione delle persone fisiche e degli animali possono essere garantiti in misura maggiore mediante altre disposizioni comunitarie.

 

Procedure di contenzioso

Il 29 gennaio 2009 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura n. 2009/0070) per mancato recepimento della direttiva 2008/13/CE che abroga la direttiva 84/539/CEE per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli apparecchi elettrici utilizzati in medicina veterinaria.

Il termine per il recepimento della direttiva era fissato al 31 dicembre 2008.

 


Art. 19

 

(Modifiche al decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269, recante attuazione della direttiva 1999/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 1999, riguardante le apparecchiature radio e le apparecchiature terminali di telecomunicazione e il reciproco riconoscimento della loro conformità)

 

 

1. Il comma 4 dell’articolo 13 del decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269, è sostituito dal seguente:

«4. Ciascun apparecchio è contraddistinto dal fabbricante mediante l’indicazione del modello, del lotto e/o dei numeri di serie e del nome del fabbricante o della persona responsabile dell’immissione sul mercato.».

 

L’articolo in esame intende apportare una modifica alla normativa in materia di marcatura CE delle apparecchiature radio e delle apparecchiature terminali di telecomunicazione di cui al comma 4 dell’art. 13 del d.lgs. 269/2001.

Più specificamente la novella impone che ciascun apparecchio venga contraddistinto dal fabbricante mediante l’indicazione del modello, del lotto e, in aggiunta ovvero in alternativa, dei numeri di serie e del nome del fabbricante o della persona responsabile dell’immissione sul mercato.

L’articolo 13 del decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269 (Attuazione della direttiva 1999/5/CE riguardante le apparecchiature radio, le apparecchiature terminali di telecomunicazione ed il reciproco riconoscimento della loro conformità) prescrive che un apparecchio conforme ai requisiti essenziali pertinenti sia contraddistinto dalla marcatura CE di conformità che viene apposta sotto la responsabilità del fabbricante, del suo rappresentante autorizzato nell'Unione europea o della persona responsabile dell'immissione sul mercato dell'apparecchio. Le apparecchiature radio sono, inoltre, accompagnate dall'identificatore della categoria rispettiva, ove ne sia stato assegnato uno. È consentito apporre sull'apparecchiatura altre marcature, purché non riducano la visibilità e la leggibilità della marcatura CE di conformità. Nessun apparecchio, sia esso conforme o meno ai requisiti essenziali pertinenti, può recare marchi idonei a trarre in inganno i terzi quanto al significato e alla forma della marcatura CE; in caso contrario, spetta al Ministero delle comunicazioni (oggi Dipartimento presso il Ministero delle Attività Produttive) adottare i provvedimenti necessari per ritirare detto apparecchio dal mercato o dal servizio, proibirne l'immissione sul mercato o la messa in servizio o limitarne la libera circolazione. Se non è possibile identificare la persona che ha apposto la marcatura, il provvedimento può essere adottato nei riguardi di chi deteneva l'apparecchio al momento in cui è stata riscontrata la non conformità.

Il comma 4 dell’art. 13 del d.lgs. 269/2001, oggetto della modifica in commento, prescrive, nel testo vigente, che i dati relativi al modello, al lotto, ai numeri di serie e al nome del fabbricante o della persona responsabile dell’immissione sul mercato devono essere tutti necessariamente indicati su ciascun apparecchio.


Art. 20

 

(Modifiche al codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206)

 

 


1. Al codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 67, comma 6, le parole: «conformemente alle disposizioni di cui al presente articolo» sono sostituite dalle seguenti: «conformemente alle disposizioni di cui alla presente sezione»;

b) l’articolo 144-bis è sostituito dal seguente:

«Art.144-bis. - (Cooperazione tra le autorità nazionali per la tutela dei consumatori). – 1. Il Ministero dello sviluppo economico, salve le disposizioni in materia bancaria, finanziaria, assicurativa e di sistemi di pagamento e le competenze delle autorità indipendenti di settore, che continuano a svolgere le funzioni di autorità competente ai sensi dell’articolo 3, lettera c), del regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004, nonché le disposizioni vigenti nelle ulteriori materie per le quali è prevista la competenza di altre autorità nazionali, svolge le funzioni di autorità competente, ai sensi del medesimo articolo 3, lettera c), del citato regolamento (CE) n. 2006/2004, in materia di:

a) servizi turistici, di cui alla parte III, titolo IV, capo II;

b) clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, di cui alla parte III, titolo I;

c) garanzia nella vendita dei beni di consumo, di cui alla parte IV, titolo III, capo I;

d) credito al consumo, di cui alla parte III, titolo II, capo II, sezione I;

e) commercio elettronico, di cui alla parte III, titolo III, capo II;

f) contratti negoziati fuori dai locali commerciali, di cui alla parte III, titolo III, capo I, sezione I;

g) contratti a distanza, di cui alla parte III, titolo III, capo I, sezione II;

h) contratti relativi all’acquisizione di un diritto di godimento ripartito di beni immobili, di cui alla parte III, titolo IV, capo I.

2. Il Ministero dello sviluppo economico esercita tutti i poteri di cui al citato regolamento (CE) n. 2006/2004, nelle materie di cui al comma 1, anche con riferimento alle infrazioni lesive degli interessi collettivi dei consumatori in ambito nazionale.

3. Per lo svolgimento dei compiti di cui ai commi 1 e 2, il Ministero dello sviluppo economico può avvalersi delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, nonché del Corpo della Guardia di finanza che agisce con i poteri ad esso attribuiti per l’accertamento dell’imposta sul valore aggiunto e delle imposte sui redditi. Può inoltre definire forme di collaborazione con altre pubbliche amministrazioni. Limitatamente ai poteri di cui all’articolo 139, può avvalersi delle associazioni dei consumatori e degli utenti di cui all’articolo 137.

4. Ferme restando la disciplina sanzionatoria in materia di indicazione dei prezzi di cui all’articolo 17 del presente codice e le disposizioni di cui all’articolo 22, comma 3, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, ai fini dell’applicazione del regolamento (CE) n. 2006/2004 il Ministero dello sviluppo economico, per lo svolgimento delle funzioni di cui al comma 1, può avvalersi, in particolare, dei comuni.

5. Le procedure istruttorie relative ai poteri di cui al comma 2, nonché relativamente all’applicazione delle sanzioni di cui ai commi 6 e 7, sono stabilite con regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera d), della legge 23 agosto 1988, n. 400, in modo da garantire il contraddittorio, la piena cognizione degli atti e la verbalizzazione.

6. Nei casi di rifiuto, omissione o ritardo, senza giustificato motivo, di esibire i documenti o di fornire le informazioni richieste, nell’ambito delle proprie competenze, dal Ministero dello sviluppo economico, riguardanti fattispecie di infrazioni nazionali o intracomunitarie, nonché nel caso in cui siano esibiti documenti o fornite informazioni non veritiere, si applicano le sanzioni di cui all’articolo 27, comma 4.

7. Nei casi di inottemperanza ad impegni assunti nei confronti del Ministero dello sviluppo economico dai soggetti interessati, per porre fine a infrazioni nazionali o intracomunitarie, si applicano le sanzioni di cui all’articolo 27, comma 12.

8. Ai sensi degli articoli 3, lettera c), e 4, del citato regolamento (CE) n. 2006/2004, in materia di pratiche commerciali scorrette di cui alla parte II, titolo III, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 27, commi 1 e 2, in relazione alle funzioni di autorità competente attribuite all’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Per i profili sanzionatori, nell’ambito delle proprie competenze, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato provvede ai sensi dell’articolo 27.

9. Il Ministero dello sviluppo economico designa l’ufficio unico di collegamento responsabile dell’applicazione del citato regolamento (CE) n. 2006/2004.».

2. Alle attività e agli adempimenti di cui all’articolo 144-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, come sostituito dal comma 1, lettera b), del presente articolo, si provvede nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

 

L’articolo 20 reca due modifiche al Codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206.

La normativa in materia di tutela dei consumatori è stata riordinata e raccolta nel cd. Codice del consumo (decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206)emanato in attuazione della delega contenuta nell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229 (recante Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e semplificazione – Legge di semplificazione 2001). Il Codice è intervenuto su di un tessuto normativo costituito da provvedimenti di recepimento di direttive comunitarie, da norme del Codice civile (artt. 1496-bis e seguenti, in tema di clausole abusive, e 1519-bis e seguenti, in tema di vendita di beni mobili di consumo) e da numerosi atti di diverso rango legislativo, formalmente non coordinati con la principale legge di riferimento, la legge 30 luglio 1998, n. 281 (recante Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti), con la quale si era provveduto all’introduzione di una disciplina generale dei principi che presiedono alla tutela dei consumatori, definendo una carta dei diritti dei consumatori e degli utenti[97]. Il Codice del consumo reca, quindi, una disciplina organica in materia di tutela dei consumatori, coordinata con la normativa comunitaria e diretta alla semplificazione normativa sia sul piano quantitativo, attraverso l’unificazione redazionale di numerosi provvedimenti legislativi, che su quello qualitativo dell’unificazione del linguaggio e della coerenza giuridica e sistematica delle norme. Dopo due anni dalla sua emanazione, il Codice ha subito alcune significative modifiche ed integrazioni, dapprima per dare attuazione agli obblighi comunitari di cui alla direttiva 2005/29/CE in materia di pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori (recepita all'interno del Codice con il decreto legislativo n. 146 del 2 agosto 2007[98]), e successivamente per adeguarlo alle Disposizioni correttive ed integrative adottate con il decreto legislativo n. 221 del 23 ottobre 2007, che ha anche provveduto a convogliare nel Codice del consumo le disposizioni di attuazione della direttiva 2002/65/CE in materia di commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori, precedentemente recate dal decreto legislativo n. 190/2005 (di cui si è prevista contestualmente l’abrogazione).

La prima modifica introdotta dal comma 1, lett. a), concerne l’articolo 67, comma 6, del predetto Codice e consiste nella correzione di un rinvio ivi contenuto alle disposizioni di cui «al presente articolo» (riferito all’esercizio del diritto di recesso in materia di contratti a distanza ), che risulta superato a seguito dell’intervento di codificazione.

Infatti, nel testo originario di recepimento della direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 1997, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza (recepito con il decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 185), tutte le disposizioni relative all’esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore erano contenute nel solo articolo 5 (articolato in più commi), mentre nel nuovo testo recato dal Codice del consumo le medesime disposizioni sono suddivise in più articoli raccolti in un’unica sezione. Tuttavia l’attuale articolo 67, comma 6, ha mantenuto l’originario riferimento “al presente articolo”, che non appare più corretto a seguito dell’intervento di codificazione.

Pertanto i riferimenti normativi contenuti nell’articolo 67, comma 6, devono essere opportunamente reindirizzati all’intera parte del decreto legislativo n. 206 del 2005 che disciplina il diritto di recesso, ossia alla sezione IV, capo I, titolo III della parte III del Codice del consumo stesso.

Con il comma 1, lett. b), viene integralmente sostituito l’articolo 144-bis del Codice del consumo (Cooperazione tra le autorità nazionali per la tutela dei consumatori), introdotto dall’articolo 19 della legge 6 febbraio 2007, n. 13 (legge comunitaria 2006).

Si ricorda brevemente che l’articolo 19 citato ha individuato nel Ministero dello sviluppo economico l’autorità pubblica nazionale competente per la cooperazione in materia di tutela dei consumatori[99]. A tal fine ha novellato il D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 recante il nuovo “Codice del consumo”, provvedendo ad inserire nella relativa parte VI un nuovo articolo, il 144-bische detta disposizioni in materia di “Cooperazione tra le autorità nazionali per la tutela dei consumatori”.

La relazione di accompagnamento del disegno di legge in esame precisa che la nuova formulazione tiene conto delle problematiche emerse nel corso del recepimento della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, che modifica la direttiva 84/450/CEE sulla pubblicità ingannevole, recepita con il decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 146, ed in particolare rappresentate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato e dalla Commissione europea, anche in ragione dell’ulteriore aggiornamento delle disposizioni di riferimento avvenuto con il decreto legislativo 23 ottobre 2007, n. 221, correttivo del Codice del consumo.

Nello specifico, ai sensi del comma 1del capoverso art. 144-bis, le competenze del Ministero dello sviluppo economico sono ridefinite, alla luce dell’entrata in vigore della disciplina sulle pratiche commerciali scorrette (decreti legislativi 2 agosto 2007, n. 145 e n. 146[100]), chiarendo che il predetto Ministero svolge la funzione di autorità competente, ai sensi dell'art. 3, lettera c) del regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004, e nell’ottica di una più efficiente attribuzione di funzioni, in materia: di servizi turistici, di cui alla parte III, titolo IV, capo II del Codice del consumo; di clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, di cui alla parte III, titolo I; di garanzia nella vendita dei beni di consumo, di cui alla parte IV, titolo III, capo I; di credito al consumo, di cui alla parte III, titolo II, capo II, sezione I; di commercio elettronico, di cui alla parte III, titolo III, capo II; di contratti negoziati fuori dai locali commerciali, di cui alla parte III, titolo III, capo I, sezione I; di contratti a distanza, di cui alla parte III, titolo III, capo I, sezione II; e di contratti relativi all’acquisizione di un diritto di godimento ripartito di beni immobili (attualmente in capo alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura), di cui alla parte III, titolo IV, capo I, ferme restando le attribuzioni in capo ai comuni ai sensi delle altre norme del codice (in particolare l’articolo 17) e delle disposizioni di cui all’articolo 22, comma 3, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (riforma del commercio).

Il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004, sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa che tutela i consumatori (Regolamento sulla cooperazione per la tutela dei consumatori), definisce (art. 1) le condizioni in base alle quali le autorità competenti dello Stato membro designate in quanto responsabili dell’esecuzione della normativa sulla tutela degli interessi dei consumatori collaborano fra di loro e con la Commissione al fine di garantire il rispetto della citata normativa e il buon funzionamento del mercato interno e al fine di migliorare la protezione degli interessi economici dei consumatori. All'art. 3, lett. c), viene precisato, tra l'altro, che per "autorità competente" s’intende qualsiasi autorità pubblica a livello nazionale, regionale o locale, con responsabilità specifiche per l’esecuzione della normativa sulla protezione degli interessi dei consumatori.

L'art. 22, comma 3, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 disciplina le sanzioni pecuniarie per le violazioni di cui agli artt. 11 (orario di apertura e chiusura degli esercizi commerciali); 14 (pubblicità dei prezzi); 15 (vendite straordinarie) e 26, comma 5 (obbligo di comunicazione ai comuni del trasferimento della gestione o della proprietà ovvero della cessazione di attività per gli esercizi di vicinato e per le strutture di vendita medie e grandi).

È chiarita inoltre la circostanza per la quale, con riferimento al regolamento comunitario (CE) n. 2006/2004, restano ferme le disposizioni sulle competenze per le autorità nazionali già previste dall’ordinamento, in particolare quelle che designano l'Autorità garante della concorrenza e del mercato come autorità competente in materia di pratiche commerciali scorrette[101].

Ai sensi del comma 2del capoverso art. 144-bis, il Ministero dello sviluppo economico esercita tutti i poteri di cui al citato regolamento (CE) n. 2006/2004, nelle materie di cui al comma 1, anche con riferimento alle infrazioni lesive degli interessi collettivi dei consumatori in ambito nazionale.

Il successivo comma 3dispone che per lo svolgimento dei compiti di cui ai commi 1 e 2, il Ministero dello sviluppo economico può avvalersi delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, nonché del Corpo della Guardia di finanza che agisce con i poteri ad esso attribuiti per l’accertamento dell’imposta sul valore aggiunto e delle imposte sui redditi. Può inoltre definire forme di collaborazione con altre pubbliche amministrazioni. Limitatamente ai poteri di cui all’articolo 139, può avvalersi delle associazioni dei consumatori e degli utenti di cui all’articolo 137.

Con l'art. 137 del decreto legislativo n. 206 del 2005 è istituito, presso il Ministero dello sviluppo economico, l'elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale. L'iscrizione è subordinata al possesso di una serie di requisiti, da comprovare con la presentazione di documentazione conforme alle prescrizioni e alle procedure stabilite con decreto del Ministro dello sviluppo economico, riguardanti: l'avvenuta costituzione da almeno tre anni; il possesso di uno statuto che sancisca un ordinamento a base democratica e preveda come scopo esclusivo la tutela dei consumatori e degli utenti, senza fine di lucro; un numero di iscritti non inferiore allo 0,5 per mille della popolazione nazionale e presenza sul territorio di almeno cinque regioni o province autonome, con un numero di iscritti non inferiore allo 0,2 per mille degli abitanti di ciascuna di esse; l'elaborazione di un bilancio annuale delle entrate e delle uscite; lo svolgimento di un'attività continuativa nei tre anni precedenti; il non avere i suoi rappresentanti legali subito alcuna condanna, passata in giudicato, in relazione all'attività dell'associazione medesima, e non rivestire i medesimi rappresentanti la qualifica di imprenditori o di amministratori di imprese di produzione e servizi in qualsiasi forma costituite, per gli stessi settori in cui opera l'associazione. L'elenco è aggiornato annualmente a cura del Ministero dello sviluppo economico, che lo comunica alla Commissione europea.

Ai sensi dell'art. 139 del Codice del consumo, le associazioni dei consumatori e degli utenti inserite nell'elenco di cui all'articolo 137 sono legittimate ad agire, ai sensi dell'articolo 140 (recante disposizioni di carattere procedurale), a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti. Oltre a quanto disposto dall'articolo 2, recante l'elencazione dei diritti dei consumatori, le dette associazioni sono legittimate ad agire nelle ipotesi di violazione degli interessi collettivi dei consumatori. Gli organismi pubblici indipendenti nazionali e le organizzazioni riconosciuti in altro Stato dell'Unione europea ed inseriti nell'elenco degli enti legittimati a proporre azioni inibitorie a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, possono inoltre agire, ai sensi dello stesso articolo 139 e secondo le modalità di cui all'articolo 140, nei confronti di atti o comportamenti lesivi per i consumatori del proprio Paese, posti in essere in tutto o in parte sul territorio dello Stato.

Con il comma 4si prevede che ai fini dell’applicazione del regolamento (CE) n. 2006/2004 il Ministero dello sviluppo economico, per lo svolgimento delle funzioni di cui al comma 1, possa avvalersi, in particolare, dei comuni. Resta comunque ferma la disciplina sanzionatoria in materia di indicazione dei prezzi, di cui all'articolo 17 del Codice del consumo.

L'art. 17 del Codice del consumo prevede che chiunque ometta di indicare il prezzo per unità di misura o non lo indichi secondo quanto previsto dalla sezione I (indicazione dei prezzi per unità di misura) del capo III del titolo II della parte I del Codice medesimo, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 1.000.000 (516 euro) a lire 6.000.000 (3.098 euro), come previsto dall'art. 22, comma 3 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, di riforma della disciplina relativa al settore del commercio.

Le procedure istruttorie relative ai poteri di cui al citato regolamento (CE) n. 2006/2004 attribuiti al Ministro dello sviluppo economico ai sensi del comma 2, nonché relativamente all’applicazione delle sanzioni di cui ai successivi commi 6 e 7, sono stabilite, ai sensi del comma 5, con regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera d), della legge 23 agosto 1988, n. 400, in modo da garantire il contraddittorio, la piena cognizione degli atti e la verbalizzazione.

L'art. 17 della legge n. 400 del 1998 contiene, al comma 1, l'elenco delle fattispecie che possono essere disciplinate da regolamenti adottati con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato. Tra tali fattispecie, alla lettera d), rientra l'organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge.

Da ultimo, con riferimento al tema delle sanzioni, sollevato, come riferisce la relazione di accompagnamento del disegno di legge in esame, anche dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, si prevedono apposite sanzioni per le violazioni del regolamento (CE) n. 2006/2004 (commi 6 e 7), necessarie per assicurare l’effettività dell’esercizio dei poteri da parte delle autorità nazionali competenti. In particolare:

§      si applicano le sanzioni di cui all’articolo 27, comma 4 (sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 20.000 euro, e da 4.000 euro a 40.000 euro qualora le informazioni o la documentazione fornite non siano veritiere) nei casi di rifiuto, omissione o ritardo, senza giustificato motivo, di esibire i documenti o di fornire le informazioni richieste, nell’ambito delle proprie competenze, dal Ministero dello sviluppo economico, riguardanti fattispecie di infrazioni nazionali o intracomunitarie, nonché nel caso in cui siano esibiti documenti o fornite informazioni non veritiere (comma 6);

§      si applicano le sanzioni di cui all’articolo 27, comma 12 (sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 150.000 euro e nei casi di reiterata inottemperanza sospensione dell'attività d'impresa per un periodo non superiore a trenta giorni) nei casi di inottemperanza ad impegni assunti nei confronti del Ministero dello sviluppo economico dai soggetti interessati, per porre fine a infrazioni nazionali o intracomunitarie (comma 7).

Con il comma 8, si dispone l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 27, commi 1 e 2 del Codice del consumo, in relazione alle funzioni di autorità competente attribuite all’Autorità garante della concorrenza e del mercato ai sensi degli articoli 3, lettera c), e 4 del citato regolamento (CE) n. 2006/2004 in materia di pratiche commerciali scorrette di cui alla parte II del titolo III del Codice medesimo. Per i profili sanzionatori, nell’ambito delle proprie competenze, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato provvede ai sensi dell’articolo 27, che contempla essenzialmente sia le sanzioni amministrative pecuniarie per la violazione delle disposizioni in materia di pratiche commerciali scorrette, sia la sospensione temporanea delle medesime attività commerciali scorrette.

Il comma 1 dell'articolo 27 del Codice di commercio assegna all'Autorità garante della concorrenza e del mercato le funzioni di autorità competente per l'applicazione del citato regolamento (CE) n. 2006/2004 in materia di pratiche commerciali scorrette. Ai sensi del comma 2, l'Autorità, d'ufficio o su istanza di ogni soggetto o organizzazione che ne abbia interesse, inibisce la continuazione delle pratiche commerciali scorrette e ne elimina gli effetti. A tale fine, l'Autorità si avvale dei poteri investigativi ed esecutivi di cui al citato regolamento comunitario, anche in relazione alle infrazioni non transfrontaliere. Per lo svolgimento dei compiti di cui al comma 1, l'Autorità può inoltre avvalersi della Guardia di finanza che agisce con i poteri ad essa attribuiti per l'accertamento dell'imposta sul valore aggiunto e dell'imposta sui redditi. L'intervento dell'Autorità è indipendente dalla circostanza che i consumatori interessati si trovino nel territorio dello Stato membro in cui è stabilito il professionista o in un altro Stato membro.

Il Ministero dello sviluppo economico designa ai sensi del comma 9del capoverso art. 144-bis l’ufficio unico di collegamento responsabile dell’applicazione del citato regolamento (CE) n. 2006/2004.

Il comma 2 dell'articolo in commento dispone infine che alle attività e agli adempimenti di cui all’articolo 144-bis del codice del consumo, nella nuova formulazione, si provvede nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Nel programma legislativo e di lavoro per il 2009 la Commissione annuncia una serie di iniziative per difendere i consumatori e migliorare le possibilità di ricorso. Progetti specifici di monitoraggio avranno come oggetto il commercio al dettaglio, gli apparecchi elettrici e i prodotti farmaceutici.

In particolare, la Commissione intende presentare una comunicazione sul monitoraggio del settore del commercio al dettaglio, con l’obiettivo di individuare eventuali disfunzioni sia dal punto di vista dei consumatori che dei fornitori. Il programma legislativo, invece, non chiarisce con quali strumenti (legislativi ovvero non legislativi) la Commissione interverrà nel settore dei prodotti farmaceutici e degli apparecchi elettrici.

La Commissione preannuncia altresì per giugno 2009 la presentazione di una comunicazione sull’applicazione dell’acquis comunitario in materia di tutela dei consumatori, allo scopo di individuare le migliori pratiche e raccomandare iniziative che la Commissione stessa e gli Stati membri dovranno adottare nell’ambito della propria competenza relativa alla trasposizione, all’applicazione e all’attuazione delle norme relative al mercato unico.

L’8 ottobre 2008 la Commissione europea ha presentato la proposta di direttiva sui diritti dei consumatori (COM(2008)614).

Essa mira a modificare la direttiva 85/577/CEE per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, la direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, la direttiva 97/7/CE riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza e la direttiva 1999/44/CE su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo.

La proposta crea un unico strumento orizzontale che disciplina gli aspetti comuni in modo sistematico, semplifica e aggiorna le norme esistenti. Essa si distanzia dall'approccio dell'armonizzazione minima seguito nelle quattro direttive esistenti (vale a dire il principio che gli Stati membri possono mantenere o adottare norme più severe rispetto a quelle stabilite dalla direttiva) e introduce un approccio di armonizzazione completa (vale a dire il principio che gli Stati membri non possono mantenere o adottare disposizioni divergenti da quelle fissate nella direttiva).

La proposta è in attesa di essere esaminata dal Consiglio e dal Parlamento europeo che l’ha calendarizzata nella sessione del 25 novembre 2009.

Il 27 novembre 2008 la Commissione europea ha presentato un Libro verde sui mezzi di ricorso collettivo dei consumatori (COM(2008)794).

Il Libro verde individua gli ostacoli che si frappongono a un efficace ricorso dei consumatori in termini di accesso, efficacia e economicità, ed avvia una consultazione delle parti interessate sulle diverse opzioni per colmare tali lacune.

Le opzioni proposte sono le seguenti:

-   nessun intervento comunitario: tale opzione non prevede alcun intervento comunitario e si basa sulle misure nazionali e comunitarie esistenti;

-   cooperazione tra Stati membri: essa garantirebbe che gli Stati membri che possiedono un meccanismo di ricorso collettivo ne consentano l'accesso ai consumatori di altri Stati membri e che gli Stati membri che non possiedono questo tipo di meccanismo ne creino uno;

-   associazione di strumenti diversi: in questo caso, si tratterebbe di attivare diversi strumenti, vincolanti e non vincolanti, quali: il miglioramento dei meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie; l'ampliamento del campo d'applicazione delle procedure relative alle controversie di modesta entità ai ricorsi di massa; l'ampliamento del campo di applicazione del regolamento sulla cooperazione per la tutela dei consumatori; l'incoraggiamento delle imprese a migliorare i sistemi di gestione dei reclami; le azioni per sensibilizzare i consumatori circa i meccanismi di ricorso esistenti;

-   procedura giudiziaria di ricorso collettivo a livello comunitario: si tratterebbe di introdurre una misura comunitaria, vincolante o meno, per garantire che in tutti gli Stati membri esista un meccanismo di ricorso giudiziario collettivo.

La consultazione è terminata il 1° marzo 2009, ed in base ai risultati la Commissione presenterà un nuovo documento orientativo nel corso del 2009.

 


Art. 21

 

(Abrogazione dell’articolo 1 della legge 3 aprile 1961, n. 286)

 

 

1. L’articolo 1 della legge 3 aprile 1961, n. 286, è abrogato.

 

 

L’articolo 21, introdotto nel corso dell’esame presso il Senato,abroga l’articolo 1 della legge 3 aprile 1961, n. 286[102].

La disposizione abrogata vieta la colorazione delle bevande analcoliche vendute con denominazioni di fantasia, il cui gusto ed aroma fondamentale deriva dal loro contenuto di essenze di agrumi, o di paste aromatizzanti di agrumi, se non contengono succo di agrumi in misura pari almeno al 12 per cento.

In proposito va osservato che l’articolo 21 in esame non dispone espressamente l’abrogazione dell’articolo 2 della citata legge 286/1961 che prevede le sanzioni amministrative conseguenti alla violazione dell’articolo 1.

 


Art. 22, commi 1-3

 

(Adeguamento comunitario di disposizioni tributarie:
regime degli utili distribuiti ai fondi pensione)

 

 


1. Il comma 3 dell’articolo 27 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, è sostituito dal seguente:

«3. La ritenuta è operata a titolo d’imposta e con l’aliquota del 27 per cento sugli utili corrisposti a soggetti non residenti nel territorio dello Stato diversi dalle società ed enti indicati nel comma 3-ter, in relazione alle partecipazioni, agli strumenti finanziari di cui all’articolo 44, comma 2, lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e ai contratti di associazione in partecipazione di cui all’articolo 109, comma 9, lettera b), del medesimo testo unico, non relative a stabili organizzazioni nel territorio dello Stato. L’aliquota della ritenuta è ridotta al 12,50 per cento per gli utili pagati ad azionisti di risparmio. L’aliquota della ritenuta è ridotta all’11 per cento sugli utili corrisposti ai fondi pensione istituiti negli Stati membri dell’Unione europea e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo inclusi nella lista di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 168-bis del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917. I soggetti non residenti, diversi dagli azionisti di risparmio, dai fondi pensione di cui al periodo precedente e dalle società ed enti indicati nel comma 3-ter, hanno diritto al rimborso, fino a concorrenza dei quattro noni della ritenuta, dell’imposta che dimostrino di aver pagato all’estero in via definitiva sugli stessi utili mediante certificazione del competente ufficio fiscale dello Stato estero».

2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano agli utili distribuiti a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge.

3. Fino all’emanazione del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze ai sensi dell’articolo 168-bis del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, ai fini dell’applicazione delle disposizioni del comma 3 dell’articolo 27 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, come modificato dal comma 1 del presente articolo, gli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo sono quelli inclusi nella lista di cui al decreto del Ministro delle finanze 4 settembre 1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 220 del 19 settembre 1996, emanato in attuazione dell’articolo 11, comma 4, lettera c), del decreto legislativo 1º aprile 1996, n. 239.


 

 

I commi da 1 a 3 dell’articolo 22 (introdotto nel corso dell’iter al Senato) intervengono sul regime di tassazione degli utili corrisposti ai fondi pensione istituiti negli Stati membri dell’Unione europea e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo, riducendo all’11 per cento l’aliquota di imposta applicata (c.d. dividendi in uscita).

La disposizione, tenuto conto della procedura d’infrazione n. 2006/4094[103] avviata dalla Commissione europea, è diretta ad allineare la tassazione dei fondi pensione istituiti negli Stati membri dell’Unione europea e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo a quella dei fondi domestici.

L’articolo 17 del d.lgs. n. 252/2005 dispone che agli utili realizzati dai fondi pensione italiani si applica un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi fissata in misura pari all’11 per cento. Tuttavia, qualora gli utili percepiti dai fondi pensioni siano riferiti a banche o società quotate in Stati comunitari o equiparati, si applica, in luogo dell’imposta sostitutiva, una ritenuta a titolo d’imposta fissata in misura pari al 27 per cento per investimenti inferiori a 18 mesi, ovvero al 12,5 per cento per investimenti superiori a 18 mesi (articolo 26, comma 1, del DPR n. 600 del 1973).

Il comma 1, sostituendo interamente il comma 3 dell’articolo 27 del D.P.R. n. 600/1973, aggiunge, di fatto, un nuovo periodo al testo vigente al fine di disciplinare l’applicazione di una ritenuta fiscale in misura pari all’11 per cento sugli utili corrisposti ai fondi pensione istituiti negli Stati membri dell’Unione europea e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo inclusi nella lista prevista dall’articolo 168-bis del TUIR (c.d. white list)

L’articolo 168-bis del TUIR è stato introdotto dalla legge finanziaria 2008 al fine di contrastare il fenomeno dei trasferimenti di base imponibile all’estero ed in particolare nei paesi che godono di un trattamento fiscale più vantaggioso (c.d. paradisi fiscali).

La norma prevede, in particolare, che il Ministro dell’economia dovrà, con proprio decreto, individuare una lista di Stati e territori con i quali è consentito un adeguato scambio di informazioni finalizzato al contrasto dell’evasione fiscale.

Lo stesso decreto, inoltre, individuerà anche una lista di Stati i quali, oltre a consentire un adeguato scambio di informazioni, presentano un livello di tassazione non sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia.

Il suddetto decreto, a tutt’oggi, non risulta ancora emanato.

Il comma 2 stabilisce che la nuova aliquota d’imposta si applica sugli utili distribuiti a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge comunitaria.

Come precisato nella nota dell’Agenzia delle entrate relativa all’emendamento che ha introdotto la norma in esame, la decorrenza fissata “non appare idonea a consentire la chiusura della menzionata procedura di infrazione”. In relazione a tale aspetto, peraltro, l’Agenzia segnala che un’analoga disposizione – concernente l’allineamento del regime di tassazione degli utili distribuiti a soggetti UE e SEE – introdotta a seguito di procedura di infrazione (n. 2004/4350) non ha consentito la chiusura della procedura comunitaria in quanto il nuovo regime introdotto riguardava gli utili distribuiti successivamente alla data di entrata in vigore della norma introdotta.

Al riguardo, tenuto conto di quanto rilevato dall’Agenzia delle entrate, si segnala l’opportunità di un approfondimento sull’idoneità della disposizione ai fini della chiusura della procedura d’infrazione.

Ai sensi del comma 3, in attesa dell’emanazione del decreto di cui al sopra citato articolo 168-bis del TUIR, l’aliquota dell’11 per cento di cui al comma 1 si applica nei confronti dei fondi pensioni degli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo individuati nel decreto del Ministro delle finanze del 4 settembre 1996.

 


 

Art. 22, commi 4-10

 

(Adeguamento comunitario di disposizioni tributarie)

 

 


4. Nel decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, sono apportate le seguenti modifiche:

a) all’articolo 7, quarto comma, la lettera f-quinquies) è sostituita dalla seguente:

«f-quinquies) le prestazioni di intermediazione, relative ad operazioni diverse da quelle di cui alla lettera d) del presente comma e da quelle di cui all’articolo 40, commi 5 e 6, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando le operazioni oggetto dell’intermediazione si considerano ivi effettuate, a meno che non siano commesse da soggetto passivo in un altro Stato membro dell’Unione europea; le suddette prestazioni si considerano in ogni caso effettuate nel territorio dello Stato se il committente delle stesse è ivi soggetto passivo d’imposta, sempre che le operazioni cui le intermediazioni si riferiscono siano effettuate nel territorio della Comunità»;

b) l’articolo 13 è sostituito dal seguente:

«Art. 13. - (Base imponibile) – 1. La base imponibile delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi è costituita dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali, compresi gli oneri e le spese inerenti all’esecuzione e i debiti o altri oneri verso terzi accollati al cessionario o al committente, aumentato delle integrazioni direttamente connesse con i corrispettivi dovuti da altri soggetti.

2. Agli effetti del comma 1 i corrispettivi sono costituiti:

a) per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi dipendenti da atto della pubblica autorità, dall’indennizzo comunque denominato;

b) per i passaggi di beni dal committente al commissionario o dal commissionario al committente, di cui al numero 3) del secondo comma dell’articolo 2, rispettivamente dal prezzo di vendita pattuito dal commissionario, diminuito della provvigione, e dal prezzo di acquisto pattuito dal commissionario, aumentato della provvigione; per le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza, di cui al terzo periodo del terzo comma dell’articolo 3, rispettivamente dal prezzo di fornitura del servizio pattuito dal mandatario, diminuito della provvigione, e dal prezzo di acquisto del servizio ricevuto dal mandatario, aumentato della provvigione;

c) per le cessioni indicate ai numeri 4), 5) e 6) del secondo comma dell’articolo 2, dal prezzo di acquisto o, in mancanza, dal prezzo di costo dei beni o di beni simili, determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni; per le prestazioni di servizi di cui al primo e al secondo periodo del terzo comma dell’articolo 3, dalle spese sostenute dal soggetto passivo per l’esecuzione dei servizi medesimi;

d) per le cessioni e le prestazioni di servizi di cui all’articolo 11, dal valore normale dei beni e dei servizi che formano oggetto di ciascuna di esse;

e) per le cessioni di beni vincolati al regime della temporanea importazione, dal corrispettivo della cessione diminuito del valore accertato dall’ufficio doganale all’atto della temporanea importazione.

3. In deroga al comma 1:

a) per le operazioni imponibili effettuate nei confronti di un soggetto per il quale l’esercizio del diritto alla detrazione è limitato a norma del comma 5 dell’articolo 19, anche per effetto dell’opzione di cui all’articolo 36-bis, la base imponibile è costituita dal valore normale dei beni e dei servizi se è dovuto un corrispettivo inferiore a tale valore e se le operazioni sono effettuate da società che direttamente o indirettamente controllano tale soggetto, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla il predetto soggetto;

b) per le operazioni esenti effettuate da un soggetto per il quale l’esercizio del diritto alla detrazione è limitato a norma del comma 5 dell’articolo 19, la base imponibile è costituita dal valore normale dei beni e dei servizi se è dovuto un corrispettivo inferiore a tale valore e se le operazioni sono effettuate nei confronti di società che direttamente o indirettamente controllano tale soggetto, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla il predetto soggetto;

c) per le operazioni imponibili, nonché per quelle assimilate agli effetti del diritto alla detrazione, effettuate da un soggetto per il quale l’esercizio del diritto alla detrazione è limitato a norma del comma 5 dell’articolo 19, la base imponibile è costituita dal valore normale dei beni e dei servizi se è dovuto un corrispettivo superiore a tale valore e se le operazioni sono effettuate nei confronti di società che direttamente o indirettamente controllano tale soggetto, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla il predetto soggetto;

d) per la messa a disposizione di veicoli stradali a motore nonché delle apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di telecomunicazioni e delle relative prestazioni di gestione effettuata dal datore di lavoro nei confronti del proprio personale dipendente la base imponibile è costituita dal valore normale dei servizi se è dovuto un corrispettivo inferiore a tale valore.

4. Ai fini della determinazione della base imponibile i corrispettivi dovuti e le spese e gli oneri sostenuti in valuta estera sono computati secondo il cambio del giorno in cui è stata effettuata l’operazione e, in mancanza, secondo il cambio del giorno antecedente più prossimo.

5. Per le cessioni che hanno per oggetto beni per il cui acquisto o importazione la detrazione è stata ridotta ai sensi dell’articolo 19-bis.1 o di altre disposizioni di indetraibilità oggettiva, la base imponibile è determinata moltiplicando per la percentuale detraibile ai sensi di tali disposizioni l’importo determinato ai sensi dei commi precedenti.»;

c) l’articolo 14 è sostituito dal seguente:

«Art. 14. - (Determinazione del valore normale) – 1. Per valore normale si intende l’intero importo che il cessionario o il committente, al medesimo stadio di commercializzazione di quello in cui avviene la cessione di beni o la prestazione di servizi, dovrebbe pagare, in condizioni di libera concorrenza, ad un cedente o prestatore indipendente per ottenere i beni o servizi in questione nel tempo e nel luogo di tale cessione o prestazione.

2. Qualora non siano accertabili cessioni di beni o prestazioni di servizi analoghe, per valore normale si intende:

a) per le cessioni di beni, il prezzo di acquisto dei beni o di beni simili o, in mancanza, il prezzo di costo, determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni;

b) per le prestazioni di servizi, le spese sostenute dal soggetto passivo per l’esecuzione dei servizi medesimi.

3. Per le operazioni indicate nell’articolo 13, comma 3, lettera d), con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze sono stabiliti appositi criteri per l’individuazione del valore normale.»;

d) all’articolo 17, il terzo comma è sostituito dal seguente:

«Gli obblighi relativi alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non residenti, che non si siano identificati direttamente ai sensi dell’articolo 35-ter, né abbiano nominato un rappresentante fiscale ai sensi del secondo comma, sono adempiuti dai cessionari o committenti, residenti nel territorio dello Stato, che acquistano i beni o utilizzano i servizi nell’esercizio di imprese, arti o professioni. La disposizione non si applica relativamente alle operazioni imponibili ai sensi dell’articolo 7, quarto comma, lettera f), effettuate da soggetti domiciliati o residenti o con stabili organizzazioni operanti nei territori esclusi a norma del primo comma, lettera a), dello stesso articolo 7. Gli obblighi relativi alle cessioni di cui all’articolo 7, secondo comma, terzo periodo, ed alle prestazioni di servizi di cui all’articolo 7, quarto comma, lettere d) e f-quinquies), rese da soggetti non residenti a soggetti domiciliati nel territorio dello Stato, a soggetti ivi residenti che non abbiano stabilito il domicilio all’estero ovvero a stabili organizzazioni in Italia di soggetti domiciliati e residenti all’estero, sono adempiuti dai cessionari e dai committenti medesimi qualora agiscano nell’esercizio di imprese, arti o professioni.»;

e) all’articolo 38-ter, primo comma, il primo periodo è sostituito dal seguente: «I soggetti domiciliati e residenti negli Stati membri dell’Unione europea, che non si siano identificati direttamente ai sensi dell’articolo 35-ter e che non abbiano nominato un rappresentante ai sensi del secondo comma dell’articolo 17, assoggettati all’imposta nello Stato in cui hanno il domicilio o la residenza, che non hanno effettuato operazioni in Italia, ad eccezione delle prestazioni di trasporto e relative prestazioni accessorie non imponibili ai sensi dell’articolo 9, nonché delle operazioni indicate nell’articolo 17, commi terzo, quinto, sesto e settimo, e nell’articolo 74, commi settimo ed ottavo, del presente decreto e nell’articolo 44, comma 2, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, possono ottenere, in relazione a periodi inferiori all’anno, il rimborso dell’imposta, se detraibile a norma dell’articolo 19 del presente decreto, relativa ai beni mobili e ai servizi importati o acquistati, sempreché di importo complessivo non inferiore a duecento euro.»;

f) all’articolo 54, il terzo comma è sostituito dal seguente:

«L’ufficio può tuttavia procedere alla rettifica indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità del contribuente qualora l’esistenza di operazioni imponibili per ammontare superiore a quello indicato nella dichiarazione, o l’inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione, risulti in modo certo e diretto, e non in via presuntiva, da verbali, questionari e fatture di cui ai numeri 2), 3) e 4) del secondo comma dell’articolo 51, dagli elenchi allegati alle dichiarazioni di altri contribuenti o da verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti, nonché da altri atti e documenti in suo possesso».

5. Il primo comma dell’articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, è sostituito dal seguente:

«Per i redditi d’impresa delle persone fisiche l’ufficio procede alla rettifica:

a) se gli elementi indicati nella dichiarazione non corrispondono a quelli del bilancio, del conto dei profitti e delle perdite e dell’eventuale prospetto di cui al comma 1 dell’articolo 3;

b) se non sono state esattamente applicate le disposizioni del titolo V del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597;

c) se l’incompletezza, la falsità e l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta in modo certo e diretto dai verbali e dai questionari di cui ai numeri 2) e 4) del primo comma dell’articolo 32, dagli atti, documenti e registri esibiti o trasmessi ai sensi del numero 3) dello stesso comma, dalle dichiarazioni di altri soggetti previste negli articoli 6 e 7, dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti o da altri atti e documenti in possesso dell’ufficio;

d) se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all’articolo 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio nei modi previsti dall’articolo 32. L’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti».

6. Il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di cui all’articolo 14, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, come modificato dal comma 4, lettera c), del presente articolo, è emanato entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Fino alla data dalla quale trovano applicazione le disposizioni del suddetto decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, per la messa a disposizione di veicoli stradali a motore da parte del datore di lavoro nei confronti del personale dipendente si assume come valore normale quello determinato a norma dell’articolo 51, comma 4, lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, comprensivo delle somme eventualmente trattenute al dipendente e al netto dell’imposta sul valore aggiunto compresa in detto importo.

7. Nel decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, sono apportate le seguenti modifiche:

a) all’articolo 38:

1) dopo il comma 4, è inserito il seguente:

«4-bis. Agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, costituiscono prodotti soggetti ad accisa l’alcole, le bevande alcoliche, i tabacchi lavorati ed i prodotti energetici, esclusi il gas fornito dal sistema di distribuzione di gas naturale e l’energia elettrica, quali definiti dalle disposizioni comunitarie in vigore.»;

2) al comma 5, la lettera c) è sostituita dalla seguente:

«c) gli acquisti di beni, diversi dai mezzi di trasporto nuovi e da quelli soggetti ad accisa, effettuati dai soggetti indicati nel comma 3, lettera c), dai soggetti passivi per i quali l’imposta è totalmente indetraibile a norma dell’articolo 19, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e dai produttori agricoli di cui all’articolo 34 dello stesso decreto che non abbiano optato per l’applicazione dell’imposta nei modi ordinari se l’ammontare complessivo degli acquisti intracomunitari e degli acquisti di cui all’articolo 40, comma 3, del presente decreto, effettuati nell’anno solare precedente non ha superato 10.000 euro e fino a quando, nell’anno in corso, tale limite non è superato. L’ammontare complessivo degli acquisti è assunto al netto dell’imposta sul valore aggiunto e al netto degli acquisti di mezzi di trasporto nuovi di cui al comma 4 del presente articolo e degli acquisti di prodotti soggetti ad accisa»;

b) all’articolo 40:

1) il comma 4 è sostituito dal seguente:

«4. Le disposizioni del comma 3 non si applicano:

a) alle cessioni di mezzi di trasporto nuovi e a quelle di beni da installare, montare o assiemare ai sensi dell’articolo 7, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633;

b) alle cessioni di beni, diversi da quelli soggetti ad accisa, effettuate nel territorio dello Stato, fino ad un ammontare nel corso dell’anno solare non superiore a 35.000 euro e sempreché tale limite non sia stato superato nell’anno precedente. La disposizione non opera per le cessioni di cui al comma 3 effettuate da parte di soggetti passivi in altro Stato membro che hanno ivi optato per l’applicazione dell’imposta nel territorio dello Stato.»;

2) il comma 8 è abrogato;

3) il comma 9 è sostituito dal seguente:

«9. Non si considerano effettuate nel territorio dello Stato le cessioni intracomunitarie di cui all’articolo 41 nonché le prestazioni di servizio, le prestazioni di trasporto intracomunitario, quelle accessorie e le prestazioni di intermediazione di cui ai commi 4-bis, 5 e 6 rese a soggetti passivi d’imposta in altro Stato membro.»;

c) all’articolo 41, comma 1, la lettera b) è sostituita dalla seguente:

«b) le cessioni in base a cataloghi, per corrispondenza e simili, di beni diversi da quelli soggetti ad accisa, spediti o trasportati dal cedente o per suo conto nel territorio di altro Stato membro nei confronti di cessionari ivi non tenuti ad applicare l’imposta sugli acquisti intracomunitari e che non hanno optato per l’applicazione della stessa. La disposizione non si applica per le cessioni di mezzi di trasporto nuovi e di beni da installare, montare o assiemare ai sensi della lettera c). La disposizione non si applica altresì se l’ammontare delle cessioni effettuate in altro Stato membro non ha superato nell’anno solare precedente e non supera in quello in corso 100.000 euro, ovvero l’eventuale minore ammontare al riguardo stabilito da questo Stato a norma dell’articolo 34 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006. In tal caso è ammessa l’opzione per l’applicazione dell’imposta nell’altro Stato membro dandone comunicazione all’ufficio nella dichiarazione, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, relativa all’anno precedente ovvero nella dichiarazione di inizio dell’attività o comunque anteriormente all’effettuazione della prima operazione non imponibile. L’opzione ha effetto, se esercitata nella dichiarazione relativa all’anno precedente, dal 1º gennaio dell’anno in corso e, negli altri casi, dal momento in cui è esercitata, fino a quando non sia revocata e, in ogni caso, fino al compimento del biennio successivo all’anno solare nel corso del quale è esercitata; la revoca deve essere comunicata all’ufficio nella dichiarazione annuale ed ha effetto dall’anno in corso»;

d) l’articolo 43 è sostituito dal seguente:

«Art. 43. - (Base imponibile ed aliquota). – 1. Per gli acquisti intracomunitari di beni la base imponibile è determinata secondo le disposizioni di cui agli articoli 13, escluso il comma 4, 14 e 15 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. Per i beni soggetti ad accisa concorre a formare la base imponibile anche l’ammontare di detta imposta, se assolta o esigibile in dipendenza dell’acquisto.

2. La base imponibile, nell’ipotesi di cui all’articolo 40, comma 2, primo periodo, è ridotta dell’ammontare assoggettato ad imposta nello Stato membro di destinazione del bene.

3. Ai fini della determinazione della base imponibile i corrispettivi, le spese e gli oneri di cui all’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, in valuta estera sono computati secondo il cambio del giorno, se indicato nella fattura, di effettuazione dell’operazione o, in mancanza di tale indicazione, della data della fattura.

4. Per le introduzioni di cui all’articolo 38, comma 3, lettera b), e per gli invii di cui all’articolo 41, comma 2, lettera c), la base imponibile è costituita dal prezzo di acquisto o, in mancanza, dal prezzo di costo dei beni o di beni simili, determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni.

5. Per gli acquisti intracomunitari di beni si applica l’aliquota relativa ai beni, secondo le disposizioni di cui all’articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.»;

e) all’articolo 44, il comma 2 è sostituito dal seguente:

«2. In deroga al comma 1, l’imposta è dovuta:

a) per le cessioni di cui al comma 7 dell’articolo 38, dal cessionario designato con l’osservanza degli adempimenti di cui agli articoli 46, 47 e 50, comma 6;

b) per le prestazioni di cui all’articolo 40, commi 4-bis, 5 e 6, rese da soggetti passivi d’imposta non residenti, dal committente se soggetto passivo nel territorio dello Stato.»;

f) l’articolo 46 è sostituito dal seguente:

«Art. 46. - (Fatturazione delle operazioni intracomunitarie). – 1. La fattura relativa all’acquisto intracomunitario deve essere numerata e integrata dal cessionario o committente con l’indicazione del controvalore in euro del corrispettivo e degli altri elementi che concorrono a formare la base imponibile dell’operazione, espressi in valuta estera, nonché dell’ammontare dell’imposta, calcolata secondo l’aliquota dei beni o servizi acquistati. La disposizione si applica anche alle fatture relative alle prestazioni di cui all’articolo 40, commi 4-bis, 5 e 6, rese a soggetti passivi d’imposta nel territorio dello Stato. Se trattasi di acquisto intracomunitario senza pagamento dell’imposta o non imponibile o esente, in luogo dell’ammontare dell’imposta nella fattura deve essere indicato il titolo unitamente alla relativa norma.

2. Per le cessioni intracomunitarie di cui all’articolo 41 e per le prestazioni di cui all’articolo 40, commi 4-bis, 5 e 6, non soggette all’imposta, deve essere emessa fattura numerata a norma dell’articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, con l’indicazione, in luogo dell’ammontare dell’imposta, che trattasi di operazione non imponibile o non soggetta all’imposta, con la specificazione della relativa norma. La fattura deve inoltre contenere l’indicazione del numero di identificazione attribuito, agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, al cessionario o committente dallo Stato membro di appartenenza; in caso di consegna del bene al cessionario di questi in diverso Stato membro, dalla fattura deve risultare specifico riferimento. La fattura emessa per la cessione di beni, spediti o trasportati da uno Stato membro in altro Stato membro, acquistati senza pagamento dell’imposta a norma dell’articolo 40, comma 2, secondo periodo, deve contenere il numero di identificazione attribuito al cessionario dallo Stato membro di destinazione dei beni e la designazione dello stesso quale debitore dell’imposta.

3. La fattura di cui al comma 2, se trattasi di beni spediti o trasportati dal soggetto passivo o per suo conto, ai sensi dell’articolo 41, comma 2, lettera c), nel territorio di altro Stato membro, deve recare anche l’indicazione del numero di identificazione allo stesso attribuito da tale Stato; se trattasi di cessioni di beni in base a cataloghi, per corrispondenza e simili, di cui all’articolo 41, comma 1, lettera b), non si applica la disposizione di cui al secondo periodo del comma 2.

4. Se la cessione riguarda mezzi di trasporto nuovi di cui all’articolo 38, comma 4, nella fattura devono essere indicati anche i dati di identificazione degli stessi; se la cessione non è effettuata nell’esercizio di imprese, arti e professioni tiene luogo della fattura l’atto relativo alla cessione o altra documentazione equipollente.

5. Il cessionario o committente di un acquisto intracomunitario di cui all’articolo 38, commi 2 e 3, lettere b) e c), o committente delle prestazioni di cui all’articolo 40, commi 4-bis, 5 e 6, che non ha ricevuto la relativa fattura entro il mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione deve emettere entro il mese seguente, in unico esemplare, la fattura di cui al comma 1 con l’indicazione anche del numero di identificazione attribuito, agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, al cedente o prestatore dallo Stato membro di appartenenza; se ha ricevuto una fattura indicante un corrispettivo inferiore a quello reale deve emettere fattura integrativa entro il quindicesimo giorno successivo alla registrazione della fattura originaria.»;

g) all’articolo 50, il comma 1 è sostituito dal seguente:

«1. Le cessioni intracomunitarie di cui all’articolo 41, commi 1, lettera a), e 2, lettera c), e le prestazioni di cui all’articolo 40, commi 4-bis, 5 e 6, sono effettuate senza applicazione dell’imposta nei confronti dei cessionari e dei committenti che abbiano comunicato il numero di identificazione agli stessi attribuito dallo Stato membro di appartenenza.»;

h) all’articolo 50, il comma 3 è sostituito dal seguente:

«3. Chi effettua acquisti intracomunitari o commette le prestazioni di cui all’articolo 40, commi 4-bis, 5 e 6, soggetti all’imposta deve comunicare all’altra parte contraente il proprio numero di partita IVA, come integrato agli effetti delle operazioni intracomunitarie, tranne che per l’ipotesi di acquisto di mezzi di trasporto nuovi da parte di persone fisiche non operanti nell’esercizio di imprese, arti e professioni».

8. Le disposizioni di cui al comma 5, capoverso, lettere b) e c), e al comma 7, lettera d), si applicano alle operazioni effettuate dal sessantesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della presente legge.

9. Le altre disposizioni di cui ai commi da 5 a 7 si applicano a decorrere dal giorno successivo a quello di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della presente legge; tuttavia, per le operazioni effettuate a decorrere dal 1º gennaio 2008 per le quali sia stata già applicata la disciplina risultante da tali disposizioni, resta fermo il trattamento fiscale applicato.

10. Il Governo, entro il termine di cui all’articolo 1, comma 1, ultimo periodo, della presente legge, può adottare decreti legislativi contenenti disposizioni modificative ed integrative di quelle di cui ai commi da 4 a 9 del presente articolo, al fine di effettuare ulteriori coordinamenti con la normativa comunitaria in tema di imposta sul valore aggiunto.


 

 

Le norme in esame intervengono sulla disciplina dell’IVA apportando modifiche sia al D.P.R. n. 633 del 1972 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto) sia al decreto-legge n. 331/1993[104], Capo II, recante Disciplina temporanea delle operazioni intracomunitarie e dell'imposta sul valore aggiunto.

Gli argomenti trattati riguardano:

-       la territorialità dell’imposta per le prestazioni di intermediazione relative a operazioni principali fra soggetti appartenenti all’Unione europea;

-       la determinazione della base imponibile, con particolare riferimento all’utilizzo del criterio del valore normale e relative conseguenze in termini di accertamento fiscale;

-       la disciplina dei rimborsi;

-       l’individuazione delle operazioni intracomunitarie.

Si ricorda che ai fini dell’assoggettabilità IVA di una operazione commerciale rileva:

-        il presupposto territoriale, ossia in quale paese l’operazione si considera effettuata e in quale paese l’IVA deve essere versata;

-        il presupposto soggettivo, ed in particolare se si tratta di esercenti attività d’impresa, arti o professioni (e quindi soggetti passivi IVA) ovvero se si tratta di consumatori privati (soggetti non IVA);

-        il presupposto oggettivo, ossia la cessione di beni o la prestazione di servizi.

Prestazioni di intermediazione

Il comma 4, lettera a), interviene sull’articolo 7 del D.P.R. n. 633/1972 (territorialità dell’imposta sul valore aggiunto), al fine di precisare che il principio in base al quale le operazioni di intermediazione si considerano effettuate in Italia se il committente è un soggetto passivo IVA in Italia si applica nell’ipotesi in cui l’operazione principale cui l’intermediazione si riferisce è effettuata nel territorio della Comunità europea (articolo 7, quarto comma, lettera f-quinquies) del D.P.R. n. 633/1972).

Il principio in relazione al quale la norma reca la predetta precisazione è stato inserito dalla legge finanziaria per il 2007[105]. In particolare, con l’aggiunta della lettera f-quinquies) al quarto comma dell’articolo 7, è stato disposto che le prestazioni di intermediazione, relative ad operazioni diverse da quelle di cui alla lettera d) del medesimo comma 4 e da quelle di cui all’articolo 40, commi 5 e 6, del decreto-legge n. 331/331[106] si considerano effettuate nel territorio dello Stato italiano quando le operazioni oggetto dell’intermediazione si considerano ivi effettuate, a meno che il committente sia soggetto passivo in un altro Stato membro dell’Unione europea; le suddette prestazioni si considerano in ogni caso effettuate in Italia, se il committente delle stesse è qui soggetto passivo d’imposta.

In altre parole, si intende chiarire che il criterio in base al quale la territorialità è determinata dal Paese membro del committente, si applica alle prestazioni di intermediazione riferite ad operazioni principali eseguite nel territorio comunitario.

La lettera d) del comma 4 estende gli obblighi – già previsti a carico dei cessionari e committenti per le cessioni effettuate da soggetti non residenti a soggetti passivi in Italia – anche alle cessioni di prestazioni di cui alla richiamata lettera f-quinquies).

Sul piano normativo, si interviene sull’articolo 17 del D.P.R. n. 633/1972, recante disposizioni sui soggetti passivi IVA, sostituendone il terzo comma al fine di estendere anche alla lettera f-quinquies) –introdotta dalla lettera a) del comma in esame – il riferimento già disciplinato all’articolo 7, quarto comma, del D.P.R. n. 633/1972.

Si segnala, inoltre, che il comma 7 (lettera b), nn. 2 e 3) abroga il comma 8 dell’articolo 40 del decreto legge n. 331/1993 recante la disciplina la territorialità ai fini IVA di alcune operazioni di intermediazione.

Base imponibile e valore normale

Gli interventi normativi proposti che si analizzano in questo paragrafo sono diretti, in primo luogo, a recepire la definizione ai fini fiscali di “valore normale” stabilita dalla disciplina comunitaria.

Contestualmente, tuttavia, si propone un ridimensionamento, rispetto alla normativa vigente, dell’utilizzo del suddetto criterio ai fini della determinazione della base imponibile fiscale – con riferimento a specifiche operazioni di transazione – in favore di un maggiore utilizzo del criterio del costo di acquisto o del costo sostenuto. Inoltre, si interviene anche sul potere di accertamento da parte degli uffici finanziari, i quali potranno utilizzare il criterio del valore normale ai soli fini dell’accertamento presuntivo e non più ai fini dell’accertamento automatico.

Infine, con finalità antielusive, si prevede una particolare disciplina per i soggetti che applicano il pro-rata di indetraibilità dell’IVA diretta ad evitare un utilizzo del criterio del valore normale a soli fini elusivi.

Nel dettaglio, le lettere b) e c) del comma 4 intervengono, rispettivamente, sulla determinazione della base imponibile ai fini IVA (attraverso la sostituzione dell’articolo 13 del D.P.R. n. 633/1972) e sulla definizione e applicazione del valore normale (attraverso la sostituzione dell’articolo 14 del D.P.R. n. 633/1972).

La seguente analisi interessa le sole novità introdotte rispetto alla normativa vigente, senza approfondire le disposizioni vigenti confermate dalle norme in esame.

La sostituzione dell’articolo 14 del D.P.R. n. 633/1972 interessa la definizione e la determinazione del valore normale ed è diretta ad allinearsi alla disciplina comunitaria in materia. Infatti, i primi due commi dell’articolo 14 proposto riproducono la definizione di “valore normale” contenuta nell’articolo 72 della direttiva IVA 2006/112/CE.

In particolare, ai sensi del comma 1 del nuovo articolo 14, il valore normale è “l’importo che il cessionario o committente, al medesimo stadio di commercializzazione di quello in cui avviene la cessione di beni o la prestazione di servizi, dovrebbe pagare, in condizioni di libera concorrenza, ad un cedente o prestatore indipendente per ottenere i beni o servizi in questione nel tempo e nel luogo di tale cessione o prestazione”. In assenza di cessioni analoghe si deve far riferimento, per i beni, alle cessioni di beni simili e, per le prestazioni, alle spese sostenute dal soggetto passivo per l’esecuzione dei servizi medesimi (comma 2).

In sostanza, pertanto, il valore normale dovrebbe rappresentare il prezzo di acquisto del bene o del servizio in un mercato di libera concorrenza.

Rispetto alla formulazione vigente, il nuovo testo dell’articolo 13 del D.P.R. n. 633/1972 modifica la lettera c) del comma 2[107] e inserisce le lettere b) e c) al comma 3 nonché il comma 4, lasciando inalterato il rimanente testo della norma.

Nel dettaglio, ai sensi della lettera c) del comma 2, la base imponibile è determinata:

1) dal prezzo di acquisto o, in mancanza, dal prezzo di costo dei beni o di beni simili (in luogo del valore normale) per:

-    le cessioni gratuite di beni ad esclusione di quelli la cui produzione o il cui commercio non rientra nell'attività propria dell'impresa se di costo unitario non superiore a 25,82 euro e di quelli per i quali non sia stata operata, all'atto dell'acquisto o dell'importazione, la detrazione dell'imposta a norma dell'articolo 19, anche se per effetto dell'opzione di cui all'articolo 36-bis;

-    la destinazione di beni all'uso personale dell'imprenditore o del professionista, con esclusione di quei beni per i quali non è stata operata, all'atto dell'acquisto, la detrazione dell'imposta;

-    le assegnazioni fatte ai soci dalla società o da altri enti pubblici e privati;

2) dalle spese sostenute per l’esecuzione dei servizi (in luogo del valore normale) per le prestazioni di servizi, con esclusione delle assegnazioni indicate al n. 6) dell’articolo 2[108], se considerate prestazioni di servizi, e di quelle rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza.

Il testo vigente dell’articolo 13, secondo comma, lettera c), dispone, oltre a quanto sopra evidenziato, che per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi effettuate per estinguere precedenti obbligazioni la base imponibile corrisponde al valore normale del bene o della prestazione. Rimane invece confermata l’applicazione del criterio del costo sostenuto per le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandati senza rappresentanza.

Viene, inoltre, introdotta una disciplina specifica per la determinazione del valore normale degli autoveicoli e dei telefoni cellulari che il datore di lavoro mette a disposizione dei propri dipendenti (articolo 13, comma 3, lettera d), e articolo 14, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972 nelle formulazioni proposte, rispettivamente, dalle lettere b) e c) del comma 4 in esame). Attualmente la norma rinvia alla disciplina sulle imposte dirette in materia di determinazione del valore imponibile dei c.d. fringe benefit.

Ai sensi dell’articolo 51, comma 4, lettera a), del TUIR ai fini della determinazione del valore dei veicoli dati in uso ai dipendenti si assume il 30 per cento dell'importo corrispondente ad una percorrenza convenzionale di 15 mila chilometri calcolato sulla base del costo chilometrico di esercizio desumibile dalle tabelle nazionali che l'ACI elabora entro il 30 novembre di ciascun anno, al netto degli ammontari eventualmente trattenuti al dipendente.

Poiché tale criterio non risulta previsto dalla normativa comunitaria, la disposizione proposta prevede un rinvio ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze per la determinazione del valore normale.

Ai sensi del comma 6 dell’articolo 22 in esame si stabilisce che il suddetto decreto deve essere emanato entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e che, in attesa delle nuove disposizioni, si continua ad applicare il valore determinato ai sensi dell’articolo 51, comma 4, lettera a), del TUIR, al netto dell’IVA compresa in detto importo.

La lettera f) del comma 4, sostituendo il terzo comma dell’articolo 54 del D.P.R. n. 633/1972, interviene in materia di rettifica delle dichiarazioni IVA, con particolare riferimento al c.d. accertamento automatico.

La disciplina generale dell’accertamento automatico, che viene confermata nel comma sostituito, consente all’ufficio di rettificare le dichiarazioni indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità del contribuente, qualora il maggior valore delle operazioni imponibili ovvero delle minori detrazioni, risulti in modo certo e diretto e non in via presuntiva.

Il comma introdotto in sostituzione, tuttavia, non ripropone l’ultimo periodo del comma vigente – il quale, peraltro, era stato introdotto dal D.L. n. 223/2006 – ai sensi del quale l’ufficio può procedere all’accertamento automatico nei casi di cessioni di immobili sulla base del criterio del valore normale. In altre parole, l’ufficio può accertare, in via automatica, l’imponibile dichiarato nella vendita di un immobile sulla base del valore risultante in catasto. Il criterio del valore normale, tuttavia, rimane comunque applicabile ai fini dell’accertamento presuntivo nel quale, in luogo dell’automatismo, l’amministrazione è tenuta a dimostrare la veridicità del maggior valore.

Il comma 5 apporta all’articolo 39 del D.P.R. n. 600/1973 una modifica analoga a quella introdotta dal comma 4, lettera f), in materia di accertamento delle dichiarazioni ai fini delle imposte dirette.

Anche in questo caso, non riproponendo l’ultimo periodo[109] del comma 1 del citato articolo 39, viene preclusa all’amministrazione la possibilità di effettuare un accertamento automatico basato sul valore normale dell’immobile ceduto. In altre parole, l’ufficio può procedere all’accertamento automatico applicando i valori catastali, mentre, per l’applicazione del criterio del valore nominale, dovrà procedere con l’accertamento presuntivo.

Con riferimento alla lettera b) del nuovo articolo 39 introdotto dal comma 5, si segnala che viene riproposto il rinvio al decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597 recante “Istituzione e disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche”. Tale decreto, tuttavia, risulta ormai superato dal decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 recante “Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi”.

Le lettere b) e c) inserite al comma 3[110] dell’articolo 13 recano disposizioni di natura antielusiva per i soggetti che applicano il pro-rata di indetraibilità[111].

Relativamente a tali soggetti, si dispone l’applicazione del valore normale per le cessioni effettuate nei confronti di società che, anche indirettamente, sono controllate o controllanti. Per le cessioni effettuate nei confronti di soggetti diversi da quelli precedenti, si distingue l’ipotesi di operazioni esenti e operazioni imponibili: nelle prime, la base imponibile è costituita dal maggiore tra il valore normale e il corrispettivo; nelle seconde la base imponibile è costituita dal minore tra il valore normale e il corrispettivo.

Si tratta di norma antielusiva in quanto intende evitare che, nelle cessioni tra soggetti correlati, la cessione rappresenti una modalità di trasferimento del credito per IVA su acquisti e che, nelle altre cessioni, le operazioni siano dirette a determinare una maggiore quota di detraibilità dell’IVA sugli acquisti.

Rispetto al testo vigente, inoltre, nell’articolo 13 proposto sono inserite, al comma 4, le disposizioni attualmente contenute nel primo comma dell’articolo 14 (interamente sostituito dalla lettera d) della norma in commento). Si tratta, in particolare, dell’applicazione, per le cessioni in valuta estera, dell’applicazione del cambio del giorno in cui è avvenuta l’operazione ovvero, in mancanza, del giorno antecedente più prossimo.

Rimborsi d’imposta

La lettera e) del comma 4 modificando l’articolo 38-ter del D.P.R. n. 633/1972) amplia l’ambito oggettivo delle operazioni che danno luogo a rimborsi (per periodi di tempo inferiori all’anno) a soggetti non residenti, dell’IVA, se detraibile e relativa ai beni mobili ed ai servizi importati o acquistati, purché di importo complessivo non inferiore a 200 euro[112].

L’istituto del rimborso dell’imposta sul valore aggiunto è disciplinato al fine di consentire il recupero dell’IVA pagata all’estero su determinate operazioni da parte di operatori non residenti e privi di rappresentanza fiscale. Tra i requisiti richiesti per il diritto al rimborso dell’IVA, è presente quello di non aver effettuato operazioni attive in Italia ad eccezione di quelle tassativamente indicate che comprendono, tra le altre, le prestazioni indicate nell’articolo 7, quarto comma, lettera d), del D.P.R. n. 633.

L’articolo 7, quarto comma, lettera d), della normativa vigente si riferisce alle “prestazioni derivanti da contratti di locazione anche finanziaria, noleggio e simili di beni mobili materiali diversi dai mezzi di trasporto, le prestazioni di servizi indicate al n. 2) del secondo comma dell'art. 3, le prestazioni pubblicitarie, di consulenza e assistenza tecnica o legale, comprese quelle di formazione e di addestramento del personale, le prestazioni di servizi di telecomunicazione, di radiodiffusione e di televisione, le prestazioni di servizi rese tramite mezzi elettronici, di elaborazione e fornitura di dati e simili, le operazioni bancarie, finanziarie e assicurative e le prestazioni relative a prestiti di personale, la concessione dell'accesso ai sistemi di gas naturale o di energia elettrica, il servizio di trasporto o di trasmissione mediante gli stessi e la fornitura di altri servizi direttamente collegati, nonché le prestazioni di intermediazione inerenti alle suddette prestazioni o operazioni e quelle inerenti all'obbligo di non esercitarle, nonché le cessioni di contratti relativi alle prestazioni di sportivi professionisti”, le quali si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese a soggetti domiciliati nel territorio stesso o a soggetti ivi residenti che non hanno stabilito il domicilio all'estero e quando sono rese a stabili organizzazioni in Italia di soggetti domiciliati o residenti all'estero, a meno che non siano utilizzate fuori dalla Comunità economica europea.

Nella formulazione proposta, viene modificato l’ambito delle operazioni attive effettuate in Italia che consentono comunque il riconoscimento del rimborso IVA in favore dei soggetti comunitari non residenti. In particolare, in luogo del riferimento al sopra citato articolo 7, quarto comma, lettera d), sono inclusi i soggetti che hanno effettuato, in Italia, le operazioni indicate:

-       nell’art. 17, commi terzo, quinto, sesto e settimo del D.P.R. n. 633/1972;

-       nell’art. 74, commi settimo ed ottavo del D.P.R. n. 633/1972;

-       nell’art. 44, comma 2, del decreto legge n. 331/1993.

In linea generale, i nuovi riferimenti normativi sono diretti ad includere nell’ambito dei rimborsi IVA, le operazioni relative a prodotti soggetti ad accisa quali, ad esempio, i carburanti.

Nella nota fornita dal Ministero dell’economia e delle finanze in risposta alle osservazioni del Servizio bilancio del Senato, viene precisato che la suddetta modifica è diretta ad adeguare la disposizione nazionale a quella contenuta nell’articolo 171 della direttiva 2006/112/CE, ai sensi del quale possono accedere al rimborso IVA tutti i soggetti passivi “che hanno effettuato nello Stato membro in cui effettuano acquisti di beni e servizi o importazioni di beni gravati da imposta unicamente cessioni di beni o prestazioni di servizi per le quali il destinatario di tali operazioni è stato designato come debitore di imposta a norma degli articoli da 194 a 197 e dell’articolo 199 (…)”.

In sostanza, la norma nazionale consente il rimborso dell’imposta ai soggetti non residenti per le operazioni effettuate in Italia attraverso il meccanismo del reverse charge[113].

Operazioni intracomunitarie

Il comma 7 interviene sul Titolo II del decreto legge n. 331 del 1993 in materia di armonizzazione comunitaria della disciplina dell'imposta sul valore aggiunto.

In particolare, la lettera a) interviene sull’ambito degli acquisti intracomunitari, la lettera b) modifica la norma sulla territorialità delle operazioni intracomunitarie, la lettera c) interviene sull’ambito delle cessioni intracomunitarie, mentre le restanti lettere d), e), f), g) ed h) apportano modifiche di coordinamento.

La lettera a) apporta due modifiche all’articolo 38 del citato D.L. n. 331:

1)   esclude dall’ambito IVA degli acquisti intracomunitari il gas fornito dal sistema di distribuzione di gas naturale e l’energia elettrica. Nella nota di risposta alle osservazioni del Servizio bilancio del Senato, il Ministero ha chiarito che “la modifica non ha effetti ai fini della tassazione in Italia, in quanto la cessione di detti prodotti viene considerata cessione interna” ai sensi dell’articolo 7, secondo comma, del D.P.R. n. 633/1972. In sostanza, in luogo del regime di tassazione degli acquisti intracomunitari, si applica il meccanismo del reverse charge;

2)   aumenta da 8.263,31 euro a 10.000 euro il limite di importo al di sotto del quale gli acquisti effettuati da soggetti assimilati a consumatori finali, da soggetti passivi per i quali l’IVA è totalmente indetraibile e da produttori agricoli che hanno optato per l’applicazione del regime speciale non sono considerati acquisti intracomunitari.

 

Le lettere b) e c) intervengono sull’individuazione della territorialità e l’imponibilità delle cessioni intracomunitarie effettuate mediante cataloghi, per corrispondenza, ecc. (c.d. vendite a distanza).

La normativa fiscale delle vendite a distanza effettuate tra soggetti appartenenti a diversi Paesi membri dell’Unione europea prevede una specifica disciplina in materia di territorialità della cessione e imponibilità dell’operazione.

Il principio applicato nelle vendite a distanza prevede la tassazione nel paese di destinazione per le cessioni effettuate da un operatore qualificato che abbia realizzato un determinato ammontare minimo di vendite a distanza.

In particolare, per gli acquisti effettuati da soggetto italiano, le vendite a distanza effettuate dal soggetto passivo comunitario si considerano, in deroga all’articolo 7, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, cessioni interne all’Italia se l’ammontare annuo delle vendite effettuate dal cedente comunitario non siano superiori alla c.d. “soglia di protezione” fissata in misura pari a 27.888, 67 euro. Le vendite a distanza effettuate da soggetto italiano sono qualificate come cessioni intracomunitarie se l’ammontare delle vendite annue effettuate in ciascuno Stato membro risulta superiore alla “soglia di protezione” fissata in misura pari a 79.534,36 euro.

La lettera b), modificando l’articolo 40 del D.L. n. 331/1993, interviene sugli acquisti per corrispondenza effettuati da soggetti italiani elevando da 27.888,67 euro a 35.000 euro il valore delle cessioni al di sotto del quale le vendite per corrispondenza non si considerano effettuate nel territorio dello Stato.

La lettera c) eleva da 79.534,36 euro a 100.000 euro il limite di importo al di sotto del quale alle cessioni sopra indicate divengono non imponibili.

I commi 8 e 9 disciplinano l’entrata in vigore delle modifiche introdotte.

In particolare, quanto previsto dal comma 5, capoverso 1, lettere b) e c), e dal comma 7, lettera d), produrrà effetti per le operazioni effettuate a decorrere dal sessantesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge comunitaria.

Le modifiche diverse da quelle sopra indicate entreranno in vigore a decorrere dal giorno successivo a quello di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della presente legge; sono fatti salvi, in ogni caso gli effetti delle operazioni effettuate a decorrere dal 1° gennaio 2008 per le quali sia già stata applicata la disciplina introdotta.

Tale disposizione sembrerebbe presupporre che sussistano delle situazioni nelle quali l’operatore nazionale ha applicato (ad esempio nei rapporti economici con soggetti di Stati membri che hanno già recepito la direttiva in esame) una disciplina diversa da quella italiana al momento vigente: trattandosi, tuttavia, nelle situazioni in questione, della disciplina comunitaria ora oggetto di recepimento – cui, pertanto, gli interessati potrebbero aver dato applicazione diretta – si fanno salvi i trattamenti fiscali che si sono già prodotti.

Su tale complessa problematica, che qui si è ricostruita in via solo presuntiva, sembrerebbe opportuno un chiarimento, al fine di dar più compiutamente conto della portata applicativa del comma 9 in esame.

Il comma 10, infine, autorizza il Governo ad emanare decreti legislativi contenenti ulteriori disposizioni di modifica e di integrazione finalizzati al coordinamento con la normativa comunitaria in tema di imposta sul valore aggiunto.

Procedure di contenzioso

Comma 4 (Base imponibile)

Il 19 marzo 2009 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato (procedura n. 2007/4575) sostenendo che la legislazione italiana non sarebbe compatibile con gli articoli 73 e 80 della direttiva IVA (Dir. 2006/112/CE)

Ai sensi dell’articolo 54, comma 3, del D.P.R. 633/72, in Italia le autorità fiscali possono rettificare automaticamente le dichiarazioni IVA annuali sulla base della presunzione che la base imponibile per la cessione di immobili sia il valore normale.

Ad avviso della Commissione, tranne nei casi espressamente stabiliti dalla direttiva IVA, la base imponibile ai fini dell'IVA deve essere il corrispettivo effettivamente versato al fornitore o al prestatore che, secondo la costante giurisprudenza della Corte di giustizia, è un valore soggettivo, determinato dalle parti che intervengono nell'operazione, e non un valore stimato secondo criteri oggettivi.

 


Art. 22, commi 11-34

 

(Adeguamento comunitario di disposizioni tributarie: esercizio e raccolta a distanza dei giochi in Italia)

 

 


11. Al fine di contrastare in Italia la diffusione del gioco irregolare ed illegale, nonché di perseguire la tutela dei consumatori e dell’ordine pubblico, la tutela dei minori e la lotta al gioco minorile ed alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei giochi, tenuto conto del monopolio statale in materia di giochi di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 14 aprile 1948, n. 496, e nel rispetto degli articoli 43 e 49 del Trattato CE, oltre che delle disposizioni del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, nonché dei princìpi di non discriminazione, necessità, proporzionalità e trasparenza, i commi da 12 a 30 recano disposizioni in materia di esercizio e di raccolta a distanza dei seguenti giochi:

a) scommesse, a quota fissa e a totalizzatore, su eventi, anche simulati, sportivi, inclusi quelli relativi alle corse dei cavalli, nonché su altri eventi;

b) concorsi a pronostici sportivi e ippici;

c) giochi di ippica nazionale;

d) giochi di abilità;

e) scommesse a quota fissa con interazione diretta tra i giocatori;

f) bingo;

g) giochi numerici a totalizzatore nazionale;

h) lotterie ad estrazione istantanea e differita.

12. La disciplina dei giochi di cui al comma 11 è introdotta ovvero adeguata con regolamenti emanati ai sensi degli articoli 16 della legge 13 maggio 1999, n. 133, e successive modificazioni, e 12 della legge 18 ottobre 2001, n. 383, e successive modificazioni. Nel rispetto della predetta disciplina, con provvedimenti del direttore generale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato si provvede alla istituzione di singoli giochi, alla definizione delle condizioni generali di gioco e delle relative regole tecniche, anche d’infrastruttura, della posta unitaria di partecipazione al gioco, anche sotto forma di prezzo di acquisto del titolo di legittimazione alla partecipazione al gioco, nonché della relativa variazione in funzione dell’andamento del gioco, considerato singolarmente ovvero in rapporto ad altri, alla individuazione della misura di aggi, diritti o proventi da corrispondere in caso di organizzazione indiretta del gioco, alla variazione della misura del prelievo, anche per imposte, nell’ambito della misura massima prevista per ciascun gioco ed in funzione del predetto andamento.

13. L’esercizio e la raccolta a distanza di uno o più dei giochi di cui al comma 11, lettere da a) ad f), ferma la facoltà dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato di stabilire, ai sensi del comma 30, in funzione delle effettive esigenze di mercato, in un numero massimo di duecento, le concessioni di cui alla lettera a) del presente comma da attribuire in fase di prima applicazione, è consentita:

a) ai soggetti in possesso dei requisiti e che assumono gli obblighi di cui al comma 15, ai quali l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato attribuisce concessione per la durata di nove anni;

b) ai soggetti che, alla data di entrata in vigore della presente legge, sono già titolari di concessione per l’esercizio e la raccolta di uno o più dei giochi di cui al comma 11 attraverso rete fisica, rete di raccolta a distanza, ovvero entrambe.

14. L’esercizio e la raccolta a distanza dei giochi di cui al comma 11, lettere g) e h), sono effettuati fino alla data di scadenza delle relative concessioni dai soggetti che, alla data di entrata in vigore della presente legge, sono titolari unici di concessione per la gestione e lo sviluppo dei medesimi giochi. Su autorizzazione dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, la raccolta a distanza dei giochi di cui al comma 11, lettere g) e h), è altresì consentita ai soggetti di cui al comma 13 ai quali i titolari unici di concessione abbiano dato licenza con la previsione di un aggio non inferiore a quello percepito dai titolari di punti di vendita dei medesimi giochi che fanno parte della rete fisica di raccolta dei predetti titolari unici di concessione.

15. La concessione richiesta dai soggetti di cui al comma 13, lettera a), è rilasciata subordinatamente al rispetto di tutti i seguenti requisiti e condizioni:

a) esercizio dell’attività di gestione e di raccolta di giochi, anche a distanza, in uno degli Stati dello Spazio economico europeo, avendovi sede legale ovvero operativa, sulla base di valido ed efficace titolo abilitativo rilasciato secondo le disposizioni vigenti nell’ordinamento di tale Stato, con un fatturato complessivo, ricavato da tale attività, non inferiore ad euro 1.500.000 nel corso degli ultimi due esercizi chiusi anteriormente alla data di presentazione della domanda;

b) fuori dai casi di cui alla lettera a), possesso di una capacità tecnico-infrastrutturale non inferiore a quella richiesta dal capitolato tecnico sottoscritto dai soggetti di cui al comma 16, lettera b), comprovata da relazione tecnica sottoscritta da soggetto indipendente, nonché rilascio all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato di una garanzia bancaria ovvero assicurativa, a prima richiesta e di durata biennale, di importo non inferiore ad euro 1.500.000;

c) costituzione in forma giuridica di società di capitali, con sede legale in uno degli Stati dello Spazio economico europeo, anteriormente al rilascio della concessione ed alla sottoscrizione della relativa convenzione accessiva;

d) possesso da parte del presidente, degli amministratori e dei procuratori dei requisiti di affidabilità e professionalità richiesti alle corrispondenti figure dei soggetti di cui al comma 16, lettera b);

e) residenza delle infrastrutture tecnologiche, hardware e software, dedicate alle attività oggetto di concessione in uno degli Stati dello Spazio economico europeo;

f) versamento all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato di un corrispettivo una tantum, per la durata della concessione e a titolo di contributo spese per la gestione tecnica ed amministrativa dell’attività di monitoraggio e controllo, pari ad euro 300.000, più IVA, per le domande di concessione riferite ai giochi di cui al comma 11, lettere da a) ad e), e ad euro 50.000, più IVA, per le domande di concessione riferite al gioco di cui al comma 11, lettera f);

g) sottoscrizione dell’atto d’obbligo di cui al comma 17.

16. I soggetti di cui al comma 13, lettera b), che chiedono la concessione per l’esercizio e la raccolta a distanza dei giochi di cui al comma 11, lettere da a) a f), al fine di ampliare ovvero completare la gamma dei giochi per i quali gli stessi sono già abilitati all’esercizio e alla raccolta a distanza, versano all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato il contributo di cui al comma 15, lettera f), nelle seguenti misure:

a) euro 300.000, per i concessionari del gioco previsto dal regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze 31 gennaio 2000, n. 29, relativamente a domande di concessione riferite ai giochi di cui al comma 11, lettere da a) ad e);

b) euro 50.000, per i concessionari di esercizio a distanza dei giochi di cui all’articolo 1, comma 287, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, e all’articolo 38, comma 4, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, relativamente a domande di concessione riferite al gioco di cui al comma 11, lettera f);

c) euro 350.000, per i concessionari di rimanenti giochi, non già abilitati alla loro raccolta a distanza, relativamente a domande di concessione riferite ai giochi di cui al comma 11, lettere da a) a f).

17. La sottoscrizione della domanda di concessione, il cui modello è reso disponibile dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato sul proprio sito web, implica altresì l’assunzione da parte del soggetto richiedente dei seguenti obblighi valevoli per l’intera durata della concessione:

a) dimostrazione, su richiesta dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, della persistenza dei requisiti e delle condizioni di cui al comma 15, lettere da a) a e);

b) comunicazione all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato di ogni variazione relativa ai requisiti ed alle condizioni di cui al comma 15, lettere da a) ad e);

c) accesso dei giocatori all’area operativa del sito web del concessionario dedicata all’offerta dei giochi di cui al comma 11, lettere da a) a f), esclusivamente sub registrazione telematica da parte del sistema centrale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;

d) esclusione dei consumatori residenti in Italia dall’offerta dei giochi di cui al comma 11, lettere da a) a f), attraverso siti diversi da quelli gestiti dai concessionari in aderenza a quanto previsto dalla concessione, ancorché gestiti dallo stesso concessionario, direttamente ovvero attraverso società controllanti, controllate o collegate;

e) adozione ovvero messa a disposizione di strumenti ed accorgimenti per l’autolimitazione ovvero per l’autoesclusione dal gioco, l’esclusione dall’accesso al gioco da parte di minori, nonché l’esposizione del relativo divieto in modo visibile negli ambienti virtuali di gioco gestiti dal concessionario;

f) promozione di comportamenti responsabili di gioco e vigilanza sulla loro adozione da parte dei giocatori, nonché di misure a tutela del consumatore previste dal codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206;

g) trasmissione al sistema centrale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato delle informazioni anonime relative alle singole giocate, ai prelievi ed ai versamenti effettuati sui singoli conti di gioco, ai relativi saldi, nonché, utilizzando protocolli di comunicazione stabiliti con provvedimento dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, ai movimenti, da identificare con apposita codifica, relativi ad attività di gioco effettuate dal giocatore mediante canali che non prevedono la sub registrazione da parte del sistema centrale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;

h) messa a disposizione, nei tempi e con le modalità indicati dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato all’atto della sua richiesta, di tutti i documenti e le informazioni occorrenti per l’espletamento delle attività di vigilanza e controllo della medesima Amministrazione;

i) consenso all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato per l’accesso, nei tempi e con le modalità indicati dalla stessa Amministrazione, di suoi dipendenti o incaricati alle sedi del concessionario a fini di controllo e ispezione, nonché, ai medesimi fini, impegno di massima assistenza e collaborazione a tali dipendenti o incaricati;

l) utilizzo di conti correnti bancari o postali dedicati alla gestione delle somme depositate sui conti di gioco di titolarità dei giocatori.

18. L’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato effettua l’istruttoria delle domande di concessione entro novanta giorni dalla data del loro ricevimento complete di tutta la documentazione occorrente per il riscontro dei requisiti e delle condizioni di cui al comma 15. In caso di incompletezza della domanda ovvero della relativa documentazione, il termine è sospeso fino alla data della sua regolarizzazione. Il termine è altresì sospeso, in caso di richiesta di integrazioni documentali ovvero di chiarimenti chiesti dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, dalla data della richiesta e fino alla loro ricezione. In deroga alle disposizioni del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, fatti, stati e qualità relativi ai requisiti ovvero alle condizioni di cui al comma 15 non possono essere attestati nella forma dell’autocertificazione ovvero della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà. In caso di decorso del termine per l’istruttoria senza l’adozione di un provvedimento conclusivo espresso da parte dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, la domanda di concessione si intende respinta.

19. La raccolta a distanza dei giochi di cui al comma 11 è subordinata alla stipula, anche per via telematica, di un contratto di conto di gioco tra il giocatore e il concessionario. Lo schema di riferimento del contratto di conto di gioco, reso disponibile dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato sul proprio sito web, è predisposto nel rispetto delle seguenti condizioni minime, cui restano senz’altro soggetti i contratti di conto di gioco in essere alla data di entrata in vigore della presente legge:

a) accettazione da parte del concessionario della regolazione del contratto secondo la legge dello Stato italiano e che italiano sia il foro competente per le eventuali controversie, nel rispetto delle norme vigenti anche di fonte comunitaria, con esclusione di forme di risoluzione arbitrale delle controversie medesime;

b) utilizzo del conto di gioco in osservanza delle disposizioni di cui al decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, di attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, nonché della direttiva 2006/70/CE recante disposizioni per la relativa esecuzione;

c) unicità del contratto di conto di gioco con ciascun giocatore, divieto di utilizzazione del conto di gioco di un giocatore per la raccolta o l’intermediazione di giocate altrui, improduttività di frutti del conto di gioco per il giocatore, nonché gratuità della relativa utilizzazione per il giocatore;

d) indisponibilità da parte del concessionario delle somme depositate sul conto di gioco, fatte salve le operazioni di addebito e di accredito direttamente connesse all’esercizio dei giochi oggetto di concessione;

e) tempestiva contabilizzazione e messa a disposizione al giocatore delle vincite e delle relative somme, comunque non oltre un’ora dalla certificazione ufficiale del verificarsi dell’evento che determina la vincita, salvo specifica diversa disposizione prevista dal regolamento di un singolo gioco;

f) accredito al giocatore, entro e non oltre sette giorni dalla richiesta e con valuta corrispondente al giorno della richiesta, delle somme giacenti sul conto di gioco di cui il giocatore chieda al concessionario il prelievo;

g) durata del contratto di conto di gioco non superiore alla data di scadenza della concessione;

h) informativa relativa al trattamento dei dati personali rispettosa della normativa vigente in materia;

i) assenso preventivo ed incondizionato del giocatore alla trasmissione da parte del concessionario all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, su richiesta di quest’ultima, di tutti i dati relativi ai movimenti e ai saldi del conto di gioco;

l) devoluzione all’erario dell’intero saldo del conto di gioco decorsi tre anni dalla data della sua ultima movimentazione.

20. Con provvedimento del direttore generale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato i contributi di cui ai commi 15, lettera f), e 16 possono essere adeguati in aumento ogni tre anni sulla base dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC) pubblicato dall’ISTAT.

21. L’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato adotta la carta dei servizi in materia di giochi al fine di assicurare la più corretta informazione dei giocatori, anche in tema di doveri di condotta dei concessionari, con particolare riguardo a quelli di cui al comma 17, lettera e).

22. Entro novanta giorni dalla data stabilita ai sensi del comma 30, i soggetti di cui al comma 13, lettera b), ai quali sono già consentiti l’esercizio e la raccolta a distanza dei giochi di cui al comma 11, sottoscrivono l’atto di integrazione della convenzione accessiva alla concessione occorrente per adeguarne i contenuti alle disposizioni dei commi da 11 a 30.

23. Chiunque organizza, esercita e raccoglie a distanza giochi di cui al comma 11 senza la prescritta concessione è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La stessa pena si applica a chiunque organizza, esercita e raccoglie a distanza giochi diversi da quelli di cui al comma 11 che non siano previamente istituiti dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato.

24. Chiunque organizza, esercita e raccoglie a distanza giochi con modalità e tecniche diverse da quelle previste dai commi da 11 a 22 è punito con l’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da euro 500 a euro 5.000.

25. Chiunque promuove o pubblicizza la raccolta a distanza dei giochi di cui al comma 11, organizzati senza la prescritta concessione, è punito con l’arresto fino a tre mesi e con l’ammenda da euro 500 a euro 5.000.

26. Fuori dei casi di concorso nel reato di cui al comma 23, chiunque partecipa a distanza ai giochi di cui al comma 11, organizzati senza la prescritta concessione, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda da euro 200 a euro 2.000.

27. In aggiunta a quanto previsto dai commi da 23 a 26, l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato applica una sanzione amministrativa pecuniaria di carattere accessorio da euro 30.000 fino ad euro 180.000.

28. Salvo che il fatto costituisca reato, in caso di inadempimento da parte del concessionario delle disposizioni di cui ai commi 17 e 19, l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato dispone:

a) per l’inadempimento delle disposizioni di cui al comma 17, lettere a), b), d), e), f), h) e i), nonché delle disposizioni di cui al comma 19, la sospensione della concessione fino alla data in cui il concessionario non ottemperi alle prescrizioni comunicate dalla Amministrazione, e, nel caso in cui l’inadempimento perduri per i trenta giorni successivi alla comunicazione, la revoca della concessione;

b) per l’inadempimento delle disposizioni di cui al comma 17, lettera g), la sospensione della concessione fino alla data in cui il concessionario non ottemperi alle prescrizioni comunicate dalla Amministrazione, e, nel caso in cui l’inadempimento perduri per i dieci giorni successivi alla comunicazione, la revoca della concessione;

c) al primo inadempimento delle disposizioni di cui al comma 17, lettera l), la sospensione della concessione per la durata di quindici giorni; al secondo inadempimento delle medesime disposizioni, la sospensione della concessione per trenta giorni; al terzo inadempimento la revoca della concessione;

d) in ogni caso al terzo inadempimento delle disposizioni di cui ai commi 17 e 19 l’Amministrazione dispone la revoca della concessione.

29. I termini di cui alle lettere a) e b) del comma 28 sono ridotti a metà in caso di nuovo inadempimento rilevato prima che siano trascorsi dodici mesi dalla notifica del primo. In caso di terzo inadempimento nell’arco di dodici mesi, è disposta la revoca della concessione.

30. Con provvedimento del direttore generale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, sulla base di apposito progetto di fattibilità tecnica redatto dal partner tecnologico, è stabilita la data dalla quale decorrono, in tutto o in parte, gli obblighi di cui ai commi da 11 a 29. Fino a tale data i concessionari continuano ad effettuare al partner tecnologico dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato la trasmissione dei dati in conformità alla disciplina a tale riguardo vigente anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge.

31. Con regolamento emanato ai sensi dell’articolo 16, comma 1, della legge 13 maggio 1999, n. 133, adottato di concerto con il Ministro dell’interno, sono disciplinati i tornei non a distanza di poker sportivo; con il medesimo regolamento sono altresì determinati l’importo massimo della quota di modico valore di partecipazione al torneo e le modalità che escludono i fini di lucro e la ulteriore partecipazione al torneo una volta esaurita la predetta quota, nonché l’impossibilità per gli organizzatori di prevedere più tornei nella stessa giornata e nella stessa località.

32. Il Fondo di cui all’articolo 81, comma 29, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, è integrato di 6 milioni di euro per l’anno 2009 e di 15 milioni di euro a decorrere dall’anno 2010. Al relativo onere nonché alle minori entrate recate dai commi da 1 a 3 del presente articolo, valutate in 22 milioni di euro dall’anno 2009, si provvede mediante utilizzo delle maggiori entrate derivanti dai commi da 11 a 30 del presente articolo, al netto dei costi sostenuti dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato per la realizzazione e la gestione degli strumenti informatici occorrenti.

33. Il Ministro dell’economia e delle finanze provvede al monitoraggio degli oneri di cui al presente articolo, anche ai fini dell’adozione dei provvedimenti correttivi di cui all’articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.

34. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio.


 

 

I commi da 11 a 34 dell’articolo 22, introdotto dal Senato, al fine di contrastare la diffusione del gioco irregolare ed illegale, intervengono sulla materia complessiva dei giochi a distanza (on line), prevedendo l’emanazione di regolamenti atti a disciplinare ex novo o ad ampliare le disposizioni circa l’esercizio e la raccolta a distanza dei seguenti giochi:

a)   scommesse, a quota fissa e a totalizzatore, su eventi, anche simulati; sportivi, inclusi quelli relativi alle corse dei cavalli, nonché su altri eventi;

b)   concorsi a pronostici sportivi e ippici;

c)   giochi di ippica nazionale;

d)   giochi di abilità;

e)   scommesse a quota fissa con interazione diretta tra i giocatori;

f)     bingo;

g)   giochi numerici a totalizzatore nazionale;

h)   lotterie ad estrazione istantanea e differita.

Le disposizioni ripropongono sostanzialmente il contenuto dell’articolo 1-ter del D.L. n. 149 del 2008 (Disposizioni urgenti per assicurare adempimenti comunitari in materia di giochi), introdotto dalla Commissione Finanze della Camera dei deputati nel corso dell’esame in sede referente e successivamente soppresso dall’Assemblea della Camera dei deputati (seduta del 6 novembre 2008).

Numerose disposizioni in materia di regolamentazione del gioco a distanza sono state emanate negli ultimi anni: legge n. 311/2005, art. 1, comma 290; D.L. n. 203/2005, art. 11-quinquiesdecies, commi 1 e 11; D.L. n. 223/2006, art. 38, comma 1; D.L. n. 159/2007, art. 40, commi da 6-bis a 6-sexies. Sostanzialmente le disposizioni rinviavano a decreti del Ministero dell’economia e delle finanze - A.A.M.S. la definizione dei requisiti minimi richiesti (ulteriormente dettagliati nelle convenzioni di concessione) nonché delle regole della raccolta attraverso i vari canali (Internet, televisione digitale, terrestre e satellitare, telefonia fissa e mobile), mentre la regolazione dei singoli giochi esercitati a distanza viene definita con specifici decreti direttoriali dell’A.A.M.S.

Con provvedimenti del direttore generale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato si procederà all’istituzione di singoli giochi, alla definizione delle condizioni generali di gioco, delle relative regole tecniche e della posta unitaria di partecipazione al gioco, all’individuazione della misura di aggi, diritti o proventi da corrispondere in caso di organizzazione indiretta del gioco, alla variazione della misura del prelievo, nell’ambito della misura massima prevista per ciascun gioco.

Il comma 13 prevede per i giochi ricompresi nelle lettere da a) ad f) del comma 11 l’attribuzione dell’esercizio e della raccolta a distanza dei giochi a nuovi soggetti (nella misura massima di 200 nuove concessioni), ai quali viene attribuita la concessione per 9 anni (lett. a) secondo i requisiti e condizioni richieste al successivo comma 15, nonché ai soggetti già titolari di concessione attraverso rete fisica, rete di raccolta a distanza o entrambe (lett. b).

Il comma 14 stabilisce che l’esercizio e la raccolta a distanza dei giochi numerici a totalizzatore nazionale e dellelotterie ad estrazione istantanea e differita (lettere g) e h)) sono effettuati fino alla data di scadenza delle relative concessioni dai soggetti che, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono titolari unici di concessione per la gestione e lo sviluppo dei medesimi giochi. Previa autorizzazione dell’A.A.M.S. (Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato), è previsto che i titolari unici di concessione possano concedere la licenza per la raccolta a distanza dei giochi numerici a totalizzatore nazionale e dellelotterie ad estrazione istantanea e differita in favore di nuovi soggetti, con la previsione di un aggio non inferiore a quello percepito dai titolari di punti di vendita dei medesimi giochi che fanno parte della rete fisica di raccolta dei titolari unici di concessione.

Il comma 15, nell’elencare i requisiti e le condizioni richiesti ai nuovi soggetti beneficiari della concessione (esercizio, sede legale, residenza delle infrastrutture tecnologiche, hardware e software), ne prevede la localizzazione in uno degli Stati dello Spazio economico europeo (SEE): pertanto, oltre ai 27 paesi dell’Unione europea aderenti al SEE, sono ricompresi la Norvegia, l’Islanda e il Liechtenstein[114]. E’ altresì previsto il versamento di un corrispettivo una tantum all’A.A.M.S., per la durata della concessione, pari a 300.000 euro più IVA per le domande riferite ai giochi indicati alle lettere da a) ad e) del comma 11 e a 50.000 euro più IVA nel caso del gioco del bingo.

Il comma 16 dispone in merito alla possibilità di ampliamento del numero dei giochi in favore dei soggetti già concessionari dell’esercizio e raccolta a distanza di altri giochi, attraverso il versamento di uno specifico contributo:

-       300.000 euro se già concessionari del gioco del Bingo per la concessione dei giochi di cui alle lettere da a) ed e);

-       50.000 euro se concessionari per l’esercizio a distanza dei giochi per la concessione del gioco del Bingo (lettera f);

-       350.000 euro per i concessionari dei rimanenti giochi, non già abilitati alla loro raccolta a distanza, relativamente a domande di concessione riferite ai giochi di cui alle lettere da a) ed f).

Ai sensi del successivo comma 20 i contributi indicati ai commi 15 e 16 possono essere aumentati ogni tre anni con provvedimento del direttore generale dell’A.A.M.S. sulla base dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC) dell’ISTAT.

I commi 17 e 18 recano le disposizioni procedurali ed operative per l’assegnazione delle concessioni, elencando gli obblighi che il concessionario è tenuto ad assumere per l’intero periodo di concessione. In particolare, si prevede che l’accesso dei giocatori all'area operativa del sito web del concessionario dedicata all'offerta dei giochi di cui al comma 11, lettere da a) a f), sia possibile esclusivamente attraverso registrazione telematica da parte del sistema centrale dell'A.A.M.S. In sostanza gli utenti potranno effettuare giochi on line soltanto sui siti dei concessionari collegati al sistema centrale dell’A.A.M.S.

Inoltre, il concessionario dovrà adottare o mettere a disposizione strumenti ed accorgimenti per l’autolimitazione ovvero per l’autoesclusione dal gioco e prevedere l’esclusione dall’accesso al gioco da parte di minori nonché l’esposizione del relativo divieto in modo visibile negli ambienti virtuali di gioco.

Il comma 19introduce lo strumento del “conto di gioco”: si tratta di un contratto di gioco necessario per effettuare la raccolta a distanza, che è stipulato, anche per via telematica, tra il giocatore e il concessionario secondo uno schema tipo predisposto dall’A.A.M.S. sulla base delle condizioni indicate nel medesimo comma. Tra queste si segnalano l’unicità del contratto di conto di gioco con ciascun giocatore, il divieto di utilizzazione del conto di gioco di un giocatore per la raccolta o l’intermediazione di giocate altrui, l’improduttività di frutti del conto di gioco per il giocatore. Si prevede, altresì, la devoluzione all’erario dell’intero saldo del conto di gioco decorsi tre anni dalla data della sua ultima movimentazione.

Allo scopo di assicurare la più corretta informazione dei giocatori, anche in tema di doveri di condotta dei concessionari, l’A.A.M.S provvederà ad adottare una carta dei servizi in materia di giochi (comma 21).

I commi da 23 a 27 indicano le sanzioni penali e amministrative da applicare in caso di violazione della normativa in oggetto. In particolare è prevista:

-       la reclusione da 6 mesi a 3 anni per chiunque organizza, esercita e raccoglie a distanza giochi indicati al comma 11 senza la prescritta concessione;

-       la reclusione da 6 mesi a 3 anni per chiunque organizza, esercita e raccoglie a distanza giochi diversi da quelli indicati al comma 11 che non siano previamente istituiti dall’A.A.M.S. (comma 23);

-       l’arresto da 3 mesi a 1 anno o con l’ammenda da 500 a 5.000 euro per chiunque organizza, esercita e raccoglie a distanza giochi con modalità e tecniche diverse da quelle previste dai commi da 11 a 22 del presente articolo (comma 24);

-       l’arresto fino a 3 mesi e con l’ammenda da 500 a 5.000 euro per chiunque promuove o pubblicizza la raccolta a distanza dei giochi indicati al comma 11, organizzati senza la prescritta concessione (comma 25);

-       l’arresto fino a 3 mesi o con l’ammenda da 200 a 2.000 euro per chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato di cui al comma 23, partecipa a distanza ai giochi di cui al comma 11, organizzati senza la prescritta concessione (comma 26);

-       la sanzione amministrativa pecuniaria di carattere accessorio da 30.000 fino ad 180.000 euro (da comminare in aggiunta alle sanzioni penali sopra indicate).

Ai commi 28 e 29 sono riportati i casi in cui viene comminata la sospensione della concessione.

Il comma 30 rinvia all’emanazione di un provvedimento del direttore generale dell’A.A.M.S., sulla base di apposito progetto di fattibilità tecnica redatto dal partner tecnologico, in merito alla data di decorrenza degli obblighi indicati ai commi da 11 a 29. Fino a tale data i concessionari continuano a trasmettere al partner tecnologico dell’A.A.M.S i dati in conformità alla disciplina attualmente vigente.

Il comma 31 prevede l’emanazione di un regolamento, di concerto con il Ministro dell’interno, sulla disciplina dei tornei non a distanza di poker sportivo, determinandone le modalità che escludono i fini di lucro.

Secondo la relazione tecnica all’emendamento, presentata al Senato, il “gioco irregolare o illegale riguarda movimenti finanziari per circa 2 miliardi di euro”. Sono a tal fine stimate maggiori entrate nel 2009 pari a 28 milioni di euro, di cui 7 milioni derivanti dall’ingresso nel mercato di almeno 20 nuovi concessionari e 21 milioni quale emersione del gioco illegale. La relazione tecnica, considerando il tetto massimo di 200 concessioni novennali e la rimozione di alcuni ostacoli all’accesso al mercato italiano (obbligo del server e della sede legale in un paese SEE e non più esclusivamente in Italia), ritiene che a regime possa esserci annualmente l’ingresso di almeno 20 nuovi concessionari, con conseguente stabilizzazione delle entrate in 37 milioni annui, di cui 7 derivanti dai nuovi concessionari e 30 dall’emersione del gioco illegale.

Infine, il comma 32 stabilisce che le maggiori entrate derivanti dall’attuazione delle disposizioni in oggetto (commi da 11 a 30), al netto dei costi sostenuti dall’A.A.M.S. per la realizzazione e la gestione degli strumenti informatici occorrenti, sono destinate:

·       per 22 milioni di euro annui alla copertura degli oneri recati dai commi 1-3 concernenti  le modifiche al regime dei dividendi in uscita distribuiti a fondi pensione di altri Stati UE o aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo (SEE) o all’Associazione europea di libero scambio (AELS);

·       6 milioni di euro per il 2009 e 15 milioni a decorrere dal 2010 vanno ad integrare il Fondo destinato al soddisfacimento delle esigenze dei cittadini meno abbienti previsto dall’articolo 81, comma 29, del D.L. n. 112 del 2008 (c.d. Carta acquisti).

Il comma 33 prevede una clausola di salvaguardia finanziaria, demandando al Ministro dell’economia e delle finanze il monitoraggio degli oneri recati dall’articolo in esame, ai fini dell’adozione dei provvedimenti correttivi di cui all’articolo 11-ter, comma 7, della legge di contabilità (legge n. 468/1978).

L’articolo 11-ter, comma 7, della legge n. 468/1978, come modificato dal decreto-legge n. 194/2002 (cd. decreto-legge “taglia-spese”), impegna i Ministri di settore ad informare tempestivamente il Ministro dell’economia e delle finanze degli eventuali scostamenti rispetto alle previsioni di spesa che si verifichino nel corso dell’attuazione di provvedimenti legislativi.

Il Ministro dell’economia è quindi tenuto a riferire al Parlamento con una propria relazione, che individui le cause che hanno determinato gli scostamenti, anche ai fini di eventuali conseguenti iniziative legislative.

Il Ministro dell'economia e delle finanze può promuovere la procedura suddetta allorché riscontri che l'attuazione di leggi rechi pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica indicati dal Documento di programmazione economico-finanziaria e da eventuali aggiornamenti, come approvati dalle relative risoluzioni parlamentari.

Procedure di contenzioso

Il 19 febbraio 2009 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato complementare (procedura d’infrazione n. 1999/5352) (ai sensi dell’art. 228 TCE)[115], per la mancata attuazione della sentenza della Corte di giustizia del 13 settembre 2007 (causa C-260/04), con la quale la Repubblica italiana era stata condannata per avere rinnovato, senza previa gara d’appalto, 329 concessioni per l’esercizio delle scommesse ippiche.

La sentenza ha statuito che l’Italia sarebbe venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 43 CE e 49 CE e, in particolare, avrebbe violato il principio generale di trasparenza nonché l’obbligo di garantire un adeguato livello di pubblicità. La Commissione, nella lettera di messa in mora, ha rilevato che le misure recentemente adottate dall'Italia per aprire il mercato dei giochi con la messa in concorrenza di un numero molto elevato (8.065 punti globali, di cui 290 agenzie) di nuove concessioni ippiche, non sarebbero sufficienti a dare esecuzione alla sentenza della Corte di Giustizia.

Il 4 aprile 2006 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura d’infrazione n. 2003/4616)per violazione dell’art. 49 del Trattato della Comunità europea, in quanto la normativa italiana vigente comporterebbe restrizioni all’esercizio di attività di organizzazione e di raccolta di scommesse sulle competizioni sportive.

Il 28 giugno 2006 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura di infrazione 2006/4179) sostenendo che sarebbero state adottate senza operare la notifica richiesta dall’art. 8 della direttiva 98/34/CE, le disposizioni della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006) e il decreto 7 febbraio 2006 (prot. n. 2006/4249/giochi/UD) - che impongono ai fornitori di servizi rete italiani l’obbligo di oscurare i siti internet che offrono servizi di scommesse on-line e i cui operatori non sono in possesso delle autorizzazioni italiane richieste.

 


Art. 23

 

(Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2007/65/CE)

 

 


1. Nella predisposizione del decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2007/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, che modifica la direttiva 89/552/CEE del Consiglio, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive, attraverso le opportune modifiche al testo unico della radiotelevisione, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) l’inserimento di prodotti è ammesso nel rispetto di tutte le condizioni e i divieti previsti dall’articolo 3-octies, paragrafi 2, 3 e 4, della direttiva 89/552/CEE, come introdotto dalla citata direttiva 2007/65/CE;

b) per le violazioni delle condizioni e dei divieti di cui alla lettera a) si applicano le sanzioni previste dall’articolo 51 del testo unico di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, per la violazione delle disposizioni in materia di pubblicità, sponsorizzazione e televendite, fatto salvo il divieto di inserimento di prodotti nei programmi per bambini, per la cui violazione si applica la sanzione di cui all’articolo 35, comma 2, del medesimo decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177.

 


 

 

L'articolo 23, modificato nel corso dell’esame al Senato,reca misure concernentiildecreto legislativo per l'attuazione della direttiva 2007/65/CE (inclusa nell’allegato B al disegno di legge) che ha innovato la direttiva 89/552/CE (“TV senza frontiere”) allo scopo di adeguarla allo sviluppo tecnologico e agli sviluppi del mercato nel settore audiovisivo in Europa.

Ai sensi dell’art. 1 del disegno di legge, il provvedimento di attuazione dovrà essere adottato entro il termine di scadenza previsto per il recepimento della direttiva citata, ossia il 19 dicembre 2009 (art. 3 della Direttiva 2007/65/CE).

In particolare, l’articolo in esame oltre a specificare che il provvedimento legislativo dovrà novellare il Testo unico della radiotelevisione, di cui al d.lgs. n. 177 del 2005[116] integra i criteri generali di delega, già indicati dall’art. 2 del disegno di legge,con la previsione di specifici criteri relativi alla disciplina dell'inserimento di prodotti all'interno di programmi audiovisivi (c.d.product placement[117]).

Si stabilisce, in proposito, che tale inserimento deve avvenire nel rispetto di tutte le condizioni e di tutti i divieti previsti dall’art. 3-octies, paragrafi 2, 3 e 4, della direttiva 89/552/CEE, introdotto dalla direttiva 2007/65/CE.

Al riguardo, la relazione introduttiva al disegno di legge ricordato che la direttiva definisce esplicitamente il concetto di “inserimento di prodotti” (product placement) e ne prescrive il divieto, consentendo, però, agli Stati membri la previsione di eventuali deroghe – evidenzia che la disposizione dell’art. 17 (ora, 23) è volta a definire l’ambito di esercizio della discrezionalità riservata allo Stato. Ciò, al fine di aumentare la competitività delle opere audiovisive prodotte in Italia, garantendo loro un trattamento omogeneo e non penalizzante, ma al contempo introducendo regole certe a tutela degli utenti.

Rimandando, per una sintesi più complessiva della direttiva, all’apposita scheda, si opererà, di seguito, una breve ricognizione di quanto prevede l’art. 3-octies richiamato.

In linea generale (par. 1), esso vieta l’inserimento di prodotti, intendendo per inserimento (art. 1, par. 2, lett. m)) ogni forma di comunicazione commerciale audiovisiva che consiste nell’inserire o nel fare riferimento ad un prodotto, a un servizio o a un marchio, così che appaia all’interno di un programma dietro pagamento o altro compenso[118].

Il par. 2, tuttavia, in deroga al par. 1, consente il product placement a meno che lo Stato membro non decida altrimenti, con riferimento a due specifiche fattispecie.

La prima riguarda opere cinematografiche, film e serie prodotti per i servizi di media audiovisivi[119], programmi sportivi e programmi di intrattenimento leggero, ad esclusione, in tutti i casi, dei programmi per bambini.

La seconda riguarda la circostanza in cui non ci sia pagamento, ma soltanto fornitura gratuita di determinati beni o servizi, quali aiuti alla produzione e premi.

I programmi che contengono inserimento di prodotti devono, però, rispettare una serie minima di prescrizioni. In particolare:

-          il loro contenuto non deve compromettere la responsabilità e l’indipendenza editoriale del fornitore dei servizi di media[120];

-          non devono incoraggiare direttamente l’acquisto o la locazione di beni o servizi;

-          non devono dare indebito rilievo ai prodotti in questione;

-          i telespettatori devono essere chiaramente informati dell’esistenza dell’inserimento dei prodotti[121].

Il par. 3 prescrive che, in ogni caso, i programmi non possono contenere inserimento di prodotti a base di tabacco o sigarette e specifici medicinali o cure mediche che si possono ottenere esclusivamente su prescrizione.

Il par. 4, infine, prevede che le disposizioni dei paragrafi 1, 2 e 3 si applicano solo ai programmi prodotti dopo il 19 dicembre 2009 che, come si è visto, è il termine per il recepimento della direttiva.

Si stabilisce, altresì, che, in caso di violazione delle condizioni e dei divieti sopra illustrati, si applicano le sanzioni previste dall’art. 51 del già citato d.lgs. n. 177 del 2005 per la violazione delle disposizioni in materia di pubblicità, sponsorizzazione e televendite. Nel caso, però, che si violi il divieto di inserimento di prodotti nei programmi per bambini, si applica la sanzione prevista dall’art. 35, comma 2, del medesimo d.lgs. n. 177 del 2005.

L’art. 51 del d.lgs. n. 177 del 2005 disciplina le sanzioni di competenza dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per la violazione degli obblighi in materia, fra l’altro, di pubblicità, sponsorizzazioni e televendite previsti dagli art. 4, comma 1, lett. c) e d)[122], 37, 38, 39 e 40[123] del medesimo d.lgs. n. 177/2005, dal DM n. 581 del 1993[124] e dai regolamenti dell’Autorità. Per tali fattispecie, la sanzione amministrativa irrogata varia da 10.329 euro a 258.228 euro. In linea generale, peraltro, il comma 9 prevede che, se la violazione è di particolare gravità o reiterata, l’Autorità può disporre nei confronti dell’emittente o del fornitore di contenuti la sospensione dell’attività per un periodo non superiore a sei mesi, ovvero, nei casi più gravi di mancata ottemperanza agli ordini e alle diffide della stessa Autorità, la revoca della concessione o dell’autorizzazione.

L’art. 35, comma 2, del medesimo d.lgs. n. 177 del 2005 - come modificato dall'art. 11-quinquies del D.L. n. 8 del 2007[125], nel testo integrato dalla relativa legge di conversione - prevede che la Commissione per i servizi e i prodotti dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, organo tenuto a vigilare sull’osservanza delle disposizioni in materia di protezione dei minori, nei casi di inosservanza dei relativi divieti, previa contestazione della violazione agli interessati ed assegnazione di un termine non superiore a quindici giorni per le giustificazioni, delibera l'irrogazione della sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 25.000 euro a 350.000 euro e, nei casi più gravi, la sospensione dell'efficacia della concessione o dell'autorizzazione per un periodo da tre a trenta giorni.

 


Art. 24

 

(Disposizioni per l’attuazione della direttiva 2007/68/CE)

 

 


1. In attuazione della direttiva 2007/68/CE della Commissione, del 27 novembre 2007, che modifica l’allegato III-bis della direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, per quanto concerne l’inclusione di alcuni ingredienti alimentari, all’Allegato II del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) la sezione III è sostituita dalla seguente:

«Sezione III

Allergeni Alimentari

1. Cereali contenenti glutine (cioè grano, segale, orzo, avena, farro, kamut o i loro ceppi ibridati) e prodotti derivati, tranne:

a) sciroppi di glucosio a base di grano, incluso destrosio e prodotti derivati, purché il processo subito non aumenti il livello di allergenicità valutato dall’EFSA per il prodotto di base dal quale sono derivati;

b) maltodestrine a base di grano e prodotti derivati, purché il processo subito non aumenti il livello di allergenicità valutato dall’EFSA per il prodotto di base dal quale sono derivati;

c) sciroppi di glucosio a base d’orzo;

d) cereali utilizzati per la fabbricazione di distillati o di alcol etilico di origine agricola per liquori ed altre bevande alcoliche.

2. Crostacei e prodotti derivati.

3. Uova e prodotti derivati.

4. Pesce e prodotti derivati, tranne:

a) gelatina di pesce utilizzata come supporto per preparati di vitamine o carotenoidi;

b) gelatina o colla di pesce utilizzata come chiarificante nella birra e nel vino.

5. Arachidi e prodotti derivati.

6. Soia e prodotti derivati, tranne:

a) olio e grasso di soia raffinato e prodotti derivati, purché il processo subito non aumenti il livello di allergenicità valutato dall’EFSA per il prodotto di base dal quale sono derivati;

b) tocoferoli misti naturali (E306), tocoferolo D-alfa naturale, tocoferolo acetato D-alfa naturale, tocoferolo succinato D-alfa naturale a base di soia;

c) oli vegetali derivati da fitosteroli e fitosteroli esteri a base di soia;

d) estere di stanolo vegetale prodotto da steroli di olio vegetale a base di soia.

7. Latte e prodotti derivati (incluso lattosio), tranne:

a) siero di latte utilizzato per la fabbricazione di distillati o di alcol etilico di origine agricola per liquori ed altre bevande alcoliche;

b) lattitolo.

8. Frutta a guscio, cioè mandorle (Amygdalus communis L.), nocciole (Corylus avellana), noci comuni (Juglans regia), noci di anacardi (Anacardium occidentale), noci di pecan (Carya illinoiesis (Wangenh) K. Koch), noci del Brasile (Bertholletia excelsa), pistacchi (Pistacia vera), noci del Queensland (Macadamia ternifolia) e prodotti derivati, tranne frutta a guscio utilizzata per la fabbricazione di distillati o di alcol etilico di origine agricola per liquori ed altre bevande alcoliche.

9. Sedano e prodotti derivati.

10. Senape e prodotti derivati.

11. Semi di sesamo e prodotti derivati.

12. Anidride solforosa e solfiti in concentrazioni superiori a 10 mg/Kg o 10 mg/l espressi come SO2.

13. Lupini e prodotti derivati.

14. Molluschi e prodotti derivati.»;

b)la sezione IV è abrogata.

2. È autorizzata la commercializzazione, fino ad esaurimento delle scorte, dei prodotti alimentari, conformi alle disposizioni del decreto legislativo 8 febbraio 2006, n. 114, immessi sul mercato od etichettati prima del 31 maggio 2009.

3. Le modifiche della sezione III dell’Allegato II del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, come modificata dal comma 1 del presente articolo, rese necessarie per il recepimento di direttive comunitarie in materia, sono adottate con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da esprimere entro trenta giorni dalla richiesta.

4. Sono abrogati l’articolo 8, commi 2 e 3, del decreto legislativo 8 febbraio 2006, n. 114, l’articolo 2 del decreto legislativo 27 settembre 2007, n. 178, ed il secondo periodo del comma 2-bis dell’articolo 7 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, e successive modificazioni.


 

 

L'articolo 24, modificato nel corso dell’esame al Senato, recependo la direttiva n. 2007/68/CE, modifica l'elenco degli ingredienti classificati come allergeni alimentari, che viene integrato con taluni degli ingredienti in precedenza temporaneamente esclusi da tale classificazione in quanto oggetto di valutazione scientifica. Per la restante parte degli ingredienti oggetto di studio, viene escluso, invece, in via definitiva, il carattere allergenico.

Tali riclassificazioni corrispondono a quelle operate dalla direttiva 2007/68/CE della Commissione, del 27 novembre 2007.

L’individuazione di sostanze allergeniche, ovvero prodotti alimentari, ingredienti o altre sostanze (quali additivi o coadiuvanti) capaci di provocare un’ipersensibilità è stata operata con la direttiva 2003/89/CE[126] che, modificando la direttiva 2000/13/CE[127], ha fissato con il nuovo allegato III-bis l’elenco di ingredienti o sostanze che debbono obbligatoriamente essere indicati in etichetta.

Con la direttiva 2005/26/CE[128], tuttavia, la Commissione ha temporaneamente escluso, fino al 25 novembre 2007, dal menzionato allegato III-bis della direttiva 2000/13/CE taluni ingredienti o sostanze, in attesa che studi scientifici stabilissero la loro natura allergizzante.

Allo scadere del termine, la direttiva 2007/68/CE ha abrogato la direttiva 2005/26/CE e, sulla scorta dei pareri dell’EFSA e di altre informazioni, ha esonerato in modo permanente talune delle sostanze in regime temporaneo dall’obbligo di menzione nelle etichette, riconducendo le rimanenti nell’allegato III -bis.

L’adozione delle nuove norme, avvenuta il 27 novembre 2007, ha peraltro reso necessario autorizzare lo smaltimento delle scorte conformi alla precedente direttiva 2005/26/CE fino ad esaurimento, ma comunque entro il 31 maggio 2009, allo scopo di agevolare la transizione verso il nuovo regime soprattutto delle piccole e medie imprese.

Il comma 1 dell'articolo 24 novellando il d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 109[129], di attuazione di direttive comunitarie sull’etichettatura e pubblicità dei prodotti alimentari modifica l'elenco degli ingredienti classificati come allergeni alimentari in conformità alla revisione operata dalla direttiva 2007/68/CE della Commissione, del 27 novembre 2007.

Si ricorda che ai prodotti contenenti allergeni alimentari (o ingredienti e sostanze derivati dagli stessi) si applicano le specifiche norme di cui all'art. 5, commi da 2-bis a 2-quater, del citato d.lgs. n. 109 del 1992, che impongono l’indicazione nelle etichette di tali ingredienti.

Il comma 2 reca una deroga transitoria, consentendo la distribuzione commerciale, fino ad esaurimento delle scorte, dei prodotti alimentari conformi d.lgs. 8 febbraio 2006, n. 114[130] (che ha dato attuazione alla direttiva 2005/63/CE di rettifica della direttiva 2005/26/CE), purché immessi sul mercato o etichettati prima del 31 maggio 2009.

Il successivo comma 3 prevede che le ulteriori modifiche all'elenco degli allergeni alimentari per l’adeguamento a nuove prescrizioni comunitarie siano adottate con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro del lavoro ed acquisito il parere della Conferenza Stato-regioni, che si deve pronunciare entro trenta giorni dalla richiesta.

La relazione al disegno di legge riconduce le disposizioni di cui al comma 3 alla necessità di adempiere tempestivamente agli obblighi comunitari e di evitare l’apertura di procedure d’infrazione.

Il comma 4 reca talune norme di abrogazione esplicita, connesse alle nuove disposizioni di cui al presente articolo 18.

Con riferimento alla procedura di aggiornamento dell’elenco degli allergeni alimentari di cui al comma 3, si osserva che l'articolo 29, comma 3, del citato d.lgs. n. 109 del 1992 già prevede in via generale una procedura semplificata, consentendo che tutte le modifiche, o integrazioni, necessarie ad attuare nuove norme comunitarie siano adottate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato di concerto con il Ministro della sanità.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Si veda il paragrafo Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE relativo all’art. 7.

Procedure di contenzioso

Il 29 gennaio 2009 la Commissione europea ha inviato all’Italia parere motivato (procedura n. 2008/0560) per mancato recepimento della direttiva 2007/68/CE che modifica l'allegato III bis della direttiva 2000/13/CE per quanto riguarda l'inclusione di alcuni ingredienti alimentari.

Il termine di recepimento era il 31 maggio 2008.

 

 


Art. 25

 

(Delega al Governo per la modifica della disciplina in materia di composizione e denominazione degli estratti alimentari e dei prodotti affini, in esecuzione della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 19 giugno 1990, nella causa C-177/89)

 

 


1. Il Governo è delegato ad adottare, con le modalità di cui all’articolo 1 e nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, un decreto legislativo al fine di dare piena e completa esecuzione alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 19 giugno 1990, nella causa C-177/89, con particolare riferimento alle disposizioni in materia di composizione e denominazione degli estratti alimentari e dei prodotti affini.

2. Il Governo è autorizzato ad apportare, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1, le conseguenti modifiche ed integrazioni al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1953, n. 567.


 

L'articolo 25, al comma 1, delega il Governo ad adottare un decreto legislativo per dare esecuzione alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 19 giugno 1990, nella causa C-177/89 (con la quale l'Italia è stata condannata per aver assoggettato lo smercio di estratti alimentari e di prodotti affini, di origine animale o vegetale, legalmente fabbricati e messi in commercio in altri Stati membri, a restrizioni relative alla composizione, alla denominazione e alla confezione, subordinandone inoltre lo smercio ad autorizzazione), con particolare riferimento alle disposizioni in materia di composizione e denominazione degli estratti alimentari e dei prodotti affini, attualmente regolate dalla legge 6 ottobre 1950, n. 836, recante Disciplina della produzione e vendita degli estratti alimentari e dei prodotti affini.

Il comma 2 reca l’autorizzazione al Governo a modificare il D.P.R. n. 567/1953 con il quale è stato approvato il regolamento di esecuzione[131], consentendo così la completa revisione del quadro normativo nazionale in materia di estratti alimentari.


Art. 26

 

(Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2007/23/CE relativa all’immissione sul mercato di articoli pirotecnici)

 

 


1. Nella predisposizione del decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2007/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 maggio 2007, relativa all’immissione sul mercato di articoli pirotecnici, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) disciplinare, mediante sistemi informatizzati di trattamento dei dati e di gestione delle procedure, le domande ed i procedimenti per l’accertamento della conformità degli articoli pirotecnici ai requisiti di sicurezza della direttiva medesima e le ulteriori procedure per il riconoscimento dei prodotti pirotecnici destinati ad organismi diversi;

b) armonizzare le norme di recepimento con le disposizioni vigenti in materia di sicurezza, ivi compresi gli aspetti di prevenzione incendi, delle fabbriche, dei depositi, del trasporto, degli esercizi di vendita dei prodotti esplodenti;

c) assicurare la produzione, l’uso e lo smaltimento ecocompatibili dei prodotti esplodenti, compresi i pirotecnici per uso nautico, e dei rifiuti prodotti dall’accensione di pirotecnici di qualsiasi specie, prevedendo una disciplina specifica per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti di tali prodotti e dei prodotti scaduti;

d) prevedere la procedura di etichettatura degli artifici pirotecnici, che consenta, nella intera filiera commerciale ed anche mediante l’adozione di codici alfanumerici, la corretta ed univoca individuazione dei prodotti esplodenti nel territorio nazionale, la migliore tracciabilità amministrativa degli stessi ed il rispetto dei princìpi in materia di tutela della salute ed incolumità pubblica;

e) prevedere specifiche licenze e modalità di etichettatura per i prodotti pirotecnici fabbricati ai fini di ricerca, sviluppo e prova;

f) prevedere ogni misura volta al rispetto delle esigenze di ordine e di sicurezza pubblica e di prevenzione incendi nell’acquisizione, detenzione ed uso degli artifici pirotecnici e ad escludere dal possesso di tali prodotti persone comunque ritenute pericolose;

g) determinare le attribuzioni e la composizione del comitato competente al controllo delle attività degli organismi notificati responsabili delle verifiche di conformità, assicurandone l’alta competenza e l’indipendenza dei componenti;

h) prevedere, per le infrazioni alle disposizioni della legislazione nazionale di attuazione della direttiva 2007/23/CE, l’introduzione di sanzioni, anche di natura penale, nei limiti di pena stabiliti per le contravvenzioni e per i delitti dalla legge 2 ottobre 1967, n. 895, e dalla legge 18 aprile 1975, n. 110, ferme le disposizioni penali vigenti in materia, a tutela dell’ordine pubblico, della sicurezza pubblica, dell’incolumità delle persone e della protezione ambientale.

2. Dall’attuazione della delega di cui al presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

 

Con l’articolo 26, modificato nel corso dell’esame al Senato, si individuano i principi e i criteri specifici di delega per il recepimento della direttiva 2007/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 maggio 2007, relativa all’immissione sul mercato di articoli pirotecnici – fermi restando i principi e criteri direttivi generali di cui all'art. 2 – anche al fine di coordinare le norme di recepimento della direttiva con quelle nazionali vigenti in materia di sicurezza delle fabbriche, dei depositi e degli esercizi di vendita, anche sotto il profilo della prevenzione incendi.

Si segnala che la direttiva 2007/23/CE è ricompresa nell'Allegato B al presente disegno di legge.

Per quanto riguarda la disciplina vigente in Italia, si rinvia, tra l'altro, al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, di approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, in particolare al Capo V (Della prevenzione di infortuni e disastri - artt. 46-62) e al Capo VI (Delle industrie pericolose e dei mestieri rumorosi e incomodi - art. 63-67) del Titolo II e al decreto legislativo 2 gennaio 2007, n. 7, di recepimento della direttiva 93/15/CEE relativa all'armonizzazione delle disposizioni in materia di immissione sul mercato e controllo degli esplosivi per uso civile.

Oltre ai principi desumibili dal contenuto della direttiva 2007/23/CE, il comma 1 introduce ulteriori principi e criteri di delega, riguardanti:

a) la disciplina, mediante sistemi informatizzati di trattamento dei dati e di gestione delle procedure, delle domande e dei procedimenti per l’accertamento della conformità degli articoli pirotecnici ai requisiti di sicurezza della direttiva medesima e delle ulteriori procedure per il riconoscimento dei prodotti pirotecnici destinati ad organismi diversi;

b) l'armonizzazione delle norme di recepimento con le disposizioni vigenti in materia di sicurezza, ivi compresi gli aspetti di prevenzione incendi, delle fabbriche, dei depositi, del trasporto, degli esercizi di vendita dei prodotti esplodenti;

c) la garanzia della produzione, l’uso e lo smaltimento ecocompatibili dei prodotti esplodenti, compresi i pirotecnici per uso nautico, e dei rifiuti prodotti dall’accensione di pirotecnici di qualsiasi specie, prevedendo una disciplina specifica per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti di tali prodotti e dei prodotti scaduti;

d) la previsione della procedura di etichettatura degli artifici pirotecnici, che consenta, nella intera filiera commerciale ed anche mediante l’adozione di codici alfanumerici, la corretta ed univoca individuazione dei prodotti esplodenti nel territorio nazionale, la migliore tracciabilità amministrativa degli stessi ed il rispetto dei princıpi in materia di tutela della salute ed incolumità pubblica;

e) la previsione di specifiche licenze e modalità di etichettatura per i prodotti pirotecnici fabbricati ai fini di ricerca, sviluppo e prova;

f) la previsione di ogni misura volta al rispetto delle esigenze di ordine e di sicurezza pubblica e di prevenzione incendi nell’acquisizione, detenzione ed uso degli artifici pirotecnici e ad escludere dal possesso di tali prodotti persone comunque ritenute pericolose;

g) la determinazione delle attribuzioni e della composizione del comitato competente al controllo delle attività degli organismi notificati responsabili delle verifiche di conformità, assicurandone l’alta competenza e l’indipendenza dei componenti;

h) l’introduzione di sanzioni, anche di natura penale nei limiti di pena stabiliti per le contravvenzioni e per i delitti dalla legge n. 895/1967 e dalla legge n. 110/1975 per le infrazioni alle disposizioni della legislazione nazionale di attuazione della citata direttiva 2007/23/CE, ferme le disposizioni penali vigenti in materia, a tutela dell’ordine pubblico, della sicurezza pubblica, dell’incolumità delle persone e della protezione ambientale.

La relazione illustrativa del disegno di legge comunitaria precisa che il principio di delega di cui al comma 1, lettera g), non comporta oneri aggiuntivi, in quanto non prevede l’istituzione di nuovi organi, ma si limita a prevedere la definizione delle attribuzioni e della composizione del comitato tecnico di vigilanza sull’attività degli organismi notificati, già previsto dall’articolo 4 del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 7, e dai relativi provvedimenti attuativi (articolo 9 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’interno 19 settembre 2002, n. 272, che esclude per i componenti esterni, tra l’altro, qualunque forma di compenso, fermo restando che nessun compenso è previsto per i componenti del comitato appartenenti alla pubblica amministrazione). Sempre la relazione illustrativa aggiunge che gli organismi notificati responsabili delle verifiche di conformità, previste dall’articolo 10 della direttiva in questione, opereranno su richiesta delle ditte interessate alle verifiche di conformità ed a spese delle medesime. Si tratta di organismi analoghi a quelli già previsti dall’articolo 3 del richiamato decreto legislativo n. 7 del 1997, recante il recepimento della direttiva 93/15/CEE, in materia di immissione sul mercato e controllo degli esplosivi per uso civile. Analogamente, con riferimento alle misure volte al rispetto delle esigenze di ordine e sicurezza pubblica e di prevenzione incendi, esse si riferiscono a procedure e servizi già tipizzati, e rimodulabili in relazione allo specifico contenuto della direttiva.

Ai sensi del comma 2, l’esercizio della delega non deve comportare oneri aggiuntivi per la finanza pubblica.

 


Art. 27

 

(Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2008/43/CE relativa all’istituzione, a norma della direttiva 93/15/CEE, di un sistema di identificazione e tracciabilità degli esplosivi per uso civile)

 

 


1. Nella predisposizione del decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2008/43/CE della Commissione, del 4 aprile 2008, relativa all’istituzione, a norma della direttiva 93/15/CEE del Consiglio, di un sistema di identificazione e tracciabilità degli esplosivi per uso civile, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) prevedere che il sistema per assicurare la trattazione dei procedimenti e la conservazione dei dati concernenti le licenze di pubblica sicurezza relativi alla fabbricazione, importazione, esportazione, transito, trasferimento comunitario, trasporto, tracciabilità amministrativa ed identificazione univoca degli esplosivi, e quelli relativi ai titolari delle stesse, sia assicurato dal Ministero dell’interno, con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, e dai titolari delle licenze mediante procedure automatizzate;

b) prevedere, per gli esplosivi ammessi nel mercato civile, modalità di etichettature atte a distinguere la destinazione, rispetto a quelle riservate ad uso militare o delle forze di polizia;

c) prevedere l’introduzione di sanzioni penali, nei limiti di pena di cui alla legge 2 ottobre 1967, n. 895, per le violazioni al divieto di detenzione e di introduzione nel territorio nazionale degli esplodenti di cui al decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 7, sprovvisti dei sistemi armonizzati di identificazione univoca e di tracciabilità; prevedere, inoltre, l’introduzione di sanzioni, anche di natura penale, per le altre infrazioni alla legislazione nazionale di attuazione della citata direttiva 2008/43/CE.

2. Dall’attuazione della delega di cui al presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

 

Con l’articolo 27, modificato nel corso dell’esame al Senato, si individuano principi e criteri specifici di delega per il recepimento della direttiva 2008/43/CE della Commissione, del 4 aprile 2008, relativa all’istituzione, a norma della direttiva 93/15/CEE del Consiglio, di un sistema di identificazione e tracciabilità degli esplosivi per uso civile, fermi restando i principi e criteri direttivi generali di cui all'art. 2.

Si segnala che la direttiva 2008/43/CE è ricompresa nell'Allegato A al presente disegno di legge.

La direttiva 93/15/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, relativa all'armonizzazione delle disposizioni riguardanti l'immissione sul mercato e il controllo degli esplosivi per uso civile, ha previsto, tra l'altro, all'art. 14, che gli Stati membri tengano a disposizione degli altri Stati membri e della Commissione europea le informazioni aggiornate relative alle imprese del settore degli esplosivi che possiedono una licenza o un'autorizzazione.

Gli Stati membri verificano che tali imprese dispongano di un sistema di tracciamento che consenta di identificare in qualsiasi momento il detentore degli esplosivi, e le relative misure vengono adottate secondo le procedure adottate del comitato consultivo composto dai rappresentanti degli Stati membri e presieduto dal rappresentante della Commissione europea (art. 13). Il comitato esamina le questioni relative all'applicazione della direttiva sollevate dal presidente di sua iniziativa o su richiesta del rappresentante di uno Stato membro ed esprime il proprio parere sulle proposte di misure da adottare che gli vengono sottoposte dal rappresentante della Commissione europea. Sempre ai sensi dell'art. 14, le imprese in questione tengono un registro delle loro operazioni per poter soddisfare gli obblighi previsti dalla disciplina comunitaria: i relativi documenti sono conservati per un periodo di almeno tre anni a decorrere dalla fine dell'anno civile in cui ha avuto luogo l'operazione registrata, anche se l'impresa ha cessato la propria attività. Essi devono essere prontamente messi a disposizione per un controllo eventuale su richiesta delle autorità competenti.

In base a quanto disposto dalla direttiva 93/15/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, la successiva direttiva 2008/43/CE della Commissione, del 4 aprile 2008, ha istituito un sistema armonizzato di identificazione univoca e di tracciabilità degli esplosivi per uso civile (per l’illustrazione del contenuto della direttiva 2008/43/CE si rinvia alla relativa scheda di lettura).

Ai criteri e principi di delega desumibili dalla disciplina comunitaria da attuare, il comma 1 dell'articolo in commento aggiunge i seguenti ulteriori principi e criteri direttivi:

a) prevedere che il sistema per assicurare la trattazione dei procedimenti e la conservazione dei dati concernenti le licenze di pubblica sicurezza relativi alla fabbricazione, importazione, esportazione, transito, trasferimento comunitario, trasporto, tracciabilità amministrativa ed identificazione univoca degli esplosivi, e quelli relativi ai titolari delle stesse, sia assicurato dal Ministero dell’interno, con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, e dai titolari delle licenze mediante procedure automatizzate;

b) prevedere, per gli esplosivi ammessi nel mercato civile, modalità di etichettature atte a distinguere la destinazione, rispetto a quelle riservate ad uso militare o delle forze di polizia;

c) prevedere l’introduzione di sanzioni penali, nei limiti di pena di cui alla legge 2 ottobre 1967, n. 895, per le violazioni al divieto di detenzione e di introduzione nel territorio nazionale degli esplodenti di cui al decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 7, sprovvisti dei sistemi armonizzati di identificazione univoca e di tracciabilità; prevedere, inoltre, l’introduzione di sanzioni, anche di natura penale, per le altre infrazioni alla legislazione nazionale di attuazione della citata direttiva 2008/43/CE.

Ai sensi dell'art. 1 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, chiunque introduca nel territorio dello Stato di esplosivi di ogni tipo ovvero ne faccia raccolta, senza licenza dell'autorità, è punito con la reclusione da tre a dodici anni e con la multa da lire 800.000 (413 euro) a lire 4.000.000 (2.065 euro). Ai sensi dell'art. 2, chiunque detiene illegalmente esplosivi, a qualsiasi titolo, è punito con la reclusione da uno a otto anni e con la multa da lire 400.000 (206 euro) a lire 3.000.000 (1.549 euro). La misura delle multe di cui alle predette disposizioni è stata elevata dall'art. 113, quarto comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689; entrambe le sanzioni sono inoltre escluse dalla depenalizzazione in virtù dell'art. 32, secondo comma, della citata legge 24 novembre 1981, n. 689, recante modifiche al sistema penale.

Ai sensi del comma 2 dall'attuazione della delega di cui all'articolo in commento non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 


Art. 28

 

(Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2007/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa all’esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate)

 

 


1. Nella predisposizione del decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2007/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 luglio 2007, relativa all’esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, in quanto compatibili, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) definire l’ambito di applicazione delle norme di recepimento della direttiva 2007/36/CE emanate ai sensi della presente delega, escludendo da esso gli organismi di investimento collettivo, armonizzati e non armonizzati, e le società cooperative;

b) individuare le norme di recepimento della direttiva 2007/36/CE emanate ai sensi della presente delega applicabili alle società emittenti azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante e alle società emittenti valori mobiliari diversi dalle azioni con diritto di voto negoziati in mercati regolamentati o diffusi tra il pubblico in misura rilevante;

c) indicare il termine minimo che deve intercorrere fra la pubblicazione dell’avviso di convocazione e la data di svolgimento dell’assemblea in prima convocazione, tenendo conto dell’interesse a un’adeguata informativa degli azionisti e dell’esigenza di una tempestiva convocazione dell’assemblea in determinate circostanze, e assicurando il necessario coordinamento con le disposizioni di attuazione degli articoli 6 e 7 della direttiva 2007/36/CE;

d) adeguare la disciplina del contenuto dell’avviso di convocazione a quanto previsto dall’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 2007/36/CE e disciplinarne le modalità di diffusione, al fine di garantirne l’effettiva diffusione nell’Unione europea, tenendo conto degli oneri amministrativi a carico della società emittente;

e) adeguare la disciplina del diritto dei soci di integrare l’ordine del giorno dell’assemblea di cui all’articolo 126-bis del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, a quanto previsto dagli articoli 5 e 6 della direttiva 2007/36/CE, non avvalendosi dell’opzione di cui all’articolo 6, paragrafo 1, secondo comma, e confermando la partecipazione minima per il suo esercizio nella misura del quarantesimo del capitale sociale, nonché quanto previsto dall’articolo 126-bis, comma 3;

f) adeguare la disciplina della legittimazione all’intervento in assemblea e all’esercizio del voto a quanto previsto dall’articolo 7 della direttiva 2007/36/CE, introducendo le opportune modifiche ed adeguamenti delle norme in materia di legittimazione all’esercizio dei diritti sociali conferiti da strumenti finanziari in gestione accentrata, nonché in materia di disciplina dell’assemblea, di impugnazione delle delibere assembleari e di diritto di recesso, e procedere ad un riordino delle disposizioni normative in materia di gestione accentrata e dematerializzazione;

g) individuare la data di registrazione tenendo conto dell’interesse a garantire una corretta rappresentazione della compagine azionaria e ad agevolare la partecipazione all’assemblea, anche tramite un rappresentante, dell’azionista, nonché dell’esigenza di adeguata organizzazione della riunione assembleare;

h) al fine di agevolare l’esercizio dei diritti sociali, riordinare la disciplina vigente in materia di aggiornamento del libro dei soci, valutando altresì l’introduzione di un meccanismo di identificazione degli azionisti, per il tramite degli intermediari;

i) disciplinare il diritto dell’azionista di porre domande connesse all’ordine del giorno prima dell’assemblea, prevedendo che la società fornisca una risposta, anche unitaria alle domande con lo stesso contenuto, al più tardi nella riunione assembleare, tenuto conto di quanto previsto dall’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 2007/36/CE;

l) rivedere la disciplina della rappresentanza in assemblea, al fine di rendere più agevoli ed efficienti le procedure per l’esercizio del voto per delega, adeguandola altresì all’articolo 10 della direttiva 2007/36/CE, avvalendosi delle facoltà di cui al paragrafo 2, secondo comma e al paragrafo 4, secondo comma, del medesimo articolo e confermando quanto previsto dall’articolo 2372, secondo, terzo e quarto comma, del codice civile;

m) identificare le fattispecie di potenziale conflitto di interessi fra il rappresentante e l’azionista rappresentato, avvalendosi delle opzioni di cui all’articolo 10, paragrafo 3, comma 1, lettere a), b) e c) della direttiva 2007/36/CE;

n) rivedere e semplificare la disciplina della sollecitazione delle deleghe di voto, coordinandola con le modifiche introdotte alla disciplina della rappresentanza in assemblea in attuazione della presente legge delega e preservando un adeguato livello di affidabilità e trasparenza;

o) disciplinare, ove necessario, l’esercizio tramite mezzi elettronici dei diritti sociali presi in considerazione dalla direttiva 2007/36/CE;

p) eventualmente prevedere i poteri regolamentari necessari per l’attuazione delle norme emanate ai sensi della presente delega;

q) prevedere per la violazione delle disposizioni dettate in attuazione della direttiva 2007/36/CE l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie non inferiori nel minimo a euro 500 e non superiori nel massimo a euro 500.000.

2. Dall’esercizio della presente delega non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.


 

 

L’articolo 28 reca i princìpi e criteri direttivi che il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, in quanto compatibili, nella predisposizione del decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2007/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 luglio 2007, relativa all’esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate.

Per l’illustrazione del contenuto della citata direttiva 2007/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 luglio 2007, relativa all’esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate, si fa rinvio alla relativa scheda di commento del presente dossier (v. infra).

La lettera a)del comma 1 richiede, innanzi tutto, che sia definito l’ambito di applicazione delle norme di recepimento della direttiva 2007/36/CE emanate ai sensi della presente delega, escludendo da esso gli organismi di investimento collettivo, armonizzati e non armonizzati, e le società cooperative.

Ai sensi della lettera m) del comma 1 dell’articolo 1 del testo unico della finanza di cui al d.lgs. n. 58 del 1998 (TUF) sono «organismi di investimento collettivo del risparmio» (OICR) i fondi comuni di investimento e le società di investimento a capitale variabile (SICAV).

La lettera b) dà mandato al Governo ad individuare le norme di recepimento della direttiva 2007/36/CE applicabili alle società emittenti azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante e alle società emittenti valori mobiliari diversi dalle azioni con diritto di voto negoziati in mercati regolamentati o diffusi tra il pubblico in misura rilevante.

Si ricorda che, secondo l’articolo 2325-bis del codice civile, sono società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, ai fini dell'applicazione delle relative disposizioni, le società con azioni quotate in mercati regolamentati o diffuse fra il pubblico in misura rilevante.

La lettera c) richiede che il termine minimo che deve intercorrere fra la pubblicazione dell’avviso di convocazione e la data di svolgimento dell’assemblea in prima convocazione venga indicato:

a) considerando l’interesse a un’adeguata informativa degli azionisti;

b) considerando l’esigenza di una tempestiva convocazione dell’assemblea in determinate circostanze;

c) assicurando il necessario coordinamento con le disposizioni di attuazione degli articoli 6 e 7 della direttiva 2007/36/CE.

Il richiamato articolo 6 della direttiva 2007/36/CE disciplina il diritto di iscrivere punti all’ordine del giorno dell’assemblea e di presentare proposte di delibera. Fra l’altro, è disposto che gli Stati membri assicurino che gli azionisti, che agiscono individualmente o collettivamente: a) abbiano il diritto di iscrivere punti all’ordine del giorno dell’assemblea, a condizione che ciascuno di questi punti sia corredato di una motivazione o di una proposta di delibera da adottare in assemblea; b) abbiano il diritto di presentare proposte di delibera sui punti che figurano o figureranno all’ordine del giorno dell’assemblea. Gli Stati membri possono stabilire che il diritto di cui alla lettera a) possa essere esercitato solo in relazione all’assemblea annuale, a condizione che gli azionisti, agendo individualmente o collettivamente, abbiano il diritto di convocare, o di chiedere alla società di convocare, un’assemblea che non sia quella annuale con un ordine del giorno comprendente almeno tutti i punti che essi hanno chiesto.

L’articolo 7 della direttiva 2007/36/CE, che disciplina i requisiti per partecipare e votare all’assemblea, dispone fra l’altro che gli Stati membri debbano assicurare: a) che i diritti di un azionista di partecipare all’assemblea e di votare, in funzione delle sue azioni, non siano soggetti ad alcun requisito di depositare, trasferire o registrare, a nome di un’altra persona fisica o giuridica, tali azioni prima dell’assemblea; b) che i diritti di un azionista di vendere o trasferire in altro modo le sue azioni durante il periodo che intercorre tra la data di registrazione quale definita al paragrafo 2 e l’assemblea cui questa si riferisce non siano soggetti ad alcuna limitazione a cui non sono soggetti in altri momenti. La prova della qualità di azionista può essere soggetta solo ai requisiti necessari per assicurare l’identificazione degli azionisti e solo nella misura in cui detti requisiti siano proporzionati al raggiungimento di tale obiettivo.

La lettera d)richiede che la disciplina del contenuto dell’avviso di convocazione sia adeguata a quanto previsto dall’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 2007/36/CE, secondo cui la convocazione deve come minimo, fra l’altro: a) indicare con precisione dove e quando si svolgerà l’assemblea e l’ordine del giorno proposto per la stessa; b) contenere una descrizione chiara e precisa delle procedure che gli azionisti devono rispettare per poter partecipare e votare in assemblea, comprese le informazioni riguardanti una serie di profili; c) se applicabile, indicare la data di registrazione quale definita nell’articolo 7, paragrafo 2, e chiarire che solo coloro che risultano azionisti a tale data avranno il diritto di partecipare e di votare in assemblea; d) indicare dove è possibile reperire il testo completo e integrale delle proposte di delibera.

La stessa lettera d) richiede che le modalità di diffusione dell’avviso di convocazione vengano disciplinate in modo tale da garantirne l’effettiva diffusione nell’Unione europea, tenendo conto degli oneri amministrativi a carico della società emittente.

La lettera e)richiede che la disciplina del diritto dei soci di integrare l’ordine del giorno dell’assemblea di cui all’articolo 126-bis del TUF venga adeguata a quanto previsto dagli articoli 5 e 6 della direttiva 2007/36/CE, senza avvalersi dell’opzione di cui all’articolo 6, paragrafo 1, secondo comma, a mente della quale gli Stati membri possono stabilire che il diritto di iscrivere punti all’ordine del giorno dell’assemblea a condizione che ciascuno di questi punti sia corredato di una motivazione o di una proposta di delibera da adottare in assemblea e il diritto di presentare proposte di delibera sui punti che figurano o figureranno all’ordine del giorno dell’assemblea siano esercitati per iscritto (per corrispondenza con mezzi elettronici). 

La stessa lettera e)richiede che sia confermata la partecipazione minima per l’esercizio del diritto nella misura del quarantesimo del capitale sociale, nonché quanto previsto dall’articolo 126-bis, comma 3, del TUF.

Tale ultima disposizione dopo aver previsto, al comma 1, che i soci i quali,  anche congiuntamente, rappresentino almeno un quarantesimo del capitale sociale possono chiedere, entro cinque giorni dalla pubblicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea, l'integrazione dell'elenco delle materie da trattare, indicando nella domanda gli ulteriori argomenti da essi proposti dispone, al comma 3, che l'integrazione dell'elenco delle materie da trattare, ai sensi del comma 1, non è ammessa per gli argomenti sui quali l'assemblea delibera, a norma di legge, su proposta degli amministratori o sulla base di un progetto o di una relazione da essi predisposti.

La lettera f) richiede che la disciplina della legittimazione all’intervento in assemblea e all’esercizio del voto venga adeguata a quanto previsto dal sopra richiamato articolo 7 della direttiva 2007/36/CE, sulla base dei seguenti ulteriori principi di delega:

a) introduzione delle opportune modifiche ed adeguamenti delle norme in materia di legittimazione all’esercizio dei diritti sociali conferiti da strumenti finanziari in gestione accentrata;

b) introduzione delle opportune modifiche ed adeguamenti delle norme in materia di disciplina dell’assemblea, di impugnazione delle delibere assembleari e di diritto di recesso;

c) riordino delle disposizioni normative in materia di gestione accentrata e de materializzazione.

Si ricorda che il deposito accentrato dei titoli nasce in Italia nel 1978 con la costituzione della Monte Titoli, a cui nel 1986 la legge 289 attribuisce il monopolio dei servizi per la custodia e l'amministrazione accentrata di valori mobiliari (azioni e obbligazioni del settore privato). Il TUF nel 1998 introduce la figura delle società di gestione accentrata (sul modello delle altre società mercato) e il riconoscimento del carattere imprenditoriale dell'attività. Il servizio è affidato alla Monte Titoli con delibera Consob per gli strumenti finanziari in genere e con decreto ministeriale per quanto riguarda i titoli di Stato. Il quadro normativo di riferimento per le società di gestione accentrata si completa con la disciplina sulla "dematerializzazione" degli strumenti finanziari.

Ulteriori principi di delega prevedono:

a) l’individuazione della data di registrazione tenendo conto dell’interesse a garantire una corretta rappresentazione della compagine azionaria e ad agevolare la partecipazione all’assemblea, anche tramite un rappresentante, dell’azionista, nonché dell’esigenza di adeguata organizzazione della riunione assembleare (lettera g);

b) il riordino della disciplina vigente in materia di aggiornamento del libro dei soci, al fine di agevolare l’esercizio dei diritti sociali, valutando altresì l’introduzione di un meccanismo di identificazione degli azionisti, per il tramite degli intermediari (lettera h);

c) la disciplina del diritto dell’azionista di porre domande connesse all’ordine del giorno prima dell’assemblea (lettera i), prevedendo che la società fornisca una risposta, anche unitaria alle domande con lo stesso contenuto, al più tardi nella riunione assembleare, tenuto conto di quanto previsto dall’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 2007/36/CE, secondo cui il diritto di porre domande e l’obbligo di rispondere sono soggetti alle misure che gli Stati membri possono adottare, o consentire alle società di adottare, per garantire l’identificazione degli azionisti, il corretto svolgimento dell’assemblea, la sua preparazione e la tutela della riservatezza e degli interessi delle società. Gli Stati membri possono consentire alle società di fornire una risposta unitaria alle domande dello stesso contenuto e possono prevedere che si consideri fornita una risposta se le informazioni pertinenti sono disponibili sul sito internet della società in un formato «domanda e risposta»;

d) la revisione della disciplina della rappresentanza in assemblea (lettera l), al fine di rendere più agevoli ed efficienti le procedure per l’esercizio del voto per delega, adeguandola altresì all’articolo 10 della direttiva 2007/36/CE.

In particolare, secondo il paragrafo 3 del richiamato articolo 10 della direttiva, salve le limitazioni espressamente consentite dai paragrafi 1 e 2, gli Stati membri non possono limitare, o consentire alle società di limitare, l’esercizio dei diritti dell’azionista tramite un rappresentante per fini diversi da quelli volti a risolvere i potenziali conflitti di interesse tra il rappresentante e l’azionista nell’interesse del quale il rappresentante è tenuto ad agire; nel fare ciò gli Stati membri non possono imporre requisiti diversi dai seguenti: a) gli Stati membri possono stabilire che il rappresentante comunichi le specifiche circostanze che possono essere rilevanti per gli azionisti nel valutare se esistono rischi che il rappresentante possa perseguire un interesse diverso dall’interesse dell’azionista; b) gli Stati membri possono limitare o escludere l’esercizio dei diritti dell’azionista attraverso un rappresentante in mancanza di istruzioni di voto specifiche per ciascuna delibera in relazione alla quale il rappresentante dovrà votare per conto dell’azionista; c) gli Stati membri possono limitare o escludere il trasferimento della delega a un’altra persona, ma ciò non impedisce a un rappresentante che sia una persona giuridica di esercitare, tramite un membro dei suoi organi di direzione o di amministrazione o un suo dipendente, i poteri conferitigli. Il rappresentante esprime il voto conformemente alle istruzioni di voto impartite dall’azionista che esso rappresenta. Una persona che agisca in qualità di rappresentante può ricevere deleghe da parte di più di un azionista, senza limitazioni riguardo al numero di azionisti rappresentati. La legge applicabile consente a un rappresentante che detenga deleghe di più azionisti di esprimere per un azionista un voto diverso da quello espresso per un altro.

La stessa lettera l) richiede la revisione della disciplina della rappresentanza in assemblea avvalendosi delle facoltà di cui al paragrafo 2, secondo comma, e al paragrafo 4, secondo comma, del medesimo articolo 10 della direttiva 2007/36/CE e confermando quanto previsto dall’articolo 2372, secondo, terzo e quarto comma, del codice civile.

Secondo il richiamato paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2007/36/CE, fatto salvo l’articolo 13, paragrafo 5, gli Stati membri possono limitare il numero di persone che l’azionista può designare come rappresentanti per una determinata assemblea. Tuttavia, qualora l’azionista possieda azioni di una società detenute in più di un conto titoli, detta limitazione non impedisce all’azionista di designare per una determinata assemblea un distinto rappresentante con riferimento alle azioni detenute in ciascun conto titoli. Ciò non pregiudica le regole previste dalla legge applicabile che vietano di votare in modo differenziato per azioni detenute dallo stesso azionista.

Ai sensi del richiamato paragrafo 4, secondo comma, gli Stati membri possono chiedere ai rappresentanti di tenere traccia delle istruzioni di voto per un determinato periodo minimo e di confermare su richiesta che le istruzioni di voto sono state rispettate.

Secondo l’articolo 2372, secondo, terzo e quarto comma, del codice civile, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio la rappresentanza può essere conferita solo per singole assemblee, con effetto anche per le successive convocazioni, salvo che si tratti di procura generale o di procura conferita da una società, associazione, fondazione o altro ente collettivo o istituzione ad un proprio dipendente. La delega non può essere rilasciata con il nome del rappresentante in bianco ed è sempre revocabile nonostante ogni patto contrario. Il rappresentante può farsi sostituire solo da chi sia espressamente indicato nella delega. Se la rappresentanza è conferita ad una società, associazione, fondazione od altro ente collettivo o istituzione, questi possono delegare soltanto un proprio dipendente o collaboratore.

La lettera m) richiede che, nell’identificare le fattispecie di potenziale conflitto di interessi fra il rappresentante e l’azionista rappresentato, il legislatore delegato si avvalga delle opzioni di cui al sopra ricordato articolo 10, paragrafo 3, comma 1, lettere a), b) e c), della direttiva 2007/36/CE.

Ulteriori principi e criteri di delega richiedono che sia rivista e semplificata la disciplina della sollecitazione delle deleghe di voto, coordinandola con le modifiche introdotte alla disciplina della rappresentanza in assemblea in attuazione della presente legge delega e preservando un adeguato livello di affidabilità e trasparenza (lettera n), che sia disciplinato, ove necessario, l’esercizio tramite mezzi elettronici dei diritti sociali presi in considerazione dalla direttiva 2007/36/CE (lettera o), che siano eventualmente previsti i poteri regolamentari necessari per l’attuazione delle norme emanate ai sensi della presente delega (lettera p), che sia prevista l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie non inferiori nel minimo a euro 500 e non superiori nel massimo a euro 500.000 per la violazione delle disposizioni dettate in attuazione della direttiva 2007/36/CE (lettera q).

Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria.


Art. 29

 

(Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2007/64/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle direttive 97/7/CE, 2002/65/CE, 2005/60/CE e 2006/48/CE, e abrogazione della direttiva 97/5/CE)

 

 


1. Nella predisposizione dei decreti legislativi per l’attuazione della direttiva 2007/64/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle direttive 97/7/CE, 2002/65/CE, 2005/60/CE e 2006/48/CE, che abroga la direttiva 97/5/CE, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) definire il quadro giuridico per la realizzazione dell’Area unica dei pagamenti in euro (SEPA), in conformità con il principio di massima armonizzazione contenuto nella direttiva;

b) favorire la riduzione dell’uso di contante nelle operazioni di pagamento e privilegiare l’utilizzo da parte delle pubbliche amministrazioni, a livello nazionale e locale, di strumenti di pagamento elettronici. La pubblica amministrazione dovrà provvedervi con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente;

c) ridurre gli oneri a carico delle imprese e dei fornitori di servizi di pagamento, anche tenendo conto delle scelte effettuate in altri Paesi dell’Unione europea e della necessità di preservare la posizione competitiva del nostro sistema finanziario ed imprenditoriale;

d) favorire lo sviluppo di un mercato concorrenziale dei servizi di pagamento;

e) istituire la categoria degli istituti di pagamento abilitati alla prestazione di servizi di pagamento con esclusione delle attività di raccolta di depositi e di emissione di moneta elettronica;

f) individuare nella Banca d’Italia l’autorità competente ad autorizzare l’avvio dell’esercizio dell’attività e a esercitare il controllo sugli istituti di pagamento abilitati, nonché a verificare il rispetto delle condizioni previste dalla direttiva per l’esecuzione delle operazioni di pagamento;

g) individuare nella Banca d’Italia l’autorità competente a specificare le regole che disciplinano l’accesso ai sistemi di pagamento, assicurando condizioni di parità concorrenziale tra le diverse categorie di prestatori di servizi di pagamento;

h) recepire gli obblighi di trasparenza posti in capo ai prestatori di servizi di pagamento al fine di consentire agli utenti di tali servizi di effettuare scelte consapevoli, graduando i requisiti informativi in relazione alle esigenze degli utenti stessi, al rilievo economico del contratto concluso e al valore dello strumento di pagamento;

i) recepire i divieti per i prestatori di servizi di pagamento di applicare spese aggiuntive agli utenti di detti servizi per l’esercizio del loro diritto nei casi previsti dalla direttiva;

l) assicurare una chiara e corretta ripartizione di responsabilità tra i prestatori di servizi di pagamento coinvolti nell’esecuzione di un’operazione di pagamento, al fine di garantirne il reciproco affidamento nonché il regolare funzionamento dei servizi di pagamento;

m) prevedere procedure di reclamo degli utenti nei confronti dei fornitori di servizi di pagamento;

n) prevedere procedure per la risoluzione stragiudiziale delle controversie relative all’utilizzazione di servizi di pagamento;

o) prevedere disposizioni transitorie in base alle quali i soggetti che hanno iniziato a prestare i servizi di pagamento di cui all’allegato alla direttiva 2007/64/CE conformemente al diritto nazionale vigente prima della data di entrata in vigore del decreto legislativo possano continuare tale attività fino al 30 aprile 2011;

p) individuare nella Banca d’Italia l’autorità competente a emanare la normativa di attuazione del decreto legislativo e a recepire afferenti misure di attuazione adottate dalla Commissione europea con procedura di comitato;

q) introdurre le occorrenti modificazioni alla normativa vigente, anche di derivazione comunitaria, per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, al fine di realizzarne il migliore coordinamento;

r) prevedere per la violazione delle disposizioni dettate in attuazione della direttiva l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie non inferiori nel minimo a euro 500 e non superiori nel massimo a euro 500.000.

2. Dall’esercizio della presente delega non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.


 

 

L’articolo 29 reca i princìpi e criteri direttivi che il Governo è tenuto a seguire nella predisposizione dei decreti legislativi per l’attuazione della direttiva 2007/64/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle direttive 97/7/CE, 2002/65/CE, 2005/60/CE e 2006/48/CE e che abroga la direttiva 97/5/CE. Tali principi e criteri direttivi si aggiungono ai princìpi e criteri direttivi indicati dall’articolo 2 del presente provvedimento.

Per un’illustrazione del contenuto della citata direttiva 2007/64/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, si fa rinvio alla relativa scheda di commento in questo dossier (v. infra).

La lettera a) del comma 1 prevede la definizione del quadro giuridico per la realizzazione dell’Area unica dei pagamenti in euro (SEPA), in conformità con il principio di massima armonizzazione contenuto nella direttiva.

Il citato progetto SEPA mira ad estendere il processo d'integrazione europea ai pagamenti al dettaglio in euro effettuati con strumenti diversi dal contante, con l'obiettivo di favorire l'efficienza e la concorrenza all'interno dell'area dell'euro, intendendo offrire ai cittadini europei la possibilità di effettuare pagamenti a favore di beneficiari situati in qualsiasi paese dell'area dell'euro, utilizzando un singolo conto bancario e un insieme di strumenti di pagamento armonizzati. Nell'ottica della SEPA, tutti i pagamenti al dettaglio in euro sono considerati "domestici", venendo meno la distinzione fra pagamenti nazionali e transfrontalieri all'interno dell'area dell'euro. La SEPA è costituita da: strumenti di pagamento armonizzati (bonifici, addebiti diretti e carte di pagamento); infrastrutture europee per il trattamento dei pagamenti in euro; standard tecnici e prassi operative comuni; base giuridica armonizzata; nuovi servizi in continua evoluzione orientati alla clientela. La Banca centrale europea e la Commissione europea svolgono un ruolo di promozione del progetto, mentre lo European Payments Council (EPC - Consiglio europeo per i pagamenti) è responsabile della sua realizzazione. Dal gennaio 2008 è possibile effettuare pagamenti conformi agli standard SEPA mediante carte di pagamento e bonifici.

La lettera b) richiede che venga favorita la riduzione dell’uso di contante nelle operazioni di pagamento, dovendosi privilegiare l’utilizzo da parte delle pubbliche amministrazioni, a livello nazionale e locale, di strumenti di pagamento elettronici, mentre la lettera c) richiede che vengano ridotti gli oneri a carico delle imprese e dei fornitori di servizi di pagamento, anche tenendo conto delle scelte effettuate in altri Paesi dell’Unione europea e della necessità di preservare la posizione competitiva del nostro sistema finanziario ed imprenditoriale, dovendosi favorire lo sviluppo di un mercato concorrenziale dei servizi di pagamento (lettera d).

I decreti legislativi di attuazione della direttiva dovranno istituire la categoria degli istituti di pagamento (lettera e), abilitati alla prestazione di servizi di pagamento con esclusione delle attività di raccolta di depositi e di emissione di moneta elettronica, nonché individuare (lettera f) nella Banca d’Italia l’autorità competente:

a)  ad autorizzare l’avvio dell’esercizio dell’attività;

b)  a esercitare il controllo sugli istituti di pagamento abilitati;

c)  a verificare il rispetto delle condizioni previste dalla direttiva per l’esecuzione delle operazioni di pagamento.

La Banca d’Italia dovrà inoltre essere individuata quale l’autorità competente a specificare le regole che disciplinano l’accesso ai sistemi di pagamento, garantendo condizioni di parità concorrenziale tra le diverse categorie di prestatori di servizi di pagamento (lettera g).

Si ricorda che la vigilanza sul sistema dei pagamenti è una funzione esplicitamente attribuita al Sistema europeo delle banche centrali (SEBC) dal quadro normativo e istituzionale europeo e che il testo unico bancario di cui al d.lgs. n. 385 del 1993 attribuisce all’articolo 146 alla Banca d'Italia il ruolo esclusivo di promuovere il regolare funzionamento del sistema dei pagamenti nonché il potere di emanare disposizioni per assicurarne l'efficienza e l'affidabilità.

Viene inoltre richiesto che i decreti legislativi di attuazione recepiscano gli obblighi di trasparenza posti in capo ai prestatori di servizi di pagamento, graduando i requisiti informativi tenuto conto di tre fattori: le esigenze degli utenti, il rilievo economico del contratto concluso e il valore dello strumento di pagamento (lettera h).

Si dovranno recepire i divieti per i prestatori di servizi di pagamento di applicare spese aggiuntive agli utenti di detti servizi per l’esercizio del loro diritto nei casi previsti dalla direttiva (lettera i), assicurando una chiara e corretta ripartizione di responsabilità tra i prestatori di servizi di pagamento coinvolti nell’esecuzione di un’operazione di pagamento, al fine di garantirne il reciproco affidamento nonché il regolare funzionamento dei servizi di pagamento (lettera l).

L’articolo in esame richiede altresì che i decreti di attuazione prevedano (lettera m) procedure di reclamo degli utenti, procedure per la risoluzione stragiudiziale delle controversie (lettera n) nonché disposizioni transitorie in base alle quali i soggetti che hanno iniziato a prestare i servizi di pagamento di cui all’allegato alla direttiva 2007/64/CE conformemente al diritto nazionale vigente prima della data di entrata in vigore del decreto legislativo possano continuare tale attività fino al 30 aprile 2011 (lettera o). 

Per quanto concerne l’emanazione della normativa di attuazione del decreto legislativo, la lettera p) individua nella Banca d’Italia l’autorità competente, cui spetta anche di recepire afferenti misure di attuazione adottate dalla Commissione europea con procedura di comitato.

Ai sensi della lettera q) si individua, quale principio di delega, l’introduzione, a fini di coordinamento, delle modificazioni occorrenti alla normativa vigente, anche di derivazione comunitaria, per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, mentre la lettera r) richiede che venga prevista per la violazione delle disposizioni dettate in attuazione della direttiva l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie non inferiori nel minimo a euro 500 e non superiori nel massimo a euro 500.000.

Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 13 ottobre 2008 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento relativa ai pagamenti transfrontalieri nella Comunità (COM(2008)640).

La proposta, oltre ad abrogare il regolamento (CE) n. 2560/2001 relativo ai pagamenti transfrontalieri in euro, mira ad introdurre disposizioni volte ad armonizzare definizioni e tenore testuale del regolamento n. 2560/2001 e della direttiva 2007/64/CE relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno al fine di garantire maggiore chiarezza e coerenza giuridica fra i due atti in materia di pagamenti.

L’obiettivo generale della proposta è la semplificazione del quadro normativo al fine di favorire la realizzazione di un mercato interno dei servizi di pagamento in euro in cui esista una effettiva concorrenza e i pagamenti nazionali e quelli transfrontalieri siano soggetti allo stesso regime. In particolare si propone di:

-      estendere agli addebiti diretti il principio della parità delle commissioni sui pagamenti transfrontalieri e nazionali corrispondenti;

-      eliminare gradualmente, entro il 1° gennaio 2012, gli obblighi di dichiarazione ai fini delle statistiche della bilancia dei pagamenti imposti ai prestatori di servizi di pagamento;

-      chiedere agli Stati membri di nominare autorità competenti e organismi di ricorso extragiudiziale per trattare efficacemente i reclami e le controversie relativi all’applicazione della proposta stessa.

La proposta, che segue la procedura di codecisione, dovrebbe essere esaminata dal Parlamento europeo in seduta plenaria il 23 marzo 2009.

 


Art. 30

 

(Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE e previsione di modifiche ed integrazioni alla disciplina relativa ai soggetti operanti nel settore finanziario di cui al decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, ai mediatori creditizi ed agli agenti in attività finanziaria)

 

 


1. Nella predisposizione dei decreti legislativi per l’attuazione della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, anche i seguenti principi e criteri direttivi:

a) apportare al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, le modifiche e le integrazioni necessarie al corretto e integrale recepimento della direttiva 2008/48/CE e delle relative misure di esecuzione nell’ordinamento nazionale;

b) estendere, se del caso, gli strumenti di protezione del contraente debole previsti in attuazione della direttiva 2008/48/CE ad altre tipologie di finanziamento a favore dei consumatori, qualora ricorrano analoghe esigenze di tutela alla luce delle caratteristiche ovvero delle finalità del finanziamento;

c) rafforzare ed estendere i poteri amministrativi inibitori e l’applicazione delle sanzioni amministrative previste dal testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993 per contrastare le violazioni delle disposizioni del titolo VI di tale testo unico, anche se concernenti rapporti diversi dal credito al consumo, al fine di assicurare un’adeguata reazione a fronte dei comportamenti scorretti a danno della clientela;

d) coordinare il testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993 e le altre disposizioni legislative, aventi ad oggetto operazioni e servizi disciplinati dal titolo VI del medesimo testo unico, contenute nel decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, e nel decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40;

e) rimodulare la disciplina delle attività e dei soggetti operanti nel settore finanziario di cui al titolo V e all’articolo 155 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993, sulla base dei seguenti ulteriori criteri direttivi a tutela dei consumatori:

1) rideterminare i requisiti per l’iscrizione al fine di consentire l’operatività nei confronti del pubblico soltanto ai soggetti che assicurino affidabilità e correttezza dell’iniziativa imprenditoriale;

2) prevedere strumenti di controllo più efficaci, modulati anche sulla base delle attività svolte dall’intermediario;

3) garantire la semplificazione, la trasparenza, la celerità, l’economicità e l’efficacia dell’azione amministrativa e dei procedimenti sanzionatori, attribuendo alla Banca d’Italia la competenza sul procedimento sanzionatorio e di irrogazione delle eventuali sanzioni;

4) prevedere sanzioni amministrative pecuniarie e accessorie e forme di intervento effettive, dissuasive e proporzionate, quali, tra l’altro, il divieto di intraprendere nuove operazioni e il potere di sospensione, rafforzando, nel contempo, il potere di cancellazione;

f) apportare alla disciplina dei mediatori creditizi di cui alla legge 7 marzo 1996, n. 108, e alla disciplina degli agenti in attività finanziaria di cui al decreto legislativo 25 settembre 1999, n. 374, le integrazioni e le modifiche necessarie a:

1) assicurare la trasparenza dell’operato e la professionalità delle sopraindicate categorie professionali, prevedendo l’innalzamento dei requisiti professionali;

2) istituire un organismo associativo avente personalità giuridica, con autonomia organizzativa e statutaria, ed eventuali articolazioni territoriali, costituito da soggetti nominati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze scelti tra le categorie dei mediatori creditizi, degli agenti in attività finanziaria, delle banche e degli intermediari finanziari, sottoposto alla vigilanza della Banca d’Italia, con il compito di tenere gli elenchi dei mediatori creditizi e degli agenti in attività finanziaria, proponendo alla Banca d’Italia l’adozione delle misure inibitorie e sanzionatorie nei casi di violazione delle regole di condotta, in relazione alla gravità dell’infrazione e in conformità alle disposizioni di cui al successivo numero 3); prevedere che in caso di grave inerzia o malfunzionamento dell’organismo o delle sue eventuali articolazioni territoriali, l’autorità di vigilanza ne proponga lo scioglimento al Ministro dell’economia e delle finanze;

3) prevedere che con regolamento del Ministro dell’economia e delle finanze, adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentita la Banca d’Italia, siano determinate le modalità di funzionamento dell’organismo di cui al numero 2) e sia individuata la disciplina: di ogni altro potere, anche ispettivo o informativo, necessario ad assicurare il corretto funzionamento dell’organismo e delle sue eventuali articolazioni territoriali; dell’iscrizione negli elenchi dei mediatori creditizi e degli agenti in attività finanziaria, con le relative forme di pubblicità; della determinazione e riscossione, da parte dell’organismo o delle sue eventuali articolazioni territoriali, di contributi o di altre somme dovute dagli iscritti e dai richiedenti l’iscrizione, nella misura necessaria per garantire lo svolgimento dell’attività; delle modalità di tenuta della documentazione concernente l’attività svolta dai mediatori creditizi e dagli agenti in attività finanziaria; delle modalità di aggiornamento professionale di tali soggetti;

4) prevedere la disciplina della determinazione delle sanzioni pecuniarie, nonché della sospensione e della cancellazione degli operatori dagli elenchi e delle sanzioni accessorie, disciplinando le modalità per l’irrogazione delle sanzioni e prevedendo adeguate forme di pubblicità degli esiti sanzionatori;

5) prevedere la possibilità di presentare ricorso, avverso le decisioni di proposta delle misure inibitorie e sanzionatorie assunte dall’organismo o dalle sue eventuali articolazioni territoriali dinanzi alla Banca d’Italia, disciplinando le modalità di opposizione alla delibera adottata dall’organo di vigilanza, dinanzi al giudice ordinario;

6) individuare cause di incompatibilità, tra cui la contestuale iscrizione in entrambi gli elenchi;

7) prescrivere l’obbligo di stipulare polizze assicurative per responsabilità civile per danni arrecati nell’esercizio delle attività di pertinenza;

8) prevedere disposizioni transitorie per disciplinare il trasferimento nei nuovi elenchi dei mediatori e degli agenti in attività finanziarie, purché in possesso dei requisiti previsti dalla nuova disciplina;

9) prescrivere per i mediatori creditizi l’obbligo di indipendenza da banche e intermediari e l’obbligo di adozione di una forma giuridica societaria per l’esercizio dell’attività e prevedere obblighi di trasparenza specifici connessi all’attività svolta da tali soggetti, in modo che sia assicurata la trasparenza sulle commissioni di mediazione e sugli altri costi accessori, nonché ulteriori forme di controllo per le società di mediazione creditizia di maggiori dimensioni;

10) prevedere per gli agenti in attività finanziaria forme di responsabilità dell’intermediario che si avvale del loro operato, anche con riguardo ai danni causati ai clienti;

11) prevedere che le banche possano utilizzare direttamente gli agenti in attività finanziaria.

g) coordinare il testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993 e le altre disposizioni legislative aventi come oggetto la tutela del consumatore, definendo le informazioni che devono essere fornite al cliente in fase precontrattuale e le modalita` di illustrazione, con la specifica, in caso di offerta congiunta di piu` prodotti, dell’obbligatorieta` o facoltativita` degli stessi.

2. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 


 

 

L’articolo 30, introdotto nel corso dell’esame al Senato,reca i principi e i criteri direttivi di attuazione della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori.

Esso inoltre apporta modifiche ed integrazioni alla disciplina relativa ai soggetti operanti nel settore finanziario di cui al decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385 (Testo unico bancario) e ai mediatori creditizi ed agli agenti in attività finanziaria.

La disciplina italiana sul credito al consumo è riconducibile a una pluralità di fonti normative (primarie e secondarie, nazionali e comunitarie). Con gli articoli da 18 a 24 legge del 19 febbraio 1992, n. 142 (legge comunitaria 1991) sono state infatti recepite le disposizioni della direttiva n. 87/102/CE del 22 dicembre 1986, relativa al ravvicinamento delle disposizioni (legislative, regolamentari e amministrative) degli Stati membri in materia di credito al consumo, e dalla direttiva n. 90/88/CE[132]. La disciplina del credito al consumo è quindi confluita negli articoli da 121 a 128 del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (TUB), recato dal d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385.

Si ricorda che il credito al consumo (articolo 121 del TUB) è la concessione, nell'esercizio di un'attività commerciale o professionale, di credito sotto forma di dilazione di pagamento, di finanziamento o di altra analoga facilitazione finanziaria a favore di una persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta (ovvero al consumatore). L’esercizio dell’attività è riservato a banche, intermediari finanziari e ai soggetti autorizzati alla vendita di beni o di servizi nel territorio della Repubblica, nella sola forma della dilazione del pagamento del prezzo. L’attuale normativa (articolo 121, c. 4) elenca dettagliatamente le ipotesi alle quali non si applicano le regole del credito al consumo[133], dispone in tema di costo totale del credito (articolo 122) – il TAEG, tasso annuo effettivo globale, espresso in percentuale annua del credito concesso e che comprende gli interessi e tutti gli oneri da sostenere per utilizzare il credito – le cui modalità di calcolo sono demandate al Comitato interministeriale per il credito e il risparmio - CICR. La normativa italiana poi si occupa della pubblicità delle operazioni, in particolare vincolando il contenuto degli annunci pubblicitari e delle offerte. 

La direttiva comunitaria n. 98/7/CE[134] ha apportato ulteriori modifiche alla materia del credito al consumo, recepite con il d.lgs. 25 febbraio 2000, n. 63 e col decreto del Ministro del tesoro del 6 maggio 2000, e infine trasfuse nel Codice del consumo (articolo 40 e 41 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206[135]). Le disposizioni di recepimento affidano al CICR l’adeguamento della normativa nazionale alle norme europee; il Comitato apporta le necessarie modifiche alla disciplina recata, in via amministrativa, sul TAEG e sui suoi criteri di definizione (decreto del Ministro del tesoro in data 8 luglio 1992[136]).

La normativa italiana vincola anche il contenuto del contratto, recandone gli elementi obbligatori (articolo 124), e in particolare precisando che non può essere addebitata o richiesta al consumatore alcuna spesa, se non sulla base di espresse previsioni contrattuali. Nei casi di assenza o nullità delle clausole contrattuali, queste ultime sono sostituite di diritto secondo i criteri previsti dalla legge. Sono infine recate (articolo 125) disposizioni varie a tutela dei consumatori, tra cui la spettanza della facoltà di recesso o adempimento anticipato al solo consumatore, senza possibilità di patto contrario.

La direttiva 2008/48/CE, per la cui più ampia disamina si rimanda alla relativa scheda di lettura, ha la finalità di armonizzare la normativa, il quadro regolamentare ed amministrativo degli Stati membri relativamente ai contratti di credito al consumo.

In particolare (articoli da 4 a 7), sono disciplinate le informazioni e le pratiche preliminari alla conclusione del contratto, distinte in “informazioni pubblicitarie di base”, “informazioni precontrattuali” in senso stretto e informazioni precontrattuali riferite ad alcuni specifici contratti di credito, ovvero ai crediti concessi sotto forma di scoperto. Sono inoltre previste, per determinate categorie di soggetti, deroghe all'obbligo di informazione precontrattuale.

Gli articoli da 10 a 18 dispongono in ordine agli elementi informativi da inserire obbligatoriamente nei contratti di credito, nonché sui diritti – anche di informazione del consumatore – a questi inerenti. L’articolo 19 dispone in ordine alle modalità di calcolo del tasso debitorio annuo effettivo globale, con riferimento ad una formula matematica espressa nella parte I dell'allegato I. Gli articoli da 22 a 24 recano misure di attuazione della normativa, nonché gli obblighi per gli Stati membri, l'impianto sanzionatorio e la risoluzione stragiudiziale delle controversie. L’articolo 30 introduce salvo alcune eccezioni specificate dal comma 2 deroghe all'applicazione delle nuove norme per i contratti di credito in corso alla data dell'entrata in vigore delle misure nazionali di attuazione.

L’articolo in commento (comma 1) reca anzitutto i principi e criteri di delega ulteriori rispetto a quelli indicati all’articolo 2 del disegno di legge – da rispettare nell’emanazione dei decreti legislativi di attuazione della suddetta direttiva 2008/48/CE.

Ai sensi della lettera a), il legislatore è tenuto a modificare ed integrare le disposizioni del d.lgs. n. 385 del 1993 (TUB) e la normativa secondaria in materia.

La lettera b) prescrive l’estensione, se del caso, degli strumenti di protezione del contraente debole previsti in attuazione della direttiva 2008/48/CE anche ad altre tipologie di finanziamento a favore dei consumatori. Tale estensione opera ove ricorrano analoghe esigenze di tutela, alla luce delle caratteristiche, ovvero delle finalità del finanziamento.

La lettera c) prescrive il rafforzamento e l’estensione dei poteri amministrativi inibitori, nonché l’applicazione delle sanzioni amministrative previste dal d.lgs. n. 385 del 1993 per contrastare le violazioni delle disposizioni concernenti la trasparenza delle condizioni contrattuali (titolo VI del TUB), anche ove riguardino rapporti diversi dal credito al consumo, per assicurare un’adeguata reazione a fronte dei comportamenti scorretti a danno della clientela.

Stante la genericità del riferimento normativo ai “poteri amministrativi inibitori” e alle “sanzioni amministrative pecuniarie dal testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993”, le disposizioni in esame sembrano riferirsi, in tema di poteri inibitori, alle disposizioni di cui all’ultimo comma dell’articolo 128 del TUB, ai sensi del quale, in caso di ripetute violazioni delle disposizioni concernenti gli obblighi di pubblicità, il Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta della Banca d'Italia o delle altre autorità indicate dai CICR, nell'ambito delle rispettive competenze, può disporre la sospensione dell'attività, anche di singole sedi secondarie per un periodo non superiore a trenta giorni.

Si ricorda inoltre che la Banca d'Italia (comma 1 dell’articolo 128 TUB), per quanto riguarda le banche e gli intermediari finanziari vigilati, verifica il rispetto delle disposizioni in materia di pubblicità, informativa precontrattuale e contrattuale sul credito al consumo; a tal fine, può acquisire informazioni, atti e documenti e eseguire ispezioni presso le banche e gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale previsto dall’art. 107 del TUB; inoltre, la medesima Banca d’Italia promuove la procedura sanzionatoria per la violazione delle disposizioni in materia di pubblicità sul credito al consumo, per la violazione dell’obbligo di fornire informazioni, atti e documenti e nel caso di ostacolo alle funzioni di controllo.

Per quanto invece attiene alle sanzioni amministrative pecuniarie, l’articolo 144 (comma 3) del d.lgs. n. 385 prescrive che nei confronti – tra gli altri – dei soggetti che si interpongono nell'attività di credito al consumo, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.165 a 65.447 euro per  l'inosservanza delle norme in tema di pubblicità, o delle relative disposizioni generali o particolari impartite dalle autorità creditizie.

Inoltre (articolo 144, comma 4), nei confronti dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione o di direzione, dei dipendenti, nonché dei soggetti che si interpongono nell'attività di credito al consumo è applicabile la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 258.228 euro per l'inosservanza delle norme relative ai controlli (di cui all’art. 128, comma 1) ovvero nel caso di ostacolo all'esercizio delle funzioni di controllo previste dal medesimo articolo. La stessa sanzione è applicabile nel caso di frazionamento artificioso di un unico contratto di credito al consumo in una pluralità di contratti, dei quali almeno uno sia di importo inferiore al limite inferiore previsto inferiore ai limiti stabiliti dal CICR con delibera. Le sanzioni amministrative pecuniarie previste per i dipendenti dai commi 3 e 4 si estendono (articolo 144, comma 5) anche a coloro che operano sulla base di rapporti che ne determinano l'inserimento nell'organizzazione della banca, anche in forma diversa dal rapporto di lavoro subordinato.

Ai sensi della lettera d), si prescrive al legislatore delegato di coordinare la disciplina del testo unico bancario avente ad oggetto operazioni e servizi bancari e finanziari, nonché il credito al consumo (di cui al Titolo VI del TUB), e le disposizioni contenute nel decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223[137], e nel decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7[138].

In particolare, il titolo I del D.L. n. 223 del 2006 ha recato misure per lo sviluppo, la crescita e la promozione della concorrenza e della competitività, ma anche per la tutela dei consumatori e per la liberalizzazione di settori produttivi. In particolare, l’articolo 10 ha interamente sostituito l’articolo 118 del TUB relativamente alla disciplina della modifica unilaterale delle condizioni contrattuali nei contratti di durata, nel quadro delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari, nell’ottica di tutelare il cd. “contraente debole”.

Il capo I D.L. n. 7 del 2007 ha introdotto misure per la tutela dei consumatori anche in materia di contratti bancari, in particolare in tema di portabilità dei mutui ed estinzione anticipata dei mutui immobiliari.

La lettera e)richiede una rimodulazione della disciplina delle attività e dei soggetti operanti nel settore finanziario (di cui al titolo V e all’articolo 155 del d.lgs. n. 385 del 1993), sulla base di ulteriori criteri direttivi a tutela dei consumatori.

Si prescrive dunque che:

1) siano rideterminati i requisiti per l’iscrizione agli appositi elenchi, generali e speciali, degli intermediari finanziari (articoli 108 e 109 del TUB), al fine di consentire l’operatività nei confronti del pubblico soltanto ai soggetti che assicurino affidabilità e correttezza dell’iniziativa imprenditoriale.

L’articolo 108 reca le disposizioni concernenti i requisiti di onorabilità dei titolari di partecipazioni rilevanti in intermediari finanziari, fissati con D.M. 30 dicembre 1998, n. 517. L’articolo 109 invece reca disposizioni inerenti ai requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso gli intermediari finanziari (di cui al D.M. 30 dicembre 1998, n. 516).

2) si prevedano strumenti di controllo più efficaci, modulati anche sulla base delle attività svolte dall’intermediario;

3) sia garantita la semplificazione, la trasparenza, la celerità, l’economicità e l’efficacia dell’azione amministrativa e dei procedimenti sanzionatori. Si dispone l’attribuzione alla Banca d’Italia della competenza sul procedimento sanzionatorio e di irrogazione delle eventuali sanzioni;

4) si prevedano sanzioni amministrative pecuniarie e accessorie e forme di intervento effettive, dissuasive e proporzionate, quali, tra l’altro, il divieto di intraprendere nuove operazioni e il potere di sospensione, rafforzando, nel contempo, il potere di cancellazione.

Infine, la letteraf) richiede di apportare modifiche e integrazioni alla disciplina dei mediatori creditizi di cui alla legge 7 marzo 1996, n. 108, e alla disciplina degli agenti in attività finanziaria di cui al decreto legislativo 25 settembre 1999, n. 374.

Si ricorda in proposito che la legge n. 108 del 1996, recante disposizioni in materia di usura, ha modificato e innovato la disciplina della mediazione creditizia: in particolare, l’articolo 5 è intervenuto sulla disciplina del reato di abusiva attività finanziaria (articolo 132, c. 1 del TUB). L’articolo 16 ha riservato l’esercizio dell’attività di mediazione o di consulenza nella concessione di finanziamenti alle banche o agli intermediari finanziari ai soggetti iscritti in apposito albo istituito presso il Ministero del tesoro (ora MEF), recando altresì varie prescrizioni – anche penali - in tema di esercizio dell’attività di mediazione creditizia.

Il d.lgs. n. 374 del 1999[139] (articolo 3) disciplina, tra l’altro, l’esercizio professionale nei confronti del pubblico dell’attività di agenzia in attività finanziaria, tra l’altro disponendo che tale esercizio è riservato ai soggetti iscritti in apposito elenco.

Le modifiche da apportare alle citate norme devono perseguire una serie di finalità, individuate in modo specifico dai numeri 1-11 della lettera f).

Si tratta dei seguenti scopi:

1) trasparenza dell’operato e la professionalità delle categorie dei mediatori creditizi e degli agenti, con previsione di innalzamento dei requisiti professionali;

2) istituzione di un organismo associativo con personalità giuridica, autonomia organizzativa e statutaria ed eventuali articolazioni territoriali. Esso dovrà essere costituito da soggetti nominati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, scelti tra le categorie dei mediatori creditizi, degli agenti in attività finanziaria, delle banche e degli intermediari finanziari. Tale organismo dovrà essere sottoposto alla vigilanza della Banca d’Italia e ad esso sarà attribuito il compito di tenere gli elenchi dei mediatori creditizi e degli agenti in attività finanziaria; avrà poteri di proposta all’organismo preposto alla vigilanza (Banca d’Italia) in ordine alle misure inibitorie e sanzionatorie. In caso di grave inerzia o malfunzionamento dell’organismo o delle sue eventuali articolazioni territoriali, l’autorità di vigilanza ne propone lo scioglimento al Ministro dell’economia e delle finanze;

3) determinazione, con regolamento del Ministro dell’economia e delle finanze, - adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentita la Banca d’Italia - delle modalità di funzionamento dell’organismo associativo di cui supra. A tale regolamento si demanda la disciplina di ogni altro potere, anche ispettivo o informativo, necessario ad assicurare il corretto funzionamento dell’organismo e delle sue eventuali articolazioni territoriali, nonché:

- le disposizioni in tema di iscrizione negli elenchi dei mediatori creditizi e degli agenti in attività finanziaria, con le relative forme di pubblicità;

- il calcolo e le modalità di riscossione, da parte dell’organismo o delle sue eventuali articolazioni territoriali, di contributi o di altre somme dovute dagli iscritti e dai richiedenti l’iscrizione, nella misura necessaria per garantire lo svolgimento dell’attività;

- le modalità di tenuta della documentazione concernente l’attività svolta dai mediatori creditizi e dagli agenti in attività finanziaria; delle modalità di aggiornamento professionale di tali soggetti;

4) disciplina della determinazione delle sanzioni pecuniarie - ma anche di natura inibitoria e accessoria – e della modalità per la loro irrogazione, con adeguate forme di pubblicità degli esiti sanzionatori;

5) previsione della possibilità di presentare ricorso, avverso le decisioni di proposta delle misure inibitorie e sanzionatorie assunte dall’organismo o dalle sue eventuali articolazioni territoriali dinanzi alla Banca d’Italia, disciplinando le modalità di opposizione alla delibera adottata dall’organo di vigilanza, dinanzi al giudice ordinario;

6) individuare cause di incompatibilità, tra cui la contestuale iscrizione in entrambi gli elenchi;

7) prescrivere l’obbligo di stipulare polizze assicurative per responsabilità civile per danni arrecati nell’esercizio delle attività di pertinenza;

8) prevedere disposizioni transitorie per disciplinare il trasferimento nei nuovi elenchi dei mediatori e degli agenti in attività finanziarie, purché in possesso dei requisiti previsti dalla nuova disciplina;

9) prescrivere per i mediatori creditizi l’obbligo di indipendenza da banche e intermediari, nonché l’obbligo di adozione di una forma giuridica societaria per l’esercizio dell’attività, e prevedere obblighi di trasparenza specifici connessi all’attività svolta da tali soggetti, in modo che sia assicurata la trasparenza sulle commissioni di mediazione e sugli altri costi accessori, nonché ulteriori forme di controllo per le società di mediazione creditizia di maggiori dimensioni;

10) prevedere per gli agenti in attività finanziaria forme di responsabilità dell’intermediario che si avvale del loro operato, anche con riguardo ai danni causati ai clienti;

11) prevedere che le banche possano utilizzare direttamente gli agenti in attività finanziaria.

La lettera g), aggiunta durante l’esame al Senato, impone un coordinamento normativo tra il d.lgs. 385/1993 (TUB) e le altre disposizioni legislative aventi ad oggetto la tutela del consumatore, al fine di definire, tra l’altro, le informazioni che devono essere fornite al cliente in fase precontrattuale e le modalità di illustrazione, con la specifica, in caso di offerta congiunta di più prodotti, dell’obbligatorietà o facoltatività degli stessi.

Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria.

 


Art. 31

(Modifiche al decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, recante attuazione della direttiva 2001/83/CE, e successive direttive di modifica, relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE)

 

 


1. Al decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, sono apportate le seguenti modifiche:

a) al comma 1 dell’articolo 1, dopo la lettera c) è inserita la seguente:

«c-bis) medicinale per terapia avanzata: un prodotto quale definito all’articolo 2 del regolamento (CE) n. 1394/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, sui medicinali per terapie avanzate»;

b) al comma 1 dell’articolo 3 è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

«f-bis) a qualsiasi medicinale per terapia avanzata, quale definito nel regolamento (CE) n. 1394/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, preparato su base non ripetitiva, conformemente a specifici requisiti di qualità e utilizzato in un ospedale, sotto l’esclusiva responsabilità professionale di un medico, in esecuzione di una prescrizione medica individuale per un prodotto specifico destinato ad un determinato paziente. La produzione di questi prodotti è autorizzata dall’AIFA. La stessa Agenzia provvede affinché la tracciabilità nazionale e i requisiti di farmacovigilanza, nonché gli specifici requisiti di qualità di cui alla presente lettera, siano equivalenti a quelli previsti a livello comunitario per quanto riguarda i medicinali per terapie avanzate per i quali è richiesta l’autorizzazione a norma del regolamento (CE) n. 726/2004, che istituisce procedure comunitarie per l’autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali per uso umano e veterinario e che istituisce l’Agenzia europea di valutazione dei medicinali.»;

c) il comma 1 dell’articolo 6 è sostituito dal seguente:

«1. Nessun medicinale può essere immesso in commercio sul territorio nazionale senza aver ottenuto un’autorizzazione dell’AIFA o un’autorizzazione comunitaria a norma del regolamento (CE) n. 726/2004 in combinato disposto con il regolamento (CE) n. 1394/2007».

d) al comma 5 dell’articolo 119, le parole: “farmaceutica, che è titolare di altre AIC o di un’autorizzazione alla produzione di medicinali” sono soppresse.


 

 

L’articolo in commento, introdotto nel corso dell’esame al Senato, incide sulla disciplina recata dal decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219[140] concernente la regolamentazione dei medicinali per uso umano.

Nel dettaglio, il comma 1, lett. a), introduce, novellando il comma 1 dell’articolo 1 del decreto legislativo 219/2006, la definizione di “medicinale per terapia avanzata” richiamando la definizione indicata dall’articolo 2 del regolamento (CE) n. 1394/2007[141].

Il citato regolamento fissa, infatti, le norme specifiche riguardanti l'autorizzazione, la supervisione e la farmacovigilanza dei medicinali per terapie avanzate e, all’articolo 2, precisa che per «medicinale per terapia avanzata» si intende uno qualsiasi dei seguenti farmaci ad uso umano:

§      medicinali di terapia genica;

§      medicinali di terapia cellulare somatica;

§      prodotti di ingegneria tessutale.

Con il comma 1, lett. b), viene novellato il comma 1 dell’articolo 3 del citato decreto legislativo n. 219/2006, al fine di escludere dal campo di applicazione del medesimo decreto legislativo qualsiasi medicinale per terapia avanzata preparato su base non ripetitiva nel rispetto dei requisiti di qualità, utilizzato in ospedale sotto l’esclusiva responsabilità professionale di un medico in esecuzione di una prescrizione medica individuale. La produzione di tali prodotti è autorizzata dall’AIFA.

L’AIFA deve inoltre garantire che, per i farmaci in oggetto, la tracciabilità nazionale ed i requisiti specifici e di farmacovigilanza, dettati dalle disposizioni in commento, siano equivalenti a quelli previsti a livello comunitario per i medicinali per terapie avanzate per i quali è richiesta l’autorizzazione a norma del regolamento (CE) n. 726/2004, che istituisce procedure comunitarie per l’autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali per uso umano e veterinario, e che istituisce l’Agenzia europea di valutazione dei medicinali[142].

Va osservato che le disposizioni di cui alla lettera b) introducono, mediante l’aggiunta di una nuova lettera (f-bis)) al comma 1 dell’articolo 3 del decreto legislativo 219/2006, una nuova fattispecie tra quelle non soggette alla disciplina del decreto medesimo. Nell’ambito della medesima lettera f-bis), si provvede contestualmente a dettare una specifica disciplina della fattispecie escluse che sarebbe stato più opportuno inserire in un nuovo articolo del medesimo decreto legislativo.

Con la lettera c) del comma 1, si statuisce, attraverso la modifica del comma 1 dell’articolo 6 del decreto-legislativo n. 219/2006, che nessun medicinale può essere immesso in commercio sul territorio nazionale in assenza di un’autorizzazione dell’AIFA o di un’autorizzazione comunitaria a norma del regolamento (CE) n. 726/2004 in combinato disposto con il regolamento (CE) n. 1394/2007.

Si ricorda che ai sensi del citato comma 1 dell’articolo 6 del decreto legislativo n. 219 nessun medicinale può essere immesso in commercio sul territorio nazionale senza aver ottenuto un'autorizzazione dell'AIFA o un'autorizzazione comunitaria a norma del solo regolamento (CE) n. 726/2004.

Con la lettera d) del comma 1, modificando il comma 5 dell’articolo 119 del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, si consente che la pubblicità di un farmaco presso gli operatori sanitari possa essere svolta anche da un’impresa non farmaceutica.

In particolare, l’articolo 119 citato, recante disposizioni sulla pubblicità presso gli operatori sanitari di medicinali, prevede, al comma 5, che la pubblicità di un medicinale presso gli operatori sanitari possa essere realizzata, anche in forma congiunta con il titolare dell'AIC[143] del medicinale, ma comunque in base ad uno specifico accordo con questo, da altra impresa farmaceutica, che è titolare di altre AIC o di un'autorizzazione alla produzione di medicinali.

Si ricorda che il citato decreto legislativo n. 219 del 2006, composto da 160 articoli e da due allegati, ha recepito le seguenti direttive:

§       direttiva 2001/83/CE, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano;

§       le direttive 2004/24/CE e 2004/27/CE, che modificano la direttiva 2001/83/CE, con riferimento, tra l’altro,  ai medicinali vegetali tradizionali, alla terminologia utilizzata nel settore farmaceutico, alle procedure d'autorizzazione all'immissione in commercio dei medicinali nei paesi comunitari e alla normativa concernente il confezionamento; in particolare, la direttiva 2004/27/CE opera modifiche nei seguenti principali ambiti normativi riguardanti i farmaci ad uso umano: le definizioni; il campo di applicazione, l’immissione in commercio, i medicinali omeopatici, la produzione e l’importazione, l’etichettatura ed il foglio illustrativo, la pubblicità e la farmacovigilanza.

§       direttiva 2003/94/CE, che stabilisce i principi e le linee direttrici delle buone prassi di fabbricazione relative ai medicinali per uso umano e ai medicinali per uso umano in fase di sperimentazione.

Le disposizioni recate dal citato decreto legislativo n. 219 del 2006 sono finalizzate alla realizzazione di un corpo unico della normativa in materia farmaceutica, abrogando e modificando una pluralità di provvedimenti legislativi che definivano la pregressa disciplina nel settore e non riguardano la sperimentazione clinica, materia disciplinata dalla direttiva 2001/20/CE, recepita nel nostro ordinamento dal decreto legislativo n. 211 del 2003. 

Rimane altresì invariata la disciplina dettata dal regolamento (CE) n. 726/2004, con il quale sono stabilite le procedure comunitarie per l'autorizzazione e la vigilanza dei medicinali per uso umano e veterinario.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 10 dicembre 2008 la Commissione ha presentato un pacchetto sui farmaci volto a garantire medicine sicure, innovative e accessibili, composto da:

·         una comunicazione (COM (2008) 666) che definisce le linee di azione della Commissione per migliorare l’accesso al mercato, rendendo le decisioni di prezzatura e rimborso più trasparenti; favorire la ricerca farmaceutica in Europa; intensificare la cooperazione con i maggiori partner (in particolare Stati uniti, Giappone e Canada) allo scopo di migliorare la sicurezza dei farmaci a livello mondiale; promuovere la cooperazione con i partner emergenti (quali Russia, india e Cina);

·         cinque proposte normative di modifica del regolamento CE n. 726/2004 - che istituisce procedure comunitarie per l'autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali per uso umano e veterinario, e che istituisce l'agenzia europea per i medicinali - e della direttiva 2001/83/CE - recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano. L’intervento di modifica si prefigge di:

-   migliorare la lotta alla contraffazione e alla distribuzione illegale di farmaci

proposta di direttiva (COM (2008) 668) che modifica la direttiva 2001/83/CE con riguardo alla prevenzione dell'ingresso nella filiera farmaceutica legale di medicinali falsificati sotto i profili dell'identità, della storia o dell'origine;

-   consentire ai cittadini di avere accesso ad informazioni di alta qualità

proposta di direttiva (COM (2008) 663) che modifica la direttiva 2001/83/CE con riguardo alle informazioni al pubblico sui prodotti medicinali soggetti a prescrizione;

proposta di regolamento (COM (2008) 662) che modifica il regolamento 726/2004 con riguardo alle informazioni al pubblico sui prodotti medicinali soggetti a prescrizione;

-   migliorare la protezione del paziente attraverso il rafforzamento del sistema europeo di sorveglianza sui farmaci

proposta di regolamento (COM (2008) 664) che modifica il regolamento 726/2004 per quanto riguarda la farmacovigilanza;

proposta di direttiva (COM (2008) 665) che modifica la direttiva 2001/83/CE per quanto riguarda la farmacovigilanza.

Le cinque proposte normative - che seguono la procedura di codecisione – e la comunicazione sono in attesa di esame da parte delle istituzioni europee.

Procedure di contenzioso

Il 5 giugno 2008 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato (procedura d’infrazione 2005/5068) per non aver ottemperato agli obblighi di cui all’articolo 98, paragrafo 3, della direttiva 2001/83/CE recante un codice comunitario in materia di medicinali per uso umano. Secondo tale disposizione “gli Stati membri non vietano le attività di promozione congiunta dello stesso medicinale da parte del titolare dell’autorizzazione di immissione in commercio e di una o più imprese da esso designate”.

La Commissione è giunta alla conclusione che l’articolo 119, paragrafo 5, del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, limitando la promozione congiunta di un medicinale ai casi in cui le aziende che partecipano alla copromozione – designate dal detentore dell’autorizzazione all’immissione in commercio – siano ditte farmaceutiche che detengono l’autorizzazione per l’immissione in commercio di altri prodotti medicinali ovvero autorizzazioni alla produzione di farmaci – non è conforme all’acquis comunitario.

 


Art. 32

 

(Modifiche al decreto-legge 30 gennaio 2004, n. 24, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2004, n. 87)

 

 


1. Il termine di centoventi giorni per la definizione del procedimento di cui all’articolo 2 della legge 13 luglio 1965, n. 825, stabilito dall’articolo 4, comma 2, del decreto-legge 30 gennaio 2004, n. 24, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2004, n. 87, è ridotto a novanta giorni. Il nuovo termine trova applicazione anche per le richieste di inserimento nella tariffa di vendita al pubblico dei tabacchi lavorati o di variazioni dei prezzi di vendita al dettaglio il cui procedimento non è ancora concluso alla data di entrata in vigore della presente legge.


 

 

L’articolo 32 riduce da 120 a 90 giorni il termine per la definizione, da parte dell'Amministrazione, delle richieste dei produttori di tabacco in merito alla variazione delle tariffe di vendita al pubblico del prodotto da fumo.

L’articolo 2 della legge 13 luglio 1965, n. 825 (Regime di imposizione fiscale sui prodotti oggetto di monopolio di Stato) stabilisce che con decreto del Ministro delle finanze, sentito il Consiglio di amministrazione dei monopoli di Stato, si provvede all'inserimento (e alla variazione) di ciascun prodotto soggetto a monopolio fiscale nelle relative tariffe.

L’articolo 4, comma 2, del decreto-legge 30 gennaio 2004, n. 24, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2004, n. 87, ha fissato in 120 giorni il termine per la definizione del procedimento.

L’articolo specifica che il nuovo termine di 90 giorni si applica anche alle richieste di inserimento nella tariffa di vendita al pubblico dei tabacchi lavorati o di variazioni dei prezzi di vendita al dettaglio il cui procedimento non è ancora concluso alla data di entrata in vigore della presente legge.

Procedure di contenzioso

Il 22 dicembre 2008 la Commissione europea ha presentato ricorso alla Corte di giustizia europea contro l’Italia (causa C-571/08), assumendo che la legislazione italiana, dal momento che prevede un prezzo minimo per le sigarette nonché un termine di 120 giorni per ottenere l’omologazione di una modifica di prezzo dei tabacchi lavorati, violerebbe l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 95/59/CE sulle imposte diverse dall’imposta sul volume d’affari (procedura d’infrazione 2005/2107).

Con riguardo alla fissazione di un prezzo minimo per le sigarette, la Commissione osserva in particolare che, in base all’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 95/59/CE produttori e importatori sono liberi di fissare i prezzi massimi di vendita al dettaglio dei tabacchi lavorati; pertanto, gli Stati membri non possono giustificare un potere discrezionale di fissazione dei prezzi massimi di vendita al minuto facendo riferimento al "controllo del livello dei prezzi", al "rispetto dei prezzi imposti" o ancora alla fissazione di un listino.

Con riferimento alla seconda contestazione, la Commissione ricorda che in Italia i prezzi dei prodotti del tabacco lavorato devono essere registrati nel listino ufficiale dei prezzi; la richiesta di registrazione è inviata al Ministero dell'Economia e delle Finanze - Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS). A parere della Commissione, il termine di 120 giorni, previsto dalla legislazione italiana per dare seguito, in base a tale procedura, ad una richiesta di modifica dei prezzi, sarebbe eccessivamente lungo e tale da vanificare il principio della libera fissazione dei prezzi massimi da parte degli operatori, sancito dall'articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 95/59/CE.

 


Art. 33

 

(Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2008/51/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, che modifica la direttiva 91/477/CEE del Consiglio, relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi)

 

 


1. Nella predisposizione del decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2008/51/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, che modifica la direttiva 91/477/CEE del Consiglio, relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all’articolo 2, anche i seguenti ulteriori princìpi e criteri direttivi:

a) prevedere la definizione delle armi da fuoco, delle loro parti, delle loro parti essenziali e delle munizioni, nonché delle armi per uso scenico e disattivate, degli strumenti per la segnalazione acustica e per quelle comunque riproducenti o trasformabili in armi, individuando le modalità per assicurarne il più efficace controllo;

b) adeguare la disciplina relativa all’iscrizione nel Catalogo nazionale delle armi comuni da sparo, anche al fine di assicurare, in armonia con le disposizioni della Convenzione sul reciproco riconoscimento delle punzonature di prova delle armi da fuoco portatili, adottata a Bruxelles il 1° luglio 1969, di cui alla legge 12 dicembre 1973, n. 993, la pronta tracciabilità delle armi da fuoco, delle loro parti, delle loro parti essenziali e delle munizioni;

c) razionalizzare e semplificare le procedure in materia di marcatura delle armi da fuoco, delle loro parti essenziali e delle munizioni, attribuendo al Ministero dell’interno le relative competenze di indirizzo e vigilanza, al fine della pronta tracciabilità e del controllo sull’uso delle stesse, anche mediante il rilascio di speciali autorizzazioni su tutte le attività di tiro e sulla ricarica delle munizioni;

d) prevedere la graduale sostituzione dei registri cartacei con registrazioni informatizzate ai fini dell’attività di annotazione delle operazioni giornaliere svolte, richieste ai titolari delle licenze di pubblica sicurezza concernenti le armi e le munizioni, garantendo l’interoperabilità con i relativi sistemi automatizzati del Ministero dell’interno e la conservazione dei dati per un periodo minimo di cinquanta anni dalla data dell’annotazione stessa;

e) prevedere il controllo dell’immissione sul mercato civile di armi da fuoco provenienti dalle scorte governative, nonché procedure speciali per la loro catalogazione e marcatura;

f) prevedere speciali procedimenti per la catalogazione e la verifica delle armi semiautomatiche di derivazione militare, anche ai fini dell’autorizzazione per la loro detenzione;

g) adeguare la disciplina in materia di tracciabilità e tutela delle armi antiche, artistiche e rare e delle relative attività di raccolta ai fini culturali e collezionistici;

h) determinare le procedure, ordinarie e speciali, per l’acquisizione e la detenzione delle armi, anche attraverso la previsione dei requisiti necessari, anche fisici e psichici, degli interessati, al fine di evitare pericoli per gli stessi, nonché per l’ordine e la sicurezza pubblica, prevedendo a tal fine anche lo scambio protetto dei dati informatizzati tra il Servizio sanitario nazionale e gli uffici delle Forze dell’ordine, utili a prevenire possibili abusi da parte di soggetti detentori di armi da fuoco;

i) adeguare la disciplina per il rilascio, rinnovo e uso della Carta europea d’arma da fuoco;

l) disciplinare, nel quadro delle autorizzazioni contemplate nell’articolo 31 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, le licenze di polizia per l’esercizio delle attività di intermediazione delle armi e per l’effettuazione delle singole operazioni;

m) prevedere specifiche norme che disciplinino l’utilizzazione, il trasporto, il deposito e la custodia delle armi, anche al fine di prevenirne furti o smarrimenti;

n) prevedere l’introduzione di sanzioni penali, nei limiti di pena di cui alla legge 2 ottobre 1967, n. 895, ed alla legge 18 aprile 1975, n. 110, per le infrazioni alle disposizioni della legislazione nazionale di attuazione della direttiva 2008/51/CE.

2. Dall’attuazione della delega di cui al presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

3. Agli adempimenti derivanti dall’esercizio della presente delega le Amministrazioni interessate provvedono con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

 


 

 

L'articolo 33, inserito nel corso dell'esame al Senato, reca l'elencazione dei principi e criteri direttivi ulteriori, rispetto a quelli generali di cui all'art. 2 del disegno di legge in esame, cui il Governo si dovrà attenere del predisporre il decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2008/51/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, che modifica la direttiva 91/477/CEE del Consiglio, relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi (direttiva collocata nell'allegato B del disegno di legge).

Il comma 1 elenca a riguardo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

§      lettera a): prevedere, nell’ambito della definizione delle armi da fuoco, delle loro parti e delle munizioni, anche quella degli strumenti comunque riproducenti o trasformabili in armi, ai fini di un più efficace controllo;

§      lettera b): adeguare la disciplina dell’iscrizione nel Catalogo nazionale delle armi comuni da sparo onde assicurare la “pronta tracciabilità” delle stesse e delle munizioni, come prevede la Convenzione sul reciproco riconoscimento delle punzonature di prova delle armi da fuoco portatili[144];

§      (lettera c)): semplificare le procedure in materia di marcatura (è prevista a tale riguardo la possibilità di prevedere speciali autorizzazioni su tutte le attività di tiro e sulla ricarica delle munizioni);

§      (lettera g)): adeguare la disciplina alle particolari caratteristiche delle armi antiche, artistiche e rare;

§      lettera d): informatizzare i registri e le operazioni richieste ai titolari delle licenze di pubblica sicurezza concernenti le armi e le munizioni, garantendo l’interoperabilità con i sistemi automatizzati del Ministero dell’interno e prevedendo la conservazione dei dati per almeno 50 anni;

§      lettere e) ed f): prevedere forme di controllo sulla circolazione di armi da fuoco provenienti dalle scorte governative, e procedure speciali con riguardo alle armi semiautomatiche di derivazione militare;

§      lettera h): determinare i requisiti e le procedure per l’acquisizione e la detenzione delle armi, prevedendo a tal fine anche lo “scambio protetto” di dati informatizzati tra il Servizio sanitario nazionale e gli uffici delle Forze dell’ordine;

§      (lettera i)): adeguare la disciplina per il rilascio, rinnovo e uso della Carta europea d’arma da fuoco, disciplinata dalla direttiva (documento rilasciato dalle autorità di uno Stato membro ai soggetti legittimamente detentori e utilizzatori di un'arma da fuoco);

§      lettera l): disciplinare le licenze di polizia per l’esercizio delle attività di intermediazione di armi e per l’effettuazione delle singole operazioni, nel quadro delle autorizzazioni di cui all’art. 31 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS)[145];

§      lettera m): disciplinare specificamente l’utilizzazione, il trasporto, il deposito e la custodia delle armi, anche al fine di prevenirne furti o smarrimenti;

§      lettera n): corredare la disciplina di recepimento con sanzioni penali, nei limiti di pena di cui alle L. 895/1967 e 110/1975[146].

 


Art. 34

 

(Disposizioni relative all’attuazione dei regolamenti (CE) n. 1234/2007 del Consiglio e n. 589/2008 della Commissione, per quanto riguarda la commercializzazione delle uova)

 

 


1. Qualora i centri d’imballaggio delle uova, definiti all’articolo 1 del regolamento (CE) n. 589/2008 della Commissione, del 23 giugno 2008, non soddisfino più le condizioni previste dall’articolo 5 del medesimo regolamento, si applicano i provvedimenti amministrativi della revoca e della sospensione dell’autorizzazione.

2. In caso d’inosservanza delle disposizioni contenute nella specifica normativa comunitaria e nazionale, sempre che il fatto non costituisca reato, si applicano le seguenti sanzioni:

a) da euro 300 a euro 1.800 a carico di chiunque, senza le prescritte autorizzazioni:

1) effettui l’imballaggio, il reimballaggio e la classificazione di uova in categorie di qualità e di peso;

2) svolga l’attività di raccoglitore, oppure produca o commercializzi uova;

b) da euro 200 a euro 1.200 nei confronti di coloro che mescolano, al fine di venderle, le uova di gallina con quelle di altre specie;

c) da euro 750 a euro 4.500 nei confronti degli operatori che omettono o non aggiornano o non tengono correttamente o non conservano, per almeno dodici mesi, ai sensi dell’articolo 23 del regolamento (CE) n. 589/2008, le registrazioni di cui agli articoli 20, 21 e 22 del medesimo regolamento, secondo le modalità stabilite dalle disposizioni nazionali applicative;

d) da euro 150 a euro 900 nei confronti dei titolari dei centri di imballaggio e dei raccoglitori che omettono di comunicare alla regione o provincia autonoma di appartenenza ed al competente dipartimento del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, entro trenta giorni dall’avvenimento, le variazioni tecniche, societarie o d’indirizzo e la cessazione dell’attività;

e) da euro 150 a euro 900 a carico, a seconda dei casi, dei titolari dei centri d’imballaggio, dei produttori e, limitatamente agli articoli 14 e 16, relativi rispettivamente all’utilizzo della dicitura «EXTRA» e alla vendita di uova sfuse, a carico dei rivenditori, per la violazione dei seguenti articoli del regolamento (CE) n. 589/2008:

1) articoli 2 e 4, relativi alle caratteristiche qualitative, al divieto di trattamenti per la conservazione ed ai criteri di classificazione delle uova;

2) articolo 5, relativo alla dotazione di attrezzature dei centri d’imballaggio;

3) articoli 6 e 11, relativi ai termini temporali per la lavorazione delle uova e alla stampigliatura degli imballaggi e delle uova;

4) articoli 7, 12, 14, 16, 17 e 18, relativi all’etichettatura degli imballaggi e delle uova;

f) da euro 750 a euro 4.500 nei confronti di coloro che violano le norme di cui agli articoli 8, 13, 19 e 30 del regolamento (CE) n. 589/2008, relative alla stampigliatura delle uova importate da Paesi terzi o scambiate con Paesi comunitari, all’indicazione della durata minima ed al reimballaggio;

g) da euro 200 a euro 1.200 nei confronti di coloro che omettono di riportare una o più diciture obbligatorie ai sensi della normativa vigente oppure violano quanto prescritto agli articoli 7, 8, 9 e 10 del decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 13 novembre 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 297 del 22 dicembre 2007, relativi all’uso di diciture facoltative;

h) da euro 750 a euro 4.500 nei confronti dei titolari dei centri d’imballaggio e dei produttori che violano le norme sulla stampigliatura delle uova con il codice del produttore, di cui all’allegato XIV del regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio, del 22 ottobre 2007, ed all’articolo 9 del regolamento (CE) n. 589/2008, nonché all’articolo 15 del regolamento (CE) n. 589/2008, relativo all’indicazione del tipo di alimentazione.

3. Per le sanzioni di cui al comma 2, gli importi si intendono aumentati del doppio se la partita di merce irregolare è superiore alle 50.000 uova.

4. In caso di reiterazione della violazione, le sanzioni di cui al comma 2 sono aumentate da un terzo alla metà.

5. Per l’applicazione delle sanzioni si applica il procedimento previsto dalla legge 24 novembre 1981, n. 689.

6. Nel caso di partite di uova commercializzate che risultano non conformi alle disposizioni previste dalla normativa comunitaria e nazionale, l’Ispettorato centrale per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari (ICQ) attua le disposizioni di cui all’articolo 25, comma 2, del regolamento (CE) n. 589/2008, fino a quando la partita stessa non è in regola.

7. Con apposito accordo tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definite, nell’ambito delle rispettive competenze, le modalità di attuazione delle disposizioni di cui al comma 1, nonché modalità uniformi per l’attività di controllo ai fini dell’irrogazione delle sanzioni amministrative di cui commi 2, 3 e 4.

8. Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali esercita il controllo per l’applicazione delle disposizioni del presente articolo tramite l’Ispettorato centrale per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari (ICQ) che è anche l’Autorità competente, ai sensi dell’articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689, ad irrogare le sanzioni amministrative pecuniarie previste dal comma 2 del presente articolo.


 

 

L'articolo 34, introdotto nel corso dell’esame al Senato, prevede, al comma 1, che i centri d’imballaggio delle uova che non soddisfino le condizioni previste dall’articolo 5 del regolamento (CE) n. 589/2008 in materia di classificazione, imballaggio ed etichettatura vengano sanzionati con la revoca o la sospensione dell’autorizzazione.

Ai sensi di tale articolo 5, la classificazione, l’imballaggio e l’etichettatura delle uova sono effettuati solo dai centri di imballaggio che in possesso dei requisiti richiesti ricevono l’autorizzazione statale e la conseguente attribuzione di un codice d’identificazione.

I centri di imballaggio dovrebbero disporre oltre che di un’attrezzatura tecnica appropriata che consenta la classificazione delle uova per categoria di qualità e di peso, anche delle attrezzature necessarie per garantire un’adeguata manipolazione delle uova che comprendano a seconda dei casi:

-        un impianto per la speratura adatto all’uso, automatico o permanentemente assistito, che consenta di esaminare separatamente la qualità di ciascun uovo, o un’altra attrezzatura adeguata;

-        un dispositivo per la valutazione dell’altezza della camera d’aria;

-        una o più bilance omologate per pesare le uova;

-       un sistema per la stampigliatura delle uova.

Vengono quindi introdotte, dal comma 2, sanzioni amministrative per l’inosservanza delle disposizioni in materia, comunitarie e nazionali, a carico, tra l’altro, di chi: effettui l’imballaggio oppure raccolga, produca o commercializzi uova senza le prescritte autorizzazioni; mescoli le uova di gallina con quelle di altre specie; ometta di comunicare agli enti competenti le variazioni tecniche, societarie o d’indirizzo e la cessazione dell’attività; violi le norme relative all’indicazione della durata minima, al reimballaggio, alla stampigliatura delle uova importate, all’uso di diciture obbligatorie e facoltative, all’indicazione del tipo di alimentazione.

Le sanzioni di cui al comma 2 sono poi aumentate del doppio, se l’irregolarità riguarda una partita di più di 50 mila uova, e da un terzo alla metà, se la violazione è reiterata (commi 3 e 4); le sanzioni si applicano in base al procedimento definito dalla legge n. 689 del 1981 (comma 5).

Secondo la disciplina prevista dalla legge 689/1981, l'applicazione della sanzione avviene secondo il seguente procedimento.

Dopo l’accertamento della violazione da parte degli organi competenti o dalla polizia giudiziaria (art. 13), essa deve essere immediatamente contestata o comunque notificata al trasgressore entro 90 giorni (art. 14); entro i successivi 60 giorni l'autore può conciliare pagando una somma ridotta pari alla terza parte del massimo previsto o pari al doppio del minimo (cd. oblazione o pagamento in misura ridotta, art. 16).

In caso contrario, egli può, entro 30 giorni, presentare scritti difensivi all'autorità competente; quest'ultima, dopo aver esaminato i documenti e le eventuali memorie presentate, se ritiene sussistere la violazione contestata determina l'ammontare della sanzione con ordinanza motivata e ne ingiunge il pagamento (cd. ordinanza-ingiunzione, art. 18).

Entro 30 giorni dalla sua notificazione l'interessato può presentare opposizione all’ordinanza ingiunzione (che, salvo eccezioni, non sospende il pagamento), inoltrando ricorso al giudice di pace (art. 22, 22-bis). Fatte salve le diverse competenze stabilite dalla legge, l’opposizione si propone, invece, davanti al tribunale: l'esecuzione dell'ingiunzione non viene sospesa e il giudizio che con esso si instaura si può concludere o con un'ordinanza di convalida del provvedimento o con sentenza di annullamento o modifica del provvedimento; contro tale sentenza è ammesso solo ricorso per cassazione (art. 23). Il giudice ha piena facoltà sull'atto, potendo o annullarlo o modificarlo, sia per vizi di legittimità che di merito.

In caso di condizioni economiche disagiate del trasgressore, l’autorità che ha applicato la sanzione può concedere la rateazione del pagamento (art. 26).

Decorso il termine fissato dall’ordinanza ingiunzione, in assenza del pagamento, l’autorità che ha emesso il provvedimento procede alla riscossione delle somme dovute con esecuzione forzata in base alle norme previste per l’esazione delle imposte dirette (art. 27). Il termine di prescrizione delle sanzioni amministrative pecuniarie è di 5 anni dal giorno della commessa violazione (art. 28).

Le modalità di attuazione delle disposizioni sulla revoca e sospensione dell’autorizzazione e le modalità di realizzazione dei controlli, che debbono essere uniformi sull’intero territorio per l’irrogazione delle sanzioni, dovranno essere definite entro il termine di novanta giorni dall’entrata in vigore del provvedimento con un accordo tra Stato, regioni e province autonome (comma 7).

L'Autorità che effettua i controlli e che vieta la commercializzazione delle partite irregolari, o vieta l’importazione di quelle provenienti da un paese terzo, è l'Ispettorato per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari (ICQ) (comma 6), che è anche il soggetto cui spetta irrogare le sanzioni in base all’art. 17 della legge n. 689 del 1981.

L’art. 17 della legge 689 prevede che il funzionario o l'agente che ha accertato la violazione, salvo che ricorra l'ipotesi prevista nell'art. 24 (ovvero quando l’illecito appaia in connessione obiettiva con un reato e quindi il rapporto debba essere trasmesso all’A.G.), deve presentare rapporto, con la prova delle eseguite contestazioni o notificazioni, all'ufficio periferico cui sono demandati attribuzioni e compiti del Ministero nella cui competenza rientra la materia alla quale si riferisce la violazione.


Art. 35

 

(Controlli della Commissione europea, a tutela della concorrenza, in locali non societari )

 

 


1. Nei casi di accertamenti disposti dalla Commissione europea ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato CE, l’esecuzione delle decisioni è autorizzata dal procuratore della Repubblica, che provvede in conformità all’articolo 21, paragrafo 3, del regolamento.


 

 

L'articolo in esame, introdotto dal Senato, dà attuazione ad uno specifico profilo del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato CE, poiché individua nel Procuratore della Repubblica l'autorità giudiziaria nazionale competente ad autorizzare l'esecuzione delle decisioni con cui la Commissione europea dispone accertamenti in locali diversi da quelli dell’impresa ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, del menzionato regolamento, autorizzazione richiesta in via preliminare dall'articolo 21, paragrafo 3, del citato regolamento.

L'articolo 21, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1/2003, nell’ambito dei poteri di indagine attribuiti alla Commissione europea in materia di corretta applicazione delle regole di concorrenza, dispone che se vi sono motivi ragionevoli di sospettare che libri o altri documenti connessi all'azienda e all'oggetto degli accertamenti, che possono essere pertinenti per provare un'infrazione grave all'articolo 81 o all'articolo 82 del Trattato CE, sono conservati in altri locali, terreni e mezzi di trasporto, compreso il domicilio di amministratori, direttori e altri membri del personale delle imprese o associazioni di imprese interessate, la Commissione può, mediante decisione, ordinare che siano effettuati accertamenti in siffatti locali, terreni e mezzi di trasporto.

Il successivo paragrafo 2 prevede che la decisione specifica l'oggetto e lo scopo degli accertamenti, ne stabilisce la data d'inizio e fa menzione del diritto di presentare ricorso dinanzi alla Corte di giustizia avverso la decisione. La decisione precisa, in particolare, i motivi che hanno indotto la Commissione a concludere che esiste un motivo di sospetto ai sensi del paragrafo 1. La Commissione adotta tali decisioni previa consultazione dell'autorità garante della concorrenza dello Stato membro nel cui territorio devono essere effettuati gli accertamenti.

Il paragrafo 3 stabilisce, quindi, che una decisione adottata ai sensi del paragrafo 1 non può essere eseguita senza l'autorizzazione preliminare dell'autorità giudiziaria nazionale dello Stato membro interessato. La menzionata autorità controlla l'autenticità della decisione della Commissione e verifica che le misure coercitive previste non siano né arbitrarie né sproporzionate in considerazione, in particolare, della gravità della presunta infrazione, dell'importanza della prova richiesta, del coinvolgimento dell'impresa interessata e della ragionevole probabilità che i registri e i documenti aziendali relativi all'oggetto degli accertamenti siano detenuti nei locali per i quali è chiesta l'autorizzazione. Inoltre, l'autorità giudiziaria nazionale può chiedere alla Commissione, direttamente o attraverso l'autorità garante della concorrenza dello Stato membro, una spiegazione dettagliata degli elementi che sono necessari per permetterle di verificare la proporzionalità delle misure coercitive previste, ma non può mettere in discussione la necessità degli accertamenti né chiedere che siano fornite informazioni contenute nel fascicolo della Commissione. Il controllo della legittimità della decisione della Commissione è riservato alla Corte di giustizia.

 


Art. 36

 

(Modifiche al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia resa in data 25 luglio 2008 nella causa C-504/06. Procedura di infrazione n. 2005/2200)

 

 


1. Al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 90, il comma 11 è sostituito dal seguente:

«11. La disposizione di cui al comma 3 non si applica ai lavori privati non soggetti a permesso di costruire in base alla normativa vigente e comunque di importo inferiore ad euro 100.000. In tal caso, le funzioni del coordinatore per la progettazione sono svolte dal coordinatore per la esecuzione dei lavori.»;

b) all’articolo 91, comma 1, dopo la lettera b) è aggiunta la seguente:

«b-bis) coordina l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 90, comma 1».


 

 

L’articolo in esame, introdotto nel corso dell’esame al Senato, reca alcune modifiche al d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81[147], al fine di dare esecuzione alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 25 luglio 2008 (causa C-504/06, procedura di infrazione n. 2005/2200), con la quale lo Stato italiano è stato condannato ad attenersi alle indicazioni fornite con la direttiva 92/57/CEE del 24 giugno 1992[148],relativa all’obbligo del committente di designare uno o più coordinatori per la progettazione nel caso in cui in un cantiere temporaneo o mobile operino più imprese, indipendentemente da altre condizioni quale l’entità del cantiere o la presenza nello stesso di particolari rischi.

La richiamata sentenza della Corte di giustizia ha condannato l’Italia per non aver provveduto alla corretta trasposizione nell’ordinamento nazionale dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 92/57/CEE[149], riguardante le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili, in quanto ha subordinato la designazione dei coordinatori nei richiamati cantieri alla condizione dei 200 uomini-giorno, non prevedendola invece, così come indicato nell’articolo 3, paragrafo 1, della stessa direttiva n. 92/57/CEE, in tutti i casi in cui è prevista la presenza in cantiere di più imprese.

Tra l’altro, nella sentenza la Corte di giustizia, ritenendo che la nuova normativa contenuta nel d.lgs. 81/2008[150] continuasse a prevedere una deroga all’obbligo di designare coordinatori, ha rilevato che, “secondo la Commissione, dal dettato dell’art. 3, n. 1 della direttiva 92/57/CEE, si evince tuttavia chiaramente che non è consentita alcuna restrizione per quanto concerne l’obbligo di designare coordinatori. La possibilità di deroga di cui n. 2 di detto articolo riguarderebbe unicamente la predisposizione, prima dell’apertura del cantiere, di un piano di sicurezza e di salute e non la designazione di uno o di più coordinatori”. “Tale rilievo”, prosegue la Corte, “sarebbe avvalorato dalla lettera e dalla finalità della direttiva 92/57/CEE. Infatti, ai sensi degli artt. 1 e 2 di tale direttiva, le prescrizioni minime in materia di sicurezza e di salute si applicano a tutti i cantieri mobili. Inoltre, dal sesto e dal settimo ‘considerando’ della stessa direttiva si evincerebbe che l’obbligo di designare un coordinatore deve essere considerato quale regola di applicazione generale nell’ambito dei cantieri temporanei o mobili, considerato che questi ultimi costituiscono un settore di attività che espone i lavoratori a rischi particolarmente elevati”. Sulla base di ciò, la Corte di giustizia ha dichiarato che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva 92/57/CEE, non avendo provveduto alla corretta trasposizione nell’ordinamento italiano della medesima direttiva.

In attuazione di quanto affermato dalla richiamata sentenza, l’articolo in esame:

§      modificando il comma 11 dell’articolo 90 del d.lgs. 81/2008, prevede che l’obbligo di designazione del coordinatore per la progettazione nei cantieri in cui sia prevista la presenza di più imprese, anche non contemporanea, non si applichi ai lavori privati non soggetti a permesso di costruire in base alla normativa vigente e comunque di importo inferiore ad euro 100.000. In tal caso, le funzioni del coordinatore per la progettazione sono svolte dal coordinatore per l’esecuzione dei lavori (comma 1, lettera a));

Si ricorda che l’articolo 90 del d.lgs. n. 81/2008, nell’ambito degli obblighi del committente o del responsabile dei lavori nell'organizzazione delle operazioni dei cantieri temporanei o mobili, ha disposto (comma 3) che nei cantieri in cui sia prevista la presenza di più imprese, anche non contemporanea, il committente, anche nei casi di coincidenza con l'impresa esecutrice, o il responsabile dei lavori, contestualmente all'affidamento dell'incarico di progettazione, ha l’obbligo di designare il coordinatore per la progettazione.

Il coordinatore per la progettazione è incaricato, dal committente o dal responsabile dei lavori, dell'esecuzione dei compiti di cui all'articolo 91 (redazione del piano di sicurezza e di coordinamento e predisposizione di un fascicolo, i cui contenuti sono definiti all'allegato XVI al d.lgs. 81/2008), contenente le informazioni utili ai fini della prevenzione e della protezione dai rischi cui sono esposti i lavoratori.

Tale obbligo non trova applicazione, ai sensi del successivo comma 11, in caso di lavori privati, ai lavori non soggetti a permesso di costruire. In questo caso, la redazione del piano di sicurezza e di coordinamento e la predisposizione del fascicolo sulla prevenzione dei rischi sono affidate al coordinatore per l'esecuzione.

§      aggiunge la lettera b-bis) all’articolo 91, comma 1, dello stesso d.lgs. 81/2008 (comma 1, lettera b)), in base alla quale tra gli obblighi del coordinatore per la progettazione, richiamati in precedenza, rientra anche il coordinamento ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 90, comma 1.

Queste ultime prevedono che il committente, o il responsabile dei lavori, in fase di progettazione dell'opera, ed in particolare al momento delle scelte tecniche, nell'esecuzione del progetto e nell'organizzazione delle operazioni di cantiere, si debba attenere ai principi e alle misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori contenute nel precedente articolo 15. Lo stesso comma, inoltre, al fine di permettere la pianificazione dell'esecuzione in condizioni di sicurezza dei lavori o delle fasi di lavoro che si devono svolgere simultaneamente o successivamente tra loro, dispone che il committente o il responsabile dei lavori debbano prevedere nel progetto la durata di tali lavori o fasi di lavoro.

Con riferimento alla previsione di cui al comma 1, appare opportuno verificare se la modifica apportata al comma 11 dell’articolo 90, volta a individuare una nuova ipotesi di non applicazione dell’obbligo di designazione del coordinatore per la progettazione (seppur per lavori “minori”), sia del tutto coerente con quanto disposto dalla sentenza della Corte di giustizia a cui la disposizione intende dare attuazione.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 6 novembre 2008 la Commissione ha presentato una comunicazione sull’attuazione pratica delle direttive 92/57/CEE(cantieri temporanei o mobili) e 92/58/CEE (segnaletica di sicurezza sul luogo di lavoro) (COM(2008) 698) concernenti la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro.

Per quanto riguarda la direttiva 92/57/CE, la Commissione sottolinea che, sebbene il tasso di incidenza e il numero di infortuni sul lavoro siano diminuiti, le cifre sono ancora inaccettabili ed è necessaria un’attuazione pratica più efficace della direttiva 92/57/CEE. La Commissione ritiene che al momento non sia opportuno avviare un processo di revisione della direttiva, senza aver prima intrapreso azioni alternative a livello nazionale e/o europeo al fine di consentire alla direttiva di produrre tutti i suoi effetti e di garantire il rispetto della medesima. La Commissione ritiene che, nell’elaborare strategie nazionali in materia di salute e sicurezza, gli Stati membri potrebbero intraprendere iniziative per un’applicazione più efficace della direttiva 92/57/CEE, principalmente razionalizzando e semplificando il quadro normativo nazionale esistente.

La comunicazione richiama l’attenzione sull’importanza dell’applicazione omogenea della direttiva in tutta l’UE e suggerisce una serie di interventi, a suo avviso necessari a livello nazionale o di UE[151].

La Commissione annuncia l’elaborazione di un manuale pratico non vincolante che chiarisca alcuni concetti fondamentali e sia di ausilio per tutti i soggetti per rispettare i loro obblighi.

Procedure di contenzioso

La Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora, ex art. 228del Trattato che istituisce la Comunità europea (TCE)[152], per mancata esecuzione della sentenza della Corte di giustizia del 25 luglio 2008 nella causa C-504/06[153]. Secondo la Corte l’Italia non avrebbe provveduto alla corretta trasposizione nell'ordinamento italiano dell'art. 3, n. 1, della direttiva 92/57/CEE, riguardante le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili.

 


Art. 37

 

(Disposizioni per l’accreditamento dei laboratori di autocontrollo del settore alimentare )

 

 


1. Le disposizioni del presente articolo si applicano ai:

a) laboratori non annessi alle imprese alimentari che effettuano analisi nell’ambito delle procedure di autocontrollo per le imprese alimentari;

b) laboratori annessi alle imprese alimentari che effettuano analisi ai fini dell’autocontrollo per conto di altre imprese alimentari facenti capo a soggetti giuridici diversi.

2. I laboratori di cui al comma 1, lettere a) e b), di seguito indicati come «laboratori», devono essere accreditati, secondo la norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025, per le singole prove o gruppi di prove, da un organismo di accreditamento riconosciuto e operante ai sensi della norma UNI CEI EN ISO/IEC 17011.

3. Con apposito accordo tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, nell’ambito delle rispettive competenze, saranno definite le modalità operative di iscrizione, aggiornamento, cancellazione in appositi elenchi dei laboratori, nonché modalità uniformi per l’effettuazione delle verifiche ispettive finalizzate alla valutazione della conformità dei laboratori ai requisiti di cui al comma 2.

4. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri, né minori entrate a carico della finanza pubblica.

5. Le amministrazioni interessate svolgono le attività previste dal presente articolo con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

6. Le spese relative alle procedure di riconoscimento, alle iscrizioni, agli aggiornamenti e alle cancellazioni relative all’elenco dei laboratori sono poste a carico delle imprese secondo tariffe e modalità di versamento da stabilire con successive disposizioni regionali, sulla base del costo effettivo del servizio, determinato mediante apposito accordo tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.


 

 

L'articolo 37, introdotto nel corso dell’esame al Senato, prevede che sia i laboratori non annessi alle imprese alimentari che effettuano analisi nell’ambito delle procedure di autocontrollo per le imprese alimentari, sia i laboratori annessi alle imprese alimentari che effettuano analisi ai fini dell’autocontrollo per conto di altre imprese alimentari debbano essere accreditati, secondo la norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025 ("Requisiti generali per la competenza dei laboratori di prova e di taratura"), da un organismo di accreditamento riconosciuto e operante ai sensi della norma UNI CEI EN ISO/IEC 17011 ("Requisiti generali per gli organismi di accreditamento che accreditano organismi di valutazione della conformità").

L'articolo rinvia inoltre ad apposito accordo tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano per la definizione delle modalità operative di iscrizione, aggiornamento, cancellazione in appositi elenchi dei laboratori, nonché di effettuazione delle verifiche ispettive. Le spese relative alle procedure di riconoscimento, iscrizione, aggiornamento e cancellazione dagli elenchi suddetti dovranno essere poste a carico delle imprese secondo tariffe da stabilire sulla base del costo effettivo del servizio.

L’applicazione delle disposizioni non deve comportare alcun aggravio per le finanze pubbliche e deve essere realizzata con l’utilizzo delle risorse disponibili a legislazione vigente.

Gli organismi di valutazione di conformità (Laboratori di prova e taratura, Organismi di Certificazione ed Ispezione) svolgono attività di valutazione e di attestazione di conformità a norme o a regole tecniche nazionali, comunitarie e internazionale (certificazione di prodotti, certificazione di sistemi di gestione, certificazione di personale, ispezioni). Affinché la certificazione abbia una validità ampiamente riconosciuta è necessario che gli organismi di certificazione e i laboratori siano accreditati presso un ente riconosciuto a livello nazionale. In Italia l’UNI e il CEI hanno costituito, in forma associativa, il SINAL (Sistema nazionale di accreditamento laboratori), con il compito di accreditare a livello nazionale laboratori italiani ed esteri per garantire l’affidabilità delle verifiche di conformità dei prodotti alle norme e alle regole tecniche nazionali, comunitarie e internazionale, ed il SINCERT (Sistema nazionale di accreditamento di organismi di certificazione), con il compito di accreditare a livello nazionale organismi di certificazione italiani ed esteri per garantire l’affidabilità delle verifiche di conformità.

La richiamata norma ISO/IEC 17025 "Requisiti generali per la competenza dei laboratori di prova e di taratura" costituisce il modello in base al quale verificare la qualità e l'affidabilità dei laboratori di prova e di taratura e tratta tutti i requisiti che i laboratori di prova e di taratura devono soddisfare per dimostrare ai consumatori, alle imprese, ai legislatori di avere una corretta gestione dei propri processi interni e delle proprie attività, di essere quindi tecnicamente affidabili e di generare risultati validi. La nuova edizione della norma ISO/IEC 17025 del 2005 dà maggiore enfasi alle responsabilità della direzione, sottolinea la necessità di migliorare continuamente l'efficienza del sistema gestionale e infine pone maggiore attenzione all'aspetto della soddisfazione del cliente.

La norma ISO/IEC 17011:2004 "Conformity assessment - General requirements for accreditation bodies accrediting conformity assessment bodies" definisce un insieme (uniforme) di requisiti per quegli Organismi di accreditamento che verificano le attività degli Organismi di valutazione della conformità.


Art. 38

 

(Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno )

 

 


1. Nella predisposizione dei decreti legislativi per l’attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, da adottare su proposta del Ministro per le politiche europee e del Ministro dello sviluppo economico ovvero del Ministro con competenza prevalente in materia, di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa e con gli altri Ministri interessati, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, realizzando il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all’articolo 2, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato nonché assicurare agli utenti un livello essenziale ed uniforme di condizioni di accessibilità all’acquisto di servizi sul territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) ed m), della Costituzione;

b) prevedere che le disposizioni dei decreti legislativi si applichino a tutti i servizi non esplicitamente esclusi dall’articolo 2, paragrafi 2 e 3, e, relativamente alla libera prestazione di servizi, anche dall’articolo 17 della direttiva;

c) definire puntualmente l’ambito oggettivo di applicazione;

d) semplificare i procedimenti amministrativi per l’accesso alle attività di servizi, anche al fine di renderli uniformi sul piano nazionale, subordinando altresì la previsione di regimi autorizzatori al ricorrere dei presupposti di cui all’articolo 9 della direttiva e prevedendo che, per tali regimi, da elencare in allegato al decreto legislativo di cui al presente articolo, la dichiarazione di inizio attività rappresenti la regola generale salvo che motivate esigenze impongano il rilascio di un atto autorizzatorio esplicito;

e) garantire che, laddove consentiti dalla normativa comunitaria, i regimi di autorizzazione ed i requisiti eventualmente previsti per l’accesso ad un’attività di servizi o per l’esercizio della medesima siano conformi ai princìpi di trasparenza, proporzionalità e parità di trattamento;

f) garantire la libera circolazione dei servizi forniti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro, imponendo requisiti relativi alla prestazione di attività di servizi solo qualora siano giustificati da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o tutela dell’ambiente, nel rispetto dei princìpi di non discriminazione e di proporzionalità;

g) prevedere che l’autorizzazione all’accesso o all’esercizio di una attività di servizi abbia efficacia su tutto il territorio nazionale. Limitazioni territoriali dell’efficacia dell’autorizzazione possono essere giustificate solo da un motivo imperativo di interesse generale;

h) ferma restando l’applicazione del principio di prevalenza di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva, anche al fine di garantire, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 4, della direttiva, il carattere unitario nazionale dell’individuazione delle figure professionali con i relativi profili ed eventuali titoli abilitanti, individuare espressamente, per tutti i servizi rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva, gli eventuali requisiti compatibili con la direttiva medesima e necessari per l’accesso alla relativa attività e per il suo esercizio;

i) prevedere che lo svolgimento di tutte le procedure e le formalità necessarie per l’accesso all’attività di servizi e per il suo esercizio avvenga attraverso sportelli unici usufruibili da tutti i prestatori di servizi a prescindere che questi siano stabiliti sul territorio nazionale o di altro Stato membro, in coerenza con quanto già previsto al riguardo dall’articolo 38 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e regolando il conseguente coordinamento fra le relative disposizioni;

l) prevedere che le procedure e le formalità per l’accesso e l’esercizio delle attività di servizi possano essere espletate attraverso gli sportelli unici anche a distanza e per via elettronica;

m) realizzare l’interoperabilità dei sistemi di rete, l’impiego non discriminatorio della firma elettronica o digitale ed i collegamenti tra la rete centrale della pubblica amministrazione e le reti periferiche;

n) prevedere forme di collaborazione con le autorità competenti degli altri Stati membri e con la Commissione europea al fine di garantire il controllo dei prestatori e dei loro servizi, in particolare fornendo al più presto e per via elettronica, tramite la rete telematica IMI, realizzata dalla Commissione europea, le informazioni richieste da altri Stati membri o dalla Commissione. Lo scambio di informazioni può riguardare le azioni disciplinari o amministrative promosse o le sanzioni penali irrogate e le decisioni definitive relative all’insolvenza o alla bancarotta fraudolenta assunte dalle autorità competenti nei confronti di un prestatore e che siano direttamente pertinenti alla competenza del prestatore o alla sua affidabilità professionale, nel rispetto dei presupposti stabiliti dalla direttiva;

o) prevedere l’abrogazione espressa della normativa statale in contrasto con i princìpi e le disposizioni della direttiva comunitaria;

p) prevedere che, relativamente alle materie di competenza regionale, le norme per l’adeguamento, il coordinamento e la semplificazione dei procedimenti autorizzatori concernenti l’esercizio della libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi siano adottate dallo Stato, in caso di inadempienza normativa delle regioni, in conformità all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione e che, in caso di inadempienza amministrativa, sia esercitato il potere sostitutivo di cui all’articolo 120, secondo comma, della Costituzione;

q) prevedere che tutte le disposizioni di attuazione della direttiva nell’ambito dell’ordinamento nazionale siano finalizzate a rendere effettivo l’esercizio della libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi garantite dagli articoli 43 e 49 del Trattato CE, perseguendo in particolare i seguenti obiettivi:

1) la crescita economica e la creazione di posti di lavoro sul territorio nazionale;

2) la semplificazione amministrativa;

3) la riduzione degli oneri amministrativi per l’accesso ad una attività di servizi e per il suo esercizio;

4) l’effettività dei diritti dei destinatari di servizi;

r) prevedere che tutte le misure adottate in attuazione della direttiva siano emanate in conformità ai seguenti ulteriori princìpi e criteri:

1) salvaguardia dell’unitarietà dei processi decisionali, della trasparenza, dell’efficacia e dell’economicità dell’azione amministrativa e chiara individuazione dei soggetti responsabili;

2) semplificazione, accorpamento, accelerazione, omogeneità, chiarezza e trasparenza delle procedure;

3) agevole accessibilità per prestatori e destinatari di servizi a tutte le informazioni afferenti alle attività di servizi, in attuazione degli articoli 7, 21 e 22 della direttiva;

4) adozione di adeguate forme di pubblicità, di informazione e di conoscibilità degli atti procedimentali anche mediante utilizzo di sistemi telematici;

s) prevedere che venga garantita un’effettiva parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto a quelli degli altri Stati membri dell’Unione europea, evitando l’insorgere di situazioni discriminatorie a danno dei cittadini italiani, nel momento in cui questi siano tenuti a rispettare una disciplina più restrittiva di quella applicabile sul territorio nazionale ai cittadini degli altri Stati membri.

2. Nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario ai sensi dell’articolo 117, primo comma, della Costituzione, entro il 28 dicembre 2009, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adeguano le proprie disposizioni normative al contenuto della direttiva nonché ai princìpi e criteri di cui al comma 1.

3. Dai provvedimenti attuativi del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.


 

 

L'articolo 38, introdotto dal Senato, provvede a dettare principi e criteri specifici di delega per l'attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, fermi restando i principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 2.

La direttiva 2006/123/CE è ricompresa nell'Allegato B al presente disegno di legge (per l’illustrazione del contenuto della direttiva si rinvia alla relativa scheda di lettura).

In base alle previsioni del comma 1 dell’articolo in esame, in sede di attuazione della delega il Governo è tenuto, anzitutto, a garantire la libertà di concorrenza e l'accessibilità all'acquisto di servizi sul territorio nazionale (lettera a)), semplificando i procedimenti amministrativi per l'accesso alle attività di servizi (lettera d)) e garantendo che gli eventuali regimi di autorizzazione per l'accesso o esercizio ad un'attività siano conformi ai principi di trasparenza, proporzionalità e parità di trattamento (lettera e)).

Deve essere, altresì, rispettata la libertà di circolazione dei servizi forniti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro, accettando l'imposizione di requisiti alla prestazione solo se giustificati da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza, sanità pubblica o tutela dell'ambiente, nel rispetto dei principi di non discriminazione e di proporzionalità (lettera f)). Il Governo dovrà individuare, per tutti i servizi rientranti nell'ambito di applicazione della direttiva, gli eventuali requisiti compatibili e necessari per l'accesso alla relativa attività (lettera h)), istituendo degli sportelli unici (accessibili anche via internet) per lo svolgimento delle procedure e formalità necessarie per l'accesso all’attività di servizi (lettere i) e l)), e prevedendo delle forme di collaborazione (es. scambio di informazioni) con le autorità competenti degli Stati membri e con la Commissione europea, al fine di garantire il controllo dei prestatori e dei loro servizi (lettera n)).

Tutte le disposizioni di attuazione della direttiva nell'ambito dell'ordinamento nazionale devono essere finalizzate a rendere effettivo l'esercizio della libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi, perseguendo alcuni obiettivi: crescita economica e creazione di posti di lavoro; semplificazione amministrativa; riduzione degli oneri amministrativi per l'accesso ad un'attività di servizi ed effettività dei diritti dei destinatari dei servizi (lettera q)). Le disposizioni di attuazione dovranno prevedere l'abrogazione espressa della normativa statale in contrasto con i principi e le disposizioni della direttiva comunitaria (lettera o)) e che tutte le misure adottate in attuazione della direttiva siano emanante nel rispetto di specifici criteri quali: la salvaguardia dell'unitarietà dei processi decisionali, della trasparenza, dell'efficacia e dell'economicità dell'azione amministrativa; la semplificazione, l'accorpamento, l'accelerazione, l'omogeneità, la chiarezza e la trasparenza delle procedure; l'accessibilità alle informazioni per prestatori e destinatari di servizi; l'adozione di adeguate forme di pubblicità, di informazione e di conoscenza degli atti procedimentali (lettera r)). I decreti legislativi devono, inoltre, garantire un’effettiva parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto a quelli degli altri membri dell'Unione europea, evitando l'insorgere di situazioni discriminatorie a danno dei cittadini italiani, nel momento di cui questi siano tenuti a rispettare una disciplina più restrittiva di quella applicabile sul territorio nazionale ai cittadini degli altri stati membri (lettera s)).

Il comma 2 pone alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano il termine del 28 dicembre 2009 per adeguare le proprie disposizioni normative al contenuto della direttiva nonché ai principi e criteri direttivi di cui al comma 1 (tale termine coincide con quello entro cui gli Stati membri sono tenuti a recepire la direttiva).

Infine, il comma 3 dispone che dall'attuazione della delega di cui all'articolo in commento non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il Consiglio competitività del 5 e 6 marzo 2009, nel definire le priorità in materia di competitività e di innovazione in vista del Consiglio europeo del 19 e 20 marzo, ha richiamato l’attenzione sull’attuazione della direttiva “servizi”, occasione importante in direzione di un mercato interno realmente integrato. Il Consiglio ha sottolineato che gli Stati membri dovrebbero assicurarsi che le disposizioni necessarie, anche in termini di risorse, siano state prese affinché la direttiva possa essere attuata in tutti i suoi elementi prima della scadenza del dicembre 2009. Ritiene che si debbano raddoppiare gli sforzi in particolare per condurre a buon fine il riesame e la modernizzazione della legislazione degli Stati membri e per realizzare degli “sportelli unici” pienamente operativi. Il Consiglio, infine, invita la Commissione e gli Stati membri a procedere ai preparativi necessari affinché un processo utile ed efficace di valutazione reciproca della legislazione degli Stati membri sia operativo nel 2010.

In tale occasione la Commissione, nell’informare il Consiglio sullo stato di avanzamento del processo di attuazione, ha insistito sull’importanza della direttiva in quanto strumento del mercato interno che contribuisce al rilancio della crescita e alla ripresa economica.

Il 6 novembre 2008 la Commissione ha presentato la comunicazione “Beneficiare pienamente del mercato interno attraverso una più stretta cooperazione amministrativa” (COM(2008) 703), che costituisce una relazione sullo stato di avanzamento del Sistema d’informazione del mercato interno (IMI).

Tale sistema – la cui proposta di messa a punto è stata approvata dagli Stati membri nel marzo del 2006 - è volto a consentire agli Stati membri di rispettare i loro obblighi in materia di scambio di informazione e di instaurare nuove forme di collaborazione amministrativa che non sarebbero possibili senza l’ausilio di un sistema elettronico di informazione.

La comunicazione osserva che la mancanza di fiducia nell’efficacia del quadro giuridico e operativo degli altri Stati membri ha provocato una moltiplicazione delle regole e una duplicazione dei controlli sulle attività transfrontaliere, ostacolando l’armonioso funzionamento del mercato interno. La messa a punto di tale Sistema risponde pertanto alla necessità degli Stati membri di disporre di uno strumento che faciliti la collaborazione reciproca e con la Commissione per garantire che i cittadini e le imprese fruiscano pienamente dei vantaggi offerti dal quadro giuridico.

Esso risponde inoltre all’obbligo, stabilito dalla direttiva sui servizi (2006/123/CE), di istituire un sistema elettronico per lo scambio di informazioni tra gli Stati membri. La Commissione invita gli Stati membri a prendere i provvedimenti necessari, e in particolare ad organizzare azioni di formazione e sensibilizzazione, per assicurare il successo della messa in opera del Sistema d’informazione del mercato interno.

Il Consiglio competitività del 5 e 6 marzo 2009 ha sottolineato che gli Stati membri dovrebbero assicurarsi che siano assunte le disposizioni necessarie, anche in termini di risorse, per la piena applicazione dell’IMI nel quadro della direttiva sui servizi.

 

 


Art. 39

 

(Disposizioni in materia di recepimento della direttiva 2003/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 luglio 2003, che modifica la direttiva 68/151/CEE del Consiglio per quanto riguarda i requisiti di pubblicità di taluni tipi di società)

 

 


1. All’articolo 2250 del codice civile, dopo il quarto comma sono aggiunti i seguenti:

«Gli atti delle società costituite secondo uno dei tipi regolati nei capi V, VI e VII di questo titolo, per i quali è obbligatoria l’iscrizione o il deposito, possono essere altresì pubblicati in apposita sezione del registro delle imprese in altra lingua ufficiale delle Comunità europee, con traduzione giurata di un esperto.

In caso di discordanza con gli atti pubblicati in lingua italiana, quelli pubblicati in altra lingua ai sensi del quinto comma non possono essere opposti ai terzi, ma questi possono avvalersene, salvo che la società dimostri che essi erano a conoscenza della loro versione in lingua italiana.

Le società di cui al quinto comma che dispongono di uno spazio elettronico destinato alla comunicazione collegato ad una rete telematica ad accesso pubblico forniscono, attraverso tale mezzo, tutte le informazioni di cui al primo, secondo, terzo e quarto comma».

2. All’articolo 2630, primo comma, del codice civile, dopo le parole: «registro delle imprese» sono inserite le seguenti: «, ovvero omette di fornire negli atti, nella corrispondenza e nella rete telematica le informazioni prescritte dall’articolo 2250, primo, secondo, terzo e quarto comma».


 

 

L’articolo 39, introdotto nel corso dell’esame al Senato, modifica alcune norme del codice civile, al fine di attuare la direttiva comunitaria 2003/58/CE in tema di requisiti di pubblicità degli atti di alcuni tipi di società.

Si ricorda che la direttiva 2003/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 luglio 2003 è stata emanata per modificare parzialmente la precedente direttiva 68/151/CEE del Consiglio. Quest’ultima reca disposizioni in tema di pubblicità da applicarsi alle società di capitali: per l’Italia, alle società per azioni, alla società in accomandita per azioni ed alle società a responsabilità limitata.

Con la normativa del 2003 è stata parzialmente innovata la disciplina in tema di costituzione del “fascicolo societario” presso ciascuno Stato membro, in cui sono iscritti tutti gli atti e le indicazioni soggetti a pubblicità (elencati, nel dettaglio, dall’articolo 2 della direttiva 68/151/CEE). Le nuove norme hanno infatti aggiornato le preesistenti misure, al fine di adattarle alle innovazioni tecnologiche intervenute negli ultimi anni.

L’articolo 1, par. 3, della direttiva 2003/58/CE ha recato novità in tema di registrazione di atti e indicazioni societarie soggetti a pubblicità; in particolare, è stata concessa agli Stati la facoltà di obbligare tutte le società, o solo talune categorie, alla registrazione per via elettronica. Inoltre, è stato reso possibile l’ottenimento – previa richiesta –  di copia di tali atti e indicazioni anche per via elettronica.

In ordine alla pubblicità degli atti e delle indicazioni societarie, resta ferma la pubblicazione di essi nel bollettino nazionale designato dallo Stato membro; anche quest’ultimo, tuttavia, può essere costituito in formato elettronico. Si concede agli Stati membri la possibilità di sostituire la pubblicazione nel bollettino nazionale con una misura di effetto equivalente, il quale comporti almeno l'utilizzo di un sistema che consenta l'accesso alle informazioni pubblicate in ordine cronologico grazie ad una piattaforma elettronica centrale. Le nuove disposizioni precisano, poi, il significato dell’espressione “per via elettronica”: con essa si intende che i dati sono inviati all'origine e ricevuti a destinazione mediante attrezzature elettroniche di trattamento (compresa la compressione digitale) e di memorizzazione di dati, e che sono interamente trasmessi, inoltrati e ricevuti mediante fili, radio, mezzi ottici od altri mezzi elettromagnetici nelle modalità stabilite dagli Stati membri.

Il par. 4 dell’articolo 1 reca norme in tema di lingua degli atti e delle indicazioni soggetti a pubblicità. Essi sono redatti e registrati in una delle lingue autorizzate dalle norme applicabili, in materia, nello Stato membro nel quale è stato costituito il fascicolo societario. Oltre alle disposizioni in tema di pubblicità obbligatoria degli atti e delle indicazioni societarie, la direttiva prevede che la pubblicità volontaria di questi possa essere effettuata in qualsiasi lingua ufficiale della Comunità.

E’ data facoltà agli Stati membri di prescrivere che la traduzione degli atti e delle indicazioni societarie soggetti a pubblicità sia autenticata. In ogni caso, essi devono adottare le misure necessarie per agevolare l'accesso dei terzi alle traduzioni che sono state oggetto di pubblicità su base volontaria. In aggiunta alla pubblicità obbligatoria e alla pubblicità su base volontaria, gli Stati membri possono consentire che la pubblicità degli atti e delle indicazioni di cui trattasi sia garantita in qualsiasi altra lingua, potendo altresì prescrivere che la traduzione di tali atti e indicazioni sia autenticata.

In caso di discordanza fra gli atti e le indicazioni pubblicati nelle lingue ufficiali del registro e la traduzione pubblicata su base volontaria, quest'ultima non può essere opposta ai terzi; i terzi possono tuttavia valersi delle traduzioni pubblicate su base volontaria, a meno che la società provi che essi erano a conoscenza della versione oggetto della pubblicità obbligatoria.

Il par. 5, sostituendo l’articolo 4 della direttiva 68/151/CEE, reca le indicazioni che devono essere obbligatoriamente presenti sulla corrispondenza e sugli ordinativi della società, nonché sul sito web della società. Sono infine recate prescrizioni sanzionatorie in tema di violazione delle norme sulla pubblicità e sulle indicazioni obbligatorie nei documenti commerciali e sul sito web.

Il comma 1 della disposizione in esame aggiunge, in fine, tre commi all’articolo 2250 del codice civile, che indica gli elementi da inserire negli atti e nella corrispondenza della società soggette all'obbligo di iscrizione nel registro delle imprese.

Ai sensi del nuovo comma quinto dell’articolo 2250 c. c., gli atti delle società per azioni, delle società in accomandita per azioni e delle società a responsabilità limitata (costituite secondo i tipi regolati, rispettivamente, nei capi V, VI e VII del Libro V, Titolo V del Codice civile) per i quali è obbligatoria l’iscrizione o il deposito possono essere pubblicati in apposita sezione del registro delle imprese in altra lingua ufficiale delle Comunità europee, con traduzione giurata di un esperto.

Il sesto comma dispone che, in caso di discordanza con gli atti pubblicati in lingua italiana, quelli pubblicati in altra lingua ai sensi del quinto comma, su base volontaria non possono essere opposti ai terzi, ma questi possono avvalersene, salvo che la società dimostri che essi erano a conoscenza della versione in lingua italiana.

Infine, il nuovo settimo comma dispone che le società per azioni, le società a responsabilità limitata e le società in accomandita per azioni che dispongono di uno spazio elettronico destinato alla comunicazione collegato ad una rete telematica ad accesso pubblico forniscano, attraverso tale mezzo, tutte le informazioni prescritte ai sensi dei commi I-IV dell’articolo 2550 c.c.

Nel dettaglio, si tratta delle seguenti informazioni:

§       la sede sociale e l'ufficio del registro delle imprese presso il quale questa è iscritta, nonché il numero d'iscrizione;

§       il capitale delle società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata, secondo la somma effettivamente versata e quale risulta esistente dall'ultimo bilancio;

§       dopo lo scioglimento della società, il fatto che la società è in liquidazione;

§      per le SpA e le Srl unipersonali, l’esistenza di un socio unico.

Il comma 2 dell’articolo in esame modifica il primo comma dell’articolo 2630 del codice civile. L’articolo reca le sanzioni amministrative per la condotta di omessa esecuzione nei termini prescritti di denunce, comunicazioni o depositi da parte dei soggetti tenuti ad effettuarle, per legge, in ragione delle funzioni rivestite in una società o in un consorzio.

Nel dettaglio, la norma in commento estende la sanzione amministrativa pecuniaria per tali condotte omissive – che va da 206 euro a 2.065 euro e, ove si tratta di bilanci, è aumentata di un terzo – all’ipotesi in cui il soggetto tenuto per legge ometta di fornire, negli atti, nella corrispondenza e nella rete telematica, le informazioni societarie prescritte dal citato articolo 2250, primo, secondo, terzo e quarto comma.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 25 giugno 2008 la Commissione ha presentato la comunicazione “Una corsia preferenziale per la piccola impresa” – Alla ricerca di un nuovo quadro fondamentale per la Piccola Impresa (un ”Small Business Act” per l’Europa) (COM(2008)394), per consentire alle piccole e medie imprese europee (PMI) di valorizzare pienamente le loro potenzialità in termini di crescita sostenibile nel lungo periodo e di creazione di un maggior numero i posti di lavoro.

Nell’ambito dei dieci principi enunciati dall’Atto per le piccole e medie imprese, la Commissione ritiene che gli Stati membri dovranno cercare di aiutare lo sviluppo di un’identità elettronica delle imprese, per permettere l’e-invoicing (fatturazione on line) e l’e-governement (amministrazione on line).

Il Consiglio competitività del 1° e 2 dicembre 2008 ha adottato conclusioni sullo “Small business Act” nelle quali, fra l’altro, invita gli Stati membri e la Commissione a promuovere lo SBA al più alto livello politico, assicurandone l’attuazione a tutti i livelli pertinenti e a rendere conto dei progressi realizzati nel quadro del nuovo ciclo 2008-2010 della Strategia di Lisbona rinnovata.

Il 10 marzo 2009 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sull’Atto sulle piccole imprese nella quale lo appoggia con convinzione e si rammarica per il fatto che non sia uno strumento giuridicamente vincolante.

La Commissione politiche dell’Unione europea, per il parere, e la Commissione attività produttive, commercio e turismo della Camera dei deputati hanno avviato, il 26 febbraio 2009, l’esame della risoluzione sull’Atto per le piccole imprese approvata dal Parlamento europeo il 4 dicembre 2008, in vista del Consiglio europeo dell’11 e 12 dicembre 2008.

Procedure di contenzioso

Il 14 luglio 2008 la Commissione ha inoltrato un ricorso alla Corte di giustizia contro l’Italia (causa C-313/08) per non aver comunicato le misure di recepimento della direttiva 2003/58/CE relativa ai requisiti di pubblicità per alcuni tipi di società.

Il termine di recepimento della direttiva era il 31 dicembre 2006.


Art. 40

 

(Costituzione e natura giuridica dei GECT)

 

 


1. I gruppi europei di cooperazione territoriale (GECT) istituiti ai sensi del regolamento (CE) n. 1082/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, e dei presenti articoli, aventi sede legale nel territorio nazionale, perseguono l’obiettivo di facilitare e promuovere la cooperazione transfrontaliera, transnazionale o interregionale al fine esclusivo di rafforzare la coesione economica e sociale e comunque senza fini di lucro.

2. I GECT aventi sede in Italia sono dotati di personalità giuridica di diritto pubblico. Il GECT acquista la personalità giuridica con l’iscrizione nel Registro dei gruppi europei di cooperazione territoriale, di seguito denominato «Registro», istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Segretariato generale, ai sensi dell’articolo 22.

3. Possono essere membri di un GECT i soggetti di cui all’articolo 3, paragrafo 1, del citato regolamento (CE) n. 1082/2006. Ai fini della costituzione o partecipazione ad un GECT, per «autorità regionali» e «autorità locali» di cui all’articolo 3, paragrafo 1, del citato regolamento, si intendono rispettivamente le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali di cui all’articolo 2, comma 1, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

4. La convenzione e lo statuto di un GECT, previsti dagli articoli 8 e 9 del citato regolamento (CE) n. 1082/2006, sono approvati all’unanimità dei suoi membri e sono redatti in forma pubblica ai sensi degli articoli 2699 e seguenti del codice civile, a pena di nullità. Gli organi di un GECT avente sede in Italia, nonché le modalità di funzionamento, le rispettive competenze e il numero di rappresentanti dei membri in detti organi, sono stabiliti nello statuto. Le finalità specifiche del GECT ed i compiti ad esse connessi sono definiti dai membri del GECT nella convenzione istitutiva. Fermo restando quanto stabilito dall’articolo 7, paragrafi 1, 2, 4 e 5, del citato regolamento (CE) n. 1082/2006 i membri possono in particolare affidare al GECT:

a) il ruolo di Autorità di gestione, l’esercizio dei compiti del segretariato tecnico congiunto, la promozione e l’attuazione di operazioni nell’ambito dei programmi operativi cofinanziati dai fondi strutturali comunitari e riconducibili all’obiettivo «Cooperazione territoriale europea», nonché la promozione e l’attuazione di azioni di cooperazione interregionale inserite nell’ambito degli altri programmi operativi cofinanziati dai fondi strutturali comunitari;

b) la promozione e l’attuazione di operazioni inserite nell’ambito di programmi e progetti finanziati dal Fondo per le aree sottoutilizzate di cui all’articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, in attuazione del quadro strategico nazionale 2007-2013, purché tali operazioni siano coerenti con le priorità elencate dall’articolo 6 del citato regolamento (CE) n. 1080/2006 e contribuiscano, mediante interventi congiunti con altre regioni europee, a raggiungere più efficacemente gli obiettivi stabiliti per tali programmi o progetti, con benefici per i territori nazionali.

5. In aggiunta ai compiti di cui al comma 4, al GECT può essere affidata la realizzazione anche di altre azioni specifiche di cooperazione territoriale, purché coerenti con il fine di rafforzare la coesione economica e sociale, nonché nel rispetto degli impegni internazionali dello Stato.


 

L’articolo in esame disciplina la costituzione e la natura giuridica dei gruppi europei di cooperazione territoriale (GECT) e non è stato oggetto di modifica durante l’esame al Senato.

Tale articolo e i due successivi (articoli 41 e 42) dettano norme per l’attuazione del regolamento (CE) n. 1082/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, approvato allo scopo di introdurre una nuova tipologia di gruppo europeo per promuovere azioni mirate, finanziate al di fuori dei fondi a finalità strutturale (Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia, sezione “orientamento”, Fondo sociale europeo, Fondo europeo di sviluppo regionale), con la finalità di realizzare gli obiettivi di coesione economica e sociale previsti dal Trattato UE.

La relazione illustrativa spiega che le norme in commento si sono rese necessarie a seguito di un parere del Consiglio di Stato che si è pronunciato sfavorevolmente riguardo all’attuazione del predetto regolamento (CE) n. 1082/2006 in via regolamentare (ex articolo 17, comma 1, lett. a), della legge n. 400 del 1988), in quanto tale atto comunitario, “malgrado la denominazione, è assimilabile ad una direttiva”[154].

Il comma 1 definisce l’obiettivo dei gruppi europei di cooperazione territoriale (GECT) aventi sede legale nel territorio nazionale. Essi sono chiamati a facilitare e a promuovere la cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale, al fine esclusivo di rafforzare la coesione economica e sociale ed in ogni caso senza scopo di lucro.

Il comma 2 attribuisce personalità giuridica di diritto pubblico ai GECT aventi sede in Italia. La personalità giuridica è acquistata con l’iscrizione nel Registro dei gruppi europei di cooperazione territoriale istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Segretariato generale, secondo quanto disciplinato al successivo articolo 41.

Si ricorda che il sopra richiamato parere del Consiglio di Stato si è pronunciato sulla opzione di attribuire personalità giuridica di diritto privato al GECT. In particolare, non si è ritenuta condivisibile tale attribuzione in quanto i predetti soggetti sono definiti dalla normativa comunitaria quali “enti di rango costituzionale” che realizzano azioni e iniziative di rilevanza generale.

Il comma 3 fa rinvio all’articolo 3, paragrafo 1, del citato regolamento (CE) n. 1082/2006 per la definizione dei membri di un GECT. Secondo tale disposizione, esso può essere composto dagli Stati membri, dalle autorità regionali, dalle autorità locali, da organismi di diritto pubblico definiti dalla direttiva 2004/18/CE che disciplina il coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi[155] nonché dalle associazioni costituite dai predetti enti e organismi.

La disposizione, inoltre, chiarisce che per autorità regionali e per autorità locali si intendono, rispettivamente:

-       le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano;

-       gli enti locali di cui all’articolo 2, comma 1, del TUEL di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000 (comuni, province, città metropolitane, comunità montane, comunità isolane e unioni di comuni).

Il comma 4 prevede norme relative allo statuto e alla convenzione istitutiva dei GECT aventi sede in Italia, che vengono approvati all’unanimità dai suoi membri e sono redatti in forma pubblica, a pena di nullità, ai sensi degli articoli 2699 e seguenti del codice civile. Si dispone, inoltre, che sia lo statuto a stabilire gli organi, le modalità di funzionamento, le rispettive competenze e il numero di rappresentanti dei membri nei citati organi.

Con la convenzione istitutiva, infine, i membri del gruppo stabiliscono le finalità specifiche del GECT e i compiti ad esse connessi.

I membri del gruppo, in particolare, fermo restando quanto stabilito dall’articolo 7, paragrafi 1, 2, 4 e 5 del citato regolamento (CE) n. 1082/2006, possono affidare al GECT:

-       il ruolo di Autorità di gestione, l’esercizio dei compiti del segretariato tecnico congiunto, la promozione e l’attuazione di operazioni nell’ambito dei programmi operativi cofinanziati dai fondi strutturali comunitari e riconducibili all’obiettivo “Cooperazione territoriale europea”, oltre che la promozione e l’attuazione di azioni di cooperazione interregionale inserite nell’ambito degli altri programmi operativi cofinanziati dai fondi strutturali comunitari;

Si ricorda che l’obiettivo Cooperazione territoriale europea comprende le aree territoriali a livello transfrontaliero, transnazionale e interregionale (spazio alpino, zone di confine con l’Europa centrosettentrionale e con l’Europa orientale e balcanica, nonché il bacino del Mediterraneo).

-       la promozione e l’attuazione di operazioni inserite nell’ambito di programmi e progetti finanziati dal Fondo per le aree sottoutilizzate, in attuazione del Quadro strategico nazionale 2007-2013. E’ tuttavia richiesto che tali operazioni siano coerenti con le priorità elencate all’articolo 6 del regolamento (CE) n. 1080/2006, relativo all’obiettivo di cooperazione territoriale finanziato dal Fondo europeo di sviluppo regionale, e contribuiscano a migliorare l’efficacia dei programmi volti al raggiungimento del predetto obiettivo di cooperazione, anche mediante interventi congiunti con altre regioni europee.

Tra le priorità d’intervento più rilevanti elencate dall’articolo 6 del citato regolamento (CE) n. 1080/2006 sono da evidenziare: la promozione dell’imprenditorialità, segnatamente attraverso lo sviluppo delle piccole e medie imprese, del turismo e della protezione dell’ambiente, il rafforzamento dei collegamenti tra le zone urbane e rurali, l’accesso alle reti e ai servizi di trasporto, agli impianti transfrontalieri di approvvigionamento idrico ed energetico, allo smaltimento dei rifiuti, l’utilizzo congiunto di infrastrutture, in particolare in settori come la salute, la cultura, il turismo e l'istruzione.

Si ricorda, inoltre, che nel Fondo per le aree sottoutilizzate, istituito dalla legge finanziaria per il 2003 (legge n. 289/2002, art. 61), sono confluite le risorse dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno, di quello ordinario nelle aree depresse, del fondo per l’imprenditoria giovanile e degli stanziamenti relativi ai crediti di imposta per investimenti e per nuove assunzioni. Le risorse del fondo sono ripartite con apposite delibere del CIPE adottate sulla base del criterio generale di destinazione territoriale delle risorse disponibili e per finalità di riequilibrio economico e sociale, nonché per incentivi ed investimenti pubblici. Nel Quadro strategico nazionale, che riassume le nuove risorse per la politica di coesione per il 2007-2013, la programmazione del FAS è settennale allo scopo di rendere unitarie e coordinate le politiche di intervento comunitarie, nazionali e regionali. Le risorse del Fondo in particolare sono destinate per l’85 per cento del loro ammontare all’area del Mezzogiorno e per il restante 15 per cento al Centro-nord.

Il comma 5, infine, dispone che, in aggiunta ai compiti sopra illustrati, al GECT può essere affidata la realizzazione anche di altre azioni specifiche di cooperazione territoriale. E’ richiesto peraltro che tali azioni siano coerenti con il rafforzamento della coesione economica e sociale, nonché con il rispetto degli impegni internazionali dello Stato.

Per quanto concerne la formulazione del testo, si segnala che il comma 4, lettera b), fa riferimento, pur menzionandolo per la prima volta, all’ “articolo 6 del citato regolamento (CE) n. 1080/2006”. Sarebbe opportuno riportare tale riferimento normativo più correttamente nel seguente modo: “articolo 6 del regolamento (CE) n. 1080/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006”.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

La Commissione europea ha presentato, il 6 ottobre 2008, il Libro verde sulla coesione territoriale (COM2008)616), con il quale ha avviato un'ampia consultazione delle autorità regionali e locali, delle associazioni, delle ONG, della società civile e delle altre organizzazioni, al fine di migliorare la comprensione del concetto di “coesione territoriale” e valutare le implicazioni per la politica regionale dell’UE dell’introduzione nel Trattato di Lisbona (in corso di ratifica da parte degli Stati membri dell’UE) della coesione territoriale tra gli obiettivi e le politiche dell’UE.

Il parere del Parlamento europeo sul Libro verde è atteso per la sessione del 24 marzo 2009.

I risultati della consultazione verranno illustrati nella Sesta Relazione sulla coesione economica e sociale, la cui presentazione da parte della Commissione europea è attesa per giugno 2009.

 


Art. 41

 

(Autorizzazione alla costituzione di un GECT)

 

 


1. I membri potenziali di un GECT presentano alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Segretariato generale, una richiesta, anche congiunta, di autorizzazione a partecipare alla costituzione di un GECT, corredata di copia della convenzione e dello statuto proposti. Su tale richiesta, la Presidenza del Consiglio dei ministri – Segretariato generale provvede nel termine di novanta giorni dalla ricezione, previa acquisizione dei pareri conformi del Ministero degli affari esteri per quanto attiene alla corrispondenza con gli indirizzi nazionali di politica estera, del Ministero dell’interno per quanto attiene alla corrispondenza all’ordine pubblico e alla pubblica sicurezza, del Ministero dell’economia e delle finanze per quanto attiene alla corrispondenza con le norme finanziarie e contabili, del Ministero dello sviluppo economico per quanto attiene ai profili concernenti la corrispondenza con le politiche di coesione, del Dipartimento per le politiche comunitarie per quanto attiene ai profili concernenti la compatibilità comunitaria, del Dipartimento per i rapporti con le regioni per quanto attiene alla compatibilità con l’interesse nazionale della partecipazione al GECT di regioni, province autonome ed enti locali, e delle altre amministrazioni centrali eventualmente competenti per i settori in cui il GECT intende esercitare le proprie attività.

2. Entro il termine massimo di sei mesi dalla comunicazione dell’autorizzazione, decorso il quale essa diventa inefficace, ciascuno dei membri del GECT, o il relativo organo di gestione, se già operante, chiede l’iscrizione del GECT nel Registro istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Segretariato generale, allegando all’istanza copia autentica della convenzione e dello statuto. La Presidenza del Consiglio dei Ministri – Segretariato generale, verificata nei trenta giorni successivi la tempestività della domanda di iscrizione, nonché la conformità della convenzione e dello statuto approvati rispetto a quelli proposti, iscrive il GECT nel Registro e dispone che lo statuto e la convenzione siano pubblicati, a cura e spese del GECT, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Dell’avvenuta iscrizione è data comunicazione alle amministrazioni che hanno partecipato al procedimento.

3. Le modifiche alla convenzione e allo statuto del GECT sono altresì iscritte nel Registro, secondo le modalità ed entro gli stessi termini previsti nei commi 1 e 2. Di esse va data altresì comunicazione con pubblicazione, per estratto, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea. Copia integrale o parziale di ogni atto per il quale è prescritta l’iscrizione, a norma dei commi 1 e 2, è rilasciata a chiunque ne faccia richiesta, anche per corrispondenza; il costo di tale copia non può eccedere il costo amministrativo.

4. L’autorizzazione è revocata nei casi previsti dall’articolo 13 del regolamento (CE) n. 1082/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006.

5. Ferma restando la disciplina vigente in materia di controlli qualora i compiti di un GECT riguardino azioni cofinanziate dall’Unione europea, di cui all’articolo 6 del citato regolamento (CE) n. 1082/2006, il controllo sulla gestione e sul corretto utilizzo dei fondi pubblici è svolto, nell’ambito delle rispettive attribuzioni, dal Ministero dell’economia e delle finanze, dalla Corte dei conti e dalla Guardia di finanza.

6. Alla partecipazione di un soggetto italiano a un GECT già costituito e alle modifiche della convenzione, nonché alle modifiche dello statuto comportanti, direttamente o indirettamente, una modifica della convenzione, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del presente articolo.

 


 

 

L’articolo in esame introduce la disciplina autorizzatoria per la costituzione di un Gruppo europeo di cooperazione territoriale.

Il comma 1, in particolare, detta le norme relative al procedimento per la richiesta, anche in forma congiunta tra i diversi membri potenziali, dell’autorizzazione a partecipare alla costituzione di un GECT. Tale richiesta deve essere presentata al Segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei ministri, corredata di copia della convenzione e dello statuto che si propongono.

Entro il termine di 90 giorni dalla ricezione della richiesta, il citato Segretariato è chiamato a provvedere, previa acquisizione dei pareri conformi da parte delle amministrazioni interessate, indicate nel comma in esame.

Il comma 2 dispone che, entro il termine massimo di 6 mesi dalla comunicazione dell’autorizzazione richiesta secondo le modalità sopra illustrate (oltre il quale l’autorizzazione stessa diviene inefficace), ciascuno dei membri del GECT, ovvero il relativo organo di gestione se già operante, chiede l’iscrizione del GECT nel citato Registro istituito presso il Segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei ministri, allegando all’istanza copia autentica della convenzione e dello statuto.

Il Segretariato generale procede all’iscrizione del GECT nel Registro nei 30 giorni successivi, a seguito di esito positivo delle verifiche da effettuare.

Il comma 3 detta norme circa le modifiche della convenzione e dello statuto del GECT che devono avvenire secondo le modalità e i termini previsti nei commi precedenti. Delle modifiche va data comunicazione con pubblicazione per estratto nella Gazzetta ufficiale italiana e in quella dell’Unione europea.

La disposizione che prevede la pubblicazione in Gazzetta ufficiale dell’Unione europea è stata introdotta in sede di esame referente al Senato.

Gli atti sopra indicati, per i quali è prevista l’iscrizione nel Registro presso il citato Segretariato generale, sono rilasciati in copia integrale o parziale, anche per corrispondenza, a qualunque soggetto ne faccia richiesta, entro il tetto massimo del costo amministrativo.

Il comma 4 rimanda al regolamento (CE) n. 1082/2006 (articolo 13) per la definizione dei casi in cui possa essere revocata l’autorizzazione. Si tratta dei casi in cui un GECT svolga attività contrarie:

-       alle disposizioni di uno Stato membro in materia di ordine pubblico o in materia di pubblica sicurezza, salute o moralità pubblica;

-       all’interesse pubblico di uno Stato membro.

Il comma 5 dispone che il controllo sulla gestione e sul corretto utilizzo dei fondi pubblici è svolto, nell’ambito delle rispettive attribuzioni, dal Ministero dell’economia e delle finanze, dalla Corte dei conti e dalla Guardia di finanza[156], nel caso in cui i compiti di un GECT riguardino azioni cofinanziate dall’Unione europea, di cui all’articolo 6 del citato regolamento (CE) 1082/2006. Rimane ferma la disciplina vigente in materia di controlli.

Il citato articolo 6, al paragrafo 4, effettua un rinvio al successivo articolo 7, paragrafo 3, nel quale si dispone che i compiti del GECT si limitano essenzialmente all’attuazione dei programmi o progetti di cooperazione territoriale cofinanziati dalla Comunità, a titolo del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), del Fondo sociale europeo (FSE) e/o del Fondo di coesione.

Il comma 6, infine, prevede che, nel caso in cui un soggetto italiano partecipi a un GECT già costituito ovvero in cui sia necessario apportare modifiche alla convenzione e allo statuto (queste ultime con effetti diretti o indiretti sulla convenzione), si applicano le disposizioni dell’articolo in esame, in quanto compatibili.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Si veda il paragrafo Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE relative all’articolo 40.

 


Art. 42

 

(Norme in materia di contabilità e bilanci del GECT )

 

 


1. Il GECT redige il bilancio economico preventivo annuale e pluriennale, lo stato patrimoniale, il conto economico, il rendiconto finanziario e la nota integrativa e li sottopone ai membri, che li approvano sentite le amministrazioni vigilanti, di cui all’articolo 44, comma 5.

2. Al fine di conferire struttura uniforme alle voci dei bilanci pluriennali e annuali, nonché dei conti consuntivi annuali e di rendere omogenei i valori inseriti in tali voci, in modo da consentire alle amministrazioni vigilanti dello Stato ove ha sede il GECT, alle omologhe amministrazioni degli Stati di appartenenza degli altri membri del GECT, nonché ai competenti organi dell’Unione europea, di comparare le gestioni dei GECT, il Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, adottano, con decreto interministeriale, le norme per la gestione economica, finanziaria e patrimoniale, conformemente a princìpi contabili internazionali del settore pubblico. I soggetti che costituiscono un GECT recepiscono nella convenzione e nello statuto le predette norme.

3. Dall’attuazione del presente articolo e degli articoli 43 e 44 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni pubbliche interessate provvedono all’attuazione del presente articolo e degli articoli 43 e 44 con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.


 

 

Il comma 1 dell’articolo in esame reca norme in materia di contabilità e di bilanci del Gruppo europeo di cooperazione territoriale. In particolare, si prevede che il gruppo rediga:

-       il bilancio economico preventivo annuale e pluriennale;

-       lo stato patrimoniale;

-       il conto economico;

-       il rendiconto finanziario;

-       la nota integrativa.

Tali documenti sono sottoposti ai membri e approvati dagli stessi, sentite le amministrazioni vigilanti (Ministero dell’economia e delle finanze, Corte dei conti e Guardia di finanza, nell’ambito delle rispettive attribuzioni).

Il comma 2 prevede l’adozione di un decreto interministeriale tra il Ministro dell’economia e delle finanze ed il Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, per la definizione delle norme per la gestione economica, finanziaria e patrimoniale, conformemente a principi contabili internazionali del settore pubblico. Dette norme sono recepite dai soggetti che costituiscono un GECT nell’ambito della convenzione e dello statuto.

La predetta disposizione è volta a conferire una struttura uniforme alle voci dei bilanci pluriennali e annuali ed ai conti consuntivi annuali e a rendere omogenei i valori inseriti in tali voci, in modo da consentire alle amministrazioni vigilanti dello Stato in cui risiede il GECT, alle omologhe amministrazioni degli Stati di appartenenza degli altri membri del GECT, nonché ai competenti organi dell’Unione europea, di comparare le diverse gestioni dei gruppi medesimi.

Il comma 3 stabilisce una clausola di salvaguardia finanziaria, disponendo che dai sopra esaminati articoli 40 e 41, oltre che dall’attuazione dell’articolo in esame, non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni pubbliche, infatti, in relazione all’attuazione dei predetti articoli, sono chiamate a provvedere mediante le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Si veda il paragrafo Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE relative all’articolo 40.

 


Art. 43

 

(Delega al Governo per l’attuazione di decisioni quadro)

 

 


1. Il Governo è delegato ad adottare, entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle seguenti decisioni quadro:

a) decisione quadro 2006/783/GAI del Consiglio, del 6 ottobre 2006, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca;

b) decisione quadro 2006/960/GAI del Consiglio, del 18 dicembre 2006, relativa alla semplificazione dello scambio di informazioni e intelligence tra le autorità degli Stati membri dell’Unione europea incaricate dell’applicazione della legge.

c) decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea.

2. I decreti legislativi di cui al comma 1, lettere a) e c), del presente articolo sono adottati, nel rispetto dell’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, dell’economia e delle finanze, dell’interno e con gli altri Ministri interessati.

3. Il decreto legislativo di cui al comma 1, lettera b), del presente articolo, è adottato, nel rispetto dell’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro dell’interno, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati.

4. Gli schemi dei decreti legislativi sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica affinché su di essi sia espresso il parere dei competenti organi parlamentari. Decorsi sessanta giorni dalla data di trasmissione, il decreto è emanato anche in mancanza del parere. Qualora il termine per l’espressione del parere parlamentare di cui al presente comma, ovvero i diversi termini previsti dai commi 5 e 7, scadano nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini previsti ai commi 1 o 6, o successivamente, questi ultimi sono prorogati di quaranta giorni.

5. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle decisioni quadro che comportano conseguenze finanziarie sono corredati della relazione tecnica di cui all’articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Su di essi è richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all’esigenza di garantire il rispetto dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere il testo, corredato dei necessari elementi integrativi d’informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro venti giorni.

6. Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi, di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può adottare, con la procedura indicata nei commi 2, 3, 4 e 5, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi adottati ai sensi del citato comma 1.

7. Il Governo, quando non intende conformarsi ai pareri delle Commissioni parlamentari di cui al comma 4, ritrasmette con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni i testi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica. Decorsi venti giorni dalla data di ritrasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza di nuovo parere.

 


 

L'articolo 43, composto da sette commi, apre il Capo IV del provvedimento, recante disposizioni per dare attuazione a decisioni quadro adottate nell'ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (Titolo VI del Trattato sull'Unione europea).

La disposizione reca la delega al Governo per l’attuazione di tre decisioni quadro e disciplina il procedimento per l’adozione dei relativi decreti legislativi.

I principi ed i criteri direttivi che il Governo dovrà rispettare nell'attuare le decisioni quadro sono contenuti negli artt. 44, 45 e 46 del disegno di legge in esame.

Le decisioni quadro in materia di cooperazione di polizia e giudiziaria penale.

Ai sensi dell'art. 34, comma 2, del Trattato sull'Unione europea, nell'ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, il Consiglio dell'Unione europea può adottare una serie di misure tra le quali si collocano le decisioni quadro per il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. Analogamente a quanto previsto dall'art. 249, terzo comma, del Trattato istitutivo della Comunità europea con riferimento alla direttiva, la decisione quadro è vincolante per gli Stati membri quanto al risultato da ottenere, salva restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma e ai mezzi.

L'art. 34 stabilisce espressamente che la decisione quadro non ha efficacia diretta, ossia che, in mancanza di attuazione, essa non può essere invocata per disapplicare una disposizione di diritto interno con essa contrastante. Tale previsione è giustificata dal fatto che la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, collocata nel c.d. terzo pilastro, presenta caratteri di integrazione più limitati rispetto alle materie del primo pilastro che possono costituire oggetto di direttiva.

Tuttavia, la Corte di giustizia ha affermato che, nonostante l'assenza di efficacia diretta, anche la decisione quadro, come la direttiva, dispiega alcuni effetti in caso di mancata attuazione da parte dello Stato membro. Ed infatti, il carattere vincolante delle decisioni quadro, formulato in termini identici a quelli dell'art. 249, terzo comma, del Trattato istitutivo della Comunità europea, comporta, in capo alle autorità degli Stati membri, ed in particolare in capo ai giudici degli Stati membri, l'obbligo di interpretare le norme dell'ordinamento nazionale alla luce della lettera e dello scopo della decisione quadro. Tale obbligo di interpretazione conforme trova i suoi limiti nei principi generali del diritto, ed in particolare in quelli di certezza del diritto e di non retroattività. Questi principi ostano in particolare a che il detto obbligo possa condurre a determinare o ad aggravare, sul fondamento di una decisione quadro e indipendentemente da una legge adottata per l’attuazione di quest’ultima, la responsabilità penale di coloro che agiscono in violazione delle sue disposizioni. In generale, l’obbligo per il giudice nazionale di fare riferimento al contenuto di una decisione quadro nell’interpretazione delle norme pertinenti del suo diritto nazionale cessa quando quest’ultimo non può ricevere un’applicazione tale da sfociare in un risultato compatibile con quello perseguito da tale decisione quadro. In altri termini, il principio di interpretazione conforme non può servire da fondamento ad un’interpretazione contra legem del diritto nazionale. Tale principio richiede, tuttavia, che il giudice nazionale prenda in considerazione, se del caso, il diritto nazionale nel suo complesso per valutare in che misura quest’ultimo può ricevere un’applicazione tale da non sfociare in un risultato contrario a quello perseguito dalla decisione quadro.

Il termine per l’esercizio della delega è di dodici mesi dall’entrata in vigore del provvedimento. Le decisioni quadro la cui attuazione è oggetto della delega sono le seguenti:

a) decisione quadro 2006/783/GAI del Consiglio, del 6 ottobre 2006, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca (v. art. 44 del disegno di legge in esame);

b) decisione quadro 2006/960/GAI del Consiglio, del 18 dicembre 2006, relativa alla semplificazione dello scambio di informazioni e intelligence tra le autorità degli Stati membri dell’Unione europea incaricate dell’applicazione della legge (v. art. 45 del disegno di legge in esame).

c) decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea (v. art. 46 del disegno di legge in esame).

Si ricorda che la delega per l’attuazione di tale ultima decisione quadro è stata introdotta al Senato.

I restanti commi disciplinano il procedimento di adozione dei decreti legislativi di attuazione delle decisioni quadro che, sebbene simile a quello di adozione dei decreti legislativi attuativi delle direttive (in particolar modo delle direttive comprese nell'elenco di cui all'allegato B, nonché di quelle elencate nell'allegato A, qualora si intenda fare ricorso a sanzioni penali), presenta alcune specificità. In particolare, considerato che la materia oggetto delle decisioni quadro rientra nella potestà legislativa esclusiva dello Stato, manca ogni riferimento alla competenza legislativa delle regioni e delle province autonome e alla clausola di cedevolezza.

l commi 2 e 3 individuano i soggetti proponenti i tre decreti legislativi nonché i ministeri deputati ad esprimere il concerto. In particolare, il comma 3, per quanto riguarda il decreto di attuazione della decisione 2006/960/GAI in materia di intelligence, prevede rispetto ai decreti attuativi delle altre decisioni quadro un’inversione di ruoli ratione materiae tra il Ministro dell'interno e quello della giustizia (il Ministro dell'interno sarà tra i proponenti e quello della giustizia tra i "concertati").

Analogamente a quanto disposto dall'articolo 1, commi 3 e 4, del disegno di legge in esame, i commi 4, 5 e 7 disciplinano l’espressione del parere parlamentare sugli schemi dei decreti legislativi di attuazione (da rendere entro sessanta giorni, decorsi i quali il decreto è emanato anche in mancanza di parere), l’obbligo di relazione tecnica per gli schemi di decreti legislativi che comportino conseguenze finanziarie, nonché la ritrasmissione alle Camere del testo qualora il Governo non intenda conformarsi ai pareri parlamentari.

 

La relazione illustrativa sottolinea che è stata accolta l’istanza delle Camere, contenuta in un emendamento al disegno di legge comunitaria 2007, volta a conferire un termine più lungo 60 giorni invece che 40 alle competenti Commissioni per l’espressione del parere.

Il comma 6 contiene, infine, la delega al Governo – da esercitare entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore dei singoli decreti legislativi – per l’adozione di disposizioni correttive ed integrative della normativa delegata di attuazione. La disposizione conferma i principi e criteri direttivi fissati dalla medesima legge comunitaria e, per quanto riguarda la procedura, richiama l’applicazione della disciplina prevista dai commi 2, 3, 4 e 5 per l’adozione dei decreti attuativi delle decisioni quadro. Si segnala che non viene richiamato anche il comma 7 relativo alla ritrasmissione del testo alle Camere nel caso in cui il Governo non intenda conformarsi ai pareri precedentemente resi (salvo che non si tratti di mancato recepimento di condizioni formulate per garantire il rispetto dell’art. 81, quarto comma, Cost., nel qual caso trova comunque applicazione il comma 5).


Art. 44

 

(Princìpi e criteri direttivi per l’attuazione della decisione quadro 2006/783/GAI relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca)

 

 


1. Il Governo adotta il decreto legislativo recante le norme occorrenti per dare attuazione alla decisione quadro 2006/783/GAI del Consiglio, del 6 ottobre 2006, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali stabiliti dalle disposizioni di cui all’articolo 2, comma 1, lettere a), e), f) e g), nonché delle disposizioni previste dalla decisione quadro medesima, nelle parti in cui non richiedono uno specifico adattamento dell’ordinamento italiano, e sulla base dei seguenti princìpi e criteri direttivi, realizzando il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti:

a) prevedere che le definizioni siano quelle di cui all’articolo 2 della decisione quadro;

b) prevedere che l’autorità centrale ai sensi dell’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della decisione quadro sia individuata nel Ministero della giustizia;

c) prevedere che la richiesta di riconoscimento possa essere avanzata dall’autorità giudiziaria italiana anche per le confische disposte ai sensi dell’articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, e successive modificazioni, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), punto iii), della decisione quadro;

d) prevedere che l’autorità competente a chiedere il riconoscimento e l’esecuzione ai sensi dell’articolo 4 della decisione quadro sia l’autorità giudiziaria italiana procedente;

e) prevedere che la trasmissione dei provvedimenti di riconoscimento della confisca di beni emessi dall’autorità giudiziaria di un altro Stato membro avvenga nelle forme della cooperazione giudiziaria diretta, avvalendosi, se del caso, dei punti di contatto della Rete giudiziaria europea, anche al fine di individuare l’autorità competente, e assicurando in ogni caso modalità di trasmissione degli atti che consentano all’autorità giudiziaria italiana di stabilirne l’autenticità;

f) prevedere che l’autorità giudiziaria italiana che ha emesso, nell’ambito di un procedimento penale, un provvedimento di confisca concernente cose che si trovano sul territorio di un altro Stato membro si possa rivolgere direttamente all’autorità giudiziaria di tale Stato per avanzare la richiesta di riconoscimento e di esecuzione del provvedimento medesimo; prevedere la possibilità di avvalersi dei punti di contatto della Rete giudiziaria europea, anche al fine di individuare l’autorità competente;

g) prevedere, nei casi di inoltro diretto di cui alle lettere e) ed f), adeguate forme di comunicazione e informazione nei riguardi del Ministro della giustizia, anche a fini statistici;

h) prevedere la trasmissione d’ufficio delle richieste provenienti dalle autorità di un altro Stato membro, da parte dell’autorità giudiziaria italiana che si ritiene incompetente, direttamente all’autorità giudiziaria italiana competente, dandone comunicazione all’autorità giudiziaria dello Stato di emissione;

i) prevedere che, nei procedimenti di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni di confisca, l’autorità giudiziaria italiana non proceda alla verifica della doppia incriminabilità nei casi e per i reati previsti dall’articolo 6, paragrafo 1, della decisione quadro;

l) prevedere che, nei procedimenti di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni di confisca emesse da autorità giudiziarie di altri Stati membri per reati diversi da quelli previsti dall’articolo 6, paragrafo 1, della decisione quadro, l’autorità giudiziaria italiana proceda alla verifica della doppia incriminabilità;

m) prevedere che possano essere esperiti i rimedi di impugnazione ordinari previsti dal codice di procedura penale, anche a tutela dei terzi di buona fede, avverso il riconoscimento e l’esecuzione di provvedimenti di blocco e di sequestro, ma che l’impugnazione non possa mai concernere il merito della decisione giudiziaria adottata dallo Stato di emissione;

n) prevedere che l’autorità giudiziaria, in veste di autorità competente dello Stato di esecuzione, possa rifiutare l’esecuzione di una decisione di confisca quando:

1) l’esecuzione della decisione di confisca sarebbe in contrasto con il principio del ne bis in idem;

2) in uno dei casi di cui all’articolo 6, paragrafo 3, della decisione quadro, la decisione di confisca riguarda fatti che non costituiscono reato ai sensi della legislazione dello Stato di esecuzione; tuttavia, in materia di tasse o di imposte, di dogana e di cambio, l’esecuzione della decisione di confisca non può essere rifiutata in base al fatto che la legislazione dello Stato di esecuzione non impone lo stesso tipo di tasse o di imposte, o non contiene lo stesso tipo di disciplina in materia di tasse o di imposte, di dogana e di cambio, della legislazione dello Stato di emissione;

3) vi sono immunità o privilegi a norma del diritto dello Stato italiano che impedirebbero l’esecuzione di una decisione di confisca nazionale dei beni in questione;

4) i diritti delle parti interessate, compresi i terzi di buona fede, a norma del diritto dello Stato italiano, rendono impossibile l’esecuzione della decisione di confisca, anche quando tale impossibilità risulti conseguenza dell’applicazione di mezzi di impugnazione di cui alla lettera m);

5) la decisione di confisca si basa su procedimenti penali per reati che devono considerarsi commessi in tutto o in parte in territorio italiano;

6) la decisione di confisca si basa su procedimenti penali per reati che sono stati commessi, secondo la legge italiana, al di fuori del territorio dello Stato di emissione, e il reato è improcedibile ai sensi degli articoli 7 e seguenti del codice penale;

o) prevedere che, prima di rifiutare il riconoscimento e l’esecuzione di una confisca richiesta da uno Stato di emissione, l’autorità giudiziaria italiana procedente attivi procedure di consultazione con l’autorità competente dello Stato di emissione, anche tramite l’autorità centrale di cui alla lettera b);

p) prevedere che l’autorità giudiziaria, in veste di autorità competente dello Stato di esecuzione, possa rinviare l’esecuzione di una decisione di confisca:

1) quando il bene è già oggetto di un procedimento di confisca nazionale, anche nell’ambito di un procedimento di prevenzione;

2) quando sono stati proposti i mezzi di impugnazione di cui alla lettera m) e fino alla decisione definitiva;

3) nel caso di una decisione di confisca concernente una somma di denaro, qualora ritenga che vi sia il rischio che il valore totale risultante dalla sua esecuzione possa superare l’importo specificato nella decisione suddetta a causa dell’esecuzione simultanea della stessa in più di uno Stato membro;

4) qualora l’esecuzione della decisione di confisca possa pregiudicare un’indagine penale o procedimenti penali in corso;

q) prevedere che l’autorità giudiziaria, in veste di autorità competente dello Stato di emissione, possa convenire con l’autorità dello Stato di esecuzione che la confisca abbia ad oggetto somme di denaro o altri beni di valore equivalente a quello confiscato, salvo che si tratti di cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, ovvero il cui porto o detenzione siano vietati dalla legge;

r) prevedere, ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, della decisione quadro, che quando lo Stato italiano opera in veste di Stato di esecuzione, la decisione di confisca in relazione alla quale è stato effettuato il riconoscimento sia eseguita:

1) sui mobili e sui crediti secondo le forme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento presso il debitore o presso il terzo, in quanto applicabili;

2) sugli immobili o mobili registrati con la trascrizione del provvedimento presso i competenti uffici;

3) sui beni aziendali organizzati per l’esercizio di un’impresa, con l’iscrizione del provvedimento nel registro delle imprese o con le modalità previste per i singoli beni sequestrati;

4) sulle azioni e sulle quote sociali, con l’annotazione nei libri sociali e con l’iscrizione nel registro delle imprese;

5) sugli strumenti finanziari dematerializzati, ivi compresi i titoli del debito pubblico, con la registrazione nell’apposito conto tenuto dall’intermediario ai sensi dell’articolo 34 del decreto legislativo 24 giugno 1998, n. 213. Si applica l’articolo 10, comma 3, del decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 170;

s) prevedere che, dopo l’esecuzione delle formalità di cui alla lettera r), l’ufficiale giudiziario proceda all’apprensione materiale dei beni con, ove disposta, l’assistenza della polizia giudiziaria; prevedere altresì i casi in cui sia possibile procedere allo sgombero di immobili confiscati mediante ausilio della forza pubblica;

t) prevedere che i sequestri e le confische disposti dall’autorità giudiziaria nell’ambito di un procedimento penale, ad eccezione del sequestro probatorio, ovvero nell’ambito di un procedimento di prevenzione patrimoniale, si eseguano nei modi previsti alle lettere q) e r);

u) prevedere la destinazione delle somme conseguite dallo Stato italiano nei casi previsti dall’articolo 16, paragrafo 1, lettere a) e b), e dall’articolo 18, paragrafo 1, della decisione quadro;

v) prevedere che, nei casi indicati all’articolo 16, paragrafo 2, della decisione quadro, quando la confisca sia stata disposta ai sensi dell’articolo 3 della decisione quadro 2005/212/GAI del Consiglio, del 24 febbraio 2005, alla destinazione dei beni confiscati si applichi la disciplina relativa alla destinazione dei beni oggetto di confisca di prevenzione;

z) prevedere, in caso di responsabilità dello Stato italiano per i danni causati dall’esecuzione di un provvedimento di confisca richiesto dall’autorità giudiziaria dello Stato membro di emissione, l’esperibilità del procedimento previsto dalla decisione quadro per il rimborso degli importi versati dallo Stato italiano a titolo di risarcimento alla parte lesa.

2. Alle attività previste dal comma 1 si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 


 

 

L'articolo 44 reca i principi ed i criteri direttivi cui il Governo si dovrà attenere nel dare attuazione alla decisione quadro 2006/783/GAI, del 6 ottobre 2006, relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca.

La collaborazione internazionale nel settore della confisca di beni è attualmente disciplinata da alcune convenzioni internazionali, di cui sono parte anche gli Stati dell'Unione europea, come la convenzione di Vienna del 1988, contro il traffico degli stupefacenti, e la convenzione di Strasburgo del 1990, sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato. Si tratta, però, di accordi settoriali, che si limitano ad applicare il classico schema della rogatoria internazionale.

La decisione quadro della quale la legge comunitaria prevede l’attuazione ha, invece, una portata generale, interessando la confisca di tutti i beni provento di reati, e applica a questo settore della cooperazione giudiziaria il principio del mutuo riconoscimento.

A livello di Unione europea, già con il Consiglio europeo di Tampere del 15-16 ottobre 1999, l’Unione europea ha sottolineato l’importanza della confisca: il punto 51 delle conclusioni della Presidenza recita, infatti, che «Il riciclaggio dei capitali è il nucleo stesso della criminalità organizzata. Esso dovrebbe essere sradicato ovunque si manifesti. Il Consiglio europeo è determinato ad assicurare che siano intraprese iniziative concrete per rintracciare, sequestrare e confiscare i proventi di reato». Pertanto, al punto 55, «il Consiglio europeo chiede un ravvicinamento delle normative e procedure penali relative al riciclaggio dei capitali (ad es., in materia di rintracciamento, sequestro e confisca dei capitali)».

Ciò ha condotto all'adozione della decisione quadro 2005/212/GAI, il cui obiettivo è quello di assicurare che tutti gli Stati membri dispongano di norme efficaci che disciplinino la confisca dei proventi di reato, anche per quanto riguarda l'onere della prova relativamente all'origine dei beni detenuti da una persona condannata per un reato connesso con la criminalità organizzata. Si ricorda, a tal proposito, che l'art. 31 della legge comunitaria 2007 (legge 25 febbraio 2008, n. 34) ha delegato il Governo a dare attuazione alla decisione quadro 2005/212/GAI. Il relativo decreto legislativo non è stato ancora adottato.

La decisione quadro 2006/783/GAI

Scopo della decisione quadro 2006/783/GAI è stabilire le norme in base alle quali uno Stato membro riconosce ed esegue nel proprio territorio una decisione di confisca emessa da un'autorità giudiziaria competente in materia penale appartenente un altro Stato membro[157].

Con questo strumento la cooperazione viene concepita in termini di rapporti non tra Stati sovrani (lo Stato richiedente e lo Stato richiesto), ma tra autorità giudiziarie (di emissione e di esecuzione), e dunque le relazioni intergovernative (estradizione e rogatorie) sono sostituite dalla cooperazione giudiziaria diretta, basata sulla cosiddetta eurordinanza, emessa dall'autorità giudiziaria di uno Stato membro e trasmessa direttamente all'organo competente di un altro Stato membro, per l'esecuzione[158].

Per "decisione di confisca", la decisione quadro intende una sanzione o misura finale imposta da un'autorità giudiziaria a seguito di un procedimento per uno o più reati, che consiste nel privare definitivamente di un bene.

Il bene oggetto della confisca può essere un bene di qualsiasi natura, materiale o immateriale, mobile o immobile, nonché atti giuridici o documenti che attestano un titolo o un diritto su tale bene, in merito al quale l'autorità giudiziaria dello Stato di emissione ha stabilito (art. 2, lett. d):

§      che sia il prodotto di un reato o sia equivalente, in tutto o in parte, al valore di tale prodotto;

§      che sia lo strumento di tale reato;

§      che sia passibile di confisca a seguito dell'applicazione da parte dello Stato di emissione di uno dei poteri estesi di confisca specificati nell'art. 3 della decisione quadro 2005/212/GAI;

L’articolo 3 della decisione quadro 2005/121/GAI del 24 febbraio 2005 prevede la confisca dei beni detenuti dal condannato, ma riconducibili ad attività criminose diverse da quella per la quale è intervenuta la condanna. Di tali beni sarà possibile richiedere la confisca se ricorrono alcune condizioni. In primo luogo, deve trattarsi di condanne relative a determinati reati (traffico illecito di stupefacenti, tratta di esseri umani, pedopornografia, terrorismo, etc.), definiti in una serie di decisioni quadro, già entrate in vigore. In secondo luogo, il reato deve essere punibile con pene detentive massime comprese tra almeno 5 e 10 anni. In terzo luogo, nel procedimento di cognizione, il giudice penale deve aver accertato che il bene da sottoporre a confisca, pur non essendo direttamente collegato al reato per il quale la persona è stata condannata, costituisca il provento di attività criminose poste in essere dalla stessa persona. Ciascuna di queste condizioni può essere verificata dall'autorità statale che agisce nella fase di esecuzione, che può decidere di eseguire la confisca estesa nei limiti consentiti dal diritto interno, in un caso analogo nazionale (art. 8, par. 3, decisione quadro in commento).

§      che sia passibile di confisca ai sensi di altre disposizioni relative ai poteri estesi di confisca previste dalla legislazione dello Stato di emissione.

Si tratta di dare esecuzione anche ai provvedimenti giudiziari con i quali sia stata disposta la confisca dei beni acquisiti da persone che abbiano con il condannato relazioni strette (per esempio, il coniuge o il convivente) ovvero da una persona giuridica, sulla quale il condannato esercita un controllo o da cui riceve una parte rilevante del suo reddito. Questo ulteriore ampliamento della nozione di confisca non costituisce, però, un obbligo: l'articolo 7, paragrafo 5, della decisione quadro prevede infatti che ciascuno Stato membro possa dichiarare che, agendo in qualità di Stato di esecuzione, non riconoscerà queste particolari tipologie di confisca estesa, ad esempio perché non ammissibili secondo il proprio ordinamento.

L'art. 6 della decisione quadro elenca una serie di reati che, se sono punibili nello Stato di emissione con una pena privativa della libertà di almeno tre anni, non richiedono il controllo della doppia incriminabilità.

Per i reati non compresi in tale elencazione, lo Stato di esecuzione può subordinare il riconoscimento e l'esecuzione del provvedimento di confisca alla condizione che i fatti per i quali esso è stato emesso costituiscano un reato ai sensi della legge di tale Stato indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica dello stesso ai sensi della legge dello Stato di emissione.

Quanto alla procedura, come gli altri strumenti di cooperazione giudiziaria dell'Unione europea, anche la decisione quadro in esame prevede due fasi: una fase «attiva» o di emissione (art. 4) e una fase «passiva» o di esecuzione (art. 7).

 

§       Fase attiva, o di emissione

L'autorità giudiziaria di uno Stato membro trasmette il provvedimento di confisca all'autorità di un altro Stato membro, unitamente a un certificato. Il certificato, tradotto nella lingua ufficiale dello Stato di esecuzione, deve essere trasmesso direttamente all'autorità competente a eseguire la confisca (art. 4, par. 2), individuata in base al luogo in cui si trovano i beni o la persona.

§       Fase passiva, o di esecuzione

L'autorità competente (anche non giurisdizionale) procede al riconoscimento e all'esecuzione del provvedimento di confisca. L'autorità di esecuzione deve però verificare soltanto il contenuto del certificato e la sua corrispondenza con la decisione di confisca emessa nel procedimento straniero.

Inoltre, in conformità con il principio di mutuo riconoscimento, la decisione quadro indica tassativamente i motivi di rifiuto del riconoscimento ed esecuzione della confisca. Al di fuori dei casi tassativi di non riconoscimento e non esecuzione, l'autorità statale competente dovrà adottare senza indugio tutte le misure necessarie all'esecuzione della confisca (art. 7, par. 1), in base alla legge nazionale (art. 12, par. 1).

Una volta eseguita la confisca del bene, la decisione quadro prevede che l'autorità dello Stato di esecuzione debba informare l'autorità di emissione e provvedere in ordine alla destinazione dei beni confiscati (articolo 16, v. infra).

I principi e criteri direttivi per l’attuazione della delega

Ai sensi del comma 1 dell’articolo in commento, nel dare attuazione a quanto disposto dalla decisione quadro 2006/783/GAI, il Governo dovrà attenersi oltre che ai principi ed ai criteri direttivi generali di cui all'art. 2 del disegno di legge e alle disposizioni previste dalla stessa decisione quadro, nelle parti in cui non richiedono uno specifico adattamento dell’ordinamento italiano ai seguenti principi e criteri direttivi:

§      le definizioni dovranno essere quelle di cui all’art. 2 della decisione quadro (lett. a));

§      l’autorità centrale, cui fanno riferimento i paragrafi 1 e 2 dell’art. 3 della decisione quadro dovrà essere individuata nel Ministero della giustizia (lett. b));

Ai sensi dell'art. 3, par. 1, della decisione quadro, ciascuno Stato membro informa il segretariato generale del Consiglio in merito alle autorità che, secondo la propria legislazione, sono competenti ai sensi della decisione quadro. Il par. 2 stabilisce che, fatto salvo l'art. 4, paragrafi 1 e 2, (in merito al quale, vedi la successiva lettera d), ciascuno Stato membro può, se l'organizzazione del proprio sistema interno lo rende necessario, designare una o più autorità centrali quali responsabili della trasmissione e della ricezione amministrativa delle decisioni di confisca e dell'assistenza da fornire alle autorità competenti.

§      la richiesta di riconoscimento potrà essere avanzata dall’autorità giudiziaria italiana anche per le confische disposte ai sensi dell’art. 12-sexies del decreto-legge 306/1992[159], richiamandosi la disposizione della decisione quadro che consente la confisca «a seguito dell’applicazione da parte dello Stato di emissione di uno dei poteri estesi di confisca specificati nell’articolo 3» della decisione quadro 2005/121/GAI (lett. c)).

L’articolo 12-sexies del c.d. decreto Scotti-Martelli del 1992 dispone – per una serie di reati – che in caso di condanna o patteggiamento della pena, debba sempre essere disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non possa giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica (c.d. confisca di valori ingiustificati). Si ricorda che tale disposizione è oggetto di novella da parte dell’art. 29 del ddl n. 2180 (recante Disposizioni in materia di sicurezza pubblica e attualmente in corso di esame presso le Commissioni riunite I e II), che interviene in particolare sui criteri per determinare il valore delle utilità da confiscare nel caso di “confisca per equivalente”.

§      l’autorità competente a chiedere il riconoscimento e l’esecuzione ai sensi dell’art. 4 della decisione quadro sarà l’autorità giudiziaria italiana procedente (lett. d));

L'art. 4 della decisione quadro stabilisce che una decisione di confisca può essere trasmessa all'autorità competente di uno Stato membro in cui l'autorità competente dello Stato di emissione ha fondati motivi per ritenere che la persona fisica o giuridica contro la quale è stata emessa la decisione disponga di beni o di un reddito, qualora la decisione di confisca concerna una somma di denaro.

Se la decisione di confisca concerne beni specifici, la decisione può essere trasmessa all'autorità competente di uno Stato membro in cui l'autorità competente ha fondati motivi di ritenere che siano ubicati i beni oggetto della decisione di confisca. Se non sussistono fondati motivi che permettono allo Stato di emissione di determinare lo Stato membro a cui può essere trasmessa la decisione di confisca, quest'ultima può essere trasmessa all'autorità competente dello Stato membro in cui la persona fisica o giuridica contro la quale è stata emessa la decisione stessa risiede abitualmente o, nel caso di una persona giuridica, in cui ha sede la sede sociale.

La decisione di confisca o una copia autenticata di essa è trasmessa direttamente dall'autorità competente dello Stato di emissione all'autorità dello Stato di esecuzione competente per l'esecuzione con qualsiasi mezzo che lasci una traccia scritta, in condizioni che consentano allo Stato di esecuzione di stabilirne l'autenticità. Tutte le comunicazioni ufficiali sono effettuate direttamente tra le autorità competenti suddette.

§      la trasmissione dei provvedimenti di riconoscimento della confisca di beni emessi dall’autorità giudiziaria di un altro Stato membro dovrà avvenire nelle forme della cooperazione giudiziaria diretta, avvalendosi, se del caso, dei punti di contatto della Rete giudiziaria europea, anche al fine di individuare l’autorità competente, e assicurando in ogni caso modalità di trasmissione degli atti che consentano all’autorità giudiziaria italiana di stabilirne l’autenticità (lett. e));

§      analogamente, l’autorità giudiziaria italiana che ha emesso, nell’ambito di un procedimento penale, un provvedimento di confisca concernente cose che si trovano sul territorio di un altro Stato membro dovrà rivolgersi direttamente all’autorità giudiziaria di tale Stato per avanzare la richiesta di riconoscimento e di esecuzione del provvedimento. Sarà possibile avvalersi dei punti di contatto della Rete giudiziaria europea, anche al fine di individuare l’autorità competente (lett. f));

§      laddove, nelle ipotesi precedenti, si proceda attraverso rapporti diretti tra le autorità giudiziarie, dovranno comunque essere previste adeguate forme di comunicazione e informazione nei riguardi del Ministro della giustizia, anche a fini statistici (lett. g));

§      l’autorità giudiziaria italiana che – investita di una richiesta di riconoscimento ed esecuzione si ritiene incompetente dovrà trasmettere d’ufficio la richiesta all’autorità competente, dandone comunicazione all’autorità giudiziaria dello Stato di emissione (lett. h));

L'art. 4 della decisione quadro prevede che qualora l'autorità dello Stato di esecuzione che riceve una decisione non sia competente a riconoscerla e ad adottare le misure necessarie alla sua esecuzione, essa trasmette, d'ufficio, la decisione all'autorità competente per l'esecuzione e ne informa l'autorità competente dello Stato di emissione.

§      nei procedimenti di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni di confisca, l’autorità giudiziaria italiana non procederà alla verifica della doppia incriminabilità nei casi e per i reati previsti dall’art. 6, par. 1, della decisione quadro (lett. i)). Viceversa, nei procedimenti di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni di confisca emesse da autorità giudiziarie di altri Stati membri, per reati diversi da quelli previsti dall’art. 6, par. 1, l’autorità giudiziaria italiana dovrà verificare la doppia incriminabilità (lett. l));

I reati indicati nell’art. 6, par. 1, della decisione quadro sono i medesimi reati per i quali si può procedere a consegna in base al mandato d'arresto europeo, indipendentemente dalla doppia incriminazione: partecipazione a un'organizzazione criminale, terrorismo, tratta di esseri umani, sfruttamento sessuale dei bambini e pornografia infantile, traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope, traffico illecito di armi, munizioni ed esplosivi, corruzione, frode, compresa la frode che lede gli interessi finanziari delle Comunità europee ai sensi della convenzione del 26 luglio 1995 relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, riciclaggio di proventi di reato, falsificazione e contraffazione di monete, tra cui l'euro, criminalità informatica, criminalità ambientale, compreso il traffico illecito di specie animali protette e il traffico illecito di specie e di essenze vegetali protette, favoreggiamento dell'ingresso e del soggiorno illegali, omicidio volontario, lesioni personali gravi, traffico illecito di organi e tessuti umani, rapimento, sequestro e presa di ostaggi, razzismo e xenofobia, furti organizzati o con l'uso di armi, traffico illecito di beni culturali, compresi gli oggetti d'antiquariato e le opere d'arte, truffa, racket e estorsioni, contraffazione e pirateria in materia di prodotti, falsificazione di atti amministrativi e traffico di documenti falsi, falsificazione di mezzi di pagamento, traffico illecito di sostanze ormonali ed altri fattori di crescita, traffico illecito di materie nucleari e radioattive, traffico di veicoli rubati, stupro, incendio volontario, reati che rientrano nella competenza giurisdizionale della Corte penale internazionale, dirottamento di aereo/nave, sabotaggio.

§      avverso il riconoscimento e l’esecuzione di provvedimenti di blocco e di sequestro potranno essere esperiti i mezzi di impugnazione ordinari previsti dal codice di procedura penale, anche a tutela dei terzi di buona fede, ma l’impugnazione non potrà mai concernere il merito della decisione giudiziaria adottata dallo Stato estero (lett. m));

Ai sensi dell'art. 9 della decisione quadro, ciascuno Stato membro adotta le disposizioni necessarie per consentire ad ogni parte interessata, compresi i terzi in buona fede, di disporre di mezzi di impugnazione contro il riconoscimento e l'esecuzione di una decisione di confisca a tutela dei propri diritti. L'azione è promossa dinanzi a un'autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione ai sensi della legislazione di tale Stato. L'azione può avere effetto sospensivo ai sensi della legislazione dello Stato di esecuzione. Le ragioni di merito su cui si basa la decisione di confisca non possono essere impugnate dinanzi ad un'autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione. Se l'azione è promossa dinanzi ad un'autorità giudiziaria nello Stato di esecuzione l'autorità competente dello Stato di emissione ne è informata.

§      Il Governo dovrà prevedere che l’autorità giudiziaria italiana, in veste di autorità competente dello Stato di esecuzione, possa rifiutare l’esecuzione di una decisione di confisca nelle seguenti ipotesi (lett. n)):

-      l’esecuzione della decisione di confisca sarebbe in contrasto con il principio del ne bis in idem;

-      in uno dei casi di cui all’art. 6, par. 3, della decisione quadro, se la decisione di confisca riguarda fatti che non costituiscono reato ai sensi della legislazione italiana; ciò a meno che non si tratti di materia di tasse o di imposte, di dogana e di cambio;

-      vi sono immunità o privilegi a norma del diritto dello Stato italiano che impedirebbero l’esecuzione di una decisione di confisca nazionale dei beni in questione;

-      i diritti delle parti interessate, compresi i terzi di buona fede, a norma del diritto dello Stato italiano, rendono impossibile l’esecuzione della decisione di confisca, anche quando tale impossibilità risulti conseguenza dell’applicazione di mezzi di impugnazione di cui alla lettera m);

-      la decisione di confisca si basa su procedimenti penali per reati che devono considerarsi commessi in tutto o in parte in territorio italiano;

-      la decisione di confisca si basa su procedimenti penali per reati che sono stati commessi, secondo la legge italiana, al di fuori del territorio dello Stato di emissione, e il reato è improcedibile ai sensi degli artt. 7 e ss. del codice penale;

Le ipotesi in base alle quali l'autorità giudiziaria competente dello Stato di esecuzione può rifiutare il riconoscimento e l'esecuzione della decisione di confisca contenute nell’art. 8, par. 2, della decisione quadro, sono più ampie. Ciò è possibile, infatti, qualora sia stato accertato che:

a) l'esecuzione della decisione di confisca sarebbe in contrasto con il principio del "ne bis in idem";

b) in uno dei casi di cui all'art. 6, paragrafo 3, la decisione di confisca riguarda fatti che non costituiscono un reato ai sensi della legislazione dello Stato di esecuzione; tuttavia, in materia di tasse o di imposte, di dogana e di cambio, l'esecuzione della decisione di confisca non può essere rifiutata in base al fatto che la legislazione dello Stato di esecuzione non impone lo stesso tipo di tasse o di imposte o non contiene lo stesso tipo di disciplina in materia di tasse o di imposte, di dogana e di cambio della legislazione dello Stato di emissione;

c) vi sono immunità o privilegi a norma del diritto dello Stato di esecuzione che impedirebbero l'esecuzione di una decisione di confisca nazionale dei beni in questione;

d) i diritti delle parti interessate, compresi i terzi in buona fede, a norma del diritto dello Stato di esecuzione rendono impossibile l'esecuzione della decisione di confisca, incluso quando ciò è conseguenza dell'applicazione di mezzi di impugnazione in conformità dell'art. 9;

e) l'interessato non è comparso personalmente e non è stato rappresentato da un consulente legale nel procedimento che si conclude con la decisione di confisca, a meno che il certificato attesti che l'interessato è stato informato personalmente, o tramite il suo rappresentante competente ai sensi del diritto procedurale nazionale, a norma della legislazione dello Stato di emissione, o che l'interessato ha dichiarato di non opporsi alla decisione di confisca;

f) la decisione di confisca si basa su procedimenti penali per reati che: a norma del diritto dello Stato di esecuzione sono considerati commessi in tutto o in parte nel suo territorio o in un luogo assimilato al suo territorio, oppure sono stati commessi al di fuori del territorio dello Stato di emissione, e il diritto dello Stato di esecuzione non consente l'azione penale per tali reati quando siano commessi al di fuori del suo territorio;

g) appare alla suddetta autorità che la decisione di confisca è stata presa in circostanze in cui la confisca del bene è stata ordinata ai sensi delle disposizioni relative ai poteri estesi di confisca di cui all'art. 2, lettera d), punto iv);

h) la possibilità di eseguire una decisione di confisca è caduta in prescrizione ai sensi della legge dello Stato di esecuzione, sempre che l'atto rientri nella competenza di tale Stato secondo la legislazione penale di quest'ultimo.

§      prima di rifiutare il riconoscimento e l’esecuzione di una confisca richiesta da uno Stato di emissione, l’autorità giudiziaria italiana procedente dovrà attivare procedure di consultazione con l’autorità competente dello Stato di emissione, anche tramite il Ministero della giustizia (lett. o));

§      l’autorità giudiziaria italiana, in veste di autorità competente dello Stato di esecuzione, potrà, a norma dell’art. 10 della decisione quadro, rinviare l’esecuzione di una decisione di confisca nelle seguenti ipotesi (lett. p)):

-      quando il bene è già oggetto di un procedimento di confisca nazionale, anche nell’ambito di un procedimento di prevenzione;

-      quando sono stati proposti i mezzi di impugnazione di cui alla lettera m) e fino alla decisione definitiva;

-      nel caso di una decisione di confisca concernente una somma di denaro, qualora ritenga che vi sia il rischio che il valore totale risultante dalla sua esecuzione possa superare l’importo specificato nella decisione suddetta a causa dell’esecuzione simultanea della stessa in più di uno Stato membro;

-      qualora l’esecuzione della decisione di confisca possa pregiudicare un’indagine penale o procedimenti penali in corso;

§      nell’ambito della procedura “attiva”, l’autorità giudiziaria italiana potrà convenire con l’autorità dello Stato di esecuzione che la confisca abbia ad oggetto somme di denaro o altri beni di valore equivalente a quello confiscato, salvo che si tratti di cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, ovvero il cui porto o detenzione siano vietati dalla legge (lett. q));

§      quando la confisca deve essere eseguita in Italia, si potrà procedere sui seguenti beni (lett. r)):

-      sui mobili e sui crediti, secondo le forme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento presso il debitore o presso il terzo, in quanto applicabili;

-      sugli immobili o mobili registrati con la trascrizione del provvedimento presso i competenti uffici;

-      sui beni aziendali organizzati per l’esercizio di un’impresa, con l’iscrizione del provvedimento nel registro delle imprese o con le modalità previste per i singoli beni sequestrati;

-      sulle azioni e sulle quote sociali, con l’annotazione nei libri sociali e con l’iscrizione nel registro delle imprese;

-      sugli strumenti finanziari dematerializzati, ivi compresi i titoli del debito pubblico;

§      eseguite le suddette formalità, l’ufficiale giudiziario procederà all’apprensione materiale dei beni con l’assistenza obbligatoria della polizia giudiziaria; saranno inoltre previsti i casi in cui sarà possibile procedere allo sgombero di immobili confiscati mediante ausilio della forza pubblica (lett. s));

§      il Governo dovrà ridisciplinare il procedimento per i sequestri e le confische disposti dall’autorità giudiziaria nell’ambito di un procedimento penale (ad eccezione del sequestro probatorio) o nell’ambito di un procedimento di prevenzione patrimoniale, facendo sì che gli stessi siano eseguiti nei modi previsti alle lettere q) e r) (lett. t));

§      il Governo dovrà disciplinare la destinazione delle somme conseguite dallo Stato italiano nei casi previsti dall’art. 16, par. 1, lettere a) e b), e dall’art. 18, par. 1, della decisione quadro (lett. u));

L'art. 16, par. 1, della decisione quadro stabilisce che le somme ottenute con l'esecuzione della decisione di confisca sono destinate come segue dallo Stato di esecuzione:

a) se l'importo ottenuto con l'esecuzione della decisione di confisca è inferiore o pari a 10.000 euro, esso va allo Stato di esecuzione;

b) in tutti gli altri casi, il 50 per cento dell'importo ottenuto con l'esecuzione della decisione di confisca è trasferito dallo Stato di esecuzione allo Stato di emissione.

Ai sensi dell'art. 18, par. 2, della decisione quadro, se lo Stato di esecuzione, in virtù della propria legislazione, è responsabile del danno causato ad una delle parti interessate di cui all'art. 9 dall'esecuzione di una decisione di confisca che gli è stata trasmessa, lo Stato di emissione rimborsa allo Stato di esecuzione gli importi versati a titolo di risarcimento per tale responsabilità alla parte lesa, tranne se e nella misura in cui il danno o parte di esso è dovuto esclusivamente alla condotta dello Stato di esecuzione.

§      nei casi indicati all’art. 16, par. 2, della decisione quadro, quando siano stati esercitati poteri estesi di confisca, il Governo dovrà applicare alla destinazione dei beni confiscati la disciplina relativa alla destinazione dei beni oggetto di confisca di prevenzione (lett. v));

Ai sensi dell'art. 16, par. 2, della decisione quadro, il bene, diverso da una somma di denaro, ottenuto con l'esecuzione della decisione di confisca è destinato come segue, su decisione dello Stato di esecuzione:

a) il bene può essere venduto. In tal caso i proventi della vendita sono destinati conformemente al paragrafo 1 (v. lettera u));

b) il bene può essere trasferito allo Stato di emissione. Se l'ordine di confisca riguarda una somma di denaro, il bene può essere trasferito allo Stato di emissione soltanto se tale Stato vi ha acconsentito;

c) qualora non sia possibile applicare le lettere a) o b), il bene può essere destinato in altro modo conformemente alla legislazione nazionale dello Stato di esecuzione.

§      in caso di responsabilità dello Stato italiano per i danni causati dall’esecuzione di un provvedimento di confisca richiesto dall’autorità giudiziaria dello Stato membro di emissione, sarà esperibile il procedimento previsto dalla decisione quadro per il rimborso degli importi versati dallo Stato italiano a titolo di risarcimento alla parte lesa (lett. z)).

Il comma 2 contiene la clausola di invarianza finanziaria, disponendo che alle attività previste dal comma 1 si dovrà provvedere con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 20 novembre 2008 la Commissione europea ha presentato la comunicazione ”Proventi della criminalità organizzata – Garantire che il crimine non paghi” (COM(2008)766). Il documento, in linea con le indicazioni del Consiglio del 12-13 giugno 2007, sottolineando la validità dello strumento della confisca e del recupero di beni illecitamente costituiti per combattere il crimine organizzato, osserva tuttavia come, allo stato attuale, il numero totale dei casi di confisca nell'Unione europea sia piuttosto limitato e i quantitativi sottratti alla disponibilità della criminalità organizzata siano modesti, soprattutto se paragonati ai redditi stimati dei gruppi di criminalità organizzata. Ritenendo pertanto auspicabile incentivare il ricorso allo strumento della confisca, la Commissione individua misure strategiche, legislative e non, per migliorare la cooperazione a livello UE.

In particolare viene sottolineata l’esigenza che gli Stati membri istituiscano[160] in tempi brevi uffici di recupero beni in grado di scambiarsi rapidamente informazioni, avere sufficienti poteri e agire secondo le migliori pratiche e che Eurojust promuova il rafforzamento della cooperazione sul piano giudiziario e del reciproco riconoscimento dei provvedimenti di confisca, agevolando la sinergia tra gli uffici di recupero di beni e le autorità giudiziarie.

Per quanto concerne specificamente la decisione quadro 2006/783/GAI relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca, la Commissione rileva la necessità di un migliore coordinamento tra le disposizioni sul reciproco riconoscimento contenute nella detta decisione quadro e le norme le norme relative ai poteri estesi di confisca di cui alla decisione quadro 2005/212/GAI.

La comunicazione osserva inoltre la decisione quadro 2006/783/GAI sembra potersi applicare soltanto alle decisioni di confisca prese nell'ambito di un procedimento penale: di conseguenza, le decisioni di confisca basate sui procedimenti civili o fiscali potrebbero non essere eseguite in tutti gli Stati membri.

Circa l’attuazione della decisione quadro da parte degli Stati membri, la Commissione ritiene prematuro, allo stato attuale, formulare previsioni su eventuali ritardi nel recepimento da parte degli ordinamenti nazionali.

La comunicazione ricorda infine che la Commissione intende valutare la possibilità di:

-      prevedere il reciproco riconoscimento dei provvedimenti di blocco e di confisca anche nel caso in cui questi si basino su procedure non applicabili nello Stato di esecuzione (p.es. procedure di confisca civile, procedure fondate sull'uso esteso dei poteri fiscali), specificando a tal fine le condizioni aggiuntive che si rivelino necessarie;

-      prevedere, in un nuovo strumento giuridico, casi di confisca in assenza di procedimento penale (confisca civile) [161];.

-      introdurre una nuova fattispecie di reato penale per "ingiustificato possesso di beni”;

-      estendere il campo di applicazione della confisca obbligatoria;

-      introdurre l’obbligo per gli Stati membri di fornire informazioni sui conti correnti bancari, in attuazione del Protocollo della Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale, emanato con atto del Consiglio del 16 ottobre 2001[162]..


Art. 45

 

(Princìpi e criteri direttivi per l’attuazione della decisione quadro 2006/960/GAI relativa alla semplificazione dello scambio di informazioni e intelligence tra le autorità degli Stati membri dell’Unione europea incaricate dell’applicazione della legge )

 

 


1. Il Governo adotta il decreto legislativo recante le norme occorrenti per dare attuazione alla decisione quadro 2006/960/GAI del Consiglio, del 18 dicembre 2006, relativa alla semplificazione dello scambio di informazioni e intelligence tra le autorità degli Stati membri dell’Unione europea incaricate dell’applicazione della legge, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali stabiliti dalle disposizioni di cui all’articolo 2, comma 1, lettere a), e), f) e g), nonché sulla base dei seguenti princìpi e criteri direttivi, realizzando il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti:

a) prevedere che:

1) per «autorità competente incaricata dell’applicazione della legge» debba intendersi quanto definito dall’articolo 2, lettera a), della decisione quadro;

2) per «indagine penale» debba intendersi quanto definito dall’articolo 2, lettera b), della decisione quadro;

3) per «operazione di intelligence criminale» debba intendersi quanto definito dall’articolo 2, lettera c), della decisione quadro;

4) per «informazione e/o intelligence» debba intendersi quanto definito dall’articolo 2, lettera d), della decisione quadro;

5) per «reati di cui all’articolo 2, paragrafo 2, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato di arresto europeo» debbano intendersi i reati previsti dalla legislazione nazionale che corrispondono o sono equivalenti a quelli enunciati nella suddetta disposizione, nonché, ove non inclusi tra i precedenti, quelli connessi al furto di identità relativo ai dati personali;

b) prevedere modalità procedurali affinché le informazioni possano essere comunicate alle autorità competenti di altri Stati membri ai fini dello svolgimento di indagini penali o di operazioni di intelligence criminale, specificando i termini delle comunicazioni medesime, secondo quanto stabilito dall’articolo 4 della decisione quadro;

c) prevedere che le informazioni possano essere richieste ai fini dell’individuazione, della prevenzione o dell’indagine su un reato quando vi sia motivo di fatto di ritenere che le informazioni e l’intelligence pertinenti siano disponibili in un altro Stato membro, e che la richiesta debba precisare i motivi di fatto nonché le finalità cui sono destinate l’informazione e l’intelligence nonché il nesso tra le finalità e la persona oggetto delle informazioni e dell’intelligence;

d) prevedere i canali e la lingua di comunicazione secondo i criteri fissati dall’articolo 6 della decisione quadro;

e) prevedere misure volte ad assicurare il soddisfacimento delle esigenze di tutela dei dati personali e della segretezza dell’indagine, secondo quanto previsto dalla normativa vigente;

f) prevedere, fatti salvi i casi indicati all’articolo 10 della decisione quadro, modalità procedurali per lo scambio spontaneo di informazioni e di intelligence;

g) prevedere che, fatti salvi i casi indicati all’articolo 3, paragrafo 3, della decisione quadro, un’autorità competente possa rifiutarsi di fornire le informazioni e l’intelligence solo nel caso in cui sussistano le ragioni indicate all’articolo 10 della medesima decisione quadro;

h) prevedere, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, della decisione quadro, che quando le informazioni o l’intelligence richieste da altro Stato membro siano correlate a un procedimento penale, la trasmissione delle stesse da parte dell’autorità nazionale richiesta sia subordinata all’autorizzazione dell’autorità giudiziaria procedente;

i) prevedere che autorizzazione analoga a quella prevista dalla lettera h) sia richiesta nei casi in cui l’autorità nazionale competente intenda procedere a uno scambio spontaneo di informazioni e di intelligence con le autorità competenti di altro Stato membro, ai sensi dell’articolo 7 della decisione quadro, quando esse siano correlate a un procedimento penale.

2. Alle attività previste dal comma 1 si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.


 

 

L’articolo 45, composto da due commi, reca i princìpi ed i criteri direttivi cui il Governo si dovrà attenere nel dare attuazione alla decisione quadro 2006/960/GAI del Consiglio, del 18 dicembre 2006, relativa alla semplificazione dello scambio di informazioni e intelligence tra le autorità degli Stati membri dell’Unione europea incaricate dell’applicazione della legge.

Ai sensi dell’art. 11, par. 1, della decisione quadro, gli Stati membri sono tenuti ad adottare le necessarie misure attuative entro il 19 dicembre 2008.

La decisione quadro 2006/960/GAI mira a stabilire le norme in virtù delle quali le autorità degli Stati membri incaricate dell’applicazione della legge possono scambiarsi le informazioni e l’intelligence esistenti efficacemente e rapidamente ai fini dello svolgimento di indagini penali o di operazioni di intelligence criminale.

Ciò in quanto il tempestivo accesso ad informazioni ed intelligence accurate ed aggiornate è un elemento essenziale affinché le autorità incaricate dell’applicazione della legge possano efficacemente individuare, prevenire e indagare su reati o attività criminali, specialmente in uno spazio in cui sono stati aboliti i controlli alle frontiere interne. Poiché le attività dei criminali sono svolte clandestinamente, occorre che siano controllate e che le informazioni su di esse siano scambiate con particolare rapidità.

Ai sensi dell’art. 1, la decisione quadro lascia impregiudicati gli accordi o intese bilaterali o multilaterali tra Stati membri e paesi terzi e gli strumenti dell’Unione europea riguardanti la reciproca assistenza giudiziaria o il reciproco riconoscimento delle decisioni in materia penale, comprese le condizioni stabilite da paesi terzi riguardo all’utilizzo delle informazioni già fornite.

Essa non impone alcun obbligo per gli Stati membri:

§       di raccogliere e conservare informazioni e intelligence allo scopo di fornirle alle autorità di altri Stati membri;

§       di fornire informazioni e intelligence da utilizzare come prove dinanzi ad un’autorità giudiziaria, né di conferire il diritto ad utilizzarle a tal fine. Se uno Stato membro ha ottenuto informazioni o intelligence a norma della decisione quadro in esame ed intende utilizzarle come prove dinanzi ad un’autorità giudiziaria, deve ricevere il consenso dello Stato membro che ha fornito le informazioni o l’intelligence;

§       di ottenere con mezzi coercitivi, definiti conformemente alla legislazione nazionale, qualsiasi informazione o intelligence. Qualora ciò sia permesso dalla loro legislazione nazionale e ad essa conforme, gli Stati membri devono tuttavia fornire informazioni o intelligence che siano state precedentemente ottenute con mezzi coercitivi.

Ai sensi dell’art. 3, le informazioni e l’intelligence sono comunicate su richiesta formulata da un’autorità incaricata dell’applicazione della legge che svolge un’indagine penale o un’operazione di intelligence criminale. Gli Stati membri devono assicurare che la comunicazione di informazioni e intelligence alle autorità di altri Stati membri non sia soggetta a condizioni più rigorose di quelle applicabili a livello nazionale. In particolare, è vietato subordinare ad un accordo o ad un’autorizzazione giudiziari la trasmissione ad un’autorità straniera di informazioni o intelligence alle quali l’autorità nazionale possa accedere in una procedura interna senza accordo o autorizzazione giudiziari (così l’art. 3, par. 3). Qualora, invece, la legislazione nazionale dello Stato membro richiesto consenta all’autorità di accedere alle informazioni o all’intelligence oggetto della richiesta solo con l’accordo o l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, l’autorità nazionale alle quale è stata inoltrata la richiesta è tenuta a chiedere all’autorità giudiziaria competente l’accordo o l’autorizzazione ad accedere e a scambiare le informazioni richieste.

Ai sensi del comma 1, nel dare attuazione a quanto disposto dalla decisione quadro 2006/960/GAI, il Governo dovrà attenersi, oltre che ai principi ed ai criteri direttivi generali di cui all’art. 2, co. 1, lett. a), e), f) e g), del disegno di legge in esame, a quelli di cui alle lettere da a) ad i) del comma in esame, di seguito illustrate.

Lettera a): prevedere che

1)   per “autorità competente incaricata dell’applicazione della legge” debba intendersi quanto definito dall’art. 2, lett. a), della decisione quadro, ossia la polizia, i servizi doganali o altra autorità nazionale che, in forza della legislazione in0terna, è competente a individuare, prevenire e indagare su reati o attività criminali, esercitare l’autorità e adottare misure coercitive nell’ambito di tali funzioni (ad esclusione dei servizi o delle unità che si occupano specificamente di questioni connesse alla sicurezza nazionale);

2)   per “indagine penale” debba intendersi quanto definito dall’art. 2, lett. b), della decisione quadro, ossia una fase procedurale nella quale le autorità incaricate dell’applicazione della legge o le autorità giudiziarie competenti, compresi i pubblici ministeri, adottano misure per individuare e accertare i fatti, le persone sospette e le circostanze in ordine a uno o più atti criminali accertati;

3)   per “operazione di intelligence criminale” debba intendersi quanto definito dall’art. 2, lett. c), della decisione quadro, ossia una fase procedurale nella quale, in una fase precedente all’indagine penale, un’autorità competente incaricata dell’applicazione della legge, ai sensi della legislazione nazionale, ha facoltà di raccogliere, elaborare e analizzare informazioni su reati o attività criminali al fine di stabilire se sono stati commessi o possono essere commessi in futuro atti criminali concreti;

4)   per “informazione e/o intelligence” debba intendersi quanto definito dall’art. 2, lett. d), della decisione quadro, ossia qualsiasi tipo di informazioni o dati detenuti da autorità incaricate dell’applicazione della legge e qualsiasi tipo di informazioni o dati detenuti da autorità pubbliche o da enti privati che siano accessibili alle autorità incaricate dell’applicazione della legge senza il ricorso a mezzi coercitivi;

5)   per “reati di cui all’art. 2, par. 2, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato di arresto europeo” debbano intendersi i reati previsti dalla legislazione nazionale che corrispondono o sono equivalenti a quelli enunciati nella suddetta disposizione, nonché (ove non inclusi tra questi) quelli connessi al furto d’identità relativo ai dati personali (quest’ultimo inciso è stato introdotto nel corso dell’esame al Senato).

L’art. 2, par. 2, della decisione quadro 2002/584/GAI elenca i reati per i quali si può procedere a consegna in base al mandato d’arresto europeo, indipendentemente dalla doppia incriminazione. Si tratta di: partecipazione a un’organizzazione criminale, terrorismo, tratta di esseri umani, sfruttamento sessuale dei bambini e pornografia infantile, traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope, traffico illecito di armi, munizioni ed esplosivi, corruzione, frode, compresa la frode che lede gli interessi finanziari delle Comunità europee ai sensi della convenzione del 26 luglio 1995 relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, riciclaggio di proventi di reato, falsificazione e contraffazione di monete, tra cui l’euro, criminalità informatica, criminalità ambientale, compreso il traffico illecito di specie animali protette e il traffico illecito di specie e di essenze vegetali protette, favoreggiamento dell’ingresso e del soggiorno illegali, omicidio volontario, lesioni personali gravi, traffico illecito di organi e tessuti umani, rapimento, sequestro e presa di ostaggi, razzismo e xenofobia, furti organizzati o con l’uso di armi, traffico illecito di beni culturali, compresi gli oggetti d’antiquariato e le opere d’arte, truffa, racket e estorsioni, contraffazione e pirateria in materia di prodotti, falsificazione di atti amministrativi e traffico di documenti falsi, falsificazione di mezzi di pagamento, traffico illecito di sostanze ormonali ed altri fattori di crescita, traffico illecito di materie nucleari e radioattive, traffico di veicoli rubati, stupro, incendio volontario, reati che rientrano nella competenza giurisdizionale della Corte penale internazionale, dirottamento di aereo/nave, sabotaggio.

La trasposizione di tale disposizione all’interno dell’ordinamento italiano è operata dall’art. 8 della L. 69/2005[163], ai sensi del quale si fa luogo alla consegna in base al mandato d’arresto europeo, indipendentemente dalla doppia incriminazione, per i fatti ivi elencati[164] sempre che, escluse le eventuali aggravanti, il massimo della pena o della misura di sicurezza privativa della libertà personale sia pari o superiore a tre anni.

Lettera b): prevedere modalità procedurali affinché le informazioni possano essere comunicate alle autorità competenti di altri Stati membri ai fini dello svolgimento di indagini penali o di operazioni di intelligence criminale, specificando i termini delle comunicazioni medesime, secondo quanto stabilito dall’art. 4 della decisione quadro.

Ai sensi del richiamato art. 4 della decisione quadro, gli Stati membri assicurano la disponibilità di procedure che consentano loro di rispondere:

§       entro otto ore, alle richieste urgenti di informazioni e intelligence riguardanti i reati di cui all’art. 2, par. 2 della decisione quadro 2002/584/GAI (vedi lett. a)), se le informazioni o l’intelligence richieste sono conservate in una banca dati alla quale un’autorità incaricata dell’applicazione della legge può accedere direttamente. Se non è in grado di rispondere entro otto ore, l’autorità che ha ricevuto la richiesta ne deve fornire i motivi. Qualora la comunicazione entro il periodo di otto ore di informazioni o intelligence richieste costituisca un onere sproporzionato per l’autorità che ha ricevuto la richiesta, questa può posporne la comunicazione. In questo caso detta autorità informa immediatamente della posposizione l’autorità richiedente e comunica le informazioni o l’intelligence al più presto possibile e, in ogni caso, entro tre giorni;

§       entro una settimana, alle richieste non urgenti di informazioni e intelligence riguardanti i suddetti reati, se le informazioni o l’intelligence richieste sono conservate in una banca dati alla quale un’autorità incaricata dell’applicazione della legge può accedere direttamente. Se non è in grado di rispondere entro una settimana, l’autorità che ha ricevuto la richiesta ne deve fornire i motivi;

§       entro quattordici ore, in tutti gli altri casi. Se non è in grado di rispondere entro quattordici giorni, l’autorità competente ne deve fornire i motivi.

Lettera c): prevedere

§      che le informazioni possano essere richieste ai fini dell’individuazione, della prevenzione o dell’indagine su un reato quando vi sia motivo di fatto di ritenere che le informazioni e l’intelligence pertinenti siano disponibili in un altro Stato membro,

§      che la richiesta debba precisare i motivi di fatto nonché le finalità cui sono destinate l’informazione e l’intelligence nonché il nesso tra le finalità e la persona oggetto delle informazioni e dell’intelligence.

Lettera d): prevedere i canali e la lingua di comunicazione secondo i criteri fissati dall’art. 6 della decisione quadro.

L’art. 6 della decisione quadro stabilisce che lo scambio di informazioni e intelligence può aver luogo tramite qualsiasi canale esistente ai fini della cooperazione internazionale in materia di applicazione della legge. La lingua utilizzata per la richiesta e lo scambio di informazioni è quella applicabile al canale utilizzato. Le informazioni o l’intelligence sono scambiate anche con l’Europol e con l’Eurojust, qualora lo scambio riguardi un reato o un’attività criminale di loro competenza.

Lettera e): prevedere misure volte ad assicurare il soddisfacimento delle esigenze di tutela dei dati personali e della segretezza dell’indagine, secondo quanto previsto dalla normativa vigente;

Lettera f) prevedere, fatti salvi i casi indicati all’art. 10 della decisione quadro (in merito al quale, vedi lett. g)), modalità procedurali per lo scambio spontaneo di informazioni e di intelligence;

Lettera g) prevedere che, fatti salvi i casi indicati all’art. 3, par. 3, della decisione quadro (vedi supra), un’autorità competente possa rifiutarsi di fornire le informazioni e l’intelligence solo nel caso in cui sussistano le ragioni indicate all’art. 10 della medesima decisione quadro.

L’art. 10 della decisione quadro stabilisce che, fatto salvo l’art. 3, par. 3, un’autorità competente incaricata dell’applicazione della legge può rifiutarsi di fornire le informazioni o l’intelligence solo nel caso in cui sussistano ragioni di fatto per ritenere che la comunicazione di tali informazioni o intelligence:

§       pregiudichi interessi fondamentali della sicurezza nazionale dello Stato membro richiesto, ovvero

§       metta a repentaglio il buon esito di un’indagine o di un’operazione di intelligence criminale in corso o la sicurezza di persone, ovvero

§       sia palesemente sproporzionata o irrilevante per lo scopo per cui è stata richiesta.

Qualora la richiesta riguardi un reato passibile di una pena privativa della libertà di un anno o meno a norma della legislazione dello Stato membro richiesto, l’autorità può rifiutare di fornire le informazioni o l’intelligence richiesti.

L’autorità rifiuta di fornire informazioni o intelligence qualora l’autorità giudiziaria competente non abbia autorizzato l’accesso e lo scambio di informazioni richiesti ai sensi dell’art. 3, par. 4.

Lettera h): prevedere, ai sensi dell’art. 3, par. 4, della decisione quadro, che quando le informazioni o l’intelligence richieste da altro Stato membro siano correlate a un procedimento penale, la trasmissione delle stesse da parte dell’autorità nazionale richiesta sia subordinata all’autorizzazione dell’autorità giudiziaria procedente.

Lettera i): prevedere che autorizzazione analoga a quella prevista dalla lettera h) sia richiesta nei casi in cui l’autorità nazionale competente intenda procedere a uno scambio spontaneo di informazioni e di intelligence con le autorità competenti di altro Stato membro, ai sensi dell’art. 7 della decisione quadro, quando esse siano correlate a un procedimento penale.

L’art. 7 della decisione quadro stabilisce che le autorità competenti, senza che sia necessaria alcuna richiesta preventiva, forniscono alle autorità di altri Stati membri interessati le informazioni e l’intelligence pertinenti qualora sussistano ragioni di fatto per ritenere che dette informazioni e intelligence possano contribuire all’individuazione, alla prevenzione o all’indagine riguardanti i reati di cui all’art. 2, par. 2, della decisione quadro 2002/584/GAI. Le modalità di questo scambio spontaneo sono disciplinate dalla legislazione nazionale dello Stato membro che fornisce le informazioni. Le informazioni e l’intelligence fornite si limitano a quanto ritenuto utile è necessario per l’individuazione, la prevenzione o l’indagine sui reati o le attività criminali in questione.

Ai sensi del comma 2, alle attività previste dal comma 1 si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

 


Art. 46

 

(Principi e criteri direttivi di attuazione della decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea)

 

 


1. Il Governo adotta il decreto legislativo recante le norme occorrenti per dare attuazione alla decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali stabiliti dalle disposizioni di cui all’articolo 2, comma 1, lettere a), e), f) e g), nonché nel rispetto delle disposizioni previste dalla decisione quadro medesima e sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi, realizzando il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti:

a) introdurre una o più disposizioni in base alle quali è consentito all’autorità giudiziaria italiana, anche su richiesta della persona condannata ovvero dello Stato di esecuzione, che abbia emesso una sentenza penale di condanna definitiva, di trasmetterla, unitamente a un certificato conforme al modello allegato alla decisione quadro e con qualsiasi mezzo che lasci una traccia scritta in condizioni che consentano allo Stato di esecuzione di accertarne l’autenticità, all’autorità competente di un altro Stato membro dell’Unione europea, ai fini della sua esecuzione in quello Stato, alle seguenti condizioni:

1) che l’esecuzione sia finalizzata a favorire il reinserimento sociale della persona condannata;

2) che la persona condannata si trovi sul territorio dello Stato italiano o in quello dello Stato di esecuzione;

3) che la persona condannata, debitamente informata in una lingua che essa comprende, abbia prestato, in forme idonee a rendere certa la manifestazione di volontà, il proprio consenso al trasferimento, salvi i casi nei quali il consenso non è richiesto ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, della decisione quadro;

4) che il reato per il quale la persona è stata condannata sia punito in Italia con una pena detentiva della durata massima non inferiore a tre anni, sola o congiunta a una pena pecuniaria, o con una misura di sicurezza privativa della libertà personale della medesima durata;

5) che lo Stato di esecuzione rientri tra quelli verso i quali, alla data di emissione della sentenza, la decisione quadro consente il trasferimento ai sensi dell’articolo 6 della decisione quadro;

b) introdurre una o più disposizioni in base alle quali prevedere la possibilità per l’autorità giudiziaria italiana di riconoscere, ai fini della sua esecuzione nello Stato, una sentenza penale di condanna definitiva trasmessa, unitamente a un certificato conforme al modello allegato alla decisione quadro, dall’autorità competente di un altro Stato membro dell’Unione europea, alle medesime condizioni indicate alla lettera a), nonché alle seguenti:

1) che il reato per il quale la persona è stata condannata sia punito in Italia con una pena detentiva della durata massima non inferiore a tre anni, sola o congiunta a una pena pecuniaria, e sia riconducibile a una delle ipotesi elencate nell’articolo 7, paragrafo 1, della decisione quadro, indipendentemente dalla doppia incriminazione;

2) che, fuori dalle ipotesi elencate nell’articolo 7, paragrafo 1, della decisione quadro, il fatto per il quale la persona è stata condannata nello Stato membro di emissione costituisca reato anche ai sensi della legge italiana, indipendentemente dagli elementi costitutivi del reato e dalla sua qualificazione giuridica;

3) che la durata e la natura della pena inflitta nello Stato di emissione siano compatibili con la legislazione italiana, salva la possibilità di suo adattamento nei limiti stabiliti dall’articolo 8 della decisione quadro;

c) prevedere i motivi di rifiuto di riconoscimento e di esecuzione della sentenza di condanna definitiva trasmessa da un altro Stato membro ai sensi della lettera b), individuando i motivi tra quelli indicati all’articolo 9 della decisione quadro e con le procedure ivi descritte, ferma la possibilità di dare riconoscimento ed esecuzione parziali alla sentenza trasmessa, nonché di acconsentire a una nuova trasmissione della sentenza, in caso di incompletezza del certificato o di sua manifesta difformità rispetto alla sentenza, ai sensi degli articoli 10 e 11 della decisione quadro;

d) introdurre una o più disposizioni relative al procedimento di riconoscimento di cui alla lettera b), con riferimento all’autorità giudiziaria competente, ai termini e alle forme da osservare, nel rispetto dei princìpi del giusto processo;

e) prevedere che, a meno che non esista un motivo di rinvio a norma dell’articolo 11 o dell’articolo 23, paragrafo 3, della decisione quadro, la decisione definitiva sul riconoscimento della sentenza e sull’esecuzione della pena sia comunque presa entro novanta giorni dal ricevimento della sentenza e del certificato;

f) prevedere che nel procedimento di riconoscimento di cui alla lettera b), su richiesta dello Stato di emissione l’autorità giudiziaria italiana possa adottare nei confronti della persona condannata che si trovi sul territorio dello Stato misure cautelari provvisorie, anche a seguito dell’arresto di cui alla lettera i), allo scopo di assicurare la sua permanenza nel territorio e in attesa del riconoscimento della sentenza emessa da un altro Stato membro;

g) prevedere, in relazione alle misure cautelari provvisorie di cui alla lettera f):

1) che esse possano essere adottate alle condizioni previste dalla legislazione italiana vigente per l’applicazione delle misure cautelari e che la loro durata non possa superare i limiti previsti dalla medesima legislazione;

2) che il periodo di detenzione per tale motivo non possa determinare un aumento della pena inflitta dallo Stato di emissione;

3) che esse perdano efficacia in caso di mancato riconoscimento della sentenza trasmessa dallo Stato di emissione e in ogni caso decorsi sessanta giorni dalla loro esecuzione, salva la possibilità di prorogare il termine di trenta giorni in caso di forza maggiore;

h) prevedere che la polizia giudiziaria possa procedere all’arresto provvisorio della persona condannata per la quale vi sia una richiesta di riconoscimento ai sensi della lettera b), allo scopo di assicurare la sua permanenza nel territorio e in attesa del riconoscimento della sentenza emessa da un altro Stato membro;

i) prevedere, in caso di arresto provvisorio, che la persona arrestata sia messa immediatamente, e, comunque, non oltre ventiquattro ore, a disposizione dell’autorità giudiziaria, che questa proceda al giudizio di convalida entro quarantotto ore dalla ricezione del verbale d’arresto e che, in caso di mancata convalida, la persona arrestata sia immediatamente posta in libertà;

l) introdurre una o più disposizioni relative al trasferimento e alla presa in consegna della persona condannata a seguito del riconoscimento, nelle ipotesi di cui alle lettere a) e b);

m) introdurre una o più disposizioni relative al procedimento di esecuzione della pena a seguito del riconoscimento di cui alla lettera b), anche con riferimento all’ipotesi di mancata o parziale esecuzione e ai benefici di cui la persona condannata può godere in base alla legislazione italiana, nel rispetto degli obblighi di consultazione e informazione di cui agli articoli 17, 20 e 21 della decisione quadro;

n) introdurre una o più disposizioni relative alle condizioni e ai presupposti per la concessione della liberazione anticipata o condizionale, dell’amnistia, della grazia o della revisione della sentenza, ai sensi degli articoli 17 e 19 della decisione quadro;

o) introdurre una o più disposizioni relative all’applicazione del principio di specialità, in base alle quali la persona trasferita in Italia per l’esecuzione della pena non può essere perseguita, condannata o altrimenti privata della libertà personale per un reato commesso in data anteriore al trasferimento di cui alla lettera b), diverso da quello per cui ha avuto luogo il trasferimento, facendo espressamente salve le ipotesi previste dall’articolo 18, paragrafo 2, della decisione quadro;

p) introdurre una o più disposizioni relative al transito sul territorio italiano della persona condannata in uno Stato membro, in vista dell’esecuzione della pena in un altro Stato membro, nel rispetto dei criteri di rapidità, sicurezza e tracciabilità del transito, con facoltà di trattenere in custodia la persona condannata per il tempo strettamente necessario al transito medesimo e nel rispetto di quanto previsto alle lettere g), h), i) ed l);

q) introdurre una o più disposizioni relative al tipo e alle modalità di trasmissione delle informazioni che devono essere fornite dall’autorità giudiziaria italiana nel procedimento di trasferimento attivo e passivo.

2. I compiti e le attività previsti dalla decisione quadro di cui al comma 1 in relazione ai rapporti con autorità straniere sono svolti da organi di autorità amministrative e giudiziarie esistenti, nei limiti delle risorse di cui le stesse già dispongono, senza oneri aggiuntivi a carico dello Stato.


 

 

L’articolo 46, inserito durante l’esame al Senato, fornisce i principi e criteri direttivi della delega per il recepimento della decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea.

La decisione quadro si fonda sul principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali e sulla fiducia reciproca degli Stati membri nei rispettivi ordinamenti giuridici. Secondo l’articolo 3, la finalità della decisione quadro è stabilire le norme in base alle quali uno Stato membro, al fine di favorire il reinserimento sociale della persona condannata, debba riconoscere una sentenza emessa in un altro Stato membro ed eseguire la pena. Peraltro, la decisione quadro si applica solo al riconoscimento delle sentenze e all’esecuzione delle pene. Il riconoscimento e l’esecuzione di sanzioni pecuniarie e/o di decisioni di confisca in un altro Stato membro, eventualmente irrogate oltre alla pena, sono disciplinati dagli strumenti applicabili tra gli Stati membri, in particolare la decisione quadro 2005/214/GAI del Consiglio, del 24 febbraio 2005, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie, e la decisione quadro 2006/783/GAI del Consiglio, del 6 ottobre 2006, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni di confisca. Il termine per provvedere al recepimento della decisione quadro 2008/909/GAI è fissato dall’articolo 29 della stessa decisione quadro al 5 dicembre 2011.

Sulla base dell’articolo 43, comma 1, il termine per l’esercizio della delega è di 12 mesi dall’entrata in vigore della legge comunitaria.

Il comma 1 della disposizione in esame individua i principi e criteri direttivi per l’attuazione della decisione quadro, richiamando anche quelli generali stabiliti dall’art. 2, comma 1, lettere a), e), f) e g), del disegno di legge comunitaria, nonché genericamente le disposizioni previste dalla decisione quadro medesima.

Con la lettera a) si prevede l’introduzione di norme che consentano al giudice italiano che ha pronunciato sentenza penale di condanna irrevocabile di trasmetterla (con un certificato conforme al modello allegato alla decisione quadro) all’autorità competente di altro Stato dell’Unione europea ai fini del riconoscimento e dell’esecuzione in quello Stato. Ciò in presenza, tuttavia, delle specifiche condizioni indicate dalla decisione quadro, ovvero: che la persona condannata presti il suo consenso (ove necessario) e si trovi sul territorio italiano o su quello dello Stato di esecuzione; che la condanna sia stata emessa per un reato punibile in Italia con reclusione di durata massima di almeno 3 anni o con misura di sicurezza di pari durata; che lo Stato di esecuzione sia tra quelli per cui la decisione quadro consente il trasferimento. La richiesta di trasferimento può essere avanzata anche dal condannato e dall’autorità dello Stato di esecuzione.

La lettera b) provvede a dettare i principi e criteri direttivi di delega con riferimento alla fattispecie inversa ovvero la condanna emessa in uno Stato membro dell’Unione europea che può essere trasmessa, unitamente al certificato conforme al modello allegato alla decisione quadro, all’autorità giudiziaria italiana al fine del riconoscimento e dell’esecuzione. Oltre alle condizioni sopraindicate di cui alla lett. a) per il trasferimento in Italia del condannato sono state inserite altre specifiche condizioni riprese dalle previsioni della decisione quadro.

La lettera c) riguarda l’individuazione da parte del legislatore delegato dei motivi del rifiuto di riconoscimento o di esecuzione della sentenza di condanna trasmessa da un altro Stato membro. Tali motivi sono contenuti nell’art. 9 della decisione quadro e riprendono, anche in tal caso e in larga parte, i motivi di rifiuto di esecuzione di un mandato di arresto europeo. La lettera c) lascia ferma la possibilità di dare riconoscimento ed esecuzione parziali alla sentenza trasmessa, ai sensi dell’art. 10 della decisione quadro, nonché di acconsentire a una nuova trasmissione della sentenza, in caso di incompletezza del certificato o di sua manifesta difformità rispetto alla sentenza, ai sensi dell’art. 11 della decisione quadro.

Con la lettera d) si prevede che nell’esercizio della delega relativa al procedimento di riconoscimento ed esecuzione in Italia delle sentenze emesse da autorità giudiziarie siano individuati l’autorità giudiziaria competente nonché i termini e le forme da osservare, nel rispetto dei principi del giusto processo.

La lettera e), riprendendo in maniera pressoché testuale il testo dell’art. 12, par. 2, della decisione quadro, fissa il termine di 90 giorni, decorrenti dal ricevimento della sentenza e del certificato, per la decisione definitiva sul riconoscimento e l’esecuzione della pena in Italia.

Con le lettere da f) a i), si forniscono i principi e i criteri direttivi di esercizio della delega in riferimento all’adozione di misure cautelari provvisorie e all’effettuazione dell’arresto della persona condannata di cui si chiede in Italia il riconoscimento e l’esecuzione della sentenza di condanna.

Si intende, in tal modo, dare attuazione a quanto previsto dall’art. 14 della decisione quadro (sull’arresto provvisorio), secondo cui se la persona condannata si trova nello Stato di esecuzione, quest’ultimo può, su richiesta dello Stato di emissione e prima di ricevere la sentenza e il certificato o prima che sia presa la decisione di riconoscere la sentenza ed eseguire la pena, arrestare la persona condannata o adottare qualsiasi altro provvedimento per assicurare che essa resti nel suo territorio, in attesa di una decisione di riconoscimento della sentenza e di esecuzione della pena. La durata della pena non è aumentata per effetto di un periodo di detenzione scontato in virtù della presente norma.

Mentre la lettera f) stabilisce, in generale, la possibile adozione di tali misure, la lettera g) statuisce che: 1) esse possano essere adottate alle condizioni previste dalla legislazione italiana e che la loro durata non possa superare i limiti previsti; 2) il periodo di detenzione per tale motivo non possa determinare un aumento della pena inflitta dallo Stato di emissione; 3) esse perdano efficacia in caso di mancato riconoscimento della sentenza trasmessa dallo Stato di emissione e in ogni caso decorsi 60 giorni dalla loro esecuzione, salva la possibilità di prorogare il termine di trenta giorni in caso di forza maggiore.

La lettera h) prevede che la polizia giudiziaria possa procedere all’arresto provvisorio della persona condannata per la quale vi sia una richiesta di riconoscimento allo scopo di assicurare la sua permanenza nel territorio e in attesa del riconoscimento della sentenza di condanna emessa all’estero.

La lettera i) stabilisce che, in caso di arresto provvisorio, la persona arrestata sia messa immediatamente, e comunque non oltre 24 ore, a disposizione dell’autorità giudiziaria, che questa proceda al giudizio di convalida entro quarantotto ore dalla ricezione del verbale d’arresto e che, in caso di mancata convalida, la persona arrestata sia immediatamente posta in libertà.

Con la lettera l) si dà attuazione all’art. 15 della decisione quadro, prevedendo l’introduzione di una o più disposizioni relative al trasferimento e alla presa in consegna della persona condannata a seguito del riconoscimento, sia nell’ipotesi in cui questo è effettuato da un’autorità giudiziaria europea a seguito della decisione penale di condanna definitiva emessa in Italia, sia nell’ipotesi in cui è l’Italia a dover riconoscere una decisione penale di condanna definitiva emessa in un altro Stato membro.

Con la lettera m) si prevede l’introduzione di una o più disposizioni relative al procedimento di esecuzione della pena a seguito del riconoscimento di cui alla lettera b), anche con riferimento all’ipotesi di mancata o parziale esecuzione e in caso di benefici di cui la persona condannata può godere in base alla legislazione italiana, nel rispetto degli obblighi di consultazione e informazione di cui agli articoli 17, 20 e 21 della decisione quadro.

La lettera n) prevede che siano introdotte una o più disposizioni relative alle condizioni e ai presupposti per la concessione della liberazione anticipata o condizionale, dell’amnistia, della grazia o della revisione della sentenza, ai sensi degli articoli 17 e 19 della decisione quadro.

Secondo l’art. 17 della decisione quadro sono le autorità dello Stato di esecuzione le sole competenti a prendere le decisioni concernenti la liberazione anticipata o condizionale. Per l’art. 19, invece, l’amnistia o la grazia possono essere concesse dallo Stato di emissione, nonché dallo Stato di esecuzione. Solo lo Stato di emissione può decidere sulle domande di revisione della sentenza che irroga la pena da eseguire in virtù della decisione quadro.

La lettera o) demanda al Governo l’introduzione di una o più disposizioni relative all’applicazione del principio di specialità, in base alle quali la persona trasferita in Italia per l’esecuzione della pena non può essere perseguita, condannata o altrimenti privata della libertà personale per un reato commesso in data anteriore al trasferimento dallo Stato (in cui è emessa la sentenza di condanna definitiva) diverso da quello per cui ha avuto luogo il trasferimento, facendo espressamente salve le ipotesi previste dall’art. 18, par. 2, della decisione quadro.

Tali ipotesi ricorrono quando: a) pur avendone avuto la possibilità, la persona non ha lasciato il territorio dello Stato di esecuzione nei 45 giorni successivi alla scarcerazione definitiva oppure vi ha fatto ritorno dopo averlo lasciato; b) il reato non è punibile con una pena detentiva o una misura di sicurezza privativa della libertà personale; c) il procedimento penale non dà luogo all’applicazione di una misura restrittiva della libertà personale; d) la persona condannata sia passibile di una sanzione o misura che non implichi la privazione della libertà personale; e) la persona condannata abbia acconsentito al trasferimento; f) qualora, dopo essere stata trasferita, la persona condannata abbia espressamente rinunciato a beneficiare della regola della specialità riguardo a specifici reati anteriori al suo trasferimento; g) per i casi diversi da quelli menzionati alle lettere da a) ad f), lo Stato di emissione dia il suo consenso in ossequio agli obblighi di consegna previsti dalla decisione quadro sul mandato di arresto europeo.

Con la lettera p) si prescrive l’introduzione di una o più disposizioni relative al transito sul territorio italiano della persona condannata in uno Stato membro, in vista dell’esecuzione della pena in un altro Stato membro, nel rispetto dei criteri di rapidità, sicurezza e tracciabilità del transito, con facoltà di trattenere in custodia la persona condannata per il tempo strettamente necessario al transito medesimo e nel rispetto delle previsioni di cui alle lettere f), g), h), e i).

La lettera q) prevede l’introduzione di una o più disposizioni relative al tipo e alle modalità di trasmissione delle informazioni che devono essere fornite dall’autorità giudiziaria italiana nel procedimento di trasferimento attivo e passivo.

Il comma 2 dell’art. 46 precisa, infine, che i compiti e le attività previsti dalla decisione quadro di cui al comma 1 in relazione ai rapporti con autorità straniere sono svolti da organi di autorità amministrative e giudiziarie esistenti, nei limiti delle risorse di cui le stesse già dispongono, senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato.

 


Schede sulle direttive contenute negli allegati

 


Allegato A

 


Direttiva 2007/47/CE

 

(Dispositivi medici impiantabili)

 

 

La direttiva 2007/47/CE, composta da sei articoli e da due allegati, modifica la direttiva 93/42/CEE del Consiglio concernente i dispositivi medici in genere, la   direttiva 90/385/CEE del Consiglio per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai dispositivi medici impiantabili attivi e la direttiva 98/8/CE relativa all’immissione sul mercato dei biocidi.

Le tre tipologie di dispositivi medici[165] esistenti sono regolamentati dalle seguenti direttive:

·       direttiva 93/42/CEE, recepita con il decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 46, per i dispositivi medici;

·       direttiva 90/385/CEE, recepita con il decreto legislativo 14 dicembre 1992, n. 507, che disciplina i dispositivi medici impiantabili attivi[166];

·       direttiva 98/79/CE, recepita con il decreto legislativo 8 settembre 2000, n.332, per i dispositivi diagnostici in vitro[167].

Per quanto riguarda le principali innovazioni apportate alla direttiva 93/42/CEE e conseguentemente -  al fine di garantire coerenza sotto il profilo interpretativo e attuativo, in particolare, in tema di disciplina sulla figura del mandatario, sulla banca dati europea, in tema di misure per la tutela della salute, sulla distinzione tra dispositivi medici e derivati del sangue ed impiego dei farmaci - alla direttiva 90/385/CEE, le norme in esame intervengono in genere nella disciplina riguardante la denominazione, la classificazione, gli obblighi per la produzione, l’applicazione medica, la valutazione dei rischi e la cooperazione tra Stati, per aggiornare le disposizioni vigenti dei dispositivi medici. In particolare, è stabilito:

·       che un software è un dispositivo medico quando è specificamente destinato dal fabbricante ad essere impiegato per una o più delle finalità mediche stabilite nella definizione di dispositivo medico (articolo 1);

·       che una valutazione clinica è di norma richiesta per tutti i dispositivi indipendentemente dalla loro classificazione (allegato I);

·       che siano inseriti nella banca dati europea i dati sulle indagini cliniche (articolo 14 bis);

·       che il fabbricante possa essere identificato e che sia indicata la dizione monouso per il dispositivo medico relativo (allegato I)

·       che la valutazione clinica e il relativo esito sono contenuti dalla documentazione tecnica del dispositivo medico e attivamente aggiornati con dati derivanti dalla sorveglianza post-vendita (allegato X);

·       che la marcatura CE, presente su tutti i dispositivi tranne quelli  su misura e destinati alle indagini cliniche (articoli 4 e17), è apposta dal fabbricante con una dichiarazione scritta di conformità,  che tra l’altro deve tenere a disposizione delle autorità nazionali per almeno cinque anni e, nel caso di dispositivi impiantabili, per almeno quindici anni dalla data di fabbricazione dell’ultimo prodotto (allegato VI);

·       che qualsiasi dispositivo destinato a somministrare un medicinale ai sensi dell’articolo 1 della direttiva 2001/83/CE[168] è soggetto alla presente direttiva, fatte salve le disposizioni della direttiva 2001/83/CE relative al medicinale; tuttavia, un dispositivo di questo tipo è immesso in commercio in modo che il dispositivo ed il medicinale siano integralmente uniti in un solo prodotto destinato ad essere utilizzato esclusivamente in tale associazione e non riutilizzabile, tale prodotto viene disciplinato dalla direttiva 2001/83/CE (articolo 1);

·       la direttiva 93/42/CE non si applica ai medicinali soggetti della direttiva 2001/83/CE e al sangue umano, ai prodotti derivati dal sangue umano, al plasma umano o alle cellule ematiche di origine umana, o ai dispositivi che, al momento dell'immissione in commercio, contengono simili prodotti derivati dal sangue, dal plasma o dalle cellule ematiche (articolo 1);  

·       che l’indebita marcatura CE o l’assenza della stessa comporta per il fabbricante o il suo mandatario l’obbligo di far cessare l’infrazione alle condizioni fissate dallo Stato membro (articolo 18);

·       che gli Stati membri cooperino tra loro e con la Commissione per consentire l’applicazione uniforme delle norme previste (articolo 18 bis).

Per quanto concerne la direttiva 98/8/CE, relativa all’immissione sul mercato dei biocidi[169] e recepita con il decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 174, la modifica disposta dall'articolo 3 della direttiva in esame inserisce i dispositivi medico-diagnostici in vitro, disciplinati dalla citata direttiva 98/79/CE, tra i prodotti definiti o che rientrano nel campo d'applicazione delle direttive escluse dall’applicazione delle norme riguardanti i biocidi.

Il termine per la pubblicazione delle suddette norme di recepimento della direttiva 2007/47/CE è fissato al 21 dicembre 2008, mentre l'entrata in vigore delle stesse deve decorrere dal 21 marzo 2010 (articolo 4).


Direttiva 2007/60/CE

 

(Valutazione e gestione dei rischi di alluvioni )

 

 

L’obiettivo della direttiva 2007/60/CE, strutturata in 19 articoli e un allegato, è quello di istituire un quadro comune per la valutazione e la gestione dei rischi di alluvioni volto a ridurre le conseguenze negative per la salute umana, l’ambiente, il patrimonio culturale e le attività economiche e le infrastrutture, connesse con le alluvioni (art. 1).

Nell’ordinamento nazionale, il recepimento della direttiva consentirebbe di rafforzare la fase della prevenzione delle alluvioni attraverso una serie di azioni complesse che riguardano la preparazione agli eventi critici, l’informazione preventiva, il coinvolgimento del pubblico per una più diffusa consapevolezza del rischio, fino alla definizione di buone pratiche di pianificazione e uso del territorio che non portino ad appesantirne la vulnerabilità con ulteriori insediamenti nelle zone esposte al rischio[170].

Tra l’altro l’Italia, come risulta dall’Annuario dei dati ambientali 2007 dell’APAT (ora ISPRA)[171], è uno dei Paesi europei maggiormente colpiti da disastri naturali, dei quali frane, valanghe, alluvioni e processi erosivi rappresentano eventi estremamente frequenti che hanno causato non solo un considerevole numero di vittime, ma anche ingentissimi danni in tutto il Paese.

I principali presupposti del provvedimento, come si può evincere dai «considerando» possono essere individuati nelle seguenti proposizioni:

§      sebbene gli eventi alluvionali siano sostanzialmente imprevedibili, è tuttavia possibile intervenire sui fattori antropici che tendono a dilatarne i negativi effetti e/o a incrementarne i rischi di effettivo accadimento;

§      per la migliore efficacia delle misure adottate è necessario un coordinamento, quanto meno, a livello di bacino idrografico;

§      tenuto conto della diversità di condizioni territoriali e insediative delle zone potenzialmente esposte al rischio di alluvioni, gli obiettivi per la gestione dei rischi di alluvioni dovrebbero essere stabiliti dai singoli Stati membri, tenendo conto delle condizioni locali e regionali.

La direttiva definisce, pertanto, all’art. 2, come «alluvione» l’allagamento temporaneo di aree che abitualmente non sono coperte d’acqua, includendovi le inondazioni causate da fiumi, torrenti di montagna, corsi d’acqua temporanei mediterranei, e le inondazioni marine delle zone costiere ed, escludendo, eventualmente, gli allagamenti causati dagli impianti fognari. Per «rischio di alluvioni» è da intendersi la combinazione della probabilità di un evento alluvionale e delle potenziali conseguenze negative per la salute umana, l’ambiente, il patrimonio culturale e l’attività economica derivanti da tale evento.

L’unità territoriale di riferimento per la gestione del rischio di alluvioni è rappresentata dal «distretto idrografico», al fine di assicurare che le misure previste a livello di singolo bacino idrografico non finiscano per trasferire i fattori di rischio da un bacino ad un altro, prevedendo (art. 3) l’applicazione delle disposizioni della direttiva acque (dir.2000/60/CE) per quanto riguarda la delimitazione dei bacini, la loro assegnazione ad unità territoriali di rango superiore (i «distretti idrografici») e l’individuazione dei livelli di responsabilità per la gestione e valutazione del rischio alluvioni, nonché la competenza a dar corso agli adempimenti e misure previsti, ferma restando la facoltà di ciascuno Stato membro di:

§      nominare autorità competenti diverse da quelle individuate dalla direttiva acque;

§      assegnare talune zone costiere o singoli bacini idrografici ad «unità di gestione» diverse da quelle conseguenti all’applicazione della citata direttiva.

Si ricorda che la direttiva 2000/62/CE (cd. “direttiva quadro sulle acque”) ha introdotto l’obbligo di elaborazione dei piani di gestione dei bacini idrografici per tutti i distretti idrografici al fine di realizzare un buono stato ecologico e chimico delle acque, contribuendo a mitigare gli effetti delle alluvioni, ma non ha previsto, tra i suoi obiettivi principali, la riduzione del rischio di alluvioni. Tale direttiva è stata recepita con il d.lgs. n. 152/2006 che ha previsto, tra l’altro, la soppressione delle vecchie autorità di bacino e l’istituzione di otto distretti idrografici che coprono l’intero territorio nazionale, ciascuno con una propria autorità di bacino distrettuale[172]. Occorre, però, segnalare che malgrado la loro istituzione le norme relative ai distretti idrografici (artt. 63, 64 e 65 del d.lgs. n. 152) sono tuttora non operative.

Gli adempimenti previsti

Gli Stati membri sono tenuti, ai sensi dell’art. 4, a completare entro il 22 dicembre 2011, una valutazione preliminare del rischio di alluvioni per ogni singolo distretto idrografico (o parte di un distretto idrografico internazionale situato nel loro territorio). Tale valutazione deve riguardare una stima delle potenziali ricadute negative di future alluvioni sulla base delle informazioni disponibili, fermi restando un contenuto obbligatorio recante:

§      la descrizione delle alluvioni significative avvenute in passato;

§      la mappa in scala del distretto idrografico, comprensiva dei bacini idrografici, sottobacini e, laddove esistono, delle zone costiere;

§      una valutazione delle potenziali conseguenze negative di future alluvioni per la salute umana, l’ambiente e la società interessata.

Sulla base alla valutazione preliminare del rischio di alluvioni, le autorità competenti dovranno individuare, per ciascun distretto idrografico, le zone per le quali esiste un rischio potenziale significativo di alluvioni o si possa ritenere probabile che questo si concretizzi (art. 5).

Relativamente a tali ultime zone, le autorità competenti dovranno poi elaborare ed ultimare, entro il 22 dicembre 2013, mappe della pericolosità da alluvione e mappe del rischio di alluvioni (art. 6), con successiva revisione ogni sei anni.

Le mappe della pericolosità da alluvione dovranno necessariamente contenere la perimetrazione delle aree geografiche che potrebbero essere interessate da alluvioni prevedendo una serie di scenari quali la scarsa, media o alta probabilità di alluvioni.

Inoltre, per ciascuno di tali scenari, dovranno essere indicati una serie di elementi tra i quali la portata della piena, la profondità ed il livello delle acque e, se opportuno, la velocità del flusso d’acqua considerato.

In alcuni casi - per le zone costiere in cui esiste un adeguato livello di protezione o per le zone in cui le inondazioni sono causate dalle acque sotterranee – gli Stati membri possono decidere di limitare l’elaborazione di mappe della pericolosità da alluvione allo scenario relativo alla scarsa probabilità di alluvioni.

Le mappe del rischio di alluvioni indicano, invece, le potenziali conseguenze negative derivanti dalle alluvioni nell’ambito degli scenari sopra previsti ed espresse in termini di:

a) numero indicativo degli abitanti potenzialmente interessati;

b) tipo di attività economiche presenti sull’area potenzialmente interessata;

c) impianti IPPC che potrebbero provocare inquinamento accidentale in caso di alluvione e aree protette potenzialmente interessate;

d) altre informazioni considerate utili dagli Stati membri.

Entro i due anni successivi alla mappatura, vale a dire entro il 22 dicembre 2015, gli Stati membri dovranno ultimare e pubblicare appositi piani di gestione del rischio di alluvione coordinati a livello di distretto idrografico (o di unità di gestione prescelta in alternativa), prendendo in considerazione, in particolare, misure in grado contribuire al raggiungimento degli obiettivi stabiliti dall’autorità competente e alla riduzione delle potenziali conseguenze negative degli eventi alluvionali sulla salute umana, sull’ambiente, e sulle attività economiche, nonché azioni per la riduzione della probabilità di inondazione (art. 7, paragrafi 1 e 2).

Le disposizioni riguardanti i contenuti di tali piani, essendo la fissazione dei relativi obiettivi integralmente demandata alla discrezionalità degli Stati membri, si limitano ad indicare le direttrici prioritarie, come la prevenzione, la protezione e la preparazione, comprese le previsioni di alluvioni e i sistemi di allertamento.

Più stringenti risultano essere le disposizioni sulla struttura dei piani di gestione del rischio che devono contenere una serie di elementi indicati nell’allegato, parte A, alla direttiva.

I successivi aggiornamenti dei piani di gestione, che secondo quanto disposto dall’art. 14 devono intervenire ogni sei anni - e la prima volta non oltre il 22 dicembre 2021 - devono contenere anche gli elementi indicati anche nell’allegato, parte B (art. 14, par. 3).

 

Articolo

Misure da adottare

Scadenze

Art. 4

valutazione preliminare del rischio alluvioni

entro il 22 dicembre 2011

Art. 6

mappe della pericolosità da alluvione e mappe del rischio alluvioni

entro il 22 dicembre 2013

Art. 7

piani di gestione del rischio alluvione

entro il 22 dicembre 2015

 

Per i distretti idrografici che ricadono interamente nel loro territorio, gli Stati membri garantiscono che venga predisposto un unico piano di gestione del rischio di alluvioni oppure una serie di piani di gestione del rischio di alluvioni coordinati a livello di distretto idrografico (art. 8). Qualora i distretti idrografici internazionali ricadano interamente nel territorio della Comunità, gli Stati membri garantiscono il coordinamento delle attività di monitoraggio, al fine di predisporre un unico piano internazionale di gestione del rischio o una serie di piani di gestione del rischio di alluvioni coordinati a livello di distretto idrografico internazionale.

Uno Stato membro può anche ricorrere alla Commissione, nel caso in cui non sia in grado di risolvere in modo autonomo un problema inerente alla gestione dei rischi di alluvione. In tal caso la Commissione, avvalendosi delle relazioni e delle raccomandazioni degli altri Stati membri, dovrebbe, entro sei mesi, giungere alla soluzione della questione.

Vengono poi previste, all’art. 9, misure appropriate per coordinare le disposizioni della direttiva in esame con quelle della direttiva 2000/60/CE mirando a migliorare l’efficacia, lo scambio di informazioni ed a realizzare sinergie e vantaggi comuni.

Fino dalla fase relativa alla predisposizione delle mappe della pericolosità e del rischio di alluvioni si dovrà, infatti, garantire la coerenza con le informazioni da produrre ai sensi della direttiva quadro sulle acque, tanto che gli aggiornamenti potranno intervenire nell’ambito dei periodici riesami delle caratteristiche dei distretti idrografici, degli impatti connessi alle attività umane e delle analisi economiche relative agli utilizzi delle acque, da eseguire ai sensi dell’art. 5 par. 2 della direttiva quadro. Analoghe disposizioni valgono per la dimensione pianificatoria, prescrivendosi infatti che l’elaborazione dei primi piani di gestione del rischio di alluvioni e i successivi riesami siano effettuati «in coordinamento» con i riesami dei piani di gestione dei bacini idrografici di cui all’art. 13, par. 7 della direttiva quadro, fino ad ammettere l’integrazione nei medesimi.

Infine, la partecipazione attiva di tutte le parti interessate, prevista dall’art. 10 della direttiva dovrà essere coordinata, se opportuno, con l’art. 14 della direttiva 2000/60/CE relativo alle procedure di informazione e consultazione pubblica.

L’art. 10 prevede, infatti, che gli Stati membri mettano a disposizione del pubblico la valutazione preliminare del rischio di alluvioni, le mappe della pericolosità e del rischio di alluvioni e i piani di gestione del rischio di alluvioni, promuovendo la partecipazione attiva delle parti interessate all’elaborazione, al riesame e all’aggiornamento dei piani di gestione del rischio di alluvioni.

La direttiva reca anche una serie di disposizioni transitorie (art. 13) che prevedono che gli Stati possano:

§       non svolgere la valutazione preliminare del rischio se hanno già effettuato una valutazione del rischio che li porta alla conclusione, prima del 22 dicembre 2010, che esista un potenziale rischio significativo di alluvioni o che si possa ritenere probabile che questo si generi, oppure deciso, sempre prima del 22 dicembre 2010, di elaborare mappe della pericolosità e del rischio di alluvioni e di stabilire piani di gestione del rischio di alluvioni conformemente alle pertinenti disposizioni della presente direttiva;

§       decidere di avvalersi di mappe della pericolosità e del rischio di alluvioni completate prima del 22 dicembre 2010, se tali mappe forniscono un livello di informazioni equivalente ai requisiti previsti dall’articolo 6 della direttiva;

§       decidere di avvalersi di piani di gestione del rischio di alluvioni completati prima del 22 dicembre 2010, purché il contenuto di tali piani sia equivalente a quello previsto dall’articolo 7 della direttiva.

Tali disposizioni si applicano fatto salvo l’articolo 14 relativo ai riesami e agli aggiornamenti delle misure previste dalla presente direttiva per ridurre il rischio di alluvioni.

 

Misure previste

Riesame e, del caso, primo aggiornamento

Aggiornamenti successivi

valutazione preliminare del rischio alluvioni (art. 4)

entro il 22 dicembre 2018

ogni sei anni

mappe della pericolosità da alluvione e del rischio alluvioni (art. 6)

entro il 22 dicembre 2019

ogni sei anni

Piano/piani di gestione del rischio alluvioni (art. 7)

entro il 22 dicembre 2021

ogni sei anni

La direttiva dispone, inoltre, all’art. 16, che la Commissione sia tenuta a presentare al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull’attuazione della direttiva entro il 22 dicembre 2018 e successivamente ogni sei anni, tenendo conto degli impatti dei cambiamenti climatici.

Gli Stati membri sono tenuti a recepire la direttiva 2007/60/CE entro il 26 novembre 2009.

La direttiva reca anche un allegato ove sono indicati gli elementi che devono essere contenuti nel primo piano di gestione del rischio di alluvioni (lettera A) e nei successivi aggiornamenti (lettera B).

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 23 febbraio 2009 la Commissione ha presentato una comunicazione relativa a un approccio comunitario per ridurre l’impatto delle catastrofi d’origine naturale e umana (COM(2009)82), inteso a proporre un quadro politico-strategico che consenta di rafforzare, a livello europeo, i legami tra le attività di prevenzione, preparazione, risposta e ripristino al verificarsi di tali calamità.

La comunicazione fa parte di un pacchetto di proposte volto a ridurre il rischio delle catastrofi all’interno dell’UE ed oltre i suoi confini, e a integrare le iniziative in materia di cambiamento climatico.


Direttiva 2007/63/CE

 

(Relazione di un esperto in occasione di fusione o scissione di società per azioni )

 

 

La direttiva 2007/63/CE reca disposizioni che esentano dall’obbligo di fare esaminare a un esperto indipendente il progetto di fusione o scissione di una società per azioni, nonché di fare elaborare dal medesimo un’apposita relazione, in occasione dei suddetti processi di trasformazione societari; tale esenzione opera ove vi sia l’accordo di tutti gli azionisti e dei detentori di altri titoli che conferiscono il diritto di voto nella società.

Come evidenziato nei considerando della direttiva medesima, la legislazione europea in materia societaria si orienta verso la riduzione degli oneri amministrativi imposti alle imprese al fine di migliorarne la competitività e conseguire gli obiettivi prefissati dalla strategia di Lisbona.

L’esenzione dall’obbligo di esame del progetto e di redazione di un’apposita relazione da parte di un esperto indipendente, ove vi sia l’accordo di tutti gli azionisti, è stato previsto nella direttiva 2005/56/CE sulle fusioni transfrontaliere di società di capitali (recepita, in Italia, dal d.lgs. 30 maggio 2008, n. 108). Prima delle modifiche introdotte dalla direttiva 2007/63/CE, nell’ipotesi di scissione di una SpA (dir. 82/891/CEE) era lasciata alla discrezionalità degli Stati membri la possibilità di consentire tale esenzione; tale possibilità non era invece contemplata dalla normativa europea in tema di fusioni (dir. 78/855 CEE).

A tal fine, la direttiva in esame (articoli 2 e 3) modifica le citate direttive 82/891/CEE e 78/855CEE - in tema, rispettivamente, di scissione e fusione di SpA - prescrivendo che non occorrano né l’esame del progetto di fusione o scissione, né la relazione di un esperto, qualora così decidano tutti gli azionisti delle società partecipanti alla fusione o alla scissione, nonché tutti i detentori di titoli che conferiscono il diritto di voto in tali società.

Per quanto concerne le scissioni, l’articolo 3, par. 2, lascia liberi gli Stati membri anche di consentire che, in presenza dell’accordo di tutti gli azionisti, non si faccia luogo alla relazione redatta dagli organi di amministrazione o di direzione delle società partecipanti, nella quale si illustra e giustifica il progetto di scissione.

Ugualmente, è lasciato alla discrezionalità degli Stati membri di consentire, alle medesime condizioni di accordo, che non sia predisposta la situazione contabile societaria, ovvero  le relazioni degli organi di amministrazione o di direzione delle società partecipanti alla scissione.

L’articolo 4 della direttiva in esame fissa il termine di recepimento al 31 dicembre 2008.

Procedure di contenzioso

Il 20 gennaio 2009 la Commissione europea ha inviato una lettera di messa in mora all’Italia (procedura n. 2009/0068) per non aver comunicato le misure di recepimento della direttiva 2007/63/CE riguardante l’obbligo di far elaborare da un esperto indipendente una relazione in occasione di una fusione o di una scissione di società per azioni.

 


Direttiva 2008/5/CE

 

(Indicazioni obbligatorie sulle etichette di prodotti alimentari)

 

 

La direttiva 2008/5/CE razionalizza la normativa in materia di etichettatura di prodotti alimentari che al fine di garantire un’informazione adeguata al consumatore stabilisce che per determinati prodotti alimentari occorrano indicazioni obbligatorie aggiuntive rispetto a quelle previste dall’articolo 3 della Direttiva 2000/13/CE.

Tali norme, adottate una prima volta con la Direttiva 94/54/CE, sono state successivamente modificate in modo sostanziale a più riprese ed hanno pertanto indotto la Commissione, per motivi di razionalità e chiarezza, a procedere alla codificazione [173]delle disposizioni abrogando contestualmente gli atti precedenti, fatti salvi gli obblighi degli Stati membri relativi alla loro attuazione entro i termini precedentemente stabiliti, ribaditi nell’allegato II, parte B, della nuova Direttiva 2008/5/CE.

In particolare la Direttiva 2008/5/CE, che con l’allegato I elenca le tipologie di prodotti alimentari indicando le indicazioni obbligatorie supplementari da apporre, disciplina i gas d’imballaggio impiegati per la confezione di taluni prodotti alimentari, gli edulcoranti, e l’acido glicirrizico o il suo sale di ammonio, comunemente chiamati liquirizia, stabilendo in particolare che:

§      i gas d’imballaggio non possono essere considerati ingredienti e non debbono comparire in etichetta in tale veste, tuttavia sull’etichetta dei prodotti la cui durata sia stata prolungata con l’uso di tali gas deve apparire l’indicazione “confezionato in atmosfera protettiva”, affinché il consumatore sia comunque edotto del loro impiego;

§      riguardo agli edulcoranti, l’etichetta dovrà riportare un'indicazione che faccia risaltare la loro presenza;

§      per la liquirizia – indicata con il termine più popolare allo scopo di agevolare la comprensione da parte del consumatore - in caso di elevata concentrazione l’etichetta dovrà dissuadere da un consumo eccessivo i consumatori, in particolare quelli affetti da ipertensione.

Si ricorda che la direttiva 2000/13/CE, che disciplina l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari preimballati destinati ad essere consegnati in tale stato al consumatore finale, ovvero ai ristoranti, agli ospedali o ad altre collettività simili, prescrive (art. 3) che sull’etichetta figurino obbligatoriamente, tra le altre, la denominazione di vendita, l'elenco e la quantità degli ingredienti, i possibili allergeni (prodotti che possono provocare reazioni indesiderate di cui all’allegato III bis), termine minimo di conservazione o data di scadenza e le condizioni di conservazione.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Si veda il paragrafo Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE relativo all’art. 7.

 


Direttiva 2008/43/CE

 

(Identificazione e tracciabilità degli esplosivi per uso civile)

 

 

La direttiva 2008/43/CE della Commissione, del 4 aprile 2008, che integra la direttiva 93/15/CEE volta a garantire la circolazione degli esplosivi sul mercato in condizioni di sicurezza, ha istituito un sistema armonizzato di identificazione univoca e di tracciabilità degli esplosivi per uso civile ed è stata adottata dagli organismi comunitari in funzione di contrasto nei confronti del terrorismo.

L’identificazione e la tracciabilità di un esplosivo, dal sito in cui è prodotto fino all’utilizzatore finale e all’occasione in cui viene impiegato, dovrebbe costituire un deterrente contro furti e abusi o, quanto meno, aiutare le autorità a stabilire nei tempi più rapidi possibili la provenienza di esplosivi smarriti o rubati[174].

Nella direttiva 2008/43/CE la predisposizione di criteri per l’identificazione univoca del materiale è accompagnata dalla previsione di registri degli esplosivi prodotti.

Ai sensi della direttiva, gli Stati membri impongono alle imprese produttrici la marcatura degli esplosivi mediante un sistema di identificazione univoca comprendente una serie di informazioni, tra le quali il nome del fabbricante ed un codice alfanumerico leggibili dall’uomo, e un codice identificativo a barre leggibile elettronicamente[175].

Nel caso di esplosivi di provenienza esterna all’Unione Europea, l’importatore contatta lo Stato membro nel quale intende importare il prodotto, per richiedere l’assegnazione di un codice.

Ai fini della raccolta ed archiviazione di dati, gli Stati membri provvedono a che le imprese del settore degli esplosivi istituiscano un sistema di raccolta dei dati relativi ai loro prodotti, che comprenda la loro identificazione univoca lungo tutta la catena della fornitura e durante l'intero ciclo di vita dell'esplosivo. I dati raccolti vanno conservati per un periodo di 10 anni a partire dalla consegna o dalla fine del ciclo di vita dell’esplosivo (se quest’ultima è nota), anche nel caso di imprese che abbiano cessato l’attività.

Gli Stati membri sono incaricati di verificare e controllare periodicamente che le imprese adempiano ai loro obblighi.

La direttiva non si applica alla produzione “in loco” (cioè di esplosivi fabbricati sul luogo stesso dove debbono essere usati), alle munizioni, e agli esplosivi trasportati e consegnati alla rinfusa o in autopompe destinati ad essere scaricati direttamente nei fornelli di mina.

L’entrata in vigore della nuova regolamentazione sarà graduale. Il termine di recepimento della direttiva[176] da parte degli Stati membri è il 5 aprile 2009, mentre l’applicazione delle relative disposizioni nazionali decorrerà dal 5 aprile 2012.


Direttiva 2008/62/CE

 

(Deroghe per l’ammissione di ecotipi e varietà agricole e per la commercializzazione di sementi e di tuberi di patata)

 

 

La direttiva 2008/62/CE consente di derogare alle condizioni generali richieste per la coltivazione e la commercializzazione di varietà di sementi e di tuberi di patata da semina considerata l'importanza sempre maggiore attribuita alla difesa della biodiversità e alla conservazione delle risorse fitogenetiche, e per garantire in particolare un utilizzo sostenibile di varietà naturalmente adattate alle condizioni locali e regionali ma che siano minacciate di erosione.

A tal fine sono previste deroghe per quanto riguarda sia l'inserimento di tali “varietà da conservare” nei cataloghi nazionali delle varietà di specie di piante agricole, che per la produzione e la commercializzazione delle sementi e dei tuberi di patata delle stesse.

La direttiva richiede inoltre che gli Stati membri impongano restrizioni in merito alla regione d'origine, fissino quantità massime per la commercializzazione di ciascuna varietà di sementi e tuberi nell'ambito della specie (non oltre il 10%), a tal fine imponendo ai produttori obblighi di comunicazione.

Gli Stati membri devono inoltre vigilare sugli imballaggi delle sementi appartenenti a “varietà da conservare”, che devono rispondere a caratteristiche determinate e recare specifiche indicazioni per la individuazione del contenuto.

Il termine di recepimento della direttiva è il 30 giugno 2009.

 


Direttiva 2008/90/CE

 

(Commercializzazione dei materiali di moltiplicazione delle piante da frutto)

 

 

La direttiva 2008/90/CE riguarda la commercializzazione all'interno della Comunità dei materiali di moltiplicazione di piante da frutto e delle piante da frutto destinate alla produzione di frutti e nasce dall'esigenza di rifondere, per motivi di chiarezza, la direttiva 92/34/CEE del Consiglio del 28 aprile 1992, più volte modificata in modo sostanziale, con ulteriori modifiche che ora si rendono necessarie.

La direttiva armonizza quindi i requisiti qualitativi e lo stato fitosanitario dei materiali utilizzati per moltiplicare le piante da frutto e le piante da frutto destinate alla produzione di frutti, affinché in tutto il territorio della Comunità gli acquirenti ricevano materiali di moltiplicazione e piante da frutto sani e di buona qualità.

Quanto agli aspetti fitosanitari, le condizioni armonizzate devono essere coerenti con la direttiva 2000/29/CE del Consiglio concernente l'introduzione nella Comunità di organismi nocivi.

Le definizioni adottate dalla direttiva in oggetto sono volte ad agevolare sia l'armonizzazione interna dei materiali sia l’armonizzazione con le definizioni adottate per la commercializzazione degli altri materiali di moltiplicazione oggetto di normativa comunitaria.

Vengono poi fissati i requisiti necessari all'immissione sul mercato comunitario dei prodotti e si dispone che i materiali di moltiplicazione e le piante da frutto possano essere commercializzati soltanto se ufficialmente certificati come CAC (Conformitas Agraria Communitatis). Nel caso si tratti di OGM, essi possono essere immessi sul mercato solo se autorizzati in conformità alla normativa comunitaria esistente.

Per ciascuno dei generi e per ciascuna delle specie elencate nel relativo Allegato I vengono stabilite norme specifiche fitosanitarie e di qualità. La direttiva garantisce la preservazione della diversità genetica.

Vengono inoltre fissati ruolo e condizioni alle quali devono fare riferimento i fornitori che si occupano della produzione o riproduzione dei materiali .

Per garantire l'identità e la regolare commercializzazione dei materiali di moltiplicazione e delle piante da frutto vengono stabilite regole comunitarie relative alla separazione dei lotti, ai contrassegni e alle etichette utilizzate.

Sono inoltre previste misure di ispezione e di controllo da adottarsi a cura delle autorità competenti degli Stati membri, nonché misure comunitarie.

E' anche prevista la possibilità, in caso di difficoltà momentanee di approvvigionamento, di applicare per periodi limitati e a condizioni precise requisiti meno rigorosi.

E' consentita la commercializzazione all'interno della Comunità di materiali prodotti in paesi terzi, purché, con prove comparative, ne sia accertata la conformità alle norme comunitarie.

Le disposizioni legislative necessarie devono essere adottate e pubblicate entro il 31 marzo 2010 ed essere applicate a decorrere dal 30 settembre 2012.

 


Direttiva 2008/97/CE

 

(Divieto di utilizzo di talune sostanze nocive
nelle produzioni animali)

 

 

La direttiva 2008/97/CE interviene a modifica del divieto assoluto di immissione sul mercato e somministrazione negli animali di talune sostanze nocive, quali le sostanze ad azione ormonica, tierostatica e le sostanze ß-agoniste, stabilito dalla direttiva 96/22/CE, circoscrivendo tale divieto alla somministrazione delle sostanze incriminate ai soli animali produttori di alimenti, e pertanto consentendolo negli animali da compagnia.

Le modifiche apportate alla direttiva del ’96 sono in primo luogo conseguenti al rilevato scarso interesse economico, che presentano le preparazioni destinate a stimolare la crescita di animali produttori di alimenti, per il comparto degli animali da compagnia; in secondo luogo numerosi studi scientifici hanno comprovato che il divieto di utilizzo di alcune sostanze (Tireostatici) sugli animali da compagnia può avere effetti dannosi per gli stessi a causa dell'assenza di un trattamento alternativo a patologie quali l'ipertiroidismo, che può essere contrastato solo con il ricorso a tali sostanze.

Le nuove disposizioni inoltre non rinnovano la deroga temporanea, accordata fino al 14 ottobre 2006, per l'uso dell'estradiolo-17ß a fini di induzione dell'estro nei bovini, negli equini, negli ovini e nei caprini, in quanto tale sostanza deve considerarsi assolutamente cancerogena e in grado sia di causare l'insorgenza di tumori che di favorirne lo sviluppo, ed è peraltro ormai sostituita dalle prostaglandine già ampiamente utilizzate dai veterinari negli Stati membri.

Al fine di garantire l’osservanza di tale ultimo divieto e garantire la cessazione dell'uso improprio dell'estradiolo-17ß la Commissione, in collaborazione con gli Stati membri, dovrà promuovere una campagna di informazione e sensibilizzazione su tale divieto relativamente agli animali produttori di alimenti provenienti sia dall'Unione europea che dal di fuori di essa.

Il termine indicato per il recepimento della direttiva è scaduto il 1° gennaio 2009.

 


Allegato B

 


Direttiva 2005/47/CE

 

(Lavoratori transfontalieri nel settore ferroviario)

 

 

La direttiva 2005/47/CE del Consiglio, del 18 luglio 2005, dà attuazione all’Accordo siglato in data 27 gennaio 2004 tra la Comunità delle ferrovie europee (CER) e la Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) in merito a taluni aspetti delle condizioni di lavoro dei lavoratori mobili che effettuano servizi di interoperabilità transfrontaliera svolti da imprese ferroviarie.

L’Accordo intende garantire un’adeguata protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori mobili che effettuano servizi di interoperabilità transfrontaliera nel settore ferroviario, senza per questo pregiudicare la necessaria flessibilità nella gestione delle imprese di trasporti ferroviari, nella prospettiva di uno spazio ferroviario europeo integrato. In particolare, i consideranda evidenziano che la fissazione in ambito comunitario di regole comuni relative alle tutele minime da assicurare al personale mobile in questione si rende necessaria al fine sia di proteggere la salute dei lavoratori, sia di garantire un traffico transfrontaliero sicuro, evitando una concorrenza che faccia leva sulla differenza delle condizioni lavorative.

Pertanto, l’Accordo è improntato sostanzialmente al principio che, di norma, debbano essere assicurati ai lavoratori in questione periodi di riposo e di pausa superiori alle prescrizioni minime della disciplina generale in materia di orario di lavoro (di cui alle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE: cfr. infra).

L’Accordo introduce in primo luogo due nuove definizioni in relazione alla specificità ed ai bisogni del settore: la nozione di tempo di guida e quella di lavoratore mobile che effettua servizi di interoperabilità transfrontaliera.

Il riposo giornaliero “in residenza” del personale mobile dovrà avere una durata minima di 12 ore consecutive, anziché di 11 ore; il riposo giornaliero “fuori residenza”, che comunque deve essere seguito da un riposo giornaliero in residenza, dovrà avere una durata minima di 8 ore consecutive.

Per i macchinisti la pausa dovrà essere di almeno 45 minuti se la durata dell’orario di lavoro supera le 8 ore giornaliere, altrimenti sarà di 30 minuti; in ogni caso, “la collocazione temporale e la durata della pausa dovranno consentire l’effettivo recupero da parte del lavoratore”. Per il personale di accompagnamento deve essere garantita una pausa di 30 minuti.

Al lavoratore mobile è assicurato inoltre un periodo minimo di riposo settimanale ininterrotto di 24 ore.

La durata del “tempo di guida”, cioè del periodo durante il quale il macchinista è responsabile della guida di un veicolo ferroviario, non può superare le 9 ore per una prestazione diurna e le 8 ore per una prestazione notturna; è stabilito, inoltre, un tempo massimo di guida di 80 ore ogni 2 settimane.

Infine, per consentire di verificare il rispetto di tali prescrizioni, deve essere predisposta una scheda di servizio che riporti le ore di lavoro e i periodi di riposo dei lavoratori mobili. Tale scheda deve essere conservata dall’impresa per almeno un anno.

Si consideri che, come viene specificato dal Considerandum (9) della direttiva in esame, anche ai lavoratori mobili che effettuano servizi di interoperabilità transfrontaliera svolti da imprese ferroviarie si applica la disciplina generale sull’orario di lavoro contenuta nella direttiva 2003/88/CE (che provvede a codificare la direttiva 93/104/CE, recepita nell’ordinamento nazionale con il d.lgs. n. 66/2003: cfr. infra); vengono comunque fatte salve le disposizioni più specifiche contenute nella direttiva in esame e nell’accordo allegato[177].

Peraltro le disposizioni della direttiva in esame prevedono esclusivamente requisiti minimi di protezione dei lavoratori, lasciando agli Stati membri la facoltà di adottare misure più favorevoli. Inoltre, l’attuazione della direttiva non può assolutamente giustificare una riduzione del livello di protezione già assicurato ai lavoratori dello specifico settore (art. 2).

L’art. 3 prevede una relazione della Commissione al Consiglio ed al Parlamento europeo sull’attuazione della direttiva, in considerazione dell’evoluzione del settore ferroviario europeo, da presentarsi entro i tre anni successivi al termine per il recepimento delle disposizioni nell’ordinamento degli Stati membri.

La direttiva in esame impone ai medesimi Stati la previsione di sanzioni efficaci, proporzionali e dissuasive in caso di violazione delle norme adottate (art. 4).

I successivi articoli (artt. 5-7) recano le consuete disposizioni relative al recepimento della direttiva nel diritto nazionale degli Stati membri.

Il termine di recepimento della direttiva 2005/47/CE era stabilito al 27 luglio 2008. Si segnala che la delega per il recepimento della direttiva era già contenuta nella legge comunitaria 2006 (legge 6 febbraio 2007, n. 13, articolo 1 e allegato B) e avrebbe potuto essere esercitata entro il 4 marzo 2008.

Nell’ordinamento nazionale si è giunti ad un complessivo riordino della disciplina generale dell’orario di lavoro, da più parti auspicato e reso opportuno dalla necessità di recepire la disciplina comunitaria adottata in materia, con il D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66[178], recante Attuazione della direttiva 93/104/CE e della direttiva 2000/34/CE, concernenti taluni aspetti dell’orario di lavoro.

Si rileva che in origine erano esclusi dal campo di applicazione della direttiva 93/104/CE, oltre ai medici in formazione, i lavoratori dei seguenti settori: trasporti stradali, aerei, ferroviari e marittimi, navigazione interna, pesca marittima, altre attività in mare. Successivamente, la direttiva 2000/34/CE, del 22 giugno 2000, modificando la precedente direttiva 93/104/CE, ha ricompreso nell’ambito di applicazione della disciplina comunitaria sull’orario di lavoro i settori e le attività precedentemente esclusi (quindi anche i lavoratori mobili che effettuano servizi di interoperabilità transfrontaliera nel settore ferroviario)[179].

Con il d.lgs. 27 maggio 2005, n. 108[180] ed il d.lgs. 19 agosto 2005, n. 185[181] si è poi provveduto al recepimento, rispettivamente, della direttiva n. 1999/63/CE, in materia di orario di lavoro della gente di mare, e della direttiva n. 2000/79/CE, in materia di orario di lavoro del personale di volo. Infine con il d.lgs. 19 novembre 2007, n. 234[182] è stata recepita la direttiva 2002/15/CE, relativa all’orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 15 dicembre 2008 la Commissione ha presentato una comunicazione relativa all’impatto economico e sociale dell’accordo allegato alla direttiva 2005/47/CE, concluso tra le parti sociali il 27 gennaio 2004, su taluni aspetti delle condizioni di lavoro dei lavoratori mobili che effettuano servizi di interoperabilità transfrontaliera nel settore ferroviario (COM(2008)855).

L’accordo, concluso il 27 gennaio 2004[183] e reso vincolante con l’adozione della direttiva sopra richiamata, prevede norme minime concernenti le condizioni di lavoro, il tempo di guida e le pause, il riposo giornaliero e il riposo settimanale.

Con la comunicazione la Commissione fornisce informazioni sugli sviluppi del mercato del trasporto ferroviario nonché sull’evoluzione dei negoziati in corso tra le parti sociali sulla base di un’apposita clausola dell’accordo al fine di adeguare le condizioni di riposo dei lavoratori alle esigenze di potenziamento del settore del trasporto ferroviario, garantendo nel contempo un alto grado di protezione della salute e sicurezza. A tal fine, la Commissione, tra l’altro:

-      incoraggia le parti sociali a proseguire i negoziati sulla clausola 4 e a raggiungere un risultato equilibrato che prenda in considerazione l’esigenza di flessibilità delle imprese nell’organizzazione delle operazioni, l’esigenza di proteggere la salute e la sicurezza dei lavoratori mobili e il rispetto dell’equilibrio tra vita professionale e privata;

-      seguirà con attenzione il modo in cui gli Stati membri recepiscono l’accordo europeo nella legislazione nazionale; ritiene che debba essere prestata particolare attenzione al controllo della durata delle prestazioni e dell’orario di lavoro settimanale.

Procedure di contenzioso

La Commissione ha inviato, il 30 settembre 2008, una lettera di messa in mora (procedura di infrazione n. 2008/0678) all’Italia per il mancato recepimento della direttiva 2005/47/CE.

 


Direttiva 2005/94/CE

 

(Lotta contro l’influenza aviaria)

 

 

La direttiva 2005/94/CE costituita da 12 capi, 69 articoli e 11 allegati detta una nuova disciplina, sostitutiva della direttiva 92/40/CEE (della quale viene disposta l’abrogazione con decorrenza dal 1° luglio 2007).

La direttiva abrogata, recepita nel nostro ordinamento dal D.P.R. n. 656 del 1996 (regolamento che stabilisce le norme di polizia veterinaria da applicare in caso di comparsa dell'influenza aviaria nei soli allevamenti di volatili da cortile) conteneva la prescrizione delle misure da adottare nei casi riguardanti sia la sospetta diffusione del virus aviario negli allevamenti di pollame sia la presenza confermata dello stesso virus.

Tale normativa prevedeva, altresì, il coordinamento tra autorità comunitarie e nazionali per il monitoraggio dell’influenza aviaria, l’assistenza e l’individuazione delle possibili sorgenti di diffusione della malattia e la preparazione di esperti della materia. In particolare, gli Stati membri avevano il compito di individuare i centri di referenza per la diagnostica e la sperimentazione di vaccini antinfluenzali, al fine di cooperare con il laboratorio comunitario di riferimento per l'influenza aviaria.

Gli Stati membri dovevano preparare un piano di emergenza di contrasto alla diffusione della malattia, specificando gli interventi previsti in caso di scoppio epidemico.

La direttiva 2005/94/CE aggiorna le misure che i singoli Stati membri devono adottare per la prevenzione e l’eliminazione dei rischi di diffusione della malattia, al fine di garantire la massima adeguatezza delle misure adottate in rapporto al livello di pericolosità di ciascuna manifestazione infettiva e limitare, al tempo stesso, le probabili ricadute economiche e sociali dei provvedimenti adottati sul comparto agricolo e sugli altri settori interessati.

L’oggetto delle misure risulta ampliato rispetto alla normativa precedente.

In particolare, esse riguardano non solo il pollame, ma anche altri volatili in cattività.

In presenza di influenza ad alta patogenicità (IAAP) l'autorità competente controlla che vengano applicate le misure seguenti:

§      abbattimento del pollame e degli altri volatili in cattività;

§      eliminazione delle carcasse, sotto sorveglianza ufficiale;

§      sorveglianza del pollame nato prima dell'attuazione delle prime misure;

§      individuazione ed eliminazione della carne del pollame abbattuto e delle uova raccolte prima dell'attuazione delle prime misure;

§      trattamento appropriato delle sostanze che possono essere state contaminate;

§      pulitura e desinfezione del letame, della lettiera, del concime e di tutta l'attrezzatura che può essere stata contaminata;

§      sorveglianza dei movimenti degli animali che entrano ed escono dall'azienda;

§      isolamento del virus, secondo la procedura di laboratorio più appropriata.

Inoltre, vengono adottate misure specifiche nelle zone più vicine all'azienda interessata.

Le misure attuate in tali zone riguardano, tra l'altro, il censimento delle aziende, le visite di controllo effettuate dal veterinario ufficiale, il trasporto dei volatili, delle uova, della carne di pollame e delle carcasse.

Sono altresì previste misure per evitare la trasmissione dei virus dell'influenza aviaria ad altre specie.

Altre norme sono intese alla protezione dagli agenti patogeni minori di influenza aviaria - i quali potrebbero mutare geneticamente (e perciò divenire altamente pericolosi) - e ad una maggiore flessibilità nelle provviste nazionali di vaccini.

Un’ulteriore innovazione riguarda la costituzione di una banca comunitaria per le riserve di vaccini, cui gli Stati membri possono accedere a richiesta, e di banche nazionali (destinate allo stesso scopo).

I piani nazionali di emergenza per la lotta contro l'influenza aviaria, adottati in base alla precedente direttiva 92/40/CEE e in vigore al 1° luglio 2007, restano applicabili.

Tuttavia, entro il 30 settembre 2007, gli Stati membri presentano alla Commissione modifiche dei suddetti piani, al fine di renderli conformi alla presente direttiva.

Il termine per il recepimento della direttiva 2005/94/CE è scaduto il 1° luglio 2007.

Procedure di contenzioso

Il 19 novembre 2008 la Commissione europea ha deferito l’Italia alla Corte di giustizia (procedura n. 2007/1005) delle Comunità europee per il mancato recepimento della direttiva 2005/94/CE, relativa a misure comunitarie di lotta contro l'influenza aviaria e che abroga la direttiva 92/40/CEE.

Il termine di recepimento era il 1° luglio 2007.

Il 25 agosto 2008 la Commissione europea ha altresì inoltrato un ricorso alla Corte di giustizia (procedura n. 2005/4897) rilevando che l’Italia, a seguito dell’adozione delle prescrizioni dell'ordinanza ministeriale del 26 agosto 2005 come da ultimo modificata dall'ordinanza 17 dicembre 2007, che rendono obbligatoria l'indicazione del Paese di origine delle carni di pollame menzionate nell'art. 3, comma 1, della medesima ordinanza, è venuta meno agli obblighi che le incombono in virtù dell'articolo 3, paragrafo 1, punto 8), e dell'articolo 18, paragrafo 2, della direttiva (CE) n. 2000/13 concernente l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari.

L'articolo 3, paragrafo 1, punto 8, della direttiva 2000/13, prevede infatti che, per i prodotti alimentari in generale, l'indicazione del luogo d'origine o di provenienza deve figurare sull'etichetta solo qualora il consumatore, in assenza di tale indicazione, possa ritenere a torto che il prodotto in questione abbia una determinata origine o provenienza. Il legislatore comunitario non ritiene quindi che l'indicazione dell'origine sia un'informazione necessaria per il consumatore in modo generale e assoluto, ma unicamente qualora l'assenza di tale indicazione possa indurlo in errore.

Ad avviso della Commissione, inoltre, la circostanza connessa alla crisi dell'influenza aviaria non spiega i motivi per i quali l'assenza dell'indicazione d'origine possa indurre il consumatore in errore e fargli credere che le carni di pollame abbiano una determinata origine. Infatti, le questioni di salute degli animali non possono essere valutate dal consumatore, che non dispone delle conoscenze necessarie a valutare il rischio sulla base dell'indicazione d'origine.

 


Direttiva 2006/17/CE

 

(Tessuti e cellule umani)

 

 

La direttiva 2006/17/CE mira a dare applicazione alla direttiva 2004/23[184], la quale concerne i profili della qualità e della sicurezza per la donazione, l'approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani.

La presente direttiva di applicazione, al fine di ridurre i rischi di trasmissione di malattie e di altri effetti negativi sul ricevente, stabilisce prescrizioni tecniche per la donazione, l'approvvigionamento e il controllo dei suddetti tessuti e cellule.

Riguardo ai donatori, la direttiva definisce alcuni criteri di selezione (elencati nell'allegato I) distinguendo, in primo luogo, tra donatori deceduti e viventi.

Per i donatori di cellule riproduttive, sono introdotti criteri differenti (enunciati nell'allegato III), a seconda che si tratti di donazione da parte del partner, destinata all'impiego diretto o indiretto, o di donazione proveniente da persone diverse dal partner.

In merito agli esami di laboratorio per i donatori, sono prescritti differenti test biologici, a seconda che si tratti di donatori di cellule riproduttive (allegato III) o di altre cellule e di tessuti (allegato II).

La direttiva definisce, inoltre, le procedure (allegato IV) per la donazione, l'approvvigionamento e la ricezione di tessuti e di cellule presso l'istituto dei tessuti. Peraltro, in luogo di tale destinazione, le autorità competenti possono autorizzare la distribuzione diretta di determinati tessuti e cellule dal luogo in cui sia effettuato il prelievo ad un centro di assistenza sanitaria, ai fini di un trapianto immediato (articolo 6).

Si ricorda che la direttiva 2004/23 è stata recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 207.

Procedure di contenzioso

Il 9 gennaio 2009 la Commissione ha presentato ricorso alla Corte di giustizia contro l’Italia (procedura di infrazione n. 2007/411) per il mancato recepimento della direttiva 2006/17/CE.

La direttiva avrebbe dovuto essere recepita entro il 1° novembre 2006.


Direttiva 2006/38/CE

 

(Tassazione a carico di autoveicoli pesanti)

 

 

La direttiva 2006/38/CE (c.d. direttiva eurovignette), che modifica la direttiva 1999/62/CE, ha istituito un nuovo quadro comunitario relativo alla tariffazione dell’uso delle infrastrutture stradali da parte di veicoli adibiti al trasporto di merci.

La direttiva non obbliga gli Stati membri a introdurre una tassazione dei mezzi pesanti che transitano sul proprio territorio, ma definisce il quadro normativo al quale devono attenersi gli Stati che decidono di applicare detta tassazione. L’Unione europea da una parte mira ad impedire che gli Stati situati sulle principali vie di comunicazione stradale impongano prelievi eccessivi sui mezzi che transitano sul proprio territorio, dall’altra riconosce il diritto degli Stati di transito di ottenere un contributo per la costruzione e la manutenzione delle infrastrutture stradali.

La tassazione dei veicoli disciplinata dalla direttiva può essere effettuata sulla rete stradale transeuropea[185], o su parte di essa, mediante l’applicazione alternativa di:

§      pedaggi: quando la somma da pagare è commisurata alla distanza percorsa;

§      diritti d’uso: quando la somma da pagare dà diritto all’utilizzo dell’infrastruttura stradale per un determinato periodo di tempo.

Resta impregiudicato il diritto degli Stati membri di tassare la circolazione effettuate su strade diverse dalla rete stradale transeuropea: in tal caso gli Stati non dovranno attenersi alle disposizioni della direttiva, ma dovranno comunque rispettare il Trattato, evitando discriminazioni nei confronti del traffico internazionale e distorsioni della concorrenza.

Gli autoveicoli soggetti a tassazione sono i veicoli a motore o gli autoarticolati, adibiti o usati esclusivamente per il trasporto su strada di merci, che abbiano un peso totale a pieno carico autorizzato superiore a 3,5 tonnellate. Sino al 2012 gli Stati membri possono decidere di sottoporre a tassazione solo gli autoveicoli con peso totale a pieno carico autorizzato di almeno 12 tonnellate; successivamente la possibilità di limitare la tassazione a detti autoveicoli è subordinata a determinate condizioni (si veda l’articolo 7, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 1999/62/CE).

 

L’importo massimo dei diritti di utenza annui è fissato dall’allegato II della direttiva, in misura differenziata in relazione alla categoria di emissioni e al numero di assi degli autoveicoli.

I pedaggi medi ponderati[186] sono determinati, secondo i principi contenuti nell’allegato III della direttiva 1999/62/CE, in misura tale da recuperare i costi dell’infrastruttura, ricomprendendo in detti costi, oltre a quelli di costruzione, i costi di esercizio, di manutenzione e di sviluppo e la remunerazione del capitale o un margine di profitto in base alle condizioni di mercato. Una volta determinata la misura massima[187] dei pedaggi medi ponderati, gli Stati membri, in applicazione del principio “chi inquina paga”, hanno la facoltà di differenziare le aliquote dei pedaggi riscossi, al fine, fra l'altro, di lottare contro i danni ambientali e la congestione, ridurre al minimo i danni alle infrastrutture, ottimizzare l'uso dell'infrastruttura interessata o promuovere la sicurezza stradale. Entro il 2010 gli Stati membri sono tenuti a differenziare gli importi dei pedaggi in relazione alla categoria di emissione degli autoveicoli.

In casi eccezionali, per le infrastrutture situate in regioni montane, è possibile, previa comunicazione alla Commissione, applicare una maggiorazione, fino al 25 per cento, ai pedaggi per tratti stradali che soffrono di un’acuta congestione di traffico o per tratti stradali il cui utilizzo causa significativi danni ambientali.

I pedaggi in concessione istituiti dopo il 10 giugno 2008 non possono essere superiori a quelli che si otterrebbero applicando i principi di calcolo di cui all’allegato III. La direttiva non si applica ai sistemi di pedaggio già istituiti a tale data, a condizione che gli stessi non subiscano modifiche sostanziali (articolo 7-bis, paragrafo 3, della direttiva 1999/62/CE).

L’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 1999/62/CE, riconosce la libertà degli Stati membri di decidere in merito alla destinazione delle entrate derivanti dai proventi dell'infrastruttura stradale, pur auspicando che, per garantire lo sviluppo della rete dei trasporti nel suo insieme, tali entrate siano utilizzate a favore del settore dei trasporti e dell'ottimizzazione di tutto il sistema dei trasporti.

Entro il 10 giugno 2011 la Commissione presenta al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull’attuazione e gli effetti della direttiva 2006/38/CE. A tal fine gli Stati membri dovranno trasmettere alla Commissione le informazioni necessarie entro il 10 dicembre 2010.

Il termine per il recepimento della direttiva era fissato al 10 giugno 2008. Si segnala che la delega per il recepimento della direttiva era già contenuta nella legge comunitaria 2006 (legge 6 febbraio 2007, n. 13, articolo 1 e allegato B) e avrebbe potuto essere esercitata entro il 4 marzo 2008.

Procedure di contenzioso

Il 19 febbraio 2009 la Commissione europea ha inviato un parere motivato all’Italia (procedura n. 2008/0556) per non aver comunicato le misure di recepimento della direttiva 2006/38/CE relativa alla tassazione a carico di autoveicoli pesanti adibiti al trasporto di merci su strada per l'uso di alcune infrastrutture.

 


Direttiva 2006/42/CE

 

(Direttiva macchine)

 

 

La direttiva 2006/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2006, già ridenominata "nuova direttiva macchine", è volta alla determinazione dei requisiti essenziali di sicurezza e di tutela della salute che devono essere rispettati nella progettazione e nella fabbricazione delle macchine immesse sul mercato, al fine di migliorarne il livello di sicurezza.

La direttiva in esame sostituisce la direttiva 98/37CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle macchine – che viene pertanto abrogata – e inoltre modifica la direttiva 95/16/CE relativa agli ascensori da cantieri per il trasporto di persone o cose.

La necessità di una nuova direttiva in materia è dovuta, innanzitutto, a motivi di chiarezza in quanto il settore delle macchine costituisce una parte importante del settore della meccanica ed è uno dei pilastri industriali dell’economia comunitaria. Il costo sociale dovuto all’alto numero di infortuni provocati direttamente dall’ utilizzazione delle macchine può essere ridotto integrando la sicurezza nella progettazione e nella costruzione stessa delle macchine nonché effettuando una corretta installazione e manutenzione.

Nel campo di applicazione della direttiva 2006/42/CE rientrano:

§      macchine;

§      attrezzature intercambiabili;

§      componenti di sicurezza;

§      accessori di sollevamento;

§      catene, funi e cinghie;

§      dispositivi amovibili di trasmissione meccanica;

§      quasi-macchine (il concetto di quasi-macchina, costituisce una delle novità della direttiva).

Ai requisiti essenziali di sicurezza e di tutela della persona di portata generale definiti dalla direttiva si aggiungono ulteriori requisiti più specifici per talune categorie di macchine.

Gli Stati membri devono assumersi la responsabilità di assicurare sul loro territorio un’applicazione efficace della nuova “direttiva macchine” e garantire un’effettiva sorveglianza del mercato, tenendo conto degli orientamenti elaborati dalla Commissione europea, ai fini di un’applicazione corretta e uniforme della direttiva. Ad essi spetta anche la nomina e l’istituzione di autorità competenti per il controllo della conformità delle macchine.

Ai fabbricanti è lasciata la responsabilità di attestare la conformità delle macchine alla direttiva, ai fini della loro immissione sul mercato o in servizio. A loro compete, altresì, l’apposizione della marcatura CE riconosciuta come l’unica che garantisca la conformità della macchina ai requisiti fissati dalla direttiva, cui si accompagna la dichiarazione CE di conformità.

Le macchine provviste di marcatura CE devono rispettare le prescrizioni della Direttiva 2006/42/CE e non possono essere oggetto di limitazioni od ostacoli alla loro libera circolazione sul mercato europeo, ferma restando la clausola di salvaguardia in base alla quale uno Stato che constati la pericolosità di una macchina - seppure provvista di marcatura CE - può inibirne l'utilizzo.

E’ prevista anche una procedura di contestazione di una norma armonizzata che si ritenga non soddisfi i requisiti di sicurezza e tutela della salute cui fa riferimento.

Spetta agli Stati stabilire le sanzioni in caso di violazione delle disposizioni.

La direttiva è entrata in vigore il 29 giugno 2006.

La direttiva stabiliva che gli Stati membri dovevano recepirla nel proprio ordinamento prima del 29 giugno 2008, attraverso disposizioni legislative, regolamentari e amministrative da applicare a partire dal 29 dicembre 2009[188].

Procedure di contenzioso

La Commissione ha inviato lettera di messa in mora (procedura di infrazione n. 2008/0679) all’Italia il 3 settembre 2008 per il mancato recepimento della direttiva 2006/42/CE.

 


Direttiva 2006/43/CE

 

(Revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati)

 

 

La direttiva 2006/43/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2006, stabilisce norme che attengono ad una sostanziale armonizzazione degli obblighi in materia di revisione legale dei conti, al fine di migliorare la credibilità dell’informazione finanziaria e di promuovere la fiducia del pubblico nei confronti della funzione di revisione. Essa modifica la settima direttiva 83/349/CEE del Consiglio, del 13 giugno 1983, relativa ai conti consolidati e la quarta direttiva 78/660/CEE del Consiglio, del 25 luglio 1978, relativa ai conti annuali di taluni tipi di società (tale direttiva coordina le disposizioni nazionali degli Stati membri relative alla struttura e al contenuto dei conti annuali e delle relazioni di gestione, i metodi di valutazione e la pubblicità di tali documenti per tutte le società di capitali); abroga, infine, la direttiva 84/253/CEE concernente l’abilitazione delle persone incaricate del controllo di legge dei documenti contabili.

Tra le disposizioni introdotte dalla presente direttiva particolare rilievo assumono quelle che disciplinano i principi in materia di indipendenza ed obiettività dei revisori, gli obblighi ai quali sono soggetti i revisori legali dei conti e gli obblighi di controllo della qualità esterna, nonché quelle che stabiliscono l’adozione di principi di revisione internazionali da parte della Commissione e la cooperazione tra le autorità di regolamentazione dell’UE e dei paesi terzi.

Gli Stati membri che esigono la revisione legale dei conti hanno la facoltà di imporre obblighi più severi, salvo disposizione contraria della stessa direttiva.

La direttiva 2006/43/CE è stata parzialmente modificata dalla direttiva 2008/30/CE nella parte relativa all’esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione.

Secondo quanto disposto dall’articolo 3, la revisione legale dei conti è effettuata esclusivamente dai revisori legali o dalle imprese di revisione contabile abilitati dalle autorità competenti dello Stato membro che impone la revisione legale. La direttiva stabilisce che un revisore potrà essere abilitato ad effettuare la revisione dei conti annuali e consolidati soltanto dopo aver completato il corso di studi che dà accesso all’università o a un livello equivalente, aver seguito un corso di formazione teorica, aver effettuato un tirocinio e aver superato un esame di idoneità professionale. Le qualifiche in materia di revisione acquisite dai revisori legali in base alla presente direttiva dovranno essere considerate equivalenti dagli Stati membri.

Le autorità competenti degli Stati membri stabiliranno le procedure per l’abilitazione dei revisori legali già abilitati in altri Stati membri. Tali procedure potranno richiedere al massimo il superamento di una prova attitudinale, a norma dell’articolo 4 della direttiva 89/48/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore; tale prova attitudinale dovrà vertere esclusivamente sulla conoscenza delle legge e delle regolamentazioni dello Stato membro in oggetto, nella misura in cui tale conoscenza sia rilevante per le revisioni legali dei conti.

Gli Stati membri dovranno assicurare che tutti i revisori dei conti abilitati siano iscritti in un albo che sia accessibile al pubblico e che contenga le informazioni fondamentali sui revisori legali e sulle imprese di revisione contabile. Essi assicureranno che i revisori legali notifichino tempestivamente alle autorità competenti preposte alla tenuta dell’albo qualsiasi modifica delle informazioni ivi contenute. Gli Stati membri assicureranno che l’albo sia pienamente operativo entro il 29 giugno 2009.

Possono essere abilitati alla revisione solamente i soggetti che soddisfino i requisiti di onorabilità e le condizioni degli articoli da 6 a 10, relative ai titoli (art. 6), all’esame di idoneità professionale (art. 7), al controllo delle conoscenze teoriche (articolo 8) ed al tirocinio (articolo 10).

Gli Stati membri dovranno assicurare (articolo 13) che i revisori prendano parte a corsi di formazione continua per mantenere conoscenze teoriche, capacità e valori professionali ad un livello sufficientemente elevato e chetutti i revisori (articolo 15) dei conti abilitati siano iscritti in un albo che sia accessibile al pubblico e che contenga le informazioni fondamentali sui revisori legali e sulle imprese di revisione contabile. Essi assicureranno che i revisori legali notifichino tempestivamente alle autorità competenti preposte alla tenuta dell’albo qualsiasi modifica delle informazioni ivi contenute. Gli Stati membri assicureranno che l’albo sia pienamente operativo entro il 29 giugno 2009.

Le autorità competenti degli Stati membri stabiliranno le procedure per l’abilitazione dei revisori legali già abilitati in altri Stati membri (articolo 14). Tali procedure potranno richiedere, al massimo, il superamento di una prova attitudinale, a norma dell’art. 4 della direttiva 89/48/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore; tale prova attitudinale dovrà vertere esclusivamente sulla conoscenza delle leggi e delle regolamentazioni dello Stato membro in oggetto, nella misura in cui tale conoscenza sia rilevante per le revisioni legali dei conti.

L’articolo 21 della direttiva dispone che i revisori legali e tutte le imprese di revisione contabile dovranno essere tenuti al rispetto dei principi di deontologia professionale, tra i quali la funzione di interesse pubblico, l’integrità e l’obiettività, la competenza e la diligenza professionali; in relazione a tali principi la Commissione potrà adottare misure di esecuzione.

Al fine di garantire l’indipendenza e l’obiettività delle funzioni svolte, gli Stati membri dovranno assicurare che il revisore legale o l’impresa di revisione contabile siano completamente indipendenti dall’ente di cui effettuano la revisione dei conti e che non siano in alcun modo coinvolti nel suo processo decisionale. In particolare, la revisione legale dei conti di un ente non potrà essere effettuata qualora tra tale ente e il revisore legale o l’impresa di revisione contabile sussistano relazioni finanziarie, d’affari, di lavoro o di altro genere. Si prescrive inoltre che gli Stati membri adottino regole appropriate in materia di riservatezza e segreto professionale in relazione alle informazioni e ai documenti ai quali i revisori legali hanno accesso quando effettuano la revisione dei conti di un ente.

Secondo quanto stabilito dall’articolo 26, la Commissione potrà decidere in merito all’applicabilità nella Comunità europea dei principi di revisione internazionali di cui gli Stati membri dovranno garantire l’osservanza. Gli Stati membri potranno applicare un principio di revisione nazionale fino a che la Commissione non abbia adottato un principio di revisione internazionale concernente la medesima materia. Inoltre, gli Stati membri potranno, in casi eccezionali, stralciare parti dei principi di revisione internazionali oppure imporre procedure di revisione od obblighi supplementari, ma solo se tali obblighi derivano da obblighi giuridici nazionali specifici relativi alla portata di revisioni legali dei conti. Tali procedure od obblighi supplementari dovranno essere comunicati alla Commissione e agli Stati membri prima della loro adozione e, in ogni caso, potranno essere prescritti solo fino al 29 giugno 2010.

Per rendere più comparabili società che applicano gli stessi principi contabili, la Commissione potrà adottare uno schema comune di relazione di revisione dei conti annuali o consolidati redatti conformemente ai principi contabili internazionali approvati, a meno che a livello comunitario non sia stato adottato un principio di revisione adeguato per tale relazione.

Ciascuno Stato membro dovrà assicurare che tutti i revisori legali e le imprese di revisione contabile siano soggetti ad un sistema di controllo della qualità che soddisfi determinati criteri, tra i quali l’indipendenza dei supervisori, il finanziamento del sistema e l’esistenza di risorse adeguate di tale sistema, la selezione delle persone che saranno incaricate di eseguire le verifiche per specifici controlli della qualità: si stabilisce inoltre che il controllo della qualità dovrà aver luogo almeno ogni sei anni e che i risultati globali del sistema di controllo saranno pubblicati annualmente (articolo 29).

L’articolo 30 prescrive l’istituzione, in tutti i paesi membri, di efficaci sistemi di indagine e sanzioni per individuare, correggere e prevenire un non corretto svolgimento della revisione legale dei conti. Fatti salvi i regimi nazionali in materia di responsabilità civile, gli Stati dovranno prevedere sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive (esse dovranno includere anche la possibilità di revoca dell’abilitazione) nei confronti dei revisori legali e delle imprese di revisione contabile, qualora le revisioni legali dei conti non siano effettuate conformemente alle disposizioni della direttiva.

Gli Stati membri saranno tenuti ad organizzare un sistema efficace di controllo pubblico dei revisori legali e delle imprese di revisione contabile (articolo 32); tale sistema dovrà essere diretto da persone esterne alla professione di revisore e aventi buone conoscenze nelle materie rilevanti per la revisione legale. Gli Stati membri dovranno assicurare che gli accordi per i sistemi di controllo pubblico garantiscano un’efficace cooperazione a livello comunitario tra le attività dei sistemi di controllo nazionali. Gli accordi degli Stati membri dovranno rispettare il principio della competenza, in materia di regolamentazione e di controllo pubblico, dello Stato membro nel quale il revisore legale o l’impresa di revisione contabile siano stati abilitati e nel quale l’ente sottoposto alla revisione contabile abbia la sede statutaria.

Le autorità nazionali competenti, responsabili dell’abilitazione, dell’iscrizione all’albo, del controllo della qualità, dell’ispezione e della disciplina dovranno cooperare tra loro, scambiandosi informazioni, prestandosi assistenza e collaborando nelle indagini connesse con lo svolgimento delle revisioni legali dei conti, ogni qual volta necessario per assolvere i rispettivi compiti sanciti dalla direttiva.

L’articolo 37 stabilisce che il revisore legale o l’impresa di revisione contabile devono essere designati dall’assemblea generale degli azionisti o dei membri dell’ente sottoposto alla revisione contabile. Al fine di proteggere l’indipendenza del revisore, si prevede che la sua revoca sarà possibile solo se motivata da giusta causa, la quale dovrà essere comunicata alle autorità responsabili del controllo pubblico.

Il Capo X contiene disposizioni speciali riguardanti le revisioni legali dei conti degli enti di interesse pubblico. Infatti, dato che tali enti hanno una maggiore visibilità ed importanza economica, la revisione legale dei loro conti annuali o dei loro conti consolidati dovrà essere soggetta ad obblighi più rigorosi. Ciascun ente di interesse pubblico dovrà essere, in particolare, dotato di un comitato per il controllo interno e per la revisione contabile, incaricato, tra l’altro, di monitorare il processo di informativa finanziaria, di controllare l’efficacia dei sistemi di controllo interno e di gestione del rischio, di monitorare la revisione legale dei conti annuali e dei conti consolidati e di verificare l’indipendenza del revisore legale o dell’impresa di revisione contabile, specie per quanto concerne la prestazione dei servizi aggiuntivi all’ente sottoposto alla revisione contabile.

L’articolo 44 dispone che, su base di reciprocità, le autorità competenti di uno Stato membro potranno abilitare un revisore di un paese terzo alla funzione di revisore legale, a condizione che la persona in questione dimostri di ottemperare ai requisiti equivalenti a quelli stabiliti dalla direttiva. Gli Stati membri assoggetteranno i revisori contabili di paesi terzi iscritti all’albo ai loro sistemi nazionali di controllo pubblico, di controllo della qualità e di indagini e sanzioni. Tuttavia, tali soggetti potranno essere da ciò esentati qualora un altro Stato membro, o un sistema di controllo della qualità di un paese terzo ritenuto equivalente a quello predisposto dalla direttiva, abbiano effettuato un controllo della qualità del revisore o dell’ente di revisione del paese terzo di cui trattasi nel corso dei tre anni precedenti.

Gli Stati membri potranno autorizzare la trasmissione alle autorità competenti di un paese terzo di carte di lavoro o altri documenti detenuti da revisori legali o da imprese di revisione contabile da loro abilitati, ma soltanto a determinate condizioni, in particolare se sono stati convenuti accordi di cooperazione basati sulla reciprocità tra le autorità competenti interessate.

Gli Stati membri devono adottare e pubblicare anteriormente al 29 giugno 2008 le disposizioni necessarie per conformarsi alla presente direttiva. Sono inoltre tenuti ad informarne immediatamente la Commissione.

Per quanto riguarda il termine per il recepimento della direttiva, l’articolo 53 stabilisce che gli Stati membri devono adottare e pubblicare anteriormente al 29 giugno 2008 le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva.

Procedure di contenzioso

Il 27 novembre 2008 la Commissione ha inviato un parere motivato all’Italia (procedura n. 2008/0557) per non aver comunicato le misure di recepimento della direttiva 2006/43/CE relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati.

 


Direttiva 2006/54/CE

 

(Pari opportunità)

 

La direttiva 2006/54/CE costituisce una rifusione, che riunifica e sostituisce, abrogandoli, una serie di precedenti atti in materia[189], apportandovi le modifiche ritenute necessarie, anche di carattere sostanziale. Le disposizioni riguardano la parità di trattamento in materia di accesso al lavoro, promozione e formazione professionale e condizioni di lavoro, compresa la retribuzione ed i regimi professionali di sicurezza sociale.

In materia di parità retributiva (Capo 1 del Titolo II), la direttiva sancisce, in primo luogo, la necessità di eliminare ogni discriminazione tra sessi, diretta o indiretta, nella remunerazione di uno stesso lavoro o di un lavoro al quale è attribuito un valore uguale. Inoltre, quando le retribuzioni sono determinate sulla base di un sistema di classificazione professionale, occorre garantire che vengano applicati gli stessi criteri sia per i lavoratori di sesso maschile sia per quelli di sesso femminile.

Riguardo alla parità di trattamento nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale (cioè, i regimi che assicurano protezione contro rischi derivanti da malattia, invalidità, vecchiaia, infortunio sul lavoro o malattia professionale e disoccupazione[190]), la direttiva vieta ogni discriminazione nell'accesso fondata sulla differenza di genere. E' esclusa, inoltre, qualsiasi discriminazione concernente l'obbligo di versamento e la misura dei contributi, nonché l'importo, la durata e il mantenimento delle prestazioni. Tali disposizioni si applicano a tutta la popolazione attiva, compresi i lavoratori autonomi - salvo alcuni casi elencati nella direttiva[191] -, ai lavoratori che hanno interrotto la loro attività per malattia, maternità, infortunio, disoccupazione involontaria, ai pensionati e ai lavoratori invalidi, nonché agli aventi causa di questi ultimi sulla base delle normative e delle prassi nazionali.

Relativamente alla parità di trattamento in materia di accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e in materia di condizioni di lavoro, la direttiva vieta discriminazioni basate sul sesso concernenti, tra l'altro, i criteri di selezione per l'accesso ad un impiego, pubblico o privato le condizioni di selezione e di assunzione, l’orientamento e la formazione professionale, le condizioni di lavoro, di licenziamento e la retribuzione ed, infine, l'affiliazione e l'attività in un'organizzazione di lavoratori o di datori di lavoro. Nella direttiva, inoltre, con riferimento all’accesso ed alla formazione, gli Stati membri possono stabilire una differenza di trattamento basata su una caratteristica specifica di un sesso senza che ciò costituisca discriminazione nelle ipotesi in cui, per la particolare natura del lavoro o per il suo contesto, tale caratteristica costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell'attività lavorativa, purché l'obiettivo sia legittimo e il requisito proporzionato. Sono poi tutelati i diritti delle lavoratrici in congedo per maternità[192], nonché dei genitori in congedo parentale e di adozione per cui la direttiva lascia impregiudicata la facoltà degli Stati membri di riconoscere distinti diritti di congedo di paternità e/o di adozione[193].

La direttiva prevede poi una serie di disposizioni orizzontali (Titolo III). Esse riguardano, in primo luogo, l'adozione, da parte degli Stati membri, di misure che garantiscano la tutela giurisdizionale del diritto di parità di trattamento, nonché forme di risarcimento o riparazione dei danni. In tale ambito, viene ribadito il principio di onere della prova, già previsto nelle direttive 97/80/CE e 98/52/CE[194], in base al quale la parte convenuta dovrà provare l'insussistenza della violazione, laddove la parte lesa avrà prodotto elementi sufficienti da far ritenere che si sia verificata una forma di discriminazione. Al fine di promuovere il principio di parità di trattamento, gli Stati membri dovranno altresì designare uno o più organismi incaricati, tra l'altro, di prestare assistenza alle vittime delle violazioni e di svolgere opportune inchieste, adottare misure in favore del dialogo tra le parti sociali e con le organizzazioni non governative, stabilire norme atte a proteggere i lavoratori dai trattamenti sfavorevoli (da parte dei datori di lavoro), che costituiscano una reazione ad una richiesta di rispetto del principio di parità di trattamento. Agli Stati membri è rimessa la scelta del regime sanzionatorio per i casi di mancata osservanza delle norme di recepimento della direttiva in esame.

Infine, si fa presente che il termine per l’attuazione della direttiva in esame è scaduto il 15 agosto 2008, ma in essa si consente il differimento di un anno, "ove necessario per tener conto di particolari difficoltà"[195].


Direttiva 2006/86/CE

 

(Tessuti e cellule umani)

 

 

La Direttiva 2006/86/CE della Commissione, del 24 ottobre 2006, è volta ad attuare la direttiva 2004/23/CE per quanto riguarda le prescrizioni in tema di rintracciabilità, notifica di reazioni ed eventi avversi gravi e determinate prescrizioni tecniche per la codifica, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani.

Più in particolare la direttiva concerne (articolo 1) la codifica, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani destinati ad applicazioni sull’uomo, nonché di prodotti derivati da tessuti e cellule umani e destinati ad applicazioni sull’uomo (sempre che tali prodotti non siano disciplinati da altre direttive).

Inoltre, le norme poste dagli articoli da 5 a 9 della direttiva, relative alla rintracciabilità e alla notifica di reazioni avverse gravi o di eventi avversi gravi, si applicano anche alla donazione, all'approvvigionamento e al controllo di tessuti e cellule umani.

L'allegato I (a cui fa rinvio l'articolo 3 della direttiva) stabilisce le prescrizioni per l'accreditamento, la designazione, l'autorizzazione o il rilascio di licenza agli istituti dei tessuti - cioè, alle strutture che effettuano attività di lavorazione, conservazione, stoccaggio o distribuzione di tessuti e cellule umani.

L'allegato II (a cui rinvia l'articolo 4 della direttiva) reca le prescrizioni per l'autorizzazione di procedimenti di preparazione di tessuti e cellule negli istituti summenzionati.

Viene inoltre definita una procedura di notifica di reazioni avverse gravi e di eventi avversi gravi (articoli 5 e 6) e reca prescrizioni specifiche in materia di rintracciabilità (articoli 9 e 10).

La procedura di cui all'articolo 5 è intesa a garantire che gli istituti dei tessuti notifichino all'autorità competente i casi di reazioni avverse gravi, nel donatore o nel ricevente.

La procedura di cui all'articolo 6 è volta ad assicurare che gli istituti dei tessuti notifichino all’autorità competente gli eventi avversi gravi che possano influire sulla qualità o la sicurezza di tessuti e cellule.

Negli allegati III e IV sono rispettivamente definiti i profili che devono essere oggetto della notifica di cui all'articolo 5 e di quella di cui all'articolo 6.

Gli articoli 7 e 8 riguardano lo scambio di informazioni tra gli Stati membri, nonché tra gli Stati membri e l'Unione europea.

L'articolo 9 e il relativo allegato VI concernono la rintracciabilità delle cellule e dei tessuti ricevuti dagli istituti dei tessuti o da essi distribuiti.

Inoltre, per agevolare la rintracciabilità e l'accesso alle informazioni sulle caratteristiche e le proprietà fondamentali di tessuti e cellule, l'articolo 10 prevede per tutti i materiali donati ai suddetti istituti un codice unico europeo d'identificazione, i cui elementi necessari sono definiti dall'allegato VII (tale sistema di codifica non si applica alla donazione di cellule riproduttive da parte del partner).

La Direttiva prevede che gli Stati membri debbano provvedere al recepimento entro il 1° settembre 2007, ad eccezione delle norme contenute nel citato articolo 10, le quali devono essere attuate entro il 1° settembre 2008.

Procedure di contenzioso

Il 16 ottobre 2008 la Commissione ha deciso di presentare ricorso alla Corte di giustizia contro l’Italia per il mancato recepimento della direttiva 2006/86/CE (procedura di infrazione n. 2007/1127).

 


Direttive 2006/112/CE, 2008/8/CE, 2008/9/CE e 2008/117/CE

 

(Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto)

 

 

La direttiva 2006/112/CE procede alla rifusione delle norme che costituiscono il sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto, contenute principalmente nella direttiva 77/388/CEE del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari (cosiddetta “sesta direttiva IVA”), più volte modificata nel corso degli anni da numerose direttive. I più recenti interventi sono stati effettuati con le direttive 2008/8/CE, 2008/9/CE e 2008/117/CE.

La nuova direttiva 2006/112/CE costituisce pertanto una sorta di testo unico di tutte le norme sul sistema comune di IVA, razionalizzando e coordinando le numerose e sostanziali modifiche intervenute nel tempo in materia.

Il nuovo testo è entrato in vigore dal 1° gennaio 2007 in tutti i Paesi dell’Unione europea.

Si ricorda che il sistema comune dell’IVA dovrebbe portare, anche se le aliquote e le esenzioni non sono completamente armonizzate, ad una neutralità dell’imposta ai fini della concorrenza nel senso che, nel territorio di ciascuno Stato membro, sui beni e sui servizi di uno stesso tipo gravi lo stesso carico fiscale, a prescindere dalla lunghezza del circuito di produzione e di distribuzione.Al fine di evitare distorsioni della concorrenza, la soppressione dei controlli fiscali alle frontiere implica, oltre ad una base imponibile uniforme dell’IVA, un certo numero di aliquote e livelli di aliquote sufficientemente ravvicinati tra gli Stati membri.

Peraltro è stato indispensabile prevedere un periodo di transizione al fine di consentire un adattamento progressivo delle normative nazionali in determinati settori. Nel corso di tale regime transitorio, in vigore fino al 31 dicembre 2010, si applicano una serie di principi speciali a numerose fattispecie. L'aliquota IVA normale attualmente in vigore negli Stati membri, che deve essere non inferiore al 15%, in combinazione con i meccanismi del regime transitorio, assicura un funzionamento accettabile del regime. Durante il periodo transitorio sono altresì possibili alcune deroghe relative al numero e al livello delle aliquote. In particolare gli Stati membri possono applicare una o due aliquote ridotte unicamente alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi delle categorie elencate nell'allegato III e fissate ad una percentuale della base imponibile che non può essere inferiore al 5 %.

 

La direttiva 2006/112/CE si compone di 414 articoli, raggruppati in 15 titoli e 12 allegati. La rifusione, come previsto espressamente nel terzo considerando, ha apportato solo poche modifiche sostanziali alla legislazione esistente. La maggior parte dei cambiamenti sono strutturali e redazionali e servono a rendere il testo più chiaro e comprensibile ovvero a correggere errori e divergenze linguistiche.

I riferimenti agli articoli abrogati si intendono fatti alla nuova direttiva 2006/112/CE, secondo una tavola di concordanza contenuta nell'allegato XII della stessa.

Tuttavia, oltre alla rielaborazione del testo, sono state introdotte alcune modifiche sostanziali recependo anche sentenze della Corte di giustizia.

Il recepimento delle modifiche sostanziali era stabilito entro il 1° gennaio 2008.

Tra le disposizioni della direttiva 2006/112/CE si segnala la definizione di “valore normale” contenuta nell’articolo 72 ai sensi del quale per tale valore si intende l'intero importo che l'acquirente o il destinatario, al medesimo stadio di commercializzazione di quello in cui avviene la cessione di beni o la prestazione di servizi, dovrebbe pagare, in condizioni di libera concorrenza.

La direttiva n. 2008/8/CE, modificando la direttiva 2006/112/CE, interviene sulla disciplina delle prestazioni di servizi allo scopo di rendere più coerente con le trasformazioni intervenute nel commercio dei servizi, per effetto della realizzazione del mercato interno, della globalizzazione, della deregolamentazione e delle innovazioni tecnologiche.

Le modifiche disposte dall’articolo 1 consistono in proroghe della normativa in materia di radiodiffusione e di televisione fissate alla data del 31 dicembre 2009.

L’articolo 2 modifica il capo 3 del titolo V della direttiva 2006/112/CE relativo al luogo della prestazione di servizi. Nelle disposizioni generali, il luogo di prestazione di servizi è individuato nel luogo in cui il soggetto passivo IVA o – nel caso di servizi resi a soggetti non passivi – il prestatore abbiano fissato la sede della propria attività economica. Disposizioni speciali sono fissate, invece, per i servizi resi da un intermediario, per quelli relativi a beni immobili, alle prestazioni di trasporto (anche relativamente al noleggio), alla cultura, all’arte, allo sport, alla scienza, all’educazione, all’attività ricreativa o ai servizi accessori ai trasporti, alle perizie ed ai lavori relativi a beni mobili, ai servizi di ristorazione e di catering. Norme diversificate sono disposte per i servizi elettronici resi a persone non rientranti tra i soggetti passivi IVA. Sono inoltre introdotte norme atte a prevenire casi di doppia imposizione fiscale, di non imposizione o di distorsione della concorrenza di cui agli articoli seguenti della direttiva in commento.

L’articolo 3 modifica gli articoli 53 e 54 della direttiva 2006/112/CE, individuando il luogo delle prestazioni di servizi per l’accesso o comunque relativi ad attività culturali, artistiche, sportive, scientifiche, educative, ricreative, che è stabilito nel luogo in cui le attività si svolgono effettivamente.

Il luogo delle prestazioni dei servizi di noleggio dei mezzi di trasporto è stabilito dall’articolo 4 della direttiva in commento che novella, a partire dal 1° gennaio 2013, l’articolo 56, paragrafo 2, della direttiva 2006/112/CE. Il luogo è quello in cui il destinatario è stabilito, domiciliato o ha residenza abituale, ovvero, nel caso di noleggio di imbarcazioni da diporto, quello in cui essa è messa effettivamente a disposizione del destinatario.

Il luogo delle prestazioni per i servizi di telecomunicazione, di teleradio diffusione ed elettrodomestici resi da soggetti passivi IVA stabiliti nella Comunità, ma non nello Stato membro di consumo, in favore di soggetti non passivi IVA, è quello del domicilio o della residenza abituale di questi ultimi.

L’articolo 6 fissa al 31 dicembre 2014 la data entro la quale la Commissione europea è tenuta a presentare una relazione sull’applicazione dell’articolo 5, concernente la prestazione di servizi di telecomunicazione, teleradiodiffusione e forniti per via elettronica, resi a persone che non sono soggetti passivi.

L’articolo 7 richiama le date di recepimento degli articoli 1 e 5, disponendo che gli Stati membri ne diano immediata comunicazione alla Commissione, insieme al testo delle disposizioni essenziali di diritto interno che sono state adottate.

I successivi articoli 8 e 9 attengono, rispettivamente, all’entrata in vigore della direttiva e all’ambito di applicazione della stessa.

La direttiva 2008/9/CE modifica la direttiva 2006/112/CE in materia di rimborsi d’imposta in favore dei soggetti passivi non residenti, con riguardo alle richieste presentate successivamente al 31 dicembre 2009.

In particolare, si stabiliscono nuovi termini entro i quali le decisioni concernenti le richieste di rimborso devono essere notificate alle imprese e per l’erogazione dei rimborsi stessi, consentendo un ampio ricorso alle tecnologie informatiche per lo svolgimento più sollecito delle procedure comunicative e facendo gravare sugli Stati la responsabilità del pagamento degli interessi in caso di rimborsi effettuati in ritardo (articoli 26 e 27).

In particolare, essa prevede (articolo 3) l’applicabilità delle disposizioni ai soggetti passivi non stabiliti nello Stato membro di rimborso che soddisfano le seguenti condizioni:

a)   nel periodo di riferimento non abbiano avuto nello Stato membro di rimborso né la sede della propria attività economica né una stabile organizzazione dalla quale fossero effettuate operazioni commerciali, né, in mancanza di tale sede o stabile organizzazione, il domicilio o la residenza abituale;

b)   nel periodo di riferimento non abbiano effettuato cessioni di beni o prestazioni di servizi il cui luogo di effettuazione si possa considerare situato nello Stato membro di rimborso, fatta eccezione delle prestazioni di servizi di trasporto e servizi accessori, esenti ai sensi della direttiva 112, e delle cessioni di beni e prestazioni di servizi per le quali la direttiva n. 112 individua un diverso debitore d’imposta.

La direttiva individua le modalità per ottenere i rimborsi (articoli da 6 a 21), garantendo un largo uso delle tecnologie informatiche nel necessario scambio di informazioni e lasciando allo Stato membro la possibilità di specificare la lingua o le lingue che devono essere utilizzate per le richieste, nonché di esigere dai richiedenti o da terzi (articoli 10 e 20) ulteriori informazioni o copie documentali in via elettronica a suffragio delle richieste di rimborso, ma fissando, al contempo, precisi limiti temporali (articolo 21) per lo svolgimento delle pratiche e per la notifica delle risposte. L’articolo 14 precisa che la richiesta di rimborso può riguardare l’acquisto di beni o di servizi fatturato durante il periodo di riferimento o l’importazione di beni, nonché fatture o documenti d’importazione non coperti da precedenti richieste di rimborso.

L’articolo 22 specifica che, in caso di approvazione della richiesta, i rimborsi dell’importo approvato sono versati dallo Stato membro di rimborso entro dieci giorni lavorativi dalla notifica di approvazione.

Il termine per l’adozione delle misure necessarie da parte degli Stati membri è fissato al 1° gennaio 2010.

La direttiva n. 2008/117/CE modifica la direttiva 2006/112/CE in materia di contrasto alle frodi fiscali connesse alle operazioni intracomunitarie. In particolare, si intende rafforzare il potere anti-frode attraverso un più efficace utilizzo dello scambio di informazioni sulle cessioni di beni all’interno della Comunità. E’ necessario, pertanto, che lo Stato membro nel quale l’IVA è esigibile disponga, entro un termine non superiore ad un mese, delle informazioni sulle cessioni intracomunitarie.

A tal fine, i contribuenti interessati (acquirente, fornitore e destinatario) presentano, entro un termine non superiore ad un mese, le dichiarazioni sulle operazioni intracomunitarie direttamente mediante procedure elettroniche semplici.

Gli Stati membri possono prevedere che gli elenchi delle operazioni intracomunitarie siano presentati con cadenza trimestrale, in luogo della mensile, qualora il relativo importo sia non significativo. In particolare, l’articolo 1 individua in 50.000 euro l’ammontare massimo delle operazioni effettuate nel trimestre che consentono la presentazione della dichiarazione trimestrale in luogo di quella mensile.

Infine, gli Stati membri possono autorizzare gli operatori a presentare, con cadenza trimestrale, anche le dichiarazioni relative alle prestazioni intracomunitarie di servizi.

Il termine di recepimento della direttiva 2008/117/CE è fissato al 31 dicembre 2009.


Direttiva 2006/123/CE

 

(Servizi nel mercato interno)

 

 

La direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006 (c.d. “direttiva servizi") intende creare un pieno mercato interno dei servizi e nasce dall'esigenza di superare gli impedimenti di ordine giuridico che ostacolano l'effettivo esercizio della libertà di stabilimento dei prestatori e della libertà di circolazione dei servizi negli Stati membri.

Inserita nella cornice della “Strategia di Lisbona”, la direttiva guarda alla realizzazione del mercato interno attraverso quattro obiettivi:

·       facilitare la libertà di stabilimento e la libertà di prestazione di servizi nell'UE;

·       rafforzare i diritti dei destinatari dei servizi in quanto utenti di tali servizi;

·       promuovere la qualità dei servizi;

·       stabilire una cooperazione amministrativa effettiva tra gli Stati membri.

La Direttiva stabilisce un quadro giuridico favorevole alla realizzazione di tali obiettivi, garantendo nel contempo un livello di qualità elevato per i servizi. Essa comprende qualsiasi servizio prestato dietro corrispettivo economico (ad eccezione dei settori esclusi: cfr. infra), tenuto conto nel contempo delle specificità di ciascun tipo di attività o di professione e del loro sistema di regolamentazione.

Sono esclusi dall'ambito di applicazione alcune tipologie di servizi, ovvero i servizi non economici di interesse generale; i servizi finanziari; i servizi di comunicazione elettronica; i servizi nel settore dei trasporti; i servizi delle agenzie di lavoro interinale; i servizi sanitari; i servizi audiovisivi; i servizi legati all'esercizio dei pubblici poteri; le attività di azzardo; i servizi sociali (ad esempio quelli relativi agli alloggi); i servizi privati di sicurezza; i servizi forniti da notai e ufficiali giudiziari.

Per quanto riguarda la libertà di stabilimento dei prestatori di servizi, la direttiva prevede disposizioni riguardanti il regime di autorizzazione all'accesso alle attività di servizi e al loro esercizio e le procedure da mettere in atto da parte degli Stati membri. L'autorizzazione sarà rilasciata sulla base criteri non discriminatori, giustificati da un motivo imperativo di interesse generale, proporzionati ad obiettivi di interesse pubblico, chiari, oggettivi, resi pubblici in precedenza, trasparenti e accessibili. Gli Stati membri dovranno poi valutare una serie di requisiti che potrebbero ostacolare la libertà di stabilimento di un prestatore di servizi, ad esempio restrizioni quantitative o territoriali legate alla popolazione o alla distanza geografica minima tra prestatori; requisiti che impongono un determinato status giuridico per il prestatore o che stabiliscono un numero minimo di dipendenti.

Circa la libera prestazione dei servizi, la direttiva prevede che gli Stati membri debbano rispettare il diritto dei prestatori di servizi di operare in uno Stato diverso da quello in cui sono stabiliti. Ne consegue che il prestatore di servizi dovrà adeguarsi agli usi e costumi giuridici della nuova sede di lavoro. Inoltre, "lo Stato membro in cui il servizio è prestato deve assicurare il libero accesso ad un'attività di servizi e al libero esercizio della medesima sul proprio territorio".

Gli Stati membri non potranno ostacolare la libertà di esercizio nel loro territorio sulla base di requisiti discriminatori, ingiustificati e sproporzionati, o di altri requisiti tra cui l'obbligo per il prestatore di stabilirsi nel territorio dove presta il servizio, di ottenere un'autorizzazione, o di essere registrato in un albo professionale. Potranno invece applicare restrizioni per motivi legati alla sicurezza, alla pubblica sanità, alla protezione dell'ambiente e alle condizioni di lavoro.

La direttiva esclude poi dalla libera prestazione alcuni servizi, tra cui: i servizi postali, l'energia elettrica, gas, la distribuzione e l'epurazione dell'acqua, lo smaltimento dei rifiuti. Sono escluse anche le attività di recupero crediti e tutto ciò che rientra nelle questioni relative al distacco dei lavoratori, al riconoscimento delle qualifiche professionali e al coordinamento dei servizi di sicurezza sociale.

In ambito di qualità dei servizi, la direttiva prevede che i prestatori mettano a disposizione dei destinatari una serie di informazioni relative ai servizi, incoraggiando la certificazione volontaria dell'attività o l'elaborazione di carte di qualità e di codici di condotta europei. Gli Stati membri dovranno poi adottare misure volte allo sviluppo di una comunicazione critica, soprattutto da parte delle associazioni dei consumatori, riguardo la qualità e i difetti dei servizi.

La direttiva inoltre stabilisce l'obbligo per gli Stati membri di procedere alla semplificazione amministrativa delle procedure e delle formalità relative all'accesso alle attività di servizi e al loro esercizio, creando sportelli unici che consentano di espletare, anche per via elettronica, tutte le formalità necessarie al libero stabilimento di un prestatore di servizi.

Allo stesso modo, è imposto l'obbligo agli Stati membri di fornirsi assistenza e informazione reciproca, al fine di migliorare la cooperazione amministrativa.

Il termine per il recepimento della direttiva[196] è fissato al 28 dicembre 2009.

 


Direttiva 2006/126/CE

 

(Patente di guida)

 

La direttiva 2006/126/CE, reca una normativa in materia di patenti di guida e rappresenta un momento essenziale della politica comune europea dei trasporti. Essa concorre, infatti, a migliorare la sicurezza della circolazione stradale ed a garantire la libera circolazione e la libertà di stabilimento delle persone. In tale contesto, la previsione di un modello di patente comune per tutti gli Stati membri è da ritenersi uno strumento fondamentale per superare i problemi derivanti dal fenomeno delle frodi e delle contraffazioni e per agevolare il compito delle amministrazioni preposte alla gestione delle patenti e quello delle forze dell’ordine.

La direttiva 2006/126/CE del 20 dicembre 2006 ha l'obiettivo di attualizzare – attraverso una rifusione - la normativa vigente in materia di patenti di guida (direttiva 91/439/CEE del Consiglio, del 29 luglio 1991 e successive modificazioni) e di sostituire gli oltre 110 modelli di patente in circolazione con un modello unico in formato carta di credito, anche al fine di agevolare i controlli.

Gli Stati membri sono tenuti a recepire la direttiva entro il 19 gennaio 2011 (quattro anni dal momento dell’entrata in vigore della direttiva). La maggior parte delle disposizioni, compresa quella concernente l’introduzione del nuovo modello di patente, deve essere applicata a decorrere dal 19 gennaio 2013 (sei anni dall’entrata in vigore della direttiva). Gli Stati membri sono inoltre tenuti a garantire, entro il 19 gennaio 2033, la conformità di tutte le patenti in circolazione al modello europeo.

Si segnala che la direttiva in esame era già contenuta nella legge comunitaria 2007 (legge 25 febbraio 2008, n. 34) inserita nell’elenco di quelle da attuare in via amministrativa.

Nell’ambito del provvedimento, rileva la previsione secondo la quale gli Stati membri possono inserire un supporto di memorizzazione (microchip) nelle patenti di guida.

La direttiva prevede, inoltre, che, entro il 19 gennaio 2013, tutte le patenti di guida abbiano una validità amministrativa limitata: 10 anni estendibili a 15 da ciascuno Stato membro, per ciclomotori (AM), motocicli con o senza side car e veicoli a tre ruote (A1, A2, A) e per gli autoveicoli di non oltre 3.500 chili (B1, B e BE), 5 anni per le altre tipologie di patenti. Tale limitato periodo di validità rende possibile procedere periodicamente all’aggiornamento dei dati e della fotografia del titolare e all’introduzione di nuovi elementi di sicurezza: in caso di rinnovo della patente, gli Stati membri restano comunque liberi di prevedere nuovi esami attitudinali, medici o oculistici.

La direttiva fissa anche limiti d'età, differenziati per categoria di autoveicoli, per ottenere la patente di guida, lasciando agli Stati un certo margine di manovra per innalzare o abbassare l'età minima.

Per i veicoli a due ruote viene imposto il principio dell’accesso graduale che, pur attribuendo agli Stati membri una limitata discrezionalità in relazione all’età minima, impone al motociclista il quale intenda ottenere l’autorizzazione a guidare motoveicoli, di acquisire esperienza prima su veicoli di cilindrata inferiore.

Viene innalzato a 24 anni il limite di età per accedere direttamente alla guida di veicoli di cilindrata superiore, in assenza di esperienza preliminare. Per i ciclomotori viene introdotta una nuova categoria europea (AM), per la quale è richiesto il superamento di una prova teorica: l’obiettivo è quello di aumentare la sicurezza stradale proprio per i motociclisti più giovani, che sono maggiormente esposti ai pericoli della circolazione stradale.

La direttiva contiene anche disposizioni volte a contrastare il cosiddetto "turismo delle patenti di guida" ossia il fenomeno di Stati obbligati a riconoscere patenti rilasciate da altri Stati membri, a propri cittadini, cui la patente sia stata ritirata nel paese d’origine, a causa di una violazione grave. La direttiva impone a tale scopo, a ciascuno Stato membro, di rifiutare il rilascio della patente di guida a un richiedente la cui patente sia stata limitata, sospesa o ritirata in un altro Stato membro.

Gli Stati membri sono obbligati ad assistersi reciprocamente nell'attuazione della direttiva ed in caso di rilascio, sostituzione, rinnovo o cambio di una patente di guida, sono tenuti a verificare se il richiedente non sia già titolare di un'altra patente di guida. Per agevolare tale cooperazione, tramite lo scambio di dati, è istituita una rete UE delle patenti di guida.

La direttiva sopperisce inoltre all’assenza di normativa armonizzata riguardo agli esaminatori di guida, definendone la formazione iniziale richiesta e i requisiti necessari in termini di garanzia di qualità e formazione continua.

Riguardo ai rimorchi, infine, la direttiva autorizza il possessore di patente B, a guidare una combinazione contenente un rimorchio con massa massima autorizzata superiore a 750 kg, purché la massa massima autorizzata di tale combinazione non superi i 4250 kg. Qualora la combinazione superi i 3500 kg, gli Stati membri sono autorizzati a richiedere il completamento di un corso di formazione e/o una prova d’esame. Per gli autocaravanil limite di peso per la categoria B rimane fissato a 3500 kg.


Direttiva 2007/2/CE

 

(Infrastruttura per l’informazione territoriale nella Comunità europea)

 

 

La direttiva Inspire(acronimo per Infrastructure for Spatial Information in Europe - Infrastruttura per l'Informazione Territoriale in Europa)[197] reca le norme per l’istituzione di un’infrastruttura per l’informazione territoriale nella Comunità europea, con la finalità di consentire lo scambio, la condivisione, l'accesso e l'utilizzo di dati geografici e ambientali interoperabili e di servizi legati a tali dati. L’interesse principale della direttiva è, infatti, rivolto soprattutto alle politiche ambientali comunitarie e alle politiche o alle attività che possono avere ripercussioni sull’ambiente.

Inspire si fonda sulle infrastrutture per l'informazione territoriale create e gestite dagli Stati membri (art. 1).

Nei considerando della direttiva si evince come la motivazione iniziale per creare una infrastruttura di dati territoriale era, ed è tuttora, quella di essere in grado di formulare, attuare e monitorare le politiche ambientali, considerando i costi e i problemi legati agli impatti ambientali transfrontalieri e ai cambiamenti climatici. Ciò è importante per le attività collegate all’ambiente in temi come la progettazione, il controllo sull’inquinamento, la protezione ambientale e i cambiamenti climatici. Per gestire efficacemente gli impatti ambientali la Comunità europea ha bisogno di aumentare la quantità di dati territoriali a disposizione, di migliorare il flusso dei dati tra i sistemi e accrescere la condivisione dei dati tra i governi, le agenzie e i cittadini. La necessità più impellente attualmente è quella di essere in grado di attuare una valutazione integrata di politiche riguardanti diversi settori (es. agricoltura, trasporti, economia, energia, sviluppo regionale, ambiente), tutti attinenti all’informazione territoriale, al fine di promuovere uno sviluppo sostenibile.

La direttiva è diretta soprattutto alle pubbliche amministrazioni che gestiscono la maggior parte dei dati territoriali, ma anche enti privati che forniscono servizi di acquisizione, gestione, pubblicazione di dati territoriali. Si applica ai set di dati territoriali su cui uno Stato membro ha e/o esercita diritti giurisdizionali, che sono disponibili in formato elettronico, che sono detenuti da (o per conto di) un’autorità pubblica, oppure terzi (artt. 3 e 4).

 

Le previsioni della direttiva

Ogni Stato dell'Unione Europea dovrà creare una propria infrastruttura di dati territoriali nazionale, che costituirà un "nodo" dell'Infrastruttura europea, e che dovrà mettere a disposizione dati territoriali, metadati e servizi di rete (artt. 4, 5, 6 e 11):

§       i dati territoriali, così come definiti dalla direttiva, sono tutti quei dati che “attengono, direttamente o indirettamente, a una località o un’area geografica specifica” e sono quelli indicati nei tre allegati della direttiva, suddivisi per categorie tematiche.

Essi riguardano una zona su cui uno Stato membro ha e/o esercita diritti giurisdizionali, che sono disponibili in formato elettronico, che sono detenuti da o per conto di un'autorità pubblica, oppure terzi (su richiesta anche entri privati potranno mettere a disposizione i propri dati, se conformi);

§       i metadati riguardano sia i dati che i servizi e vengono definiti come “le informazioni che descrivono i set di dati territoriali e i servizi relativi ai dati territoriali e che consentono di ricercare, archiviare e utilizzare tali dati e servizi”.

Gli Stati membri sono tenuti a creare i metadati dei dati territoriali relativi agli allegati I e II entro 2 anni dall’adozione della direttiva ed entro 5 anni per i metadati dell’allegato III;

§       i servizi di rete sono indispensabili per condividere i dati territoriali tra i vari livelli di amministrazione pubblica della Comunità e dovrebbero consentire di ricercare, convertire, consultare e scaricare i dati territoriali e di richiamare servizi di dati territoriali.

Per essi si intendono i servizi di ricerca dei dati disponibili (attraverso i relativi metadati), i servizi di consultazione, i servizi di scaricamento (download) e conversione, nonché i servizi per richiamare altri servizi sui dati territoriali.

I servizi di ricerca saranno gratuiti, mentre ai servizi di consultazione potranno essere applicate delle tariffe in base a leggi stabilite dai singoli Stati membri, in particolare nei casi di dati consistenti o frequenti aggiornamenti. I dati messi a disposizione mediante i servizi di consultazione potranno anche essere “protetti” per impedirne il riutilizzo a fini commerciali (art. 14).

La direttiva mira, quindi, ad agevolare la ricerca dei dati territoriali attraverso il web, tramite servizi di rete che ne permettano l’utilizzo in molteplici modi, dalla visualizzazione, al downloading, alle varie traformazioni. I dati devono essere facilmente individuabili e adatti ad un uso specifico, facili da capire ed interpretare.

La direttiva prevede anche l’interoperabilità e armonizzazione dei set di dati territoriali e dei servizi ad essi relativi, cioè la “possibilità per i set di dati territoriali di essere combinati, e per i servizi di interagire, senza interventi manuali ripetitivi, in modo che il risultato sia coerente e che il valore aggiunto dei set di dati e dei servizi sia potenziato” (art. 3, n. 7), in modo da superare il problema della diversità dei formati e delle strutture dati all’interno della UE.

Tali set di dati territoriali raccolti e rielaborati ex novo dovranno, pertanto, conformarsi alle disposizioni di esecuzione dirette a stabilirele modalità tecniche per l’interoperabilità e l’armonizzazione dei set dei dati territoriali (art. 7)[198] che dovranno essere elaborate dalla Commissione entro il 15 maggio 2009 o il 15 maggio 2012, per quanto concerne, rispettivamente, le categorie tematiche dell'allegato I e degli allegati II e III (art. 9).

La direttiva prevede che gli Stati membri possano limitare l’accesso al pubblico ai set di dati territoriali e ai servizi ad essi relativi qualora possa recare pregiudizio alle relazioni internazionali, alla pubblica sicurezza o alla difesa nazionale, nonché a salvaguardia della privacy e dei diritti di proprietà intellettuale (art. 13).

Ogni Stato membro dovrà, inoltre, fornire l'accesso ai servizi attraverso un geoportale Inspire, ovvero un sito internet o equivalente, gestito dalla Commissione europea, ferma restando la facoltà, per lo stesso Stato di realizzare o meno un proprio geoportale nazionale per permettere l'accesso agli stessi servizi (art. 15).

Ciascuno Stato membro dovrà, inoltre, adottare misure per la condivisione dei set di dati territoriali e dei servizi tra le autorità pubbliche, per permetterne a queste di accedere e scambiare tali dati e servizi ai fini di funzioni pubbliche che possono avere ripercussioni sull’ambiente. I singoli Stati possono permettere a tali autorità di rilasciare licenze d’uso e/o di accesso ai loro dati e servizi nei confronti di altre autorità pubbliche e organismi della Comunità europea (art. 17).

Gli Stati membri sono, inoltre, tenuti ad inviare alla Commissione, entro il 15 maggio 2010, una relazione sull’attuazione della direttiva comprendente, tra l’altro, anche un’analisi dei relativi costi/benefici e dovranno aggiornarla con cadenza triennale, iniziando, al più tardi, il 15 maggio 2013 (art. 21). Anche la Commissione europea è tenuta a presentare al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull'attuazione della direttiva entro il 15 maggio 2014 e successivamente ogni sei anni.

Le categorie tematiche dei dati territoriali sono, infine, riportate nei tre allegati che costituiscono parte integrante della direttiva.

Allegato I: sistemi di coordinate, sistemi di griglie geografiche, nomi geografici, unità amministrative, indirizzi, parcelle catastali, reti di trasporto, idrografia, siti protetti;

Allegato II: elevazione, copertura del suolo, orto immagini, geologia;

Allegato III: unità statistiche, edifici, suolo, utilizzo del territorio, salute umana e sicurezza, servizi di pubblica utilità e servizi amministrativi, impianti di monitoraggio ambientale, produzione e impianti industriali, impianti agricoli e di acquacoltura, distribuzione della popolazione-demografia, zone sottoposte a gestione/limitazioni/ regolamentazione e unità con obbligo di comunicare i dati, zone a rischio naturale, condizioni atmosferiche, elementi geografici meteorologici, elementi geografici oceanografici, regioni marine, regioni biogeografiche, habitat e biotopi, distribuzione delle specie, risorse energetiche, risorse minerarie.

La direttiva dovrà essere recepita entro il 15 maggio 2009.


Direttiva 2007/23/CE

 

(Immissione sul mercato di articoli pirotecnici)

 

 

La direttiva 2007/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 maggio 2007, riguarda l'immissione sul mercato di articoli pirotecnici, ovvero quegli articoli che contengono sostanze o una miscela di sostanze designate allo scopo di produrre effetti luminosi, leggeri suoni, gas o fumi - se non una combinazione di essi - attraverso reazioni chimiche esotermiche autoprovocate. Tali articoli sono utilizzati per festeggiamenti o intrattenimento, come i fuochi artificiali, oppure per altri scopi, come per esempio la produzione di sistemi di gonfiaggio destinati al mercato automobilistico (airbag), accessori per effetti speciali sulla scena, razzi di segnalazione.

La direttiva in esame stabilisce norme volte ad attuare la libera circolazione di articoli pirotecnici nel mercato interno assicurando nel contempo un livello elevato di protezione della salute umana e di sicurezza pubblica, nonché la tutela e l'incolumità dei consumatori, tenendo conto degli aspetti pertinenti connessi alla protezione ambientale, e fissa i requisiti essenziali di sicurezza che gli articoli medesimi devono soddisfare per poter essere immessi sul mercato. Essa colma un vuoto legislativo, in quanto la direttiva 93/15/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, relativa all'armonizzazione delle disposizioni relative all'immissione sul mercato e al controllo degli esplosivi per uso civile, escludeva gli articoli pirotecnici dal suo campo di applicazione e stabiliva che gli articoli pirotecnici richiedono misure adeguate per le esigenze di tutela dei consumatori e la sicurezza del pubblico, rimandando la loro regolamentazione ad una direttiva complementare.

La presente direttiva, dunque, fissa i requisiti essenziali di sicurezza che gli articoli pirotecnici devono soddisfare per poter essere commercializzati.

Oltre a definire a quale tipologia di prodotti si applica la normativa, ovvero ai “fuochi d’artificio”, agli “articoli pirotecnici teatrali” ed agli “articoli pirotecnici per i veicoli” (articolo 2), la direttiva 2007/23/CE effettua una accurata classificazione in categorie, a seconda del loro utilizzo, della loro finalità, del livello di rischio potenziale, compreso il livello di rumorosità (articolo 3).

La direttiva impone altresì ai fabbricanti di articoli pirotecnici la responsabilità di sottoporre tali prodotti ad un organismo di controllo e certificazione, che dovrà apporre il marchio CE prima della commercializzazione. Anche gli importatori dovranno garantire sotto la loro responsabilità che i prodotti commerciati sono conformi alle norme stabilite dalla direttiva circa l’apposizione del marchio europeo, l’etichettatura e la classificazione[199].

La direttiva impone anche il rispetto di alcuni limiti di età per l’acquisto di articoli pirotecnici, limiti che variano da un minimo di 12 fino a 18 anni, a seconda della categoria di prodotti.

Gli Stati membri devono recepire la direttiva[200] nel proprio ordinamento entro il 4 gennaio 2010, attraverso proprie disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che dovranno essere applicate entro il 4 luglio 2010 ovvero entro il 4 luglio 2013 a seconda della categoria di appartenenza degli articoli pirotecnici[201].

 


Direttiva 2007/30/CE

 

(Sicurezza e salute dei lavoratori)

 

 

La Direttiva 2007/30/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2007, provvede a modificare la direttiva 89/391/CEE del Consiglio (articolo 1)[202], le sue direttive particolari nonché le direttive del Consiglio 83/477/CEE, 91/383/CEE, 92/29/CEE e 94/33CE (articolo 2)[203] ai fini della semplificazione e della razionalizzazione delle relazioni, da parte degli Stati membri e della Commissione della U.E., sull’attuazione pratica delle norme comunitarie in materia di sicurezza e salute dei lavoratori.

Gli Stati membri hanno l’obbligo di adottare le misure necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 31 dicembre 2012 (articolo 4).

La direttiva provvede, in primo luogo, ad uniformare (“considerando” n. 5) le norme sulle relazioni degli Stati membri, previste fino ad ora in termini diversi in alcune delle direttive comunitarie in materia, e ad estendere l'ambito di tale obbligo, e di quello corrispondente a carico della Commissione, alle direttive che non lo contemplavano (“considerando” n. 4).

Inoltre, si ritiene opportuno (“considerando” n. 7) semplificare la procedura, disponendo l’armonizzazione delle scadenze per la presentazione delle relazioni sull’attuazione pratica alla Commissione e prescrivendo altresì una sola relazione di attuazione pratica, costituita da una parte generale, applicabile a tutte le direttive, e da capitoli specifici relativi agli aspetti particolari di ciascuna direttiva.

Tali relazioni devono essere predisposte, ogni 5 anni, sulla base di una struttura e di un questionario definiti dalla Commissione. La prima relazione concerne il sessennio 2007-2012.

La Commissione, a sua volta, effettua una valutazione complessiva e comunica i contenuti della medesima (con riguardo, eventualmente, anche alle iniziative normative che appaiano opportune) al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo ed al Comitato consultivo per la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro.

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 29 febbraio 2008 la Commissione ha presentato una proposta modificata di direttiva relativa ai requisiti minimi di sicurezza e di salute per l’uso delle attrezzature di lavoro da parte dei lavoratori durante il lavoro.

La proposta mira, in particolare, alla codificazione della direttiva 89/655/CEE che disciplina attualmente la materia.

La proposta è stata approvata dal Parlamento europeo senza emendamenti, in prima lettura, l’8 luglio 2008, secondo la procedura di codecisione.

Il 18 febbraio 2009 la Commissione ha presentato la proposta modificata di direttiva sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con un’esposizione all’amianto durante il lavoro (COM(2009)71) di codificazione della direttiva 83/477/CEE[204].

La proposta verrà esaminata secondo la procedura di codecisione.

 


Direttiva 2007/36/CE

 

(Diritti degli azionisti di società quotate)

 

 

La direttiva 2007/36/CE reca una serie di misure atte a garantire la parità di trattamento e l'esercizio di determinati diritti da parte degli azionisti in materia di partecipazione e voto nelle assemblee delle società quotate.

In particolare la direttiva reca disposizioni in materia di informazioni da rendere disponibili agli azionisti prima dell'assemblea, prevedendo, in particolare, specifiche disposizioni in merito al procedimento di convocazione assembleare, sotto il profilo dei termini temporali, delle modalità di diffusione dell'avviso di convocazione e del suo contenuto. 

Agli azionisti viene assicurato il diritto di presentare proposte di delibera, di iscrivere punti all’ordine del giorno e di porre domande sugli stessi. Gli Stati membri devono anche consentire la partecipazione a distanza alle assemblee con mezzi elettronici mediante i quali venga assicurata la possibilità di esprimere il proprio voto. Vengono dettate disposizioni per disciplinare il voto per delega e per corrispondenza e la possibilità di designare un rappresentante con mezzi elettronici. Per quanto riguarda il voto per delega, la direttiva richiede solamente il requisito della capacità giuridica del rappresentante, che ha gli stessi diritti di intervenire e porre domande che spetterebbero all’azionista rappresentato.

La direttiva reca, inoltre, disposizioni relative ai casi in cui l’azionista, persona fisica o giuridica, agisca nel quadro di un’attività professionale per conto di un cliente (voto fiduciario). La direttiva consente agli Stati membri di richiedere all'azionista un mero elenco attraverso il quale comunicare alla società l’identità di ciascun cliente ed il numero di azioni in relazione alle quali è esercitato il diritto di voto fiduciario. I requisiti relativi all'autorizzazione all’esercizio dei diritti di voto si riducono a quelli necessari per l’identificazione del cliente o per consentire la verifica del contenuto delle istruzioni di voto. L’azionista fiduciario può esprimere il proprio voto in maniera differenziata a seconda delle istruzioni ricevute dai diversi clienti.

Vengono, infine, dettate regole per la determinazione del risultato della votazione finalizzate a dare la massima evidenza al risultato assembleare. 

La direttiva si applica a società che hanno la sede legale in uno Stato membro e le cui azioni sono ammesse alla negoziazione su un mercato regolamentato situato o operante all’interno di uno Stato membro. Gli Stati membri possono escludere dall'ambito di applicazione della direttiva alcune tipologie di società, quali gli organismi di investimento collettivo del risparmio e le società cooperative.

Il termine di recepimento della direttiva è fissato al 3 agosto 2009.


Direttiva 2007/43/CE

 

(Protezione dei polli da carne)

 

 

La direttiva 43/2007 stabilisce le norme minime per la protezione dei polli da carne, in precedenza disciplinate dalla direttiva 98/58/CE del Consiglio, del 20 luglio 1998, che stabilisce le norme minime che si applicano in qualunque allevamento in mancanza di norme specifiche.

In particolare essa fissa una densità massima d’allevamento di 33 kg/m2 e impone il rispetto delle norme tecniche riportate nell’allegato I della direttiva stessa (abbeveratoi, alimentazione, lettiere, ventilazione, rumori, luce, ecc.). Se però l’allevatore si impegna a rispettare le norme più restrittive riportate nell’allegato II della direttiva, gli Stati membri possono stabilire una densità massima d’allevamento maggiore, fino a 39 kg/m2. Un ulteriore possibile aumento della densità massima, fino a un limite non superabile di 42 kg/m2, può essere concesso nel caso in cui vengano soddisfatti i criteri riportati nell’allegato V della direttiva, relativi al monitoraggio dell’azienda e alla bassa mortalità dei polli.

Notevole rilevanza viene inoltre data agli aspetti della formazione e dell’orientamento del personale che si occupa degli animali, anche attraverso l’elaborazione e la diffusione di linee guida alle buone pratiche di gestione dell’allevamento.

La direttiva, che si applica alle aziende con almeno 500 polli, non si applica ai capi allevati in modo estensivo al coperto e all’aperto in conformità ai requisiti stabiliti nell’allegato IV del Regolamento CEE n. 1538/91 di applicazione del Regolamento CEE n. 1906/90 che ha definito le norme per la commercializzazione delle carni di pollame[205] (recepito con decreto ministeriale n. 465 del 10 settembre 1999), e a quelli allevati secondo il metodo biologico in conformità al regolamento (CEE) n. 2092/91, abrogato a decorrere dal 1° gennaio 2009 e sostituito dal regolamento (CE) n. 834/2007.

Agli Stati membri, che sono tenuti a recepire la direttiva entro giugno 2010, spetta di stabilire le sanzioni da irrogare, che dovranno essere efficaci, proporzionate e dissuasive.

Infine, alla luce dell’esperienza conseguente all’applicazione in taluni Stati membri di sistemi facoltativi di etichettatura, la Commissione dovrà presentare, entro il 2009, una relazione sulla possibile introduzione di un sistema di etichettatura specifico, armonizzato e obbligatorio a livello comunitario per la carne, i prodotti e le preparazioni a base di carne di pollo.

In merito va rammentato che in conseguenza del diffondersi di un nuovo rischio epidemiologico nel settore delle carni avicole le autorità nazionali, con il D.M. 29 luglio 2004, hanno ritenuto necessario introdurre un sistema di etichettatura volontaria delle carni di pollame che consentendo di risalire al gruppo di animali di origine assicurasse la massima trasparenza nelle fasi della commercializzazione. Il sistema si basa sulla predisposizione di un disciplinare per l’etichettatura volontaria da parte delle organizzazioni interessate, disciplinare che deve essere approvato dal dicastero agricolo. Gli operatori aderenti debbono poi sottoporsi al sistema di controllo ed accertamenti che sono posti a carico di un organismo indipendente rispondente ai requisiti richiesti dalle disposizioni comunitarie sull’accreditamento di tali soggetti.

Ancora in connessione con la crisi dovuta all’influenza aviaria, è stato disposto un sistema provvisorio di etichettatura obbligatoria con indicazione del paese d’origine, con l’ordinanza del Ministero della salute 26 agosto 2005, Misure di polizia veterinaria in materia di malattie infettive e diffusive dei volatili da cortile. Venendo a scadere tali obblighi il 31 dicembre 2007, l’ordinanza del 21 dicembre 2007 ha prorogato l’obbligo di indicazione della provenienza delle carni e dei prodotti derivati a tutto il 2008, obbligo ulteriormente protratto al 31 dicembre 2010 dall'art. 1, O.M. 16 dicembre 2008.

Il termine per il recepimento della direttiva 2007/43/CE è fissato al 30 giugno 2010.


Direttiva 2007/44/CE

 

(Acquisizioni e incrementi di partecipazioni nel settore finanziario)

 

 

La direttiva 2007/44/CE reca disposizioni in merito all'aumento, alla riduzione o all'acquisizione di una partecipazione qualificata in un ente creditizio, in un'impresa di assicurazione, di riassicurazione o di investimento. Essa modifica la terza direttiva assicurazioni “non vita” (92/49/CEE), la direttiva relativa all'assicurazione sulla vita (2002/83/CE), la direttiva relativa ai mercati degli strumenti finanziari (2004/39/CE: c.d. direttiva MiFID), la direttiva relativa alla riassicurazione (2005/68/CE) e la direttiva relativa all'accesso all'attività degli enti creditizi ed al suo esercizio (2006/48/CE).

La direttiva 2007/44/CE in esame prevede un elenco chiuso di criteri che le autorità nazionali possono considerare per la valutazione prudenziale nei progetti di acquisizione ed incremento di partecipazioni, sia nazionali che transfrontalieri, al fine di accertare l'idoneità dell'acquirente. Questi criteri riguardano la reputazione, l'esperienza professionale e la solidità finanziaria dell'acquirente, nonché la provenienza lecita dei capitali necessari per l'acquisto. Si tratta di elementi che permettono di vietare le operazioni solo quando queste compromettono la sana e prudente gestione finanziaria.  

Il criterio relativo alla "reputazione del candidato acquirente" presuppone la verifica dell’esistenza di eventuali dubbi sull’integrità e sulla competenza professionale del candidato acquirente, e della loro fondatezza, che possono derivare specialmente dalla sua condotta passata. La valutazione della reputazione è di particolare importanza, se il candidato acquirente è un soggetto non regolamentato e dovrebbe essere agevolata qualora l’acquirente sia autorizzato e sottoposto a vigilanza all’interno dell’Unione europea.

La direttiva intende anche rafforzare i processi di cooperazione tra autorità competenti per la decisione del progetto di acquisizione e autorità responsabili della vigilanza sull'acquirente. 

Tra i vari profili normativi, si segnala, pertanto, che la direttiva 2007/44/CE interviene in materia di partecipazione delle imprese nel capitale sociale delle banche; a tale riguardo, essa si pone come obiettivo l’armonizzazione delle diverse normative nazionali.

Altresì, viene disciplinato l'iter autorizzativo che le acquisizioni di capitale dovranno superare, prevedendo che le istituzioni nazionali possano porre un veto qualora non siano rispettati i requisiti prudenziali.

Inoltre, la direttiva stabilisce alcune soglie di aumento di partecipazione (20, 30 e 50%), oltre le quali l’operazione va notificata e richiede un’apposita autorizzazione.

La direttiva 2007/44/CE è entrata in vigore il 21 settembre 2007 e deve essere recepita negli ordinamenti nazionali entro il 21 marzo 2009


Direttiva 2007/45/CE

 

(Quantità nominali dei prodotti preconfezionati)

 

 

La direttiva 2007/45/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 settembre 2007, stabilisce norme relative alle quantità nominali dei prodotti in imballaggi preconfezionati e si applica ai prodotti preconfezionati e agli imballaggi preconfezionati[206].

Tale direttiva vieta ogni normativa che stabilisce quantità nominali obbligatorie per i prodotti preimballati. Qualora però negli Stati membri risultino stabilite quantità nominali obbligatorie per latte, burro, paste alimentari secche e caffé, la normativa restrittiva può continuare a produrre effetti fino all'11 ottobre 2012. Per lo zucchero bianco, la normativa relativa può continuare ad avere validità fino all'11 ottobre 2013.

Per i vini e gli alcolici, la direttiva contiene la gamma dei valori delle quantità nominali del contenuto dei preimballaggi. Tali valori sono applicabili a ciascuno dei singoli preimballaggi che compongono i preimballaggi multipli.

Per i prodotti aerosol, la direttiva prevede che debba figurarvi l'indicazione della capacità nominale totale del contenitore, che eviti ogni confusione con il volume nominale del contenuto.

La direttiva abroga:

·       la direttiva riguardante il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al precondizionamento in volume di alcuni liquidi in imballaggi preconfezionati (direttiva 75/106/CEE);

·       la direttiva riguardante il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle gamme di quantità nominali e di capacità nominali ammesse per alcuni prodotti in imballaggi preconfezionati (direttiva 80/232/CEE).

Tali abrogazioni avranno luogo l'11 aprile 2009, sei mesi dopo la scadenza del termine di trasposizione della direttiva nelle normative interne degli Stati membri.

Per quanto concerne la normativa nazionale, si ricorda che vengono definiti preimballati o preconfezionati quei prodotti che sono venduti previo confezionamento:

·       in assenza dell'acquirente;

·       in un imballaggio qualsiasi in modo tale che la modifica della quantità sia possibile soltanto alterando l'imballaggio stesso;

·       in quantità di valore prefissato, cioè standard.

La sorveglianza sulla quantità effettiva contenuta nei preconfezionati, termine che indica l'insieme del prodotto e del suo imballo, è affidata alle Camere di Commercio.

I "preimballaggi CEE" che rispondono alle direttive recepite della Comunità Europea sono distinti dai preconfezionati detti "nazionali", fabbricati, cioè, in conformità a normative di carattere nazionale.

I fabbricanti e gli importatori di preconfezionati di tipologie diverse da quelli CEE devono comunicare preventivamente al Ministero dello Sviluppo Economico il codice che determinerà la sigla identificativa del lotto di produzione.

Su tali prodotti (con esclusioni di quelli confezionati in piccolissime quantità) deve essere chiaramente indicata la quantità nominale contenuta, seguita dall'unità di misura. La quantità di prodotto contenuta in un imballaggio è misurata sotto la responsabilità di chi effettua il riempimento.

Nell'ambito del controllo della quantità di prodotto effettivamente contenuto in una confezione, le norme fissano alcuni parametri:

·       divieto di commercializzazione delle confezioni con un contenuto inferiore alla quantità nominale[207] se la differenza è superiore al doppio di quanto indicato nella tabella delle tolleranze;

·       divieto di commercializzazione del lotto se la media del contenuto effettivo[208] è inferiore alla quantità nominale;

·       divieto di commercializzazione del lotto[209] se la presenza di preconfezionati fuori tolleranza è maggiore delle percentuali previste dalla norma.

La Camera di Commercio verifica, sulla base di quanto previsto dalla normativa vigente, la legalità e l'idoneità dei singoli strumenti di misura utilizzati nel processo di confezionamento e nel sistema di controllo; provvede, inoltre, all'ispezione dei registri obbligatori per la produzione dei preconfezionati.

La finalità che la direttiva in esame si propone è la liberalizzazione dei formati degli imballaggi, per favorire la libera circolazione nel mercato interno, sopprimendo gli ostacoli potenziali alla competitività e incoraggiando l'innovazione e l'accesso ai mercati. Inoltre, il mantenimento di alcuni formati imposti consente principalmente alle PMI di adattarsi meglio e di ridurre così i costi anche per il consumatore.

Il termine ultimo per il recepimento della direttiva[210] negli Stati membri è indicato nella data dell'11 ottobre 2008, mentre l’applicazione delle relative disposizioni nazionali decorrerà dall’11 aprile 2009.

Procedure di contenzioso

Il 28 novembre 2008 la Commissione europea ha inviato una lettera di messa in mora all’Italia (procedura n. 2008/0783) per non aver comunicato le misure di recepimento della direttiva 2007/45/CE che reca disposizioni sulle quantità nominali dei prodotti preconfezionati, abroga le direttive 75/106/CEE e 80/232/CEE e modifica la direttiva 76/211/CEE.

 


Direttiva 2007/58/CE

 

(Sviluppo delle ferrovie comunitarie
e ripartizione della capacità di infrastruttura)

 

 

La direttiva 2007/58/CE appartiene al c.d. “terzo pacchetto ferroviario”, che comprende anche la direttiva 2007/59/CE, per la quale si rinvia alla relativa scheda, e il regolamento 2007/1371/CE, relativo ai diritti e agli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario.

 

La direttiva 2007/58/CE modifica la direttiva 91/440/CEE.

La direttiva 91/440/CEE ha lo scopo di accrescere l’efficienza delle ferrovie comunitarie, favorendone l’adeguamento al mercato unico. Essa si applica alla gestione dell'infrastruttura ferroviaria ed alle attività di trasporto per ferrovia delle imprese ferroviarie stabilite o che si stabiliranno in uno Stato membro; non si applica alle infrastrutture la cui attività si limita all'esercizio di servizi di trasporto urbani, extraurbani o regionali (articolo 2).

In termini di apertura del mercato dei servizi ferroviari internazionali di trasporto passeggeri all’interno della Comunità, la direttiva 2007/58/CE propone che “alle imprese ferroviarie (...) [venga] accordato, entro il 1° gennaio 2010, il diritto di accesso all’infrastruttura di tutti gli Stati membri per l’esercizio di servizi di trasporto internazionale di passeggeri”. Le suddette imprese hanno, inoltre, il diritto di far salire e scendere passeggeri in stazioni situate lungo il percorso internazionale, anche se ricadenti in uno stesso Stato membro. La direttiva stabilisce alcune limitazioni, in particolare:

§      negli Stati in cui il trasporto internazionale di passeggeri rappresenta almeno il 50 per cento del fatturato viaggiatori delle imprese ferroviarie, l’apertura del mercato può essere rinviata di due anni;

§      gli Stati membri possono escludere dall’ambito d’applicazione della direttiva i servizi ferroviari in transito attraverso la Comunità e che hanno inizio e termine fuori del territorio della Comunità;

§      gli Stati membri possono limitare il diritto di accesso ai servizi da origine a destinazione oggetto di uno o più contratti di servizio pubblico. Ciò non deve comunque escludere il diritto per le imprese di far salire e scendere i passeggeri nelle stazioni lungo il percorso di un servizio internazionale, salvo il caso in cui l’esercizio di tale diritto comprometta l’equilibrio economico di un contratto di servizio pubblico;

§      gli Stati membri possono ancora limitare il diritto di far salire e scendere passeggeri in stazioni situate nel medesimo Stato membro lungo il percorso di un servizio di trasporto internazionale di passeggeri, se un’esclusiva per il trasporto di passeggeri tra le stazioni in questione è stata concessa a titolo di un contratto di concessione attribuito prima del 4 dicembre 2007.

Inoltre, fino al 1° gennaio 2010, vige la c.d. “regola della reciprocità”, secondo cui uno Stato membro può non accordare il diritto di accesso alle imprese ferroviarie in possesso di licenza in uno Stato dove non sono concessi diritti di accesso di analoga natura.

La direttiva 2007/58/CE modifica anche la direttiva 2001/14/CE.

La direttiva 2001/14/CE concerne i principi e le procedure da applicare nella determinazione e nella imposizione dei diritti dovuti per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria e si applica ai servizi ferroviari nazionali e internazionali. Gli Stati membri provvedono affinché i sistemi di imposizione dei diritti e di assegnazione di capacità dell’infrastruttura ferroviaria rispettino i principi enunciati nella direttiva, consentendo al gestore dell’infrastruttura “di immettere sul mercato la capacità di infrastruttura disponibile e di utilizzarla in maniera ottimale” (articolo 1).

Le principali modifiche della direttiva 2007/58/CE riguardano i diritti connessi alla capacità di infrastruttura, trattando le specifiche modalità per un richiedente per ottenere capacità di infrastruttura al fine di svolgere un servizio di trasporto internazionale di passeggeri. Per consentire di valutare lo scopo del servizio internazionale nel trasportare passeggeri tra stazioni situate in Stati membri diversi e il potenziale impatto economico sui contratti di servizio pubblico esistenti, gli organismi di regolamentazione si assicurano che sia informata l’autorità competente che ha attribuito un servizio di trasporto ferroviario di passeggeri definito in un contratto di servizio pubblico.

La direttiva propone, inoltre, di estendere la durata degli accordi quadro fino ad un massimo di 15 anni, nel caso si tratti di servizi che utilizzano un’infrastruttura specializzata, ovvero che richiede investimenti cospicui a lungo termine. Una durata maggiore può essere accettata in presenza di cospicui investimenti a lungo termine, soprattutto se questi costituiscano l’oggetto di impegni contrattuali che prevedano un piano di ammortamento pluriennale. A decorrere dal 1° gennaio 2010, sarà infine possibile concludere un accordo quadro iniziale per un periodo di cinque anni, rinnovabile una sola volta, sulla base delle caratteristiche di capacità utilizzate dai richiedenti che gestivano i servizi prima del 1° gennaio 2010, onde tener conto degli investimenti particolari o dell’esistenza di contratti commerciali.

Il termine per il recepimento della direttiva scade il 4 giugno 2009.

 


 

Direttiva 2007/59/CE

 

(Certificazione dei macchinisti nel sistema ferroviario)

 

 

La direttiva in esame è suddivisa in dieci Capi, e corredata di sette allegati.

Il Capo I stabilisce le condizioni e le procedure per la certificazione dei macchinisti addetti alla condotta dei locomotori e dei treni nel sistema ferroviario della Comunità, e definisce i compiti spettanti alle autorità degli stati membri, ai macchinisti, alle imprese ferroviarie, ai gestori delle infrastrutture. Viene prevista per i singoli Stati la possibilità di sottrarre all’applicazione delle norme i macchinisti operanti esclusivamente su metropolitane, tram e altri sistemi di trasporto leggero su rotaia.

Il Capo II riguarda specificamente i criteri e le procedure relative alla certificazione dei macchinisti. In particolare, l’articolo 4 definisce un modello comunitario di certificazione, prevedendo che ogni macchinista deve possedere: una licenza che attesti che il macchinista soddisfa le condizioni minime per quanto riguarda i requisiti medici, la formazione scolastica di base e la competenza professionale generale; uno o più certificati che indicano le infrastrutture sulle quali il titolare è autorizzato a condurre e che specificano il materiale rotabile che il titolare è autorizzato a condurre. Ogni certificato autorizza la conduzione riferita ad una o più delle categorie seguenti: categoria A: locomotori di manovra, treni adibiti a lavori, veicoli ferroviari adibiti alla manutenzione e qualsiasi altro locomotore quando è utilizzato per la manovra; categoria B: trasporto di persone e/o di merci.

Uno Stato membro può imporre l’osservanza di requisiti più severi per il rilascio delle licenze sul proprio territorio

Il Capo III, agli articolo 10 e 11, stabilisce i requisiti minimi per il conseguimento delle licenze: età non inferiore a venti anni, nonché una serie di requisiti di base, dettagliatamente indicati nell’articolo 11. Ciascuno Stato può comunque imporre l’osservanza di requisiti più severi per il rilascio delle licenze sul proprio territorio. Gli articolo 12 e 13 specificano i requisiti richiesti per ottenere il certificato, che comprendono conoscenze  linguistiche e qualifiche professionali. Il Capo IV definisce la procedura per il conseguimento di licenza e certificato, e per le verifiche periodiche circa il sussistenza dei requisiti professionali e fisici. L’articolo 18 prevede che le imprese ferroviarie e i gestori dell’infrastruttura sono tenuti ad assicurarsi e a controllare che le licenze e i certificati dei loro macchinisti dipendenti o sotto contratto siano validi, istituendo a tal fine un sistema di monitoraggio dei loro macchinisti.

Il Capo V definisce i compiti dell’Autorità competente in materia di sicurezza nei trasporti (quale definita dall’articolo 16 della direttiva n. 2004/49/CE, relativa alla sicurezza delle ferrovie comunitarie), con riguardo al rilascio delle licenze e dei certificati.

Il Capo VI reca disposizioni relative alla formazione dei macchinisti ed agli esami che essi devono sostenere per il rilascio delle licenze e dei certificati. Il Capo VII, in tema di valutazione, prevede che le attività collegate con la formazione, la valutazione delle competenze, l’aggiornamento delle licenze e dei certificati siano oggetto di un monitoraggio permanente nell’ambito di un sistema di norme di qualità e dispone che in ciascuno Stato membro è effettuata, a intervalli non superiori a cinque anni, una valutazione indipendente delle procedure per l’acquisizione e la valutazione delle conoscenze e delle competenze professionali, nonché del sistema di rilascio delle licenze e dei certificati. Il Capo VIII concerne il profilo e i compiti degli altri membri del personale viaggiante addetti a mansioni essenziali ai fini della sicurezza. Il Capo IX disciplina il sistema di controlli e di sanzioni, per i quali è competente l’autorità di cui al Capo V. Nel Capo X, che reca le disposizioni finali, è contenuto l’articolo 36, il quale fissa al  4 dicembre 2009 il termine ultimo di recepimento della direttiva per i singoli Stati.

Gli Allegati contengono i riferimenti tecnici necessari per l’adozione delle disposizioni recate dalla Direttiva. Essi riguardano, in particolare: il modello comunitario di licenza e certificato (Allegato I), i requisiti medici (Allegato II) la formazione dei macchinisti (Allegato III), i requisiti professionali per la licenza (Allegato IV), le conoscenze relative al materiale rotabile e i requisiti per il certificato (Allegato V), le conoscenze relative alle infrastrutture (Allegato VI), la frequenza degli esami e delle verifiche periodiche (Allegato VII).


Direttiva 2007/64/CE

 

(Servizi di pagamento nel mercato interno)

 

 

La direttiva 2007/64/CE mira a stabilire un quadro giuridico moderno e armonizzato, che consenta la creazione di un mercato integrato dei pagamenti, sopprimendo gli ostacoli tuttora esistenti all'ingresso di nuovi prestatori di servizi, rafforzando la concorrenza e offrendo agli utenti una scelta più ampia e accompagnata da un adeguato livello di protezione.

La direttiva riguarda quattro categorie di prestatori di servizi a pagamento e segnatamente:

            gli enti creditizi;

            gli uffici dei conti correnti postali che prestano servizi di pagamento;

            gli istituti di moneta elettronica;

• gli istituti di pagamento (persone fisiche o giuridiche che avranno ottenuto un'autorizzazione conformemente al titolo II della direttiva).

Per quanto concerne l'ambito di applicazione, la direttiva disciplina esclusivamente le attività commerciali che consistono nell'eseguire operazioni di pagamento per conto di una persona fisica o giuridica, a condizione che almeno uno dei prestatori del relativo servizio sia situato sul territorio dell'Unione. Si applica a pagamenti effettuati in tutte le valute e non esclusivamente quelli realizzati in euro o in altre monete nazionali dell'UE, ma non alle operazioni di pagamento effettuate in contante o per assegno cartaceo, per le quali esiste già un mercato unico dei pagamenti. Gli obblighi di trasparenza (titolo III) e le regole relative ai diritti e agli obblighi (titolo IV) si applicano, invece, soltanto ai pagamenti in euro o in altra moneta nazionale UE.

La direttiva disciplina, in particolare, tre grandi settori:

a) il diritto di prestare servizi di pagamento al pubblico. In tale ambito, vengono armonizzate le condizioni di accesso al mercato dei pagamenti applicabili ai prestatori di servizi diversi dagli enti creditizi: gli istituti di moneta elettronica e gli uffici dei conti correnti postali. Viene inoltre creata la nuova categoria degli istituti di pagamento, che, per essere autorizzati a esercitare le proprie attività, dovranno presentare una domanda scritta accompagnata da un elenco esaustivo di informazioni, dal piano aziendale ai meccanismi di controllo interno, alle procedure di gestione delle crisi (art. 5). Gli istituti di pagamento sono abilitati a prestare servizi di pagamento, servizi operativi e servizi accessori connessi (garanzia dell'esecuzione di operazioni di pagamento, servizi di cambio ecc.), nonché ad accedere ai sistemi di pagamento e alla loro gestione. Gli Stati membri devono designare le autorità responsabili per la vigilanza sugli istituti di pagamento tra gli enti pubblici o riconosciuti dal diritto nazionale o le autorità pubbliche competenti a tal fine (art. 20). L'autorizzazione a esercitare l'attività di istituto di pagamento è valida in tutti gli Stati membri e viene iscritta in un apposito registro comunitario, aggiornato periodicamente e accessibile on line (art. 13);

b) i requisiti di trasparenza e di informazione. A tal fine, la direttiva introduce requisiti di informazione chiari e succinti per tutti i prestatori di servizi di pagamento sia nelle operazioni di pagamento a carattere isolato sia in quelle coperte da un contratto quadro (che implica una serie di operazioni di pagamento). In particolare, la direttiva elenca nel dettaglio le condizioni che devono essere comunicate preliminarmente all'utente; le informazioni da fornire su richiesta prima dell'esecuzione di un'operazione di pagamento soltanto in caso di contratto quadro; le informazioni da fornire al pagatore dopo il ricevimento di un ordine di pagamento e le informazioni da fornire al beneficiario dopo la ricezione dei fondi;

c) i diritti e obblighi degli utenti e dei prestatori di servizi a pagamento. In particolare, le regole introdotte dalla direttiva riguardano il termine di esecuzione (se il pagamento è effettuato all'interno della Comunità, l'accredito deve essere effettuato entro la fine del primo giorno lavorativo successivo al momento dell'accettazione, art. 69); le responsabilità oggettiva del prestatore di servizi in caso di mancata esecuzione o esecuzione inesatta di un'operazione di pagamento effettuata entro il territorio UE (art. 75); la responsabilità dell'utente di servizi in caso di uso fraudolento di uno strumento di pagamento; il principio dell'importo integrale, in base al quale la totalità dell'importo indicato nell'ordine di pagamento deve essere accreditata sul conto del beneficiario, senza deduzioni; le condizioni per il rimborso, quando un'operazione di pagamento è stata autorizzata.

La Direttiva prevede l'adozione, da parte degli Stati membri, di un regime di sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive applicabili alle violazioni delle disposizioni di diritto nazionale adottate in via attuativa.

Viene infine previsto che, entro il 1° novembre 2012, la Commissione europea presenti una relazione sull'applicazione e l'impatto della Direttiva, corredata di eventuali proposte di revisione.

Il termine di recepimento della direttiva è fissato al 1° novembre 2009.

 


Direttiva 2007/65/CE

 

(Esercizio delle attività televisive)

 

 

La Direttiva 2007/65/CE effettua una revisione della direttiva 89/552/CE, c.d. “Televisione senza frontiere”, in considerazione del fatto che le nuove tecnologie di trasmissione di servizi di media audiovisivi rendono necessario un adattamento del quadro normativo.

Da questo punto di vista, il paragrafo 2 dei “considerando” evidenzia che, mentre le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri applicabili all’esercizio delle attività televisive sono già coordinate dalla Direttiva 89/552/CE, le norme applicabili alla fornitura di servizi di media audiovisivi a richiesta presentano alcune divergenze che determinano incertezza giuridica e che potrebbero ostacolare la libera circolazione di tali servizi all’interno della Comunità. Da qui, la necessità di facilitare la realizzazione di uno spazio unico dell’informazione e di applicare almeno un complesso minimo di norme coordinate a tutti i servizi di media audiovisivi, vale a dire sia ai servizi di radiodiffusione televisiva (cioè, ai servizi di media audiovisivi lineari), che ai servizi di media audiovisivi a richiesta (cioè, ai servizi di media audiovisivi non lineari)[211]. Al riguardo si evidenzia, peraltro, che i servizi di media audiovisivi a richiesta si differenziano dalle emissioni televisive per quanto riguarda la possibilità di scelta e il controllo che l’utente può esercitare, il che giustifica l’imposizione di una regolamentazione più leggera sugli stessi servizi, che dovrebbero rispettare solamente le norme di base della direttiva.

Conseguente a tale affermazione è l’inserimento nella Direttiva 89/552/CE di un Capo II bis che reca disposizioni applicabili a tutti i servizi di media audiovisivi e di un Capo II ter che reca disposizioni applicabili unicamente ai servizi di media audiovisivi a richiesta (si vedapar. 42 dei “considerando”).

Alla base della direttiva rimane il principio del paese di origine, da applicare a tutti i servizi di media audiovisivi, al fine di assicurare la libera circolazione dell’informazione[212] e dei programmi audiovisivi nel mercato interno. Si prevede, altresì, che i fornitori di servizi di media in generale sono liberi di scegliere lo Stato membro in cui stabilirsi e che gli Stati membri conservano la facoltà di applicare ai fornitori di servizi di media soggetti alla loro giurisdizione norme più dettagliate o severe nei settori coordinati dalla direttiva, purché tali norme siano conformi ai principi generali del diritto comunitario.

Le disposizioni applicabili a tutti i servizi di media audiovisivi comprendono la necessità che gli Stati membri assicurino, fra gli altri:

Ø    un accesso facile e diretto alle informazioni sul fornitore dei servizi di media;

Ø    che i servizi di media audiovisivi non contengano alcun incitamento all’odio basato su razza, sesso, religione o nazionalità;

Ø    il diritto delle persone con disabilità e degli anziani ad avere gradualmente accesso ai servizi di media audiovisivi[213].

Vengono, inoltre, recate una serie di indicazioni relative alle comunicazioni commerciali audiovisive[214](nozione introdotta dalla direttiva in esame e comprendente la pubblicità televisiva, le sponsorizzazioni, le televendite, l’inserimento di prodotti): in particolare, se ne prescrive la riconoscibilità, si vietano le comunicazioni occulte e l’utilizzo di tecniche subliminali, nonché la promozione di prodotti a base di tabacco e di medicinali e cure ottenibili solo su prescrizione.

Inoltre, tali comunicazioni non devono:

Ø    pregiudicare il rispetto della dignità umana;

Ø    incoraggiare comportamenti pregiudizievoli per la salute, la sicurezza o l’ambiente;

Ø    promuovere discriminazioni di ogni tipo;

Ø    arrecare pregiudizio fisico o morale ai minori.

Per quanto concerne l’inserimento di prodotti, chiaramente definito dalla direttiva, si rimanda al commento dell’art. 23 del disegno di legge comunitaria in esame; si segnala comunque, sinteticamente, che tale forma di promozione è in linea di massima vietata, salva, tuttavia, la possibilità per gli Stati membri di autorizzare deroghe per specifiche fattispecie e subordinatamente al rispetto di alcune regole[215].

Le disposizioni applicabili unicamente ai servizi di media audiovisivi a richiestacomprendono:

Ø    la necessità che gli Stati membri adottino le misure atte a garantire che i servizi di media audiovisivi a richiesta che potrebbero nuocere gravemente allo sviluppo fisico, morale o mentale dei minori siano messi a disposizione del pubblico solo in modo da escludere che i minori vedano o ascoltino tali servizi;

Ø    la necessità che gli Stati membri assicurino che i servizi di media audiovisivi a richiesta soggetti alla loro giurisdizione promuovano, ove possibile, la produzione di opere europee e l’accesso alle stesse, ad esempio attraverso il contributo finanziario o la percentuale delle opere europee nel catalogo dei programmi offerti.

Per quanto concerne i diritti di trasmissione televisiva di eventi di grande interesse pubblico, la direttiva prevede che ciascuno Stato membro può adottare misure, compatibili con il diritto comunitario, volte ad assicurare che le emittenti soggette alla sua giurisdizione non trasmettano in esclusiva eventi che esso considera di particolare rilevanza per la società, così da privare una parte importante del pubblico di tale Stato della possibilità di seguire i suddetti eventi in diretta o in differita su canali liberamente accessibili. Peraltro, al fine di tutelare la libertà di informazione, si prevede che gli Stati membri assicurano che ogni emittente stabilita nella Comunità abbia accesso, a condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie, ad eventi di grande interesse pubblico trasmessi in esclusiva da emittente soggetta alla loro giurisdizione, ai fini della realizzazione di brevi estratti di cronaca.

In materia di pubblicità, nei “considerando” della direttiva si evidenzia che, poiché gli spettatori hanno maggiori possibilità di evitare la pubblicità grazie al ricorso a nuove tecnologie, quali i videoregistratori digitali personali e l’aumento dell’offerta di canali, si ritiene non più giustificato il mantenimento di una normativa dettagliata in materia di inserimento di spot pubblicitari. Pertanto la direttiva - attraverso una serie di modifiche agli articoli della precedente Direttiva 89/552/CE[216] - prevede l’abolizione del tetto orario giornaliero fissato in precedenza per le inserzioni pubblicitarie e le televendite in relazione al tempo complessivo di trasmissione di un’emittente[217], ma lascia inalterata la quantità massima di spot pubblicitari e di televendita consentiti in un’ora (12 minuti[218]).

Inoltre, si autorizzano le emittenti televisive a scegliere liberamente la collocazione degli spot all’interno dei programmi, purché non ne venga pregiudicata l’integrità.

Infine, viene abolito l'obbligo di prevedere intervalli di almeno venti minuti tra le interruzioni pubblicitarie o televendite inserite in un medesimo programma, stabilendo, tuttavia, che una serie di trasmissioni (notiziari, opere cinematografiche, programmi di attualità o destinati ai bambini) possono essere interrotti solo una volta ogni 30 minuti[219].

L’ultimo paragrafo dei “considerando” prevede, infine, l’intervento della Comunità in base al principio di sussidiarietà previsto dall’art. 5 del Trattato.

Il termine di recepimento della direttiva 2007/65/CE è fissato al 19 dicembre 2009.

 


Direttiva 2007/66/CE

 

(Procedure di ricorso in materia di appalti)

 

 

La nuova direttiva 2007/66/CE, attraverso alcune modifiche alle direttive ricorsi (direttiva 89/665/CEE per i settori cd. ordinari e direttiva 92/13/CEE per i settori cd. speciali), è volta essenzialmente a migliorare l'efficacia dei mezzi di tutela, quali le procedure di ricorso, al fine di garantire maggiore trasparenza delle procedure di aggiudicazione nonché ad assicurare la parità di trattamento e la non discriminazione delle imprese interessate.

Quanto al merito specifico delle disposizioni, la nuova direttiva conferma le linee generali dell'impostazione delle direttive 89/665/CEE 92/13/CEE, ma ne integra in modo sostanziale la disciplina, introducendo, tra l'altro, due principi essenziali:

§      il termine sospensivo minimo per la stipula del contratto;

§      la privazione di effetti dei contratti stipulati in violazione del termine minimo ovvero affetti da gravi violazioni del diritto comunitario.

Tali nuovi principi, con le relative norme procedurali, sono contenute in una serie di articoli - dal 2-bis al 2-septies e dal 3-bis al 3-ter di entrambe le direttive ricorsi - e presentano un identico contenuto, sostanziale e letterale, salvo i diversi riferimenti normativi nelle due direttive.

Nei considerando 2 e 3 della direttiva viene sottolineato come secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, gli Stati membri dovrebbero garantire che siano accessibili mezzi di ricorso efficaci e rapidi avverso le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici e dagli enti aggiudicatori. La stessa Corte ha quindi evidenziato una serie di lacune nei meccanismi di ricorso esistenti nelle due direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE che non permettono di garantire il rispetto delle disposizioni comunitarie. Conseguentemente risulterebbero non solo violate le garanzie di trasparenza e di non discriminazione che costituiscono invece l’obiettivo delle due citate direttive, ma risulterebbero vanificati anche gli effetti positivi dovuti alla semplificazione delle norme sull’aggiudicazione degli appalti pubblici, operati dalle direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE.

Ambito di applicazione

L'ambito oggettivo della nuova direttiva è riferito a tutti gli appalti (appalti pubblici, accordi quadro, concessioni di lavori e sistemi dinamici di acquisizione) della direttiva 2004/17/CE relativa ai settori speciali e della direttiva 2004/18/CE relativa ai settori ordinari.

Non rientrano quegli appalti esclusi a norma degli artt. da 10 a 18 della direttiva 2004/18/CE e a norma dell’art. 5, paragrafo 2, degli artt. da 18 a 26, degli artt. 29 e 30 o dell’art. 62 della direttiva 2004/17/CE.

Gli artt. 10 e 11 della direttiva 2004/18/CE riguardano situazioni specifiche, quali gli appalti nel settore della difesa e gli appalti pubblici e accordi quadro stipulati da centrali di committenza e gli artt. 12- 18 indicano, invece, gli appalti esclusi (appalti aggiudicati nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, alcune esclusioni specifiche nel settore delle telecomunicazioni, appalti segreti o che esigono particolari misure di sicurezza, appalti aggiudicati in base a norme internazionali, alcune esclusioni specifiche, le concessioni di servizi e gli appalti di servizi aggiudicati sulla base di un diritto esclusivo).

Gli appalti esclusi a norma della direttiva 2004/17/CE riguardano gli enti che forniscono un servizio di autotrasporto mediante autobus al pubblico i quali erano esclusi dal campo di applicazione della direttiva 93/38/CEE (art. 5, paragrafo 2); le concessioni di lavori e di servizi sottoposti a un regime particolare, gli appalti aggiudicati a scopo di rivendita o di locazione a terzi, quelli aggiudicati per fini diversi dall'esercizio di un'attività interessata o per l'esercizio di un'attività in un paese terzo, gli appalti segreti, gli appalti aggiudicati in forza di norme internazionali e quelli appalti aggiudicati ad un'impresa collegata ad una jointventure, gli appalti relativi a taluni servizi esclusi dall'ambito di applicazione della direttiva stessa, gli appalti di servizi aggiudicati in base a un diritto esclusivo e quelli aggiudicati da taluni enti aggiudicatori per l'acquisto di acqua e per la fornitura i energia o di combustibili destinati alla produzione di energia (arrt. da 18 a 26); gli appalti e accordi quadro stipulati da centrali di committenza e la procedura per stabilire se una determinata attività è direttamente esposta alla concorrenza (artt. 29 e 30); i concorsi di progettazione di cui all’art. 62.

Il termine sospensivo

Nel considerando 4 viene rilevato come una delle maggiori carenze delle due precedenti direttive sui ricorsi, novellate dall’attuale direttiva, sia l’assenza di un termine che permetta un ricorso efficace tra la decisione d’aggiudicazione di un appalto e la stipula del relativo contatto.

Pertanto, al fine di conferire maggiore efficacia alla tutela dei partecipanti alle procedure di gara, la nuova direttiva introduce un termine generale minimo obbligatorio di sospensione tra la comunicazione dell'aggiudicazione e la stipula del contratto.

Tale termine varia a seconda del mezzo più o meno rapido di comunicazione dell'aggiudicazione agli interessati: è di almeno «10 giorni civili» - vale a, dire di calendario - se la comunicazione avviene per fax o per posta elettronica, di 15 giorni con altri mezzi.

Questo termine rappresenta un tempo minimo ritenuto generalmente congruo per valutare l’opportunità del ricorso, ma allo stesso tempo non troppo lungo da causare oneri sproporzionati all'amministrazione aggiudicatrice. Gli Stati potranno naturalmente, in sede di recepimento, introdurre termini superiori oppure decidere quale dei due termini applicare se vengono usati congiuntamente più mezzi di comunicazione (considerando 5 e 6).

La comunicazione della decisione di aggiudicazione ad ogni offerente e candidato interessato deve essere accompagnata da:

§      una relazione sintetica dei motivi pertinenti;

§      una precisa indicazione del termine sospensivo per esperire la procedura di ricorso.

Il termine sospensivo ha valenza generale, riguarda cioè, tutti gli appalti di cui alle due direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE e la sua applicazione può essere derogata solo in tre precise e limitate fattispecie, analoghe per le due direttive:

1) appalti senza obbligo di pubblicazione nella GU dell’Unione europea per l'estrema urgenza. In tali casi, sottolinea il considerando 8, è sufficiente prevedere procedure efficaci di ricorso dopo la conclusione del contratto;

2) offerente unico aggiudicatario e non vi sono candidati interessati;

3) appalti basati su di un accordo quadro o su di un sistema dinamico di acquisizione. In tali casi gli Stati, anziché introdurre un termine sospensivo obbligatorio, dovranno prevedere la privazione di effetti quali sanzione effettiva.

Dal lato soggettivo, la direttiva chiarisce che sono considerati interessati, e quindi ammessi a proporre ricorso:

§      gli offerenti che non siano stati definitivamente esclusi (l'esclusione è tale se è stata comunicata e ritenuta legittima da un organo indipendente di ricorso ovvero se non può essere oggetto di ricorso);

§      quei candidati nel caso in cui l'amministrazione aggiudicatrice non ha messo a loro disposizione le informazioni attinenti il rigetto della loro domanda.

Accanto al termine sospensivo minimo, la direttiva in esame introduce un rilevante principio nel nuovo art. 2 delle due direttive ricorsi (par. 3 e 4 della direttiva 89/665/CEE, e par. 3 e 3 bis della direttiva 92/13/CEE) ovvero l'obbligo per gli Stati, pur senza sancire alcun automatismo nella produzione di effetti sospensivi sulle procedure di aggiudicazione, di imporre alle amministrazioni aggiudicatrici di «non stipulare il contratto prima che l'organo di ricorso abbia preso una decisione sulla domanda di provvedimenti cautelari o sul merito del ricorso».

Tale principio insieme al combinato disposto con le previsioni sull’introduzione del termine sospensivo (nuovo art. 2-bis delle due direttive ricorsi) è convalidato dal considerando 12 ove viene espressamente prevista la possibilità di proroga del termine sospensivo e la conseguente necessità di «un termine sospensivo minimo autonomo» che «non dovrebbe scadere prima che l'organo di ricorso si sia pronunciato sulla domanda». Lo stesso considerando esplicita, infatti, chiaramente, la ratio della disposizione, sottolineando che «la proposizione di un ricorso poco prima dello scadere del termine sospensivo minimo non dovrebbe privare l'organo responsabile delle procedure di ricorso del tempo minimo indispensabile per intervenire». Da qui, l'eventualità della proroga e la previsione della competenza degli Stati circa la determinazione della scadenza del termine sospensivo autonomo: «Gli Stati membri possono decidere che tale termine scada quando l'organo di ricorso abbia preso una decisione circa la domanda di provvedimenti cautelari, anche riguardo a un'ulteriore sospensione della stipula del contratto, o quando l'organo di ricorso abbia preso una decisione sul merito della questione, in particolare sulla domanda di annullamento delle decisioni illegittime».

 

La privazione di effetti

Un altro importante principio introdotto dalla direttiva 2007/66/CE è strettamente correlato al primo è quello della previsione della possibile privazione degli effetti dei contratti in tre ipotesi di portata relativamente ampia:

§      nel caso di stipula con violazione del termine sospensivo;

§      nel caso di aggiudicazione senza pubblicazione al di fuori delle ipotesi previste;

§      qualora gli Stati abbiano previsto la deroga al termine sospensivo per gli appalti stipulati a seguito di un accordo quadro o un sistema dinamico di acquisizione.

Con la prima ipotesi, la privazione degli effetti agisce in funzione rafforzativa del principio del termine sospensivo, mentre negli altri due casi la volontà del legislatore comunitario è esplicitata nei considerando 13 e 14, ove viene sottolineato che, per contrastare l’aggiudicazione di appalti mediante affidamenti diretti illegittimi «la privazione di effetti è il modo più sicuro per ripristinare la concorrenza e creare nuove opportunità commerciali per gli operatori economici che sono stati illegittimamente privati delle possibilità di competere». Viene, inoltre, aggiunto, che «la carenza di effetti non dovrebbe essere automatica ma dovrebbe essere accertata da un organo di ricorso indipendente o dovrebbe essere il risultato di una decisione di quest’ultimo».

La nuova direttiva precisa, quindi, che spetta al diritto nazionale determinare le conseguenze che derivano dalla privazione di effetti di un contratto, indicando alcune ipotesi quali prevedere la soppressione con effetto retroattivo di tutti gli obblighi contrattuali (ex tunc) o viceversa limitare la portata della soppressione agli obblighi che rimangono da adempiere (ex nunc).

Disposizioni attuative

A questi principi cardine della nuova disciplina, fanno da contorno norme procedurali e sostanziali che le specificano e le rafforzano, pur lasciando agli Stati, in sede di trasposizione, un'ampia discrezionalità nella concreta determinazione delle disposizioni attuative.

Spetterà, infatti, al diritto nazionale stabilire i termini di preposizione dei ricorsi, fatto salvo il termine generale minimo obbligatorio di sospensione tra la comunicazione dell'aggiudicazione e la stipula del contratto (che, come sopra illustrato, è di almeno 10 giorni civili se la comunicazione avviene per fax o per posta elettronica, oppure di 15 giorni con altri mezzi).

Solo nel caso di ricorsi avverso la decisione di privazione degli effetti del contratto gli Stati dovranno fissare un «termine minimo ragionevole di prescrizione o decadenza dei ricorsi» (considerando 25) entro, però, i limiti temporali stabiliti al nuovo articolo 2-septies (delle due direttive ricorsi):

§      30 giorni civili nel caso di comunicazione dell'avviso di aggiudicazione se accompagnata dalla relativi sintetica motivazione della decisione;

§      sei mesi dalla data di stipula del contratto.

Inoltre, sarà compito degli Stati definire in dettaglio la previsione di sanzioni effettive per le violazioni della direttiva, come pure la facoltà di poter fissare sanzioni alternative alla privazione degli effetti del contratto ovvero di poter prevedere che l'organo giurisdizionale possa derogare dalla privazione degli effetti, ma soltanto «per esigenze imperative (non sono tali gli interessi economici legati direttamente all'appalto) connesse a un interesse generale» applicando sanzioni alternative.

Tali sanzioni alternative dovranno essere comunque effettive, proporzionate e dissuasive e consistono in sanzioni pecuniarie in capo alle amministrazioni aggiudicatici e nella riduzione della durata del contratto. Non viene considerata una sanzione alternativa la concessione del risarcimento danni. Nulla vieta, poi ai singoli Stati, come si legge nel considerando 20, stabilire sanzioni più rigorose.

Ulteriori disposizioni

La nuova direttiva 2007/66/CE prevede anche un meccanismo correttore nel caso in cui, prima della stipula del contratto, ritenga che sia stata commessa una grave violazione del diritto comunitario nelle procedure di aggiudicazione di appalti che rientrano nell’ambito di applicazione delle direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE. A tal fine è previsto l’intervento della Commissione in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del Trattato, ma nel rispetto, in particolare, del principio dell’autonomia procedurale degli Stati membri (considerando 34).

Da ultimo, va segnalato che la nuova direttiva sopprime, in quanto rimasti praticamente inutilizzati, due istituti previsti nella sola direttiva ricorsi 92/13/CEE relativa ai settori speciali: il sistema volontario di attestazione della legittimità delle aggiudicazioni e il meccanismo di conciliazione, che prevedeva, a favore dell'offerente che si riteneva leso per violazione del diritto comunitario la possibilità dell'intervento conciliativo della stessa Commissione UE (considerando 29 e 30).

Il termine di recepimento della direttiva è fissato al 20 dicembre 2009.

 


Direttiva 2008/48/CE

 

(Contratti di credito ai consumatori)

 

 

La direttiva 2008/48/CE del 23 aprile 2008è stata emanata al fine di armonizzare il quadro normativo, regolamentare ed amministrativo degli Stati membri in tema di contratti di credito ai consumatori (articolo 1).

Dai considerando della direttiva emerge che tale necessità di armonizzazione discende dalla diversità normativa riscontrata, nel corso degli anni, presso la legislazione degli Stati membri in materia di credito al consumo, nonostante il processo avviato con la direttiva 87/102/CEE. Si rileva infatti che gli Stati membri “utilizzano una serie di meccanismi di tutela dei consumatori” aggiuntivi rispetto alle norme europee, “a causa delle diverse situazioni economiche o giuridiche a livello nazionale”.

Le autorità europee hanno rilevato che “lo stato di fatto e di diritto risultante da tali disparità nazionali in taluni casi comporta distorsioni della concorrenza tra i creditori all'interno della Comunità e fa sorgere ostacoli nel mercato interno quando gli Stati membri adottano disposizioni cogenti diverse e più rigorose rispetto a quelle previste dalla direttiva 87/102/CEE […]. Tali distorsioni e restrizioni possono a loro volta avere conseguenze sulla domanda di merci e servizi”.

Tali esigenze di tutela, assieme alle nuove forme di credito offerte ai consumatori e da questi utilizzati, hanno fatto sorgere l’esigenza di “modificare le disposizioni esistenti ed estenderne, se del caso, l’ambito di applicazione”.

Il capo I della direttiva (articoli 1-3) reca l’oggetto (di cui al citato articolo 1), l’ambito applicativo e le definizioni rilevanti ai fini delle norme introdotte.

In particolare, l’articolo 2 definisce il campo applicativo della direttiva, i.e. ai contratti di credito; esclude tuttavia alcune tipologie specifiche contrattuali.

Tra l’altro, sono esclusi:

§       i contratti di credito garantiti da un'ipoteca oppure da un'altra garanzia analoga comunemente utilizzata in uno Stato membro sui beni immobili o da un diritto legato ai beni immobili;

§       i contratti di credito finalizzati all'acquisto o alla conservazione di diritti di proprietà su un terreno o un immobile costruito o progettato;

L’articolo 121, comma 4, lettera e) del d.lgs. n. 385 del 1993[220] (“Testo unico bancario”, in cui sono confluite le norme di recepimento della direttiva 87/102/CEE) ai finanziamenti destinati all'acquisto o alla conservazione di un diritto di proprietà su un terreno o su un immobile edificato o da edificare, ovvero all'esecuzione di opere di restauro o di miglioramento;

§       i contratti di credito per un importo totale del credito inferiore ai 200 euro o superiore a 75 mila euro;

L’articolo 121, comma 4, lettera a) del TUB prevede che non si applichi la normativa sul credito al consumo ai finanziamenti di importo rispettivamente inferiore e superiore ai limiti stabiliti dal CICR con delibera avente effetto dal trentesimo giorno successivo alla relativa pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana;

§       i contratti di locazione o leasing che non prevedono obbligo di acquisto dell'oggetto del contratto né in virtù del contratto stesso né di altri contratti distinti; tale obbligo si ritiene sussistente se è così deciso unilateralmente dal creditore;

§       i contratti di concessione di scoperto da rimborsarsi entro 1 mese;

§       i contratti di credito che non prevedono il pagamento di interessi o altre spese e contratti di credito in forza dei quali il credito deve essere rimborsato entro tre mesi e che comportano solo spese di entità trascurabile;

L’articolo 121, comma 4, lettera d) del TUB prevede che le norme italiane sul credito al consumo non si applichino ai finanziamenti privi, direttamente o indirettamente, di corrispettivo di interessi o di altri oneri, fatta eccezione per il rimborso delle spese vive sostenute e documentate.

§       i contratti di credito mediante i quali un datore di lavoro, al di fuori della sua attività principale, concede ai dipendenti crediti senza interessi o a tassi annui effettivi globali inferiori a quelli prevalenti sul mercato, purché tali crediti non siano offerti al pubblico in genere.

Gli articoli da 4 a 8 della direttiva in esame si occupano delle informazioni e delle pratiche preliminari alla conclusione del contratto.

In particolare, l’articolo 4 reca le informazioni di base da inserire in qualsiasi pubblicità relativa a contratti di credito che indichi un tasso d'interesse o qualunque altro dato numerico riguardante il costo del credito per il consumatore (cd. “informazioni pubblicitarie di base”). L’articolo 5 impone che il creditore e, ove presente, l’intermediario del credito forniscano al consumatore le informazioni (elencandole dettagliatamente) necessarie a raffrontare le varie offerte di credito, al fine di prendere una decisione con cognizione di causa in merito alla conclusione di un contratto di credito (cd. “informazioni precontrattuali”).

L’articolo 6 rece le informazioni precontrattuali relative ad alcuni contratti di credito di natura specifica, o concessa sotto forma di scoperto. L’articolo 7 contempla alcune deroghe agli obblighi informativi, in particolare per i fornitori di merci o i prestatori di servizi che agiscono come intermediari del credito a titolo accessorio.

Per quanto stabilito dall'articolo 8, inoltre, il creditore ha l'obbligo di valutare, sulla base di adeguate informazioni, il merito creditizio del consumatore. Per la valutazione del merito il creditore si avvale delle informazioni fornite dal creditore, ovvero di un’apposita banca dati che ciascuno Stato ha la facoltà di creare. Ai sensi dell’articolo 9, per i crediti transfrontalieri ogni Stato membro deve garantire ai creditori di altri Stati membri l'accesso alle banche dati utilizzate nel proprio territorio.

Il capo IV (articoli da 10 a 18) reca la disciplina delle informazioni obbligatorie che devono essere contenute nei contratti di credito e dei diritti a questi inerenti.

L’articolo 10 si occupa delle informazioni contrattuali, ovvero gli elementi informativi da inserire nel contratto di credito; l’articolo 11 reca la disciplina informativa sul tasso debitore e sulle eventuali modifiche, da comunicare al debitore prima della loro entrata in vigore. Disposizioni puntuali sono dettate per i crediti sotto forma di scoperto, i cui contratti devono informare riguardo a: periodo di riferimento dell'estratto conto, operazioni effettuate, tasso debitore applicato, eventuale spese addebitate e, ove occorra, l'importo minimo da pagare (articolo 12). Per i crediti a durata indeterminata, è previsto che il consumatore possa avviare in qualsiasi momento la procedura di scioglimento, a meno di aver concordato un preavviso (articolo 13). L'articolo 14 regolamenta il diritto di recesso, che il consumatore può esercitare entro 14 giorni dalla data della conclusione del contratto o dal giorno in cui il consumatore riceve le condizioni contrattuali e le relative informazioni. Il consumatore può recedere senza fornire motivazione. L'esercizio del diritto di recesso riguardo a contratti per fornitura di merci o per la prestazione di servizi svincola il consumatore anche da eventuali contratti collegati (articolo 15). Ai sensi dell'articolo 16, il consumatore ha il diritto di adempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte, agli obblighi contrattuali. Se rimborsa anticipatamente il credito, ha diritto ad un equo indennizzo, comunque non superiore all'1% dell'importo del credito rimborsato in anticipo. Alcune specifiche fattispecie non danno diritto ad indennizzo (rimborso effettuato in esecuzione di un contratto di assicurazione a garanzia del credito, concessione di scoperto, rimborso riferito ad un periodo per il quale il tasso debitorio non è fisso). E' in ogni caso fatta salva, per gli Stati membri, la possibilità di prevedere ulteriori condizioni per il riconoscimento degli indennizzi. La direttiva dispone poi in merito alla cessione a terzi dei diritti del creditore e allo sconfinamento (rispettivamente articoli 17 e 18).

Il capo V (articolo 19) reca, per la prima volta, una disciplina armonizzata delle modalità di calcolo del tasso debitorio annuo effettivo globale, facendo riferimento alla formula matematica espressa nella parte I dell'allegato I.

Gli articoli 20 e 21 attengono al controllo che gli Stati membri effettuano sui creditori. Si richiede che tale controllo venga esercitato da un'autorità indipendente; vengono elencati gli obblighi degli intermediari nei confronti dei creditori. Gli articoli da 22 a 24 recano le misure attuative in materia di armonizzazione e obbligatorietà della direttiva, di impianto sanzionatorio e risoluzione stragiudiziale delle controversie.

L’articolo 27 fissa il termine di recepimento della direttiva al il 12 maggio 2010, giorno da cui è abrogata la vigente direttiva 87/102/CEE in materia di armonizzazione sul credito.

Si prevede altresì una verifica sull'attuazione della direttiva da parte della Commissione europea (articolo 27, par. 2)  da effettuarsi con cadenza quinquennale, a partire al 12 maggio 2013.

Si ricorda infine che l’articolo 30 reca alcune misure transitorie: la direttiva infatti non si applica ai contratti di credito in corso alla data dell'entrata in vigore delle misure nazionali di attuazione. Sono fatte salve alcune prescrizioni in tema di informazioni e di diritti dei consumatori, che gli Stati membri possono applicare anche ai contratti di credito di durata indeterminata, in corso alla data dell'entrata in vigore delle misure nazionali di attuazione.

 

 


Direttiva 2008/49/CE

 

(Ispezioni a terra sugli aeromobili)

 

 

La Direttiva 2008/49/CE della Commissione, del 16 aprile 2008, reca modifiche dell’allegato II della direttiva 2004/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio in ordine ai criteri per l’effettuazione delle ispezioni a terra sugli aeromobili che utilizzano aeroporti comunitari.

In particolare, il nuovo testo dell’Allegato ha specificato gli elementi fondamentali del manuale delle procedure SAFA comunitarie per le ispezioni a terra che deve essere osservato dagli ispettori nel momento in cui sono chiamati ad effettuare delle ispezioni a terra sugli aeromobili di Paesi terzi, che atterrano in uno qualsiasi degli aeroporti comunitari aperti al traffico aereo internazionale.

Si fa presente che, ai sensi dell’art. 3, gli Stati membri sono tenuti a mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva, entro sei mesi dalla sua entrata in vigore.

La presente direttiva è entrata in vigore il 20 aprile 2008; il termine di recepimento è scaduto il 20 ottobre 2008.

Si ricorda che la responsabilità sull'idoneità tecnica ed operativa dei vettori aerei nonché della sorveglianza sul rispetto degli standard di sicurezza è dello Stato di appartenenza dell'operatore attraverso la propria autorità nazionale. Lo Stato di appartenenza deve assicurare, ai sensi della Convenzione di Chicago, il recepimento nel proprio ordinamento degli standard e delle pratiche raccomandate indicate nei vari Annessi ICAO.

In aggiunta a quanto sopra, la Convenzione di Chicago prevede che ogni Stato abbia comunque la facoltà di effettuare delle proprie verifiche sugli operatori esteri operanti presso i propri scali. In tal senso, nell'Unione Europea, è stato istituito il Programma SAFA che consiste nell'effettuazione, da parte di ciascuno Stato membro, di ispezioni di rampa, a campione o secondo un programma prestabilito, degli aeromobili di operatori esteri presso gli aeroporti di transito sul proprio territorio.

Il Programma SAFA ha avuto inizio con la partecipazione degli Stati membri su base volontaria. Nel corso degli ultimi anni però, a seguito della direttiva CE 2004/36 (ribattezzata Direttiva SAFA e recepita con il d.lgs. n. 192/2007) e della creazione della cosiddetta Black List Comunitaria ( Regolamento CE 2111/2005 e regolamenti ad esso collegati), il Programma SAFA ha assunto un'importanza sempre maggiore fino a diventare determinante nella valutazione della sicurezza degli operatori che ricadono sotto la sorveglianza di autorità dei Paesi terzi.

Più specificamente, la direttiva 2004/36/CE, recante disposizioni in materia di sicurezza degli aeromobili di Paesi terzi che utilizzano aeroporti comunitari (ricompresa nell’allegato B della legge comunitaria per il 2005, L. n. 29/2006), è finalizzata ad accrescere la sicurezza del trasporto aereo civile, introducendo un sistema armonizzato di norme e procedure per le ispezioni di aeromobili di Paesi terzi che atterrano in aeroporti situati negli Stati membri dell’Unione Europea. Il fenomeno del trasporto aereo effettuato da compagnie di paesi extracomunitari negli ultimi anni si è, infatti, sviluppato specialmente in connessione con l’aumento di flussi turistici. Il tema della sicurezza degli aeromobili impiegati per tali servizi è stato affrontato dalla Comunità Europea a partire dal 1996, anno in cui si verificò una sciagura al largo delle coste della Repubblica Dominicana, nella quale perirono 176 passeggeri europei. All’indomani di tale episodio, purtroppo seguito da altri analoghi, il 15 febbraio 1996 il Parlamento europeo adottò una risoluzione[221], dalla quale prese l’avvio una serie di iniziative della Commissione europea, delle quali la direttiva 2004/36 rappresenta lo sbocco.

In Italia si è data attuazione alla suddetta Direttiva con il d.lgs. 6 novembre 2007,     n. 192, recante, tra le altre, la procedura delle ispezioni a terra degli aeromobili, ossia delle verifiche volte ad accertare la rispondenza dell’aeromobile alle norme internazionali di sicurezza aeronautica, che devono avere luogo attraverso controlli documentali e fisici del mezzo. In particolare, l’articolo 5, descrive la procedura conseguente al riscontro, da parte del personale dell’Enac, di eventuali anomalie che compromettano la sicurezza del volo di quell’aeromobile, prevedendo la possibilità di impedire la partenza dell’aeromobile nel caso si evidenzino anomalie tali da compromettere la sicurezza del volo e impone una serie di obblighi documentali e di informazione in capo all’ENAC stesso.

Procedure di contenzioso

Il 28 novembre 2008 la Commissione ha inviato una lettera di messa in mora all’Italia (procedura n. 2008/0786) per non aver comunicato le misure di recepimento della direttiva 2008/49/CE relativa alle ispezioni a terra sugli aeromobili che utilizzano aeroporti comunitari.

 


Direttiva 2008/50/CE

 

(Qualità dell’aria)

 

 

La presente direttiva riunisce in un unico testo la normativa comunitaria in materia di qualità dell'aria aggiornandola in base agli ultimi sviluppi in campo scientifico e sanitario e alle recenti esperienze degli Stati membri.

Tale nuova direttiva costituisce una vera e propria riscrittura completa della direttiva quadro 96/62/CE, tant’è che al suo interno sono state inglobate tutte le precedenti direttive pubblicate in materia (le cd. direttive figlie della direttiva 96/62/CE, vale a dire le direttive 1999/30/CE, 2000/69/CE e 2002/3/CE, che erano intervenute su aspetti specifici), ad eccezione dell’ultima direttiva 2004/107/CE relativa ad arsenico, cadmio, mercurio, nickel e idrocarburi policiclici aromatici nell’aria ambiente, che verrà comunque presa in considerazione come ulteriore aggiornamento al termine di un congruo periodo di valutazione dei risultati ottenuti (IV considerando).

L‘art. 31 provvede quindi alla conseguente abrogazione, a decorrere dall'11 giugno 2010, della direttiva 96/96/CE e delle direttive figlie 1999/30/CE, 2000/69/CE e 2002/3/CE, nonché all’abrogazione[222] della Decisione n. 97/101/CE “che instaura uno scambio reciproco di informazioni e di dati provenienti dalle reti e dalle singole stazioni di misurazione dell'inquinamento atmosferico negli Stati membri”.

Lo schema seguente evidenzia il processo di integrazione previsto dalla direttiva e le corrispondenti norme nazionali interessate:

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


La direttiva 2008/50 reca disposizioni miranti a:

-     definire e stabilire obiettivi di qualità dell'aria al fine di evitare effetti nocivi per la salute umana e per l'ambiente;

-     fissare criteri e metodi di valutazione comuni negli Stati membri;

-     mantenere la qualità dell'aria ove sia buona e in altri casi migliorarla;

-     mettere a disposizione del pubblico tutte le informazioni relative alla qualità dell'aria;

-     promuovere una maggiore cooperazione tra gli Stati membri nella lotta contro l'inquinamento atmosferico.

Tra gli elementi chiave della direttiva figurano i nuovi obiettivi per la riduzione della concentrazione delle particelle sottili (PM2,5) e le date per la loro applicazione. In base a tali previsioni, entro il 2020 gli Stati membri dovranno ridurre del 20% le emissioni nelle aree urbane, rispetto ai valori del 2010. In tali zone saranno obbligati già nel 2015 a portare i livelli di esposizioni al di sotto di 20 microgrammi per m3. Tale valore limite è portato a 25 microgrammi per l'intero territorio nazionale, da raggiungere obbligatoriamente entro il 2015 e, se possibile, già nel 2010.

La direttiva prevede inoltre la possibilità per gli Stati membri di derogare - fino al 1° gennaio 2015 - ai limiti di concentrazione del biossido di azoto e di benzene, qualora in una determinata zona o agglomerato non sia possibile rispettare i limiti fissati, limiti di cinque anni al massimo (quindi).

Per quanto riguarda il PM10, viene prevista una deroga, all’obbligo imposto agli Stati membri di applicare i relativi valori limite, fino all'11 giugno 2011.

Al fine di ottenere le proroghe e deroghe citate, gli Stati membri dovranno notificare alla Commissione le condizioni alla base della loro richiesta, che dovrà essere corredata da piani d'azione della qualità dell'aria per la zona/agglomerato cui s'intende applicare la proroga/deroga, che sia in grado di dimostrare il rispetto dei valori limite entro il nuovo termine.

Relativamente al PM10, il meccanismo di deroga (previsto dalla direttiva per un periodo non superiore a 3 anni a partire dal 2008) è applicabile a condizione che il mancato rispetto di tali limiti non possa essere imputato a inadempienze da parte degli Stati membri nell’attuazione di efficaci politiche di risanamento dell’aria. Sono quindi definite, come uniche motivazioni possibili per l’ottenimento delle deroghe, esclusivamente criticità specifiche locali, quali ad esempio una particolare orografia del territorio, inquinamento di natura transfrontaliera ovvero derivante dal trasferimento di masse d’aria inquinanti tra Stati limitrofi, o condizioni meteo-climatiche particolarmente avverse.

La direttiva consente inoltre agli Stati membri di derogare ai limiti di concentrazione di un determinato inquinante quando viene dimostrato che tale superamento è imputabile a fonti naturali. A tal proposito ogni anno gli Stati membri trasmettono alla Commissione l'elenco delle zone e degli agglomerati ove si verifica tale superamento. Entro l'11 giugno 2010 la Commissione pubblicherà degli orientamenti per la dimostrazione e la detrazione dei superamenti imputabili a fonti naturali.

Gli Stati membri dovranno provvedere affinché tutte le informazioni relative alla qualità dell'aria, alle decisioni di proroga dei termini, alle esenzioni e ai piani di qualità dell'aria siano rese gratuitamente disponibili al pubblico, attraverso mezzi facilmente accessibili, tra cui Internet.

La direttiva reca altresì una serie di disposizioni che provvedono all’aggiornamento e/o alla modifica di alcune delle indicazioni già contenute nelle precedenti direttive. Gli aggiornamenti più significativi sono sostanzialmente riconducibili ad un maggiore controllo della qualità dei dati prodotti; ad una migliore definizione dei criteri di posizionamento dei punti di misura e delle misure da effettuare e ad un aggiornamento dei metodi di riferimento previsti.

L’intero impianto normativo “porta alla definizione di reti di misura che siano sempre più rappresentative di aree del territorio vaste piuttosto che a singole rilevazioni di criticità, pur mantenendo l’obbligo di rilevare almeno un punto rappresentativo anche di queste realtà, denominate in termine tecnico hot spot[223].

Il termine per il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri è l'11 giugno 2010. Tuttavia gli Stati membri dovranno predisporre un numero sufficiente di stazioni di fondo per la misurazione del PM2,5, già entro il 1° gennaio 2009.

 


Direttiva 2008/51/CE

 

(Acquisizione e detenzione di armi)

 

 

La direttiva 2008/51/CE del 21 maggio 2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio, apporta una serie di modifiche alla direttiva 91/477/CEE del Consiglio, relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi.

Le modifiche apportate hanno due finalità:

§      la prima è quella di tenere conto della sopravvenuta adesione della Comunità europea al protocollo contro la fabbricazione ed il traffico illecito di armi, loro componenti e munizioni, firmato nel gennaio 2002 ed allegato alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata;

§      la seconda è quella di aggiornare le disposizioni precedenti, anche in considerazione delle problematiche attuative inerenti alla direttiva modificata, il cui scopo è quello di contemperare le libertà di acquisto, detenzione e circolazione delle armi da un lato, con la tutela della sicurezza pubblica dall’altro.

Le definizioni recate dall’articolo 1 della direttiva 51/2008, oltre a riguardare le armi, le parti di esse e le munizioni, interessano anche le persone fisiche e giuridiche diverse dagli armaioli che, tuttavia, esercitino attività professionali relative alla compravendita e al trasferimento delle armi (“intermediari”).

Inoltre, la direttiva mira all’identificazione di ciascuna arma da fuoco ed alla sistematica tracciabilità del suo percorso dal produttore all’acquirente, mediante marcature e registrazioni. Pertanto, ogni arma da fuoco deve recare una marcatura comprendente il nome del fabbricante, il paese o il luogo di fabbricazione, il numero di serie e l’anno. La suddetta marcatura identificativa non pregiudica l’apposizione di un ulteriore marchio del produttore. Per le munizioni, si prescrivono marcature delle unità di imballaggio.

Entro la fine dell’anno 2014 gli Stati membri dovranno istituire un archivio computerizzato che registri e conservi le informazioni identificative di ciascuna arma, per un periodo di almeno 20 anni (il doppio del minimo richiesto dal protocollo allegato alla convenzione delle Nazioni Unite di cui sopra). L’archivio sarà accessibile alle autorità autorizzate. Anche gli armaioli devono tenere un proprio registro e, in caso di cessazione dell’attività, consegnarlo all’autorità nazionale competente.

Quanto agli intermediari, la direttiva invita gli Stati membri ad esaminare l’istituzione di un regolamento per le loro attività, e fornisce qualche indicazione in proposito.

Altra rilevante disposizione è l’assoggettamento delle vendite di armi tramite mezzi di comunicazione a distanza (in primis, Internet) all’articolo 2 della direttiva 97/7/CE del 20 maggio 1997 riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza prevedendo, su tali transazioni “un rigoroso controllo” da parte degli Stati membri.

La direttiva 2008/51/CE è entrata in vigore il 28 luglio 2008 ed il suo termine di recepimento (articolo 2) è il 28 luglio 2010. Fino ad oggi, gli unici Stati membri ad avere preso misure nazionali di esecuzione sono il Belgio e la Germania.


Direttiva 2008/52/CE

 

(Mediazione in materia civile e commerciale)

 

 

La Direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, concerne alcuni aspetti della mediazione in materia civile e commerciale, e più precisamente è volta a facilitare il ricorso la mediazione come metodo di risoluzione di controversie transfrontaliere in materia civile commerciale. D'altronde, l'ambito di applicazione della Direttiva esclude la materia fiscale, doganale e amministrativa, e non riguarda altresì profili di responsabilità degli Stati. Ulteriore eccezione, stavolta territoriale, all'applicazione della Direttiva è l'esclusione da essa della Danimarca.

In particolare, la Direttiva prevede per i tribunali degli Stati membri la possibilità di suggerire alle parti, senza poterle obbligare, il ricorso alla mediazione. Si intende in sostanza garantire che tutti gli Stati membri dispongano di una procedura volta a confermare, su richiesta delle parti, l'accordo transattivo raggiunto in sede di mediazione, per mezzo di una sentenza, di dichiarazione di autenticità o di altra forma di decisione pubblica. In tal modo, il disposto dell'accordo transattivo potrà essere riconosciuto in tutto il territorio dell'Unione europea, alla stregua dei normali provvedimenti giudiziari.

Per non precludere alle parti, in un momento successivo, il ricorso alle normali procedure giudiziarie, è disposto dalla Direttiva in oggetto che potrà essere intrapreso sulla materia oggetto della mediazione un procedimento giudiziario, anche laddove siano già scaduti i termini di prescrizione o decadenza previsti nella fattispecie – ciò non vale tuttavia per i termini di prescrizione o decadenza contemplati in accordi internazionali.

È inoltre previsto che nessuno dei soggetti coinvolti nel procedimento di mediazione venga obbligato a testimoniare in un eventuale procedimento giudiziario correlato, salvo che ciò sia necessario per superiori motivi di ordine pubblico dello Stato membro interessato - soprattutto laddove sia in questione un rischio per l'integrità fisica di una persona; e salvo altresì che la comunicazione del contenuto dell'accordo oggetto di mediazione si renda assolutamente necessaria proprio per l'applicazione di detto accordo.

È previsto che tanto la Commissione quanto gli Stati membri promuovano e incoraggino la formazione dei mediatori e la redazione di codici di condotta da parte degli stessi e delle loro organizzazioni.

I termini per il recepimento della Direttiva negli ordinamenti nazionali sono fissati al 21 maggio 2011, ad eccezione dell'articolo 10, la cui trasposizione non dovrà avvenire oltre il 21 novembre 2010.

È previsto infine che entro il 21 maggio 2016 la Commissione presenti al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale una relazione sull'attuazione della Direttiva in oggetto, nella quale si esamini lo sviluppo delle attività di mediazione nell'Unione europea e si valutino gli effetti della Direttiva negli ordinamenti nazionali degli Stati membri, con eventuali proposte di modifica della Direttiva medesima.

 

 


Direttiva 2008/56/CE

 

(Strategia per l’ambiente marino)

 

 

Dopo un lungo periodo di consultazione in ambito comunitario, è stata emanata la direttiva 2008/56/CE, "direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino" che si propone l’intento di ''costituire il pilastro ambientale della futura politica marittima dell'Unione europea'', stabilendo dei princìpi comuni sulla base dei quali gli Stati membri devono elaborare le proprie specifiche strategie per raggiungere - entro il 2020 - un buono stato ecologico delle acque marine.

La direttiva 2008/56/CE è stata elaborata sulla base delle indicazioni del VI° Programma di azione in materia ambientale dell'UE[224] che prevedeva l’elaborazione di una strategia specifica per la protezione e la conservazione dell'ambiente marino europeo con l'obiettivo generale di promuovere l'uso sostenibile dei mari e la conservazione degli ecosistemi marini. Subito dopo la Commissione europea[225] aveva rilevato come i principali fattori di rischio per gli ecosistemi marini europei e di conseguenza per la salute umana fossero rappresentati dagli effetti dei cambiamenti climatici, dall’impatto della pesca commerciale, dagli scarichi accidentali di idrocarburi, dalla contaminazione da sostanze pericolose, dall’eutrofizzazione e conseguente proliferazione di alghe tossiche, dall’inquinamento da rifiuti, dall’inquinamento microbiologico, dagli scarichi di sostanze radioattive e dall’introduzione di specie non indigene. La Commissione aveva, quindi, sottolineato come il quadro normativo europeo risultasse frammentario e non in grado di garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente marino nella sua globalità. Inoltre, anche le misure esistenti a livello nazionale ed europeo risultano spesso di tipo settoriale e poco armonizzate tra di loro e le convenzioni marine internazionali esistenti in Europa non sempre hanno un sufficiente potere a livello politico, compromettendone, pertanto l’efficacia.

Da ultimo, anche uno studio mondiale pubblicato sulla rivista “Science[226] ha evidenziato come l’attuale trend di perdita della biodiversità in termini di specie e popolazioni determinerà entro poche decadi una riduzione della produttività dell’ambiente marino con un impatto economico e sociale devastante per l’uomo; per contrastare tale trend gli Stati devono urgentemente adottare misure quali l’adozione di una gestione sostenibile della pesca, il controllo dell’inquinamento chimico, il mantenimento degli habitat esistenti e la creazione di nuove riserve marine.

Le strategie di intervento illustrate dall'art. 1 devono mirare a proteggere e preservare nonché a prevenire il degrado marino e, ove possibile, a ripristinare gli ecosistemi danneggiati. Devono inoltre prevedere la progressiva eliminazione dell'inquinamento (che comprende, ai sensi dell’art. 3, anche il rumore sottomarino prodotto dall’uomo).

La direttiva definisce, quindi, una serie di regioni e sottoregioni marine europee[227], identificate sulla base di caratteristiche idrologiche, oceanografiche e biogeografiche[228], che saranno gestite dagli Stati membri in maniera integrata, cooperando strettamente per stabilire strategie marine per le acque di ogni regione (art. 4).

Pertanto ciascun Stato membro dovrà elaborare, per la sua regione o sottoregione, una strategia per l’ambiente marino, fermo restando la necessità di cooperare qualora gli Stati abbiano in comune una o più regione o sottoregioni e secondo un piano d’azione che distingue le fasi della preparazione (artt. da 8 a 11) da quelle della programmazione (artt. da 13 a 16), da attuare entro precise scadenze (art. 5):

 

Scadenze

Preparazione

 

 

 

entro il 15 luglio 2012

a)    valutazione iniziale dello stato ecologico attuale delle acque considerate e dell'impatto ambientale esercitato dalle attività umane in conformità all'art. 8

b)    definizione del buono stato ecologico delle acque considerate in conformità all'art. 9

c)    definizione di una serie di traguardi ambientali e dei corrispondenti indicatori in conformità all'art. 10

 

entro il 15.07.2014

d)    elaborazione e attuazione di un programma di monitoraggio per la valutazione continua e l'aggiornamento periodico dei traguardi in conformità all'art. 11

 

Scadenze

Programma di misure

 

entro il 2015

e)    elaborazione di un programma di misure finalizzate al conseguimento o al mantenimento di un "buono stato ecologico" in conformità all'art. 13

entro il 2016

f)      avvio del programma di cui sopra in conformità all'art. 13

 

Qualora lo stato del mare sia talmente critico da richiedere un intervento urgente, viene previsto che gli Stati membri aventi confini nella stessa regione o sottoregione marina, possono elaborare un "piano d'azione" per l'avvio anticipato del programmi di misure, prevedendone eventualmente altre più protettive e restrittive a condizione che comunque non si pregiudichi il raggiungimento del buono stato ecologico. Di tali misure dovrà essere informata la Commissione europea che potrebbe anche decidere di intervenire con azioni di sostegno (art. 5, paragrafo 3).

 

Gli Stati membri dovranno, ai sensi dell’art. 7, provvedere:

 

Scadenze

Ulteriori adempimenti

entro il 15 luglio 2010

a designare, per ogni regione o sottoregione marina, l’autorità o le autorità competenti per l’attuazione della direttiva nelle loro acque marine

entro il 15 gennaio 2011

a trasmettere il relativo elenco alla Commissione

 

La direttiva indica, quindi, all’art. 8, le linee generali che gli Stati membri dovranno seguire, per ogni regione e sub-regione marina, per procedere alla prevista valutazione iniziale delle loro acque marine che dovrà comprendere i seguenti elementi:

§       un’analisi delle caratteristiche essenziali e dello stato ambientale delle acque realizzata sulla base dell’elenco di cui alla tabella 1 dell’allegato III;

§       un’analisi delle pressioni e degli impatti principali, incluse le attività umane, sulle caratteristiche e sullo stato ambientale delle acque considerate, realizzata sulla base dell’elenco di cui alla tabella 2 dell’allegato III;

§       un’analisi economico sociale della loro utilizzazione e del costo del degrado dell’ambiente marino.

Inoltre, ai fini di una valutazione globale dello stato dell’ambiente marino, tali analisi dovranno tenere conto anche di elementi relativi alle acque costiere, di transizione e territoriali che rientrano nel campo di applicazione delle disposizioni della direttiva 2000/60/CE. Tale ultimo punto risulta di estrema importanza in quanto studi dell’agenzia ambientale europea hanno evidenziato che l’80% dell’inquinamento dell’ambiente marino deriva da fonti “terrestri”.

La valutazione iniziale dello stato dell’ambiente marino risulta, pertanto, importante per la definizione delle successive fasi della strategia per l’ambiente marino.

Infatti, una volta che gli Stati membri avranno valutato lo stato iniziale dell’ambiente e le principali pressioni nelle loro rispettive regioni marittime, essi potranno determinare quali sono gli ambienti marini in buono stato ecologico e sulla base di questo stabilire obiettivi, indicatori e programmi di monitoraggio. Tali ultimi dovranno anche essere comunicati alla Commissione entro tre mesi dalla loro elaborazione (artt. 9, 10 e 11).

Le informazioni trasmesse dagli Stati e relative ad entrambe le fasi sono valutate dalla Commissione che dovrà rispondere entro sei mesi sia sulla coerenza con le norme della direttiva (art. 12) sia nel merito della adeguatezza e della coerenza delle varie misure predisposte per il raggiungimento degli obiettivi fissati nelle diverse regioni marine (art. 16).

A questo punto lo Stato membro dovrebbe elaborare, per ogni regione o sottoregione marina interessata, programmi di misure concrete volti a conseguire o mantenere un buono stato ecologico nelle acque in questione, sulla base della valutazione iniziale ed integrandole anche con la vigente legislazione comunitaria (direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE, direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane 91/271/CEE e direttiva relativa alla gestione della qualità delle acque di balneazione 2006/7/CE) tenendo, altresì, in considerazione il principio dello sviluppo sostenibile e gli impatti socio-economici. Le informazioni utili vengono messe a disposizione del pubblico al più tardi entro il 2013 (art. 13).

Dato che potrebbe risultare impossibile conseguire o mantenere un buono stato ecologico entro il 2020, la direttiva prevede la possibilità, per uno Stato membro, di derogare al raggiungimento degli obiettivi previsti entro le scadenze stabilite, ma con l’obbligo di informazione nei confronti della Commissione (art. 14).

Viene, inoltre, prevista anche un’azione comunitaria che può essere invocata da uno o più Stati, qualora non sia possibile raggiungere gli obiettivi fissati con il solo intervento nazionale (art. 15).

In considerazione del dinamismo e della variabilità naturale degli ecosistemi marini, la direttiva prevede un aggiornamento periodico ogni sei anni - delle strategie per l’ambiente marino (art. 17). Gli Stati sono tenuti, inoltre, a presentare alla Commissione anche delle relazioni intermedie, entro tre anni dalla pubblicazione dei programmi (art. 18).

E’ prevista, inoltre, anche una procedura di consultazione e informazione del pubblico (art. 19).

Gli Stati membri devono infatti provvedere affinché tutti i soggetti interessati siano tempestivamente informati della possibilità di partecipare all'attuazione della direttiva e dei relativi programmi, secondo quanto stabilito dalla direttiva 2003/4/CE relativa all'accesso all'informazione ambientale. A tal proposito gli Stati membri dovranno pubblicare e sottoporre ad eventuali osservazioni:

1)    la valutazione iniziale e la definizione di un buono stato ecologico;

2)    i traguardi di monitoraggio elaborati;

3)    i programmi di misure definiti.

La Commissione europea è tenuta a pubblicare una serie di relazioni (artt. 20 e 21):

§      una prima relazione di valutazione sull’attuazione della direttiva entro due anni dal ricevimento di tutti i programmi di misure e comunque non oltre il 2019;

§      una relazione che valuta il contributo della direttiva all’adempimento degli obblighi e degli impegni nonché all’attuazione delle iniziative esistenti degli Stati membri o della Comunità, a livello comunitario o internazionale, in tema di protezione ambientale nelle acque marine entro il 15 luglio 2012;

§      una relazione sui progressi realizzati nelle zone protette entro il 2014.

Dato il carattere prioritario che riveste l’instaurazione delle strategie per l’ambiente marino, i programmi elaborati dagli Stati membri sono, pertanto, cofinanziati dall’Unione europea in conformità degli strumenti finanziari esistenti (art. 22).

La direttiva reca, infine, sei allegati inerenti rispettivamente:

§       allegato I: descrittori qualitativi per la determinazione del buono stato ecologico;

§       allegato II: autorità competenti;

§       allegato III: elenchi indicativi di caratteristiche, pressioni e impatti;

§       allegato IV: elenco indicativo di caratteristiche di cui tener conto per fissare i traguardi ambientali;

§       allegato V: programmi di monitoraggio;

§       allegato VI: programmi di misure.

Il termine di recepimento della direttiva è fissato al 15 luglio 2010.

 


Direttiva 2008/57/CE

 

(Interoperabilità del sistema ferroviario comunitario)

 

 

Aggiunta nel corso dell’esame presso il Senato, la Direttiva 17 giugno 2008 n. 2008/57/CE (pubblicata nella G.U.U.E. del 18 luglio 2008, n. L 191) del Parlamento Europeo e del Consiglio è entrata in vigore il 19 luglio 2008 e costituisce una rifusione di alcune direttive precedenti (cfr. ultra) con l’obiettivo di armonizzare le norme tecniche, relative all’interoperabilità del sistema ferroviario comunitario.

Rileva sottolineare che, ai sensi dell’articolo 38 della presente direttiva (Recepimento), gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi al provvedimento de quo entro il 19 luglio 2010, comunicando immediatamente alla Commissione il testo di tali misure.

Si ricorda che il Parlamento europeo ha adottato definitivamente la direttiva in esame al fine di migliorare e semplificare l´attuale quadro normativo sulle ferrovie UE e per facilitare la libera circolazione dei treni e l´omologazione dei locomotori, promuovendo l´interoperabilità. La direttiva sancisce il principio generale secondo cui una sola autorizzazione di messa in servizio di un veicolo è sufficiente per l´intera rete ferroviaria comunitaria.

Più in particolare, la Commissione ha presentato tre proposte legislative volte al miglioramento e alla semplificazione dell´attuale quadro normativo sulle ferrovie: la direttiva concernente l´interoperabilità del sistema ferroviario comunitario, che fonde in un´unica direttiva quelle esistenti in materia di interoperabilità; la direttiva relativa alla sicurezza delle ferrovie comunitarie e il regolamento che istituisce l´Agenzia ferroviaria europea. La Commissione ha, inoltre, presentato la comunicazione "Agevolare la circolazione dei locomotori nella Comunità".

La direttiva di cui si discute in questa sede riguarda il consolidamento, la rifusione e l´integrazione delle attuali direttive in materia di interoperabilità relative al sistema ferroviario transeuropeo ad alta velocità (Dir. 96/48/Ce) e al sistema ferroviario transeuropeo convenzionale (Dir. 2001/16/Ce). Prevede poi diversi miglioramenti di natura sostanziale e tecnica tesi a potenziare la competitività del sistema ferroviario comunitario e a ridurre una serie di costi amministrativi. Secondo il relatore, le procedure nazionali per l´approvazione dei locomotori e delle automotrici sono «una delle principali barriere alla creazione di nuove ferrovie e un ostacolo notevole all´interoperabilità del sistema ferroviario europeo». Visto che nessuno Stato membro può decidere da solo che l´autorizzazione di messa in servizio da esso rilasciata valga sul territorio di altri Stati membri, si rende necessaria un´iniziativa comunitaria che affronti la problematica attraverso l´armonizzazione e la semplificazione delle procedure nazionali e il ricorso al principio del riconoscimento reciproco.

In base all´accordo raggiunto in sede di adozione, si è introdotta una nuova definizione di "veicolo" da intendersi, dunque, quale veicolo ferroviario atto a circolare con le proprie ruote sulla linea ferroviaria, con o senza trazione; il veicolo si compone di uno o più sottosistemi strutturali e funzionali o di parti di tali sottosistemi: la procedura di messa in servizio è chiarita tenendo conto di questa nuova definizione. Per facilitare la messa in servizio dei veicoli e ridurre l’onere amministrativo, si prevede anche una procedura di autorizzazione dei tipi di veicoli; a tal fine l´Agenzia ferroviaria europea creerà un registro europeo - pubblico e accessibile via Internet - dei tipi autorizzati di veicoli.

 


Direttive 2008/59/CE e 2008/87/CE

 

(Requisiti tecnici per le navi della navigazione interna)

 

 

La direttiva 2008/87/CE della Commissione modifica la direttiva 2006/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa i requisiti tecnici per le navi della navigazione interna.

Si è reso infatti necessario modificare la direttiva 2006/87/CE in seguito all’adozione di taluni correzioni apportate al regolamento di ispezione delle navi sul Reno ai sensi dell’articolo 22 della Convenzione modificata per la navigazione sul Reno. In particolare, è stato opportuno assicurare che il certificato comunitario delle navi e il certificato rilasciato in conformità del regolamento di ispezioni delle navi sul Reno siano rilasciati sulla base di requisiti tecnici che garantiscono un livello di sicurezza equivalente, onde evitare distorsioni della concorrenza e livelli di sicurezza diversi.

In merito a quanto sopra si segnala, da ultimo, il d.lgs. 24 febbraio 2009 n. 22, recante l’attuazione della direttiva 2006/87/CE che fissa i requisiti tecnici per le navi della navigazione interna, come modificata dalle direttive 2006/137/CE, 2008/59/CE, 2008/68/CE e 2008/87/CE.

Più specificamente l’art. 1 del suddetto decreto, richiamato dalla direttiva in esame, definisce il campo di applicazione del provvedimento con riferimento sia alle unità navali impegnate nelle vie navigabili interne nazionali come individuate dall’Allegato I  (co. 1) sia alle nuove unità navali quali rimorchiatori e spintori, navi da passeggeri e galleggianti (co. 2) specificando, altresì, i casi di non applicazione (co. 3).

Si segnala che nell’All. I del decreto (elenco delle vie navigabili interne italiane) sono comprese tutte le vie navigabili interne nazionali, mentre nell’All. I alla direttiva 2006/87/CE sono comprese, in zona 4, solo alcune di tali vie e precisamente i canali del sistema idroviario Padano-Veneto. Lo Stato italiano ha difatti inviato una specifica richiesta alla Commissione europea diretta a ricomprendere tutte le vie navigabili interne italiane, compresi i laghi, nell’All. I della direttiva e conseguentemente a estendere l’applicazione della direttiva a tutte le suddette vie.

Si precisa, altresì, che, ex art. 7, co. 1, lett. a) della direttiva 2006/87, i singoli Stati hanno facoltà di derogare, anche in toto, alla medesima normativa per le categorie di cui al predetto comma 2, qualora impegnate su vie navigabili non collegate internamente alla rete navigabile di altri Stati membri. Tale dispensa assume particolare rilievo con riferimento all’Italia, la cui rete navigabile interna non risulta collegata geograficamente a quella di nessun’altro Paese UE; ciò nonostante, le ragioni di sicurezza sottese al recepimento della Direttiva in esame appaiono prevalenti rispetto alla suddetta facoltà di deroga anche in considerazione dello stato di arretratezza in cui attualmente versa il naviglio esistente sotto il profilo della sicurezza. Il legislatore italiano si è avvalso in passato della facoltà, riconosciuta dall’art. 2 della direttiva 76/135/CEE[229], di non applicare la suddetta direttiva, a motivo dell’assenza in Italia di vie navigabili interne collegate alla rete navigabile di altri Stati membri. Anche la direttiva 2006/87/CE (art. 7) concede agli Stati membri la facoltà di autorizzare deroghe alla direttiva stessa in assenza di collegamento delle vie navigabili interne alla rete navigabile di altri Stati membri. Il legislatore italiano ha, dunque, deciso di recepire la direttiva in esame “allo scopo di fornire agli operatori del settore un valido e comunque necessario riferimento tecnico da impiegare nella costruzione e gestione delle unità navali impiegate nella navigazione interna”, limitando però la sua applicazione alle navi nuove (navi la cui chiglia sia stata impostata successivamente al 30/12/2008), in considerazione dell’antieconomicità dell’adattamento del naviglio esistente, rispetto alla sua progressiva sostituzione con navi rispondenti ai più avanzati parametri di sicurezza.

In conclusione è opportuno sottolineare che il decreto legislativo sopra esposto tiene conto delle novelle alla direttiva 2006/87/CE apportate dalle successive direttive 2006/137[230], 2008/59, 2008/68 e, per l'appunto, dalla direttiva 2008/87 di cui sopra.

Anche la direttiva 2008/59/CE del Consiglio, del 12 giugno 2008, inserita nell’Allegato B nel corso dell’esame al Senato, adegua la direttiva 2006/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa i requisiti tecnici per le navi della navigazione interna in conseguenza dell’adesione della Repubblica di Bulgaria e della Romania.

In ordine ai termini di recepimento della direttiva de qua, si fa presente che, ai sensi dell’articolo 2, gli Stati membri aventi vie navigabili interne, così come definite dall’art. 1, paragrafo 1 della direttiva 2006/87/CE, mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva a decorrere dal 30 dicembre 2008 dandone informazione immediatamente la Commissione.

Per quanto sopra, la delega avrebbe dovuto essere esercitata entro il termine di recepimento previsto dalla direttiva, ossia entro il 30 dicembre 2008, ma, poiché il termine per l’espressione del prescritto parere parlamentare scadeva il 1° febbraio 2009, ossia successivamente alla data di scadenza del termine per l’esercizio della delega, quest’ultimo termine è stato prorogato di 60 giorni e pertanto sino al 28 febbraio 2009.

Procedure di contenzioso

Il 29 gennaio 2009, la Commissione ha inviato all’Italia due lettere di messa in mora per non avere comunicato le misure di recepimento relative alla direttiva 2006/87/CE (procedura di infrazione n. 2009/0066), che fissa i requisiti tecnici per le navi della navigazione interna e alla direttiva 2008/87/CE che modifica la precedente (procedura n. 2009/71).


Direttiva 2008/63/CE

 

(Concorrenza sui mercati delle apparecchiature terminali di telecomunicazioni)

 

 

La direttiva 2008/63/CE della Commissione, del 20 giugno 2008, composta di 10 articoli e 3 allegati, riguarda la concorrenza sui mercati delle apparecchiature terminali di telecomunicazioni.

L'articolo 1 specifica che cosa si intende per "apparecchiature terminali", "apparecchiature delle stazioni terrestri per i collegamenti via satellite", "imprese", e per "diritti speciali".

L'articolo 2 stabilisce che gli Stati membri che hanno concesso alle imprese diritti speciali o esclusivi debbano provvedere alla loro soppressione, comunicando alla Commissione le misure adottate e i progetti presentati a tal fine. Gli Stati membri provvedono (articolo 3) affinché gli operatori economici abbiano il diritto di importare, di commercializzare, di allacciare e di installare le apparecchiature terminali e di provvedere alla loro manutenzione.

L'articolo 4 stabilisce che gli Stati membri debbano vigilare affinché le nuove interfacce della rete pubblica siano accessibili all'utenza e le loro caratteristiche materiali siano pubblicate dagli operatori delle reti pubbliche di telecomunicazioni. Gli Stati membri devono altresì provvedere (articolo 5) alla formulazione e alla pubblicazione di qualsiasi specifica delle apparecchiature terminali destinate ad essere allacciate direttamente o indirettamente alla rete pubblica, notificando alla Commissione dette specifiche in fase di progetto, così come stabilito dalla direttiva 1998/35/CE.

L'articolo 6 stabilisce che il controllo dell'applicazione delle specifiche indicate nell'articolo 5 sia svolto da un ente indipendente dalle imprese pubbliche e private che offrono beni e servizi nel settore delle telecomunicazioni.

Gli Stati membri alla fine di ogni anno (articolo 7) trasmettono una relazione (allegato I - modello di relazione) con la quale la Commissione controlla che le disposizioni contenute negli articoli precedenti sono state rispettate.

L'articolo 8 illustra l'allegato II che è diviso in 2 parti: la parte A - direttiva abrogata e relativa modificazione, la parte B - elenco dei termini di attuazione in diritto nazionale. I riferimenti alla direttiva abrogata si intendono fatti alla direttiva 2008/63/CE e vanno letti secondo la tavola di concordanza contenuta nell'allegato III.

Non è indicato il termine per il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri[231].

 


Direttiva 2008/68/CE

 

(Trasporto interno di merci pericolose)

 

 

La direttiva 2008/68/CE,introdotta nell’Allegato B nel corso dell’esame presso il Senato, reca norme relative al trasporto interno di merci pericolose. La direttiva è entrata in vigore il 20 ottobre 2008 ed il termine di recepimento è fissato al 30 giugno 2009.

La direttiva è stata adottata con l’intento di prevenire i rischi per la circolazione derivanti dal trasporto di merci pericolose su strada, per ferrovia o per vie navigabili interne. Pertanto il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea hanno ritenuto adottare misure atte ad assicurare che tale tipo di trasporto sia effettuato nelle migliori condizioni di sicurezza possibili imponendo agli Stati membri di adeguare le loro legislazioni nazionali con quanto previsto nelle edizioni 2009 delle regolamentazioni internazionali concernenti i diversi modi di trasporto ADR/RID/ADN. In pratica, entro il primo luglio 2009, i Governi dovranno unificare le norme dei trasporti nelle diverse modalità.

Si ricorda che il trasporto su strada di merci pericolose è regolamentato dall'accordo internazionale ADR, il cui testo è aggiornato ogni due anni; l'accordo originale è stato siglato a Ginevra il 30 settembre 1957 come European Agreement concerning the International Carriage of Dangerous Goods by Road. Il 1º gennaio 2007 è entrato in vigore l'ADR 2007.

La regolamentazione relativa al trasporto su ferro è molto simile a quella su strada ed è definita dagli accordi RID (Règlement concernant le trasport International ferroviaire des merchandises Dangereuses). Il Codice IMDG (International Maritime Dangerous Goods Code) dell'IMO (Organizzazione Marittima Internazionale) è il riferimento normativo per il trasporto marittimo delle merci pericolose mentre l’ADN concerne il trasporto sulle vie navigabili interne in Europa. Enti preposti ai controlli sono in sede internazionale l'IACS e in sede italiana il Registro Italiano Navale. La legislazione dedicata al trasporto aereo è raccolta nell'accordo ICAO (Organizzazione Internazionale dell'Aviazione Civile).

Al fine di instaurare un regime comune che contempli tutti gli aspetti del trasporto interno di merci pericolose, è stato ritenuto opportuno sostituire le direttive 94/55/CE e 96/49/CE con un’unica direttiva che comprenda anche le disposizioni applicabili al trasporto mediante vie navigabili interne.

Occorre specificare che le disposizioni della direttiva 2008/68/CE lasciano impregiudicate altre disposizioni comunitarie relative alla sicurezza e alla salute dei lavoratori e alla tutela dell’ambiente, in particolare la direttiva 89/391/CEE (“direttiva quadro sulla salute e la sicurezza sul lavoro”) del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, e le direttive che ne derivano.


Direttiva 2008/71/CE

 

(Identificazione e registrazione dei suini)

 

 

La direttiva 2008/71/CE stabilisce le prescrizioni minime in materia di identificazione e registrazione dei suini al fine di facilitare i controlli veterinari e zootecnici applicabili negli scambi intracomunitari degli animali e dei prodotti da essi derivati. L'identificazione serve anche a ricostruire rapidamente e accuratamente i movimenti degli animali all'interno del mercato unico.

A tal fine gli Stati membri devono disporre affinché l'autorità competente istituisca elenchi aggiornati delle aziende che detengono suini, prevedendo deroghe per gli animali detenuti per propria convenienza, in taluni casi particolari.

Le aziende devono tenere un registro aggiornato degli animali posseduti e dei loro spostamenti, con menzione della loro origine e della loro destinazione.

La normativa prevede anche l'apposizione sugli animali di un marchio di identificazione, che deve essere sostituito quando diventa illeggibile e che serve ad individuare l'azienda di provenienza. La sostituzione o la rimozione del marchio sono oggetto di autorizzazione da parte dell'autorità competente.

L'apposizione del marchio riguarda anche gli animali importati da un paese terzo che abbiano superato i controlli veterinari e rimangano nel territorio della Comunità.

La direttiva in esame abroga la direttiva 92/102/CEE, che è stata modificata a più riprese nel passato, e costituendo una versione codificata e aggiornata delle disposizioni precedenti non reca alcun termine per il recepimento.

La direttiva 92/102/CEE è stata attuata nel nostro Paese con le disposizioni del DPR 30 aprile 1996, n. 317[232].

 


Direttiva 2008/73/CE

 

(Informazioni in campo veterinario e zootecnico)

 

 

La direttiva 2008/73/CE risponde all'esigenza di armonizzare le procedure nelle diverse fasi di registrazione e redazione, aggiornamento, trasmissione e pubblicazione degli elenchi in campo veterinario e zootecnico, al fine di limitare l'incertezza che può derivare dalla coesistenza di procedure diverse.

L'articolo 1 apporta delle modifiche alla direttiva 64/432/CEE relativa a problemi di polizia sanitaria in materia di scambi intracomunitari di animali della specie bovina e suina. In particolare, prevede che l'esame di intradermotubercolinizzazione da eseguire su animali di età superiore alle sei settimane possa essere effettuato anche in un luogo diverso dall'allevamento di origine. A tale scopo, gli Stati membri provvedono a designare gli istituti statali, i laboratori nazionali di riferimento o gli enti ufficiali responsabili del coordinamento delle norme e dei metodi di diagnosi responsabili della prova ufficiale della tubercoline. Inoltre, gli Stati membri sono chiamati a redigere ed a tenere aggiornato un elenco dei commercianti riconosciuti, degli stabilimenti registrati usati dai commercianti e dei rispettivi numeri di registrazione.

Gli articoli 2, 4 e 5 intervengono a modificare le direttive 77/504/CEE, 8/661/CEE e 89/361/CEE, stabilendo che gli Stati membri redigano e tengano aggiornato un elenco degli organismi ufficialmente riconosciuti incaricati di mantenere o istituire registri genealogici per le specie di pertinenza, ovvero animali della specie bovina riproduttori di razza pura, delle specie ovina e caprina riproduttori di razza pura, o suini riproduttori.

Gli articoli 3 e 10 modificano le direttive 88/407/CEE e 90/429/CEE, disponendo che tutti i centri di raccolta o stoccaggio dello sperma (rispettivamente di origine bovina e suina) debbano essere registrati e provvisti di un numero di registrazione veterinario. In tale contesto, gli Stati membri autorizzano importazioni di sperma da Paesi terzi solo a determinate condizioni esplicitamente indicate dalla direttiva.

L'articolo 6 reca delle modifiche alla direttiva 89/556/CEE che stabilisce le condizioni di polizia sanitaria per gli scambi intracomunitari e le importazioni da paesi terzi di embrioni di animali domestici della specie bovina. In particolare, stabilisce che l'autorità competente di ogni Stato membro interessato registri i gruppi di raccolta degli embrioni e dia un numero di registrazione veterinario a ogni gruppo. Inoltre, ogni Stato membro è chiamato a redigere ed a tenere aggiornato un elenco dei gruppi di raccolta degli embrioni e dei rispettivi numeri di registrazione veterinari. In tale contesto, gli Stati membri autorizzano importazioni di embrioni da Paesi terzi solo a determinate condizioni esplicitamente indicate dalla direttiva.

Gli articoli 7-9 che recano norme sugli equidi, dispongono in merito al loro trasporto, che deve tra l’altro essere effettuato entro il più breve tempo possibile, dall'azienda di provenienza al luogo di destinazione (modifica della direttiva 90/426/CEE); in merito ai soggetti che tengono i libri genealogici (modifiche della direttiva 90/427/CEE); in merito agli scambi di equini destinati a concorsi e alla fissazione delle condizioni di partecipazione a tali concorsi (modifiche della direttiva 90/428/CEE).

L'articolo 11, modificando la direttiva 90/539/CEE relativa alle norme di polizia sanitaria per gli scambi intracomunitari e le importazioni in provenienza dai paesi terzi di pollame e uova da cova, prevede che tutti gli Stati membri designino un laboratorio di riferimento nazionale quale responsabile del coordinamento dei metodi diagnostici, redigendo e tenendo aggiornato un elenco di tali enti riconosciuti.

L'articolo 12 pone delle modifiche alla direttiva 91/68/CEE relativa alle condizioni di polizia sanitaria da applicare negli scambi intracomunitari di ovini e caprini, stabilendo che l'autorità competente rilasci un numero di registrazione a ciascun centro di raccolta riconosciuto. Inoltre, essa è chiamata a redigere ed a tenere aggiornato un elenco dei centri di raccolta riconosciuti e dei rispettivi numeri di registrazione specifici. Parallelamente, gli Stati membri sono tenuti a redigere ed a tenere aggiornato un elenco dei commercianti riconosciuti, degli stabilimenti registrati usati dai commercianti e dei rispettivi numeri di registrazione.

L'articolo 13 modifica la direttiva 91/496/CEE che fissa i principi relativi all'organizzazione dei controlli veterinari per gli animali che provengono dai paesi terzi e che sono introdotti nella Comunità. In particolare, esso disciplina le stazioni di quarantena, la loro registrazione da parte degli Stati membri e le modalità di approvazione ed aggiornamento del loro elenco. Rimane compito di ogni Stato membro redigere e tenere aggiornato un elenco delle stazioni di quarantena da lui riconosciute e dei rispettivi numeri di registrazione.

L'articolo 15 interviene a modificare la direttiva 92/65/CEE che stabilisce norme sanitarie per gli scambi e le importazioni nella Comunità di animali, sperma, ovuli e embrioni non soggetti, per quanto riguarda le condizioni di polizia sanitaria, alle normative comunitarie specifiche di cui all'allegato A, sezione I, della direttiva 90/425/CEE. Nello specifico, vengono fissati dei requisiti per gli ovuli, lo sperma e gli embrioni da utilizzare per la fecondazione artificiale. A tal fine, le autorità competenti degli Stati membri interessati registrano i centri riconosciuti sotto il profilo sanitario e redigono e tengono aggiornato un elenco dei suddetti centri e dei relativi numeri di registrazione. Vengono altresì aggiunte all'ambito di applicazione di tale direttiva disposizioni in materia di scambi e importazioni di materiale genetico derivato da animali diversi da quelli delle specie ovina, caprina, equina e suina. Inoltre, in attesa della definizione di norme armonizzate dettagliate, gli Stati membri sono autorizzati ad applicare norme nazionali.

L'articolo 18 apporta delle modifiche alla direttiva 94/28/CE che fissa i principi relativi alle condizioni zootecniche e genealogiche applicabili all'importazione di animali, sperma, ovuli ed embrioni provenienti da paesi terzi, stabilendo che la Commissione fornisce agli Stati membri gli elenchi nuovi ed aggiornati degli organismi per le specie e/o razze in questione ad essa inviati dai Paesi terzi. Inoltre, è prevista l'adozione di misure sanzionatorie, quali la sospensione dell'importazione di animali e materiale genetico nel caso in cui si verifichi un'infrazione grave dell'obbligo di rispettare, per ciascuna specie e/o ciascuna razza, i requisiti specifici previsti dalla normativa comunitaria per gli organismi riconosciuti nella Comunità.

Per evitare soluzioni di continuità riguardo alle domande per il riconoscimento di laboratori presentate dagli Stati membri ai sensi della decisione 2000/258/CE che designa un istituto specifico responsabile per la fissazione dei criteri necessari alla standardizzazione dei test sierologici di controllo dell'azione dei vaccini antirabbici, l'articolo 20 prevede delle misure transitorie.

Gli articoli 21 e 22 recano disposizioni che modificano le direttive 2001/89/CE e 2002/60/CE relative alle misure comunitarie per la lotta, rispettivamente, contro la peste suina classica e contro la peste suina africana.

L'articolo 23, infine, modifica la direttiva 2005/94/CE relativa alle misure comunitarie di lotta contro l'influenza aviaria, disponendo che gli Stati membri designano un laboratorio nazionale di riferimento e mettono i dati ad esso relativi e le loro successive modifiche a disposizione degli altri Stati membri e del pubblico seguendo la procedura di comitato di cui all'articolo 64, paragrafo 2 della summenzionata direttiva.

Il termine di recepimento per gli Stati membri è fissato per il 1° gennaio 2010 (articolo 24).

 


Direttiva 2008/98/CE

 

(Rifiuti)

 

 

La nuova direttiva quadro in materia di rifiuti 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 si compone di 43 articoli e 5 allegati e provvederà a sostituire la precedente direttiva quadro (2006/12/CE) a decorrere dal 12 dicembre 2010.

Tra le principali novità previste dalla nuova direttiva, si segnalano, in particolare, per il loro rilevante impatto:

§      il tentativo di semplificazione e chiarificazione della normativa sui rifiuti;

A tal fine vengono introdotte nuove definizioni allo scopo di prevenire le possibili distorsioni sul mercato derivanti da un’applicazione non uniforme delle nozioni in oggetto.

Benché la definizione di rifiuto rimanga sostanzialmente immutata, viene introdotta una serie di nuove nozioni (prima fra tutte, quella di ‘‘sottoprodotto’’), intese a circoscrivere l’ambito di applicazione della legislazione comunitaria in materia. Vengono, inoltre, introdotte le definizioni di ‘‘riciclaggio’’, ‘‘riutilizzo’’ e ‘‘ preparazione per il riutilizzo’’ nonché rivisitate le definizioni di ‘‘raccolta’’ e di ‘‘recupero’’, nonché fissati i criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto (cd. end of waste).

In particolare si segnala che il concetto di «sottoprodotto» - introdotto dall’art. 5 della direttiva -, seppur non nuovo nel diritto comunitario (in quanto oggetto di ricostruzione giurisprudenziale fin dal 2002), viene inserito per la prima volta in un provvedimento legislativo comunitario.

Ai sensi del successivo art. 6 (relativo alla “cessazione della qualifica di rifiuto”), taluni rifiuti specifici cessano di essere tali, quando siano sottoposti a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio, e soddisfino determinati criteri da elaborare conformemente ad una serie di condizioni stabilite dalla norma.

Oltre all’inserimento di nuove definizioni, la direttiva prevede l’introduzione (all’art. 2) di nuove ipotesi di esclusione dal campo di applicazione della normativa in materia di rifiuti.

Tra di esse si ricordano, il terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non escavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno; il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che il materiale sarà utilizzato a fini di costruzione allo stato naturale nello stesso sito in cui è stato escavato.

Si fa notare che tale ipotesi di esclusione è stata già recepita nell’ordinamento nazionale dall’art. 20, comma 10-sexies, del decreto-legge n. 185/2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2/2009, che ha opportunamente modificato l’art. 185 del d.lgs. n. 152/2006 (cd. Codice dell’ambiente).

Si rammentano, altresì, tra le nuove esclusioni, i materiali agricoli o forestali naturali non pericolosi utilizzati nell'attività agricola, nella silvicoltura o per la produzione di energia a partire dalle stesse biomasse, nonché - nella misura in cui sono contemplati da altra normativa comunitaria - i sottoprodotti di origine animale, compresi i prodotti trasformati contemplati dal regolamento (CE) n. 1774/2002, eccetto quelli destinati all'incenerimento, allo smaltimento in discarica o all'utilizzo in un impianto di produzione di biogas o di compostaggio. Inoltre, fatti salvi gli obblighi risultanti da altre normative comunitarie pertinenti, sono esclusi dall'ambito di applicazione della direttiva i sedimenti spostati all'interno di acque superficiali ai fini della gestione delle acque e dei corsi d'acqua o della prevenzione di inondazioni o della riduzione degli effetti di inondazioni o siccità o ripristino dei suoli, se è provato che i sedimenti non sono pericolosi.

Un’ulteriore semplificazione, operata dalla direttiva in esame, avviene mediante l’integrazione nel testo della stessa delle due direttive, che vengono contestualmente abrogate, sui rifiuti pericolosi (91/689/CEE) e sugli oli usati (75/439/CEE).

Il contenuto degli articoli della direttiva sui rifiuti pericolosi è trasposto nel testo degli articoli 17-20 della direttiva in esame, mentre gli obblighi in materia di raccolta e trattamento degli oli usati vengono incorporati nella direttiva quadro dall’art 21.

§      l'inserimento dell'obiettivo ambientale (art. 1) e l’introduzione del concetto di “ciclo di vita” in materia di rifiuti. L'obiettivo è, infatti, di ridurre l’impatto ambientale legato all’uso dei rifiuti, tenendo conto di tutte le fasi del loro ciclo di vita, ossia il periodo che va dalla produzione alla gestione. Il concetto di ciclo di vita si inserisce all’interno della “gerarchia dei rifiuti”, di fatto già esistente nella legislazione vigente, ma rielaborata dall’art. 4.

La nuova scala gerarchica (articolata su cinque stadi[233]) che, ai sensi dell’art. 4 della direttiva, deve essere rispettata quale ordine di priorità della normativa e della politica in materia di prevenzione e gestione dei rifiuti, a differenza della previgente norma di fonte comunitaria, che poneva il recupero di energia sullo stesso piano del recupero di materia prima, considera il riciclaggio preferibile rispetto ad altre forme di recupero. Inoltre viene concessa la facoltà agli Stati membri, per alcuni flussi di rifiuti, di discostarsi dalla gerarchia sulla base di valutazioni legate al ciclo di vita e che riguardano l'impatto generale del trattamento.

§      la previsione di specifici programmi di prevenzione dei rifiuti;

Per quanto riguarda la prevenzione dei rifiuti, la fissazione di obiettivi quantitativi in materia di prevenzione viene rinviata ad un momento successivo ed è prevista (dall’art. 9) l’elaborazione, a livello nazionale, di programmi di prevenzione dei rifiuti entro il 12 dicembre 2013 (art. 29) volti a fissare gli obiettivi di prevenzione.

§      l’istituzione di un nuovo quadro normativo adeguato per lo sviluppo delle attività di recupero e riciclo mediante, soprattutto[234]:

§      l’introduzione di soglie di efficienza energetica al fine di inquadrare le operazioni di trattamento dei rifiuti urbani in inceneritori municipali come attività di recupero o di smaltimento (art. 38; Allegato II, punto R1);

Nell'ambito delle operazioni di recupero vengono infatti riconosciuti due tipi di incenerimento: quello volto a valorizzare i rifiuti e quello volto ad eliminarli. Nell'allegato II della direttiva sono riportate le percentuali dell’indice di efficienza energetica[235] quale linea di demarcazione per la classificazione delle operazioni di incenerimento come "recupero" o "smaltimento". Esse sono fissate al 60% per gli impianti già esistenti e al 65% per quelli autorizzati dopo il 31 dicembre 2008.

§      l’inserimento di chiari obiettivi in materia di riciclaggio;

Le disposizioni di cui all’art. 11, rubricato “riutilizzo e riciclaggio”, sono finalizzate ad incentivare gli investimenti nel settore della prevenzione, del riciclaggio e del riutilizzo. A tal fine, l’art. 11, oltre a prevedere l’adozione da parte degli Stati membri di una combinazione di misure per la promozione del riutilizzo e del riciclaggio (tra cui, strumenti economici, costituzione di reti di riutilizzo e riparazione, criteri in materia di appalti, obiettivi quantitativi), fissa i seguenti target:

- entro il 2015, istituzione della raccolta differenziata almeno per i seguenti materiali: carta, metallo, plastica e vetro;

- entro il 2020: incremento del 50%, in termini di peso, per quanto attiene alla preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio di rifiuti, quali, come minimo, carta, metalli, plastica e vetro provenienti dai nuclei domestici; nonché incremento del 70 per cento, in termini di peso, relativamente alla preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio e altri tipi di recupero di materiale, di rifiuti da costruzione e demolizione non pericolosi.

L’elemento di novità della disposizione in esame è – come sottolineato da più parti[236] - quello di coniugare obiettivi di riciclo e riutilizzo basati sui prodotti alla fine del ciclo di vita (già in vigore per gli imballaggi, i veicoli fuori uso, le pile e gli accumulatori usati ed i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche) con obiettivi basati sui singoli materiali.

§      la previsione di una “responsabilità estesa del produttore”;

L’art. 8 prevede - fatti salvi i settori ove la legislazione comunitaria già prevede che il produttore sia responsabile delle varie fasi di gestione[237] - che gli Stati membri possano adottare misure legislative o non legislative volte ad assicurare che qualsiasi persona fisica o giuridica che professionalmente sviluppi, fabbrichi, trasformi, tratti, venda o importi prodotti (produttore del prodotto) sia soggetto ad responsabilità. Qualora uno Stato membro non decida di avvalersi di un regime specifico sulla responsabilità del produttore, ai sensi dell’art. 14 i “costi della gestione dei rifiuti sono sostenuti dal produttore iniziale o dai detentori del momento o dai detentori precedenti dei rifiuti”, secondo il principio «chi inquina paga».

Il termine per il recepimento della direttiva 2008/98/CE da parte degli Stati membri è fissato al 12 dicembre 2010.

 


Direttiva 2008/100/CE

 

(Etichettatura nutrizionale dei prodotti alimentari)

 

 

La direttiva 2008/100/CE che modifica la direttiva 90/496/CEE ha l’obiettivo di assicurare la coerenza con altre norme della legislazione comunitaria in materia[238] e di tenere conto degli sviluppi scientifici e tecnologici successivi alla sua emanazione.

In particolare la direttiva in esame all’articolo 1, paragrafo 1, definisce nell'allegato II, aggiunto alla citata direttiva 90/496/CEE, la sostanza che costituisce le fibre alimentari.

All'articolo 1, paragrafo 2, la direttiva in questione modifica l'elenco dei coefficienti di conversione per il calcolo del valore energetico delle sostanze, aggiungendo i coefficienti relativi alle fibre alimentari e all'eritritolo (un polialcole) e fissando il relativo valore energetico.

L'articolo 1, paragrafo 3 sostituisce l'allegato I della direttiva 90/496/CEE, aggiornando l'elenco delle vitamine e dei sali minerali che possono essere dichiarati e delle rispettive razioni giornaliere raccomandate (RDA).

La suddetta direttiva 2008/100/CE dovrà essere recepita entro il 31 ottobre 2009 e gli Stati membri dovranno applicare le suddette disposizioni in modo da proibire, con effetto dal 31 ottobre 2012, il commercio di prodotti non conformi alla direttiva 90/496/CEE, come modificata dalla presente direttiva (articolo 2).

La direttiva 90/496/CEE riguarda l'etichettatura nutrizionale dei prodotti alimentari destinati al consumatore finale e alle imprese di ristorazione collettiva (ristoranti, ospedali, mense, ecc.) e non si applica alle acque minerali naturali, alle altre acque destinate al consumo umano, né agli integratori di regime/complementi alimentari.

L'etichettatura nutrizionale è facoltativa, tuttavia diviene obbligatoria allorquando un'indicazione nutrizionale figura sull'etichetta, in una presentazione ovvero in una pubblicità.

Sono ammesse soltanto le informazioni nutrizionali inerenti al valore energetico e ai nutrienti (proteine, glucidi, lipidi, fibre alimentari, sodio, vitamine e minerali) di cui all'allegato della direttiva, nonché alle sostanze che appartengono a una delle categorie di tali nutrienti ovvero che ne sono componenti.

In particolare, le informazioni dell'etichettatura nutrizionale appartengono al gruppo 1 o al gruppo 2 secondo l'ordine seguente:

Gruppo 1:

- valore energetico,

- la quantità di proteine, di glucidi e di lipidi;

Gruppo 2:

- valore energetico,

- la quantità di proteine, di glucidi, di zuccheri, di lipidi, di acidi grassi saturi, di fibre alimentari e di sodio.

Allorquando l'indicazione nutrizionale riguarda gli zuccheri, gli acidi grassi saturi, le fibre alimentari o il sodio, le informazioni da fornire sono quelle del gruppo 2.

La dichiarazione del valore energetico e del tenore in nutrienti deve essere presentata sotto forma numerica con unità di misura specifiche. Le informazioni sono espresse per 100 g e 100 ml o per imballaggio. Quelle riguardanti le vitamine e i sali minerali devono inoltre essere espresse in percentuale dell'apporto giornaliero raccomandato (AGR) che può anche essere indicato sotto forma di grafico.

L'etichettatura nutrizionale può riguardare anche le quantità di amidi, di polioli, di acidi grassi monoinsaturi, di acidi grassi polinsaturi, di colesterolo e di sali minerali ovvero le vitamine indicate nell'allegato.

Tutte queste informazioni devono essere raggruppate in un solo luogo ben visibile, scritte in caratteri leggibili e indelebili e in un linguaggio facilmente comprensibile per l'acquirente. Gli Stati membri si astengono dall'introdurre specificazioni più dettagliate di quelle già contenute nella presente direttiva per quanto riguarda l'etichettatura nutrizionale.

 


Tabelle riepilogative
(aggiornamento al 20 marzo 2009)

 


Avvertenza: nella colonna “TERMINE DI RECEPIMENTO” di ciascuna delle tabelle che seguono sono evidenziati in grassetto i termini scaduti o in scadenza al 31/12/2009.

 

 

 

Tabella 1
DIRETTIVE CONTENUTE NEL DDL COMUNITARIA 2008
DA ATTUARE PER DELEGA E IN VIA AMMINISTRATIVA

Direttive da attuare con decreti legislativi

(Contenute negli articoli e negli allegati A e B del ddl comunitaria 2008 – A.C. 2320)

 

Allegato A

DIRETTIVA

TITOLO

TERMINE DI
RECEPIMENTO

PARERE DELLE COMMISSIONI

2007/47/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 settembre 2007, che modifica la direttiva 90/385/CEE del Consiglio per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai dispositivi medici impiantabili attivi, la direttiva 93/42/CEE del Consiglio concernente i dispositivi medici, e la direttiva 98/8/CE relativa all'immissione sul mercato dei biocidi

 

21/12/2008

 

 

2007/60/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni

 

26/11/2009

 

 

2007/63/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, che modifica le direttive 78/855/CE e 82/891/CEE del Consiglio per quanto riguarda l’obbligo di far elaborare ad un esperto indipendente una relazione in occasione di una fusione o di una scissione di società per azioni

 

31/12/2008

 

 

2008/5/CE

della Commissione, del 30 gennaio 2008, relativa alla specificazione sull'etichetta di alcuni prodotti alimentari di altre indicazioni obbligatorie oltre a quelle previste dalla direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio

(VERSIONE CODIFICATA)"

 

20/2/2008

 

2008/43/CE

della Commissione, del 4 aprile 2008, relativa all'istituzione, a norma della direttiva 93/15/CEE del Consiglio, di un sistema di identificazione e tracciabilità degli esplosivi per uso civile

 

5/4/2009

 

2008/62/CE

della Commissione, del 20 giugno 2008, recante deroghe per l'ammissione di ecotipi e varietà agricole naturalmente adattate alle condizioni locali e regionali e minacciate di erosione genetica, nonché per la commercializzazione di sementi e tuberi di patata a semina di tali ecotipi e varietà

 

30/6/2009

 

2008/90/CE

del Consiglio, del 29 settembre 2008, relativa alla commercializzazione dei materiali di moltiplicazione delle piante da frutto e delle piante da frutto destinate alla produzione di frutti (Rifusione)

 

31/3/2010

 

2008/97/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, che modifica la direttiva 96/22/CE del Consiglio concernente il divieto d'utilizzazione di talune sostanze ad azione ormonica, tireostatica e delle sostanze B-agoniste nelle produzioni animali

 

31/12/2008

 

 

 

 

Allegato B

 

DIRETTIVA

TITOLO

TERMINE DI
RECEPIMENTO

PARERE DELLE COMMISSIONI

2005/47/CE

del Consiglio, del 18 luglio 2005, concernente l’accordo tra la Comunità delle ferrovie europee (CER) e la Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) su taluni aspetti delle condizioni di lavoro dei lavoratori mobili che effettuano servizi di interoperabilità transfrontaliera nel settore ferroviario

 

27/7/2008

2005/94/CE

del Consiglio, del 20 dicembre 2005, relativa a misure comunitarie di lotta contro l'influenza aviaria e che abroga la direttiva 92/40/CEE

 

1/7/2007

2006/17/CE

della Commissione, dell’8 febbraio 2006, che attua la direttiva 2004/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda determinate prescrizioni tecniche per la donazione, l'approvvigionamento e il controllo di tessuti e cellule umani

 

1/11/2006

 

[239]

2006/38/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2006, che modifica la direttiva 1999/62/CE relativa alla tassazione a carico di autoveicoli pesanti adibiti al trasporto di merci su strada per l'uso di alcune infrastrutture

 

10/6/2008

2006/42/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2006, relativa alle macchine e che modifica la direttiva 95/16/CE (rifusione)

 

29/6/2008

2006/43/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2006, relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio e abroga la direttiva 84/253/CEE del Consiglio

 

29/6/2008

2006/54/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione)

 

15/8/2008

2006/112/CE

del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto

 

1/1/2008

2006/123/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno

 

28/12/2009

 

 

2006/126/CE

Del parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, concernente la patente di guida (rifusione)

 

19/1/2011

 

2007/2/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 marzo 2007, che istituisce un'Infrastruttura per l'informazione territoriale nella Comunità europea (Inspire)

 

14/5/2009

2007/23/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 maggio 2007, relativa all'immissione sul mercato di articoli pirotecnici

 

4/1/2010

 

2007/30/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2007, che modifica la direttiva 89/391/CEE del Consiglio, le sue direttive particolari e le direttive del Consiglio 83/477/CEE, 91/383/CEE, 92/29/CEE, e 94/33/CE ai fini della semplificazione e della razionalizzazione delle relazioni sull'attuazione pratica

 

31/12/2007

 

 

2007/36/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 luglio 2007, relativa all'esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate

 

3/8/2009

 

2007/43/CE

del Consiglio, del 28 giugno 2007, che stabilisce norme minime per la protezione dei polli allevati per la produzione di carne

 

30/6/2010

 

2007/44/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 settembre 2007, che modifica la direttiva 92749/CEE del Consiglio e le direttive 2002/83/CE, 2004/39/CE, 2005/68/CE e 2006/48/CE per quanto riguarda le regole procedurali e i criteri per la valutazione prudenziale di acquisizioni e incrementi di partecipazioni nel settore finanziario

 

21/3/2009

 

2007/45/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 settembre 2007, che reca disposizioni sulle quantità nominali dei prodotti preconfezionati, abroga le direttive 75/106/CEE e 80/232/CEE del Consiglio e modifica la direttiva 76/211/CEE del Consiglio

 

11/10/2008

2007/58/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, che modifica la direttiva 91/440/CEE del Consiglio relativa allo sviluppo delle ferrovie comunitarie e la direttiva 2001/14/CE relativa alla ripartizione della capacità di infrastruttura ferroviaria e all'imposizione dei diritti per l'utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria

 

4/6/2009

 

2007/59/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, relativa alla certificazione dei macchinisti addetti alla guida di locomotori e treni sul sistema ferroviario della Comunità

 

4/12/2009

 

2007/64/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle direttive 97/7/CE, 2005/65/CE, 2005/60/CE e 20/06/48/CE, che abroga la direttiva 97/5/CE

 

1/11/2009

 

2007/65/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, che modifica la direttiva 89/552/CEE del Consiglio relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive

 

19/12/2009

 

2007/66/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2007, che modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE  del Consiglio per quanto riguarda il miglioramento dell'efficacia delle procedure di ricorso in materia d'aggiudicazione degli appalti pubblici

 

20/12/2009

 

 

2008/8/CE

del Consiglio del 12 febbraio 2008, che modifica la direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda il luogo delle prestazioni di servizi

 

1/1/2009

 

2008/9/CE

del Consiglio del 12 febbraio 2008, che stabilisce norme dettagliate per il rimborso dell'imposta sul valore aggiunto, previsto dalla direttiva 2006/112/CE, ai soggetti passivi non stabiliti nello Stato membro di rimborso, ma in un altro Stato membro

 

1/1/2010

 

2008/48/Ce

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE

 

12/5/2010

2008/49/CE

della Commissione, del 16 aprile 2008, recante modifica dell'allegato II della direttiva 2004/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda i criteri per l'effettuazione delle ispezioni a terra sugli aeromobili che utilizzano aeroporti comunitari

 

19/10/2008

2008/50/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa

 

11/6/2010

2008/51/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, che modifica la direttiva 91/477/CEE del Consiglio, relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi

 

28/7/2010

 

2008/52/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale

 

20/5/2011

 

2008/56/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria nel campo della politica per l'ambiente marino (direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino)

 

15/7/2010

 

2008/57/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, relativa all'interoperabilità del sistema ferroviario comunitario (rifusione)

 

19/7/2010

 

2008/59/CE

del Consiglio, del 12 giugno 2008, che adegua la direttiva 2006/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa i requisiti tecnici per le navi della navigazione interna a motivo dell'adesione della Repubblica di Bulgaria e della Romania

 

30/12/2008

 

2008/63/CE

della Commissione, del 20 giugno 2008, relativa alla concorrenza sui mercati delle apparecchiature terminali di telecomunicazioni (versione codificata)

 

30/6/2009

2008/68/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 settembre 2008, relativa al trasporto interno di merci pericolose

 

30/6/2009

 

2008/71/CE

del Consiglio, del 15 luglio 2008, relativa all'identificazione e alla registrazione dei suini  (Versione codificata)

 

28/8/2008

2008/73/CE

del Consiglio, del 15 luglio 2008, che semplifica le procedure di redazione degli elenchi e di diffusione dell'informazione in campo veterinario e zootecnico e che modifica le direttive 64/432/CEE, 77/504/CEE, 88/407/CEE, 88/661/CEE, 89/361/CEE, 89/556/CEE, 90/426/CEE, 90/427/CEE, 90/428/CEE, 90/429/CEE, 90/539/CEE, 91/68/CEE, 91/496/CEE, 92/35/CEE, 92/65/CEE,  92/66/CEE, 92/119/CEE, 94/28/CE, 2000/75/CE, la decisione 2000/258/CE nonché le direttive 2001/89/CE, 2002/60/CE e 2005/94/CE.

 

1/1/2010

 

2008/87/CE

della Commissione, del 22 settembre 2008, che modifica la direttiva 2006/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa i requisiti tecnici per le navi della navigazione interna

 

30/12/2008

 

2008/98/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive

 

12/12/2010

2008/100/CE

della Commissione, del 28 ottobre 2008, che modifica la direttiva 90/496/CEE del Consiglio relativa all'etichettatura tradizionale dei prodotti alimentari per quanto riguarda le razioni giornaliere raccomandate, i coefficienti di conversione per il calcolo del valore energetico e le definizioni

 

31/10/2009

 

 

2008/117/CE

del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante modifica della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, per combattere la frode fiscale connessa alle operazioni intracomunitarie

 

31/12/2009

 

2008/118/CE

del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativa al regime generale delle accise e che abroga la direttiva 92/12/CEE

 

1/1/2010

 

 


Direttive da attuare in via amministrativa

(Indicate nella relazione governativa al disegno di legge comunitaria 2008 AS 1078)

N.B.: A sfondo grigio sono evidenziate le direttive che risultano già attuate alla data del 20/3/2009

DIRETTIVA

TITOLO

TERMINE DI RECEPIMENTO

2007/14/CE

della Commissione, dell'8 marzo 2007, che stabilisce le modalità di applicazione di talune disposizioni della direttiva 2004/109/CE sull'armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato

 

28/3/2008

 

2007/17/CE

della Commissione, del 22 marzo 2007, che modifica la direttiva 76/768/CEE del Consiglio relativa ai prodotti cosmetici, al fine di adeguare al progresso tecnico i suoi allegati III e VI

 

23/03/2008[240]

 

2007/19/CE

della Commissione, del 30 marzo 2007, che modifica la direttiva 2007/72/CE relativa ai materiali e agli oggetti di materia plastica destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari e la direttiva 85/572/CEE del Consiglio che fissa l'elenco dei simulanti da impiegare per la verifica della migrazione dei costituenti dei materiali e degli oggetti di materia plastica destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari

 

1/4/2008[241]

 

2007/33/CE

del Consiglio dell’11 giugno 2007, relativa alla lotta ai nematodi a cisti della patata e che abroga la direttiva 69/465/CEE

 

1/7/2010

 

2007/51/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 settembre 2007, che modifica la direttiva 76/769/CEE del Consiglio per quanto riguarda le restrizioni alla commercializzazione di alcune apparecchiature di misura contenenti mercurio

 

Attuaz: 3/10/08
Appl: 3/4/09
[242]

 

2007/61/CE

del Consiglio, del 26 settembre 2007, che modifica la direttiva 2001/114/CE relativa a taluni tipi di latte conservato parzialmente o totalmente disidratato destinato all'alimentazione umana

 

31/08/2008

 

2007/69/CE

della Commissione, del 29 novembre 2007, recante modifica della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al fine di iscrivere il difetialone come principio attivo nell'allegato I della direttiva

 

31/10/2008[243]

 

2007/70/CE

della Commissione, del 29 novembre 2007, recante modifica della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al fine di iscrivere il biossido di carbonio come principio attivo nell'allegato I della direttiva

 

31/10/2008[244]

 

2007/71/CE

della Commissione, del 13 dicembre 2007, recante modifica dell'allegato II della direttiva 2000/59/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi e i residui del carico

 

15/6/2009

 

2007/72/CE

della Commissione, del 13 dicembre 2007, che modifica la direttiva 66/401/CEE del Consiglio relativa all'inserimento della specie Galega orientalis Lam

 

31/12/2008[245]

 

2007/73/CE

della Commissione, del 13 dicembre 2007, che modifica alcuni allegati delle direttive 86/362CEE e 90/642/CEE del Consiglio riguardo alle quantità massime di residui delle sostanze acetamiprid, atrazina, deltametrina, imazalil, indoxacarb, pendimetalin, pimetrozina, oiraclostrobin, tiacloprid e triflossistrobina

 

14/6/2008[246]

 

2007/74/CE

del Consiglio, del 20 dicembre 2007, sull'esenzione dall'imposta sul valore aggiunto e dalle accise delle merci importate da viaggiatori provenienti da paesi terzi

 

1/12/2008

 

2007/76/CE

della Commissione, del 20 dicembre 2007, che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio per comprendere il fluodioxonil, il clomazone e il prosulfocarb tra le sostanze attive

 

30/4/2009[247]

 

2008/4/CE

della Commissione, del 9 gennaio 2008, che modifica la direttiva 94/39/CE per quanto riguarda gli alimenti per animali destinati alla riduzione del rischio di febbre lattea

24/6/2008[248]

2008/14/CE

della Commissione, del 15 febbraio 2008, recante modifica della direttiva 76/768/CEE del Consiglio relativa ai prodotti cosmetici, al fine di adeguare al progresso tecnico il suo allegato III

16/8/2008[249]

2008/15/CE

della Commissione, del 15 febbraio 2008, recante modifica della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al fine di iscrivere il clotianidin come principio attivo nell'allegato I della direttiva

 

31/1/2009[250]

 

2008/16/CE

della Commissione, del 15 febbraio 2008, recante modifica della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al fine di iscrivere l'etofenprox come principio attivo nell'allegato I della direttiva

 

31/1/2009[251]

 

2008/17/CE

della Commissione, del 19 febbraio 2008, che modifica alcuni allegati delle direttive del Consiglio 86/362/CEE, 86/363/CEE e 90/642/CEE per quanto riguarda i livelli massimi di residui di acefate, acetamiprid, acibenzolar-S-metile, aldrin, benalaxil, benomil, carbendasim, clormequat, clorotalonil, clorpirifos, clofentezina, ciflutrin, cipermetrina, ciromazina, dieldrin, dimetoato, ditiocarbammati, esfenvalerate, fanoxadone, esfenvalerate, famoxadone, fenhexamid, fenitrotion, fenvalerate, glifosate, indoxacarb, lambda cialotrina, mepanipyrim, metalaxil-M, metidation, metossifenozide, pimetrozina, pyraclostrobin, pirimetanil, spiroxamina, thiacloprid, tiofanato metile e trifloxystrobin

 

14/9/2008[252]

 

2008/38/CE

 

della Commissione, del 5 marzo 2008, che stabilisce un elenco degli usi previsti per gli alimenti per animali destinati a particolari fini nutrizionali (Versione codificata)

 

31/7/2008[253]

2008/39/CE

della Commissione, del 6 marzo 2008, che modifica la direttiva 2002/72/CE relativa ai materiali e agli oggetti di materia plastica destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari

 

7/3/2009

 

2008/40/CE

della Commissione, del 28 marzo 2008, che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio con l'iscrizione delle sostanze attive amidosulfuron e nicosulfuron

 

30/4/2009[254]

 

2008/41/CE

della Commissione, del 31 marzo 2008, che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio con l'iscrizione della sostanza attiva cloridazon

 

30/6/2009[255]

 

2008/42/CE

della Commissione, del 3 aprile 2008, che modifica la direttiva 76/768/CEE del Consiglio sui prodotti cosmetici al fine di adeguare al progresso tecnico i suoi allegati II e III

 

4/10/2008 [256]

 

2008/44/CE

della Commissione, del 4 aprile 2008, che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio per includere benthiavalicarb, boscalid, carvone, fluoxastrobin, Paecilomyces lilacinus e prothioconazole come sostanze attive

 

31/1/2009[257]

 

2008/45/CE

della Commissione, del 4 aprile 2008, che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio relativamente all'estensione dell'utilizzazione della sostanza attiva metconazolo

 

5/8/2008[258]

 

2008/47/CE

della Commissione, dell'8 aprile 2008, che modifica, per adeguarla al progresso tecnico, la direttiva 75/324/CEE del Consiglio per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli aerosol

 

29/10/2009

 

2008/53/CE

della Commissione, del 30 aprile 2008, che modifica l'allegato IV della direttiva 2006/88/CE del Consiglio per quanto riguarda la viremia primaverile delle carpe (SVC)

 

1/8/2008[259]

 

 

 


 

Tabella 2
STATO DI ATTUAZIONE DELLE DIRETTIVE
IN
CIASCUNO STATO MEMBRO
(dati aggiornati al 9 marzo 2009)

 

 

Graduatoria

Stato membro

Direttive con termine di recepimento scaduto al 9/3/2009

Direttive per le quali sono state comunicate misure di attuazione

 

Percentuale di direttive attuate

 

1

Lituania

3049

3042

99,77%

2

Romania

3150

3142

99,75%

3

Lettonia

3045

3037

99,74%

4

Germania

2991

2981

99,67%

5

Bulgaria

3150

3138

99,62%

6

Slovacchia

3046

3034

99,61%

7

Slovenia

3043

3030

99,57%

8

Malta

3037

3024

99,57%

9

Danimarca

2990

2976

99,53%

10

Svezia

2976

2962

99,53%

11

Paesi Bassi

2991

2075

99,47%

12

Finlandia

2988

2969

99,36%

13

Repubblica Ceca

3047

3027

99,34%

14

Francia

2993

2973

99,33%

15

Irlanda

3004

2983

99,30%

16

Estonia

3031

3009

99,27%

17

Belgio

3045

3021

99,21%

18

Spagna

3010

2986

99,20%

19

Regno Unito

2986

2962

99,20%

20

Polonia

3046

3021

99,18%

21

Ungheria

3039

3014

99,18%

22

Austria

2996

2969

99,10%

23

Cipro

3036

3005

98,98%

24

Portogallo

3031

3000

98,98%

25

Italia

3001

2965

98,80%

26

Lussemburgo

2996

2953

98,56%

27

Grecia

2995

2947

98,40%

 

Media CE

3026

3005

99,30%

              Fonte: Commissione europea- Segretariato Generale

 


 

Tabella 3
DIRETTIVE CONTENUTE IN PRECEDENTI LEGGI COMUNITARIE
E NON ANCORA RECEPITE

Direttive da attuare con decreti legislativi

Legge comunitaria 1999

(Legge 21 dicembre 1999, n. 526)

Direttive da recepire con decreto legislativo

DIRETTIVA

TITOLO

TERMINE DI RECEPIMENTO

PARERE DELLE COMMISSIONI

98/49/CE

del Consiglio, del 29 giugno 1998, relativa alla salvaguardia dei diritti a pensione integrativa dei lavoratori subordinati e autonomi che si spostano all'interno della Comunità.

25/07/2001

Non previsto

Legge comunitaria 2000

(Legge 29 dicembre 2000, n. 422)

Direttive da attuare in via amministrativa


DIRETTIVA

TITOLO

TERMINE DI RECEPIMENTO

1999/17/CE

della Commissione, del 18 marzo 1999, che adegua al progresso tecnico la direttiva 76/761/CEE del Consiglio relativa ai proiettori dei veicoli a motore con funzione di fari abbaglianti e/o anabbaglianti nonché alle lampade ad incandescenza per tali proiettori

1/10/99

al più tardi 6 mesi dopo la pubbl. dei regolamenti ECE/ONU della Commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite (nov.-dic. 2001)

1999/18/CE

direttiva 1999/18/CE della Commissione, del 18 marzo 1999, che adegua al progresso tecnico la direttiva 76/762/CEE del Consiglio relativa ai proiettori fendinebbia anteriori dei veicoli a motore, nonché alle lampade ad incandescenza per tali proiettori

1/10/99

al più tardi 6 mesi dopo la pubbl. del regolamento (ECE/ONU) n. 19 della Commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite (nov.-dic. 2001)

1999/81/CE

del Consiglio, del 29 luglio 1999, che modifica la direttiva 92/79/CEE relativa al ravvicinamento delle imposte sulle sigarette, la direttiva 92/80/CEE relativa al ravvicinamento delle imposte sui tabacchi lavorati diversi dalle sigarette e la direttiva 95/59/CE relativa alle imposte diverse dall'imposta sul volume d'affari che gravano sul consumo dei tabacchi lavorati

1/1/99

Legge comunitaria 2001

(Legge 1° marzo 2002, n. 39)

Direttive contenute negli articoli e negli allegati A e B (da recepire con decreto legislativo)

DIRETTIVA

TITOLO

TERMINE DI RECEPIMENTO

PARERE DELLE COMMISSIONI

2000/20/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 maggio 2000, che modifica la direttiva 64/432/CEE del Consiglio relativa a problemi di polizia sanitaria in materia di scambi intracomunitari di animali delle specie bovina e suina

Immediato

Non previsto

 

 

 

 

 

 

Legge comunitaria 2002

(Legge 3 febbraio 2003, n. 14)

Tutte le direttive contenute nell’Allegato A e nell’Allegato B sono state recepite


Legge comunitaria 2003

(Legge 31 ottobre 2003, n. 306)

Direttive contenute negli articoli e negli allegati A e B (da recepire con decreto legislativo)

Il termine per l’attuazione delle deleghe è scaduto il 30 maggio 2005

DIRETTIVA

TITOLO

TERMINE DI
RECEPIMENTO

PARERE DELLE COMMISSIONI

2002/83/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 novembre 2002, relativa all’assicurazione sulla vita

17/11/2002 20/9/2003 19/6/2004

No

2002/86/CE

della Commissione del 6 novembre 2002 recante modifica della direttiva 2001/101/CE per quanto concerne il termine a partire da cui sono vietati gli scambi di prodotti non conformi alla direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio

non definito (modifica termine di precedente direttiva)

No

 

 

 

 

Legge comunitaria 2004

(Legge 18 aprile 2005, n. 62)

Le direttive contenute negli articoli e negli allegati A e B sono state tutte recepite

Direttive da attuare in via amministrativa

(Indicate nella relazione governativa al disegno di legge comunitaria 2004 - A.S. 2742 - XIV legislatura)

DIRETTIVA

TITOLO

TERMINE DI RECEPIMENTO

2003/65/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 luglio 2003, che modifica la direttiva 86/609/CEE del Consiglio concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici

16/9/2004

 


Legge comunitaria 2005

(Legge 25 gennaio 2006, n. 29)

Direttive contenute negli articoli e negli allegati A e B (direttive da recepire con decreto legislativo)

Il termine per l’esercizio delle deleghe è scaduto il 23 agosto 2007

DIRETTIVA

TITOLO

TERMINE DI
RECEPIMENTO

PARERE DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI

2005/1/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2005, che modifica le direttive 73/239/CEE, 85/611/CEE, 91/675/CEE, 92/49/CEE e 93/6/CEE del Consiglio e le direttive 94/19/CE, 98/78/CE, 2000/12/CE, 2001/34/CE, 2002/83/CE e 2002/87/CE al fine di istituire una nuova struttura organizzativa per i comitati del settore dei servizi finanziari

13/5/2005

No

Direttive da attuare in via amministrativa

(Indicate nella relazione governativa al disegno di legge comunitaria 2005 A.C. 5767 – XIV legislatura)

DIRETTIVA

TITOLO

TERMINE DI RECEPIMENTO

2003/107/CE

che modifica la direttiva 96/16/CE del Consiglio relativa alle indagini statistiche da effettuare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari

31/3/2004

2004/63/CE

 

del 26 aprile 2004, che modifica la direttiva 2003/79/CE della Commissione per quanto riguarda i termini di attuazione

eventuale revoca autorizzazioni entro il 30/6/2005

2004/97/CE

modifica la direttiva 2004/60/CE della Commissione per quanto riguarda i termini di attuazione

eventuale revoca autorizzazioni entro il 28/2/2006

 


Legge comunitaria 2006

(Legge 6 febbraio 2007, n. 13)

Direttive contenute negli articoli e negli allegati A, B e C (direttive da recepire con decreto legislativo)

Il termine per l’esercizio delle deleghe è scaduto il 4 marzo 2008

DIRETTIVA

TITOLO

TERMINE DI RECEPIMENTO

PARERE DELLE COMMISSIONI

2005/45/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, riguardante il reciproco riconoscimento dei certificati rilasciati dagli Stati membri alla gente di mare e recante modificazione della direttiva 2001/25/CE

27/7/2008

[260]

2006/38/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2006, che modifica la direttiva 1999/62/CE relativa alla tassazione a carico di autoveicoli pesanti

29/6/2008

2006/54/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione)

15/8/2008

 

Direttive da attuare in via amministrativa

(Indicate nella Relazione governativa al ddl comunitaria 2006 – AC 1042)

Direttiva

Titolo

Termine di recepimento

2005/38/CE

della Commissione, del 6 giugno 2005, relativa ai metodi di campionamento e di analisi per il controllo ufficiale del tenore di tossine di Fusarium nei prodotti alimentari

1/7/2006


Legge comunitaria 2007

(Legge 25 febbraio 2008, n. 34)

Direttive contenute negli articoli e negli allegati A e B (direttive da recepire con decreto legislativo)

Il termine per l’esercizio delle deleghe coincide con il termine di recepimento previsto da ciascuna direttiva.

Direttiva

Titolo

Termine di recepimento

2006/69/CE

del Consiglio, del 24 luglio 2006, che modifica la direttiva 77/388/CEE per quanto riguarda talune misure aventi lo scopo di semplificare la riscossione dell'imposta sul valore aggiunto e di contribuire a contrastare la frode o l'evasione fiscale e che abroga talune decisioni che autorizzano misure derogatorie

 

1/1/2008

 

2006/86/CE

della Commissione, del 24 ottobre 2006, che attua la direttiva 2004/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le prescrizioni in tema di rintracciabilità, la notifica di reazioni ed eventi avversi, gravi e determinate prescrizioni tecniche per la codifica, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umane

 

1/1/2007[261]

2006/93/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, sulla disciplina dell'utilizzazione degli aerei di cui all'allegato 16 della convenzione sull'aviazione civile internazionale, volume I, parte II, capitolo 3, seconda edizione (1988) (Versione codificata)

Non c’è termine espresso

2006/112/CE

del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto

1/1/2008

2006/118/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, sulla protezione delle acque sotterranee dall'inquinamento e dal deterioramento

16/1/2009[262]

2006/137/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, che modifica la direttiva 2006/87/CE che fissa i requisiti tecnici per le navi della navigazione interna

 

30/12/2008

2007/16/CE

della Commissione, del 19 marzo 2007, recante modalità di esecuzione della direttiva 85/611/CEE del Consiglio concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative in materia di taluni organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) per quanto riguarda il chiarimento di talune definizioni

 

23/3/2008

 

 

Direttive da attuare in via amministrativa

(Indicate nella relazione governativa al disegno di legge comunitaria 2007 AS 1448)

DIRETTIVA

TITOLO

TERMINE DI RECEPIMENTO

2006/91/CE

del Consiglio, del 7 novembre 2006, concernente la lotta contro la cocciniglia di San Josè (versione codificata)

Non presente (versione codificata)

2006/125/CE

della Commissione, del 5 dicembre 2006, sugli alimenti a base di cereali e gli altri alimenti destinati ai lattanti e ai bambini

Non presente (versione codificata)

2006/126/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, concernente la patente di guida (Rifusione)

Adozione delle misure: 19/1/2011

Applicazione: 19/1/2013


Tabella 4
DIRETTIVE GIA’ SCADUTE
edIN SCADENZA ENTRO IL 31/12/2009
NON RECEPITE E NON INSERITE IN LEGGI COMUNITARIE E NEL DDL COMUNITARIA 2008

In grassetto sono evidenziate le direttive già scadute alla data del 20/3/2009

DIRETTIVA

TITOLO

TERMINE DI
RECEPIMENTO

2000/64/CE

del 7 novembre 2000, che modifica le direttive 85/611/CEE, 92/49/CEE, 92/96/CEE e 93/22/CEE del Consiglio per quanto riguarda lo scambio d'informazioni con i paesi terzi

17/11/2002

abrogata parzialmente dalla direttiva 2002/83/CE

2004/106/CE

del 16 novembre 2004, che modifica le direttive 77/799/CEE relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri in materia di imposte dirette, di talune accise e imposte sui premi assicurativi, e 92/12/CEE, relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa

30/6/2005

2005/75/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2005, che rettifica la direttiva 2004/18/CE relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi

31/01/2006

2006/29/CE

della Commissione, dell’8 marzo 2006, che modifica la direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda l’inclusione di taluni enti nel campo di applicazione di tale direttiva o la loro esclusione da esso

30/06/2006

2007/42/CE

della Commissione, del 29 giugno 2007, relativa ai materiali e agli oggetti di pellicola di cellulosa rigenerata destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari (VERSIONE CODIFICATA)

non c’è termine espresso

2008/1/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2008, sulla prevenzione e riduzione integrate dall'inquinamento (VERSIONE CODIFICATA)

non c’è termine espresso

2008/55/CE

del Consiglio, del 26 maggio 2008, sull'assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da taluni contributi, dazi, imposte ed altre misure (VERSIONE CODIFICATA)

non c’è termine espresso

2008/58/CE

della Commissione, del 21 agosto 2008, recante trentesimo adeguamento al progresso tecnico della direttiva 67/548/CEE del Consiglio concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative regolamentari ed amministrative relative alla classificazione, all'imballaggio e all'etichettatura delle sostanze pericolose

 

1/6/2009

2008/60/CE

della Commissione, del 17 giugno 2008, che stabilisce i requisiti di purezza specifici per gli edulcoranti per uso alimentare (VERSIONE CODIFICATA)

 

non c’è termine espresso

2008/61/CE

"della Commissione, del 17 giugno 2008, che stabilisce le condizioni alle quali taluni organismi nocivi, vegetali, prodotti vegetali e altri prodotti elencati negli allegati I, II, III, IV e V  della direttiva 2000/29/CE del Consiglio possono essere introdotti o trasferiti da un luogo all'altro nella Comunità o in talune sue zone protette per prove o scopi scientifici e per lavori di selezione varietale (VERSIONE CODIFICATA)

 

non c’è termine espresso

2008/64/CE

della Commissione, del 27 giugno 2008, che modifica gli allegati da I a IV della direttiva 2000/29/CE del Consiglio concernente le misure di protezione contro l'introduzione nella Comunità di organismi nocivi ai vegetali o ai prodotti vegetali e contro la loro diffusione nella Comunità

 

31/8/2008

 

2008/67/CE

della Commissione, del 30 giugno 2008, recante modifica della direttiva 96/98/CE del Consiglio sull'equipaggiamento marittimo

 

21/7/2009

2008/70/CE

della Commissione, dell'11 luglio 2008, che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio per includervi il tritosulfuron come sostanza attiva

 

31/5/2009

2008/72/CE

del Consiglio, del 15 luglio 2008, relativa alla commercializzazione delle piantine di ortaggi e dei materiali di moltiplicazione di ortaggi, ad eccezione delle sementi (VERSIONE CODIFICATA)

 

non c’è termine espresso

2008/76/CE

della Commissione, del 25 luglio 2008, che modifica l'allegato I della direttiva 2002/32/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle sostanze indesiderabili nell'alimentazione degli animali

 

1/4/2009

2008/84/CE

della Commissione, del 27 agosto 2008, che stabilisce i requisiti di purezza specifici per gli additivi alimentari diversi dai coloranti e dagli edulcoranti

(VERSIONE CODIFICATA)

 

non c’è termine espresso

2008/88/CE

della Commissione, del 23 settembre 2008, che modifica la direttiva 76/768/CEE del Consiglio sui prodotti cosmetici al fine di adeguare al progresso tecnico i suoi allegati II e III

 

14/2/2009

2008/89/CE

della Commissione, del 24 settembre 2008, che modifica, per adeguarla al progresso tecnico, la direttiva 76/756/CEE del Consiglio concernente l'installazione dei dispositivi di illuminazione e di segnalazione luminosa dei veicoli a motore e dei loro rimorchi

 

15/10/2009

 

2008/91/CE

della Commissione, del 29 settembre 2008, che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio per includervi il diuron come sostanza attiva

 

31/3/2009

2008/94/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in casi d'insolvenza del datore di lavoro

(VERSIONE CODIFICATA)

 

non c’è termine espresso

2008/95/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa

(VERSIONE CODIFICATA)

 

non c’è termine espresso

2008/103/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, che modifica la direttiva 2006/66/CE relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori in relazione all'immissione di pile e accumulatori sul mercato

 

5/12/2009

2008/106/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare (RIFUSIONE)

 

non c’è termine espresso

2008/107/CE

della Commissione, del 25 novembre 2008, che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio con l'iscrizione delle sostanze attive abamectina, epossiconazolo, fenpropimorf, fenpirossimato e tralcossidim

 

31/10/2009

2008/108/CE

della Commissione, del 26 novembre 2008, che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio al fine di includere il flutolanil, il benfluralin, il fluazinam, il fuderidazolo e il mepiquat come sostanze attive

 

31/8/2009

2008/109/CE

della Commissione, del 28 novembre 2008, che modifica  l'allegato IV della direttiva 2000/29/CE del Consiglio concernente le misure di protezione contro l'introduzione nella Comunità di organismi nocivi ai vegetali o ai prodotti vegetali e contro la loro diffusione nella Comunità

 

31/12/2008

2009/2/CE

della Commissione, del 15 gennaio 2009, recante trentunesimo adeguamento al progresso tecnico della direttiva 67/548/CEE del Consiglio concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative alla classificazione, all'imballaggio e all'etichettatura delle sostanze pericolose

 

1/6/2009

2009/4/CE

della Commissione, del 23 gennaio 2009, sulle contromisure volte a prevenire e rilevare la manipolazione delle registrazioni dei tachigrafi, che modifica la direttiva 2006/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sulle norme minime per l'applicazione dei regolamenti (CEE) n. 3820/85 e (CEE) n. 3821/85 del Consiglio relativi a disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada e che abroga la direttiva 88/599/CEE del Consiglio

 

31/12/2009

 

2009/5/CE

della Commissione, del 30 gennaio 2009, che modifica l'allegato III della direttiva 2006/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sulle norme minime per l'applicazione dei regolamenti (CEE) n. 3820/85 e (CEE) n. 3821/85 del Consiglio relativi a disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada

 

31/12/2009

2009/6/CE

della Commissione, del 4 febbraio 2009, che modifica la direttiva 76/768/CEE del Consiglio sui prodotti cosmetici al fine di adeguare al progresso tecnico i suoi allegati II e III

 

5/8/2009

 

2009/7/CE

della Commissione, del 10 febbraio 2009, che modifica gli allegati I, II, IV e V della direttiva 2000/29/CE del Consiglio concernenti le misure di protezione contro l'introduzione nella Comunità di organismi nocivi ai vegetali o ai prodotti vegetali e contro la loro diffusione nella Comunità

 

31/3/2009

 

2009/8/CE

della Commissione, del 10 febbraio 2009, che modifica l'allegato I della direttiva 2002/32/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda i tenori massimi di coccidiostatici o istomonostatici presenti per effetto di carry-over inevitabile in mangimi destinati a specie non bersaglio

 

1/7/2009

2009/9/CE

della Commissione, del 10 febbraio 2009, che modifica la direttiva 2001/82/CE del Parlamento europeo e del Consiglio recante un codice comunitario relativo ai medicinali veterinari

 

6/9/2009

2009/14/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2009, recante modifica della direttiva 94/19/CE relativa ai sistemi di garanzia dei depositi per quanto riguarda il livello di copertura e il termine di rimborso

 

30/6/2009

2009/19/CE

della Commissione, del 12 marzo 2009, che modifica, ai fini dell'adattamento al progresso tecnico, la direttiva 72/745/CEE del Consiglio relativa alle perturbazioni radioelettriche (compatibilità elettromagnetica) dei veicoli

 

1/10/2009


 



[1]    La “legge la Pergola” è stata abrogata ai sensi dell’articolo 22, comma 2, della legge n. 11 del 2005. Prima della legge n. 86 del 1989, trovava applicazione la legge 16 aprile 1983, n. 87 (c.d. “legge Fabbri”) che, oltre ad aver istituito il Dipartimento per le politiche comunitarie, ha regolato l’attuazione del diritto comunitario sia in via amministrativa, mediante regolamenti o atti amministrativi generali, sia in via legislativa, attraverso disegni di legge o delega legislativa.

[2]    La prima legge comunitaria è stata approvata nel 1990.

[3]    Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari.

[4]    Articolo 2, comma 1, della legge n. 86 del 1989.

[5]    Regolamento per il funzionamento del Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE), istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ai sensi dall'articolo 2 della legge 4 febbraio 2005, n. 11. Cfr. l’articolo 2, comma 2.

[6]    Tale previsione è stata introdotta dall’articolo 6 della legge n. 34 del 2008; la legge n. 86 del 1989 (c.d. “Legge La Pergola”) prevedeva invece l’inserimento di alcuni elementi informativi nella relazione governativa allegata al disegno di legge comunitaria.

[7]     Tale norma ha limitato l’intervento dei regolamenti governativi nelle sole materie di competenza statale esclusiva (articolo 117, sesto comma, della Costituzione).

[8]    Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa. Si segnala che i principi cui riferirsi sono ora contenuti nel comma 4, anziché nel comma 5, dell’articolo 20 della legge n. 59 del 1997, a seguito della riformulazione dell’articolo 20 ad opera dell’articolo 1 della legge 29 luglio 2003, n. 229. Si tratta di principi finalizzati alla semplificazione e razionalizzazione normativa e procedurale.

[9]    Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

[10]   In linea generale, per quanto concerne gli obblighi di trasmissione ed informazione previsti dalla legge n. 11 del 2005, si ricorda che l’articolo 19 autorizza il Presidente del Consiglio o il Ministro per le politiche comunitarie ad avvalersi di strumenti informatici.

[11]    La norma citata prevede la seguente procedura. Gli atti di indirizzo e coordinamento delle funzioni amministrative regionali, gli atti di coordinamento tecnico, nonché le direttive relative all'esercizio delle funzioni delegate, sono adottati previa intesa con la Conferenza Stato-regioni o con la singola regione interessata. Qualora nel termine di 45 giorni dalla prima consultazione l'intesa non sia stata raggiunta, gli atti sopra indicati sono adottati con deliberazione del Consiglio dei ministri, previo parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali da esprimere entro 30 giorni dalla richiesta. In caso di urgenza il Consiglio dei ministri può provvedere senza l'osservanza delle suddette procedure. I provvedimenti in tal modo adottati sono sottoposti all'esame della Conferenza Stato-regioni o della Commissione parlamentare per le questioni regionali (a seconda della diversa procedura seguita) entro i successivi 15 giorni. Il Consiglio dei ministri è tenuto a riesaminare i provvedimenti in ordine ai quali siano stati espressi pareri negativi. Gli atti di indirizzo e coordinamento, gli atti di coordinamento tecnico, nonché le direttive adottate con deliberazione del Consiglio dei ministri, sono trasmessi alle competenti Commissioni parlamentari.

[12]   In base all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, oltre a partecipare alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari, provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.

[13]   Tale meccanismo appare in linea con la giurisprudenza della Corte costituzionale, alla stregua della quale, in caso di inerzia delle regioni e province autonome nell’attuazione delle direttive comunitarie “si fa necessariamente strada il potere-dovere dello Stato di assicurare l'adempimento degli obblighi comunitari, ciò di cui, unitariamente e per tutto il territorio nazionale, lo Stato stesso è responsabile. […] Allo Stato, dunque, il compito di supplire all'eventuale inerzia con proprie norme, colmando la lacuna; alle Regioni e alle Province autonome il potere di far uso in qualunque momento delle proprie competenze, rendendo di conseguenza inapplicabile la normativa statale” (sentenza n. 425/1999).

[14]   Si segnala, comunque, che la più recente dottrina (Rescigno, Anzon, D’Atena, Caretti, Gianfrancesco, Scaccia, Marazzita) è divisa circa l’interpretazione da attribuire ai due diversi disposti costituzionali: alcuni ritengono che le due norme facciano sistema, andando a configurare un’unica fattispecie di intervento sostitutivo, che ricorrerebbe in caso di inerzia regionale e si esplicherebbe attraverso un intervento governativo. Altri sostengono, invece, che mentre l’articolo 117, quinto comma, della Costituzione riguarderebbe i poteri sostitutivi di natura legislativa, che presuppongono l’inadempimento regionale, l’articolo 120, secondo comma, della Costituzione, disciplinerebbe i poteri sostitutivi di natura amministrativa, che non presuppongono l’inadempimento delle regioni e devono essere esercitati esclusivamente dal Governo. Infine, vi è chi ricostruisce il rapporto tra le due norme costituzionali in termini di sostituzione ordinaria e straordinaria. Il dettato costituzionale configurerebbe, quindi, una sostituzione ordinaria, che può essere tanto legislativa (articolo 117, quinto comma) quanto amministrativa (articolo 118), ed una sostituzione straordinaria (articolo 120, secondo comma), cui ricorrere a fronte di emergenze istituzionali di particolare gravità. Si tratterebbe in questo caso di una norma di chiusura, che svolge il ruolo residuale di estrema ratio, attivabile dal Governo in relazione all’esercizio di funzioni amministrative e normative, ma non legislative. La Corte costituzionale ha esaminato il tema dei poteri sostitutivi, in riferimento alla disciplina regionale della sostituzione di organi comunali da parte della regione. In tale circostanza, la Corte ha delineato l’articolo 120, secondo comma, della Costituzione, come norma di chiusura, volta ad assicurare comunque – in un sistema di più largo decentramento delle funzioni – taluni interessi essenziali. Configurandosi come estrema ratio, la norma non esaurisce le possibilità di esercizio di poteri sostitutivi, dal momento che essa ”prevede solo un potere sostitutivo straordinario in capo al Governo”, da esercitarsi in casi tassativamente indicati (si vedano, in particolare, la sentenza n. 43 del 2004 e le successive sentenze nn. 69, 74, 112 e 173 del 2004).

[15]   L’articolo 16-bis della legge 11 del 2005 è stato introdotto dall’articolo 6 della legge n. 34 del 2008 (legge comunitaria 2007).

[16]   L’articolo 42-ter del decreto-legge dicembre 2008, n. 207, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti, ha fornito l’interpretazione autentica dell’art. 16-bis della L. 11/2005, precisando che il diritto di rivalsa nei confronti delle regioni e degli altri enti pubblici può essere esercitato dallo Stato anche in relazione agli oneri finanziari sostenuti per la definizione di controversie presso la Corte europea dei diritti dell’uomo che si siano concluse con sentenza di radiazione o cancellazione dal ruolo. La nuova disposizione consente, quindi, di esercitare il diritto di rivalsa anche nelle ipotesi di controversie cessate con la cancellazione del ricorso dal ruolo, ai sensi dell’art. 37 CEDU, o con la conclusione di un regolamento amichevole ex art. 39 CEDU.

[17]   Istituzione del sistema di tesoreria unica per enti ed organismi pubblici.

[18]    I dati vengono aggiornati ogni tre mesi: quelli riportati sono stati rilevati dal sito del Dipartimento per le Politiche comunitarie e sono aggiornati al 19 febbraio 2009 (ultimo aggiornamento dello Scoreboard della Commissione europea.

[19]   Le due archiviazioni di procedure già aperte riguardano le direttive:

§       2006/2316: “Non corretta trasposizione della direttiva 2002/59/CE sulla istituzione di un sistema di monitoraggio del traffico navale”.

§       2008/0782: “Mancato recepimento della direttiva 2006/66/CE relativa all'armonizzazione delle misure nazionali in materia di rifiuti di pile ed accumulatori”.

[20]   COM(2003)238 final del 7 maggio 2003.

[21]   I dati sono stati pubblicati il 19 febbraio 2009.

[22]    I dati si riferiscono a casi di non conformità nel recepimento o di applicazione erronea della legislazione del mercato interno e non comprendono i casi di mancata comunicazione del recepimento per evitare una duplicazione nel conteggio delle procedure.

[23]   I dati sono tratti dallo Scoreboard presentato dalla Commissione in data 19 febbraio 2009.

[24]    I dati sono aggiornati al 20 marzo 2009.

[25]    I dati della tabella 2 sono forniti dal Segretariato generale della Commissione europea.

[26]   I dati della tabella 3 sono elaborati dal Servizio Studi della Camera.

[27]    Tale dato comprende quindi anche le direttive il cui termine di recepimento non è ancora scaduto.

[28]   Il termine di diciotto mesi per l’esercizio della delega per l’attuazione delle direttive comprese negli allegati A e B è scaduto il 23 agosto 2007.

[29]   Dati pubblicati il 2 luglio 2007 e aggiornati a maggio 2007.

[30]   In questa graduatoria i dati di Bulgaria e Romania non sono stati ancora presi in considerazione.

[31]   Cfr. gli articoli 8 e 17.

[32]   La regione Emilia Romagna aveva già dettato disposizioni a riguardo con l’art. 3 della L.R. n. 6/2004, ora abrogato dalla dettagliata e organica nuova disciplina.

[33]   Si ricorda qui brevemente che alcune regioni avevano adottato norme di procedura per l’adeguamento della normativa regionale alle direttive comunitarie e per la partecipazione della regione alla formazione del diritto comunitario anche prima della riforma del Titolo V della Costituzione; sono le regioni Toscana (L.R. n. 37/1994), Liguria (L.R. n. 44/1995), Veneto (L.R. n. 30/1996) Basilicata (L.R. n. 30/1997, art. 10) e Sardegna (L.R. n. 20/1998).

[34]   Le regioni che non hanno ancora adottato lo statuto sono: Basilicata, Molise e Veneto. In Campania il testo dello Statuto è stato approvato dal Consiglio regionale in seconda lettura il 20 febbraio 2009. Gli estremi degli statuti e gli articoli concernenti i rapporti con l’Unione europea sono i seguenti: Abruzzo: Statuto 28/12/2006, art. 4; Calabria: L.R. n. 25/2004, artt. 3, 28, 42; Emilia Romagna: L.R. n. 13/2005, art. 12; Lazio: L. Stat. 1/2004, artt.10, 11 e 32; Liguria: L.Stat. 1/2005, artt. 4, 16 e 50; Lombardia, L.R.Stat. 30/8/2008, n. 1, artt. 6 e 39; Marche: L.Stat. n. 1/2005, art. 2; Piemonte: L.R. Stat. N. 1/2005, artt. 15 e 42; Puglia: L.R. n. 7/2004, art. 9; Toscana: Statuto, art. 70 (BURT n. 12 dell’11 febbraio 2005); Umbria: L.R. n. 21/2005, art. 25.

[35]   In relazione a quest’ultimo aspetto si ricorda che anche altre regioni hanno istituito – principalmente attraverso il Regolamento interno del Consiglio regionale – una Commissione dedicata alle questioni concernenti l'attività dell'Unione europea (Abruzzo, Regione siciliana, Sardegna, Provincia autonoma di Trento).

[36]   Il riferimento è alle leggi regionali in materia di raccordo con la normativa comunitaria, i cui estremi sono indicati sopra in sintesi.

[37]   Altri contenuti del rapporto sono: disposizioni per l’attuazione di programmi regionali cofinanziati dall’Unione europea e lo stato di attuazione di quelli in corso (Calabria); le attività di collaborazione internazionale avviate e quelle che si intendono avviare nell’anno in corso (Marche, Molise).

[38]   La sessione comunitaria della Giunta è prevista anche dalla legge della regione Calabria; essa è convocata dal Presidente “almeno ogni sei mesi”.

[39]   La regione Friuli Venezia Giulia ha emanato le seguenti leggi comunitarie:

§       L.R. 6 maggio 2005, n. 11 - Disposizioni per l'adempimento degli obblighi della Regione Friuli-Venezia Giulia derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità Europee. Attuazione della direttiva 2001/42/CE, della direttiva 2003/4/CE e della direttiva 2003/78/CE (Legge comunitaria 2004).

§       L.R. 26 maggio 2006, n. 9 - Disposizioni per l’adempimento degli obblighi della Regione Friuli Venezia Giulia derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Attuazione delle direttive 98/64/CE, 1999/27/CE, 1999/76/CE, 2000/45/CE, 2001/22/CE, 2003/126/CE, 2004/16/CE, 2005/4/CE, 2005/6/CE, 2005/10/CE. Modifica alla legge regionale 31 maggio 2002, n. 14 (Disciplina organica dei lavori pubblici) in adeguamento al parere motivato della Commissione europea C(2005) 5145 del 13 dicembre 2005 (Legge comunitaria 2005).

§       L.R. 14 giugno 2007, n. 14 - Disposizioni per l’adempimento degli obblighi della Regione Friuli-Venezia Giulia derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Attuazione degli articoli 4, 5 e 9 della direttiva 79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici in conformità al parere motivato della Commissione delle Comunità europee C(2006) 2683 del 28 giugno 2006 e della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (Legge comunitaria 2006).

§       L.R. 21 luglio-2008, n. 7 - Disposizioni per l'adempimento degli obblighi della Regione Friuli-Venezia Giulia derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Attuazione delle direttive 2006/123/CE, 92/43/CEE, 79/409/CEE, 2006/54/CE e del regolamento (CE) n. 1083/2006 (Legge comunitaria 2007).

[40]   Regione Valle d'Aosta, L.R. 21 maggio-2007, n. 8 - Disposizioni per l'adempimento degli obblighi della Regione autonoma Valle d'Aosta derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Attuazione della direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, e della direttiva 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche (Legge comunitaria 2007).

[41]   RegioneMarche: L.R. 16 dicembre 2008, n. 36 (Legge comunitaria regionale 2008). Dà attuazione alle seguenti direttive: “a) 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2003 sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale; b) 2003/105/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2003, che modifica la direttiva 96/82/CE sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose; c) 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi; d) 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006, riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego; e) 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre, relativa ai servizi nel mercato interno; f) 2008/62/CE della Commissione del 20 giugno 2008 recante deroghe per l'ammissione di ecotipi e varietà agricole naturalmente adattate alle condizioni locali e regionali e minacciate di erosione genetica, nonché per la commercializzazione di sementi e di tuberi di patata a semina di tali ecotipi e varietà. […] Si provvede, altresì, all'applicazione del regolamento della Commissione 5 settembre 2008, n. 889/2008 recante modalità di applicazione del regolamento 834/2007 del Consiglio relativo alla produzione biologica e all'etichettatura dei prodotti biologici”.

 

[42]   Legge 9 marzo 1989, n. 86, Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari.

[43]   Legge 4 febbraio 2005, n. 11, Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari.

[44]   Legge 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri.

[45]   Legge 5 agosto 1978, n. 468, Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio.

[46]    L’art. 81, co. 4°, Cost. stabilisce che ogni legge che importi nuove o maggiori spese, rispetto alla legge di bilancio, deve indicare i mezzi per farvi fronte.

[47]   Al riguardo si ricorda che la Corte costituzionale, con la sent. 53/1997, confermata dalla successiva sent. 456/1998, ha avuto modo di pronunciarsi criticamente sulla scarsa precisione dei princìpi e criteri direttivi relativi alle sanzioni penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi delegati. La Corte ha infatti affermato, in relazione alla disposizione dell’art. 2, lett. d), della L. 146/1994 – legge comunitaria per il 1993 – analoga a quella contenuta nella lett. c) in esame, che la disposizione, che stabilisce i criteri e princìpi direttivi della delega conferita al Governo, in ordine alle sanzioni per le infrazioni alle norme delegate “non appare certo perspicua. […] La Corte esprime dunque l’auspicio che il Legislatore, ove conferisca deleghe ampie di questo tipo, adotti, per quanto riguarda il ricorso alla sanzione penale, al cui proposito è opportuno il massimo di chiarezza e certezza, criteri configurati in modo più preciso”.

[48]   Le infrazioni lesive di determinati interessi generali dell’ordinamento interno, in quanto ritenuti meritevoli di tutela penale, erano state escluse dalla depenalizzazione effettuata dalla L. 689/1981 e, da ultimo, dalla ulteriore depenalizzazione prevista dalla L. 205/1999, e dal D.Lgs. 507/1999, emanato in base alla delega ivi prevista.

[49]   D.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della L. 24 novembre 1999, n. 468.

[50]   Legge 16 aprile 1987, n. 183, Coordinamento delle politiche riguardanti l’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee ed adeguamento dell’ordinamento interno agli atti normativi comunitari.

[51]   Legge 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.

[52]   Legge 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

[53]   Lo stesso articolo 9 stabilisce che tali tariffe siano predeterminate e pubbliche.

[54]   Regolamento recante norme di semplificazione del procedimento per il versamento di somme all’entrata e la rassegnazione alle unità previsionali di base per la spesa del bilancio dello Stato, con particolare riferimento ai finanziamenti dell’Unione europea.

[55]    Legge 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa (c.d. “Bassanini 1”). L’art. 20, norma base delle leggi di semplificazione, è stato più volte modificato, da ultimo dalla L. 246/2005 (legge di semplificazione 2005).

[56]   Legge 8 marzo 1999, n. 50, Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1998.

[57]   Legge 29 luglio 2003, n. 229, Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione. Legge di semplificazione 2001.

[58]   Legge 22 febbraio 1994, n. 146, art. 8.

[59]   Legge 6 febbraio 1996, n. 52, art. 8.

[60]L’art. 11-bis è stato introdotto dall’art. 6, comma 1, lettera c), della legge n. 34/2008 (legge comunitaria 2007).

[61]   Il comma 1 dell’art. 17 della legge n. 400/1988 (Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) stabilisce che con apposito DPR, previa deliberazione del Consiglio dei ministri e sentito il parere del Consiglio di Stato che deve pronunziarsi entro 90 giorni dalla richiesta, possono essere emanati regolamenti per disciplinare:

a) l'esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi, nonché dei regolamenti comunitari;

b) l'attuazione e l'integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio (esclusi quelli relativi a materie riservate alla competenza regionale);

c) le materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge, sempre che non si tratti di materie comunque riservate alla legge;

d) l'organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge.

 

[62]   Direttiva n. 2004/41/CE del 21 aprile 2004, del Parlamento europeo e del Consiglio che abroga alcune direttive recanti norme sull'igiene dei prodotti alimentari e le disposizioni sanitarie per la produzione e la commercializzazione di determinati prodotti di origine animale destinati al consumo umano e che modifica le direttive 89/662/CEE e 92/118/CEE del Consiglio e la decisione 95/408/CE del Consiglio.

[63]   I regolamenti comunitari in materia, richiamati dal comma 1 della disposizione in esame, sono il n. 178 del 2002, il n. 852 del 2004, il n.853 del 2004, il n. 854 del 2004, il n. 882 del 2004 e il n. 183 del 2005 (tutti adottati dal Parlamento europeo e dal Consiglio).

[64]   Direttiva 5 settembre 2007, n. 2007/47/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, che modifica la direttiva 90/385/CEE del Consiglio per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai dispositivi medici impiantabili attivi, la direttiva 93/42/CEE del Consiglio concernente i dispositivi medici, e la direttiva 98/8/CE relativa all’immissione sul mercato dei biocidi.

[65]   Si tratta, più in particolare, delle seguenti direttive: direttiva 90/385/CEE del Consiglio per il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai dispositivi medici impiantabili attivi, della direttiva 93/42/CEE del Consiglio concernente i dispositivi medici e della direttiva 98/(/CE relativa all’immissione sul mercato dei biocidi.

[66]   Attuazione della direttiva 90/385/CEE concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai dispositivi medici impiantabili attivi.

[67]   Attuazione della direttiva 93/42/CEE, concernente i dispositivi medici.

[68]   European Database on Medical Devices

[69]   Attuazione della direttiva 98/79/CE relativa ai dispositivi medico-diagnostici in vitro.

[70]Regolamento recante norme per la semplificazione del procedimento di autorizzazione all'uso diagnostico di apparecchiature a risonanza magnetica nucleare sul territorio nazionale.

[71]   Per ricondizionamento si intendono le operazioni di pulizia, disinfezione, sterilizzazione nonché i test di funzionamento ai fini del riutilizzo del dispositivo medico.

[72]   Procedura 2006/4917

[73]   2006/2535. La lettera di messa in mora era stata inviata il 21 marzo 2007.

[74]   Procedura 2006/2228.

[75]   Vale a dire "l'ozono cattivo" presente a bassa quota, da distinguere dall'ozono stratosferico, che non è un inquinante, ma un composto naturale della stratosfera.

[76]   L’abrogazione del citato articolo e dell’intero DPR n. 203/1988 è stata disposta dall’art. 280 del Codice ambientale

[77]   In merito alla direttiva 2004/107/CE non vi è una vera e propria integrazione nella direttiva 2008/50/CE, in quanto si sancisce che questa sarà presa in considerazione quando sarà stata maturata un’esperienza sufficiente.

[78]   L. 10 febbraio 1992, n. 164, Nuova disciplina delle denominazioni d'origine.

[79]   I disciplinari di produzione dei vini possono consentire la menzione della regione geografica di appartenenza in associazione con la denominazione d’origine (DM 22/4/1992); pertanto con riferimento alle sottozone di produzione, si possono avere dei “Chianti”: “Colli Aretini”, “Colli Fiorentini”, “Colli Senesi”, “Colline Pisane”, “Montalbano”, “Rufina”, “Montespertoli”.

[80]   Legge 18 aprile 2005, n. 62, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004.

[81]   Regolamento (CE) n. 2003/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 2003 relativo ai concimi.

[82]   Ovvero la distruzione totale o l’eliminazione dei grappoli non ancora giunti a maturazione, riducendo a zero la resa della relativa superficie (art. 12 reg. n. 479).

[83]   relativo all’organizzazione comune del mercato vitivinicolo, che modifica i regolamenti (CE) n. 1493/1999, (CE) n. 1782/2003, (CE) n. 1290/2005 e (CE) n. 3/2008 e abroga i regolamenti (CEE) n. 2392/86 e (CE) n. 1493/1999

[84]   Reg. (CE) 27 giugno 2008, n. 555/2008 recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 479/2008 del Consiglio relativo all’organizzazione comune del mercato vitivinicolo, in ordine ai programmi di sostegno, agli scambi con i paesi terzi, al potenziale produttivo e ai controlli nel settore vitivinicolo.

[85]   Le restrizioni all’impianto di nuove viti sono stato poste, fino al 31 luglio 2010, dall’art. 2 del reg. (CE) n. 1493/1999 che ha disciplinato l'organizzazione comune del mercato vitivinicolo prima della riforma di cui al reg. 479. Nel contempo tuttavia, per meglio controllare il reale potenziale vitivinicolo, anche derivante dagli impianti illegali, il medesimo articolo 2 aveva concesso agli Stati membri di poter regolarizzare le superfici impiantate contravvenendo alle restrizioni in vigore, purché gli impianti fossero precedenti alla pubblicazione della proposta di sanatoria (pubblicato in GUCE C n. 271 del 31/8/1998), anteriori quindi al 1° settembre 1998, ed alle seguenti ulteriori condizioni di cui al par. 3:

-        che lo Stato membro autorizzi il produttore a far valere diritti di reimpianto ottenuti successivamente all’impianto abusivo, ma comunque entro un termine dallo stesso Stato stabilito, potendo anche essere utilizzati i diritti di nuova assegnazione di cui l’Italia sia beneficiaria;

-        che il produttore si sia impegnato a procedere all’estirpazione di una superficie equivalente in cultura pura; detta superficie deve essere stata registrata nello schedario viticolo e l’estirpazione deve avvenire entro tre anni.

In entrambi i casi, enunciati alle lettere b) e d) del par. 3, poiché non si verifica un aumento del potenziale vitivinicolo comunitario nulla altro è richiesto.

Il medesimo par. 3 prevede due ulteriori ipotesi di sanatoria per le quali è richiesto:

-        che il produttore abbia prima estirpato una superficie equivalente in cultura pura per la quale non abbia già percepito un premio alla estirpazione;

-        che lo Stato membro possa dimostrare diritti di reimpianto che non ha fatto valere, ma che sarebbero validi se fossero stati richiesti. In tale ipotesi tuttavia la concessione della sanatoria non può eccedere l’1,2% della superficie vitata

In tali casi tuttavia, ipotizzati alle lettere a) e c), è necessario che gli Stati membri impongano una appropriata sanzione amministrativa ai produttori interessati (così il par. 4).

[86]   L. 8 luglio 1997, n. 213, Classificazione delle carcasse bovine in applicazione di regolamenti comunitari.

[87]   D.Lgs. 29 gennaio 2004, n. 58, Disposizioni sanzionatorie per le violazioni del Regolamento (CE) n. 1760 del 2000 e del Regolamento (CE) n. 1825 del 2000, relativi all'identificazione e registrazione dei bovini, nonché all'etichettatura delle carni bovine e dei prodotti a base di carni bovine, a norma dell'articolo 3 della L. 1° marzo 2002, n. 39.

[88]   Le modalità attuative dell’art. 113-ter sono state approvate con il Reg. (CE) 18 giugno 2008, n. 566/2008 recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio per quanto riguarda la commercializzazione della carne ottenuta da bovini di età non superiore a dodici mesi.

[89]   D.M. 8 agosto 2008, Modalità applicative dei regolamenti (CE) n. 1234/2007 del Consiglio, e n. 566/2008 della Commissione, in materia di commercializzazione delle carni di bovini di età non superiore a dodici mesi.

[90]   D.M. 4 maggio 1998, n. 298, Regolamento recante disposizioni per la classificazione delle carcasse bovine in applicazione dei regolamenti comunitari e delle leggi nazionali.

[91]   Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 ottobre 1986, n. 701 , recante misure urgenti in materia di controlli degli aiuti comunitari alla produzione dell'olio di oliva. Sanzioni amministrative e penali in materia di aiuti comunitari nel settore agricolo.

[92]   Attuazione della direttiva 2001/114/CE relativa a taluni tipi di latte conservato destinati all'alimentazione umana.

[93]   Direttiva 17 settembre 1984, n. 84/539/CEE, Direttiva del Consiglio per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli apparecchi elettrici utilizzati in medicina.

[94]   Attuazione della direttiva n. 84/539/ CEE, relativa agli apparecchi elettrici utilizzati in medicina umana e veterinaria

[95]   Coordinamento delle politiche riguardanti l'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee ed adeguamento dell'ordinamento interno agli atti normativi comunitari

[96]   Direttiva 11 marzo 2008, n. 2008/13/CE, Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che abroga la direttiva 84/539/CEE del Consiglio per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli apparecchi elettrici utilizzati in medicina veterinaria.

[97]   Per consumatore o utente si intende la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta.

[98]   Si ricorda però che l’articolo 14 della direttiva 2005/29/CE, in materia di tutela dei professionisti dalla pubblicità ingannevole e di condizioni di liceità della pubblicità comparativa, è stato invece recepito con il decreto legislativo n. 145 del 2 agosto 2007 (ai fini della disciplina in esame, per professionista si intende qualsiasi persona fisica o giuridica che agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale). Il decreto legislativo n. 145/07 reca inoltre disposizioni relative a specifiche fattispecie di pubblicità ingannevole (pubblicità di prodotti pericolosi per la salute e la sicurezza, pubblicità rivolta a bambini e adolescenti o che impiega gli stessi), la cui disciplina era precedentemente contenuta nel Codice del consumo.

[99]    L’art. 3 del regolamento (CE) n. 2006/2004, recante “definizioni”, per autorità competente intende qualsiasi autorità pubblica a livello nazionale, regionale o locale, con responsabilità specifiche per l’esecuzione della normativa sulla protezione degli interessi dei consumatori.

[100]In breve, il decreto legislativo n. 145 del 2007 di attuazione dell'articolo 14 della direttiva 2005/29/CE che modifica la direttiva 84/450/CEE sulla pubblicità ingannevole, ha lo scopo (art. 1) di tutelare i professionisti dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali, nonché di stabilire le condizioni di liceità della pubblicità comparativa, e precisa che la pubblicità deve essere palese, veritiera e corretta. A tal fine, sono definiti (art. 3) gli elementi utili a determinare se la pubblicità è ingannevole; sono definite le condizioni di liceità della pubblicità comparativa (art. 4) e di trasparenza della pubblicità (art. 5); vengono altresì regolate specifiche fattispecie di pubblicità ingannevole, relativamente alle omesse informazioni sulla pericolosità per la salute di alcuni prodotti (art. 6) e alla pubblicità volta a sfruttare la naturale credulità dei minori (art. 7). Ai sensi dell'art. 8, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato può adottare misure per inibire la continuazione ed eliminare gli effetti della pubblicità ingannevole e comparativa illecita, ed applicare le relative sanzioni amministrative in caso di inosservanza del divieto; può disporre che il professionista fornisca prove sull'esattezza materiale dei dati di fatto contenuti nella pubblicità, e può altresì può ottenere dal professionista responsabile della pubblicità ingannevole e comparativa illecita l'assunzione dell'impegno a porre fine all'infrazione, cessando la diffusione della stessa o modificandola in modo da eliminare i profili di illegittimità. I ricorsi avverso le decisioni adottate dall'Autorità sono soggetti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Ove la pubblicità sia stata assentita con provvedimento amministrativo, preordinato anche alla verifica del carattere non ingannevole della stessa o di liceità del messaggio di pubblicità comparativa, la tutela dei soggetti e delle organizzazioni che vi abbiano interesse è esperibile in via giurisdizionale con ricorso al giudice amministrativo avverso il predetto provvedimento. È comunque fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario in materia di atti di concorrenza sleale, a norma dell'articolo 2598 del codice civile. Le parti interessate possono inoltre chiedere (art. 9) che sia inibita la continuazione degli atti di pubblicità ingannevole o di pubblicità comparativa ritenuta illecita, ricorrendo ad organismi volontari e autonomi di autodisciplina, con eventuale sospensione, nelle more della decisione, del procedimento in corso presso l'Autorità.

Il decreto legislativo n. 146 del 2007, recante attuazione della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica le direttive 84/450/CEE, 97/7/CE, 98/27/CE, 2002/65/CE, e il Regolamento (CE) n. 2006/2004, introduce, tra l'altro, una nuova formulazione degli articoli da 18 a 27 del Codice di consumo (sulle pratiche commerciali scorrette); dell'art. 57 dello stesso Codice (sulle fornitura non richiesta nei contratti a distanza); e dell'art. 14 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 190, sui servizi non richiesti nella commercializzazione a distanza dei servizi finanziari.

 

[101]Nell'esercizio di tale funzione l’Autorità garante della concorrenza e del mercato può avvalersi della Guardia di finanza utilizzando strutture e personale esistenti in modo da non determinare oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica (art. 8 del citato decreto legislativo n. 145 del 2007).

[102]Disciplina delle bevande analcooliche vendute con denominazioni di fantasia.

[103]Nella richiamata procedura d’infrazione, infatti, la Commissione rileva che in base alla normativa vigente i dividendi versati a fondi pensione esteri sono sottoposti ad una tassazione più elevata rispetto ai dividendi versati ai fondi pensione nazionali.

[104]Recante “Armonizzazione delle disposizioni in materia di imposte sugli oli minerali, sull'alcole, sulle bevande alcoliche, sui tabacchi lavorati e in materia di IVA con quelle recate da direttive CEE e modificazioni conseguenti a detta armonizzazione, nonché disposizioni concernenti la disciplina dei centri autorizzati di assistenza fiscale, le procedure dei rimborsi di imposta, l'esclusione dall'ILOR dei redditi di impresa fino all'ammontare corrispondente al contributo diretto lavorativo, l'istituzione per il 1993 di un'imposta erariale straordinaria su taluni beni ed altre disposizioni tributarie” , convertito dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427.

[105]Articolo 1, comma 325, legge n. 296/2006.

[106]Ai sensi della citata lettera d) del comma 4 sono escluse le operazioni riferite a: 1) contratti di locazione, anche finanziaria, di beni mobili diversi dai mezzi di trasporto 2) prestazioni di servizi per la cessione, concessione o licenza di diritti d’autore, di proprietà industriale, marchio e simili; 3) prestazioni pubblicitarie, di consulenza e assistenza tecnica o legale; 4) prestazioni di servizi di telecomunicazione, di radiodiffusione e di televisione; 5) prestazioni di servizi rese tramite mezzi elettronici, di elaborazione e fornitura di dati e simili; 6) operazioni bancarie, finanziarie e assicurative e prestazioni relative a prestiti di personale; 7) concessione dell'accesso ai sistemi di gas naturale o di energia elettrica, servizio di trasporto o di trasmissione mediante gli stessi e fornitura di altri servizi direttamente collegati 8) cessioni di contratti relativi alle prestazioni di sportivi professionisti. Ai sensi dell’articolo 40, commi 5 e 6, del DL n. 331 sono escluse le operazioni riferite a: 1) prestazioni di trasporto intracomunitario di beni;  2) servizi di trasporto intracomunitario.

[107]La lettera d) del comma 2 è solo riformulata.

[108]Si tratta, in particolare, delle locazioni con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti.

[109]Tale periodo era stato inserito dall'art. 35, comma 3, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla L. 4 agosto 2006, n. 248.

[110]La lettera b) del terzo comma dell’articolo 13 vigente è riproposta, nella stessa formulazione, nella lettera d) del testo proposto.

[111]Si tratta di soggetti che effettuano operazioni attive sia esenti da IVA sia imponibili IVA. Per tali soggetti l’IVA sugli acquisti non è totalmente detraibile, in quanto la misura della detraibilità dipende dal rapporto tra operazioni esenti e operazioni imponibili.

[112]I crediti di ammontare inferiore non sono rimborsati con cadenza trimestrale, ma solo annuale ovvero concorrono alla formazione del credito per il trimestre successivo.

[113]Si tratta di un meccanismo di inversione contabile ai fini IVA, ai sensi del quale l’obbligo di versamento dell’imposta è trasferito all’acquirente, se soggetto passivo IVA, in luogo del cedente o prestatore.

[114]La Svizzera non fa parte della SEE, ma ha tuttavia sottoscritto degli accordi bilaterali con l’Unione europea.

[115]In base all’articolo 228 del TCE, lo Stato è tenuto a prendere i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza della Corte di giustizia comporta. Nel caso in cui lo Stato si sia reso inottemperante alla sentenza della Corte, la Commissione invia una lettera di messa in mora, nella quale esprime raccomandazioni volte a porre fine all’illecito e invita lo Stato membro in questione a presentare le sue osservazioni. Qualora  lo Stato membro persista nell’inottemperanza, la procedura prosegue con l’invio, da parte della Commissione, di un parere motivato, nel quale sono indicati precisamente i punti sui quali lo Stato membro in questione non si è conformato alla sentenza della Corte di giustizia. Nel caso in cui lo Stato membro non rispetti il termine fissato dalla Commissione per l’adozione dei  provvedimenti di esecuzione della sentenza, la Commissione ha infine la facoltà diadire la Corte di giustizia, precisando nel ricorso l'importo della somma forfetaria o della penalità. La Corte di giustizia, qualora accolga il ricorso della Commissione, pronuncia una sentenza di condanna nei confronti dello Stato medesimo.

 

[116]Decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, Testo unico della radiotelevisione.

[117]Con l’espressione “product placement” si intende comunemente una forma di pubblicità in cui i prodotti di determinate marche compaiono in spazi non prettamente pubblicitari, come opere cinematografiche o trasmissioni televisive. In Italia tale tecnica pubblicitaria è stata autorizzata nel 2004 per le opere cinematografiche (art. 9, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2004, recante disciplina della cinematografia) consentendo l’inserimento di marchi e prodotti. Le modalità di tale inserimento sono state poi precisate con DM 30 luglio 2004.

[118]Nel par. 61 dei “considerando” si indica l’elemento distintivo dell’inserimento di prodotti nel fatto che quest’ultimo è integrato nello svolgimento di un programma, mentre nelle sponsorizzazioni i riferimenti al prodotto possono avvenire durante un programma, ma non fanno parte dell’intreccio. Il medesimo paragrafo sottolinea la necessità di disciplinare il product placement al fine di garantire un trattamento omogeneo e migliorare, di conseguenza, la competitività del settore europeo dei media.

[119]Ai sensi dell’art. 1, par. 1, lett. a), della Direttiva 89/552/CE, come modificata dalla Direttiva 2007/65/CE, per “servizio di media audiovisivo” si intende un servizio che è sotto la responsabilità editoriale di un fornitore di servizi di media e il cui obiettivo principale è la fornitura di programmi al fine di informare, intrattenere o istruire il grande pubblico, attraverso reti di comunicazioni elettroniche.

[120]Ai sensi dell’art. 1, par. 1, lett. d), della Direttiva 89/552/CE, come modificata dalla Direttiva 2007/65/CE, per “fornitore di servizi di media” si intende la persona fisica o giuridica che assume la responsabilità editoriale della scelta del contenuto audiovisivo e ne determina le modalità di organizzazione. Ai sensi della lett. c), per “responsabilità editoriale” si intende l’esercizio di un controllo effettivo sia sulla selezione dei programmi sia sulla loro organizzazione. La responsabilità editoriale non implica necessariamente la responsabilità giuridica ai sensi del diritto nazionale per i contenuti o i servizi forniti.

[121]La direttiva consente agli Stati membri di disapplicare la prescrizione riguardante l’informazione dei telespettatori, a condizione che il programma non sia prodotto né commissionato dal fornitore di servizi di media o da un’impresa legata al fornitore di servizi di media. La norma in commento, peraltro, prescrivendo il rispetto di tutte le condizioni indicate dalla direttiva, non sembra adire alla possibilità di disapplicazione.

[122]L’art. 4, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 177 del 2005, prevede che la disciplina del sistema radiotelevisivo garantisce, a tutela degli utenti, la diffusione di trasmissioni pubblicitarie e di televendite leali ed oneste, che rispettino la dignità della persona, non evochino discriminazioni di razza, sesso e nazionalità, non offendano convinzioni religiose o ideali, non inducano a comportamenti pregiudizievoli per la salute, la sicurezza e l’ambiente, non arrechino pregiudizio a minorenni, non siano inserite durante la trasmissione di funzioni religiose, siano riconoscibili. Con il medesimo fine, la lett. d) prevede la diffusione di trasmissioni sponsorizzate che rispettino la responsabilità e l’autonomia editoriale del fornitore di contenuti, siano riconoscibili come tali e non stimolino all’acquisto o al noleggio dei prodotti o dei servizi dello sponsor.

[123]Gli articoli citati disciplinano, rispettivamente, le interruzioni pubblicitarie, i limiti di affollamento, le sponsorizzazioni e le televendite.

[124]DM 9 dicembre 1993, n. 581, Regolamento in materia di sponsorizzazioni di programmi radiotelevisivi e offerte al pubblico.

[125]Decreto legge 8 febbraio 2007, n. 8, Misure urgenti per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche, nonché norme a sostegno della diffusione dello sport e della partecipazione gratuita dei minori alle manifestazioni sportive, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. 4 aprile 2007, n. 41.

[126]Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2000/13/CE per quanto riguarda l'indicazione degli ingredienti contenuti nei prodotti alimentari.

[127]Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità.

[128]Direttiva della Commissione che fissa un elenco di ingredienti o sostanze alimentari temporaneamente esclusi dall'allegato III bis della direttiva 2000/13/CE.

[129]Attuazione della direttiva 89/395/CEE e della direttiva 89/396/CEE concernenti l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari.

[130]Attuazione delle direttive 2003/89/CE, 2004/77/CE e 2005/63/CE in materia di indicazione degli ingredienti contenuti nei prodotti alimentari.

[131]D.P.R. 30 maggio 1953, n. 567 Approvazione del regolamento per la esecuzione della legge 6 ottobre 1950, n. 836, relativa alla disciplina della produzione e vendita degli estratti alimentari e dei prodotti affini.

[132]Direttiva 90/88/CEE del Consiglio del 22 febbraio 1990 che modifica la direttiva 87/102/CEE relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati Membri in materia di credito al consumo.

[133]Si tratta dei finanziamenti di importo rispettivamente inferiore e superiore ai limiti stabiliti dal CICR con delibera avente effetto dal trentesimo giorno successivo alla relativa pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana; dei contratti di somministrazione previsti dagli articoli 1559 e seguenti del codice civile, purché stipulati preventivamente in forma scritta e consegnati contestualmente in copia al consumatore; dei finanziamenti rimborsabili in un'unica soluzione entro diciotto mesi, con il solo eventuale addebito di oneri non calcolati in forma di interesse, purché previsti contrattualmente nel loro ammontare; dei finanziamenti privi, direttamente o indirettamente, di corrispettivo di interessi o di altri oneri, fatta eccezione per il rimborso delle spese vive sostenute e documentate; dei finanziamenti destinati all'acquisto o alla conservazione di un diritto di proprietà su un terreno o su un immobile edificato o da edificare, ovvero all'esecuzione di opere di restauro o di miglioramento; dei contratti di locazione, a condizione che in essi sia prevista l'espressa clausola che in nessun momento la proprietà della cosa locata possa trasferirsi, con o senza corrispettivo, al locatario.

[134]Direttiva 98/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio 1998 che modifica la direttiva 87/102/CEE relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo.

[135]Emanato a seguito della delega contenuta nell’articolo 7 della L. 29 luglio 2003, n. 229.

[136]Pubblicato  nella GU n. 169 del 20 luglio 1992.

[137]Recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale e convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.

[138]Recante misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche, la nascita di nuove imprese, la valorizzazione dell'istruzione tecnico-professionale e la rottamazione di autoveicoli e convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40.

[139]Estensione delle disposizioni in materia di riciclaggio dei capitali di provenienza illecita ed attività finanziarie particolarmente suscettibili di utilizzazione a fini di riciclaggio, a norma dell'articolo 15 della L. 6 febbraio 1996, n. 52.

 

[140]Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonchè della direttiva 2003/94/CE.

[141]Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sui medicinali per terapie avanzate recante modifica della direttiva 2001/83/CE e del regolamento (CE) n. 726/2004.

[142]In base alla disciplina comunitaria citata le domande di autorizzazione devono essere presentate unitamente alle informazioni e alla documentazione di cui alla direttiva 2001/83/CE, che istituisce un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, nonché alla tassa da versare all’Agenzia. Alla domanda deve inoltre essere acclusa una dichiarazione da cui risulti che le sperimentazioni cliniche del medicinale effettuate in paesi non appartenenti all’UE rispettano i principi delle buone prassi cliniche e i requisiti etici della direttiva 2001/20/CE sull’applicazione della buona pratica clinica nell’esecuzione della sperimentazione di medicinali ad uso umano. L’adozione delle decisioni di autorizzazione deve essere basata sui criteri scientifici della qualità, della sicurezza e dell’efficacia del medicinale in esame. Questi tre criteri consentono di valutare il rapporto benefici/rischi di ogni medicinale. Il comitato dei medicinali per uso umano (organo dipende dall’Agenzia europea per i medicinali, incaricato di preparare i pareri di quest’ultima su ogni questione attinente alla valutazione dei medicinali destinati al consumo dell’uomo) verifica innanzitutto che vi siano le condizioni per il rilascio di un’autorizzazione di commercializzazione e se così non è ne informa immediatamente il richiedente. Quest’ultimo può notificare all’Agenzia, entro quindici giorni, la propria intenzione di chiedere il riesame del parere. Il comitato deve di norma formulare il proprio parere entro duecentodieci giorni dal ricevimento della domanda. La valutazione può prevedere un test sul medicinale, sulle sue materie prime o sui prodotti intermedi, nonché un’ispezione specifica del sito di fabbricazione del medicinale. Entro quindici giorni dal ricevimento del parere, la Commissione elabora un progetto di decisione concernente la domanda, che può prevedere l’autorizzazione all’immissione in commercio. Se il progetto di decisione non è conforme al parere dell’Agenzia, la Commissione motiva il proprio diverso parere in un allegato che deve essere trasmesso agli Stati membri e al richiedente. La Commissione adotta una decisione definitiva in conformità della procedura entro quindici giorni dalla conclusione della medesima. In seguito alla verifica delle informazioni e dei documenti presentati, l’autorizzazione di commercializzazione può essere rifiutata se risulta che: il richiedente non ha dimostrato in maniera adeguata o sufficiente la qualità, la sicurezza o l’efficacia del medicinale; le informazioni trasmesse non sono corrette.

[143]Autorizzazione all’immissione in commercio.

[144]  Adottata a Bruxelles il 1° luglio 1969, ratificata dall’Italia con L. 12 dicembre 1973, n. 993.

[145]  L’art. 31 sottopone a licenza di polizia la fabbricazione, l’introduzione nello Stato, esportazione, la raccolta, la collezione o la vendita di armi.

[146]  La legge 2 ottobre 1967, n. 895, Disposizioni per il controllo delle armi, reca una serie di norme penali afferenti alle attività di fabbricazione, detenzione, commercio ed uso di armi; la legge 18 aprile 1975, n. 110, Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi, reca un’ampia e articolata disciplina della materia.

[147]Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

[148]Tale direttiva è stata attuata con il D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494.

[149]Ottava direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE.

[150]Si ricorda che il richiamato d.lgs. 81/2008 è subentrato anche al d.lgs. 494/1996.

[151]In particolare, la Commissione suggerisce di: elaborare strumenti non vincolanti (orientamenti); integrare i temi specifici della sicurezza e della salute nei programmi delle scuole professionali e di insegnamento superiore a livello nazionale per i professionisti che hanno un ruolo importante nell’attuazione della direttiva; introdurre a livello nazionale requisiti di competenza per i coordinatori; effettuare ispezioni più frequenti sui cantieri; introdurre sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive.

[152]Vedi nota relativa all’articolo 228 TCE riportata al paragrafo ‘Procedure di contenzioso’ relativo all’articolo 22.

[153]Procedura n. 2005/2200

[154]Sezione consultiva per gli atti normativi, parere n. 3665 del 2007.

[155]Articolo 1, comma 9, della citata direttiva 2004/18/CE. Si tratta di organismi: a) istituiti per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, b) dotati di personalità giuridica; c) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico.

[156]Si segnala che in sede referente è stata soppressa la disposizione che prevedeva tali forme di controllo anche da parte del Ministero dello sviluppo economico.

 

[157]Il settimo considerando alla decisione quadro ricorda che «la motivazione fondamentale della criminalità organizzata è il profitto economico e che un'efficace azione di prevenzione e lotta contro la criminalità organizzata deve pertanto concentrarsi sul rintracciamento, il congelamento, il sequestro e la confisca dei proventi di reato. Non basta limitarsi ad assicurare il reciproco riconoscimento nell'Unione europea di provvedimenti provvisori quali il congelamento e il sequestro, in quanto una lotta efficace alla criminalità economica richiede anche il reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca dei proventi di reato».

[158]In merito cfr. G. Iuzzolino, Principio del mutuo riconoscimento esteso a tutti i proventi di reato, in Diritto comunitario e internazionale, 2007, n. 1, p. 74 e ss.

[159]Decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa.

[160]In attuazione della decisione 2007/845/GAI del Consiglio del 6 dicembre 2007 concernente la cooperazione tra gli uffici degli Stati membri per il recupero dei beni nel settore del reperimento e dell’identificazione dei proventi di reato o altri beni connessi.

[161]  La terza delle 40 raccomandazioni del Gruppo di azione finanziaria internazionale incita i paesi a prendere in considerazione misure di confisca "in assenza di procedimento penale o che richiedano al trasgressore di dimostrare l'origine legittima delle proprietà passibili di confisca".

[162]Il protocollo prevede che le autorità degli Stati membri debbano rendere accessibili i dati sui conti correnti e sulle operazioni bancarie di soggetti identificati e non possano far valere le norme sul segreto bancario a giustificazione della loro mancata collaborazione in questo settore

[163]  Legge 22 aprile 2005, n. 69, Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri.

[164]  Si tratta dei seguenti fatti: a) partecipare ad una associazione di tre o più persone finalizzata alla commissione di più delitti; b) compiere atti di minaccia contro la pubblica incolumità ovvero di violenza su persone o cose a danno di uno Stato, di una istituzione od organismo internazionale; c) costringere o indurre una o più persone, mediante violenza, minaccia, inganno o abuso di autorità, a fare ingresso o a soggiornare o a uscire dal territorio di uno Stato, o a trasferirsi all’interno dello stesso, al fine di sottoporla a schiavitù o al lavoro forzato o all’accattonaggio o allo sfruttamento di prestazioni sessuali; d) indurre alla prostituzione ovvero compiere atti diretti al favoreggiamento o allo sfruttamento sessuale di un bambino; compiere atti diretti allo sfruttamento di un bambino al fine di produrre, fare commercio, distribuire, divulgare o pubblicizzare materiale pornografico; e) vendere, offrire, cedere, distribuire, commerciare, acquistare, trasportare, esportare, importare o procurare ad altri sostanze considerate stupefacenti o psicotrope; f) commerciare, acquistare, trasportare, esportare o importare armi, munizioni ed esplosivi in violazione della legislazione vigente; g) ricevere, dare o promettere denaro o altra utilità in relazione al compimento o al mancato compimento di un atto inerente ad un pubblico ufficio; h) compiere qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa all’utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi, inesatti o incompleti cui consegua il percepimento o la ritenzione illecita di fondi ovvero la diminuzione illegittima di risorse iscritte nel bilancio di uno Stato o nel bilancio generale delle Comunità europee o nei bilanci gestiti dalle Comunità europee o per conto di esse; compiere qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa alla distrazione di tali fondi per fini diversi da quelli per cui essi sono stati inizialmente concessi; i) sostituire o trasferire denaro, beni o altre utilità provenienti da reato, ovvero compiere altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza illecita; l) contraffare o alterare monete nazionali o straniere, aventi corso legale; m) introdursi o mantenersi abusivamente in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero danneggiare o distruggere sistemi informatici o telematici, dati, informazioni o programmi; n) mettere in pericolo l’ambiente mediante lo scarico non autorizzato di idrocarburi, oli usati o fanghi derivanti dalla depurazione delle acque, l’emissione di sostanze pericolose nell’atmosfera, sul suolo o in acqua, il trattamento, il trasporto, il deposito, l’eliminazione di rifiuti pericolosi, lo scarico di rifiuti nel suolo o nelle acque e la gestione abusiva di una discarica; possedere, catturare e commerciare specie animali e vegetali protette; o) compiere, al fine di trarne profitto, atti diretti a procurare l’ingresso illegale di persone nel territorio di uno Stato; p) cagionare volontariamente la morte di un uomo o lesioni personali della medesima gravità di quelle previste dall’art. 583 c.p.; q) procurare illecitamente e per scopo di lucro un organo o un tessuto umano ovvero farne commercio; r) privare una persona della libertà personale o tenerla in proprio potere minacciando di ucciderla, ferirla o continuare a tenerla sequestrata; s) incitare pubblicamente alla violenza, come manifestazione di odio razziale nei confronti di un gruppo di persone, o di un membro di un tale gruppo, a causa del colore della pelle, della razza, della religione professata, ovvero dell’origine nazionale o etnica; esaltare, per razzismo o xenofobia, i crimini contro l’umanità; t) impossessarsi della cosa mobile altrui, facendo uso delle armi o a seguito dell’attività di un gruppo organizzato; u) operare traffico illecito di beni culturali, compresi gli oggetti di antiquariato e le opere d’arte; v) indurre taluno in errore, con artifizi o raggiri, procurando a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno; z) richiedere con minacce, uso della forza o qualsiasi altra forma di intimidazione, beni o promesse o la firma di qualsiasi documento che contenga o determini un obbligo, un’alienazione o una quietanza; aa) imitare o duplicare abusivamente prodotti commerciali, al fine di trarne profitto; bb) falsificare atti amministrativi e operare traffico di documenti falsi; cc) falsificare mezzi di pagamento; dd) operare traffico illecito di sostanze ormonali e di altri fattori della crescita; ee) operare traffico illecito di materie nucleari e radioattive; ff) acquistare, ricevere od occultare veicoli rubati, o comunque collaborare nel farli acquistare, ricevere od occultare; gg) costringere taluno a compiere o subire atti sessuali con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità; hh) cagionare un incendio dal quale deriva pericolo per l’incolumità pubblica; ii) commettere reati che rientrano nella competenza giurisdizionale della Corte penale internazionale; ll) impossessarsi di una nave o di un aereo; mm) provocare illegalmente e intenzionalmente danni ingenti a strutture statali, altre strutture pubbliche, sistemi di trasporto pubblico o altre infrastrutture, che comportano o possono comportare una notevole perdita economica.

[165]Qualsiasi strumento, apparecchio, impianto, sostanza o altro prodotto, utilizzato da solo o in combinazione (compreso il software informatico impiegato per il corretto funzionamento) e destinato dal fabbricante ad essere impiegato nell'uomo a scopo di diagnosi, prevenzione, controllo, terapia o attenuazione di una malattia, (fonte www.ministerosalute.it).

[166]Sono dispositivi medici attivi quelli che usano energia, diversa da quella del corpo umano. Tali dispositivi possono essere anche di tipo impiantabile interamente o parzialmente mediante intervento chirurgico o medico nel corpo umano o mediante intervento medico in un orifizio naturale e destinato a restarvi dopo l'intervento.

[167]Si tratta di strumenti o prodotti reattivi di tipo diagnostico, destinati all'esame di campioni provenienti dal corpo umano.

[168]Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano  e recepita con il decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219.

[169]I principi attivi e i preparati contenenti uno o più principi attivi, presentati nella forma in cui sono consegnati all'utilizzatore, destinati a distruggere, eliminare, rendere innocui, impedire l'azione o esercitare altro effetto di controllo su qualsiasi organismo nocivo con mezzi chimici o biologici (Dir. n. 98/8/CE, articolo 2, paragrafo 1, lettera a)).

 

[170]Al riguardo l’articolo di A. Muratori «La gestione “all’europea” del rischio alluvioni: nuove modalità per affrontare un vecchio problema» in: Ambiente & Sviluppo, n. 2/2009.

[171]http://annuario.apat.it/annuarioDoc.php?idv=5  (capitolo 14 Rischio naturale)

[172]Accanto alla citata soppressione era altresì prevista l’emanazione di apposito DPCM volto a disciplinare il trasferimento di risorse e di funzioni alle nuove autorità di bacino “distrettuali” (art. 63, co. 2). Tale DPCM non è mai stato emanato. Nel frattempo, da ultimo con l’art. 1 del DL n. 208/2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 13/2009, sono state prorogate le autorità di bacino istituite dalla legge n. 183/1989 fino all'entrata in vigore del previsto DPCM. Con il comma 3-bis dell’art. 1 sono state anche dettate una serie di disposizioni finalizzate a consentire l'adozione dei piani di gestione dei bacini idrografici previsti dall’art. 117 del dlgs. n. 152, in attuazione dell’art. 13 della direttiva 2000/62/CE.

[173]Trattandosi di una direttiva di codifica non c’è un termine espresso ai fini del recepimento.

[174]Attualmente, occorrono anche due giorni per identificare l’origine di un esplosivo usato o detenuto a scopi illegali.

[175]I codici permetteranno inoltre di superare molti dei correnti problemi linguistici di traduzione della documentazione di trasporto che si verificano quando gli esplosivi viaggiano dal territorio di uno Stato membro all’altro.

[176]La direttiva è entrata in vigore l’8 aprile 2008.

[177]  Si ricorda in proposito che l’art. 14 della Direttiva 2003/88/CE prevede che altri atti normativi comunitari possano contenere prescrizioni più specifiche in materia di organizzazione del lavoro per determinate occupazioni o categorie professionali. Inoltre l’art. 17, par. 3, lettera e) della citata direttiva prevede che si possa derogare, in determinate condizioni, alle disposizioni di cui agli artt. 3, 4, 5, 8 e 16 - in materia di riposi giornalieri e settimanali, di pause di lavoro e di durata del lavoro notturno -, nel caso di lavoratori del settore dei trasporti ferroviari: cfr. infra.

[178]  Adottato in base alla delega contenuta negli articoli 1, commi 1 e 3, e 22 della legge 1° marzo 2002, n. 39 (legge comunitaria 2001).

[179]  Rimangono comunque esclusi dall’applicazione della direttiva 93/104/CE (e quindi del decreto legislativo n. 66/2003) la gente di mare, il personale di volo e i lavoratori mobili del settore dell’autotrasporto.

[180]  Adottato sulla base della delega contenuta negli articoli 1 e 2 e nell’allegato B della legge comunitaria 2003 (legge 31 ottobre 2003, n. 306). Il termine per l’attuazione era fissato al 30 giugno 2002. La Corte di Giustizia europea, con sentenza del 16 dicembre 2004 (causa C-313/03) aveva accertato l’inadempimento dell’Italia alla direttiva.

[181]  Adottato sulla base della delega contenuta negli articoli 1 e 2 e nell’allegato B della legge comunitaria 2003 (legge 31 ottobre 2003, n. 306). Si evidenzia che la direttiva doveva essere recepita entro il 1° dicembre 2003 e che, in considerazione della scadenza del termine, l’Italia è stata sottoposta a procedura d’infrazione.

[182]  Adottato sulla base della delega contenuta nell’articolo 1 della legge 20 giugno 2007, n. 77. Si evidenzia che il 15 novembre 2006 la Commissione europea ha deciso di adire la Corte di giustizia delle Comunità europee per il mancato recepimento della direttiva nel termine previsto, che era scaduto il 23 marzo 2005.

[183]In base agli artt. 138 e 139 del Trattato, la Commissione ha il compito di promuovere la consultazione delle parti sociali a livello comunitario e prende ogni misura utile per facilitarne il dialogo provvedendo a un sostegno equilibrato delle parti.  A tal fine, la Commissione, prima di presentare proposte nel settore della politica sociale, consulta le parti sociali sul possibile orientamento di un’azione comunitaria. Se, dopo tale consultazione, ritiene opportuna un’azione comunitaria, la Commissione consulta ulteriormente le parti sociali sul contenuto della proposta prevista. Le parti sociali trasmettono alla Commissione un parere o, se opportuno, una raccomandazione o possono informare la Commissione dell’intenzione di concludere accordi tra loro. La durata della procedura non supera i nove mesi, salvo proroga decisa in comune dalle parti sociali interessate e dalla Commissione. Gli accordi conclusi a livello comunitario sono attuati secondo le procedure e le prassi proprie delle parti sociali e degli Stati membri o, nell’ambito dei settori contemplati  dall’articolo 137, e a richiesta congiunta delle parti firmatarie, in base ad una decisione del Consiglio su proposta della Commissione.

[184]Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla definizione di norme di qualità e di sicurezza per la donazione, l'approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani.

[185]  La rete stradale transeuropea è quella definita nell’allegato I, sezione 2, della decisione n. 1692/96/CE del 23 luglio 1996 e successive modificazioni.

[186]  I pedaggi medi ponderati sono gli importi totali percepiti attraverso i pedaggi in un determinato periodo divisi per i chilometri per autoveicolo in una determinata rete oggetto del pedaggio durante tale periodo. Gli importi percepiti e i chilometri per autoveicolo sono calcolati per gli autoveicoli ai quali si applicano i pedaggi.

[187]  Gli Stati membri possono scegliere di non recuperare la totalità dei costi di cui al citato allegato III.

[188]E’ prevista una specifica deroga secondo la quale fino al 29 giugno 2011 gli Stati membri possono consentire l'immissione sul mercato e la messa in servizio di apparecchi portatili a carica esplosiva per il fissaggio o altre macchine ad impatto che sono conformi alle disposizioni nazionali in vigore al momento dell'adozione della direttiva in esame.

[189]Si tratta delle seguenti sette direttive, che saranno abrogate il 15 agosto 2009: 75/117/CEE, 76/207/CE, 86/378/CEE, 96/97/CE, 97/80/CE, 98/52/CE e 2002/73/CE.

[190]Peraltro, all’articolo 7, comma 2, della direttiva vengono espressamente ricompresi i regimi pensionistici dei dipendenti pubblici.

[191]Per i lavoratori autonomi, si vedano, in particolare, gli articoli 8, 10 ed 11 della direttiva.

[192]In particolare, si fa riferimento al diritto a riprendere il proprio lavoro o a un posto equivalente secondo termini e condizioni meno favorevoli, nonché al beneficio di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che le sarebbero spettati durante la sua assenza. Si fa presente che per quanto riguarda i diritti della donna, e in particolare per la gravidanza e la maternità, la presente direttiva (articolo 28) non pregiudica le altre disposizioni comunitarie (direttive 96/34/CE e 92/85/CEE).

[193]Tutela dei lavoratori contro il licenziamento causato dall’esercizio di tali diritti nonché diritto a riprendere il proprio lavoro al termine del periodo di congedo secondo condizioni equivalente o non meno favorevoli, nonché a miglioramenti delle condizioni di lavoro che sarebbero loro spettati durante l’assenza.

[194]Direttiva del Consiglio n. 97/80/CE del 15 dicembre 1997, “riguardante l'onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso”, Direttiva del Consiglio n. 98/52/CE del 13 luglio 1998, “relativa all'estensione della direttiva 97/80/CE riguardante l'onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso al Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord”.

[195]In tal senso, l’articolo 33 della direttiva.

[196]La direttiva è entrata in vigore il 28 dicembre 2006.

[197]Sito ufficiale Inspire http://inspire.jrc.ec.europa.eu/

[198]Le bozze delle disposizioni di esecuzione sono disponibili all’indirizzo http://inspire.jrc.it/reports.cfm

[199]Il CEN (Comitato europeo di normazione) è l’organismo incaricato della revisione della serie di norme esistenti sui fuochi artificiali elaborate dal comitato tecnico CEN/TC 212 "Fireworks”.

[200]La direttiva è entrata in vigore il 4 luglio 2007.

[201]Le autorizzazioni nazionali concesse antecedentemente alle date a partire dalle quali si applica la normativa in esame (cioè, a seconda dei casi, prima del 4 luglio 2010 o del 4 luglio 2013) continuano ad essere valide sul territorio dello Stato membro che le ha rilasciate fino alla loro data di scadenza o fino a un massimo di dieci anni dalla data di entrata in vigore della direttiva, a seconda di quale dei due termini è il più breve; in deroga a tale previsione, le autorizzazioni nazionali relative ad articoli pirotecnici per i veicoli concesse antecedentemente alle menzionate date continuano ad essere valide fino alla loro scadenza.

[202]Tale articolo inserisce un articolo 17-bis alla richiamata Direttiva 89/391/CEE.

[203]Tale articolo modifica le direttive 83/477/CEE (nuovo articolo 17-bis), 91/383/CEE (nuovo articolo 10-bi), 92/29/CEE (nuovo articolo 9-bis) e 94/33/CE (nuovo articolo 17-bis).

[204]La direttiva 2007/30/CE modifica, tra le altre, la direttiva 83/477/CEE.

[205]Tali norme sono ora scritte nel Reg. (CE) n. 1234/2007 regolamento unico OCM, che ha abrogato il reg. 1906/90.

[206]Un imballaggio preconfezionato è l'insieme di un prodotto e dell'imballaggio individuale nel quale è contenuto. Un prodotto è preconfezionato quando viene posto in un imballaggio di qualsiasi natura, non in presenza del compratore, in maniera tale che la quantità del prodotto contenuta nell'imballaggio abbia un valore scelto in precedenza e non possa essere modificato senza aprire l'imballaggio o modificarlo in maniera riscontrabile.

[207]Per “contenuto nominale” (in massa o in volume) di un preimballaggio si intende il contenuto indicato sull’imballaggio, corrispondente alla quantità di prodotto che si ritiene debba contenere.

[208]Per “contenuto effettivo” si intende la quantità, in termini di massa o volume, di prodotto che esso contiene realmente.

[209]Si intende per lotto, in sede di controllo presso il fabbricante, “l’insieme degli imballaggi preconfezionati dello stessa quantità nominale, dello stesso modello e della stessa fabbricazione, riempiti nello stesso luogo” (generalmente viene assunto pari alla produzione massima oraria della catena di riempimento).

[210]La direttiva è entrata in vigore l’11 ottobre 2007.

[211]I paragrafi 16-22 dei “considerando” escludono alcuni settori dall’ambito di applicazione della direttiva. Si tratta delle attività che non sono in concorrenza con la radiodiffusione televisiva, quali i siti internet privati, ogni forma di comunicazione privata, i giochi d’azzardo con posta in denaro, i giochi in linea e i motori di ricerca, le versioni elettroniche di quotidiani e riviste, le trasmissioni audio e i servizi radiofonici.

[212]L’art. 2-bis della direttiva stabilisce che gli Stati membri assicurano la libertà di ricezione e non ostacolano la ritrasmissione sul loro territorio di servizi di media audiovisivi provenienti da altri Stati membri, salvo che sussistano ragioni attinenti, fra le altre, ordine pubblico, tutela della sanità pubblica, pubblica sicurezza, tutela dei consumatori. In presenza di tali condizioni, è disciplinata la procedura da seguire.

[213]Ad esempio, attraverso l’utilizzo del linguaggio dei segni, della sottotitolazione, dell’audiodescrizione e della navigazione fra menù di facile comprensione.

[214]Ai sensi dell’art 1 della direttiva, che modifica l’art. 1 della direttiva 89/552/CE, per “comunicazioni commerciali audiovisive” si intendono immagini, sonore e non, destinate a promuovere, direttamente o meno, merci, servizi o immagini di una persona fisica o giuridica che esercita attività economica. Le immagini in questione sono inserite nei programmi dietro compenso o a fini di autopromozione.

[215]Vedi nuovo art. 3-octies .

[216]In particolare, rileva in proposito la sostituzione degli articoli 10, 11, 18 e 18-bis della direttiva 89/552/CE.

[217]Vedi nuovi articoli 18 e 18 bis della direttiva 89/552/CE.

[218]Il nuovo art. 18 fa riferimento al 20% di un’ora di orologio. Il par. 59 dei “considerando” specifica in proposito che il limite orario è più importante di quello giornaliero in quanto si applica anche nelle ore di maggiore ascolto.

[219]La modalità di interruzione dei programmi e la disciplina degli intervalli tra interruzioni pubblicitarie all’interno di un programma è recata dall’art. 11 della direttiva 89/552/CE, integralmente sostituito dalla direttiva 2007/65/CE.

[220]D.lgs. 1 settembre 1993 n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia.

[221]Risoluzione B4-0150/96.

[222]Con effetto dalla fine del secondo anno civile successivo all'entrata in vigore delle disposizioni di attuazione di cui all'articolo 28, paragrafo 2, della direttiva 2008/50/CE.

[223]E. De’ Munari, D. Mazza, Qualità dell’aria - Tutte le novità della direttiva europea, in “ARPA Rivista” n. 5/2008 (www.arpa.emr.it/documenti/arparivista/pdf2008n5/DeMunariAR5_08.pdf).

[224]Approvato decisione 1600/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 luglio 2002.

[225]COM(2002) 539 “Verso una strategia per la protezione e la conservazione dell'ambiente marino” - http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2002:0539:FIN:IT:PDF

[226]http://www.sciencemag.org/cgi/content/abstract/314/5800/787.

[227]Le regioni marine europee considerate sono il Mar Baltico, l’oceano Atlantico nord-orientale, il Mar Nero e, per quanto riguarda il Mediterraneo, esso risulta suddiviso nelle seguenti sub-regioni marine:

1. Il Mediterraneo Occidentale (acque marine soggette alla sovranità o alla giurisdizione di Spagna, Francia e Italia);

2. Il Mare Adriatico (acque marine soggette alla sovranità o alla giurisdizione di Italia e Slovenia);

3. Il Mare Ionio (acque marine soggette alla sovranità o alla giurisdizione di Italia e Slovenia);

4. Il Mare Egeo Orientale (acque marine soggette alla sovranità o alla giurisdizione di Grecia e Cipro).

[228]La Commissione europea ha ritenuto di suddividere l’ambiente marino in regioni e sub-regioni in quanto le caratteristiche biogeografiche, ecologiche e naturalistiche sono estremamente diverse da un’area marina all’altra, anche nell’ambito di una stessa regione marina, portando inevitabilmente a definire indicatori biologici e obiettivi ambientali diversi.

[229]  Direttiva 76/135/CEE del Consiglio sul reciproco riconoscimento degli attestati di navigabilità rilasciati per le navi della navigazione interna.

[230]  La direttiva 2006/137/CE è contenuta nell’allegato A della legge comunitaria 2007 (direttive per il cui recepimento non è richiesto il parere parlamentare).

[231]Vale in tal caso per l'adozione dei decreti legislativi di attuazione il termine stabilito dall'articolo 1, comma 1, del disegno di legge comunitaria in esame, che lo fissa entro i dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa.

 

[232]Regolamento recante norme per l'attuazione della direttiva 92/102/CEE relativa all'identificazione e alla registrazione degli animali.

[233]Tali stadi sono: a) prevenzione; b) preparazione per il riutilizzo; c) riciclaggio; d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia; e) smaltimento. Si fa notare che l’art. 3 introduce, oltre alle nozioni di “smaltimento” e “recupero”, già presenti nella precedente direttiva quadro, anche le definizioni di “prevenzione”, “preparazione per il riutilizzo” e di “riciclaggio”.

[234]Oltre alle misure indicate, si ricorda che vengono modificate le definizioni di recupero e smaltimento, nonché introdotta la definizione di riciclaggio. La definizione di «riciclaggio», introdotta al punto 17) dell’art. 3, risponde all’esigenza di disporre di una nozione di riciclaggio di applicabilità generale, mentre le definizioni di «recupero» e «smaltimento» contenute, rispettivamente, ai punti 15) e 19) dell’art. 3, sono mutuate dalla giurisprudenza comunitaria volta ad inquadrare le operazioni di trattamento termico dei rifiuti quali attività di recupero o di smaltimento.

[235]Calcolato tramite la formula prevista dall’Allegato II.

[236]Si veda ad es. M. G. Boccia, Guida alla lettura della nuova Direttiva Quadro per la gestione dei rifiuti nell’Unione Europea, in Ambiente e sviluppo nn. 1, 2 e 3 del 2009.

[237]A livello comunitario, tale principio è stato reso obbligatorio unicamente in relazione ad un numero limitato di flussi di rifiuti: i veicoli fuori uso, le apparecchiature elettriche ed elettroniche, le pile e gli accumulatori.

[238]Cfr. la direttiva 2002/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 giugno 2002, per il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli integratori alimentari, il regolamento (CE) n. 1924/2006 e il regolamento (CE) n. 1925 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, sull'aggiunta di vitamine e minerali e di talune altre sostanze agli alimenti.

[239]Il decreto attuativo, sul quale le Commissioni parlamentari hanno espresso il parere (atto n. 10) non è stato ancora pubblicato nella G.U..

 

[240]DM Salute 23/1/2008

[241]Lavoro, salute e politiche sociali n. 174 del 24 settembre 2008.

[242]DM Lavoro, salute e politiche sociali 30/7/2008

[243]DM Lavoro, salute e politiche sociali 4/7/2008.

[244]DM Lavoro, salute e politiche sociali 4/7/2008.

[245]DM Politiche agricole, alimentari e forestali 3/11/2008.

[246]DM Salute 31/3/2008.

[247]DM Salute 29/4/2008.

[248]DM Lavoro, salute e politiche sociali 1/8/2008

[249]DM Lavoro, salute e politiche sociali 15/9/2008

[250]DM Lavoro, salute e politiche sociali 4/7/2008

[251]DM Lavoro, salute e politiche sociali 4/7/2008

[252]L’ordinamento nazionale risulta essere conforme alle disposizioni della direttiva; non è necessario pertanto alcun provvedimento di recepimento.

[253]DM Lavoro, salute e politiche sociali 1/8/2008

[254]DM Salute 29/4/2008

[255]DM Salute 29/4/2008

[256]DM Lavoro, salute e politiche sociali 11/11/2008

[257]DM Lavoro, salute e politiche sociali 1/1/2008.

[258]DM Lavoro, salute e politiche sociali 1/1/2008.

[259]DM Lavoro, salute e politiche sociali 5/11/2008.

[260]Il decreto attuativo, sul quale le Commissioni parlamentari hanno espresso il parere (atto n. 58) non è stato ancora pubblicato nella G.U..

 

[261]Il decreto attuativo, sul quale le Commissioni parlamentari hanno espresso il parere (atto n. 10) non è stato ancora pubblicato nella G.U..

[262]Il decreto attuativo, sul quale le Commissioni parlamentari hanno espresso il parere (atto n. 56) non è stato ancora pubblicato nella G.U..