Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari comunitari | ||||
Altri Autori: | Ufficio Rapporti con l'Unione Europea | ||||
Titolo: | Legge comunitaria 2008 - A.C. 2320 - Schede di lettura | ||||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 139 | ||||
Data: | 27/03/2009 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | XIV - Politiche dell'Unione europea |
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Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
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Documentazione per l’esame di |
Legge comunitaria 2008 A.C. 2320 |
Schede di lettura |
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n. 139 |
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27 marzo 2009 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Affari comunitari ( 066760-9409– * st_affari_comunitari@camera.it |
Ha partecipato alla redazione del dossier l’Ufficio: |
Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea ( 066760-2145 – *cdrue@camera.it |
§ L’introduzione e le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi. § Le parti relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea e alle procedure di contenzioso sono state curate dall'Ufficio Rapporti con l'Unione europea § Il dossier è stato realizzato anche tenendo conto della documentazione predisposta dal Servizio Studi e dal Servizio Affari internazionali del Senato in relazione all’A.S. 1078. |
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I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. |
File: ID0007.doc |
INDICE
Il disegno di legge comunitaria 2008
La legge comunitaria annuale e la c.d. fase discendente
I dati contenuti nella relazione governativa al disegno di legge comunitaria
Lo stato di attuazione delle direttive comunitarie in Italia
Le leggi comunitarie regionali
Schede di lettura sugli articoli
§ Art. 1 (Delega al Governo per l’attuazione di direttive comunitarie)
§ Art. 2 (Princìpi e criteri direttivi generali della delega legislativa)
§ Art. 3 (Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di disposizioni comunitarie)
§ Art. 4 (Oneri relativi a prestazioni e controlli)
§ Art. 6 (Modifiche alla legge 4 febbraio 2005, n. 11)
§ Art. 20 (Modifiche al codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206)
§ Art. 21 (Abrogazione dell’articolo 1 della legge 3 aprile 1961, n. 286)
§ Art. 22, commi 4-10 (Adeguamento comunitario di disposizioni tributarie)
§ Art. 23 (Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2007/65/CE)
§ Art. 24 (Disposizioni per l’attuazione della direttiva 2007/68/CE)
§ Art. 35 (Controlli della Commissione europea, a tutela della concorrenza, in locali non societari)
§ Art. 37 (Disposizioni per l’accreditamento dei laboratori di autocontrollo del settore alimentare)
§ Art. 40 (Costituzione e natura giuridica dei GECT)
§ Art. 41 (Autorizzazione alla costituzione di un GECT)
§ Art. 42 (Norme in materia di contabilità e bilanci del GECT)
§ Art. 43 (Delega al Governo per l’attuazione di decisioni quadro)
Schede sulle direttive contenute negli allegati
§ 2007/47/CE (Dispositivi medici impiantabili attivi)
§ 2007/60/CE (Valutazione e gestione dei rischi di alluvioni)
§ 2007/63/CE (Relazione di un esperto in occasione di fusione o scissione di società per azioni)
§ 2008/5/CE (Indicazioni obbligatorie sulle etichette di prodotti alimentari)
§ 2008/43/CE (Identificazione e tracciabilità degli esplosivi per uso civile)
§ 2008/90/CE (Commercializzazione dei materiali di moltiplicazione delle piante da frutto)
§ 2008/97/CE (Divieto di utilizzo di talune sostanze nocive nelle produzioni animali)
§ 2005/47/CE (Lavoratori transfontalieri nel settore ferroviario)
§ 2005/94/CE (Lotta contro l’influenza aviaria)
§ 2006/17/CE (Tessuti e cellule umani)
§ 2006/38/CE (Tassazione a carico di autoveicoli pesanti)
§ 2006/42/CE (Direttiva macchine)
§ 2006/43/CE (Revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati)
§ 2006/54/CE (Pari opportunità)
§ 2006/86/CE (Tessuti e cellule umani)
§ 2006/112/CE, 2008/8/CE, 2008/9/CE e 2008/117/CE (Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto)
§ 2006/123/CE (Servizi nel mercato interno)
§ 2006/126/CE (Patente di guida)
§ 2007/2/CE (Infrastruttura per l’informazione territoriale nella Comunità europea)
§ 2007/23/CE (Immissione sul mercato di articoli pirotecnici)
§ 2007/30/CE (Sicurezza e salute dei lavoratori)
§ 2007/36/CE (Diritti degli azioni di società quotate)
§ 2007/43/CE (Protezione dei polli da carne)
§ 2007/44/CE (Acquisizioni e incrementi di partecipazioni nel settore finanziario)
§ 2007/45/CE (Quantità nominali dei prodotti preconfezionati)
§ 2007/58/CE (Sviluppo delle ferrovie comunitarie e ripartizione della capacità di infrastruttura)
§ 2007/59/CE (Certificazione dei macchinisti nel sistema ferroviario)
§ 2007/64/CE (Servizi di pagamento nel mercato interno)
§ 2007/65/CE (Esercizio delle attività televisive)
§ 2007/66/CE (Procedure di ricorso in materia di appalti)
§ 2008/48/CE (Contratti di credito ai consumatori)
§ 2008/49/CE (Ispezioni a terra sugli aeromobili)
§ 2008/50/CE (Qualità dell’aria)
§ 2008/51/CE (Acquisizione e detenzione di armi)
§ 2008/52/CE (Mediazione in materia civile e commerciale)
§ 2008/56/CE (Strategia per l’ambiente marino)
§ 2008/57/CE (Interoperabilità del sistema ferroviario comunitario)
§ 2008/59/CE e 2008/87/CE(Requisiti tecnici per le navi della navigazione interna)
§ 2008/63/CE (Concorrenza sui mercati delle apparecchiature terminali di telecomunicazioni)
§ 2008/68/CE (Trasporto interno di merci pericolose)
§ 2008/71/CE (Identificazione e registrazione dei suini)
§ 2008/73/CE (Informazioni in campo veterinario e zootecnico)
§ 2008/100/CE (Etichettatura nutrizionale dei prodotti alimentari)
Tabelle riepilogative (aggiornamento al 20 marzo 2009)
Tabella 1 DIRETTIVE CONTENUTE NEL DDL COMUNITARIA 2008 DA ATTUARE PER DELEGA E IN VIA AMMINISTRATIVA
Tabella 3 DIRETTIVE CONTENUTE IN PRECEDENTI LEGGI COMUNITARIE E NON ANCORA RECEPITE
Il disegno di legge comunitaria 2008 (C. 2023), già approvato dal Senato nella seduta del 17 marzo 2009 (S. 1078-A), reca norme volte ad assicurare l’osservanza degli obblighi derivanti dalla partecipazione dell’Italia all’Unione europea nonché a recepire ed attuare nell’ordinamento nazionale la normativa adottata a livello comunitario.
Il provvedimento, che è esaminato congiuntamente alla Relazione annuale sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea riferita all’anno 2007, è stato largamente modificato nel corso dell’esame al Senato e consta attualmente di 46 articoli, suddivisi in quattro Capi, nonché di due allegati A e B, che elencano le direttive da recepire mediante decreti legislativi (recanti rispettivamente 8 e 42 direttive).
Il disegno di legge interviene in diversi settori ora delegando il Governo all’adeguamento dell’ordinamento nazionale mediante l’adozione di decreti legislativi, ora modificando direttamente la legislazione vigente per assicurarne la conformità all’ordinamento comunitario.
La relazione di accompagnamento evidenzia che il testo riproduce in gran parte il contenuto dispositivo del disegno di legge comunitaria per l’anno 2008 presentato in Parlamento nel corso della XV legislatura (C. 3434), che non si è tradotto in legge a causa dello scioglimento anticipato delle Camere. Dal testo in questione sono state tuttavia espunte le disposizioni che nelle more della ripresa dell’attività parlamentare hanno trovato collocazione in altri provvedimenti (in particolare, nel decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59). La relazione illustrativa evidenzia che, al contempo, si è provveduto ad inserire nel disegno di legge le disposizioni necessitate dall’evoluzione del quadro normativo comunitario, nonché ad aggiornare gli allegati contenenti le direttive da recepire mediante decreti legislativi.
La relazione illustrativa reca altresì l’elenco delle direttive da attuare in via amministrativa e dei provvedimenti assunti a livello regionale per il recepimento e l’attuazione degli atti comunitari nelle materie di competenza delle regioni e delle province autonome.
La legge comunitaria annuale, introdotta per la prima volta dalla legge 9 marzo 1989, n. 86 (c.d. legge “La Pergola”[1]) assume una funzione cruciale nel processo di adeguamento dell’ordinamento interno al diritto comunitario[2], soprattutto a seguito dell’approvazione della legge 4 febbraio 2005, n. 11[3], che ha riscritto e rafforzato le procedure relative alla partecipazione dell’Italia al processo di formazione, trasposizione e attuazione della normativa comunitaria.
La legge n. 11 del 2005 è stata, tra l’altro, oggetto di recenti modifiche a seguito dell’approvazione delle leggi 6 febbraio 2007, n. 13 (comunitaria 2006) e 25 febbraio 2008, n. 34 (comunitaria 2007).
Le innovazioni apportate dalla legge n. 11 del 2005 hanno riguardato principalmente i seguenti profili:
· la partecipazione del Parlamento e degli altri soggetti interessati alla cosiddetta fase “ascendente” della formazione del diritto comunitario, che attiene alla partecipazione dello Stato alla formazione delle decisioni comunitarie e dell'Unione europea;
· l’introduzione della riserva di esame parlamentare sui progetti di atti comunitari, che il Governo può apporre in sede di Consiglio dei ministri dell’Unione europea;
· la previsione di nuove modalità per il recepimento del diritto comunitario nella cosiddetta fase “discendente”, finalizzata ad assicurare l’adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello dell’Unione europea mediante la trasposizione e l’attuazione degli atti normativi comunitari;
· la procedimentalizzazione della partecipazione delle regioni, degli enti locali e delle parti sociali a tutto il processo di integrazione dell’ordinamento nazionale con quello dell’Unione europea, anche in relazione alle modifiche apportate al Titolo V della Parte II della Costituzione dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
Dal punto di vista costituzionale, il nuovo Titolo V prevede che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (art. 117, primo comma). Rientrano nella competenza legislativa esclusiva dello Stato i rapporti dello Stato con l’Unione europea, mentre sono oggetto di legislazione concorrente i rapporti delle regioni con l’Unione europea (art. 117, secondo comma). Le regioni e le province autonome, oltre a partecipare alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari, provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza (art. 117, quinto comma). L’art. 120 Cost. prevede, poi, che, in caso di inerzia da parte delle regioni, delle province, dei comuni e delle città metropolitane nell’attuazione degli obblighi comunitari gravanti sugli stessi enti in relazione ai rispettivi ambiti di competenza, il Governo esercita poteri sostitutivi, garantendo il rispetto del principio di sussidiarietà e di leale collaborazione.
L’articolo 1 della legge n. 11 del 2005 statuisce che le disposizioni ivi contenute sono volte a garantire l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, di proporzionalità, di efficienza, di trasparenza e di partecipazione democratica.
In particolare, la norma chiarisce che tali obblighi derivano:
- dall’emanazione di ogni atto comunitario e dell’Unione europea che vincoli la Repubblica italiana ad adottare provvedimenti di attuazione;
- dall’accertamento giurisdizionale, con sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, della incompatibilità di norme legislative e regolamentari dell’ordinamento giuridico nazionale con le disposizioni dell’ordinamento comunitario;
- dall’emanazione di decisioni-quadro e di decisioni adottate nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.
La legge n. 11 del 2005 dedica alla procedura di presentazione ed approvazione della legge comunitaria gli articoli 8 e 9, il primo dei quali sancisce che lo Stato, le regioni e le province autonome, nelle materie di propria competenza legislativa, sono tenuti a dare tempestiva attuazione alle direttive comunitarie.
In particolare, l’articolo 8 definisce la procedura preparatoria alla predisposizione del disegno di legge comunitaria, che vede il coinvolgimento non solo delle Camere, come in precedenza[4], ma anche delle regioni, ai fini della verifica sullo stato di conformità dell’ordinamento interno a quello comunitario.
La norma prevede che il Presidente del Consiglio o il Ministro per le politiche comunitarie informino tempestivamente le Camere e le regioni e province autonome sugli atti normativi e di indirizzo emanati dall’Unione europea e dalle Comunità europee. L’informazione di regioni e province autonome deve avvenire per il tramite della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome e della Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome (comma 2).
Per quanto riguarda lo Stato, il Presidente del Consiglio ovvero il Ministro per le politiche comunitarie verifica, con la collaborazione delle amministrazioni interessate, la conformità sia dell’ordinamento interno sia degli indirizzi politici del Governo, trasmettendo le risultanze di tale controllo, con cadenza almeno quadrimestrale, agli organi parlamentari competenti nonché alla Conferenza Stato-Regioni e a quella dei Presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome, che possono formulare ogni opportuna osservazione. Il Governo indica, inoltre, le eventuali misure necessarie per l’adeguamento (comma 3).
Per quanto riguarda le regioni e le province autonome, esse – verificato lo stato di conformità dei rispettivi ordinamenti – trasmettono le risultanze del controllo alla Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento per le politiche comunitarie, indicando anche le misure da intraprendere.
In questo ambito, particolari funzioni sono attribuite al Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE). Ai sensi del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 gennaio 2006[5], il predetto Comitato, al fine di consentire il puntuale adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, può, tra l’altro, esprimere valutazioni e segnalazioni in merito allo stato di conformità dell'ordinamento interno e degli indirizzi di politica del Governo agli atti normativi e di indirizzo emanati dagli organi dell'Unione europea e delle Comunità europee (ai fini dell’attuazione delle previsioni di cui al comma 3 dell'articolo 8 della legge n. 11 del 2005) e formulare le direttive e gli indirizzi conseguenti.
Allo stesso Comitato compete altresì di:
§ pronunciarsi sulle misure urgenti per l'adeguamento agli obblighi derivanti dall'ordinamento comunitario e dell'Unione europea, formulando valutazioni e proposte;
§ adottare direttive per il coordinamento delle amministrazioni dello Stato in vista della approvazione del disegno di legge comunitaria, sulla base degli indirizzi del Parlamento, delle indicazioni delle amministrazioni interessate e del parere della Conferenza Stato-regioni;
§ formulare valutazioni e proposte ai fini dell'esercizio dei poteri sostitutivi previsti dalla legislazione vigente, esprimendosi sulla opportunità di intervenire con provvedimento legislativo;
§ proporre questioni relative all'attuazione degli atti comunitari e dell'Unione europea da sottoporre alla Conferenza Stato-regioni, anche ai fini della convocazione della sessione comunitaria, a norma dell'articolo 17 della legge n. 11 del 2005;
§ valutare la coerenza degli obiettivi di semplificazione e di qualità della regolazione con la definizione della posizione italiana da sostenere in sede di Unione europea nella fase di predisposizione della normativa comunitaria, ai sensi dell'articolo 20, comma 8-bis, della legge 15 marzo 1997, n. 59.
Sulla base della verifica compiuta, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con gli altri ministri interessati, presenta il disegno di legge comunitaria entro il 31 gennaio di ogni anno.
Al disegno di legge comunitaria deve essere allegata un’apposita nota aggiuntiva, aggiornata al 31 dicembre, recante i seguenti elementi informativi[6]:
· i dati sullo stato di conformità dell'ordinamento interno al diritto comunitario e sullo stato delle eventuali procedure di infrazione dando conto, in particolare, della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee relativa alle eventuali inadempienze e violazioni degli obblighi comunitari da parte della Repubblica italiana;
· l'elenco delle direttive attuate o da attuare in via amministrativa;
· l’indicazione dell’eventuale omissione dell’inserimento di direttive il cui termine di recepimento sia scaduto o scada nel periodo di riferimento, in relazione ai tempi previsti per l’esercizio della delega legislativa;
· l’elenco delle direttive attuate con regolamento ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 11 del 2005, nonché gli estremi degli eventuali regolamenti d’attuazione già adottati;
· l’elenco degli atti normativi regionali e delle province autonome attuativi delle direttive comunitarie, anche con riferimento a leggi annuali di recepimento eventualmente approvate dalle regioni e dalle province autonome.
La legge n. 11 del 2005 ha inoltre ampliato il contenuto della legge comunitaria che, ai sensi dell’articolo 9, deve prevedere disposizioni:
§ modificative o abrogative di norme statali vigenti in contrasto con gli obblighi di attuazione degli atti comunitari, ovvero oggetto di procedure di infrazione (lettere a) e b));
§ volte a dare attuazione, anche mediante il conferimento al Governo di delega legislativa, a:
- ogni atto comunitario e dell’Unione europea che vincoli la Repubblica italiana ad adottare provvedimenti di attuazione;
- decisioni-quadro e decisioni adottate nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale previste dall’articolo 34 del Trattato dell’Unione europea.
La tipica modalità di recepimento del diritto comunitario rimane quella che passa attraverso la delega legislativa. Il modello di legge comunitaria, che si è andato delineando negli anni, individua – come è noto – il conferimento di una delega generale al Governo, con la fissazione di principi e criteri direttivi generali, che vanno ad affiancarsi a quelli specifici eventualmente previsti per le singole direttive. In particolare, le direttive da recepire attraverso questa modalità sono inserite in due distinti allegati (A e B), a seconda che sugli schemi di decreto legislativo sia necessario o meno acquisire il parere delle competenti Commissioni parlamentari.
§ recanti autorizzazione al Governo per l’attuazione in via regolamentare e amministrativa delle direttive, sulla base di quanto previsto dall’articolo 11.
§ volte a dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell’Unione europea;
§ di individuazione dei princìpi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano la propria competenza normativa per dare attuazione o assicurare l’applicazione di atti comunitari nelle materie di competenza concorrente di cui all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione;
§ recanti delega al Governo, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, per l’adozione di decreti legislativi recanti sanzioni penali per la violazione delle disposizioni comunitarie recepite dalle regioni e dalle province autonome;
§ emanate nell’esercizio del potere sostitutivo di cui all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, in conformità ai princìpi e nel rispetto dei limiti di cui all’articolo 16, comma 3.
Quanto al contenuto delle leggi comunitarie più recenti, si segnala che esse presentano un impianto standardizzato, con formulazioni sostanzialmente analoghe dei primi articoli e con un numero minore di norme svincolate dall’attuazione del diritto comunitario e di princìpi e criteri direttivi specifici. Nel tempo si è assistito alla progressiva trasformazione della legge comunitaria in legge di organizzazione della futura legislazione, con una riduzione del contenuto sostanziale immediatamente precettivo e un maggior ricorso ai decreti legislativi o agli atti amministrativi per la concreta disciplina delle materie oggetto della legge.
In ordine alla tipologia delle fonti normative utilizzate per il recepimento nell’ordinamento nazionale della normativa comunitaria, di seguito si riporta la tabella 1 che indica, per ciascuna legge comunitaria approvata nelle ultime due legislature, le modalità previste per l’attuazione delle direttive, ad eccezione delle disposizioni recanti attuazione diretta.
Tabella 1
Leggi comunitarie |
Direttive da attuare con decreto legislativo |
Direttive da attuare in via regolamentare |
Direttive da attuare in via amministrativa |
XIV Legislatura |
|||
legge comunitaria 2001 |
58 |
0 |
20 |
legge comunitaria 2002 |
37 |
0 |
48 |
legge comunitaria 2003 |
50 |
0 |
38 |
legge comunitaria 2004 |
50 |
0 |
53 |
legge comunitaria 2005 |
32 |
2 |
54 |
XV Legislatura |
|||
legge comunitaria 2006 |
26 |
1 |
56 |
legge comunitaria 2007 |
16 |
0 |
40 |
Dai dati esposti è possibile desumere le seguenti indicazioni in ordine all’utilizzo dei diversi strumenti normativi di recepimento:
§ ricorsoconsiderevole allo strumento della delega legislativa: nelle diverse leggi comunitarie annuali la percentuale di direttive da recepire mediante decreti legislativi delegati è rimasta negli anni significativamente alta rispetto al numero complessivo delle direttive di cui si prevede il recepimento;
§ tendenza a dare sempre più attuazione in via amministrativa alle direttive: si mantiene relativamente elevato il numero di direttive da recepire in via amministrativa, che supera costantemente quello delle direttive da recepire con delega legislativa;
§ ricorso viepiù limitato all’attuazione delle direttive in via regolamentare:l’autorizzazione all’adozione di regolamenti di delegificazione (o comunque il ricorso ad altri regolamenti governativi) si è ridotta sempre più, anche a seguito della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione[7].
Nella Tabella 2 è evidenziato, per ciascuna legge comunitaria, il numero delle direttive il cui recepimento è stato previsto rispettivamente:
§ in allegato A (direttive da recepire con decreto legislativo senza parere delle competenti Commissioni parlamentari),
§ in allegato B (direttive da recepire tramite decreto legislativo da sottoporre al parere delle competenti Commissioni parlamentari;
§ in allegato C (direttive da recepire con regolamento autorizzato).
Si registra un aumento percentuale delle direttive il cui recepimento è previsto in Allegato B, quindi con decreto legislativo da sottoporre al parere parlamentare, rispetto a quelle da recepire sempre con decreto legislativo ma senza il parere parlamentare (con l’esclusione dell’anno 2002). Il rafforzamento del ruolo parlamentare in sede di attuazione delle direttive è stato perseguito anche con l’introduzione, a partire dalla legge comunitaria 2004, dell’istituto del c.d. doppio parere parlamentare. Tale istituto prevede un secondo parere delle Commissioni competenti per verificare che quanto enunciato nella prima pronuncia parlamentare sia stato effettivamente recepito dal Governo. La previsione di tale doppio parere scatta esclusivamente nelle ipotesi in cui l’Esecutivo non intenda conformarsi ai pareri parlamentari relativi a sanzioni penali (contenute negli schemi di decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese negli allegati A e B)), ovvero nel caso in cui il Governo non si conformi alle condizioni relative all’osservanza dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione: in tali casi, infatti, l’Esecutivo è tenuto a ritrasmettere i testi alle Camere – corredati dei necessari elementi integrativi – affinché le Commissioni competenti si esprimano in merito.
Come evidenziato in precedenza, dal 2001 al 2004, come pure nel 2007, non è stata utilizzata la modalità di recepimento con regolamento autorizzato (all. C).
Tabella 2
Leggi comunitarie |
Allegato A |
Allegato B |
Allegato C |
Legge comunitaria 2001 |
21 |
37 |
0 |
Legge comunitaria 2002 |
22 |
15 |
0 |
Legge comunitaria 2003 |
19 |
31 |
0 |
Legge comunitaria 2004 |
10 |
40 |
0 |
Legge comunitaria 2005 |
10 |
22 |
2 |
Legge comunitaria 2006 |
1 |
25 |
1 |
Legge comunitaria 2007 |
1 |
15 |
0 |
Da ultimo va ricordato che l’articolo 9 della legge n. 11 del 2005, al
fine di evitare aggravi delle finanze pubbliche, reca una disposizione di
copertura degli oneri derivanti dall’attuazione delle disposizioni comunitarie
per le ipotesi in cui gli uffici pubblici siano chiamati a prestazioni e controlli.
La procedura di esame della legge comunitaria
Per quanto concerne l’iter parlamentare di approvazione della legge comunitaria, si osserva che l’esame del relativo disegno di legge avviene contestualmente a quello della relazione sulla partecipazione dell’Italia dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea, al fine di compiere una verifica complessiva in ordine all’adempimento degli obblighi comunitari da parte dell’Italia. In particolare, sui due atti si svolge un esame congiunto fino alla conclusione dell'esame preliminare; successivamente, l’esame dei due provvedimenti segue un iter autonomo, avendo l'uno natura legislativa e l'altro finalità di indirizzo e controllo.
Per quanto riguarda l’esame del disegno di legge comunitaria, l’articolo 126-ter del Regolamento della Camera ha tracciato una procedura “speciale”, prevedendo che il disegno di legge comunitaria e la relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea siano assegnati:
§ per l'esame generale in sede referente, alla Commissione politiche dell'Unione europea;
§ per l'esame delle parti di rispettiva competenza, alle Commissioni competenti per materia.
Le Commissioni sono tenute a esaminare le parti del disegno di legge di propria competenza entro 15 giorni dall'assegnazione, approvando una relazione e nominando un relatore, che può partecipare alle sedute della Commissione politiche dell’Unione europea. Nello stesso termine sono trasmesse le eventuali relazioni di minoranza presentate in Commissione. Un proponente per ciascuna relazione di minoranza può partecipare alle sedute della Commissione politiche dell’Unione europea per riferire in merito. Le eventuali relazioni di minoranza non possono contenere in allegato emendamenti, che devono necessariamente essere approvati dalle Commissioni di settore.
Analogamente, sempre entro 15 giorni, le Commissioni competenti per materia esaminano anche le parti di competenza della relazione annuale, approvando un parere.
Decorso il termine indicato, la Commissione politiche dell'Unione europea, entro i successivi 30 giorni, conclude l'esame in sede referente del disegno di legge comunitaria e della relazione annuale, predisponendo per ciascun atto una relazione generale per l'Assemblea, alla quale sono allegate, rispettivamente, le relazioni e i pareri approvati dalle Commissioni.
Le Commissioni competenti per materia, nel corso dell’esame, votano anche gli emendamenti al disegno di legge comunitaria, che allegano alla relazione per la Commissione politiche dell'Unione europea. Gli emendamenti approvati dalle singole Commissioni si ritengono accolti, salvo che la Commissione politiche dell'Unione europea non li respinga per motivi di compatibilità con la normativa comunitaria ovvero per esigenze di coordinamento generale. Di norma gli emendamenti attinenti al merito sono presentati presso le Commissioni di settore; presso la XIV Commissione sono presentati possibilmente solo gli emendamenti inerenti a profili ordinamentali. Qualora presso la XIV Commissione siano presentati direttamente emendamenti attinenti a profili di merito di competenza delle Commissioni di settore, queste devono esprimere il proprio parere.
Criteri particolari riguardano l’ammissibilità degli emendamenti: oltre ai princìpi generali contenuti all'articolo 89 del Regolamento della Camera, sono considerati inammissibili dai Presidenti delle Commissioni di settore e dal Presidente della Commissione politiche dell'Unione europea gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che riguardino materie estranee all'oggetto proprio della legge comunitaria, come definito dalla legislazione vigente. Nel caso in cui sorga questione sulle valutazioni di ammissibilità svolte dal Presidente della Commissione, la decisione è rimessa al Presidente della Camera. Gli emendamenti dichiarati inammissibili in Commissione non possono essere ripresentati in Assemblea.
Terminata la fase in Commissione, il disegno di legge comunitaria e la relazione sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea approdano in Assemblea, dove si svolge la discussione sulle linee generali del disegno di legge comunitaria si svolge congiuntamente alla discussione sulla citata relazione annuale. Entro il termine di tale discussione possono essere presentate risoluzioni sulla relazione annuale, che si votano dopo la votazione finale sul disegno di legge comunitaria, partendo dalla risoluzione accettata dal Governo.
Si ricorda, infine, che sul disegno di legge comunitaria si esprime anche il Comitato per la legislazione, ai sensi dell’articolo 16-bis, comma 6-bis, del Regolamento della Camera, dal momento che di norma si tratta di una legge contenente deleghe legislative.
L’articolo 10 della legge n. 11 del 2005 definisce gli strumenti giuridici, diversi dalla legge comunitaria annuale, con i quali è possibile ottemperare agli obblighi comunitari di adeguamento dell’ordinamento nazionale, siano essi relativi ad atti normativi da recepire, che conseguenti a sentenze di organi giurisdizionali delle Comunità o dell’Unione europea. La condizione per poter usufruire di questo canale ulteriore rispetto allo strumento tradizionale della legge comunitaria è che il termine di adempimento degli obblighi comunitari scada anteriormente alla data presunta di entrata in vigore della legge comunitaria relativa all’anno in corso.
Per quanto riguarda la tipologia di atti, l’articolo 10 prevede che siano provvedimenti, anche urgenti, adottati dal Consiglio dei ministri,su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per i rapporti con il Parlamento assumono altresì le iniziative necessarie per favorire un tempestivo esame parlamentare di tali atti.
Dalla formulazione letterale dell’articolo 10, il tipo di atti che il Governo può adottare appare pertanto riconducibile non solo a provvedimenti urgenti ma anche ad atti ordinari. In particolare, il termine “provvedimenti” adoperato da legislatore consente di ipotizzare che si possa ricorrere, tra l’altro, a disegni di legge da presentare in Parlamento; in questa chiave si spiegherebbe anche la previsione in base alla quale il Governo deve assumere le iniziative necessarie per favorire un tempestivo esame parlamentare dei provvedimenti in tal modo adottati. Quanto alla natura dei citati provvedimenti, la norma non chiarisce se essi possano essere costituti da atti con valenza normativa oltre che da atti di rango amministrativo. Inoltre, nel caso delle fonti normative di rango primario adottabili dal Governo, si ricorda che i decreti legislativi possono essere emanati solo previa delegazione delle Camere, mentre i decreti-legge necessitano comunque della sussistenza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza.
L’attuazione di obblighi comunitari si è spesso realizzata, al di fuori della legge comunitaria annuale, anche attraverso il ricorso alla decretazione d’urgenza.
Nel corso della precedente legislatura sono stati adottati, tra l’altro:
§ il decreto legge 15 settembre 2006, n. 258, recante Disposizioni urgenti di adeguamento alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee in data 14 settembre 2006 nella causa C-228/05, in materia di detraibilità dell'IVA, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2006, n. 278.
§ il decreto legge 27 dicembre 2006, n. 297, Disposizioni urgenti per il recepimento delle direttive comunitarie 2006/48/CE e 2006/49/CE e per l'adeguamento a decisioni in ambito comunitario relative all'assistenza a terra negli aeroporti, all'Agenzia nazionale per i giovani e al prelievo venatorio, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2007, n. 15;
§ il decreto legge 15 febbraio 2007, n. 10, Disposizioni volte a dare attuazione ad obblighi comunitari ed internazionali, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 aprile 2007, n. 46.
§ il decreto legge 18 giugno 2007, n. 73, recante misure urgenti per l’attuazione di disposizioni comunitarie in materia di liberalizzazione dei mercati dell’energia, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2007, n. 125.
§ il decreto legge 28 maggio 2007, n. 67, Misure urgenti in materia fiscale, non convertito in legge.
Infine, a seguito dello scioglimento anticipato delle Camere, è stato emanato il decreto legge 8 aprile 2008, n. 59, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2008, n. 101.
Anche nel corso della XVI legislatura alcune specifiche disposizioni volte a garantire l’osservanza degli obblighi derivanti dalla partecipazione all’Unione europea sono state adottate ricorrendo alla decretazione d’urgenza. Tra gli altri, si segnalano:
§ il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 (v., in particolare, l’art. 1 della legge di conversione, che proroga i termini per l’esercizio della delega integrativa e correttiva di decreti legislativi di attuazione di direttive comunitarie);
§ il decreto-legge 3 novembre 2008, n. 171, recante misure urgenti per il rilancio competitivo del settore agroalimentare convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2008, n. 205 convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2 (v., in particolare, l’art. 4, che reca norme per la chiusura degli interventi cofinanziati dall’Unione europea nel settore della pesca e dell’acquacoltura per il periodo di programmazione 1994/1999 (programma SFOP));
§ il decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anticrisi il quadro strategico nazionale, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2 (v., in particolare, l’art. 14 che definisce una nuova disciplina in materia di assunzione di partecipazioni in istituti di credito da parte di soggetti che svolgono in misura rilevante attività d'impresa in settori non bancari né finanziari);
§ il decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208, recante misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell'ambiente, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 13. (v., in particolare, l’art. 1 che – in conformità alla direttiva 2000/60/CE – fissa il termine entro il quale devono essere adottati i piani di bacino al 22 dicembre 2009).
Qualora gli “obblighi di adeguamento” riguardino materie rientranti nella competenza legislativa o amministrativa delle regioni e province autonome, si prevede una procedura particolare, secondo la quale il Governo (Presidente del consiglio o Ministro per le politiche comunitarie) informa gli enti titolari del potere-dovere di provvedere, assegnando un termine per l’adempimento. Ove necessario, il Governo può chiedere di sottoporre la questione alla Conferenza permanente Stato-Regioni per concordare le iniziative da assumere.
In caso di mancato adempimento nei termini da parte dell’ente interessato, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie propongono al Consiglio dei ministri di assumere iniziative volte all’esercizio dei poteri sostitutivi di cui agli articolo 117, quinto comma, e 120, secondo comma, della Costituzione.
Infine, lo stesso articolo 10 detta specifiche disposizioni per i decreti legislativi di attuazione di normative comunitarie o di modifica di disposizioni attuative, emanati sulla base di deleghe contenute in leggi diverse dalla comunitaria annuale. Fatti salvi i princìpi e criteri direttivi stabiliti di volta in volta dalle leggi delega (in conformità al diritto comunitario), ed in aggiunta ai princìpi contenuti nelle direttive da attuare, tali decreti legislativi devono essere adottati:
§ nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali previsti dalla legge comunitaria per l’anno di riferimento;
§ su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e con gli altri ministri interessati in relazione all’oggetto della direttiva.
Tale norma è applicabile anche per l’emanazione di testi unici di riordino e armonizzazione, nel rispetto delle competenze di regioni e province autonome.
Questa previsione è finalizzata ad assicurare alle leggi comunitarie annuali una capacità di influenza generale sull'esercizio di tutte le deleghe di attuazione comunitaria, anche se non contemplate nelle leggi comunitarie stesse, e nel contempo a definire gli assetti endogovernativi nella fase preparatoria dei decreti legislativi.
Attuazione in via regolamentare e amministrativa
La possibilità di procedere al recepimento degli atti comunitari anche attraverso i regolamenti governativi era già prevista dalla legge n. 86 del 1989. Peraltro, a seguito della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, sono emersi alcune questioni applicative, soprattutto in relazione all’articolo 117, sesto comma, che limita alle materie di potestà legislativa statale esclusiva l’ambito di intervento dei regolamenti. Nelle leggi comunitarie successive alla riforma – in particolare, a partire dalla legge n. 39 del 2002 – non è stata pertanto più utilizzata tale modalità di recepimento.
La legge n. 11 del 2005 adegua al nuovo dettato costituzionale le modalità di attuazione delle direttive in via regolamentare.
In primo luogo, l’articolo 11 stabilisce che l’attuazione in via regolamentare può avvenire solo nelle materie di competenza statale esclusiva (ossia quelle previste all’articolo 117, secondo comma, della Costituzione). In secondo luogo, la norma prevede una differente disciplina a seconda che l’attuazione venga effettuata attraverso:
· regolamenti governativi;
· regolamenti ministeriali o interministeriali.
In merito alla prima tipologia, l’articolo 11 pone dei requisiti stringenti, in quanto tali regolamenti possono essere adottati solo nelle materie:
- già disciplinate con legge;
- non coperte da riserva assoluta di legge.
In secondo luogo, si stabilisce che i regolamenti siano adottati ai sensi dell’articolo 17, commi 1 e 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia di concerto con gli altri ministri interessati.
Si ricorda che l’articolo 17 della legge n. 400 del 1988 prevede, al comma 1, l’adozione di regolamenti governativi esecutivi, attuativi-integrativi, indipendenti e di organizzazione. Tali regolamenti vengono adottati attraverso decreti del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato. Il comma 2 prevede i regolamenti di delegificazione, che disciplinano materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi, autorizzando il Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari.
Sugli schemi dei regolamenti devono essere acquisiti determinati pareri e in particolare:
- sempreil parere del Consiglio di Stato, che deve esprimersi nei 45 giorni successivi alla richiesta;
- il parere dei competenti organi parlamentari (alle quali gli schemi di regolamento sono trasmessi unitamente alle relazioni illustrative e al parere del Consiglio di Stato), solo ove la legge comunitaria disponga in tal senso. Il parere è espressoentro il termine di 40 giorni dall’assegnazione, decorso il quale il Governo può procedere anche in assenza del parere.
Al riguardo, si ricorda che il regolamento della Camera, a seguito delle modifiche apportate nel 1999, ha previsto la possibilità per le Commissioni di applicare all’esame di tali atti, in quanto compatibili, le disposizioni relative all’esame in sede referente dei progetti di legge, prevedendo altresì la possibilità di trasmetterli al Comitato per la legislazione (articolo 96-ter).
La procedura appena descritta può essere utilizzata anche per recepire (ovviamente con fonte di rango regolamentare) le modifiche delle direttive attuate in via regolamentare se così dispone la legge comunitaria (articolo 12).
I regolamenti in esame devono conformarsi a principi generali espressamente individuati, nel rispetto dei principi e delle disposizioni posti dalle direttive da attuare, e tenendo comunque conto delle eventuali modificazioni della disciplina comunitaria intervenute sino al momento della loro adozione.
La tipologia regolamentare così delineata si discosta parzialmente dal modello definito dalla legge n. 400 del 1988. Infatti, pur richiamando le disposizioni previste dalla citata legge n. 400, l’articolo 11 richiede come ulteriore requisito il rispetto di alcune norme generali oltre che delle disposizioni contenute nelle direttive da attuare. In tal modo, si mira a guidare il futuro intervento del Governo ponendo dei principi generali, sulla falsariga di quanto avviene per la delega legislativa.
Le norme generali alle quali i regolamenti devono conformarsi attengono:
§ all’individuazione della responsabilità e delle funzioni attuative delle amministrazioni, nel rispetto del principio di sussidiarietà;
§ all’esercizio dei controlli da parte degli organismi già operanti nel settore e secondo modalità che assicurino efficacia, efficienza, sicurezza e celerità;
§ all’esercizio delle opzioni previste dalle direttive in conformità alle peculiarità socio-economiche nazionali e locali e alla normativa di settore;
§ alla fissazione di termini e procedure, nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 20, comma 5, della legge 15 marzo 1997, n. 59[8].
I regolamenti in questione devono altresì tener conto delle eventuali modificazioni della disciplina comunitaria intervenute sino al momento della loro adozione.
In merito alla seconda tipologia di regolamenti, l’articolo 11 pone ulteriori requisiti, in quanto i regolamenti ministeriali o interministeriali (nonché gli atti amministrativi generali) possono intervenire nelle materie:
- non disciplinate dalla legge;
- non disciplinate dai regolamenti governativi;
- non coperte da riserva di legge.
I regolamenti in esame sono adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400[9].
Si ricorda che quest’ultima norma prevede l’adozione di regolamenti ministeriali o interministeriali, nelle materie di competenza del ministro o di autorità sottordinate, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo e debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione.
Nelle stesse materie, la disciplina di attuazione può essere posta anche a mezzo di atto amministrativo generale adottato dal Ministro con competenza prevalente per materia, di concerto con gli altri Ministri interessati.
In ogni caso, in relazione ad entrambe le tipologie di regolamenti, è sempre necessario l’intervento della legge comunitaria (o di altra legge):
· laddove le direttive lascino spazio alla discrezionalità del legislatore nazionale quanto alle modalità della attuazione, al fine di individuare principi e criteri direttivi;
· per l’adozione delle disposizioni atte a prevedere sanzioni penali o amministrative nonché quelle necessarie per individuare le autorità pubbliche alle quali affidare le funzioni amministrative attinenti all’applicazione della nuova disciplina;
· ove l’attuazione delle direttive comporti l’istituzione di nuovi organi o strutture amministrative;
· ove l’attuazione delle direttive comporti la previsione di nuove spese o minori entrate.
Si ricorda, inoltre, che i descritti regolamenti possono essere utilizzati anche per porre rimedio all’eventuale inerzia delle regioni nell’attuazione del diritto comunitario.
Ai fini delle previsioni di cui all’articolo 11 della legge n. 11 del 2005, va segnalato che il Governo è tenuto a presentare alle Camere, in allegato al disegno di legge comunitaria, un elenco delle direttive per l’attuazione delle quali chiede l’autorizzazione ad intervenire in via regolamentare[10].
L’articolo 11-bis, introdotto nella legge n. 11 dall’articolo 6 della legge n. 34 del 2008, reca, in via generale, un’autorizzazione permanente al Governo all’attuazione in via regolamentare– ex articolo 17, comma 1, della legge n. 400 del 1988 –delle disposizioni adottate dalla Commissione europea in attuazione di direttive recepite con decreto legislativo.
I regolamenti governativi di esecuzione/attuazione in esame sono adottati secondo quanto disposto dagli articoli 9 e 11 della legge n. 11 del 2005 e con le procedure ivi previste.
Al riguardo, si ricorda che la Commissione, in base all’articolo 202 del Trattato CE, esercita i poteri ad essa delegati per l’attuazione degli atti comunitari “legislativi”, vale a dire adottati dal Parlamento e dal Consiglio o dal solo Consiglio secondo una delle procedure decisionali previste dal citato Trattato (consultazione, codecisione, cooperazione, parere conforme). Le procedure mediante le quali si esplicano tali poteri sono definite con il termine “comitatologia” o “comitologia”. Le procedure di comitatologia (consultazione, gestione, regolamentazione, regolamentazione con controllo e di salvaguardia), attualmente disciplinate dalla decisione del Consiglio n. 1999/468/CE, così come modificata, prevedono l’obbligo della Commissione di sottoporre i progetti di misure di attuazione a comitati composti da funzionari delle amministrazioni nazionali. L’efficacia del parere del comitato dipende dal tipo di procedura di cui l’atto legislativo dispone di volta in volta l’applicazione.
Infine, si ricorda che l’articolo 13 della legge n. 11 del 2005 prevede anche la possibilità di procedere ad un’attuazione per così dire semplificata, relativa agli adeguamenti tecnici, stabilendo che il Governo, nelle materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato, dia attuazione in via amministrativa – con decreto del Ministro competente – alle norme comunitarie non autonomamente applicabili, che modifichino caratteristiche di ordine tecnico e modalità esecutive di direttive già recepite nell’ordinamento nazionale.
Circa l’attuazione delle norme comunitarie che ricadono nelle competenze legislative delle regioni, l’articolo 13 prevede un potere sostitutivo dello Stato nel caso di inerzia, per il quale si rinvia al paragrafo “I poteri statali sostitutivi”.
L’attuazione delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome
L’articolo 16 della legge n. 11 del 2005 disciplina le competenze delle regioni e delle province autonome nel dare attuazione alle direttive comunitarie.
Al riguardo, si segnala che l’articolo 20 della legge provvede a fare salve le norme previste negli statuti delle regioni ad autonomia differenziata e le relative norme di attuazione. Si tratta di una disposizione volta a salvaguardare l’autonomia delle regioni a statuto speciale e delle province autonome.
La disciplina introdotta dalla legge n. 11 del 2005 attribuisce a tutte le regioni nonché alle province autonome di Trento e di Bolzano nelle materie di propria competenza la facoltà di dare immediata attuazione alle direttive comunitarie. Peraltro si chiarisce che, nelle materie oggetto di potestà legislativa concorrente, la legge comunitaria indica i princìpi fondamentali cui le regioni e le province autonome sono tenute a conformarsi: tali principi sono qualificati come inderogabili dalla legge regionale o provinciale e prevalenti sulle contrarie disposizioni eventualmente già emanate dalle regioni e province autonome.
Si ricorda che la legge ordinaria di attuazione del nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione (Legge n. 131 del 2003, cosiddetta “legge La Loggia”) prevede che “nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la potestà legislativa nell’ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti” (articolo 1, comma 3).
I provvedimenti delle regioni (e province autonome), rientranti nelle materie di competenza legislativa di tali enti, devono indicare nel titolo il numero identificativo della direttiva attuata ed essere trasmessi immediatamente in copia conforme alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie.
L’articolo 16 disciplina altresì l’intervento statale anticipato e cedevole nell’ipotesi di inerzia regionale, per il quale si rinvia al paragrafo “I poteri statali sostitutivi”, pag. 37.
Infine, per le direttive che ricadono in materie di legislazione esclusiva dello Stato, il Governo indica i criteri e formula le direttive alle quali si devono attenere le regioni e le province autonome ai fini del soddisfacimento di esigenze di carattere unitario, del perseguimento degli obiettivi della programmazione economica e del rispetto degli impegni derivanti dagli obblighi internazionali.
Tale indicazione può avvenire con varie modalità. Il Governo infatti è libero di utilizzare uno dei seguenti strumenti:
§ la legge o un atto avente forza di legge;
§ i regolamenti governativi sulla base della legge comunitaria;
§ una deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie, d'intesa con i Ministri competenti, secondo le modalità stabilite dall’articolo 8 della legge n. 59 del 1997[11].
La disciplina dei poteri statali sostitutivi è contenuta – nell’ambito della legge n. 11 del 2005 – in vari articoli, che riprendono sostanzialmente quanto già previsto in materia nelle leggi comunitarie approvate dopo l’entrata in vigore della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione.
Si tratta, in particolare, degli articoli 11, comma 8, relativo all’attuazione in via regolamentare, 13, comma 2, relativo agli adeguamenti tecnici, e 16, comma 3, in materia di attuazione regionale.
La disciplina è sostanzialmente quella prevista dall’articolo 11, comma 8, volto a dare attuazione all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione[12]. In particolare, si prevede che spetta allo Stato, secondo modalità da stabilirsi con legge, un potere sostitutivo per i casi di inadempienza delle regioni e delle province autonome agli obblighi di attuazione degli atti normativi dell’Unione europea.
La norma prevede una triplice garanzia per le regioni e province autonome:
§ gli atti statali attuativi di direttive comunitarie, che intervengono su materie rimesse alla competenza legislativa – concorrente o residuale generale – delle regioni o delle province autonome, entrano in vigore solo alla data di scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa comunitaria;
§ tali atti riguardano esclusivamente le regioni e province autonome che non abbiano ancora adottato la propria normativa di attuazione;
§ gli atti statali perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa regionale (o provinciale) di attuazione delle direttive comunitarie, e devono recare l’esplicita indicazione della natura sostitutiva e cedevole del potere esercitato e delle disposizioni in essi contenute.
La norma in oggetto persegue una duplice finalità: da un lato, quella di rispettare il riparto di competenze legislative delineato dall’articolo 117 della Costituzione e le funzioni in materia di attuazione degli atti comunitari attribuite alle regioni dal quinto comma del medesimo articolo 117; dall’altro, quella di garantire allo Stato uno strumento per evitare l’insorgere di una responsabilità nei confronti dell’Unione europea e il verificarsi di ritardi tali da esporre l’Italia a procedure di infrazione[13].
Come ricordato, tra l’altro, l’articolo 117, sesto comma, della Costituzione stabilisce che la potestà regolamentare spetta allo Stato solo nelle materie di legislazione esclusiva. In ogni caso, la possibilità che regolamenti statali intervengano temporaneamente a disciplinare materie di competenza regionale rappresenta una deroga che trova un proprio fondamento costituzionale nell’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, anche secondo quanto evidenziato dalla più recente dottrina e dal Consiglio di Stato. Infatti, l’Adunanza generale del Consiglio di Stato (25 febbraio 2002) si è pronunciata sul punto, rilevando come all’attuazione delle direttive comunitarie nelle materie attribuite alle regioni o alle province autonome in via esclusiva o concorrente, siano competenti le regioni e le province autonome, ma se queste non dovessero provvedere, sussiste il potere dovere dello Stato di attuare, attraverso proprie fonti normative,anche regolamentari, tali direttive, al fine di rispettare i vincoli comunitari; le norme poste dallo Stato in via sostitutiva risultano applicabili solo nell’ambito dei territori delle regioni e province autonome che non abbiano provveduto e siano cedevoli. Ai fini dell’attuazione in via sostitutiva, è necessario sentire previamente la Conferenza Stato-Regioni nel rispetto del principio di leale collaborazione. Inoltre, dal momento che l’articolo 117, quinto comma, della Costituzione prevede il potere sostitutivo in caso di inadempienza, la norma statale, se emanata anteriormente, avrà effetto soltanto dalla scadenza dell’obbligo comunitario di attuazione della direttiva nei confronti delle sole regioni inadempienti. E’ necessario che l’atto normativo dello Stato in funzione sostitutiva contenga la clausola di cedevolezza, in virtù della natura esclusivamente collaborativa dell’intervento dello Stato in materie di competenza regionale.
Analogamente, l’articolo 13, comma 2, sempre in attuazione dell’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, stabilisce che i provvedimenti in materia di adeguamenti tecnici possono essere adottati nelle materie di competenza legislativa regionale in caso di inerzia delle regioni e province autonome. In tale caso, i provvedimenti statali adottati si applicano secondo modalità analoghe a quelle definite dall’articolo 11. In particolare, i citati provvedimenti statali si applicano, per le regioni e le province autonome nelle quali non sia ancora in vigore la normativa di attuazione, a decorrere dalla scadenza del termine stabilito per il recepimento della normativa comunitaria e perdono efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa attuativa. I provvedimenti recano l'esplicita indicazione della natura sostitutiva del potere esercitato e del carattere cedevole delle disposizioni in essi contenute.
Infine, l’articolo 16, comma 3, in riferimento all’attuazione regionale delle direttive comunitarie, chiarisce che le disposizioni legislative adottate dallo Stato per l’adempimento degli obblighi comunitari in materie di competenza regionale si applicano “alle condizioni e secondo la procedura di cui all’articolo 11, comma 8”.
La disciplina dei poteri sostitutivi, dettata dagli articoli in esame, si aggiunge a quanto previsto dall’articolo 8 della legge n. 131 del 2003 (c.d. legge La Loggia), che è volto a regolare l’esercizio del diverso potere sostitutivo previsto dall’articolo 120 della Costituzione.
La norma stabilisce, in via generale, che i provvedimenti sostitutivi devono essere proporzionati alle finalità perseguite e, in particolare, prevede che:
§ l’assegnazione di un congruo termine all’ente interessato per provvedere;
§ l’adozione dell’atto sostitutivo, di natura anche normativa, da parte del Consiglio dei ministri solo a seguito dell’infruttuoso decorso del termine, sentito l’organo interessato.
Qualora l’esercizio del potere sostitutivo si renda necessario al fine di porre rimedio alla violazione della normativa comunitaria, gli atti ed i provvedimenti sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro competente per materia.
Accanto a questa forma di sostituzione, l’articolo 8 ne disciplina un’altra, attivabile nei casi di assoluta urgenza: qualora l’intervento sostitutivo non sia procrastinabile senza mettere in pericolo le finalità tutelate dall’articolo 120 della Costituzione, il Consiglio dei ministri, anche su iniziativa delle regioni o degli enti locali, adotta i provvedimenti necessari, comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza Stato-Città e autonomie locali, che possono chiederne il riesame[14].
Per quanto riguarda i rapporti tra la sostituzione delineata dagli articoli in esame della legge n. 11 e quella disciplinata dalla legge n. 131 del 2003, si evidenzia che le due leggi fanno riferimento a diversi articoli della Costituzione: le disposizioni della legge n. 11 si pongono in attuazione dell’articolo 117, quinto comma, Costituzione, mentre l’articolo 8 della legge n. 131 richiama l’articolo 120, secondo comma, Costituzione.
L’articolo 117, quinto comma, della Costituzione prevede che le regioni e le province autonome provvedono all’attuazione degli obblighi comunitari, “nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza”, mentre l’articolo 120, secondo comma, della Costituzione, stabilisce che il Governo può sostituirsi a organi delle regioni, città metropolitane, province e comuni, in caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o economica e la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni. La norma prevede altresì che la legge definisce le procedure idonee a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione.
Di particolare rilievo sono le disposizioni dettate dall’articolo 16-bis[15] della legge n. 11 del 2005, con il quale sono previste misure volte ad assicurare l’adempimento degli obblighi comunitari e internazionali dello Stato derivanti, in particolare, dalle procedure d’infrazione avviate dalla Commissione europea, dalle sentenze di condanna della Corte di giustizia, dalle sentenze di condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo originate dalla violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (e dei relativi Protocolli addizionali)[16].
A tal fine, viene introdotto il diritto di rivalsa dello Stato nei confronti dei soggetti responsabili dell’inadempimento degli obblighi comunitari e internazionali. In particolare, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici ed i soggetti equiparatidevono:
§ adottare le misure necessarie a porre tempestivamente rimedio alle violazioni, loro imputabili, degli obblighi comunitari, al fine di prevenire l'instaurazione delle procedure d'infrazione di cui agli articoli 226 e seguenti del Trattato istitutivo della Comunità europea o per porre termine alle stesse;
§ dare esecuzione agli obblighi derivanti dalle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, pronunciate ai sensi dell'articolo 228, paragrafo 1, del Trattato istitutivo della Comunità europea.
In ogni caso,è previstol’esercizio dei poteri statali sostitutivi nei confronti delle regioni e degli altri enti suindicati, responsabili della violazione degli obblighi comunitari o della non tempestiva esecuzione delle sentenze della Corte di giustizia. Tali poteri sostitutivi sono esercitati secondo i princìpi e le procedure stabiliti dall'articolo 8 della legge n. 131 del 2003 (c.d. legge “La Loggia”) e dall’articolo 11, comma 8, della legge n. 11 del 2005.
In caso di inadempimento degli obblighi derivanti dalla normativa comunitaria, lo Stato può esercitare il diritto di rivalersi nei confronti di tali enti nelle regolazioni finanziarie operate a carico dell'Italia a valere sulle risorse del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA), del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e di altri fondi aventi finalità strutturali. Tale diritto di rivalsa è esercitato dallo Stato per compensare gli oneri finanziari derivanti dalle sentenze di condanna della Corte di Giustizia (ex art. 228 del Trattato istitutivo della Comunità europea), e della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Le modalità di esercizio del diritto di rivalsa prevedono che tale facoltà possa essere esercitata in modo differente, a seconda che l’obbligato sia un ente territoriale, ovvero un ente od organismo pubblico diverso assoggettato al sistema di tesoreria unica, ovvero altro ente.
In particolare, nel caso in cui l’obbligato sia un ente territoriale, la misura degli importi dovuti, che comunque non deve essere superiore agli oneri finanziari a carico dell’Italia, è stabilita con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze da adottarsi entro 3 mesi dalla notifica, nei confronti degli obbligati, della sentenza esecutiva di condanna per la Repubblica italiana. Il decreto reca modi e termini per il pagamento, anche rateizzato, e costituisce titolo esecutivo. Qualora gli oneri finanziari a carico dell’Italia siano di carattere pluriennale, o non ancora liquidi, possono adottarsi più decreti ministeriali in relazione al progressivo maturare del credito dello Stato.
I decreti sono emanati previa intesa sull’entità del credito, modalità di recupero e termini di pagamento, anche rateizzato, con l’ente obbligato. Tale intesa, il cui contenuto viene recepito in un provvedimento del Ministro dell’economia e costituisce titolo esecutivo, deve essere perfezionata entro 4 mesi decorrenti dalla data della notifica della sentenza esecutiva di condanna verso l’Italia all’ente obbligato.
Qualora non venga raggiunga l’intesa, l'adozione del provvedimento compete al Presidente del Consiglio dei ministri, nei successivi 4 mesi, sentita la Conferenza unificata. Anche in questo caso possono essere adottati più decreti laddove si sia in presenza di crediti dello Stato che maturano progressivamente.
Nel caso di enti e di organismi pubblici diversi da quelli indicati sopra, assoggettati al sistema di tesoreria unica, il diritto di rivalsa si esercita con un prelevamento diretto sulle contabilità speciali obbligatorie istituite presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato, ai sensi della legge 29 ottobre 1984, n. 720[17].
In ogni altro caso, il diritto di rivalsa si esercita secondo le vie ordinarie, mediante ricorso innanzi all’autorità giudiziaria competente.
Le notifiche delle sentenze di condanna nei confronti degli enti territoriali obbligati sono effettuate a cura e spese del Ministero dell'economia e delle finanze.
Le sessioni comunitarie della Conferenza Stato-regioni e della Conferenza Stato-città
La legge disciplina anche le sessioni comunitarie della Conferenza Stato-regioni e della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, stabilendo rispettivamente che il Presidente del Consiglio convochi:
- almeno ogni sei mesi - anche su richiesta delle regioni e delle province autonome - una sessione speciale della Conferenza Stato-regioni, dedicata alla trattazione degli aspetti delle politiche comunitarie di interesse regionale e provinciale (articolo 17);
La Conferenza Stato-Regioni in sessione comunitaria può infatti esprimere il proprio parere sulle seguenti questioni:
§ sugli indirizzi generali relativi all'elaborazione e all'attuazione degli atti comunitari che riguardano le competenze regionali;
§ sui criteri e le modalità per conformare l'esercizio delle funzioni regionali all'osservanza ed all'adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea;
§ sullo schema del disegno di legge comunitaria, sulla base di quanto previsto dall'articolo 5, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 281/1997. Tale norma dispone che la Conferenza Stato-Regioni in sessione comunitaria esprima parere sullo schema di disegno di legge comunitaria e che decorso il termine di 20 giorni dalla richiesta del parere, il disegno di legge sia presentato al Parlamento anche in mancanza di tale parere.
Il Ministro per le politiche comunitarie riferisce al Comitato interministeriale per la programmazione economica per gli aspetti di competenza.
Circa le competenze della Conferenza Stato-Regioni in relazione all’Unione europea, si ricorda che l’articolo 5 del decreto legislativo n. 281 del 1997 prevede che essa, anche su richiesta delle regioni e delle province autonome, si riunisca in apposita sessione almeno 2 volte all'anno al fine di raccordare le linee della politica nazionale, relativa all'elaborazione degli atti comunitari con le esigenze rappresentate dalle regioni e dalle province autonome, nelle materie di competenza di queste ultime, e di esprimere il parere sullo schema di disegno di legge comunitaria. La Conferenza inoltre designa i componenti regionali in seno alla rappresentanza permanente italiana presso l'Unione europea ed esprime il proprio parere – su richiesta dei Presidenti delle regioni e delle province autonome e con il consenso del Governo – sugli schemi di atti amministrativi dello Stato che, nelle materie di competenza delle regioni o delle province autonome, danno attuazione alle direttive comunitarie ed alle sentenze della Corte di giustizia delle comunità europee.
- almeno una volta all'anno - anche su richiesta delle associazioni rappresentative degli enti locali o degli enti locali interessati - una sessione speciale della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, dedicata alla trattazione degli aspetti delle politiche comunitarie di interesse degli enti locali (articolo 18). La conferenza tratta gli aspetti delle politiche comunitarie di interesse degli enti locali, esprimendo genericamente parere sui criteri e le modalità per conformare l'esercizio delle funzioni di interesse degli enti locali all'osservanza e all'adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.
La Conferenza Stato-città ed autonomie locali è un organo collegiale con funzioni consultive e decisionali, sede istituzionale permanente di confronto e raccordo tra lo Stato e gli enti locali. La Conferenza è stata istituita con D.P.C.M. 2 luglio 1996 ed è disciplinata dal decreto legislativo n. 281 del 1997 e successive modificazioni. In particolare, l’articolo 8 del citato decreto legislativo prevede che essa sia presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri (o, per sua delega, dal Ministro dell'interno o dal Ministro per gli affari regionali) e ne facciano parte oltre a vari Ministri (economia, infrastrutture e sanità), il presidente dell'Associazione nazionale dei comuni d'Italia – ANCI, il presidente dell'Unione province d'Italia – UPI ed il presidente dell'Unione nazionale comuni, comunità ed enti montani – UNCEM, nonché, su designazione delle rispettive associazioni, sei presidenti di provincia e quattordici sindaci, di cui cinque sindaci di città che siano aree metropolitane.
Dei risultati emersi in tali sedi il Governo è tenuto ad informare tempestivamente le Camere.
Il testo previgente dell’articolo 8, comma 5, della legge n. 11 del 2005 ampliava il contenuto della relazione di accompagnamento al disegno di legge comunitaria. Da un lato, infatti, si confermava l’esigenza che la relazione illustrasse alcuni profili, già considerati dalla legge n. 86 del 1989 (cfr. infra le lettere a), b) e c)), dall’altro si introduceva l’obbligo di fornire nuove specifiche informazioni. In particolare, si prevedeva che, in aggiunta ai predetti dati, la relazione contenesse l’elenco delle direttive attuate con regolamento (lett. d)) e l’indicazione dei provvedimenti regionali attuativi di direttive comunitarie (lett. e)), “anche con riferimento a leggi annuali di recepimento eventualmente approvate dalle regioni e dalle province autonome”.
Successivamente, l’articolo 6 della legge n. 34/2008 (legge comunitaria 2007) ha disposto che i dati sopra descritti siano riportati in un’apposita “Nota aggiuntiva”, aggiornata al 31 dicembre. Il Governo, peraltro, nel presentare il disegno di legge comunitaria 2008, ha inserito i suddetti dati nella relazione illustrativa (come in passato), anticipando in tal senso il contenuto dell’articolo 6 dello stesso disegno di legge che ripristina la disposizione originaria.
La relazione governativa al disegno di legge comunitaria 2008 contiene, pertanto,anche i dati che, secondo il testo vigente della legge n. 11 del 2005, devono essere riportati nella predetta nota aggiuntiva, ossia:
a) i dati sullo stato di conformità dell'ordinamento interno al diritto comunitario e sullo stato delle eventuali procedure di infrazione dando conto, in particolare, della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee relativa alle eventuali inadempienze e violazioni degli obblighi comunitari da parte della Repubblica italiana.
La relazione presentata dal Governo al disegno di legge comunitaria 2008 (A.S. 1078) riferisce che, al 10 giugno 2008, risultavano complessivamente aperte contro l’Italia 181 procedure, di cui 151 per violazione del diritto comunitario e 30 per mancata trasposizione di direttive.
Viene poi fornita la classificazione per livello delle procedure. Da questa si evince che, per quanto riguarda le 181 procedure, 72 di queste sono lettere di costituzione in mora (primo stadio del contenzioso comunitario) ex art. 226del Trattato, altre 97 sono relative a stadi più avanzati del contenzioso: 5 messe in mora complementare, 41 pareri motivati, 4 pareri motivati complementari, 20 ricorsi e 15 sentenze per inadempimento. A queste si aggiungono 12 procedure di cui all’art. 228 del Trattato CE in base al quale la Commissione europea, in caso di mancata esecuzione del giudicato, può adire la Corte di Giustizia per chiedere l’irrogazione di sanzioni pecuniarie per lo Stato membro inadempiente.
Per quanto riguarda la mancata trasposizione di direttive risultano aperte 30 procedure, di cui 18 procedure di messa in mora, 10 pareri motivati e 1 sentenza per mancata attuazione. A queste si aggiunge 1 procedura per parere motivato di cui all’art. 228 del Trattato CE. Nella Relazione il Governo fornisce, altresì, la classificazione per settori delle procedure. Il maggior numero di procedure riguarda la materia ambientale (51 procedure) seguita dai seguenti settori: appalti (21), fiscalità e dogane (21), salute (15), lavoro e affari sociali (12), affari economici e finanziari (9).
Si segnala che dai dati forniti dal Ministro per le politiche europee, alla data del 19 febbraio 2009, risultano aperte complessivamente contro l’Italia 164 procedure di infrazione, di cui 136 per violazione del diritto comunitario e 28 per mancata trasposizione di direttive nell’ordinamento interno[18]. Di recente il Collegio dei Commissari UE ha deciso per l'Italia 9 archiviazioni di cui 2 concernenti procedure già aperte[19] e 7 ancora allo stadio di reclamo. Sono state tre invece le nuove procedure d'infrazione aperte.
Per quanto riguarda lo stato delle procedure di infrazione relative al solo mercato interno, la Commissione europea, nella Strategia per il mercato interno 2003-2006[20], chiedeva agli Stati membri una riduzione del numero delle procedure di infrazione di almeno il 50 per cento entro il 2006. Dagli ultimi dati forniti dalla Commissione europea[21] risulta che l’Italia, pur avendo fatto registrare la maggiore riduzione dei procedimenti di infrazione aperti (15), rimane – con 164 procedure di infrazione – il Paese, insieme alla Spagna, con il maggior numero di procedure avviate relative al solo mercato interno[22].
A tale proposito, si ricorda anche che la Commissione europea, già a partire dalla “Comunicazione sul miglioramento del controllo dell’applicazione del diritto comunitario” (COM(2002)725def.) ha optato per un approccio differenziato al trattamento delle procedure d’infrazione, a causa della loro costante crescita e alla prospettiva di un ulteriore forte aumento delle stesse dopo l’allargamento dell’Unione. In pratica la Commissione, secondo la gravità della presunta infrazione, decide caso per caso se avviare la procedura d’infrazione ovvero ricorrere a meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie: si tratta principalmente delle c.d. “riunioni pacchetto o cumulative”, che mirano a risolvere politicamente le questioni evitando azioni legali, nonché del meccanismo c.d. SOLVIT.
Il SOLVIT è una rete on-line in funzione dal luglio 2002 che permette di trovare una risoluzione extragiudiziale (informale) alle denunce dei consumatori e delle imprese relative ad una scorretta applicazione delle norme sul mercato interno da parte delle autorità amministrative pubbliche. In ciascuno Stato membro le vittime di un’applicazione erronea del diritto dell’Unione, da parte di autorità locali o nazionali di un altro Stato membro, possono rivolgersi al centro SOLVIT per ottenere che la questione sia rapidamente risolta: i tempi medi sono di 10 settimane per risolvere i reclami. Le soluzioni proposte non sono vincolanti. In ogni caso, se il cliente considera la proposta inaccettabile, può raccomandare di risolvere la controversia per via giudiziaria. Nel 2008 sono stati presentati a SOLVIT 1000 casi, registrando un aumento del 22 per cento, mentre la percentuale di casi risolti è stata pari a circa l’83 per cento. Il tempo medio di soluzione dei problemi, sempre nel 2008, è stato di circa due mesi. I risparmi derivanti dalla soluzione dei problemi tramite SOLVIT sono stati stimati pari a 32,6 milioni di euro[23].
b) l'elenco delle direttive attuate o da attuare in via amministrativa.
Si tratta di 27 direttive (riportate nella tabella 1 allegata al presente dossier) pubblicate nel periodo 1° febbraio 2007 - 10 giugno 2008, alla cui attuazione provvedono lo Stato ovvero le regioni o le province autonome, nell’ambito del riparto costituzionale di competenze e fermi restando i poteri sostitutivi dello Stato. Al riguardo, si segnala che 20 delle direttive indicate nella relazione governativa risultano già attuate (nella tabella 1 allegata sono riportati gli estremi dei provvedimenti di attuazione[24]).
Si ricorda, altresì, che non è stato più rispettato a partire dal 2000, in sede di pubblicazione delle leggi comunitarie, l’obbligo previsto dall’articolo 10, comma 3-quater, del Testo unico sulla promulgazione delle leggi (D.P.R. n. 1092/1985) di riportare a titolo informativo nella Gazzetta Ufficiale, unitamente alla legge comunitaria annuale, l’elenco delle direttive attuate o da attuare in via amministrativa.
Il Governo ha inoltre fornito l’elenco di 44 direttive – pubblicate dal 1° febbraio 2007 al 10 giugno 2008 – che, alla data di presentazione al Senato del disegno di legge originario (6 ottobre 2008), risultavano essere già attuate in via amministrativa.
c) l’indicazione dell’eventuale omissione dell’inserimento di direttive il cui termine di recepimento sia scaduto o scada nel periodo di riferimento, in relazione ai tempi previsti per l’esercizio della delega legislativa, quindi per lo meno entro l’anno 2008.
Al riguardo, la relazione governativa segnala che non risulta omessa alcuna direttiva pubblicata nell’anno 2007 il cui termine di recepimento sia già scaduto ovvero scada entro il 31 dicembre 2008.
Si segnala, in proposito, che (cfr. la tabella 4 allegata) risultano essere2 le direttive, già scadute al 31 dicembre 2008, non recepite e non inserite nel disegno di legge comunitaria 2008. A queste vanno aggiunte altre 5 direttive di anni precedenti già scadute, non ancora recepite ed il cui recepimento non è previsto da alcuna legge comunitaria.
d) l’elenco delle direttive attuate con regolamento, ai sensi dell’art. 11 della legge n. 11/2005, nonché gli estremi degli eventuali regolamenti d’attuazione già adottati.
La relazione al disegno di legge comunitaria 2008 indica che, nell’anno 2007, non risultano essere state attuate direttive con regolamento.
e) l’elenco degli atti normativi regionali e delle province autonome attuativi delle direttive comunitarie, anche con riferimento alle leggi annuali di recepimento eventualmente approvate dalle regioni o dalle province autonome.
Si tratta di dati che devono essere comunicati annualmente (entro il 25 gennaio) al Dipartimento per le politiche comunitarie da parte della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome. Il disegno di legge comunitaria per il 2008 evidenzia che, alla data del 10 giugno 2008, sono pervenuti i dati delle seguenti regioni:
Ø Abruzzo (6 direttive recepite);
Ø Emilia-Romagna (4 direttive recepite);
Ø Friuli Venezia Giulia (3 direttive recepite);
Ø Lazio (1 direttiva recepita);
Ø Lombardia (1 direttiva recepita);
Ø Marche (1 direttiva recepita);
Ø Piemonte (1 direttiva recepita);
Ø Valle d’Aosta (3 direttive recepite);
Ø Veneto (2 direttive recepite);
Ø Provincia autonoma di Bolzano (1 direttiva recepita);
Ø Provincia autonoma di Trento (4 direttive recepite).
Le regioni Puglia e Toscana hanno comunicato di non aver dato, nel corso dell’anno 2007, diretta attuazione a direttive comunitarie.
La regione Sardegna ha comunicato di aver adottato la legge regionale 7 agosto 2007, n. 5, in attuazione della direttiva 2004/18/CE in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi. Alcune disposizioni di tale provvedimento sono state tuttavia impugnate dal Governo innanzi la Corte costituzionale in quanto “non in linea con i principi costituzionali che presiedono al riparto delle competenze legislative in materia”. La Corte, con la sentenza n. 411 del 3-17 dicembre 2008, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme regionali impugnate “per violazione dell’art. 3, lettera e), dello statuto, in quanto stabiliscono una disciplina difforme da quella nazionale, alla quale avrebbero dovuto adeguarsi alla stregua dell’art. 4, comma 5, del d. lgs. n. 163 del 2006, in materie, quelle della tutela della concorrenza e dell’ordinamento civile, estranee alla competenza legislativa regionale e riservate viceversa allo Stato”.
Si rileva, infine, che non è più previsto dalla legge n. 11 del 2005 l’obbligo di indicare l’elenco delle direttive che non necessitano di provvedimento di attuazione, in quanto evidentemente di diretta applicazione, in virtù del loro contenuto sufficientemente specifico, ovvero in quanto l’ordinamento interno risulta già conforme ad esse.
Profili generali
Nella tabella 2 allegata al presente dossier è indicato,per ciascuno Stato membro dell’Unione europea, lo stato di attuazione di tutte le direttive comunitarie già scadute alla data del 9 marzo 2009[25]. A tale data risultano scadute e applicabili in Italia 3.001 direttive. L’Italia si colloca al 25° posto nella graduatoria del recepimento a 27 Paesi, avendo comunicato i provvedimenti di attuazione relativi a 2.965 di queste, pari al 98,80 per cento delle direttive da recepire (la media CE a 27 Stati è pari al 99,30 per cento). Alla data del 9 marzo 2009 risulta quindi un deficit di attuazione dell’Italia pari a 36 direttive.
Nella tabella 3, allegata al dossier[26], sono invece riportate le direttive il cui recepimento è stato previsto da leggi comunitarie precedenti a quella del 2008 e che non risultano ancora attuate. Complessivamente, risultano ancora da recepire 59 direttive contenute nelle precedenti leggi comunitarie, a prescindere dal termine di recepimento[27],e, tra queste, 23 direttivesono da attuare in base alla legge comunitaria 2006 (legge n. 13 del 2007)[28].
Le direttive contenute in precedenti leggi comunitarie, il cui termine di recepimento è già scaduto (al 20 marzo 2009) e che non sono ancora state attuate risultano essere 43.
Si segnala che di recente sono stati presentati dal Governo, e sono attualmente all’esame delle competenti Commissioni parlamentari, 26 schemi di decreto per il recepimento di direttive.
Infine, come si desume dalla tabella 4, le direttive scadute o in scadenza nell’anno 2009, non recepite e non inserite in leggi comunitarie, risultano essere 22.
Le direttive comunitarie relative al solo “Mercato interno”
La Commissione europea ritiene che il mercato interno svolga un ruolo fondamentale nella realizzazione dell’obiettivo che l’Unione europea si è fissata in materia di crescita e occupazione e che tuttavia esso non possa realizzare pienamente il suo potenziale se la legislazione concordata a livello europeo non viene effettivamente recepita e applicata da tutti gli Stati membri.
In base ai dati dell’ultimo scoreboard della Commissione europea[29], il tasso di mancato recepimento dell’UE a 27 Paesi[30], che indica la percentuale media delle direttive relative al mercato interno in vigore e non trasposte alla scadenza, è pari all’1 per cento, con una diminuzione dello 0,2 per cento rispetto al dato registrato nel mese di luglio 2007 (1,2 per cento). È stato pertanto raggiunto l’obiettivo a medio termine concordato dai Capi di Stato e di Governo dell’Unione,nel Consiglio europeo di marzo 2007, considerato elemento chiave per il successo ed il rilancio della “Strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione”.
Per quanto riguarda la graduatoria dei singoli Stati dell’Unione, considerando l’UE a 27 Paesi, 17 Stati membri hanno raggiunto l’obiettivo. Si tratta, nell’ordine, di Danimarca, Malta, Slovenia, Bulgaria, Paesi Bassi, Romania, Slovacchia, Lettonia, Ungheria, Germania, Lituania, Finlandia, Francia, Austria, Irlanda, Svezia e Spagna. Danimarca e Malta hanno fatto registrare ex aequo il risultato migliore.
L’Italia si colloca nel gruppo dei 10 Paesi che non hanno ancora centrato l’obiettivo dell’1 per cento. In particolare, l’Italia risulta avere un deficit pari all’1,3 per cento e si colloca al 20° posto della graduatoria a 27 Paesicon 21 direttive relative al solo mercato interno ancora da recepire alla data del 19 febbraio 2009.
Il quadro normativo regionale concernente il raccordo con la normativa comunitaria è complesso e in continua evoluzione. La partecipazione delle regioni alla fase ascendente e discendente del diritto comunitario ha assunto sempre maggior rilievo a partire dalla riforma costituzionale del 2001 e dalla legge 131/2003 (cosiddetta “La Loggia”) che ne disciplina gli aspetti generali. Con la legge 11 del 2005, come già illustrato, sono state emanate norme più specifiche sulla partecipazione delle regioni alla formazione degli atti comunitari (articolo 5) e sui rapporti istituzionali tra Governo e Regioni, con riferimento, in particolare, al ruolo e alle funzioni della Conferenza Stato-Regioni, per la quale viene istituita una sessione comunitaria, e degli organismi rappresentativi dei Governi regionali (Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome) e delle Assemblee legislative (Conferenza dei Presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome)[31].
Molte regioni hanno adottato norme organiche in materia, così le regioni Friuli-Venezia Giulia (L.R. n. 10/2004 e L.R. n. 17/2007, artt. 17 e 18), Valle d’Aosta (L.R. n. 8/2006), Marche (L.R. n. 14/2006), Calabria (L.R. n. 3/2007), Umbria (L.R. n. 23/2007, artt. 29-35), Emilia-Romagna (L.R. n. 16/2008[32]), Molise (L.R. n. 32/2008) e Campania (L.R. n. 18/2008)[33]. Le norme regionali disciplinano:
§ la partecipazione della Regione alla formazione degli atti comunitari, in particolare le forme istituzionali di informazione e raccordo tra Giunta e Consiglio, nonché le funzioni di ciascun organo in relazione alla formazione della posizione italiana sui progetti di atti comunitari e i documenti di consultazione (libri verdi, libri bianchi, comunicazioni);
§ l’attuazione degli atti comunitari e delle sentenze della Corte di Giustizia, principalmente attraverso la legge comunitaria regionale;
In alcuni casi le norme regionali disciplinano altresì le attività di rilievo internazionale della regione – tra cui gli accordi con altri Stati e le intese con enti territoriali interni ad altro Stato dell’UE – e i rapporti interregionali (Emilia-Romagna; Umbria; Valle d’Aosta).
Disposizioni di principio sui rapporti con l’Unione europea sono contenute in tutti i nuovi statuti adottati dalle regioni a statuto ordinario a seguito della riforma costituzionale del 2001[34]. In alcuni casi per la disciplina di dettaglio lo statuto fa rinvio alla legge regionale, in altri casi, invece, sono presenti anche disposizioni specifiche:
§ adozione della legge comunitaria regionale quale strumento principale per l’attuazione degli obblighi derivanti dall’appartenenza alla CE (Calabria, Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Piemonte e Umbria)
§ previsione di una sessione comunitaria dei lavori del Consiglio regionale (Lazio, Piemonte, Lombardia);
§ istituzione di una specifica Commissione competente in materia comunitaria (Calabria, Lazio e Liguria)[35].
Le leggi regionali di cui sopra[36] indicano la legge comunitaria regionale quale strumento principale – ma non esclusivo – per dare attuazione agli atti normativi comunitari e alle sentenze della Corte di giustizia nelle materie di competenza della regione. Fa eccezione la legge della Campania secondo cui la regione adempie agli obblighi comunitari con i consueti strumenti normativi (regolamento, provvedimento amministrativo, legge).
Il disegno di legge comunitaria, presentato annualmente dalla Giunta al Consiglio entro una specifica data (che varia dal 31 marzo in Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta al 1° luglio in Molise), viene esaminato nell’ambito di una sessione comunitaria del Consiglio regionale, in alcuni casi insieme al rapporto sullo stato di attuazione delle politiche comunitarie.
Le regioni Umbria e Molise pongono un termine per l’approvazione della legge comunitaria regionale. In Umbria il disegno di legge deve essere presentato entro il 30 giugno e approvato in tempo utile per la predisposizione dell'elenco degli atti normativi con i quali nelle singole regioni e province autonome si è provveduto a dare attuazione alle direttive nelle materie di loro competenza. Il riferimento della legge umbra è all’elenco di cui all’art. 8, comma 5, lett. e) della legge n. 11 del 2005, che deve essere predisposto dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano e trasmesso alla Presidenza del Consiglio non oltre il 25 gennaio di ogni anno. Per la regione Molise invece il termine per l’approvazione è entro l’anno di riferimento.
La legge comunitaria regionale ha un contenuto obbligatorio condiviso dalle regioni che l’hanno disciplinata. Essa, in analogia con quanto disposto per la legge comunitaria nazionale, deve contenere:
§ disposizioni modificative o abrogative di norme legislative in contrasto con gli obblighi comunitari;
§ disposizioni per dare attuazione ad atti comunitari ed anche alle sentenze della Corte di giustizia;
§ disposizioni che autorizzano la Giunta ad attuare le direttive in via regolamentare e/o amministrativa.
Alcune regioni aggiungono inoltre:
§ disposizioni per l’attuazione di programmi regionali cofinanziati dall’Unione europea (Valle d’Aosta, Emilia-Romagna);
§ indicazione del termine per l’adozione di ogni ulteriore atto regionale di attuazione cui la legge eventualmente rimandi (Emilia-Romagna);
§ elenchi allegati degli atti normativi comunitari che non necessitano di recepimento, in quanto l’ordinamento regionale risulta già conforme (Calabria) e degli atti normativi comunitari attuati in via amministrativa e/o regolamentare dalla Giunta (Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta).
Ancora in analogia con quanto disposto per la legge comunitaria nazionale, nella relazione che accompagna il disegno di legge la Giunta riferisce sullo stato di uniformità dell’ordinamento regionale al diritto comunitario e sulle eventuali procedure di infrazione a carico dello Stato per inadempienze regionali.
La normativa regionale si differenzia maggiormente in relazione ai rapporti istituzionali tra i soggetti coinvolti e le funzioni di ciascuno.
In alcune regioni la Giunta regionale presenta al Consiglio – insieme al disegno di legge comunitaria nella sessione comunitaria – il Rapporto sullo stato di attuazione delle politiche comunitarie nella regione, in cui sono esposte le posizioni sostenute dalla Regione in seno alla Conferenza Stato-Regioni nell’ambito della sessione comunitaria della stessa e nell’ambito del Comitato delle Regioni, lo stato di avanzamento dei programmi di competenza della Regione e gli orientamenti, le misure che si intendono adottare per l’attuazione delle politiche comunitarie per l’anno in corso (Calabria, Marche e Molise)[37]. Nella regione Campania analogo rapporto deve essere elaborato nell’ambito della sessione comunitaria della Giunta regionale, convocata dal Presidente della Regione almeno una volta all’anno al fine di verificare lo stato di avanzamento degli interventi regionali e definire le linee di azione[38]. La legge della regione Emilia-Romagna non prevede un unitario rapporto, ma elenca nel dettaglio le informazioni che la Giunta è tenuta a fornire al Consiglio, tra cui quelle relative alle osservazioni inviate al Presidente del Consiglio ai fini della posizione italiana (art. 5, comma 3, legge n. 11 del 2005) e quindi le informazioni sull’iter di formazione degli atti come comunicato dalla Conferenza dei Presidenti, nonché sulle risultanze delle riunioni del Consiglio UE aventi ad oggetto le proposte ed atti su cui la regione (Giunta o Consiglio) ha espresso una posizione.
In altre regioni – Valle d’Aosta e Umbria – è il Presidente della Regione che riferisce annualmente sulle iniziative e sulle attività svolte in relazione alle politiche comunitarie. In Friuli Venezia Giulia il Presidente della Regione ha, inoltre, il compito di informare il Consiglio regionale delle risultanze delle riunioni del Consiglio dei ministri dell’Unione europea entro quindici giorni dal loro svolgimento.
Le regioni che hanno adottato la legge comunitaria regionale sono:
§ la regione Friuli Venezia Giulia che ha adottato annualmente la legge comunitaria regionale ad iniziare dal 2004 fino all’ultima relativa al 2007, legge regionale 21 luglio 2008, n. 7[39].
§ la regione Valle d’Aosta che ha approvato la prima legge comunitaria nel 2007 (L.R. 21 maggio 2007, n. 8), avente ad oggetto le stesse direttive cui dà attuazione la legge comunitaria del Friuli Venezia Giulia per il 2006[40].
§ la regione Marche che ha adottato la prima legge comunitaria regionale riferita al 2008, L.R. 16 dicembre 2008, n. 36[41].
Schede di lettura sugli articoli
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro la scadenza del termine di recepimento fissato dalle singole direttive, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B. Per le direttive elencate negli allegati A e B il cui termine di recepimento sia già scaduto ovvero scada nei tre mesi successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo è delegato ad adottare i decreti legislativi di attuazione entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Per le direttive elencate negli allegati A e B che non prevedono un termine di recepimento, il Governo è delegato ad adottare i decreti legislativi entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
2. I decreti legislativi sono adottati, nel rispetto dell’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione all’oggetto della direttiva.
3. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese nell’elenco di cui all’allegato B, nonché, qualora sia previsto il ricorso a sanzioni penali, quelli relativi all’attuazione delle direttive comprese nell’elenco di cui all’allegato A, sono trasmessi, dopo l’acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perché su di essi sia espresso il parere dei competenti organi parlamentari. Decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza del parere. Qualora il termine per l’espressione del parere parlamentare di cui al presente comma ovvero i diversi termini previsti dai commi 4 e 8 scadano nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini previsti ai commi 1 o 5 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di novanta giorni.
4. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive che comportino conseguenze finanziarie sono corredati della relazione tecnica di cui all’articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Su di essi è richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all’esigenza di garantire il rispetto dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi d’informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro venti giorni.
5. Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può adottare, con la procedura indicata nei commi 2, 3 e 4, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati ai sensi del citato comma 1, fatto salvo quanto previsto dal comma 6.
6. I decreti legislativi, relativi alle direttive di cui agli allegati A e B, adottati, ai sensi dell’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, si applicano alle condizioni e secondo le procedure di cui all’articolo 11, comma 8, della legge 4 febbraio 2005, n. 11.
7. Il Ministro per le politiche europee, nel caso in cui una o più deleghe di cui al comma 1 non risultino esercitate alla scadenza del termine previsto, trasmette alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica una relazione che dà conto dei motivi addotti a giustificazione del ritardo dai Ministri con competenza istituzionale prevalente per la materia. Il Ministro per le politiche europee ogni sei mesi informa altresì la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome nelle materie di loro competenza, secondo modalità di individuazione delle stesse da definire con accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
8. Il Governo, quando non intende conformarsi ai pareri parlamentari di cui al comma 3, relativi a sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B, ritrasmette con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni i testi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica. Decorsi venti giorni dalla data di ritrasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza di nuovo parere.
L’articolo 1 conferisce una delega al Governo per l’attuazione delle direttive comunitarie riportate in allegato alla legge comunitaria e stabilisce i termini e le modalità di emanazione dei decreti legislativi attuativi.
L’attuazione delle direttive comunitarie mediante delega legislativa, già contemplata dall’art. 3 della L. 86/1989[42] è ora espressamente prevista, in via generale, dalla L. 11/2005[43] il cui art. 9, nel fissare i contenuti della legge comunitaria annuale, prevede che l’adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello comunitario venga assicurato, oltre che con disposizioni modificative o abrogative di norme statali vigenti e con autorizzazione al Governo ad intervenire in via regolamentare, anche mediante conferimento al Governo di delega legislativa.
In particolare, il comma 1, nel fare richiamo ai due elenchi di direttive comprese negli allegati A e B, pone i relativi termini di attuazione mediante decreto legislativo con le stesse innovative modalità introdotte dalla legge comunitaria 2007.
Il termine generale per l’esercizio della delega, infatti, non è determinato mediante indicazione di una data fissa o di un periodo uniforme per tutte le direttive, ma viene fatto coincidere con il termine di recepimento previsto da ciascuna delle direttive medesime (mentre la legge comunitaria per il 2006, in linea con le precedenti leggi comunitarie, fissava un termine generale pari a dodici mesi dall’entrata in vigore della legge: cfr. art. 1, co. 1, della legge n. 13/2007).
Accanto al termine generale “flessibile”, dianzi illustrato, il comma 1 dispone anche, specificamente, in ordine:
§ alle direttive comprese negli allegati il cui termine di recepimento sia già scaduto ovvero scada nei tre mesi successivi all’entrata in vigore della legge comunitaria: in questo caso il termine della delega è di tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge;
§ alle direttive comprese negli allegati che non prevedono un termine di recepimento: in questo caso il termine della delega è di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge comunitaria.
Si ricorda, al riguardo, che il termine rappresenta uno degli elementi essenziali della delega che, a mente dell’articolo 76 Cost., deve tra l’altro essere conferita per un “tempo limitato”. La peculiarità della tecnica legislativa usata in questo caso dal Governo risiede nel fatto che il termine delle singole deleghe è determinato per relationem: non è, infatti, espressamente indicato nella legge di delega, ma va ricostruito caso per caso, ricorrendo a fonti esterne alla legge stessa.
La distinzione tra i due allegati risiede nel fatto che (comma 3) il procedimento per l’attuazione delle direttive incluse nell’allegato B prevede l’espressione del parere da parte dei competenti organi parlamentari; decorsi 40 giorni dalla data di trasmissione, i decreti possono comunque essere emanati anche in assenza del parere. Tale procedura – che riproduce quella già prevista nelle ultime leggi comunitarie – è estesa anche ai decreti di attuazione delle direttive di cui all’allegato A, qualora in essi sia previsto il ricorso a sanzioni penali.
È inoltre previsto che, qualora il termine fissato per l’espressione del parere parlamentare venga a spirare nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine per l’esercizio della delega o successivamente, il termine per la delega sia prorogato di 90 giorni. Si intende in tal modo permettere al Governo di usufruire in ogni caso di un adeguato periodo di tempo per l’eventuale recepimento nei decreti legislativi delle indicazioni emerse in sede parlamentare.
Tale ultima previsione normativa si applica anche ai decreti legislativi integrativi o correttivi previsti dal successivo comma 5, nonché alle ipotesi di eventuale “doppio parere” previste dai commi 4 e 8, di cui si dirà tra breve.
Il testo prevede che il parere parlamentare debba essere richiesto dopo aver già acquisito tutti gli altri pareri previsti dalla legge, in linea con la prassi affermatasi nelle scorse legislature, soprattutto a partire dal 1998, a seguito dei reiterati interventi dei Presidenti delle Camere nei confronti del Governo, volti ad ottenere che il testo trasmesso per il parere parlamentare avesse completato la fase procedimentale interna all’esecutivo.
Il comma 2 richiama la procedura prevista dall’art. 14 della L. 400/1988[44] per l’adozione dei decreti legislativi, i quali sono emanati dal Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e con gli altri ministri interessati in relazione all’oggetto della direttiva.
Il comma 4 reca una disposizione (già contenuta nelle leggi comunitarie a partire dal 2004), che prevede modalità procedurali specifiche per il recepimento delle direttive che comportino conseguenze finanziarie. I relativi schemi di decreto legislativo:
§ dovranno essere corredati della relazione tecnica prevista dalla L. 468/1978[45] (art. 11-ter, co. 2);
§ saranno oggetto del parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari.
Per quanto riguarda la prima condizione, va segnalato che l’obbligo di accompagnare con la relazione tecnica gli schemi di decreto legislativo comportanti conseguenze finanziarie è già contemplato in via generale dalla L. 468/1978.
Il comma prevede, altresì, che il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate al fine di garantire il rispetto dell’art. 81, quarto comma, Cost.[46], deve sottoporre i testi (corredati delle necessarie informazioni integrative) a un nuovo parere delle Commissioni competenti per i profili finanziari, che si esprimono entro 20 giorni. Viene così introdotto il cosiddetto “doppio parere”, limitatamente ai provvedimenti di recepimento delle direttive sopra indicate. Una misura analoga è prevista, come si vedrà, per gli schemi di decreto che prevedono sanzioni penali (comma 8).
Il comma 5 autorizza il Governo ad adottare con la medesima procedura di cui ai commi 2, 3 e 4, entro 24 mesi dall’entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi, disposizioni integrative e correttive dei decreti medesimi, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dal testo in commento.
Il comma 6 prevede che per i decreti legislativi emanati dal Governo al fine di dare attuazione alle direttive comunitarie comprese negli allegati, in materie di competenza legislativa regionale, valgano le condizioni e le procedure di cui all’art. 11, co. 8, della L. 11/2005. Tale ultima norma prevede – in attuazione del quinto comma dell’art. 117 della Costituzione – un intervento suppletivo anticipato e cedevole da parte dello Stato, in caso di inadempienza delle Regioni nell’attuazione delle direttive nelle materie di loro competenza.
Come illustrato in precedenza (cfr. il paragrafo I poteri statali sostitutivi), la disciplina dei poteri statali sostitutivi è contenuta – nell’ambito della L. 11/2005 – negli artt. 11, co. 8, relativo all’attuazione in via regolamentare, 13, co. 2, relativo agli adeguamenti tecnici e 16, co. 3, in materia di attuazione regionale.
La disciplina è sostanzialmente quella prevista dall’art. 11, co. 8, in base al quale spetta allo Stato, secondo modalità da stabilirsi con legge, un potere sostitutivo delle regioni e province autonome per i casi di loro inadempienza agli obblighi di attuazione degli atti normativi dell’Unione europea. La norma prevede un’articolata garanzia per le Regioni e Province autonome:
§ gli atti statali attuativi di direttive comunitarie, che intervengono su materie rimesse alla competenza legislativa – concorrente o residuale generale – delle regioni o delle province autonome, entrano in vigore solo alla data di scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa comunitaria, per le regioni e le province autonome che non abbiano ancora adottato la propria normativa di attuazione;
§ gli atti statali perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa regionale (o provinciale) di attuazione delle direttive comunitarie, adottata da ciascuna regione e provincia autonoma e devono recare l’esplicita indicazione della natura sostitutiva e cedevole del potere esercitato e delle disposizioni in essi contenute.
Analogamente, l’art. 13, co. 2, stabilisce che i provvedimenti in materia di adeguamenti tecnici possono essere adottati nelle materie di competenza legislativa regionale in caso di inerzia delle regioni e province autonome. In tale caso, i provvedimenti statali adottati si applicano:
§ per le regioni e le province autonome nelle quali non sia ancora in vigore la propria normativa di attuazione;
§ a decorrere dalla scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa comunitaria.
Essi perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione di ciascuna regione e provincia autonoma. I provvedimenti recano l’esplicita indicazione della natura sostitutiva del potere esercitato e del carattere cedevole delle disposizioni in essi contenute.
Infine, l’art. 16, co. 3, in riferimento all’attuazione regionale delle direttive comunitarie, chiarisce che le disposizioni legislative adottate dallo Stato per l’adempimento degli obblighi comunitari in materie di competenza regionale si applicano “alle condizioni e secondo la procedura di cui all’articolo 11, comma 8”. La disciplina applicabile in questi casi è quindi desumibile dalla norma citata, che viene richiamata esclusivamente per quanto riguarda le condizioni e la procedura di attuazione, ma non per le tipologie di atti statali sostitutivi che essa presuppone.
Il comma 7 prevede l’obbligo per il Ministro per le politiche europee di trasmettere:
§ una relazione a ciascuna delle Camere qualora una o più deleghe conferite dal comma 1 non risultino esercitate entro il termine previsto (termine che in base al testo in esame coincide – generalmente – con quello per il recepimento della singola direttiva);
§ un’informativa periodica (con cadenza semestrale) sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e province autonome nelle materie di loro competenza, secondo “modalità di individuazione” delle stesse da definire con accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni (una previsione di questo tenore è stata inserita, per la prima volta, nella legge comunitaria 2007).
Si ricorda che il quadro delle competenze regionali è definito a livello costituzionale. Per quanto in particolare concerne l’attuazione della normativa comunitaria, l’art. 117 Cost. stabilisce che le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite dalla legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.
Il comma 8 concerne i pareri parlamentari aventi ad oggetto le disposizioni penali introdotte negli schemi di decreti legislativi e prevede che, qualora il Governo non intenda conformarsi ai pareri, debba ritrasmettere alle Camere gli schemi con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni. Le Commissioni competenti esprimono il parere definitivo entro 20 giorni, decorsi i quali i decreti sono comunque emanati.
1. Salvi gli specifici princìpi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni di cui ai capi II e III, ed in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare, i decreti legislativi di cui all’articolo 1 sono informati ai seguenti princìpi e criteri direttivi generali:
a) le amministrazioni direttamente interessate provvedono all’attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture amministrative, secondo il principio della massima semplificazione dei procedimenti e delle modalità di organizzazione e di esercizio delle funzioni e dei servizi;
b) ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, fatti salvi i procedimenti oggetto di semplificazione amministrativa ovvero le materie oggetto di delegificazione;
c) al di fuori dei casi previsti dalle norme penali vigenti, ove necessario per assicurare l’osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. Le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell’ammenda fino a 150.000 euro e dell’arresto fino a tre anni, sono previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi sono previste: la pena dell’ammenda alternativa all’arresto per le infrazioni che espongono a pericolo o danneggiano l’interesse protetto; la pena dell’arresto congiunta a quella dell’ammenda per le infrazioni che recano un danno di particolare gravità. Nelle predette ipotesi, in luogo dell’arresto e dell’ammenda, possono essere previste anche le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, e la relativa competenza del giudice di pace. La sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro è prevista per le infrazioni che ledano o espongano a pericolo interessi diversi da quelli indicati nei periodi precedenti. Nell’ambito dei limiti minimi e massimi previsti, le sanzioni indicate nella presente lettera sono determinate nella loro entità, tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell’interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l’infrazione può recare al colpevole ovvero alla persona o all’ente nel cui interesse egli agisce. Entro i limiti di pena indicati nella presente lettera sono previste sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi. Nelle materie di cui all’articolo 117, quarto comma, della Costituzione, le sanzioni amministrative sono determinate dalle regioni. Le somme derivanti dalle sanzioni di nuova istituzione, stabilite con i provvedimenti adottati in attuazione della presente legge, sono versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate, entro i limiti previsti dalla legislazione vigente, con decreti del Ministro dell’economia e delle finanze, alle amministrazioni competenti all’irrogazione delle stesse;
d) eventuali spese non contemplate da leggi vigenti e che non riguardano l’attività ordinaria delle amministrazioni statali o regionali possono essere previste nei decreti legislativi recanti le norme necessarie per dare attuazione alle direttive, nei soli limiti occorrenti per l’adempimento degli obblighi di attuazione delle direttive stesse; alla relativa copertura, nonché alla copertura delle minori entrate eventualmente derivanti dall’attuazione delle direttive, in quanto non sia possibile farvi fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a carico del fondo di rotazione di cui all’articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183;
e) all’attuazione di direttive che modificano precedenti direttive già attuate con legge o con decreto legislativo si procede, se la modificazione non comporta ampliamento della materia regolata, apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione della direttiva modificata;
f) nella predisposizione dei decreti legislativi si tiene conto delle eventuali modificazioni delle direttive comunitarie comunque intervenute fino al momento dell’esercizio della delega;
g) quando si verifichino sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse o comunque siano coinvolte le competenze di più amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano, attraverso le più opportune forme di coordinamento, rispettando i princìpi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione e le competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, le procedure per salvaguardare l’unitarietà dei processi decisionali, la trasparenza, la celerità, l’efficacia e l’economicità nell’azione amministrativa e la chiara individuazione dei soggetti responsabili;
h) quando non siano d’ostacolo i diversi termini di recepimento, sono attuate con un unico decreto legislativo le direttive che riguardano le stesse materie o che comunque comportano modifiche degli stessi atti normativi.
L’articolo 2, modificato nel corso dell’esame al Senato, detta i princìpi ed i criteri direttivi di carattere generale per l’esercizio delle deleghe ai fini dell’attuazione delle direttive comunitarie; si tratta di princìpi e criteri in gran parte conformi a quelli previsti dalle precedenti leggi comunitarie.
La disposizione, prima di elencare tali princìpi generali, richiama due ulteriori categorie di princìpi e criteri direttivi per l’esercizio delle deleghe:
§ si tratta, innanzitutto, dei princìpi e criteri contenuti nelle singole direttive comunitarie da attuare;
§ in secondo luogo, sono fatti salvi gli specifici criteri di delega previsti dal capo II e dal capo IV della legge comunitaria, contenenti disposizioni particolari di adempimento e criteri specifici di delega relativi ad alcune delle direttive da attuare, nonché disposizioni volte a dare attuazione a decisioni quadro adottate nell'ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.
Venendo ai criteri generali di delega, quello di cui alla lettera a) prevede che le amministrazioni interessate provvedano all’attuazione dei decreti legislativi avvalendosi delle loro strutture ordinarie, seguendo il principio della massima semplificazione procedimentale ed organizzativa: quest’ultimo costituisce un principio nuovo, rispetto alle precedenti leggi comunitarie, introdotto – come rileva la relazione illustrativa al disegno di legge – in coerenza con l’obiettivo della riduzione degli oneri amministrativi posto anche dalla Commissione europea.
La lettera b) dispone l’introduzione delle modifiche necessarie per un migliore coordinamento con le discipline vigenti nei singoli settori interessati dall’attuazione delle direttive comunitarie. Analogamente alle ultime cinque leggi comunitarie, la norma in esame fa salve “le materie oggetto di delegificazione ovvero i procedimenti oggetto di semplificazione amministrativa”.
Norme specifiche per l’introduzione nei decreti legislativi di recepimento delle direttive comunitarie di sanzioni penali e amministrative, per il caso di violazioni delle disposizioni contenute nei decreti legislativi stessi, sono previste nella lettera c). La scelta che il Governo è autorizzato ad operare, in sede di attuazione della delega, tra la configurazione delle violazioni come reati o come illeciti amministrativi, è ancorata ai seguenti princìpi e criteri direttivi[47]:
§ introduzione di nuove fattispecie al di fuori dei casi previsti dalle norme penali vigenti;
§ introduzione di nuove fattispecie di reati contravvenzionali, sanzionate – in via alternativa o congiunta – con la pena pecuniaria dell’ammenda fino a 150.000 euro e dell’arresto sino a 3 anni, nei casi in cui siano lesi o esposti a pericolo “interessi costituzionalmente protetti”. Quest’ultima formula è stata per la prima volta introdotta nella legge comunitaria per il 2002 (L. 14/2003). Le leggi comunitarie precedenti facevano, invece, riferimento ad “interessi generali dell’ordinamento interno, compreso l’ecosistema”. In particolare, le pene citate dovranno essere previste come alternative per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l’interesse protetto; viceversa, si applicherà la pena congiunta dell’ammenda e dell’arresto per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità[48];
§ irrogabilità, nelle ipotesi testé dette, delle sanzioni alternative di cui agli artt. 53 ss. del d.lgs. 274/2000[49], applicandosi la relativa competenza del giudice di pace; tali sanzioni sono quelle consistenti nell’obbligo di permanenza domiciliare (il sabato e la domenica), nel divieto di accesso a determinati luoghi e nello svolgimento di lavori di pubblica utilità (solo su richiesta del contravventore);
§ introduzione di nuove fattispecie di illeciti amministrativi puniti con la sanzione pecuniaria di importo non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro, per le violazioni che ledano o espongano a pericolo beni giuridici diversi da quelli sopra indicati;
§ nell’ambito del minimo e del massimo previsti, determinazione della pena edittale in ragione delle diverse potenzialità lesive dell’interesse protetto che le infrazioni presentano in astratto, delle specifiche qualità personali del colpevole – con particolare riferimento a quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza – e del vantaggio patrimoniale che l’infrazione può recare al colpevole (o all’ente o alla persona nel cui interesse agisce);
§ entro i limiti di pena sopra indicati, previsione di sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate da leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività (la previsione dei limiti rende pertanto astrattamente possibile la differenziazione punitiva fra fattispecie omogenee e di pari offensività);
§ riserva di determinazione regionale delle sanzioni amministrative, nelle materie di cui all’articolo 117, quarto comma, della Costituzione, ossia nelle materie rimesse alla potestà legislativa “residuale” delle regioni (si tratta di un principio innovativo rispetto a quanto previsto dalla legge comunitaria 2007);
§ riassegnazione delle somme derivanti dalle sanzioni di nuova istituzione alle amministrazioni competenti all’irrogazione delle stesse (entro i limiti previsti dalla legislazione vigente, previo versamento all’entrata del bilancio dello Stato e tramite decreti del Ministro dell’economia e delle finanze).
Il principio di delega di cui alla lettera d) fa riferimento alla copertura finanziaria delle norme delegate. Al riguardo, si stabilisce che le spese derivanti dall’attuazione delle direttive, ove non contemplate dalle leggi vigenti e non riguardanti l’attività ordinaria delle amministrazioni interessate, possono essere previste nei decreti legislativi recanti le norme necessarie per dare attuazione alle direttive nei soli limiti occorrenti per l’adempimento degli obblighi di attuazione delle direttive stesse.
Per la relativa copertura (anche con riferimento alle eventuali minori entrate derivanti dall’attuazione) si farà ricorso alle disponibilità sussistenti sul fondo di rotazione di cui all’art. 5 della L. 183/1987 (vedi infra), ove non sia possibile farvi fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni. Analoghe disposizioni sono contenute nelle leggi comunitarie per il 2006 e per il 2007.
La citata legge n. 183/1987[50] istituisce, tra gli organi del coordinamento delle politiche comunitarie, il Fondo di rotazione. Ai sensi dell’art. 5 della legge, confluiscono nel fondo le somme erogate dalle istituzioni comunitarie, le somme individuate annualmente in sede di legge finanziaria e altre somme determinate con la legge di bilancio (nonché altre somme specifiche). Le risorse presenti sul fondo vengono erogate, su richiesta e secondo limiti di quote determinate dal CIPE, alle amministrazioni pubbliche e ad altri operatori pubblici e privati per l’attuazione dei programmi di politica comunitaria.
Le procedure finanziarie riguardanti le erogazioni concesse dal Fondo di rotazione delle politiche comunitarie sono state modificate dall’art. 65, co. 2, della legge finanziaria 2001 (legge 23 dicembre 2000, n. 388). Richiamando le nuove procedure finanziarie previste dai regolamenti comunitari per il ciclo di interventi dei Fondi strutturali 2000-2006, la norma ha autorizzato il Fondo di rotazione ad anticipare alle amministrazioni centrali l’acconto dei contributi comunitari previsto dall’art. 32, par. 2, del regolamento (CE) n. 1260/1999, direttamente in base ai programmi operativi previsti dai regolamenti comunitari, anziché, come in precedenza, in base ai progetti in cui si articolano i programmi di intervento. La norma intende facilitare l’avvio da parte delle amministrazioni centrali degli interventi, ovviando alla mancanza di disponibilità di cassa in attesa del ricevimento dell’acconto da parte comunitaria, fermo restando il successivo reintegro al Fondo stesso degli accrediti provenienti dall’Unione europea. I ritardi nell’avvio dell’attuazione degli interventi comportano, infatti, secondo quanto espressamente previsto dal regolamento, il disimpegno automatico delle risorse comunitarie.
Criteri legati all’armonizzazione delle deleghe legislative sono contenuti nelle lettere e) ed f). In particolare, si dispone che l’attuazione di direttive che modificano precedenti direttive già attuate avvenga per mezzo di modifiche apportate ai testi legislativi di attuazione di tali direttive (ove ciò non determini ampliamento della materia regolata), e che nella stesura dei decreti legislativi di attuazione si tenga conto delle eventuali modifiche delle direttive intervenute fino al momento del concreto esercizio della delega.
Criteri connessi all’univocità dei processi decisionali, quando i decreti legislativi investano trasversalmente diverse competenze ed amministrazioni, sono contenuti nella lettera g), che si pone inoltre l’obiettivo di garantire, attraverso specifiche forme di coordinamento, anche la trasparenza nell’azione amministrativa e la chiarezza nell’attribuzione di responsabilità. Sono espressamente richiamati il rispetto delle competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, nonché l’osservanza dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione.
Si ricorda che i primi tre princìpi qui menzionati (sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza), già posti dalla L. 59/1997[51] a fondamento della ripartizione delle funzioni e dei compiti amministrativi tra i vari livelli di governo, hanno assunto rilievo costituzionale in virtù della L. Cost. 3/2001, di riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione. Quest’ultima, nel novellare l’art. 118 Cost., ha infatti posto i princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza alla base della ripartizione delle funzioni amministrative tra Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato. Il principio di leale collaborazione, pur non espressamente menzionato dall’art. 118 Cost., è tuttavia riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale quale principio essenziale informatore dei rapporti tra Stato ed autonomie territoriali (v. per tutte la sent. C. Cost. 303/2003).
La lettera h) fissa il principio secondo cui deve darsi attuazione con un unico decreto legislativo alle direttive che:
§ riguardino le stesse materie;
§ pur riguardando materie diverse, comportino modifiche degli stessi atti normativi.
Tale principio di “attuazione unitaria” è destinato a operare qualora non siano “di ostacolo” i diversi termini di recepimento delle direttive.
Art. 3
(Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di disposizioni comunitarie )
1. Al fine di assicurare la piena integrazione delle norme comunitarie nell’ordinamento nazionale, il Governo, fatte salve le norme penali vigenti, è delegato ad adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di obblighi contenuti in provvedimenti attuativi di direttive comunitarie, di natura regolamentare o amministrativa, emanati ai sensi delle leggi comunitarie vigenti, o in regolamenti comunitari pubblicati alla data di entrata in vigore della presente legge, per i quali non sono già previste sanzioni penali o amministrative.
2. La delega di cui al comma 1 è esercitata con decreti legislativi adottati ai sensi dell’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia. I decreti legislativi si informano ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c).
3. Gli schemi di decreto legislativo di cui al presente articolo sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per l’espressione del parere da parte dei competenti organi parlamentari con le modalità e nei termini previsti dai commi 3 e 8 dell’articolo 1.
L’articolo 3, modificato nel corso dell’esame al Senato, prevede, in analogia con quanto disposto dalle ultime leggi comunitarie, l’introduzione di un trattamento sanzionatorio per le violazioni di obblighi discendenti da direttive attuate, ai sensi delle leggi comunitarie vigenti, in via regolamentare o amministrativa (ossia per via non legislativa) e per le violazioni di regolamenti comunitari già pubblicati alla data di entrata in vigore della legge comunitaria.
La necessità della disposizione risiede nel fatto che, sia nel caso dell’attuazione di direttive in via regolamentare o amministrativa, sia nel caso di regolamenti comunitari (che, come è noto, non necessitano di leggi di recepimento, essendo direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale), è necessaria una fonte normativa di rango primario atta ad introdurre norme sanzionatorie di natura penale nell’ordinamento nazionale.
La finalità dell’articolo è, pertanto, quella di consentire al Governo di introdurre sanzioni volte a punire le trasgressioni commesse in violazione dei precetti contenuti nelle disposizioni normative comunitarie, garantendo il rispetto degli atti regolamentari o amministrativi con cui tali disposizioni comunitarie vengono trasposte nell’ordinamento interno.
A tal fine, il comma 1 contiene una delega al Governo per l’adozione, entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge e fatte salve le norme penali vigenti, di disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per la violazione di obblighi contenuti in provvedimenti attuativi di direttive comunitarie, di natura regolamentare o amministrativa, emanati ai sensi delle leggi comunitarie vigenti (non solo, pertanto, ai sensi della legge comunitaria in commento) nonché di regolamenti comunitari pubblicati alla data di entrata in vigore della legge comunitaria e per i quali non siano già previste sanzioni penali o amministrative.
La formulazione originaria dell’articolo faceva riferimento da una parte, alle direttive “attuate”, anziché ai “provvedimenti attuativi di direttive” e, dall'altra, ai regolamenti “vigenti” anziché pubblicati; la modifica appare finalizzata ad evitare ritardi nell'adozione delle discipline sanzionatorie, possibili soprattutto quando intercorre un lungo lasso di tempo tra la pubblicazione del regolamento e la sua entrata in vigore.
Il comma 2 stabilisce che i decreti legislativi siano adottati, ai sensi dell'art. 14 della L. 400/1988[52], su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia.
La tipologia e la scelta delle sanzioni deve essere effettuata secondo i princìpi e i criteri direttivi di cui all’articolo 2, co. 1, lett. c).
Il comma 3 prevede l’acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari sugli schemi di decreto legislativo. I pareri sono espressi con le modalità previste dai co. 3 e 8 dell’articolo 1.
1. In relazione agli oneri per prestazioni e controlli di cui all’articolo 9, comma 2, della legge 4 febbraio 2005, n. 11, le entrate derivanti dalle tariffe determinate ai sensi del predetto articolo, qualora riferite all’attuazione delle direttive di cui agli allegati A e B, nonché di quelle da recepire con lo strumento regolamentare, sono attribuite, nei limiti previsti dalla legislazione vigente, alle amministrazioni che effettuano le prestazioni e i controlli, mediante riassegnazione ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1999, n. 469.
L’articolo 4 detta disposizioni circa gli oneri derivanti dalle prestazioni e dai controlli che gli uffici pubblici sono chiamati a sostenere in applicazione della normativa comunitaria ed appare volto ad evitare – in aggiunta a quanto già prevede l’art. 9 della legge n. 11 del 2005 che lo stesso articolo richiama – che dall’effettuazione delle prestazioni e dei controlli medesimi possano derivare oneri per le amministrazioni interessate.
L’articolo in commento è stato modificato durante l’esame al Senato, al fine di eliminare possibili problematiche applicative riconducibili al testo iniziale. Il testo originario, infatti, si limitava a richiamare l’articolo 9, comma 2, della legge n. 11 del 2005, che pone a carico dei soggetti interessati i predetti oneri per prestazioni e controlli, secondo tariffe determinate sulla base del costo effettivo del servizio, purché ciò non risulti in contrasto con la disciplina comunitaria[53]. In aggiunta a tale disposizione è stata introdotta un’ulteriore norma relativa alle entrate derivanti dalle tariffe determinate ai sensi del citato articolo 9, qualora riferite all’attuazione delle direttive di cui agli allegati A e B, nonché di quelle da recepire mediante regolamento.
Tali entrate sono attribuite, nei limiti della legislazione vigente, alle amministrazioni che effettuano le prestazioni e i controlli, mediante riassegnazione ai sensi del regolamento di cui al D.P.R. n. 469 del 1999[54], che disciplina il procedimento per la riassegnazione alle unità previsionali di base del bilancio statale, con particolare riferimento ai finanziamenti dell’Unione europea.
Si segnala che la modifica approvata dal Senato integra l’articolo con una disposizione che risulta identica a quelle approvate nelle ultime leggi comunitarie.
Art. 5
(Delega al Governo per il riordino normativo nelle materie interessate dalle direttive comunitarie)
1. Il Governo è delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, con le modalità e secondo i princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, testi unici o codici di settore delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite dalla presente legge per il recepimento di direttive comunitarie, al fine di coordinare le medesime con le altre norme legislative vigenti nelle stesse materie.
2. I testi unici e i codici di settore di cui al comma 1 riguardano materie o settori omogenei. Le disposizioni contenute nei testi unici o nei codici di settore non possono essere abrogate, derogate, sospese o comunque modificate, se non in modo esplicito mediante l’indicazione puntuale delle disposizioni da abrogare, derogare, sospendere o modificare.
L’articolo 5 conferisce, al comma 1, una delega al Governo – da esercitare entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore della legge – per l’adozione di testi unici o codici di settore delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite dal disegno di legge in esame per il recepimento di direttive comunitarie, con lo scopo di coordinare tali disposizioni con quelle vigenti nelle stesse materie.
I decreti legislativi di riordino devono osservare i principi e criteri direttivi posti dall’art. 20 della L. 59/1997[55] e successive modificazioni, richiamato dal comma in commento.
Si ricorda che l’art. 20 richiamato reca una pluralità di princìpi e criteri direttivi volti a conformare l’opera del legislatore delegato alla razionalizzazione normativa, in aggiunta ai princìpi e criteri previsti dalle singole leggi annuali di semplificazione.
Il comma precisa che l’esercizio della delega volta al riordino normativo non deve comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
La previsione di riordino mediante codici di settore – oltre che tramite testi unici – è stata inserita per la prima volta nella legge comunitaria 2007. Tale scelta, innovativa rispetto ai contenuti delle precedenti leggi comunitarie, appare volta a prefigurare un “assestamento normativo”, dando luogo nelle singole materie ad un complesso di norme stabili e armonizzate, in virtù della maggiore portata innovativa del codice di settore rispetto a quella del testo unico.
Si può ricordare che, nell’evoluzione delle politiche di semplificazione, in materia di testi unici era intervenuta la disciplina generale di cui all’art. 7 della L. 50/1999[56], che prevedeva il riordino della normativa attraverso lo strumento dei testi unici cosiddetti “misti”, ossia recanti sia disposizioni di rango legislativo, che regolamentari.
È in seguito intervenuta la legge di semplificazione per il 2001 (legge n. 229/2003)[57], che ha innovato profondamente le metodologie di razionalizzazione normativa, modificando il contenuto della legge annuale di semplificazione (così come disciplinato dall’art. 20 della L. 59/1997), privilegiando il ricorso alla delegazione legislativa ed alla delegificazione e sancendo l’abbandono dei testi unici misti, con l’abrogazione del citato art. 7 della L. 50/1999, che li aveva introdotti.
La differenza fra testo unico e codice – fermo restando che entrambe le tipologie sono volte alla “riorganizzazione” (termine che ricomprende sia il “riordino” che il “riassetto”) delle fonti di regolazione e a una drastica riduzione del loro numero, in modo da permettere ai cittadini di avere un quadro ben preciso e unitario delle regole che disciplinano un settore della vita sociale – è stata individuata nel fatto che il secondo strumento di semplificazione autorizza il legislatore delegato non soltanto ad apportare modifiche di “coordinamento formale” alla disciplina di rango legislativo, ma anche consistenti innovazioni del merito della disciplina codificata. In altri termini, il codice, rispetto al testo unico, è connotato da una maggiore capacità innovativa dell’ordinamento (si veda, in tal senso, il parere reso dall’Adunanza generale del Consiglio di Stato in data 24 ottobre 2004, sullo schema di Codice dei diritti di proprietà industriale).
Il comma 2 stabilisce che i testi unici e i codici di settore debbano riguardare materie o settori omogenei. Inoltre, esso precisa che le disposizioni contenute nei predetti provvedimenti di riordino possono essere oggetto di interventi di abrogazione, deroga, sospensione o modificazione solo in via esplicita e con indicazione puntuale della disposizione su cui si interviene.
Il comma ripropone una norma analoga a quelle recate da diverse tra le precedenti leggi comunitarie, a partire dal 1994[58], in tema di riordino normativo nei settori interessati da direttive comunitarie. L’emanazione del testo unico in materia di intermediazione finanziaria costituisce il primo esempio di riordino normativo effettuato sulla base delle prescrizioni della legge comunitaria annuale (d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, adottato ai sensi degli artt. 8 e 21 della legge comunitaria per il 1994[59]).
Art. 6
(Modifiche alla legge 4 febbraio 2005, n. 11)
1. Alla legge 4 febbraio 2005, n. 11, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 8, comma 5, l’alinea è sostituito dal seguente: «Nell’ambito della relazione al disegno di legge di cui al comma 4 il Governo:»;
b) all’articolo 11-bis, comma 1, le parole: «per le quali la Commissione europea si è riservata di adottare disposizioni di attuazione» sono sostituite dalle seguenti: «che conferiscono alla Commissione europea il potere di adottare disposizioni di attuazione».
L’articolo in commento, introdotto nel corso dell’esame al Senato, modifica alcune disposizioni della legge n. 11/2005. In particolare:
a) al comma 1 viene modificato l’alinea del comma 5 dell’articolo 8, stabilendo che tutte le informazioni ivi contenute siano inserite nella relazione al disegno di legge comunitaria annuale presentata dal Governo, anziché nella apposita Nota aggiuntiva, aggiornata al 31 dicembre, come stabilito dall’art. 6 della legge n. 34/2008 (legge comunitaria 2007). In tal modo viene ripristinata la formulazione originaria della norma.
Trattasi, in particolare, delle seguenti indicazioni:
- i dati sullo stato di conformità dell'ordinamento interno al diritto comunitario e sullo stato delle eventuali procedure di infrazione dando conto, in particolare, della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee relativa alle eventuali inadempienze e violazioni degli obblighi comunitari da parte della Repubblica italiana;
- l'elenco delle direttive attuate o da attuare in via amministrativa;
- l’indicazione dell’eventuale omissione dell’inserimento di direttive il cui termine di recepimento sia scaduto o scada nel periodo di riferimento, in relazione ai tempi previsti per l’esercizio della delega legislativa.
- l’elenco delle direttive attuate con regolamento ai sensi dell’art. 11 della legge n. 11/2005, nonché gli estremi degli eventuali regolamenti d’attuazione già adottati.
- l’elenco degli atti normativi regionali e delle province autonome attuativi delle direttive comunitarie, anche con riferimento a leggi annuali di recepimento eventualmente approvate dalle regioni e dalle province autonome.
b) al comma 2: si modifica il comma 1 dell’art. 11-bis della legge n. 11 del 2005[60], che reca, in via generale, un’autorizzazione permanenteal Governo all’attuazione in via regolamentare – ex art. 17, comma 1, della legge n. 400/1988[61]– delle disposizioni adottate dalla Commissione europea in attuazione di direttive recepite con decreto legislativo.
La modifica in esame è volta a chiarire che l'articolo 11-bis ha ad oggetto il recepimento delle disposizioni di attuazione adottate dalla Commissione sulla base del potere conferitole espressamente dalle direttive comunitarie.
Art. 7
(Delega al Governo per il coordinamento delle disposizioni attuative
della direttiva 2004/41/CE con la normativa vigente in materia di alimenti e
mangimi e con i regolamenti (CE)
n. 178/2002, 852/2004, 853/2004, 854/2004, 882/2004 e 183/2005)
1. Il Governo è delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, con le modalità e secondo i princìpi e i criteri di cui all’articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro il termine di due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi al fine di coordinare le disposizioni attuative della direttiva 2004/41/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, con la vigente normativa in materia di alimenti e mangimi, nonché con i regolamenti (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, nn. 852/2004, 853/2004, 854/2004 e 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, e n. 183/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 gennaio 2005, e successive modificazioni.
2. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati, su proposta del Ministro per le politiche europee, del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali e del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro della giustizia, nel rispetto anche dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) riordino e coordinamento delle disposizioni vigenti, nel rispetto delle normative comunitarie e delle convenzioni internazionali in materia di armonizzazione della disciplina della produzione e della commercializzazione dei prodotti alimentari e dei mangimi, anche mediante l’abrogazione totale o parziale delle vigenti disposizioni in materia;
b) rispetto della tutela degli interessi relativi alla salute dell’uomo, degli animali e dei vegetali, dell’ambiente, della protezione ed informazione del consumatore e della qualità dei prodotti, garantendo la libera circolazione, allo scopo di assicurare competitività alle imprese;
c) abrogazione o modificazione delle norme rese inapplicabili o superate dallo sviluppo tecnologico e non più adeguate all’evoluzione produttiva e commerciale delle imprese;
d) riformulazione, razionalizzazione e graduazione dell’apparato sanzionatorio, in conformità ai criteri indicati all’articolo 2, comma 1, lettera c), con previsione di una sanzione amministrativa il cui importo, non inferiore a 500 euro e non superiore a 500.000 euro, deve tenere conto anche della dimensione dell’impresa e del relativo fatturato, al fine di rendere più incisive le sanzioni amministrative come deterrente effettivo;
e) conferma del principio della prescrizione «a priori» preventiva rispetto all’accertamento ed alla contestazione o notificazione delle violazioni nel relativo procedimento sanzionatorio;
f) reintroduzione e definizione delle modalità di semplificazione delle procedure di autocontrollo applicate nelle micro e piccole imprese, in conformità ai criteri di flessibilità riconosciuti dal regolamento (CE) n. 852/2004;
g) semplificazione delle procedure esistenti in materia di registrazione e riconoscimento delle imprese del settore alimentare e mangimistico, in conformità alle disposizioni comunitarie;
h) circolazione delle informazioni tra le Amministrazioni;
i) razionalizzazione e coordinamento delle attività degli organi di vigilanza e controllo nell’attuazione del Piano integrato di controllo nazionale pluriennale di cui all’articolo 41 del regolamento (CE) n. 882/2004, individuando, per detto Piano, il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali quale punto di contatto con gli organi comunitari;
l) individuazione, da demandare a decreti di natura non regolamentare, di requisiti e prescrizioni igienico-sanitarie degli alimenti, delle sostanze e dei materiali destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari, delle sostanze non alimentari impiegate negli e sugli stessi alimenti, compresi i prodotti fitosanitari, nonché determinazione delle modalità tecniche per l’effettuazione dei relativi controlli sanitari ufficiali;
m) individuazione di adeguate modalità e procedure di collaborazione tra gli uffici doganali e gli uffici periferici delle altre amministrazioni coinvolte nel controllo degli alimenti e dei mangimi;
n) definizione delle modalità di coordinamento e delle procedure di collaborazione ed interscambio delle informazioni tra le amministrazioni coinvolte nel controllo degli alimenti e dei mangimi e le autorità di controllo in materia di condizionalità della Politica agricola comune (PAC);
o) programmazione di una capillare e puntuale azione formativa e informativa rivolta a tutti i soggetti coinvolti e interessati dalle norme in questione.
3. Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui ai commi 1 e 2 e con la procedura di cui ai medesimi commi, il Governo può emanare disposizioni integrative e correttive dei decreti medesimi.
4. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
5. Le Amministrazioni statali interessate provvedono agli adempimenti previsti dal presente articolo con le risorse umane e strumentali disponibili a legislazione vigente.
L’articolo 7, modificato nel corso dell’esame presso il Senato, reca una delega al Governo ai fini del riordino della normativa in materia di igiene degli alimenti e dei mangimi, da esercitare entro due anni dall’entrata in vigore della legge, mediante l’emanazione di uno o più decreti legislativi, acquisito il parere della Conferenza Stato-regioni e secondo i criteri e le modalità stabiliti dall’articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59 per gli interventi adottati sulla base delle leggi annuali di semplificazione e di riassetto normativo. Il riordino oggetto della delega è finalizzato a coordinare la disciplina interna non costituente attuazione di normativa comunitaria – e non abrogata successivamente in quanto non contrastante con il diritto comunitario – con quella che ha recepito la direttiva 2004/41/CE[62] nonché con i regolamenti comunitari[63] in materia, che sono direttamente applicabili (comma 1).
Al comma 2 sono poi stabiliti alcuni principi e criteri direttivi specifici per l’esercizio della delega, tra i quali si ricordano: l’adeguamento della normativa vigente in relazione allo sviluppo tecnologico e all’evoluzione delle imprese (lettera c)); la revisione dell’apparato sanzionatorio secondo alcuni limiti e principi espressamente stabiliti (lettera d)); semplificazione delle procedure di autocontrollo applicate alle micro e piccole imprese (lettera f)); la semplificazione delle procedure in materia di registrazione e riconoscimento delle imprese del settore alimentare e mangimistico (lettera g)); il coordinamento e la collaborazione tra le pubbliche amministrazioni aventi competenza in materia (cfr. le lett. h), i), m) e n)); l’individuazione, mediante decreti di natura non regolamentare, di alcune prescrizioni tecniche igienico sanitarie (lett. l)); la programmazione di un’azione formativa e informativa, rivolta a tutti i soggetti interessati dalle norme in esame (lett. o )).
Il comma 3 prevede che entro 24 mesi dall’entrata in vigore dei decreti legislativi possano essere emanate, secondo i medesimi principi e la medesima procedura, disposizioni integrative e correttive. Viene poi sancita la clausola dell’invarianza degli oneri finanziari (comma 4) e stabilito che le amministrazioni statali interessate provvedano agli adempimenti previsti dalla nuova disciplina con le risorse umane e strumentali disponibili a legislazione vigente (comma 5).
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
Il 3 marzo 2008 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento sull’immissione sul mercato e sull’uso dei mangimi (COM(2008)124).
La proposta è finalizzata a consolidare, rivedere e aggiornare le direttive relative alla circolazione e all'etichettatura delle materie prime per mangimi e mangimi composti, garantendo al contempo il livello elevato di sicurezza dei mangimi e degli alimenti raggiunto nella Comunità. In particolare, la proposta intende garantire che i requisiti per ottenere un'autorizzazione per l'immissione sul mercato del prodotto siano proporzionali al rischio.
La proposta, che segue la procedura di codecisione, è stata approvata con emendamenti dal Parlamento europeo nella seduta del 5 febbraio 2009.
Il 30 gennaio 2008 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento sulla fornitura di informazioni alimentari ai consumatori, che aggiorna la legislazione comunitaria in materia di etichettatura degli alimenti (COM(2008)40).
Il documento stabilisce requisiti generali sul modo in cui le informazioni nutrizionali vanno presentate sulle etichette degli alimenti, anche se gli Stati membri avranno la facoltà di applicare misure nazionali addizionali sempre che queste non vanifichino le regole UE. La proposta estende gli attuali requisiti in materia di etichettatura degli allergeni, in modo da coprire anche gli alimenti non preconfezionati, compresi gli alimenti venduti nei ristoranti e in altri luoghi di ristorazione.
La proposta, che figura tra le priorità del programma della Presidenza ceca dell’UE, verrà esaminate secondo la procedura di codecisione. La prima lettura del Parlamento europeo è prevista per il 6 maggio 2009.
Il 14 gennaio 2008 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento sui nuovi prodotti alimentari (COM(2007)872).
La proposta mira a garantire la sicurezza degli alimenti, a proteggere la salute umana e a garantire il funzionamento del mercato interno degli alimenti. A tal fine, essa intende snellire la procedura di autorizzazione, sviluppare un sistema meglio adattato di valutazione della sicurezza degli alimenti tradizionali provenienti dai Paesi terzi, considerati come nuovi prodotti alimentari ai sensi del regolamento attuale, e chiarire la definizione di nuovi prodotti alimentari, includendo le nuove tecnologie con un impatto sugli alimenti, nonché il campo d’applicazione del regolamento sui nuovi prodotti alimentari.
La proposta, che segue la procedura di codecisione, sarà esaminata in prima lettura del Parlamento europeo il 25 marzo 2009.
Art. 8
(Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2007/47/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 settembre 2007, che modifica la direttiva 90/385/CEE del Consiglio per il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai dispositivi medici, la direttiva 93/42/CEE del Consiglio concernente i dispositivi medici e la direttiva 98/8/CE relativa all’immissione sul mercato dei biocidi)
1. Nella predisposizione del decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2007/47/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 settembre 2007, che modifica la direttiva 90/385/CEE del Consiglio per il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai dispositivi medici impiantabili attivi, la direttiva 93/42/CEE del Consiglio concernente i dispositivi medici e la direttiva 98/8/CE relativa all’immissione sul mercato dei biocidi, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, anche i princìpi e criteri direttivi di cui al comma 2.
2. Il decreto legislativo di cui al comma 1 provvede, altresì, alla riformulazione delle disposizioni contenute nei decreti legislativi 14 dicembre 1992, n. 507, e 24 febbraio 1997, n. 46, al fine di assicurare, nel rispetto della disciplina comunitaria, una maggiore coerenza fra le due diverse discipline e di eliminare incongruenze e contraddizioni presenti nelle norme in vigore assicurando:
a) una più adeguata disciplina della vigilanza sugli incidenti, mediante la ridefinizione della sfera dei soggetti destinatari delle comunicazioni degli incidenti e degli eventi da comunicare e una più organizzata gestione dei dati, da parte del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali;
b) la revisione delle norme sulle indagini cliniche, differenziando le ipotesi relative alle indagini riguardanti tipi di dispositivi mai utilizzati sull’uomo da quelle concernenti tipi di dispositivi già utilizzati, specificando le condizioni in presenza delle quali le indagini possono essere effettuate presso istituti privati e affidando ai comitati etici previsti per le sperimentazioni cliniche dei medicinali anche le valutazioni in tema di sperimentazioni con dispositivi medici;
c) la revisione delle norme sull’uso compassionevole dei dispositivi medici al fine di precisarne i limiti e le modalità per l’applicabilità, prevedendo, altresì, una specifica modalità per il trattamento di singoli pazienti in casi eccezionali di necessità e di emergenza, nei limiti posti dalle disposizioni di cui ai decreti legislativi n. 507 del 1992 e n. 46 del 1997;
d) la revisione delle norme sulla pubblicità dei dispositivi medici, individuando, nell’ambito dei dispositivi per i quali è consentita la pubblicità sanitaria, le fattispecie che non necessitano di autorizzazione ministeriale;
e) la previsione delle misure necessarie a garantire, con continuità nel tempo, efficaci collegamenti tra le banche dati nazionali e la banca dati europea Eudamed;
f) la riformulazione delle norme a contenuto sanzionatorio prevedendo anche la necessaria armonizzazione con le sanzioni previste dal decreto legislativo 8 settembre 2000, n. 332.
3. Il decreto legislativo di cui al comma 1 provvede, altresì, alla riformulazione delle previsioni riguardanti i dispositivi medici per risonanza magnetica nucleare contenute nel regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 agosto 1994, n. 542, assicurando:
a) la coerenza con le disposizioni di carattere generale riguardanti tutti i dispositivi medici, previsti dall’adozione della direttiva 2007/47/CE;
b) l’adeguamento allo sviluppo tecnologico ed alla evoluzione delle conoscenze scientifiche, con particolare riferimento alla sicurezza d’uso ed alle indicazioni cliniche dei dispositivi medici in relazione all’intensità del campo magnetico statico espresso in tesla, modificando in tal senso il sistema autorizzativo per renderlo più coerente con le competenze regionali e delle province autonome in materia di programmazione sanitaria previste dalle leggi vigenti, affidando conseguentemente alle regioni e province autonome l’autorizzazione all’installazione delle apparecchiature per risonanza, con esclusione delle sole apparecchiature a risonanza magnetica ritenute di carattere sperimentale.
4. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le Amministrazioni pubbliche competenti provvedono con le risorse umane, strumentali e finanziarie previste a legislazione vigente.
L’articolo 8, modificato nel corso dell’esame presso il Senato,reca una delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2007/47/CE[64], che modifica precedenti direttive comunitarie[65] sui dispositivi medici, e per il riordino delle norme interne in materia. Per quanto attiene alla normativa interna oggetto di riordino, vengono in particolare richiamati il decreto legislativo 14 dicembre 1992, n. 507[66] e il decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 46[67].
Ai fini dell’attuazione della delega, in aggiunta ai principi e criteri generali di cui all’articolo 2 del disegno di legge, vengono richiamati anche alcuni specifici principi stabiliti dal comma 2 dell’articolo in esame.
Oltre all’esigenza di assicurare una maggiore coerenza tra le norme interne, i principi direttivi specifici della delega fanno riferimento, sinteticamente: alla definizione di una più adeguata disciplina della vigilanza sugli incidenti (lett. a)); alla revisione delle norme sulle indagini cliniche (lett. b)); all’uso compassionevole – inteso come impiego terapeutico sperimentale in relazione a particolari esigenze – dei dispositivi medici (lett. c)) e alla pubblicità di questi ultimi, anche individuando, nell’ambito dei dispositivi per i quali è ammessa la pubblicità sanitaria, le fattispecie che non necessitano di autorizzazione ministeriale (lett. d)); alla previsione di strumenti per garantire collegamenti efficaci tra le banche dati nazionali e la banca dati europea Eudamed[68] (lett. e)); alla riformulazione delle norme a carattere sanzionatorio, anche armonizzandole con le previsioni del decreto legislativo 8 settembre 2000, n. 332[69] (lett. f)).
E’ demandata al decreto legislativo di cui all’articolo in esame anche la riformulazione delle previsioni relative ai dispositivi medici per risonanza magnetica nucleare, di cui al D.P.R. 8 agosto 1994, n. 542[70], in modo da assicurarne la coerenza con le disposizioni riguardanti tutti i dispositivi medici e l’adeguamento allo sviluppo tecnologico e all’evoluzione delle conoscenze scientifiche.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
Il 5 dicembre 2008 la Commissione ha pubblicato una breve sintesi dei risultati della consultazione pubblica on line condotta tra l’8 maggio e il 2 luglio 2008 sulla eventuale riformulazione della direttiva 2007/47/CE.
In linea generale la Commissione segnala che - secondo la maggior parte dei soggetti interessati che hanno risposto al questionario - vi sono spazi di miglioramento e di rafforzamento del quadro regolamentare in materia (con particolare riguardo alla blanda vigilanza degli organi notificatori, al non uniforme livello di competenze all’interno di tali organi, all’assenza di regolazione per alcuni prodotti). Inoltre, benché siano considerati utili ulteriori elementi di centralizzazione, la maggior parte dei soggetti ha rigettato la proposta di estendere le competenze dell’Agenzia europea per i medicinali anche ai dispositivi medici. Con riguardo ai tempi dell’intervento, la maggioranza dei soggetti ritiene che tale esercizio sia prematuro.
La Commissione ha reso pubblica anche la sintesi dei risultati della prima consultazione pubblica avviata sul tema del ricondizionamento[71] dei dispositivi medici nella Comunità. L’obiettivo finale è la predisposizione di una relazione – corredata da eventuali proposte aggiuntive - da presentare al Consiglio e al Parlamento europeo entro il 5 settembre 2010, come previsto dalla direttiva 2007/47/CE (con l’introduzione dell’articolo 12bis al testo della direttiva 93/42/CEE concernente i dispositivi medici).
Procedure di contenzioso
Il 29 gennaio 2009 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura n. 2009/67)per il mancato recepimento della direttiva 2007/47/CE entro il termine prescritto del 21 dicembre 2008.
Art. 9
(Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2006/54/CE riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego)
1. Nella predisposizione del decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione ed impiego (rifusione), il Governo è tenuto ad acquisire anche il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
L’articolo 9, modificato nel corso dell’esame al Senato, stabilisce che nell’esercizio della delega ai fini del recepimento della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione), il Governo, nella predisposizione del decreto legislativo, da adottare entro il 15 agosto 2009, è tenuto ad acquisire anche il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
Il 27 febbraio 2009 la Commissione europea ha presentato la relazione annuale sulla parità tra donne e uomini – 2009 (COM(2009)77), nella quale illustra i progressi raggiunti verso la parità tra donne e uomini nonché le priorità in materia per il futuro.
Procedure di contenzioso
Il 18 settembre 2008 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora[72] sostenendo che l’articolo 15, commi 6 e 7 della legge n. 230 dell’8 luglio 1998 comporta una discriminazione indiretta nell’accesso all’occupazione, contraria alla direttiva 76/207/CEE (come modificata dalla direttiva 2002/73/CE).
In base ai richiamati commi 6 e 7 dell’articolo 15 della legge 230 del 1998, agli uomini nati prima del 1985 che hanno optato per il servizio civile invece del servizio obbligatorio di leva è fatto divieto, per il resto della loro vita, di accedere ad alcuni ruoli nella fabbricazione e commercializzazione di armi, munizioni e materiali esplodenti, ruoli nelle Forze armate, nell’Arma dei carabinieri, nella Polizia di Stato, nel Corpo della guardia di finanza, nel Corpo di Polizia penitenziaria, nel Corpo forestale dello Stato, poiché è vietato prendere parti a concorsi per questi arruolamenti, in cui non è sempre previsto l’uso di armi. Questa disposizione, ad avviso della Commissione, collocherebbe gli uomini in una situazione svantaggiata rispetto alle donne, oltre a costituire una discriminazione indiretta per quanto riguarda l’accesso all’occupazione, contraria alla direttiva 2000/78/CE.
Il 27 novembre 2008 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato[73] poiché ritiene che non sarebbero state correttamente o esaurientemente recepite alcune disposizioni della direttiva 2002/73/CE, che modifica la direttiva 76/207/CEE relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro.
La direttiva è stata recepita in Italia con il decreto legislativo n. 145 del 30 maggio 2005, che introduce modifiche alla legge n. 125 del 10 aprile 1991 e alla legge n. 903 del 9 dicembre 1977.
La Commissione ritiene, in particolare, che non sarebbero state pienamente attuate nella legislazione nazionale le seguenti disposizioni della direttiva:
· il nuovo articolo 2, paragrafo 7, in base al quale alla fine del periodo di congedo per maternità, la donna ha il diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non le siano meno favorevoli e a beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che le sarebbero spettati durante la sua assenza;
· il nuovo testo dell’articolo 6, paragrafo 1, in base al quale gli Stati membri provvedono affinché tutte le persone che si ritengono lese, in seguito alla mancata applicazione nei loro confronti del principio della parità di trattamento, possano accedere, anche dopo la cessazione del rapporto che si lamenta affetto da discriminazione, a procedure giurisdizionali e/o amministrative. Il paragrafo 2 del medesimo articolo dispone che gli Stati membri introducano nei rispettivi ordinamenti giuridici nazionali le misure necessarie per garantire un indennizzo o una riparazione reale ed effettiva che essi stabiliscono per il danno subito da una persona lesa a causa di una discriminazione;
· il nuovo articolo 6, paragrafo 3, in base al quale gli Stati membri riconoscono alle associazioni, organizzazioni o altre persone giuridiche il diritto di avviare, in via giurisdizionale e/o amministrativa, per conto o a sostegno della persona che si ritiene lesa e con il suo consenso, una procedura finalizzata all’esecuzione degli obblighi derivanti dalla direttiva;
· il nuovo articolo 8 bis, in virtù del quale gli Stati membri designano uno o più organismi per la promozione, l’analisi, il controllo e il sostegno della parità di trattamento di tutte le persone senza discriminazioni fondate sul sesso;
· i nuovi articoli 2, paragrafo 5, nonché 8ter e 8quater, sulla base dei quali gli Stati membri devono incoraggiare i datori di lavoro ad adottare misure per impedire qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, ad adottare misure per favorire il dialogo sociale al fine di promuovere la parità di trattamento, a spingere le parti sociali a stipulare degli accordi, a incoraggiare i datori i lavoro a promuovere la parità di trattamento e a favorire il dialogo con le organizzazioni non governative interessate.
Il 24 gennaio 2007 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato[74]nella quale contesta l’incompatibilità dell’articolo 53 comma 1 del decreto legislativo n. 151 del 2001 con l’articolo 2, paragrafo 7, della direttiva 76/207/CEE (modificata dalla dir. 2002/73), volta a garantire l’attuazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne relativamente all’accesso al lavoro ed alle condizioni di lavoro.
L’articolo 2 paragrafo 7 della direttiva, prevede l’obbligo, per gli Stati membri, di adottare tutte le misure necessarie ad evitare che le lavoratrici gestanti (o puerpere o in fase di allattamento) siano obbligate a svolgere del lavoro notturno. Secondo la Commissione l’articolo 53 comma 1 del decreto n. 151/2000 andrebbe ben oltre quanto previsto dalla norma comunitaria, in quanto non si limita a “non prevedere un obbligo” (per le donne incinte o puerpere) a svolgere del lavoro notturno ma introduce un vero e proprio divieto, per le donne incinte o puerpere, di svolgere del lavoro notturno. L’articolo 53, infatti, vieta che si adibiscano donne incinte o puerpere ad attività lavorative tra le ore 24 e le 6 dal momento in cui si è accertata la gravidanza e fino a quando il bambino raggiunge un anno di età. La Commissione, inoltre, evidenzia come le lavoratrici che, proprio in ragione di tale divieto, non hanno la possibilità di lavorare, percepiscono, in luogo della retribuzione, una forma di indennità pari all’80 per cento della retribuzione per l’intero periodo.
Art. 10
(Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa)
1. Nella predisposizione del decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa, il Governo è tenuto ad acquisire il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ed a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere adeguati poteri di coordinamento, di approvazione e di risoluzione dei casi di inadempimento, diretti a garantire un approccio coerente ed uniforme in materia di valutazione e gestione della qualità dell’aria ambiente nel quadro del riparto di competenze tra Stato, regioni ed enti locali per l’attuazione dei compiti definiti dalla legislazione comunitaria;
b) coordinare la disciplina relativa alla pianificazione ed alla programmazione della qualità dell’aria ambiente con le norme vigenti in materia di autorizzazioni alle emissioni, agli impianti termici civili, ai combustibili e alla circolazione veicolare, allo scopo di permettere l’attuazione dei piani e programmi mediante gli strumenti e gli interventi previsti da tali norme di settore;
c) introdurre una specifica disciplina e una ripartizione delle competenze, in materia di qualità dell’aria, relativamente all’approvazione degli strumenti di campionamento e misura, delle reti di misurazione e dei metodi di valutazione, all’accreditamento dei laboratori, alla definizione delle procedure di approvazione e di accreditamento, alla garanzia della qualità delle misurazioni ed ai connessi controlli;
d) al fine di unificare la normativa nazionale in materia di qualità dell’aria ambiente, abrogare espressamente le disposizioni con cui sono state attuate le direttive 96/62/CE del Consiglio, del 27 settembre 1996, 1999/30/CE del Consiglio, del 22 aprile 1999, 2000/69/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2000, 2002/3/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 febbraio 2002, e 2004/107/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2004, nonché le relative norme di esecuzione, e prevedere le opportune modifiche che assicurino la coerenza della parte quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, inerente la tutela dell’aria e la riduzione delle emissioni in atmosfera, con il nuovo quadro normativo in materia di qualità dell’aria
2. Ai fini dell’adozione del decreto legislativo di cui al presente articolo, resta fermo quanto stabilito dall’articolo 1, comma 4.
Il comma 1 dell'articolo in esame, come modificato nel corso dell’esame al Senato, prevede alcuni adempimenti e l’indicazione di ulteriori criteri direttivi per l’esercizio della delega, da parte del Governo, per il recepimento della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa.
L’attuale panorama legislativo italiano interessato dalle disposizioni della direttiva 2008/50/CE in materia di controllo della qualità dell’aria è il risultato di un lungo processo di recepimento della normativa comunitaria di settore, dalla direttiva 96/62/CE in materia di valutazione e gestione della qualità dell'aria ambiente alle varie direttive succedutesi nel corso degli anni e destinate a completare e/o aggiornare la cornice normativa definita dalla direttiva quadro 96/62/CE e per questo indicate come “direttive figlie” della direttiva 96/62/CE.
La citata direttiva quadro sulla qualità dell’aria (96/62/CE) ha stabilito i principi di base di una strategia comune volta a definire e fissare obiettivi concernenti la qualità dell'aria ambiente per evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi per la salute umana e per l'ambiente, valutare la qualità dell'aria ambiente negli Stati membri, informare il pubblico (anche attraverso soglie di allarme), nonché migliorare la qualità dell'aria quando essa non è soddisfacente. Essa è stata recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 351.
La cornice normativa delineata dalla direttiva 96/62/CE è stata integrata da numerose “direttive derivate” (o “figlie”) volte al controllo di specifici agenti inquinanti (direttiva 1999/30/CE, 2000/69/CE, 2002/3/CE e 2004/107/CE), nonché dalla direttiva 2001/81/CE che ha stabilito limiti nazionali di emissione per alcuni inquinanti, responsabili dei fenomeni di acidificazione, eutrofizzazione e formazione di ozono troposferico[75].
Il recepimento delle direttive citate, come riassunto nella tabella seguente, ha ulteriormente arricchito il panorama legislativo nazionale in tema di inquinamento atmosferico. Esso si è realizzato attraverso un’integrazione delle norme recate dal citato decreto legislativo n. 351/1999, che – del resto – era stato impostato nell’ottica di avviare un processo dinamico di adeguamento della normativa nazionale con il sistema delle “direttive figlie”:
Materia |
Direttiva |
Recepimento |
Biossidi di zolfo e azoto, ossidi di azoto, particelle e piombo |
1999/30 |
D.M. 2 aprile 2002, n. 60 |
Benzene e monossido di carbonio |
2000/69 |
D.M. 2 aprile 2002, n. 60 |
Ozono nell’aria |
2002/3 |
D.Lgs. 21 maggio 2004, n. 183 |
Arsenico, cadmio, mercurio, nickel e idrocarburi policiclici aromatici |
2004/107 |
D.Lgs. 3 agosto 2007, n. 152 |
I provvedimenti indicati prevedono in particolare la fissazione di obiettivi di qualità dell’aria e la predisposizione di piani e programmi per il loro raggiungimento. Le direttive più recenti prevedono obiettivi più stringenti da raggiungere entro il 2010-2012.
Si segnala, inoltre, che, in attuazione del d.lgs. 4 agosto 1999, n. 351, è stato emanato il D.M. 1 ottobre 2002, n. 261, che ha definito le modalità di valutazione preliminare della qualità dell'aria ed i criteri per la stesura dei programmi di miglioramento e di mantenimento della stessa.
L’art. 7 del d.lgs. n. 351/1999 affida, infatti, alle regioni, il compito di provvedere, sulla base di una valutazione della qualità dell’aria (in sede di prima applicazione è prevista una valutazione preliminare da eseguirsi sulla base delle modalità dettate dal citato D.M. n. 261/2002), ad individuare le zone del proprio territorio nelle quali i livelli di uno o più inquinanti comportano il rischio di superamento dei valori limite e delle soglie di allarme e ad individuare l'autorità competente alla gestione di tali situazioni di rischio.
In tali zone le regioni devono definire piani d'azione contenenti le misure da attuare nel breve periodo per la riduzione del rischio di superamento dei valori limite e delle soglie di allarme. Tali piani, sempre secondo il dettato del citato art. 7, devono, a seconda dei casi, prevedere misure di controllo e, se necessario, di sospensione delle attività, ivi compreso il traffico veicolare, che contribuiscono al superamento dei valori limite e delle soglie di allarme.
Il successivo art. 8 prevede poi che, nelle zone e negli agglomerati in cui i livelli di uno o più inquinanti eccedono i valori limite, le regioni provvedano all’adozione di piani o programmi (d’intesa con le altre regioni interessate, che coordinano i rispettivi piani, qualora il superamento dei valori limite riguardi il territorio di più regioni) per il raggiungimento dei valori limite entro i termini stabiliti ai sensi dell'art. 4, comma 1, lettera c) del medesimo decreto. Lo stesso articolo dispone che tali piani e programmi devono essere resi disponibili al pubblico.
Ai sensi del comma 1 il Governo, nel predisporre il decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2008/50/CE (contenuta nell'allegato A), relativa alla qualità dell’aria ambiente, deve:
§ acquisire il parere della Conferenza Stato-Regioni;
§ seguire i seguenti princìpi e criteri direttivi aggiuntivi rispetto a quelli dettati dall’art. 2:
a) prevedere adeguati poteri di coordinamento, di approvazione e di risoluzione dei casi di inadempimento, diretti a garantire un approccio coerente ed uniforme in materia di valutazione e gestione della qualità dell’aria ambiente nel quadro del riparto di competenze tra Stato, regioni ed enti locali per l’attuazione dei compiti definiti dalla legislazione comunitaria;
Si ricorda che ai sensi dell’art. 83 del d.lgs. n. 112/1998, rientrano tra i compiti di rilievo nazionale in materia di inquinamento atmosferico:
§ la disciplina del monitoraggio della qualità dell'aria: metodi di analisi, criteri di installazione e funzionamento delle stazioni di rilevamento; criteri per la raccolta dei dati;
§ la fissazione di valori limite e guida della qualità dell'aria;
§ la fissazione delle soglie di attenzione e di allarme;
§ l’individuazione di aree interregionali nelle quali le emissioni nell'atmosfera o la qualità dell'aria sono soggette a limiti o valori più restrittivi, fatto salvo quanto disposto dalla lettera a) del comma 1 dell'art. 84 (che assegna alle regioni il potere di individuare aree regionali nelle quali le emissioni o la qualità dell'aria sono soggette a limiti o valori più restrittivi in relazione all'attuazione di piani regionali di risanamento);
§ la determinazione dei criteri per l'elaborazione dei piani regionali di risanamento e tutela della qualità dell'aria
b) coordinare la disciplina relativa alla pianificazione ed alla programmazione della qualità dell’aria ambiente con le norme vigenti in materia di autorizzazioni alle emissioni, agli impianti termici civili, ai combustibili e alla circolazione veicolare, allo scopo di permettere l’attuazione dei piani e programmi mediante gli strumenti e gli interventi previsti da tali norme di settore;
La normativa relativa alle autorizzazioni alle emissioni in atmosfera, agli impianti termici civili e ai combustibili è contenuta nella parte quinta del d.lgs. n. 152/2006 (Codice ambientale).
In particolare, si ricorda il contenuto dell’art. 271, comma 4, del Codice ambientale, secondo cui i piani e i programmi previsti per zone in cui i livelli di uno o più inquinanti sono più alti dei valori limite ovvero nelle quali i livelli di ozono nell'aria superano i cosiddetti “valori bersaglio” (stabiliti dall'articolo 3 del decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 183), possono stabilire valori limite di emissione e prescrizioni, anche inerenti alle condizioni di costruzione o di esercizio dell'impianto, più severi di quelli fissati nella parte quinta del Codice o dalla legislazione regionale o locale, “purché ciò risulti necessario al conseguimento dei valori limite e dei valori bersaglio di qualità dell'aria”.
Lo stesso comma dispone poi che fino all'emanazione di tali piani e programmi, continuano ad applicarsi i valori limite di emissione e le prescrizioni contenuti nei piani adottati ai sensi dell'abrogato art. 4 del DPR n. 203/1988[76].
Relativamente al coordinamento tra le varie disposizioni si ricorda, altresì, l’art. 14 del d.lgs. n. 351/1999, che ha recato una serie di disposizioni volte a disciplinare la fase transitoria fino all’emanazione dei decreti attuativi (avvenuta con il recepimento delle cd. direttive figlie), facendo salva, in tale fase, la preesistente normativa recata dal D.P.R. n. 203/1988.
Relativamente al traffico veicolare, invece, l’art. 3 della legge n. 413/1997 attribuisce ai sindaci il potere di adottare misure di limitazione della circolazione, di cui all'art. 7 del d.lgs. n. 285/1992 (Codice della strada), “per esigenze di prevenzione dell'inquinamento atmosferico, sulla base dei criteri ambientali e sanitari stabiliti con decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro della sanità”. In attuazione di tale disposizione è stato emanato il D.M. 21 aprile 1999, n. 163, che è stato riscritto ed abrogato in buona parte dall’art. 39 del D.M. 2 aprile 2002, n. 60.
c) introdurre una specifica disciplina e una ripartizione delle competenze, in materia di qualità dell’aria, relativamente all’approvazione degli strumenti di campionamento e misura, delle reti di misurazione e dei metodi di valutazione, all’accreditamento dei laboratori, alla definizione delle procedure di approvazione e di accreditamento, alla garanzia della qualità delle misurazioni ed ai connessi controlli;
Si richiama nuovamente, in proposito, quanto sancito dall’art. 83 del d.lgs. n. 112/1998, in base al quale rientra tra i compiti di rilievo nazionale in materia di inquinamento atmosferico “la disciplina del monitoraggio della qualità dell'aria: metodi di analisi, criteri di installazione e funzionamento delle stazioni di rilevamento; criteri per la raccolta dei dati”.
L’approvazione degli strumenti di campionamento e misura, delle reti di misurazione e dei metodi di valutazione; l’accreditamento dei laboratori e la definizione delle procedure di approvazione e di accreditamento e la garanzia della qualità delle misurazioni e controlli connessi sembrano rientrare tra le “funzioni amministrative non espressamente indicate nelle disposizioni degli articoli 82 e 83” che sono state conferite alle regioni e agli enti locali dall’art. 84 del d.lgs. n. 112/1998.
d) al fine dell’unificazione della normativa nazionale in materia di qualità dell’aria ambiente, abrogare espressamente le disposizioni con cui sono state attuate le direttive 96/62/CE, 1999/30/CE, 2000/69/CE, 2002/3/CE e 2004/107/CE, nonché le relative norme di esecuzione, e prevedere le opportune modifiche che assicurino la coerenza della parte quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, inerente alla tutela dell’aria e alla riduzione delle emissioni in atmosfera, con il nuovo quadro normativo in materia di qualità dell’aria.
Relativamente a quest’ultimo criterio direttivo si fa notare che, rispetto alla direttiva 2008/50/CE, che non prevede l’abrogazione della precedente direttiva 2004/107/CE (almeno in questa prima fase[77]), la norma in commento prevede, al fine di unificare la normativa nazionale in materia, anche l’abrogazione – e quindi la trasposizione delle relative norme nell’emanando schema di decreto – del d.lgs. n. 152/2007.
Al riguardo, occorre sottolineare che, al fine di pervenire ad un testo unico in materia di qualità dell’aria che sia al contempo coerente con le disposizioni della parte quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (cd. Codice dell’ambiente), sembrerebbe opportuno inserire tutta la disciplina della materia direttamente nel Codice dell’ambiente. Ciò consentirebbe di attuare, almeno in buona parte, anche il necessario coordinamento previsto dalla lettera b).
Si segnala, al riguardo, che la relazione illustrativa, evidenzia alcune criticità emerse nella fase di attuazione del precedente quadro normativo con particolare riferimento alla ripartizione delle competenze tra i vari livelli istituzionali. Si segnala quindi l’esigenza di attribuire all’amministrazione centrale adeguati poteri di coordinamento, approvazione ed intervento, attraverso i quali assicurare la coerenza e l’uniformità dell’esercizio delle funzioni conferite. Da ultimo, dalla relazione emerge la necessità di introdurre una specifica disciplina in riguardo agli strumenti di campionamento e di misura, reti di misurazione, metodi di valutazione e laboratori, nonché alla definizione delle procedure di approvazione,alla garanzia della qualità delle misurazioni ed ai connessi controlli.
Il comma 2 dispone che, ai fini dell’adozione del decreto legislativo di cui al presente articolo, resta fermo quanto stabilito dall’art. 1, comma 4.
Si ricorda, in proposito, che tale comma 4 prevede, qualora lo schema di decreto comporti conseguenze finanziarie, che esso sia corredato della relazione tecnica e che venga sottoposto al parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Lo stesso comma dispone che il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all’esigenza di garantire il rispetto dell’art. 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi d’informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro venti giorni.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
Nell’ambito dell’accordo di compromesso raggiunto dal Consiglio europeo dell’11 e 12 dicembre 2008 sull’insieme delle proposte relative al pacchetto energia clima, il Parlamento europeo nella seduta del 17 dicembre 2008 ha approvato:
· una proposta di regolamento per limitare le emissioni di CO2 delle automobili (COM(2007)856) presentata dalla Commissione il 19 dicembre 2007, che ha come obiettivo la riduzione delle emissioni di CO2 dei nuovi veicoli nell’UE fino a 130 grammi per km nel 2012.
Il testo di compromesso approvato consentirebbe alle industrie automobilistiche di raggiungere gradualmente in quattro anni, a partire dal 2012, l’obiettivo di emissione di CO2 di 130 g/km a vettura che dovrà essere rispettato al 100% nel 2015. In caso di mancato rispetto dei limiti previsti dovrebbe essere applicato un sistema progressivo di sanzioni – 5 euro per il primo grammo di sforamento, 15 per il secondo, 25 per il terzo e 95 dal quarto in poi - che dovrebbe restare in vigore fino al 2018 per essere poi sostituito, a partire dal 2019, da una penale unica di 95 euro per ogni grammo in eccesso. Per i produttori che metteranno in commercio modelli di auto ad emissioni bassissime o nulle (ad esempio, auto elettriche, ibride o a idrogeno) si prospetta il riconoscimento di “supercrediti” da computare nella media complessiva fino ad un massimo di 7 gCO2/km. Infine, sono previste deroghe per le piccole case automobilistiche, con produzione inferiore alle 10.000 auto all’anno, purché abbiano fabbriche e centri di progettazione separati.
· una proposta di direttiva volta a fissare nuovi standard per i combustibili utilizzati dai mezzi di trasporto, al fine di ridurre il loro contributo al cambiamento climatico e all’inquinamento atmosferico, e a promuovere l’uso di biocarburanti e l’introduzione di veicoli meno inquinanti (COM(2007)18) presentata dalla Commissione il 31 gennaio 2007.
Tra le principali novità che la Commissione propone di introdurre, a partire dal 2009, si segnalano: la riduzione del tenore massimo di zolfo per tutto il combustibile diesel commercializzato (10 parti per milione (ppm), per il gasolio destinato alle macchine non stradali per usi su strada (10 ppm) e alle le vie navigabili interne (300 ppm); riduzione all’8% del tenore massimo di idrocarburi poliaromatici nel combustibile diesel; definizione di una miscela specifica, con un maggior tenore di composti ossigenati (inclusa una percentuale di etanolo fino al 10%), allo scopo di utilizzare nella benzina un quantitativo superiore di biocarburanti; l’introduzione dell’obbligo per i fornitori di combustibile di sorvegliare le emissioni di gas ad effetto serra prodotte durante il ciclo di vita, a decorrere dal 2011, riducendo ogni anno tali emissioni dell'1%, arrivando nel 2020 ad una riduzione complessiva del 10 %.
Il Parlamento europeo ha approvato entrambe le proposte in prima lettura, secondo la procedura di codecisione. I provvedimenti restano in attesa dell’approvazione definitiva da parte del Consiglio.
In materia di politica energetica e cambiamenti climatici si segnala, inoltre, che il 4 dicembre 2008 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva relativa al recupero di vapori di benzina durante il rifornimento delle automobili nelle stazioni di servizio (COM(2008)812), intesa a rendere obbligatoria in tutte le stazioni di servizio, a partire dal 1 luglio 2012, l’installazione di attrezzature che consentono il recupero dei vapori di benzina attraverso le tecnologie cosiddette della fase II. Tali tecnologie, infatti, consentono una migliore cattura e riciclaggio dei vapori nocivi di benzina che fuoriescono durante il rifornimento delle automobili, in particolare, del benzene, una sostanza cancerogena per l'uomo di cui non si conosce la soglia di sicurezza.
Il 21 dicembre 2007 la Commissione ha adottato un pacchetto di misure volto a migliorare la politica dell’Unione europea in materia di emissioni degli impianti industriali che comprende:
· una comunicazione “Verso una politica più efficace in materia di emissioni industriali” (COM (2007) 843)
· una proposta di rifusione della direttiva sulle emissioni industriali (in materia di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento) (COM (2007) 844), intesa a riunire in un unico strumento normativo chiaro e coerente le disposizioni contenute nelle sette direttive europee relative all’inquinamento industriale.
La proposta della Commissione riguarderebbe 52.000 stabilimenti industriali e intende, tra l’altro, favorire l’impiego delle migliori tecnologie disponibili per ridurre l'inquinamento industriale, attualmente ostacolate da un numero eccessivo di autorizzazioni.
La proposta di direttiva è stata esaminata dal Parlamento europeo in prima lettura, secondo la procedura di codecisione, nella seduta del 10 marzo 2009.
Il 16 febbraio 2009 il Consiglio ha definitivamente approvato in prima lettura una proposta di regolamento (COM(2007)824) intesa a rivedere la direttiva 2001/81/CE relativa ai limiti nazionali di emissione di alcuni inquinanti atmosferici, che disciplina i livelli di emissioni di anidride solforosa, ossido nitrico, ammoniaca e composti organici volatili. In particolare, la Commissione potrà aggiornare le metodologie per gli inventari e le proiezioni delle emissioni su proposta di un comitato di regolamentazione con controllo, composto dei rappresentanti degli Stati membri, previa espressione di un parere da parte del Parlamento europeo e del Consiglio.
Si segnala, infine, che nel corso di una cerimonia solenne svoltasi il 10 febbraio 2009 nell'emiciclo del Parlamento europeo, oltre 350 città europee hanno firmato il Patto dei Sindaci (Covenant of Mayors), impegnandosi a superare entro il 2020 l’obbiettivo di una diminuzione del 20% delle emissioni di CO2. L’iniziativa è stata promossa dalla Commissione europea in cooperazione con il Comitato delle Regioni.
Procedure di contenzioso
La Commissione ha avviato tre procedure d’infrazione nei confronti dell’Italia in materia di qualità dell’aria. Si tratta, in particolare, di:
· un parere motivato in riferimento alla cattiva applicazione delle direttive 96/62/CE e 99/30/CE concernenti i valori limite di qualità dell'aria (procedura d’infrazione 2004/2116).
Secondo la Commissione, in Italia nel 2001 sono stati riscontrati valori superiori ai limiti consentiti per il biossido di azoto e per l’ossido di azoto, in 26 zone, e per il particolato PM10, in 37 zone. In forza della normativa europea, entro il 31 dicembre 2003 l’Italia avrebbe dovuto predisporre e comunicare alla Commissione i piani o programmi che avrebbero consentito di raggiungere i valori limite consentiti per tali inquinanti. In seguito all’apertura della prima fase della procedura d’infrazione (9 luglio 2004) l’Italia ha trasmesso una documentazione sulla base della quale la Commissione può ritenere che per 17 zone non sia possibile verificare se tali piani siano stati predisposti, avviando pertanto, il 4 aprile 2006, la seconda fase della procedura d’infrazione contestando all’Italia di esser venuta meno agli obblighi previsti dalle direttive 96/62/CE e 99/30/CE.
· una lettera di messa in mora in riferimento alla cattiva applicazione della direttiva 1999/30/CE relativa ai valori limite di qualità dell'aria per il biossido di zolfo (procedura d’infrazione 2007/2182).
Con lettera del 27 giugno 2007 la Commissione ha contestato all’Italia di non aver rispettato i valori limite per lo zolfo (SO2), sia per quanto concerne il valore limite giornaliero che orario, in varie zone.
· una lettera di messa in mora relativa qualità dell'aria: valori limite PM10 (procedura d’infrazione 2008/2194)
Con lettera del 29 gennaio 2009, la Commissione ha rilevato che nel 2006 e nel 2007 in numerose zone sono stati superati i valori limite giornalieri ed annuali consentiti per le particelle PM10. Tali dati sono desunti dalle relazioni annuali 2006 e 2007 trasmesse dall’Italia ai sensi dell’art 11 della direttiva 96/62/CE. Poiché l’Italia non ha mai notificato alla Commissione che tali zone soddisfano le condizioni previste per il loro esonero dagli obblighi di applicazione dei valori limite, la Commissione conclude che ciò sia indice di una tendenza al superamento dei valori limite di lungo periodo e che, pertanto, l’Italia sia venuta meno agli obblighi derivanti dalla direttiva 1999/30/CE, concernente i valori limite di qualità dell’aria.
Art. 11
(Modifica all’articolo 5 della legge 10 febbraio 1992, n. 164, recante nuova disciplina delle denominazioni di origine )
1. Al comma 1 dell’articolo 5 della legge 10 febbraio 1992, n. 164, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «In tale zona non si possono impiantare e iscrivere vigneti all’albo dei vigneti del Chianti DOCG, né produrre vini Chianti DOCG.».
L'articolo 11 reca una modifica all'art. 5 della legge n. 164/1992[78], che disciplina le denominazioni d'origine dei vini, allo scopo di meglio definire le modalità di produzione delle due tipologie di vino Chianti DOCG: il “Chianti” ed il “Chianti classico”.
Più precisamente l’articolo in esame proibisce di piantare vigneti del Chianti DOCG, di iscrivere all’albo dei vigneti i vigneti del Chianti DOCG o di produrre vini Chianti DOCG all’interno della zona riservata al “Chianti classico”, nell’intento – asserisce la relazione illustrativa – di ottenere una migliore produzione dei due vini "Chianti" e “Chianti classico”, i cui disciplinari di produzione sono autonomi e separati.
Le denominazioni di cui possono fregiarsi i vini a denominazione protetta sono così classificate dall’articolo 3 della legge n. 164:
a) denominazioni di origine controllata e garantita (DOCG);
b) denominazioni di origine controllata (DOC);
c) indicazioni geografiche tipiche (IGT).
Il primo comma dell’articolo 5 dispone che la specificazione aggiuntiva “classico” sia riservata ai vini non spumanti della zona di origine più antica e che agli stessi possa essere attribuita una regolamentazione autonoma anche nell'ambito della stessa DOCG o DOC; il medesimo comma stabilisce che per il “Chianti classico” questa zona storica sia quella delimitata con il decreto interministeriale del 31 luglio 1932.
A determinate condizioni l’articolo 6 consente poi che nell'ambito di una denominazione di origine coesistano diversi vini DOCG; tale coesistenza è fra l’altro ammessa purché i vini siano prodotti in sottozone che devono essere delimitate e regolamentate da disciplinari di produzione più restrittivi ed avere albi dei vigneti distinti.
Ai sensi dell’articolo 15, infine, i terreni vitati dediti a produzioni DOC devono essere iscritti in un apposito albo dei vigneti per vini a denominazione di origine, contraddistinto dalla rispettiva denominazione di origine e, se prevista dal disciplinare di produzione, dalla sottozona dal vitigno.
La DOC “Chianti” era stata già riconosciuta dal DPR 9 agosto 1967, mentre il successivo D.P.R. 2 luglio 1984 aveva attribuito la denominazione di origine controllata e garantita DOCG "Chianti", approvando il relativo disciplinare di produzione; in conseguenza delle istanze di modifica di tale disciplinare, presentate da taluni produttori allo scopo di riservare la DOCG al prodotto “Chianti classico”, con il DM 5 agosto 1996 (GU n. 219 del 18/9/96, SO n. 153) il dicastero agricolo ha approvato due distinti disciplinari di produzione rispettivamente per i vini DOCG "Chianti"[79] e per il vino DOCG "Chianti classico", le cui zone di produzione sono descritte all’art. 3 dei due disciplinari.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
Si veda il paragrafo Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE relativo all’art. 13.
Art. 12
(Delega al Governo per il riordino e la revisione della disciplina in materia di fertilizzanti )
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e con le modalità di cui all’articolo 1, un decreto legislativo di riordino e revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) adeguamento e ammodernamento delle definizioni di «concime» e delle sue molteplici specificazioni, di «fabbricante» e di «immissione sul mercato», ai sensi dell’articolo 2 del regolamento (CE) n. 2003/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 2003;
b) utilizzo della forma delle indicazioni obbligatorie come stabilita dall’articolo 6 del citato regolamento (CE) n. 2003/2003 per i concimi immessi sul mercato con l’indicazione «concimi CE»;
c) individuazione delle misure ufficiali di controllo per valutare la conformità dei concimi, ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 2003/2003;
d) revisione delle sanzioni da irrogare in base ai princìpi di effettività, proporzionalità e dissuasività, ai sensi dell’articolo 36 del regolamento (CE) n. 2003/2003.
2. Dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1 è abrogato il decreto legislativo 29 aprile 2006, n. 217.
3. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri, né minori entrate a carico della finanza pubblica. Le Amministrazioni interessate svolgono le attività previste dal presente articolo con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
L’articolo 12, introdotto nel corso dell’esame al Senato, delega il Governo ad adottare – senza oneri a carico della finanza pubblica – un decreto legislativo di riordino della disciplina in materia di fertilizzanti, nel rispetto di specifici principi e criteri direttivi che prescrivono l’adeguamento alle disposizioni recate dal regolamento (CE) n. 2003/2003; contestualmente viene abrogato, con decorrenza dall’entrata in vigore del nuovo decreto, il decreto legislativo n. 217 del 2006, che ha recato la Revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, proprio per adeguarla alla nuova disciplina comunitaria della materia, recata appunto dal regolamento (CE) n. 2003/2003.
L’abrogazione del decreto legislativo n. 217 del 2006 ed il conferimento di una nuova delega al Governo per l’adeguamento della normativa interna ai principi stabiliti nel regolamento (CE) n. 2003/2003 devono essere posti in connessione con la procedura di infrazione n. 2007/4535 avviata dalla Commissione europea in relazione al citato decreto legislativo (v. infra), a causa dell’inosservanza dell’obbligo di notifica preventiva alla Commissione europea previsto dalla direttiva n. 98/34/CE sulle regolamentazioni tecniche.
I principi e criteri direttivi della delega, che riproducono esattamente quelli contenuti nell’art. 13 della legge n. 62/2005[80], in base al quale è stato adottato il d.lgs. n. 217/2006, riguardano in particolare:
§ l'adeguamento delle definizioni di “concime”, “fabbricante” e di “immissione sul mercato”;
§ relativamente a talune indicazioni obbligatorie, l’utilizzo della forma indicata dalle disposizioni comunitarie;
§ l'individuazione delle misure ufficiali di controllo per valutare la conformità dei concimi;
§ la revisione delle sanzioni in base ai principi di effettività, proporzionalità e dissuasività.
Con l’approvazione del regolamento (CE) n. 2003/2003[81], entrato in vigore l’11 dicembre 2003, sono state in primo luogo ricondotte ad unitarietà le norme che in precedenza erano disciplinate in una pluralità di direttive, peraltro più volte oggetto di modifiche, tutte volte ad avvicinare la legislazione degli Stati membri in tema di concimi. I provvedimenti, che sono stati conseguentemente abrogati, sono la direttiva 76/116/CEE di carattere generale sui concimi, la 77/535/CEE sui metodi di campionatura e analisi, la direttiva 80/876/CEE sui concimi semplici a base di nitrato d’ammonio ad elevato titolo d’azoto nonché la direttiva 87/94/CEE, che per i medesimi concimi a base di azoto ha stabilito le procedure di controllo delle caratteristiche, dei limiti e dalla detonabilità.
La codifica e l’accorpamento delle menzionate direttive in un unico provvedimento, allo scopo di pervenire ad una maggiore chiarezza e semplificazione normativa, si è accompagnata anche alla scelta dello strumento regolamentare, in sostituzione della direttiva, allo scopo di rendere immediatamente applicabili disposizioni dal contenuto fortemente tecnico, quali sono le prescrizioni che debbono rispettare i fabbricanti di concimi.
Le disposizioni precedentemente in vigore elencavano i prodotti che avevano diritto di fregiarsi della dicitura “concime CE” senza tuttavia fornire la definizione delle espressioni maggiormente in uso. In proposito, il regolamento n. 2003 interviene, invece, con l’articolo 2, che in primo luogo attribuisce la definizione di concime alle sostanze la cui funzione principale è quella di fornire elementi nutritivi alle piante. Definite poi le diverse tipologie di concime, il medesimo articolo 2 identifica nell’immissione sul mercato qualsiasi operazione di fornitura (sia onerosa che a titolo gratuito), immagazzinamento o importazione del prodotto, ed indica come fabbricante il produttore, importatore o confezionatore del prodotto.
Rilievo assumono poi gli artt. 6 (par. 1 e 2) in tema di indicazioni obbligatorie, 29 (par. 1) sull’attività di controllo e 36 sulle sanzioni, poiché in base al successivo articolo 37 le disposizioni nazionali adottate in recepimento dei menzionati articoli andranno comunicate dagli Stati membri, entro l’11 giugno 2005.
Più precisamente gli Stati dovranno comunicare quali siano le forme da essi prescelte fra quelle indicate all’art. 6, par. 1 in merito alla indicazione dei titoli di azoto, fosforo e potassio presenti nei concimi, nonché – ma in tale ipotesi trattasi di facoltà e non di obbligo – fra quelle di cui all’art. 6, par. 2 relative al titolo presente di calcio, magnesio, sodio e zolfo.
Dovranno altresì essere notificate le misure ufficiali di controllo dirette a verificare la conformità dei concimi alle disposizioni comunitarie, misure che l’art. 29, par. 1 lascia alla facoltà dei singoli Stati di rendere obbligatorie per i produttori stabiliti sul proprio territorio, e che potranno eventualmente essere finanziate con l’imposizione di tasse.
Infine, all’obbligo della notifica sono anche assoggettate le disposizioni nazionali dirette a definire il sistema delle sanzioni volte ad assicurare il rispetto del regolamento comunitario, sanzioni che l’art. 36 impone debbano essere effettive, proporzionate, dissuasive.
Procedure di contenzioso
Il 26 giugno 2008 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura n. 2007/4535), contestando la violazione della direttiva 1998/34/CE per la mancata notificazione delle prescrizioni in materia di fertilizzanti.
In particolare, il d.lgs. 29 aprile 2006, n. 217, recante revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, contiene prescrizioni riguardanti i prodotti immessi sul mercato come concimi CE, definiti dal regolamento (CE) n. 2003/2003. Tale decreto legislativo non è stato notificato alla Commissione secondo la particolare procedura di informazione disciplinata dalla direttiva 1998/34/CE, benché esso sembri costituire nel suo complesso una regola tecnica rientrante nel campo di applicazione della direttiva stessa.
Art. 13
(Disposizioni sanzionatorie per l’applicazione del regolamento (CE) n. 479/2008 e del regolamento (CE) n. 555/2008, relativi all’organizzazione comune del mercato vitivinicolo )
1. Ai sensi dell’articolo 86 del regolamento (CE) n. 479/2008 del Consiglio, del 29 aprile 2008, i produttori regolarizzano le superfici vitate, impiantate prima del 1º settembre 1998 senza disporre dei corrispondenti diritti di impianto, mediante versamento di una somma di 6.000 euro/ha; il versamento non è dovuto per le superfici regolarizzate ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 1493/1999 del Consiglio, del 17 maggio 1999.
2. Se il versamento previsto dal comma 1 non è effettuato entro il 31 dicembre 2009 o la relativa superficie non è estirpata entro il 30 giugno 2010, si applica, a decorrere dal 1º luglio 2010, la sanzione di cui al comma 3.
3. Chiunque, alla data del 31 dicembre 2008, non ha estirpato le superfici vitate impiantate dopo il 31 agosto 1998 senza disporre dei corrispondenti diritti di impianto, è punito con la sanzione amministrativa di 12.000 euro/ha.
4. Chiunque ha impiantato dopo il 3 luglio 2008 superfici vitate senza disporre dei corrispondenti diritti di impianto è punito con la sanzione di cui al comma 3.
5. Le sanzioni di cui ai commi 2, 3 e 4 si applicano ogni dodici mesi, secondo le modalità previste all’articolo 55 del regolamento (CE) n. 555/2008 della Commissione, del 27 giugno 2008.
6. Il termine entro il quale i produttori comunicano, ai sensi dell’articolo 57 del regolamento (CE) n. 555/2008, alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano, l’intenzione di ricorrere alla vendemmia verde o alla distillazione, è il 31 maggio di ciascuna campagna.
7. Le facoltà previste dall’articolo 57 del regolamento (CE) n. 555/2008 sono attribuite alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano, nei limiti delle loro competenze.
8. Il produttore che detiene una superficie vitata superiore a 0,1 ettari e non ottempera o ottempera in modo incompleto o inesatto agli obblighi previsti dall’articolo 56, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 555/2008 è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.000 a euro 6.000, per ogni ettaro o frazione di ettaro di superficie.
9. La sanzione di cui al comma 8 si applica a decorrere dai seguenti termini:
a) in caso di mancata presentazione del contratto di distillazione, un mese dopo la data di cui al comma 6 o dalla diversa data fissata dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano, nei limiti delle loro competenze;
b) in caso di mancata osservanza delle disposizioni in materia di vendemmia verde, il 1º settembre dell’anno civile considerato.
10. Per le sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente articolo, ad eccezione di quelle previste dal comma 8, non è ammesso il pagamento in misura ridotta di cui all’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni.
11. Ai sensi dell’articolo 117, quinto comma, della Costituzione ed in attuazione di quanto previsto dall’articolo 11, comma 8, della legge 4 febbraio 2005, n. 11, le disposizioni del presente articolo si applicano, per le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano che non abbiano ancora provveduto al recepimento delle disposizioni dei regolamenti (CE) n. 479/2008 e n. 555/2008, fino alla data di entrata in vigore della normativa di attuazione adottata da ciascuna regione e provincia autonoma nei limiti delle loro competenze.
12. Le sanzioni amministrative pecuniarie previste nel presente articolo sono applicate dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano nei limiti delle loro competenze.
13. Se i produttori non eseguono l’estirpazione delle viti, come prescritto ai commi 2, 3 e 4, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono provvedere, nei limiti delle loro competenze, alla rimozione degli impianti, ponendo a carico degli stessi produttori le relative spese.
L'articolo 13, introdotto nel corso dell’esame al Senato, dispone ai commi 1-5 che i produttori possano regolarizzare le superfici vitate, impiantate prima del 1° settembre 1998 senza disporre dei corrispondenti diritti di impianto, con il versamento di una somma pari a 6.000 euro/ha; nel caso che tale versamento non venga effettuato entro il 31 dicembre 2009, o la superficie irregolare non sia estirpata entro il 30 giugno 2010, si applica una sanzione pari a 12.000 euro/ha. La medesima sanzione si applica alle superfici vitate illegali impiantate a partire dal 1° settembre 1998 e che non siano state estirpate alla data del 31 dicembre 2008, e si applica in ogni caso agli impianti illegalmente realizzati successivamente al 3 luglio 2008.
Le sanzioni, dalle quali sono esclusi i produttori che abbiano a suo tempo regolarizzato le superfici in base all’art. 2, par. 3, del regolamento (CE) n. 1493/1999, si applicano ogni dodici mesi secondo le scadenze previste dall’art. 55 del regolamento (CE) n. 555/2008 (di applicazione delle nuove norme sulla OCM vitivinicola).
Poiché le norme in commento rinviano all’art. 86 del regolamento (CE) n. 479/2008, anche la nuova possibilità di regolarizzare le superfici vitate dovrà svolgersi nel rispetto dell’art. 2, par. 3 del regolamento (CE) n. 1493/1999.
Il comma 13 prevede l’intervento sostitutivo delle regioni che, qualora i produttori non eseguano l'estirpazione delle viti richieste dai commi 2-4, possono procedere alla rimozione degli impianti ponendo a carico degli stessi produttori le relative spese.
Viene poi stabilito il termine annuale del 31 maggio entro il quale i produttori comunicano alle regioni l'intenzione di ricorrere alla vendemmia verde[82] o alla distillazione (comma 6), mentre è alle singole regioni che spetterà di decidere se attivare sia la vendemmia verde che la distillazione o una sola delle due misure e quale (comma 7), come previsto dall’art. 57 del regolamento (CE) n. 555/2008, che, al par. 2, stabilisce che gli Stati membri possono anche limitare la scelta dei produttori.
Le sanzioni previste in caso di mancata o incompleta comunicazione del contratto di distillazione o della decisione di procedere alla vendemmia verde vanno da 2.000 a 6.000 euro per ettaro o frazione di ettaro (comma 8) e si applicano a decorrere dai termini stabiliti con il comma 9. Dette sanzioni, peraltro, sono le uniche, tra quelle previste dall’articolo in commento, per le quali è ammessa la cd. oblazione ovvero il pagamento in misura ridotta di cui all’art. 16 della legge n. 689 del 1981 di modifica del sistema penale (comma 10).
La disposizione citata prevede che, entro 60 giorni dalla contestazione immediata dell’illecito (o dalla notificazione del verbale), è ammesso il pagamento in misura ridotta pari alla terza parte del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa o (se più favorevole e quando sia stabilito il minimo della sanzione) pari al doppio del relativo importo, oltre alle spese del procedimento.
Il comma 11, recante una clausola di salvaguardia, stabilisce che le disposizioni di cui ai precedenti commi si applicano alle regioni e province autonome fino all’entrata in vigore delle norme regionali e provinciali di attuazione dei regolamenti (CE) n. 479/2008 e n. 555/2008.
Il comma 12 precisa, infine, che le sanzioni amministrative pecuniarie sono applicate dalle regioni e dalle province autonome nei limiti delle loro competenze.
Il regime comunitario applicabile al settore del vino è stato oggetto di una recente profonda modifica approvata con il regolamento (CE) n. 479/2008[83], del 29 aprile 2008, accompagnato dalle norme di attuazione di cui al regolamento (CE) n. 555/2008[84], del 27 giugno 2008, regolamenti che si applicano entrambi a decorrere dal 1° agosto 2008.
In occasione della revisione della OCM vitivinicola la Commissione ha potuto costatare che le eccedenze produttive di vino nell’area comunitaria sono state aggravate dalla violazioni del divieto provvisorio di nuovi impianti[85] dal quale è derivato un numero consistente di impianti illegali che oltre a costituire una fonte di concorrenza sleale contribuiscono ad acuire i problemi del settore vitivinicolo.
Pertanto, operando una distinzione tra le superfici impiantate illegalmente prima e dopo il 31 agosto 1998, e solo per le prime, con l’art. 86 del regolamento (CE) n. 479/2008 è stata prevista un’ultima possibilità di regolarizzazione alle condizioni di cui all’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 1493/1999. A differenza di quanto previsto con il regolamento (CE) n. 1493/1999 che non prevedeva alcun obbligo di estirpazione, le nuove norme di cui all’art. 86 istituiscono l’obbligo, per i produttori in questione, di mettersi in regola mediante il versamento di una tassa (che deve essere fissata dai singoli Stati in misura pari ad almeno il doppio del valore medio del corrispondente diritto di impianto), richiedendo, in mancanza della regolarizzazione entro il 31 dicembre 2009, l’estirpazione delle superfici prive di diritti d’impianto con accollo delle relative spese. La mancata osservanza dell’obbligo di estirpazione comporta il pagamento di sanzioni pecuniarie (quantificate dagli Stati ma comunque proporzionate alla gravità).
Con l’art. 85 il divieto transitorio di nuovi impianti viene protratto al 2015 e per le superfici impiantate illegalmente successivamente al 31 agosto 1998 viene imposto l’obbligo di estirpazione.
L’art. 87 attribuisce agli Stati membri il compito di controllare che le uve raccolte sulle superfici in attesa di estirpazione o di regolarizzazione possano circolare esclusivamente per la distillazione che deve essere a carico del produttore e dalla quale deve derivare dell’alcole avente titolo alcolometrico volumico effettivo superiore a 80% di volume.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
Il 29 luglio 2008 la Commissione ha presentato una proposta di modifica del regolamento (CE) n. 1234/2007 recante organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli (regolamento unico OCM (COM(2008)489).
In un’ottica di semplificazione legislativa, la proposta mira ad includere nel regolamento (CE) n. 1234/2007, recante organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli (regolamento unico OCM), la disciplina dell’organizzazione del mercato vitivinicolo, da ultimo modificata con il regolamento (CE) n. 479/2008.
La proposta, che segue la procedura di consultazione, è stata esaminata dal Parlamento europeo nella seduta del 20 novembre 2008, ed è in via di approvazione definitiva.
Art. 14
(Modifiche alla legge 8 luglio 1997, n. 213, e al decreto legislativo 29 gennaio 2004, n. 58)
1. Alla legge 8 luglio 1997, n. 213, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 1, dopo il comma 1, è inserito il seguente:
«1-bis. Tutte le carcasse o mezzene di bovini di età non superiore a dodici mesi alla macellazione sono classificate dai responsabili delle strutture di macellazione ai sensi dell’allegato XI-bis del regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio, del 22 ottobre 2007, e dell’articolo 2 del decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 8 agosto 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 240 del 13 ottobre 2008.»;
b) il comma 1 dell’articolo 3 è sostituito dal seguente:
«1. Salvo che il fatto costituisca reato, il titolare dello stabilimento, che viola l’obbligo di identificazione e di classificazione di cui all’articolo 1, commi 1 e 1-bis, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 3.000 a euro 18.000.»;
c) il comma 2 dell’articolo 3 è sostituito dal seguente:
«2. Il titolare dello stabilimento che utilizza una marchiatura o etichettatura difforme da quanto previsto dall’articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Ministro per le politiche agricole 4 maggio 1998, n. 298, e dall’articolo 2 del decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 8 agosto 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 240 del 13 ottobre 2008, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.000 a euro 6.000».
2. All’articolo 5 del decreto legislativo 29 gennaio 2004, n. 58, dopo il comma 1, è inserito il seguente:
«1-bis. Salvo che il fatto costituisca reato, l’operatore o l’organizzazione, come definiti dall’articolo 12 del regolamento (CE) n. 1760/2000, che in ogni fase della produzione e della commercializzazione non apponga, o apponga in maniera errata, sulle carni ottenute da bovini di età non superiore a dodici mesi un’etichetta recante le indicazioni obbligatorie, previste dagli articoli 13, paragrafi 2 e 5, e 14 del medesimo regolamento, e dalla parte IV dell’allegato XI-bis del regolamento (CE) n. 1234/2007, secondo le modalità indicate dagli articoli 2 e 3 del regolamento (CE) n. 1825/2000 e dall’articolo 3 del decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 8 agosto 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 240 del 13 ottobre 2008, è soggetto al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 12.000 euro».
L’articolo 14, introdotto nel corso dell’esame al Senato, novella con il comma 1 le norme che disciplinano la classificazione delle carcasse bovine, recate dalla legge n. 213/1997[86], e con il comma 2 le disposizioni sull’etichettatura delle carni bovine e derivati, regolata dal D.lgs. n. 58/2004[87], allo scopo di disciplinare anche le carni di bovini al di sotto dei 12 mesi.
Intervenendo sulla legge n. 213/1997, la lettera a) del comma 1 dispone con norme integrative dell’articolo 1 (comma 1-bis) che le carcasse (e mezzene) di bovini di età non superiore a 12 mesi siano classificate sulla base delle nuove norme recate dal regolamento (CE) n. 361/2008 che, modificando il regolamento n. 1234/2007 (regolamento unico OCM), ha introdotto disposizioni specifiche per la commercializzazione delle carni ottenute dai giovani bovini, le quali si applicano ai capi macellati a partire dal 1° luglio 2008 (art. 113-ter e allegato XI bis del regolamento n. 1234/2007[88]). I bovini adulti restano regolati dalle disposizioni di cui all’art. 42 ed all’allegato V del regolamento 1234/2007 che hanno sostituito le norme precedentemente recate dal regolamento (CEE) n. 1186/90 del 7 maggio 1990.
Ai giovani bovini, specifica ancora la lettera a), si applicano altresì le disposizioni di cui al D.M. 8 agosto 2008[89] che regola la commercializzazione delle menzionate carni proprio in attuazione del regolamento n. 1234/2007, ed indica con l’art. 2 i criteri di classificazione alla macellazione dei bovini al di sotto dei 12 mesi.
La lettera b) del comma 1, novellando il primo comma dell’art. 3 della legge 213/1997, estende l’applicazione delle sanzioni già previste per la classificazione e marchiatura delle carcasse dei bovini adulti anche alle operazioni sui vitelli di cui al nuovo comma 1-bis.
La lettera c) del comma 1 novellando il secondo comma dell’art. 3 della legge 213/1997 dispone che l’identificazione e marchiatura delle carcasse e mezzene debba avvenire sia nel rispetto del decreto n. 298/1998[90] che si applica ai bovini adulti che dell’art. 2 del già menzionato decreto dell’8 agosto 2008 valido per i capi al di sotto dei 12 mesi.
Il comma 2, infine, inserendo un comma aggiuntivo nell’art. 5 del D.lgs. n. 58/2004 prevede delle sanzioni, per i medesimi importi previsti per i bovini adulti, per l’errata o incompleta etichettatura delle carni ottenute dai bovini di età non superiore a 12 mesi.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
Il 18 settembre 2008 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento relativo alla protezione degli animali durante l’abbattimento (COM(2008)553).
La proposta intende raggiungere i seguenti obiettivi:
- sviluppare una metodologia comune per incoraggiare nuovi metodi di stordimento;
- assicurare una maggiore integrazione del benessere degli animali nel processo di produzione imponendo procedure operative standard e la nomina di responsabili della tutela del benessere animale nei macelli;
- innalzare il livello delle norme relative alla costruzione e alla dotazione dei macelli;
- aumentare il livello di competenza degli operatori;
- migliorare la protezione degli animali durante le operazioni di abbattimento in massa.
La proposta, che segue la procedura di consultazione, sarà esaminata dal Parlamento europeo il 5 maggio 2009.
Art. 15
(Modifiche all’articolo 2 della legge 23 dicembre 1986, n. 898, in tema di sanzioni amministrative e penali in materia di aiuti comunitari nel settore agricolo)
1. All’articolo 2 della legge 23 dicembre 1986, n. 898, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 ottobre 1986, n. 701, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, dopo le parole: «del Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia» sono inserite le seguenti: «, del Fondo europeo agricolo di garanzia e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale» e le parole: «a lire sette milioni settecentoquarantacinquemila» sono sostituite dalle seguenti: «ad euro 3.999,96»;
b) al comma 2, dopo le parole: «del Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia» sono inserite le seguenti: «, del Fondo europeo agricolo di garanzia e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale» e le parole: «detto Fondo» sono sostituite dalle seguenti: «detti Fondi».
L'articolo in esamereca alcune modifiche all'art. 2 della legge n. 898 del 1986[91] estendendo la disciplina sanzionatoria ivi prevista per l'indebito conseguimento dei contributi o delle erogazioni a carico del “Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia” anche ai medesimi fatti commessi in danno dei due fondi di nuova istituzione, il “Fondo europeo agricolo di garanzia” (FEAGA) ed il “Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale” (FEASR).
L’importo al di sotto del quale si applica la sola sanzione amministrativa, sinora espresso in lire, viene quindi convertito in euro sostituendo la cifra di lire 7.745.000 con quella di euro 3.999,96, in conformità anche a quanto previsto dall'art. 316-ter del codice penale per il reato di “Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato”.
Le modifiche introdotte sono dirette ad adeguare la disciplina sanzionatoria nazionale alle modifiche apportate alla disciplina dei fondi europei dal Regolamento (CE) n. 1290/2005 del Consiglio relativo al finanziamento della politica agricola comune.
Detto regolamento, più volte modificato, ha istituito un quadro giuridico unico per il finanziamento delle spese connesse alla politica agricola comunitaria scaturita dalla riforma del 2003 e ormai diretta alla realizzazione non solo di una politica di sostegno dei mercati agricoli, che costituisce il primo pilastro, ma anche delle misure di sviluppo rurale che costituiscono il secondo pilastro. A tale scopo il regolamento ha istituito due nuovi fondi, il Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) per le spese relative al primo pilastro ed il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) diretto al sostegno del secondo pilastro, in sostituzione del precedente unico Fondo europeo agricolo articolato nelle due sezioni di “garanzia”, per le politiche di mercato, e di “orientamento” riservato agli interventi sulle strutture agricole.
L'art. 2 della legge 898 del 1986, oggetto di modifica, prevede che, ove il fatto non costituisca più grave reato previsto dall'articolo 640-bis del codice penale, chiunque consegua indebitamente aiuti, premi, indennità, restituzioni, contributi o altre erogazioni a carico totale o parziale del vecchio Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (FEOGA) sia punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Nel caso le somme indebitamente percepite siano pari od inferiori a lire 7.745.000 è prevista solo l'applicazione di una sanzione amministrativa. Agli effetti di queste disposizioni sono assimilate alle erogazioni del FEOGA le quote nazionali previste dalla normativa comunitaria a complemento delle somme a carico di detto Fondo, nonché le erogazioni poste a totale carico della finanza nazionale sulla base della normativa comunitaria.
Con la sentenza il giudice determina anche l'importo indebitamente percepito e condanna il colpevole alla restituzione di tale importo all'amministrazione che ha disposto l'erogazione.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
Il 7 marzo 2009 è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea il regolamento (CE) n. 182/2009che modifica il regolamento (CE) n. 1019/2002 relativo alle norme di commercializzazione dell'olio di oliva.
In particolare, la nuova disciplina rende obbligatoria l’indicazione dell’origine per l’olio d’oliva extra vergine e l'olio d'oliva vergine. Le nuove norme si applicano dal 1° luglio 2009.
Art. 16
(Modifiche alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio in attuazione della direttiva 79/409/CEE)
1. All’articolo 1 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) dopo il comma 2 è inserito il seguente:
«2-bis. Lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano si adoperano, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, per mantenere o adeguare le popolazioni delle specie di uccelli di cui all’articolo 1 della direttiva 79/409/CEE ad un livello corrispondente alle esigenze ecologiche, scientifiche e culturali, tenendo conto delle esigenze economiche e ricreative secondo i dettami della “Guida alla disciplina della caccia nell’ambito della direttiva 79/409/CEE sulla conservazione degli uccelli selvatici“ della Commissione europea quale documento di orientamento relativo alla caccia per un prelievo praticato in forma sostenibile, a norma della direttiva 79/409/CEE del Consiglio e delle modifiche in prosieguo proposte, nel rispetto del testo della direttiva e dei princìpi generali sui quali si basa la legislatura comunitaria nella specifica materia.»;
b) dopo il comma 7 è aggiunto, in fine, il seguente:
«7-bis. Il Ministro per le politiche europee, di concerto con i Ministri interessati, trasmette alla Commissione europea tutte le informazioni a questa utili al fine di coordinare le ricerche e i lavori riguardanti la protezione, la gestione e la utilizzazione delle specie di uccelli di cui all’articolo 1 della direttiva 79/409/CEE, nonché quelle sull’applicazione pratica della presente legge, limitatamente a quanto previsto dalla direttiva 79/409/CEE».
2. Al comma 2 dell’articolo 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, il primo periodo è sostituito dal seguente: «I termini di cui al comma 1 possono essere modificati per determinate specie in relazione alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali, anche al fine di garantire la tutela delle specie di uccelli di cui all’articolo 1 della direttiva 79/409/CEE nel periodo di nidificazione e durante le fasi di riproduzione e di dipendenza e, nei confronti delle specie migratrici, durante il periodo di riproduzione e durante il ritorno al luogo di nidificazione.».
3. Al comma 2 dell’articolo 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, il terzo periodo è sostituito dal seguente: «I termini devono comunque garantire il rispetto della direttiva 79/409/CEE per le specie in essa tutelate».
4. Al comma 3 dell’articolo 20 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e, per quanto concerne le specie di uccelli che non vivono naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri dell’Unione europea, previa consultazione della Commissione europea».
5. All’articolo 21, comma 1, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) alla lettera o), sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «; distruggere o danneggiare deliberatamente nidi e uova, nonché disturbare deliberatamente le specie protette di uccelli, fatte salve le deroghe e le attività venatorie previste dalla presente legge»;
b) alla lettera bb), dopo le parole: «detenere per vendere» sono inserite le seguenti: «trasportare per vendere,».
L'articolo 16, modificato nel corso dell’esame al Senato, rivede la legge n. 157 del 1992, recante norme per la tutela della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, c.d. legge sulla caccia, al fine di adeguarla, come afferma la relazione illustrativa, alla direttiva 79/409/CE del Consiglio e superare le censure formulate dalla Commissione europea nel parere motivato adottato il 28 giugno 2006 nell'ambito della procedura d’infrazione 2006/2131 (v. infra).
Con il comma 1, lettera a), si aggiunge dopo il comma 2 dell'art. 1 della citata legge n. 157 del 1992 un ulteriore comma ove si prevede, parafrasando in parte l’articolo 2 della direttiva 79/409/CE, che lo Stato, le Regioni e le province autonome, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, si adoperino per assicurare un livello della popolazione della fauna selvatica corrispondente alle esigenze ecologiche, scientifiche e culturali, tenendo conto degli aspetti economici e ricreativi; le iniziative in materia dovranno peraltro seguire i dettami della Guida alla disciplina della caccia nell’ambito della direttiva 79/409/CEE sulla conservazione degli uccelli, pubblicata dalla Commissione nel febbraio 2008, che assume la veste di documento di orientamento per un prelievo praticato in forma sostenibile.
Secondo la relazione al disegno di legge la modifica consentirebbe di superare la censura, contenuta nel parere motivato del giugno 2006, circa il mancato recepimento dell’articolo 2 della direttiva 79/409/CE.
La relazione precisa, altresì, che le attività che eventualmente si renderà necessario intraprendere a tal fine saranno poste in essere utilizzando gli ordinari stanziamenti di bilancio e che esse consisteranno in misure di ripopolamento o di reintroduzione ovvero di miglioramento ambientale in relazione alle specie che si renderà necessario adeguare.
Si segnala che con accordo sottoscritto il 12 ottobre 2004, nel quadro dell’Iniziativa per la caccia sostenibile (ICS) della Commissione europea, la Federazione delle associazioni di caccia e conservazione della fauna selvatica dell’UE - FACE (Federation of Associations for Hunting and Conservation of the EU) e il BirdLife International hanno convenuto di attribuire importanza prioritaria all’applicazione della direttiva uccelli secondo le indicazioni contenute nella Guida.
Con la lettera b) del comma 1 viene inserito dopo il comma 7 dell'art. 1 della citata legge n. 157 del 1992 un comma aggiuntivo ove si prevede che il Ministro per le politiche europee, di concerto con i Ministri interessati, trasmetta alla Commissione europea tutte le informazioni utili per le ricerche riguardanti la protezione, la gestione e l'utilizzazione della fauna selvatica, nonché quelle sull’applicazione pratica della legge.
La modifica è volta, come precisato nella relazione che accompagna il disegno di legge in esame, a superare la censura circa il mancato recepimento della direttiva 79/409/CE nella parte in cui impone agli Stati membri l’obbligo di trasmettere alla Commissione europea tutte le informazioni utili per coordinare le ricerche e i lavori riguardanti la protezione, la gestione e l’utilizzazione della fauna selvatica, nonché quelle sull’applicazione pratica della legislazione nazionale.
Si ricorda che la direttiva 79/409/CE del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici prevede, all'art. 10, che gli Stati membri incoraggino le ricerche e i lavori necessari per la protezione, la gestione e l'utilizzazione della popolazione di tutte le specie di uccelli previste dalla direttiva e che, tra l'altro, gli Stati membri trasmettano alla Commissione tutte le informazioni ad essa necessarie per prendere misure appropriate per coordinare le ricerche e i lavori svolti in tale settore.
Il comma 2 ed il comma 3 (quest’ultimo introdotto durante l’esame al Senato) dell’articolo in esame modificano l'art. 18 della legge n. 157 del 1992, che individua le specie cacciabili per periodi di attività venatoria, sostituendo il primo ed il terzo periodo del comma 2. Il testo proposto continua a consentire alle regioni di modificare il calendario stabilito dal primo comma (in dipendenza delle diverse realtà territoriali), eliminando tuttavia il vincolo (attuale terzo periodo del comma 2 dell’art. 18) in base al quale” i termini devono essere comunque contenuti tra il 1° settembre ed il 31 gennaio dell’anno nel rispetto dell’arco temporale massimo indicato al comma 1”. La nuova formulazione stabilisce invece che i diversi termini per l’esercizio della caccia debbano anche garantire la tutela delle diverse specie durante il periodo della nidificazione o durante le fasi della riproduzione e della dipendenza, ovvero, per quanto concerne le specie migratrici, durante il periodo della riproduzione e il ritorno al luogo di nidificazione, e debbono in ogni caso garantire il rispetto della direttiva 79/409/CEE (così il nuovo terzo periodo).
L'articolo 18 della legge n. 157 del 1992, nel testo attualmente vigente, definisce gli orari e giorni in cui la caccia è consentita ed individua le specie che sono cacciabili.
L'art. 18 fissa il calendario venatorio per le varie specie, ripartendole in quattro gruppi:
- le specie che possono essere cacciate a partire dalla terza domenica di settembre al 31 dicembre ( in particolare, fra le altre, quaglie, pernici e lepri);
- quelle che possono essere cacciate dalla terza domenica di settembre al 31 gennaio ( in particolare, fra le altre, fagiani, beccacce e anatre);
- quelle che possono essere cacciate tra il 10 ottobre e il 30 novembre (in particolare, fra le altre, camoscio, capriolo, cervo, daino e muflone);
- il cinghiale non può essere cacciato che fra il 10 ottobre e il 31 dicembre o fra il 10 novembre e il 31 gennaio. La caccia è vietata quando il terreno sia coperto dal manto nevoso.
Il comma 2 dell’art. 18 consente tuttavia alle regioni di modificare il calendario nazionale, previo parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, nonché di vietare la caccia per determinate specie, in relazione “alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali”, ovvero alla densità della fauna presente sul proprio territorio, per ragioni climatiche particolari, o per motivi sanitari. Resta tuttavia l'obbligo di contenere i termini tra il 1° settembre ed il 31 gennaio e per l’arco massimo temporale stabilito al primo comma. L'autorizzazione regionale è peraltro condizionata alla preventiva predisposizione di adeguati piani faunistico-venatori (così il terzo ed il quarto periodo attualmente in vigore).
Ogni regione è tenuta alla pubblicazione del calendario venatorio entro il 15 giugno di ogni anno, accompagnato dalla determinazione del numero di animali che possono essere abbattuti per ogni giorno di caccia (comma 4).
La legge nazionale stabilisce che la caccia sia vietata nei giorni di martedì e di venerdì demandando alle regioni di scegliere i giorni della settimana durante i quali è possibile cacciare, purché in numero non superiore a tre (comma 5); a tali ultime disposizioni tuttavia, fermo restando l’obbligo di silenzio venatorio nei giorni di martedì e venerdì, le regioni possono derogare secondo le consuetudini locali per la caccia agli uccelli migratori, che si svolge dal 10 ottobre al 30 novembre (comma 6).
La caccia, secondo la legge nazionale, è consentita da un'ora prima del sorgere del sole fino al tramonto, ma la caccia di selezione per gli ungulati è consentita fino ad un'ora dopo il tramonto.
Le singole regioni determinano l'orario di caccia giornaliero facendo riferimento a periodi di quindici giorni.
Il comma 4 modifica il comma 3 dell’articolo 20 della legge n. 157 del 1992, richiedendo che l'introduzione dall'estero della fauna selvatica, che, si ricorda, è consentita a scopo di miglioramento genetico, possa avvenire dietro autorizzazione, nel rispetto non solo delle convenzioni internazionali, ma anche – secondo la modifica introdotta – previa consultazione della Commissione europea. La modifica dovrebbe ovviare alla censura contenuta nel parere motivato del giugno 2006 relativa alla non completa trasposizione dell’articolo 11 della direttiva.
Il comma 5 modifica l'art. 21, comma 1, della legge n. 157, inserendo espressamente il divieto di distruzione e danneggiamento deliberato dei nidi e delle uova ed il divieto di disturbare deliberatamente le specie di uccelli protette, fatte salve le deroghe previste dalla stessa legge n. 157, nonché il divieto di trasporto per la vendita, con ciò recependo quanto stabilito dagli artt. 5 e 6, paragrafo 1, della direttiva uccelli.
L'articolo 21 della legge n. 157 del 1992 prevede un'ampia enumerazione di divieti di caccia, divieti già in parte enunciati nell’articolo 5 della legge stessa, ma che sono fondamentalmente contemplati nell’articolo 21. Peraltro, il dettagliato elenco di cui al comma 1 è volto non solo ad assicurare la salvaguardia della selvaggina o ad evitarle sofferenze particolari, ma anche a garantire condizioni generali di sicurezza, tranquillità e incolumità delle persone, nonché l’integrità delle strutture pubbliche.
E' vietato, tra l'altro: alla lettera o), prendere e detenere uova, nidi e piccoli nati di mammiferi e uccelli appartenenti alla fauna selvatica. Ciò è possibile solo per cattura temporanea e inanellamento.da parte degli istituti scientifici delle università o, in talune zone, per sottrarli a sicura distruzione o morte, previo avviso all'autorità competente; alla lettera bb) vendere, detenere per vendere, acquistare uccelli vivi o morti, nonché loro parti o prodotti derivati facilmente riconoscibili, appartenenti alla fauna selvatica, che non appartengano alle seguenti specie: germano reale (anas platyrhynchos); pernice rossa (alectoris rufa); pernice di Sardegna (alectoris barbara); starna (perdix perdix); fagiano (phasianus colchicus); colombaccio (columba palumbus).
Va segnalato che presso il Senato sono stati presentati numerosi disegni di legge di totale revisione della legge n. 157 che, dopo essere stati esaminati congiuntamente dalla XIII Commissione (Territorio, ambiente, beni ambientali) in una prima seduta tenutasi il 22 ottobre 2008, sono confluiti in un testo unificato proposto dal relatore nella seduta dell’11 marzo 2009.
Procedure di contenzioso
Il 22 dicembre 2008 la Commissione europea ha presentato un ricorso alla Corte di giustizia delle Comunità europee (procedura n. 2006/2131, causa C-573/08) sostenendo che la “legislazione italiana non costituisce recepimento completo e conforme della direttiva 79/409/CEE”, concernente la conservazione degli uccelli selvatici.
In particolare, risulterebbero non recepiti, o trasposti in modo non conforme, i seguenti articoli della direttiva:
· articolo 2 (misure necessarie per mantenere o adeguare la popolazione di tutte le specie di uccelli selvatici): non recepito;
· articolo 3 (misure necessarie per preservare , mantenere o ristabilire , per tutte le specie di uccelli selvatici una varietà e una superficie di habitat): recepimento non conforme derivato dal mancato recepimento dell'articolo 2;
· articolo 4, paragrafo 4 (misure idonee a prevenire, nelle zone di protezione, l'inquinamento o il deterioramento degli habitat): non recepito;
· articolo 5 (misure necessarie per instaurare un regime generale di protezione di tutte le specie di uccelli selvatici): non sono recepiti il divieto di distruzione e danneggiamento deliberato dei nidi e delle uova nonché il divieto di disturbo deliberato degli uccelli protetti dalla direttiva;
· articolo 6 (misure riguardanti la vendita, il trasporto e la detenzione per la vendita): non è recepito il divieto di trasporto per la vendita;
· articolo 7, paragrafo 4: recepimento non completo (nella legislazione italiana la suddivisione temporale per periodi di attività venatoria non prevede il divieto di caccia durante il periodo di nidificazione e riproduzione, in particolare quando si tratta di specie migratrici; non risulta inoltre recepito l'obbligo di trasmettere alla Commissione le informazioni utili sull'applicazione pratica della legislazione sulla caccia);
· articolo 9: recepimento non conforme a livello statale (i controlli di legittimità delle deroghe sono inefficaci e intempestivi); recepimento e applicazione non conforme a livello regionale (Abruzzo, Lazio, Toscana, Lombardia, Emilia Romagna, Marche, Calabria e Puglia);
· articolo 10, paragrafo 2: recepimento non completo (manca l'obbligo di trasmettere alla Commissione le informazioni necessarie per coordinare le ricerche e i lavori per la protezione, la gestione e l'utilizzazione delle popolazioni di uccelli protetti dalla direttiva);
· articolo 11: recepimento non completo (non è previsto l'obbligo di consultare la Commissione in materia di introduzione di specie esotiche);
· articolo 13 (misure per evitare il deterioramento della situazione attuale per quanto riguarda la conservazione degli uccelli selvatici): non recepito;
· articolo 18, paragrafo 2: mancata comunicazione delle autorità italiane dei testi regionali in materia di caccia per le regioni Lazio, Lombardia, Toscana e Puglia.
Il 29 giugno 2006 la Commissione europea ha deferito l’Italia alla Corte di giustizia delle Comunità europee (procedure n. 2004/4242 e 2004/4926) per violazione della direttiva 79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici da parte della legislazione regionale di Sardegna e Veneto. La normativa regionale del Veneto e della Sardegna, infatti, non prevedrebbe alcun meccanismo di controllo nei casi in cui la cattura o l'uccisione di uccelli tutelati dalla direttiva sia autorizzata per motivi eccezionali. La Commissione ritiene che la mancanza di tale meccanismo porti alla cattura e all'uccisione di un numero troppo elevato di uccelli.
Art. 17
(Disposizioni per il parziale recepimento della direttiva 2007/61/CE che modifica la direttiva 2001/114/CE relativa a taluni tipi di latte conservato parzialmente o totalmente disidratato destinato all’alimentazione umana)
1. L’articolo 2 del decreto legislativo 20 febbraio 2004, n. 49, di attuazione della direttiva 2001/114/CE del Consiglio, del 20 dicembre 2001, relativa a taluni tipi di latte conservato parzialmente o totalmente disidratato destinato all’alimentazione umana, è abrogato.
L'articolo in esameabroga l'art. 2 del decreto legislativo n. 49 del 2004[92], che consente l'aggiunta di vitamine nella produzione di alcuni tipi di latte conservato, parzialmente o totalmente disidratato, destinati all'alimentazione umana.
Mediante tale abrogazione – come evidenziato dalla relazione illustrativa – viene parzialmente attuata la direttiva 2007/61/CE del Consiglio, del 26 settembre 2007, che, a seguito dell’approvazione del regolamento 1925/2006 concernente l'aggiunta di vitamine e minerali e di talune altre sostanze agli alimenti, ha modificato la direttiva 2001/114/CE recante norme comuni per la composizione, le caratteristiche di fabbricazione e l'etichettatura dei menzionati tipi di latte destinati all'alimentazione, sopprimendo l’articolo 2 che consentiva agli Stati membri di autorizzare l'aggiunta di vitamine.
Le restanti modifiche, apportate alla direttiva 2001/114/CE dalla direttiva 2007/61/CE, incidono sulla denominazione e definizione dei prodotti e poiché richiedono un adeguamento tecnico delle norme interne saranno recepite con semplici provvedimenti amministrativi.
La direttiva 2001/114/CE del Consiglio, del 20 dicembre 2001, definisce e classifica i seguenti prodotti che rientrano nel suo campo di applicazione:
§ il latte parzialmente disidratato (zuccherato o meno);
§ il latte totalmente disidratato (contenente differenti percentuali di materie grasse).
Per tali prodotti la direttiva enuncia anche una lista di denominazioni particolari utilizzate in alcuni Paesi.
La direttiva prevede che l'etichetta riporti, a fianco della denominazione di vendita, la percentuale di materie grasse e la percentuale di estratto secco sgrassato derivante dal latte. L'etichetta del latte totalmente disidratato deve riportare indicazioni per la diluizione o la ricostruzione del prodotto e spiegare chiaramente che esso non è destinato all'alimentazione dei minori di dodici mesi.
La direttiva 2001/114/CE è stata in seguito modificata dal regolamento (CE) n. 1925/2006, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, che ha stilato un elenco armonizzato di vitamine, sostanze minerali e altre sostanze, come fibre e acidi grassi essenziali, che possono essere aggiunte volontariamente dai fabbricanti di derrate alimentari, stabilendo che possono essere utilizzate soltanto le sostanze presenti nell'elenco. Le vitamine e i minerali contenuti negli integratori alimentari restano al di fuori del campo di applicazione del regolamento.
Tuttavia, gli Stati membri hanno la possibilità di autorizzare sul loro territorio talune sostanze non incluse nell'elenco per un periodo transitorio di sette anni a partire dalla data di entrata in vigore del regolamento. Per ottenere questa deroga è necessario, tra l'altro, che l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) non si sia pronunciata contro la sostanza in questione e che essa sia stata utilizzata negli alimenti al più tardi alla data di entrata in vigore del regolamento.
Il regolamento si applica senza pregiudizio delle disposizioni concernenti:
§ alimenti destinati a una alimentazione particolare;
§ nuovi alimenti e nuovi ingredienti alimentari;
§ alimenti OGM;
§ additivi e aromi;
§ pratiche e trattamenti enologici.
Vengono dettate disposizioni anche relativamente all'etichettatura dei prodotti: l'indicazione nutrizionale di vitamine, sostanze minerali e alcuni altri prodotti aggiunti agli alimenti è obbligatoria. Le informazioni che devono essere incluse nell'etichetta sono le seguenti:
- quantità complessiva di vitamine e di minerali aggiunti;
- quantità di proteine, di glucidi, di zuccheri, di lipidi, d'acidi grassi saturi, di fibre alimentari e di sodio;
- valore energetico del prodotto;
- limiti massimi e minimi.
Il regolamento prevede, inoltre, dei limiti massimi di minerali e vitamine che possono essere aggiunti agli alimenti. Le quantità massime tengono conto dei limiti di sicurezza stabiliti dall'autorità europea di sicurezza degli alimenti, degli apporti in vitamine e minerali provenienti da altre fonti alimentari e delle quantità raccomandate alla popolazione. Vengono inoltre dettati divieti e limitazioni di uso.
Il Regolamento 1925/2006 è stato successivamente modificato in alcune sue parti dal Regolamento (CE) n. 108/2008, del Parlamento europeo e del Consiglio.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
Il 15 gennaio 2009 il Commissario per l'agricoltura, Mariann Fischer Boel, ha annunciato la reintroduzione delle restituzioni all'esportazione per il burro, il formaggio e il latte in polvere, intero e scremato, per far fronte alla crisi del settore lattiero-caseario. La Commissione s'impegna ad acquistare, se necessario, quantità maggiori di quelle che verranno stabilite mediante regolari gare d'appalto.
L'acquisto di burro e latte scremato in polvere è ripreso dunque il 1° marzo e rimarrà in vigore fino alla fine di agosto. Fin da marzo 2009 inizieranno gli acquisti al prezzo di intervento di burro e latte scremato in polvere.
Con l'aumento dell'offerta nel mercato mondiale e la riduzione della domanda nel mercato interno, i prezzi dei prodotti lattiero-caseari sono stati spinti al ribasso, vicino se non addirittura sotto ai livelli d'intervento. Il prezzo pagato ai produttori lattieri segue la stessa evoluzione e ai netti cali già registrati ne seguiranno probabilmente altri.
Procedure di contenzioso
Il 30 settembre 2008 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura n. 2008/0680) per mancato recepimento della direttiva 2007/61/CE che modifica la direttiva 2001/114/CE relativa a taluni tipi di latte conservato parzialmente o totalmente disidratato destinato all’alimentazione umana.
Il termine di recepimento della direttiva era il 31 agosto 2008.
Art. 18
(Disposizioni per l’attuazione della direttiva 2008/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2008)
1. All’elenco A della legge 16 aprile 1987, n. 183, le parole: «84/539 Direttiva del Consiglio del 17 settembre 1984 per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli apparecchi elettrici utilizzati in medicina umana e veterinaria» sono soppresse.
2. Il decreto del Ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie 28 novembre 1987, n. 597, recante attuazione della direttiva 84/539/CEE del Consiglio, del 17 settembre 1984, relativa agli apparecchi elettrici utilizzati in medicina umana e veterinaria, è abrogato.
L’articolo 18 abroga le norme interne che hanno dato attuazione alla direttiva 84/539/CEE[93] del Consiglio, del 17 settembre 1984, concernente gli apparecchi elettrici impiegati in medicina umana e veterinaria. Si tratta, più in particolare, del decreto ministeriale 28 novembre 1987, n. 597[94] e del riferimento alla citata direttiva contenuto nell’Elenco A allegato alla legge 16 aprile 1987, n. 183[95].
In tal modo, le disposizioni in esame danno attuazione alla direttiva 2008/13/CE[96] del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2008, la quale ha disposto l’abrogazione della citata direttiva 84/539/CEE a decorrere dal 31 dicembre 2008.
Nella premessa della direttiva 2008/13/CE, infatti, si osserva che le prescrizioni contenute nelle norme abrogate non appaiono più necessarie e che il funzionamento del mercato interno e la protezione delle persone fisiche e degli animali possono essere garantiti in misura maggiore mediante altre disposizioni comunitarie.
Procedure di contenzioso
Il 29 gennaio 2009 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura n. 2009/0070) per mancato recepimento della direttiva 2008/13/CE che abroga la direttiva 84/539/CEE per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli apparecchi elettrici utilizzati in medicina veterinaria.
Il termine per il recepimento della direttiva era fissato al 31 dicembre 2008.
Art. 19
(Modifiche al decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269, recante attuazione della direttiva 1999/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 1999, riguardante le apparecchiature radio e le apparecchiature terminali di telecomunicazione e il reciproco riconoscimento della loro conformità)
1. Il comma 4 dell’articolo 13 del decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269, è sostituito dal seguente:
«4. Ciascun apparecchio è contraddistinto dal fabbricante mediante l’indicazione del modello, del lotto e/o dei numeri di serie e del nome del fabbricante o della persona responsabile dell’immissione sul mercato.».
L’articolo in esame intende apportare una modifica alla normativa in materia di marcatura CE delle apparecchiature radio e delle apparecchiature terminali di telecomunicazione di cui al comma 4 dell’art. 13 del d.lgs. 269/2001.
Più specificamente la novella impone che ciascun apparecchio venga contraddistinto dal fabbricante mediante l’indicazione del modello, del lotto e, in aggiunta ovvero in alternativa, dei numeri di serie e del nome del fabbricante o della persona responsabile dell’immissione sul mercato.
L’articolo 13 del decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269 (Attuazione della direttiva 1999/5/CE riguardante le apparecchiature radio, le apparecchiature terminali di telecomunicazione ed il reciproco riconoscimento della loro conformità) prescrive che un apparecchio conforme ai requisiti essenziali pertinenti sia contraddistinto dalla marcatura CE di conformità che viene apposta sotto la responsabilità del fabbricante, del suo rappresentante autorizzato nell'Unione europea o della persona responsabile dell'immissione sul mercato dell'apparecchio. Le apparecchiature radio sono, inoltre, accompagnate dall'identificatore della categoria rispettiva, ove ne sia stato assegnato uno. È consentito apporre sull'apparecchiatura altre marcature, purché non riducano la visibilità e la leggibilità della marcatura CE di conformità. Nessun apparecchio, sia esso conforme o meno ai requisiti essenziali pertinenti, può recare marchi idonei a trarre in inganno i terzi quanto al significato e alla forma della marcatura CE; in caso contrario, spetta al Ministero delle comunicazioni (oggi Dipartimento presso il Ministero delle Attività Produttive) adottare i provvedimenti necessari per ritirare detto apparecchio dal mercato o dal servizio, proibirne l'immissione sul mercato o la messa in servizio o limitarne la libera circolazione. Se non è possibile identificare la persona che ha apposto la marcatura, il provvedimento può essere adottato nei riguardi di chi deteneva l'apparecchio al momento in cui è stata riscontrata la non conformità.
Il comma 4 dell’art. 13 del d.lgs. 269/2001, oggetto della modifica in commento, prescrive, nel testo vigente, che i dati relativi al modello, al lotto, ai numeri di serie e al nome del fabbricante o della persona responsabile dell’immissione sul mercato devono essere tutti necessariamente indicati su ciascun apparecchio.
1. Al codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 67, comma 6, le parole: «conformemente alle disposizioni di cui al presente articolo» sono sostituite dalle seguenti: «conformemente alle disposizioni di cui alla presente sezione»;
b) l’articolo 144-bis è sostituito dal seguente:
«Art.144-bis. - (Cooperazione tra le autorità nazionali per la tutela dei consumatori). – 1. Il Ministero dello sviluppo economico, salve le disposizioni in materia bancaria, finanziaria, assicurativa e di sistemi di pagamento e le competenze delle autorità indipendenti di settore, che continuano a svolgere le funzioni di autorità competente ai sensi dell’articolo 3, lettera c), del regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004, nonché le disposizioni vigenti nelle ulteriori materie per le quali è prevista la competenza di altre autorità nazionali, svolge le funzioni di autorità competente, ai sensi del medesimo articolo 3, lettera c), del citato regolamento (CE) n. 2006/2004, in materia di:
a) servizi turistici, di cui alla parte III, titolo IV, capo II;
b) clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, di cui alla parte III, titolo I;
c) garanzia nella vendita dei beni di consumo, di cui alla parte IV, titolo III, capo I;
d) credito al consumo, di cui alla parte III, titolo II, capo II, sezione I;
e) commercio elettronico, di cui alla parte III, titolo III, capo II;
f) contratti negoziati fuori dai locali commerciali, di cui alla parte III, titolo III, capo I, sezione I;
g) contratti a distanza, di cui alla parte III, titolo III, capo I, sezione II;
h) contratti relativi all’acquisizione di un diritto di godimento ripartito di beni immobili, di cui alla parte III, titolo IV, capo I.
2. Il Ministero dello sviluppo economico esercita tutti i poteri di cui al citato regolamento (CE) n. 2006/2004, nelle materie di cui al comma 1, anche con riferimento alle infrazioni lesive degli interessi collettivi dei consumatori in ambito nazionale.
3. Per lo svolgimento dei compiti di cui ai commi 1 e 2, il Ministero dello sviluppo economico può avvalersi delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, nonché del Corpo della Guardia di finanza che agisce con i poteri ad esso attribuiti per l’accertamento dell’imposta sul valore aggiunto e delle imposte sui redditi. Può inoltre definire forme di collaborazione con altre pubbliche amministrazioni. Limitatamente ai poteri di cui all’articolo 139, può avvalersi delle associazioni dei consumatori e degli utenti di cui all’articolo 137.
4. Ferme restando la disciplina sanzionatoria in materia di indicazione dei prezzi di cui all’articolo 17 del presente codice e le disposizioni di cui all’articolo 22, comma 3, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, ai fini dell’applicazione del regolamento (CE) n. 2006/2004 il Ministero dello sviluppo economico, per lo svolgimento delle funzioni di cui al comma 1, può avvalersi, in particolare, dei comuni.
5. Le procedure istruttorie relative ai poteri di cui al comma 2, nonché relativamente all’applicazione delle sanzioni di cui ai commi 6 e 7, sono stabilite con regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera d), della legge 23 agosto 1988, n. 400, in modo da garantire il contraddittorio, la piena cognizione degli atti e la verbalizzazione.
6. Nei casi di rifiuto, omissione o ritardo, senza giustificato motivo, di esibire i documenti o di fornire le informazioni richieste, nell’ambito delle proprie competenze, dal Ministero dello sviluppo economico, riguardanti fattispecie di infrazioni nazionali o intracomunitarie, nonché nel caso in cui siano esibiti documenti o fornite informazioni non veritiere, si applicano le sanzioni di cui all’articolo 27, comma 4.
7. Nei casi di inottemperanza ad impegni assunti nei confronti del Ministero dello sviluppo economico dai soggetti interessati, per porre fine a infrazioni nazionali o intracomunitarie, si applicano le sanzioni di cui all’articolo 27, comma 12.
8. Ai sensi degli articoli 3, lettera c), e 4, del citato regolamento (CE) n. 2006/2004, in materia di pratiche commerciali scorrette di cui alla parte II, titolo III, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 27, commi 1 e 2, in relazione alle funzioni di autorità competente attribuite all’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Per i profili sanzionatori, nell’ambito delle proprie competenze, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato provvede ai sensi dell’articolo 27.
9. Il Ministero dello sviluppo economico designa l’ufficio unico di collegamento responsabile dell’applicazione del citato regolamento (CE) n. 2006/2004.».
2. Alle attività e agli adempimenti di cui all’articolo 144-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, come sostituito dal comma 1, lettera b), del presente articolo, si provvede nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
L’articolo 20 reca due modifiche al Codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206.
La normativa in materia di tutela dei consumatori è stata riordinata e raccolta nel cd. Codice del consumo (decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206)emanato in attuazione della delega contenuta nell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229 (recante Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e semplificazione – Legge di semplificazione 2001). Il Codice è intervenuto su di un tessuto normativo costituito da provvedimenti di recepimento di direttive comunitarie, da norme del Codice civile (artt. 1496-bis e seguenti, in tema di clausole abusive, e 1519-bis e seguenti, in tema di vendita di beni mobili di consumo) e da numerosi atti di diverso rango legislativo, formalmente non coordinati con la principale legge di riferimento, la legge 30 luglio 1998, n. 281 (recante Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti), con la quale si era provveduto all’introduzione di una disciplina generale dei principi che presiedono alla tutela dei consumatori, definendo una carta dei diritti dei consumatori e degli utenti[97]. Il Codice del consumo reca, quindi, una disciplina organica in materia di tutela dei consumatori, coordinata con la normativa comunitaria e diretta alla semplificazione normativa sia sul piano quantitativo, attraverso l’unificazione redazionale di numerosi provvedimenti legislativi, che su quello qualitativo dell’unificazione del linguaggio e della coerenza giuridica e sistematica delle norme. Dopo due anni dalla sua emanazione, il Codice ha subito alcune significative modifiche ed integrazioni, dapprima per dare attuazione agli obblighi comunitari di cui alla direttiva 2005/29/CE in materia di pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori (recepita all'interno del Codice con il decreto legislativo n. 146 del 2 agosto 2007[98]), e successivamente per adeguarlo alle Disposizioni correttive ed integrative adottate con il decreto legislativo n. 221 del 23 ottobre 2007, che ha anche provveduto a convogliare nel Codice del consumo le disposizioni di attuazione della direttiva 2002/65/CE in materia di commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori, precedentemente recate dal decreto legislativo n. 190/2005 (di cui si è prevista contestualmente l’abrogazione).
La prima modifica introdotta dal comma 1, lett. a), concerne l’articolo 67, comma 6, del predetto Codice e consiste nella correzione di un rinvio – ivi contenuto – alle disposizioni di cui «al presente articolo» (riferito all’esercizio del diritto di recesso in materia di contratti a distanza ), che risulta superato a seguito dell’intervento di codificazione.
Infatti, nel testo originario di recepimento della direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 1997, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza (recepito con il decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 185), tutte le disposizioni relative all’esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore erano contenute nel solo articolo 5 (articolato in più commi), mentre nel nuovo testo recato dal Codice del consumo le medesime disposizioni sono suddivise in più articoli raccolti in un’unica sezione. Tuttavia l’attuale articolo 67, comma 6, ha mantenuto l’originario riferimento “al presente articolo”, che non appare più corretto a seguito dell’intervento di codificazione.
Pertanto i riferimenti normativi contenuti nell’articolo 67, comma 6, devono essere opportunamente reindirizzati all’intera parte del decreto legislativo n. 206 del 2005 che disciplina il diritto di recesso, ossia alla sezione IV, capo I, titolo III della parte III del Codice del consumo stesso.
Con il comma 1, lett. b), viene integralmente sostituito l’articolo 144-bis del Codice del consumo (Cooperazione tra le autorità nazionali per la tutela dei consumatori), introdotto dall’articolo 19 della legge 6 febbraio 2007, n. 13 (legge comunitaria 2006).
Si ricorda brevemente che l’articolo 19 citato ha individuato nel Ministero dello sviluppo economico l’autorità pubblica nazionale competente per la cooperazione in materia di tutela dei consumatori[99]. A tal fine ha novellato il D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 recante il nuovo “Codice del consumo”, provvedendo ad inserire nella relativa parte VI un nuovo articolo, il 144-bische detta disposizioni in materia di “Cooperazione tra le autorità nazionali per la tutela dei consumatori”.
La relazione di accompagnamento del disegno di legge in esame precisa che la nuova formulazione tiene conto delle problematiche emerse nel corso del recepimento della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, che modifica la direttiva 84/450/CEE sulla pubblicità ingannevole, recepita con il decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 146, ed in particolare rappresentate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato e dalla Commissione europea, anche in ragione dell’ulteriore aggiornamento delle disposizioni di riferimento avvenuto con il decreto legislativo 23 ottobre 2007, n. 221, correttivo del Codice del consumo.
Nello specifico, ai sensi del comma 1del capoverso art. 144-bis, le competenze del Ministero dello sviluppo economico sono ridefinite, alla luce dell’entrata in vigore della disciplina sulle pratiche commerciali scorrette (decreti legislativi 2 agosto 2007, n. 145 e n. 146[100]), chiarendo che il predetto Ministero svolge la funzione di autorità competente, ai sensi dell'art. 3, lettera c) del regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004, e nell’ottica di una più efficiente attribuzione di funzioni, in materia: di servizi turistici, di cui alla parte III, titolo IV, capo II del Codice del consumo; di clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, di cui alla parte III, titolo I; di garanzia nella vendita dei beni di consumo, di cui alla parte IV, titolo III, capo I; di credito al consumo, di cui alla parte III, titolo II, capo II, sezione I; di commercio elettronico, di cui alla parte III, titolo III, capo II; di contratti negoziati fuori dai locali commerciali, di cui alla parte III, titolo III, capo I, sezione I; di contratti a distanza, di cui alla parte III, titolo III, capo I, sezione II; e di contratti relativi all’acquisizione di un diritto di godimento ripartito di beni immobili (attualmente in capo alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura), di cui alla parte III, titolo IV, capo I, ferme restando le attribuzioni in capo ai comuni ai sensi delle altre norme del codice (in particolare l’articolo 17) e delle disposizioni di cui all’articolo 22, comma 3, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (riforma del commercio).
Il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004, sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa che tutela i consumatori (Regolamento sulla cooperazione per la tutela dei consumatori), definisce (art. 1) le condizioni in base alle quali le autorità competenti dello Stato membro designate in quanto responsabili dell’esecuzione della normativa sulla tutela degli interessi dei consumatori collaborano fra di loro e con la Commissione al fine di garantire il rispetto della citata normativa e il buon funzionamento del mercato interno e al fine di migliorare la protezione degli interessi economici dei consumatori. All'art. 3, lett. c), viene precisato, tra l'altro, che per "autorità competente" s’intende qualsiasi autorità pubblica a livello nazionale, regionale o locale, con responsabilità specifiche per l’esecuzione della normativa sulla protezione degli interessi dei consumatori.
L'art. 22, comma 3, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 disciplina le sanzioni pecuniarie per le violazioni di cui agli artt. 11 (orario di apertura e chiusura degli esercizi commerciali); 14 (pubblicità dei prezzi); 15 (vendite straordinarie) e 26, comma 5 (obbligo di comunicazione ai comuni del trasferimento della gestione o della proprietà ovvero della cessazione di attività per gli esercizi di vicinato e per le strutture di vendita medie e grandi).
È chiarita inoltre la circostanza per la quale, con riferimento al regolamento comunitario (CE) n. 2006/2004, restano ferme le disposizioni sulle competenze per le autorità nazionali già previste dall’ordinamento, in particolare quelle che designano l'Autorità garante della concorrenza e del mercato come autorità competente in materia di pratiche commerciali scorrette[101].
Ai sensi del comma 2del capoverso art. 144-bis, il Ministero dello sviluppo economico esercita tutti i poteri di cui al citato regolamento (CE) n. 2006/2004, nelle materie di cui al comma 1, anche con riferimento alle infrazioni lesive degli interessi collettivi dei consumatori in ambito nazionale.
Il successivo comma 3dispone che per lo svolgimento dei compiti di cui ai commi 1 e 2, il Ministero dello sviluppo economico può avvalersi delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, nonché del Corpo della Guardia di finanza che agisce con i poteri ad esso attribuiti per l’accertamento dell’imposta sul valore aggiunto e delle imposte sui redditi. Può inoltre definire forme di collaborazione con altre pubbliche amministrazioni. Limitatamente ai poteri di cui all’articolo 139, può avvalersi delle associazioni dei consumatori e degli utenti di cui all’articolo 137.
Con l'art. 137 del decreto legislativo n. 206 del 2005 è istituito, presso il Ministero dello sviluppo economico, l'elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale. L'iscrizione è subordinata al possesso di una serie di requisiti, da comprovare con la presentazione di documentazione conforme alle prescrizioni e alle procedure stabilite con decreto del Ministro dello sviluppo economico, riguardanti: l'avvenuta costituzione da almeno tre anni; il possesso di uno statuto che sancisca un ordinamento a base democratica e preveda come scopo esclusivo la tutela dei consumatori e degli utenti, senza fine di lucro; un numero di iscritti non inferiore allo 0,5 per mille della popolazione nazionale e presenza sul territorio di almeno cinque regioni o province autonome, con un numero di iscritti non inferiore allo 0,2 per mille degli abitanti di ciascuna di esse; l'elaborazione di un bilancio annuale delle entrate e delle uscite; lo svolgimento di un'attività continuativa nei tre anni precedenti; il non avere i suoi rappresentanti legali subito alcuna condanna, passata in giudicato, in relazione all'attività dell'associazione medesima, e non rivestire i medesimi rappresentanti la qualifica di imprenditori o di amministratori di imprese di produzione e servizi in qualsiasi forma costituite, per gli stessi settori in cui opera l'associazione. L'elenco è aggiornato annualmente a cura del Ministero dello sviluppo economico, che lo comunica alla Commissione europea.
Ai sensi dell'art. 139 del Codice del consumo, le associazioni dei consumatori e degli utenti inserite nell'elenco di cui all'articolo 137 sono legittimate ad agire, ai sensi dell'articolo 140 (recante disposizioni di carattere procedurale), a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti. Oltre a quanto disposto dall'articolo 2, recante l'elencazione dei diritti dei consumatori, le dette associazioni sono legittimate ad agire nelle ipotesi di violazione degli interessi collettivi dei consumatori. Gli organismi pubblici indipendenti nazionali e le organizzazioni riconosciuti in altro Stato dell'Unione europea ed inseriti nell'elenco degli enti legittimati a proporre azioni inibitorie a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, possono inoltre agire, ai sensi dello stesso articolo 139 e secondo le modalità di cui all'articolo 140, nei confronti di atti o comportamenti lesivi per i consumatori del proprio Paese, posti in essere in tutto o in parte sul territorio dello Stato.
Con il comma 4si prevede che ai fini dell’applicazione del regolamento (CE) n. 2006/2004 il Ministero dello sviluppo economico, per lo svolgimento delle funzioni di cui al comma 1, possa avvalersi, in particolare, dei comuni. Resta comunque ferma la disciplina sanzionatoria in materia di indicazione dei prezzi, di cui all'articolo 17 del Codice del consumo.
L'art. 17 del Codice del consumo prevede che chiunque ometta di indicare il prezzo per unità di misura o non lo indichi secondo quanto previsto dalla sezione I (indicazione dei prezzi per unità di misura) del capo III del titolo II della parte I del Codice medesimo, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 1.000.000 (516 euro) a lire 6.000.000 (3.098 euro), come previsto dall'art. 22, comma 3 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, di riforma della disciplina relativa al settore del commercio.
Le procedure istruttorie relative ai poteri di cui al citato regolamento (CE) n. 2006/2004 attribuiti al Ministro dello sviluppo economico ai sensi del comma 2, nonché relativamente all’applicazione delle sanzioni di cui ai successivi commi 6 e 7, sono stabilite, ai sensi del comma 5, con regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera d), della legge 23 agosto 1988, n. 400, in modo da garantire il contraddittorio, la piena cognizione degli atti e la verbalizzazione.
L'art. 17 della legge n. 400 del 1998 contiene, al comma 1, l'elenco delle fattispecie che possono essere disciplinate da regolamenti adottati con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato. Tra tali fattispecie, alla lettera d), rientra l'organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge.
Da ultimo, con riferimento al tema delle sanzioni, sollevato, come riferisce la relazione di accompagnamento del disegno di legge in esame, anche dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, si prevedono apposite sanzioni per le violazioni del regolamento (CE) n. 2006/2004 (commi 6 e 7), necessarie per assicurare l’effettività dell’esercizio dei poteri da parte delle autorità nazionali competenti. In particolare:
§ si applicano le sanzioni di cui all’articolo 27, comma 4 (sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 20.000 euro, e da 4.000 euro a 40.000 euro qualora le informazioni o la documentazione fornite non siano veritiere) nei casi di rifiuto, omissione o ritardo, senza giustificato motivo, di esibire i documenti o di fornire le informazioni richieste, nell’ambito delle proprie competenze, dal Ministero dello sviluppo economico, riguardanti fattispecie di infrazioni nazionali o intracomunitarie, nonché nel caso in cui siano esibiti documenti o fornite informazioni non veritiere (comma 6);
§ si applicano le sanzioni di cui all’articolo 27, comma 12 (sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 150.000 euro e nei casi di reiterata inottemperanza sospensione dell'attività d'impresa per un periodo non superiore a trenta giorni) nei casi di inottemperanza ad impegni assunti nei confronti del Ministero dello sviluppo economico dai soggetti interessati, per porre fine a infrazioni nazionali o intracomunitarie (comma 7).
Con il comma 8, si dispone l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 27, commi 1 e 2 del Codice del consumo, in relazione alle funzioni di autorità competente attribuite all’Autorità garante della concorrenza e del mercato – ai sensi degli articoli 3, lettera c), e 4 del citato regolamento (CE) n. 2006/2004 – in materia di pratiche commerciali scorrette di cui alla parte II del titolo III del Codice medesimo. Per i profili sanzionatori, nell’ambito delle proprie competenze, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato provvede ai sensi dell’articolo 27, che contempla essenzialmente sia le sanzioni amministrative pecuniarie per la violazione delle disposizioni in materia di pratiche commerciali scorrette, sia la sospensione temporanea delle medesime attività commerciali scorrette.
Il comma 1 dell'articolo 27 del Codice di commercio assegna all'Autorità garante della concorrenza e del mercato le funzioni di autorità competente per l'applicazione del citato regolamento (CE) n. 2006/2004 in materia di pratiche commerciali scorrette. Ai sensi del comma 2, l'Autorità, d'ufficio o su istanza di ogni soggetto o organizzazione che ne abbia interesse, inibisce la continuazione delle pratiche commerciali scorrette e ne elimina gli effetti. A tale fine, l'Autorità si avvale dei poteri investigativi ed esecutivi di cui al citato regolamento comunitario, anche in relazione alle infrazioni non transfrontaliere. Per lo svolgimento dei compiti di cui al comma 1, l'Autorità può inoltre avvalersi della Guardia di finanza che agisce con i poteri ad essa attribuiti per l'accertamento dell'imposta sul valore aggiunto e dell'imposta sui redditi. L'intervento dell'Autorità è indipendente dalla circostanza che i consumatori interessati si trovino nel territorio dello Stato membro in cui è stabilito il professionista o in un altro Stato membro.
Il Ministero dello sviluppo economico designa – ai sensi del comma 9del capoverso art. 144-bis – l’ufficio unico di collegamento responsabile dell’applicazione del citato regolamento (CE) n. 2006/2004.
Il comma 2 dell'articolo in commento dispone infine che alle attività e agli adempimenti di cui all’articolo 144-bis del codice del consumo, nella nuova formulazione, si provvede nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
Nel programma legislativo e di lavoro per il 2009 la Commissione annuncia una serie di iniziative per difendere i consumatori e migliorare le possibilità di ricorso. Progetti specifici di monitoraggio avranno come oggetto il commercio al dettaglio, gli apparecchi elettrici e i prodotti farmaceutici.
In particolare, la Commissione intende presentare una comunicazione sul monitoraggio del settore del commercio al dettaglio, con l’obiettivo di individuare eventuali disfunzioni sia dal punto di vista dei consumatori che dei fornitori. Il programma legislativo, invece, non chiarisce con quali strumenti (legislativi ovvero non legislativi) la Commissione interverrà nel settore dei prodotti farmaceutici e degli apparecchi elettrici.
La Commissione preannuncia altresì per giugno 2009 la presentazione di una comunicazione sull’applicazione dell’acquis comunitario in materia di tutela dei consumatori, allo scopo di individuare le migliori pratiche e raccomandare iniziative che la Commissione stessa e gli Stati membri dovranno adottare nell’ambito della propria competenza relativa alla trasposizione, all’applicazione e all’attuazione delle norme relative al mercato unico.
L’8 ottobre 2008 la Commissione europea ha presentato la proposta di direttiva sui diritti dei consumatori (COM(2008)614).
Essa mira a modificare la direttiva 85/577/CEE per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, la direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, la direttiva 97/7/CE riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza e la direttiva 1999/44/CE su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo.
La proposta crea un unico strumento orizzontale che disciplina gli aspetti comuni in modo sistematico, semplifica e aggiorna le norme esistenti. Essa si distanzia dall'approccio dell'armonizzazione minima seguito nelle quattro direttive esistenti (vale a dire il principio che gli Stati membri possono mantenere o adottare norme più severe rispetto a quelle stabilite dalla direttiva) e introduce un approccio di armonizzazione completa (vale a dire il principio che gli Stati membri non possono mantenere o adottare disposizioni divergenti da quelle fissate nella direttiva).
La proposta è in attesa di essere esaminata dal Consiglio e dal Parlamento europeo che l’ha calendarizzata nella sessione del 25 novembre 2009.
Il 27 novembre 2008 la Commissione europea ha presentato un Libro verde sui mezzi di ricorso collettivo dei consumatori (COM(2008)794).
Il Libro verde individua gli ostacoli che si frappongono a un efficace ricorso dei consumatori in termini di accesso, efficacia e economicità, ed avvia una consultazione delle parti interessate sulle diverse opzioni per colmare tali lacune.
Le opzioni proposte sono le seguenti:
- nessun intervento comunitario: tale opzione non prevede alcun intervento comunitario e si basa sulle misure nazionali e comunitarie esistenti;
- cooperazione tra Stati membri: essa garantirebbe che gli Stati membri che possiedono un meccanismo di ricorso collettivo ne consentano l'accesso ai consumatori di altri Stati membri e che gli Stati membri che non possiedono questo tipo di meccanismo ne creino uno;
- associazione di strumenti diversi: in questo caso, si tratterebbe di attivare diversi strumenti, vincolanti e non vincolanti, quali: il miglioramento dei meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie; l'ampliamento del campo d'applicazione delle procedure relative alle controversie di modesta entità ai ricorsi di massa; l'ampliamento del campo di applicazione del regolamento sulla cooperazione per la tutela dei consumatori; l'incoraggiamento delle imprese a migliorare i sistemi di gestione dei reclami; le azioni per sensibilizzare i consumatori circa i meccanismi di ricorso esistenti;
- procedura giudiziaria di ricorso collettivo a livello comunitario: si tratterebbe di introdurre una misura comunitaria, vincolante o meno, per garantire che in tutti gli Stati membri esista un meccanismo di ricorso giudiziario collettivo.
La consultazione è terminata il 1° marzo 2009, ed in base ai risultati la Commissione presenterà un nuovo documento orientativo nel corso del 2009.
Art. 21
(Abrogazione dell’articolo 1 della legge 3 aprile 1961, n. 286)
1. L’articolo 1 della legge 3 aprile 1961, n. 286, è abrogato.
L’articolo 21, introdotto nel corso dell’esame presso il Senato,abroga l’articolo 1 della legge 3 aprile 1961, n. 286[102].
La disposizione abrogata vieta la colorazione delle bevande analcoliche vendute con denominazioni di fantasia, il cui gusto ed aroma fondamentale deriva dal loro contenuto di essenze di agrumi, o di paste aromatizzanti di agrumi, se non contengono succo di agrumi in misura pari almeno al 12 per cento.
In proposito va osservato che l’articolo 21 in esame non dispone espressamente l’abrogazione dell’articolo 2 della citata legge 286/1961 che prevede le sanzioni amministrative conseguenti alla violazione dell’articolo 1.
Art. 22, commi 1-3
(Adeguamento comunitario di disposizioni tributarie:
regime degli utili distribuiti ai fondi pensione)
1. Il comma 3 dell’articolo 27 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, è sostituito dal seguente:
«3. La ritenuta è operata a titolo d’imposta e con l’aliquota del 27 per cento sugli utili corrisposti a soggetti non residenti nel territorio dello Stato diversi dalle società ed enti indicati nel comma 3-ter, in relazione alle partecipazioni, agli strumenti finanziari di cui all’articolo 44, comma 2, lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e ai contratti di associazione in partecipazione di cui all’articolo 109, comma 9, lettera b), del medesimo testo unico, non relative a stabili organizzazioni nel territorio dello Stato. L’aliquota della ritenuta è ridotta al 12,50 per cento per gli utili pagati ad azionisti di risparmio. L’aliquota della ritenuta è ridotta all’11 per cento sugli utili corrisposti ai fondi pensione istituiti negli Stati membri dell’Unione europea e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo inclusi nella lista di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 168-bis del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917. I soggetti non residenti, diversi dagli azionisti di risparmio, dai fondi pensione di cui al periodo precedente e dalle società ed enti indicati nel comma 3-ter, hanno diritto al rimborso, fino a concorrenza dei quattro noni della ritenuta, dell’imposta che dimostrino di aver pagato all’estero in via definitiva sugli stessi utili mediante certificazione del competente ufficio fiscale dello Stato estero».
2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano agli utili distribuiti a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge.
3. Fino all’emanazione del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze ai sensi dell’articolo 168-bis del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, ai fini dell’applicazione delle disposizioni del comma 3 dell’articolo 27 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, come modificato dal comma 1 del presente articolo, gli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo sono quelli inclusi nella lista di cui al decreto del Ministro delle finanze 4 settembre 1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 220 del 19 settembre 1996, emanato in attuazione dell’articolo 11, comma 4, lettera c), del decreto legislativo 1º aprile 1996, n. 239.
I commi da 1 a 3 dell’articolo 22 (introdotto nel corso dell’iter al Senato) intervengono sul regime di tassazione degli utili corrisposti ai fondi pensione istituiti negli Stati membri dell’Unione europea e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo, riducendo all’11 per cento l’aliquota di imposta applicata (c.d. dividendi in uscita).
La disposizione, tenuto conto della procedura d’infrazione n. 2006/4094[103] avviata dalla Commissione europea, è diretta ad allineare la tassazione dei fondi pensione istituiti negli Stati membri dell’Unione europea e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo a quella dei fondi domestici.
L’articolo 17 del d.lgs. n. 252/2005 dispone che agli utili realizzati dai fondi pensione italiani si applica un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi fissata in misura pari all’11 per cento. Tuttavia, qualora gli utili percepiti dai fondi pensioni siano riferiti a banche o società quotate in Stati comunitari o equiparati, si applica, in luogo dell’imposta sostitutiva, una ritenuta a titolo d’imposta fissata in misura pari al 27 per cento per investimenti inferiori a 18 mesi, ovvero al 12,5 per cento per investimenti superiori a 18 mesi (articolo 26, comma 1, del DPR n. 600 del 1973).
Il comma 1, sostituendo interamente il comma 3 dell’articolo 27 del D.P.R. n. 600/1973, aggiunge, di fatto, un nuovo periodo al testo vigente al fine di disciplinare l’applicazione di una ritenuta fiscale in misura pari all’11 per cento sugli utili corrisposti ai fondi pensione istituiti negli Stati membri dell’Unione europea e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo inclusi nella lista prevista dall’articolo 168-bis del TUIR (c.d. white list).
L’articolo 168-bis del TUIR è stato introdotto dalla legge finanziaria 2008 al fine di contrastare il fenomeno dei trasferimenti di base imponibile all’estero ed in particolare nei paesi che godono di un trattamento fiscale più vantaggioso (c.d. paradisi fiscali).
La norma prevede, in particolare, che il Ministro dell’economia dovrà, con proprio decreto, individuare una lista di Stati e territori con i quali è consentito un adeguato scambio di informazioni finalizzato al contrasto dell’evasione fiscale.
Lo stesso decreto, inoltre, individuerà anche una lista di Stati i quali, oltre a consentire un adeguato scambio di informazioni, presentano un livello di tassazione non sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia.
Il suddetto decreto, a tutt’oggi, non risulta ancora emanato.
Il comma 2 stabilisce che la nuova aliquota d’imposta si applica sugli utili distribuiti a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge comunitaria.
Come precisato nella nota dell’Agenzia delle entrate relativa all’emendamento che ha introdotto la norma in esame, la decorrenza fissata “non appare idonea a consentire la chiusura della menzionata procedura di infrazione”. In relazione a tale aspetto, peraltro, l’Agenzia segnala che un’analoga disposizione – concernente l’allineamento del regime di tassazione degli utili distribuiti a soggetti UE e SEE – introdotta a seguito di procedura di infrazione (n. 2004/4350) non ha consentito la chiusura della procedura comunitaria in quanto il nuovo regime introdotto riguardava gli utili distribuiti successivamente alla data di entrata in vigore della norma introdotta.
Al riguardo, tenuto conto di quanto rilevato dall’Agenzia delle entrate, si segnala l’opportunità di un approfondimento sull’idoneità della disposizione ai fini della chiusura della procedura d’infrazione.
Ai sensi del comma 3, in attesa dell’emanazione del decreto di cui al sopra citato articolo 168-bis del TUIR, l’aliquota dell’11 per cento di cui al comma 1 si applica nei confronti dei fondi pensioni degli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo individuati nel decreto del Ministro delle finanze del 4 settembre 1996.
4. Nel decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, sono apportate le seguenti modifiche:
a) all’articolo 7, quarto comma, la lettera f-quinquies) è sostituita dalla seguente:
«f-quinquies) le prestazioni di intermediazione, relative ad operazioni diverse da quelle di cui alla lettera d) del presente comma e da quelle di cui all’articolo 40, commi 5 e 6, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando le operazioni oggetto dell’intermediazione si considerano ivi effettuate, a meno che non siano commesse da soggetto passivo in un altro Stato membro dell’Unione europea; le suddette prestazioni si considerano in ogni caso effettuate nel territorio dello Stato se il committente delle stesse è ivi soggetto passivo d’imposta, sempre che le operazioni cui le intermediazioni si riferiscono siano effettuate nel territorio della Comunità»;
b) l’articolo 13 è sostituito dal seguente:
«Art. 13. - (Base imponibile) – 1. La base imponibile delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi è costituita dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali, compresi gli oneri e le spese inerenti all’esecuzione e i debiti o altri oneri verso terzi accollati al cessionario o al committente, aumentato delle integrazioni direttamente connesse con i corrispettivi dovuti da altri soggetti.
2. Agli effetti del comma 1 i corrispettivi sono costituiti:
a) per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi dipendenti da atto della pubblica autorità, dall’indennizzo comunque denominato;
b) per i passaggi di beni dal committente al commissionario o dal commissionario al committente, di cui al numero 3) del secondo comma dell’articolo 2, rispettivamente dal prezzo di vendita pattuito dal commissionario, diminuito della provvigione, e dal prezzo di acquisto pattuito dal commissionario, aumentato della provvigione; per le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza, di cui al terzo periodo del terzo comma dell’articolo 3, rispettivamente dal prezzo di fornitura del servizio pattuito dal mandatario, diminuito della provvigione, e dal prezzo di acquisto del servizio ricevuto dal mandatario, aumentato della provvigione;
c) per le cessioni indicate ai numeri 4), 5) e 6) del secondo comma dell’articolo 2, dal prezzo di acquisto o, in mancanza, dal prezzo di costo dei beni o di beni simili, determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni; per le prestazioni di servizi di cui al primo e al secondo periodo del terzo comma dell’articolo 3, dalle spese sostenute dal soggetto passivo per l’esecuzione dei servizi medesimi;
d) per le cessioni e le prestazioni di servizi di cui all’articolo 11, dal valore normale dei beni e dei servizi che formano oggetto di ciascuna di esse;
e) per le cessioni di beni vincolati al regime della temporanea importazione, dal corrispettivo della cessione diminuito del valore accertato dall’ufficio doganale all’atto della temporanea importazione.
3. In deroga al comma 1:
a) per le operazioni imponibili effettuate nei confronti di un soggetto per il quale l’esercizio del diritto alla detrazione è limitato a norma del comma 5 dell’articolo 19, anche per effetto dell’opzione di cui all’articolo 36-bis, la base imponibile è costituita dal valore normale dei beni e dei servizi se è dovuto un corrispettivo inferiore a tale valore e se le operazioni sono effettuate da società che direttamente o indirettamente controllano tale soggetto, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla il predetto soggetto;
b) per le operazioni esenti effettuate da un soggetto per il quale l’esercizio del diritto alla detrazione è limitato a norma del comma 5 dell’articolo 19, la base imponibile è costituita dal valore normale dei beni e dei servizi se è dovuto un corrispettivo inferiore a tale valore e se le operazioni sono effettuate nei confronti di società che direttamente o indirettamente controllano tale soggetto, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla il predetto soggetto;
c) per le operazioni imponibili, nonché per quelle assimilate agli effetti del diritto alla detrazione, effettuate da un soggetto per il quale l’esercizio del diritto alla detrazione è limitato a norma del comma 5 dell’articolo 19, la base imponibile è costituita dal valore normale dei beni e dei servizi se è dovuto un corrispettivo superiore a tale valore e se le operazioni sono effettuate nei confronti di società che direttamente o indirettamente controllano tale soggetto, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla il predetto soggetto;
d) per la messa a disposizione di veicoli stradali a motore nonché delle apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di telecomunicazioni e delle relative prestazioni di gestione effettuata dal datore di lavoro nei confronti del proprio personale dipendente la base imponibile è costituita dal valore normale dei servizi se è dovuto un corrispettivo inferiore a tale valore.
4. Ai fini della determinazione della base imponibile i corrispettivi dovuti e le spese e gli oneri sostenuti in valuta estera sono computati secondo il cambio del giorno in cui è stata effettuata l’operazione e, in mancanza, secondo il cambio del giorno antecedente più prossimo.
5. Per le cessioni che hanno per oggetto beni per il cui acquisto o importazione la detrazione è stata ridotta ai sensi dell’articolo 19-bis.1 o di altre disposizioni di indetraibilità oggettiva, la base imponibile è determinata moltiplicando per la percentuale detraibile ai sensi di tali disposizioni l’importo determinato ai sensi dei commi precedenti.»;
c) l’articolo 14 è sostituito dal seguente:
«Art. 14. - (Determinazione del valore normale) – 1. Per valore normale si intende l’intero importo che il cessionario o il committente, al medesimo stadio di commercializzazione di quello in cui avviene la cessione di beni o la prestazione di servizi, dovrebbe pagare, in condizioni di libera concorrenza, ad un cedente o prestatore indipendente per ottenere i beni o servizi in questione nel tempo e nel luogo di tale cessione o prestazione.
2. Qualora non siano accertabili cessioni di beni o prestazioni di servizi analoghe, per valore normale si intende:
a) per le cessioni di beni, il prezzo di acquisto dei beni o di beni simili o, in mancanza, il prezzo di costo, determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni;
b) per le prestazioni di servizi, le spese sostenute dal soggetto passivo per l’esecuzione dei servizi medesimi.
3. Per le operazioni indicate nell’articolo 13, comma 3, lettera d), con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze sono stabiliti appositi criteri per l’individuazione del valore normale.»;
d) all’articolo 17, il terzo comma è sostituito dal seguente:
«Gli obblighi relativi alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non residenti, che non si siano identificati direttamente ai sensi dell’articolo 35-ter, né abbiano nominato un rappresentante fiscale ai sensi del secondo comma, sono adempiuti dai cessionari o committenti, residenti nel territorio dello Stato, che acquistano i beni o utilizzano i servizi nell’esercizio di imprese, arti o professioni. La disposizione non si applica relativamente alle operazioni imponibili ai sensi dell’articolo 7, quarto comma, lettera f), effettuate da soggetti domiciliati o residenti o con stabili organizzazioni operanti nei territori esclusi a norma del primo comma, lettera a), dello stesso articolo 7. Gli obblighi relativi alle cessioni di cui all’articolo 7, secondo comma, terzo periodo, ed alle prestazioni di servizi di cui all’articolo 7, quarto comma, lettere d) e f-quinquies), rese da soggetti non residenti a soggetti domiciliati nel territorio dello Stato, a soggetti ivi residenti che non abbiano stabilito il domicilio all’estero ovvero a stabili organizzazioni in Italia di soggetti domiciliati e residenti all’estero, sono adempiuti dai cessionari e dai committenti medesimi qualora agiscano nell’esercizio di imprese, arti o professioni.»;
e) all’articolo 38-ter, primo comma, il primo periodo è sostituito dal seguente: «I soggetti domiciliati e residenti negli Stati membri dell’Unione europea, che non si siano identificati direttamente ai sensi dell’articolo 35-ter e che non abbiano nominato un rappresentante ai sensi del secondo comma dell’articolo 17, assoggettati all’imposta nello Stato in cui hanno il domicilio o la residenza, che non hanno effettuato operazioni in Italia, ad eccezione delle prestazioni di trasporto e relative prestazioni accessorie non imponibili ai sensi dell’articolo 9, nonché delle operazioni indicate nell’articolo 17, commi terzo, quinto, sesto e settimo, e nell’articolo 74, commi settimo ed ottavo, del presente decreto e nell’articolo 44, comma 2, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, possono ottenere, in relazione a periodi inferiori all’anno, il rimborso dell’imposta, se detraibile a norma dell’articolo 19 del presente decreto, relativa ai beni mobili e ai servizi importati o acquistati, sempreché di importo complessivo non inferiore a duecento euro.»;
f) all’articolo 54, il terzo comma è sostituito dal seguente:
«L’ufficio può tuttavia procedere alla rettifica indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità del contribuente qualora l’esistenza di operazioni imponibili per ammontare superiore a quello indicato nella dichiarazione, o l’inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione, risulti in modo certo e diretto, e non in via presuntiva, da verbali, questionari e fatture di cui ai numeri 2), 3) e 4) del secondo comma dell’articolo 51, dagli elenchi allegati alle dichiarazioni di altri contribuenti o da verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti, nonché da altri atti e documenti in suo possesso».
5. Il primo comma dell’articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, è sostituito dal seguente:
«Per i redditi d’impresa delle persone fisiche l’ufficio procede alla rettifica:
a) se gli elementi indicati nella dichiarazione non corrispondono a quelli del bilancio, del conto dei profitti e delle perdite e dell’eventuale prospetto di cui al comma 1 dell’articolo 3;
b) se non sono state esattamente applicate le disposizioni del titolo V del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597;
c) se l’incompletezza, la falsità e l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta in modo certo e diretto dai verbali e dai questionari di cui ai numeri 2) e 4) del primo comma dell’articolo 32, dagli atti, documenti e registri esibiti o trasmessi ai sensi del numero 3) dello stesso comma, dalle dichiarazioni di altri soggetti previste negli articoli 6 e 7, dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti o da altri atti e documenti in possesso dell’ufficio;
d) se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all’articolo 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio nei modi previsti dall’articolo 32. L’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti».
6. Il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di cui all’articolo 14, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, come modificato dal comma 4, lettera c), del presente articolo, è emanato entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Fino alla data dalla quale trovano applicazione le disposizioni del suddetto decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, per la messa a disposizione di veicoli stradali a motore da parte del datore di lavoro nei confronti del personale dipendente si assume come valore normale quello determinato a norma dell’articolo 51, comma 4, lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, comprensivo delle somme eventualmente trattenute al dipendente e al netto dell’imposta sul valore aggiunto compresa in detto importo.
7. Nel decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, sono apportate le seguenti modifiche:
a) all’articolo 38:
1) dopo il comma 4, è inserito il seguente:
«4-bis. Agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, costituiscono prodotti soggetti ad accisa l’alcole, le bevande alcoliche, i tabacchi lavorati ed i prodotti energetici, esclusi il gas fornito dal sistema di distribuzione di gas naturale e l’energia elettrica, quali definiti dalle disposizioni comunitarie in vigore.»;
2) al comma 5, la lettera c) è sostituita dalla seguente:
«c) gli acquisti di beni, diversi dai mezzi di trasporto nuovi e da quelli soggetti ad accisa, effettuati dai soggetti indicati nel comma 3, lettera c), dai soggetti passivi per i quali l’imposta è totalmente indetraibile a norma dell’articolo 19, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e dai produttori agricoli di cui all’articolo 34 dello stesso decreto che non abbiano optato per l’applicazione dell’imposta nei modi ordinari se l’ammontare complessivo degli acquisti intracomunitari e degli acquisti di cui all’articolo 40, comma 3, del presente decreto, effettuati nell’anno solare precedente non ha superato 10.000 euro e fino a quando, nell’anno in corso, tale limite non è superato. L’ammontare complessivo degli acquisti è assunto al netto dell’imposta sul valore aggiunto e al netto degli acquisti di mezzi di trasporto nuovi di cui al comma 4 del presente articolo e degli acquisti di prodotti soggetti ad accisa»;
b) all’articolo 40:
1) il comma 4 è sostituito dal seguente:
«4. Le disposizioni del comma 3 non si applicano:
a) alle cessioni di mezzi di trasporto nuovi e a quelle di beni da installare, montare o assiemare ai sensi dell’articolo 7, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633;
b) alle cessioni di beni, diversi da quelli soggetti ad accisa, effettuate nel territorio dello Stato, fino ad un ammontare nel corso dell’anno solare non superiore a 35.000 euro e sempreché tale limite non sia stato superato nell’anno precedente. La disposizione non opera per le cessioni di cui al comma 3 effettuate da parte di soggetti passivi in altro Stato membro che hanno ivi optato per l’applicazione dell’imposta nel territorio dello Stato.»;
2) il comma 8 è abrogato;
3) il comma 9 è sostituito dal seguente:
«9. Non si considerano effettuate nel territorio dello Stato le cessioni intracomunitarie di cui all’articolo 41 nonché le prestazioni di servizio, le prestazioni di trasporto intracomunitario, quelle accessorie e le prestazioni di intermediazione di cui ai commi 4-bis, 5 e 6 rese a soggetti passivi d’imposta in altro Stato membro.»;
c) all’articolo 41, comma 1, la lettera b) è sostituita dalla seguente:
«b) le cessioni in base a cataloghi, per corrispondenza e simili, di beni diversi da quelli soggetti ad accisa, spediti o trasportati dal cedente o per suo conto nel territorio di altro Stato membro nei confronti di cessionari ivi non tenuti ad applicare l’imposta sugli acquisti intracomunitari e che non hanno optato per l’applicazione della stessa. La disposizione non si applica per le cessioni di mezzi di trasporto nuovi e di beni da installare, montare o assiemare ai sensi della lettera c). La disposizione non si applica altresì se l’ammontare delle cessioni effettuate in altro Stato membro non ha superato nell’anno solare precedente e non supera in quello in corso 100.000 euro, ovvero l’eventuale minore ammontare al riguardo stabilito da questo Stato a norma dell’articolo 34 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006. In tal caso è ammessa l’opzione per l’applicazione dell’imposta nell’altro Stato membro dandone comunicazione all’ufficio nella dichiarazione, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, relativa all’anno precedente ovvero nella dichiarazione di inizio dell’attività o comunque anteriormente all’effettuazione della prima operazione non imponibile. L’opzione ha effetto, se esercitata nella dichiarazione relativa all’anno precedente, dal 1º gennaio dell’anno in corso e, negli altri casi, dal momento in cui è esercitata, fino a quando non sia revocata e, in ogni caso, fino al compimento del biennio successivo all’anno solare nel corso del quale è esercitata; la revoca deve essere comunicata all’ufficio nella dichiarazione annuale ed ha effetto dall’anno in corso»;
d) l’articolo 43 è sostituito dal seguente:
«Art. 43. - (Base imponibile ed aliquota). – 1. Per gli acquisti intracomunitari di beni la base imponibile è determinata secondo le disposizioni di cui agli articoli 13, escluso il comma 4, 14 e 15 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. Per i beni soggetti ad accisa concorre a formare la base imponibile anche l’ammontare di detta imposta, se assolta o esigibile in dipendenza dell’acquisto.
2. La base imponibile, nell’ipotesi di cui all’articolo 40, comma 2, primo periodo, è ridotta dell’ammontare assoggettato ad imposta nello Stato membro di destinazione del bene.
3. Ai fini della determinazione della base imponibile i corrispettivi, le spese e gli oneri di cui all’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, in valuta estera sono computati secondo il cambio del giorno, se indicato nella fattura, di effettuazione dell’operazione o, in mancanza di tale indicazione, della data della fattura.
4. Per le introduzioni di cui all’articolo 38, comma 3, lettera b), e per gli invii di cui all’articolo 41, comma 2, lettera c), la base imponibile è costituita dal prezzo di acquisto o, in mancanza, dal prezzo di costo dei beni o di beni simili, determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni.
5. Per gli acquisti intracomunitari di beni si applica l’aliquota relativa ai beni, secondo le disposizioni di cui all’articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.»;
e) all’articolo 44, il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. In deroga al comma 1, l’imposta è dovuta:
a) per le cessioni di cui al comma 7 dell’articolo 38, dal cessionario designato con l’osservanza degli adempimenti di cui agli articoli 46, 47 e 50, comma 6;
b) per le prestazioni di cui all’articolo 40, commi 4-bis, 5 e 6, rese da soggetti passivi d’imposta non residenti, dal committente se soggetto passivo nel territorio dello Stato.»;
f) l’articolo 46 è sostituito dal seguente:
«Art. 46. - (Fatturazione delle operazioni intracomunitarie). – 1. La fattura relativa all’acquisto intracomunitario deve essere numerata e integrata dal cessionario o committente con l’indicazione del controvalore in euro del corrispettivo e degli altri elementi che concorrono a formare la base imponibile dell’operazione, espressi in valuta estera, nonché dell’ammontare dell’imposta, calcolata secondo l’aliquota dei beni o servizi acquistati. La disposizione si applica anche alle fatture relative alle prestazioni di cui all’articolo 40, commi 4-bis, 5 e 6, rese a soggetti passivi d’imposta nel territorio dello Stato. Se trattasi di acquisto intracomunitario senza pagamento dell’imposta o non imponibile o esente, in luogo dell’ammontare dell’imposta nella fattura deve essere indicato il titolo unitamente alla relativa norma.
2. Per le cessioni intracomunitarie di cui all’articolo 41 e per le prestazioni di cui all’articolo 40, commi 4-bis, 5 e 6, non soggette all’imposta, deve essere emessa fattura numerata a norma dell’articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, con l’indicazione, in luogo dell’ammontare dell’imposta, che trattasi di operazione non imponibile o non soggetta all’imposta, con la specificazione della relativa norma. La fattura deve inoltre contenere l’indicazione del numero di identificazione attribuito, agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, al cessionario o committente dallo Stato membro di appartenenza; in caso di consegna del bene al cessionario di questi in diverso Stato membro, dalla fattura deve risultare specifico riferimento. La fattura emessa per la cessione di beni, spediti o trasportati da uno Stato membro in altro Stato membro, acquistati senza pagamento dell’imposta a norma dell’articolo 40, comma 2, secondo periodo, deve contenere il numero di identificazione attribuito al cessionario dallo Stato membro di destinazione dei beni e la designazione dello stesso quale debitore dell’imposta.
3. La fattura di cui al comma 2, se trattasi di beni spediti o trasportati dal soggetto passivo o per suo conto, ai sensi dell’articolo 41, comma 2, lettera c), nel territorio di altro Stato membro, deve recare anche l’indicazione del numero di identificazione allo stesso attribuito da tale Stato; se trattasi di cessioni di beni in base a cataloghi, per corrispondenza e simili, di cui all’articolo 41, comma 1, lettera b), non si applica la disposizione di cui al secondo periodo del comma 2.
4. Se la cessione riguarda mezzi di trasporto nuovi di cui all’articolo 38, comma 4, nella fattura devono essere indicati anche i dati di identificazione degli stessi; se la cessione non è effettuata nell’esercizio di imprese, arti e professioni tiene luogo della fattura l’atto relativo alla cessione o altra documentazione equipollente.
5. Il cessionario o committente di un acquisto intracomunitario di cui all’articolo 38, commi 2 e 3, lettere b) e c), o committente delle prestazioni di cui all’articolo 40, commi 4-bis, 5 e 6, che non ha ricevuto la relativa fattura entro il mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione deve emettere entro il mese seguente, in unico esemplare, la fattura di cui al comma 1 con l’indicazione anche del numero di identificazione attribuito, agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, al cedente o prestatore dallo Stato membro di appartenenza; se ha ricevuto una fattura indicante un corrispettivo inferiore a quello reale deve emettere fattura integrativa entro il quindicesimo giorno successivo alla registrazione della fattura originaria.»;
g) all’articolo 50, il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. Le cessioni intracomunitarie di cui all’articolo 41, commi 1, lettera a), e 2, lettera c), e le prestazioni di cui all’articolo 40, commi 4-bis, 5 e 6, sono effettuate senza applicazione dell’imposta nei confronti dei cessionari e dei committenti che abbiano comunicato il numero di identificazione agli stessi attribuito dallo Stato membro di appartenenza.»;
h) all’articolo 50, il comma 3 è sostituito dal seguente:
«3. Chi effettua acquisti intracomunitari o commette le prestazioni di cui all’articolo 40, commi 4-bis, 5 e 6, soggetti all’imposta deve comunicare all’altra parte contraente il proprio numero di partita IVA, come integrato agli effetti delle operazioni intracomunitarie, tranne che per l’ipotesi di acquisto di mezzi di trasporto nuovi da parte di persone fisiche non operanti nell’esercizio di imprese, arti e professioni».
8. Le disposizioni di cui al comma 5, capoverso, lettere b) e c), e al comma 7, lettera d), si applicano alle operazioni effettuate dal sessantesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della presente legge.
9. Le altre disposizioni di cui ai commi da 5 a 7 si applicano a decorrere dal giorno successivo a quello di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della presente legge; tuttavia, per le operazioni effettuate a decorrere dal 1º gennaio 2008 per le quali sia stata già applicata la disciplina risultante da tali disposizioni, resta fermo il trattamento fiscale applicato.
10. Il Governo, entro il termine di cui all’articolo 1, comma 1, ultimo periodo, della presente legge, può adottare decreti legislativi contenenti disposizioni modificative ed integrative di quelle di cui ai commi da 4 a 9 del presente articolo, al fine di effettuare ulteriori coordinamenti con la normativa comunitaria in tema di imposta sul valore aggiunto.
Le norme in esame intervengono sulla disciplina dell’IVA apportando modifiche sia al D.P.R. n. 633 del 1972 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto) sia al decreto-legge n. 331/1993[104], Capo II, recante Disciplina temporanea delle operazioni intracomunitarie e dell'imposta sul valore aggiunto.
Gli argomenti trattati riguardano:
- la territorialità dell’imposta per le prestazioni di intermediazione relative a operazioni principali fra soggetti appartenenti all’Unione europea;
- la determinazione della base imponibile, con particolare riferimento all’utilizzo del criterio del valore normale e relative conseguenze in termini di accertamento fiscale;
- la disciplina dei rimborsi;
- l’individuazione delle operazioni intracomunitarie.
Si ricorda che ai fini dell’assoggettabilità IVA di una operazione commerciale rileva:
- il presupposto territoriale, ossia in quale paese l’operazione si considera effettuata e in quale paese l’IVA deve essere versata;
- il presupposto soggettivo, ed in particolare se si tratta di esercenti attività d’impresa, arti o professioni (e quindi soggetti passivi IVA) ovvero se si tratta di consumatori privati (soggetti non IVA);
- il presupposto oggettivo, ossia la cessione di beni o la prestazione di servizi.
Il comma 4, lettera a), interviene sull’articolo 7 del D.P.R. n. 633/1972 (territorialità dell’imposta sul valore aggiunto), al fine di precisare che il principio in base al quale le operazioni di intermediazione si considerano effettuate in Italia se il committente è un soggetto passivo IVA in Italia si applica nell’ipotesi in cui l’operazione principale cui l’intermediazione si riferisce è effettuata nel territorio della Comunità europea (articolo 7, quarto comma, lettera f-quinquies) del D.P.R. n. 633/1972).
Il principio in relazione al quale la norma reca la predetta precisazione è stato inserito dalla legge finanziaria per il 2007[105]. In particolare, con l’aggiunta della lettera f-quinquies) al quarto comma dell’articolo 7, è stato disposto che le prestazioni di intermediazione, relative ad operazioni diverse da quelle di cui alla lettera d) del medesimo comma 4 e da quelle di cui all’articolo 40, commi 5 e 6, del decreto-legge n. 331/331[106] si considerano effettuate nel territorio dello Stato italiano quando le operazioni oggetto dell’intermediazione si considerano ivi effettuate, a meno che il committente sia soggetto passivo in un altro Stato membro dell’Unione europea; le suddette prestazioni si considerano in ogni caso effettuate in Italia, se il committente delle stesse è qui soggetto passivo d’imposta.
In altre parole, si intende chiarire che il criterio in base al quale la territorialità è determinata dal Paese membro del committente, si applica alle prestazioni di intermediazione riferite ad operazioni principali eseguite nel territorio comunitario.
La lettera d) del comma 4 estende gli obblighi – già previsti a carico dei cessionari e committenti per le cessioni effettuate da soggetti non residenti a soggetti passivi in Italia – anche alle cessioni di prestazioni di cui alla richiamata lettera f-quinquies).
Sul piano normativo, si interviene sull’articolo 17 del D.P.R. n. 633/1972, recante disposizioni sui soggetti passivi IVA, sostituendone il terzo comma al fine di estendere anche alla lettera f-quinquies) –introdotta dalla lettera a) del comma in esame – il riferimento già disciplinato all’articolo 7, quarto comma, del D.P.R. n. 633/1972.
Si segnala, inoltre, che il comma 7 (lettera b), nn. 2 e 3) abroga il comma 8 dell’articolo 40 del decreto legge n. 331/1993 recante la disciplina la territorialità ai fini IVA di alcune operazioni di intermediazione.
Gli interventi normativi proposti che si analizzano in questo paragrafo sono diretti, in primo luogo, a recepire la definizione ai fini fiscali di “valore normale” stabilita dalla disciplina comunitaria.
Contestualmente, tuttavia, si propone un ridimensionamento, rispetto alla normativa vigente, dell’utilizzo del suddetto criterio ai fini della determinazione della base imponibile fiscale – con riferimento a specifiche operazioni di transazione – in favore di un maggiore utilizzo del criterio del costo di acquisto o del costo sostenuto. Inoltre, si interviene anche sul potere di accertamento da parte degli uffici finanziari, i quali potranno utilizzare il criterio del valore normale ai soli fini dell’accertamento presuntivo e non più ai fini dell’accertamento automatico.
Infine, con finalità antielusive, si prevede una particolare disciplina per i soggetti che applicano il pro-rata di indetraibilità dell’IVA diretta ad evitare un utilizzo del criterio del valore normale a soli fini elusivi.
Nel dettaglio, le lettere b) e c) del comma 4 intervengono, rispettivamente, sulla determinazione della base imponibile ai fini IVA (attraverso la sostituzione dell’articolo 13 del D.P.R. n. 633/1972) e sulla definizione e applicazione del valore normale (attraverso la sostituzione dell’articolo 14 del D.P.R. n. 633/1972).
La seguente analisi interessa le sole novità introdotte rispetto alla normativa vigente, senza approfondire le disposizioni vigenti confermate dalle norme in esame.
La sostituzione dell’articolo 14 del D.P.R. n. 633/1972 interessa la definizione e la determinazione del valore normale ed è diretta ad allinearsi alla disciplina comunitaria in materia. Infatti, i primi due commi dell’articolo 14 proposto riproducono la definizione di “valore normale” contenuta nell’articolo 72 della direttiva IVA 2006/112/CE.
In particolare, ai sensi del comma 1 del nuovo articolo 14, il valore normale è “l’importo che il cessionario o committente, al medesimo stadio di commercializzazione di quello in cui avviene la cessione di beni o la prestazione di servizi, dovrebbe pagare, in condizioni di libera concorrenza, ad un cedente o prestatore indipendente per ottenere i beni o servizi in questione nel tempo e nel luogo di tale cessione o prestazione”. In assenza di cessioni analoghe si deve far riferimento, per i beni, alle cessioni di beni simili e, per le prestazioni, alle spese sostenute dal soggetto passivo per l’esecuzione dei servizi medesimi (comma 2).
In sostanza, pertanto, il valore normale dovrebbe rappresentare il prezzo di acquisto del bene o del servizio in un mercato di libera concorrenza.
Rispetto alla formulazione vigente, il nuovo testo dell’articolo 13 del D.P.R. n. 633/1972 modifica la lettera c) del comma 2[107] e inserisce le lettere b) e c) al comma 3 nonché il comma 4, lasciando inalterato il rimanente testo della norma.
Nel dettaglio, ai sensi della lettera c) del comma 2, la base imponibile è determinata:
1) dal prezzo di acquisto o, in mancanza, dal prezzo di costo dei beni o di beni simili (in luogo del valore normale) per:
- le cessioni gratuite di beni ad esclusione di quelli la cui produzione o il cui commercio non rientra nell'attività propria dell'impresa se di costo unitario non superiore a 25,82 euro e di quelli per i quali non sia stata operata, all'atto dell'acquisto o dell'importazione, la detrazione dell'imposta a norma dell'articolo 19, anche se per effetto dell'opzione di cui all'articolo 36-bis;
- la destinazione di beni all'uso personale dell'imprenditore o del professionista, con esclusione di quei beni per i quali non è stata operata, all'atto dell'acquisto, la detrazione dell'imposta;
- le assegnazioni fatte ai soci dalla società o da altri enti pubblici e privati;
2) dalle spese sostenute per l’esecuzione dei servizi (in luogo del valore normale) per le prestazioni di servizi, con esclusione delle assegnazioni indicate al n. 6) dell’articolo 2[108], se considerate prestazioni di servizi, e di quelle rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza.
Il testo vigente dell’articolo 13, secondo comma, lettera c), dispone, oltre a quanto sopra evidenziato, che per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi effettuate per estinguere precedenti obbligazioni la base imponibile corrisponde al valore normale del bene o della prestazione. Rimane invece confermata l’applicazione del criterio del costo sostenuto per le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandati senza rappresentanza.
Viene, inoltre, introdotta una disciplina specifica per la determinazione del valore normale degli autoveicoli e dei telefoni cellulari che il datore di lavoro mette a disposizione dei propri dipendenti (articolo 13, comma 3, lettera d), e articolo 14, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972 nelle formulazioni proposte, rispettivamente, dalle lettere b) e c) del comma 4 in esame). Attualmente la norma rinvia alla disciplina sulle imposte dirette in materia di determinazione del valore imponibile dei c.d. fringe benefit.
Ai sensi dell’articolo 51, comma 4, lettera a), del TUIR ai fini della determinazione del valore dei veicoli dati in uso ai dipendenti si assume il 30 per cento dell'importo corrispondente ad una percorrenza convenzionale di 15 mila chilometri calcolato sulla base del costo chilometrico di esercizio desumibile dalle tabelle nazionali che l'ACI elabora entro il 30 novembre di ciascun anno, al netto degli ammontari eventualmente trattenuti al dipendente.
Poiché tale criterio non risulta previsto dalla normativa comunitaria, la disposizione proposta prevede un rinvio ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze per la determinazione del valore normale.
Ai sensi del comma 6 dell’articolo 22 in esame si stabilisce che il suddetto decreto deve essere emanato entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e che, in attesa delle nuove disposizioni, si continua ad applicare il valore determinato ai sensi dell’articolo 51, comma 4, lettera a), del TUIR, al netto dell’IVA compresa in detto importo.
La lettera f) del comma 4, sostituendo il terzo comma dell’articolo 54 del D.P.R. n. 633/1972, interviene in materia di rettifica delle dichiarazioni IVA, con particolare riferimento al c.d. accertamento automatico.
La disciplina generale dell’accertamento automatico, che viene confermata nel comma sostituito, consente all’ufficio di rettificare le dichiarazioni indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità del contribuente, qualora il maggior valore delle operazioni imponibili ovvero delle minori detrazioni, risulti in modo certo e diretto e non in via presuntiva.
Il comma introdotto in sostituzione, tuttavia, non ripropone l’ultimo periodo del comma vigente – il quale, peraltro, era stato introdotto dal D.L. n. 223/2006 – ai sensi del quale l’ufficio può procedere all’accertamento automatico nei casi di cessioni di immobili sulla base del criterio del valore normale. In altre parole, l’ufficio può accertare, in via automatica, l’imponibile dichiarato nella vendita di un immobile sulla base del valore risultante in catasto. Il criterio del valore normale, tuttavia, rimane comunque applicabile ai fini dell’accertamento presuntivo nel quale, in luogo dell’automatismo, l’amministrazione è tenuta a dimostrare la veridicità del maggior valore.
Il comma 5 apporta all’articolo 39 del D.P.R. n. 600/1973 una modifica analoga a quella introdotta dal comma 4, lettera f), in materia di accertamento delle dichiarazioni ai fini delle imposte dirette.
Anche in questo caso, non riproponendo l’ultimo periodo[109] del comma 1 del citato articolo 39, viene preclusa all’amministrazione la possibilità di effettuare un accertamento automatico basato sul valore normale dell’immobile ceduto. In altre parole, l’ufficio può procedere all’accertamento automatico applicando i valori catastali, mentre, per l’applicazione del criterio del valore nominale, dovrà procedere con l’accertamento presuntivo.
Con riferimento alla lettera b) del nuovo articolo 39 introdotto dal comma 5, si segnala che viene riproposto il rinvio al decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597 recante “Istituzione e disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche”. Tale decreto, tuttavia, risulta ormai superato dal decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 recante “Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi”.
Le lettere b) e c) inserite al comma 3[110] dell’articolo 13 recano disposizioni di natura antielusiva per i soggetti che applicano il pro-rata di indetraibilità[111].
Relativamente a tali soggetti, si dispone l’applicazione del valore normale per le cessioni effettuate nei confronti di società che, anche indirettamente, sono controllate o controllanti. Per le cessioni effettuate nei confronti di soggetti diversi da quelli precedenti, si distingue l’ipotesi di operazioni esenti e operazioni imponibili: nelle prime, la base imponibile è costituita dal maggiore tra il valore normale e il corrispettivo; nelle seconde la base imponibile è costituita dal minore tra il valore normale e il corrispettivo.
Si tratta di norma antielusiva in quanto intende evitare che, nelle cessioni tra soggetti correlati, la cessione rappresenti una modalità di trasferimento del credito per IVA su acquisti e che, nelle altre cessioni, le operazioni siano dirette a determinare una maggiore quota di detraibilità dell’IVA sugli acquisti.
Rispetto al testo vigente, inoltre, nell’articolo 13 proposto sono inserite, al comma 4, le disposizioni attualmente contenute nel primo comma dell’articolo 14 (interamente sostituito dalla lettera d) della norma in commento). Si tratta, in particolare, dell’applicazione, per le cessioni in valuta estera, dell’applicazione del cambio del giorno in cui è avvenuta l’operazione ovvero, in mancanza, del giorno antecedente più prossimo.
La lettera e) del comma 4 modificando l’articolo 38-ter del D.P.R. n. 633/1972) amplia l’ambito oggettivo delle operazioni che danno luogo a rimborsi (per periodi di tempo inferiori all’anno) a soggetti non residenti, dell’IVA, se detraibile e relativa ai beni mobili ed ai servizi importati o acquistati, purché di importo complessivo non inferiore a 200 euro[112].
L’istituto del rimborso dell’imposta sul valore aggiunto è disciplinato al fine di consentire il recupero dell’IVA pagata all’estero su determinate operazioni da parte di operatori non residenti e privi di rappresentanza fiscale. Tra i requisiti richiesti per il diritto al rimborso dell’IVA, è presente quello di non aver effettuato operazioni attive in Italia ad eccezione di quelle tassativamente indicate che comprendono, tra le altre, le prestazioni indicate nell’articolo 7, quarto comma, lettera d), del D.P.R. n. 633.
L’articolo 7, quarto comma, lettera d), della normativa vigente si riferisce alle “prestazioni derivanti da contratti di locazione anche finanziaria, noleggio e simili di beni mobili materiali diversi dai mezzi di trasporto, le prestazioni di servizi indicate al n. 2) del secondo comma dell'art. 3, le prestazioni pubblicitarie, di consulenza e assistenza tecnica o legale, comprese quelle di formazione e di addestramento del personale, le prestazioni di servizi di telecomunicazione, di radiodiffusione e di televisione, le prestazioni di servizi rese tramite mezzi elettronici, di elaborazione e fornitura di dati e simili, le operazioni bancarie, finanziarie e assicurative e le prestazioni relative a prestiti di personale, la concessione dell'accesso ai sistemi di gas naturale o di energia elettrica, il servizio di trasporto o di trasmissione mediante gli stessi e la fornitura di altri servizi direttamente collegati, nonché le prestazioni di intermediazione inerenti alle suddette prestazioni o operazioni e quelle inerenti all'obbligo di non esercitarle, nonché le cessioni di contratti relativi alle prestazioni di sportivi professionisti”, le quali si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese a soggetti domiciliati nel territorio stesso o a soggetti ivi residenti che non hanno stabilito il domicilio all'estero e quando sono rese a stabili organizzazioni in Italia di soggetti domiciliati o residenti all'estero, a meno che non siano utilizzate fuori dalla Comunità economica europea.
Nella formulazione proposta, viene modificato l’ambito delle operazioni attive effettuate in Italia che consentono comunque il riconoscimento del rimborso IVA in favore dei soggetti comunitari non residenti. In particolare, in luogo del riferimento al sopra citato articolo 7, quarto comma, lettera d), sono inclusi i soggetti che hanno effettuato, in Italia, le operazioni indicate:
- nell’art. 17, commi terzo, quinto, sesto e settimo del D.P.R. n. 633/1972;
- nell’art. 74, commi settimo ed ottavo del D.P.R. n. 633/1972;
- nell’art. 44, comma 2, del decreto legge n. 331/1993.
In linea generale, i nuovi riferimenti normativi sono diretti ad includere nell’ambito dei rimborsi IVA, le operazioni relative a prodotti soggetti ad accisa quali, ad esempio, i carburanti.
Nella nota fornita dal Ministero dell’economia e delle finanze in risposta alle osservazioni del Servizio bilancio del Senato, viene precisato che la suddetta modifica è diretta ad adeguare la disposizione nazionale a quella contenuta nell’articolo 171 della direttiva 2006/112/CE, ai sensi del quale possono accedere al rimborso IVA tutti i soggetti passivi “che hanno effettuato nello Stato membro in cui effettuano acquisti di beni e servizi o importazioni di beni gravati da imposta unicamente cessioni di beni o prestazioni di servizi per le quali il destinatario di tali operazioni è stato designato come debitore di imposta a norma degli articoli da 194 a 197 e dell’articolo 199 (…)”.
In sostanza, la norma nazionale consente il rimborso dell’imposta ai soggetti non residenti per le operazioni effettuate in Italia attraverso il meccanismo del reverse charge[113].
Il comma 7 interviene sul Titolo II del decreto legge n. 331 del 1993 in materia di armonizzazione comunitaria della disciplina dell'imposta sul valore aggiunto.
In particolare, la lettera a) interviene sull’ambito degli acquisti intracomunitari, la lettera b) modifica la norma sulla territorialità delle operazioni intracomunitarie, la lettera c) interviene sull’ambito delle cessioni intracomunitarie, mentre le restanti lettere d), e), f), g) ed h) apportano modifiche di coordinamento.
La lettera a) apporta due modifiche all’articolo 38 del citato D.L. n. 331:
1) esclude dall’ambito IVA degli acquisti intracomunitari il gas fornito dal sistema di distribuzione di gas naturale e l’energia elettrica. Nella nota di risposta alle osservazioni del Servizio bilancio del Senato, il Ministero ha chiarito che “la modifica non ha effetti ai fini della tassazione in Italia, in quanto la cessione di detti prodotti viene considerata cessione interna” ai sensi dell’articolo 7, secondo comma, del D.P.R. n. 633/1972. In sostanza, in luogo del regime di tassazione degli acquisti intracomunitari, si applica il meccanismo del reverse charge;
2) aumenta da 8.263,31 euro a 10.000 euro il limite di importo al di sotto del quale gli acquisti effettuati da soggetti assimilati a consumatori finali, da soggetti passivi per i quali l’IVA è totalmente indetraibile e da produttori agricoli che hanno optato per l’applicazione del regime speciale non sono considerati acquisti intracomunitari.
Le lettere b) e c) intervengono sull’individuazione della territorialità e l’imponibilità delle cessioni intracomunitarie effettuate mediante cataloghi, per corrispondenza, ecc. (c.d. vendite a distanza).
La normativa fiscale delle vendite a distanza effettuate tra soggetti appartenenti a diversi Paesi membri dell’Unione europea prevede una specifica disciplina in materia di territorialità della cessione e imponibilità dell’operazione.
Il principio applicato nelle vendite a distanza prevede la tassazione nel paese di destinazione per le cessioni effettuate da un operatore qualificato che abbia realizzato un determinato ammontare minimo di vendite a distanza.
In particolare, per gli acquisti effettuati da soggetto italiano, le vendite a distanza effettuate dal soggetto passivo comunitario si considerano, in deroga all’articolo 7, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, cessioni interne all’Italia se l’ammontare annuo delle vendite effettuate dal cedente comunitario non siano superiori alla c.d. “soglia di protezione” fissata in misura pari a 27.888, 67 euro. Le vendite a distanza effettuate da soggetto italiano sono qualificate come cessioni intracomunitarie se l’ammontare delle vendite annue effettuate in ciascuno Stato membro risulta superiore alla “soglia di protezione” fissata in misura pari a 79.534,36 euro.
La lettera b), modificando l’articolo 40 del D.L. n. 331/1993, interviene sugli acquisti per corrispondenza effettuati da soggetti italiani elevando da 27.888,67 euro a 35.000 euro il valore delle cessioni al di sotto del quale le vendite per corrispondenza non si considerano effettuate nel territorio dello Stato.
La lettera c) eleva da 79.534,36 euro a 100.000 euro il limite di importo al di sotto del quale alle cessioni sopra indicate divengono non imponibili.
I commi 8 e 9 disciplinano l’entrata in vigore delle modifiche introdotte.
In particolare, quanto previsto dal comma 5, capoverso 1, lettere b) e c), e dal comma 7, lettera d), produrrà effetti per le operazioni effettuate a decorrere dal sessantesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge comunitaria.
Le modifiche diverse da quelle sopra indicate entreranno in vigore a decorrere dal giorno successivo a quello di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della presente legge; sono fatti salvi, in ogni caso gli effetti delle operazioni effettuate a decorrere dal 1° gennaio 2008 per le quali sia già stata applicata la disciplina introdotta.
Tale disposizione sembrerebbe presupporre che sussistano delle situazioni nelle quali l’operatore nazionale ha applicato (ad esempio nei rapporti economici con soggetti di Stati membri che hanno già recepito la direttiva in esame) una disciplina diversa da quella italiana al momento vigente: trattandosi, tuttavia, nelle situazioni in questione, della disciplina comunitaria ora oggetto di recepimento – cui, pertanto, gli interessati potrebbero aver dato applicazione diretta – si fanno salvi i trattamenti fiscali che si sono già prodotti.
Su tale complessa problematica, che qui si è ricostruita in via solo presuntiva, sembrerebbe opportuno un chiarimento, al fine di dar più compiutamente conto della portata applicativa del comma 9 in esame.
Il comma 10, infine, autorizza il Governo ad emanare decreti legislativi contenenti ulteriori disposizioni di modifica e di integrazione finalizzati al coordinamento con la normativa comunitaria in tema di imposta sul valore aggiunto.
Procedure di contenzioso
Il 19 marzo 2009 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato (procedura n. 2007/4575) sostenendo che la legislazione italiana non sarebbe compatibile con gli articoli 73 e 80 della direttiva IVA (Dir. 2006/112/CE)
Ai sensi dell’articolo 54, comma 3, del D.P.R. 633/72, in Italia le autorità fiscali possono rettificare automaticamente le dichiarazioni IVA annuali sulla base della presunzione che la base imponibile per la cessione di immobili sia il valore normale.
Ad avviso della Commissione, tranne nei casi espressamente stabiliti dalla direttiva IVA, la base imponibile ai fini dell'IVA deve essere il corrispettivo effettivamente versato al fornitore o al prestatore che, secondo la costante giurisprudenza della Corte di giustizia, è un valore soggettivo, determinato dalle parti che intervengono nell'operazione, e non un valore stimato secondo criteri oggettivi.
Art. 22, commi 11-34
(Adeguamento comunitario di disposizioni tributarie: esercizio e raccolta a distanza dei giochi in Italia)
11. Al fine di contrastare in Italia la diffusione del gioco irregolare ed illegale, nonché di perseguire la tutela dei consumatori e dell’ordine pubblico, la tutela dei minori e la lotta al gioco minorile ed alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei giochi, tenuto conto del monopolio statale in materia di giochi di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 14 aprile 1948, n. 496, e nel rispetto degli articoli 43 e 49 del Trattato CE, oltre che delle disposizioni del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, nonché dei princìpi di non discriminazione, necessità, proporzionalità e trasparenza, i commi da 12 a 30 recano disposizioni in materia di esercizio e di raccolta a distanza dei seguenti giochi:
a) scommesse, a quota fissa e a totalizzatore, su eventi, anche simulati, sportivi, inclusi quelli relativi alle corse dei cavalli, nonché su altri eventi;
b) concorsi a pronostici sportivi e ippici;
c) giochi di ippica nazionale;
d) giochi di abilità;
e) scommesse a quota fissa con interazione diretta tra i giocatori;
f) bingo;
g) giochi numerici a totalizzatore nazionale;
h) lotterie ad estrazione istantanea e differita.
12. La disciplina dei giochi di cui al comma 11 è introdotta ovvero adeguata con regolamenti emanati ai sensi degli articoli 16 della legge 13 maggio 1999, n. 133, e successive modificazioni, e 12 della legge 18 ottobre 2001, n. 383, e successive modificazioni. Nel rispetto della predetta disciplina, con provvedimenti del direttore generale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato si provvede alla istituzione di singoli giochi, alla definizione delle condizioni generali di gioco e delle relative regole tecniche, anche d’infrastruttura, della posta unitaria di partecipazione al gioco, anche sotto forma di prezzo di acquisto del titolo di legittimazione alla partecipazione al gioco, nonché della relativa variazione in funzione dell’andamento del gioco, considerato singolarmente ovvero in rapporto ad altri, alla individuazione della misura di aggi, diritti o proventi da corrispondere in caso di organizzazione indiretta del gioco, alla variazione della misura del prelievo, anche per imposte, nell’ambito della misura massima prevista per ciascun gioco ed in funzione del predetto andamento.
13. L’esercizio e la raccolta a distanza di uno o più dei giochi di cui al comma 11, lettere da a) ad f), ferma la facoltà dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato di stabilire, ai sensi del comma 30, in funzione delle effettive esigenze di mercato, in un numero massimo di duecento, le concessioni di cui alla lettera a) del presente comma da attribuire in fase di prima applicazione, è consentita:
a) ai soggetti in possesso dei requisiti e che assumono gli obblighi di cui al comma 15, ai quali l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato attribuisce concessione per la durata di nove anni;
b) ai soggetti che, alla data di entrata in vigore della presente legge, sono già titolari di concessione per l’esercizio e la raccolta di uno o più dei giochi di cui al comma 11 attraverso rete fisica, rete di raccolta a distanza, ovvero entrambe.
14. L’esercizio e la raccolta a distanza dei giochi di cui al comma 11, lettere g) e h), sono effettuati fino alla data di scadenza delle relative concessioni dai soggetti che, alla data di entrata in vigore della presente legge, sono titolari unici di concessione per la gestione e lo sviluppo dei medesimi giochi. Su autorizzazione dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, la raccolta a distanza dei giochi di cui al comma 11, lettere g) e h), è altresì consentita ai soggetti di cui al comma 13 ai quali i titolari unici di concessione abbiano dato licenza con la previsione di un aggio non inferiore a quello percepito dai titolari di punti di vendita dei medesimi giochi che fanno parte della rete fisica di raccolta dei predetti titolari unici di concessione.
15. La concessione richiesta dai soggetti di cui al comma 13, lettera a), è rilasciata subordinatamente al rispetto di tutti i seguenti requisiti e condizioni:
a) esercizio dell’attività di gestione e di raccolta di giochi, anche a distanza, in uno degli Stati dello Spazio economico europeo, avendovi sede legale ovvero operativa, sulla base di valido ed efficace titolo abilitativo rilasciato secondo le disposizioni vigenti nell’ordinamento di tale Stato, con un fatturato complessivo, ricavato da tale attività, non inferiore ad euro 1.500.000 nel corso degli ultimi due esercizi chiusi anteriormente alla data di presentazione della domanda;
b) fuori dai casi di cui alla lettera a), possesso di una capacità tecnico-infrastrutturale non inferiore a quella richiesta dal capitolato tecnico sottoscritto dai soggetti di cui al comma 16, lettera b), comprovata da relazione tecnica sottoscritta da soggetto indipendente, nonché rilascio all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato di una garanzia bancaria ovvero assicurativa, a prima richiesta e di durata biennale, di importo non inferiore ad euro 1.500.000;
c) costituzione in forma giuridica di società di capitali, con sede legale in uno degli Stati dello Spazio economico europeo, anteriormente al rilascio della concessione ed alla sottoscrizione della relativa convenzione accessiva;
d) possesso da parte del presidente, degli amministratori e dei procuratori dei requisiti di affidabilità e professionalità richiesti alle corrispondenti figure dei soggetti di cui al comma 16, lettera b);
e) residenza delle infrastrutture tecnologiche, hardware e software, dedicate alle attività oggetto di concessione in uno degli Stati dello Spazio economico europeo;
f) versamento all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato di un corrispettivo una tantum, per la durata della concessione e a titolo di contributo spese per la gestione tecnica ed amministrativa dell’attività di monitoraggio e controllo, pari ad euro 300.000, più IVA, per le domande di concessione riferite ai giochi di cui al comma 11, lettere da a) ad e), e ad euro 50.000, più IVA, per le domande di concessione riferite al gioco di cui al comma 11, lettera f);
g) sottoscrizione dell’atto d’obbligo di cui al comma 17.
16. I soggetti di cui al comma 13, lettera b), che chiedono la concessione per l’esercizio e la raccolta a distanza dei giochi di cui al comma 11, lettere da a) a f), al fine di ampliare ovvero completare la gamma dei giochi per i quali gli stessi sono già abilitati all’esercizio e alla raccolta a distanza, versano all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato il contributo di cui al comma 15, lettera f), nelle seguenti misure:
a) euro 300.000, per i concessionari del gioco previsto dal regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze 31 gennaio 2000, n. 29, relativamente a domande di concessione riferite ai giochi di cui al comma 11, lettere da a) ad e);
b) euro 50.000, per i concessionari di esercizio a distanza dei giochi di cui all’articolo 1, comma 287, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, e all’articolo 38, comma 4, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, relativamente a domande di concessione riferite al gioco di cui al comma 11, lettera f);
c) euro 350.000, per i concessionari di rimanenti giochi, non già abilitati alla loro raccolta a distanza, relativamente a domande di concessione riferite ai giochi di cui al comma 11, lettere da a) a f).
17. La sottoscrizione della domanda di concessione, il cui modello è reso disponibile dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato sul proprio sito web, implica altresì l’assunzione da parte del soggetto richiedente dei seguenti obblighi valevoli per l’intera durata della concessione:
a) dimostrazione, su richiesta dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, della persistenza dei requisiti e delle condizioni di cui al comma 15, lettere da a) a e);
b) comunicazione all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato di ogni variazione relativa ai requisiti ed alle condizioni di cui al comma 15, lettere da a) ad e);
c) accesso dei giocatori all’area operativa del sito web del concessionario dedicata all’offerta dei giochi di cui al comma 11, lettere da a) a f), esclusivamente sub registrazione telematica da parte del sistema centrale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;
d) esclusione dei consumatori residenti in Italia dall’offerta dei giochi di cui al comma 11, lettere da a) a f), attraverso siti diversi da quelli gestiti dai concessionari in aderenza a quanto previsto dalla concessione, ancorché gestiti dallo stesso concessionario, direttamente ovvero attraverso società controllanti, controllate o collegate;
e) adozione ovvero messa a disposizione di strumenti ed accorgimenti per l’autolimitazione ovvero per l’autoesclusione dal gioco, l’esclusione dall’accesso al gioco da parte di minori, nonché l’esposizione del relativo divieto in modo visibile negli ambienti virtuali di gioco gestiti dal concessionario;
f) promozione di comportamenti responsabili di gioco e vigilanza sulla loro adozione da parte dei giocatori, nonché di misure a tutela del consumatore previste dal codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206;
g) trasmissione al sistema centrale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato delle informazioni anonime relative alle singole giocate, ai prelievi ed ai versamenti effettuati sui singoli conti di gioco, ai relativi saldi, nonché, utilizzando protocolli di comunicazione stabiliti con provvedimento dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, ai movimenti, da identificare con apposita codifica, relativi ad attività di gioco effettuate dal giocatore mediante canali che non prevedono la sub registrazione da parte del sistema centrale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;
h) messa a disposizione, nei tempi e con le modalità indicati dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato all’atto della sua richiesta, di tutti i documenti e le informazioni occorrenti per l’espletamento delle attività di vigilanza e controllo della medesima Amministrazione;
i) consenso all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato per l’accesso, nei tempi e con le modalità indicati dalla stessa Amministrazione, di suoi dipendenti o incaricati alle sedi del concessionario a fini di controllo e ispezione, nonché, ai medesimi fini, impegno di massima assistenza e collaborazione a tali dipendenti o incaricati;
l) utilizzo di conti correnti bancari o postali dedicati alla gestione delle somme depositate sui conti di gioco di titolarità dei giocatori.
18. L’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato effettua l’istruttoria delle domande di concessione entro novanta giorni dalla data del loro ricevimento complete di tutta la documentazione occorrente per il riscontro dei requisiti e delle condizioni di cui al comma 15. In caso di incompletezza della domanda ovvero della relativa documentazione, il termine è sospeso fino alla data della sua regolarizzazione. Il termine è altresì sospeso, in caso di richiesta di integrazioni documentali ovvero di chiarimenti chiesti dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, dalla data della richiesta e fino alla loro ricezione. In deroga alle disposizioni del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, fatti, stati e qualità relativi ai requisiti ovvero alle condizioni di cui al comma 15 non possono essere attestati nella forma dell’autocertificazione ovvero della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà. In caso di decorso del termine per l’istruttoria senza l’adozione di un provvedimento conclusivo espresso da parte dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, la domanda di concessione si intende respinta.
19. La raccolta a distanza dei giochi di cui al comma 11 è subordinata alla stipula, anche per via telematica, di un contratto di conto di gioco tra il giocatore e il concessionario. Lo schema di riferimento del contratto di conto di gioco, reso disponibile dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato sul proprio sito web, è predisposto nel rispetto delle seguenti condizioni minime, cui restano senz’altro soggetti i contratti di conto di gioco in essere alla data di entrata in vigore della presente legge:
a) accettazione da parte del concessionario della regolazione del contratto secondo la legge dello Stato italiano e che italiano sia il foro competente per le eventuali controversie, nel rispetto delle norme vigenti anche di fonte comunitaria, con esclusione di forme di risoluzione arbitrale delle controversie medesime;
b) utilizzo del conto di gioco in osservanza delle disposizioni di cui al decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, di attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, nonché della direttiva 2006/70/CE recante disposizioni per la relativa esecuzione;
c) unicità del contratto di conto di gioco con ciascun giocatore, divieto di utilizzazione del conto di gioco di un giocatore per la raccolta o l’intermediazione di giocate altrui, improduttività di frutti del conto di gioco per il giocatore, nonché gratuità della relativa utilizzazione per il giocatore;
d) indisponibilità da parte del concessionario delle somme depositate sul conto di gioco, fatte salve le operazioni di addebito e di accredito direttamente connesse all’esercizio dei giochi oggetto di concessione;
e) tempestiva contabilizzazione e messa a disposizione al giocatore delle vincite e delle relative somme, comunque non oltre un’ora dalla certificazione ufficiale del verificarsi dell’evento che determina la vincita, salvo specifica diversa disposizione prevista dal regolamento di un singolo gioco;
f) accredito al giocatore, entro e non oltre sette giorni dalla richiesta e con valuta corrispondente al giorno della richiesta, delle somme giacenti sul conto di gioco di cui il giocatore chieda al concessionario il prelievo;
g) durata del contratto di conto di gioco non superiore alla data di scadenza della concessione;
h) informativa relativa al trattamento dei dati personali rispettosa della normativa vigente in materia;
i) assenso preventivo ed incondizionato del giocatore alla trasmissione da parte del concessionario all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, su richiesta di quest’ultima, di tutti i dati relativi ai movimenti e ai saldi del conto di gioco;
l) devoluzione all’erario dell’intero saldo del conto di gioco decorsi tre anni dalla data della sua ultima movimentazione.
20. Con provvedimento del direttore generale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato i contributi di cui ai commi 15, lettera f), e 16 possono essere adeguati in aumento ogni tre anni sulla base dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC) pubblicato dall’ISTAT.
21. L’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato adotta la carta dei servizi in materia di giochi al fine di assicurare la più corretta informazione dei giocatori, anche in tema di doveri di condotta dei concessionari, con particolare riguardo a quelli di cui al comma 17, lettera e).
22. Entro novanta giorni dalla data stabilita ai sensi del comma 30, i soggetti di cui al comma 13, lettera b), ai quali sono già consentiti l’esercizio e la raccolta a distanza dei giochi di cui al comma 11, sottoscrivono l’atto di integrazione della convenzione accessiva alla concessione occorrente per adeguarne i contenuti alle disposizioni dei commi da 11 a 30.
23. Chiunque organizza, esercita e raccoglie a distanza giochi di cui al comma 11 senza la prescritta concessione è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La stessa pena si applica a chiunque organizza, esercita e raccoglie a distanza giochi diversi da quelli di cui al comma 11 che non siano previamente istituiti dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato.
24. Chiunque organizza, esercita e raccoglie a distanza giochi con modalità e tecniche diverse da quelle previste dai commi da 11 a 22 è punito con l’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da euro 500 a euro 5.000.
25. Chiunque promuove o pubblicizza la raccolta a distanza dei giochi di cui al comma 11, organizzati senza la prescritta concessione, è punito con l’arresto fino a tre mesi e con l’ammenda da euro 500 a euro 5.000.
26. Fuori dei casi di concorso nel reato di cui al comma 23, chiunque partecipa a distanza ai giochi di cui al comma 11, organizzati senza la prescritta concessione, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda da euro 200 a euro 2.000.
27. In aggiunta a quanto previsto dai commi da 23 a 26, l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato applica una sanzione amministrativa pecuniaria di carattere accessorio da euro 30.000 fino ad euro 180.000.
28. Salvo che il fatto costituisca reato, in caso di inadempimento da parte del concessionario delle disposizioni di cui ai commi 17 e 19, l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato dispone:
a) per l’inadempimento delle disposizioni di cui al comma 17, lettere a), b), d), e), f), h) e i), nonché delle disposizioni di cui al comma 19, la sospensione della concessione fino alla data in cui il concessionario non ottemperi alle prescrizioni comunicate dalla Amministrazione, e, nel caso in cui l’inadempimento perduri per i trenta giorni successivi alla comunicazione, la revoca della concessione;
b) per l’inadempimento delle disposizioni di cui al comma 17, lettera g), la sospensione della concessione fino alla data in cui il concessionario non ottemperi alle prescrizioni comunicate dalla Amministrazione, e, nel caso in cui l’inadempimento perduri per i dieci giorni successivi alla comunicazione, la revoca della concessione;
c) al primo inadempimento delle disposizioni di cui al comma 17, lettera l), la sospensione della concessione per la durata di quindici giorni; al secondo inadempimento delle medesime disposizioni, la sospensione della concessione per trenta giorni; al terzo inadempimento la revoca della concessione;
d) in ogni caso al terzo inadempimento delle disposizioni di cui ai commi 17 e 19 l’Amministrazione dispone la revoca della concessione.
29. I termini di cui alle lettere a) e b) del comma 28 sono ridotti a metà in caso di nuovo inadempimento rilevato prima che siano trascorsi dodici mesi dalla notifica del primo. In caso di terzo inadempimento nell’arco di dodici mesi, è disposta la revoca della concessione.
30. Con provvedimento del direttore generale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, sulla base di apposito progetto di fattibilità tecnica redatto dal partner tecnologico, è stabilita la data dalla quale decorrono, in tutto o in parte, gli obblighi di cui ai commi da 11 a 29. Fino a tale data i concessionari continuano ad effettuare al partner tecnologico dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato la trasmissione dei dati in conformità alla disciplina a tale riguardo vigente anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge.
31. Con regolamento emanato ai sensi dell’articolo 16, comma 1, della legge 13 maggio 1999, n. 133, adottato di concerto con il Ministro dell’interno, sono disciplinati i tornei non a distanza di poker sportivo; con il medesimo regolamento sono altresì determinati l’importo massimo della quota di modico valore di partecipazione al torneo e le modalità che escludono i fini di lucro e la ulteriore partecipazione al torneo una volta esaurita la predetta quota, nonché l’impossibilità per gli organizzatori di prevedere più tornei nella stessa giornata e nella stessa località.
32. Il Fondo di cui all’articolo 81, comma 29, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, è integrato di 6 milioni di euro per l’anno 2009 e di 15 milioni di euro a decorrere dall’anno 2010. Al relativo onere nonché alle minori entrate recate dai commi da 1 a 3 del presente articolo, valutate in 22 milioni di euro dall’anno 2009, si provvede mediante utilizzo delle maggiori entrate derivanti dai commi da 11 a 30 del presente articolo, al netto dei costi sostenuti dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato per la realizzazione e la gestione degli strumenti informatici occorrenti.
33. Il Ministro dell’economia e delle finanze provvede al monitoraggio degli oneri di cui al presente articolo, anche ai fini dell’adozione dei provvedimenti correttivi di cui all’articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.
34. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio.
I commi da 11 a 34 dell’articolo 22, introdotto dal Senato, al fine di contrastare la diffusione del gioco irregolare ed illegale, intervengono sulla materia complessiva dei giochi a distanza (on line), prevedendo l’emanazione di regolamenti atti a disciplinare ex novo o ad ampliare le disposizioni circa l’esercizio e la raccolta a distanza dei seguenti giochi:
a) scommesse, a quota fissa e a totalizzatore, su eventi, anche simulati; sportivi, inclusi quelli relativi alle corse dei cavalli, nonché su altri eventi;
b) concorsi a pronostici sportivi e ippici;
c) giochi di ippica nazionale;
d) giochi di abilità;
e) scommesse a quota fissa con interazione diretta tra i giocatori;
f) bingo;
g) giochi numerici a totalizzatore nazionale;
h) lotterie ad estrazione istantanea e differita.
Le disposizioni ripropongono sostanzialmente il contenuto dell’articolo 1-ter del D.L. n. 149 del 2008 (Disposizioni urgenti per assicurare adempimenti comunitari in materia di giochi), introdotto dalla Commissione Finanze della Camera dei deputati nel corso dell’esame in sede referente e successivamente soppresso dall’Assemblea della Camera dei deputati (seduta del 6 novembre 2008).
Numerose disposizioni in materia di regolamentazione del gioco a distanza sono state emanate negli ultimi anni: legge n. 311/2005, art. 1, comma 290; D.L. n. 203/2005, art. 11-quinquiesdecies, commi 1 e 11; D.L. n. 223/2006, art. 38, comma 1; D.L. n. 159/2007, art. 40, commi da 6-bis a 6-sexies. Sostanzialmente le disposizioni rinviavano a decreti del Ministero dell’economia e delle finanze - A.A.M.S. la definizione dei requisiti minimi richiesti (ulteriormente dettagliati nelle convenzioni di concessione) nonché delle regole della raccolta attraverso i vari canali (Internet, televisione digitale, terrestre e satellitare, telefonia fissa e mobile), mentre la regolazione dei singoli giochi esercitati a distanza viene definita con specifici decreti direttoriali dell’A.A.M.S.
Con provvedimenti del direttore generale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato si procederà all’istituzione di singoli giochi, alla definizione delle condizioni generali di gioco, delle relative regole tecniche e della posta unitaria di partecipazione al gioco, all’individuazione della misura di aggi, diritti o proventi da corrispondere in caso di organizzazione indiretta del gioco, alla variazione della misura del prelievo, nell’ambito della misura massima prevista per ciascun gioco.
Il comma 13 prevede per i giochi ricompresi nelle lettere da a) ad f) del comma 11 l’attribuzione dell’esercizio e della raccolta a distanza dei giochi a nuovi soggetti (nella misura massima di 200 nuove concessioni), ai quali viene attribuita la concessione per 9 anni (lett. a) secondo i requisiti e condizioni richieste al successivo comma 15, nonché ai soggetti già titolari di concessione attraverso rete fisica, rete di raccolta a distanza o entrambe (lett. b).
Il comma 14 stabilisce che l’esercizio e la raccolta a distanza dei giochi numerici a totalizzatore nazionale e dellelotterie ad estrazione istantanea e differita (lettere g) e h)) sono effettuati fino alla data di scadenza delle relative concessioni dai soggetti che, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono titolari unici di concessione per la gestione e lo sviluppo dei medesimi giochi. Previa autorizzazione dell’A.A.M.S. (Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato), è previsto che i titolari unici di concessione possano concedere la licenza per la raccolta a distanza dei giochi numerici a totalizzatore nazionale e dellelotterie ad estrazione istantanea e differita in favore di nuovi soggetti, con la previsione di un aggio non inferiore a quello percepito dai titolari di punti di vendita dei medesimi giochi che fanno parte della rete fisica di raccolta dei titolari unici di concessione.
Il comma 15, nell’elencare i requisiti e le condizioni richiesti ai nuovi soggetti beneficiari della concessione (esercizio, sede legale, residenza delle infrastrutture tecnologiche, hardware e software), ne prevede la localizzazione in uno degli Stati dello Spazio economico europeo (SEE): pertanto, oltre ai 27 paesi dell’Unione europea aderenti al SEE, sono ricompresi la Norvegia, l’Islanda e il Liechtenstein[114]. E’ altresì previsto il versamento di un corrispettivo una tantum all’A.A.M.S., per la durata della concessione, pari a 300.000 euro più IVA per le domande riferite ai giochi indicati alle lettere da a) ad e) del comma 11 e a 50.000 euro più IVA nel caso del gioco del bingo.
Il comma 16 dispone in merito alla possibilità di ampliamento del numero dei giochi in favore dei soggetti già concessionari dell’esercizio e raccolta a distanza di altri giochi, attraverso il versamento di uno specifico contributo:
- 300.000 euro se già concessionari del gioco del Bingo per la concessione dei giochi di cui alle lettere da a) ed e);
- 50.000 euro se concessionari per l’esercizio a distanza dei giochi per la concessione del gioco del Bingo (lettera f);
- 350.000 euro per i concessionari dei rimanenti giochi, non già abilitati alla loro raccolta a distanza, relativamente a domande di concessione riferite ai giochi di cui alle lettere da a) ed f).
Ai sensi del successivo comma 20 i contributi indicati ai commi 15 e 16 possono essere aumentati ogni tre anni con provvedimento del direttore generale dell’A.A.M.S. sulla base dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC) dell’ISTAT.
I commi 17 e 18 recano le disposizioni procedurali ed operative per l’assegnazione delle concessioni, elencando gli obblighi che il concessionario è tenuto ad assumere per l’intero periodo di concessione. In particolare, si prevede che l’accesso dei giocatori all'area operativa del sito web del concessionario dedicata all'offerta dei giochi di cui al comma 11, lettere da a) a f), sia possibile esclusivamente attraverso registrazione telematica da parte del sistema centrale dell'A.A.M.S. In sostanza gli utenti potranno effettuare giochi on line soltanto sui siti dei concessionari collegati al sistema centrale dell’A.A.M.S.
Inoltre, il concessionario dovrà adottare o mettere a disposizione strumenti ed accorgimenti per l’autolimitazione ovvero per l’autoesclusione dal gioco e prevedere l’esclusione dall’accesso al gioco da parte di minori nonché l’esposizione del relativo divieto in modo visibile negli ambienti virtuali di gioco.
Il comma 19introduce lo strumento del “conto di gioco”: si tratta di un contratto di gioco necessario per effettuare la raccolta a distanza, che è stipulato, anche per via telematica, tra il giocatore e il concessionario secondo uno schema tipo predisposto dall’A.A.M.S. sulla base delle condizioni indicate nel medesimo comma. Tra queste si segnalano l’unicità del contratto di conto di gioco con ciascun giocatore, il divieto di utilizzazione del conto di gioco di un giocatore per la raccolta o l’intermediazione di giocate altrui, l’improduttività di frutti del conto di gioco per il giocatore. Si prevede, altresì, la devoluzione all’erario dell’intero saldo del conto di gioco decorsi tre anni dalla data della sua ultima movimentazione.
Allo scopo di assicurare la più corretta informazione dei giocatori, anche in tema di doveri di condotta dei concessionari, l’A.A.M.S provvederà ad adottare una carta dei servizi in materia di giochi (comma 21).
I commi da 23 a 27 indicano le sanzioni penali e amministrative da applicare in caso di violazione della normativa in oggetto. In particolare è prevista:
- la reclusione da 6 mesi a 3 anni per chiunque organizza, esercita e raccoglie a distanza giochi indicati al comma 11 senza la prescritta concessione;
- la reclusione da 6 mesi a 3 anni per chiunque organizza, esercita e raccoglie a distanza giochi diversi da quelli indicati al comma 11 che non siano previamente istituiti dall’A.A.M.S. (comma 23);
- l’arresto da 3 mesi a 1 anno o con l’ammenda da 500 a 5.000 euro per chiunque organizza, esercita e raccoglie a distanza giochi con modalità e tecniche diverse da quelle previste dai commi da 11 a 22 del presente articolo (comma 24);
- l’arresto fino a 3 mesi e con l’ammenda da 500 a 5.000 euro per chiunque promuove o pubblicizza la raccolta a distanza dei giochi indicati al comma 11, organizzati senza la prescritta concessione (comma 25);
- l’arresto fino a 3 mesi o con l’ammenda da 200 a 2.000 euro per chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato di cui al comma 23, partecipa a distanza ai giochi di cui al comma 11, organizzati senza la prescritta concessione (comma 26);
- la sanzione amministrativa pecuniaria di carattere accessorio da 30.000 fino ad 180.000 euro (da comminare in aggiunta alle sanzioni penali sopra indicate).
Ai commi 28 e 29 sono riportati i casi in cui viene comminata la sospensione della concessione.
Il comma 30 rinvia all’emanazione di un provvedimento del direttore generale dell’A.A.M.S., sulla base di apposito progetto di fattibilità tecnica redatto dal partner tecnologico, in merito alla data di decorrenza degli obblighi indicati ai commi da 11 a 29. Fino a tale data i concessionari continuano a trasmettere al partner tecnologico dell’A.A.M.S i dati in conformità alla disciplina attualmente vigente.
Il comma 31 prevede l’emanazione di un regolamento, di concerto con il Ministro dell’interno, sulla disciplina dei tornei non a distanza di poker sportivo, determinandone le modalità che escludono i fini di lucro.
Secondo la relazione tecnica all’emendamento, presentata al Senato, il “gioco irregolare o illegale riguarda movimenti finanziari per circa 2 miliardi di euro”. Sono a tal fine stimate maggiori entrate nel 2009 pari a 28 milioni di euro, di cui 7 milioni derivanti dall’ingresso nel mercato di almeno 20 nuovi concessionari e 21 milioni quale emersione del gioco illegale. La relazione tecnica, considerando il tetto massimo di 200 concessioni novennali e la rimozione di alcuni ostacoli all’accesso al mercato italiano (obbligo del server e della sede legale in un paese SEE e non più esclusivamente in Italia), ritiene che a regime possa esserci annualmente l’ingresso di almeno 20 nuovi concessionari, con conseguente stabilizzazione delle entrate in 37 milioni annui, di cui 7 derivanti dai nuovi concessionari e 30 dall’emersione del gioco illegale.
Infine, il comma 32 stabilisce che le maggiori entrate derivanti dall’attuazione delle disposizioni in oggetto (commi da 11 a 30), al netto dei costi sostenuti dall’A.A.M.S. per la realizzazione e la gestione degli strumenti informatici occorrenti, sono destinate:
· per 22 milioni di euro annui alla copertura degli oneri recati dai commi 1-3 concernenti le modifiche al regime dei dividendi in uscita distribuiti a fondi pensione di altri Stati UE o aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo (SEE) o all’Associazione europea di libero scambio (AELS);
· 6 milioni di euro per il 2009 e 15 milioni a decorrere dal 2010 vanno ad integrare il Fondo destinato al soddisfacimento delle esigenze dei cittadini meno abbienti previsto dall’articolo 81, comma 29, del D.L. n. 112 del 2008 (c.d. Carta acquisti).
Il comma 33 prevede una clausola di salvaguardia finanziaria, demandando al Ministro dell’economia e delle finanze il monitoraggio degli oneri recati dall’articolo in esame, ai fini dell’adozione dei provvedimenti correttivi di cui all’articolo 11-ter, comma 7, della legge di contabilità (legge n. 468/1978).
L’articolo 11-ter, comma 7, della legge n. 468/1978, come modificato dal decreto-legge n. 194/2002 (cd. decreto-legge “taglia-spese”), impegna i Ministri di settore ad informare tempestivamente il Ministro dell’economia e delle finanze degli eventuali scostamenti rispetto alle previsioni di spesa che si verifichino nel corso dell’attuazione di provvedimenti legislativi.
Il Ministro dell’economia è quindi tenuto a riferire al Parlamento con una propria relazione, che individui le cause che hanno determinato gli scostamenti, anche ai fini di eventuali conseguenti iniziative legislative.
Il Ministro dell'economia e delle finanze può promuovere la procedura suddetta allorché riscontri che l'attuazione di leggi rechi pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica indicati dal Documento di programmazione economico-finanziaria e da eventuali aggiornamenti, come approvati dalle relative risoluzioni parlamentari.
Procedure di contenzioso
Il 19 febbraio 2009 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato complementare (procedura d’infrazione n. 1999/5352) (ai sensi dell’art. 228 TCE)[115], per la mancata attuazione della sentenza della Corte di giustizia del 13 settembre 2007 (causa C-260/04), con la quale la Repubblica italiana era stata condannata per avere rinnovato, senza previa gara d’appalto, 329 concessioni per l’esercizio delle scommesse ippiche.
La sentenza ha statuito che l’Italia sarebbe venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 43 CE e 49 CE e, in particolare, avrebbe violato il principio generale di trasparenza nonché l’obbligo di garantire un adeguato livello di pubblicità. La Commissione, nella lettera di messa in mora, ha rilevato che le misure recentemente adottate dall'Italia per aprire il mercato dei giochi con la messa in concorrenza di un numero molto elevato (8.065 punti globali, di cui 290 agenzie) di nuove concessioni ippiche, non sarebbero sufficienti a dare esecuzione alla sentenza della Corte di Giustizia.
Il 4 aprile 2006 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura d’infrazione n. 2003/4616)per violazione dell’art. 49 del Trattato della Comunità europea, in quanto la normativa italiana vigente comporterebbe restrizioni all’esercizio di attività di organizzazione e di raccolta di scommesse sulle competizioni sportive.
Il 28 giugno 2006 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura di infrazione 2006/4179) sostenendo che sarebbero state adottate senza operare la notifica richiesta dall’art. 8 della direttiva 98/34/CE, le disposizioni della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006) e il decreto 7 febbraio 2006 (prot. n. 2006/4249/giochi/UD) - che impongono ai fornitori di servizi rete italiani l’obbligo di oscurare i siti internet che offrono servizi di scommesse on-line e i cui operatori non sono in possesso delle autorizzazioni italiane richieste.
1. Nella predisposizione del decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2007/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, che modifica la direttiva 89/552/CEE del Consiglio, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive, attraverso le opportune modifiche al testo unico della radiotelevisione, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) l’inserimento di prodotti è ammesso nel rispetto di tutte le condizioni e i divieti previsti dall’articolo 3-octies, paragrafi 2, 3 e 4, della direttiva 89/552/CEE, come introdotto dalla citata direttiva 2007/65/CE;
b) per le violazioni delle condizioni e dei divieti di cui alla lettera a) si applicano le sanzioni previste dall’articolo 51 del testo unico di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, per la violazione delle disposizioni in materia di pubblicità, sponsorizzazione e televendite, fatto salvo il divieto di inserimento di prodotti nei programmi per bambini, per la cui violazione si applica la sanzione di cui all’articolo 35, comma 2, del medesimo decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177.
L'articolo 23, modificato nel corso dell’esame al Senato,reca misure concernentiildecreto legislativo per l'attuazione della direttiva 2007/65/CE (inclusa nell’allegato B al disegno di legge) che ha innovato la direttiva 89/552/CE (“TV senza frontiere”) allo scopo di adeguarla allo sviluppo tecnologico e agli sviluppi del mercato nel settore audiovisivo in Europa.
Ai sensi dell’art. 1 del disegno di legge, il provvedimento di attuazione dovrà essere adottato entro il termine di scadenza previsto per il recepimento della direttiva citata, ossia il 19 dicembre 2009 (art. 3 della Direttiva 2007/65/CE).
In particolare, l’articolo in esame – oltre a specificare che il provvedimento legislativo dovrà novellare il Testo unico della radiotelevisione, di cui al d.lgs. n. 177 del 2005[116]– integra i criteri generali di delega, già indicati dall’art. 2 del disegno di legge,con la previsione di specifici criteri relativi alla disciplina dell'inserimento di prodotti all'interno di programmi audiovisivi (c.d. “product placement”[117]).
Si stabilisce, in proposito, che tale inserimento deve avvenire nel rispetto di tutte le condizioni e di tutti i divieti previsti dall’art. 3-octies, paragrafi 2, 3 e 4, della direttiva 89/552/CEE, introdotto dalla direttiva 2007/65/CE.
Al riguardo, la relazione introduttiva al disegno di legge – ricordato che la direttiva definisce esplicitamente il concetto di “inserimento di prodotti” (product placement) e ne prescrive il divieto, consentendo, però, agli Stati membri la previsione di eventuali deroghe – evidenzia che la disposizione dell’art. 17 (ora, 23) è volta a definire l’ambito di esercizio della discrezionalità riservata allo Stato. Ciò, al fine di aumentare la competitività delle opere audiovisive prodotte in Italia, garantendo loro un trattamento omogeneo e non penalizzante, ma al contempo introducendo regole certe a tutela degli utenti.
Rimandando, per una sintesi più complessiva della direttiva, all’apposita scheda, si opererà, di seguito, una breve ricognizione di quanto prevede l’art. 3-octies richiamato.
In linea generale (par. 1), esso vieta l’inserimento di prodotti, intendendo per inserimento (art. 1, par. 2, lett. m)) ogni forma di comunicazione commerciale audiovisiva che consiste nell’inserire o nel fare riferimento ad un prodotto, a un servizio o a un marchio, così che appaia all’interno di un programma dietro pagamento o altro compenso[118].
Il par. 2, tuttavia, in deroga al par. 1, consente il product placement a meno che lo Stato membro non decida altrimenti, con riferimento a due specifiche fattispecie.
La prima riguarda opere cinematografiche, film e serie prodotti per i servizi di media audiovisivi[119], programmi sportivi e programmi di intrattenimento leggero, ad esclusione, in tutti i casi, dei programmi per bambini.
La seconda riguarda la circostanza in cui non ci sia pagamento, ma soltanto fornitura gratuita di determinati beni o servizi, quali aiuti alla produzione e premi.
I programmi che contengono inserimento di prodotti devono, però, rispettare una serie minima di prescrizioni. In particolare:
- il loro contenuto non deve compromettere la responsabilità e l’indipendenza editoriale del fornitore dei servizi di media[120];
- non devono incoraggiare direttamente l’acquisto o la locazione di beni o servizi;
- non devono dare indebito rilievo ai prodotti in questione;
- i telespettatori devono essere chiaramente informati dell’esistenza dell’inserimento dei prodotti[121].
Il par. 3 prescrive che, in ogni caso, i programmi non possono contenere inserimento di prodotti a base di tabacco o sigarette e specifici medicinali o cure mediche che si possono ottenere esclusivamente su prescrizione.
Il par. 4, infine, prevede che le disposizioni dei paragrafi 1, 2 e 3 si applicano solo ai programmi prodotti dopo il 19 dicembre 2009 che, come si è visto, è il termine per il recepimento della direttiva.
Si stabilisce, altresì, che, in caso di violazione delle condizioni e dei divieti sopra illustrati, si applicano le sanzioni previste dall’art. 51 del già citato d.lgs. n. 177 del 2005 per la violazione delle disposizioni in materia di pubblicità, sponsorizzazione e televendite. Nel caso, però, che si violi il divieto di inserimento di prodotti nei programmi per bambini, si applica la sanzione prevista dall’art. 35, comma 2, del medesimo d.lgs. n. 177 del 2005.
L’art. 51 del d.lgs. n. 177 del 2005 disciplina le sanzioni di competenza dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per la violazione degli obblighi in materia, fra l’altro, di pubblicità, sponsorizzazioni e televendite previsti dagli art. 4, comma 1, lett. c) e d)[122], 37, 38, 39 e 40[123] del medesimo d.lgs. n. 177/2005, dal DM n. 581 del 1993[124] e dai regolamenti dell’Autorità. Per tali fattispecie, la sanzione amministrativa irrogata varia da 10.329 euro a 258.228 euro. In linea generale, peraltro, il comma 9 prevede che, se la violazione è di particolare gravità o reiterata, l’Autorità può disporre nei confronti dell’emittente o del fornitore di contenuti la sospensione dell’attività per un periodo non superiore a sei mesi, ovvero, nei casi più gravi di mancata ottemperanza agli ordini e alle diffide della stessa Autorità, la revoca della concessione o dell’autorizzazione.
L’art. 35, comma 2, del medesimo d.lgs. n. 177 del 2005 - come modificato dall'art. 11-quinquies del D.L. n. 8 del 2007[125], nel testo integrato dalla relativa legge di conversione - prevede che la Commissione per i servizi e i prodotti dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, organo tenuto a vigilare sull’osservanza delle disposizioni in materia di protezione dei minori, nei casi di inosservanza dei relativi divieti, previa contestazione della violazione agli interessati ed assegnazione di un termine non superiore a quindici giorni per le giustificazioni, delibera l'irrogazione della sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 25.000 euro a 350.000 euro e, nei casi più gravi, la sospensione dell'efficacia della concessione o dell'autorizzazione per un periodo da tre a trenta giorni.
1. In attuazione della direttiva 2007/68/CE della Commissione, del 27 novembre 2007, che modifica l’allegato III-bis della direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, per quanto concerne l’inclusione di alcuni ingredienti alimentari, all’Allegato II del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) la sezione III è sostituita dalla seguente:
«Sezione III
Allergeni Alimentari
1. Cereali contenenti glutine (cioè grano, segale, orzo, avena, farro, kamut o i loro ceppi ibridati) e prodotti derivati, tranne:
a) sciroppi di glucosio a base di grano, incluso destrosio e prodotti derivati, purché il processo subito non aumenti il livello di allergenicità valutato dall’EFSA per il prodotto di base dal quale sono derivati;
b) maltodestrine a base di grano e prodotti derivati, purché il processo subito non aumenti il livello di allergenicità valutato dall’EFSA per il prodotto di base dal quale sono derivati;
c) sciroppi di glucosio a base d’orzo;
d) cereali utilizzati per la fabbricazione di distillati o di alcol etilico di origine agricola per liquori ed altre bevande alcoliche.
2. Crostacei e prodotti derivati.
3. Uova e prodotti derivati.
4. Pesce e prodotti derivati, tranne:
a) gelatina di pesce utilizzata come supporto per preparati di vitamine o carotenoidi;
b) gelatina o colla di pesce utilizzata come chiarificante nella birra e nel vino.
5. Arachidi e prodotti derivati.
6. Soia e prodotti derivati, tranne:
a) olio e grasso di soia raffinato e prodotti derivati, purché il processo subito non aumenti il livello di allergenicità valutato dall’EFSA per il prodotto di base dal quale sono derivati;
b) tocoferoli misti naturali (E306), tocoferolo D-alfa naturale, tocoferolo acetato D-alfa naturale, tocoferolo succinato D-alfa naturale a base di soia;
c) oli vegetali derivati da fitosteroli e fitosteroli esteri a base di soia;
d) estere di stanolo vegetale prodotto da steroli di olio vegetale a base di soia.
7. Latte e prodotti derivati (incluso lattosio), tranne:
a) siero di latte utilizzato per la fabbricazione di distillati o di alcol etilico di origine agricola per liquori ed altre bevande alcoliche;
b) lattitolo.
8. Frutta a guscio, cioè mandorle (Amygdalus communis L.), nocciole (Corylus avellana), noci comuni (Juglans regia), noci di anacardi (Anacardium occidentale), noci di pecan (Carya illinoiesis (Wangenh) K. Koch), noci del Brasile (Bertholletia excelsa), pistacchi (Pistacia vera), noci del Queensland (Macadamia ternifolia) e prodotti derivati, tranne frutta a guscio utilizzata per la fabbricazione di distillati o di alcol etilico di origine agricola per liquori ed altre bevande alcoliche.
9. Sedano e prodotti derivati.
10. Senape e prodotti derivati.
11. Semi di sesamo e prodotti derivati.
12. Anidride solforosa e solfiti in concentrazioni superiori a 10 mg/Kg o 10 mg/l espressi come SO2.
13. Lupini e prodotti derivati.
14. Molluschi e prodotti derivati.»;
b)la sezione IV è abrogata.
2. È autorizzata la commercializzazione, fino ad esaurimento delle scorte, dei prodotti alimentari, conformi alle disposizioni del decreto legislativo 8 febbraio 2006, n. 114, immessi sul mercato od etichettati prima del 31 maggio 2009.
3. Le modifiche della sezione III dell’Allegato II del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, come modificata dal comma 1 del presente articolo, rese necessarie per il recepimento di direttive comunitarie in materia, sono adottate con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da esprimere entro trenta giorni dalla richiesta.
4. Sono abrogati l’articolo 8, commi 2 e 3, del decreto legislativo 8 febbraio 2006, n. 114, l’articolo 2 del decreto legislativo 27 settembre 2007, n. 178, ed il secondo periodo del comma 2-bis dell’articolo 7 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, e successive modificazioni.
L'articolo 24, modificato nel corso dell’esame al Senato, recependo la direttiva n. 2007/68/CE, modifica l'elenco degli ingredienti classificati come allergeni alimentari, che viene integrato con taluni degli ingredienti in precedenza temporaneamente esclusi da tale classificazione in quanto oggetto di valutazione scientifica. Per la restante parte degli ingredienti oggetto di studio, viene escluso, invece, in via definitiva, il carattere allergenico.
Tali riclassificazioni corrispondono a quelle operate dalla direttiva 2007/68/CE della Commissione, del 27 novembre 2007.
L’individuazione di sostanze allergeniche, ovvero prodotti alimentari, ingredienti o altre sostanze (quali additivi o coadiuvanti) capaci di provocare un’ipersensibilità è stata operata con la direttiva 2003/89/CE[126] che, modificando la direttiva 2000/13/CE[127], ha fissato con il nuovo allegato III-bis l’elenco di ingredienti o sostanze che debbono obbligatoriamente essere indicati in etichetta.
Con la direttiva 2005/26/CE[128], tuttavia, la Commissione ha temporaneamente escluso, fino al 25 novembre 2007, dal menzionato allegato III-bis della direttiva 2000/13/CE taluni ingredienti o sostanze, in attesa che studi scientifici stabilissero la loro natura allergizzante.
Allo scadere del termine, la direttiva 2007/68/CE ha abrogato la direttiva 2005/26/CE e, sulla scorta dei pareri dell’EFSA e di altre informazioni, ha esonerato in modo permanente talune delle sostanze in regime temporaneo dall’obbligo di menzione nelle etichette, riconducendo le rimanenti nell’allegato III -bis.
L’adozione delle nuove norme, avvenuta il 27 novembre 2007, ha peraltro reso necessario autorizzare lo smaltimento delle scorte conformi alla precedente direttiva 2005/26/CE fino ad esaurimento, ma comunque entro il 31 maggio 2009, allo scopo di agevolare la transizione verso il nuovo regime soprattutto delle piccole e medie imprese.
Il comma 1 dell'articolo 24– novellando il d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 109[129], di attuazione di direttive comunitarie sull’etichettatura e pubblicità dei prodotti alimentari – modifica l'elenco degli ingredienti classificati come allergeni alimentari in conformità alla revisione operata dalla direttiva 2007/68/CE della Commissione, del 27 novembre 2007.
Si ricorda che ai prodotti contenenti allergeni alimentari (o ingredienti e sostanze derivati dagli stessi) si applicano le specifiche norme di cui all'art. 5, commi da 2-bis a 2-quater, del citato d.lgs. n. 109 del 1992, che impongono l’indicazione nelle etichette di tali ingredienti.
Il comma 2 reca una deroga transitoria, consentendo la distribuzione commerciale, fino ad esaurimento delle scorte, dei prodotti alimentari conformi d.lgs. 8 febbraio 2006, n. 114[130] (che ha dato attuazione alla direttiva 2005/63/CE di rettifica della direttiva 2005/26/CE), purché immessi sul mercato o etichettati prima del 31 maggio 2009.
Il successivo comma 3 prevede che le ulteriori modifiche all'elenco degli allergeni alimentari per l’adeguamento a nuove prescrizioni comunitarie siano adottate con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro del lavoro ed acquisito il parere della Conferenza Stato-regioni, che si deve pronunciare entro trenta giorni dalla richiesta.
La relazione al disegno di legge riconduce le disposizioni di cui al comma 3 alla necessità di adempiere tempestivamente agli obblighi comunitari e di evitare l’apertura di procedure d’infrazione.
Il comma 4 reca talune norme di abrogazione esplicita, connesse alle nuove disposizioni di cui al presente articolo 18.
Con riferimento alla procedura di aggiornamento dell’elenco degli allergeni alimentari di cui al comma 3, si osserva che l'articolo 29, comma 3, del citato d.lgs. n. 109 del 1992 già prevede in via generale una procedura semplificata, consentendo che tutte le modifiche, o integrazioni, necessarie ad attuare nuove norme comunitarie siano adottate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato di concerto con il Ministro della sanità.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
Si veda il paragrafo Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE relativo all’art. 7.
Procedure di contenzioso
Il 29 gennaio 2009 la Commissione europea ha inviato all’Italia parere motivato (procedura n. 2008/0560) per mancato recepimento della direttiva 2007/68/CE che modifica l'allegato III bis della direttiva 2000/13/CE per quanto riguarda l'inclusione di alcuni ingredienti alimentari.
Il termine di recepimento era il 31 maggio 2008.
Art. 25
(Delega al Governo per la modifica della disciplina in materia di composizione e denominazione degli estratti alimentari e dei prodotti affini, in esecuzione della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 19 giugno 1990, nella causa C-177/89)
1. Il Governo è delegato ad adottare, con le modalità di cui all’articolo 1 e nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, un decreto legislativo al fine di dare piena e completa esecuzione alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 19 giugno 1990, nella causa C-177/89, con particolare riferimento alle disposizioni in materia di composizione e denominazione degli estratti alimentari e dei prodotti affini.
2. Il Governo è autorizzato ad apportare, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1, le conseguenti modifiche ed integrazioni al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1953, n. 567.
L'articolo 25, al comma 1, delega il Governo ad adottare un decreto legislativo per dare esecuzione alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 19 giugno 1990, nella causa C-177/89 (con la quale l'Italia è stata condannata per aver assoggettato lo smercio di estratti alimentari e di prodotti affini, di origine animale o vegetale, legalmente fabbricati e messi in commercio in altri Stati membri, a restrizioni relative alla composizione, alla denominazione e alla confezione, subordinandone inoltre lo smercio ad autorizzazione), con particolare riferimento alle disposizioni in materia di composizione e denominazione degli estratti alimentari e dei prodotti affini, attualmente regolate dalla legge 6 ottobre 1950, n. 836, recante Disciplina della produzione e vendita degli estratti alimentari e dei prodotti affini.
Il comma 2 reca l’autorizzazione al Governo a modificare il D.P.R. n. 567/1953 con il quale è stato approvato il regolamento di esecuzione[131], consentendo così la completa revisione del quadro normativo nazionale in materia di estratti alimentari.
Art. 26
(Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2007/23/CE relativa all’immissione sul mercato di articoli pirotecnici)
1. Nella predisposizione del decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2007/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 maggio 2007, relativa all’immissione sul mercato di articoli pirotecnici, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) disciplinare, mediante sistemi informatizzati di trattamento dei dati e di gestione delle procedure, le domande ed i procedimenti per l’accertamento della conformità degli articoli pirotecnici ai requisiti di sicurezza della direttiva medesima e le ulteriori procedure per il riconoscimento dei prodotti pirotecnici destinati ad organismi diversi;
b) armonizzare le norme di recepimento con le disposizioni vigenti in materia di sicurezza, ivi compresi gli aspetti di prevenzione incendi, delle fabbriche, dei depositi, del trasporto, degli esercizi di vendita dei prodotti esplodenti;
c) assicurare la produzione, l’uso e lo smaltimento ecocompatibili dei prodotti esplodenti, compresi i pirotecnici per uso nautico, e dei rifiuti prodotti dall’accensione di pirotecnici di qualsiasi specie, prevedendo una disciplina specifica per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti di tali prodotti e dei prodotti scaduti;
d) prevedere la procedura di etichettatura degli artifici pirotecnici, che consenta, nella intera filiera commerciale ed anche mediante l’adozione di codici alfanumerici, la corretta ed univoca individuazione dei prodotti esplodenti nel territorio nazionale, la migliore tracciabilità amministrativa degli stessi ed il rispetto dei princìpi in materia di tutela della salute ed incolumità pubblica;
e) prevedere specifiche licenze e modalità di etichettatura per i prodotti pirotecnici fabbricati ai fini di ricerca, sviluppo e prova;
f) prevedere ogni misura volta al rispetto delle esigenze di ordine e di sicurezza pubblica e di prevenzione incendi nell’acquisizione, detenzione ed uso degli artifici pirotecnici e ad escludere dal possesso di tali prodotti persone comunque ritenute pericolose;
g) determinare le attribuzioni e la composizione del comitato competente al controllo delle attività degli organismi notificati responsabili delle verifiche di conformità, assicurandone l’alta competenza e l’indipendenza dei componenti;
h) prevedere, per le infrazioni alle disposizioni della legislazione nazionale di attuazione della direttiva 2007/23/CE, l’introduzione di sanzioni, anche di natura penale, nei limiti di pena stabiliti per le contravvenzioni e per i delitti dalla legge 2 ottobre 1967, n. 895, e dalla legge 18 aprile 1975, n. 110, ferme le disposizioni penali vigenti in materia, a tutela dell’ordine pubblico, della sicurezza pubblica, dell’incolumità delle persone e della protezione ambientale.
2. Dall’attuazione della delega di cui al presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Con l’articolo 26, modificato nel corso dell’esame al Senato, si individuano i principi e i criteri specifici di delega per il recepimento della direttiva 2007/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 maggio 2007, relativa all’immissione sul mercato di articoli pirotecnici – fermi restando i principi e criteri direttivi generali di cui all'art. 2 – anche al fine di coordinare le norme di recepimento della direttiva con quelle nazionali vigenti in materia di sicurezza delle fabbriche, dei depositi e degli esercizi di vendita, anche sotto il profilo della prevenzione incendi.
Si segnala che la direttiva 2007/23/CE è ricompresa nell'Allegato B al presente disegno di legge.
Per quanto riguarda la disciplina vigente in Italia, si rinvia, tra l'altro, al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, di approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, in particolare al Capo V (Della prevenzione di infortuni e disastri - artt. 46-62) e al Capo VI (Delle industrie pericolose e dei mestieri rumorosi e incomodi - art. 63-67) del Titolo II e al decreto legislativo 2 gennaio 2007, n. 7, di recepimento della direttiva 93/15/CEE relativa all'armonizzazione delle disposizioni in materia di immissione sul mercato e controllo degli esplosivi per uso civile.
Oltre ai principi desumibili dal contenuto della direttiva 2007/23/CE, il comma 1 introduce ulteriori principi e criteri di delega, riguardanti:
a) la disciplina, mediante sistemi informatizzati di trattamento dei dati e di gestione delle procedure, delle domande e dei procedimenti per l’accertamento della conformità degli articoli pirotecnici ai requisiti di sicurezza della direttiva medesima e delle ulteriori procedure per il riconoscimento dei prodotti pirotecnici destinati ad organismi diversi;
b) l'armonizzazione delle norme di recepimento con le disposizioni vigenti in materia di sicurezza, ivi compresi gli aspetti di prevenzione incendi, delle fabbriche, dei depositi, del trasporto, degli esercizi di vendita dei prodotti esplodenti;
c) la garanzia della produzione, l’uso e lo smaltimento ecocompatibili dei prodotti esplodenti, compresi i pirotecnici per uso nautico, e dei rifiuti prodotti dall’accensione di pirotecnici di qualsiasi specie, prevedendo una disciplina specifica per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti di tali prodotti e dei prodotti scaduti;
d) la previsione della procedura di etichettatura degli artifici pirotecnici, che consenta, nella intera filiera commerciale ed anche mediante l’adozione di codici alfanumerici, la corretta ed univoca individuazione dei prodotti esplodenti nel territorio nazionale, la migliore tracciabilità amministrativa degli stessi ed il rispetto dei princıpi in materia di tutela della salute ed incolumità pubblica;
e) la previsione di specifiche licenze e modalità di etichettatura per i prodotti pirotecnici fabbricati ai fini di ricerca, sviluppo e prova;
f) la previsione di ogni misura volta al rispetto delle esigenze di ordine e di sicurezza pubblica e di prevenzione incendi nell’acquisizione, detenzione ed uso degli artifici pirotecnici e ad escludere dal possesso di tali prodotti persone comunque ritenute pericolose;
g) la determinazione delle attribuzioni e della composizione del comitato competente al controllo delle attività degli organismi notificati responsabili delle verifiche di conformità, assicurandone l’alta competenza e l’indipendenza dei componenti;
h) l’introduzione di sanzioni, anche di natura penale – nei limiti di pena stabiliti per le contravvenzioni e per i delitti dalla legge n. 895/1967 e dalla legge n. 110/1975 – per le infrazioni alle disposizioni della legislazione nazionale di attuazione della citata direttiva 2007/23/CE, ferme le disposizioni penali vigenti in materia, a tutela dell’ordine pubblico, della sicurezza pubblica, dell’incolumità delle persone e della protezione ambientale.
La relazione illustrativa del disegno di legge comunitaria precisa che il principio di delega di cui al comma 1, lettera g), non comporta oneri aggiuntivi, in quanto non prevede l’istituzione di nuovi organi, ma si limita a prevedere la definizione delle attribuzioni e della composizione del comitato tecnico di vigilanza sull’attività degli organismi notificati, già previsto dall’articolo 4 del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 7, e dai relativi provvedimenti attuativi (articolo 9 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’interno 19 settembre 2002, n. 272, che esclude per i componenti esterni, tra l’altro, qualunque forma di compenso, fermo restando che nessun compenso è previsto per i componenti del comitato appartenenti alla pubblica amministrazione). Sempre la relazione illustrativa aggiunge che gli organismi notificati responsabili delle verifiche di conformità, previste dall’articolo 10 della direttiva in questione, opereranno su richiesta delle ditte interessate alle verifiche di conformità ed a spese delle medesime. Si tratta di organismi analoghi a quelli già previsti dall’articolo 3 del richiamato decreto legislativo n. 7 del 1997, recante il recepimento della direttiva 93/15/CEE, in materia di immissione sul mercato e controllo degli esplosivi per uso civile. Analogamente, con riferimento alle misure volte al rispetto delle esigenze di ordine e sicurezza pubblica e di prevenzione incendi, esse si riferiscono a procedure e servizi già tipizzati, e rimodulabili in relazione allo specifico contenuto della direttiva.
Ai sensi del comma 2, l’esercizio della delega non deve comportare oneri aggiuntivi per la finanza pubblica.
Art. 27
(Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2008/43/CE relativa all’istituzione, a norma della direttiva 93/15/CEE, di un sistema di identificazione e tracciabilità degli esplosivi per uso civile)
1. Nella predisposizione del decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2008/43/CE della Commissione, del 4 aprile 2008, relativa all’istituzione, a norma della direttiva 93/15/CEE del Consiglio, di un sistema di identificazione e tracciabilità degli esplosivi per uso civile, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che il sistema per assicurare la trattazione dei procedimenti e la conservazione dei dati concernenti le licenze di pubblica sicurezza relativi alla fabbricazione, importazione, esportazione, transito, trasferimento comunitario, trasporto, tracciabilità amministrativa ed identificazione univoca degli esplosivi, e quelli relativi ai titolari delle stesse, sia assicurato dal Ministero dell’interno, con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, e dai titolari delle licenze mediante procedure automatizzate;
b) prevedere, per gli esplosivi ammessi nel mercato civile, modalità di etichettature atte a distinguere la destinazione, rispetto a quelle riservate ad uso militare o delle forze di polizia;
c) prevedere l’introduzione di sanzioni penali, nei limiti di pena di cui alla legge 2 ottobre 1967, n. 895, per le violazioni al divieto di detenzione e di introduzione nel territorio nazionale degli esplodenti di cui al decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 7, sprovvisti dei sistemi armonizzati di identificazione univoca e di tracciabilità; prevedere, inoltre, l’introduzione di sanzioni, anche di natura penale, per le altre infrazioni alla legislazione nazionale di attuazione della citata direttiva 2008/43/CE.
2. Dall’attuazione della delega di cui al presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Con l’articolo 27, modificato nel corso dell’esame al Senato, si individuano principi e criteri specifici di delega per il recepimento della direttiva 2008/43/CE della Commissione, del 4 aprile 2008, relativa all’istituzione, a norma della direttiva 93/15/CEE del Consiglio, di un sistema di identificazione e tracciabilità degli esplosivi per uso civile, fermi restando i principi e criteri direttivi generali di cui all'art. 2.
Si segnala che la direttiva 2008/43/CE è ricompresa nell'Allegato A al presente disegno di legge.
La direttiva 93/15/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, relativa all'armonizzazione delle disposizioni riguardanti l'immissione sul mercato e il controllo degli esplosivi per uso civile, ha previsto, tra l'altro, all'art. 14, che gli Stati membri tengano a disposizione degli altri Stati membri e della Commissione europea le informazioni aggiornate relative alle imprese del settore degli esplosivi che possiedono una licenza o un'autorizzazione.
Gli Stati membri verificano che tali imprese dispongano di un sistema di tracciamento che consenta di identificare in qualsiasi momento il detentore degli esplosivi, e le relative misure vengono adottate secondo le procedure adottate del comitato consultivo composto dai rappresentanti degli Stati membri e presieduto dal rappresentante della Commissione europea (art. 13). Il comitato esamina le questioni relative all'applicazione della direttiva sollevate dal presidente di sua iniziativa o su richiesta del rappresentante di uno Stato membro ed esprime il proprio parere sulle proposte di misure da adottare che gli vengono sottoposte dal rappresentante della Commissione europea. Sempre ai sensi dell'art. 14, le imprese in questione tengono un registro delle loro operazioni per poter soddisfare gli obblighi previsti dalla disciplina comunitaria: i relativi documenti sono conservati per un periodo di almeno tre anni a decorrere dalla fine dell'anno civile in cui ha avuto luogo l'operazione registrata, anche se l'impresa ha cessato la propria attività. Essi devono essere prontamente messi a disposizione per un controllo eventuale su richiesta delle autorità competenti.
In base a quanto disposto dalla direttiva 93/15/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, la successiva direttiva 2008/43/CE della Commissione, del 4 aprile 2008, ha istituito un sistema armonizzato di identificazione univoca e di tracciabilità degli esplosivi per uso civile (per l’illustrazione del contenuto della direttiva 2008/43/CE si rinvia alla relativa scheda di lettura).
Ai criteri e principi di delega desumibili dalla disciplina comunitaria da attuare, il comma 1 dell'articolo in commento aggiunge i seguenti ulteriori principi e criteri direttivi:
a) prevedere che il sistema per assicurare la trattazione dei procedimenti e la conservazione dei dati concernenti le licenze di pubblica sicurezza relativi alla fabbricazione, importazione, esportazione, transito, trasferimento comunitario, trasporto, tracciabilità amministrativa ed identificazione univoca degli esplosivi, e quelli relativi ai titolari delle stesse, sia assicurato dal Ministero dell’interno, con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, e dai titolari delle licenze mediante procedure automatizzate;
b) prevedere, per gli esplosivi ammessi nel mercato civile, modalità di etichettature atte a distinguere la destinazione, rispetto a quelle riservate ad uso militare o delle forze di polizia;
c) prevedere l’introduzione di sanzioni penali, nei limiti di pena di cui alla legge 2 ottobre 1967, n. 895, per le violazioni al divieto di detenzione e di introduzione nel territorio nazionale degli esplodenti di cui al decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 7, sprovvisti dei sistemi armonizzati di identificazione univoca e di tracciabilità; prevedere, inoltre, l’introduzione di sanzioni, anche di natura penale, per le altre infrazioni alla legislazione nazionale di attuazione della citata direttiva 2008/43/CE.
Ai sensi dell'art. 1 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, chiunque introduca nel territorio dello Stato di esplosivi di ogni tipo ovvero ne faccia raccolta, senza licenza dell'autorità, è punito con la reclusione da tre a dodici anni e con la multa da lire 800.000 (413 euro) a lire 4.000.000 (2.065 euro). Ai sensi dell'art. 2, chiunque detiene illegalmente esplosivi, a qualsiasi titolo, è punito con la reclusione da uno a otto anni e con la multa da lire 400.000 (206 euro) a lire 3.000.000 (1.549 euro). La misura delle multe di cui alle predette disposizioni è stata elevata dall'art. 113, quarto comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689; entrambe le sanzioni sono inoltre escluse dalla depenalizzazione in virtù dell'art. 32, secondo comma, della citata legge 24 novembre 1981, n. 689, recante modifiche al sistema penale.
Ai sensi del comma 2 dall'attuazione della delega di cui all'articolo in commento non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Art. 28
(Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2007/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa all’esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate)
1. Nella predisposizione del decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2007/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 luglio 2007, relativa all’esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, in quanto compatibili, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) definire l’ambito di applicazione delle norme di recepimento della direttiva 2007/36/CE emanate ai sensi della presente delega, escludendo da esso gli organismi di investimento collettivo, armonizzati e non armonizzati, e le società cooperative;
b) individuare le norme di recepimento della direttiva 2007/36/CE emanate ai sensi della presente delega applicabili alle società emittenti azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante e alle società emittenti valori mobiliari diversi dalle azioni con diritto di voto negoziati in mercati regolamentati o diffusi tra il pubblico in misura rilevante;
c) indicare il termine minimo che deve intercorrere fra la pubblicazione dell’avviso di convocazione e la data di svolgimento dell’assemblea in prima convocazione, tenendo conto dell’interesse a un’adeguata informativa degli azionisti e dell’esigenza di una tempestiva convocazione dell’assemblea in determinate circostanze, e assicurando il necessario coordinamento con le disposizioni di attuazione degli articoli 6 e 7 della direttiva 2007/36/CE;
d) adeguare la disciplina del contenuto dell’avviso di convocazione a quanto previsto dall’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 2007/36/CE e disciplinarne le modalità di diffusione, al fine di garantirne l’effettiva diffusione nell’Unione europea, tenendo conto degli oneri amministrativi a carico della società emittente;
e) adeguare la disciplina del diritto dei soci di integrare l’ordine del giorno dell’assemblea di cui all’articolo 126-bis del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, a quanto previsto dagli articoli 5 e 6 della direttiva 2007/36/CE, non avvalendosi dell’opzione di cui all’articolo 6, paragrafo 1, secondo comma, e confermando la partecipazione minima per il suo esercizio nella misura del quarantesimo del capitale sociale, nonché quanto previsto dall’articolo 126-bis, comma 3;
f) adeguare la disciplina della legittimazione all’intervento in assemblea e all’esercizio del voto a quanto previsto dall’articolo 7 della direttiva 2007/36/CE, introducendo le opportune modifiche ed adeguamenti delle norme in materia di legittimazione all’esercizio dei diritti sociali conferiti da strumenti finanziari in gestione accentrata, nonché in materia di disciplina dell’assemblea, di impugnazione delle delibere assembleari e di diritto di recesso, e procedere ad un riordino delle disposizioni normative in materia di gestione accentrata e dematerializzazione;
g) individuare la data di registrazione tenendo conto dell’interesse a garantire una corretta rappresentazione della compagine azionaria e ad agevolare la partecipazione all’assemblea, anche tramite un rappresentante, dell’azionista, nonché dell’esigenza di adeguata organizzazione della riunione assembleare;
h) al fine di agevolare l’esercizio dei diritti sociali, riordinare la disciplina vigente in materia di aggiornamento del libro dei soci, valutando altresì l’introduzione di un meccanismo di identificazione degli azionisti, per il tramite degli intermediari;
i) disciplinare il diritto dell’azionista di porre domande connesse all’ordine del giorno prima dell’assemblea, prevedendo che la società fornisca una risposta, anche unitaria alle domande con lo stesso contenuto, al più tardi nella riunione assembleare, tenuto conto di quanto previsto dall’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 2007/36/CE;
l) rivedere la disciplina della rappresentanza in assemblea, al fine di rendere più agevoli ed efficienti le procedure per l’esercizio del voto per delega, adeguandola altresì all’articolo 10 della direttiva 2007/36/CE, avvalendosi delle facoltà di cui al paragrafo 2, secondo comma e al paragrafo 4, secondo comma, del medesimo articolo e confermando quanto previsto dall’articolo 2372, secondo, terzo e quarto comma, del codice civile;
m) identificare le fattispecie di potenziale conflitto di interessi fra il rappresentante e l’azionista rappresentato, avvalendosi delle opzioni di cui all’articolo 10, paragrafo 3, comma 1, lettere a), b) e c) della direttiva 2007/36/CE;
n) rivedere e semplificare la disciplina della sollecitazione delle deleghe di voto, coordinandola con le modifiche introdotte alla disciplina della rappresentanza in assemblea in attuazione della presente legge delega e preservando un adeguato livello di affidabilità e trasparenza;
o) disciplinare, ove necessario, l’esercizio tramite mezzi elettronici dei diritti sociali presi in considerazione dalla direttiva 2007/36/CE;
p) eventualmente prevedere i poteri regolamentari necessari per l’attuazione delle norme emanate ai sensi della presente delega;
q) prevedere per la violazione delle disposizioni dettate in attuazione della direttiva 2007/36/CE l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie non inferiori nel minimo a euro 500 e non superiori nel massimo a euro 500.000.
2. Dall’esercizio della presente delega non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
L’articolo 28 reca i princìpi e criteri direttivi che il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, in quanto compatibili, nella predisposizione del decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2007/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 luglio 2007, relativa all’esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate.
Per l’illustrazione del contenuto della citata direttiva 2007/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 luglio 2007, relativa all’esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate, si fa rinvio alla relativa scheda di commento del presente dossier (v. infra).
La lettera a)del comma 1 richiede, innanzi tutto, che sia definito l’ambito di applicazione delle norme di recepimento della direttiva 2007/36/CE emanate ai sensi della presente delega, escludendo da esso gli organismi di investimento collettivo, armonizzati e non armonizzati, e le società cooperative.
Ai sensi della lettera m) del comma 1 dell’articolo 1 del testo unico della finanza di cui al d.lgs. n. 58 del 1998 (TUF) sono «organismi di investimento collettivo del risparmio» (OICR) i fondi comuni di investimento e le società di investimento a capitale variabile (SICAV).
La lettera b) dà mandato al Governo ad individuare le norme di recepimento della direttiva 2007/36/CE applicabili alle società emittenti azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante e alle società emittenti valori mobiliari diversi dalle azioni con diritto di voto negoziati in mercati regolamentati o diffusi tra il pubblico in misura rilevante.
Si ricorda che, secondo l’articolo 2325-bis del codice civile, sono società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, ai fini dell'applicazione delle relative disposizioni, le società con azioni quotate in mercati regolamentati o diffuse fra il pubblico in misura rilevante.
La lettera c) richiede che il termine minimo che deve intercorrere fra la pubblicazione dell’avviso di convocazione e la data di svolgimento dell’assemblea in prima convocazione venga indicato:
a) considerando l’interesse a un’adeguata informativa degli azionisti;
b) considerando l’esigenza di una tempestiva convocazione dell’assemblea in determinate circostanze;
c) assicurando il necessario coordinamento con le disposizioni di attuazione degli articoli 6 e 7 della direttiva 2007/36/CE.
Il richiamato articolo 6 della direttiva 2007/36/CE disciplina il diritto di iscrivere punti all’ordine del giorno dell’assemblea e di presentare proposte di delibera. Fra l’altro, è disposto che gli Stati membri assicurino che gli azionisti, che agiscono individualmente o collettivamente: a) abbiano il diritto di iscrivere punti all’ordine del giorno dell’assemblea, a condizione che ciascuno di questi punti sia corredato di una motivazione o di una proposta di delibera da adottare in assemblea; b) abbiano il diritto di presentare proposte di delibera sui punti che figurano o figureranno all’ordine del giorno dell’assemblea. Gli Stati membri possono stabilire che il diritto di cui alla lettera a) possa essere esercitato solo in relazione all’assemblea annuale, a condizione che gli azionisti, agendo individualmente o collettivamente, abbiano il diritto di convocare, o di chiedere alla società di convocare, un’assemblea che non sia quella annuale con un ordine del giorno comprendente almeno tutti i punti che essi hanno chiesto.
L’articolo 7 della direttiva 2007/36/CE, che disciplina i requisiti per partecipare e votare all’assemblea, dispone fra l’altro che gli Stati membri debbano assicurare: a) che i diritti di un azionista di partecipare all’assemblea e di votare, in funzione delle sue azioni, non siano soggetti ad alcun requisito di depositare, trasferire o registrare, a nome di un’altra persona fisica o giuridica, tali azioni prima dell’assemblea; b) che i diritti di un azionista di vendere o trasferire in altro modo le sue azioni durante il periodo che intercorre tra la data di registrazione quale definita al paragrafo 2 e l’assemblea cui questa si riferisce non siano soggetti ad alcuna limitazione a cui non sono soggetti in altri momenti. La prova della qualità di azionista può essere soggetta solo ai requisiti necessari per assicurare l’identificazione degli azionisti e solo nella misura in cui detti requisiti siano proporzionati al raggiungimento di tale obiettivo.
La lettera d)richiede che la disciplina del contenuto dell’avviso di convocazione sia adeguata a quanto previsto dall’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 2007/36/CE, secondo cui la convocazione deve come minimo, fra l’altro: a) indicare con precisione dove e quando si svolgerà l’assemblea e l’ordine del giorno proposto per la stessa; b) contenere una descrizione chiara e precisa delle procedure che gli azionisti devono rispettare per poter partecipare e votare in assemblea, comprese le informazioni riguardanti una serie di profili; c) se applicabile, indicare la data di registrazione quale definita nell’articolo 7, paragrafo 2, e chiarire che solo coloro che risultano azionisti a tale data avranno il diritto di partecipare e di votare in assemblea; d) indicare dove è possibile reperire il testo completo e integrale delle proposte di delibera.
La stessa lettera d) richiede che le modalità di diffusione dell’avviso di convocazione vengano disciplinate in modo tale da garantirne l’effettiva diffusione nell’Unione europea, tenendo conto degli oneri amministrativi a carico della società emittente.
La lettera e)richiede che la disciplina del diritto dei soci di integrare l’ordine del giorno dell’assemblea di cui all’articolo 126-bis del TUF venga adeguata a quanto previsto dagli articoli 5 e 6 della direttiva 2007/36/CE, senza avvalersi dell’opzione di cui all’articolo 6, paragrafo 1, secondo comma, a mente della quale gli Stati membri possono stabilire che il diritto di iscrivere punti all’ordine del giorno dell’assemblea – a condizione che ciascuno di questi punti sia corredato di una motivazione o di una proposta di delibera da adottare in assemblea – e il diritto di presentare proposte di delibera sui punti che figurano o figureranno all’ordine del giorno dell’assemblea siano esercitati per iscritto (per corrispondenza con mezzi elettronici).
La stessa lettera e)richiede che sia confermata la partecipazione minima per l’esercizio del diritto nella misura del quarantesimo del capitale sociale, nonché quanto previsto dall’articolo 126-bis, comma 3, del TUF.
Tale ultima disposizione – dopo aver previsto, al comma 1, che i soci i quali, anche congiuntamente, rappresentino almeno un quarantesimo del capitale sociale possono chiedere, entro cinque giorni dalla pubblicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea, l'integrazione dell'elenco delle materie da trattare, indicando nella domanda gli ulteriori argomenti da essi proposti – dispone, al comma 3, che l'integrazione dell'elenco delle materie da trattare, ai sensi del comma 1, non è ammessa per gli argomenti sui quali l'assemblea delibera, a norma di legge, su proposta degli amministratori o sulla base di un progetto o di una relazione da essi predisposti.
La lettera f) richiede che la disciplina della legittimazione all’intervento in assemblea e all’esercizio del voto venga adeguata a quanto previsto dal sopra richiamato articolo 7 della direttiva 2007/36/CE, sulla base dei seguenti ulteriori principi di delega:
a) introduzione delle opportune modifiche ed adeguamenti delle norme in materia di legittimazione all’esercizio dei diritti sociali conferiti da strumenti finanziari in gestione accentrata;
b) introduzione delle opportune modifiche ed adeguamenti delle norme in materia di disciplina dell’assemblea, di impugnazione delle delibere assembleari e di diritto di recesso;
c) riordino delle disposizioni normative in materia di gestione accentrata e de materializzazione.
Si ricorda che il deposito accentrato dei titoli nasce in Italia nel 1978 con la costituzione della Monte Titoli, a cui nel 1986 la legge 289 attribuisce il monopolio dei servizi per la custodia e l'amministrazione accentrata di valori mobiliari (azioni e obbligazioni del settore privato). Il TUF nel 1998 introduce la figura delle società di gestione accentrata (sul modello delle altre società mercato) e il riconoscimento del carattere imprenditoriale dell'attività. Il servizio è affidato alla Monte Titoli con delibera Consob per gli strumenti finanziari in genere e con decreto ministeriale per quanto riguarda i titoli di Stato. Il quadro normativo di riferimento per le società di gestione accentrata si completa con la disciplina sulla "dematerializzazione" degli strumenti finanziari.
Ulteriori principi di delega prevedono:
a) l’individuazione della data di registrazione tenendo conto dell’interesse a garantire una corretta rappresentazione della compagine azionaria e ad agevolare la partecipazione all’assemblea, anche tramite un rappresentante, dell’azionista, nonché dell’esigenza di adeguata organizzazione della riunione assembleare (lettera g);
b) il riordino della disciplina vigente in materia di aggiornamento del libro dei soci, al fine di agevolare l’esercizio dei diritti sociali, valutando altresì l’introduzione di un meccanismo di identificazione degli azionisti, per il tramite degli intermediari (lettera h);
c) la disciplina del diritto dell’azionista di porre domande connesse all’ordine del giorno prima dell’assemblea (lettera i), prevedendo che la società fornisca una risposta, anche unitaria alle domande con lo stesso contenuto, al più tardi nella riunione assembleare, tenuto conto di quanto previsto dall’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 2007/36/CE, secondo cui il diritto di porre domande e l’obbligo di rispondere sono soggetti alle misure che gli Stati membri possono adottare, o consentire alle società di adottare, per garantire l’identificazione degli azionisti, il corretto svolgimento dell’assemblea, la sua preparazione e la tutela della riservatezza e degli interessi delle società. Gli Stati membri possono consentire alle società di fornire una risposta unitaria alle domande dello stesso contenuto e possono prevedere che si consideri fornita una risposta se le informazioni pertinenti sono disponibili sul sito internet della società in un formato «domanda e risposta»;
d) la revisione della disciplina della rappresentanza in assemblea (lettera l), al fine di rendere più agevoli ed efficienti le procedure per l’esercizio del voto per delega, adeguandola altresì all’articolo 10 della direttiva 2007/36/CE.
In particolare, secondo il paragrafo 3 del richiamato articolo 10 della direttiva, salve le limitazioni espressamente consentite dai paragrafi 1 e 2, gli Stati membri non possono limitare, o consentire alle società di limitare, l’esercizio dei diritti dell’azionista tramite un rappresentante per fini diversi da quelli volti a risolvere i potenziali conflitti di interesse tra il rappresentante e l’azionista nell’interesse del quale il rappresentante è tenuto ad agire; nel fare ciò gli Stati membri non possono imporre requisiti diversi dai seguenti: a) gli Stati membri possono stabilire che il rappresentante comunichi le specifiche circostanze che possono essere rilevanti per gli azionisti nel valutare se esistono rischi che il rappresentante possa perseguire un interesse diverso dall’interesse dell’azionista; b) gli Stati membri possono limitare o escludere l’esercizio dei diritti dell’azionista attraverso un rappresentante in mancanza di istruzioni di voto specifiche per ciascuna delibera in relazione alla quale il rappresentante dovrà votare per conto dell’azionista; c) gli Stati membri possono limitare o escludere il trasferimento della delega a un’altra persona, ma ciò non impedisce a un rappresentante che sia una persona giuridica di esercitare, tramite un membro dei suoi organi di direzione o di amministrazione o un suo dipendente, i poteri conferitigli. Il rappresentante esprime il voto conformemente alle istruzioni di voto impartite dall’azionista che esso rappresenta. Una persona che agisca in qualità di rappresentante può ricevere deleghe da parte di più di un azionista, senza limitazioni riguardo al numero di azionisti rappresentati. La legge applicabile consente a un rappresentante che detenga deleghe di più azionisti di esprimere per un azionista un voto diverso da quello espresso per un altro.
La stessa lettera l) richiede la revisione della disciplina della rappresentanza in assemblea avvalendosi delle facoltà di cui al paragrafo 2, secondo comma, e al paragrafo 4, secondo comma, del medesimo articolo 10 della direttiva 2007/36/CE e confermando quanto previsto dall’articolo 2372, secondo, terzo e quarto comma, del codice civile.
Secondo il richiamato paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2007/36/CE, fatto salvo l’articolo 13, paragrafo 5, gli Stati membri possono limitare il numero di persone che l’azionista può designare come rappresentanti per una determinata assemblea. Tuttavia, qualora l’azionista possieda azioni di una società detenute in più di un conto titoli, detta limitazione non impedisce all’azionista di designare per una determinata assemblea un distinto rappresentante con riferimento alle azioni detenute in ciascun conto titoli. Ciò non pregiudica le regole previste dalla legge applicabile che vietano di votare in modo differenziato per azioni detenute dallo stesso azionista.
Ai sensi del richiamato paragrafo 4, secondo comma, gli Stati membri possono chiedere ai rappresentanti di tenere traccia delle istruzioni di voto per un determinato periodo minimo e di confermare su richiesta che le istruzioni di voto sono state rispettate.
Secondo l’articolo 2372, secondo, terzo e quarto comma, del codice civile, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio la rappresentanza può essere conferita solo per singole assemblee, con effetto anche per le successive convocazioni, salvo che si tratti di procura generale o di procura conferita da una società, associazione, fondazione o altro ente collettivo o istituzione ad un proprio dipendente. La delega non può essere rilasciata con il nome del rappresentante in bianco ed è sempre revocabile nonostante ogni patto contrario. Il rappresentante può farsi sostituire solo da chi sia espressamente indicato nella delega. Se la rappresentanza è conferita ad una società, associazione, fondazione od altro ente collettivo o istituzione, questi possono delegare soltanto un proprio dipendente o collaboratore.
La lettera m) richiede che, nell’identificare le fattispecie di potenziale conflitto di interessi fra il rappresentante e l’azionista rappresentato, il legislatore delegato si avvalga delle opzioni di cui al sopra ricordato articolo 10, paragrafo 3, comma 1, lettere a), b) e c), della direttiva 2007/36/CE.
Ulteriori principi e criteri di delega richiedono che sia rivista e semplificata la disciplina della sollecitazione delle deleghe di voto, coordinandola con le modifiche introdotte alla disciplina della rappresentanza in assemblea in attuazione della presente legge delega e preservando un adeguato livello di affidabilità e trasparenza (lettera n), che sia disciplinato, ove necessario, l’esercizio tramite mezzi elettronici dei diritti sociali presi in considerazione dalla direttiva 2007/36/CE (lettera o), che siano eventualmente previsti i poteri regolamentari necessari per l’attuazione delle norme emanate ai sensi della presente delega (lettera p), che sia prevista l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie non inferiori nel minimo a euro 500 e non superiori nel massimo a euro 500.000 per la violazione delle disposizioni dettate in attuazione della direttiva 2007/36/CE (lettera q).
Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria.
Art. 29
(Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2007/64/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle direttive 97/7/CE, 2002/65/CE, 2005/60/CE e 2006/48/CE, e abrogazione della direttiva 97/5/CE)
1. Nella predisposizione dei decreti legislativi per l’attuazione della direttiva 2007/64/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle direttive 97/7/CE, 2002/65/CE, 2005/60/CE e 2006/48/CE, che abroga la direttiva 97/5/CE, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) definire il quadro giuridico per la realizzazione dell’Area unica dei pagamenti in euro (SEPA), in conformità con il principio di massima armonizzazione contenuto nella direttiva;
b) favorire la riduzione dell’uso di contante nelle operazioni di pagamento e privilegiare l’utilizzo da parte delle pubbliche amministrazioni, a livello nazionale e locale, di strumenti di pagamento elettronici. La pubblica amministrazione dovrà provvedervi con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente;
c) ridurre gli oneri a carico delle imprese e dei fornitori di servizi di pagamento, anche tenendo conto delle scelte effettuate in altri Paesi dell’Unione europea e della necessità di preservare la posizione competitiva del nostro sistema finanziario ed imprenditoriale;
d) favorire lo sviluppo di un mercato concorrenziale dei servizi di pagamento;
e) istituire la categoria degli istituti di pagamento abilitati alla prestazione di servizi di pagamento con esclusione delle attività di raccolta di depositi e di emissione di moneta elettronica;
f) individuare nella Banca d’Italia l’autorità competente ad autorizzare l’avvio dell’esercizio dell’attività e a esercitare il controllo sugli istituti di pagamento abilitati, nonché a verificare il rispetto delle condizioni previste dalla direttiva per l’esecuzione delle operazioni di pagamento;
g) individuare nella Banca d’Italia l’autorità competente a specificare le regole che disciplinano l’accesso ai sistemi di pagamento, assicurando condizioni di parità concorrenziale tra le diverse categorie di prestatori di servizi di pagamento;
h) recepire gli obblighi di trasparenza posti in capo ai prestatori di servizi di pagamento al fine di consentire agli utenti di tali servizi di effettuare scelte consapevoli, graduando i requisiti informativi in relazione alle esigenze degli utenti stessi, al rilievo economico del contratto concluso e al valore dello strumento di pagamento;
i) recepire i divieti per i prestatori di servizi di pagamento di applicare spese aggiuntive agli utenti di detti servizi per l’esercizio del loro diritto nei casi previsti dalla direttiva;
l) assicurare una chiara e corretta ripartizione di responsabilità tra i prestatori di servizi di pagamento coinvolti nell’esecuzione di un’operazione di pagamento, al fine di garantirne il reciproco affidamento nonché il regolare funzionamento dei servizi di pagamento;
m) prevedere procedure di reclamo degli utenti nei confronti dei fornitori di servizi di pagamento;
n) prevedere procedure per la risoluzione stragiudiziale delle controversie relative all’utilizzazione di servizi di pagamento;
o) prevedere disposizioni transitorie in base alle quali i soggetti che hanno iniziato a prestare i servizi di pagamento di cui all’allegato alla direttiva 2007/64/CE conformemente al diritto nazionale vigente prima della data di entrata in vigore del decreto legislativo possano continuare tale attività fino al 30 aprile 2011;
p) individuare nella Banca d’Italia l’autorità competente a emanare la normativa di attuazione del decreto legislativo e a recepire afferenti misure di attuazione adottate dalla Commissione europea con procedura di comitato;
q) introdurre le occorrenti modificazioni alla normativa vigente, anche di derivazione comunitaria, per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, al fine di realizzarne il migliore coordinamento;
r) prevedere per la violazione delle disposizioni dettate in attuazione della direttiva l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie non inferiori nel minimo a euro 500 e non superiori nel massimo a euro 500.000.
2. Dall’esercizio della presente delega non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
L’articolo 29 reca i princìpi e criteri direttivi che il Governo è tenuto a seguire nella predisposizione dei decreti legislativi per l’attuazione della direttiva 2007/64/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle direttive 97/7/CE, 2002/65/CE, 2005/60/CE e 2006/48/CE e che abroga la direttiva 97/5/CE. Tali principi e criteri direttivi si aggiungono ai princìpi e criteri direttivi indicati dall’articolo 2 del presente provvedimento.
Per un’illustrazione del contenuto della citata direttiva 2007/64/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, si fa rinvio alla relativa scheda di commento in questo dossier (v. infra).
La lettera a) del comma 1 prevede la definizione del quadro giuridico per la realizzazione dell’Area unica dei pagamenti in euro (SEPA), in conformità con il principio di massima armonizzazione contenuto nella direttiva.
Il citato progetto SEPA mira ad estendere il processo d'integrazione europea ai pagamenti al dettaglio in euro effettuati con strumenti diversi dal contante, con l'obiettivo di favorire l'efficienza e la concorrenza all'interno dell'area dell'euro, intendendo offrire ai cittadini europei la possibilità di effettuare pagamenti a favore di beneficiari situati in qualsiasi paese dell'area dell'euro, utilizzando un singolo conto bancario e un insieme di strumenti di pagamento armonizzati. Nell'ottica della SEPA, tutti i pagamenti al dettaglio in euro sono considerati "domestici", venendo meno la distinzione fra pagamenti nazionali e transfrontalieri all'interno dell'area dell'euro. La SEPA è costituita da: strumenti di pagamento armonizzati (bonifici, addebiti diretti e carte di pagamento); infrastrutture europee per il trattamento dei pagamenti in euro; standard tecnici e prassi operative comuni; base giuridica armonizzata; nuovi servizi in continua evoluzione orientati alla clientela. La Banca centrale europea e la Commissione europea svolgono un ruolo di promozione del progetto, mentre lo European Payments Council (EPC - Consiglio europeo per i pagamenti) è responsabile della sua realizzazione. Dal gennaio 2008 è possibile effettuare pagamenti conformi agli standard SEPA mediante carte di pagamento e bonifici.
La lettera b) richiede che venga favorita la riduzione dell’uso di contante nelle operazioni di pagamento, dovendosi privilegiare l’utilizzo da parte delle pubbliche amministrazioni, a livello nazionale e locale, di strumenti di pagamento elettronici, mentre la lettera c) richiede che vengano ridotti gli oneri a carico delle imprese e dei fornitori di servizi di pagamento, anche tenendo conto delle scelte effettuate in altri Paesi dell’Unione europea e della necessità di preservare la posizione competitiva del nostro sistema finanziario ed imprenditoriale, dovendosi favorire lo sviluppo di un mercato concorrenziale dei servizi di pagamento (lettera d).
I decreti legislativi di attuazione della direttiva dovranno istituire la categoria degli istituti di pagamento (lettera e), abilitati alla prestazione di servizi di pagamento con esclusione delle attività di raccolta di depositi e di emissione di moneta elettronica, nonché individuare (lettera f) nella Banca d’Italia l’autorità competente:
a) ad autorizzare l’avvio dell’esercizio dell’attività;
b) a esercitare il controllo sugli istituti di pagamento abilitati;
c) a verificare il rispetto delle condizioni previste dalla direttiva per l’esecuzione delle operazioni di pagamento.
La Banca d’Italia dovrà inoltre essere individuata quale l’autorità competente a specificare le regole che disciplinano l’accesso ai sistemi di pagamento, garantendo condizioni di parità concorrenziale tra le diverse categorie di prestatori di servizi di pagamento (lettera g).
Si ricorda che la vigilanza sul sistema dei pagamenti è una funzione esplicitamente attribuita al Sistema europeo delle banche centrali (SEBC) dal quadro normativo e istituzionale europeo e che il testo unico bancario di cui al d.lgs. n. 385 del 1993 attribuisce all’articolo 146 alla Banca d'Italia il ruolo esclusivo di promuovere il regolare funzionamento del sistema dei pagamenti nonché il potere di emanare disposizioni per assicurarne l'efficienza e l'affidabilità.
Viene inoltre richiesto che i decreti legislativi di attuazione recepiscano gli obblighi di trasparenza posti in capo ai prestatori di servizi di pagamento, graduando i requisiti informativi tenuto conto di tre fattori: le esigenze degli utenti, il rilievo economico del contratto concluso e il valore dello strumento di pagamento (lettera h).
Si dovranno recepire i divieti per i prestatori di servizi di pagamento di applicare spese aggiuntive agli utenti di detti servizi per l’esercizio del loro diritto nei casi previsti dalla direttiva (lettera i), assicurando una chiara e corretta ripartizione di responsabilità tra i prestatori di servizi di pagamento coinvolti nell’esecuzione di un’operazione di pagamento, al fine di garantirne il reciproco affidamento nonché il regolare funzionamento dei servizi di pagamento (lettera l).
L’articolo in esame richiede altresì che i decreti di attuazione prevedano (lettera m) procedure di reclamo degli utenti, procedure per la risoluzione stragiudiziale delle controversie (lettera n) nonché disposizioni transitorie in base alle quali i soggetti che hanno iniziato a prestare i servizi di pagamento di cui all’allegato alla direttiva 2007/64/CE conformemente al diritto nazionale vigente prima della data di entrata in vigore del decreto legislativo possano continuare tale attività fino al 30 aprile 2011 (lettera o).
Per quanto concerne l’emanazione della normativa di attuazione del decreto legislativo, la lettera p) individua nella Banca d’Italia l’autorità competente, cui spetta anche di recepire afferenti misure di attuazione adottate dalla Commissione europea con procedura di comitato.
Ai sensi della lettera q) si individua, quale principio di delega, l’introduzione, a fini di coordinamento, delle modificazioni occorrenti alla normativa vigente, anche di derivazione comunitaria, per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, mentre la lettera r) richiede che venga prevista per la violazione delle disposizioni dettate in attuazione della direttiva l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie non inferiori nel minimo a euro 500 e non superiori nel massimo a euro 500.000.
Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
Il 13 ottobre 2008 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento relativa ai pagamenti transfrontalieri nella Comunità (COM(2008)640).
La proposta, oltre ad abrogare il regolamento (CE) n. 2560/2001 relativo ai pagamenti transfrontalieri in euro, mira ad introdurre disposizioni volte ad armonizzare definizioni e tenore testuale del regolamento n. 2560/2001 e della direttiva 2007/64/CE relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno al fine di garantire maggiore chiarezza e coerenza giuridica fra i due atti in materia di pagamenti.
L’obiettivo generale della proposta è la semplificazione del quadro normativo al fine di favorire la realizzazione di un mercato interno dei servizi di pagamento in euro in cui esista una effettiva concorrenza e i pagamenti nazionali e quelli transfrontalieri siano soggetti allo stesso regime. In particolare si propone di:
- estendere agli addebiti diretti il principio della parità delle commissioni sui pagamenti transfrontalieri e nazionali corrispondenti;
- eliminare gradualmente, entro il 1° gennaio 2012, gli obblighi di dichiarazione ai fini delle statistiche della bilancia dei pagamenti imposti ai prestatori di servizi di pagamento;
- chiedere agli Stati membri di nominare autorità competenti e organismi di ricorso extragiudiziale per trattare efficacemente i reclami e le controversie relativi all’applicazione della proposta stessa.
La proposta, che segue la procedura di codecisione, dovrebbe essere esaminata dal Parlamento europeo in seduta plenaria il 23 marzo 2009.
Art. 30
(Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE e previsione di modifiche ed integrazioni alla disciplina relativa ai soggetti operanti nel settore finanziario di cui al decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, ai mediatori creditizi ed agli agenti in attività finanziaria)
1. Nella predisposizione dei decreti legislativi per l’attuazione della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, anche i seguenti principi e criteri direttivi:
a) apportare al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, le modifiche e le integrazioni necessarie al corretto e integrale recepimento della direttiva 2008/48/CE e delle relative misure di esecuzione nell’ordinamento nazionale;
b) estendere, se del caso, gli strumenti di protezione del contraente debole previsti in attuazione della direttiva 2008/48/CE ad altre tipologie di finanziamento a favore dei consumatori, qualora ricorrano analoghe esigenze di tutela alla luce delle caratteristiche ovvero delle finalità del finanziamento;
c) rafforzare ed estendere i poteri amministrativi inibitori e l’applicazione delle sanzioni amministrative previste dal testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993 per contrastare le violazioni delle disposizioni del titolo VI di tale testo unico, anche se concernenti rapporti diversi dal credito al consumo, al fine di assicurare un’adeguata reazione a fronte dei comportamenti scorretti a danno della clientela;
d) coordinare il testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993 e le altre disposizioni legislative, aventi ad oggetto operazioni e servizi disciplinati dal titolo VI del medesimo testo unico, contenute nel decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, e nel decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40;
e) rimodulare la disciplina delle attività e dei soggetti operanti nel settore finanziario di cui al titolo V e all’articolo 155 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993, sulla base dei seguenti ulteriori criteri direttivi a tutela dei consumatori:
1) rideterminare i requisiti per l’iscrizione al fine di consentire l’operatività nei confronti del pubblico soltanto ai soggetti che assicurino affidabilità e correttezza dell’iniziativa imprenditoriale;
2) prevedere strumenti di controllo più efficaci, modulati anche sulla base delle attività svolte dall’intermediario;
3) garantire la semplificazione, la trasparenza, la celerità, l’economicità e l’efficacia dell’azione amministrativa e dei procedimenti sanzionatori, attribuendo alla Banca d’Italia la competenza sul procedimento sanzionatorio e di irrogazione delle eventuali sanzioni;
4) prevedere sanzioni amministrative pecuniarie e accessorie e forme di intervento effettive, dissuasive e proporzionate, quali, tra l’altro, il divieto di intraprendere nuove operazioni e il potere di sospensione, rafforzando, nel contempo, il potere di cancellazione;
f) apportare alla disciplina dei mediatori creditizi di cui alla legge 7 marzo 1996, n. 108, e alla disciplina degli agenti in attività finanziaria di cui al decreto legislativo 25 settembre 1999, n. 374, le integrazioni e le modifiche necessarie a:
1) assicurare la trasparenza dell’operato e la professionalità delle sopraindicate categorie professionali, prevedendo l’innalzamento dei requisiti professionali;
2) istituire un organismo associativo avente personalità giuridica, con autonomia organizzativa e statutaria, ed eventuali articolazioni territoriali, costituito da soggetti nominati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze scelti tra le categorie dei mediatori creditizi, degli agenti in attività finanziaria, delle banche e degli intermediari finanziari, sottoposto alla vigilanza della Banca d’Italia, con il compito di tenere gli elenchi dei mediatori creditizi e degli agenti in attività finanziaria, proponendo alla Banca d’Italia l’adozione delle misure inibitorie e sanzionatorie nei casi di violazione delle regole di condotta, in relazione alla gravità dell’infrazione e in conformità alle disposizioni di cui al successivo numero 3); prevedere che in caso di grave inerzia o malfunzionamento dell’organismo o delle sue eventuali articolazioni territoriali, l’autorità di vigilanza ne proponga lo scioglimento al Ministro dell’economia e delle finanze;
3) prevedere che con regolamento del Ministro dell’economia e delle finanze, adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentita la Banca d’Italia, siano determinate le modalità di funzionamento dell’organismo di cui al numero 2) e sia individuata la disciplina: di ogni altro potere, anche ispettivo o informativo, necessario ad assicurare il corretto funzionamento dell’organismo e delle sue eventuali articolazioni territoriali; dell’iscrizione negli elenchi dei mediatori creditizi e degli agenti in attività finanziaria, con le relative forme di pubblicità; della determinazione e riscossione, da parte dell’organismo o delle sue eventuali articolazioni territoriali, di contributi o di altre somme dovute dagli iscritti e dai richiedenti l’iscrizione, nella misura necessaria per garantire lo svolgimento dell’attività; delle modalità di tenuta della documentazione concernente l’attività svolta dai mediatori creditizi e dagli agenti in attività finanziaria; delle modalità di aggiornamento professionale di tali soggetti;
4) prevedere la disciplina della determinazione delle sanzioni pecuniarie, nonché della sospensione e della cancellazione degli operatori dagli elenchi e delle sanzioni accessorie, disciplinando le modalità per l’irrogazione delle sanzioni e prevedendo adeguate forme di pubblicità degli esiti sanzionatori;
5) prevedere la possibilità di presentare ricorso, avverso le decisioni di proposta delle misure inibitorie e sanzionatorie assunte dall’organismo o dalle sue eventuali articolazioni territoriali dinanzi alla Banca d’Italia, disciplinando le modalità di opposizione alla delibera adottata dall’organo di vigilanza, dinanzi al giudice ordinario;
6) individuare cause di incompatibilità, tra cui la contestuale iscrizione in entrambi gli elenchi;
7) prescrivere l’obbligo di stipulare polizze assicurative per responsabilità civile per danni arrecati nell’esercizio delle attività di pertinenza;
8) prevedere disposizioni transitorie per disciplinare il trasferimento nei nuovi elenchi dei mediatori e degli agenti in attività finanziarie, purché in possesso dei requisiti previsti dalla nuova disciplina;
9) prescrivere per i mediatori creditizi l’obbligo di indipendenza da banche e intermediari e l’obbligo di adozione di una forma giuridica societaria per l’esercizio dell’attività e prevedere obblighi di trasparenza specifici connessi all’attività svolta da tali soggetti, in modo che sia assicurata la trasparenza sulle commissioni di mediazione e sugli altri costi accessori, nonché ulteriori forme di controllo per le società di mediazione creditizia di maggiori dimensioni;
10) prevedere per gli agenti in attività finanziaria forme di responsabilità dell’intermediario che si avvale del loro operato, anche con riguardo ai danni causati ai clienti;
11) prevedere che le banche possano utilizzare direttamente gli agenti in attività finanziaria.
g) coordinare il testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993 e le altre disposizioni legislative aventi come oggetto la tutela del consumatore, definendo le informazioni che devono essere fornite al cliente in fase precontrattuale e le modalita` di illustrazione, con la specifica, in caso di offerta congiunta di piu` prodotti, dell’obbligatorieta` o facoltativita` degli stessi.
2. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
L’articolo 30, introdotto nel corso dell’esame al Senato,reca i principi e i criteri direttivi di attuazione della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori.
Esso inoltre apporta modifiche ed integrazioni alla disciplina relativa ai soggetti operanti nel settore finanziario di cui al decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385 (Testo unico bancario) e ai mediatori creditizi ed agli agenti in attività finanziaria.
La disciplina italiana sul credito al consumo è riconducibile a una pluralità di fonti normative (primarie e secondarie, nazionali e comunitarie). Con gli articoli da 18 a 24 legge del 19 febbraio 1992, n. 142 (legge comunitaria 1991) sono state infatti recepite le disposizioni della direttiva n. 87/102/CE del 22 dicembre 1986, relativa al ravvicinamento delle disposizioni (legislative, regolamentari e amministrative) degli Stati membri in materia di credito al consumo, e dalla direttiva n. 90/88/CE[132]. La disciplina del credito al consumo è quindi confluita negli articoli da 121 a 128 del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (TUB), recato dal d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385.
Si ricorda che il credito al consumo (articolo 121 del TUB) è la concessione, nell'esercizio di un'attività commerciale o professionale, di credito sotto forma di dilazione di pagamento, di finanziamento o di altra analoga facilitazione finanziaria a favore di una persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta (ovvero al consumatore). L’esercizio dell’attività è riservato a banche, intermediari finanziari e ai soggetti autorizzati alla vendita di beni o di servizi nel territorio della Repubblica, nella sola forma della dilazione del pagamento del prezzo. L’attuale normativa (articolo 121, c. 4) elenca dettagliatamente le ipotesi alle quali non si applicano le regole del credito al consumo[133], dispone in tema di costo totale del credito (articolo 122) – il TAEG, tasso annuo effettivo globale, espresso in percentuale annua del credito concesso e che comprende gli interessi e tutti gli oneri da sostenere per utilizzare il credito – le cui modalità di calcolo sono demandate al Comitato interministeriale per il credito e il risparmio - CICR. La normativa italiana poi si occupa della pubblicità delle operazioni, in particolare vincolando il contenuto degli annunci pubblicitari e delle offerte.
La direttiva comunitaria n. 98/7/CE[134] ha apportato ulteriori modifiche alla materia del credito al consumo, recepite con il d.lgs. 25 febbraio 2000, n. 63 e col decreto del Ministro del tesoro del 6 maggio 2000, e infine trasfuse nel Codice del consumo (articolo 40 e 41 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206[135]). Le disposizioni di recepimento affidano al CICR l’adeguamento della normativa nazionale alle norme europee; il Comitato apporta le necessarie modifiche alla disciplina recata, in via amministrativa, sul TAEG e sui suoi criteri di definizione (decreto del Ministro del tesoro in data 8 luglio 1992[136]).
La normativa italiana vincola anche il contenuto del contratto, recandone gli elementi obbligatori (articolo 124), e in particolare precisando che non può essere addebitata o richiesta al consumatore alcuna spesa, se non sulla base di espresse previsioni contrattuali. Nei casi di assenza o nullità delle clausole contrattuali, queste ultime sono sostituite di diritto secondo i criteri previsti dalla legge. Sono infine recate (articolo 125) disposizioni varie a tutela dei consumatori, tra cui la spettanza della facoltà di recesso o adempimento anticipato al solo consumatore, senza possibilità di patto contrario.
La direttiva 2008/48/CE, per la cui più ampia disamina si rimanda alla relativa scheda di lettura, ha la finalità di armonizzare la normativa, il quadro regolamentare ed amministrativo degli Stati membri relativamente ai contratti di credito al consumo.
In particolare (articoli da 4 a 7), sono disciplinate le informazioni e le pratiche preliminari alla conclusione del contratto, distinte in “informazioni pubblicitarie di base”, “informazioni precontrattuali” in senso stretto e informazioni precontrattuali riferite ad alcuni specifici contratti di credito, ovvero ai crediti concessi sotto forma di scoperto. Sono inoltre previste, per determinate categorie di soggetti, deroghe all'obbligo di informazione precontrattuale.
Gli articoli da 10 a 18 dispongono in ordine agli elementi informativi da inserire obbligatoriamente nei contratti di credito, nonché sui diritti – anche di informazione del consumatore – a questi inerenti. L’articolo 19 dispone in ordine alle modalità di calcolo del tasso debitorio annuo effettivo globale, con riferimento ad una formula matematica espressa nella parte I dell'allegato I. Gli articoli da 22 a 24 recano misure di attuazione della normativa, nonché gli obblighi per gli Stati membri, l'impianto sanzionatorio e la risoluzione stragiudiziale delle controversie. L’articolo 30 introduce – salvo alcune eccezioni specificate dal comma 2 – deroghe all'applicazione delle nuove norme per i contratti di credito in corso alla data dell'entrata in vigore delle misure nazionali di attuazione.
L’articolo in commento (comma 1) reca anzitutto i principi e criteri di delega– ulteriori rispetto a quelli indicati all’articolo 2 del disegno di legge – da rispettare nell’emanazione dei decreti legislativi di attuazione della suddetta direttiva 2008/48/CE.
Ai sensi della lettera a), il legislatore è tenuto a modificare ed integrare le disposizioni del d.lgs. n. 385 del 1993 (TUB) e la normativa secondaria in materia.
La lettera b) prescrive l’estensione, se del caso, degli strumenti di protezione del contraente debole previsti in attuazione della direttiva 2008/48/CE anche ad altre tipologie di finanziamento a favore dei consumatori. Tale estensione opera ove ricorrano analoghe esigenze di tutela, alla luce delle caratteristiche, ovvero delle finalità del finanziamento.
La lettera c) prescrive il rafforzamento e l’estensione dei poteri amministrativi inibitori, nonché l’applicazione delle sanzioni amministrative previste dal d.lgs. n. 385 del 1993 per contrastare le violazioni delle disposizioni concernenti la trasparenza delle condizioni contrattuali (titolo VI del TUB), anche ove riguardino rapporti diversi dal credito al consumo, per assicurare un’adeguata reazione a fronte dei comportamenti scorretti a danno della clientela.
Stante la genericità del riferimento normativo ai “poteri amministrativi inibitori” e alle “sanzioni amministrative pecuniarie dal testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993”, le disposizioni in esame sembrano riferirsi, in tema di poteri inibitori, alle disposizioni di cui all’ultimo comma dell’articolo 128 del TUB, ai sensi del quale, in caso di ripetute violazioni delle disposizioni concernenti gli obblighi di pubblicità, il Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta della Banca d'Italia o delle altre autorità indicate dai CICR, nell'ambito delle rispettive competenze, può disporre la sospensione dell'attività, anche di singole sedi secondarie per un periodo non superiore a trenta giorni.
Si ricorda inoltre che la Banca d'Italia (comma 1 dell’articolo 128 TUB), per quanto riguarda le banche e gli intermediari finanziari vigilati, verifica il rispetto delle disposizioni in materia di pubblicità, informativa precontrattuale e contrattuale sul credito al consumo; a tal fine, può acquisire informazioni, atti e documenti e eseguire ispezioni presso le banche e gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale previsto dall’art. 107 del TUB; inoltre, la medesima Banca d’Italia promuove la procedura sanzionatoria per la violazione delle disposizioni in materia di pubblicità sul credito al consumo, per la violazione dell’obbligo di fornire informazioni, atti e documenti e nel caso di ostacolo alle funzioni di controllo.
Per quanto invece attiene alle sanzioni amministrative pecuniarie, l’articolo 144 (comma 3) del d.lgs. n. 385 prescrive che nei confronti – tra gli altri – dei soggetti che si interpongono nell'attività di credito al consumo, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.165 a 65.447 euro per l'inosservanza delle norme in tema di pubblicità, o delle relative disposizioni generali o particolari impartite dalle autorità creditizie.
Inoltre (articolo 144, comma 4), nei confronti dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione o di direzione, dei dipendenti, nonché dei soggetti che si interpongono nell'attività di credito al consumo è applicabile la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 258.228 euro per l'inosservanza delle norme relative ai controlli (di cui all’art. 128, comma 1) ovvero nel caso di ostacolo all'esercizio delle funzioni di controllo previste dal medesimo articolo. La stessa sanzione è applicabile nel caso di frazionamento artificioso di un unico contratto di credito al consumo in una pluralità di contratti, dei quali almeno uno sia di importo inferiore al limite inferiore previsto inferiore ai limiti stabiliti dal CICR con delibera. Le sanzioni amministrative pecuniarie previste per i dipendenti dai commi 3 e 4 si estendono (articolo 144, comma 5) anche a coloro che operano sulla base di rapporti che ne determinano l'inserimento nell'organizzazione della banca, anche in forma diversa dal rapporto di lavoro subordinato.
Ai sensi della lettera d), si prescrive al legislatore delegato di coordinare la disciplina del testo unico bancario avente ad oggetto operazioni e servizi bancari e finanziari, nonché il credito al consumo (di cui al Titolo VI del TUB), e le disposizioni contenute nel decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223[137], e nel decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7[138].
In particolare, il titolo I del D.L. n. 223 del 2006 ha recato misure per lo sviluppo, la crescita e la promozione della concorrenza e della competitività, ma anche per la tutela dei consumatori e per la liberalizzazione di settori produttivi. In particolare, l’articolo 10 ha interamente sostituito l’articolo 118 del TUB relativamente alla disciplina della modifica unilaterale delle condizioni contrattuali nei contratti di durata, nel quadro delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari, nell’ottica di tutelare il cd. “contraente debole”.
Il capo I D.L. n. 7 del 2007 ha introdotto misure per la tutela dei consumatori anche in materia di contratti bancari, in particolare in tema di portabilità dei mutui ed estinzione anticipata dei mutui immobiliari.
La lettera e)richiede una rimodulazione della disciplina delle attività e dei soggetti operanti nel settore finanziario (di cui al titolo V e all’articolo 155 del d.lgs. n. 385 del 1993), sulla base di ulteriori criteri direttivi a tutela dei consumatori.
Si prescrive dunque che:
1) siano rideterminati i requisiti per l’iscrizione agli appositi elenchi, generali e speciali, degli intermediari finanziari (articoli 108 e 109 del TUB), al fine di consentire l’operatività nei confronti del pubblico soltanto ai soggetti che assicurino affidabilità e correttezza dell’iniziativa imprenditoriale.
L’articolo 108 reca le disposizioni concernenti i requisiti di onorabilità dei titolari di partecipazioni rilevanti in intermediari finanziari, fissati con D.M. 30 dicembre 1998, n. 517. L’articolo 109 invece reca disposizioni inerenti ai requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso gli intermediari finanziari (di cui al D.M. 30 dicembre 1998, n. 516).
2) si prevedano strumenti di controllo più efficaci, modulati anche sulla base delle attività svolte dall’intermediario;
3) sia garantita la semplificazione, la trasparenza, la celerità, l’economicità e l’efficacia dell’azione amministrativa e dei procedimenti sanzionatori. Si dispone l’attribuzione alla Banca d’Italia della competenza sul procedimento sanzionatorio e di irrogazione delle eventuali sanzioni;
4) si prevedano sanzioni amministrative pecuniarie e accessorie e forme di intervento effettive, dissuasive e proporzionate, quali, tra l’altro, il divieto di intraprendere nuove operazioni e il potere di sospensione, rafforzando, nel contempo, il potere di cancellazione.
Infine, la letteraf) richiede di apportare modifiche e integrazioni alla disciplina dei mediatori creditizi di cui alla legge 7 marzo 1996, n. 108, e alla disciplina degli agenti in attività finanziaria di cui al decreto legislativo 25 settembre 1999, n. 374.
Si ricorda in proposito che la legge n. 108 del 1996, recante disposizioni in materia di usura, ha modificato e innovato la disciplina della mediazione creditizia: in particolare, l’articolo 5 è intervenuto sulla disciplina del reato di abusiva attività finanziaria (articolo 132, c. 1 del TUB). L’articolo 16 ha riservato l’esercizio dell’attività di mediazione o di consulenza nella concessione di finanziamenti alle banche o agli intermediari finanziari ai soggetti iscritti in apposito albo istituito presso il Ministero del tesoro (ora MEF), recando altresì varie prescrizioni – anche penali - in tema di esercizio dell’attività di mediazione creditizia.
Il d.lgs. n. 374 del 1999[139] (articolo 3) disciplina, tra l’altro, l’esercizio professionale nei confronti del pubblico dell’attività di agenzia in attività finanziaria, tra l’altro disponendo che tale esercizio è riservato ai soggetti iscritti in apposito elenco.
Le modifiche da apportare alle citate norme devono perseguire una serie di finalità, individuate in modo specifico dai numeri 1-11 della lettera f).
Si tratta dei seguenti scopi:
1) trasparenza dell’operato e la professionalità delle categorie dei mediatori creditizi e degli agenti, con previsione di innalzamento dei requisiti professionali;
2) istituzione di un organismo associativo con personalità giuridica, autonomia organizzativa e statutaria ed eventuali articolazioni territoriali. Esso dovrà essere costituito da soggetti nominati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, scelti tra le categorie dei mediatori creditizi, degli agenti in attività finanziaria, delle banche e degli intermediari finanziari. Tale organismo dovrà essere sottoposto alla vigilanza della Banca d’Italia e ad esso sarà attribuito il compito di tenere gli elenchi dei mediatori creditizi e degli agenti in attività finanziaria; avrà poteri di proposta all’organismo preposto alla vigilanza (Banca d’Italia) in ordine alle misure inibitorie e sanzionatorie. In caso di grave inerzia o malfunzionamento dell’organismo o delle sue eventuali articolazioni territoriali, l’autorità di vigilanza ne propone lo scioglimento al Ministro dell’economia e delle finanze;
3) determinazione, con regolamento del Ministro dell’economia e delle finanze, - adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentita la Banca d’Italia - delle modalità di funzionamento dell’organismo associativo di cui supra. A tale regolamento si demanda la disciplina di ogni altro potere, anche ispettivo o informativo, necessario ad assicurare il corretto funzionamento dell’organismo e delle sue eventuali articolazioni territoriali, nonché:
- le disposizioni in tema di iscrizione negli elenchi dei mediatori creditizi e degli agenti in attività finanziaria, con le relative forme di pubblicità;
- il calcolo e le modalità di riscossione, da parte dell’organismo o delle sue eventuali articolazioni territoriali, di contributi o di altre somme dovute dagli iscritti e dai richiedenti l’iscrizione, nella misura necessaria per garantire lo svolgimento dell’attività;
- le modalità di tenuta della documentazione concernente l’attività svolta dai mediatori creditizi e dagli agenti in attività finanziaria; delle modalità di aggiornamento professionale di tali soggetti;
4) disciplina della determinazione delle sanzioni pecuniarie - ma anche di natura inibitoria e accessoria – e della modalità per la loro irrogazione, con adeguate forme di pubblicità degli esiti sanzionatori;
5) previsione della possibilità di presentare ricorso, avverso le decisioni di proposta delle misure inibitorie e sanzionatorie assunte dall’organismo o dalle sue eventuali articolazioni territoriali dinanzi alla Banca d’Italia, disciplinando le modalità di opposizione alla delibera adottata dall’organo di vigilanza, dinanzi al giudice ordinario;
6) individuare cause di incompatibilità, tra cui la contestuale iscrizione in entrambi gli elenchi;
7) prescrivere l’obbligo di stipulare polizze assicurative per responsabilità civile per danni arrecati nell’esercizio delle attività di pertinenza;
8) prevedere disposizioni transitorie per disciplinare il trasferimento nei nuovi elenchi dei mediatori e degli agenti in attività finanziarie, purché in possesso dei requisiti previsti dalla nuova disciplina;
9) prescrivere per i mediatori creditizi l’obbligo di indipendenza da banche e intermediari, nonché l’obbligo di adozione di una forma giuridica societaria per l’esercizio dell’attività, e prevedere obblighi di trasparenza specifici connessi all’attività svolta da tali soggetti, in modo che sia assicurata la trasparenza sulle commissioni di mediazione e sugli altri costi accessori, nonché ulteriori forme di controllo per le società di mediazione creditizia di maggiori dimensioni;
10) prevedere per gli agenti in attività finanziaria forme di responsabilità dell’intermediario che si avvale del loro operato, anche con riguardo ai danni causati ai clienti;
11) prevedere che le banche possano utilizzare direttamente gli agenti in attività finanziaria.
La lettera g), aggiunta durante l’esame al Senato, impone un coordinamento normativo tra il d.lgs. 385/1993 (TUB) e le altre disposizioni legislative aventi ad oggetto la tutela del consumatore, al fine di definire, tra l’altro, le informazioni che devono essere fornite al cliente in fase precontrattuale e le modalità di illustrazione, con la specifica, in caso di offerta congiunta di più prodotti, dell’obbligatorietà o facoltatività degli stessi.
Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria.
Art. 31
(Modifiche al decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, recante attuazione della direttiva 2001/83/CE, e successive direttive di modifica, relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE)
1. Al decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, sono apportate le seguenti modifiche:
a) al comma 1 dell’articolo 1, dopo la lettera c) è inserita la seguente:
«c-bis) medicinale per terapia avanzata: un prodotto quale definito all’articolo 2 del regolamento (CE) n. 1394/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, sui medicinali per terapie avanzate»;
b) al comma 1 dell’articolo 3 è aggiunta, in fine, la seguente lettera:
«f-bis) a qualsiasi medicinale per terapia avanzata, quale definito nel regolamento (CE) n. 1394/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, preparato su base non ripetitiva, conformemente a specifici requisiti di qualità e utilizzato in un ospedale, sotto l’esclusiva responsabilità professionale di un medico, in esecuzione di una prescrizione medica individuale per un prodotto specifico destinato ad un determinato paziente. La produzione di questi prodotti è autorizzata dall’AIFA. La stessa Agenzia provvede affinché la tracciabilità nazionale e i requisiti di farmacovigilanza, nonché gli specifici requisiti di qualità di cui alla presente lettera, siano equivalenti a quelli previsti a livello comunitario per quanto riguarda i medicinali per terapie avanzate per i quali è richiesta l’autorizzazione a norma del regolamento (CE) n. 726/2004, che istituisce procedure comunitarie per l’autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali per uso umano e veterinario e che istituisce l’Agenzia europea di valutazione dei medicinali.»;
c) il comma 1 dell’articolo 6 è sostituito dal seguente:
«1. Nessun medicinale può essere immesso in commercio sul territorio nazionale senza aver ottenuto un’autorizzazione dell’AIFA o un’autorizzazione comunitaria a norma del regolamento (CE) n. 726/2004 in combinato disposto con il regolamento (CE) n. 1394/2007».
d) al comma 5 dell’articolo 119, le parole: “farmaceutica, che è titolare di altre AIC o di un’autorizzazione alla produzione di medicinali” sono soppresse.
L’articolo in commento, introdotto nel corso dell’esame al Senato, incide sulla disciplina recata dal decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219[140] concernente la regolamentazione dei medicinali per uso umano.
Nel dettaglio, il comma 1, lett. a), introduce, novellando il comma 1 dell’articolo 1 del decreto legislativo 219/2006, la definizione di “medicinale per terapia avanzata” richiamando la definizione indicata dall’articolo 2 del regolamento (CE) n. 1394/2007[141].
Il citato regolamento fissa, infatti, le norme specifiche riguardanti l'autorizzazione, la supervisione e la farmacovigilanza dei medicinali per terapie avanzate e, all’articolo 2, precisa che per «medicinale per terapia avanzata» si intende uno qualsiasi dei seguenti farmaci ad uso umano:
§ medicinali di terapia genica;
§ medicinali di terapia cellulare somatica;
§ prodotti di ingegneria tessutale.
Con il comma 1, lett. b), viene novellato il comma 1 dell’articolo 3 del citato decreto legislativo n. 219/2006, al fine di escludere dal campo di applicazione del medesimo decreto legislativo qualsiasi medicinale per terapia avanzata preparato su base non ripetitiva nel rispetto dei requisiti di qualità, utilizzato in ospedale sotto l’esclusiva responsabilità professionale di un medico in esecuzione di una prescrizione medica individuale. La produzione di tali prodotti è autorizzata dall’AIFA.
L’AIFA deve inoltre garantire che, per i farmaci in oggetto, la tracciabilità nazionale ed i requisiti specifici e di farmacovigilanza, dettati dalle disposizioni in commento, siano equivalenti a quelli previsti a livello comunitario per i medicinali per terapie avanzate per i quali è richiesta l’autorizzazione a norma del regolamento (CE) n. 726/2004, che istituisce procedure comunitarie per l’autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali per uso umano e veterinario, e che istituisce l’Agenzia europea di valutazione dei medicinali[142].
Va osservato che le disposizioni di cui alla lettera b) introducono, mediante l’aggiunta di una nuova lettera (f-bis)) al comma 1 dell’articolo 3 del decreto legislativo 219/2006, una nuova fattispecie tra quelle non soggette alla disciplina del decreto medesimo. Nell’ambito della medesima lettera f-bis), si provvede contestualmente a dettare una specifica disciplina della fattispecie escluse che sarebbe stato più opportuno inserire in un nuovo articolo del medesimo decreto legislativo.
Con la lettera c) del comma 1, si statuisce, attraverso la modifica del comma 1 dell’articolo 6 del decreto-legislativo n. 219/2006, che nessun medicinale può essere immesso in commercio sul territorio nazionale in assenza di un’autorizzazione dell’AIFA o di un’autorizzazione comunitaria a norma del regolamento (CE) n. 726/2004 in combinato disposto con il regolamento (CE) n. 1394/2007.
Si ricorda che ai sensi del citato comma 1 dell’articolo 6 del decreto legislativo n. 219 nessun medicinale può essere immesso in commercio sul territorio nazionale senza aver ottenuto un'autorizzazione dell'AIFA o un'autorizzazione comunitaria a norma del solo regolamento (CE) n. 726/2004.
Con la lettera d) del comma 1, modificando il comma 5 dell’articolo 119 del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, si consente che la pubblicità di un farmaco presso gli operatori sanitari possa essere svolta anche da un’impresa non farmaceutica.
In particolare, l’articolo 119 citato, recante disposizioni sulla pubblicità presso gli operatori sanitari di medicinali, prevede, al comma 5, che la pubblicità di un medicinale presso gli operatori sanitari possa essere realizzata, anche in forma congiunta con il titolare dell'AIC[143] del medicinale, ma comunque in base ad uno specifico accordo con questo, da altra impresa farmaceutica, che è titolare di altre AIC o di un'autorizzazione alla produzione di medicinali.
Si ricorda che il citato decreto legislativo n. 219 del 2006, composto da 160 articoli e da due allegati, ha recepito le seguenti direttive:
§ direttiva 2001/83/CE, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano;
§ le direttive 2004/24/CE e 2004/27/CE, che modificano la direttiva 2001/83/CE, con riferimento, tra l’altro, ai medicinali vegetali tradizionali, alla terminologia utilizzata nel settore farmaceutico, alle procedure d'autorizzazione all'immissione in commercio dei medicinali nei paesi comunitari e alla normativa concernente il confezionamento; in particolare, la direttiva 2004/27/CE opera modifiche nei seguenti principali ambiti normativi riguardanti i farmaci ad uso umano: le definizioni; il campo di applicazione, l’immissione in commercio, i medicinali omeopatici, la produzione e l’importazione, l’etichettatura ed il foglio illustrativo, la pubblicità e la farmacovigilanza.
§ direttiva 2003/94/CE, che stabilisce i principi e le linee direttrici delle buone prassi di fabbricazione relative ai medicinali per uso umano e ai medicinali per uso umano in fase di sperimentazione.
Le disposizioni recate dal citato decreto legislativo n. 219 del 2006 sono finalizzate alla realizzazione di un corpo unico della normativa in materia farmaceutica, abrogando e modificando una pluralità di provvedimenti legislativi che definivano la pregressa disciplina nel settore e non riguardano la sperimentazione clinica, materia disciplinata dalla direttiva 2001/20/CE, recepita nel nostro ordinamento dal decreto legislativo n. 211 del 2003.
Rimane altresì invariata la disciplina dettata dal regolamento (CE) n. 726/2004, con il quale sono stabilite le procedure comunitarie per l'autorizzazione e la vigilanza dei medicinali per uso umano e veterinario.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
Il 10 dicembre 2008 la Commissione ha presentato un pacchetto sui farmaci volto a garantire medicine sicure, innovative e accessibili, composto da:
· una comunicazione (COM (2008) 666) che definisce le linee di azione della Commissione per migliorare l’accesso al mercato, rendendo le decisioni di prezzatura e rimborso più trasparenti; favorire la ricerca farmaceutica in Europa; intensificare la cooperazione con i maggiori partner (in particolare Stati uniti, Giappone e Canada) allo scopo di migliorare la sicurezza dei farmaci a livello mondiale; promuovere la cooperazione con i partner emergenti (quali Russia, india e Cina);
· cinque proposte normative di modifica del regolamento CE n. 726/2004 - che istituisce procedure comunitarie per l'autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali per uso umano e veterinario, e che istituisce l'agenzia europea per i medicinali - e della direttiva 2001/83/CE - recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano. L’intervento di modifica si prefigge di:
- migliorare la lotta alla contraffazione e alla distribuzione illegale di farmaci
proposta di direttiva (COM (2008) 668) che modifica la direttiva 2001/83/CE con riguardo alla prevenzione dell'ingresso nella filiera farmaceutica legale di medicinali falsificati sotto i profili dell'identità, della storia o dell'origine;
- consentire ai cittadini di avere accesso ad informazioni di alta qualità
proposta di direttiva (COM (2008) 663) che modifica la direttiva 2001/83/CE con riguardo alle informazioni al pubblico sui prodotti medicinali soggetti a prescrizione;
proposta di regolamento (COM (2008) 662) che modifica il regolamento 726/2004 con riguardo alle informazioni al pubblico sui prodotti medicinali soggetti a prescrizione;
- migliorare la protezione del paziente attraverso il rafforzamento del sistema europeo di sorveglianza sui farmaci
proposta di regolamento (COM (2008) 664) che modifica il regolamento 726/2004 per quanto riguarda la farmacovigilanza;
proposta di direttiva (COM (2008) 665) che modifica la direttiva 2001/83/CE per quanto riguarda la farmacovigilanza.
Le cinque proposte normative - che seguono la procedura di codecisione – e la comunicazione sono in attesa di esame da parte delle istituzioni europee.
Procedure di contenzioso
Il 5 giugno 2008 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato (procedura d’infrazione 2005/5068) per non aver ottemperato agli obblighi di cui all’articolo 98, paragrafo 3, della direttiva 2001/83/CE recante un codice comunitario in materia di medicinali per uso umano. Secondo tale disposizione “gli Stati membri non vietano le attività di promozione congiunta dello stesso medicinale da parte del titolare dell’autorizzazione di immissione in commercio e di una o più imprese da esso designate”.
La Commissione è giunta alla conclusione che l’articolo 119, paragrafo 5, del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, limitando la promozione congiunta di un medicinale ai casi in cui le aziende che partecipano alla copromozione – designate dal detentore dell’autorizzazione all’immissione in commercio – siano ditte farmaceutiche che detengono l’autorizzazione per l’immissione in commercio di altri prodotti medicinali ovvero autorizzazioni alla produzione di farmaci – non è conforme all’acquis comunitario.
Art. 32
(Modifiche al decreto-legge 30 gennaio 2004, n. 24, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2004, n. 87)
1. Il termine di centoventi giorni per la definizione del procedimento di cui all’articolo 2 della legge 13 luglio 1965, n. 825, stabilito dall’articolo 4, comma 2, del decreto-legge 30 gennaio 2004, n. 24, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2004, n. 87, è ridotto a novanta giorni. Il nuovo termine trova applicazione anche per le richieste di inserimento nella tariffa di vendita al pubblico dei tabacchi lavorati o di variazioni dei prezzi di vendita al dettaglio il cui procedimento non è ancora concluso alla data di entrata in vigore della presente legge.
L’articolo 32 riduce da 120 a 90 giorni il termine per la definizione, da parte dell'Amministrazione, delle richieste dei produttori di tabacco in merito alla variazione delle tariffe di vendita al pubblico del prodotto da fumo.
L’articolo 2 della legge 13 luglio 1965, n. 825 (Regime di imposizione fiscale sui prodotti oggetto di monopolio di Stato) stabilisce che con decreto del Ministro delle finanze, sentito il Consiglio di amministrazione dei monopoli di Stato, si provvede all'inserimento (e alla variazione) di ciascun prodotto soggetto a monopolio fiscale nelle relative tariffe.
L’articolo 4, comma 2, del decreto-legge 30 gennaio 2004, n. 24, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2004, n. 87, ha fissato in 120 giorni il termine per la definizione del procedimento.
L’articolo specifica che il nuovo termine di 90 giorni si applica anche alle richieste di inserimento nella tariffa di vendita al pubblico dei tabacchi lavorati o di variazioni dei prezzi di vendita al dettaglio il cui procedimento non è ancora concluso alla data di entrata in vigore della presente legge.
Con riguardo alla fissazione di un prezzo minimo per le sigarette, la Commissione osserva in particolare che, in base all’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 95/59/CE produttori e importatori sono liberi di fissare i prezzi massimi di vendita al dettaglio dei tabacchi lavorati; pertanto, gli Stati membri non possono giustificare un potere discrezionale di fissazione dei prezzi massimi di vendita al minuto facendo riferimento al "controllo del livello dei prezzi", al "rispetto dei prezzi imposti" o ancora alla fissazione di un listino.
Con riferimento alla seconda contestazione, la Commissione ricorda che in Italia i prezzi dei prodotti del tabacco lavorato devono essere registrati nel listino ufficiale dei prezzi; la richiesta di registrazione è inviata al Ministero dell'Economia e delle Finanze - Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS). A parere della Commissione, il termine di 120 giorni, previsto dalla legislazione italiana per dare seguito, in base a tale procedura, ad una richiesta di modifica dei prezzi, sarebbe eccessivamente lungo e tale da vanificare il principio della libera fissazione dei prezzi massimi da parte degli operatori, sancito dall'articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 95/59/CE.
Art. 33
(Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2008/51/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, che modifica la direttiva 91/477/CEE del Consiglio, relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi)
1. Nella predisposizione del decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2008/51/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, che modifica la direttiva 91/477/CEE del Consiglio, relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all’articolo 2, anche i seguenti ulteriori princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere la definizione delle armi da fuoco, delle loro parti, delle loro parti essenziali e delle munizioni, nonché delle armi per uso scenico e disattivate, degli strumenti per la segnalazione acustica e per quelle comunque riproducenti o trasformabili in armi, individuando le modalità per assicurarne il più efficace controllo;
b) adeguare la disciplina relativa all’iscrizione nel Catalogo nazionale delle armi comuni da sparo, anche al fine di assicurare, in armonia con le disposizioni della Convenzione sul reciproco riconoscimento delle punzonature di prova delle armi da fuoco portatili, adottata a Bruxelles il 1° luglio 1969, di cui alla legge 12 dicembre 1973, n. 993, la pronta tracciabilità delle armi da fuoco, delle loro parti, delle loro parti essenziali e delle munizioni;
c) razionalizzare e semplificare le procedure in materia di marcatura delle armi da fuoco, delle loro parti essenziali e delle munizioni, attribuendo al Ministero dell’interno le relative competenze di indirizzo e vigilanza, al fine della pronta tracciabilità e del controllo sull’uso delle stesse, anche mediante il rilascio di speciali autorizzazioni su tutte le attività di tiro e sulla ricarica delle munizioni;
d) prevedere la graduale sostituzione dei registri cartacei con registrazioni informatizzate ai fini dell’attività di annotazione delle operazioni giornaliere svolte, richieste ai titolari delle licenze di pubblica sicurezza concernenti le armi e le munizioni, garantendo l’interoperabilità con i relativi sistemi automatizzati del Ministero dell’interno e la conservazione dei dati per un periodo minimo di cinquanta anni dalla data dell’annotazione stessa;
e) prevedere il controllo dell’immissione sul mercato civile di armi da fuoco provenienti dalle scorte governative, nonché procedure speciali per la loro catalogazione e marcatura;
f) prevedere speciali procedimenti per la catalogazione e la verifica delle armi semiautomatiche di derivazione militare, anche ai fini dell’autorizzazione per la loro detenzione;
g) adeguare la disciplina in materia di tracciabilità e tutela delle armi antiche, artistiche e rare e delle relative attività di raccolta ai fini culturali e collezionistici;
h) determinare le procedure, ordinarie e speciali, per l’acquisizione e la detenzione delle armi, anche attraverso la previsione dei requisiti necessari, anche fisici e psichici, degli interessati, al fine di evitare pericoli per gli stessi, nonché per l’ordine e la sicurezza pubblica, prevedendo a tal fine anche lo scambio protetto dei dati informatizzati tra il Servizio sanitario nazionale e gli uffici delle Forze dell’ordine, utili a prevenire possibili abusi da parte di soggetti detentori di armi da fuoco;
i) adeguare la disciplina per il rilascio, rinnovo e uso della Carta europea d’arma da fuoco;
l) disciplinare, nel quadro delle autorizzazioni contemplate nell’articolo 31 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, le licenze di polizia per l’esercizio delle attività di intermediazione delle armi e per l’effettuazione delle singole operazioni;
m) prevedere specifiche norme che disciplinino l’utilizzazione, il trasporto, il deposito e la custodia delle armi, anche al fine di prevenirne furti o smarrimenti;
n) prevedere l’introduzione di sanzioni penali, nei limiti di pena di cui alla legge 2 ottobre 1967, n. 895, ed alla legge 18 aprile 1975, n. 110, per le infrazioni alle disposizioni della legislazione nazionale di attuazione della direttiva 2008/51/CE.
2. Dall’attuazione della delega di cui al presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
3. Agli adempimenti derivanti dall’esercizio della presente delega le Amministrazioni interessate provvedono con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
L'articolo 33, inserito nel corso dell'esame al Senato, reca l'elencazione dei principi e criteri direttivi ulteriori, rispetto a quelli generali di cui all'art. 2 del disegno di legge in esame, cui il Governo si dovrà attenere del predisporre il decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2008/51/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, che modifica la direttiva 91/477/CEE del Consiglio, relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi (direttiva collocata nell'allegato B del disegno di legge).
Il comma 1 elenca a riguardo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
§ lettera a): prevedere, nell’ambito della definizione delle armi da fuoco, delle loro parti e delle munizioni, anche quella degli strumenti comunque riproducenti o trasformabili in armi, ai fini di un più efficace controllo;
§ lettera b): adeguare la disciplina dell’iscrizione nel Catalogo nazionale delle armi comuni da sparo onde assicurare la “pronta tracciabilità” delle stesse e delle munizioni, come prevede la Convenzione sul reciproco riconoscimento delle punzonature di prova delle armi da fuoco portatili[144];
§ (lettera c)): semplificare le procedure in materia di marcatura (è prevista a tale riguardo la possibilità di prevedere speciali autorizzazioni su tutte le attività di tiro e sulla ricarica delle munizioni);
§ (lettera g)): adeguare la disciplina alle particolari caratteristiche delle armi antiche, artistiche e rare;
§ lettera d): informatizzare i registri e le operazioni richieste ai titolari delle licenze di pubblica sicurezza concernenti le armi e le munizioni, garantendo l’interoperabilità con i sistemi automatizzati del Ministero dell’interno e prevedendo la conservazione dei dati per almeno 50 anni;
§ lettere e) ed f): prevedere forme di controllo sulla circolazione di armi da fuoco provenienti dalle scorte governative, e procedure speciali con riguardo alle armi semiautomatiche di derivazione militare;
§ lettera h): determinare i requisiti e le procedure per l’acquisizione e la detenzione delle armi, prevedendo a tal fine anche lo “scambio protetto” di dati informatizzati tra il Servizio sanitario nazionale e gli uffici delle Forze dell’ordine;
§ (lettera i)): adeguare la disciplina per il rilascio, rinnovo e uso della Carta europea d’arma da fuoco, disciplinata dalla direttiva (documento rilasciato dalle autorità di uno Stato membro ai soggetti legittimamente detentori e utilizzatori di un'arma da fuoco);
§ lettera l): disciplinare le licenze di polizia per l’esercizio delle attività di intermediazione di armi e per l’effettuazione delle singole operazioni, nel quadro delle autorizzazioni di cui all’art. 31 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS)[145];
§ lettera m): disciplinare specificamente l’utilizzazione, il trasporto, il deposito e la custodia delle armi, anche al fine di prevenirne furti o smarrimenti;
§ lettera n): corredare la disciplina di recepimento con sanzioni penali, nei limiti di pena di cui alle L. 895/1967 e 110/1975[146].
Art. 34
(Disposizioni relative all’attuazione dei regolamenti (CE) n. 1234/2007 del Consiglio e n. 589/2008 della Commissione, per quanto riguarda la commercializzazione delle uova)
1. Qualora i centri d’imballaggio delle uova, definiti all’articolo 1 del regolamento (CE) n. 589/2008 della Commissione, del 23 giugno 2008, non soddisfino più le condizioni previste dall’articolo 5 del medesimo regolamento, si applicano i provvedimenti amministrativi della revoca e della sospensione dell’autorizzazione.
2. In caso d’inosservanza delle disposizioni contenute nella specifica normativa comunitaria e nazionale, sempre che il fatto non costituisca reato, si applicano le seguenti sanzioni:
a) da euro 300 a euro 1.800 a carico di chiunque, senza le prescritte autorizzazioni:
1) effettui l’imballaggio, il reimballaggio e la classificazione di uova in categorie di qualità e di peso;
2) svolga l’attività di raccoglitore, oppure produca o commercializzi uova;
b) da euro 200 a euro 1.200 nei confronti di coloro che mescolano, al fine di venderle, le uova di gallina con quelle di altre specie;
c) da euro 750 a euro 4.500 nei confronti degli operatori che omettono o non aggiornano o non tengono correttamente o non conservano, per almeno dodici mesi, ai sensi dell’articolo 23 del regolamento (CE) n. 589/2008, le registrazioni di cui agli articoli 20, 21 e 22 del medesimo regolamento, secondo le modalità stabilite dalle disposizioni nazionali applicative;
d) da euro 150 a euro 900 nei confronti dei titolari dei centri di imballaggio e dei raccoglitori che omettono di comunicare alla regione o provincia autonoma di appartenenza ed al competente dipartimento del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, entro trenta giorni dall’avvenimento, le variazioni tecniche, societarie o d’indirizzo e la cessazione dell’attività;
e) da euro 150 a euro 900 a carico, a seconda dei casi, dei titolari dei centri d’imballaggio, dei produttori e, limitatamente agli articoli 14 e 16, relativi rispettivamente all’utilizzo della dicitura «EXTRA» e alla vendita di uova sfuse, a carico dei rivenditori, per la violazione dei seguenti articoli del regolamento (CE) n. 589/2008:
1) articoli 2 e 4, relativi alle caratteristiche qualitative, al divieto di trattamenti per la conservazione ed ai criteri di classificazione delle uova;
2) articolo 5, relativo alla dotazione di attrezzature dei centri d’imballaggio;
3) articoli 6 e 11, relativi ai termini temporali per la lavorazione delle uova e alla stampigliatura degli imballaggi e delle uova;
4) articoli 7, 12, 14, 16, 17 e 18, relativi all’etichettatura degli imballaggi e delle uova;
f) da euro 750 a euro 4.500 nei confronti di coloro che violano le norme di cui agli articoli 8, 13, 19 e 30 del regolamento (CE) n. 589/2008, relative alla stampigliatura delle uova importate da Paesi terzi o scambiate con Paesi comunitari, all’indicazione della durata minima ed al reimballaggio;
g) da euro 200 a euro 1.200 nei confronti di coloro che omettono di riportare una o più diciture obbligatorie ai sensi della normativa vigente oppure violano quanto prescritto agli articoli 7, 8, 9 e 10 del decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 13 novembre 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 297 del 22 dicembre 2007, relativi all’uso di diciture facoltative;
h) da euro 750 a euro 4.500 nei confronti dei titolari dei centri d’imballaggio e dei produttori che violano le norme sulla stampigliatura delle uova con il codice del produttore, di cui all’allegato XIV del regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio, del 22 ottobre 2007, ed all’articolo 9 del regolamento (CE) n. 589/2008, nonché all’articolo 15 del regolamento (CE) n. 589/2008, relativo all’indicazione del tipo di alimentazione.
3. Per le sanzioni di cui al comma 2, gli importi si intendono aumentati del doppio se la partita di merce irregolare è superiore alle 50.000 uova.
4. In caso di reiterazione della violazione, le sanzioni di cui al comma 2 sono aumentate da un terzo alla metà.
5. Per l’applicazione delle sanzioni si applica il procedimento previsto dalla legge 24 novembre 1981, n. 689.
6. Nel caso di partite di uova commercializzate che risultano non conformi alle disposizioni previste dalla normativa comunitaria e nazionale, l’Ispettorato centrale per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari (ICQ) attua le disposizioni di cui all’articolo 25, comma 2, del regolamento (CE) n. 589/2008, fino a quando la partita stessa non è in regola.
7. Con apposito accordo tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definite, nell’ambito delle rispettive competenze, le modalità di attuazione delle disposizioni di cui al comma 1, nonché modalità uniformi per l’attività di controllo ai fini dell’irrogazione delle sanzioni amministrative di cui commi 2, 3 e 4.
8. Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali esercita il controllo per l’applicazione delle disposizioni del presente articolo tramite l’Ispettorato centrale per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari (ICQ) che è anche l’Autorità competente, ai sensi dell’articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689, ad irrogare le sanzioni amministrative pecuniarie previste dal comma 2 del presente articolo.
L'articolo 34, introdotto nel corso dell’esame al Senato, prevede, al comma 1, che i centri d’imballaggio delle uova che non soddisfino le condizioni previste dall’articolo 5 del regolamento (CE) n. 589/2008 in materia di classificazione, imballaggio ed etichettatura vengano sanzionati con la revoca o la sospensione dell’autorizzazione.
Ai sensi di tale articolo 5, la classificazione, l’imballaggio e l’etichettatura delle uova sono effettuati solo dai centri di imballaggio che in possesso dei requisiti richiesti ricevono l’autorizzazione statale e la conseguente attribuzione di un codice d’identificazione.
I centri di imballaggio dovrebbero disporre oltre che di un’attrezzatura tecnica appropriata che consenta la classificazione delle uova per categoria di qualità e di peso, anche delle attrezzature necessarie per garantire un’adeguata manipolazione delle uova che comprendano a seconda dei casi:
- un impianto per la speratura adatto all’uso, automatico o permanentemente assistito, che consenta di esaminare separatamente la qualità di ciascun uovo, o un’altra attrezzatura adeguata;
- un dispositivo per la valutazione dell’altezza della camera d’aria;
- una o più bilance omologate per pesare le uova;
- un sistema per la stampigliatura delle uova.
Vengono quindi introdotte, dal comma 2, sanzioni amministrative per l’inosservanza delle disposizioni in materia, comunitarie e nazionali, a carico, tra l’altro, di chi: effettui l’imballaggio oppure raccolga, produca o commercializzi uova senza le prescritte autorizzazioni; mescoli le uova di gallina con quelle di altre specie; ometta di comunicare agli enti competenti le variazioni tecniche, societarie o d’indirizzo e la cessazione dell’attività; violi le norme relative all’indicazione della durata minima, al reimballaggio, alla stampigliatura delle uova importate, all’uso di diciture obbligatorie e facoltative, all’indicazione del tipo di alimentazione.
Le sanzioni di cui al comma 2 sono poi aumentate del doppio, se l’irregolarità riguarda una partita di più di 50 mila uova, e da un terzo alla metà, se la violazione è reiterata (commi 3 e 4); le sanzioni si applicano in base al procedimento definito dalla legge n. 689 del 1981 (comma 5).
Secondo la disciplina prevista dalla legge 689/1981, l'applicazione della sanzione avviene secondo il seguente procedimento.
Dopo l’accertamento della violazione da parte degli organi competenti o dalla polizia giudiziaria (art. 13), essa deve essere immediatamente contestata o comunque notificata al trasgressore entro 90 giorni (art. 14); entro i successivi 60 giorni l'autore può conciliare pagando una somma ridotta pari alla terza parte del massimo previsto o pari al doppio del minimo (cd. oblazione o pagamento in misura ridotta, art. 16).
In caso contrario, egli può, entro 30 giorni, presentare scritti difensivi all'autorità competente; quest'ultima, dopo aver esaminato i documenti e le eventuali memorie presentate, se ritiene sussistere la violazione contestata determina l'ammontare della sanzione con ordinanza motivata e ne ingiunge il pagamento (cd. ordinanza-ingiunzione, art. 18).
Entro 30 giorni dalla sua notificazione l'interessato può presentare opposizione all’ordinanza ingiunzione (che, salvo eccezioni, non sospende il pagamento), inoltrando ricorso al giudice di pace (art. 22, 22-bis). Fatte salve le diverse competenze stabilite dalla legge, l’opposizione si propone, invece, davanti al tribunale: l'esecuzione dell'ingiunzione non viene sospesa e il giudizio che con esso si instaura si può concludere o con un'ordinanza di convalida del provvedimento o con sentenza di annullamento o modifica del provvedimento; contro tale sentenza è ammesso solo ricorso per cassazione (art. 23). Il giudice ha piena facoltà sull'atto, potendo o annullarlo o modificarlo, sia per vizi di legittimità che di merito.
In caso di condizioni economiche disagiate del trasgressore, l’autorità che ha applicato la sanzione può concedere la rateazione del pagamento (art. 26).
Decorso il termine fissato dall’ordinanza ingiunzione, in assenza del pagamento, l’autorità che ha emesso il provvedimento procede alla riscossione delle somme dovute con esecuzione forzata in base alle norme previste per l’esazione delle imposte dirette (art. 27). Il termine di prescrizione delle sanzioni amministrative pecuniarie è di 5 anni dal giorno della commessa violazione (art. 28).
Le modalità di attuazione delle disposizioni sulla revoca e sospensione dell’autorizzazione e le modalità di realizzazione dei controlli, che debbono essere uniformi sull’intero territorio per l’irrogazione delle sanzioni, dovranno essere definite entro il termine di novanta giorni dall’entrata in vigore del provvedimento con un accordo tra Stato, regioni e province autonome (comma 7).
L'Autorità che effettua i controlli e che vieta la commercializzazione delle partite irregolari, o vieta l’importazione di quelle provenienti da un paese terzo, è l'Ispettorato per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari (ICQ) (comma 6), che è anche il soggetto cui spetta irrogare le sanzioni in base all’art. 17 della legge n. 689 del 1981.
L’art. 17 della legge 689 prevede che il funzionario o l'agente che ha accertato la violazione, salvo che ricorra l'ipotesi prevista nell'art. 24 (ovvero quando l’illecito appaia in connessione obiettiva con un reato e quindi il rapporto debba essere trasmesso all’A.G.), deve presentare rapporto, con la prova delle eseguite contestazioni o notificazioni, all'ufficio periferico cui sono demandati attribuzioni e compiti del Ministero nella cui competenza rientra la materia alla quale si riferisce la violazione.
1. Nei casi di accertamenti disposti dalla Commissione europea ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato CE, l’esecuzione delle decisioni è autorizzata dal procuratore della Repubblica, che provvede in conformità all’articolo 21, paragrafo 3, del regolamento.
L'articolo in esame, introdotto dal Senato, dà attuazione ad uno specifico profilo del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato CE, poiché individua nel Procuratore della Repubblica l'autorità giudiziaria nazionale competente ad autorizzare l'esecuzione delle decisioni con cui la Commissione europea dispone accertamenti in locali diversi da quelli dell’impresa ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, del menzionato regolamento, autorizzazione richiesta in via preliminare dall'articolo 21, paragrafo 3, del citato regolamento.
L'articolo 21, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1/2003, nell’ambito dei poteri di indagine attribuiti alla Commissione europea in materia di corretta applicazione delle regole di concorrenza, dispone che se vi sono motivi ragionevoli di sospettare che libri o altri documenti connessi all'azienda e all'oggetto degli accertamenti, che possono essere pertinenti per provare un'infrazione grave all'articolo 81 o all'articolo 82 del Trattato CE, sono conservati in altri locali, terreni e mezzi di trasporto, compreso il domicilio di amministratori, direttori e altri membri del personale delle imprese o associazioni di imprese interessate, la Commissione può, mediante decisione, ordinare che siano effettuati accertamenti in siffatti locali, terreni e mezzi di trasporto.
Il successivo paragrafo 2 prevede che la decisione specifica l'oggetto e lo scopo degli accertamenti, ne stabilisce la data d'inizio e fa menzione del diritto di presentare ricorso dinanzi alla Corte di giustizia avverso la decisione. La decisione precisa, in particolare, i motivi che hanno indotto la Commissione a concludere che esiste un motivo di sospetto ai sensi del paragrafo 1. La Commissione adotta tali decisioni previa consultazione dell'autorità garante della concorrenza dello Stato membro nel cui territorio devono essere effettuati gli accertamenti.
Il paragrafo 3 stabilisce, quindi, che una decisione adottata ai sensi del paragrafo 1 non può essere eseguita senza l'autorizzazione preliminare dell'autorità giudiziaria nazionale dello Stato membro interessato. La menzionata autorità controlla l'autenticità della decisione della Commissione e verifica che le misure coercitive previste non siano né arbitrarie né sproporzionate in considerazione, in particolare, della gravità della presunta infrazione, dell'importanza della prova richiesta, del coinvolgimento dell'impresa interessata e della ragionevole probabilità che i registri e i documenti aziendali relativi all'oggetto degli accertamenti siano detenuti nei locali per i quali è chiesta l'autorizzazione. Inoltre, l'autorità giudiziaria nazionale può chiedere alla Commissione, direttamente o attraverso l'autorità garante della concorrenza dello Stato membro, una spiegazione dettagliata degli elementi che sono necessari per permetterle di verificare la proporzionalità delle misure coercitive previste, ma non può mettere in discussione la necessità degli accertamenti né chiedere che siano fornite informazioni contenute nel fascicolo della Commissione. Il controllo della legittimità della decisione della Commissione è riservato alla Corte di giustizia.
Art. 36
(Modifiche al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia resa in data 25 luglio 2008 nella causa C-504/06. Procedura di infrazione n. 2005/2200)
1. Al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 90, il comma 11 è sostituito dal seguente:
«11. La disposizione di cui al comma 3 non si applica ai lavori privati non soggetti a permesso di costruire in base alla normativa vigente e comunque di importo inferiore ad euro 100.000. In tal caso, le funzioni del coordinatore per la progettazione sono svolte dal coordinatore per la esecuzione dei lavori.»;
b) all’articolo 91, comma 1, dopo la lettera b) è aggiunta la seguente:
«b-bis) coordina l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 90, comma 1».
L’articolo in esame, introdotto nel corso dell’esame al Senato, reca alcune modifiche al d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81[147], al fine di dare esecuzione alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 25 luglio 2008 (causa C-504/06, procedura di infrazione n. 2005/2200), con la quale lo Stato italiano è stato condannato ad attenersi alle indicazioni fornite con la direttiva 92/57/CEE del 24 giugno 1992[148],relativa all’obbligo del committente di designare uno o più coordinatori per la progettazione nel caso in cui in un cantiere temporaneo o mobile operino più imprese, indipendentemente da altre condizioni quale l’entità del cantiere o la presenza nello stesso di particolari rischi.
La richiamata sentenza della Corte di giustizia ha condannato l’Italia per non aver provveduto alla corretta trasposizione nell’ordinamento nazionale dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 92/57/CEE[149], riguardante le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili, in quanto ha subordinato la designazione dei coordinatori nei richiamati cantieri alla condizione dei 200 uomini-giorno, non prevedendola invece, così come indicato nell’articolo 3, paragrafo 1, della stessa direttiva n. 92/57/CEE, in tutti i casi in cui è prevista la presenza in cantiere di più imprese.
Tra l’altro, nella sentenza la Corte di giustizia, ritenendo che la nuova normativa contenuta nel d.lgs. 81/2008[150] continuasse a prevedere una deroga all’obbligo di designare coordinatori, ha rilevato che, “secondo la Commissione, dal dettato dell’art. 3, n. 1 della direttiva 92/57/CEE, si evince tuttavia chiaramente che non è consentita alcuna restrizione per quanto concerne l’obbligo di designare coordinatori. La possibilità di deroga di cui n. 2 di detto articolo riguarderebbe unicamente la predisposizione, prima dell’apertura del cantiere, di un piano di sicurezza e di salute e non la designazione di uno o di più coordinatori”. “Tale rilievo”, prosegue la Corte, “sarebbe avvalorato dalla lettera e dalla finalità della direttiva 92/57/CEE. Infatti, ai sensi degli artt. 1 e 2 di tale direttiva, le prescrizioni minime in materia di sicurezza e di salute si applicano a tutti i cantieri mobili. Inoltre, dal sesto e dal settimo ‘considerando’ della stessa direttiva si evincerebbe che l’obbligo di designare un coordinatore deve essere considerato quale regola di applicazione generale nell’ambito dei cantieri temporanei o mobili, considerato che questi ultimi costituiscono un settore di attività che espone i lavoratori a rischi particolarmente elevati”. Sulla base di ciò, la Corte di giustizia ha dichiarato che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva 92/57/CEE, non avendo provveduto alla corretta trasposizione nell’ordinamento italiano della medesima direttiva.
In attuazione di quanto affermato dalla richiamata sentenza, l’articolo in esame:
§ modificando il comma 11 dell’articolo 90 del d.lgs. 81/2008, prevede che l’obbligo di designazione del coordinatore per la progettazione nei cantieri in cui sia prevista la presenza di più imprese, anche non contemporanea, non si applichi ai lavori privati non soggetti a permesso di costruire in base alla normativa vigente e comunque di importo inferiore ad euro 100.000. In tal caso, le funzioni del coordinatore per la progettazione sono svolte dal coordinatore per l’esecuzione dei lavori (comma 1, lettera a));
Si ricorda che l’articolo 90 del d.lgs. n. 81/2008, nell’ambito degli obblighi del committente o del responsabile dei lavori nell'organizzazione delle operazioni dei cantieri temporanei o mobili, ha disposto (comma 3) che nei cantieri in cui sia prevista la presenza di più imprese, anche non contemporanea, il committente, anche nei casi di coincidenza con l'impresa esecutrice, o il responsabile dei lavori, contestualmente all'affidamento dell'incarico di progettazione, ha l’obbligo di designare il coordinatore per la progettazione.
Il coordinatore per la progettazione è incaricato, dal committente o dal responsabile dei lavori, dell'esecuzione dei compiti di cui all'articolo 91 (redazione del piano di sicurezza e di coordinamento e predisposizione di un fascicolo, i cui contenuti sono definiti all'allegato XVI al d.lgs. 81/2008), contenente le informazioni utili ai fini della prevenzione e della protezione dai rischi cui sono esposti i lavoratori.
Tale obbligo non trova applicazione, ai sensi del successivo comma 11, in caso di lavori privati, ai lavori non soggetti a permesso di costruire. In questo caso, la redazione del piano di sicurezza e di coordinamento e la predisposizione del fascicolo sulla prevenzione dei rischi sono affidate al coordinatore per l'esecuzione.
§ aggiunge la lettera b-bis) all’articolo 91, comma 1, dello stesso d.lgs. 81/2008 (comma 1, lettera b)), in base alla quale tra gli obblighi del coordinatore per la progettazione, richiamati in precedenza, rientra anche il coordinamento ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 90, comma 1.
Queste ultime prevedono che il committente, o il responsabile dei lavori, in fase di progettazione dell'opera, ed in particolare al momento delle scelte tecniche, nell'esecuzione del progetto e nell'organizzazione delle operazioni di cantiere, si debba attenere ai principi e alle misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori contenute nel precedente articolo 15. Lo stesso comma, inoltre, al fine di permettere la pianificazione dell'esecuzione in condizioni di sicurezza dei lavori o delle fasi di lavoro che si devono svolgere simultaneamente o successivamente tra loro, dispone che il committente o il responsabile dei lavori debbano prevedere nel progetto la durata di tali lavori o fasi di lavoro.
Con riferimento alla previsione di cui al comma 1, appare opportuno verificare se la modifica apportata al comma 11 dell’articolo 90, volta a individuare una nuova ipotesi di non applicazione dell’obbligo di designazione del coordinatore per la progettazione (seppur per lavori “minori”), sia del tutto coerente con quanto disposto dalla sentenza della Corte di giustizia a cui la disposizione intende dare attuazione.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
Il 6 novembre 2008 la Commissione ha presentato una comunicazione sull’attuazione pratica delle direttive 92/57/CEE(cantieri temporanei o mobili) e 92/58/CEE (segnaletica di sicurezza sul luogo di lavoro) (COM(2008) 698) concernenti la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro.
Per quanto riguarda la direttiva 92/57/CE, la Commissione sottolinea che, sebbene il tasso di incidenza e il numero di infortuni sul lavoro siano diminuiti, le cifre sono ancora inaccettabili ed è necessaria un’attuazione pratica più efficace della direttiva 92/57/CEE. La Commissione ritiene che al momento non sia opportuno avviare un processo di revisione della direttiva, senza aver prima intrapreso azioni alternative a livello nazionale e/o europeo al fine di consentire alla direttiva di produrre tutti i suoi effetti e di garantire il rispetto della medesima. La Commissione ritiene che, nell’elaborare strategie nazionali in materia di salute e sicurezza, gli Stati membri potrebbero intraprendere iniziative per un’applicazione più efficace della direttiva 92/57/CEE, principalmente razionalizzando e semplificando il quadro normativo nazionale esistente.
La comunicazione richiama l’attenzione sull’importanza dell’applicazione omogenea della direttiva in tutta l’UE e suggerisce una serie di interventi, a suo avviso necessari a livello nazionale o di UE[151].
La Commissione annuncia l’elaborazione di un manuale pratico non vincolante che chiarisca alcuni concetti fondamentali e sia di ausilio per tutti i soggetti per rispettare i loro obblighi.
Procedure di contenzioso
La Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora, ex art. 228del Trattato che istituisce la Comunità europea (TCE)[152], per mancata esecuzione della sentenza della Corte di giustizia del 25 luglio 2008 nella causa C-504/06[153]. Secondo la Corte l’Italia non avrebbe provveduto alla corretta trasposizione nell'ordinamento italiano dell'art. 3, n. 1, della direttiva 92/57/CEE, riguardante le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili.
1. Le disposizioni del presente articolo si applicano ai:
a) laboratori non annessi alle imprese alimentari che effettuano analisi nell’ambito delle procedure di autocontrollo per le imprese alimentari;
b) laboratori annessi alle imprese alimentari che effettuano analisi ai fini dell’autocontrollo per conto di altre imprese alimentari facenti capo a soggetti giuridici diversi.
2. I laboratori di cui al comma 1, lettere a) e b), di seguito indicati come «laboratori», devono essere accreditati, secondo la norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025, per le singole prove o gruppi di prove, da un organismo di accreditamento riconosciuto e operante ai sensi della norma UNI CEI EN ISO/IEC 17011.
3. Con apposito accordo tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, nell’ambito delle rispettive competenze, saranno definite le modalità operative di iscrizione, aggiornamento, cancellazione in appositi elenchi dei laboratori, nonché modalità uniformi per l’effettuazione delle verifiche ispettive finalizzate alla valutazione della conformità dei laboratori ai requisiti di cui al comma 2.
4. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri, né minori entrate a carico della finanza pubblica.
5. Le amministrazioni interessate svolgono le attività previste dal presente articolo con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
6. Le spese relative alle procedure di riconoscimento, alle iscrizioni, agli aggiornamenti e alle cancellazioni relative all’elenco dei laboratori sono poste a carico delle imprese secondo tariffe e modalità di versamento da stabilire con successive disposizioni regionali, sulla base del costo effettivo del servizio, determinato mediante apposito accordo tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
L'articolo 37, introdotto nel corso dell’esame al Senato, prevede che sia i laboratori non annessi alle imprese alimentari che effettuano analisi nell’ambito delle procedure di autocontrollo per le imprese alimentari, sia i laboratori annessi alle imprese alimentari che effettuano analisi ai fini dell’autocontrollo per conto di altre imprese alimentari debbano essere accreditati, secondo la norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025 ("Requisiti generali per la competenza dei laboratori di prova e di taratura"), da un organismo di accreditamento riconosciuto e operante ai sensi della norma UNI CEI EN ISO/IEC 17011 ("Requisiti generali per gli organismi di accreditamento che accreditano organismi di valutazione della conformità").
L'articolo rinvia inoltre ad apposito accordo tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano per la definizione delle modalità operative di iscrizione, aggiornamento, cancellazione in appositi elenchi dei laboratori, nonché di effettuazione delle verifiche ispettive. Le spese relative alle procedure di riconoscimento, iscrizione, aggiornamento e cancellazione dagli elenchi suddetti dovranno essere poste a carico delle imprese secondo tariffe da stabilire sulla base del costo effettivo del servizio.
L’applicazione delle disposizioni non deve comportare alcun aggravio per le finanze pubbliche e deve essere realizzata con l’utilizzo delle risorse disponibili a legislazione vigente.
Gli organismi di valutazione di conformità (Laboratori di prova e taratura, Organismi di Certificazione ed Ispezione) svolgono attività di valutazione e di attestazione di conformità a norme o a regole tecniche nazionali, comunitarie e internazionale (certificazione di prodotti, certificazione di sistemi di gestione, certificazione di personale, ispezioni). Affinché la certificazione abbia una validità ampiamente riconosciuta è necessario che gli organismi di certificazione e i laboratori siano accreditati presso un ente riconosciuto a livello nazionale. In Italia l’UNI e il CEI hanno costituito, in forma associativa, il SINAL (Sistema nazionale di accreditamento laboratori), con il compito di accreditare a livello nazionale laboratori italiani ed esteri per garantire l’affidabilità delle verifiche di conformità dei prodotti alle norme e alle regole tecniche nazionali, comunitarie e internazionale, ed il SINCERT (Sistema nazionale di accreditamento di organismi di certificazione), con il compito di accreditare a livello nazionale organismi di certificazione italiani ed esteri per garantire l’affidabilità delle verifiche di conformità.
La richiamata norma ISO/IEC 17025 "Requisiti generali per la competenza dei laboratori di prova e di taratura" costituisce il modello in base al quale verificare la qualità e l'affidabilità dei laboratori di prova e di taratura e tratta tutti i requisiti che i laboratori di prova e di taratura devono soddisfare per dimostrare – ai consumatori, alle imprese, ai legislatori – di avere una corretta gestione dei propri processi interni e delle proprie attività, di essere quindi tecnicamente affidabili e di generare risultati validi. La nuova edizione della norma ISO/IEC 17025 del 2005 dà maggiore enfasi alle responsabilità della direzione, sottolinea la necessità di migliorare continuamente l'efficienza del sistema gestionale e infine pone maggiore attenzione all'aspetto della soddisfazione del cliente.
La norma ISO/IEC 17011:2004 "Conformity assessment - General requirements for accreditation bodies accrediting conformity assessment bodies" definisce un insieme (uniforme) di requisiti per quegli Organismi di accreditamento che verificano le attività degli Organismi di valutazione della conformità.
Art. 38
(Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno )
1. Nella predisposizione dei decreti legislativi per l’attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, da adottare su proposta del Ministro per le politiche europee e del Ministro dello sviluppo economico ovvero del Ministro con competenza prevalente in materia, di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa e con gli altri Ministri interessati, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, realizzando il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all’articolo 2, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato nonché assicurare agli utenti un livello essenziale ed uniforme di condizioni di accessibilità all’acquisto di servizi sul territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) ed m), della Costituzione;
b) prevedere che le disposizioni dei decreti legislativi si applichino a tutti i servizi non esplicitamente esclusi dall’articolo 2, paragrafi 2 e 3, e, relativamente alla libera prestazione di servizi, anche dall’articolo 17 della direttiva;
c) definire puntualmente l’ambito oggettivo di applicazione;
d) semplificare i procedimenti amministrativi per l’accesso alle attività di servizi, anche al fine di renderli uniformi sul piano nazionale, subordinando altresì la previsione di regimi autorizzatori al ricorrere dei presupposti di cui all’articolo 9 della direttiva e prevedendo che, per tali regimi, da elencare in allegato al decreto legislativo di cui al presente articolo, la dichiarazione di inizio attività rappresenti la regola generale salvo che motivate esigenze impongano il rilascio di un atto autorizzatorio esplicito;
e) garantire che, laddove consentiti dalla normativa comunitaria, i regimi di autorizzazione ed i requisiti eventualmente previsti per l’accesso ad un’attività di servizi o per l’esercizio della medesima siano conformi ai princìpi di trasparenza, proporzionalità e parità di trattamento;
f) garantire la libera circolazione dei servizi forniti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro, imponendo requisiti relativi alla prestazione di attività di servizi solo qualora siano giustificati da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o tutela dell’ambiente, nel rispetto dei princìpi di non discriminazione e di proporzionalità;
g) prevedere che l’autorizzazione all’accesso o all’esercizio di una attività di servizi abbia efficacia su tutto il territorio nazionale. Limitazioni territoriali dell’efficacia dell’autorizzazione possono essere giustificate solo da un motivo imperativo di interesse generale;
h) ferma restando l’applicazione del principio di prevalenza di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva, anche al fine di garantire, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 4, della direttiva, il carattere unitario nazionale dell’individuazione delle figure professionali con i relativi profili ed eventuali titoli abilitanti, individuare espressamente, per tutti i servizi rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva, gli eventuali requisiti compatibili con la direttiva medesima e necessari per l’accesso alla relativa attività e per il suo esercizio;
i) prevedere che lo svolgimento di tutte le procedure e le formalità necessarie per l’accesso all’attività di servizi e per il suo esercizio avvenga attraverso sportelli unici usufruibili da tutti i prestatori di servizi a prescindere che questi siano stabiliti sul territorio nazionale o di altro Stato membro, in coerenza con quanto già previsto al riguardo dall’articolo 38 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e regolando il conseguente coordinamento fra le relative disposizioni;
l) prevedere che le procedure e le formalità per l’accesso e l’esercizio delle attività di servizi possano essere espletate attraverso gli sportelli unici anche a distanza e per via elettronica;
m) realizzare l’interoperabilità dei sistemi di rete, l’impiego non discriminatorio della firma elettronica o digitale ed i collegamenti tra la rete centrale della pubblica amministrazione e le reti periferiche;
n) prevedere forme di collaborazione con le autorità competenti degli altri Stati membri e con la Commissione europea al fine di garantire il controllo dei prestatori e dei loro servizi, in particolare fornendo al più presto e per via elettronica, tramite la rete telematica IMI, realizzata dalla Commissione europea, le informazioni richieste da altri Stati membri o dalla Commissione. Lo scambio di informazioni può riguardare le azioni disciplinari o amministrative promosse o le sanzioni penali irrogate e le decisioni definitive relative all’insolvenza o alla bancarotta fraudolenta assunte dalle autorità competenti nei confronti di un prestatore e che siano direttamente pertinenti alla competenza del prestatore o alla sua affidabilità professionale, nel rispetto dei presupposti stabiliti dalla direttiva;
o) prevedere l’abrogazione espressa della normativa statale in contrasto con i princìpi e le disposizioni della direttiva comunitaria;
p) prevedere che, relativamente alle materie di competenza regionale, le norme per l’adeguamento, il coordinamento e la semplificazione dei procedimenti autorizzatori concernenti l’esercizio della libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi siano adottate dallo Stato, in caso di inadempienza normativa delle regioni, in conformità all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione e che, in caso di inadempienza amministrativa, sia esercitato il potere sostitutivo di cui all’articolo 120, secondo comma, della Costituzione;
q) prevedere che tutte le disposizioni di attuazione della direttiva nell’ambito dell’ordinamento nazionale siano finalizzate a rendere effettivo l’esercizio della libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi garantite dagli articoli 43 e 49 del Trattato CE, perseguendo in particolare i seguenti obiettivi:
1) la crescita economica e la creazione di posti di lavoro sul territorio nazionale;
2) la semplificazione amministrativa;
3) la riduzione degli oneri amministrativi per l’accesso ad una attività di servizi e per il suo esercizio;
4) l’effettività dei diritti dei destinatari di servizi;
r) prevedere che tutte le misure adottate in attuazione della direttiva siano emanate in conformità ai seguenti ulteriori princìpi e criteri:
1) salvaguardia dell’unitarietà dei processi decisionali, della trasparenza, dell’efficacia e dell’economicità dell’azione amministrativa e chiara individuazione dei soggetti responsabili;
2) semplificazione, accorpamento, accelerazione, omogeneità, chiarezza e trasparenza delle procedure;
3) agevole accessibilità per prestatori e destinatari di servizi a tutte le informazioni afferenti alle attività di servizi, in attuazione degli articoli 7, 21 e 22 della direttiva;
4) adozione di adeguate forme di pubblicità, di informazione e di conoscibilità degli atti procedimentali anche mediante utilizzo di sistemi telematici;
s) prevedere che venga garantita un’effettiva parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto a quelli degli altri Stati membri dell’Unione europea, evitando l’insorgere di situazioni discriminatorie a danno dei cittadini italiani, nel momento in cui questi siano tenuti a rispettare una disciplina più restrittiva di quella applicabile sul territorio nazionale ai cittadini degli altri Stati membri.
2. Nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario ai sensi dell’articolo 117, primo comma, della Costituzione, entro il 28 dicembre 2009, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adeguano le proprie disposizioni normative al contenuto della direttiva nonché ai princìpi e criteri di cui al comma 1.
3. Dai provvedimenti attuativi del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
L'articolo 38, introdotto dal Senato, provvede a dettare principi e criteri specifici di delega per l'attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, fermi restando i principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 2.
La direttiva 2006/123/CE è ricompresa nell'Allegato B al presente disegno di legge (per l’illustrazione del contenuto della direttiva si rinvia alla relativa scheda di lettura).
In base alle previsioni del comma 1 dell’articolo in esame, in sede di attuazione della delega il Governo è tenuto, anzitutto, a garantire la libertà di concorrenza e l'accessibilità all'acquisto di servizi sul territorio nazionale (lettera a)), semplificando i procedimenti amministrativi per l'accesso alle attività di servizi (lettera d)) e garantendo che gli eventuali regimi di autorizzazione per l'accesso o esercizio ad un'attività siano conformi ai principi di trasparenza, proporzionalità e parità di trattamento (lettera e)).
Deve essere, altresì, rispettata la libertà di circolazione dei servizi forniti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro, accettando l'imposizione di requisiti alla prestazione solo se giustificati da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza, sanità pubblica o tutela dell'ambiente, nel rispetto dei principi di non discriminazione e di proporzionalità (lettera f)). Il Governo dovrà individuare, per tutti i servizi rientranti nell'ambito di applicazione della direttiva, gli eventuali requisiti compatibili e necessari per l'accesso alla relativa attività (lettera h)), istituendo degli sportelli unici (accessibili anche via internet) per lo svolgimento delle procedure e formalità necessarie per l'accesso all’attività di servizi (lettere i) e l)), e prevedendo delle forme di collaborazione (es. scambio di informazioni) con le autorità competenti degli Stati membri e con la Commissione europea, al fine di garantire il controllo dei prestatori e dei loro servizi (lettera n)).
Tutte le disposizioni di attuazione della direttiva nell'ambito dell'ordinamento nazionale devono essere finalizzate a rendere effettivo l'esercizio della libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi, perseguendo alcuni obiettivi: crescita economica e creazione di posti di lavoro; semplificazione amministrativa; riduzione degli oneri amministrativi per l'accesso ad un'attività di servizi ed effettività dei diritti dei destinatari dei servizi (lettera q)). Le disposizioni di attuazione dovranno prevedere l'abrogazione espressa della normativa statale in contrasto con i principi e le disposizioni della direttiva comunitaria (lettera o)) e che tutte le misure adottate in attuazione della direttiva siano emanante nel rispetto di specifici criteri quali: la salvaguardia dell'unitarietà dei processi decisionali, della trasparenza, dell'efficacia e dell'economicità dell'azione amministrativa; la semplificazione, l'accorpamento, l'accelerazione, l'omogeneità, la chiarezza e la trasparenza delle procedure; l'accessibilità alle informazioni per prestatori e destinatari di servizi; l'adozione di adeguate forme di pubblicità, di informazione e di conoscenza degli atti procedimentali (lettera r)). I decreti legislativi devono, inoltre, garantire un’effettiva parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto a quelli degli altri membri dell'Unione europea, evitando l'insorgere di situazioni discriminatorie a danno dei cittadini italiani, nel momento di cui questi siano tenuti a rispettare una disciplina più restrittiva di quella applicabile sul territorio nazionale ai cittadini degli altri stati membri (lettera s)).
Il comma 2 pone alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano il termine del 28 dicembre 2009 per adeguare le proprie disposizioni normative al contenuto della direttiva nonché ai principi e criteri direttivi di cui al comma 1 (tale termine coincide con quello entro cui gli Stati membri sono tenuti a recepire la direttiva).
Infine, il comma 3 dispone che dall'attuazione della delega di cui all'articolo in commento non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
Il Consiglio competitività del 5 e 6 marzo 2009, nel definire le priorità in materia di competitività e di innovazione in vista del Consiglio europeo del 19 e 20 marzo, ha richiamato l’attenzione sull’attuazione della direttiva “servizi”, occasione importante in direzione di un mercato interno realmente integrato. Il Consiglio ha sottolineato che gli Stati membri dovrebbero assicurarsi che le disposizioni necessarie, anche in termini di risorse, siano state prese affinché la direttiva possa essere attuata in tutti i suoi elementi prima della scadenza del dicembre 2009. Ritiene che si debbano raddoppiare gli sforzi in particolare per condurre a buon fine il riesame e la modernizzazione della legislazione degli Stati membri e per realizzare degli “sportelli unici” pienamente operativi. Il Consiglio, infine, invita la Commissione e gli Stati membri a procedere ai preparativi necessari affinché un processo utile ed efficace di valutazione reciproca della legislazione degli Stati membri sia operativo nel 2010.
In tale occasione la Commissione, nell’informare il Consiglio sullo stato di avanzamento del processo di attuazione, ha insistito sull’importanza della direttiva in quanto strumento del mercato interno che contribuisce al rilancio della crescita e alla ripresa economica.
Il 6 novembre 2008 la Commissione ha presentato la comunicazione “Beneficiare pienamente del mercato interno attraverso una più stretta cooperazione amministrativa” (COM(2008) 703), che costituisce una relazione sullo stato di avanzamento del Sistema d’informazione del mercato interno (IMI).
Tale sistema – la cui proposta di messa a punto è stata approvata dagli Stati membri nel marzo del 2006 - è volto a consentire agli Stati membri di rispettare i loro obblighi in materia di scambio di informazione e di instaurare nuove forme di collaborazione amministrativa che non sarebbero possibili senza l’ausilio di un sistema elettronico di informazione.
La comunicazione osserva che la mancanza di fiducia nell’efficacia del quadro giuridico e operativo degli altri Stati membri ha provocato una moltiplicazione delle regole e una duplicazione dei controlli sulle attività transfrontaliere, ostacolando l’armonioso funzionamento del mercato interno. La messa a punto di tale Sistema risponde pertanto alla necessità degli Stati membri di disporre di uno strumento che faciliti la collaborazione reciproca e con la Commissione per garantire che i cittadini e le imprese fruiscano pienamente dei vantaggi offerti dal quadro giuridico.
Esso risponde inoltre all’obbligo, stabilito dalla direttiva sui servizi (2006/123/CE), di istituire un sistema elettronico per lo scambio di informazioni tra gli Stati membri. La Commissione invita gli Stati membri a prendere i provvedimenti necessari, e in particolare ad organizzare azioni di formazione e sensibilizzazione, per assicurare il successo della messa in opera del Sistema d’informazione del mercato interno.
Il Consiglio competitività del 5 e 6 marzo 2009 ha sottolineato che gli Stati membri dovrebbero assicurarsi che siano assunte le disposizioni necessarie, anche in termini di risorse, per la piena applicazione dell’IMI nel quadro della direttiva sui servizi.
Art. 39
(Disposizioni in materia di recepimento della direttiva 2003/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 luglio 2003, che modifica la direttiva 68/151/CEE del Consiglio per quanto riguarda i requisiti di pubblicità di taluni tipi di società)
1. All’articolo 2250 del codice civile, dopo il quarto comma sono aggiunti i seguenti:
«Gli atti delle società costituite secondo uno dei tipi regolati nei capi V, VI e VII di questo titolo, per i quali è obbligatoria l’iscrizione o il deposito, possono essere altresì pubblicati in apposita sezione del registro delle imprese in altra lingua ufficiale delle Comunità europee, con traduzione giurata di un esperto.
In caso di discordanza con gli atti pubblicati in lingua italiana, quelli pubblicati in altra lingua ai sensi del quinto comma non possono essere opposti ai terzi, ma questi possono avvalersene, salvo che la società dimostri che essi erano a conoscenza della loro versione in lingua italiana.
Le società di cui al quinto comma che dispongono di uno spazio elettronico destinato alla comunicazione collegato ad una rete telematica ad accesso pubblico forniscono, attraverso tale mezzo, tutte le informazioni di cui al primo, secondo, terzo e quarto comma».
2. All’articolo 2630, primo comma, del codice civile, dopo le parole: «registro delle imprese» sono inserite le seguenti: «, ovvero omette di fornire negli atti, nella corrispondenza e nella rete telematica le informazioni prescritte dall’articolo 2250, primo, secondo, terzo e quarto comma».
L’articolo 39, introdotto nel corso dell’esame al Senato, modifica alcune norme del codice civile, al fine di attuare la direttiva comunitaria 2003/58/CE in tema di requisiti di pubblicità degli atti di alcuni tipi di società.
Si ricorda che la direttiva 2003/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 luglio 2003 è stata emanata per modificare parzialmente la precedente direttiva 68/151/CEE del Consiglio. Quest’ultima reca disposizioni in tema di pubblicità da applicarsi alle società di capitali: per l’Italia, alle società per azioni, alla società in accomandita per azioni ed alle società a responsabilità limitata.
Con la normativa del 2003 è stata parzialmente innovata la disciplina in tema di costituzione del “fascicolo societario” presso ciascuno Stato membro, in cui sono iscritti tutti gli atti e le indicazioni soggetti a pubblicità (elencati, nel dettaglio, dall’articolo 2 della direttiva 68/151/CEE). Le nuove norme hanno infatti aggiornato le preesistenti misure, al fine di adattarle alle innovazioni tecnologiche intervenute negli ultimi anni.
L’articolo 1, par. 3, della direttiva 2003/58/CE ha recato novità in tema di registrazione di atti e indicazioni societarie soggetti a pubblicità; in particolare, è stata concessa agli Stati la facoltà di obbligare tutte le società, o solo talune categorie, alla registrazione per via elettronica. Inoltre, è stato reso possibile l’ottenimento – previa richiesta – di copia di tali atti e indicazioni anche per via elettronica.
In ordine alla pubblicità degli atti e delle indicazioni societarie, resta ferma la pubblicazione di essi nel bollettino nazionale designato dallo Stato membro; anche quest’ultimo, tuttavia, può essere costituito in formato elettronico. Si concede agli Stati membri la possibilità di sostituire la pubblicazione nel bollettino nazionale con una misura di effetto equivalente, il quale comporti almeno l'utilizzo di un sistema che consenta l'accesso alle informazioni pubblicate in ordine cronologico grazie ad una piattaforma elettronica centrale. Le nuove disposizioni precisano, poi, il significato dell’espressione “per via elettronica”: con essa si intende che i dati sono inviati all'origine e ricevuti a destinazione mediante attrezzature elettroniche di trattamento (compresa la compressione digitale) e di memorizzazione di dati, e che sono interamente trasmessi, inoltrati e ricevuti mediante fili, radio, mezzi ottici od altri mezzi elettromagnetici nelle modalità stabilite dagli Stati membri.
Il par. 4 dell’articolo 1 reca norme in tema di lingua degli atti e delle indicazioni soggetti a pubblicità. Essi sono redatti e registrati in una delle lingue autorizzate dalle norme applicabili, in materia, nello Stato membro nel quale è stato costituito il fascicolo societario. Oltre alle disposizioni in tema di pubblicità obbligatoria degli atti e delle indicazioni societarie, la direttiva prevede che la pubblicità volontaria di questi possa essere effettuata in qualsiasi lingua ufficiale della Comunità.
E’ data facoltà agli Stati membri di prescrivere che la traduzione degli atti e delle indicazioni societarie soggetti a pubblicità sia autenticata. In ogni caso, essi devono adottare le misure necessarie per agevolare l'accesso dei terzi alle traduzioni che sono state oggetto di pubblicità su base volontaria. In aggiunta alla pubblicità obbligatoria e alla pubblicità su base volontaria, gli Stati membri possono consentire che la pubblicità degli atti e delle indicazioni di cui trattasi sia garantita in qualsiasi altra lingua, potendo altresì prescrivere che la traduzione di tali atti e indicazioni sia autenticata.
In caso di discordanza fra gli atti e le indicazioni pubblicati nelle lingue ufficiali del registro e la traduzione pubblicata su base volontaria, quest'ultima non può essere opposta ai terzi; i terzi possono tuttavia valersi delle traduzioni pubblicate su base volontaria, a meno che la società provi che essi erano a conoscenza della versione oggetto della pubblicità obbligatoria.
Il par. 5, sostituendo l’articolo 4 della direttiva 68/151/CEE, reca le indicazioni che devono essere obbligatoriamente presenti sulla corrispondenza e sugli ordinativi della società, nonché sul sito web della società. Sono infine recate prescrizioni sanzionatorie in tema di violazione delle norme sulla pubblicità e sulle indicazioni obbligatorie nei documenti commerciali e sul sito web.
Il comma 1 della disposizione in esame aggiunge, in fine, tre commi all’articolo 2250 del codice civile, che indica gli elementi da inserire negli atti e nella corrispondenza della società soggette all'obbligo di iscrizione nel registro delle imprese.
Ai sensi del nuovo comma quinto dell’articolo 2250 c. c., gli atti delle società per azioni, delle società in accomandita per azioni e delle società a responsabilità limitata (costituite secondo i tipi regolati, rispettivamente, nei capi V, VI e VII del Libro V, Titolo V del Codice civile) per i quali è obbligatoria l’iscrizione o il deposito possono essere pubblicati in apposita sezione del registro delle imprese in altra lingua ufficiale delle Comunità europee, con traduzione giurata di un esperto.
Il sesto comma dispone che, in caso di discordanza con gli atti pubblicati in lingua italiana, quelli pubblicati in altra lingua – ai sensi del quinto comma, su base volontaria – non possono essere opposti ai terzi, ma questi possono avvalersene, salvo che la società dimostri che essi erano a conoscenza della versione in lingua italiana.
Infine, il nuovo settimo comma dispone che le società per azioni, le società a responsabilità limitata e le società in accomandita per azioni che dispongono di uno spazio elettronico destinato alla comunicazione collegato ad una rete telematica ad accesso pubblico forniscano, attraverso tale mezzo, tutte le informazioni prescritte ai sensi dei commi I-IV dell’articolo 2550 c.c.
Nel dettaglio, si tratta delle seguenti informazioni:
§ la sede sociale e l'ufficio del registro delle imprese presso il quale questa è iscritta, nonché il numero d'iscrizione;
§ il capitale delle società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata, secondo la somma effettivamente versata e quale risulta esistente dall'ultimo bilancio;
§ dopo lo scioglimento della società, il fatto che la società è in liquidazione;
§ per le SpA e le Srl unipersonali, l’esistenza di un socio unico.
Il comma 2 dell’articolo in esame modifica il primo comma dell’articolo 2630 del codice civile. L’articolo reca le sanzioni amministrative per la condotta di omessa esecuzione nei termini prescritti di denunce, comunicazioni o depositi da parte dei soggetti tenuti ad effettuarle, per legge, in ragione delle funzioni rivestite in una società o in un consorzio.
Nel dettaglio, la norma in commento estende la sanzione amministrativa pecuniaria per tali condotte omissive – che va da 206 euro a 2.065 euro e, ove si tratta di bilanci, è aumentata di un terzo – all’ipotesi in cui il soggetto tenuto per legge ometta di fornire, negli atti, nella corrispondenza e nella rete telematica, le informazioni societarie prescritte dal citato articolo 2250, primo, secondo, terzo e quarto comma.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
Il 25 giugno 2008 la Commissione ha presentato la comunicazione “Una corsia preferenziale per la piccola impresa” – Alla ricerca di un nuovo quadro fondamentale per la Piccola Impresa (un ”Small Business Act” per l’Europa) (COM(2008)394), per consentire alle piccole e medie imprese europee (PMI) di valorizzare pienamente le loro potenzialità in termini di crescita sostenibile nel lungo periodo e di creazione di un maggior numero i posti di lavoro.
Nell’ambito dei dieci principi enunciati dall’Atto per le piccole e medie imprese, la Commissione ritiene che gli Stati membri dovranno cercare di aiutare lo sviluppo di un’identità elettronica delle imprese, per permettere l’e-invoicing (fatturazione on line) e l’e-governement (amministrazione on line).
Il Consiglio competitività del 1° e 2 dicembre 2008 ha adottato conclusioni sullo “Small business Act” nelle quali, fra l’altro, invita gli Stati membri e la Commissione a promuovere lo SBA al più alto livello politico, assicurandone l’attuazione a tutti i livelli pertinenti e a rendere conto dei progressi realizzati nel quadro del nuovo ciclo 2008-2010 della Strategia di Lisbona rinnovata.
Il 10 marzo 2009 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sull’Atto sulle piccole imprese nella quale lo appoggia con convinzione e si rammarica per il fatto che non sia uno strumento giuridicamente vincolante.
La Commissione politiche dell’Unione europea, per il parere, e la Commissione attività produttive, commercio e turismo della Camera dei deputati hanno avviato, il 26 febbraio 2009, l’esame della risoluzione sull’Atto per le piccole imprese approvata dal Parlamento europeo il 4 dicembre 2008, in vista del Consiglio europeo dell’11 e 12 dicembre 2008.
Procedure di contenzioso
Il 14 luglio 2008 la Commissione ha inoltrato un ricorso alla Corte di giustizia contro l’Italia (causa C-313/08) per non aver comunicato le misure di recepimento della direttiva 2003/58/CE relativa ai requisiti di pubblicità per alcuni tipi di società.
Il termine di recepimento della direttiva era il 31 dicembre 2006.
1. I gruppi europei di cooperazione territoriale (GECT) istituiti ai sensi del regolamento (CE) n. 1082/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, e dei presenti articoli, aventi sede legale nel territorio nazionale, perseguono l’obiettivo di facilitare e promuovere la cooperazione transfrontaliera, transnazionale o interregionale al fine esclusivo di rafforzare la coesione economica e sociale e comunque senza fini di lucro.
2. I GECT aventi sede in Italia sono dotati di personalità giuridica di diritto pubblico. Il GECT acquista la personalità giuridica con l’iscrizione nel Registro dei gruppi europei di cooperazione territoriale, di seguito denominato «Registro», istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Segretariato generale, ai sensi dell’articolo 22.
3. Possono essere membri di un GECT i soggetti di cui all’articolo 3, paragrafo 1, del citato regolamento (CE) n. 1082/2006. Ai fini della costituzione o partecipazione ad un GECT, per «autorità regionali» e «autorità locali» di cui all’articolo 3, paragrafo 1, del citato regolamento, si intendono rispettivamente le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali di cui all’articolo 2, comma 1, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
4. La convenzione e lo statuto di un GECT, previsti dagli articoli 8 e 9 del citato regolamento (CE) n. 1082/2006, sono approvati all’unanimità dei suoi membri e sono redatti in forma pubblica ai sensi degli articoli 2699 e seguenti del codice civile, a pena di nullità. Gli organi di un GECT avente sede in Italia, nonché le modalità di funzionamento, le rispettive competenze e il numero di rappresentanti dei membri in detti organi, sono stabiliti nello statuto. Le finalità specifiche del GECT ed i compiti ad esse connessi sono definiti dai membri del GECT nella convenzione istitutiva. Fermo restando quanto stabilito dall’articolo 7, paragrafi 1, 2, 4 e 5, del citato regolamento (CE) n. 1082/2006 i membri possono in particolare affidare al GECT:
a) il ruolo di Autorità di gestione, l’esercizio dei compiti del segretariato tecnico congiunto, la promozione e l’attuazione di operazioni nell’ambito dei programmi operativi cofinanziati dai fondi strutturali comunitari e riconducibili all’obiettivo «Cooperazione territoriale europea», nonché la promozione e l’attuazione di azioni di cooperazione interregionale inserite nell’ambito degli altri programmi operativi cofinanziati dai fondi strutturali comunitari;
b) la promozione e l’attuazione di operazioni inserite nell’ambito di programmi e progetti finanziati dal Fondo per le aree sottoutilizzate di cui all’articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, in attuazione del quadro strategico nazionale 2007-2013, purché tali operazioni siano coerenti con le priorità elencate dall’articolo 6 del citato regolamento (CE) n. 1080/2006 e contribuiscano, mediante interventi congiunti con altre regioni europee, a raggiungere più efficacemente gli obiettivi stabiliti per tali programmi o progetti, con benefici per i territori nazionali.
5. In aggiunta ai compiti di cui al comma 4, al GECT può essere affidata la realizzazione anche di altre azioni specifiche di cooperazione territoriale, purché coerenti con il fine di rafforzare la coesione economica e sociale, nonché nel rispetto degli impegni internazionali dello Stato.
L’articolo in esame disciplina la costituzione e la natura giuridica dei gruppi europei di cooperazione territoriale (GECT) e non è stato oggetto di modifica durante l’esame al Senato.
Tale articolo e i due successivi (articoli 41 e 42) dettano norme per l’attuazione del regolamento (CE) n. 1082/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, approvato allo scopo di introdurre una nuova tipologia di gruppo europeo per promuovere azioni mirate, finanziate al di fuori dei fondi a finalità strutturale (Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia, sezione “orientamento”, Fondo sociale europeo, Fondo europeo di sviluppo regionale), con la finalità di realizzare gli obiettivi di coesione economica e sociale previsti dal Trattato UE.
La relazione illustrativa spiega che le norme in commento si sono rese necessarie a seguito di un parere del Consiglio di Stato che si è pronunciato sfavorevolmente riguardo all’attuazione del predetto regolamento (CE) n. 1082/2006 in via regolamentare (ex articolo 17, comma 1, lett. a), della legge n. 400 del 1988), in quanto tale atto comunitario, “malgrado la denominazione, è assimilabile ad una direttiva”[154].
Il comma 1 definisce l’obiettivo dei gruppi europei di cooperazione territoriale (GECT) aventi sede legale nel territorio nazionale. Essi sono chiamati a facilitare e a promuovere la cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale, al fine esclusivo di rafforzare la coesione economica e sociale ed in ogni caso senza scopo di lucro.
Il comma 2 attribuisce personalità giuridica di diritto pubblico ai GECT aventi sede in Italia. La personalità giuridica è acquistata con l’iscrizione nel Registro dei gruppi europei di cooperazione territoriale istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Segretariato generale, secondo quanto disciplinato al successivo articolo 41.
Si ricorda che il sopra richiamato parere del Consiglio di Stato si è pronunciato sulla opzione di attribuire personalità giuridica di diritto privato al GECT. In particolare, non si è ritenuta condivisibile tale attribuzione in quanto i predetti soggetti sono definiti dalla normativa comunitaria quali “enti di rango costituzionale” che realizzano azioni e iniziative di rilevanza generale.
Il comma 3 fa rinvio all’articolo 3, paragrafo 1, del citato regolamento (CE) n. 1082/2006 per la definizione dei membri di un GECT. Secondo tale disposizione, esso può essere composto dagli Stati membri, dalle autorità regionali, dalle autorità locali, da organismi di diritto pubblico definiti dalla direttiva 2004/18/CE che disciplina il coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi[155] nonché dalle associazioni costituite dai predetti enti e organismi.
La disposizione, inoltre, chiarisce che per autorità regionali e per autorità locali si intendono, rispettivamente:
- le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano;
- gli enti locali di cui all’articolo 2, comma 1, del TUEL di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000 (comuni, province, città metropolitane, comunità montane, comunità isolane e unioni di comuni).
Il comma 4 prevede norme relative allo statuto e alla convenzione istitutiva dei GECT aventi sede in Italia, che vengono approvati all’unanimità dai suoi membri e sono redatti in forma pubblica, a pena di nullità, ai sensi degli articoli 2699 e seguenti del codice civile. Si dispone, inoltre, che sia lo statuto a stabilire gli organi, le modalità di funzionamento, le rispettive competenze e il numero di rappresentanti dei membri nei citati organi.
Con la convenzione istitutiva, infine, i membri del gruppo stabiliscono le finalità specifiche del GECT e i compiti ad esse connessi.
I membri del gruppo, in particolare, fermo restando quanto stabilito dall’articolo 7, paragrafi 1, 2, 4 e 5 del citato regolamento (CE) n. 1082/2006, possono affidare al GECT:
- il ruolo di Autorità di gestione, l’esercizio dei compiti del segretariato tecnico congiunto, la promozione e l’attuazione di operazioni nell’ambito dei programmi operativi cofinanziati dai fondi strutturali comunitari e riconducibili all’obiettivo “Cooperazione territoriale europea”, oltre che la promozione e l’attuazione di azioni di cooperazione interregionale inserite nell’ambito degli altri programmi operativi cofinanziati dai fondi strutturali comunitari;
Si ricorda che l’obiettivo Cooperazione territoriale europea comprende le aree territoriali a livello transfrontaliero, transnazionale e interregionale (spazio alpino, zone di confine con l’Europa centrosettentrionale e con l’Europa orientale e balcanica, nonché il bacino del Mediterraneo).
- la promozione e l’attuazione di operazioni inserite nell’ambito di programmi e progetti finanziati dal Fondo per le aree sottoutilizzate, in attuazione del Quadro strategico nazionale 2007-2013. E’ tuttavia richiesto che tali operazioni siano coerenti con le priorità elencate all’articolo 6 del regolamento (CE) n. 1080/2006, relativo all’obiettivo di cooperazione territoriale finanziato dal Fondo europeo di sviluppo regionale, e contribuiscano a migliorare l’efficacia dei programmi volti al raggiungimento del predetto obiettivo di cooperazione, anche mediante interventi congiunti con altre regioni europee.
Tra le priorità d’intervento più rilevanti elencate dall’articolo 6 del citato regolamento (CE) n. 1080/2006 sono da evidenziare: la promozione dell’imprenditorialità, segnatamente attraverso lo sviluppo delle piccole e medie imprese, del turismo e della protezione dell’ambiente, il rafforzamento dei collegamenti tra le zone urbane e rurali, l’accesso alle reti e ai servizi di trasporto, agli impianti transfrontalieri di approvvigionamento idrico ed energetico, allo smaltimento dei rifiuti, l’utilizzo congiunto di infrastrutture, in particolare in settori come la salute, la cultura, il turismo e l'istruzione.
Si ricorda, inoltre, che nel Fondo per le aree sottoutilizzate, istituito dalla legge finanziaria per il 2003 (legge n. 289/2002, art. 61), sono confluite le risorse dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno, di quello ordinario nelle aree depresse, del fondo per l’imprenditoria giovanile e degli stanziamenti relativi ai crediti di imposta per investimenti e per nuove assunzioni. Le risorse del fondo sono ripartite con apposite delibere del CIPE adottate sulla base del criterio generale di destinazione territoriale delle risorse disponibili e per finalità di riequilibrio economico e sociale, nonché per incentivi ed investimenti pubblici. Nel Quadro strategico nazionale, che riassume le nuove risorse per la politica di coesione per il 2007-2013, la programmazione del FAS è settennale allo scopo di rendere unitarie e coordinate le politiche di intervento comunitarie, nazionali e regionali. Le risorse del Fondo in particolare sono destinate per l’85 per cento del loro ammontare all’area del Mezzogiorno e per il restante 15 per cento al Centro-nord.
Il comma 5, infine, dispone che, in aggiunta ai compiti sopra illustrati, al GECT può essere affidata la realizzazione anche di altre azioni specifiche di cooperazione territoriale. E’ richiesto peraltro che tali azioni siano coerenti con il rafforzamento della coesione economica e sociale, nonché con il rispetto degli impegni internazionali dello Stato.
Per quanto concerne la formulazione del testo, si segnala che il comma 4, lettera b), fa riferimento, pur menzionandolo per la prima volta, all’ “articolo 6 del citato regolamento (CE) n. 1080/2006”. Sarebbe opportuno riportare tale riferimento normativo più correttamente nel seguente modo: “articolo 6 del regolamento (CE) n. 1080/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006”.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
La Commissione europea ha presentato, il 6 ottobre 2008, il Libro verde sulla coesione territoriale (COM2008)616), con il quale ha avviato un'ampia consultazione delle autorità regionali e locali, delle associazioni, delle ONG, della società civile e delle altre organizzazioni, al fine di migliorare la comprensione del concetto di “coesione territoriale” e valutare le implicazioni per la politica regionale dell’UE dell’introduzione nel Trattato di Lisbona (in corso di ratifica da parte degli Stati membri dell’UE) della coesione territoriale tra gli obiettivi e le politiche dell’UE.
Il parere del Parlamento europeo sul Libro verde è atteso per la sessione del 24 marzo 2009.
I risultati della consultazione verranno illustrati nella Sesta Relazione sulla coesione economica e sociale, la cui presentazione da parte della Commissione europea è attesa per giugno 2009.
1. I membri potenziali di un GECT presentano alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Segretariato generale, una richiesta, anche congiunta, di autorizzazione a partecipare alla costituzione di un GECT, corredata di copia della convenzione e dello statuto proposti. Su tale richiesta, la Presidenza del Consiglio dei ministri – Segretariato generale provvede nel termine di novanta giorni dalla ricezione, previa acquisizione dei pareri conformi del Ministero degli affari esteri per quanto attiene alla corrispondenza con gli indirizzi nazionali di politica estera, del Ministero dell’interno per quanto attiene alla corrispondenza all’ordine pubblico e alla pubblica sicurezza, del Ministero dell’economia e delle finanze per quanto attiene alla corrispondenza con le norme finanziarie e contabili, del Ministero dello sviluppo economico per quanto attiene ai profili concernenti la corrispondenza con le politiche di coesione, del Dipartimento per le politiche comunitarie per quanto attiene ai profili concernenti la compatibilità comunitaria, del Dipartimento per i rapporti con le regioni per quanto attiene alla compatibilità con l’interesse nazionale della partecipazione al GECT di regioni, province autonome ed enti locali, e delle altre amministrazioni centrali eventualmente competenti per i settori in cui il GECT intende esercitare le proprie attività.
2. Entro il termine massimo di sei mesi dalla comunicazione dell’autorizzazione, decorso il quale essa diventa inefficace, ciascuno dei membri del GECT, o il relativo organo di gestione, se già operante, chiede l’iscrizione del GECT nel Registro istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Segretariato generale, allegando all’istanza copia autentica della convenzione e dello statuto. La Presidenza del Consiglio dei Ministri – Segretariato generale, verificata nei trenta giorni successivi la tempestività della domanda di iscrizione, nonché la conformità della convenzione e dello statuto approvati rispetto a quelli proposti, iscrive il GECT nel Registro e dispone che lo statuto e la convenzione siano pubblicati, a cura e spese del GECT, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Dell’avvenuta iscrizione è data comunicazione alle amministrazioni che hanno partecipato al procedimento.
3. Le modifiche alla convenzione e allo statuto del GECT sono altresì iscritte nel Registro, secondo le modalità ed entro gli stessi termini previsti nei commi 1 e 2. Di esse va data altresì comunicazione con pubblicazione, per estratto, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea. Copia integrale o parziale di ogni atto per il quale è prescritta l’iscrizione, a norma dei commi 1 e 2, è rilasciata a chiunque ne faccia richiesta, anche per corrispondenza; il costo di tale copia non può eccedere il costo amministrativo.
4. L’autorizzazione è revocata nei casi previsti dall’articolo 13 del regolamento (CE) n. 1082/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006.
5. Ferma restando la disciplina vigente in materia di controlli qualora i compiti di un GECT riguardino azioni cofinanziate dall’Unione europea, di cui all’articolo 6 del citato regolamento (CE) n. 1082/2006, il controllo sulla gestione e sul corretto utilizzo dei fondi pubblici è svolto, nell’ambito delle rispettive attribuzioni, dal Ministero dell’economia e delle finanze, dalla Corte dei conti e dalla Guardia di finanza.
6. Alla partecipazione di un soggetto italiano a un GECT già costituito e alle modifiche della convenzione, nonché alle modifiche dello statuto comportanti, direttamente o indirettamente, una modifica della convenzione, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del presente articolo.
L’articolo in esame introduce la disciplina autorizzatoria per la costituzione di un Gruppo europeo di cooperazione territoriale.
Il comma 1, in particolare, detta le norme relative al procedimento per la richiesta, anche in forma congiunta tra i diversi membri potenziali, dell’autorizzazione a partecipare alla costituzione di un GECT. Tale richiesta deve essere presentata al Segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei ministri, corredata di copia della convenzione e dello statuto che si propongono.
Entro il termine di 90 giorni dalla ricezione della richiesta, il citato Segretariato è chiamato a provvedere, previa acquisizione dei pareri conformi da parte delle amministrazioni interessate, indicate nel comma in esame.
Il comma 2 dispone che, entro il termine massimo di 6 mesi dalla comunicazione dell’autorizzazione richiesta secondo le modalità sopra illustrate (oltre il quale l’autorizzazione stessa diviene inefficace), ciascuno dei membri del GECT, ovvero il relativo organo di gestione se già operante, chiede l’iscrizione del GECT nel citato Registro istituito presso il Segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei ministri, allegando all’istanza copia autentica della convenzione e dello statuto.
Il Segretariato generale procede all’iscrizione del GECT nel Registro nei 30 giorni successivi, a seguito di esito positivo delle verifiche da effettuare.
Il comma 3 detta norme circa le modifiche della convenzione e dello statuto del GECT che devono avvenire secondo le modalità e i termini previsti nei commi precedenti. Delle modifiche va data comunicazione con pubblicazione per estratto nella Gazzetta ufficiale italiana e in quella dell’Unione europea.
La disposizione che prevede la pubblicazione in Gazzetta ufficiale dell’Unione europea è stata introdotta in sede di esame referente al Senato.
Gli atti sopra indicati, per i quali è prevista l’iscrizione nel Registro presso il citato Segretariato generale, sono rilasciati in copia integrale o parziale, anche per corrispondenza, a qualunque soggetto ne faccia richiesta, entro il tetto massimo del costo amministrativo.
Il comma 4 rimanda al regolamento (CE) n. 1082/2006 (articolo 13) per la definizione dei casi in cui possa essere revocata l’autorizzazione. Si tratta dei casi in cui un GECT svolga attività contrarie:
- alle disposizioni di uno Stato membro in materia di ordine pubblico o in materia di pubblica sicurezza, salute o moralità pubblica;
- all’interesse pubblico di uno Stato membro.
Il comma 5 dispone che il controllo sulla gestione e sul corretto utilizzo dei fondi pubblici è svolto, nell’ambito delle rispettive attribuzioni, dal Ministero dell’economia e delle finanze, dalla Corte dei conti e dalla Guardia di finanza[156], nel caso in cui i compiti di un GECT riguardino azioni cofinanziate dall’Unione europea, di cui all’articolo 6 del citato regolamento (CE) 1082/2006. Rimane ferma la disciplina vigente in materia di controlli.
Il citato articolo 6, al paragrafo 4, effettua un rinvio al successivo articolo 7, paragrafo 3, nel quale si dispone che i compiti del GECT si limitano essenzialmente all’attuazione dei programmi o progetti di cooperazione territoriale cofinanziati dalla Comunità, a titolo del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), del Fondo sociale europeo (FSE) e/o del Fondo di coesione.
Il comma 6, infine, prevede che, nel caso in cui un soggetto italiano partecipi a un GECT già costituito ovvero in cui sia necessario apportare modifiche alla convenzione e allo statuto (queste ultime con effetti diretti o indiretti sulla convenzione), si applicano le disposizioni dell’articolo in esame, in quanto compatibili.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
Si veda il paragrafo Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE relative all’articolo 40.
1. Il GECT redige il bilancio economico preventivo annuale e pluriennale, lo stato patrimoniale, il conto economico, il rendiconto finanziario e la nota integrativa e li sottopone ai membri, che li approvano sentite le amministrazioni vigilanti, di cui all’articolo 44, comma 5.
2. Al fine di conferire struttura uniforme alle voci dei bilanci pluriennali e annuali, nonché dei conti consuntivi annuali e di rendere omogenei i valori inseriti in tali voci, in modo da consentire alle amministrazioni vigilanti dello Stato ove ha sede il GECT, alle omologhe amministrazioni degli Stati di appartenenza degli altri membri del GECT, nonché ai competenti organi dell’Unione europea, di comparare le gestioni dei GECT, il Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, adottano, con decreto interministeriale, le norme per la gestione economica, finanziaria e patrimoniale, conformemente a princìpi contabili internazionali del settore pubblico. I soggetti che costituiscono un GECT recepiscono nella convenzione e nello statuto le predette norme.
3. Dall’attuazione del presente articolo e degli articoli 43 e 44 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni pubbliche interessate provvedono all’attuazione del presente articolo e degli articoli 43 e 44 con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
Il comma 1 dell’articolo in esame reca norme in materia di contabilità e di bilanci del Gruppo europeo di cooperazione territoriale. In particolare, si prevede che il gruppo rediga:
- il bilancio economico preventivo annuale e pluriennale;
- lo stato patrimoniale;
- il conto economico;
- il rendiconto finanziario;
- la nota integrativa.
Tali documenti sono sottoposti ai membri e approvati dagli stessi, sentite le amministrazioni vigilanti (Ministero dell’economia e delle finanze, Corte dei conti e Guardia di finanza, nell’ambito delle rispettive attribuzioni).
Il comma 2 prevede l’adozione di un decreto interministeriale tra il Ministro dell’economia e delle finanze ed il Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, per la definizione delle norme per la gestione economica, finanziaria e patrimoniale, conformemente a principi contabili internazionali del settore pubblico. Dette norme sono recepite dai soggetti che costituiscono un GECT nell’ambito della convenzione e dello statuto.
La predetta disposizione è volta a conferire una struttura uniforme alle voci dei bilanci pluriennali e annuali ed ai conti consuntivi annuali e a rendere omogenei i valori inseriti in tali voci, in modo da consentire alle amministrazioni vigilanti dello Stato in cui risiede il GECT, alle omologhe amministrazioni degli Stati di appartenenza degli altri membri del GECT, nonché ai competenti organi dell’Unione europea, di comparare le diverse gestioni dei gruppi medesimi.
Il comma 3 stabilisce una clausola di salvaguardia finanziaria, disponendo che dai sopra esaminati articoli 40 e 41, oltre che dall’attuazione dell’articolo in esame, non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni pubbliche, infatti, in relazione all’attuazione dei predetti articoli, sono chiamate a provvedere mediante le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
Si veda il paragrafo Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE relative all’articolo 40.
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle seguenti decisioni quadro:
a) decisione quadro 2006/783/GAI del Consiglio, del 6 ottobre 2006, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca;
b) decisione quadro 2006/960/GAI del Consiglio, del 18 dicembre 2006, relativa alla semplificazione dello scambio di informazioni e intelligence tra le autorità degli Stati membri dell’Unione europea incaricate dell’applicazione della legge.
c) decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea.
2. I decreti legislativi di cui al comma 1, lettere a) e c), del presente articolo sono adottati, nel rispetto dell’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, dell’economia e delle finanze, dell’interno e con gli altri Ministri interessati.
3. Il decreto legislativo di cui al comma 1, lettera b), del presente articolo, è adottato, nel rispetto dell’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro dell’interno, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati.
4. Gli schemi dei decreti legislativi sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica affinché su di essi sia espresso il parere dei competenti organi parlamentari. Decorsi sessanta giorni dalla data di trasmissione, il decreto è emanato anche in mancanza del parere. Qualora il termine per l’espressione del parere parlamentare di cui al presente comma, ovvero i diversi termini previsti dai commi 5 e 7, scadano nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini previsti ai commi 1 o 6, o successivamente, questi ultimi sono prorogati di quaranta giorni.
5. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle decisioni quadro che comportano conseguenze finanziarie sono corredati della relazione tecnica di cui all’articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Su di essi è richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all’esigenza di garantire il rispetto dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere il testo, corredato dei necessari elementi integrativi d’informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro venti giorni.
6. Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi, di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può adottare, con la procedura indicata nei commi 2, 3, 4 e 5, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi adottati ai sensi del citato comma 1.
7. Il Governo, quando non intende conformarsi ai pareri delle Commissioni parlamentari di cui al comma 4, ritrasmette con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni i testi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica. Decorsi venti giorni dalla data di ritrasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza di nuovo parere.
L'articolo 43, composto da sette commi, apre il Capo IV del provvedimento, recante disposizioni per dare attuazione a decisioni quadro adottate nell'ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (Titolo VI del Trattato sull'Unione europea).
La disposizione reca la delega al Governo per l’attuazione di tre decisioni quadro e disciplina il procedimento per l’adozione dei relativi decreti legislativi.
I principi ed i criteri direttivi che il Governo dovrà rispettare nell'attuare le decisioni quadro sono contenuti negli artt. 44, 45 e 46 del disegno di legge in esame.
Le decisioni quadro in materia di cooperazione di polizia e giudiziaria penale.
Ai sensi dell'art. 34, comma 2, del Trattato sull'Unione europea, nell'ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, il Consiglio dell'Unione europea può adottare una serie di misure tra le quali si collocano le decisioni quadro per il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. Analogamente a quanto previsto dall'art. 249, terzo comma, del Trattato istitutivo della Comunità europea con riferimento alla direttiva, la decisione quadro è vincolante per gli Stati membri quanto al risultato da ottenere, salva restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma e ai mezzi.
L'art. 34 stabilisce espressamente che la decisione quadro non ha efficacia diretta, ossia che, in mancanza di attuazione, essa non può essere invocata per disapplicare una disposizione di diritto interno con essa contrastante. Tale previsione è giustificata dal fatto che la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, collocata nel c.d. terzo pilastro, presenta caratteri di integrazione più limitati rispetto alle materie del primo pilastro che possono costituire oggetto di direttiva.
Tuttavia, la Corte di giustizia ha affermato che, nonostante l'assenza di efficacia diretta, anche la decisione quadro, come la direttiva, dispiega alcuni effetti in caso di mancata attuazione da parte dello Stato